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Le architetture non sono mere composizioni formali, “giochi di volumi sotto la luce” (pur “sapienti, corretti e magnifici”, come apparivano a Le Corbusier) ma veri e propri dispositivi materiali: tecnologie capaci di operare, di produrre... more
Le architetture non sono mere composizioni formali, “giochi di volumi sotto la luce” (pur “sapienti, corretti e magnifici”, come apparivano a Le Corbusier) ma veri e propri dispositivi materiali: tecnologie capaci di operare, di produrre determinati effetti sul mondo. È questa una delle premesse fondamentali su cui si fonda il lavoro transdisciplinare di Andrés Jaque e del suo Office for Political Innovation, attivo tra Madrid e New York all’intersezione tra pratica progettuale, ricerca e diffusione culturale.
L’intento di evidenziare l’incontro di due discipline come l’architettura e la filosofia, nasce dall’interesse di suggerire nuovi orizzonti di ricerca speculari. L’argomento principale, quello dell’interno, investe entrambe in un gioco di... more
L’intento di evidenziare l’incontro di due discipline come l’architettura e la filosofia, nasce dall’interesse di suggerire nuovi orizzonti di ricerca speculari. L’argomento principale, quello dell’interno, investe entrambe in un gioco di interpretazione volto ad ampliare una discussione aperta fra professori, ricercatori e cultori della materia. Il senso, l’esperienza, il dettaglio, il gusto, il colore: sono alcune delle tematiche affrontate dagli autori attraverso più punti di vista partendo dagli spazi museali a quelli della casa e del carcere. La questione dello spazio rimane centrale in un’analisi attuale di come l’interno si stia sempre di più interfacciando oltre al polo scientifico anche a quello delle scienze umane.
Questo libro ricostruisce le relazioni tra cultura architettonica italiana e nordamericana nel corso degli anni Settanta, prendendo come riferimento la breve ma significativa esperienza dell’Institute for Architecture and Urban Studies di... more
Questo libro ricostruisce le relazioni tra cultura architettonica italiana
e nordamericana nel corso degli anni Settanta, prendendo come
riferimento la breve ma significativa esperienza dell’Institute for
Architecture and Urban Studies di New York, che dalla sua fondazione
nel 1967 – su iniziativa di Peter Eisenman – fino ai primi anni
Ottanta si impone come centro propulsore tra i più attivi ed influenti
nel dibattito disciplinare negli Stati Uniti.
Più che la semplice ricostruzione dei suoi quasi vent’anni di storia,
ciò che interessa dell’IAUS è proprio il suo costituirsi, anche e sopratutto
grazie al suo ambizioso progetto editoriale ed espositivo, come
luogo privilegiato di un incontro e di un confronto, non privo di
contraddizioni, tra due milieux intellettuali – la New York dei Five
Architects e delle mostre al MoMA, la Venezia dell’IUAV di Aldo
Rossi e Manfredo Tafuri e delle neonate Biennali d’architettura –
lontani geograficamente e culturalmente, e tuttavia accomunati dal
tentativo di ridefinizione della specificità, del ruolo e degli obiettivi
dell’architettura al tramontare dell’utopia funzionalista.
Eisenman da un lato, Rossi e Tafuri dall’altro sono i protagonisti di
un dibattito complesso e multistratificato che vede intrecciarsi temi,
luoghi e personaggi sulle due sponde dell’Atlantico: una vera e propria
“scacchiera con tre re” dagli schieramenti in costante riassetto
in quella che rappresenta, per molti versi, l’ultima epoca d’oro per
un’idea dell’architettura come pratica intellettuale entro una visione
teorica coerente e definita.

Prefazione di Fulvio Irace.
La problemática en torno a la verdad se ha planteado fundamentalmente desde una perspectiva epistemológica: la cuestión, en este sentido, era la de individuar las condiciones necesarias y suficientes para que una verdad sea postulada y... more
La problemática en torno a la verdad se ha planteado fundamentalmente desde una perspectiva epistemológica: la cuestión, en este sentido, era la de individuar las condiciones necesarias y suficientes para que una verdad sea postulada y aceptada como tal. Frente a esas formas epistemológicas de aproximarse a la cuestión de la verdad, el filósofo francés Michel Foucault proponía un acercamiento distinto, en base a lo que calificaba como las formas alethurgicas de la misma, esto es, el modo en que esta se produce en tanto que acto de decir veraz. En su reflexión, el autor exploraba así distintos modos de ese «decir veraz» que atraviesan la historia atendiendo a sus principales formas discursivas. Sin embargo, cabe preguntarse si esas formas alethurgicas no pueden analizarse también, más allá del discurso, en su manifestación sensible.

