Location via proxy:   [ UP ]  
[Report a bug]   [Manage cookies]                

Passaggio di Paesaggi (riciclati)

2014

a cura di Filippo Orsini Sinergie rigenerative Riattivare paesaggi di(s)messi Il caso dell’area industriale Vela di Corte Franca Indice Parte prima Sinergie disciplinari. Parte terza Approfondimenti tematici 9 Presentazione Giovanni Plizzari 107 Passaggio di paesaggi (riciclati) Barbara Angi 11 Un’area industriale in dismissione Giuseppe Foresti, Piera Pizzocaro 119 Visioni interscalari. Mara Flandina 15 L’ossimoro del gruppo Vela FENEAL-UIL, FILCA-CISL, FILLEA-CGIL 127 Note per un manualetto moderno di assemblaggio architettonico Massimiliano Botti 23 Sinergie e intelligenze collettive al lavoro FENEAL-UIL, FILCA-CISL, FILLEA-CGIL 31 Dalla crisi d’impresa alle strategie di territorio Marco Marcatili, Giuseppe Torluccio 41 Nuove progettualità Mario Melazzini Parte seconda Ibridazioni architettoniche. Nuovi scenari rigenerativi. 47 Vigore ibrido Marina Montuori 61 Esercizi di rigenerazione urbana e paesaggistica a Corte Franca 10 progetti didattici del Corso di Laurea in Ingegneria EdileArchitettura dell’Università degli Studi di Brescia 143 Il recupero strutturale di edifici industriali prefabbricati Alessandra Peroni 151 Il senso dei paesaggi produttivi di(s)messi Filippo Orsini 6 «Chi avesse desiderio di sapere che cosa ci riserva l’avvenire, non dovrebbe perdere di vista le aree fabbricabili e i terreni in abbandono, le macerie e i cantieri.» Marc Augé, Rovine e macerie. Il senso del tempo, Bollati Boringhieri Editore, Torino 2004. 106 La cultura del progetto architettonico è oggi in uno stato di crisi permanente, in una condizione di difficoltà non provvisoria, corrispondente ai tempi e ai luoghi di un’epoca stabilmente sperimentale. Il fenomeno non può, e non deve, essere percepito negativamente ma deve essere la premessa per una crescita futura in quanto portatore di un concetto positivo di sviluppo che sta alla base dell’elaborazione di un processo dinamico di adeguamento al nuovo in grado, di fatto, di rielaborare concetti e strategie consolidate in modo inedito e innovativo. Non è infatti un caso che gli esempi più significativi di sperimentazioni progettuali contemporanee siano ubicati in aree consolidate di tessuto urbano in cui, molto spesso, le criticità economiche, sociali e di ecocompatibilità si trasformano in positività per la popolazione, per l’ambiente, per l’architettura. Ed è proprio in questa costellazione di terrain vague1, caratterizzanti il paesaggio urbano e peri-urbano dell’undicesimo secolo, appare possibile innescare sinergie multidisciplinari capaci di programmi ambiziosi di riconversione per le aree dismesse, site il più delle volte in posizione strategica per lo sviluppo urbano, e di proporre nuovi scenari e meccanismi produttivi virtuosi riutilizzando le strutture esistenti con maggior creatività, anche imprenditoriale. Alla luce della progressiva cessazione e/o delocalizzazione industriale – cui fanno seguito, immancabilmente, fenomeni di obsolescenza e abbandono di fabbriche e terreni – sembra evidente come il progetto non possa sottrarsi a un confronto con i manufatti che di questi processi rappresentano gli scarti fisici immediatamente percepibili. Il presupposto cardine per attuare strategie progettuali efficaci è quello di considerare un “secondo tempo” della vita degli edifici, successivo a quello della funzione per cui erano stati costruiti, che si configura come il tempo della “modificazione”2, dell’adattamento a nuovi usi, del riciclaggio3 dei materiali e delle costruzioni. Il concetto di recyclage, infatti, è oggi particolarmente attuale per quanto attiene alle questioni di sostenibilità del ciclo di produzione e di riutilizzo delle risorse. Parallelamente va acquisendo una dimensione estetica che, a livello progettuale, sancisce il valore dell’oggetto edilizio legato, sostanzialmente, a operazioni