Luciana Parisi - Tiziana Terranova
Intervista con Luciana Parisi e Tiziana Terranova su "Masse, potere e
postdemocrazia nel XXI secolo" a cura del blog Obsolete Capitalism.
Intervista raccolta l'11 dicembre 2013.
Masse, potere e postdemocrazia nel XXI secolo
'Fascismo di banda, di gang, di setta, di famiglia, di villaggio, di quartiere, d’automobile, un Fascismo che
non risparmia nessuno. Soltanto il micro-Fascismo può fornire una risposta alla domanda globale:
“Perchè il desiderio desidera la propria repressione? Come può desiderare la propria repressione?'
—Gilles Deleuze, Fèlix Guattari (Millepiani)
Sul micro-fascismo
Obsolete Capitalism Partiamo dall’analisi di Wu Ming, presentata nel saggio per la
London Review of Books intitolato “Grillismo:Yet another right-wing cult coming
from Italy”, che legge il M5S e il fenomeno Grillo come un nuovo movimento
autoritario di destra. Com’è possibile che nelle elezioni italiane del febbraio 2013 il
desiderio di cambiamento di buona parte del corpo elettorale sia stato vanificato e le
masse abbiano di nuovo anelato - ancora una volta - la propria repressione? Siamo
fermi nuovamente all’affermazione di Wilhelm Reich: sì, le masse hanno desiderato, in
un determinato momento storico, il fascismo. Le masse non sono state ingannate,
hanno capito molto bene il pericolo autoritario, ma l’hanno votato lo stesso. Il pensiero
doppiamente preoccupante è il seguente: i due movimenti populisti autoritari, M5S e
PdL, sommati insieme hanno più del 50% dell’elettorato italiano. Le tossine
dell’autoritarismo e del micro-fascismo perché e quanto sono presenti nella società
italiana contemporanea?
Luciana Parisi Del micro-fascismo bisogna innanzitutto capire se è un desiderio di
repressione, e quindi di negatività, o se si tratta in termini cibernetici di opporre l’ordine
all’entropia, oppure se parliamo di una disseminazione dell’entropia. Capire cos’è l’entropia è
fondamentale per capire questa nozione di micro-fascismo. E’ facile assumere che l’entropia
sta all’informazione come il caos sta all’ordine, o come l’istinto di morte alla vita o alla
capacità auto-organizzativa di un corpo (corpo sociale, biologico, culturale). Innanzitutto,
bisogna dunque ripensare alla tesi termodinamica su cui si basa l’idea di micro-fascismo.
Secondo la tesi termodinamica, il micro-fascismo è una distribuzione impazzita del desiderio
di distruzione, piuttosto che di costituzione (appunto da molti pensata come positiva in un
movimento politico). Questo divario tra costituzione e distruzione su cui si basa la concezione
del micro-fascismo a cui vi riferite è a dir poco limitante e quando applicata a movimenti
politici rischia di non vedere o non considerare le direzioni del micro-fascismo in termini di
tensione tra energia e informazione. Quindi non nei termini di desiderio di morte portato
dall’informazione, ma invece della produzione di nuove dinamicità che non rispecchiano il
punto di vista di un soggetto che vuole reprimersi. Invece, il micro-fascismo potrebbe essere
concepito come produzione di nuove dinamicità, anti-entropie, che non si rispecchiano
nell’energia organica. Penso quindi che bisogna partire da questa domanda: di che tipo di
entropia stiamo parlando e cosa ci può dire dei movimenti politici ad un altro livello di
analisi? Quindi micro-fascismo non significa necessariamente desiderio di repressione. Come
anche Deleuze e Guattari hanno anticipato, la questione del desiderio è tutt’altro che risolta in
una specie di schema freudiano basato su una concezione termodinamica del principio di
piacere. Invece di essere solo un desiderio di repressione, il micro-fascismo o la forza
entropica dell’assoggettamento, distribuito sul piano sociale – e inscritto nella geologia della
terra oltre che dell’umano – diviene piuttosto parte di una accelerazione di desiderio – un
nuovo tipo di nichilismo - che restituisce potenza ai soggetti neutralizzati dal potere. Invece di
ricorrere ai luoghi familiari della critica – in cui la tecnologia è quasi sempre sinonimo di
tecnocrazia – c'è un altro modo, forse, per capire questo micro-fascismo per cui le forze di
desiderio di repressione sono e possono essere anche liberatorie di un soggetto storicamente
neutralizzato dalle forme di organizzazioni politiche di appartenenza a un partito il cui
programma politico è un copione. Questa accelerazione del desiderio si può definire sia nei
termini di macchina da guerra futurista sia nella sua sovrapposizione con la macchina da
guerra di Deleuze e Guattari in quanto la velocità diventa attributo determinante di una
qualità politica che bisogna capire nella sua complessità.
Tiziana Terranova Luciana ha giustamente posto l'accento sulla necessità di ripensare che
cosa Deleuze e Guattari intendessero con il concetto di micro-fascismo, su quale concezione
del rapporto tra energia desiderante e informazione si fondi, e su come sia importante non
collassare il micro-fascismo con il fascismo tout court. Forse è per questo che l'interpretazione
del grillismo di Wu Ming, fin dall’inizio, mi ha lasciato fredda. Penso che il discorso sia diverso
per Forza Italia e i berlusconiani, nella misura in cui, a mio avviso, c'è stato un transfert molto
più diretto della figura di Mussolini su quella di Berlusconi, con un confluire di apparati, logge
e organizzazioni neo-fasciste su questa figura. Allo stesso tempo ciò non significa negare che vi
siano elementi autoritari e micro-fascisti in gioco nel M5S. La rabbia di Grillo, dei 5 stelle, di
coloro che li hanno votati, può essere vista, forse, come micro-fascista nel senso che Luciana
vuole dare al termine: un nichilismo che restituisce potenza agli assoggettati dal potere. Tutta
questa rabbia è assolutamente giustificata. E come potrebbe essere altrimenti dopo decenni di
televisione e stampa che, malgrado le censure e i controlli, hanno riportato abbastanza
fedelmente tutti gli scandali, le corruzioni, le connivenze, le complicità nell'enorme estrazione
di ricchezza che si sta operando oggi in Italia, ma anche (è questo è spesso oscurato dai media
nazionali) in Europa e nel resto del mondo? Nella retorica, nello stile verbale di molti
esponenti del movimento c'è questa rabbia e questo disprezzo e questo è quello che agli occhi
di molti, soprattutto il centrosinistra democratico, li rende fascisti. Sergio Bologna è stato uno
dei primi a sostenere che il M5S è figlio del giornalismo investigativo di un programma come
Report, dei libri sulla casta ecc. Ma tutto ciò avrebbe dovuto spingere secondo i più affermati
opinionisti 'democratici' l'elettorato nelle braccia dell'unica alternativa, il riformismo
democratico, in pratica un neoliberismo di sinistra. Molte energie sono state investite da
quell'area politica nel definire come estremisti o fascisti tutto ciò che sfugge o eccede la loro
impostazione politica. Tuttavia, il riformismo democratico è stato ripetutamente battuto alle
urne ed ecco le accuse di fascismo e populismo nella stampa e nei media di quell'area, che non
risparmiano queste accuse a nessuna forma di politica che li eccede (pensiamo alla
demonizzazione, nel senso che Stanley Cohen ha dato al termine, dei centri sociali, del
movimento No Tav, delle occupazioni, delle proteste ambientali ecc.). Certamente c'è un tratto
che Grillo e il pubblico del blog ha assorbito dai principali media, cioè il ritenere la corruzione
un problema italiano, nel pensare che gli 'altri' (i 'civili', cioè i tedeschi, gli inglesi, gli
scandinavi, gli americani) mandano i corrotti in galera, che altrove esiste una 'buona' politica.
