I rapporti fra città e campagna
allo specchio della normativa statutaria
Un confronto fra lo Stato della Chiesa,
la Toscana e l’Abruzzo (secoli XII-XVI)
a cura di Gian Paolo Giuseppe Scharf
Università degli Studi di Napoli Federico II
Clio. Saggi di scienze storiche, archeologiche e storico-artistiche
38
I rapporti fra città e campagna
allo specchio della normativa statutaria
Un confronto fra lo Stato della Chiesa, la Toscana e l’Abruzzo
(secoli XII-XVI)
a cura di Gian Paolo Giuseppe Scharf
Federico II University Press
fedOA Press
I rapporti fra città e campagna allo specchio della normativa statutaria : un confronto
fra lo Stato della Chiesa, la Toscana e l’Abruzzo (secoli XII-XVI) / a cura di Gian
Paolo Giuseppe Scharf. – Napoli : FedOAPress, 2022. – 221 p. ; 24 cm. – (Clio. Saggi
di scienze storiche, archeologiche e storico-artistiche ; 38).
Accesso alla versione elettronica: http://www.fedoabooks.unina.it
ISBN: 978-88-6887-156-7
DOI: 10.6093/978-88-6887-156-7
ISSN: 2532-4608
In copertina: Gil de Albornoz consegna simbolicamente a papa Clemente I la cappella del Collegio di Spagna a Bologna, a lui dedicata. Miniatura del codice n. 30 (Postilla in libros historicos
Veteris Testamenti, Genesis-Liber II Esdrae), f. 001r, Biblioteca del Reale Collegio di Spagna
(Bologna), 1475 (CC BY-SA 3.0).
Le immagini, ove non indicato altrimenti, sono elaborazioni grafiche dei relativi autori.
Comitato scientifico
Francesco Aceto (Università degli Studi di Napoli Federico II), Francesco Barbagallo (Università degli Studi di Napoli Federico II), Giovanna Cigliano (Università degli Studi di Napoli
Federico II), Roberto Delle Donne (Università degli Studi di Napoli Federico II), Werner Eck
(Universität zu Köln), Carlo Gasparri (Università degli Studi di Napoli Federico II), Fernando
Marías (Universidad Autónoma de Madrid), Mark Mazower (Columbia University, New York),
Marco Meriggi (Università degli Studi di Napoli Federico II), Giovanni Montroni (Università
degli Studi di Napoli Federico II), Valerio Petrarca (Università degli Studi di Napoli Federico II), Anna Maria Rao (Università degli Studi di Napoli Federico II), André Vauchez (Université de Paris X-Nanterre), Giovanni Vitolo (Università degli Studi di Napoli Federico II)
© 2022 FedOAPress - Federico II University Press
Università degli Studi di Napoli Federico II
Centro di Ateneo per le Biblioteche “Roberto Pettorino”
Piazza Bellini 59-60
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Published in Italy
Prima edizione: dicembre 2022
Gli E-Book di FedOAPress sono pubblicati con licenza
Creative Commons Attribution 4.0 International
Indice
Gian Paolo Giuseppe Scharf, Qualche nota introduttiva
9
Enrico Angiolini, Prime considerazioni sui rapporti fra contesti urbani e rurali nelle normative statutarie della Romagna papale
19
Francesco Pirani, Statuti, comunità, territori nelle Marche centromeridionali
(secoli XIV-XVI)
37
Stefania Zucchini, Interazioni fra città e campagna nella normativa statutaria bassomedievale: l’Umbria
63
Federico Lattanzio, Poche note per una geografia statuaria del Lazio rurale
tra i secoli XIII e XVI
121
Pierluigi Terenzi, Statuti e norme sul territorio nelle città e terre del regno di
Napoli (secoli XIII-XV)
137
Alessandro Dani, Città e campagna negli statuti comunali del territorio senese (secoli XIII-XVI secolo)
171
Lorenzo Tanzini, Geografie statutarie nelle comunità rurali dello Stato fiorentino tra XIV e XVI secolo
193
Gian Paolo Giuseppe Scharf, Conclusioni
217
Stefania Zucchini
Interazioni fra città e campagna nella normativa statutaria
bassomedievale: l’Umbria
1. Lo stato dell’arte: consistenza documentaria, edizioni e produzione bibliografica
La produzione statutaria dei centri medievali umbri gode di una antica e
solida tradizione storiografica. In questa lunga storia di edizioni e studi critici,
un filo rosso è rappresentato dall’impegno della Deputazione di Storia patria per
l’Umbria e del Centro italiano di studi sull’alto medioevo; le prime edizioni statutarie sono state infatti accolte fra Otto e Novecento nel Bollettino della Società
Umbra di Storia Patria, poi Deputazione di storia patria per l’Umbria (Regia
Deputazione sino alla Repubblica)1. A coronamento di un interesse mai venuto
meno, all’inizio del nuovo millennio la Deputazione ha infine creato la collana
Statuti comunali dell’Umbria, diretta da Maria Grazia Nico Ottaviani. Dal canto
suo, il Centro italiano di studi sull’alto medioevo ha promosso non solo edizioni
di singoli statuti2, ma anche importanti occasioni di riflessione e di confronto su
tematiche di carattere più generale, come vedremo più avanti.
Cfr. Gli statuti della colletta del comune di Orvieto, sec. XIV, a cura di G. Pardi, in «Bollettino
della Società Umbra di Storia Patria», I, 1895, pp. 25-26; IV, 1898, pp. 1-46; X, 1904, pp. 169197; XI, 1905, pp. 263-380 e pp. 551-571; Statuti di Castiglion del Lago (sec. XIV), a cura di E.
Farina, in «Bollettino della Regia Deputazione di Storia patria per l’Umbria», XVIII, 1912, pp.
101-148. Lo statuto del comune di Baschi (Umbria) del principio del Quattrocento [testo completo],
con una introduzione sugli statuti rurali italiani, a cura di A. Ricci, in «Bollettino della Regia
Deputazione di Storia patria per l’Umbria», XVIII, 1912, pp. 237-355.
2
Cfr. Statuto di Canale confrontato con i testi di Porchiano e Giove, a cura di G. Scentoni, prefazione alla ristampa di M. Ascheri, Spoleto, Centro italiano di studi sull’alto medioevo, 1991
(ristampa dell’edizione Perugia-Scandicci, Regione Umbria-La nuova Italia, 1984); Lo statuto di
Marsciano del 1531, a cura di G. Scentoni, Spoleto, Centro italiano di studi sull’alto medioevo,
1992; Lo statuto di Castelbuono del 1345, a cura di L. Andreani, M. Biviglia, G. Guerrini, F.
Romani, Spoleto, Centro italiano di studi sull’alto medioevo, 2004.
1
63
Stefania Zucchini
A Maria Grazia Nico Ottaviani, già citata, si devono inoltre due pietre miliari
per lo studio degli statuti umbri: Il repertorio degli statuti comunali umbri, redatto
nel 1992 insieme a Patrizia Bianciardi e, sempre con Bianciardi (con una successiva collaborazione della sottoscritta e di Sonia Merli), la Bibliografia statutaria
dell’Umbria, contenuta nei tre volumi della Bibliografia Statutaria Italiana3.
Il repertorio in particolare offre una panoramica molto dettagliata della produzione statutaria superstite: sono addirittura 540 le schede relative a interi statuti, capitoli e frammenti, redatti in un periodo compreso fra il XII e il XIX secolo.
Come scrive la stessa Nico Ottaviani, però, molte schede si riferiscono a copie, in
alcuni casi multiple. Le compilazioni statutarie vere e proprie redatte tra il XII e
il XVI secolo – l’epoca che qui interessa – sono in numero decisamente inferiore.
Nico Ottaviani ne conta 127; le cinque banche dati della Biblioteca del Senato ne
riportano 100, solo in parte conservate nelle biblioteche e negli archivi umbri4.
Confrontando i dati di repertorio e database si ottengono 174 compilazioni statutarie, manoscritte o a stampa, tradite integralmente o in maniera frammentaria.
Una ricognizione ancora più approfondita è stata effettuata dalla Soprintendenza archivistica e bibliografica dell’Umbria e delle Marche, per l’opera di digitalizzazione, appena conclusa, di tutti gli statuti comunali dell’Umbria, prodotti
nel lunghissimo periodo compreso tra il XII e il XIX secolo. In una prima fase,
3
Repertorio degli statuti comunali umbri, a cura di P. Bianciardi-M.G. Nico Ottaviani, Spoleto,
Centro italiano di studi sull’alto medioevo, 1992 (d’ora in poi Repertorio); Bibliografia statutaria
dell’Umbria (1985-1995), a cura di P. Bianciardi-M. G. Nico Ottaviani, in Bibliografia statutaria italiana, 1986-1995, a cura di B. Borghi-A. Casamassima-R. Dondarini-F. Galletti, Roma,
Biblioteca del Senato della Repubblica, 1998, pp. 289-305; Bibliografia statutaria dell’Umbria
(1996-2005), a cura di P. Bianciardi-M.G. Nico Ottaviani-S. Zucchini, in Bibliografia statutaria italiana, 1996-2005, a cura di B. Borghi-A. Casamassima-R. Dondarini-F. Galletti, Roma,
Biblioteca del Senato della Repubblica, 2009, pp. 289-306; Bibliografia statutaria dell’Umbria
(2006-2015), a cura di M.G. Nico-S. Merli, in Bibliografia statutaria italiana, 2006-2015, a cura
di E. Angiolini-B. Borghi-A. Brighenti-A. Casamassima-R. Dondarini-R. Sernicola, Roma,
Biblioteca del Senato della Repubblica, 2017, pp. 265-272.
4
I database in questione sono: la versione digitale del Catalogo Chelazzi e il database realizzato
con successivi aggiornamenti; il database contenente la selezione di 150 statuti della Biblioteca
del Sentato digitalizzati; le descrizioni bibliografiche di circa 1200 edizioni antiche di storia
locale italiana edite tra il 1500 e il 1861, selezionate all’interno del Fondo antico di storia locale
della Biblioteca del Senato; infine, il database “Il comune e la storia”, contenente le segnalazioni bibliografiche di edizioni e saggi critici prodotti dopo il 1996. Cfr. http://notes9.senato.it/
w3/biblioteca/catalogoDegliStatutiMedievali.nsf/home?OpenPage (pagina web consultata il 3
agosto 2022).
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Interazioni fra città e campagna nella normativa statutaria bassomedievale: l’Umbria
aperta nel 1997 e conclusasi nel 2001, sono stati digitalizzati 114 statuti fra quelli
più antichi, conservati nei diversi archivi umbri. Nel 2016 si è aperta quindi una
nuova stagione di digitalizzazione, nella quale sono stati individuati altri 204
pezzi relativi ai secoli XV-XIX; il lavoro si è concluso con la realizzazione del
volume Item statuimus et ordinamus… La digitalizzazione degli statuti comunali
umbri per la salvaguardia e la valorizzazione”, pubblicato nel 2022, ed ha previsto oltre alla fase della digitalizzazione e della schedatura la realizzazione di un
database, consultabile online5.
Gli esiti di questa grande impresa, Il repertorio degli statuti comunali umbri, i
database della Biblioteca del Senato, la Bibliografia statutaria dell’Umbria e le singole
edizioni statutarie costituiscono le principali fonti di informazione di questo lavoro.
Sulla loro base, si possono innanzitutto fare alcune considerazioni di massima sulla produzione statutaria umbra e sulla relativa storiografia.
L’area geografica corrispondente all’attuale Umbria è segnata dalla presenza
di tre città “maggiori”, Perugia, Spoleto e Orvieto, che detengono una posizione di spicco sul piano politico-amministrativo sin dall’alto medioevo, grazie a
un’ampia autonomia politica, un dialogo diretto con i due poteri universali e
ambizioni di tipo territoriale; a queste si affiancano altre città, di dimensioni
medio-piccole, spesso fiorenti sul piano economico, ma che, per motivi tra loro
diversi, faticano a costruire sistemi politico-istituzionali stabili, o comunque in
grado di resistere alle pressioni esterne, e non si trovano nella condizione di esercitare una influenza duratura sul territorio. Appartengono a questa tipologia,
muovendo dalla parte settentrionale della regione, Città di Castello, Assisi, Todi
e Amelia; una situazione a parte è quella di Foligno, fulcro di una precoce signoria cittadina.
A questo reticolo di centri urbani va idealmente sovrapposta un’altra mappa,
costituita dall’insieme dei territori della stessa area, condizionati da precise caratteristiche morfologiche e agricole – si pensi alla zona del lago Trasimeno, alle aree
montuose dell’Appennino o alla piana del Tevere – e da forme di potere signorile in senso lato, che nel rapporto con le città si ridefiniscono, mutano, cedono
prerogative, ma raramente scompaiono del tutto. Domini loci, comunità rurali,
ma anche esponenti delle élite cittadine che proiettano al di fuori delle mura
le proprie ambizioni di dominio, nel corso del tempo si appoggiano agli stessi
5
Soprintendenza archivistica e bibliografica dell’Umbria: https://www.sabu.beniculturali.it/
progetti/statuti-umbri (pagina web consultata il 3 agosto 2022).
65
Stefania Zucchini
strumenti giuridici elaborati dalle città, primi fra tutti gli statuti, i cui modelli
circolano anche in ambito rurale e vengono di volta in volta adattati alle realtà
collettive del contado.
Gli statuti rurali furono quindi il frutto di un equilibrio costantemente rinegoziato fra le aspirazioni egemoniche dei comuni urbani, che tendevano a legiferare per l’intero comitatus, un’area dai confini indistinti e mutevoli ma non
di meno percepita come pertinente alla città, e le sollecitazioni provenienti dalle
realtà rurali.
Alla luce di queste considerazioni, il lavoro intende ricostruire approcci e
modalità con i quali i comuni urbani si proiettano sul territorio, ma mira anche
a comprendere gli esiti di questa proiezione e infine in che misura le dinamiche
socio-economiche del territorio e i rapporti politici con le città abbiano inciso
sulla strutturazione e sui contenuti dei testi prodotti nei centri rurali.
Un quadro d’ insieme
Il più antico testo censito ne Il repertorio degli statuti comunali umbri risale
al XII secolo e proviene da un codice pergamenaceo dell’Archivio capitolare di
Città di Castello6: si tratta di un frammento di quattro capitoli che nel 1890 G.
Magherini Graziani, autore di una Storia di Città di Castello, opera tuttora assai
utile per quanto ormai datata sul piano interpretativo, definisce «la più antica reliquia delle leggi civiche comunali Castellane»7. Di certo il contenuto dei capitoli
rimanda a un’organizzazione di tipo comunale, giacché sono nominati il podestà
e i consoli della città, ma non è possibile affermare con certezza, come fa invece
Magherini Graziani e sulla sua scorta gli autori successivi, che si tratti di statuti
cittadini. Anzi, lo stesso contenuto rimanda con maggior probabilità a una carta
di affrancazione oppure a un documento di natura pattizia8.
Nel XIII secolo, al quale solitamente si ascrive la prima fioritura della statutaria comunale, sono già una decina i centri dotati di una propria normativa. Non
sorprende trovare nella lista Perugia, Orvieto, Spoleto e altre cittadine di medie
dimensioni, come Assisi, Todi e Gubbio; meno scontata la presenza di due castra,
Stroncone e Lugnano in Teverina, e delle Terre Arnolfe, organizzazione territo-
Cfr. Repertorio, p. 92.
Cfr. G. Magherini Graziani, Storia di Città di Castello, II, Città di Castello, Tip. dello stab.
S. Lapi, 1890, p. 93.
8
Questi i titoli dei capitoli: De volentibus dividere a domino; De homagio; De cosatione hominum; De villanis venientibus in Civitatem. Cfr. ivi, pp. 93-94.
6
7
66
Interazioni fra città e campagna nella normativa statutaria bassomedievale: l’Umbria
riale priva di un vero perno cittadino, eccettuata forse Cesi, e comprendente una
pluralità di luoghi dipendenti dalla Camera Apostolica9.
Fra i testi del XIII secolo hanno conosciuto edizioni, più o meno recenti, le
compilazioni conservatesi nella loro interezza (nello specifico gli statuti di Perugia, Spoleto e Todi)10, mentre le altre, testimoniate da frammenti, sono rimaste
inedite (è questo il caso del capitolo degli statuti assisani), oppure sono state inserite all’interno di opere di storia locale11.
Gli statuti di Stroncone e delle Terre Arnolfe dimostrano una precoce circolazione dello strumento statutario in ambito rurale, anche se la natura frammentaria
della documentazione e il cattivo stato di conservazione (in particolare per Stroncone) non permettono di avanzare ipotesi sugli ambiti soggetti a normazione.
In generale, è plausibile che in questa prima fase le comunità del territorio tendano a importare dalla città il modello statutario allo scopo di fissare per iscritto le
proprie consuetudini. La compresenza di consuetudini scritte e orali sembra suffragata dalla rubrica 347 dello statuto del comune di Perugia del 1279, nella quale
viene fissata una multa di 50 lire per quelle ville e quei castelli «de comitatu Perusii
vel districtu» che facciano o dispongano «cum scriptura vel sine scriptura, tacite
vel expresse, aliquod ordinamentum»12. Analoga disposizione viene prevista nello
Il territorio delle Terre Arnolfe era costituito da circa 25 km2 nell’area compresa fra Spoleto,
Terni, Narni e Todi. Sulle Terre Arnolfe, cfr. A. Sansi, Storia del comune di Spoleto dal secolo
XII al XVII seguita da alcune memorie dei tempi posteriori, Foligno, Volumnia, 1879, I, p. 94; P.
Rinaldi, Le Terre Arnolfe, in «Memoria Storica», I, 1992, pp. 107-117.
10
Statuto di Todi del 1275, a cura di G. Ceci-G. Pensi, Todi, A. Trombetti, 1897; Statuti di
Spoleto, cit.; Statuto del Comune di Perugia del 1279, a cura di S. Caprioli, 2 voll., Perugia, Deputazione di Storia patria per l’Umbria, 1996.
11
Per Assisi, cfr. Inventario e regesti dell’Archivio del Sacro Convento d’Assisi, a cura di S. Nessi,
Padova, Centro Studi Antoniani, 1991, p. 84 n. 183; per i frammenti eugubini, cfr. Frammenti
degli statuti comunali di Gubbio. Anni 1253, 1265, 1266, 1287, in Regesto delle pergamene della
Sperelliana di Gubbio, a cura di P. Cenci, in «Bollettino della Società Umbra di Storia Patria»,
XXV, 1922, pp. 38-50; il caso di Orvieto è particolare, perché si tratta di resti lapidei, cfr. Due
lapidi del 1209 e 1220 contenenti leggi statutarie del Comune di Orvieto murate nel palazzo comunale di quella città, in F. Montemarte, Cronaca inedita degli avvenimenti d’Orvieto e d’altre
parti d’Italia dall’anno 1333 all’anno 1400, Torino, Dalla Stamperia reale, 1846, pp. 241-244; i
capitoli di Stroncone del 1290 e quelli delle Terre Arnolfe del 1286 sono entrambi inediti, anche se i secondi sono citati in opere volte alla ricostruzione della storia delle Terre Arnolfe. Cfr.
Repertorio, rispettivamente pp. 261-262 e 269-270, schede 468, 472 e 493.
12
L’ipotesi poggia sull’idea che, come spesso accadeva, gli statutari perugini cercassero di arginare comportamenti ritenuti illegittimi e che quindi la precisazione cum scriptura vel sine
scriptura rispecchiasse l’uso del tempo, e non fosse invece un’espressione meramente formale a
9
67
Stefania Zucchini
statuto di Spoleto del 1296: in questo caso, però, la città vieta ai castelli e alle ville
di redigere statuti che siano «contra iurisditionem communis»13.
Al di là delle evidenti ambizioni territoriali delle due città, di cui parlerò a breve,
i due capitoli, redatti quasi a vent’anni di distanza l’uno dall’altro, farebbero pensare
a due approcci diversi – interdittivo quello perugino, più morbido, con la concessione di un’autonomia vincolata, l’approccio di Spoleto. Anche i due contadi sembrano
altresì vivere un diverso stadio di elaborazione normativa: le comunità rurali del
Perugino appaiono più arretrate (del resto sono “fotografate” vent’anni prima), in
una fase di passaggio dalle consuetudini orali alla produzione scritta; mentre quelle
dello Spoletino sembrano essere già approdate a proprie codificazioni, che la città
cerca appunto di contenere all’interno di una precisa cornice normativa.
La documentazione risalente al XIV secolo è più nutrita e variegata rispetto
a quella del Duecento: il Repertorio conta ben 108 schede14, mentre 21 sono le
occorrenze nei database del Senato15, per un totale di 30 località. Si tratta di una
produzione statutaria comunale nella sua fase matura, che si contraddistingue
per la complessità del materiale superstite e della tradizione dei testi: manoscritti
originali e in copia, interi o mutili, si affiancano ad addenda e riforme, senza una
chiara soluzione di continuità; in alcuni casi, le versioni manoscritte sono andate
perdute e rimane solo la successiva riproduzione, sempre manoscritta oppure a
stampa. Per fare un esempio dell’una e dell’altra tipologia, si possono citare lo
statuto manoscritto di Umbertide del 1521, frutto di una riforma e di un ampliamento dello statuto del 136216, e gli statuti di Nocera Umbra del 1371, traditi esclusivamente dalla stampa folignate del 156717. I due esempi costituiscono
comprendere qualsiasi eventuale modalità di trasmissione. Cfr. Statuto del Comune di Perugia
del 1279, cit., I, p. 322 (cap. 347).
13
Statuti di Spoleto del 1296, a cura di G. Antonelli, Firenze, L. Olschki, 1962, p. 125 (lib. IV,
cap. 16). Purtroppo il codice che contiene lo statuto è lacunoso, tramandando solo la prima
parte dello statuto, per altro in maniera incompleta. Cfr. ivi, p. VI.
14
Repertorio, pp. 335-338.
