Haibane - Ali di cenere
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Fantasy - romanzo (368 pagine) - Una guerriera con una missione nella quale una spada micidiale conta meno di astuzia e capacità di persuasione.
Sainan, signora di Haibane, deve difendere i suoi possedimenti dalle mire dell'arrogante Shigemori Furi, signore del feudo confinante. Per farlo è disposta anche a vendere l'armatura di suo padre e a implorare l'Imperatore. Tuttavia, quando Shigemori la fa rapire e portare nel proprio castello, sembra che non ci sia altra alternativa che gettarsi sulla propria spada per difendere l'onore. Eppure, tra quelle mura ostili, troverà l'aiuto inaspettato di Itachi Furi, figlio adottivo di Shigemori. Cosa nasconde la memoria compromessa del giovane guerriero? Itachi, infatti, non ha i modi odiosi del padre e sarà disposto a rinunciare a ogni cosa pur di salvarla. Tra amore e avventura, un altro avvincente viaggio nel magico impero dello Si-hai-pai, avvolti da demoni furiosi, misteriose sacerdotesse e oscure maledizioni.
Francesca Angelinelli esordisce nel 2007 con i primi due romanzi di una serie fantasy orientale, Chariza. Il soffio del vento edito da Runde Taarn Edizioni, riproposto nella collana Odissea Digital Fantasy, a cui fa seguito l’odierno La congrega bianca. Successivamente per Runde Taarn pubblica il fantasy eroico Valaeria (2009), ispirato al mondo della Roma tardo-antica e per Linee Infinite il paranormal romance Werewolf, anch’ess’esso di prossima riproposta in questa collana.
Il 2010 è l’anno del suo ritorno al fantasy orientale con la raccolta Racconti di viaggio del monaco Kyoshi, vincitrice della seconda edizione del Premio di Narrativa Fantastica – Altri Mondi e edita da Montag Editore, e con la pubblicazione del primo volume della Serie delle Cucitrici, Kizu no Kuma. La cicatrice dell'orso, per Casini Editore, primo volume del progetto Ryukoku Monogatari.
Altri racconti brevi sono stati pubblicati in riviste e antologie.
Nella collana Odissea Digital Fantasy è prevista anche la raccolta Le avventure di Chariza.
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Le avventure di Chariza: Ciclo: Chariza Valutazione: 0 su 5 stelle0 valutazioniLa congrega bianca Valutazione: 0 su 5 stelle0 valutazioniWerewolf Valutazione: 0 su 5 stelle0 valutazioniChariza Il soffio del vento Valutazione: 0 su 5 stelle0 valutazioni
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Anteprima del libro
Haibane - Ali di cenere - Francesca Angelinelli
9788825407358
Ryukoku Monogatari
Al principio il mondo era un insieme di buio e di nulla.
Poi il sopra e il sotto cominciarono a separarsi e in quella massa indistinta molti esseri misteriosi furono generati. Tra tutti Saishio, fatto di luce e di tenebra, vide che nel caos si combattevano feroci battaglie e decise di dare ordine a quella immensità. Afferrò quindi una poderosa ascia e colpì il suo stesso corpo spezzando in due la sua essenza. La parte più leggera, fatta di luce, salì verso l’alto, seguita da schiere di spiriti affini ad essa, mentre quella più pesante precipitò in un luogo fatto di ombre ove si riunirono creature inquiete. Il regno nel Cielo fu detto Rakuen, quello nel Profondo venne chiamato Naraku. Fra essi il corpo martoriato di Saishio crollò inerme; il suo respiro divenne vento, la sua voce si fece tempesta, l’occhio sinistro divenne il Sole, quello destro la Luna, le sue membra si trasformarono in montagne e vallate, il suo sangue alimentò il flusso dei fiumi, i suoi capelli mutarono in piante e le sue ossa in metalli e pietre… Ogni cosa tangibile ebbe origine dal suo corpo e un terzo regno emerse, popolato da molte creature e vegliato ai quattro angoli del mondo da draghi sorti dalle estremità di Saishio.
E in questo regno, tra le molte creature, presero forma gli esseri umani che chiamarono il mondo terreno Ryukoku.
01. L’inizio dell’arte
L’inizio dell’arte:
la profondità della campagna
e una canzone piantando il riso.
