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La quemada

Fabian GARCIA Il sito archeologico della Quemada, Zacatecas Il nord del Messico Dalle culture che hanno trovato gli spagnoli quando arrivarono in America, sono stati i maya e gli aztecas, quelli che finora si conoscono di più, mentre le altre civiltà rimangono un po’ al buio. Così queste due culture, che si trovano nel centro-sud, sono state finora le più studiate, visto che, sono state soprattutto le più importanti civiltà del Messico e dell’America Centrale. Erano fondamentalmente delle città stato, fondatrici di grandi imperii, con una complessa struttura sociale, e costruttori di gigantesche piramidi e favolose città. Civiltà più ricche anche sulla conoscenza che abbiamo su di esse, grazie ai glifi dei maya, alle testimonianze degli spagnoli, ai codici e ai reperti archeologici, che ci hanno permesso di avere una visione più approfondita di loro e delle influenze culturali che hanno lasciato sui loro vicini. Nel nord invece, le culture che vi abitavano non hanno lasciato molte tracce della loro esistenza: alcune erano già sparite all’arrivo degli spagnoli e poche avevano lasciato traccia delle città e delle fortezze da loro costruite; poche rimanevano ancora in piedi all’arrivo dei conquistadores, in più senza scrittura, già che in maggioranza nomadi, usavano la storia orale e i riti come unico mezzo di perpetuare la loro cultura. Gli archeologi in base a queste differenze culturali, hanno diviso in due il territorio messicano; la parte sud conosciuta come Mesoamerica1, con tutte queste culture così ricche in monumenti, città e manifestazioni culturali. Mentre il nord del Messico e parte degli Stati Uniti, che meno reperti materiali e risorse aveva, e dove le culture che si erano sviluppate, hanno lasciato poche tracce rimaste nel mezzo di un paesaggio quasi desertico, viene chiamata “arido America”. Da qui è sempre stato un enigma da risolvere, come in mezzo ad un ambiente cosi ostile, potevano svilupparsi e sopravvivere delle città così monumentali, senza grossi fiumi né terre coltivabili, ma grazie ai biologi e recenti studi, sembra che sulle terre ormai aride, ci fosse stato tutto un altro paesaggio prima, con dei boschi, fiumi ed una grande varietà di selvaggina, quel che fece sì che queste città stato potessero crescere e diventare delle potenze. Il problema è stato che quando i cronisti scrissero sui siti che c’interessano, questi erano stati già abbandonati da tanto tempo ed i popoli che avevano costruito queste città erano scomparsi. Ormai sappiamo grazie ai calcoli e alle prove col carbonio 14, che le rovine qui trovate si sono sviluppati verso il periodo classico. Ecco qui la cronologia usata per le culture precolombiane: Preclassico: dal 2000 a.C. fino al 200 d.C., dove si trova la così detta cultura madre, che è quella più antica degli Olmeca, poi quella Mixteca e gli inizi di quella Teotihuacana. Classico: fino all’800 d.C., auge e decadenza di Teotihuacán: fioriscono le città maya, si sviluppano i toltecas e i zapotecas, così come la cultura della Quemada e altre centri del nord. Carta fatta da Powell, dove si vedono le tribu che popolavano il nord del messico. Powell la guerra chichimeca p. 59 Postclassico: fino al 1500 d.C., i maya cominciano la loro decadenza e lo stesso capita coi centri e città del nord, fiorisce l’impero azteca che prende controllo del lago e poi stende il suo impero a sud e a parte del nord. Proprio qui nel postclassico, finisce il Messico preispanico, già quando gli aztecas stavano nel massimo della loro espansione territoriale, sono arrivati gli spagnoli che alla fine hanno conquistato la città di Tenochtitlan, capitale degli aztecas, nel 1521. Da qui comincia il Messico coloniale, con la dominazione dei popoli vicini degli aztecas, l’esplorazione del territorio che porterà alla conquista e colonizzazione delle terre del sud e della costa, ma anche di quelle terre che qui c’interessano, che è la ricerca di civiltà ancora più ricche verso nord. Questa ricerca fu fatta da soldati e avventurieri pieni d’avarizia, che salivano sperando di trovare un'altra civiltà, piena di ricchezze e tesori magari più favolose, che facessero impallidire al conquistador degli aztecas, Hernan Cortés; ma fu questa sete d’oro e gloria che spingerà loro attraverso i deserti e le terre piene d’indios selvaggi, alla ricerca delle città favolose che popolavano la loro mente medievale come le sette città mitiche di Cibola o el dorado. Meno ambiziosi furono invece i religiosi che immersi nella loro fede hanno cercato di evangelizzare le nuove terre, partendo anche a loro volta verso il nord e dividendosi il territorio sconosciuto e pieno di pericoli, costruendo piccole chiese e missioni vicino alle popolazioni e gruppi d’indios, essendo tre gli ordini che furono incaricati di questo difficile lavoro: francescani, agostiniani e domenicani. Carta fatta da Guillemin Tarayre riprodotta da Noguera E. (1960) en la Quemada Chalchihuites, INAH , Méx Furono loro che fecero la vera conquista e colonizzazione, mentre i soldati volevano rimanere soltanto dove trovavano oro e argento, senza importarsene troppo delle popolazioni nomadi e semiselvagge; i religiosi si fermarono ovunque ci fossero popoli d’indios, registrarono le notizie delle terre viste, dei popoli che vi abitavano e dei loro costumi, abitudini, credenze e tradizioni. È così che due religiosi, il francescano Juan de Torquemada (1557-1624) e il gesuita Francisco Javier Clavijero (1731-1787), sono i primi a parlarci delle esistenze di queste rovine che c’interessano, quelle della Quemada, che si trova nel cuore della terra chichimeca, abbandonata da tanto tempo e senza traccia della cultura che l’aveva creata e quindi associata da loro due, agli aztecas, che per la sua grandiosità e dimensioni, sicuramente l’avevano costruita durante il suo pellegrinaggio mitico. Questo in parte per la conoscenza più approfondita degli aztecas, che sembravano l’unica cultura in grado di fare quelle costruzioni, ed in più perché gli indios che in quel momento abitavano i luoghi vicini non sembravano in grado di farlo, né che avessero nessun legame con questo sito o notizie di chi l’aveva fatto. Carta fatta da Guillemin Tarayre riprodotta da Noguera E. (1960) en la Quemada Chalchihuites, INAH , Méx L’ignoranza su queste rovine negli altri scrittori nei secoli XVII e XVIII, si riesce a capire in parte per il loro pensiero religioso, già che per loro, le rovine indiane destavano poco interesse, perché si credeva che le piramidi degli indios fossero tempi di satana e altri diavoli. Da qui che dove li trovavano in funzione, li distruggevano e sopra costruivano le chiese, mentre quelli già abbandonati da qualche tempo o in rovine, come appunto le costruzioni della Quemada, le lasciavano lì, così che le aziende vicine, fattorie e fabbriche ne usavano alcune delle pietre per costruirne le case, le mura e fortificazioni che proteggevano loro dai chichimecas in un primo momento, ma dopo anche come materiale edilizio. Fu così che i veri studi approfonditi, sono stati fatti nel secolo XIX, quando le idee dell’illustrazione fecero che gli intellettuali avessero un interesse per scoprire le rovine delle culture antiche. La Quemada Nel Messico, nello Stato di Zacatecas e a sudest della città capitale di questo Stato, più o meno a 56 km di questa, vicino a Villanueva in piena aridoamerica, si trova la zona archeologica conosciuta come la Quemada (o bruciata), che viene chiamata così sia perché in questo complesso si sono trovati dei resti di un probabile incendio che avrebbe bruciato la città e che forse sia stato la causa della rovina di questa, sia perché vicino alle rovine si trova una hacienda dello stesso nome. Quando é accaduto questo incendio?, non si sa di certo, anzi le date della costruzione, così come lo splendore di questa città diventano ancora un mistero, già che quando i primi spagnoli sono saliti verso il nord come si è detto prima, la Quemada era stata abbandonata già da molto tempo fa, e non rimaneva altro lì, se non rovine. Informazione che si complicava, già che i chichimecas non avevano nessun rapporto col sito, i zacatecos che erano i più numerosi nell’area cosi come i cazcanes, facevano pitture rupestri nelle grotte e non pareva che avessero dei templi, ne frequentassero queste rovine. Per quello è ancora un enigma per gli archeologi scoprire chi erano questi chichimecas e se sono stati loro a costruire e poi abbandonare questo sito per diverse ragioni. La terra selvaggia dei chichimecas Chichimecas era il nome che davano gli aztecas così come altre popolazioni più civilizzate ai popoli selvaggi del nord, significherebbe “lurido cane incivile” (Powell, 1996, p. 48), forse perché dei racconti presi dagli spagnoli questi popoli di solito portavano qualche pelliccia o giravano senza niente sopra. Chichimecas però era un nome generico dato a tutte le tribù guerriere che abitavano nel nord, anche se c’erano delle differenze storiche tra di esse; chichimecas erano stati chiamati dei guerrieri che sotto la guida di Xolotl, molto tempo prima che ci fossero gli aztecas, invasero i popoli vicini del centro, più meno verso l’undicesimo secolo secondo Francisco Javier Clavijero. Da qui che gli aztecas e i popoli della laguna sopra la quale adesso c’è città del Messico, consideravano chichimecas a qualsiasi popolazione del nord semiselvaggia, e quando gli spagnoli hanno sconfitto gli aztecas e dominato il centro, hanno ripreso la loro terminologia, chiamando anche semplicemente chichimecas tutte le tribù che abitavano negli stati di Michoacán, Guanajuato, San Luis, Aguascalientes, Zacatecas, Guadalajara e Durango. Queste tribù erano diverse fra di