15
Vedi http://notes9.senato.it/w3/biblioteca/srchdb.NSF/home?OpenPage alle voci Amelia,
Castel del Lago, Castelbuono, Foligno, Gaiche (Piegaro), Gubbio, Montone, Narni, Nocera
Umbria, Orvieto, Perugia, Sellano, Spello, Spoleto, Umbertide (pagine web consultate il 3 agosto 2022).
16
Nel Catalogo Chelazzi lo statuto di Umbertide ha la doppia data «1362; 1521», mentre nel
Repertorio è ascritto al XVI secolo. Cfr. http://notes9.senato.it/w3/biblioteca/srchdb.NSF/home?OpenPage alla voce Umbertide (pagina web consultata il 3 agosto 2022), e Repertorio, pp.
286-287.
17
Repertorio, p. 202.
68
Interazioni fra città e campagna nella normativa statutaria bassomedievale: l’Umbria
anche una dimostrazione della difficoltà di datare prodotti caratterizzati dalla
stratificazione e dalla continua riscrittura.
Andando a valutare solo le compilazioni statutarie manoscritte risalenti al XIV
secolo (escludendo quindi le riforme e le copie di statuti precedenti, nonché i testi
giunti in versioni a stampa successive), il Repertorio individua 24 testi, per 23 comuni18. Per alcuni di questi19, il codice trecentesco è l’unico conservatosi, altri statuti
invece sono tramandati in copia20. A differenza dei testi duecenteschi, gli statuti
del Trecento provengono in massima parte da centri minori situati perlopiù nella
parte orientale della regione, in particolare nell’area del Folignate e dello Spoletino.
Sul piano editoriale, la situazione è del tutto analoga a quella del secolo precedente: sono state intraprese operazioni editoriali nei casi di testi giunti in forma
completa o con poche lacune, indipendentemente dall’importanza politica del
comune che li ha prodotti21; frammenti o singoli capitoli sono invece rimasti
inediti, o sono stati utilizzati, e in taluni casi anche trascritti, all’interno di opere
dedicate ai singoli luoghi, spesso prodotte da una storiografia locale interessata
allo studio e alla valorizzazione del proprio territorio22.
Ivi, p. 22.
Ibidem. Si tratta di due compilazioni perugine (1308, 1342) e degli statuti di Gaiche (1318),
Orvieto (1324), Castelbuono (1345), Amelia (1346), Arrone e Spoleto (1347), Foce (1367),
Città di Castello (ante 1393), Castelleone e Colle del Marchese, non datati ma ascrivibili al XIV
secolo. A questi va aggiunto lo statuto di Amelia del 1330. Cfr. L. Andreani, Per una morfologia della statutaria medievale umbra: lo statuto di Amelia, in Amelia e i suoi statuti medievali, a
cura di E. Menestò-L. Andreani-R. Civili-R. Nanni, Spoleto, Centro italiano di studi sull’alto
medioevo, 2004, pp. 251-275: pp. 254-255; Ead., Gli Statuti trecenteschi di Amelia: manoscritti,
lingua, criteri di edizione, ivi, pp. 279-754: p. 281; lo statuto di Amelia del 1346 è stato nuovamente edito nel 2019 a cura di Edoardo D’Angelo. Cfr. Statutum Populi civitatis Ameliae, a.D.
1346, a cura di E. D’Angelo, Perugia, Morlacchi Editore, 2019.
20
Nico Ottaviani fa l’esempio di Sellano, Cerreto e Fossato, tramandati in copia del ‘500,
Cascia e Foligno, in copia del ‘400, dello statuto di Gubbio del 1338, pervenuto attraverso una
copia del 1371 e di quello di Panicale del 1386, conservato solo attraverso un volgarizzamento
del secolo XV. Cfr. Repertorio, pp. 22-23.
21
Si pensi agli statuti di Castelbuono e di Gaiche, la cui edizione critica è stata accolta rispettivamente nella collana del Centro italiano di studi sull’alto medioevo ‘Quaderni del Centro
per il collegamento degli studi medievali e umanistici’ e in quella della Deputazione di Storia
patria per l’Umbria ‘Statuti medievali dell’Umbria’. Cfr. Lo statuto di Castelbuono, cit.; Statuti e
riformanze della comunità di Gaiche (1318-1566), a cura di S. Tiberini, Perugia, Deputazione di
Storia patria per l’Umbria, 2019.
22
A titolo esemplificativo si possono citare gli statuti trecenteschi di Orvieto, dei quali rimangono numerosi frammenti: solo i due corpora più consistenti sono stati editi, uno all’interno del
18
19
69
Stefania Zucchini
Nel XV secolo, la situazione politica cambia radicalmente, con un rafforzamento degli apparati periferici dello Stato della Chiesa 23; in apparenza, il
numero delle località produttrici di testi normativi sale ancora – si arriva a 42
centri –; in realtà, andando a considerare solo gli statuti risalenti a questo secolo, senza quindi le copie o le riforme di testi precedenti, si arriva a un numero
non molto diverso da quello registrato per il Trecento. Sono infatti 28 le nuove
compilazioni, 10 delle quali tramandate da un solo codice24. Anche sul piano
geografico la situazione non è dissimile rispetto a quella del secolo precedente,
con una prevalenza dei centri situati nella parte orientale della regione. Si inizia però anche ad evidenziare quella predominanza nella produzione statutaria
della zona centro-meridionale, che diverrà molto evidente nel secolo successivo.
La Valle umbra meridionale e lo Spoletino si confermano quali aree particolarmente feconde, alle quali si aggiungono l’Orvietano e le zone di Narni,
Terni e Amelia; la parte settentrionale della regione continua invece a essere
poco prolifica, mentre compaiono i centri del Trasimeno meridionale, precedentemente inibiti da un dominio perugino molto attento a reprimere possibili
spinte autonomistiche.
Codice diplomatico della città di Orvieto di Luigi Fumi, e l’altro in un articolo di Laura Andreani
per il Bollettino della Deputazione di Storia patria per l’Umbria. Cfr. L. Fumi, Codice diplomatico della città di Orvieto. Documenti e regesti dal secolo XI al XV e la Carta del Popolo, codice statutario del comune di Orvieto, Firenze, Presso G.P. Vieusseux, 1884, pp. 730-816; L. Andreani,
Un frammento di statuto del comune di Orvieto (1313-1315). Note a margine, in «Bollettino della
Deputazione di storia patria per l’Umbria», XLII-XLIII, 1986-1987, pp. 124-126.
23
Per le relazioni tra potere centrale e apparati periferici nello Stato della Chiesa, cfr. P.D. Partner,
Comuni e vicariati nello Stato pontificio al tempo di Martino V, in La crisi degli ordinamenti comunali e le origini dello stato del Rinascimento, a cura di Giorgio Chittolini, Bologna, Il mulino, 1979 (ed.
orig. The Papal State under Martin V. The Administration and Government of the Temporal Power
in the Early Fifteenth Century, London, British School at Rome, 1958), pp. 227-261; S. Carocci,
Governo papale e città nello Stato della Chiesa. Ricerche sul Quattrocento, in Principi e città alla fine
del Medioevo. Atti del Convegno di Studio del Centro di studi sulla civiltà del tardo Medioevo, San
Miniato 20-23 ottobre 1994, a cura di S. Gensini, Pisa, Ministero per i Beni culturali e ambientali.
Ufficio centrale per i Beni archivistici, 1996, pp. 151-224; M. Caravale, Le istituzioni temporali
della Chiesa agli albori dell’età moderna, in Alessandro VI e lo Stato della Chiesa (Atti del convegno,
Perugia, 13-15 marzo 2000), a cura di C. Frova e M.G. Nico Ottaviani, Roma, Roma nel Rinascimento / Ministero per i Beni e le Attività culturali. Direzione generale per gli Archivi, 2003,
pp. 11-26; S. Carocci, Vassalli del papa: potere pontificio, aristocrazie e città nello Stato della Chiesa,
XII-XV sec., Roma, Viella, 2010; S. Carocci, Lo Stato Pontificio, in Lo Stato del Rinascimento in
Italia: 1350-1520, a cura di A. Gamberini-I. Lazzarini, Roma, Viella, 2014, pp. 69-86.
24
Cfr. Repertorio, p. 23.
70
Interazioni fra città e campagna nella normativa statutaria bassomedievale: l’Umbria
Il Cinquecento, ossia il secolo in cui ormai il comune sopravvive solo come
strumento di gestione amministrativa, essendo svuotato di prerogative di tipo
politico-istituzionale, vede una crescita esponenziale di statuti comunali. Ben 94
località vantano un proprio statuto: fra queste, i 35 «piccoli centri a sud di Perugia» che «si dotano, a quanto pare, per la prima e unica volta di un proprio corpo
di leggi»25. La compresenza di manoscritti e di prime edizioni a stampa rende
ancora più complessa l’analisi della messe di documenti legislativi, categoria alla
quale appartengono ormai anche compendi, epitomi e repertori, oltre agli interventi di governatori e legati pontifici attraverso bandi ed editti26.
Figg. 4-9. Gli statuti comunali
SEC.umbri
XIII fra XIII e XVII secolo
Gubbio
Perugia
Assisi
Secolo XIII
Todi
Orvieto
Spoleto
Terre Arnolfe
Stroncone
Ivi, p. 25.
Cfr. M.G. Nico Ottaviani, Alcune riflessioni sulla statuizione tardomedievale, in Cannara tra
medioevo ed età moderna e lo statuto del secolo XVI, a cura di M.G. Nico Ottaviani-A. Turrioni-O. Turrioni, 3 voll., Perugia, Deputazione di Storia patria per l’Umbria, 2001, I, pp. 11-34:
23-26.
25
26
71
Stefania Zucchini
SEC. XIV
Città di Castello
Gubbio
Montone
Umbertide
Fossato di Vico
Gualdo Tadino
Castiglione del Lago
Perugia
Nocera Umbra
Assisi
Panicale
Castelleone
Gaiche
Spello
Castelbuono
Colle del Marchese
Foligno
Montefalco
Montesanto
Sellano
Todi
Massa Martana
Cerreto di Spoleto
Orvieto
Spoleto
Cascia
Arrone
Secolo XIV
Foce
Amelia
Stroncone
Narni
SEC. XV
Città di Castello
Promano
Gubbio
Gualdo Tadino
Perugia
Assisi
Torgiano
Panicale
Spina
Deruta
Limigiano
Bevagna
Balciano
Roccafranca
Secolo XV
Foligno
Gualdo Cattaneo
Poggio Aquilone
Montefalco
Rasiglia
Trevi
Castagnola
Allerona
Todi
Terzo San Severo
Sant’Anatolia di Narco
Baschi
Canale (Avigliano)
Cesi
Terre Arnolfe
Porchiano del Monte
Amelia
Piediluco
Miranda
Collescipoli
72
Montefranco
Interazioni fra città e campagna nella normativa statutaria bassomedievale: l’Umbria
SEC. XVI
Citerna
Città di Castello
Montone
Umbertide
Gubbio
Fossato di Vico
Gualdo Tadino
Colle Mancio
Valfabbrica
Castiglione del Lago
San Pellegrino
Nocera Umbra
Trasimeno
Mongiovino
MontevibianoBettona
Torre d’Andrea d’Assisi
Bevagna
Valtopina
Piegaro Nuovo
Campello sul
Montelagello
Clitunno
Agliano
Castelbuono
Gaiche
Rotecastello
Postignano
Cannara
Montecastello
Montesanto Acera
Poggio Aquilone
Todiano
di Vibio
Castel Ritardi
Giano
Montegabbione
Castel San Giovanni
Todi
Civitella
MontesantoGeppa di Vallo di Nera
Ferentillo
Allerona
dei Conti
Grotti
Configni
Norcia
Castel del Lago
Benano
Castel San Felice
Orvieto
Spoleto
Corbara
Gavelli
Torre Orsina
Cascia
Cesi
Montegabbione
Castel del Lago
San Gemini
Bonacquisto
Arrone
Porchiano
Fontignano
Castel Giorgio
Secolo XVI
Visso
Alviano
Terni
Otricoli
Calvi
SEC. XVII
Gubbio
Castiglione del Lago
Bastia
Foligno
Todi
Secolo XVII
Monteleone di Spoleto
Norcia
Macerino
Spoleto
Montegabbione
Terni
73
Cascia
Stefania Zucchini
Sono molti gli statuti di quest’epoca che hanno trovato di recente un’edizione
critica: procedendo in ordine cronologico di edizione, si possono ricordare gli
statuti di Valfabbrica (1983), Marsciano (1992), Castel Giorgio (1994), Civitella
dei Conti (1996), Montecastello di Vibio (1999), Rotecastello (1999), Cannara
(2001), Gualdo Tadino (2003), Bevagna (2005), Piegaro (2006), Allerona (2010),
Norcia (2011), Montegabbione (2012), Visso (2014), Gavelli (2019)27. Nella maggior parte dei casi si tratta di opere finanziate o cofinanziate da enti e fondazioni
locali, a testimonianza dell’interesse suscitato da questo tipo di documentazione,
in particolare nei piccoli centri della regione; è evidente che per queste realtà gli
antichi statuti assumono un valore fondativo e contribuiscono a cementare la
coesione della comunità, rafforzandone gli aspetti identitari, unitamente ad altre
iniziative quali feste patronali e rievocazioni storiche, come il “Mercato delle
Gaite” di Bevagna.
Gli scopi divulgativi sottesi a edizioni di tal genere – in alcuni casi accompagnate da traduzioni, proprio per favorirne la generale comprensione da parte
di un pubblico non specialista – non hanno condotto a uno svilimento del
prodotto editoriale; al contrario, molte edizioni, frutto di un accurato lavoro
sui testimoni manoscritti, sono introdotte da saggi di alto valore scientifico,
Statuto di Valfabbrica del secolo XVI, a cura di M. Gasperini, con l’introduzione di M.G.
Nico Ottaviani, Valfabbrica, Comune di Valfabbrica, 1983; Lo statuto di Marsciano, cit.;
A. Quattranni, Statuto della comunità di Castel Giorgio. 1581, Acquapendente, Comune di
Castel Giorgio, 1994; Statuto di Montecastello di Vibio 22 marzo 1516, a cura di G. Comez,
Todi, Tipografia artigiana tuderte, 1999; L. Pirro, Storia dei luoghi della “montagna orvietana”: Civitella dei Conti, Collelungo, Palazzo Bovarino, Poggio Aquilone, Pornello, Ripalvella,
Rotecastello, San Venanzo, San Vito, 5 voll., Arrone, Thyrus, 1994-1999; Cannara tra medioevo ed età moderna, cit.; Statuto della legazione autonoma di Gualdo Tadino (1522), a cura di
C. Cardinali-A. Maiarelli, saggi introduttivi di C. Cardinali-A. Maiarelli-S. Merli, Perugia,
Deputazione di Storia patria per l’Umbria, 2003; Bevagna e il suo statuto dell’anno 1500,
edizione a cura di C. Regni, introduzione di M.G. Nico Ottaviani, Perugia, Deputazione
di Storia patria per l’Umbria, 2005; Statuto di Piegaro del 1517-1518, a cura di G. Riganelli,
Perugia, Deputazione di Storia patria per l’Umbria, 2006; Statuto di Allerona del 1585, a cura
di R. Abbondanza, saggio introduttivo di C. Urbani-S. Zucchini, Perugia, Deputazione di
Storia patria per l’Umbria, 2010; Statuti di Norcia. Testo volgare a stampa del 1526, edizione
critica a cura di R. Cordella, Perugia, Deputazione di Storia patria per l’Umbria, 2011; Statuto di Montegabbione, a cura di M. Rossi Caponeri, con un saggio di M.G. Nico Ottaviani;
Perugia, Deputazione di Storia patria per l’Umbria, 2012; Statuto di Visso, traduzione di E.
Rizzi, saggio introduttivo di M.G. Nico Ottaviani, Foligno, Il Formichiere, 2014; Statuto
del Castello di Gavelli del 1522, a cura di E. Alga, Perugia, Deputazione di Storia patria per
l’Umbria, 2019.
27
74
Interazioni fra città e campagna nella normativa statutaria bassomedievale: l’Umbria
nei quali viene ricostruito il contesto storico nel quale lo statuto è prodotto e
la storia stessa del comune che lo ha emanato, oppure sono condotte riflessioni
di più ampio respiro su temi di carattere generale. In questa direzione vanno
il saggio Alcune riflessioni sulla statuizione tardomedievale, con il quale Maria
Grazia Nico introduce l’edizione e la tradizione dello statuto di Cannara, come
anche Statuti e autonomie locali tra medioevo ed età moderna, di Sonia Merli,
che apre il volume dedicato allo statuto di Gualdo Cattaneo, insieme ad altri
due saggi, a cura di Andrea Maiarelli e Cinzia Cardinali, dedicati più nello
specifico alla storia locale28.
2. L’ ideologia comunale scolpita su pietra: gli statuti epigrafici di Orvieto, Perugia e Lugnano in Teverina
Il presente paragrafo apre la seconda parte del lavoro nella quale si cercherà
di dar conto di una serie di tendenze, di linee di intervento, che si ritiene abbiano
caratterizzato la statutaria “umbra” bassomedievale quanto ai rapporti fra città e
territorio, a partire dalla produzione epigrafica del primo Duecento.
Come scrive Marialuisa Bottazzi, le scritture esposte furono assunte dai comuni «come uno dei mezzi più consoni per offrire pubblicamente, e in analogia
con gli esempi della tradizione classica, una memoria dal forte carattere ideologico, spesso autocelebrativa e controllata dai promotori della vita politica cittadina»29. Nell’Italia centro-settentrionale Bottazzi individua nove epigrafi comunali
realizzate fra il XII e il XIV secolo, quattro delle quali provenienti dal territorio
qui in esame.
Ricorsero a iscrizioni epigrafiche Orvieto nel 1209 e nel 1220, Lugnano in
Teverina nel 1230 e Perugia nel 1234. In tutti i casi l’intenzione era quella di
proclamare l’inizio di un nuovo corso: la svolta popolare per Orvieto e Perugia,
l’affermazione di un governo comunale nel caso di Lugnano in Teverina.
28
Cfr. M.G. Nico Ottaviani, Alcune riflessioni cit.; S. Merli, Statuti e autonomie locali tra medioevo ed età moderna, in Statuto della legazione autonoma, cit., pp. XVII-XXVIII.
29
Cfr. M. Bottazzi, Gli statuti epigrafici dell’Italia centro-settentrionale (secc. XII-XIV), in Statuts
communaux et circulations documentaires dans les sociétés méditerranéennes de l’Occident (XII eXV e siècle) : Statuts, écritures et pratiques sociales, par D. Lett, Trieste-Paris, Cerm-Éditions de la
Sorbonne, 2020, pp. 69-91: doc. 5, 6, 8 e 9. Per le citazioni successive si rimanda alla versione
online.
75
Stefania Zucchini
Le due iscrizioni orvietane sono tra loro collegate, giacché l’epigrafe del 1220
riprende e rafforza quella del 1209, a sua volta motivata da un precedente sacramentum, al quale si fa riferimento nel testo, identificato dagli storici con il giuramento cittadino del 1200. In entrambe le epigrafi, affisse sul palazzo comunale,
si prescrive che la tassazione all’interno delle mura cittadine sia ridotta ai casi
di estrema necessità e che sia effettuata per libra, ossia per capacità contributiva
dei singoli. Dal patrimonio stimabile sono però esclusi i palazzi, le torri, le armi,
i cavalli, gli indumenti e le lenzuola; inoltre, parte del ricavato delle imposte è
destinata ai proprietari dei cavalli (cento soldi per ogni cavallo del valore pari o
superiore a venti lire)30. La disposizione è chiaramente frutto di una mediazione
fra le pretese dei milites e le pressioni del populus: la tassazione per libra è infatti
un cavallo di battaglia del populus, mentre la tipologia dei beni soggetti ad esenzioni rimanda in maniera quasi stereotipata alla pars militum.
A qualche anno di distanza, Perugia segue l’esempio della vicina Orvieto:
nel 1234, in forma stringata e ricorrendo a un lessico assai asciutto, il comune,
guidato ormai da un governo popolare, informa di aver estinto il proprio debito
(il riferimento è forse alla cauzione di tremila marche d’argento imposta da Gregorio IX allo scomunicato Popolo perugino nel 1227) e conferma il divieto di
imporre la colletta in città e nel suburbio, se non per i quattro motivi già stabiliti
nel 1214 («pro servitio Ecclesie Romane, populi Romani, imperatoris vel nuntii
sui et cum populus Perusinus moveret guerram de comuni voluntate»); qualora
si renda necessario ricorrere a una tassazione, si procederà per libram e non per
parochiam vel capella (come invece stabilito sempre nel 1214, nel pieno della lotta
fra milites e populares) 31.
Ivi, doc. 5 e 6.
Sui contrasti tra milites e populares in relazione alle imposizioni fiscali, cfr. J.-C. Maire Vigueur, Cavalieri e cittadini. Guerra, conflitti e società nell’Italia comunale, Bologna, il Mulino,
2004, pp. 261- 267; il testo della petra iustitie è edito in A. Bartoli Langeli, Codice Diplomatico
del Comune di Perugia. Periodo consolare e podestarile, I. 1139-1237, II. 1238-1254, Perugia,
Deputazione di storia patria per l’Umbria, 1983-1985: I, doc. 145; M. Bottazzi, Gli statuti
epigrafici, cit., doc. 9; per l’interpretazione del documento, cfr. A. Petrucci, La scrittura: ideologia e rappresentazione, Torino, Einaudi, 1986, p. 9; R. Silvestrelli, Il castello di San Lorenzo, in
Una città e la sua cattedrale: il Duomo di Perugia, Atti del Convegno di studio (Perugia, 26-29
settembre 1988), a cura di M. Cianini Pierotti, Perugia, Grafica Salvi, 1992, pp. 173-191: pp.