Cita recomendada Jordana Lluch, Ester; Rispoli, Ramon. 2019. «La interfaz como alesthesis: la verdad como organización sensible». En «Tras la posverdad», coordinado por Jorge Luis Marzo Pérez. Artnodes. N.º 24: 13-21. UOC. [Fecha de consulta: dd/mm/aa]
E. Ramon Rispoli y Ester Jordana “Entre hegemonía y crítica: pensar el diseño como transformación”. En Marzo, J.L; Martínez, T. (ed.) Interface politics. Barcelona: publicaciones Gredits, pp. 419-133.
Research Interests:
Versione in lingua italiana del contributo alla conferenza internazionale "How We Live & How We Might Live: Design and the Spirit of Critical Utopianism", evento annuale della Design History Society, California College of the Arts, San... more
Versione in lingua italiana del contributo alla conferenza internazionale "How We Live & How We Might Live: Design and the Spirit of Critical Utopianism", evento annuale della Design History Society, California College of the Arts, San Francisco (USA), 11-13 settembre 2015.
Future Studies are a field of research which has expanded over the last few years; their goal is to extend to social reality the possibility of making previsions. Future studies investigate the manifold images of the future in order to... more
Future Studies are a field of research which has expanded over the last few years; their goal is to extend to social reality the possibility of making previsions. Future studies investigate the manifold images of the future in order to promote present actions. In the field of architectural design, the problem of the future is nested in the activity of all architects’ practices: they design something that does not yet exist, and maybe never will. Architects produce new conditions which will affect the future, so they need both to predict and to promise future effects through their projects. Parallelly, philosophers have explored the future – its ontological consistencies, for instance – in the philosophy of time, and future as a ‘prevision of state of affairs’ is a recurring theme in the philosophy of economics. Furthermore, philosophers usually aim to describe and possibly predict the future, rather than constructing it
The purpose of this paper is to re-explore the relationship between utopia and architecture, trying first and foremost to challenge the way utopia has been conceived by architectural thought: i.e., as the prefiguration of a future seen as... more
The purpose of this paper is to re-explore the relationship between utopia and architecture, trying first and foremost to challenge the way utopia has been conceived by architectural thought: i.e., as the prefiguration of a future seen as an ‘otherness’ distinct from the present, as far as the totality of its spatial, social, and political dimensions are concerned. Such vision – as we will argue – turns out to be deeply linked to a design logic of ‘projection’ and ‘prescription’; this, however, is not the only possible logic of design. Through a reflection upon some contemporary architectural practices, we will try to highlight a new horizon for design action, in which even utopia abandons its traditional ‘projective’ role and takes on a new meaning: rather than being the non-place of a possible future, utopia stands for what doesn’t have place in the present but can emerge from its alteration. Such notion of utopia as a form of ‘situated critique’, in a concrete space and time, helps to dig more deeply into the political potential of many contemporary forms of architectural and urban design.
Desde disciplinas como la filosofía (Foucault, 1990), los estudios sociales de la ciencia y la tecnología (Winner, 1980; Latour, 1998) o más recientemente la antropología del diseño (Smith et al, 2016), hace tiempo que se asume y pone de... more
Desde disciplinas como la filosofía (Foucault, 1990), los estudios sociales de la ciencia y la tecnología (Winner, 1980; Latour, 1998) o más recientemente la antropología del diseño (Smith et al, 2016), hace tiempo que se asume y pone de manifiesto cómo los dispositivos tecnológicos y los objetos de diseño “tienen” política. Si “la tecnología es sociedad hecha para que dure” (Latour, 1998), los objetos de diseño también son una expansión de esa durabilidad social hecha materia. Lejos de una supuesta neutralidad muda e inerte de los objetos en manos de una voluntad humana que los instrumentaliza y dirige hacia sus propios fines, las cualidades estéticas, formales y matéricas de objetos cotidianos e infraestructuras incorporan, de forma situada, disposiciones materiales que favorecen unos intereses por encima de otros, convocan o excluyen a diferentes colectivos, favorecen o dificultan ciertas acciones, composiciones y comportamientos, y a través de su uso hacen más o menos compatible...