di ready-made dell’esistente. Tuttavia che i resti di architetture siano stati utilizzati per innestare un’architettura nuova è periodicamente accaduto nella storia. «I templi romani fornirono colonne utili per le chiese cristiane» afferma Theo Crosby (1971) in Architettura, il senso della città, a sottolineare come, la pratica del riciclaggio, seppure in maniera discontinua e con motivazioni ed esiti Passaggio di paesaggi (riciclati) Barbara Angi Architetto PhD e assegnista “Dote ricercatori” della Regione Lombardia Università degli Studi di Brescia 107 di volta in volta differenti, è da sempre presente nella storia dell’architettura. Nel caso in cui edifici appartenenti al patrimonio edilizio contemporaneo vengano riciclati, l’insieme degli interventi di modificazione al quale sono sottoposti non si limita al solo cambio di destinazione d’uso o a un semplice adattamento normativo, implica bensì una ridefinizione delle qualità spaziali generali dell’edificio che si ripercuote inevitabilmente sul suo significato e, non da ultimo, sul suo ruolo urbano. Come sottolinea Mosè Ricci in una sintesi dei contenuti della sezione urbanistica e paesaggio della Mostra Recycle. Strategie per l’Architettura la Città e il Pianeta tenutasi presso il Museo Maxxi di Roma (2012): «Riciclare significa rimettere in circolazione, riutilizzare materiali di scarto, che hanno perso valore e/o significato. È una pratica che consente di ridurre gli sprechi, di limitare la presenza dei rifiuti, di abbattere i costi di smaltimento e di contenere quelli di produzione del nuovo. Riciclare vuol dire, in altri termini, creare nuovo valore e nuovo senso. Un altro ciclo è un’altra vita. In questo risiede il contenuto propulsivo del riciclaggio: un’azione ecologica che spinge l’esistente dentro il futuro trasformando gli scarti in figure di spicco».4 108 Claire Fontaine, Redemptions, 2013, © Johnna Arnold Maison Dom-ino, progetto Le Corbusier (1914), realizzazione Architectural Association of London, in Fundamentals, XIV Mostra internazionale di Architettura di Venezia, 2014, © Giuseppe Mantia L’autore, continuando la riflessione, sottolinea come l’aspetto innovativo della condizione attuale risieda nel considerare questa tattica di manipolazione dell’esistente strategica per l’architettura e per la città attuabile, in prima istanza, con meccanismi progettuali necessariamente contestuali e adattivi, in quanto ogni luogo e ogni caso necessita di un progetto diverso conformato alle condizione al contorno. Per Ricci l’idea del riciclo implica una storia e un nuovo corso e coinvolge la “narrazione” più che la “misura”, prendendo come campo di riferimento il paesaggio e non il territorio, in quanto, quest’ultimo, domanda all’architettura quantità, stabilità, persistenza mentre, il primo, non pretende tempi definiti bensì chiede di poter invecchiare insieme agli edifici, di cambiare continuamente come continuamente cambiano i paesaggi. La predisposizione di piani di riciclaggio innovativi sembra implicare la messa in scena di un “passaggio di paesaggi” costantemente variabile in funzione delle mutevoli esigenze funzionali della società che abita gli edifici. Questi, a loro volta, devono essere in grado di adattarsi alle novità tecnologiche del nostro secolo che, di fatto, modificano le “urgenze” del progetto architettonico sempre più legato a questioni di carattere prestazionale dei sistemi impiantistici e strutturali. Ed è in questo che risiede lo stato sperimentale della nostra epoca. 