176-177; A.I. Galletti, “Di due luoghi feciono la città”: retorica degli spazi pubblici nel Duecento,
in Arnolfo di Cambio: una rinascita nell’Umbria medievale, a cura di V. Garibaldi, B. Toscano,
Milano, Silvana Editoriale, 2005, pp. 127-133: pp. 129-130. S. Zucchini, Mater e domina. Am30
31
76
Interazioni fra città e campagna nella normativa statutaria bassomedievale: l’Umbria
Le tre epigrafi sono accomunate da una forte spinta ideologica, applicata a
uno specifico aspetto della vita cittadina: la dimensione economica, fiscale in
particolare; un accostamento non scontato e che sembra caratterizzare in linea
generale le scritture esposte comunali32. In effetti, anche l’iscrizione di Lugnano
in Teverina ruota intorno a una questione finanziaria, la possibilità o meno di
contrarre un prestito a nome della comunità: nel 1230, il podestà del piccolo
castello «de consensu et || voluntate totius comunitate Lugnani» dispone che
nessuno contragga un debito o riceva in prestito denaro a nome della comunità
fuori da Lugnano, pena una multa di mille marche d’argento33.
Il castrum era situato in un’area di confine tra i contadi di Amelia, Todi e
Orvieto e nel corso del basso medioevo fu spesso conteso dalle tre città, fra le
quali sul lungo periodo prevalse Orvieto. Il divieto del 1230 si inserisce in questo
clima di tensioni, che coincise con il passaggio da una dominazione signorile a
un governo di tipo comunale. È chiaro infatti che l’ammonimento del podestà,
fatto scolpire su pietra nell’atrio della chiesa collegiata, non era rivolto ai semplici
abitanti, ma ai personaggi eminenti del castello – gli unici che potessero agire
nomine ipsius comunitatis –. Alcuni avvenimenti precedenti, ricostruiti con perizia da Antonio Santilli nel suo saggio su Lugnano in Teverina34, aiutano a far
luce sul significato dell’iscrizione, che non credo mirasse a impedire, come scrive
Bottazzi, «qualsiasi probabile invasione forzosa, fatta con denari o con armi»35.
Nel 1204 Lugnano si era sottomessa ad Orvieto, rappresentata da un visconte
Guidone, non meglio specificato. Una delle clausole del patto di sottomissione
prevedeva che da quel momento in poi il podestà fosse orvietano, e in effetti il
podestà che compare nella lastra del 1230 è con molta probabilità l’orvietano
Giordano Lodigerii, colui che alla guida dell’esercito orvietano nel 1237 sconfig-
bizioni e domini territoriali del comune di Perugia dall’epoca consolare al governo di popolo (secc.
XII-XIV), in «Nuova Rivista Storica», a. CIV, genn.-apr. 2020, fasc. I, pp. 139-192: pp. 157-162.
32
M. Bottazzi, Gli statuti epigrafici, cit.
33
«nullus || de cetero faciat debitum vel accipiat pe || cuniam mutuam nomine ipsius comunitatis extra || castrum Lugnani ullo ingenio et si contra fac || tum fuerit non valeat et solvat de su
|| o proprio et puniatur in M marcas argenti»: ivi, doc. 8.
34
A. Santilli, I rapporti tra Lugnano in Teverina e Orvieto tra il XIII e il XV secolo: prime note,
in E. Lucci-A. Santilli, Lugnano in Teverina nel basso medioevo. Appunti per una storia, Orvieto,
Intermedia Edizioni, 2017, pp. 93-125. Colgo l’occasione per ringraziare il dott. Santilli che,
nel momento in cui archivi e biblioteche erano chiusi causa pandemia, ha avuto la gentilezza di
condividere con me gli esiti delle sue ricerche.
35
M. Bottazzi, Gli statuti epigrafici, cit.
77
Stefania Zucchini
gerà Todi e Amelia, scongiurando la conquista di Lugnano36; nel frattempo, nel
1222, il castello veniva acquistato da Orvieto, dietro un esborso di 3000 marche
d’argento al sindicus e a dieci uomini definiti castellani e consiglieri37. Alla luce
di questi fatti, si può ipotizzare che il podestà orvietano si riferisse proprio ai precedenti proprietari del castello, ai quali era ricordato che non avevano più alcuna
autorità sulla comunità di Lugnano e che non potevano quindi fare transazioni
economiche a nome dei Lugnanesi.
Il ricorso a una scrittura esposta da parte del podestà di un piccolo comune
rurale è una scelta piuttosto inusuale. Nel caso specifico di Lugnano in Teverina,
però, è del tutto probabile che si tratti di un atto di emulazione, con l’assimilazione del modello rappresentato dalle scritture esposte di Orvieto, città di provenienza del podestà, e alla quale in questa fase il castello era soggetto.
3. Governi di popolo e ambizioni territoriali: i casi di Perugia e Spoleto
Perugia
Nell’area compresa fra i domini Sancti Petri in Tuscia e il Patrimonium, Perugia è certamente la città politicamente più rilevante. Ad inizio Duecento, l’introduzione della figura podestarile, attestata dal 1196, cerca di porre un freno
alla forte contrapposizione interna fra milites e populares, che si chiude però solo
nel 1234, con la petra iustitie di cui si è appena detto, nella quale è stabilita
la tassazione per libra, senza eccezioni; una svolta importante sul piano fiscale,
anche se bisognerà attendere la seconda metà del secolo perché la città compia
un’operazione di ricognizione dei beni immobili ai fini fiscali38. In questa fase di
consolidamento del governo popolare, Perugia tenta una forma di controllo del
territorio, come dimostra la ricchissima documentazione pubblica, a partire dallo
statuto cittadino del 1279. I capisaldi di questo tentativo di coordinamento territoriale sono rappresentati dalla gestione degli ingenti beni comunali, dall’imposizione fiscale e dall’amministrazione della giustizia; ad essi si accompagna una
A. Santilli, I rapporti tra Lugnano in Teverina e Orvieto, cit., pp. 121-122, nota 31.
Ivi, pp. 94-99.
38
Il più antico catasto perugino, del quale rimangono solo frammenti, risale al 1260, mentre la
prima libra al 1285. Cfr. A. Grohmann, L’ imposizione diretta nei comuni dell’Italia centrale nel
XIII secolo. La Libra di Perugia del 1285, Perugia, Deputazione di Storia patria per l’Umbria,
1986, pp. 2-3.
36
37
78
Interazioni fra città e campagna nella normativa statutaria bassomedievale: l’Umbria
serie di iniziative promosse dal comune cittadino, ma a carico delle comunità
locali, come la realizzazione di infrastrutture, la manutenzione delle mura e il
popolamento di alcuni castelli. Fra i progetti più ambiziosi spicca la realizzazione
di una corolla di ponti sul Tevere, che getta le basi per la colonizzazione delle
sponde orientali del fiume39.
Sul piano politico-amministrativo, invece, il comune perugino non può o
non vuole imporre un controllo diretto sui centri del contado, limitandosi a chiedere una soggezione formale, fatta eccezione per alcuni castelli di particolare rilievo a livello strategico, e percepiti come politicamente instabili o peggio ancora
ostili, come Fossato di Vico e Castiglione del Lago40.
Solo più avanti, nei primi anni del Trecento, con un governo guidato dai dieci priori delle arti, Perugia passerà da un’ottica di uso del contado all’ambizione
di creare un vero e proprio stato territoriale, con l’invio di funzionari provenienti
dalla città: podestà e castellani, eletti a sorteggio tra i cittadini idonei a ricoprire
una carica pubblica. Un metodo che graverà sulla tenuta del sistema, giacché non
tutti gli eletti avranno le competenze – o il desiderio – di svolgere il proprio incarico nel contado. Nella seconda metà del secolo, alle pecche di un sistema che
pretende di esportare su un territorio vasto e poco coeso meccanismi tipicamente
cittadini, si uniranno altri fattori di instabilità, che renderanno più difficile la
presa sul contado. La cruenta lotta tra fazioni avrà come diretta conseguenza
il fenomeno del fuoriuscitismo, il cui impatto graverà soprattutto sul contado,
mentre la crisi finanziaria e il deterioramento dei rapporti con il pontefice obbligheranno il comune a intervenire solo in termini emergenziali sia in città che nel
territorio41. Quando infine nel 1424 la città sarà costretta a sottomettersi a Mar-
Cfr. M.G. Nico Ottaviani, Statuti, territorio e acque nel Medioevo. Perugia e Marsciano, Tevere e Nestore, Spoleto, Centro italiano di studi sull’alto medioevo, 2008, pp. 70-71, 74-78; S.
Zucchini, Mater e domina, cit., pp. 172, 175.
40
Il primo era posizionato lungo la direttrice commerciale che univa Perugia alla Marca, il
secondo dominava il lago Trasimeno e l’area cerealicola del Chiugi, vale a dire le due maggiori
fonti di produzione alimentare per la città. S. Zucchini, Mater e domina, cit., pp. 167, 172.
41
Per la situazione politico-economica di Perugia nella seconda metà del Trecento, cfr. E. Duprè Theseider, La rivolta di Perugia nel 1375 contro l’abate di Monmaggiore ed i suoi precedenti
politici, in «Bollettino della Deputazione di storia patria per l’Umbria», 35, 1938, pp. 69-166; G.
Franceschini, Biordo Michelotti e la dedizione di Perugia al duca di Milano, in «Bollettino della
Deputazione di storia patria per l’Umbria», 45, 1948, pp. 92-133; G. Franceschini, La dedizione
di Perugia a Giangaleazzo Visconti Duca di Milano, in «Archivio Storico Lombardo», 90, 1963,
pp. 287-305; F. Mezzanotte, La pace di Bologna tra Perugia e Urbano V (23 novembre 1370), in
39
79
Stefania Zucchini
tino V, molti centri del contado vedranno nel ricorso diretto alla curia pontificia
un espediente per sottrarsi al peso del controllo di Perugia, che si avvia ormai a
diventare un centro periferico di una più vasta entità territoriale42.
Il territorio perugino è assai povero di statuti rurali almeno fino a tutto il XV
secolo, insieme alle aree settentrionali di Gubbio, ben presto gravitante nell’orbita dei Montefeltro, e Città di Castello, volta verso l’Aretino e condizionata dalla
dominazione dei Vitelli. Nel secolo successivo, invece, quando molte peculiarità
locali saranno venute meno, di fronte a uno Stato pontificio più saldo e più omogeneo anche sul piano amministrativo, la produzione statutaria “umbra” risulterà
diffusa in maniera più uniforme sull’intero territorio. Come detto, però, a questa
altezza cronologica lo statuto comunale sarà approdato a una «funzione di efficace strumento di amministrazione periferica»43, assai diversa rispetto a quella
due-trecentesca tanto politica quanto amministrativa44.
Un’area su cui Perugia mira a estendere la propria influenza sin dalle origini
del comune è quella compresa fra il lago Trasimeno e le Chiane, che rappresenta
«Bollettino della Deputazione di storia patria per l’Umbria», 74, 1977, pp. 117-174; M. Pecugi
Fop, Il Comune di Perugia e la Chiesa durante il periodo avignonese con particolare riferimento
all’Albornoz, Perugia, Deputazione di storia patria per l’Umbria, 1970; H. Goldbrunner, I rapporti tra Perugia e Milano alla fine del Trecento, in Storia e arte in Umbria nell’età comunale, Atti
del VI Convegno di studi umbri (Gubbio, 26-30 maggio 1968), Perugia, Centro di Studi Umbri,
1971, II, pp. 641-694.
42
S. Zucchini, Mater e domina, cit., p. 188. Sui rapporti con il territorio nella prima età
pontificia, cfr. M.G. Nico Ottaviani, Statuti, territorio e acque, cit., p. 35; V.I. Comparato, Il
controllo del contado a Perugia nella prima metà del Quattrocento. Capitani, vicari e contadini
tra 1428 e 1450, in Forme e tecniche del potere nella città (secoli XIV-XVII), in «Annali della
Facoltà di Scienze Politiche. Università degli Studi di Perugia», 16, 1979-1980, pp. 147-190;
Id., Una magistratura di transizione: i capitani del contado perugino nella diarchia comunale-pontificia (1428-1450), in L’educazione giuridica, IV. Il pubblico funzionario: modelli storici
e comparativi, 1. Profili storici. La tradizione italiana, Perugia, Università degli Studi, 1981,
pp. 189-212.
43
Cfr. P. Bianciardi-M.G. Nico Ottaviani, Il territorio di Spoleto e la sua normativa statutaria
(secoli XIII-XVI), in Gli statuti comunali umbri, a cura di E. Menestò, Spoleto, Centro italiano
di studi sull’alto medioevo, 1997, pp. 307-335: pp. 328-330 (la citazione è tratta da p. 329).
Sulle caratteristiche e il significato della statutaria umbra tardo medievale, cfr. anche M.G. Nico
Ottaviani, Alcune riflessioni, cit., pp. 17-18, 22.
44
Per la funzione degli statuti della piena età comunale, cfr. S. Caprioli, Una città nello specchio delle sue norme, Perugia milleduecentosettantanove, in Società e istituzioni dell’età comunale:
l’esempio di Perugia (secoli XII-XIV). Atti del Congresso storico internazionale (Perugia 6-9
novembre 1985), Perugia, Deputazione di Storia patria per l’Umbria, 1988, II, pp. 367-445.
80
Interazioni fra città e campagna nella normativa statutaria bassomedievale: l’Umbria
per la città una fonte di approvvigionamento imprescindibile per le ingenti risorse ittiche e cerealicole45. I centri produttori di statuti compresi in questa zona
sono sette: in due casi il primo testo legislativo conservatosi risale al XIV secolo
(Gaiche e Panicale), in altri quattro al XVI (Castiglione del Lago, Città della
Pieve, Mongiovino e Piegaro) e in uno addirittura al XVIII (Salci)46. Entrambi
i testi più antichi sono stati editi, anche se per quello di Panicale è stata presa a
riferimento l’edizione riformata del 148447.
Commentando lo statuto di Gaiche, il curatore dell’edizione, Sandro Tiberini, ne evidenzia organicità e ricchezza dei contenuti, ipotizzando che esse dipendano dalla cultura del notaio che si occupò di redigere lo statuto nel 1318,
Francesco di Giovannello di Castiglion Fosco48. Quel testo statutario, che non fu
di certo il primo, visti i riferimenti a precedenti statuta et ordinamenta, sarebbe
dovuto durare un anno, e invece tra aggiunte e correzioni fu utilizzato fino al
1566, quando venne profondamente riformato49. Tiberini evidenzia la sostanziale autonomia dell’universitas del castello, nonostante lo statuto sia costellato
di norme dalle quali traspare la soggezione a Perugia. A questa si fa riferimento
già nel prologo, nel quale si onorano i due santi patroni della città, Ercolano e
Lorenzo, insieme alla beata Ecclesia Romana e al comune e al popolo perugini.
Sempre nel prologo, viene delegato il notaio o vicario a mandare in esecuzione i
dettami statutari «reservatis statutis et ordinamentis comunis et populi Perusini
loquentibus in contrarium»50.
Proprio alla luce delle molte disposizioni che fanno diretto riferimento alla
dipendenza da Perugia, andrebbe forse rovesciata la questione: nonostante i mar-
Cfr. S. Zucchini, Mater e domina, cit., pp. 141, 153-156, 173, 185.
Repertorio, pp. 327-328. Nel Repertorio, il frammento statutario conservato nell’archivio parrocchiale di Castiglione del Lago figura ancora riferito alla medesima località. Si tratta chiaramente di un errore, giacché nello stesso Repertorio viene poi attribuito a Castelleone. Cfr.
Repertorio, pp. 76 e 81.
47
Panicale comune rurale. Lo statuto del 1484 e gli atti del notaio Cristoforo di Pietro del 1312,
a cura di di G.P. Chiodini-R. Tosti, Perugia, Editrice Protagon-Regione dell’Umbria, 1989.
La prima redazione statutaria è del 1386, giunta però in copia riformata del 1480-1484, con
l’approvazione dei Priori di Perugia del 1484, riforme dal 1508 al 1519, Capituli confermati nel
1543 e infine approvazione del Commissario apostolico del 1677.
48
Statuti e riformanze della comunità di Gaiche (1318-1566), a cura di S. Tiberini, Perugia,
Deputazione di storia patria per l’Umbria, 2018, p. 18.
49
Ivi, pp. 15-16.
50
Ivi, pp. 16-17 e 97 (da quest’ultima è tratta la citazione).
45
46
81
Stefania Zucchini
gini di autonomia amministrativa, presenti in buona parte degli statuti rurali,
come si vedrà nel corso della trattazione, il peso della città è inequivocabile. Una
pressione che si può spiegare con il rilievo del castello, posto – come si diceva –
in un’area decisiva a livello economico, ma anche strategica per i rapporti con le
città “toscane”51.
Il castello funziona come molti altri con magistrature collegiali – in questo
caso otto consiglieri e otto massari, due per decina52 –, sovrintese da un vicario e
da un podestà. Una differenza evidente con il più tardo statuto di Deruta, di cui
si dirà, è la delimitazione dei poteri dei consiglieri e dei massari, che non possono
disporre dei beni comunali o chiedere prestiti per conto del comune53. Analogamente, i quattro camerari, sempre eletti in una pubblica assemblea, devono
«colligere omnes datas et collectas, salaria dominorum potestatis et capitanei comunis Perusii et etiam dicti comunis», oltre a raccogliere gli introiti dei banni54.
Non è immediatamente comprensibile quel colligere salaria, che si chiarifica solo
attraverso disposizioni successive: il castello elegge in assemblea quattro boni homines incaricati di fissare e distribuire (ponere e distribuere) i salari delle massime
magistrature perugine, e altri quattro che devono invece occuparsi di portare a
Perugia il bladum del Chiugi «bene et legaliter sine fraude amotis hodio pretio
precibus amore vel timore»55. I due uffici, quindi, pur essendo composti da locali ed eletti in assemblea, hanno come unico scopo l’esecuzione delle richieste
perugine. Quanto ai salari del podestà e del capitano del popolo di Perugia,
si dovrà pensare che gli ufficiali locali decidessero come ricavare «de fructibus
comunantiarum» i quantitativi imposti da Perugia per i salari del podestà, del
capitano del popolo e del giudice di giustizia, senza avere alcun potere discrezionale sugli stessi56.
L’unica carica locale che non appaia fortemente limitata nelle prerogative, o
funzionale alle richieste perugine, è quella del vicario, a cui sono affidati compiti
di tipo amministrativo e giudiziario. Eletto congiuntamente dai membri del vecchio e del nuovo consiglio nella fase di passaggio dall’uno all’altro, il vicario è un
membro della comunità e la rappresenta. Non può essere nobilis vel lambardus,
51
52
53
54
55
56
Ivi, p. 16.
Si tratta dell’unità territoriale di base, ivi, p. 20.
Ivi, pp. 98-99 (lib. I, cap. I).
Ivi, pp. 99-100 (lib. I, cap. II).
Ivi, pp. 110, 129-130 (lib. I, cap. XIX; lib. IV, cap. XV-XVII).
Ivi, p. 134 (lib. IV, cap. XXX).
82
Interazioni fra città e campagna nella normativa statutaria bassomedievale: l’Umbria
formalmente per evitare tensioni al momento della sua elezione, con maggior
probabilità per mettere il castello al riparo da possibili appetiti nobiliari in una
fase ultra-popolare del comune perugino. Quest’ultimo si assicura comunque
l’ultima parola sull’elezione, minacciando il podestà, inviato da Perugia, di lasciarlo senza stipendio qualora confermi un vicario non approvato dalla città57.
I beni comunali sono uno dei temi chiave dello statuto; il loro affitto è disposto attraverso meccanismi piuttosto rigidi dal vicario58 – come visto lo statuto
ne sottrae esplicitamente la disponibilità alle magistrature collegiali – e su di essi
grava maggiormente il peso delle imposizioni perugine. Come ricorda Tiberini,
nessuna norma esplicita l’uso collettivo dei beni comunali non banditi, ossia non
affittati, ma in una disposizione relativa ad altro argomento (il pagamento delle
tasse da parte dei forestieri) la sanzione prevista consiste nel divieto di «levare nec
pasturare in comunantiis comunis», segno che normalmente tali attività potevano essere praticate59.
Nel XIV secolo gli antichi beni “pubblici” hanno definitivamente visto il
passaggio allo stato di beni comunali, e quindi a una forma di privatizzazione che
ne ha fortemente limitato l’uso collettivo60; da ciò forse lo scarso riferimento ai
diritti di pascolo, ormai residuali, dei membri della comunità. Va inoltre considerato che sin dal Duecento le comunanze sono al centro della politica economica
di Perugia, a partire dallo scontro di inizio secolo fra milites e populares sulle modalità di sfruttamento; con il predominio della pars Populi a metà secolo, si arriva
a una vera e propria colonizzazione del Chiugi, espletatasi attraverso decine di
contratti di locazione, contenenti vincoli di natura politica oltre che economica61.
Anche questa grande attenzione ai beni comunali potrebbe quindi testimoniare,
in qualche modo, la pressione del comune perugino, intenzionato a dare un’impronta al “proprio” territorio.
Ivi, pp. 101-103, 133 (lib. 1, cap. III-IIII; lib. IV, cap. XXV).
Ivi, p. 92 (lib. I, cap. XXVII). Purtroppo la “Rubrica de vicario debente facere bampniri
fructus comunantiarum” era contenuta nella parte di codice andata perduta, rimane quindi solo
il titolo presente nel rubricario iniziale. Le modalità di affitto sono però ricostruibili attraverso
documentazione successiva. Cfr. ivi, p. 47.
59
Per un approfondimento sul tema dei beni comuni, cfr. ivi, pp. 45-65.
60
Cfr. R. Rao, I paesaggi dell’Italia medievale, Roma, Carocci, 2015, pp. 185-187.
61
Cfr. M. Vallerani, Le comunanze di Perugia nel Chiugi. Storia di un possesso cittadino tra XII
e XIV secolo, in «Quaderni Storici», 81, 1992, pp. 625-652; S. Zucchini, Mater e domina, cit.,
pp. 159, 169, 172.
