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L'incompiuta liberalizzazione dei servizi professionali

Il contributo esamina il quadro nazionale e comunitario di riferimento in tema di servizi professionali, nel tentativo di individuare i fattori che impediscono lo sviluppo di un mercato comune.

L’INCOMPIUTA LIBERALIZZAZIONE DEI SERVIZI PROFESSIONALI* di Alessandro Candido (**) (Assegnista di ricerca in Istituzioni di Diritto Pubblico Università Cattolica di Piacenza) 28 agosto 2013 Sommario: 1. Il quadro comunitario di riferimento: uno sguardo d’insieme sui servizi professionali. – 2. La regolazione delle professioni in Italia: i principi costituzionali. – 3. Le tariffe e la pubblicità nei servizi professionali. – 4. La normativa sull’accesso alla professione legale: avvocati vs “abogados italiani”. Liberalizzazione o abuso del diritto? – 5. Gli ostacoli allo sviluppo di un mercato comune dei servizi professionali. Problemi aperti. 1. Il quadro comunitario di riferimento: uno sguardo d’insieme sui servizi professionali. Com’è noto, il diritto comunitario pone la creazione di un mercato integrato quale condizione fondamentale per promuovere la crescita e, con essa, la creazione di nuovi posti di lavoro. Uno spazio economico unico non può però prescindere dalla necessità di eliminare le numerose barriere oggi presenti (derivanti dal fatto che svariati settori rimangono tuttora nella competenza delle legislazioni nazionali), condicio sine qua non per ampliare la concorrenza e * Articolo sottoposto a referaggio. Questo contributo, ultimato nel mese di giugno 2013, attiene a un progetto di ricerca coordinato dalla Prof.ssa Camilla Buzzacchi in tema di mercato dei servizi in Europa ed è destinato a essere pubblicato nel corso dell’anno 2013 in un Quaderno della Collana del “Dipartimento di Scienze Economico-Aziendali e Diritto per l’Economia” dell’Università degli Studi di Milano Bicocca. (**) Desidero ringraziare la Prof.ssa Laura Ammannati per la lettura critica del saggio e gli spunti di riflessione offerti. federalismi.it n. 17/2013 consentire a lavoratori e imprese di svolgere la propria attività in tutti gli Stati membri dell’UE. Tra i più recenti atti di diritto derivato adottati per realizzare tali obiettivi possono segnalarsi: da un lato, la c.d. “direttiva servizi” (conosciuta anche come “direttiva Bolkestein”), approvata il 16 novembre 2006 e mirante a consentire a ciascun cittadino europeo di svolgere la propria attività in qualsiasi Stato dell’UE1; dall’altro, la direttiva sul riconoscimento delle qualifiche professionali (da ora, “direttiva qualifiche”), approvata il 7 settembre 2005, che ha lo scopo di favorire la circolazione dei lavoratori in Europa2, permettendo a ogni cittadino dell’Unione legalmente stabilito in uno Stato membro di prestare servizi in modo temporaneo e occasionale in un altro Paese comunitario con il proprio titolo professionale d’origine e senza dover chiedere il riconoscimento della relativa qualifica3. Tali atti comunitari si applicano alle c.d. professioni regolamentate (che si distinguono da quelle non organizzate4), vale a dire le attività il cui esercizio è subordinato al possesso di una particolare qualifica professionale soggetta a regolamentazione5; in particolare, le disposizioni Si tratta della dir. 2006/123/CE, recepita dall’ordinamento interno con d.lgs. 26 marzo 2010, n. 59 (“Attuazione della direttiva 2006/123/CE relativa ai servizi nel mercato interno”). Sulla “direttiva servizi”, ex plurimis cfr. C. BARNARD, Unravelling the services directive, in Common Market Law Review, 2008, n. 45, p. 323 ss.; G. BERARDIS, La direttiva generale in materia di servizi, in F. BESTAGNO e L.G. RADICATI DI BROZOLO (a cura di), Il mercato unico dei servizi, Milano, Giuffrè, 2007, p. 27 ss.; S. D’ACUNTO, Direttiva servizi (2006/123/CE). Genesi, obiettivi e contenuto, Milano, Giuffrè, 2009. Per un commento al d.lgs. n. 59 del 2010, si rinvia a E.L. CAMILLI, Il recepimento della direttiva servizi in Italia, in Giornale dir. amm., 2010, n. 12, p. 1239 ss. 2 Si tratta della dir. 2005/36/CE, recepita con d.lgs. 9 novembre 2007, n. 206 (“Attuazione della direttiva 2005/36/CE relativa al riconoscimento delle qualifiche