In questo non si è emancipato dal discorso liberale di giornali come La Repubblica che
continuamente pongono come modello dell'Italia i paesi 'normali' del Nord del mondo. Ma
non mi trovo d'accordo sul modo in cui il Movimento 5 Stelle è stato messo nella casella dei
'cattivi' o degli 'incompetenti' al potere, appunto espressione di un micro-fascismo
generalizzato che confluisce nel corpo e nella voce del leader. Mi sembra che questo sia
cercare di ricondurre tutto ciò che è nuovo a qualcosa di già visto e scontato. Il Movimento 5
Stelle ha espresso questa rabbia diffusa contro la corruzione, identificata non con questa o con
quella parte politica, ma con tutto lo spettro politico parlamentare tout court. Il M5S è andato
alle elezioni non per fare mediazioni, ma per prendere il potere e rifondare la politica. Ha
tentato cioè una specie di hack della politica parlamentare, a cui i movimenti sociali hanno
rinunciato da anni nella convinzione della necessità di fondare nuove istituzioni che non
passino attraverso i meccanismi classici della rappresentazione. Questo hack, questa rottura
del meccanismo, per fortuna o sfortuna, non lo possiamo dire, non gli è riuscita e quindi
piuttosto che rientrare nella mediazione, hanno portato una specie di guerriglia in
parlamento. Io trovo, per esempio, l'episodio del senatore grillino, che è riuscito a inserire
l'emendamento per l'abolizione del reato di clandestinità, geniale. Partendo da una totale
sfiducia nei partiti esistenti, gli eletti del M5S - che sono andati al potere con il mandato di
destituire, il tutti a casa è un tema comune - si muovono come una squadra di calcio, aprendo
un varco nelle difese serrate del nemico, reso disorientato per qualche giorno dall'effetto
dirompente della strage di migranti nel mare di Lampedusa, segnando un goal. La
sconfessione di Grillo, invece, il suo appello alla popolarità e al programma, agli 'italiani' che
non voterebbero mai un partito che ha nel suo programma l'abolizione del reato di
clandestinità, nella continuità delle sue affermazioni sulla politica della migrazione, dimostra
quali sono gli elementi di esclusione nella figura di cittadino al quale si riferisce. Grillo parla di
cittadino italiano, i cui interessi sono opposti a quelli di due gruppi sociali: in primis a politici
e impiegati pubblici, ma anche, in maniera meno esplicita, agli immigrati. I parassiti legati alla
macchina statale da un lato, i flussi incontrollati migratori dall'altro. Mettere sullo stesso
piano politici, impiegati pubblici e migranti propone un’immagine del cittadino che si
sovrappone a quella del 'datore di lavoro'. Nel berlusconismo il datore di lavoro, cioè il
proprietario di denaro o capitale che irrora il corpo sociale di lavoro e ricchezza, è
assolutizzato nella figura di Berlusconi. Grillo disperde questa potenza del datore di lavoro
distribuendola sulla figura del cittadino italiano che lavora e paga le tasse e quindi diventa il
datore di lavoro di politici e impiegati pubblici, guarda all'immigrato in termini di vantaggi o
svantaggi che questa forza lavoro comporta. Per questo può attingere anche all'elettorato della
Lega, ma senza riprenderne in maniera centrale i tratti più truculenti. Un altro elemento del
M5S che si potrebbe definire autoritario è senza dubbio il rapporto con il 'programma' e con la
'rete'. Il blog di Grillo ha costituito negli anni un pubblico a cui ha raccontato quotidianamente
la corruzione della politica e del capitalismo italiano proponendo, invece, una visione
alternativa di un futuro ecologico e tecnologico, un futuro a tecnologia verde, decentralizzata,
basato sul coinvolgimento attivo dei 'cittadini'. Non a caso Grillo ha sostenuto le vertenze in
Campania contro l'inceneritore, per la bonifica dei territori avvelenati dai rifiuti tossici e il
movimento No Tav. Ma pare che l'unico modo di raggiungere questo obbiettivo per il M5S sia
sottoporsi alla disciplina rigida del programma deciso dalla rete. La rete diventa un soggetto
unico le cui differenze e opposizioni possono essere risolte tramite votazioni, a sua volta
calibrata dagli algoritmi per evitare infiltrazioni. I deputati, idealmente, dovrebbero essere,
secondo Grillo, come le maschere di Anonymous: pure espressioni di una volontà generale
espressa dalla rete. In questo senso, la rete diventa il popolo, la cui volontà non può che essere
unitaria e i parlamentari 5 stelle i suoi avatar. Il risultato è un appiattimento sull'esistente, un
piegarsi all'opinione maggioritaria, un soffocamento dell'invenzione e del dissenso. E pur
tuttavia tutto ciò non equivale a rappresentarlo univocamente come un movimento autoritario
di destra, semmai è, e continua ad essere, un contenitore abbastanza caotico che la voce di
Grillo non riesce a rappresentare totalmente e a contenere. Mi sembra che il Movimento 5
stelle rappresenti un insieme di differenze rispetto alla composizione della sinistra che, in
alcuni casi, diventa piena opposizione e quindi conflitto (sulla questione della migrazione, sul
rapporto pubblico/privato ecc.) e in altri casi, invece, sovrapposizione. Ma non è questo il
problema politico principale, la composizione - non la mediazione - delle differenze, per
coloro che non vogliono rimanere intrappolati nell'opposizione bipolare, a cui l'Italia aspira
nel nome della governabilità? Per essere chiari, nella mediazione ognuno cede qualcosa e si
arriva a un compromesso 'mediano', la composizione richiede invece l'attivazione
dell'invenzione, l'introduzione di elementi nuovi, lavora sul nichilismo micro-fascista in modo
trasformativo, cioè costituente.
