Ilaria Baisi - 2023-06-29
Concessione lavori e servizi: tra “vecchio” e “nuovo”
Codice Appalti
In linea con le aspettative, grazie anche alle opportunità offerte dal Piano
Nazionale di Ripresa e Resilienza, una fetta sempre più larga di infrastrutture e
servizi pubblici viene ora fornita – in luogo dei classici contratti d’appalto –
tramite il partenariato pubblico privato, quasi sempre declinato sotto forma di
concessione[1] o, al massimo, di project financing. Quella della concessione,
peraltro, è una disciplina di diretta derivazione comunitaria: invero, il documento di
riferimento in materia è a tutt’oggi la Comunicazione interpretativa sulle
concessioni nel diritto comunitario[2] adottata dalla Commissione Europea in data
29 aprile 2000. È proprio in questa sede, infatti, che vengono delineati per la prima
volta i caratteri tipici dell’istituto concessorio: il diritto di gestire l’opera o il
servizio, con conseguente, ed implicito, trasferimento del rischio di gestione.
Un’operazione quella intrapresa dalla Commissione volta, anzitutto, a stabilire una
precisa linea di demarcazione tra concessioni e appalti, giacché l’affidamento di
quest’ultimi era all’epoca regolamentato in maniera ben più restrittiva[3].
Volume consigliato per approfondire: Le principali novità del Codice dei contratti
pubblici
Indice
1. La concessione nell’ordinamento eurounitario
2. La concessione nel Codice dei Contratti Pubblici vigente
3. Il rapporto con il Partenariato Pubblico Privato
4. Le innovazioni previste dal nuovo Codice dei Contratti Pubblici
5. La nuova disciplina della concessione
Volume consigliato
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1. La concessione nell’ordinamento eurounitario
Dopotutto, è solo con la dir. 2014/23/UE che le concessioni ricevono una
disciplina organica, la quale conferisce, tra l’altro, dignità normativa proprio a
quelle conclusioni cui la Commissione era giunta molti anni prima: un contratto a
titolo oneroso stipulato per iscritto in virtù del quale una o più amministrazioni
aggiudicatrici o uno o più enti aggiudicatori affidano l’esecuzione di lavori o la
gestione e fornitura di servizi ad uno o più operatori economici, ove il corrispettivo
consista unicamente nel diritto di gestire i lavori o i servizi oggetto del contratto o
tale diritto accompagnato da un prezzo[4]. Un’enunciazione, dunque, che pone
molta enfasi sul trasferimento al privato dell’alea relativa alla gestione, tanto che il
prezzo eventualmente pagato non può comunque mai arrivare a neutralizzarla: si
finirebbe, altrimenti, per trasformare la concessione in appalto pubblico, con tutto
ciò che ne consegue. Il trasferimento di un’alea consistente «nel rischio di
concorrenza da parte di altri operatori, nel rischio di uno squilibrio tra domanda e
offerta di servizi, nel rischio di insolvenza dei soggetti che devono pagare il prezzo
dei servizi forniti, nel rischio di mancata copertura delle spese di gestione
mediante le entrate o ancora nel rischio di responsabilità di un danno legato ad
una carenza del servizio»[5] che la giurisprudenza eurounitaria, in realtà, aveva già
tentato di enucleare, individuandolo quale carattere irrinunciabile della
concessione nonché principale elemento di peculiarità rispetto agli appalti: «In
ogni caso, anche se il rischio nel quale incorre l’amministrazione aggiudicatrice è
molto ridotto, per poter ritenere sussistente una concessione di servizi è
necessario che l’amministrazione aggiudicatrice trasferisca, integralmente o,
almeno, in misura significativa, al concessionario il rischio di gestione nel quale
essa incorre»[6].