57
58
83
Stefania Zucchini
Un altro castello sul quale Perugia assai precocemente mira ad imporre il
proprio controllo è Deruta, nella parte meridionale del contado. Il più antico
statuto derutese risale al 146562, ma sappiamo da un episodio narrato nel Liber
Petri Parentii che già nel 1262 il castello aveva un testo statutario, sottoposto
alla ratifica del podestà perugino63. Il rapporto fra Perugia e Deruta fu saldo e
stabile nel tempo e si caratterizzò per una soggezione a livello politico-istituzionale, che lasciava spazio, però, a un ampio margine di autonomia soprattutto
in merito alla gestione del castello64. Il podestà, così come negli altri centri del
contado, aveva il compito di garantire che il castello si mantenesse fedele alla
dominante, che la legge venisse rispettata e le imposte dovute alla città pagate
con regolarità65. Podestà e vicario erano magistrati imposti da Perugia ed erano percepiti sostanzialmente come un corpo estraneo al castello, un segno del
dominio perugino: è quanto emerge chiaramente dalle rubriche dello statuto,
attente a limitare le prerogative delle due cariche, piuttosto che a definirle. A rappresentare la comunità sono invece i quattro anteposti, scelti tra i boni homines
del castello in assemblea; c’è quindi una evidente distinzione fra cariche imposte
dall’esterno e figure che difendono gli interessi della comunità66. Sul piano economico, sorprende l’assenza di norme specifiche per la produzione di terrecotte,
che sin dal Duecento connota invece il castello, come dimostra un’abbondante
documentazione edita a suo tempo da Ugolino Nicolini67. Una discrepanza che
aiuta a ricordare che lo statuto è sì uno specchio del centro che lo produce, ma
può anche essere uno specchio deformante68.
L’ultimo statuto di area perugina su cui mi soffermerò è quello di Panicale,
che rientra, come Deruta, nel ristretto numero di castelli a cui Perugia dà un
podestà in maniera costante per ben due secoli, da inizio Trecento a inizio Cinquecento69.
Cfr. Statuto di Deruta in volgare dell’anno 1465, a cura di M.G. Nico Ottaviani, Firenze, La
Nuova Italia, 1982.
63
Cfr. S. Zucchini, 1. Dalle origini al Cinquecento, in S. Zucchini-A. Ciuffetti, Deruta e il suo
territorio: la storia e i documenti, Perugia, Comune di Deruta-Deputazione di storia patria per
l’Umbria, 2011, p. 51.
64
Ivi, p. 111.
65
Ivi, p. 70.
66
Per i compiti specifici delle singole magistrature, ivi, pp. 112-113.
67
Ivi, pp. 57-59, 89, 98-99, 115-119, 121.
68
Il riferimento è al noto saggio di Severino Caprioli, citato alla nota 40.
69
S. Zucchini, 1. Dalle origini al Cinquecento, cit., pp. 177-179, 183-184, 300.
62
84
Interazioni fra città e campagna nella normativa statutaria bassomedievale: l’Umbria
Come anticipato, l’edizione si basa sulla versione del 1484, nella quale è emendato e volgarizzato il precedente statuto del 138670. Nonostante la consueta dichiarazione di soggezione a Perugia, il tenore generale dello statuto dimostra che
i tempi sono assai cambiati e con essi la pressione della città sul piccolo castello.
In primo luogo, mancano quasi del tutto riferimenti alla figura del podestà,
che tende a confondersi con quella del vicario, comparendo in maniera esplicita
solo in alcune riforme finali. In nessuna parte ne è dichiarata la provenienza perugina e addirittura solo nel 1435 è previsto che lo stesso vicario, sul quale poggia
l’amministrazione del castello, non possa essere locale.
Perugia è la curia di riferimento per le cause superiori a XX soldi, per le unità
di misura di prodotti agricoli e lavorati, e ad essa vanno pagate le «colte o inposte»71. Per il resto, il vicario, coadiuvato dai consiglieri, ha un ampio margine
di libertà nella gestione del castello, limitata solo dalla comunità (ad esempio le
spese superiori a XX soldi possono essere deliberate solo con il benestare dell’assemblea generale). La maggior parte dei capitoli statutari riguarda i danni dati, la
buona conservazione delle vie o delle mura e la salvaguardia del decoro urbano.
Fra i beni comunali sono compresi «selve, case, fonte, citerne, vie, palazze»: un
dettagliato capitolo sui locali comunali affittati agli artigiani e un altro sulle carbonaie fanno pensare che nonostante Panicale insista sulla stessa area geografica
di Gaiche, le attività produttive abbiano un diverso orientamento, ipotesi che
però andrebbe supportata attraverso l’analisi di ulteriori fonti72.
Nonostante l’esigua quantità di statuti superstiti e l’ancor più esiguo numero
di testi editi sui quali si è basata la presente analisi, si può tuttavia affermare che
la circolazione di modelli, fenomeno assai noto alla storiografia, non comportò
«mutuazioni spregiudicate»73. Nel momento in cui una comunità locale si dotava
di uno statuto, in esso confluivano tutta una serie di elementi, relativi ad aspetti
distintivi dei singoli centri: il medesimo ufficiale – pensiamo al vicario – poteva
avere connotazione profondamente diversa da una località all’altra; allo stesso
modo variavano la pressione della città, la tipologia delle attività produttive e la
stessa morfologia del territorio.
Panicale comune rurale, cit., pp. 1-2, 17 (capp. I, II, XX).
Ivi, p. 21 (cap. XXIIII).
72
Ivi, pp. 50-53 (capp. XXIV-XXVI); p. 80 (cap. XLII); pp. 97-99 (capp. LXXVI-LXXVII).
La citazione è tratta da p. 98.
73
Questa l’espressione utilizzata da Chittolini per le aree statutarie intorno a Como, Cremona
e Parma. M.G. Nico Ottaviani, Statuti, territorio, cit., p. 17.
70
71
85
Stefania Zucchini
Spoleto
Nel basso medioevo, Spoleto per molti aspetti portò avanti una politica territoriale assai simile a quella di Perugia, ma al contrario di questa si trovò al centro
di una feconda area statutaria.
Nella prima metà del Duecento, la città vide un coinvolgimento attivo nello
scontro tra Federico II e Gregorio IX, che sul piano militare si consumò soprattutto nei territori di confine tra il Patrimonium e il Ducato. A livello locale, l’aderenza all’uno e all’altro fronte veniva usata per rafforzare posizioni di dominio.
Come Perugia sfruttò il proprio ruolo di capofila del fronte guelfo per cercare di
imporsi su un territorio sempre più vasto74, così Spoleto mise a frutto la rinnovata
fedeltà nei confronti dell’imperatore, dopo una momentanea adesione alla lega
filo pontificia capeggiata appunto da Perugia. Ne è testimonianza il diploma ottenuto da Federico II nel 1241, con il quale l’imperatore accoglieva nuovamente
gli Spoletini sotto la propria protezione, facendo tutta una serie di concessioni.
In primo luogo Federico confermò tutti gli usi e le consuetudini già approvate,
ma soprattutto concesse alla città di tenere una serie di ville e castelli elencati in
maniera dettagliata, con l’aggiunta di «omnia loca, castra, et ville, et homines qui
sunt citra loca versus civitatem Spoletanam usque ad Civitatem»75; l’imperatore
aggiunse che non avrebbe edificato né permesso che fosse edificata alcuna costruzione in città o nel distretto senza il consenso dei fideles spoletini.
L’ampio distretto concesso da Federico II, compreso fra il Clitunno e la dorsale appenninica, fu in seguito confermato dal legato pontificio Andrea Capocci
nel 1247, da Innocenzo IV nel 1248 e da Alessandro IV nel 1255, con l’aggiunta
delle Terre Arnolfe, dei castelli di Normandia (Castel Ritaldi, Castagnola, Montecchio, Giano, Macciano) e dell’abazia di Ferentillo76. Non sembra quindi che
la parentesi filo imperiale abbia condizionato negativamente il successivo avvicinamento al papato, che invece vide dei momenti di attrito proprio in relazione
alla politica espansionistica della città. Fra i pontefici più duri su questo fronte
va ricordato Urbano IV, che si oppose in particolare all’occupazione delle Terre
Arnolfe, assecondata invece dal suo predecessore, e che più in generale si spese
per l’affermazione dei diritti papali sulle terre del Patrimonio77. Nonostante le
Cfr. S. Zucchini, Mater e domina, cit., pp. 161-166.
A. Sansi, Storia del comune di Spoleto, cit., p. 6.
76
P. Bianciardi-M.G. Nico Ottaviani, Il territorio di Spoleto, cit., p. 310.
77
A.L. Trombetti Budriesi, Per una morfologia della statutaria medievale umbra: lo statuto di
Spoleto del 1296, in Gli statuti comunali, cit., pp. 76-121: pp. 81-82.
74
75
86
Interazioni fra città e campagna nella normativa statutaria bassomedievale: l’Umbria
frizioni con la Sede Apostolica, nella seconda metà del XIII secolo il comune
spoletino, il cui governo aveva ormai avuto la svolta popolare, portò avanti una
vera e propria politica territoriale. Al 1279 risale il cosiddetto «catasto Orsini»,
che è in realtà un elenco redatto al tempo del podestà Orso Orsini di Roma,
contenente il nome di 77 ville soggette a tributo78. Nel 1296, le ambizioni territoriali del comune trovarono una sistematizzazione in un complesso corpus
normativo, costituito da tre parti distinte: lo Statutum comuni, il Breve populi e
il Consitutum, per un totale di oltre 600 capitoli, in buona parte andati perduti.
L’unico manoscritto superstite conserva infatti 288 capitoli, dei quali solo 27
sono dedicati al contado79. Nonostante il numero non elevato, il tenore delle disposizioni rimanda a un programma di controllo politico del contado piuttosto
articolato, paragonabile a quello che metterà in campo Perugia dall’inizio del
Trecento in poi80.
Come sottolineato da Trombetti Budriesi, gli statuti del 1296 costituiscono
il punto di arrivo di un processo politico che ha visto la progressiva affermazione
del popolo come forza di governo81; una considerazione analoga può essere fatta
per la Perugia del primo Trecento, nella quale il priorato delle arti si impone
come organo esecutivo del comune e la città punta a un dominio effettivo sul
territorio, con il controllo diretto dei centri demograficamente più consistenti
attraverso l’invio di podestà e castellani82.
Gli statuti spoletini del 1296 esplicitano lo stesso tipo di politica, affidandosi
a un sistema organizzativo del contado verticistico, del tutto simile a quello della
rivale Perugia. I meccanismi a cui ricorrono le due città comunali per creare uno
stato territoriale – per il Trecento si può forse utilizzare questa espressione senza
forzarne il significato – ricordano quelli adottati dal pontefice nella faticosa costruzione di un dominio stabile sulle terre della Chiesa: l’imposizione di figure di
controllo di propria fiducia su magistrature elette localmente83.
P. Bianciardi-M.G. Nico Ottaviani, Il territorio di Spoleto, cit., p. 311.
Chiodi parla di 27 capitoli, Bianciardi e Nico ne contano invece oltre 30. Cfr. G. Chiodi,
Scelte normative degli statuti di Spoleto del 1296, in Gli statuti comunali, cit., pp. 123-305: pp.
142, 143, 149; P. Bianciardi-M.G. Nico Ottaviani, Il territorio di Spoleto, cit., p. 313.
80
Cfr. S. Zucchini, Mater e domina, cit., p. 177-180.
81
A.L. Trombetti Budriesi, Per una morfologia, cit., p. 90.
82
Cfr. S. Zucchini, Mater e domina, cit., p. 177.
83
Sugli ufficiali pontifici nel Quattrocento cfr. A. Gardi, Gli ‘officiali’ nello Stato pontificio del
Quattrocento, «Annali della Scuola Normale Superiore di Pisa. Classe di Lettere e Filosofia.
78
79
87
Stefania Zucchini
Lo statuto del comune di Spoleto del 1296 stabilisce un quadro di massima
per la nomina degli ufficiali del contado: una commissione di 12 persone, i cui
membri sono estratti a sorte fra gli uomini delle diverse vaite (le circoscrizioni
di base della città) di Spoleto, provvede all’elezione dei podestà dei castelli e dei
rappresentanti delle vaite stesse: due consiglieri speciali e un notaio84. Per le ville, invece, sono previste commissioni di tre membri scelti in loco, sempre con il
sistema del sorteggio; ai tre commissari spetta l’elezione di baiuli e valdari, che
non possono essere spoletini, né mugnai (il divieto, aggiunto a margine, riguarda solo la carica di baiulo), né parenti o qualcuno che abbia ricoperto l’incarico
l’anno precedente85. Nel Breve Populi si affronta il caso delle ville costituite
da meno di sei fuochi, per le quali è prevista una procedura semplificata, con
l’elezione di un baiulo che risponda al camerario della colletta, de specialibus
personis e dei danni dati86; in un capitolo “preciso” – così sono chiamati i capitoli che non possono essere modificati con procedure ordinarie – viene inoltre
rafforzato il ruolo del baiulo, l’unico legittimato a rappresentare la comunità di
fronte al camerario del comune, con l’espresso divieto di intervenire rivolto ai
baiuli del comune di Spoleto e ad altri spoletini87. Ma è nel Constitutum che la
gestione del contado è affrontata in maniera più consistente, con una serie di
disposizioni da cui traspaiono sia il piano complessivo del comune, abbastanza
delineato a questa altezza, sia le difficoltà che si frappongono alla sua attuazione. In primo luogo, viene introdotto il rettore, che in alcuni punti sembra
coincidere con il podestà, in altri invece è nominato come carica a sé88. La
figura del rettore è quindi ambigua, e non credo si possa seguire Chiodi nella
distinzione fra rettore e podestà, il primo – secondo lo studioso – destinato alle
ville, il secondo ai castelli89. Per il resto, l’analisi di Chiodi è molto puntuale
Quaderni», I, 1997, pp. 225-291; sui rapporti tra centro e periferia nello Stato della Chiesa si
vedano le opere citate alla nota 23.
84
Statuti di Spoleto del 1296, cit., pp. 9-10 (Statutum comunis, cap. IV).
85
Ivi, pp. 11-12 (Statutum comunis, cap. X).
86
Ivi, p. 38 (Breve Populi, cap. XIIII).
87
Ivi, p. 50 (Breve Populi, cap. XLVII).
88
Ivi, p. 70 (Consitutum, I, cap. XXIII). Ad inizio capitolo si parla di tutti i castelli e le terre
«in quibus comuni Spoleti facit rectores» e della loro podesteria. Le disposizioni che seguono,
in effetti, riguardano il podestà. Alla fine invece sono nominati distintamente «potestates et
rectores castrorum distrittus Spoleti».
89
La carica di rettore è nominata solo nel capitolo 23 del I libro del Constitutum, dedicato ai
castelli e alle terre di Spoleto, mentre il capitolo 24 del II libro vieta che nei castelli e nelle ville
88
Interazioni fra città e campagna nella normativa statutaria bassomedievale: l’Umbria
e ben coglie gli aspetti principali del progetto spoletino relativo al contado90.
Senza scendere nei dettagli, per i quali rimando senza dubbio al suo saggio e
più in generale ai lavori dedicati a Spoleto negli atti del convegno su Gli statuti
comunali umbri, usciti nel 1997 a cura di Enrico Menestò, mi limito ad evidenziare gli aspetti che ritengo rappresentino l’ossatura del progetto comunale
per la gestione del contado. I capitoli già menzionati dimostrano la volontà
di uniformare i centri sul piano amministrativo, con una maggior apertura
nei confronti delle ville – che sono lasciate libere di scegliere fra gli abitanti i
propri rappresentanti (baiuli e valdari) – e un controllo invece diretto nel caso
dei castelli, con l’invio di un podestà o rettore. Il divieto per tutte le comunità,
di qualsiasi tipo, di avere priori e anziani, cariche quindi di natura politica, a
meno che siano eletti e approvati da Spoleto, fa pensare al tentativo da parte
del comune cittadino di arginare possibili spinte autonomistiche con fermezza
ed elasticità insieme: il divieto infatti non è assoluto ma mitigato da possibili
eccezioni.
I castelli continuano a essere una preoccupazione, e non solo per i recalcitranti valvassores, più volte citati nel testo – sui quali tornerò –, ma anche perché gli
stessi cittadini inviati come podestà potrebbero abusare della propria carica, o al
contrario svolgerla in maniera inadeguata, causando danni erariali al comune.
Per evitare situazioni simili, Spoleto predispone una serie di controlli affidati ai
notai e ai camerari dei castelli, incaricati di verificare anche l’operato dei propri
predecessori. L’elezione di un sindaco locale, che risponde di eventuali offese al
rettore, con l’esborso dell’eccezionale cifra di mille lire, mira invece ad assicurare
che gli ufficiali esterni siano se non proprio accettati quanto meno non ostacolati
apertamente91.
Al controllo politico si unisce un tentativo di razionalizzazione delle competenze negli ambiti della giurisdizione e della fiscalità.
Nel distretto spoletino, sono i podestà e i rettori dei castelli ad amministrare
la giustizia, con il divieto per qualunque «universitas vel persona civitatis vel di-
siano eletti priori o anziani, a meno che l’elezione sia fatta e confermata dal comune di Spoleto.
Non credo che quest’ultimo passo sia interpretabile, come fa Chiodi, come una conferma dell’elezione spoletina del rettore, che non viene affatto nominato. Ivi, p. 100 (Constitutum, II, cap.
XXIV); G. Chiodi, Scelte normative, cit., pp. 189-201.
90
G. Chiodi, Scelte normative, cit., pp. 189-201.
91
Statuti di Spoleto del 1296, cit., pp. 70-71 (Constitutum, I, capp. XXIII e XXIIII); p. 73
(Constitutum, I, cap. XXVII).
89
Stefania Zucchini
strittus Spoleti» di muovere causa «contra privilegia et antiquam consuetudinem
comunis Spoleti»92.
Sul piano fiscale, Spoleto utilizza il sistema della colletta, imposta sulla base
del catasto in città e per fuochi nel territorio93. Anche a Spoleto, quindi, vige la
doppia modalità contributiva, che distingue tra cives e abitanti del contado, adottata da molte altre città dell’epoca, compresa Perugia. Le numerose disposizioni
sul catasto fanno però pensare che l’ambizione sia quella di estendere al contado
il censimento dei beni immobili: in questa direzione vanno le disposizioni del
Constitutum «Quod quelibet persona solvat collectam pro bonis que habet» e
«Quod potestas faciat fieri catastum per homines villarum ad modum catasti
civitatis Spoleti»94. Nella prima disposizione è stabilito che tutti coloro che abbiano beni nel distretto di Spoleto paghino su di essi la colletta al comune e che,
avendo proprietà nel distretto di Spoleto, siano soggetti giuridicamente alla curia
della città; con la seconda disposizione si ordina invece di non inserire i beni degli
uomini delle ville nel catasto urbano, ma di predisporre specifici catasti per ogni
singola villa. L’intenzione non sembra però quella di sgravare il contado di una
tassa per fuochi, bensì di aggiungere a questa una contribuzione su base patrimoniale. Lo si deduce dalla precisazione relativa a chi è accatastato in città, ma trascorre la maggior parte dell’anno in campagna: l’allibramento in città non esime
dal pagamento della colletta per fuochi imposta agli abitanti delle singole ville95.
Infine, la necessità di inserire una norma che vieti di imporre tasse a ville,
castelli e comunità, senza aver ricevuto l’incarico o un permesso speciale dal
podestà e dal capitano del comune di Spoleto, dimostra ancora una volta le resistenze del territorio ad accettare un sistema centralizzato, che mira a esautorare
quasi completamente l’autonomia di ville e castelli96.
Vi erano poi problemi di tipo organizzativo, determinati dall’assenza di una
macchina burocratica che potesse coprire le esigenze dello stato territoriale che si
tentava di costruire: lo si tocca con mano nella questione dei confini. Da un lato
il comune si dimostrava consapevole dell’importanza di definire le precise aree di
92
Ivi, p. 37 (Breve del popolo, cap. XI); pp. 46-47 (Breve del Popolo, cap. XXXVIII). Le due
citazioni sono tratte da p. 46.
93
Ivi, rispettivamente pp. 106-107 (Constitutum, I, cap. XLII) e pp. 39-40, 69 (Breve del Popolo,
cap. XXIII, Constitutum, I, cap. XX).
94
Ivi, rispettivamente p. 65 (Constitutum, I, cap. VII); p. 93 (Constitutum, II, cap. I).
95
Ivi, p. 93 (Constitutum, II, cap. I).
96
Ivi, p. 88 (Constitutum, I, cap. LXXIIII).
90
Interazioni fra città e campagna nella normativa statutaria bassomedievale: l’Umbria
competenza dei singoli centri, affinché ognuno potesse «scire de possessione sua
cui ville pertineat»97; dall’altro pretendeva di scaricare le spese delle misurazioni
sulle singole ville e ne delegava l’esecuzione a massari locali, ponendo di fatto una
grave ipoteca sull’esecuzione della norma. Le comunità locali non avevano infatti
alcun interesse a porre cippi confinari utili solo alla città e per di più a fini fiscali98.
L’assenza di un apparato amministrativo periferico non era però l’unico ostacolo: un altro, assai rilevante, era costituito dal consistente residuo di legami
feudali, che rendevano gli equilibri ancora più instabili99: in diversi passi degli
statuti spoletini del 1296 è affrontato il tema dei vassalli, completamente assente
negli statuti di Perugia del 1279 e del 1342.
La questione dei rapporti feudali costituisce forse la principale differenza fra
i territori di Perugia e Spoleto, confermata dal ricorso a un differente lessico giuridico. L’ultimo testo normativo perugino a nominare legami vassallatico-beneficiari è rappresentato dagli Ordinamenta populi del 1260, nei quali è fatto divieto
assoluto di contrarre giuramento vassallatico pena la morte100; uno spauracchio
che deve avere sortito gli effetti desiderati, o quanto meno deve aver condotto a
ricorrere a diversi istituti giuridici, vista l’assenza di qualsivoglia riferimento nei
testi successivi, nei quali si parla spesso di homines alicuius domini, alludendo a
un rapporto di appartenenza e in alcuni casi di subordinazione101, ma mai di vassalli102. Al contrario, a Spoleto i contadini erano definiti vassalli, in riferimento al
97
Ivi, p. 39 (Breve Populi, cap. XX). Un altro capitolo sui confini è il numero LVIII del primo
quaderno del Constitutum: ivi, p. 83 (Constitutum, I, cap. LVIII).
