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EDITORIALE Non precludiamo ai giovani la via dell’insegnamento Michele Lenoci l’altro, movimentata dalla notizia che, in seguito all’immissione in ruolo dei docenti precari, il numero dei posti liberi, riservati ai giovani, che negli ultimi anni hanno concluso gli studi o stanno attualmente frequentando l’università, sarebbe stato irrisorio. Da un lato, era comprensibile l’aspirazione a un inserimento definitivo da parte dei tanti insegnanti che nella scuola lavorano già da molti anni; dall’altro, appariva innaturale negare ogni prospettiva plausibile a chi, conseguita la laurea, aspira a entrare nel mondo della scuola. Il Ministero ha purtroppo ereditato questa difficile situazione da una pluriennale politica di passati governi, che, per molti motivi, hanno preferito non scegliere, adottando provvedimenti parziali, frammentari e spesso contraddittori, così da lasciare incancrenire la piaga. La preoccupazione del governo, giustamente, è stata quella di tener conto delle aspettative, garantendo diritti acquisiti, di non illudere le giovani generazioni, facendo intravvedere possibilità di impiego che poi sarebbero risultate solo illusorie, di riservare, in ogni caso, un certo numero di posti per l’abilitazione dei laureati più giovani. La buona volontà di tutti e l’intento costruttivo ha consentito di adottare soluzioni praticabili. Tuttavia, questo caso induce a qualche riflessione più generale sul problema della scuola oggi e, in particolare, sul tema della formazione e assunzione degli insegnanti. Si sa che disporre di un personale preparato, aggiornato nella conoscenza delle materie che insegna e capace anche di proporle con metodi adeguati ed efficaci, costituisce per un Paese una ricchezza inestimabile: i danni prodotti da cattivi medici e ingegneri sono drammatici e si avvertono presto; i cattivi maestri producono disastri, che non sono meno gravi, proprio perché sono spesso inavvertiti, diluiti nel tempo e con effetti di lunga durata. 5 2011 Michele Lenoci è preside della Facoltà di Scienze della formazione presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore. Vita e Pensiero 5| Nei mesi scorsi, la pausa estiva è stata, tra Michele Lenoci VITA E PENSIERO Si rivela sempre più necessario distinguere nettamente i percorsi abilitanti da quelli destinati all’assunzione di docenti di ruolo, se non si vuole riprodurre in forme nuove il precariato. Un tempo, all’esame di abilitazione seguiva il concorso nazionale per posti di ruolo, per superare il quale era richiesta una vasta e approfondita conoscenza delle materie che si sarebbe andati a insegnare, come ben ricordano i professori meno giovani. Ci vien detto che oggi quel sistema non è più realizzabile, sia per i grandi numeri richiesti da una scuola di massa, sia per la difficoltà di gestire simili imprese. Ma permane pur sempre l’esigenza di selezionare, fra i molti che aspirano e che possono anche essere abilitati, coloro che in base a prove accreditate si rivelino più capaci, più competenti e più adatti a insegnare. Al di là delle difficoltà pratiche, certamente consistenti, forse sussiste, trasversale tra tutti gli schieramenti e gruppi di interesse, pervasiva e non confessata, la convinzione che nella scuola, allorché in qualche modo si sia entrati, si è destinati a rimanere, essendo unico criterio di merito l’ordine cronologico. E proprio per questo motivo, con il proposito di evitare un eccesso di aspiranti, si è pensato di programmare il numero degli iscritti. Nobile intento: ma, forse, invece di scegliere i futuri insegnanti solo in base ad attitudini o mere potenzialità, da sviluppare nei successivi corsi, non sarebbe meglio selezionarli alla luce delle competenze disciplinari e didattiche già acquisite, a corsi terminati, e attestate attraverso prove o pratiche attendibili e accreditate? Inoltre, appartiene alla tradizione di molte Facoltà, in particolare di quelle umanistiche, ma anche di alcune scientifiche, che i propri laureati, pur potendo mirare a professioni e sbocchi assai diversi, non intendano precludersi la possibilità di insegnare, vista non tanto come un’occasione di ripiego, ma come una prospettiva di impegno meritevole di essere considerata e scelta. E nei mesi scorsi si è avvertita forte la preoccupazione di molti giovani, quando ritenevano sbarrata, per molti anni, la strada dell’insegnamento. Fatta salva la netta peculiarità della preparazione degli insegnanti della scuola primaria e fors’anche della secondaria inferiore, non si potrebbe consentire che la preparazione dei docenti della scuola secondaria superiore fosse affidata alle lauree magistrali normali, in grado di offrire competenze ampie e approfondite, sul piano scientifico, disciplinare e culturale, per poi preparare i futuri abilitati attraverso un successivo tirocinio nettamente orientato, più che a teorizzazioni generali e generiche, a 6 5| 2011 EDITORIALE stage di natura educativa e didattica, speciale e sperimentale? Lì si potrebbero affrontare situazioni concrete, si sperimenterebbero sul campo i problemi relazionali posti dai compiti educativi e non si indebolirebbero alcune lauree magistrali, specie umanistiche, che sarebbero ridotte al lumicino, ove si attivassero quelle esclusivamente destinate all’insegnamento. Non va precluso, a monte, a molti giovani un cammino verso l’insegnamento e, insieme, vanno anche previste le tappe ulteriori per trattenere, attraverso l’abilitazione e rigorose pratiche per la successiva assunzione, solo i più motivati e i più idonei sul piano disciplinare, relazionale e didattico. Molte Facoltà si sentirebbero snaturate e dimidiate se, a fianco dei corsi magistrali, sussistessero corsi paralleli per i predestinati all’insegnamento, scelti in un numero prefissato che, alla fine, garantirebbe comunque, anche se faticosamente, l’assunzione sospirata. Non si tratta solo di tessere l’ennesimo elogio della meritocrazia o di vantare i pregi della flessibilità, ma di riaprire gli spazi per quella originaria libertà di scelta, che è l’ambiente necessario in cui matura e cresce ogni autentica missione educativa. 7