Basho – Poesie
Una brezza tiepida e frizzante agitò i fili d’erba che piegandosi crearono eleganti sfumature di diverse tonalità di verde sulla trapunta primaverile che copriva le colline. Lontano i meli dovevano aver già aperto i boccioli, la loro fragranza si diffondeva nell’aria e, come il delicato profumo delle ancelle che precedono la loro signora, prometteva l’arrivo imminente della fioritura dei ciliegi. Giù nella valle, attraversata dal fiume sinuoso, il riverbero del sole si rifletteva nell’acqua delle risaie e rendeva vaghe le sagome chine delle donne che piantavano il riso con le gambe immerse nelle risaie inondate, ma intonando un canto antico. Le rondini sorvolavano i campi planando sugli insetti che fuggivano spaventati dagli uomini e i grilli frinivano tra l’erba facendo eco al fischio di un falco. Oltre la valle, tra le chiome fitte degli aceri, sorgeva un castello di cui si scorgeva solo la torre a pagoda che dominava il villaggio, di piccole case di legno col tetto di paglia, così come la strada rialzata che attraversava l’intera regione e sulla quale transitavano mercanti, che trascinavano accaldati il carro con la loro merce, e soldati a cavallo, che lanciavano occhiate alle donne nei campi.
Sainan slacciò il sottogola e si sfilò il cappello di paglia a tesa larga, rimanendo ad ammirare lo spettacolo della primavera che si svolgeva sotto i suoi occhi. Alzò le braccia al cielo, tirando tutti i muscoli e, sentendo la spina dorsale che si allungava, respirò profondamente prima di rilassare il corpo. Dilatò le narici come un coniglio, perché infastidita dal polline che le stuzzicava il naso; starnutì, spaventando così un’anatra selvatica e facendola fuggire dal suo nascondiglio, poi si guardò attorno sorridendo. Strinse la mano attorno alle redini del cavallo e lo guidò lungo il pendio, precedendolo.
Dal fianco della collina aveva l’impressione che il feudo di Koroginaru fosse il luogo più pacifico di tutto l’Impero Si-hai-pai, quasi fosse una piccola copia del Regno Celeste, ma lo sguardo attento della donna notò le case bruciate che gli uomini del villaggio stavano pazientemente ricostruendo e l’argine franato di una risaia che ormai era solo una distesa di fango inutilizzabile, per quella stagione. Sainan strinse le dita attorno alle redini, immaginando senza difficoltà la causa di quei segni di distruzione, tuttavia cercò di dominarsi, perché le era altrettanto evidente che tutti si erano dati da fare nel tentativo di mascherare i danni prima del suo ritorno. Non avrebbe mai voluto dare motivo di dispiacere ai contadini che vivevano attorno al castello, così tornò a sorridere e proseguì la discesa cercando di ignorare i campi bruciati che intravedeva oltre gli alberi e le abitazioni distrutte ai confini con il bosco. Quando raggiunse la strada le donne che lavoravano nei campi smisero di cantare e, sollevandosi, si fermarono a guardarla, credendola un ragazzo. Lei agitò la mano per salutare e tutte le contadine risero ricambiando il saluto e arrossendo per l’errore commesso. Sainan però non se ne stupì, visto che per tutto il viaggio aveva indossato abiti maschili per essere più comoda, e anzi assunse un’espressione seria e orgogliosa, proseguendo il cammino con passo marziale e suscitando l’ilarità delle mondatrici di riso.
– Che la nostra canzone vi accompagni e vi porti fortuna, giovane signora – le disse una delle più mature, prima di rimettersi al lavoro.
Sainan chinò leggermente il capo, in un inchino di ringraziamento e proseguì, ascoltando le parole benaugurali del canto agreste. "Che la benedizione di questa canzone ricada sul villaggio e su tutto il feudo", pensò, mentre tornava a riflettere su ciò che aveva osservato scendendo verso la strada. Si domandò se il suo attendente, Utamaru, avesse provveduto ad aiutare i contadini nella ricostruzione, se durante l’attacco ci fossero state vittime, se i soldati e i mercanti che pagava per proteggere le sue terre avessero combattuto contro gli aggressori. – Dannati Furi! – sbottò a mezza voce. Non aveva dubbi che fossero stati gli uomini del feudo confinante ad attaccare le sue terre e aumentò rapidamente il passo per raggiungere il castello il prima possibile così da poter interrogare Utamaru sull’accaduto. Si lasciò quindi il villaggio alle spalle ed entrò nel bosco, tagliato in due dalla strada, oltre il quale sapeva esserci un sentiero che conduceva alla fortezza.
La frescura di quella foresta di aceri calmò il suo spirito inquieto e la indusse a tornare con la mente all’infanzia trascorsa in quei luoghi. Con grande sorpresa Sainan la trovò più serena di quanto si sarebbe aspettata. Benché sua madre fosse morta dandola alla luce e suo padre fosse stato ucciso in duello quando lei aveva cinque anni, infatti, riconosceva che i più grandi dolori della sua vita li aveva provati solo in seguito, crescendo. "Allora ero troppo piccola per comprendere", si disse e guardò con malinconica tristezza la torre del castello. "Quando sono tornata invece non ho potuto evitare che il mio cuore andasse in frantumi". All’improvviso le sembrò che tutta la terra attorno a lei fosse divenuta nera di cenere e che alte colonne di fumo si levassero dal villaggio e dalla fortezza, fu costretta a chiudere gli occhi per scacciare le memorie della guerra e strinse con forza l’elsa della spada che portava al fianco per aggrapparsi a qualcosa che da sempre le aveva dato sicurezza.