loro, c’erano i Zacatecos, Pames, Guachichiles, Tecuexes, Caxcanes e Guamares, come si può vedere nella carta fatta da Phillip Powell, ma anche alcune di queste tribù erano meno selvagge ed anche mezzo agricole. Tutte questi gruppi che abitavano il territorio all’arrivo degli spagnoli, ciascuno più feroce dell’altro, avevano però elementi comuni che li collegavano fra loro secondo le descrizioni fatte dagli spagnoli; questi popoli non avevano immagini dei loro dei e soltanto adoravano il sole e la luna, così come i fiumi e altri elementi naturali. In più non erano sedentari, non avevano un luogo fisso e giravano attorno alle montagne e abitavano nelle grotte, dove lasciavano delle pitture, mangiavano le piante che soprattutto erano dei cactus, tra queste la più diffusa era il nopal (Opuntia streptacantha), da qui che il loro cibo fosse principalmente questo cactus e il suo frutto rosso chiamato tuna2,cosi come il mezquite (Prosopis laevigata). Anche nella caccia erano diventati veramente abili con l’arco e la freccia, vivendo principalmente di conigli, armadilli, serpenti, topi e così via. Giravano ignudi o con qualche pelliccia d’animale sopra, i guachichiles dipingevano i loro cappelli di rosso e gli altri usavano delle marche e delle pitture corporali, ma queste caratteristiche li facevano vedere come delle popolazioni completamente indefese se si comparavano con degli aztecas pieni d’armi, armatura e città fortificate, insomma una guerra più vicina a quella che conoscevano gli spagnoli. Per questo gli spagnoli non pensavano che fossero così pericolosi, e non si addentrarono in queste terre finché non trovarono oro e argento nelle montagne, cominciando così a creare un sistema di fortificazioni per proteggere le carovane dagli attacchi chichimecas, e che consideravano così selvaggi che la politica era prenderli e ridurli in schiavitù nelle miniere o venderli nel sud. Questo fatto, fecce che gli indios più abili in quella terra di montagna, facessero una guerra di guerriglia, nella quale fu una resistenza di cinquant’anni; tra questi anche con una guerra che costò molti uomini, soldi e armi agli spagnoli, nota come guerra del Mixtón, dal 1540 al 1551. Comunque Paul Kirchoff ci dice che non tutti questi popoli erano così incivili, e che i Pames facevano degli adoratori sulle colline con scale di pietra, (Powell,1996, p. 245); ma i Pames sono situati da lui più al sud, quindi soffrivano di un influsso più mesoamericano. Per questo resta ancora un mistero chi fossero veramente i costruttori della Quemada, già che nessuna delle altre tribù sembra in grado di essere stata culturalmente avanzata per fare una città del genere. L’ipotesi più probabile è che ci fossero stati altri centri potenti anche a nord, delle città stato che dopo sono cadute nelle mani dei barbari, o che si facessero la guerra fra loro, da qui che siano state bruciate e abbandonate dalle popolazioni native, che sono fuggite altrove. Potrebbe essere anche, chi lo sa, che fosse stata vittima di una rivolta interna, contro questo centro di potere e i potenti che non erano più in grado di soddisfare le necessità del popolo. Forse dovuta a qualche siccità, già che quando gli spagnoli sono arrivati nell’area dove si trova la Quemada, non c’erano tante risorse naturali come al sud. Questa sarebbe anche una ragione per la quale le popolazioni in quel momento non fossero né agricole né sedentarie, vivendo principalmente della caccia e raccogliendo dei frutti, vivendo in piccoli gruppi che permettessero a loro di sopravvivere in un mezzo così ostile. Le strutture La collina dove è stato costruito il complesso, si trova isolato nel mezzo di una vallata, che permetteva di controllare l’avvicinamento di possibili nemici, cosi come d’avere un’ampia visione della pianura. I materiali usati sono soprattutto delle lastre di pietra e d’argilla messe insieme con un collante fatto d’erba e fango, questo ha fatto che alcune strutture siano state parecchie volte in pericolo di crollare per l’erosione causata dal vento e dalla pioggia. La parte più alta del sito, quella a nord, misura 150 metri, ma in quella più bassa al sud, è, dove si trovano le costruzioni più importanti, tutte fatte sopra terrazze artificiali, terrapieni e mura che servono come sostegno e contenzione, ma che avevano anche un uso diffensivo. Da quando è diventato museo nel 1996, la zona archeologica si visita partendo dalla Sala delle colonne nel lato sud. Dove si trovano le edificazioni più numerose, che erano anche protette dalla muraglia che si trovava a nord, ed è da questa parte che il primo edificio e questa struttura chiusa chiamata Salón de las Columnas. Questa Sala, è cinta da muri, ormai caduti parzialmente, i quali misurano più meno tre metri d’altezza, ma che secondo le ipotesi fatte a guardare la quantità di colonne e la misura delle mura che sono grossi 