109 Area Vela S.p.A. Riciclare paesaggi per costruire possibilità di sviluppo Il tema del riciclaggio dell’area industriale di proprietà della società Vela Laterizi S.p.A. a Corte Franca (Brescia) si è dimostrato, fin da subito, uno spunto fertile per innestare procedimenti progettuali volti alla prefigurazione di un nuovo ciclo di vita per gli edifici, gli abitanti e l’economia locale. Da una prima analisi della planimetria del sito, che per estensione occupa una superficie maggiore rispetto al centro del comune di Corte Franca, è semplice comprendere come la logica aggregativa dei manufatti sia basata esclusivamente sul principio di “convenienza economica”. Le dimensioni delle costruzioni, le distanze reciproche, il loro posizionamento all’interno dell’area seguono unicamente le regole della produzione che in essa veniva svolta. Oggi che la logica economica è venuta meno con la cessazione della fabbricazione di laterizi, oggi che lo “spirito” del luogo non esiste più, siamo di fronte a immense scatole vuote, frantumate, separate le una dalle altre. I capannoni in cui ancora è percepibile l’odore delle lavorazioni svolte, immersi oggi in un silenzio inquietante, rimangono muti testimoni di un tempo passato. Restano solo enormi contenitori di una realtà – economica e sociale – scomparsa e decretano così, per il piccolo comune appoggiato sui dolci, e produttivi, paesaggi della Franciacorta, il passaggio dall’era della macchina a quella dei bit5 che, come le quasi trentennali esperienze di altre realtà urbane mondiali testimoniano, determina, di fatto, un profondo cambiamento nell’uso del territorio e nella costruzione degli scenari urbani. Dalle operazioni più emblematiche di riconversione di insediamenti industriali europei, oramai consolidate nella storia dell’architettura contemporanea, è possibile desumere alcuni presupposti progettuali utili per innescare processi virtuosi di riciclaggio dell’Area Vela a Corte Franca. Ed ecco che dall’imponente operazione di riconversione del Bacino carbonifero e siderurgico della Ruhr6 in Germania impostata, nelle linee generali negli anni Novanta del secolo scorso, è possibile comprendere come la volontà collettiva possa diventare progetto così da permettere la concretizzazione di programmi anche “temerari”. La realizzazione del Parco Regionale dell’Emscher ha trasformato la zona – sulla quale insistevano circa il 70% delle industrie pesanti tedesche – da luogo più inquinato d’Europa a parco regionale capace di connettere 17 comuni e percorribile in bicicletta, con piste ciclabili per una lunghezza totale di 230 km, grazie a interventi di bonifica e di rinaturalizzazione per centinaia di ettari, con la creazione di circa cinquemila nuovi posti di lavoro, con la 110 The Humping Pact, Kokerei Zollverein, Essen 2011, © The Humping Pact crescita della popolazione residente e l’inversione del flusso migratorio. Il progetto ha reso orgogliosi e consapevoli i cittadini invertendo la tendenza dell’area: da innovazione nell’estrazione e trasformazione del carbone a innovazione della rigenerazione urbana e paesaggistica7. Lavorare sulle aree dismesse significa immancabilmente confrontarsi con la memoria dei luoghi sedimentata nell’immaginario collettivo degli abitanti rendendo necessaria una verifica del valore storico-identitario così da evitare che le strategie di riciclaggio entrino in conflitto con le esigenze e le aspettative dei cittadini, testimoni di quella storia dei luoghi che, spesso, coincide con quella della loro vita8. O ancora, il caso del recupero della Gare d’Orsay a Parigi a opera dell’architetto Gae Aulenti (1982-1985) che ha avvalorato, grazie alla collaborazione con Italo Rota, Piero Castiglioni e Richard Peduzzi, le potenzialità museografiche dell’edificio, realizzando un percorso espositivo in grado di adattarsi alle sproporzionate dimensioni degli spazi esistenti per mezzo di un uso calibrato di rampe e passaggi in quota. E come dimenticare la riconversione della centrale termoelettrica di Bankside a Londra a opera degli architetti svizzeri Herzog & De Meuron (19982000) che dimostrano sempre con grande sapienza come strutture o luoghi in disuso possano trasformarsi in prestigiosi investimenti culturali capaci di imprimere un forte impulso al turismo e all’economia di ampie porzioni, trasformando aree produttive