Rischio che, ordunque, all’art. 5 della direttiva viene definito “operativo”,
superando così il tradizionale rischio d’impresa. A ben vedere, è proprio in
relazione al rischio operativo che la dir. 2014/23/UE ha avuto un altro grande
merito: il suo inquadramento, di fatto, ha colmato una lacuna che negli anni
precedenti aveva permesso ai concessionari di introdurre celatamente formule di
attenuazione o eliminazione del fattore aleatorio. Un rischio operativo che, perciò,
«dovrebbe derivare da fattori al di fuori del controllo delle parti»[7] e «dovrebbe
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essere inteso come rischio di esposizione alle fluttuazioni del mercato, che
possono derivare da un rischio sul lato della domanda o sul lato dell’offerta
ovvero contestualmente da un rischio sul lato della domanda e sul lato
dell’offerta»[8]. Pregio che si unisce, nondimeno, al superamento della bipartizione
tra concessione di lavori e concessione di servizi – d’ora in poi sottoposte alle
medesime regole – come pure della divisione tra concessioni c.dd. calde[9] e
concessioni c.dd. fredde[10], fin lì di fatto avallata anche dalla decisione Eurostat
11 febbraio 2004, n. 18[11]. In effetti è proprio la direttiva in esame che, nel porre
l’accento sull’allocazione del rischio – ben presente anche nelle “concessioni
fredde” – finisce col porre nell’irrilevanza la tradizionale ripartizione
giurisprudenziale fondata sulla struttura del rapporto giuridico – bilaterale o
trilaterale – che si veniva a creare in seguito all’aggiudicazione di una
concessione[12].
2. La concessione nel Codice dei Contratti Pubblici vigente
Di talché, il Legislatore del 2016 – impegnato nel varare il Codice dei Contratti
Pubblici tutt’ora vigente, proprio in attuazione della Direttiva eurounitaria
richiamata poc’anzi – finisce per disegnare un contratto di concessione basato
sul concetto di rischio operativo: un rischio, tra le altre cose, di notevole ampiezza,
al quale poi si aggiungono il rischio di costruzione e il rischio di disponibilità. Del
resto, alla concessione viene dedicata l’intera Parte III del d.lgs. 50/2016 (artt.
164-178), oltre a numerose definizioni ex art. 3. Tuttavia, se è vero che la
controprestazione per il privato risiede nel diritto di gestione, è altrettanto vero
che pure questo Codice, in molte ipotesi, permette al soggetto pubblico il
conferimento di un bene immobile, un diritto reale o – più spesso – di una somma
di denaro in favore del privato, viste le difficoltà che, suo malgrado, potrebbero
presentarsi nel lungo periodo; in fondo, il rapporto concessorio si
contraddistingue altresì per la sua durata.
Un conferimento pubblico, quindi, al quale tuttavia il Codice stesso applica un
limite pari al 49% del valore complessivo dell’opera. Un contributo superiore, a
conti fatti, finirebbe per annullare del tutto il rischio operativo in capo al soggetto
privato, trasformando di fatto la formula concessoria in appalto. Un dato,
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dopotutto, non di poco conto, se si considera come le fattispecie di partenariato
pubblico privato – soprattutto se sotto forma di concessione – siano le uniche a
riservare in favore del concessionario un diritto di gestione dell’opera, rendendo
costui, a sua volta, responsabile della disponibilità del servizio corrispondente.
Un’ipotesi, peraltro, che vede caricare la Pubblica Amministrazione di una
responsabilità residua circa l’espletamento delle attività di controllo e
monitoraggio, per quanto sempre in stretta collaborazione con il soggetto privato.
Orbene, il Codice dei Contratti Pubblici vigente ha un carattere eminentemente
pedagogico, e le innumerevoli disposizioni di natura esplicativa che contiene ne
sono la dimostrazione. Anzi, molto spesso gli istituti presentano sia una
definizione formale sia una definizione sostanziale: rispetto all’istituto
concessorio, basti pensare a quanto previsto dall’art. 3 uu) e vv), nonché dall’art.
165 c. 1. Ciò nonostante, sulla scorta della direttiva 23/2014/EU, il Codice del
2016 riserva altresì una definizione precisa delle diverse incognite che
effettivamente compongono il rischio operativo stesso: rischio di costruzione ex
art. 3 aaa); rischio di disponibilità ex art. 3 bbb); rischio di domanda ex art. 3 ccc).
Venendo agli aspetti procedurali, riguardo al contratto di concessione non deve
essere poi trascurata l’assoluta libertà che – in linea con quanto disposto dalla
direttiva eurounitaria[13] – caratterizza la strutturazione della gara, la quale, tra
l’altro, viene già meno quando si tratta invece di partenariato pubblico privato[14]:
invero, ai sensi dell’art. 166, «le amministrazioni aggiudicatrici e gli enti
aggiudicatori sono liberi di organizzare la procedura per la scelta del
concessionario, fatto salvo il rispetto delle norme di cui alla presente Parte»[15].