La problemática en torno a la verdad se ha planteado fundamentalmente desde una perspectiva epistemológica: la cuestión, en este sentido, era la de individuar las condiciones necesarias y suficientes para que una verdad sea postulada y... more
La problemática en torno a la verdad se ha planteado fundamentalmente desde una perspectiva epistemológica: la cuestión, en este sentido, era la de individuar las condiciones necesarias y suficientes para que una verdad sea postulada y aceptada como tal. Frente a esas formas epistemológicas de aproximarse a la cuestión de la verdad, el filósofo francés Michel Foucault proponía un acercamiento distinto, en base a lo que calificaba como las formas alethurgicas de la misma, esto es, el modo en que esta se produce en tanto que acto de decir veraz. En su reflexión, el autor exploraba así distintos modos de ese «decir veraz» que atraviesan la historia atendiendo a sus principales formas discursivas. Sin embargo, cabe preguntarse si esas formas alethurgicas no pueden analizarse también, más allá del discurso, en su manifestación sensible. En este sentido, parece interesante explorar cómo y en qué medida las interfaces concebidas como –«superficies de contacto»– pueden ser pensadas e interr...
Il trasparente costituisce oggi, insieme al pulito e al levigato, l'epifenomeno più caratteristico di un'estetica diffusa che si manifesta anche nel campo dell'architettura: quella che Roland Barthes e Byung-Chul Han hanno... more
Il trasparente costituisce oggi, insieme al pulito e al levigato, l'epifenomeno più caratteristico di un'estetica diffusa che si manifesta anche nel campo dell'architettura: quella che Roland Barthes e Byung-Chul Han hanno definito la cultura pornografica del contemporaneo, ormai spoglia di qualsiasi velo erotico dell'alterità. In contrasto con ciò, un'indagine sul senso profondo dell'estetica wabi sabi giapponese – molto al di là della sua riduzione a vulgata dalle tendenze più mainstream del design e dell'architettura d'interni – permette di riesplorare nuovamente l'irriducibile "opacità" del bello, e di opporre alla trivialità dell'immagine chiara e perfettamente accessibile un rinnovato gusto per l'ombra, il velo e l'allusione. Transparency constitutes nowadays, along with cleanness and smoothness, the most distinctive feature of a diffuse aesthetics that manifests itself also in the field of architecture: what Roland Bar...
“Actuar en la emergencia” no significa abandonar las largas líneas de fondo que se han construido en el dise.o y en su pensamiento durante las .ltimas décadas porque ahora haya que proceder con rapidez. El resultado solo sería efectivo,... more
“Actuar en la emergencia” no significa abandonar las largas líneas de fondo que se han construido en el dise.o y en su pensamiento durante las .ltimas décadas porque ahora haya que proceder con rapidez. El resultado solo sería efectivo, influyente y perdurable si se actúa con una conciencia compleja y dotada de amplia perspectiva. Los artículos que siguen a continuación son una potente muestra de esta voluntad.
Per a aquest numero 10 d'Immaterial —que compleix els seus primers cinc anys d'edat— hem decidit donar espai a algunes contribucions rebudes per la nostra redaccio al llarg d'aquests ultims mesos: encara que no centrades en un... more
Per a aquest numero 10 d'Immaterial —que compleix els seus primers cinc anys d'edat— hem decidit donar espai a algunes contribucions rebudes per la nostra redaccio al llarg d'aquests ultims mesos: encara que no centrades en un unic tema monografic de recerca, totes elles destaquen per les seves interessants aportacions als nostres camps d'estudi. Es tracta, concretament, de quatre articles: els primers dos versen sobre temes relacionats amb l'art i la imatge, mentre que el tercer i el quart remeten mes aviat a l'ambit del disseny.
Cuerpos poliedricos y diseno: miradas sin limites planteaba,en su call for papers, una recreacion en las formas de entenderel cuerpo desde siglos pasados (Humanismo) a laactualidad (Transhumanismo, Posthumanismo), desplegandoun itinerario... more
Cuerpos poliedricos y diseno: miradas sin limites planteaba,en su call for papers, una recreacion en las formas de entenderel cuerpo desde siglos pasados (Humanismo) a laactualidad (Transhumanismo, Posthumanismo), desplegandoun itinerario repleto de usos, mutaciones, interrogantes,sensibilidades, interseccionalidades y ensamblajesde entre algunas de las muchas posibilidades que aparecenen el escenario de la naturalezacultura (Haraway,2003) humana y no humana que habita el mundo.La respuesta a la llamada que buscaba miradas sin limitespara esos cuerpos nuevos o el redescubrimiento de susposibilidades desde diferentes posicionamientos teorico-practicos ha sido excelente, con una serie de articulosy propuestas que presentamos en este numero. Textosque ilustran el pensamiento acerca de las transformacionesque se siguen en el cuerpo, conscientes e inconscientes,que acaban por presentar una ficcion entre lo carnaly lo virtual ciertamente sugestiva por lo inaprehensiblede esa entidad simbo...