obsolete in aggregati polifunzionali dove convivono servizi avanzati e cultura9. Herzog & De Meuron, in occasione dell’apertura della mostra dedicata al loro studio intitolata 11 Stations at Tate Modern, Turbine Hall, Londra (2000) dichiarano come sia eccitante confrontarsi con le strutture esistenti in quanto i vincoli presenti richiedono un 111 Gae Aulenti, Gare d’Orsay, Parigi 1982-85, © Marina Montuori diverso tipo di energia progettuale capace di innescare strategie architettoniche innovative non motivate, in prima istanza, dal “gusto” o dalle preferenze stilistiche individuali. Gli architetti svizzeri definiscono il progetto per la Tate Modern di Londra come una tattica di Aikido in cui utilizzare le potenzialità dell’edificio industriale – nella tecnica giapponese di lotta – per i propri scopi così da ottenere un nuovo manufatto dalle spazialità inaspettate e sorprendenti10. Il programma d’intervento di Herzog & De Meuron mette inoltre in luce la necessità, nelle operazioni di riconversione di strutture industriali dalle grandi dimensioni, di identificare una forma-limite dalla quale partire per procedere con un adeguamento tipologico e funzionale dell’esistente con operazioni di aggiunta, sovrapposizione o innesto di nuovi manufatti. Gli esempi sopraccitati dimostrano come, nell’ultimo quarto di secolo, i termini “arte”, “cultura”, “ambiente”, “parco", “tecnologia” sono diventati le parole chiave che permettono 112 Herzog & De Meuron, Tate Modern, Londra 2000, © Giuseppe Mantia di riciclare paesaggi industriali abbandonati per costruire nuove possibilità di sviluppo per le economie locali11. Inoltre, se dai casi di riconversione industriale oramai consolidati nel panorama architettonico contemporaneo, è ammissibile aver riscontro delle potenzialità programmatiche di operazioni di riciclaggio del costruito a carattere culturale, dagli esempi più recenti, invece, è possibile testare le possibilità tecniche – talvolta spericolate – che le costruzioni offrono. Basta ricordarne solo due: il Gemini Residence Frøsilos a Copenhagen di MVRDV (2005) e il Caxia Forum di Herzog & De Meuron a Madrid (2009). Il primo estremizza la debolezza strutturale del manufatto trasformandola, da grave limitazione per il progetto, a pretesto per realizzare spazi abitabili esterni. Perché i silos, a differenza dei magazzini, sono costituiti da una struttura nuda con molti limiti strutturali; ed è proprio nel superamento di queste limitazioni che sta l’eccellenza del progetto realizzato dallo studio olandese. MVRDV deve confrontarsi con due cilindri di calcestruzzo armato costruiti nel 1963, alti 42 metri, con un diametro di 25 metri. Il brief iniziale suggeriva di sviluppare gli appartamenti all’interno delle strutture, ma tagliare delle aperture nel calcestruzzo sarebbe stato difficile e lesivo per la tenuta strutturale dei silos stessi. Così lo studio olandese propone di invertire il tema progettuale: costruire MVRDV, Gemini Residence Frøsilos, Copenhagen 2005, © Barbara Angi gli appartamenti all’esterno della preesistenza per ottenere la massima luce e quantità di spazi vivibili all’aria aperta, in stretto rapporto con lo specchio d’acqua antistante. All’interno dei silos viene invece costruito un sistema di scale e ascensori, illuminati dalla luce naturale proveniente dalla copertura trasparente delle due lobby. Il secondo, il Caxia Forum a Madrid, data la valenza storica delle facciate del manufatto e la posizione urbana di pregio (l’edificio è sito lungo il Paseo del Prado, uno dei boulevard più importanti della città di Madrid, lungo l’asse nord-sud) chiede al nuovo innesto, costituito da sistemi di risalita e sale espositive polivalenti, di sostenere le pareti preesistenti sol113 levate da terra grazie a un’imponente operazione di livellamento delle pendenze del suolo su cui poggia. Le pareti perimetrali in mattoni della Central Elétrica del Mediodía (1889), vincolate dalla