Sicché nel catalogo di possibilità finiscono per rientrarvi pure tutte le procedure
predefinite, dall’aperta alla negoziata senza bando, dalla ristretta al dialogo
competitivo[16]. Principio di libera amministrazione che, d’altra parte, resta a tutti
gli effetti valido finanche nel corso della fase esecutiva: «essi sono liberi di
decidere il modo migliore per gestire l’esecuzione dei lavori e la prestazione dei
servizi per garantire in particolare un elevato livello di qualità, sicurezza ed
accessibilità, la parità di trattamento e la promozione dell’accesso universale e dei
diritti dell’utenza nei servizi pubblici»[17].
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3. Il rapporto con il Partenariato Pubblico Privato
Ebbene, per quanto autonomamente disciplinati nella Parte III, nel Codice
attualmente in vigore il Legislatore ha inserito pure la concessione di costruzione
e gestione[18] e la concessione di servizi come ipotesi tipiche di contratti di
partenariato pubblico privato. A ben vedere, questo non è altro che il frutto di un
processo di assimilazione, che negli anni è andato via via intensificandosi: esempi
di partenariato contrattuale in base all’indirizzo comunitario, eppure degni di una
regolamentazione distinta per il diritto interno, di fatto, nel sistema amministrativo
italiano, queste due fattispecie contrattuali figurano, fin dal 2008[19], quali
manifestazioni paradigmatiche – per non dire prevalenti, come si è ricordato
all’inizio – del ben più ampio fenomeno partenariale. Di talché, è possibile
constatare come la natura di “archetipo generale” da attribuirsi ora alla
regolamentazione di cui agli artt. 180 e ss., rispecchi la scelta di definire, come
pure disciplinare, partenariato pubblico privato e concessioni in modo
sostanzialmente autonomo; tuttavia «se partenariato e concessione stanno in
rapporto di genere e specie, oppure se, diversamente, le due nozioni siano più
distanti tra loro, ciò è irrilevante ai fini della nuova disciplina sostanziale dei
contratti pubblici»[20]. Dopotutto, se la dottrina è divisa circa le ragioni sottese
alla decisione del Legislatore di discostarsi da quanto previsto dalla direttiva
medesima[21], è pur vero che il partenariato pubblico privato, alla fin fine, si basa
sul concetto di “concessione europea”, sicché per istaurare un rapporto
partenariale tra Pubblica Amministrazione e soggetto privato il contratto di
concessione deve necessariamente prevedere un trasferimento del rischio
effettivo in capo a quest’ultimo.
Conseguentemente, appare più che condivisibile l’opinione per cui la causa della
bipartizione in parola sia da rintracciare, innanzitutto, nella trasposizione italiana
del concetto di rischio operativo: contemplando questo diverse tipologie di
incognite – tra cui, specificatamente, il rischio di domanda e il rischio di
disponibilità – diventa inevitabile la previsione di due figure contrattuali distinte.
Cosicché si ha da un lato il contratto di concessione, caratterizzato dalla
sussistenza del rischio dal lato della domanda, regolamentato in un certo modo
dalle norme contenute nella Parte III; e si ha dall’altro lato il contratto di
partenariato pubblico privato, caratterizzato dal rischio sul lato dell’offerta – a cui
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talvolta si aggiunge però finanche quello sul lato della domanda –, disciplinato in
un altro modo dalle disposizioni contenute nella Parte IV[22]. Nel complesso,
insomma, un dualismo sistematico che tuttavia, negli anni, non ha mancato di
creare difficoltà prima ermeneutiche e poi, inevitabilmente, operative.