98
Nel caso di Spoleto la resistenza si può solo presumere, mentre è ben documentata per il contado perugino. Cfr. S. Zucchini, Un confine mobile. I rapporti tra città, signori e comunità locali:
il caso di Perugia, in Terre di confine tra Toscana, Romagna e Umbria. Dinamiche politiche, assetti
amministrativi, società locali (secoli XII-XVI), a cura di P. Pirillo-L. Tanzini, Firenze, L. Olschki
Editore, 2020, pp. 347-368, in part. pp. 357-363.
99
Sulle principali famiglie nobiliari del distretto spoletino si veda J.C. Maire Vigueur, Nobiltà
feudale, emancipazione contadina e strutture degli insediamenti nel contado di Spoleto (XIII secolo,
prima metà del XIV secolo), in Il Ducato di Spoleto. Atti del IX congresso internazionale di studi
sull’alto medioevo (Spoleto, 27 settembre-2 ottobre 1982), Spoleto, Centro italiano di studi
sull’alto medioevo, 1983, pp. 487-513.
100
J.P. Grundman, The Popolo at Perugia (1139-1309), Perugia, Deputazione di storia patria per
l’Umbria, 1992, p. 384.
101
Cfr. Statuto del Comune di Perugia del 1279, cit., II, p. 162.
102
Un esempio dell’uso di homines a indicare un vincolo di dipendenza è quello degli homines di
Casalina, sottoposti all’abate del potente monastero suburbano di San Pietro: nel corso del XIII
secolo, gli homines di Casalina si affrancarono dall’abate, sottoponendosi alla giurisdizione della
91
Stefania Zucchini
vincolo con il dominus, che in genere prevedeva il pagamento di un’offerta per il
possesso di un mansus o di parte di un mansus103. Alla luce di questa precisazione
terminologica si comprendono meglio le numerose disposizioni dello statuto di
Spoleto dedicate ai vassalli, ossia ai contadini dipendenti da signori rurali104.
Il problema per il comune spoletino si pone soprattutto con i vassalli di certi
castelli, che evidentemente si sono mantenuti fedeli ai precedenti signori, come
accaduto a Perocchio, oggetto di più di un capitolo statutario.
Il castello di Perocchio, appartenente un tempo al lignaggio dei Casteldilago, si era sottomesso a Spoleto nel lontano 1212105, con la cessione al comune
di alcuni possessi; negli ultimi venti anni, però, i vassalli si erano sottratti alla
soggezione al comune, che quindi non poteva disporre dei beni del castello. Nel
Costitutum si incaricano quindi il podestà e il capitano di ricondurre al comune di Spoleto tutti i possessi di Perocchio, i vassalli e tutti i loro beni, dei quali
al momento il comune non può disporre106. Per evitare che i coloni tornino ai
vecchi signori, la cui presenza aleggia nei capitoli statutari senza che vengano
mai citati apertamente, il comune arriva a prevedere la stipula di contratti con i
contadini nei quali essi affermino pubblicamente di mantenere e lavorare le terre
a nome del comune di Spoleto e il divieto per gli stessi di lavorarle a nome di
altri107. Nel caso di Perocchio, quindi, l’oggetto del contendere è il possesso stesso
delle terre e non una soggezione di tipo politico o giuridico.
vicina città di Perugia, ma in nessun documento per loro è utilizzato il termine vassalli. Cfr. S.
Zucchini, Mater e domina, cit., pp. 151-152.
103
J.C. Maire Vigueur, Nobiltà feudale, cit., p. 501.
104
In un capitolo preciso, e quindi immodificabile, si ricorda che se qualcuno ha vassalli nel
distretto di Spoleto, non paga la colletta e non presta servizio nell’esercito spoletino, mentre i
suoi vassalli sono comunque tenuti a pagare le tasse «per focularem» e a prestare servizio militare come tutti gli altri uomini delle ville del distretto. In sostanza, i contadini non liberi sono
sottoposti a un doppio gravame: i contributi dovuti ai signori e le tasse pagate alla città. In un
altro caso, si impedisce di reclamare qualsivoglia possedimento sulla base della pubblica fama,
della testimonianza di un vassallo, di un ex vassallo o di un familiaris. Cfr. Statuti di Spoleto del
1296, cit., p. 69 (Constitutum, I, cap. XX); p. 90 (Constitutum, I, cap. LXXX).
105
J.C. Maire Vigueur, Nobiltà feudale, cit., p. 497.
106
Cfr. Statuti di Spoleto del 1296, cit., p. 92 (Constitutum, I, cap. LXXXVI).
107
Ivi, pp. 72-73 (Constitutum, I, capp. XXVI e XXVII). Allo stesso castello è dedicato un altro
capitolo, nel quale sono previste pene per coloro che hanno arrecato danni agli alberi domestici
(noci, querce e castagne) negli ultimi quindici anni. Anche questa disposizione testimonia il
tentativo di recuperare il controllo del castello, perso da diversi anni, giacché si parla degli ultimi tre lustri. Ivi, p. 79 (Constitutum, I, cap. XLIIII).
92
Interazioni fra città e campagna nella normativa statutaria bassomedievale: l’Umbria
Un altro tema spinoso, sul quale si gioca un’importante partita tra il comune
e le famiglie nobiliari del territorio, è quello relativo alla riscossione dei pedaggi.
Nel suo saggio sulla nobiltà feudale del contado di Spoleto, Jean-Claude Maire
Vigueur vede nello ius pedagii un rilevante introito dei signori di Alviano e la
principale fonte di reddito dei signori di Arrone e di Casteldilago108.
Nel capitolo statutario dedicato ai pedaggi, sono direttamente nominati Offreduccio di Alviano e i signori di Arrone, mentre viene nuovamente citato il
castello di Perocchio, ma non i signori di Casteldilago. La disposizione statutaria
dedicata ai pedaggi è abbastanza contorta109: si inizia con la richiesta rivolta al
podestà e al capitano del popolo di far arrivare alla camera del comune tutti i
pedaggi e le imposte, ma poi si precisa che vanno rispettate le consuetudini in
vigore al tempo di Offreduccio di Alviano, che fa eccezione il castello di Perocchio, i cui pedaggi sono stati venduti110 dal comune di Spoleto insieme a quelli
delle porte della città, e infine che i pedaggi e le tasse di Arrone vanno corrisposti
direttamente al comune nelle stesse modalità in cui erano pagati ai signori del
castello. In definitiva, solo i pedaggi di Arrone, in effetti acquistati dal comune
nel 1291 dietro l’esborso di 5500 lire111, arrivano alle casse comunali: l’incipit del
capitolo costituisce quindi un auspicio, un obiettivo, piuttosto che una disposizione con effetti immediati. Quanto ai signori di Caseldilago, non nominati
– non è detto infatti che siano loro gli acquirenti dello ius pedagii di Perocchio
–, Maire Vigueur ricorda che nel 1305 cedettero al comune pedaggi ed edifici,
dietro la somma di 8000 lire112. Agli stessi signori, insieme ai nobili di Arrone,
era stato chiesto nel 1297 di stabilirsi in città, se il consiglio lo avesse richiesto,
e di giurare fedeltà a Spoleto, come prescritto dai patti già firmati dai membri
di entrambi i lignaggi113. Il tono perentorio e risentito del capitolo, unitamente
alle precedenti disposizioni sui vassalli e sui castelli, dimostra che non si tratta di
una disposizione proforma, ma di una richiesta motivata dalla difficoltà di rapportarsi a una nobiltà rurale tutt’altro che domata. Come giustamente scrivono
Patrizia Bianciardi e Maria Grazia Nico, l’attenzione dimostrata dal comune nel-
J.C. Maire Vigueur, Nobiltà feudale, cit., p. 498.
Cfr. Statuti di Spoleto del 1296, cit., p. 74 (Constitutum, I, cap. XXXI).
110
Il verbo utilizzato è «vendere», deve però ritenersi un appalto, giacché riguarda anche i pedaggi delle porte cittadine. Ivi, p. 102 (Constitutum, II, cap. XXXI).
111
J.C. Maire Vigueur, Nobiltà feudale, cit., p. 499.
112
Ibidem.
113
Cfr. Statuti di Spoleto del 1296, cit., p. 109 (Constitutum II, cap. L).
108
109
93
Stefania Zucchini
la conservazione dei patti stipulati con le comunità – e con le famiglie nobiliari
a cui quelle comunità erano spesso legate, si potrebbe aggiungere – testimonia
certamente «una cura e un intento programmatici» nei confronti del territorio,
ma anche «un’intrinseca debolezza, o quanto meno difficoltà nel possesso»114.
La situazione appare parzialmente mutata a metà Trecento, epoca a cui risale
il secondo statuto conservatosi nella sua interezza, redatto nel 1347115.
Nell’aprile-maggio 1336 il legato pontificio Bertrand de Deux, «“visitatore e
riformatore” di tutti i territori pontifici in Italia» aveva promulgato costituzioni
specifiche per il ducato di Spoleto, che si inserivano in una vasta opera legislativa,
comprendente le costituzioni per le province della Campagna e della Marittima
(1335), quelle per il Patrimonio di S. Pietro in Tuscia (7 marzo 1336), per le
Marche (22 apr. 1336) e per la Romagna (15 novembre 1336)116. La legislazione
di Bertrand de Deux rimase in vigore sino alle costituzioni egidiane, per le quali
rappresentò una solida base normativa117.
Nelle costituzioni del 1336, Bertrand de Deux confermò l’obbligo, già previsto ma ampiamente disatteso, di sottoporre gli statuti comunali all’approvazione
della curia ducale118. Stando agli statuti spoletini del 1347, però, sembra che le disposizioni del legato rimasero lettera morta: in nessun capitolo viene infatti citata
la curia ducale, tantomeno la necessità che i centri del territorio sottoponessero
ad approvazione ducale i propri statuti; era invece fatto divieto che ville e castelli
producessero «aliquod statutum contra commune Spoleti»119. La curia ducale
sarebbe comparsa nei più tardi statuti del distretto spoletino e della Valnerina,
risalenti però tutti ad epoca successiva alla stretta operata del cardinal Albornoz,
che come noto ebbe un approccio assai più incisivo del proprio predecessore120.
P. Bianciardi-M.G. Nico Ottaviani, Il territorio di Spoleto, cit., pp. 308-309.
Per un’analisi dei capitoli dello statuto del 1347 relativi al contado, ivi, pp. 315-317.
116
G. Ermini, La libertà comunale nello Stato della Chiesa, in «Archivio della Società romana di
storia patria», 49, 1926, pp. 5-126. La citazione è tratta da P. Partner, Bertrando di Deux (Déaulx),
in Dizionario Biografico degli Italiani, Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana, 1967, IX, pp. 642644, https://www.treccani.it/enciclopedia/bertrando-di-deux_%28Dizionario-Biografico%29/.
117
P Partner, Bertrando di Deux, cit.
118
G. Ermini, La libertà comunale, cit., p. 118.
119
Statuto di Spoleto del 1347 con additiones del 1348 e del 1364, a cura di M. Moriani Antonelli, Spoleto, Edizioni dell’Accademia spoletina, 1996, p. 90 (lib. I, cap. 81).
120
E. Duprè Theseider, Albornoz, Egidio de, in Dizionario Biografico degli Italiani, 2, Roma,
Istituto della Enciclopedia Italiana, 1960, pp. 44-53, https://www.treccani.it/enciclopedia/egidio-de-albornoz_(Dizionario-Biografico); cfr. anche Rocche e fortificazioni nello Stato della Chie-
114
115
94
Interazioni fra città e campagna nella normativa statutaria bassomedievale: l’Umbria
Nel 1347, i rapporti con un potere localmente debole, come quello pontificio,
non impensierivano tanto la città, messa invece a dura prova dalle lotte di parte.
In questa fase di tensioni cittadine, i problemi nel contado non provenivano più
dai nobiles feudali o dai loro vassalli, bensì dai cittadini esiliati, che potevano
trovare nel contado terreno fertile per organizzare azioni ostili nei confronti di
Spoleto. La prima preoccupazione riguardava la possibilità che i fuoriusciti riuscissero a controllare le rocche e i fortilizi: si vietò quindi a chiunque, popolari
compresi, di accettare la custodia di una rocca, a meno che fosse concessa dai
priori di Spoleto, magistratura di vertice della città121; allo stesso modo, si vietò
di edificare, riparare o comprare una rocca senza espressa licenza dei priori122.
Se poi fosse partita una cavalcata da un qualche luogo del contado, ribellatosi
al comune, gli insorti sarebbero stati trattati da veri e propri nemici, tanto che la
loro uccisione non avrebbe comportato alcuna pena123.
Gli unici riferimenti rimasti ad Arrone e Casteldilago nello statuto trecentesco riguardano il divieto di edificare nei pressi dei due castelli e la richiesta di
acquisire i relativi catasti – più quello di Colleporto –, costringendo gli abitanti,
nobili e non, a pagare la colletta a Spoleto124. Il capitolo fa immaginare una residua resistenza da parte dei due castra, ma decisamente inferiore rispetto a quella
di mezzo secolo prima.
Per il resto, i vari meccanismi relativi all’amministrazione del contado, comprese l’imposizione fiscale125 e la riscossione delle gabelle126, sembrerebbero essere
entrati a regime: il lunghissimo capitolo relativo ai podestà dei castelli fissava nel
dettaglio le modalità con cui si procedeva all’elezione, la durata annuale della
carica, l’ammontare dello stipendio (500 lire) e il divieto di cedere l’incarico ad
altri gratis o dietro pagamento. A seconda dei castelli, 31 in tutto, i podestà eletti
sa, a cura di M.G. Nico Ottaviani, Napoli, ESI, 2004, in particolare i saggi di Claudio Regni,
Giordana Benazzi e Philippe Bernardi relativi al periodo albornoziano.
121
Statuto di Spoleto del 1347, cit., I, pp. 80-81 (cap. 63).
122
Ivi, II, p. 162 (cap. 139).
123
Ivi, II, p. 129 (cap. 57).
124
Ivi, II, p. 147 (cap. 105); IV, p. 220 (cap. 18).
125
Ai catasti (cittadini e delle località del contado) e alle imposizioni fiscali sono dedicati i capitoli 22 e 90 del I libro, 51 del II libro, 18, 24, 25 e 26 del IV libro. Cfr. Statuto di Spoleto del
1347, cit., pp. 56, 93, 126, 220, 222-223.
126
Alla riscossione delle gabelle e dei pedaggi sono dedicati i seguenti capitoli: Statuto di Spoleto
del 1347, cit., I, p. 56 (cap. 21); IV, p. 212 (cap. 2), p. 224 (cap. 29), p. 234 (cap. 61), p. 238
(cap. 78).
95
Stefania Zucchini
dovevano pagare una certa cifra al comune di Spoleto, come anticipo dei ricavi
di condanne e sentenze, con importi che andavano dai 20 soldi (corrispondenti
a una lira) di Acquafranca e Colle del Marchese, alle 80 lire di Monteleone e
Vetranula127. Nell’elenco figurano alcuni castelli appartenuti in precedenza alle
maggiori casate signorili, come Mevane e Chiavano, mentre altri sono assenti
(Alviano, Arrone, Casteldilago e Perocchio, fra quelli più volte qui nominati)
128
: nessuno degli statuti spoletini specifica quali fossero i criteri per l’invio di un
podestà, si può presumere – ragionando per analogia con il caso perugino – che
si trattasse dei castelli di maggiori dimensioni, ma non è escluso che potessero
incidere i patti stipulati con gli antichi signori.
Per le ville fu istituita la figura del capitano, eletto fra i meliores della comunità, davanti al quale gli uomini erano tenuti a giurare fedeltà a Spoleto129. I comitatini dovevano prestare anche un altro giuramento, con il quale promettevano
di non danneggiare i beni altrui; in questo caso il garante era il sindaco, una
carica già presente negli statuti del 1296, insieme a quella dei valdarii130. Mentre
il capitano aveva competenze limitate ma cruciali sul piano politico, il vero rappresentante della comunità era proprio il sindaco: la carica, nel 1296 contemplata
solo per le ville, nel 1347 fu prevista anche per i castelli, e più in generale per le
universitates che ricevevano da Spoleto una podesteria131.
Il sindaco del castello doveva operare una sorta di controllo interno alla comunità, affinché questa non si dimostrasse apertamente ostile al podestà. Del
resto, essendo inserito nel tessuto sociale del castello ed avendo la fiducia degli
abitanti che lo avevano eletto, il sindaco poteva molto meglio di un forestiero, per
di più con incarico temporaneo, gestirne le dinamiche interne. Il sindaco doveva
assicurarsi che non fossero accolti nel castello banditi o condannati dal comune
di Spoleto, ed aveva il compito di sottoporre gli statuti del castello al controllo dell’ufficiale spoletino preposto dai priori alla revisione e alla correzione del
testo132. Come detto sopra, alle comunità non era infatti vietato di redigere un
proprio statuto, purché non fosse «contra comune Spoleti»133. E molte comunità
127
128
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130
131
132
133
Ivi, I, pp. 52-54 (cap. 19).
Sui diversi casati si rimanda al più volte citato J.C. Maire Vigueur, Nobiltà feudale, cit.
Statuto di Spoleto del 1347, cit., I, p. 91 (cap. 83).
Ivi, I, pp. 82-83 (cap. 67).
Ivi, I, pp. 57-58 (cap. 25).
Statuto di Spoleto del 1347, cit., I, pp. 58-59 (cap. 26).
Ivi, I, p. 90 (cap. 81).
96
Interazioni fra città e campagna nella normativa statutaria bassomedievale: l’Umbria
si dotarono in effetti di un proprio testo normativo, come dimostra l’imponente
serie di statuti proveniente dal territorio spoletino.
4. Gli statuti del distretto spoletino e della Valnerina
Il Repertorio degli statuti comunali umbri conta 32 statuti per l’area di Spoleto
e della Valnerina nel periodo compreso fra il XIV e il XVI secolo, un lasso di
tempo quindi molto ampio134. Come rilevato da Nico Ottaviani e Bianciardi, si
tratta soprattutto di statuti castrensi, giacché la morfologia del territorio, montuoso e collinare, quasi completamente privo di pianure, aveva favorito questo
tipo di insediamento135. Dal punto di vista geografico si registra una sorta di vuoto intorno a Spoleto, mentre gli statuti si infittiscono nella fascia montuosa ad est
e sud-est, e nella cosiddetta Normandia, la cinta di castelli compresa fra Spoleto
e Montefalco (Castagnola, Castel Ritaldi, Colle del Marchese, Giano, Macciano
e Morcicchia)136. Nico e Bianciardi includono nel novero i diversi frammenti
statutari delle Terre Arnolfe, che però in questa sede saranno considerati a parte,
giacché solo per brevi periodi le Terre Arnolfe furono soggette a Spoleto, mentre
assai più costante è la diretta soggezione alla Chiesa, come dimostra lo statuto
cinquecentesco di Cesi, cuore delle Terre Arnolfe, approvato dalla Camera Apostolica nel 1515 e in seguito da Clemente VII nel 1530137. Certamente il testo è
tardo, rispetto al periodo qui considerato, ma si ricordi che già Urbano IV nella
seconda metà del Duecento si era fermamente opposto all’occupazione delle Terre Arnolfe da parte di Spoleto.
Rispetto all’area spoletina e a qualsiasi altra area, va tenuto presente che per
tutto il basso medioevo e la prima età moderna le gravitazioni e dipendenze potevano variare nel tempo: era infatti possibile che nel giro di pochi anni un castello
passasse dall’una all’altra dominazione, per azioni di conquista o defezione. Uno
dei casi più emblematici è quello del castello di Cerreto, già sottomesso a Spoleto
nel 1296, per un breve periodo assoggettato a Norcia in nome della Chiesa, e a
più riprese soggetto ai Varano di Camerino138. Lo statuto di Cerreto del 1380,
134
135
136
137
138
Repertorio, pp. 329-330.
Ivi, pp. 320-321.
Cfr. P. Bianciardi-M.G. Nico Ottaviani, Il territorio di Spoleto, cit., p. 318.
Repertorio, p. 85.
P. Bianciardi-M.G. Nico Ottaviani, Il territorio di Spoleto, cit., pp. 326-327.
97
Stefania Zucchini
conservato in copia riformata del 1509, fu approvato dal vicario generale Luca
Marini nel 1381139.
Dieci anni prima, anche Colle del Marchese, sul versante opposto della valle
spoletina, aveva redatto un proprio statuto, per mano del notaio Angelo di ser
Cola di Castagnola, al tempo del vicario del castello ser Cola Jutii di Castagnola,
presumibilmente padre del notaio140. In questo secondo caso, quindi, il vicario
nominato nell’incipit dello statuto non è il vicario del Ducato, bensì il vicario,
o rettore, inviato da Spoleto: un intreccio di poteri non facile da sciogliere, reso
ancor più intricato dall’intervento su Spoleto di Egidio Albornoz, con il conseguente rafforzamento del dominio pontificio sulla città stessa 141.
Negli statuti di altri castelli della zona vengono invece richiamati i priori di
Spoleto, solido riferimento politico sino addirittura alla tarda età moderna: gli
statuti di Sellano del 1374, ad esempio, giunti in copia riformata e volgarizzata
del 1554, recano «aggiunte e riforme dal 1553 al 1704 e approvazioni dei Priori
di Spoleto dal 1554 al 1786»142. Ma anche gli statuti di Terzo San Severo (14441445), Caso (1460), Montefranco (1473-1474) e S. Anatolia di Narco riportano
le approvazioni dei priori di Spoleto, in taluni casi accompagnate da quelle dei
governatori o dei loro luogotenenti143.
Lo statuto di Spina del 1462 è l’unico a delineare con chiarezza una gerarchia
nella soggezione, con al vertice la Chiesa e il papa, poi il rettore, delegato locale
del potere pontificio, infine il comune e il popolo di Spoleto144.