1919, 1933, 2013. Sulla crisi
OC Slavoj Žižek ha affermato, già nel 2009, che quando il corso normale delle cose si
interrompe in modo traumatico, si apre nella società una competizione ideologica
“discorsiva”, esattamente come capitò nella Germania dei primi anni ’30 del Novecento
quando Hitler indicò nella cospirazione ebraica e nella corruzione del sistema dei
partiti i motivi della crisi della repubblica di Weimar. Žižek termina la riflessione
affermando che ogni aspettativa della sinistra radicale di ottenere maggiori spazi di
azione, e quindi consenso, risulterà fallace in quanto risulteranno vittoriose le
formazioni populiste e razziste, come poi abbiamo potuto constatare in Grecia con Alba
Dorata, in Ungheria con il Fidesz di Orban, in Francia con il Front National di Marine
Le Pen e in Inghilterra con le recentissime vittorie di Ukip. In Italia abbiamo avuto
imbarazzanti “misti” come la Lega Nord mentre ora è apparso il M5S, bizzarro
rassemblement che pare combinare il Tempio del Popolo del Reverendo Jones e
Syriza, “boyscoutismo rivoluzionario” e disciplinarismo delle società di controllo.
Come si esce dalla crisi e con quali narrazioni discorsive “competitive e possibilmente
vincenti”? Con le politiche neo-keynesiane tipiche del mondo anglosassone e della
terza via socialdemocratica nord-europea o all’opposto con i neo populismi autoritari e
razzisti? Pare che tertium non datur...
LP Voglio soffermarmi sull’idea di crisi. Storicamente l’analisi politica della crisi si è basata su
una concezione negentropica del capitale e del suo effetto sul sociale. La capacità di
trasformare le forze energetiche si può capire in termini di evoluzione di un sistema verso una
creazione distruttiva o perfino una distruzione distruttiva come alcuni hanno sostenuto
recentemente. La crisi quindi è capita come un momento che conduce a un nuovo livello di
riterritorializzazione che sfocia nel razzismo, ma anche nel sessismo e il caso italiano è ricco di
esempi in cui la crisi giustifica la ripetizione degli schieramenti politici contro le politiche
identitarie. Questo porta alcuni a dire che i cosiddetti frammenti politici – dalle questioni di
genere a quelle della transessualità, dai movimenti ecologisti agli animalisti – non capiscono
l’urgenza di auto-costituirsi in un programma politico unitario che possa diventare alternativo
alla narrazione della crisi economica del capitale. Ma vorrei suggerire che l’appello a una
fondamentale appartenenza alla classe lavoratrice è anch’esso sintomo della repressione che
riguarda non
solo le differenze, ma la radicale immanenza della produzione di socialità
frattali, il cui senso di unità sta nella fondamentale incommensurabilità delle parti. Piuttosto
che a una politica delle differenze – o di continua differenziazione del socius che per molti è
solo sintomo di uno spiritualismo politico che non sa rispondere veramente al dominio della
crisi economica (ed ecco perché bisogna mantenere l'assunto primario della classe lavoratrice)
- bisogna guardare, forse, alla proliferazione della frattalità non solo tra, ma anche dentro, i
movimenti: quindi movimenti uniti dalla frattalità e non dalla univocità dell'appartenenza.
Ciò significa che bisogna ogni volta ripassare per le matrici dell’anti-sessismo e
dell’anti-razzismo come spazi zero di invenzione - nel senso che bisogna sviluppare una
pratica teorica e una teoria pratica – che rompa l'identificazione della 'crisi' con la 'crisi
economica' e le conseguenze che molti sembrano ricavare da questa equivalenza: per uscire
dalla crisi bisogna passare attraverso la ricostituzione rappresentativa. Il punto è che si
possono sviluppare delle cartografie della ricostituzione che non combaciano con il discorso
omogeneo della rappresentazione. Infatti queste cartografie possono anche produrre un altro
tipo di rappresentazione – lavorando dentro la rappresentazione, invece che contro. Se la crisi
non è più solo un momento negentropico, che porta da un lato a una ricostituzione primaria
dei discorsi e dall'altro a una frammentazione dei movimenti senza vera valenza politica,
allora che altro può essere la crisi? Penso che, ancora una volta, si debba considerare in
maniera scientifica, e non solo politica, l’idea di crisi come 'collasso', visto come l’incapacità di
contenere in un’assioma tutte le condizioni date. Da questo punto di vista bisogna imparare a
capire in che modo è cambiato quello che possiamo chiamare il calcolo algoritmico del
capitale, componente fondamentale della sua razionalità politica e del modo in cui ha
affrontato il collasso del 2008. Questo calcolo algoritmico non funziona su assiomi completi,
finiti e predeterminati, per cui la risposta a x non può che essere z, e tutto è previsto, incluso, e
predeterminato. Il capitale sembra piuttosto funzionare su una quasi assiomatica, secondo cui
le regole sono continuamente cambiate come in una semplice risposta a cambiamenti esterni.
Troviamo questa logica al lavoro anche nel paradigma interattivo, in cui gli assiomi sono
anch’essi divenuti dinamici e interscambiabili, e soprattuto aperti al calcolo delle contingenze.
Naturalmente non sto escludendo il fatto che il calcolo funzioni ancora per via assiomatica
completa, ma penso che sia importante capire che sin da Alan Turing, la scoperta
dell’incomputabile e cioè dell’incapacità di un sistema di contenere tutte le sue espressioni
abbia messo in moto una cultura della programmabilità per cui la crisi è già condizione
incondizionata del calcolo. Ciò che avviene oggi nel contesto del capitale computazionale è
che il limite del calcolo è diventato un infinito che si può computazionalmente calcolare.
Quindi si potrebbe addirittura parlare non della crisi e della sua rappresentazione, ma della
crisi come una constante topologica che sottende sia il calcolo del capitale – che include il
lavoro e il modo in cui le affettività sono trasformate in lavoro – ma anche la frattalizzazione
unitaria del movimento politico.
TT Penso che rispetto agli anni Trenta del Novecento ci troviamo di fronte a una
moltiplicazione davvero infinita, anzi io direi quasi infinitesimale (Luciana direbbe
incomputabile che per lei non è la stessa cosa) dei desideri e delle aspirazioni di questo socius
e contemporaneamente un inasprimento terribile della crisi che impedisce a questi desideri di
realizzarsi. Il calcolo economico, la logica dell'interesse, la competitività, la povertà diffusa
sembrano avere una presa fortissima sul presente, ma non dobbiamo pensare che esauriscano
necessariamente il futuro perché appunto non esauriscono nemmeno il presente. Penso al
desiderio di una vita sollevata dal ricatto del lavoro del precariato urbano e quindi alla
richiesta di un reddito di cittadinanza, all'idea di un commonfare (come quello proposto da
Carlo Vercellone) come base di un’economia 'antropogenetica' che metta al centro lo sviluppo
delle relazioni affettive e della cura del sé e degli altri, alle esigenze diffuse di un nuovo
rapporto con la terra, la natura, il corpo, il cibo, la sessualità, le nuove forme di spiritualità, un
modo di produzione degli oggetti che non dipenda dalla semi-schiavitù della fabbrica, un
movimento libero dei corpi al di là delle frontiere, una eterogeneità di modi di vivere che
investe le strutture tradizionali della famiglia, dell'abitare ecc...