Suo padre infatti non le aveva lasciato altro che una vecchia spada, un’armatura troppo grande, un vecchio ronzino e una cadente casa dispersa tra le campagne del feudo e nella quale non era tornata da quando un soldato agli ordini del suo signore venne a prenderla. Da allora la spada di suo padre era sempre stata il monito a ricordarsi chi era e da dove veniva, poiché fin da piccola Sainan aveva compreso che la sua situazione era tanto precaria quanto inusuale. Era stata accolta come orfana e serva nella casa del nobile Hiko, signore di Koroginaru, non avendo parenti che si prendessero cura di lei, ma, anche se dormiva e viveva con le domestiche, quasi fossero tante madri, il suo ruolo era quello di compagna di giochi del giovane figlio del principe U. Sarebbe stato facile per lei illudersi di essere qualcosa di più di una delle tante persone della casa, visto che il giovane signore, che non aveva molti anni più di lei, l’aveva preferita subito ad altri in virtù del suo carattere allegro e un po’ incosciente, ma Sainan ricordava bene di come ogni sera andasse a pregare davanti all’armatura e alla spada del padre per mantenere vivo il suo ricordo e la consapevolezza di ciò che era in realtà. "Solo una persona al servizio del mio signore", si ripeté, con un sorriso amaro. – Le cose davvero troppo cambiate da allora – mormorò, mentre ripensava all’onore che il nobile Hiko le aveva concesso permettendole di completare la propria istruzione sotto la guida del Drago Bianco, sul Monte Toomei.
Sainan provava un misto di sofferenza e orgoglio nel ricordare il giorno della sua partenza e i sette anni trascorsi tra le cime innevate e ventose dei Sin-sei-na. Era stato un periodo felice, anche se il desiderio di tornare a Koroginaru non l’aveva mai abbandonata, ma più di ogni altra cosa era stato il periodo in cui aveva deciso in che modo onorare suo padre e ripagare il nobile Hiko per la sua grande generosità. Il Drago Bianco aveva fatto di lei un’abile spadaccina e il suo unico desiderio era di mettere di nuovo la spada di suo padre al servizio del clan U, ma tornando dopo i sette anni di addestramento aveva trovato ad attenderla un lugubre spettacolo. Le campagne erano state bruciate, i villaggi distrutti e la popolazione massacrata. Il giovane signore, che era stato suo compagno di giochi, penzolava, legato per i piedi e con la testa mozzata, fuori dalle mura della stessa fortezza in cui era nato e accanto a lui bruciavano gli stendardi del suo casato, mentre quelli del signore del feudo confinante venivano stesi sopra la porta e in cima alla pagoda: il Cormorano era stato scacciato dalla Lontra. Quel giorno aveva creduto di aver conosciuto il più grande dolore sopportabile per un essere umano, ma più gli anni passavano più si rendeva conto che il ricordo di ciò a cui aveva assistito scavava nel suo cuore, come un fiume tra le rocce, rendendo sempre viva la sofferenza. Si fermò, riflettendo sul suo passato e come allora annusò l’aria, felice di non avvertire altro che l’odore fresco e intenso della terra umida.
Aveva sentito l’odore di morte fin dal mattino e si era coperta il volto con un fazzoletto per non respirare quella puzza di sangue e cenere. Si era aspettata di trovare morte e distruzione, ma ciò cui si trovò di fronte, superando l’ultima collina e affacciandosi sulla valle di Koroginaru, andava al di là della sua immaginazione: i campi erano stati tutti bruciati, non uno era stato risparmiato, e del villaggio che sorgeva ai piedi della fortezza di Haibane non erano rimasti che gli scheletri vuoti di quelle che erano state le case dei contadini. L’incendio non era stato ancora del tutto domato e, nel manto nero della campagna, si vedevano lampi rossi che si agitavano al vento, e il fumo grigio appestava l’aria trasportando cenere, tanfo e grida. Sulla strada imperiale passavano i soldati con lo stendardo della Lontra appeso alla sella, orgogliosamente sistemato perché lo si potesse vedere da grande distanza. "Shigemori", il pensiero era stato fulmineo come il montare della sua rabbia. Si era avvolta nel mantello nero per nascondere l’abito bianco, un paio di pantaloni stretti sui polpacci e una casacca delle Combattenti, e si era celata per quanto possibile dietro il cappello a tesa larga. Non che temesse di essere riconosciuta da qualcuno, erano passati sette anni da quando aveva lasciato Haibane, era partita che era una bambina, e tornava come una giovane donna temprata dai ghiacci degli Sin-sei-na. Le altre ragazze di quattordici anni o erano ancora bambine aggrappate alle bambole di paglia o erano già mogli e forse madri, ma lei, che appariva di poco più grande della sua età, aveva il fisico asciutto dei guerrieri, lo sguardo fiero delle Combattenti e non aspettava altro che offrire la sua spada al nobile Hiko signore di Haibane, principe di Koroginaru, così come aveva fatto suo padre prima di lei.