4. Le innovazioni previste dal nuovo Codice dei Contratti
Pubblici
Sulla base di quanto previsto dalla legge delega[23], il nuovo Codice dei Contratti
Pubblici – pubblicato in Gazzetta Ufficiale lo scorso 31 marzo e ufficialmente in
vigore dal 1 aprile – benché le norme del d.lgs. 36/2023 acquisteranno efficacia
solo a partire dal 1 luglio 2023, con la precisazione che agli avvisi o bandi
pubblicati prima di tale data si continueranno ad applicare le disposizioni del
d.lgs. 50/2016[24] – mira a rendere il partenariato pubblico privato «più attrattivo
per amministrazioni, operatori economici ed investitori istituzionali»[25],
sbloccando definitivamente tutte le potenzialità dello strumento in parola, grazie
anche alla previsione di ulteriori garanzie a favore dei finanziatori. Nello specifico,
il nuovo Codice opera un netto cambio di paradigma, a partire da un unico Libro IV
rubricato Delle concessioni e del partenariato pubblico-privato. Nondimeno, il
partenariato pubblico privato – da contratto tipico qual era nel d.lgs. 50/2016 –
viene ora classificato come “operazione economica”; del resto, è la stessa legge
delega che – nel reclamare una contrattualistica pubblica interna più in linea con
quanto previsto dalla direttiva 23/2014/UE, rifugge qualsiasi tentativo di gold
plating[26]. Nel predisporre una legislazione più coerente con l’impostazione
sovranazionale, che fissa l’obiettivo senza tipizzare i mezzi, la Commissione
Speciale del Consiglio di Stato[27] attribuisce quindi una nuova veste giuridica al
partenariato pubblico privato, instaurando di fatto un rapporto di genere a specie
con le altre figure contrattuali, tra cui la concessione. Tutto questo, però, privando
il fenomeno partenariale di un proprio articolo di riferimento così come il rischio di
disponibilità di una definizione precisa. Eppure, a ben vedere, all’interno del nuovo
Codice i riferimenti normativi continuano ad esservi, con la precisazione che ora
bisogna tuttavia saperli interpretare: invero, il d.lgs. 50/2016 richiede una
conoscenza approfondita della materia, imponendo altresì l’ausilio di figure
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d’estrazione non giuridica. Si passa insomma da un codice pedagogico – che
aveva la virtù di rendere accessibili a tutti anche i concetti più difficili – a un
codice più snello, ma assolutamente privo di intellegibilità. Basti pensare che su
tredici definizioni dedicate al contratto di concessione (equilibrio economicofinanziario, rischio di costruzione, rischio di disponibilità, rischio operativo, rischio
di domanda, contratto di PPP, concessione di lavori, concessione di servizi etc.),
ne restano soltanto due (contratto di concessione e contratto di disponibilità).
Difatti, nonostante un rinnovato istituto concessorio che ora include tanto il
classico contratto basato sul rischio di domanda quanto quello basato sul rischio
di disponibilità[28], è comunque sbagliato dire che il partenariato pubblico privato
scompare dal Codice dei Contratti Pubblici; è vero semmai che il PPP non viene
più iper-regolamentato da una fattispecie contrattuale ad hoc, al punto che tutte le
garanzie previste dal Codice del 2016 devono essere d’ora in poi estese anche al
contratto di concessione tout court, come peraltro nella prassi già spesso
accadeva. Dal punto di vista normativo, sempre nell’ambito della disciplina
dedicata alle concessioni, un esplicito riferimento al partenariato pubblico privato
lo si rinviene nell’art. 174 c. 4[29]. Posto ciò, risulta più chiaro come la bipartizione
tra domanda e disponibilità – che contraddistingue il Codice del 2016 ancora
vigente – nel nuovo impianto venga sostituita dalla bipartizione tra domanda e
offerta, causando così l’assorbimento del partenariato pubblico privato nella
concessione.