Repertorio, p. 83; P. Bianciardi-M.G. Nico Ottaviani, Il territorio di Spoleto, cit., p. 327.
Tre comuni rurali e i loro statuti: Colle del Marchese, Castel San Giovanni, Castel Ritaldi, a
cura di G. Guerrini-M. Sensi, Perugia, Umbra cooperativa-Regione dell’Umbria, 1985, pp.
63-64. Su Cerreto cfr. anche A. Fabbi, Storia dei comuni della Valnerina, Abeto, presso l’autore,
1976, pp. 497-514.
141
Cfr. C. Regni, La rocca di Spoleto tra impegni finanziari e rappresentazione del potere, in Rocche e fortificazioni, cit., pp. 213-233.
142
Repertorio, p. 251. Su Sellano cfr. anche M.G. Nico Ottaviani, P. Bianciardi, L’Umbria tra
potere pontificio e autonomie locali: Perugia e Spoleto nella normativa due-trecentesca, in La libertà
di decidere. Realtà e parvenze di autonomia nella normativa locale del medioevo. Atti del convegno
nazionale di studi (Cento 6⁄ 7 maggio 1993), a cura di R. Dondarini, Cento (FE), Comune di
Cento-Assessorato alla Cultura, 1995, pp. 103-130: p. 121.
143
Cfr. P. Bianciardi-M.G. Nico Ottaviani, Il territorio di Spoleto, cit., p. 327; Repertorio, pp. 73,
185, 257, 271. In particolare, gli statuti di Terzo San Severo e Caso portano anche le approvazioni
dei governatori e luogotenenti, quelli di Montefranco e Sant’Anatolia di Narco solo dei priori.
144
Cfr. P. Bianciardi-M.G. Nico Ottaviani, Il territorio di Spoleto, cit., p. 327. Del tutto analogo
lo statuto di Gavelli del 1522, che principia con la collocazione del castello, nella Valnerina,
139
140
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Interazioni fra città e campagna nella normativa statutaria bassomedievale: l’Umbria
Da questo nucleo di statuti quattrocenteschi, sembrerebbe che nel XV secolo,
con la definizione di una più stabile struttura amministrativa dello Stato pontificio, si sia verificata una certa uniformità quanto ai riferimenti politici, ancora
assente nel secolo precedente. La proliferazione statutaria del XVI secolo certifica
il compimento di questo processo, nel quale lo statuto, di cui si dotarono ormai
anche i centri più piccoli, assunse «la funzione di efficace strumento di amministrazione periferica»145.
5. Orvieto e i suoi pivieri
La terza città “umbra” ad aver coltivato ambizioni territoriali è Orvieto. La
natura frammentaria della documentazione statutaria non permette di ricostruire l’evoluzione dei rapporti fra città e contado sul piano normativo almeno fino a
tutto il XV secolo146; questa assenza è in parte colmata da una ricca documentazione comunale, ampiamente sfruttata dalla storiografia147. Soprattutto su queste
basi, Daniel Waley, Elisabeth Carpentier e più recentemente Antonio Santilli
hanno ricostruito i tratti del territorio orvietano nella piena età comunale148.
distretto di Spoleto («Hec sunt statuta sive leges municipales communis et hominum Castri
Gavelli, vallis Narci, districtus Spoleti») e poco più avanti esplicita la soggezione alla Chiesa,
al Ducato e a Spoleto: «Igitur sub illa dictum castrum eiusque personas gubernare optantes
haec statuta hasque leges municipales compilamus […] ad honorem et exaltationem sacrosantae
Romane Ecclesie et sanctissimi domini nostri pape et rectoris Spoleti ducatus ac magnifici,
potentis et ecclesiastici patris nostri comunis Spoleti et ad pacificum et tranquillum statum
et bonum vivere hominum et personarum eiusdem castri Gavalli». Cfr. Statuto del Castello di
Gavelli, cit., pp. 52, 53.
145
P. Bianciardi-M.G. Nico Ottaviani, Il territorio di Spoleto, cit., p. 329.
146
Cfr. M.G. Nico Ottaviani, La Legislazione statutaria di Orvieto, in Storia di Orvieto, 2.
Medioevo, a cura di G.M. Della Fina, Perugia, Pacini Editore, 2007, pp. 35-40; il primo statuto
orvietano conservatosi nella sua interezza è lo statuto a stampa del 1571, descritto e analizzato
da Mario Ascheri, anche sotto il profilo dei rapporti con il territorio. Cfr. M. Ascheri, I diritti
degli Orvietani: dal Medioevo all’Età moderna, in Storia di Orvieto. Quattrocento e Cinquecento,
a cura di C. Benocci-G.M. Della Fina-C. Fratini, Perugia, Pacini Editore, 2007, I, pp. 37-64.
147
Cfr. M.G. Nico, Montegabbione un castello nel territorio di Orvieto, in Statuto di Montegabbione, a cura di M. Rossi Caponeri, Perugia, Deputazione di Storia patria per l’Umbria, 2012,
pp. IX-LXIII.
148
D. Waley, Orvieto medievale, storia politica di una città-stato italiana 1157-1334, Roma, Multigrafica editrice, 1985; E. Carpentier, Orvieto a la fin du XIIIe siecle. Ville et campagne dans le
Cataste de 1292, Paris, Éditions du CNRS, 1986; C. Regni, Il comune di Orvieto nel Medioevo
99
Stefania Zucchini
Attraverso le informazioni contenute nel famoso Liber factus de confinationibus
pleberiorum et terrarum comitatus civitatis urbevetane del 1278 e nel catasto del
1292, Waley e Carpentier hanno costruito mappe politico-amministrative del
territorio comunale149; Santilli, utilizzando anche altri documenti, sempre comunali, ha delineato uno schema piuttosto preciso, nel quale si distingue tra
contado e distretto: il primo sarebbe coinciso con quelle ville e quei castra direttamente controllati da Orvieto attraverso il sistema dei pivieri, consistenti in ampie
circoscrizioni territoriali con a capo un visconte inviato da Orvieto; nel secondo,
una fascia più esterna, Orvieto avrebbe avuto un controllo indiretto, frutto della
mediazione con potenti famiglie feudali e con borghi già organizzatisi in comune
prima della sottomissione alla città150.
Le varie ricostruzioni non tengono però forse in adeguata considerazione la
distorsione prospettica delle fonti comunali, fortemente influenzate da una visione urbanocentrica: un condizionamento che riguarda anche le fonti più tecniche,
apparentemente prive di una dimensione ideologica. Come ben evidenziato da
Francesconi, gli elenchi e i registri, così diffusi dalla seconda metà del Duecento,
non sono testimonianze asettiche, ma puntano a dare una precisa rappresentazione della realtà, descrivendo un modello di territorio, piuttosto che il territorio
stesso151.
Lo si comprende seguendo la storia delle singole comunità, spesso assai meno
lineare di quello che saremmo portati a pensare leggendo i documenti prodotti
dal comune.
(1157-1400), in Storia di Orvieto, cit., pp. 13-34; A. Santilli, Orvieto e il suo territorio all’epoca
di Bonifacio IX, in «Bollettino della Deputazione di storia patria per l’Umbria», CIV⁄1, 2007,
pp. 167-180.
149
D. Waley, Orvieto medievale, cit., appendice XI; E. Carpentier, Orvieto a la fin du XIIIe
siecle, cit., p. 62, carta n. 5: Pivieri et castra en 1278.
150
A. Santilli, Orvieto e il suo territorio, cit., pp. 169-170.
151
Cfr. G. Francesconi, Scrivere il contado. I linguaggi della costruzione territoriale cittadina
nell’Italia centrale, in I poteri territoriali in Italia centrale e nel Sud della Francia. Gerarchie,
istituzioni e linguaggi (secoli XII-XIV): un confronto / Les pouvoirs territoriaux en Italie centrale
et dans le Sud de la France. Hiérarchies, institutions et languages (12ème-14ème siècles): études
comparées, Seminario di studi italo-francese (Roma, Chambéry, Firenze, dicembre 2006-dicembre 2007), a cura di G. Castelnuovo-A. Zorzi, Rome, «Mélanges de l’Ecole française
de Rome», Moyen Âge, 123/2, 2011, pp. 499-529 https://journals.openedition.org/mefrm/636?lang=it.
100
Interazioni fra città e campagna nella normativa statutaria bassomedievale: l’Umbria
6. Orvieto, i Montemarte e i castelli di Monteleone e Montegabbione
Per affrontare il tema della complessità del contado orvietano si utilizzerà
come case study il rapporto tra Orvieto e i castelli di Monteleone e Montegabbione, per i quali si sono conservati statuti quattrocenteschi152.
I due castra sono compresi negli omonimi pivieri dalla fine del Duecento (dal
1278 Monteleone, dal 1292 Montegabbione), e rientrano quindi in quella cintura di territorio più stretta direttamente soggetta al comune di Orvieto attraverso
le figure dei visconti.
L’erudito Ferdinando Ughelli narra che sin dal 1339 Orvieto affidò la custodia dei due castra a Nerio di Nardo Bulgarelli153; stando ad Ughelli, la famiglia
mantenne il possesso dei castelli fino al 1378, anno in cui Francesco di Montemarte approfittò dell’adesione dei Bulgarelli al fronte fiorentino nella “Guerra degli Otto Santi” per strappargli i castelli di Monteleone e Montegabbione154. Una
missiva di Gregorio XI, nella quale il pontefice elogia i due castra per la fedeltà
dimostrata alla Chiesa e li esorta ad obbedire a Francesco conte di Corbara, della
famiglia di Montemarte, dimostra che la mossa del conte di Corbara fu se non
concertata con il pontefice certamente da lui avallata155. In quella che sembra una
risposta, anche se indiretta, inviata nel 1379 da Montegabbione ai signori Sette
di Orvieto, gli abitanti del castello si confermavano fedeli alla città e alla Chiesa
Romana e assicuravano la propria soggezione a Francesco di Montemarte. Le
152
Non ripercorro nel dettaglio le vicende dei due castelli, per le quali rimando ai saggi di Sergio Giovannini e Maria Grazia Nico: S. Giovannini, Le origini di Monteleone e le vicende storiche
tra il Duecento ed il Seicento, in Id., Lo statuto del castello di Monteleone del 1407 volgarizzato nel
1643, a cura di S. Giovannini, Perugia, Edizioni della Soprintendenza archivistica dell’Umbria
e delle Marche, 2015, pp. 15-38; M.G. Nico, Montegabbione, cit., p. XX-XXXVIII.
153
Cfr. M.G. Nico, Montegabbione, cit., p. XX; per il lignaggio signorile dei Bulgarelli, signori
di Parrano e conti di Marsciano, cfr. M.G. Nico Ottaviani, Statuti, territorio, cit., pp. 38-45; S.
Tiberini, I marchesi del Monte, i conti di Marsciano e i conti di Montemarte: le dinamiche politiche
nei rapporti con le città (secoli XII-XV), in Terre di confine, cit., pp. 369-392, in part. pp. 377-384,
con riferimenti bibliografici e documentari alla nota 25.
154
S. Tiberini, I marchesi del Monte, cit., p. 387.
155
Cfr. M.G. Nico, Montegabbione, cit., p. XXI. Su Francesco Montemarte, cfr. S. Tiberini,
Montemarte, Francesco, in Dizionario Biografico degli Italiani, Roma, Istituto della Enciclopedia
Italiana, 2012, 76, pp. 112-116, Montemarte, Francesco in “Dizionario Biografico” (treccani.it);
M. Fulconis, Francesco Montemarte (v. 1345–1400), l’ histoire familiale sous la plume d’un homme d’ épée, «Questes. Revue pluridisciplinaire d’études médiévales», 36, 2017, Francesco Montemarte (v. 1345–1400), l’histoire familiale sous la plume d’un homme d’épée (openedition.org)
101
Stefania Zucchini
due missive si collocano in un contesto politico assai teso: nel 1376 un violento
scontro aveva visto opporsi le due fazioni orvietane dei Muffati e dei Mercorini,
capeggiati rispettivamente dai Monaldeschi della Cervara e dai Montemarte. I
secondi, fedeli alleati del fronte pontificio, erano riusciti a resistere alle pressioni
dei Muffati appoggiati da Firenze, e a tenere la città. Due anni dopo però, con
l’apertura dello Scisma di Occidente, le ostilità erano riprese e questa volta avevano avuto la peggio i Mercorini, fedeli a Urbano VI. Nel 1380 i Mercorini, e
fra questi Francesco di Montemarte, furono costretti all’esilio, sconfitti e cacciati
dalla fazione opposta, che aveva appoggiato il papa di Avignone156.
Di conseguenza, se nel 1378 si trattava di confermare la propria fedeltà alla
Chiesa, e alla famiglia che ne rappresentava gli interessi in terra orvietana, l’anno
successivo la situazione era assai diversa: la fedeltà ai Montemarte, nuovamente
ribadita, comportava una precisa scelta di campo nello Scisma e anche all’interno della città. Il pathos e l’angoscia di una simile scelta – o situazione obbligata,
come facile immaginare – emerge chiaramente dalla missiva che i massari e il
consiglio del castello scrissero l’8 gennaio ai signori Sette di Orvieto: si sarebbero
mantenuti fedeli al conte Francesco della Corbara usque ad mortem157.
Anche un altro episodio, narrato nella Cronaca del Conte Francesco di Montemarte e Corbara158, acquisisce nuovi contorni alla luce del contesto politico generale: il Montemarte sostiene di aver affidato nel 1380 la custodia del castello
di Monteleone ai figli di Petruccio di Nerio Bulgarelli, che però non avrebbero
rispettato i patti, occupando quello che era stato loro temporaneamente concesso159. Montemarte cita la cacciata dei Mercorini dalla città, senza insistere
sulla propria condizione di esiliato. Dalla stessa cronaca è però evidente che la
concessione del castello e il successivo voltafaccia dei Bulgarelli si ricollegano alla
momentanea condizione di debolezza del Montemarte, che nel successivo decen-
S. Tiberini, Montemarte, Francesco, cit.
Cfr. M.G. Nico, Montegabbione, cit., p. XXI.
158
Per una nuova edizione della cronaca, cfr. Cronaca di Francesco di Corbara (1347-1400). La
memoria di una famiglia operante nell’Italia centrale del Trecento, a cura di S. Tiberini, con prefazione di M. Ascheri, Roma, Canterano (RM), Aracne Editrice, 2020.
159
Cronaca di Francesco di Corbara, cit., pp. 96-97. Cipriano Manenti anticipa questi avvenimenti al 1376, e vi comprende Montegabbione, con la riconquista dei due castelli operata da
Ugolino di Montemarte. Cfr. M.G. Nico, Montegabbione, cit., pp. XXII. Su Ugolino da Montemarte, cfr. S. Tiberini, Montemarte, Ugolino, in Dizionario Biografico degli Italiani, Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana, 2012, 76, https://www.treccani.it/enciclopedia/ugolino-montemarte_(Dizionario-Biografico).
156
157
102
Interazioni fra città e campagna nella normativa statutaria bassomedievale: l’Umbria
nio, fino alla cosiddetta pace di Orvieto del 1390, fu impegnato a contrastare da
fuoriuscito la fazione avversaria160. La situazione si rischiarò nel 1397, quando la
lunga fedeltà al papato romano portò i suoi frutti, con la concessione in feudo nobile dei castelli di Monteleone e Camporsendoli (nella diocesi di Chiusi) da parte
Bonifacio IX, in un momento in cui Orvieto si trovava forzatamente pacificata
sotto la signoria di Biordo Michelotti161.
Le vicende trecentesche dei due castelli dimostrano che la formale organizzazione del territorio in pivieri ebbe ben poco peso in una fase di profonde tensioni,
in cui lo stato di conflittualità interna tra le fazioni dei Muffati e dei Mercorini,
capeggiate da famiglie signorili con un forte potere anche nei castelli del contado, si andava ad intrecciare con la più generale instabilità provocata dallo Scisma
d’Occidente.
Intorno alla metà del Quattrocento, ricompattata la Chiesa d’Occidente
sotto un’unica obbedienza, si profilarono altri fattori di incertezza, legati all’affermazione di nuovi assetti territoriali. Nei casi specifici di Montegabbione e
Monteleone, agli attori del secolo precedente si aggiunsero i Monaldeschi e il
capitano di ventura Niccolò Piccinino. I primi erano stati protagonisti delle lotte intestine di Orvieto sin dal XIII secolo, arrivando a prevalere sugli acerrimi
nemici Filippeschi nel 1313; da una loro divisione in quattro rami erano nate
proprio le fazioni dei Muffati e dei Mercorini, protagoniste degli scontri di cui
si è fin qui detto162. Il Piccinino, dal canto suo, era erede sul campo di Braccio
Fortebracci. Nella tarda primavera del 1443, Piccinino aveva preso i due castelli
di Montegabbione e Monteleone, difesi da Ugolino di Montemarte, dal figlio
di quest’ultimo Niccolò e da Andrea Corsi. Nel settembre dello stesso anno,
nel palazzo apostolico di Orvieto furono sottoscritti alcuni capitoli fra Enrico
Monaldeschi, procuratore di Niccolò di Montemarte, e il cardinale Ludovico
Scarampi, camerario pontificio. I patti prevedevano che i due castelli tornassero
nel possesso dei Montemarte, insieme a Fabro e alla torre di Salci, persi negli anni
precedenti; in cambio i Montemarte giuravano fedeltà e obbedienza al papa e alla
Chiesa e si impegnavano a pagare un censo. Con la sottomissione al papa, Ugolino e famiglia sarebbero anche potuti rientrare in Orvieto. Il ritorno nelle mani
S. Tiberini, Montemarte, Francesco, cit.
Ibidem.
162
A. Santilli, I Monaldeschi di Orvieto tra la fine del Trecento e l’ inizio del Quattrocento, in Famiglie nella Tuscia tardomedievale. Per una storia, a cura di A. Pontecorvi-A. Zuppante, Viterbo,
Centro di Studi per il Patrimonio di S. Pietro in Tuscia, 2011, pp. 195-205.
160
161
103
Stefania Zucchini
dei Montemarte dei due castelli fu confermato da Niccolò V, Callisto III e infine
da Pio II. Non è chiaro se il Piccinino, richiamato da Filippo Maria Visconti a
Milano nello stesso 1443163, avesse agito per conto della Chiesa; sta di fatto che
i due castelli furono utilizzati come contropartita della formale soggezione alla
Chiesa da parte di una feudalità evidentemente riottosa.
Il colpo definitivo alla signoria dei Montemarte fu inferto da Sisto IV nel
1478, quando il pontefice concesse l’investitura dei castelli al nipote Bartolomeo
della Rovere, approfittando del vuoto dinastico che aveva seguito la morte di
tutti i figli di Ugolino. Il dominio di Bartolomeo fu assai breve, giacché appena
due anni dopo vendette i due castelli al comune di Orvieto. In seguito, la nipote
di Ugolino Montemarte, Manfilia, appoggiata dal marito Bandino Bandini, provò a contestare la legittimità della vendita, ma invano: nel 1497 i diritti sui due
castelli furono confermati alla città di Orvieto164.
In sintesi, bisogna arrivare alle soglie del Cinquecento perché i due castelli
appartengano effettivamente al comune di Orvieto, dietro un vero e proprio atto
d’acquisto. Nei tre secoli precedenti, invece, l’unica costante per Monteleone e
Montegabbione è rappresentata dal legame con la dinastia dei Montemarte, protagonista a un tempo della politica interna cittadina, fautrice e sostenitrice del
potere pontificio e poi del papato romano, alleata di casate affini: una situazione
quindi assai più complessa di quanto appaia dai soli documenti comunali, i quali
al contrario tendono ad evidenziare la forza dell’istituzione, omettendo i numerosi rovesciamenti interni e i condizionamenti esterni. Non si tratta neanche di
una opposizione fra la realtà cittadina e le casate signorili del contado, giacché nel
caso di Orvieto questa distinzione, se mai esistita, venne presto meno.
Ridimensionare il livello di compattezza e di organizzazione del contado orvietano non significa sminuire il significato e la portata delle iniziative comunali; anzi, in un certo senso ne valorizza la dimensione programmatica, giacché
proprio una ricostruzione a tutto campo, dalla quale emergono le tensioni e la
pluralità di forze in gioco, fornisce maggiori strumenti per comprendere il valore
illocutivo dei testi normativi. In questa prospettiva andrà considerato l’incipit
degli statuta et ordinamenta di Monteleone del 1407, redatti da sei statutarii, in-
163
Cfr. S. Ferente, Piccinino, Niccolò, in Dizionario Biografico degli Italiani, Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana, 2015, 83, https://www.treccani.it/enciclopedia/niccolo-piccinino_%28Dizionario-Biografico%29.
164
M.G. Nico, Montegabbione, cit., pp. XXV-XXIX.
104
Interazioni fra città e campagna nella normativa statutaria bassomedievale: l’Umbria
caricati «per adunantiam hominum et personarum comunis castri». Nessuno dei
sei sapientes et pudentes viri è giurista o notaio165, circostanza che non sorprende
in una comunità rurale, presumibilmente esigua; la loro elezione è confermata
da ser Nerus Simonis de Sensorio, vicario del comune di Monteleone, «de consensu, licentia et voluntate magnificorum et potentium dominorum dominorum
Conservatorum pacis civitatis urbevetanae ac sotiorum consilii generalis dicte
civitatis ac spectabilium correctorum dominorum naturalium dicti castri Montis
Leonis»166. I Montemarte, ai quali castello è stato concesso in feudo nobile da
Bonifacio IX nel 1397167 non sono affatto nominati: gli unici accenni a un dominato signorile sono rintracciabili nei domini naturales dell’introduzione appena
citata e nel capitolo 74 del III libro, nel quale si prevede che le entrate provenienti
dalle ammende comminate per delitti e danni dati vadano alla camera dei signori
se superano la cifra di cento lire, e rimangano invece al comune qualora siano
inferiori alle 20 lire, facendo salve le quote spettanti agli accusatori e al vicario del
castello168. Quest’ultimo, in carica per sei mesi con mansioni assai simili a quelle
di un podestà cittadino, è il vero protagonista dello statuto. Valutando quindi
solo il testo normativo, senza avere contezza del contesto in cui viene prodotto,
verrebbe da pensare che nel primo Quattrocento la comunità di Monteleone, appartenente al contado di Orvieto e soggetta alla città, sia guidata da un governo
di tipo comunale, con a capo un vicario (non è specificato se di origine locale o
meno), dotato di ampie prerogative, in particolare in ambito giudiziario169. Eventuali signori sono nominati solo fuggevolmente e senza alcun riferimento a una
specifica casata. Eppure, sappiamo quanto fosse invece forte il vincolo del castello con la casata dei Montemarte, quei signori “naturali” ai quali si allude appena
nello statuto; e anche quali fossero le difficoltà affrontate dalla stessa Orvieto,
I nomi degli statutari non sono preceduti da alcuna qualifica o titolo, mentre in un caso è anteposto al patronimico il titolo di magister. Cfr. Lo statuto del castello di Monteleone, cit., p. 123.