Tutti questi desideri e
aspirazioni sono come sollecitati dalla razionalità politica del capitalismo neo-liberale che ci
incita continuamente a 'lavorare su noi stessi', a desiderare di realizzare i nostri desideri e
affermare le nostre credenze, ma allo stesso tempo sono frustrati dalle logiche mercantili,
dall'estensione del tempo di lavoro, dalla trappola del debito, dalla comunicazione regolata
sulla produzione di profitto, dalla povertà. Siamo prigionieri di una moneta privatizzata,
generata da un tipo di calcolo che non permette di distribuire le risorse per costruire propri
mondi, inclusi gli spazi e i tempi per espandere questi desideri e sperimentare i modi in cui
attualizzarli socialmente. Per questo mi piace come i post-operaisti hanno messo l’accento
sull’inventare non tanto una nuova narrazione, ma nuove istituzioni in grado di sostanziare
questi processi desideranti, che in opposizione alla logica del privato e del pubblico, chiamano
istituzioni del comune. Molte di queste aspirazioni e desideri sono in un movimento come
quello 5 stelle, ma rimangono catturate dalla logica dell'informazione e dell'opinione,
diventano cioè discorsi prefabbricati da opporre con rabbia all’esistente, che faticano a
produrre auto-formazione, cioè approfondimento, cooperazione e invenzione. Se si relega
questa materia sociale allo statuto di qualcosa di non essenziale, perché riguarderebbe la
cultura e non l'economia, o se si pensa che questi desideri possano essere catturati totalmente
da una narrazione unitaria, allora non si capisce che ne costituirebbero invece proprio la base,
l'infrastruttura macchinica direbbe Guattari, da cui può emergere non una narrativa ma una
nuova razionalità politica e un nuovo modo di vivere.
Sull'organizzazione
OC Daniel Guèrin nel suo “La peste brune” mostra come la conquista del potere di
Hitler nella Germania del 1933 sia avvenuta grazie anzitutto a “micro-organizzazioni
che gli conferivano un mezzo incomparabile, insostituibile per penetrare in tutte le
cellule della società”. Il movimento di Grillo si è ramificato nella società grazie alla
formula territoriale dei Meetup mutuata direttamente dal mondo politico statunitense,
i Meetup di Howard Dean. Il M5S è però altro ancora dai Meetup. E’ possibile tentare
un’analitica dell’esplosione M5S come neo-vettore energetico in mutazione vorticosa
(Félix Guattari l’avrebbe chiamato “il movimento assoluto della macchina-Grillo”?
Quali sono le componenti, i fili, i flussi, i segmenti, gli slanci e le eterodossie della
“macchina da guerra astratta” grillina?
TT Sicuramente potrei sbagliarmi perché tutto sembra mutare molto velocemente, ma in
questo momento non mi pare di vedere questa mutazione vorticosa, né un aumento delle
'cellule' grilline. Anzi a me pare che il radicamento in parlamento abbia in un certo senso
de-energizzato i Meetup. Questo, per me, rimane il limite più grosso del Movimento 5 stelle:
l'opposizione alla politica è così forte che non riesce a produrre vera auto-organizzazione dei
saperi
e
dei
desideri
nella
direzione
dell'approfondimento,
della
co-ricerca
e
dell’auto-formazione. Mi sembra, da esterna, che il Movimento 5 stelle sia cresciuto grazie a
una convergenza della televisione, della rete, della piazza e di un regionalismo fondato sulle
città medio-piccole, piuttosto che sulle metropoli. La televisione per la popolarità di Grillo in
quanto personaggio televisivo (anche se lontano da anni dalla televisione) e per l'effetto
continuativo negli anni di programmi come Report, Servizio Pubblico, Presa Diretta, ecc; la
rete, nella forma del blog, ha individualizzato ulteriormente questo pubblico, gli ha dato la
possibilità di riconoscersi in una voce; le piazze, per i comizi-spettacolo di Grillo nelle sue
campagne elettorali, hanno energizzato i militanti; le città per il movimento di Meetup e le
iniziative locali di stampo prevalentemente ambientale. Tutto questo circuito, che forse
appunto conteneva già come limite l'aderenza a un certo discorso che identificava nella
corruzione la causa e non il sintomo del 'malgoverno' delle vite, pare che si sia arenato,
attualmente, in Parlamento. La spallata non è avvenuta, il M5S rischia seriamente di
trasformarsi in un altro partito, il pubblico che lo sostiene rischia di sgonfiarsi. Ma quelle
energie, quelle voglie di cambiamento che si sono canalizzate nel M5S, che si sono affacciate
alla politica attraverso il M5S dove andranno, dove stanno andando? La crisi è durissima e sta
impoverendo una gran parte della popolazione che è vessata contemporaneamente da
sfruttamento, tassazione e debito. A mio avviso rimarranno in uno stato di indeterminazione e
oscillazione. Nella terminologia di Gabriel Tarde, queste energie sono state magnetizzate da
Grillo, ma dove si dirigeranno in futuro? Da cosa si farà catturare questa forza ed energia
sociale? Tutto questo al momento non è chiaro. Non mi sembra però che l’Italia, attualmente,
sia stata catturata dai movimenti neo-fascisti come sta succedendo in altre parti d’Europa.
Anche se sicuramente la presenza segnalata di organizzazioni di estrema destra nello sciopero
indetto per il 9 dicembre fa pensare che queste cerchino di inserirsi in questa crisi.
Fondamentale, fino ad ora, è stata l'azione degli antifascisti italiani che, nonostante le
repressioni di cui sono stati oggetto, incluse campagne stampa 'liberali' e 'democratiche' che
continuano a porre l'equivalenza tra fascisti e antifascisti, ha impedito, per ora, alle destre
fasciste di radicarsi ed espandersi nelle città.