2.70 metri, i muri dovrebbero essere stati alti almeno 5 metri. Il Salone misura in totale 41 metri di lunghezza per 32 , dentro del quale si trovano 11 colonne che sicuramente sostenevano un tetto fatto di legno, che crollato dopo un incendio, lasciò il pavimento rosso per le alte temperature. Non si sa a cosa servisse questo salotto: s’ipotizza sia stato usato come salone cerimoniale, già che negli anni ‘50 del secolo scorso, a seguito di scavi si diceva fosse stato usato per i sacrifici umani, per i teschi trovati dentro del salone, il quale sembra che fossero appesi sul tetto, che potessero essere dei trofei o un culto agli antenati; se fosse cosi allora la sala delle colonne “sarebbe un posto da dove soltanto potesse ingressare colui in grado di parlare con loro, come fanno ancora alcune culture come i huicholes”3, questo fatto spiegherebbe anche perché la struttura all’infuori dell’ingresso e di una piccola apertura a ovest, non ha ne finestre ne altro, quindi chi entrava rimaneva al buio. Di fronte a questa costruzione c’è una piazza affondata di 67 x 64 metri, con una scalinata che porterebbe verso la porta della sala delle colonne; sembra che avesse delle aperture in due angoli per funzionare come una porta che si apriva con due calzate, magari delle porte custodite, questo è un spazio sacro che rappresenta l’universo, e forse custodiva altre strutture all’interno. Da questa piazza e dalla Sala delle Colonne, parte una calzata fatta di lastre, la quale porta verso un’enorme piattaforma dove si trova la struttura del gioco di palla o Juego de pelota, con la sua forma allungata come una lettera I, fatta cosi perché nella lunghezza centrale si giocava, tentando passare una palla nel mezzo di un arco di pietra collocato su in alto nei muri. In alcune culture erano i vincitori a essere sacrificati, in altre quelli che perdevano la partita; di questa struttura rimangono soltanto i muri che sono di un’altezza di 3 metri e grossi metri 2.70; non rimangono gli altari né altre cose perché sicuramente la fattoria vicina ne ha utilizzate parecchie pietre da questa struttura, già che di solito gli altari erano utilizzati dagli spagnoli per le ruote dei mulini. In fondo a questo gioco di palla, si trova la piramide votiva, con un’altezza di dieci metri, anche se manca la cima come si può vedere, quando è stata ricostruita, si migliorarono i gradini della scala di pietra, ma questi arrivano soltanto al primo corpo, già che il resto è caduto. Non si sa a chi fosse dedicata questa piramide, che come altre strutture di questo genere, aveva un tempio nella sommità, soltanto che sicuramente fatto da materiali come il legno, in modo che ormai non resta più niente. Accanto alla piramide sulla collina, si trova una grande scala di 75 gradini, alta 20 metri, che serviva per salire fino alla seconda terrazza della collina e alle sue strutture. Questa scala ha avuto diversi interventi che sono stati fatti in diverse epoche: la prima arrivava fino alla metà della struttura ed è più arrotondata, adattandosi alla prima forma del complesso; poi c’è una seconda più simmetrica ed una terza che è doppia. In questa parte c’è ancora un muro elevato che cancellava l’accesso, e mostra come la città in quel tempo fosse preoccupata più per la difesa e che sicuramente ha avuto delle guerre continue che hanno portato gli abitanti a fare dei rinforzi. Da queste scale si sale verso una prima piattaforma, dove si trova la struttura chiamata el cuartel o la caserma, dall’archeologo Pedro Armillas, sito pieno d’abitazioni e dove si trovò soprattutto della ceramica rossa; di queste abitazioni però rimangono soltanto alcuni muri quasi distrutti ma che ci fanno vedere come erano disposte le divisioni degli spazzi interni e la comunicazione fra di essi. Poi c’è un rettangolo dove si trova una piramide addossata alla collina, una piccola versione di quella votiva, qui con gli scavi hanno trovato parecchie ossa umane tra questi dei teschi con delle forature per essere collocati su qualche struttura a modo di tzompantli4, o magari come si vede ancora nel museo del sito, i teschi che pendono dal tetto di una struttura con delle corde insieme ad altre ossa. Sopra la piramide c’era un piccolo tempio ormai caduto, il tutto coperto con della calce poi colorata della quale ancora restano poche tracce. Le ossa trovate mostrano anche delle tracce d’essere state strappate o in qualche forma intervenute dopo la morte degli individui e quindi collegate al sacrificio rituale, similare a quello che facevano gli aztecas per il dio Tezcatlipoca5. Da qui si passa ad un’altra piazza affondata, più piccola, che ha un’altare nel centro ed una piramide al fondo, cosi come un salotto; qui, accanto alla piramide, c’era una scultura di una donna con la testa mozzata ed un bimbo sulla schiena; questa ha un foro al posto della testa, quello