166
Lo statuto del castello di Monteleone, cit., p. 123. Il preambolo da cui è tratta la citazione non
si conserva nel codice statutario, risalente al XVII secolo, ma è desunto da un documento del
1407 e da due atti notarili nei quali sono trascritte alcune parti del primo e del secondo capitolo
del I libro dello statuto. Ivi, pp. 108-109.
167
Tiberini ascrive la concessione al 1397, Giovannini al 1398. Cfr. S. Tiberini, Montemarte,
Francesco, cit.; S. Giovannini, Le origini di Monteleone e le vicende storiche tra il Duecento ed il
Seicento, in Lo statuto del castello di Monteleone, cit., pp. 15-38: p. 30.
168
Lo statuto del castello di Monteleone, cit., p. 193.
169
Il vicario compare in ben 27 capitoli dello Statuto. Cfr. Lo statuto del castello di Monteleone,
cit., pp. 337-338.
165
105
Stefania Zucchini
ancora all’epoca contesa fra papa e antipapa170. Niente di tutto questo traspare
dallo statuto di Monteleone.
Nel 1485 anche Montegabbione emana un proprio testo statutario, assai vicino a quello di Monteleone, che probabilmente funzionò da modello. In apparenza, i due castelli si trovano in una posizione del tutto analoga, sia dal punto
di vista politico sia sul piano amministrativo; l’unica evidente differenza sembra
rappresentata dalla sostituzione del vicario con un podestà, eletto dai Conservatori della pace di Orvieto fra i cittadini. Se si analizza però il testo più nel dettaglio, emergono piccole differenze, in realtà estremamente significative. In primo
luogo, accanto agli statutari compaiono consiliarii et defensores, ma soprattutto
sparisce nel preambolo ogni riferimento ai domini naturales: lo statuto è emanato
«de consensu et voluntate magnificorum et potentium [magnificorum] Conservatorum p[acis] [civi]tatis Urbisveteris et totius consilii generalis [dicte] civitatis
ac spe[ctabilium] correctorum [eiusd]em civitatis»171. E anche quando, proprio
nel capitolo sull’elezione del podestà, si parla di domini naturales, si specifica
prontamente che si tratta proprio dei cives di Orvieto172. In effetti, come detto, a
questa data il castello di Montegabbione è entrato a far parte dei possessi comunali, essendo stato acquistato dal comune nel 1480.
Altrettanto complesse sono le situazioni sottese agli statuti degli altri castelli
del comprensorio orvietano, che meriterebbero anch’essi di essere analizzati singolarmente. Già da una prima ricognizione, emerge infatti che nei singoli statuti
si mescolano in diversa misura analogie e specificità. Da un lato sono evidenti
i prestiti, dovuti come noto alla circolazione delle corti podestarili, ma a volte
anche a motivazioni di tipo “familiare” – come nei casi di Monterubuaglio e
Viceno, soggetti alla stessa casata signorile –173; dall’altro ogni testo reca traccia,
più o meno evidente, di una sovrapposizione di poteri, che in taluni casi conducono ad esiti che esulano da qualsivoglia modello: si pensi ai castelli di Prodo,
Sala e Benano, ceduti rispettivamente da esponenti delle famiglie Monaldeschi,
Prodenzani e Vitelleschi alla Fabrica del Duomo di Orvieto, «per favorire l’incremento patrimoniale dell’istituzione e così l’avanzamento dell’impresa della cat-
S. Giovannini, Le origini di Monteleone, cit., pp. 30-31.
M. Rossi Caponeri, Statuto di Montegabbione, cit., p. 7.
172
Ivi, p. 8.
173
C. Urbani-S. Zucchini, Saggio introduttivo, in Statuto di Allerona del 1585, ed. di R. Abbondanza, Perugia, Comune di Allerona-Deputazione di Storia patria per l’Umbria, 2010, pp.
XIII-XLVI: pp. XLI-XLII.
170
171
106
Interazioni fra città e campagna nella normativa statutaria bassomedievale: l’Umbria
tedrale»174. Con il passaggio della proprietà si trasferiscono anche i diritti giurisdizionali, tanto che tutti e tre gli statuti, redatti nel corso del XVI secolo, fanno
esplicito riferimento ai camerlenghi della Fabrica del Duomo175.
7. Dalla città per la città: quando il governo urbano fatica a proiettarsi nel contado. I casi di Todi e Amelia
Una delle caratteristiche del territorio compreso fra Ducato e Tuscia è la
presenza di un gran numero di piccole e medie città. Fra queste, Assisi, Gubbio
e Todi emanano propri codici normativi già nel corso del Duecento. Sugli statuti delle prime due poco si può dire, giacché sono quasi completamente andati
perduti: si conservano un solo capitolo per Assisi, relativo alla dote («Quod
nulla mulier dotata possit nec debeat recurrere ad bona paterna vel materna,
vel testamentum facere etc.»176 e pochi altri per Gubbio, provenienti da quattro
redazioni diverse. Il primo è del 1253 e riguarda la locazione di terre, un altro
del 1265 proviene dal libro dei malefici, il terzo del 1266 riguarda la prerogativa del podestà di comminare bandi entro certi termini e contiene disposizioni
per i proprietari di edifici i cui ingressi (androni) insistano su una pubblica
piazza, infine un quarto frammento proviene non dagli statuti ma dalle riformanze e tratta l’imposizione di alcuni dazi sul castello di Pergola nel 1287177.
L’unico riferimento al territorio non è quindi nello statuto ma nell’estratto di
un verbale consiliare.
Todi invece tramanda per intero un testo statutario prodotto nel XIII secolo:
il Costitutum communis Tuderti del 1275178. Giuliano Milani ricorda che lo statuto fu emanato in seguito alla pacificazione tra guelfi e ghibellini, sancita dal
podestà e capitano Giacomo di Napoleone Orsini, chiamato a risolvere i dissidi
M.G. Nico, Montegabbione, cit., pp. XXXVI-XXXVII (la citazione è tratta da p. XXXIV).
Ivi, p. XXXVII.
176
Inventario e regesti, cit., p. 84 n. 183.
177
Frammenti degli statuti comunali di Gubbio. Anni 1253, 1265, 1266, 1287, in Regesto delle
pergamene della Sperelliana di Gubbio, a cura di P. Cenci, in «Bollettino della Società Umbra di
Storia Patria», XXV, 1922, pp. 24, 35, 38, 50.
178
Statuto di Todi, cit. Per una panoramica degli statuti tudertini, cfr. M.G. Nico Ottaviani,
Todi e i suoi statuti (secoli XIII-XIV), in Todi nel Medioevo (secoli VI-XIV). Atti del XLVI Convegno storico internazionale (Todi, 10-15 ottobre 2009), Spoleto, CISAM, 2010, II, pp. 717-741.
174
175
107
Stefania Zucchini
interni ma anche ad appianare il rapporto fra Todi e il rettore del Patrimonio179.
Il 1275 è quindi un anno dal profondo significato simbolico per la città, giacché
rappresenta la fine di un’epoca di discordia e l’inizio di un governo cittadino
bipartitico, il famoso “paradigma” tudertino che ispirerà, quasi un secolo dopo,
il giurista Bartolo da Sassoferrato per uno dei suoi più celebri trattati politici: il
De Guelphis et Gebellinis180.
I 139 capitoli dello statuto del 1275 delineano il profilo di una città quasi
completamente concentrata su dinamiche e spazi intramurari, occupata a superare il conflitto tra fazioni, con specifici capitoli sulla pace, sul rientro dei fuoriusciti e sulla conseguente riorganizzazione cittadina181; un’attenzione particolare è
riservata alla documentazione, alla sua conservazione, ai notai e alle stesse procedure di redazione e promulgazione dello statuto182. Il territorio è invece visto con
occhio distratto e richiami generici: in più occasioni sono nominati il comitatus
e la iurisdictio di Todi183, mai però con disposizioni che testimonino il tentativo
di un’organizzazione periferica di tipo politico-istituzionale. Fanno eccezione le
norme, assai dettagliate, che riguardano in senso lato la gestione delle acque:
ponti, costruzioni sulle rive, mulini, naves, punti di attracco e pesca184. È evidente che non sfugge alla città l’importanza del Tevere e delle fertili aree di pianura,
come risorse sul piano alimentare, ma anche il ruolo del fiume nel complesso
sistema di comunicazione rappresentato da vie terrestri e fluviali. Emblematico a
questo riguardo il capitolo 41 della seconda parte del Costitutum, De portu Mor-
179
G. Milani, Podestà, popolo e parti a Todi tra Due e Trecento: per una revisione del “paradigma
tudertino”, in Todi nel Medioevo, cit., I, pp. 351-376: p. 358.
180
Cfr. J.-C. Maire Vigueur, Échec au podestat: l’espulsion de Comacio Galluzzi podestat de Todi
(17 julliet 1268), in «Bollettino della Deputazione di Storia Patria per l'Umbria», XCII, 1995,
pp. 5-41; il trattato di Bartolo da Sassoferrato è edito in D. Quaglioni, Politica e diritto nel
Trecento italiano: il De Tyranno di Bartolo da Sassoferrato con l’edizione critica dei trattati De
Guelphis et Gebellinis, De regimine civitatis e De tyranno, Firenze, L.S. Olschki, 1983.
181
Statuto di Todi, cit., p. 30 (cap. 33), p. 31 (cap. 34), pp. 32-33 (cap. 35 e 36), p. 115 (cap.
104).
182
Ivi, p. 25 (cap. 24), p. 26 (cap. 25-27), p. 27 (cap. 28), p. 28 (cap. 30), p. 57 (cap. 84), p. 84
(cap. 47), p. 112 (cap. 98).
183
Si veda ad esempio il cap. 32 della seconda parte del Costituto, De eo qui habuerit possessionem extra iurisdictionem Tuderti, nel quale si stabilisce che il podestà difenda a spese del comune
i diritti di quei cittadini e comitatini che abbiano possedimenti fuori dalla giurisdizione del
comune di Todi qualora subiscano una qualche iniuria o molestia. Ivi, II, p. 77 (cap. 32).
184
Ivi, I, p. 37 (cap. 43), p. 38 (cap. 45), pp. 43-44 (cap. 57-58), p. 56 (cap. 81), p. 58 (cap. 85),
p. 60 (cap. 88 e 91); II, p. 74 (cap. 22), p. 81 (cap. 41), p. 83 (cap. 44), p. 103 (cap. 83).
108
Interazioni fra città e campagna nella normativa statutaria bassomedievale: l’Umbria
ticij et filiorum Çachei, nel quale si impedisce a chiunque di imporre dazi per l’attraversamento del fiume, in qualunque località, e si fissano nel dettaglio i criteri
per la costruzione di quattro naves, affidate a otto uomini, nominati uno ad uno,
tenuti a gestire l’attraversamento del fiume di cittadini e comitatini, con e senza
bestie, in cambio dell’esenzione da tasse e collette e di un compenso in frumento
concesso dagli uomini della pieve di San Bartolomeo de Tevellaria185. Il meccanismo previsto dal comune per la gestione delle naves, che comprende agevolazioni
fiscali e coinvolge le comunità del contado, è del tutto analogo a quelli attuati
da Perugia per opere di costruzione o manutenzione realizzate nel contado186. A
Todi come a Perugia, la produzione legislativa del tardo Duecento mostra quindi
un rapporto con il territorio di tipo fiscale ed economico, nel quale solo assai di
rado sono esplicitate dinamiche propriamente politiche.
Come Todi, anche Amelia risente di tensioni interne e di rapporti a tratti
conflittuali con il governo pontificio187. Negli anni centrali del Trecento il governo amerino produce tre corpora normativi: due statuti del Popolo, uno del 1330
e uno del 1346, e gli Ordinamenta consilii Populi del 1331188.
Amelia aveva ottenuto il privilegio di emanare i propri statuti da Bonifacio
VIII nel 1294189; l’attività legislativa dell’inizio degli anni Trenta seguì una riconciliazione fra gli Amerini e Giovanni XXII, dopo lo stato di tensione generato dalla sommossa antipontificia a favore di Ludovico il Bavaro, alla quale il
papa aveva risposto con la scomunica dei rivoltosi e l’interdetto della città tutta;
proprio nel 1330 l’inquisitore francescano Bartolino di Giovannello di Perugia,
chiamato a giudicare il caso, aveva pronunciato una sentenza di riabilitazione. Gli
statuti del Popolo si inseriscono quindi in un’opera complessiva di ridefinizione
dei rapporti politici della città, oltre che in una fase economica particolarmente
positiva, con una generale espansione del commercio e dell’artigianato, sebbene
Ivi, II, pp. (81-82), cap. 41. Sui fiumi Tevere e Nestore come vie di comunicazione, cfr. M.G.
Nico Ottaviani, Statuti, territorio e acque, cit., pp. 55-66.
186
Ivi, pp. 70-78.
187
Cfr. Statutum Populi civitatis Amelie anno 1330, a cura di L. Andreani-R. Nanni, e Statutum
Populi civitatis Amelie anno 1346, a cura di L. Andreani-R. Civili-R. Nanni, in Amelia e i suoi
statuti medievali, a cura di E. Menestò-L. Andreani-R. Civili-R. Nanni, Spoleto, Centro italiano di studi per l’alto medioevo, 2004, rispettivamente pp. 367-528 e pp. 551-70.
188
Per i due statuti si veda sopra, nota 19, per gli Ordinamenta, cfr. Ordinamenta consilii Populi
civitatis Amelie anno 1331, a cura di L. Andreani, in Amelia e i suoi statuti, cit., pp. 529-550.
189
G. Ermini, La libertà comunale, cit., p. 115; R. Civili, La legislazione statutaria nello Stato
pontificio, in Amelia e i suoi statuti, cit., pp. 233-250: p. 241.
185
109
Stefania Zucchini
all’interno dei confini cittadini190. Lo statuto del 1330 è acefalo, manca quindi
il preambolo, ma sono andati perduti anche tutto il I libro e parte del II191. Di
conseguenza, i capitoli destinati agli uffici, materia di solito trattata proprio nei
primi libri statutari, sono appena 19. Seguono il Liber civilium, l’assai corposo
Liber criminalium e il Liber extraordinariorum; è inserita anche una parte dedicata specificatamente al territorio, intitolata Liber pontium, castrorum, viarum et
fontium, le cui disposizioni riguardano però quasi esclusivamente ponti, fonti e
strade, segno che manca completamente una progettazione sul piano politico e
amministrativo. Nonostante il titolo faccia riferimento ai castra, sono infatti solo
tre i capitoli ad essi dedicati: sulla ricostruzione del castello di Scalcinatoli, sulla
sistemazione del castello di Macli e infine sulla muratura del borgo di Monte
Campano192.
Lo statuto mira a legittimare il Popolo come forza di governo, ribadendo la
supremazia della normativa popolare su quella comunale193; a livello istituzionale, si insiste sulle magistrature degli anziani del Popolo e del guardianus, eletto
dagli stessi Anziani e dal consiglio del Popolo: spetta agli Anziani del Popolo la
facoltà di bando da Amelia, e sempre agli Anziani sono affidate le chiavi delle
porte cittadine, mentre il guardianus custodisce e mantiene il buono stato della
città194. Si arriva anche a prevedere che il guardiano possa avere le funzioni del
podestà, qualora la carica sia vacante. A tal riguardo gli statutari non possono
però evitare di aggiungere che spetta al Sacer Romanus Populus di nominare un
rettore195, riferimento inevitabile, vista la soggezione della città a Roma196.
A differenza di altri statuti popolari, emanati da città dotate di ampie libertates, su entrambi i testi amerini aleggia il peso della soggezione a Roma e al
pontefice, condizione che probabilmente influenzò anche i rapporti con i centri
del territorio.
Per un inquadramento storico di Amelia in epoca bassomedievale, cfr. G. Pardi, Relazioni
di Amelia con il Comune di Roma e i nobili romani, in «Bollettino della Società umbra di Storia
Patria», I, 1895, pp. 579-588; O. Scalvanti, I ghibellini di Amelia e Lodovico il Bavaro, in «Bollettino della R. Deputazione di storia patria per l’Umbria», XII, 1906, pp. 235-265; R. Nanni,
Amelia nel basso medioevo, in Amelia e i suoi statuti, cit., pp. 3-41: p. 21.
191
L. Andreani, Per una morfologia, cit., p. 255; Statutum Populi…1330, cit., p. 285.
192
Statutum Populi…1330, cit., pp. 301-312.
193
L. Andreani, Per una morfologia, cit., pp. 259-260.
194
Statutum Populi…1330, cit., pp. 369, 372-373 (cap. 1).
195
Ivi, p. 374 (cap. 8).
196
R. Nanni, Amelia, cit., p. 7.
190
110
Interazioni fra città e campagna nella normativa statutaria bassomedievale: l’Umbria
Nell’introduzione all’edizione dello statuto del 1330, Laura Andreani ricorda che alcune annotazioni vergate sul testimone più antico rimandano alla salvaguardia delle Costituzioni del Patrimonio e sembrano quindi ascrivibili alla
supervisione del giudice della curia rettorale197. Si è parlato già, a proposito di
Spoleto, dell’opera legislativa del legato papale Bertand de Deux: a differenza
delle costituzioni per il ducato, quelle destinate al Patrimonio sono andate perdute, ma è presumibile – scrive Andreani – che contenessero l’obbligo di revisione
statutaria da parte della curia del Patrimonio, come dimostrano i tre istrumenti
di ratifica degli anni 1338, 1339 e 1340, rilasciati dai giudici della Curia del
Patrimonio198.
Nel preambolo degli statuti popolari del 1346 è esplicitata la dipendenza
politica di Amelia dalla Chiesa di Roma, con riferimento al papa Clemente VI,
al collegio dei cardinali, al senato e al popolo romano199. Anche nel 1346 è stabilita la preminenza degli statuti del Popolo su quelli del comune e si conferma la
centralità della magistratura degli Anziani200.
Le rubriche sul contado si contano sulla punta delle dita: per la maggior parte
si tratta di capitoli relativi al vettovagliamento o ai lavori agricoli201; solo due riguardano nello specifico i castelli: la prima stabilisce che i possessori della «domus
seu palatium olim Vitalis de Canale» siano tenuti a vendere al comune al prezzo
d’acquisto202; nella seconda troviamo invece testimonianza dell’affrancamento dal
servaggio per motivi fiscali. Si prevede infatti che gli uomini di Canale, Lacuscello
Si tratta di note relative proprio a due capitoli sul territorio, e in particolare alle pene previste
per quei castelli che non provvedono alla cattura dei banditi o dei malfattori; le disposizioni
sono considerate applicabili salve le pene imposte dalle Costituzioni del Patrimonio. Cfr. L.
Andreani, Per una morfologia, cit., p. 272.
198
Ivi, p. 273.
199
Statutum Populi…1346, cit., p. 553.
200
Si vieta al podestà e ai suoi ufficiali di «constringere» gli anziani; qualora il podestà dovesse
infrangere il divieto sarà multato e considerato automaticamente decaduto «et, quando placuerit
ançianis et X vel maiori parte ipsorum, mictatur ad Sacrum Romanum Populum et Senatores
mictant novum potestatem» (cap. 30). Nella lunghissima rubrica De officio potestatis et eius
officialium sono stabiliti tutti i suoi limiti, più che le sue prerogative, così come nelle successive
rubriche relative alla convocazione dei consigli, che il podestà non può predisporre senza il permesso degli anziani, e alla custodia dei detenuti (cap. 30 e capp. 38-39). Ivi, pp. 554-565 (capp.
1-7, 9-14), 568-569 (capp. 19-22), 571-573 (cap. 26-28), 574-575 (cap. 30), 579-581 (capp. 33 e
38), 621-622 (capp. 111-112), 624-625 (capp. 117-118).
201
Per il rubricario dello statuto del 1346, cfr. ivi, pp. 324-334.
202
Ivi, p. 583 (cap. 42).
197
111
Stefania Zucchini
o di qualsiasi altra parte del distretto di Amelia, che in passato erano soliti pagare
dative e collette alla città, qualora siano stati fatti «vassaldi alicuius nobilis», debbano essere affrancati dal podestà e dagli anziani del Popolo e riportati al pristino
stato, «in vera libertate», ossia in condizione di pagare le tasse al comune203.
Ancora una volta, lo statuto cittadino non nomina direttamente i nobili a
cui si riferisce: si tratta probabilmente degli Annibaldi di Roma, che nel 1360
vendettero il castello di Canale non al comune bensì alla famiglia todina dei
Chiaravalle204. Circa un secolo dopo, nel 1463, il castello fu ancora conteso da
Amelia e Todi e i Chiaravalle alla fine si convinsero a cedere i castelli di Canale,
Frattuciola, Colcello e Lacuscello – già nominato nello statuto amerino del 1346
– al pontefice Pio II, ottenendo in cambio Casa Olivieri, Casale e l’esenzione da
ogni tipo di dazio205. Nel 1464 il papa ordinò al castellano della rocca di Narni
di demolire i castelli in questione e di vendere le relative terre al comune di Todi
e a quello di Amelia. Ne sorse una lite fra Amerini, Todini ed esponenti dei
Chiaravalle, che si concluse con l’acquisizione di Canale da parte di Todi e di
Lacuscello da parte di Amelia 206.