Arrivando di fronte alle mura di Haibane, Sainan aveva trovato una piccola folla di contadini che piangeva e si lamentava e, mescolandosi ad essa, si era fatta largo delicatamente tra le rubiconde signore e i fragili vecchi, finché non si era trovata faccia a faccia con la terribile realtà. Ricordava ancora l’orrore provato e la certezza che, se anche lei come gli altri presenti non avesse distolto lo sguardo, avrebbe ceduto al pianto e alla follia. Un gruppo di soldati che indossavano la casacca marrone con il simbolo del Clan Furi si era radunato sotto le mura di Haibane e dava indicazioni ai compagni in cima per sistemare lo stendardo della Lontra, altri, ubriachi della vittoria e dell’alcool, indirizzavano insulti al cadavere appeso sopra la porta e Sainan era stata costretta a tapparsi le orecchie per non cedere all’ira. Ma fu costretta a guardare di nuovo. Doveva guardare per poter credere, perché un’occhiata fugace non poteva bastarle per essere certa dell’identità del cadavere che veniva offeso. Il corpo indossava la veste bianca e blu su cui era ricamato lo stemma del Cormorano, ma lei avrebbe voluto vedere il suo volto; i nemici gli avevano tuttavia mozzato la testa. Nonostante ciò le battute dei soldati e i sussurri dei contadini le avevano già rivelato l’identità del giovane.
– Quello era il nostro principe – aveva detto una donna – Poco fa è venuto l’onorato Utamaru – sussurrò guardandosi attorno spaventata – E ha portato via la sua testa. Ma noi l’abbiamo vista bene, era proprio quella del nobile Tsubame.
Il cuore di Sainan aveva sanguinato. Con il coraggio degno di una Combattente, aveva guardato ancora una volta quel giovane corpo che sembrava forte, nonostante fosse ormai martoriato dalle ferite e dalle pietre, e aveva cercato di far avvicinare quell’immagine orribile al ricordo del ragazzino con cui aveva giocato, il bambino a cui aveva promesso di tornare, che aveva la carnagione chiara come una perla e capelli e occhi scuri come l’ala di un corvo. Lo immaginò adulto, ma non ancora uomo, ma era difficile per lei ricostruire le sue fattezze avendolo visto l’ultima volta che era solo un ragazzino, smilzo e dispettoso. Si era sforzata di vederlo combattere contro Shigemori, ma l’unica immagine che le era tornata alla memoria era quella di lui che le sorrideva, con malinconica dolcezza, mentre le parlava di sua madre.
– Si raccontano tante storie – aveva detto un uomo vicinissimo all’orecchio di Sainan – Io ho sentito dire che il ragazzo ha implorato Shigemori di non essere ucciso.
Sainan trasalì e tornò al presente, scacciando quei cupi ricordi e osservando la bianca torre di Haibane. Non aveva mai creduto a quelle storie e non c’era motivo perché le tornassero in mente in quel momento. Lei era certa che il nobile Tsubame non fosse stato costretto ad implorare di fronte all’uomo che aveva ucciso sua madre, che aveva distrutto la sua terra e scacciato suo padre. "No, pensò, Tsubame non può aver implorato. Piuttosto si sarebbe gettato sulla spada del suo nemico di spontanea volontà". Erano passati anni da quando lo aveva conosciuto e, così come lei era cambiata, probabilmente anche il principe era mutato e non era del tutto certa che potesse essere cresciuto così come lei si era aspettata, ma il principe Tsubame dei suoi ricordi non era affatto un codardo. Era stata questa certezza e il rispetto che provava per il nobile Hiko, suo padre, a spingerla a cercare l’esercito di Haibane e, dopo tre giorni, fuggendo e nascondendosi dai soldati del casato Furi, Sainan era riuscita a congiungersi con l’esercito del suo signore, il nobile U, arroccato sulle colline attorno alla valle e decimato dei suoi elementi migliori.
È passato molto tempo da allora
, pensò, inchinandosi mentre passava sotto lo stendardo del Cormorano che campeggiava fiero sopra la porta d’ingresso della fortezza di Haibane. – Le Ali Grigie del Cormorano, si aprono ancora sulla Valle in cui cantano i grilli – recitò, alzando lo sguardo sulla pagoda dai tetti color cenere.