Questo contributo, riguarda la geografia della diffusione de L’architettura della citta ed intende sviluppare una riflessione intorno ai fermenti disciplinari che negli Stati Uniti accompagnano la prima edizione americana del libro,... more
Questo contributo, riguarda la geografia della diffusione de L’architettura della citta ed intende sviluppare una riflessione intorno ai fermenti disciplinari che negli Stati Uniti accompagnano la prima edizione americana del libro, pubblicato nel 1982 dall’Institute for Architecture and Urban Studies di New York, come terzo volume degli Oppositions Books.
Este número de Inmaterial rastrea debates emergentes sobre el posthumanismo en una amplia gama de perspectivas y considera ejemplos de prácticas de diseño emergentes que enfatizan las interrelaciones entre los actores humanos y los no... more
Este número de Inmaterial rastrea debates emergentes sobre el posthumanismo en una amplia gama de perspectivas y considera ejemplos de prácticas de diseño emergentes que enfatizan las interrelaciones entre los actores humanos y los no humanos. 
Este número de Inmaterial rastrea debates emergentes sobre el posthumanismo en una amplia gama de perspectivas y considera ejemplos de prácticas de diseño emergentes que enfatizan las interrelaciones entre los actores humanos y los no... more
Este número de Inmaterial rastrea debates emergentes sobre el posthumanismo en una amplia gama de perspectivas y considera ejemplos de prácticas de diseño emergentes que enfatizan las interrelaciones entre los actores humanos y los no humanos. Los cuatro artículos que lo conforman trazan un itinerario que transita desde “Hablar con las cosas: antropomorfismo, causalidad e incertidumbre”, de Alexandre Viladrich; “Erótica, vínculos e interdependencia. Diseños de cuidado”, de Jaron Rowan; “Posthumanismo y búsquedas autocompletadas”, de Pablo Sánchez, hasta “La mirada tecnológica en los siglos XIX y XX: fundamentos del diseño de herramientas y metodologías basadas en el control”, de Paloma González Díaz, para informar sobre el desarrollo de nuevas metodologías y prácticas en el campo del diseño y mostrar que las perspectivas emergentes en este ámbito pueden apoyar valores como justicia, igualdad, entrelazamiento, interdependencia, etc., entre diferentes actores humanos y no humanos, cua...
Después de haber explorado, en el primer monográfico, las posibilidades intrínsecas de la materia y de los objetos, Inmaterial desplaza su interés hacia las implicaciones sociales, culturales y políticas del trabajo del diseñador poniendo... more
Después de haber explorado, en el primer monográfico, las posibilidades intrínsecas de la materia y de los objetos, Inmaterial desplaza su interés hacia las implicaciones sociales, culturales y políticas del trabajo del diseñador poniendo el foco, en este segundo número, en la tensión entre lo que se sitúa dentro y fuera de lo que podrá definirse hegemonía en diseño
Después de haber explorado, en el primer monográfico, las posibilidades intrínsecas de la materia y de los objetos, Inmaterial desplaza su interés hacia las implicaciones sociales, culturales y políticas del trabajo del diseñador poniendo... more
Después de haber explorado, en el primer monográfico, las posibilidades intrínsecas de la materia y de los objetos, Inmaterial desplaza su interés hacia las implicaciones sociales, culturales y políticas del trabajo del diseñador poniendo el foco, en este segundo número, en la tensión entre lo que se sitúa dentro y fuera de lo que podrá definirse hegemonía en diseño.
Cuerpos poliédricos y diseño: miradas sin límites planteaba, en su call for papers, una recreación en las formas de entender el cuerpo desde siglos pasados (Humanismo) a la actualidad (Transhumanismo, Posthumanismo), desplegando un... more
Cuerpos poliédricos y diseño: miradas sin límites planteaba, en su call for papers, una recreación en las formas de entender el cuerpo desde siglos pasados (Humanismo) a la actualidad (Transhumanismo, Posthumanismo), desplegando un itinerario repleto de usos, mutaciones, interrogantes, sensibilidades, interseccionalidades y ensamblajes de entre algunas de las muchas posibilidades que aparecen en el escenario de la naturalezacultura (Haraway, 2003) humana y no humana que habita el mundo. La respuesta a la llamada que buscaba miradas sin límites para esos cuerpos nuevos o el redescubrimiento de sus posibilidades desde diferentes posicionamientos teórico-prácticos ha sido excelente, con una serie de artículos y propuestas que presentamos en este número. Textos que ilustran el pensamiento acerca de las transformaciones que se siguen en el cuerpo, conscientes e inconscientes, que acaban por presentar una ficción entre lo carnal y lo virtual ciertamente sugestiva por lo inaprehensible de ...