Canale conserva uno statuto redatto nel 1454, quando ancora il castello apparteneva alla famiglia todina dei Chiaravalle. Nel preambolo del testo statutario, si riconosce la soggezione politica al pontefice e al rettore della provincia
del Patrimonio, ma si fa anche riferimento al comune di Terni e soprattutto ai
signori del castello: Brunamonte, Guglielmo, messer Leone e Stefano Chiaravalle
di Todi. Sono i signori a chiedere la redazione degli statuti, i quali saranno poi
sottoposti a conferma della Chiesa e del rettore. Il notaio incaricato di vergare il
testo statutario è Mariotto di Giacomo di Terni, circostanza che potrebbe confermare la gravitazione del castello in area ternana 207.
La storia di Canale, così come quella dei tanti altri castelli di cui si è parlato,
testimonia l’intreccio di poteri e di relazioni che coinvolgono di volta in volta il
Ivi, p. 661 (cap. 180).
Statuto di Canale, cit., p. 13.
205
Ivi, p. 14.
206
Con la perdita del castello di Canale i Chiaravalle non scompaiono di scena, tanto che nel
1500 ritroviamo ancora Altobello di Matteo Chiaravalle opporsi a un esercito inviato congiuntamente da papa Alessandro VI e da Lucrezia Borgia, duchessa di Spoleto. Estintosi il ramo
todino dei Chiaravalle con Altobello, la famiglia continuò con i conti di Canale di Terni e i
marchesi di Canale di Rieti. Ivi, pp. 14-16.
207
Ivi, p. 121 (cap. I).
203
204
112
Interazioni fra città e campagna nella normativa statutaria bassomedievale: l’Umbria
pontefice, i comuni urbani, le famiglie nobiliari, non di rado come i Montemarte
o i Chiaravalle, attive sia in città sia nel territorio, e le comunità rurali.
8. Il caso folignate: signoria cittadina e territorio
Salendo per la Valle umbra, Foligno rappresenta un altro modello ancora
rispetto a quelli sin qui analizzati: in questo caso non è il potere pontificio e romano a frenare l’espansionismo comunale, ma la stessa città, che volge ben presto
verso un regime di tipo signorile. Sin dalla seconda metà del Duecento Foligno
vede l’ascesa della famiglia Trinci, che nel XIV secolo istituirà uno dei pochi
domini signorili cittadini dell’area 208.
Nel 1305, con l’aiuto dei Perugini, Nallo Trinci prese il potere in città, assumendo la carica di gonfaloniere di giustizia e capitano del popolo; come scrive
Jean Baptiste Delzant, nei decenni successivi gli esponenti del casato assunsero le principali cariche cittadine (podestà, capitano del popolo, gonfaloniere di
giustizia) con regolarità anche se non in modo continuo, mentre la famiglia si
assicurava anche le principali cariche ecclesiastiche cittadine, giacché vescovo e
priore del duomo facevano quasi sempre parte dell’ambito familiare. Infine, nel
1367 Trincia II, che era stato a fianco dell’Albornoz durante la sua seconda legazione nello Stato pontificio, ottenne il vicariato apostolico in temporalibus, ossia
la legittimazione pontificia alla signoria sulla città 209.
Gli Statuti comunali e i successivi Statuti del Popolo risalgono alla prima
metà del XIV secolo e testimoniano l’interazione fra istituzioni cittadine e dominio signorile. Con gli statuti del Popolo, si instaura, scrive Delzant, «un sistema
208
Sull’ascesa dei Trinci, cfr. J.C. Maire Vigueur, Comuni e Signorie in Umbria, Marche e Lazio,
Torino, UTET, 1987, pp. 170, 238, 253; M. Sensi, I Trinci, in Signorie in Umbria tra medioevo e
rinascimento: l’esperienza dei Trinci. Atti del congresso (Foligno, 10-13 dicembre 1986), Perugia,
Deputazione di Storia Patria per l’Umbria, 1989, pp. 171-238; Id., La signoria dei Trinci: ascesa
di una famiglia, in Il Palazzo Trinci di Foligno, Perugia, Quattroemme, 2001, pp. 3-28; S. Nessi,
I Trinci Signori di Foligno, Foligno, Ed. Orfini Numeister, 2006; A. Zorzi, Le signorie cittadine
in Italia (XIII-XIV), Milano-Torino, Pearson Italia, 2010, p. 50, J.B. Delzant, Trinci, in Dizionario Biografico degli Italiani, Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana, 2019, 96, https://
www.treccani.it/enciclopedia/trinci_%28Dizionario-Biografico%29.
209
Cfr. J.B. Delzant, Trinci, cit.; sul ruolo della legittimazione pontificia oppure imperiale nella
affermazione dei domini signorili, cfr. A. Zorzi, Le signorie cittadine in Italia (secoli XIII-XV),
Milano, Bruno Mondadori, 2010.
113
Stefania Zucchini
di cogestione della città e di collaborazione tra le istituzioni collegiali del Popolo,
la vera forza politica-sociale, e il gonfaloniere di giustizia, che di per sé già si
qualificava come un quasi signore nelle sue vesti di praesul populi». Allo stesso
tempo, si verifica una vera e propria rottura istituzionale, dal momento che gli
stessi Statuti del Popolo prevedono la trasmissione di diritto della carica di gonfaloniere a un membro della famiglia Trinci210. Non c’è quindi opposizione tra
governo comunale e dominio signorile, ma al contrario una sorta di continuità e
compenetrazione211. Nei rapporti con il territorio, però, la differenza con i comuni di Popolo coevi, a partire da Perugia e Spoleto, è molto evidente. Entrambi gli
statuti comunali sono quasi del tutto privi di disposizioni relative al contado che
non riguardino attività agricole, infrastrutture o gestione delle acque.
Negli statuti del comune sono solo quattro le rubriche dedicate in maniera
specifica a località del contado: due, di cui rimane solo il titolo, prevedono disposizioni sull’elezione del castellano di Verchiano (Pars I, rub. xlv e xlvi), una
sui confini dei beni comunali in Montarone (Pars I, rub. liiii), un’altra sulla necessità che i Folignati residenti tra Pale e Ponte Centesimo fino al fiume Timia
abbiano effettivamente una casa dentro la cerchia muraria di Foligno (Pars I, rub.
lviiii)212. Più ricchi gli Statuti del Popolo, ma anche in questo caso le norme riguardano in prevalenza attività agricole, infrastrutture, gestione dei corsi d’acqua
e degli ambienti palustri213; per il resto, non si può parlare di una progettualità
politico-amministrativa, vista la completa assenza di magistrature destinate al
contado, o anche solo di un controllo sul piano fiscale, quanto piuttosto di interventi mirati su castelli situati nella fascia compresa tra Foligno e l’Appennino
Statuta communis Fulginei, II. Statutum Populi, rub. 188, pp. 235-238; J.B. Delzant, Trinci, cit.
211
Sulla continuità tra governi comunali e regimi signorili cittadini, cfr. A. Zorzi, Le signorie,
cit.
212
Statuta communis Fulginei, I. Statutum Communis Fulginei, pp. 39-40 (Pars I, rub. xlv e
xlvi), pp. 42-44 (Pars I, rub. liiii), pp. 47-48 (Pars I, rub. lviiii). Il Verchiado del titolo della rubrica XLV è chiaramente un errore per Verchiano, di cui si parla alla rub. XLVI: le due rubriche
sono infatti collegate tra loro, giacché la prima riguarda l’elezione del castellano e la seconda i
suoi fideiussori.
213
Statuta communis Fulginei, a cura di A. Messini-F. Baldaccini, Perugia, Deputazione di Storia patria per l’Umbria, 1969, II. Statutum Populi, pp. 46-50 (rubb. 26, 28), p. 62 (rub. 44), pp.
67-71 (rub. 50), p. 76 (rub. 55), pp. 79-81 (rub. 61), pp. 86-88 (rub. 64), pp. 97-100 (rub. 73), p.
114 (rub. 86), p. 123 (rub. 98), p. 149-150 (rub. 122), pp. 158-162 (rubb. 130-131), p. 198-199
(rub. 155), pp. 202-203 (rubb. 158-159), pp. 246-247 (rub. 199), pp. 252-253 (rub. 206), pp.
255-256 (211-212), p. 271 (228), pp. 287-288 (228), p. 291 (242), pp. 306-307 (261).
210
114
Interazioni fra città e campagna nella normativa statutaria bassomedievale: l’Umbria
umbro marchigiano: podestà e capitano del popolo sono tenuti a far giurare gli
uomini di Capodacqua; si decide di costruire una torre e un cassero nel castello
di San Pietro, che è di proprietà del comune; si dispone di rinnovare il castellano
di Verchiano e di costruire il castello di Civitella, dove sono tenuti a trasferirsi gli
uomini delle ville Aramalupi, Cupuri et Cassiti214.
Se però spostiamo l’attenzione dal comune di Foligno ai signori di Foligno,
ci troviamo di fronte a un panorama del tutto diverso. I Trinci infatti attuano
una politica apertamente espansionistica, che si nutre di alleanze, azioni militari,
incarichi pubblici e di un’accorta politica matrimoniale.
Nel XIV secolo, leghe e interventi militari si alternarono ad azioni di natura
politico-istituzionale, per le quali spicca Corrado I, nipote di Ugolino e da lui
associato al potere, che fu nel tempo capitano del popolo di Orvieto e poi di Norcia, podestà di Firenze (1330) e, dopo la successione allo zio nel 1338, podestà
di Limigiano (1340) e della stessa Foligno (1341)215. Un altro membro di rilievo
del casato fu Corrado II, podestà di Leonessa nel 1384 e di Bettona, di Colle del
Marchese e sempre di Limigiano nel 1389216.
Sul piano politico, l’alleanza più rilevante fu senza dubbio quella con il
pontefice: ad eccezione di un brevissimo periodo fra il 1331 e il 1334, nel
quale Ugolino I strinse un accordo con Gubbio in chiave anti pontificia, con
l’intenzione di conquistare Montefalco e Bevagna, l’aderenza al fronte guelfo
assicurò ai Trinci un saldo legame con il papato, che si fortificò all’epoca delle
due legazioni dell’Albornoz in Italia 217. Come detto, la fedeltà al pontefice portò alla concessione del vicariato nel 1367, a cui seguirono l’invio di Trincia II a
Bologna pro custodia civitatis nel 1373218 e tutta una serie di riconoscimenti su
un numero elevato di castelli da parte di Bonifacio IX, Giovanni XXIII, Martino V e dello stesso Eugenio IV (al quale si deve peraltro la fine del dominio
trinciano)219.
214
Ivi, pp. 53 (rub. 33), pp. 65-66 (rub. 48), p. 79 (rub. 60), pp. 85-86 (rub. 63), pp. 156-157
(rub. 129), pp. 206-207 (rub. 163), pp. 245-246 (rub. 198).
215
S. Nessi, I Trinci Signori di Foligno, cit., pp. 56-58.
216
M.G. Nico Ottaviani, I Trinci: politica familiare, in Piediluco, i Trinci e lo statuto del 1417, a
cura di M.G. Nico Ottaviani, Perugia, Editrice Protagon-Regione dell’Umbria, 1988, p. XXX.
217
S. Nessi, I Trinci Signori di Foligno, cit., p. 64; sulla figura e sull’opera di Egidio Albornoz si
veda almeno E. Duprè Theseider, Albornoz, cit.
218
J.B. Delzant, Trinci, cit.
219
M.G. Nico Ottaviani, I Trinci, cit., p. XXXI.
115
Stefania Zucchini
Allargando la rete di relazioni attraverso legami matrimoniali con importanti
famiglie signorili, fra le quali spiccano per importanza i Montefeltro e gli Estensi,
il casato consolidò la propria posizione in un panorama che oltrepassava i confini
del Ducato e del Patrimonio220.
Corrado III, che negli anni Venti del Quattrocento arrivò a controllare Foligno, Nocera, Montefalco e altre 54 località, fra terre, castelli, torri e fortezze,
si distingue per aver tentato di programmare in maniera organica la gestione
dell’ormai vasto territorio. Nella Tabula omnia officiorum et fortellitiorum magnifici domini nostri Corradi de Trinciis, risalente al 1421, furono previsti nel
dettaglio incarichi, modalità di elezione e compensi, che variavano a seconda
dei luoghi. Fra i centri destinatari di un maggior controllo figurano Nocera e
Montefalco: nella prima si stabiliva di inviare due castellani con venticinque
paghe221, un podestà, un giudice, un milite, un notaio, un cavallo e un cancelliere; Montefalco riceveva invece un castellano, venti paghe, tre fattori, un
podestà, un giudice, un notaio, un milite, sei famuli e un cavallo. In genere
era previsto un castellano o un podestà, coadiuvato all’occorrenza da un numero variabile di sotii, anche se non mancano casi particolari, come quello del
Poggio di Parrano, controllato dall’abate di Sassovivo, oppure il fortilizio di
Castiglione, affidato al marescalco del dominus a cui era stato assegnato il fortilizio stesso, o ancora la Valtopina, sorvegliata da un visconte222. Al di là delle
singole soluzioni, ciò che qui interessa è il tentativo dei Trinci di impiantare
un’amministrazione periferica, che testimonia l’ambizione di creare uno stato
di tipo territoriale, improntato a forme di controllo coercitive, con l’invio di
armati laddove il possesso risultava meno sicuro.
In assenza di basi solide, lo stato trinciano non sopravvisse alla caduta della
famiglia, avvenuta nel 1439, quando le truppe del cardinale legato Giovanni
Vitelleschi presero Foligno per conto di papa Eugenio IV. Due anni dopo, Corrado III e buona parte dei suoi figli furono condannati a morte223.
J.B. Delzant, Trinci, cit. Cfr. anche J.C. Maire Vigueur, Comuni e Signori, cit., p. 249.
Si tratta del numero degli stipendiati. Nei casi di Montefalco e Nocera comprendono il
castellano e una paga mortua per ogni castellano.
222
Tabula omnia officiorum [...] magnifici domini nostri Corradi de Trinciis..., a cura di M. Faloci Pulignani, in Il vicariato dei Trinci, in «Bollettino della R. Deputazione di storia patria per
l’Umbria», XVIII, 1912, pp. 14-43.
223
J.B. Delzant, Trinci, cit.
220
221
116
Interazioni fra città e campagna nella normativa statutaria bassomedievale: l’Umbria
Quasi un quinto dei centri assoggettati ai Trinci (11 su 57) emanarono fra
Tre e Quattrocento un proprio statuto224, ma non tutti sotto l’influenza del potente casato. Ad esempio Castelbuono, che nel Quattrocento capitolerà ai Trinci,
aggiorna il proprio statuto nel 1345, epoca in cui cerca ancora di mantenere la
propria autonomia, attraverso uno stretto legame con il comune di Spello e il
riconoscimento della diretta autorità del rettore del ducato di Spoleto, alla cui
approvazione saranno sottoposte le riforme del 1366 e del 1372225.
La stessa Bevagna, occupata dai Trinci sin dal 1334, conserva un testo statutario prodotto nel 1500, quando la cittadina è già entrata da tempo nella sfera di
Perugia e della Chiesa 226.
Nel 1439 Bevagna si era subito consegnata al Vitelleschi, ottenendo la conferma degli statuti, il riconoscimento dei consoli e del podestà; fra il 1464 e il 1585
le stesse conferme arrivarono da molti governatori perugini di nomina papale227;
in tanti anni, però, fra aggiunte e correzioni, gli antichi testi statutari avevano
perso qualsiasi riferimento alla soggezione trinciana, forse evocata solo indirettamente nell’incipit del Libro dei Malefici, nel quale si lamenta l’epoca in cui gli
statuti «ut fama narratur, ad manus pravissimi hominis devenerunt, qui partem
laniavit et partem abolevit»228. Maria Grazia Nico Ottaviani identifica il pravissimus homo in Corrado, figlio di Nallo, che nel 1334 aveva assalito la città insieme
allo zio Ugolino, decretando l’inizio della soggezione ai Trinci229; la dominazione
trinciana era rimasta quindi nella memoria come un momento assai negativo, nel
quale gli statuti erano stati in parte stracciati e in parte aboliti.
Sul fronte opposto si pone lo statuto di Piediluco, castello acquistato dai
Trinci nel XIV secolo, nell’ambito di una vera e propria campagna, che nel 1383
aveva portato Corrado II a comprare i castelli di Giano, Castagnola, Montecchio
224
I centri in questione sono Acquafranca (ora Roccafranca), Bevagna, Castelbuono, Limigiano, Miranda, Montefalco, Nocera, Rasiglia, Valtopina e villa di Baliano, Trevi. Cfr. M.G. Nico
Ottaviani, I Trinci, cit., p. XXVIII, nota 45.
225
L. Andreani, Lo statuto di Castelbuono tra gli statuti umbri del Trecento, in Lo statuto di Castelbuono, cit., pp. 3-40, in part. pp. 15-16, 24-25, 211-213.
226
M.G. Nico Ottaviani, Per la storia di Bevagna tra medioevo ed età moderna, in Bevagna e il
suo statuto, cit., pp. XIII-XXVIII: in part. pp. XXI-XXVIII.
227
Ivi, pp. XXIV-XXV.
228
Statuto di Bevagna. Anno 1500, a cura di C. Regni, in Bevagna e il suo statuto, pp. 3-335: p.
205.
229
M.G. Nico Ottaviani, Per la storia di Bevagna, cit., pp. XXIX-XXX.
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Stefania Zucchini
e Camero230. Lo statuto di Piediluco risale al 1417, anno in cui il castello era sottoposto a Niccolò Trinci, molto legato a Braccio Fortebracci, all’epoca all’apice
della propria ascesa, avendo appena conquistato Perugia. Niccolò e il fratello Bartolomeo furono uccisi dal castellano della rocca di Nocera nel 1421231 e, quando
nel 1439 morì anche l’ultimo Trinci per mano del cardinale Vitelleschi, il nome
di Niccolò fu abraso dagli statuti del castello, «secondo una prassi di immediata
damnatio memoriae molto frequente in queste circostanze»232.
Ben consapevole della parzialità dell’analisi qui condotta, basata su una selezione di aree territoriali caratterizzate da una più intensa produzione statutaria,
credo sia nondimeno possibile fare alcune considerazioni di ordine generale: la
prima concerne la necessità di analizzare i rapporti tra città, signori e comunità,
cercando per quanto possibile di non adottare il punto di vista delle fonti comunali, che tendono a presentare un contado assai più omogeneo e coeso di quanto
probabilmente fosse; è innegabile il tentativo dei maggiori comuni urbani di
incidere sul territorio, di plasmarlo, ma il risultato di questo sforzo variò molto a
seconda dei tempi, degli attori, delle resistenze locali, dell’importanza e della forza dei singoli centri, e non condusse mai a un potere territoriale stabile e dotato
di un vero e proprio apparato. Di volta in volta giocarono contro diversi fattori: le
debolezze intrinseche dei governi cittadini, che non potevano garantire una vera
e propria burocrazia periferica e strumenti coercitivi efficaci, i contrasti all’interno delle città e fra queste e poteri esterni, il peso crescente del potere pontificio.
Questa miscela di fattori determinò una continua oscillazione, almeno fino alla
creazione di uno Stato pontificio centralizzato. Con l’intervento dei legati prima
e dello stesso pontefice almeno da Martino V in poi, si crearono unità territoriali
più stabili: Spoleto assunse un ruolo di coordinamento sul territorio in quanto
capitale del Ducato, nel resto dell’Umbria meridionale aumentò il peso delle famiglie baronali romane e di famiglie ben radicate nel territorio, mentre il contado perugino vide un allentamento della pressione del governo cittadino in favore
di casate, spesso provenienti dalla città stessa, che trattavano direttamente con il
papa privilegi e concessioni.
Ead., I Trinci, cit., p. XXIX, nota 46.
S. Nessi, I Trinci Signori di Foligno, cit., p. 133.
232
M.G. Nico Ottaviani, “Statuta sive leges municipales ordinatae a domino et patrono”. Signorie
e statuti in Umbria nei secoli XIV-XVI, in Signori, regimi signorili e statuti nel tardo medioevo,
a cura di R. Dondarini-G.M. Varanini-M. Venticelli, Bologna, Pàtron, pp. 289-306: p. 301.
230
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Interazioni fra città e campagna nella normativa statutaria bassomedievale: l’Umbria
La seconda considerazione concerne la necessità di analizzare le diverse realtà
singolarmente, senza cadere nella tentazione di sovrastimare gli elementi comuni, a discapito delle specificità. Anche due città come Perugia e Spoleto, che in
una fase di governo popolare avanzato mostrano numerose analogie nella programmazione territoriale, hanno altrettante peculiarità, a partire dalla differente
morfologia e dalle variegate risorse dei rispettivi territori, che ne condizionarono
lo sviluppo e di conseguenza i rapporti e le relazioni con i governi cittadini.
Quanto alle comunità locali, tradizionalmente considerate a torto soggetti passivi, gran parte degli statuti rurali presi in esame dimostra la capacità di
ritagliarsi un margine di autonomia attraverso ufficiali locali, che avevano sì il
compito di mediare fra la comunità e le magistrature di controllo imposte dalla
città, ma anche quello di rappresentare le istanze della collettività. Anche gli
homines o vassalli avevano a ben vedere un certo potere, giacché le loro resistenze
e la persistenza dei legami con gli antichi signori costituiva chiaramente un ostacolo all’affermazione del potere cittadino nel territorio, anche dopo veri e propri
atti di acquisto. Lo si vede bene nel caso di Spoleto e Perrocchio, ma anche in
quello di Amelia e degli homines di Canale e Lacuscello. Per le comunità del
contado, inoltre, il rafforzamento del potere pontificio e la formazione di un più
omogeneo stato territoriale, con un potere centrale superiore e distante, condusse
a una maggiore autonomia nella gestione delle risorse e nell’organizzazione interna, come il gran numero di testi statutari cinquecenteschi farebbe immaginare.
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