– Guardate come siete ridotta! – disse la voce di una donna dall’ombra di uno dei bassi edifici che circondavano il cortile.
– Anna! – la chiamò Sainan, sorridendo, mentre un gruppo di giovani servitori le correva incontro per occuparsi del cavallo e del bagaglio.
– Il nobile Hiko si rivolterebbe nella tomba – disse la donna osservandola con sguardo severo.
Anna era una donna bassa e robusta, con qualche filo grigio tra i capelli castani che legava in una crocchia sulla nuca, grandi occhi marroni, che denotavano un’astuzia non comune tra le persone del popolo, e un viso pieno e tondo che ben si accordava al corpo dalle forme morbide e un po’ cadenti per via dell’età. Sainan la osservò con attenzione, temendo che fosse cambiata, benché non fossero state separate che per pochi giorni, ma forse quello che temeva era di essere mutata essa stessa.
– Mia signora, siete così coperta di fango e polvere che né il bianco della vostra anima, né il grigio delle vostre ali è più visibile né ad amici, né a nemici – la rimproverò con dolcezza – Sembrate più un corvo, portatore di disgrazie, che un Cormorano.
Sainan sorrise, poiché il suo nome significava proprio sventura
e quello di suo padre era stato Karasu, cioè corvo; ma non era solo per questo che le parole della governante l’avevano divertita. – Rallegrati invece, mia cara Anna – ripose – Perché questo Corvo di Sventura è portatore di ottime notizie!
La donna si portò le mani al volto e i suoi occhi divennero lucidi come quelli di un pesce. – Avete ottenuto il denaro! Mia signora, ce l’avete fatta!
Sainan sorrise appoggiando le mani alle spalle della donna. – Sì, Anna, ho parlato con il Drago Bianco e con l’Imperatore in persona. Ho ottenuto il denaro! Possiamo costruire la diga che ci proteggerà dalle inondazioni. La nostra gente non dovrà più temere di perdere tutto ogni autunno.
Anna si abbandonò a un pianto di gioia asciugandosi inutilmente gli occhi con la manica della veste. – Raccontatemi ogni cosa, mia signora, come siete giunta fino al nostro divino Imperatore? Ditemi tutto!
– Non ora Anna – rispose Sainan – Adesso ho bisogno di un bagno, di un pasto e di una notte di sonno. Credi di poter provvedere?
La serva ritrovò tutta la sua composta efficienza e annuì, inchinandosi. – Come desiderate, nobile U.
– E poi vorrei parlare con Utamaru – aggiunse Sainan in tono più serio.
– Così lo avete notato – Anna scosse il capo e intrecciò le braccia sul petto – C’è poco da dire, signora: siamo stati attaccati di nuovo.
Sainan storse le labbra in un’espressione di malcontento. – Quel dannato di Shigemori prima o poi me la pagherà cara.
La serva non rispose, ma in cuor suo sperò che l’uomo che era stato causa di tante disgrazie per Haibane non si trovasse mai abbastanza vicino alla sua signora, perché, per quanto Anna stimasse Sainan anche come guerriera, provava un profondo terrore di Shigemori, che era stato in grado di uccidere sia suo padre che il nobile Hiko.
Sainan finse di non accorgersi dell’espressione tesa della donna, si spolverò i larghi pantaloni e la casacca, per non portare troppa terra in casa, come faceva sempre, e seguì Anna. Arrivata di fronte alla veranda si sedette e slacciò le stringhe di cuoio che tenevano legata la stoffa dei calzoni attorno ai polpacci, sfilò le calzature ed entrò respirando a pieni polmoni l’odore del legno di cipresso delle travi del tetto. "Odore di casa", pensò. Mentre passava di fronte a quella che era stata la stanza del nobile Hiko, si fermò, sbirciando all’interno, ed inchinandosi all’armatura bianca disposta accanto all’altare, davanti al quale si levava un sottile filo di fumo d’incenso.
02. Tori e furi
Il baule di legno laccato rendeva meno sicuri i passi del mulo che si trascinava dietro fin da Koroginaru; la povera bestia era completamente sbilanciata, ma Sainan non poteva farci nulla. I suoi unici beni personali andavano scomparendo l’uno dopo l’altro: il cavallo di suo padre era morto, la casa era bruciata durante la guerra; le restavano solo la spada, Ishiwaru, che lei chiamava affettuosamente Waru e dalla quale non si sarebbe mai separata, e l’armatura nera, che doveva essere venduta prima del tramonto.