5. La nuova disciplina della concessione
Tra le tante modifiche intervenute rispetto alla disciplina delle concessioni, spicca
senza dubbio la modifica in materia di contributo pubblico finalizzato al
raggiungimento e al mantenimento dell’equilibrio economico finanziario: eliminato
il tetto massimo del 49% sul valore complessivo dell’opera[30], l’art. 177 c. 7 del
nuovo Codice fa ora diretto riferimento ai contenuti delle decisioni Eurostat
(peraltro in conformità con la recente Delibera ANAC n. 432/2022), in tema di
prestiti onerosi e risorse a fondo perduto[31]. Peraltro, è lo stesso art. 177 c. 6 a
ricordare che «non si applicano le disposizioni sulla concessione, ma quelle sugli
appalti, se l’ente concedente attraverso clausole contrattuali o altri atti di
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regolazione settoriale sollevi l’operatore economico da qualsiasi perdita
potenziale, garantendogli un ricavo minimo pari o superiore agli investimenti
effettuati e ai costi che l’operatore economico deve sostenere in relazione
all’esecuzione del contratto», con la compatibilità, purtuttavia, del contratto di
concessione con le ipotesi di risoluzione anticipata per cause imputabili all’ente
concedente o di forza maggiore, a fronte del riconoscimento di un indennizzo a
favore del concessionario[32]. Quanto alla fase esecutiva della concessione, si
segnala invece il divieto generale di proroga – salvo eventi sopravvenuti
straordinari e imprevedibili che incidano sull’equilibrio economico finanziario del
contratto – di cui all’art. 178 c. 5; in questo caso è concesso alle parti di
addivenire ad una revisione del piano economico finanziario, compresa la proroga
del rapporto concessorio nella misura necessaria a ricondurre il PEF in
equilibrio[33]. Infine, rispetto alle ipotesi di revisione, l’art. 192 c. 1 del nuovo
Codice dei Contratti Pubblici contempla soltanto gli eventi sopravvenuti
straordinari e imprevedibili nonché il mutamento della normativa di riferimento
richiedendo altresì la preventiva valutazione del DIPE quando si tratta di opere di
interesse statale o finanziate con un contributo a carico dello Stato[34].
Volume consigliato
Il taglio della pubblicazione, che si articola attraverso brevi approfondimenti degli
istituti e un apparato di essenziali considerazioni pratico-operative, rende il
volume adatto non solo a chi si occupa di appalti nella pubblica amministrazione
e negli uffici gare delle imprese, ma anche a chi intendesse approfon- dire la
conoscenza in vista di esami e/o concorsi per il pubblico impiego.
1. [1]La concessione rappresenta infatti la forma per eccellenza di
partenariato pubblico privato: benché preceduta da una fase di scelta
propriamente amministrativa, essa prevede una sostanziale pariteticità tra
le parti, al punto da richiedere una costante collaborazione tra di esse. Sul
punto, v. M. P. Chiti, Il Partenariato Pubblico Privato e la nuova direttiva
concessioni, in G. Cartei, M. Ricchi (a cura di), Finanza di progetto e
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Partenariato pubblico-privato. Temi europei, istituti nazionali e operatività,
Editoriale Scientifica, Napoli, 2015.
2. [2]Commissione delle Comunità Europee, Comunicazione 2000/C 121/02.
3. [3]Cfr. dir. 92/50/CEE e dir. 93/37/CEE.
4. [4]Cfr. Direttiva 24/2014/UE, cons. 11.
5. [5]Corte di Giustizia, 10 marzo 2011, C-274/09, Stadler.
6. [6]Corte di Giustizia, 10 settembre 2009, C-206/08, Eurawasser.
7. [7]Direttiva 24/2014/UE, cons. 20.
8. [8]Ibid.
9. [9]Concessioni in grado di generare flussi di cassa e, di conseguenza,
ricavi di gestione.
10. [10]Concessioni caratterizzate dall’impossibilità di conseguire ricavi
attraverso la vendita all’utenza del servizio oggetto di gestione, poiché
proprie di settori nei quali mancano apprezzabili flussi di cassa (ospedali,
scuole, carceri…); non a caso, ne è quasi sempre la Pubblica
Amministrazione l’unica utilizzatrice diretta, dietro la corresponsione al
concessionario di un canone di disponibilità.
11. [11]Nel ritenere fuori dal bilancio delle pubbliche amministrazioni soltanto
le “concessioni calde” e, viceversa, assimilando l’aspetto contabile delle
“concessioni fredde” a quello degli appalti pubblici.
12. [12]Cfr. G. Greco, La direttiva in materia di “concessioni”, op. cit., 1100: «È
dunque nel trasferimento del rischio, che va ben al di là e differenziato
qualitativamente da quello sopportato da un normale appaltatore, che sta
la caratteristica precipua delle concessioni idonea a differenziarle dagli
appalti, e non dalla struttura del rapporto trilatero che può, come non può,
non venirsi a costituire».
13. [13]Cfr. Direttiva 24/2014/UE, art. 30 c. 1.
14. [14]Cfr. Codice dei Contratti Pubblici d.lgs. 50/2016, art. 181 c. 1 e c. 3.
15. [15]Codice dei Contratti Pubblici d.lgs. 50/2016, art. 166.