che potrebbe indicare che qui si collocava qualche oggetto, forse una pica di legno con qualche testa mozzata per ricreare appunto, quella della scultura o potrebbe essere stato anche semplicemente un portastendardo. Accanto c’è una scala che porta verso il quarto livello della struttura, alla quale si arriva dopo un lungo percorso verso nord, dove ci sono ancore dei resti di abitazioni e templi. In questa si trova un cortile chiuso con un’altare centrale di tre corpi e poi una piramide di tre metri d’altezza, e più a nord un grande salone con tre finestre che vedono verso nord alla vallata di Malpaso. Da queste si puó vedere la vallata e due colline isolate da fronte alle muraglie, ma non sembrano aver mai avuto delle strutture sopra di esse, ma probabilmente avevano delle postazioni di vigilanza per controllare meglio le vicinanze. Da qui si vede la muraglia che chiudeva il sito con 4 metri d’altezza e grossa 3, e lunga oltre 850 metri, e seguendola da nord a sud si ritorna verso la piramide votiva, vedendosi cosi delle orme di altre edificazioni che funzionavano come abitazioni. Le prime notizie del sito Per questo sin dai primi visitatori che scoprirono e percorsero queste rovine, il sito fu oggetto di diverse ipotesi che tentarono di congiungerlo alla storia dei messicani, già che loro essendo il popolo più civilizzato che gli spagnoli avevano trovato fino a quel momento, sembrava impossibile che fossero stati i popoli selvaggi che trovarono lì a essere gli artefici di quelli edificazioni, così come stavano ignudi, mangiando la poca selvaggina che trovavano e abitando nelle grotte. In più la storia degli aztecas o mexica, parlava di un pellegrinaggio religioso, dove essendo sette tribù di una stessa famiglia, i nahua, erano partiti dal nord verso il sud, già che il loro Dio Huitzilopochtli aveva parlato al loro sacerdote Tenoch di prendere tutto e andare verso il sud, dove fonderebbero un grande impero, così che gli spagnoli quando hanno trovato queste rovine hanno tentato di collocarle dentro della storia azteca. Cosí Torquemada quando parla del pellegrinaggio compiuto dai mexica, situa queste rovine tra le testimonianze che loro hanno lasciato nella via, prima di arrivare a Tollan: “in questo posto sono stati nove anni, al quale sono arrivati con meno gente. Per aver lasciato nelle mansioni che venivano facendo molta di loro, tanto vecchia così come giovane, che per diverse ragione stavano lasciando; e di questo ce ne sono parecchie tracce in tutte queste terre, verso il nord, di cui ho visto io a sete mille di Zacatecas, verso il mezzogiorno. Degli edifici e rovine di popolazione antiche dei maggiori e più superbi che possono pensarci, di cui parleremo dopo; soltanto lo dico come prova delle edificazioni che faceva la gente che loro lasciavano nei lunghi percorsi”( Torquemada, 1975, pp. 117 e 118). Secondo il Torquemada, la Quemada sarebbe quindi uno dei siti costruiti dagli aztechi nel suo percorso verso il sud; questo però non spieggerebbe come mai la città fosse così grande e piena di costruzioni cosi avanzate, già che, secondo la stessa leggenda degli aztecas prima di arrivare al lago di texcoco e fondare Tenochtitlán, questi erano praticamente dei selvaggi che marciavano mezzo nudi con il loro Dio sulle spalle e le loro costruzioni erano assai rudimentarie. Francisco Javier Clavijero, nella sua Storia antica del Messico pensava che questo sito fosse il mitologico Chicomoztoc, luogo da dove sarebbero usciti i mexica nel suo pellegrinaggio verso il centro del paese, alla ricerca dell’aquila sopra il cactus, segno divino che segnalerebbe il punto finale della marcia e il luogo dove sarebbe costruita la capitale dell’impero azteca. Clavijero scrisse: “Da Hueicolhuacan, marciando molti giorni verso oriente, arrivarono a Chicomoztoc, dove si son fermati. Fin lì avevano viaggiato insieme le sette tribù nahuatlacas; ma in quel luogo si sono divise e andati avanti i xochimilcos, i tepanecas, i colhuas, i chalqieses, i tlahuicas e i tlaxcaltecas, rimanendo lì i messicani col suo dio. Questi dicono che si sono divisi perché così li ordinava il loro dio; più credibile però, che l’origine fosse una lite fra queste tribù. Non si conosce il sito preciso, dove si trova Chicomoztoc, dove i messicani sono vissuti per nove anni; io penso, comunque, che dovesse stare a venti mille di zacatecas, verso meridione, nel sito dove oggi si vedono le rovine di una grande costruzione, che senza dubbio fu opera dei messicani nel loro viaggio; perché anche delle tradizione dei zacatecas, antichi abitanti di quel paese, essendo questi dei barbari, non avevano case, ne sapevano farle, e non si può fare oltre che attribuire agli aztecas quella costruzione scoperta dagli spagnoli” (Clavijero,1917, p. 126) Fray Antonio Tello nella sua Storia della Nueva Galicia scritta nel 1650, dice che un comandante