LP Non credo che questa forma politica sia vertiginosa e non saprei come discutere la
possibilità di una macchina astratta grillina. Mi sembra che il Meetup sia stato concepito come
un nodo di affluenza dell’opinione pubblica che però è problematica espressione deliberatoria
della libera volontà della gente comune. Bisogna invece considerare la politica propria di
queste strutture informatiche: la costituzione di un punto di vista che chiede di essere ricevuto
e cambiato. Nel caso di M5S, bisogna ancora una volta realizzare che c’è questo tipo di
imperativo interattivo che agisce attraverso le energie politiche. Ma non si tratta solo di un
assoggettamento dell’energia a questo punto di vista algoritmico. Forse il problema è vedere
appunto questa direzione costante dal vettore all’organizzazione dimenticando che il vettore
ha già una direzione – un ordine e quindi una struttura informazionale – e quindi non e’
completamente libero in prima istanza. Ciò che si suppone sia catturato dal M5S, che sembra
qui discusso in termini di micro-fascismo e di genuine energie di dissenso, forse non può
essere scisso dall’entropia dell’informazione stessa – e cioè che c’è un ordine nell’energia
stessa, che non sfocia in una eguaglianza tra energia e informazione, ma piuttosto di un nuovo
ordine di informazione ed energia di cui non abbiamo ancora colto l'operabilità immanente.
Sulle onde anomale
OC Franco Berardi in un suo recente post sul sito di Micromega afferma che, con il
voto del 24 febbraio 2013, la sconfitta dell’anti-Europa liberista comincia in Italia. Gli
italiani, secondo la sua particolare lettura, avrebbero detto: non pagheremo il debito.
Insolvenza. Che cosa è accaduto in Italia, secondo il vostro punto di vista, il 24
febbraio 2013? E poi, un recentissimo studio dell’Istituto Cattaneo - Gianluca
Passarelli, il ricercatore - ha dimostrato che il M5S è il partito più “nazionale” delle
elezioni del 24 febbraio; il suo scoring (0,905 su 1,00) dimostra che il suo dato
elettorale è il più omogeneo, nei termini di percentuale di voti, su tutto il territorio
nazionale, più del PdL (0,889) e del PD (0,881). Ma come è potuto accadere? Com’è
stato possibile che in quasi tre anni, dal 2010 al 2013, questo non partito-movimento
abbia potuto non solo competere, ma addirittura battere, macchine elettorali ben
rodate quali il partito aziendale berlusconiano e la sinistra organizzata?
TT Insomma le macchine elettorali ben rodate perdono pezzi da un bel po'. Addirittura negli
ultimi giorni, la corte costituzionale italiana ha dichiarato incostituzionale la legge elettorale
con cui si è votato per molti anni. Il parlamento, la presidenza della repubblica, le leggi
promulgate sono state dichiarate incostituzionali. In un certo senso è una sentenza che ha
sancito il giudizio non tanto di incostituzionalità, ma di illegittimità che le urne hanno
espresso in maniera crescente in Italia (tra astenuti e votanti 5 stelle) negli ultimi anni. In
Italia da anni cospirano per dimostrare che non c'è alternativa a questo bipolarismo dove o sei
con Berlusconi o contro di lui in nome delle 'riforme', cioè le liberalizzazioni. L'accordo
bi-partisan sulle politiche di fondo (riforme di scuole e università, privatizzazioni, austerity,
precariato di massa ecc.) è ben consolidato. Chi vota, a parte forse gli irriducibili berlusconiani
o chi vota per ottenere dei favori, lo fa con un senso di frustrazione. Come ho detto sopra,
Grillo ha costruito un circuito che ha funzionato durante le elezioni del 2013: penso abbia
trovato il modo di attaccare dall'esterno il sistema bipolare. Ha capitalizzato sulla crisi e sulla
frustrazione di un elettorato a cui viene continuamente detto che si va di male in peggio, che le
responsabilità sono di una classe politica corrotta e senza vergogna. L'elettorato non ha
creduto a Monti e all'idea del governo tecnico e il ritorno ai valori democristiani come
soluzione. Grillo gli ha proposto un'alternativa (il deputato-cittadino, la politica verde, il
localismo, la cancellazione dei 'privilegi' ecc...). Il problema è cosa succede quando sei in
parlamento, ormai esautorato dalla governance finanziaria, dove ti riduci a fare la guerra ai
politici senza poter incidere sulle trasformazioni profonde. Un parlamento 'pulito' e non
'corrotto' è automaticamente un parlamento in grado di contrastare il comando della BCE, dei
mercati e della finanza internazionale o rischia semplicemente di esprimere un governo in
grado di legittimare moralmente i 'sacrifici' richiesti? Che Grillo riesca a mantenere questi
numeri, dunque, è tutt'altro che scontato. Ma certo ha dimostrato che la spallata al
bipolarismo non è così difficile. Tutto sembra molto stabile eppure allo stesso tempo molto
fragile, molto instabile.
LP Credo che ciò dimostri che il bipolarismo non è una struttura binaria ma piuttosto è una
guerra sul 'centro' che dipende obbligatoriamente da questa zona grigia che coinvolge tutto il
resto. Questa zona è da tempo tirata a destra e a sinistra, ma Grillo l’ha invece occupata
costruendo delle concatenazioni di senso partendo dalla sconfitta affettiva – oltre che politica
- di tutto il resto. In particolare ha dedotto da questa zona grigia i suoi dati oscuri e ha rilevato
un ampio spettro di malcontento la cui voce si è diffusa in maniera virale, quindi per
amplificazione dell'ingiunzione: anche tu sei politico. Quest’amplificazione ha donato un
riconoscimento rappresentativo ai dati invisibili che le ideologie di destra e di sinistra non
hanno colto ma, spesso, celato. Mi sembra che si debba riflettere più sui dati e sul loro
intervento epistemologico e ontologico, sulla politica e sulla rappresentazione politica.
Sul popolo che manca
OC Mario Tronti afferma che “c’è populismo perché non c’è popolo”. Tema eterno,
quello del popolo, che Tronti declina in modalità tutte italiane in quanto “le grandi
forze politiche erano saldamente poggiate su componenti popolari presenti nella
storia sociale: il popolarismo cattolico, la tradizione socialista, la diversità
comunista. Siccome
c’era popolo, non c’era populismo.” Pure nell’ambito
dell’avanguardia artistica Paul Klee si lamentava spesso che era “il popolo a mancare”.
Ma la critica radicale al populismo - è sempre Tronti che riflette - ha portato a
importanti risultati: il primo, in America, la nascita dell’età matura della democrazia; il
secondo, nell’impero zarista, la nascita della teoria e della prassi rivoluzionaria in un
paese afflitto da contraddizioni tipiche dello sviluppo capitalista in un paese arretrato
(Lenin e il bolscevismo). Nell’analisi della situazione italiana ed europea è però
tranchant: “Nel populismo di oggi, non c’è il popolo e non c’è il principe. E’ necessario
battere il populismo perché nasconde il rapporto di potere”. L’abilità del
neo-populismo, attraverso l'utilizzo spregiudicato di apparati economici, mediatici,
spettacolari, giudiziari, è nel costruire con determinazione “macchine di popoli
fidelizzati” più simili al “portafoglio-clienti” del mondo brandizzato dell’economia
neo-liberale. Il “popolo” berlusconiano è vent’anni che segue blindato le gesta del
sultano di Arcore; il “popolo” grillino, in affannosa gestazione, sta seguendo gli stessi
processi identificativi del “popolus berlusconiano”, dando forma e funzione alle
pulsioni più deteriori e confuse degli strati sociali italiani. Con le fragilità istituzionali,
le sovranità altalenanti e gli universali della sinistra in soffitta - classe, conflitto,
solidarietà, uguaglianza - come si fa popolo oggi? E’ possibile reinventare un popolo
anti-autoritario? E’ solo il popolo o è la politica stessa a mancare?