Cuerpos poliédricos y diseño: miradas sin límites planteaba, en su call for papers, una recreación en las formas de entender el cuerpo desde siglos pasados (Humanismo) a la actualidad (Transhumanismo, Posthumanismo), desplegando un... more
Cuerpos poliédricos y diseño: miradas sin límites planteaba, en su call for papers, una recreación en las formas de entender el cuerpo desde siglos pasados (Humanismo) a la actualidad (Transhumanismo, Posthumanismo), desplegando un itinerario repleto de usos, mutaciones, interrogantes, sensibilidades, interseccionalidades y ensamblajes de entre algunas de las muchas posibilidades que aparecen en el escenario de la naturalezacultura (Haraway, 2003) humana y no humana que habita el mundo.
Born in 1951 thanks to the efforts of the businessman and philanthropist Walter Paepcke, the annual International Design Conference in Aspen (IDCA) proved to be a highly influential experience for the development of design culture during... more
Born in 1951 thanks to the efforts of the businessman and philanthropist Walter Paepcke, the annual International Design Conference in Aspen (IDCA) proved to be a highly influential experience for the development of design culture during the second half of the 20th century. A closer look at its history allows for a better understanding of the ever-shifting directions of the design debate throughout the years, as well as of its connections with other fields of practice and knowledge production such as architecture, visual arts, sociology, and philosophy. This contribution will try to dig into the main issues at stake in the first two decades of the conference, and into the uses and implications of keywords such as technology, business, responsibility, environment. More broadly, the aim is to shed light upon some of the crossroads design culture was faced with in an epoch that proved to be crucial for its own development
Desde disciplinas como la filosofía (Foucault, 1990), los estudios sociales de la ciencia y la tecnología (Winner, 1980; Latour, 1998) o más recientemente la antropología del diseño (Smith et al, 2016), hace tiempo que se asume y pone de... more
Desde disciplinas como la filosofía (Foucault, 1990), los estudios sociales de la ciencia y la tecnología (Winner, 1980; Latour, 1998) o más recientemente la antropología del diseño (Smith et al, 2016), hace tiempo que se asume y pone de manifiesto cómo los dispositivos tecnológicos y los objetos de diseño “tienen” política. Si “la tecnología es sociedad hecha para que dure” (Latour, 1998), los objetos de diseño también son una expansión de esa durabilidad social hecha materia. Lejos de una supuesta neutralidad muda e inerte de los objetos en manos de una voluntad humana que los instrumentaliza y dirige hacia sus propios fines, las cualidades estéticas, formales y matéricas de objetos cotidianos e infraestructuras incorporan, de forma situada, disposiciones materiales que favorecen unos intereses por encima de otros, convocan o excluyen a diferentes colectivos, favorecen o dificultan ciertas acciones, composiciones y comportamientos, y a través de su uso hacen más o menos compatible...
The purpose of this paper is to re-explore the relationship between utopia and architecture , trying first and foremost to challenge the way utopia has been conceived by architectural thought: i.e., as the prefiguration of a future seen... more
The purpose of this paper is to re-explore the relationship between utopia and architecture , trying first and foremost to challenge the way utopia has been conceived by architectural thought: i.e., as the prefiguration of a future seen as an 'otherness' distinct from the present, as far as the totality of its spatial, social, and political dimensions are concerned. Such vision-as we will argue-turns out to be deeply linked to a design logic of 'projection' and 'prescription'; this, however, is not the only possible logic of design. Through a reflection upon some contemporary architectural practices, we will try to highlight a new horizon for design action, in which even utopia abandons its traditional 'projective' role and takes on a new meaning: rather than being the non-place of a possible future, utopia stands for what doesn't have place in the present but can emerge from its alteration. Such notion of utopia as a form of 'situated critique', in a concrete space and time, helps to dig more deeply into the political potential of many contemporary forms of architectural and urban design.
