Nello studio del rapporto tra Boccaccio e i Classici, l’importanza delle Satire di Giovenale è una rassicurante consapevolezza, su cui da sempre si fonda la lettura delle sue opere fin dalla primissima diffusione. Già nelle postille a...
moreNello studio del rapporto tra Boccaccio e i Classici, l’importanza delle Satire di Giovenale è una rassicurante consapevolezza, su cui da sempre si fonda la lettura delle sue opere fin dalla primissima diffusione. Già nelle postille a margine del ms. Laurenziano Pluteo 42.1 Amaretto Mannelli segnalò un numero cospicuo – forse anche eccessivo – di passi in cui il Corbaccio ha come sottotesto i versi dell’autore latino. In epoca moderna, questo complicato sistema di relazioni fu prima indagato nell’Ottocento da Giovanni Pinelli, in seguito è stato aggiornato dalle più recenti edizioni del testo e dalle ricerche di numerosi studiosi. Il tema della vituperatio femminile, al centro dell’opera boccacciana come anche di certe novelle decameroniane, ha palesi debiti nei confronti della Satira VI, così ovvi da non richiedere ulteriore argomentazione. Grande fortuna ha avuto anche la Satira X, nei secoli molto popolare, e particolarmente amata da Boccaccio che da essa trae ispirazione in relazione al tema della vecchiaia, senza contare le citazioni esplicite all’interno delle opere erudite. Ben oltre dunque le due dal maggiore eco, le satire di Giovenale si riverberano nell’opera del certaldese in vario modo e in tutto il corso della sua vita. Dalla nobiltà all’omosessualità, dalla stoltezza degli umani desideri alla descrizione infernale della vita dei meno abbienti, sono infiniti i temi che accomunano i due autori. È dunque imprescindibile uno studio che approfondisca nel dettaglio la totalità delle opere di Boccaccio in relazione alla fonte classica. Nell’impossibilità di dedicarsi a un terreno di studio così vasto nel limitato spazio di un intervento, in questo contributo si propone una lettura dell’epistola XIII a Francesco Nelli ponendola in relazione alla Satira V di Giovenale. In entrambi i testi, il tema del rapporto negativo tra potente e sottoposto trova terreno fertile nella descrizione vivida della truce mensa negli ambienti di corte. La pessima accoglienza riservata a Boccaccio da Niccolò Acciaiuoli e Francesco Nelli è all’origine delle dure parole e di un’atroce invettiva (Auzzas 2015). Tra derivazioni puntuali e più generale ripresa dei motivi narrativi, le suggestioni che accomunano i due testi sono numerose: dal cibo e all’attenta delineazione degli ambienti così sgradevoli per entrambi da causare effetti di disgusto corporeo, incrementato dalla pessima compagnia. L’epistola XIII è stata impiegata per approfondire e delimitare il rapporto di Boccaccio con Acciaiuoli (Wilkins 1964; Branca 1977) e spesso considerata come il prodotto di rancori accumulati negli anni (Léonard 1960), tuttavia, come ha ben messo in luce Ginetta Auzzas, una visione di questo genere è a rischio di banalizzazione (Auzzas 2013). La studiosa ha individuato nel suo commento una fitta tessitura di echi classici (Auzzas 1992), tuttavia ha riconosciuto un solo richiamo a Giovenale, ovvero al personaggio di Codro, proveniente dalla Satira III e proverbiale nel Medioevo. La forte coincidenza tematica con la V spinge dunque alla volontà di una più approfondita analisi. Nel suo repentino abbandono dell’inferno napoletano, Boccaccio sembra cogliere la morale del maestro latino: chi si dimostra in grado di sopportare un infimo trattamento è degno di riceverlo («Ille sapit, qui te sic utitur. Omnia ferre/si potes et debet», Satira V, 170-1), le sue parole sono l’orgoglioso risarcimento dei danni subiti.