TT Non ho una formazione in teoria politica in senso stretto, ma in studi culturali e new
media studies, quindi ho un po' di difficoltà con la nozione di populismo. Mi trovo più a mio
agio con la nozione di ‘popolare', per esempio, in cui il femminile ha molto più spazio. Ho
imparato dalla scuola di Birmingham e dalla loro rilettura di Gramsci, che il popolare è il
terreno su cui si combatte per l'egemonia, poi con le letture e frequentazioni post-operaiste e
la ricerca su scienze e tecnologie ho un po' messo da parte questo interesse per il popolare
nella mia ricerca, anche se rimango sempre più appassionata alla cultura popolare che all'arte
contemporanea. Per esempio, trovo nella Reality TV, che come sappiamo è un fenomeno
'glocale', uno straordinario inventario dei desideri delle soggettività e anche dei dispositivi
attraverso cui questi desideri sono canalizzati verso la competitività, il mito del successo
individuale ('uno su mille ce la fa se ha l'X factor' gli altri peggio per loro, eliminati). Le serie
televisive americane degli ultimi quindici anni hanno prodotto straordinarie narrazioni e
immagini di un 'popolo', quello americano, che si esprime in una molteplicità di figure e di
personaggi spesso rappresentati nell'atto di cadere. I personaggi maschili di quasi tutti i serial
televisivi americani di maggior successo sono rappresentati nell'atto di cadere: dalle crisi di
panico di Tony Soprano, alla caduta libera di Mad Men, allo sprofondare della famiglia
poligama di Big Love, alla 'caduta' nel crimine, reinterpretata però come rottura, di Breaking
Bad. A me piace pensare che il popolo invocato da Tronti, opposto al populismo autoritario e
patriarcale, possa emergere dal popolare, ovvero sia una possibilità che si può ritrovare nel
popolare. Sembra superfluo ricordare come Berlusconi abbia costruito il proprio successo
sull'occupazione e reinvenzione del nazional-popolare e, in particolar modo, del corpo delle
donne, ma non è così tanto superfluo ricordare che la sinistra, forse, l'ha perso proprio
scegliendo la subalternità in questo campo. La letteratura, la televisione, la musica, i fumetti,
il cinema, l'arte, ma anche le feste, i raduni, le arti e le discipline del corpo non sono questi i
luoghi da cui può emergere il popolo rabelaisiano, nel senso che Bachtin dà a questo termine,
o il 'popolo a venire' di Deleuze e Guattari? Non è in questo campo così trascurato che si
formano quei desideri e quelle credenze, quei linguaggi e quelle forme da cui attingere per
continuare a credere nel mondo? Il popolo di Rabelais esiste dove c'è una cultura popolare,
non semplicemente una cultura folk delle radici, ma una cultura che si rinnova, che si
appropria delle tecnologie e delle forme, che le rivitalizza con la cooperazione, la
contaminazione e con l'invenzione, che si fa 'comune'. Tutto ciò oggi passa sia per i vecchi
mass media (la televisione re-mediata) ma anche in maniera crescente per le nuove tecnologie
di produzione e condivisione.
LP Deleuze ci ha lasciato con l’immagine non del popolo ma della “gente che verrà”. Credo
che ci si debba soffermare su come la concezione di gente sia diversa dal popolo e di come la
cultura popolare (e su questo sono d’accordo con Tiziana) sia diversa dal populismo. In
generale, come dice anche Alberto Toscano nella sua intervista, l’idea di popolo (per esempio
richiamata da Jodi Dean) è un’idea problematica perché si dà per scontato il comunismo che
sostiene questo “popolo”. Ritornando a Deleuze, l’idea di gente è forse rapportabile all’idea di
massa maggioritaria – e quindi non di classe e nemmeno di populismo – ma proprio
l’eterogeneità e la complessità dell’unità più elementare. La gente che verrà non è però un
appello ad un futuro possibile, o un futuro saturo di immaginario post 9/11 (penso ad esempio
alla serie televisiva Homeland, ma anche la rappresentazione di un nuovo tipo di femminismo
come si vede nella serie TV Borgen). In questo senso, si tratta non di costituire un nuovo
popolo, facendo un lavoro su sé stessi che assuma il pensiero come infinita riflessione. Si
tratta piuttosto di una pratica teorica di natura speculare rivolta non tanto al cambiamento
delle condizioni della gente, così che si possa costituire un popolo, quanto alle futurità già
esistenti nella gente, definite da un pensiero immanente.
Sulle società di controllo
OC Gilles Deleuze nel Poscritto delle Società di Controllo, pubblicato nel maggio del
1990, afferma che, grazie alle illuminanti analisi di Michel Foucault, emerge una nuova
diagnosi della società contemporanea occidentale. L’analisi deleuziana è la seguente: le
società di controllo hanno sostituito le società disciplinari allo scollinare del XX secolo.
Deleuze scrive che “il marketing è ora lo strumento del controllo sociale e forma la
razza impudente dei nostri padroni”. Difficile
dargli torto se valutiamo
l’incontrovertibile fatto che, dietro a due avventure elettorali di strepitoso successo Forza Italia e Movimento 5 Stelle - si stagliano due società di marketing: la Publitalia
80 di Marcello Dell’Utri e la Casaleggio Associati di Gianroberto Casaleggio.
Meccanismi di controllo, eventi mediatici quali gli exit poll, sondaggi infiniti, banche
dati impenetrabili, data come commodities, spin-doctoring continuo, consensi in rete
guidati da influencer, bot e social network opachi, digi-squadrismo, echo-chambering
dominante, tracciabilità dei percorsi in rete tramite cookies: queste sono le
determinazioni della società post-democratica neoliberale. Le miserie delle nuove
tecniche di controllo rivaleggiano solo con le miserie della “casa di vetro” della
trasparenza grillina, il web-control. Siamo nell’epoca della post-politica, afferma
Jacques Rancière. Come uscire dalla gabbia neo-liberale e liberarci dal consenso
ideologico dei suoi prodotti elettorali? Quale sarà la riconfigurazione della politica -
per un nuovo popolo liberato - dopo l’esaurimento dell’egemonia marxista nella
sinistra?
