Prefazione A V Mejerchold Sul Teatro SCR
Prefazione A V Mejerchold Sul Teatro SCR
Prefazione A V Mejerchold Sul Teatro SCR
Sul teatro
scritti (1907-1912)
Traduzione
Leonardo Franchini
Prefazione
Raissa Raskina
Dino Audino
editore
© 2015 Dino Audino
srl unipersonale
via di Monte Brianzo, 91
00186 Roma
www.audinoeditore.it
Titolo originale
Stat’i, pis´ma, reci, besedy. 1891-1917
Moskva, 1968
Cura redazionale
Jusi Loreti
*
Raissa Raskina
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Sul teatro
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A differenza dell’aggettivo russo “uslovnyj”, il termine italiano “convenzionale”,
riferito all’arte, fa pensare all’accezione “privo di originalità”, “che si conforme in
maniera acritica a una consuetudine”, cioè l’esatto contrario del teatro praticato e
teorizzato da Mejerchol´d. Abbiamo pertanto evitato il più possibile l’uso dell’ag-
gettivo “convenzionale”, ricorrendo alla locuzione “di convenzione”, laddove
“convenzione” è sinonimo di “accordo”, “patto”.
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Prefazione
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Vjačeslav Ivanov, Rodnoe i vselenskoe, Mosca 1994, p. 45.
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Prefazione
spesso di testi destinati alla sola lettura. Già Georg Fuchs, uno dei
maîtres à penser della rivoluzione teatrale del primo Novecento, aveva
lanciato nel 1909 il celebre appello a “riteatralizzare il teatro!”, esor-
tando a contrastare l’occupazione illegittima del cartellone da parte di
letterati ignari delle leggi dell’arte drammatica, per colpa dei quali il
teatro aveva perso dinamismo, capacità di stupire e presa sullo spet-
tatore. Secondo Mejerchol´d, chi oggi vuole scrivere per la scena, deve
ispirarsi ai modelli di “autentica teatralità”: tragedia e commedia greca,
drammi inglesi dell’età elisabettiana, gli autori del Siglo de oro, Mo-
lière e la Commedia dell’Arte. Nel saggio I drammaturghi russi l’au-
tore sostiene che i picchi della drammaturgia russa, legati ai nomi di
Puškin, Lermontov, Gogol´ e Ostrovskij, «si sono verificati ogni volta
che i drammaturghi consideravano il ritorno agli elementi del passato
come condizione imprescindibile di qualsiasi progresso». Puškin im-
para da Shakespeare, nelle commedie di Gogol´ si avverte il legame
con il teatro di Molière, mentre Lermontov e Ostrovskij prendono a
modello i drammaturghi spagnoli: gli autori delle “epoche autentica-
mente teatrali” hanno sempre dettato le regole giuste relative alla co-
struzione dell’intreccio, alla creazione del pathos tragico o del
grottesco tragicomico.
Lo stesso vale per la recitazione. Buona parte del programma mejer-
choldiano è già contenuto in queste parole di Fuchs: «I buffoni del tea-
tro di Shakespeare non erano affatto quei noiosi clown filosofeggianti
che sono diventati sotto il dictat della letteratura. Erano fratelli del-
l’odierno attore eccentrico con l’aggiunta di un’enorme dose di capa-
cità acrobatica, intesa nel senso più nobile del termine, come lo si
intendeva presso i popoli antichi o presso i giapponesi»3. Il ripristino
dell’elemento propriamente teatrale passa per la rivalutazione del so-
strato extraverbale dello spettacolo: arte mimica, danza, acrobazia. La
potenza di questi elementi è tutta da riscoprire in un teatro che ha da
tempo estromesso il suo vero artefice: l’istrione.