spagnolo nominato Chirinos, insieme con i suoi soldati, poté vedere le rovine di una grande città in un sito chiamato Tuitlan, ma anche lui pensa che qui siano vissuti gli aztecas. Gli archeologi comunque pensano che questa Tuitlan per la sua descrizione sia appunta la Quemada e che Tuitlan possa essere il vero nome di questo sito, ma questo è stato di recente giá che nel secolo XIX e parte del XX si continuava a vedere queste rovine come un´opera degli aztechi. Non fu fino al 1826 che cominciarono a farsi degli studi più seri su queste rovine con le osservazioni del capitano G. F. Lyon e poi nel 1833, quando l’ingegnere tedesco Carl de Berghes fece uno studio del sito incaricato dal Governatore di Zacatecas; era convinto che queste fossero rovine azteche, e fece una descrizione dettagliata di questo complesso insieme a delle carte topografiche e dei disegni. Questo manoscritto però non si pubblicò e rimase sparito nel buio, finche “il cattedratico tedesco Hanns J. Prem lo trovò come il manoscritto numero 1045, nella Biblioteca Newberry de Chicago, e fece la prima edizione tedesca (Prem 1990) che dopo fu tradotta allo spagnolo da Achim Lelgemann e pubblicata in Zacatecas; nel 1996” (Werheimer, 2010, p. 381) questa apparve sotto il titolo che aveva dato di “Descripción de Las Ruinas de Asentamientos Aztecas Durante Su Migración Al Valle de México, a Través Del Actual Estado Libre de Zacatecas6. In queste note Berghes identifica le rovine col nome di Coatlicamac che sarebbe la collina dei serpenti, seguendo per questo il codice Boturini o del pellegrinaggio, dove si racconta dall’uscita degli aztechi da Chicomoztoc (il luogo delle sette grotte) fino l’arrivo di loro sul lago di Texcoco. In questo codice c’e appunto il glifo di una serpente sopra una collina che darebbe appunto il nome di collina dei serpenti, identificato da lui sia per le strutture trovate come per l’abbondanza di serpenti nell’area. A questi avvicinamenti al sito e le loro strutture si aggiunge poi Carl Nebel e le sue litografie acquarellate fatte sul sito nel 1839; in totale, ne fecce due del sito e una carta geografica, poi pero Guillemin Tarayre, nel 1866, fece una carta più accurata, al punto che si continua a utilizzare. Nel 1903, Leopoldo Batres fecce una spedizione per informare sopra i monumenti da lungo tempo dimenticati, e dove anche lui fa riferimento a che fino a quel punto, l’approccio a queste rovine si era fatto lamentandosi che “ma finora, a dire il vero, non sono state studiate in un modo scientifico, ma si son serviti soltanto come argomento per far che i turisti che le visitano facciano volare la loro immaginazione” (Bartres, 1903, p. 5). Lui però è anche dell’idea che in questo sito fossero stati gli aztechi, quindi lo data verso la fine del XII secolo, già che così si può supporre che fossero costruiti un secolo e mezzo prima che Tenochtitlan. Il Bartres spiega che, come gli aztechi hanno vissuto in questo periodo accanto ai barbari, allora hanno costruito la muraglia per proteggersi dei cazcanes. Per il Bartres, anche il clima fu fondamentale, già che secondo lui “la mancanza di pioggia, e il troppo freddo continuo in quella regione, dovevano distruggere i raccolti di mais degli aztechi, che si trovano nella pianura accanto dove di sicuro hanno coltivato questa pianta. I selvaggi competevano con loro per la caccia e facevano ancora più difficile la sopravvivenza. Gli azteca hanno dovuto, allora, abbandonare Chicomoztoc, e l’hanno lasciata senza distruggere le loro costruzioni, che dopo rispettarono gli stessi selvaggi, finche alcuni coloni spagnoli hanno distrutto le opere che in cinquecento anni, a malapena erano deteriorati dal tempo” (Bartres, 1903, p. 23). Dopo de queste analisi, negli anni successivi, il lavoro è stato più che altro di ripulire il sito e riparare i monumenti, così nel 1955 l’archeologo José Corona Nuñez, fecce una ricostruzione della piramide votiva che si trova nella seconda piattaforma. Con gli scavi eseguiti negli anni ’80 del secolo scorso, gli archeologi hanno cominciato a collegare questa costruzione ad altri siti della regione, come Chalchihuites più a nord ed a reperti trovati a Malpaso e Loma San Gabriel. E’ stato datato il suo sviluppo fra il 300 e il 1200 dopo Cristo, cioè fra il classico ed i primi decenni del postclassico; quindi, seguendo lo sviluppo di Chalchihuites come centro minerario, la Quemada sarebbe stato un sito di scambio commerciale, fortezza o comunque un centro importante con qualche connessione con Teotihuacan (300- 750 D.C.). Cosi per Marie Areti Hers la cultura chiamata “Chalchihuites” che sarebbe appunto quella che si stabilì in questa zona, alla fin per lei, la Quemada, fu “il risultato dallo scontro fra agricoltori invasori venuti dal sud e nativi nomadi” (Hernández, 1996, p. 39) e da qui che le città fatte da loro siano fortezze. Invece