Per questo Sainan non aveva perso tempo a cercarsi un alloggio, che in ogni caso non avrebbe potuto permettersi, e si era diretta verso il quartiere commerciale non appena aveva messo piede a Hoh-ma, la Capitale dell’Impero Si-hai-pai.
Senza esitare stava battendo tutti gli armaioli e i mercanti di oggetti antichi mostrando loro la splendida armatura nera del Corvo Nero e raccontando, con qualche studiata esagerazione, le eroiche gesta del guerriero cui era appartenuta.
– Eppure nessuno sembra interessato – disse sedendosi all’ombra di un salice e lasciando che cavallo e mulo brucassero qualche ciuffo d’erba.
Sainan sospirò e alzò lo sguardo verso la cittadella Imperiale all’interno delle Mura Celesti. – A che serve uno stupido lasciapassare, se poi non mi permetteranno di andare oltre il primo cortile? – si alzò e sfidò il cielo con sguardo risoluto – Non posso essere liquidata da qualche inutile funzionario!
Quella che era venuta a compiere nella Capitale era forse la sua missione più difficile, un compito per il quale non avrebbe dovuto sfoderare la micidiale Waru, ma tutta la sua astuzia e capacità di persuasione.
– E chi mi ascolterebbe conciata in questo modo? – si domandò, spolverando gli abiti logori da contadino; un paio di pantaloni rattoppati, stretti attorno ai polpacci, e una vecchia casacca scura che era appartenuta al figlio del nobile Hiko. "Probabilmente non crederanno nemmeno che io sia una feudataria", pensò, riprendendo il suo giro. "Mi accuseranno di aver rubato il lasciapassare e, invece di vedere il Drago d’Oro, mi ritroverò faccia a faccia col suo boia". Sospirò scuotendo il capo. – Oh, Anna – disse, dando un calcio a un sassolino – Come vorrei che fossi venuta con me!
Il sasso sbatté contro una superficie metallica e Sainan alzò lo sguardo attratta da quel suono limpido. – Suono Vuoto – lesse a mezza voce. "Nome bizzarro per una bottega di armi", pensò avvicinandosi – Tuttavia, è quello che stavo cercando.
La costruzione era incastrata tra la bottega del venditore di legumi e quella di un ristorante dalla cui finestra usciva un invitante odore di pesce fritto e carne alla piastra.
Sainan sentì lo stomaco lamentarsi, ma deglutì e ordinò al suo corpo di resistere. – Le privazioni rendono lo spirito più forte – si disse.
La bottega dell’armaiolo era costituita da tre pareti improvvisate e tenute insieme alla bell’e meglio da lacci di canapa sfilacciata, da un tetto mangiato dalle tarme e da un banco pieno di polvere e di una tale quantità di armi gettate alla rinfusa da non riuscire a distinguere le une dalle altre.
Sainan raccolse lo scudo metallico su cui il sasso aveva sbattuto e guardò il proprio viso riflesso nella superficie liscia. I capelli nerissimi legati in una coda alta, alla moda dei giovani signori, le sopracciglia ben disegnate, gli occhi castani, le labbra sottili: era lei, non c’erano dubbi, ma le sue guance, un tempo piene e rosee, erano scavate, facendo risaltare così gli zigomi alti, e pallide, come quelle di uno spettro.
Esasperata dalla sua stessa immagine, Sainan depose lo scudo, ma quando rialzò lo sguardo si ritrovò a fissare le orbite enormi del vecchio che stava dietro il banco. Era poco più alto di lei ed aveva le spalle larghe, ma sotto le vesti grigie si intuiva la forma delle ossa sporgenti, i capelli argentati gli arrivavano alle spalle ed erano arruffati come le piume di un pulcino, gli occhi erano neri e leggermente strabici, così da dare all’espressione del suo viso un’aria ebete e assente.
– Volete comprarlo? – domandò lui, facendo schioccare la lingua – È Sciri! Direttamente dalla Betpak-dala!
Sainan si irrigidì e agitò le mani. – No, no, no, no, non sono qui per acquistare, ma per vendere – tirò avanti il mulo e mostrò il baule – Contiene l’armatura completa di…
– Sì, sì, di un grande guerriero – concluse lui sedendosi e accendendosi una lunga pipa – Dite tutti la stessa cosa.
La donna strinse i pugni, decisa a non cedere. – Ma io dico la verità! Non volete almeno dargli un’occhiata? È nera, come la notte – sussurrò in tono invitante.
Il vecchio sollevò un sopracciglio. – Nera, hai detto? – prese qualche boccata di tabacco e si bagnò le labbra con la lingua – Nera… E non è che, per caso, ne possedete anche una bianca?
Sainan sbatté le palpebre sorpresa. – In effetti, esiste un’armatura bianca, ma non mi appartiene, quindi posso vendere solo questa nera.