Soprintendenza come uno dei pochi esempi sopravvissuti di architettura industriale cittadina, sono state recuperate. La gasolinera, invece, è stata demolita, permettendo così alla struttura espositiva di conquistarsi il prestigioso affaccio sul Paseo. La carcassa fluttuante risulta solidamente appoggiata su tre nuclei in calcestruzzo armato, opportunamente rivestiti da poligoni in lamiera d’acciaio inossidabile che, all’interno, inglobano ascensori, montacarichi e scale. Operazioni ardite e talvolta avventate, oggi ammissibili dati i progressi tecnologici nel campo strutturale e prestazionale delle costruzioni, rendono testimonianza di come le 114 variegate possibilità di riciclaggio di strutture industriali obsolete presentino una caratteristica comune: il passaggio irreversibile dell’industria “pesante”, che ha profondamente segnato il secolo scorso, all’industria “leggera” della comunicazione, del benessere, della residenza e del turismo. Sistemi funzionali che, oramai, contraddistinguono lo scenario economico e sociale del “vecchio” continente. Herzog & De Meuron, Caxia Forum, Madrid 2009, © Barbara Angi Meccanismi adattabili per il riciclaggio industriale L’approccio progettuale12 al riciclaggio di aree industriali dismesse deve confrontarsi con molteplici problematiche legate a questioni di carattere edilizio, ambientale e sociale e deve garantire un metodo in grado di integrare gli aspetti architettonici, strutturali ed energetici degli edifici in un’ottica organica, che consideri cioè la rigenerazione del costruito una strategia d’intervento necessaria per l’incremento di meccanismi socioeconomici innovativi così da sviluppare un ambiente urbano in grado di agire attivamente per migliorare la qualità della vita dei suoi abitanti. Il processo di riciclaggio, e le esperienze precedentemente descritte ne sono testimonianza, non deve sottrarsi alla necessità di mettere al centro il progetto architettonico inteso come generatore di qualità abitativa e di valore immobiliare; necessario strumento per porre in relazione le molteplici discipline e tecniche coinvolte nei piani di recupero e valorizzazione dell’esistente. I meccanismi grazie ai quali poter sviluppare soluzioni innovative di riconversione industriale devono definire un metodo di rigenerazione adattabile in grado, cioè, di tenere insieme le fasi della vita dei manufatti e delle aree interessate (progettazione, costruzione, manutenzione, riuso), grazie a un modello di crescita in grado di sostenere la comunicazione, la cooperazione tra i diversi attori coinvolti nel processo, guidate, in tutte le fasi, da un orientamento di reshaping architettonico, inteso come dispositivo di prefigurazione e controllo delle operazioni necessarie per la riqualificazione del manufatto capace, di fatto, di “rimodellare” la costruzione, e il paesaggio, secondo l’uso passivo di risorse, la capacità strutturale dell’edificio, le esigenze sociali e il reddito disponibile per la realizzazione delle opere. Un simile atteggiamento chiede al progetto di architettura di confrontarsi costantemente con le nuove – e soprattutto 115 con quelle consolidate – tecnologie costruttive in un’ottica di aggiornamento continuo dei metodi progettuali e dei materiali a disposizione i quali, attraverso una sapiente composizione di caratteristiche e specificità, possano riportare l’esistente a una nuova vita così da migliorare le criticità e di svelare le espressività latenti degli spazi. Probabilmente, riportare lo studio degli elementi costitutivi dell’edificio al centro del dibattito disciplinare, così da comprenderne l’essenza e rivelarne il potenziale – la rigorosa ricerca Elements of Architecture13 realizzata da Rem Koolhaas in collaborazione con la Harvard Graduate School of Design ne è testimonianza – potrebbe riscattare il ruolo attuale dell’architettura riconducendola al centro del processo di generazione, e rigenerazione, degli spazi. 