L’ultima parte del libro, l’articolo Il baraccone (1912), ha la risolutezza
e l’intransigenza di un manifesto. Cenni e spunti già affiorati in testi
precedenti maturano, qui, fino a diventare temi programmatici. Anzi-
ché indulgere ancora alla presunta centralità della recente produzione
letteraria, Mejerchol´d rivendica apertamente l’autonomia e l’autosuffi-
cienza del linguaggio teatrale. Al posto del teatro-tempio, evocato nel
periodo simbolista, subentra il teatro-baraccone, che spazza definiti-
vamente via la scena pittorica bidimensionale e l’attore votato all’im-
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Georg Fuchs, Revoljucija teatra, San PIetroburgo 1911, pp. 109-10.
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Sul teatro
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Vsevolod Mejerchol´d, Lekcii 1918-1919, O.G.I., Mosca 2001, p. 42.
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Prefazione
negli interstizi della cultura ufficiale, in ambiti non canonici, come ap-
punto i thèâtres de la foire parigini, riscoperti dai romantici francesi
della generazione di Gauthier e de Musset. Ora si assiste all’ultimo ca-
pitolo di questa storia d’emarginazione: «I principi del Baraccone, re-
spinti dal teatro moderno, hanno trovato rifugio nei cabaret francesi,
negli Überbrettl tedeschi, nei music-hall inglesi e nelle variétés di tutto
il mondo».
L’inizio di quello che, per Mejerchol´d, è un inarrestabile degrado della
cultura teatrale europea risalirebbe all’epoca in cui la riforma di Gol-
doni prese di mira la Commedia dell’Arte (cioè la poetica dell’irrazio-
nale, la maschera grottesca, l’improvvisazione) per avvicinare il teatro
alla vita quotidiana, al verosimile, così da assegnargli una funzione di-
dattico-morale. La battaglia di Carlo Gozzi contro la riforma goldoniana
diventa, per il regista russo e i suoi seguaci, il vessillo delle loro stesse
battaglie, il modello di una possibile resistenza all’establishment cul-
turale. Non a caso L’amore delle tre melarance, la fiaba teatrale più
esplicitamente polemica di Gozzi, suggerirà il titolo della celebre rivi-
sta edita presso lo Studio di via Borodinskaja, nella quale troveranno
approfondimento molti argomenti trattati in Il baraccone.
Tra le antiche tradizioni cui si richiama Mejerchol´d, la Commedia del-
l’Arte occupa un posto del tutto speciale. La plurisecolare storia della
drammaturgia e dell’arte scenica europea sembra condensarsi in quel-
l’esperienza: meccanismi compositivi perfetti, infallibili effetti comici e
virtuosistiche tecniche recitative. Lo studio della Commedia dell’Arte –
considerata come una sorta di matrice del teatro europeo – diventa la
disciplina centrale nella formazione del “nuovo attore”.
Nel teatro all’italiana è il proscenio che conserva e tramanda la me-
moria dell’originario luogo d’azione dell’attore il quale, con l’avvento
della scena prospettica, venne ricollocato dentro la “scatola ottica”. Il
proscenio è ciò che resta, nel teatro moderno, dell’orchestra. Nelle
regie di L baracca dei saltimbanchi di Blok (1906), della Sciarpa di
Colombina tratta da Schnitzler (1910) e soprattutto del Don Giovanni
di Molière (1910) Mejerchol´d fece ricorso al proscenio, luogo propi-
zio al contatto ravvicinato tra il pubblico e l’attore. «Da quando ho
messo in scena queste tre opere – scrive il regista – la mia preoccu-
pazione principale è stata quella di risolvere i problemi teatrali connessi
al proscenio», che rappresenta il tema verso il quale «convergono le
fila dei vari argomenti affrontati nel mio libro».
Ecco, in due parole, la straordinaria sfida di Mejerchol´d: rifondare il
teatro su una base umile (basti pensare alla maschera o alla panto-
mima), priva del prestigio culturale di cui godeva invece la letteratura
drammatica dell’epoca; congedarsi una volta per sempre dalle messe
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