per J. Charles Kelley, questa zona “fu nel suo maggiore splendore e diffusione, una colonia miniera e commerciale dipendente da Teotihuacan” (Hernandez, 1996, p.50), questo lascerebbe la Quemada come una fortezza commerciale contro i nomadi o altre città che non erano loro alleati. Questo farebbe che alla caduta di Teotihuacan, queste città del nord dipendessero non più del commercio ma dell’agricoltura, cominciando la loro crisi e caduta. Weigand vede la Quemada come un sito importante, con funzioni militari difensive, seguendo il discorso di Kelley, ma anche come il luogo dove convergeva il commercio fra il sud degli Stati Uniti e le popolazioni mesoamericane, con una società militarista stratificata come la civiltà azteca. Questo in un certo senso, spieggerebbe le sue caratteristiche architettoniche che mischiano le terrazze più comuni nel sud degli USA, con le colonne e le piramidi del centro e sud del Messico. Il discorso di Weigand si segue nel senso che essendo una colonia fatta dai toltechi per un mero scopo commerciale, alla loro caduta, il commercio si fermò, nuove vie commerciali s’aprirono e la centro nord, dove appunto si trovava la Quemada, così come altri siti del nord si lasciarono, e poi perirono sotto pressioni e conflitti regionali. Da questi scavi, studi e teorie, si stabilirono tre epoche dell’evoluzione del sito : Primo classico (200-600 d.C.) con la occupazione della vallata e le prime piattaforme e terrazze. Tardo classico (600-900) massimo sviluppo della Quemada. Primo Postclassico (900-1200), la città fu rinforzata nelle difese, per poi essere abbandonata; si trovarono vestigia di un incendio che forse fu la causa finale della caduta della città7. Per Ben A. Nelson il sito potrebbe ben essere un centro di potere regionale, sviluppatosi con una produzione locale di ceramica, minerali e fattorie, ma cosa avesse cominciato il conflitto che portò alla guerra, ancora non si sa; potrebbero essere i conflitti tra città o la lotta per le risorse del sito. Ma anche un sito a se stante, viste le datazioni, e che non c’è né abbastanza evidenza di una connessione certa con Teotihuacan, ma neanche coi Toltechi, e che sembra abbia avute più collegamenti coi popoli occidentali della costa. Gli studi fatti da altri studiosi come Michelle Elliot, indicano che nel sito ci fosse un bosco prima, ma quando fosse stato distrutto per l’uomo ancora non si sa; certamente il legno era essenziale per la produzione sia di metalli, mattoni, terracotta, ecc., e che anche con l’arrivo degli spagnoli gli alberi che rimanevano finirono nelle miniere come sopporti, legna e materiale per fare le case e i trasporti. Come fosse la loro vita, rimane ancora un mistero, ci sono pochi reperti, sia ossidiana, turchese; le conchiglie sono scarse ma possono indicare il vasto contatto di questa cultura con le civilizzazioni della costa e quelle del sud, legame che si vede anche nei pezzi di ceramica cloisonné. Quindi rimane il fatto che, all’infuori delle ossa umane e questi pezzi, non c’è niente che ci possa parlare di loro; le mura non hanno più la calce né i dipinti, non ci sono codici, ne segni che lascino interpretare una loro storia, in più come si disse già prima, i cazcanes che abitavano da queste parti non avevano idea di chi fossero stati i costruttori. Anche sulla funzione, per alcuni rimane un centro di commercio, per altri una città sviluppatasi sul militarismo e la difesa, per altri un centro puramente cerimoniale, dove sia la muraglia e le strutture avrebbero un significato cosmogonico, col culto agli antenati e colla montagna e le caverne, che sarebbero i luoghi dai quali sorge la vita. Cosi lì troviamo nelle storie azteche e nei miti delle altre culture; la montagna è il luogo sacro più alto, la grotta è la connessione col mondo inferiore, vita è morte insieme nella stessa struttura. Comunque rimane la domanda di come sia accaduta la rovina di questa città, che a giudicare dalle costruzioni, fu una delle più potenti del nord, ma potrebbe avere una in una leggenda Huichol8 raccolta da Phil C. Weigand, dove per le caratteristiche sembra che si faccia riferimento alla Quemada, ma anche a una civilizzazione più mesoamericana9. “In una delle vallate che stano verso est, abitava un grande e malvagio sacerdote, del quale tutti avevano paura. Uccideva molta gente ogni anno. Abitava colle sue aquile e i suoi giaguari in una grande roccia cinta da muraglie e coperta di edificazioni. Quando le aquile stavano con lui, i giaguari uscivano a uccidere gente. Le aquile e i giaguari si riunivano cinque volte l’anno e il sacerdote uccideva gente. Da quando il cervo è andato di là, i huicholes portavano loro dei peyote, ma le aquile e i giaguari volevano di più per se stessi. Se i huicholes rifiutavano venivano uccisi tutti. Se i huicholes portavano poco, i giaguari uccidevano alcuni e ritenevano