116 Rem Koolhaas, Harvard Graduate School of Design, Controsoffitto, Elements of Architecture, in Fundamentals, XIV Mostra internazionale di Architettura di Venezia, 2014, © David Levene Note 1. Il termine terrain vague fu coniato da Man Ray nel 1932 per descrivere uno spazio irrisolto e marginale in un paesaggio urbano. Successivamente è stato riferito ad ambiti di identità indeterminate in generale. Nel 1995 Ignasi de Solà-Morales y Rubiò associò il termine a tutte quelle aree abbandonate, vuote o dismesse per deindustrializzazione. Questi spazi improduttivi consentono tuttavia di sperimentare usi alternativi rispetto alle istanze speculative proprie della società tardo-capitalista. A tal proposito e sul significato di terrain vague si veda: I. de Solà-Morales y Rubiò, Terrain vague in Id., Anyplace, MIT Press, Cambridge 1995. 2. Cfr. V. Gregotti, Modificazione, «Casabella» n. 498/9, 1984. 3. M. Gausa, Recycle, in AA.VV., The Metapolis: dictionary of advanced architecture, Actar, Barcelona 2003. 4. M. Ricci, Riciclare città e paesaggi, «EWT» n. 9, 2011. 5. W. J. Mitchell, La città dei bits: spazi, luoghi e autostrade informatiche, Electa, Milano 1997. 6. La riconversione dell’area Bicocca a Milano (1985- 2008) a opera dello studio Gregotti Associati International rappresenta un importante esempio di riciclaggio industriale italiano. 7. Cfr. E. Marchigiani, Paesaggi urbani e post-urbani, Meltemi Editore, Roma 2005. 8. P. Zlonicky, La ricostruzione del paesaggio della Rurh, «Rassegna» n. 42/2, 1990. 9. La Tate Modern di Londra, uno dei templi mondiali dell’arte moderna e contemporanea, è il museo d’arte più visitato al mondo e si stima che ogni anno attiri oltre quattro milioni e mezzo di visitatori raggiungendo, nel 2012, le cinque milioni e duecentocinquantamila unità (fonte: T. Skeggs, Visitor Figures, «The Art Newspaper», n. 245, Londra 2013). 10. Herzog & de Meuron, 11 stations: an architectural narrative, Tate Publishing, London 2000. 11. Ma il problema del riciclaggio del patrimonio industriale non è semplice o di facile soluzione. Non è neppure confortante la prospettiva di perdere queste aree. Si tratta infatti di beni non tutelati, per lo più di proprietà privata, spesso oggetto di speculazione edilizia. Le scelte che influenzano la riconversione di una realtà industriale sono soprattutto di interesse economico. Come potrebbe essere altrimenti? Sta di fatto, e gli esempi descritti ne sono una testimonianza, che è più facile trovare fondi per trasformare una fabbrica in un centro culturale così da farla diventare richiamo turistico, piuttosto che recuperare un vecchio edificio a una nuova produzione, a meno che questa non riesca a riscoprire le potenzialità latenti del territorio circostante. Quale potrebbe essere l’effetto della produzione di una birra in un territorio come quello della Franciacorta conosciuto, a livello internazionale, per l’eccellenza nella produzione vinicola? 12. Il progetto di ricerca per la riconversione dell’area Vela Laterizi S.p.A. a Corte Franca è sostenuto da un programma MIUR ex 60%: Architettura e cultura dei luoghi: nuove sinergie architettoniche tra industria agricoltura e paesaggio. Esercizi di riqualificazione integrata di aree industriali nel territorio bresciano, responsabile scientifico Marina Montuori. Il gruppo di ricerca coinvolto è composto da chi scrive e da Massimiliano Botti, Filippo Orsini, Alessandra Peroni e Giuliana Scuderi. Inoltre, in sede didattica, sono state sviluppate una serie variegata di proposte nel corso di Architettura e Composizione 2 del Corso di Laurea Specialistica in Ingegneria Edile – Architettura dell’Università degli Studi di Brescia, titolare Marina Montuori, e che ha visto la scrivente coinvolta in qualità di collaboratore alla didattica, e che risultano in buona parte documentate nel presente volume. 13. Cfr R. Koolhaas, Elements of Architecture, Marsilio, Venezia 2014. 117