L’uomo chiuse gli occhi e annuì. – Siete certa di volervene separare?
Lei si appoggiò con un braccio al collo del mulo e sospirò. – Sì, sono sicura – il suo stomaco brontolò e lei arrossì vistosamente.
Il vecchio aprì gli occhi e sorrise. – Hai fame? Eppure hai un cavallo, un mulo, una bella spada e un lasciapassare per la città Imperiale.
– E tu come…?
Lui la guardò dall’alto in basso. – Non sei né una contadina, né la figlia di un mercante. Nobili decaduti?
Sainan appoggiò la mano all’elsa di Waru e tremò, cercando di frenare il desiderio di far saltare la testa a quel vecchio insolente. – Non ti permetto di insultare il nobile casato U! Ritira le tue parole e domanda scusa!
Il vecchio prese un ultimo tiro di pipa e guardò la donna con un sorriso malizioso. – Non mi risulta che il nobile Hiko avesse una figlia, così come non ricordo che ci fossero donne tra i suoi vassalli. Se sei un Cormorano dalle Ali Grigie – disse balzando in piedi e afferrando una spada – Dì il tuo nome e titolo. Io non cederò di un passo, piccola insolente.
Sainan si morse un labbro e guardò l’uomo con rabbia, ma Waru non uscì dal suo fodero. – Non posso battermi con un vecchio – rispose allontanandosi e capo chino – Voglio solo vendere l’armatura di mio padre.
Il vecchio piegò il collo, con espressione perplessa, e gettò la spada sul banco tra le altre. – Ehi, ehi, ferma! Ho capito. Comprerò la tua armatura se hai così tanto bisogno di denaro.
La donna si fermò e strinse i pugni; l’orgoglio le suggeriva di proseguire per la sua strada e cercare qualcun altro, ma il sole stava cominciando ad abbassarsi all’orizzonte e il buon senso le impose di voltarsi e sorridere, accogliendo la proposta del vecchio.
– Bene – disse lui, battendo le mani. Poi tirò un laccio facendo scendere un telo bianco sulla parte anteriore della bottega e raggiunse Sainan. – Non ruberanno nulla – disse notando lo stupore della donna – Io sono Tori. E tu? Se dobbiamo concludere un affare devo ben conoscere il tuo nome.
Lei si arrese. – Sainan, Sainan Kar… – si bloccò e scosse il capo – Sainan del Clan degli U.
Il vecchio si inchinò. – Perdonate la scortesia nobile signora – alzò lo sguardo e la studiò – Siete stata la moglie del figlio o del vecchio?
Sainan aggrottò la fronte. – Di nessuno dei due. E ora andiamo a parlare di questo affare
.
L’abitazione di Tori differiva dalla sua bottega solo per il fatto di avere quattro pareti, per il resto regnavano lo stesso disordine e la stessa decadenza. Lui si sedette a gambe incrociate accanto al focolare e accese una nuova pipa, appestando l’aria con l’odore del tabacco scandente e con un fumo grigio e denso, fece qualche anello e lo guardò svanire prima di puntare gli occhi sul baule.
Sainan teneva un braccio appoggiato alla cassa e una mano chiusa attorno all’elsa.
– Apri la cassa – ordinò Tori – Non compro se prima non vedo.
– Come vuoi, ma niente scherzi – rispose la donna – Tieni le mani in vista. Se manca anche solo un pezzo…
Lui sollevò un sopracciglio. – Per chi mi hai preso? Apri!
Sainan ubbidì e lui si sporse sul baule annuendo ed emettendo mugugni incomprensibili. – Cento koin d’argento – disse infine – E ne aggiungo venti per la cassa.
La donna si accigliò. – Solo il baule ne vale cinquanta… d’oro. Se questo è quello che chiami affare
, io me ne vado – fece per alzarsi, ma il vecchio fece schioccare la lingua e svuotò la pipa nel focolare sbattendola rumorosamente. Fissando il suo volto Sainan ebbe l’impressione che i suoi occhi fossero divenuti ardenti come braci e che lo strabismo fosse completamente scomparso.
– Va bene – disse lui – Non sei del tutto disperata, dunque.
Sainan piegò le labbra in una smorfia di scherno. – Non sono ancora al tuo livello.
Tori fece un inchino. – Mille koin d’oro per tutto.
Il volto di Sainan si distese in un sorriso soddisfatto. – Ora sì che dai il giusto valore alle cose!
– Certo! – ribatté lui – Perché a differenza di quei pivelli con cui hai parlato stamattina, io ho visto davvero il Corvo Nero attraversare i campi di battaglia sotto le Ali del Cormorano, e ho visto anche il Cormorano Bianco combattere al suo fianco.