uno. Se i huicholes se ne andavano lontano, verso la terra nera, per evitare l’incontro con le aquile, tutti morivano e prendevano il loro peyote. Dopo un po’ i huicholes non avevano più peyote e gli dei erano arrabbiati con loro. Perché non c’è peyote? Si chiedevano gli dei. Il mais cominciò a marcire. Non c’era del sale, né piume né conchiglie. I huicholes dissero ai loro antenati ed a gli dei che dovevano fare una cerimonia coi cinque grandi cantanti della valle dell’est per far sì che il mais non marcisse, per fare ritornare il peyote, per fare ritornare anche le conchiglie. Molti huicholes si sono riuniti in Teakata e sono andati alle colonne, dove si erano riuniti i cinque cantori. Ogni cantante cantò per quattro notti finche gli dei hanno detto che dovevano uscire e andare verso l’est. Quando arrivarono alla roccia del sacerdote, i giaguari sono andati contro di loro e molta gente fu uccisa. Ma il sole brucio tutti i giaguari, e il sacerdote tentò allora di far cadere la notte per togliere il caldo fortissimo, ma il caldo durò venti giorni. Quando il giorno tornò, tutti i giaguari erano già morti, tutta la terra rimasse bruciata. Tutto il mais marcio, tutta la gente se n’era andata e il sacerdote era sparito. Quando tornarono le aquile, queste rimasero e tentarono di punire i cinque cantanti. Per venti giorni tentarono ma non li trovarono perché non sapevano dove abitassero e se ne andarono. Allora tornò il mais; i huicholes potevano portare il sale, portare delle piume, portare delle conchiglie. Ma gli dei dissero ai cantanti che non dovevano tornare alla grande roccia perché lì abitava il male” (Hernández, 1996 pp. 64 e 65). Bibliografia Bartres, L. (1903) . Inspección y Conservación de Monumentos Arqueológicos de la Republica Mexicana, imprenta de Díaz de Léon, Berghes, C. (1996). Descripción de la ruinas de asentamientos aztecas durante su migración al Valle de México, a través del actual Estado Libre de Zacatecas. Traducción, estudio introductorio y notas de Achim Lelgemann. Zacatecas: Gobierno del Estado de Zacatecas, Universidad Autónoma de Zacatecas, Centro Bancario del Estado de Zacatecas. Clavijero, J. (1991). Historia antigua de México., tomo I, DEBA., México. Elliot Y. Michelle (2002), Human Impacts on the Ancient Environment., in Archeology Southwest, volume 16, number 1, winter. Gómez O. A., Vázquez de Santiago A., Macías Quintero J. I. (2007), Evidencias de prácticas rituales en la Quemada, Zacatecas; Análisis de un osario, en Estudios de Antropología Biologica, vol. XIII, UNAM. Hernández Chavéz A. (1996) coordinatrice, Breve Historia de Zacatecas, Fondo de Cultura Económica, México. 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La prehistoria del Estado de Zacatecas, una Note 1 Sarebbe tutta la zona centro e sud del messico attuale e anche parte del Salvador e Guatemala, dove si trovano le culture che ebbero il maggiore splendore culturale e influenzarono i popoli successivi, cominciando dalla cultura madre gli olmecas, poi i mayas, teotihuacanos, toltecas e aztecas 2 C’erano tanti di questi cactus pieni di frutta, che gli spagnoli chiamarono quest’area il gran tunal 3 Ipotesi dall’archeologo Juan Ignacio Macias Quintero, dell’Università Autonoma di Zacatecas. 4 Il tzompantli era una struttura di legno, dove si accomodavano le teste mozzate dei sacrificati, come un’Altare per i trofei. 5 Il dio Tezcatlipoca (specchio annerito dal fumo) , era il dio della guerra degli azteca, della notte, era duale e il suo complemento era il dio Quetzalcoatl (serpente piumato), da qui che il primo fosse la notte e il secondo il giorno il nord e il sud, il sacrificio umano e l’auto penitenza, da qui che gli spagnoli identificassero a Tezcatlipoca come il diavolo e a Quetzalcoatl, che secondo la tradizione era bianco e barbato, come un apostolo di Gesù venuto a insegnare la cultura agli indios. 6 Descrizione delle rovine degl’insediamenti aztechi fatti nel percorso della sua migrazione al Valle de Messico, traverso il libero Stato di Zacatecas. 7 In http://www.arqueomex.com/S8N4GVesp67.html 8 I Huicholes, sono una etnia che sussiste finora, loro abitano nella regione nordovest negli Stati di San Luis, Durango e Zacatecas. 9 In questo mito ci sono elementi simbolici importanti, forse loro hanno ripreso questo mito da un’altra cultura vicina, ma comunque ci parla di un sito con muraglie, edificazioni in alto a una roccia, che per il sito non sarebbe altro che questo. In più ci sono aquile e giaguari a custodire il luogo, entrambe sono state le ordini militari più potenti dell’impero azteca. C’è anche della gente che muore per non portare il tributo chiesto, quindi una referenza ai sacrifici umani e anche al cannibalismo. Il racconto finisce con il luogo bruciato dal sole, quello che ritorna al riferimento che la città fu bruciata. Autore: Fabian Garcia, kalte6@yahoo.fr