16. [16]Cfr. Codice dei Contratti Pubblici d.lgs. 50/2016, artt. 60-65.
17. [17]Codice dei Contratti Pubblici d.lgs. 50/2016, art. 166.
18. [18]Più che pacifico che si tratti di un lapsus calami: è da intendersi
“concessione di lavori”.
19. [19]Il riferimento è anzitutto al Codice dei Contratti Pubblici d.lgs.
163/2006, art. 3 comma 15-ter.
20. [20]F. Di Cristina, Il nuovo codice dei contratti pubblici – il partenariato
pubblico privato quale “archetipo generale”, in Giorn. dir. amm, 2016, 4,
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483. Così peraltro anche Commissione Speciale del Consiglio di Stato,
2016, parere n. 855.
21. [21]«La distinzione tra Parte III (Concessioni) e Parte IV (PPP) rivela una
forte presa di posizione del Legislatore in termini di commitment pubblico
nella materia, distaccandosi dalla nomenclatura indicata dalla direttiva
sulle concessioni 2014/23/UE, che non contempla i contratti di PPP come
fattispecie autonoma dai contratti di concessione»: M. Ricchi, Le scelte del
Legislatore per rilanciare i PPP nel decreto correttivo del Codice dei
contratti pubblici, in Riv. trim. app., 2017, 3, 749. Tra l’altro, secondo M.P.
Chiti, Il Partenariato Pubblico Privato e la nuova direttiva concessioni, cit.,
122 questo ridimensionamento tutto nostrano della sfera applicativa del
partenariato è da imputarsi alle numerose critiche rivolte alla categoria
onnicomprensiva del PPP contrattuale subito dopo la pubblicazione del
Libro Verde.
22. [22]«La ragione della differenziazione tra concessioni e contratti di
partenariato pubblico privato risiede proprio nell’esigenza di regolare le
operazioni di PPP, dove la PA è il principale soggetto pagatore, con
specifiche prescrizioni per garantire che abbia intrapreso il procedimento
più conveniente in termine di costi, tempi e livelli di performance»: M.
Ricchi, L’architettura dei contratti di concessione e di partenariato nel
nuovo Codice dei contratti pubblici (D.lgs.50/2016), in Rivista giuridica del
Mezzogiorno, 2016, 3, 820.
23. [23]Cfr. l. 21 giugno 2022 n. 78.
24. [24]Viene inoltre stabilito un periodo transitorio – fino al 31 dicembre 2023
– con la vigenza di alcune disposizioni del d.lgs. 50/2016 nonché del
decreto semplificazioni 76/2020 e, soprattutto per i contratti PNRR e PNC,
del decreto semplificazioni bis 77/2021.
25. [25]L. 21 giugno 2022 n. 78.
26. [26]Tecnica per cui, in sede di recepimento delle direttive, si va oltre
quanto richiesto dalla normativa europea; è vista come una cattiva pratica
in quanto impone limiti e costi che avrebbero potuto essere
assolutamente evitati.
27. [27]Commissione di composizione mista – presieduta dal defunto
Presidente del Consiglio di Stato Franco Frattini e coordinata dal
Presidente della prima sezione “normativa” Luigi Carbone – a sua volta
articolata in sei sottocommissioni, ognuna delle quali presieduta da un
presidente di sezione. Cfr. art. 14 n. 2° r.d. 26 giugno 1924 n. 1054 (t.u.
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delle leggi sul Consiglio di Stato); decreto del Presidente del Consiglio di
Stato 4 luglio 2022.
28. [28]Cfr. Codice dei Contratti Pubblici d.lgs. 36/2023, art. 177 c. 4.
29. [29]Cfr. Codice dei Contratti Pubblici d.lgs. 36/2023, art. 174 c. 4.
30. [30]Un limite che, tra l’altro, non viene previsto nemmeno dalla dir.
23/2014/UE.
31. [31]Cfr. Codice dei Contratti Pubblici d.lgs. 36/2023, art. 177 c. 7.
32. [32]Cfr. Codice dei Contratti Pubblici d.lgs. 36/2023, art. 177 c. 6.
33. [33]Cfr. Codice dei Contratti Pubblici d.lgs. 36/2023, art. 178 c. 5.
34. [34]Cfr. Codice dei Contratti Pubblici d.lgs. 36/2023, art. 192 c. 3.
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