Sainan scattò in piedi per la sorpresa. – Come sai tutto questo? Conoscevi mio padre? Conoscevi il nobile Hiko?
Tori riempì di nuovo la pipa, ne prese una boccata e annuì. – Ho servito presso il signore di Koroginaru e ho vissuto nella fortezza di Haibane, prima che il Clan Furi scatenasse la guerra – fece una lunga pausa come se si stesse perdendo tra i ricordi – E sì, ho conosciuto Karasu.
Sainan si sedette e accarezzò lo spallaccio dell’armatura nera del padre. – Allora saprai che sono morti entrambi e che il figlio del nobile Hiko è stato ammazzato ancor prima di poter spiccare il volo. Il Clan si sarebbe estinto e il feudo sarebbe stato frantumato oppure – la donna abbassò il capo e serrò la mascella – Oppure sarebbe finito nella mani dei Furi.
Il vecchio annuì. – E le vostre battaglie di riconquista sarebbero state vane.
Sainan lo guardò sempre più sorpresa. – Sapete di come il nobile Hiko ha riconquistato Haibane?
Tori sorrise. – So che morì per riconquistare le sue Ali, ma che non lasciò il nido vuoto. Siete la sua figlia adottiva?
Lei annuì e lui sospirò guardandola con orgoglio. – A cosa ti servono mille koin d’oro?
Sainan si abbatté e appoggiò, disperata, la fronte al baule. – Per costruire una diga – alzò gli occhi e sorrise – No, i mille koin mi servono per apparire presentabile e partecipare alla festa di stasera al Palazzo Imperiale, così potrò incontrare la mia signora, il venerabile Drago Bianco, e il nostro Imperatore, il Drago d’Oro, e domandare il loro aiuto.
Tori si grattò il mento e assunse un’espressione pensierosa. – A che scopo costruire una diga?
– Ogni autunno il fiume ci fa perdere parte del raccolto – spiegò lei – E tra le tasse e il resto…
– Quale resto? – la incalzò il vecchio.
Sainan distolse lo sguardo. – Mi servono guerrieri per controllare il confine con la terra dei Furi – spiegò – Ma i soldati dell’Imperatore sono pochi e inesperti, così ho assoldato dei mercenari e qualche veterano, oltre ai Cavalieri che sono rimasti fedeli al Clan, ma se non li posso sfamare, né pagare, prima o poi se ne andranno e il Clan Furi ne approfitterà.
Il vecchio si grattò il capo col beccuccio della pipa. – Basterebbe che domandassi all’Imperatore di mandare più soldati o di richiamare all’ordine il nobile signore di Kurirohige. Certo una diga la potresti sempre costruire, ma almeno non avresti il problema di pagare i soldati.
Sainan scosse il capo. – Ci abbiamo già provato. Due estati fa una delegazione imperiale diffidò i Furi di avvicinarsi ai nostri territori e come risultato ottenemmo solo una stagione di incendi continui nei villaggi più vicini al confine, ma non avevamo modo di dimostrare la colpevolezza dei Furi e, inoltre, le truppe del Drago d’Oro non rimangono spesso in una regione, non possono restare a controllare in eterno il mio feudo.
– Comprendo la situazione – ammise Tori – Puoi solo difenderti o attaccare, ma in ogni caso ti mancano i mezzi.
Sainan sospirò. – Anche se spero che non si arrivi mai a una nuova guerra.
Tori annuì. – La guerra non è bella – agitò il capo, poi la guardò di nuovo con la massima attenzione – Ti aiuterò, ti darò io il denaro necessario per sembrare una vera signora.
– Dici davvero? – cinguettò Sainan, quasi con le lacrime agli occhi.
– Ma non comprerò l’armatura di tuo padre. Ne sarò solo il custode e, quando potrai, mi restituirai il denaro ed io ti renderò l’armatura – allungò una mano verso di lei e sorrise – Affare fatto, Haibane?
Lei rispose con un cenno del capo e strinse la mano dell’uomo. – Cantano i grilli nella Valle, festeggiano il volo del Cormorano – rispose.
La grande sala era gremita di nobili e dame venuti da tutto l’Impero. Si erano radunati a grappoli e chiacchieravano sommessamente agitando i ventagli e sforzandosi di non superare mai, con le loro risate, il suono della chitarra a cinque corde suonata da una kiniru dietro un paravento decorato con la sagoma del Vulcano di Sakuramori al tramonto. La sala si affacciava su un giardino nel quale cominciava a vedersi qualche lucciola svolazzare sui fiori di camelia e il paesaggio montano, ricreato in quel piccolo spazio con pini contorti e arbusti, pareva continuare anche all’interno, sui bellissimi dipinti dai pannelli che circondavano la stanza. Le numerose lampade ad olio illuminavano ogni cosa come se fosse giorno e