“Fatta l’Italia, bisogna ‘fare’ gli italiani” fue el eslogan de la clase de los intelectuales italianos ya desde las primeras fases de la recomposición geográfica y política del país: se refería al difícil desafío de construir una... more
“Fatta l’Italia, bisogna ‘fare’ gli italiani” fue el eslogan de la clase de los intelectuales italianos ya desde las primeras fases de la recomposición geográfica y política del país: se refería al difícil desafío de construir una identidad compartida en una nación relativamente joven, unida por su secular tradición artística y cultural pero aún fragmentada por desequilibrios económicos y sociales. Esta construcción -paralela a la creación de una primera red productiva nacional- resulta ser un proceso largo y complejo, del que tanto el Risorgimento como las dos décadas fascistas constituyen etapas fundamentales; asimismo, los años que van desde el 1946 al 1970 revisten en este sentido una importancia igualmente crucial.

En los años sucesivos al segundo conflicto mundial los italianos experimentan una serie de profundas transformaciones en su forma de producir, consumir, pensar y convivir: transformaciones de las que el diseño representa un espejo y a la vez uno de los motores. Al crecimiento de las grandes ciudades y a la escolarización de sectores cada vez más amplios de población se acompaña la formación -gracias sobre todo a la televisión y a la publicidad- de una cultura de masas, laica y de consumo, que resulta ser decisiva en el proceso de consolidación de dicha identidad nacional: un proceso más espontáneo que durante el fascismo, en tanto que ya no dirigido “de arriba a abajo” por la política cultural del régimen. En esta nueva “idea-imagen” emergente y colectiva de Italia la cultura material juega un papel crucial: si por un lado las grandes infraestructuras nacionales se encargan de conectar materialmente contextos geográficos y culturales hasta entonces lejanos, por el otro los productos de diseño en sus diferentes ámbitos -de los medios de trasporte familiares a la electrónica, de la moda a la gráfica publicitaria- se revelarán agentes determinantes de cohesión sociocultural: el made in Italy sirve ante todo para enseñar “lo que es Italia” a los italianos mismos.

Asimismo, en aquel entonces el diseño italiano empieza a proyectar su imagen también fuera de las fronteras del país, de un lado al otro del Atlántico: una imagen análoga a la primera, pero no perfectamente coincidente con ella debido a su carácter exógeno. Lugares de gestación y a la vez vehículos de esta imagen resultan ser -entre otros medios- exposiciones como Italy at Work, Her Renaissance in Design Today que -promovida conjuntamente por el gobierno italiano y el de EE.UU.- recorre varias ciudades norteamericanas entre 1950 y 1953, u Olivetti: Design in Industry comisariada por Leo Lionni en el MoMA de Nueva York en 1952, o más tarde Domus: Formes italiennes en las Galeries Lafayette de París de 1967, solo por mencionar algunas de las más significativas.

Esta propuesta tiene el objetivo de profundizar en ese doble movimiento, a la vez centrífugo (hacia el extranjero) y centrípeto (hacia el interior y los propios italianos), con el que el diseño italiano contribuye a producir cierta imagen del Bel Paese -a menudo ficticia, pero no por eso menos digna de interés- en años que, a ese respecto, han resultado ser decisivos.
“Fatta l’Italia, bisogna ‘fare’ gli italiani” fue el eslogan de la clase intelectual italiana ya desde las primeras fases de la recomposición geográfica y política del país, en la segunda mitad del siglo XIX: se refería al difícil... more
“Fatta l’Italia, bisogna ‘fare’ gli italiani” fue el eslogan de la clase intelectual italiana ya desde las primeras fases de la recomposición geográfica y política del país, en la segunda mitad del siglo XIX: se refería al difícil desafío de construir una identidad compartida en una nación relativamente joven, unida por su secular tradición artística y cultural pero aún fragmentada por desequilibrios económicos y sociales. Esta construcción—paralela a la creación de una primera red productiva nacional—resulta ser un proceso largo y complejo, del que tanto el Risorgimento como las dos décadas fascistas constituyen etapas fundamentales; asimismo, las tres décadas sucesivas al segundo conflicto mundial revisten, en este sentido, una importancia igualmente crucial.
Esta propuesta tiene el objetivo de profundizar en el doble movimiento, a la vez centrífugo (hacia el extranjero) y centrípeto (hacia el interior y los propios italianos), con el que el diseño italiano contribuye a producir cierta imagen de la nación en unos años que, en relación a ello, han resultado ser decisivos.