TT L'innovazione più forte degli ultimi dieci anni è stata indubbiamente quella del diventare
'sociale' dei media digitali. Invece del web semantico di cui parlava Tim Berners Lee, abbiamo
avuto il web sociale ed è stata una genuina sorpresa per molti. La rete è esplosa quando
l'organizzazione della comunicazione non è più passata prevalentemente per l'accesso
individuale all'informazione, ma attraverso la relazione sociale ('amici', 'followers', ‘contatti',
ecc.). Le reti sociali iniziano con gli amici e i conoscenti e si espandono velocissimamente
estendendosi a un mondo 'sconosciuto' ma familiarizzato da catene di relazioni. Sulla
relazione sociale si è innestato un nuovo strato della comunicazione di rete sia nella forma
degli onnipresenti bottoni 'mi piace', 'condividi', 'commenta' che ormai troviamo dappertutto,
sia attraverso la proliferazione delle applicazioni per gli smart phone. Google, che con i suoi
programmi AdSense e AdWords ha infiltrato tutto il web, per primo ha aperto la strada,
seguito da tutti gli altri. Rispetto a questi processi, troviamo in questo momento due analisi
dominanti. La prima è espressa da Jodi Dean, ma anche da Bernard Stiegler, in cui il
problema è posto in termini di cattura e decomposizione delle pulsioni e dell'energia
desiderante da parte del capitalismo comunicativo. Da questo punto di vista, il desiderio è più
o meno completamente catturato dal capitalismo e trasformato in profitto, quindi privato
della sua capacità costituente. La comunicazione continua si traduce in un nulla di fatto dal
punto di vista dell'organizzazione politica. La seconda posizione è quella di Assange e
Wikileaks: la comunicazione sociale è diventato il campo di battaglia per le nuove guerre di
informazioni, in cui la trasparenza della comunicazione è visibilità totale della dissidenza
rispetto allo sguardo coordinato di stato e capitale. Il rischio è di pensare alla tecnologia
semplicemente come uno strumento di comando a cui si può rispondere solo o tornando alla
vita reale o attraverso delle soluzioni tecniche (come la criptografia). Questa cibernetizzazione
del sociale che è avvenuta così velocemente (alla velocità dell'evento si potrebbe dire) a me
pare ponga delle domande nuove o, perlomeno, apra a delle problematiche diverse.
Innanzitutto è evidente come metta in crisi una certa idea di società, diciamo, di matrice
durkheimiana (una collettività che sovrasta gli individui e li determina attraverso la
mediazione delle rappresentazioni), mettendo a nudo tutta una dinamica di flussi, di relazioni
asimmetriche di cattura delle forze del cervello su cui appunto agiscono le tecniche che avete
identificato. Diceva agli inizi del novecento Gabriel Tarde che Durkheim aveva potuto
concepire la società in questi termini perché aveva delle statistiche grossolane e che, in futuro,
la qualità e la quantità della statistica avrebbero rilevato la complessità infinitamente
differenziata del continuum sociale. Le modellizzazioni informatiche delle reti sociali stanno
già rendendo obsolete quelle basate sulle leggi di potenza, sull'influenza determinante dei
supernodi a cui ci aveva introdotto la network science appena agli inizi degli anni duemila.
Certo è che la relazione sociale e il tessuto di relazioni sociali inteso tardianamente come
tessuto asimmetrico di cattura delle forze sub-rappresentative e impersonali del cervello, sono
investiti dalla cibernetica in modi che non avevamo immaginato e che, di fronte a questa cosa,
non c'è da rassegnarsi al potere della tecnica, ma c’è da studiare, capire, attivarsi e
sperimentare. Il fenomeno di pagine facebook, per esempio, che in pochissimo tempo riescono
a catalizzare anche grandi masse e a portarle in strada per grandi manifestazioni, è
impressionante e si presta da un lato alla manipolazione (chi inizia queste pagine? Facile
capire qual'è il sentimento che gira in rete e catalizzarlo con una serie di parole chiave), ma
dall'altro chiede di diventare qualcosa di più continuativo nel tempo, di trovare luoghi e
occasioni fisiche per precipitare in relazioni complesse.
LP Ritornando alla questione della tecnologia, credo che nel pensiero critico la tecnologia, le
macchine e il regime di comunicazione basato sull’informazione, siano state combattute
perché viste come strumento del potere, come incarnazione della ragione strumentale del
potere. Questa visione critica, che cerca sempre di rispondere alla domanda quali sono le
condizioni politiche e governative della tecnologia, rimanda inevitabilmente ad un appello al
soggetto politico che è capace, invece, di scindere il reale dall’artificiale. La critica alla
tecnologia sembra ancora essere divisa in due fazioni. Da un lato, una concezione strumentale
della tecnologia come se fosse la mente e il braccio strumentale della manipolazione che i
soggetti desiderano perché “vittime” del loro desiderio di repressione. Dall’altro, una
concezione della tecnologia come potenziale – o come espressione di potenziale - di un
soggetto politico che è immerso nell’ecologia macchinica. Quest’ultima concezione è stata
comunque demonizzata perché troppo vicina e apologetica di un capitalismo che vuole far
dimenticare il vero valore dello sfruttamento, il lavoro (in tutte le sue forme cognitive,
affettive, pro-creative ecc.). Ma, di questa posizione, almeno, bisogna prendere la coraggiosa
affermazione che la tecnologia non è uno strumento di potere ma una modalità di
individuazione dell’energia.
La società del controllo anticipata da Deleuze è legata a un profondo cambiamento della
cibernetica che e’ divenuta anche costitutiva del sociale. In particolare, il passaggio dal
principio di comunicazione – definito da Shannon come uso dell’entropia per la trasmissione
del segnale attraverso un canale capace di modulare e quindi di canalizzare il potenziale
energetico - al principio cibernetico di feedback (nella sua formulazione di feedback negativo e
positivo), sembra aver segnato una capacità manageriale, non solo di entrare nel sociale, ma di
costituire il sociale. Prima dei social media, il problema del marketing era definito da
messaggi molari, assiomi robusti, che rispecchiavano le condizioni sociali. Con la diffusione
del paradigma cibernetico interattivo – esploso con i social media – il problema di riflettere
un sociale già esistente è stato sostituito da una operatività informatica costruttiva del sociale.
Questo forse è il punto più difficile da comprendere. Non è che il sociale è catturato dal
pensiero meccanico della razionalità tecnocratica. Come direbbe Gilbert Simondon in 'Modi di
Esistenza di un Oggetto Tecnico', non è la macchina a contenere il potere. Invece, ciò che
molti vedono come un nuovo regime di chiarezza e trasparenza definito dalla datificazione di
ogni tipo di esperienza, non è semplicemente il simbolo del potere, ma rivela anche il potere
mascherato dietro l’appello alla liberazione politica dalla macchina burocratica. Ciò che infatti
la macchina dell’informazione rivela è che la documentazione elettronica è anche un modo di
svelare l’architettura di quel potere che non si fida del soggetto politico umano di essere
capace di non costituire mafie e cadere in intrighi di favoritismo e di ingiustizia. Con questo
non voglio dichiarare una specie di Machiavellismo dell’informazione, ma voglio solo
suggerire che questo punto della manipolazione politica è tutto da scoprire e bisogna
decomporlo ed esplorarlo dal punto di vista delle architetture dell’informazione. Il nuovo
regime d’informazione non si rifà all’idea di opinione pubblica o di struttura di comunicazione
basata sulla probabilità pre-stabilita. Il nuovo regime di cui parlo si base invece su un
paradigma interattivo, non solo i meta-data, ma anche e più profondamente un’articolazione
'malvagia' dei media computazionali. Ciò significa che non si può semplicemente ascrivere
alla tecnologia un’immediata tecnocrazia, perché appunto il paradigma interattivo mette in
gioco ciò che si pensava non calcolabile: la qualità dall’espressione vissuta – la qualità della
vita vissuta. In questo contesto, l’introduzione dell’incomputabile nel calcolo razionale del
valore non è da sottovalutare. Ecco perché la tensione tra energia e informazione acquista una
nuova sfaccettatura che bisogna poi usare nell’analisi della situazione politica. Non viviamo
più in un universo laplaciano, dove tutto ritorna – o deve ritornare – alle condizioni primarie
di misura. Non è nemmeno che il sociale è a priori non costituibile ed eternamente topologico,
cioè trasformativo e quindi capace di sfuggire alle costrizioni rappresentative dell’algoritmo.
Infatti, ciò che a mio avviso bisogna pensare è esattamente la natura di questo pensiero
meccanico o di questa ragione meccanica nella costituzione della socialità. Per Deleuze e
Guattari, il meccanicismo del pensiero era esattamente espresso nel principio computazionale
della comunicazione da cui le strategie di marketing che descrivete nella vostra domanda
assumono le loro qualità virali, memetiche, che mettono insieme le folle (di cui parla così bene
Canetti) proprio attraverso la modulazione energetica del sentire. Si è parlato tanto negli
ultimi dieci anni dell’operazione cibernetica di cattura e di valorizzazione di affettività (sia nel
discorso sul marketing che nel discorso sulla sicurezza). Quello che ho capito studiando le
teorie dell’informazione e della computazione è che la tanto antagonizzata univocità tra
informazione ed energia – che è al cuore della cibernetica interattiva – forse non si può più
criticare attraverso un principio di continua differenziazione per cui il controllo non riesce a
catturare il sociale energetico di tutti gli esseri (organici e non). Invece, bisogna riconoscere
una realtà dinamica dell’informazione stessa che si addiziona alla dinamicità energetica, ma
non sono sullo stesso piano. Questa non è una differenza di piani, ma un’asimmetria o un
taglio ontologico per cui le parti del reale non si fondono in unità, ma proliferano
asimmetricamente e pertanto non ci può essere presa diretta tra algoritmi e affettività
dipendente dalla capacità totalizzante dell’uno o dell’altro. La questione dell’algoritmo
interattivo infatti non corrisponde semplicemente all’idea che il sociale di oggi è
pre-costituito. Ciò che abbiamo imparato dagli algoritmi interattivi (dall’online trading al
marketing informazionale) è che il principio computazionale per cui operano include un
nuovo tipo di meccanizzazione o automazione che non contiene ma genera data, che non
limita ma rigenera il potenziale, che riduce l’incomputabile a una probabilità effettiva. Per
capire questo tipo di controllo, c’è quindi bisogno di ripensare al tipo di automazione che
stiamo vivendo e quindi di esplorare il sociale informatico al di là di una critica tout court
della cibernetica.
Luciana Parisi, italiana, vive e lavora a Londra. E' Reader in Cultural Studies al
Goldsmiths College, University of London (UK) dove gestisce il PhD programme al
Centre for Cultural Studies. La sua ricerca analizza i rapporti tra scienza e filosofia,
cibernetica e informazioni, tecnologia e politica per formulare una critica del
capitalismo e, al tempo stesso, indagare le reali possibilità di cambiamento. Durante
gli anni Novanta del secolo scorso ha lavorato con il Cybernetic Culture Research Unit
a Warwick (Uk) e ha scritto alcuni saggi in collaborazione con Steve Goodman
(conosciuto nel mondo della musica come "dominus" del dubstep con il nickname di
Kode 9). Nel 2004 ha pubblicato con MIT Press il libro Abstract Sex: Philosophy,
Biotechnology and the Mutations of Desire, dove ha descritto l'impasse critico tra le
nozioni di corpo, sessualità, "genere" e lo stato attuale degli studi di scienze e
tecnologie. Il suo ultimo lavoro sui modelli architettonici e il ruolo degli algoritmi nel
design interattivo e in architettura è Contagious Architecture. Computation, Aesthetics
and Space (MIT Press, Usa, novembre 2013).
Tiziana Terranova, italiana, vive e lavora a Napoli. E' ricercatrice contemporanea,
docente di “Studi culturali e media' e “Teorie culturali e nuovi media” presso
l'Università degli Studi di Napoli 'L'Orientale'. Dopo essersi laureata presso la facoltà
di Lingue e Letterature Straniere del Dipartimento di Studi Americani, Culturali e
Linguistici dell’Università di Napoli prosegue le sue ricerche su media, studi culturali e
nuove tecnologie, spinta dalla passione per questo settore. L'approfondimento di tali
tematiche avverrà in Inghilterra dove consegue un master in “Communications and
Technology” presso la Brunel University. Consegue successivamente il titolo
accademico di dottore di ricerca in Media and Communications presso il Goldsmiths’
College – uno tra i più rinomati nel panorama londinese. Tiziana Terranova si occupa,
all'epoca, di sottoculture tecnologiche, di cyberpunk, e a metà degli anni ’90 redige una
delle prime tesi di dottorato su internet sui newsgroups e la cultura tecno californiana.
Altra esperienza importante per il suo percorso intellettuale si svolge a Londra, presso
il Dipartimento di Cultural Studies dell’Università di “East London”, dove fonda e
dirige insieme a Helene Kennedy uno dei primi corsi di Multimedia, partecipando in
prima persona all’avvio dei corsi universitari in “Media e New Media Studies”. I suoi
attuali interessi riguardano la cultura digitale e i fenomeni che attorno ad essa si
sviluppano. Di assoluta rilevanza internazionale il suo libro Culture Network, edito in
Italia, nel 2006, da Il Manifesto edizioni. L'ultimo suo saggio s'intitola 'Capitalismo
cognitivo e vita neurale' ed è apparso nel maggio 2013 all'interno dell'e.book 'Lo stato
della mediazione tecnologica' a cura di Giorgio Griziotti (Speciale Ipermedia - Alfabeta
edizioni).