professionali, nonché della direttiva 2006/100/CE che adegua determinate direttive sulla libera circolazione delle persone a seguito dell’adesione di Bulgaria e Romania”). Sull’argomento, cfr. A. MARI, La nuova direttiva sul riconoscimento delle qualifiche professionali, in Giornale dir. amm., 2004, n. 4, p. 398 ss. 3 Tuttavia, come ha avuto modo di affermare la Corte di Giustizia dell’UE con sent. 17 dicembre 2009, n. 586, non è possibile avvalersi della direttiva sul riconoscimento delle qualifiche professionali per essere parzialmente esonerati da una procedura di selezione, come ad esempio quella per ottenere l’Idoneità scientifica nazionale (Isn). A quest’ultimo riguardo, infatti, la qualifica di docente universitario non rientra tra le professioni regolamentate ai sensi della dir. n. 2005/36/CE. Sul punto, cfr. E. CHITI, S. SCREPANTI, Mutuo riconoscimento, in Giornale dir. amm., 2010, n. 4, p. 394. 4 Cfr. A. POGGI, La riforma delle professioni in Italia: sollecitazioni europee e resistenze interne, in Le Regioni, 2009, n. 2, spec. pp. 361-362. Secondo F. DI PORTO, Le «professioni non regolamentate»: un modello per la riforma di quelle ordinistiche?, in B.G. MATTARELLA e A. NATALINI (a cura di), La regolazione intelligente. Un bilancio critico delle liberalizzazioni italiane, Bagno a Ripoli, Passigli Editori, 2013, p. 262, «parlare di professioni “non regolamentate” non è corretto. In primo luogo, per la maggior parte delle professioni esistono disposizioni (statali e regionali) che riconoscono se non l’associazione di riferimento o la singola professione in quanto tale, almeno i percorsi formativi di accesso a quest’ultima […]. In secondo luogo, benché non riconosciute e ancorché non esistano norme pubblicistiche vincolanti che ne disciplinino l’accesso o l’esercizio, nondimeno le Pnr soggiacciono a vari corpi normativi». Anche il legislatore italiano, recentemente intervenuto in materia con l. 14 gennaio 2013, n. 4, non parla di professioni non regolamentate, bensì di «professioni non organizzate». 5 Secondo l’art. 3 della dir. n. 2005/36/CE, per professione regolamentata si intende «l’attività o insieme di attività professionali, l’accesso alle quali e il cui esercizio, o una delle modalità di esercizio, sono subordinati direttamente o indirettamente, in forza di norme legislative, regolamentari o amministrative, al possesso di 1 www.federalismi.it 2 della direttiva 2005/36/CE prevalgono – in caso di contrasto – su quelle contenute nella “direttiva servizi”6. La “direttiva qualifiche” disciplina specificamente la libera prestazione dei servizi professionali: da un lato, assicurando la possibilità di svolgere una professione regolamentata in uno Stato membro diverso da quello nel quale la qualifica è stata conseguita; dall’altro, garantendo il diritto di stabilimento dei prestatori di servizi professionali mediante le procedure di riconoscimento delle qualifiche, nonché la libera prestazione di servizi – temporanea od occasionale – in virtù del titolo professionale conseguito nello Stato d’origine. stabilimento (art. 13). Quest’ultimo può tuttavia esigere che, con una dichiarazione rinnovata annualmente, il prestatore che si sposti per la prima volta da un Paese ad un altro per fornire servizi «informi in anticipo l’autorità competente dello Stato membro ospitante con una dichiarazione scritta contenente informazioni sulla copertura assicurativa o analoghi mezzi di protezione personale o collettiva per la responsabilità» (art. 7, § 1). Quali ulteriori adempimenti, gli Stati membri possono richiedere che tale dichiarazione sia corredata dalla seguente documentazione: una prova della nazionalità del prestatore; un attestato ove si certifichi che il titolare è legalmente stabilito in un Paese dell’UE per esercitare le attività in questione e che non gli è vietato svolgerle, anche su base temporanea, al momento del rilascio dell’attestato; una prova del relativo titolo alla qualifica professionale o, nel caso di professione non regolamentata nello Stato di stabilimento, una prova che il prestatore ha esercitato l’attività in questione per almeno due anni nei precedenti dieci anni; la dimostrazione dell’assenza di condanne penali, ma solo nel settore della sicurezza (art. 7, § 2)7. Se l’atto comunitario in esame si occupa specificamente delle qualifiche professionali, la “direttiva servizi”, che impone agli Stati membri di rimuovere le barriere alla libera prestazione di servizi che siano ingiustificate e sproporzionate, affronta invece svariati aspetti che interessano il mercato delle professioni regolamentate, quali: a) le assicurazioni e le determinate qualifiche professionali». Oggi si contano in Italia numerose professioni regolamentate. Si va dalle più note (avvocato, architetto, geometra, giornalista…), la maggior parte delle quali riguardano l’ambito sanitario, alle meno note (attuario, attuario junior, stimatore e pesatore pubblico, massaggiatore capo bagnino di stabilimenti idroterapici…). 6 Lo stabilisce espressamente la clausola di specialità introdotta all’art. 3, § 1, della dir. 2006/123/CE. 7 Tale disposizione è stata recepita dall’art. 10 del d.lgs. n. 206 del 2007. www.federalismi.it 3 garanzie per la responsabilità professionale; b) le comunicazioni commerciali; c) le attività multidisciplinari; d) la semplificazione amministrativa. Sul primo aspetto, l’art. 23 della direttiva 2006/123/CE impone ai prestatori di servizi che presentino un rischio diretto «per la salute o per la sicurezza del destinatario o di un terzo o per la sicurezza finanziaria del destinatario» di sottoscrivere un’assicurazione per la responsabilità professionale (o un’altra garanzia), che venga commisurata alla natura e alla portata del servizio. Tale requisito non è necessario nel caso in cui il lavoratore sia già dotato di congrue garanzie nello Stato in cui è stabilito (se invece ne è dotato solo in parte, gli si può richiedere una garanzia complementare). Ulteriore aspetto interessante per le professioni regolamentate è dato dalla rimozione dei divieti assoluti in tema di comunicazioni commerciali (art. 24, § 1), vale a dire tutto ciò che inerisce le diverse forme di promozione dei servizi o dell’immagine del prestatore: pubblicità tramite stampa, televisione, radio, internet, o anche semplici biglietti da visita. I Paesi membri possono limitare tali forme di comunicazione solo per motivi imperativi di interesse generale e sempre in modo non discriminatorio e proporzionato rispetto all’obiettivo da conseguire. Ad esempio, sono ammessi i divieti rivolti ad assicurare la dignità, il segreto professionale, l’integrità e l’indipendenza della professione regolamentata (art. 24, § 2). Un altro divieto introdotto dalla direttiva inerisce l’imposizione di limiti all’esercizio congiunto o in associazione di attività diverse (art. 25): il diritto comunitario intende infatti eliminare quei requisiti – previsti dalle legislazioni nazionali o dagli Ordini professionali – che obbligano i prestatori di servizi a esercitare una sola attività. Possono invece essere giustificate quelle restrizioni alle attività multidisciplinari rivolte a garantire l’indipendenza e l’imparzialità delle professioni regolamentate, ma nei limiti in cui esse siano necessarie ad assicurare il rispetto delle diverse regole deontologiche e di condotta di ciascuna professione non regolamentata, nonché in modo da garantire la compatibilità tra le diverse attività svolte e l’assenza di conflitti di interesse. Infine, va osservato che gli strumenti di semplificazione amministrativa previsti dalla “direttiva servizi” trovano applicazione anche con riguardo ai servizi professionali. Di conseguenza, l’obbligo degli Stati membri di revisione e di semplificazione delle procedure, «in particolare mediante la limitazione dell’obbligo di autorizzazione preliminare ai casi in cui essa è indispensabile e l’introduzione del principio della tacita autorizzazione da parte delle autorità competenti allo scadere di un determinato termine»8, riguarda anche i servizi 8 V. dir. 2006/123/CE, cit., Considerando 43. www.federalismi.it 4 professionali. Sempre con l’obiettivo di agevolare l’accesso alle attività di servizi e il loro esercizio, la presenza di un sistema di procedure e di formalità espletate per via elettronica rappresenta una condizione imprescindibile per promuovere un’effettiva semplificazione amministrativa (art. 8). Allo stesso modo, uno strumento altrettanto indispensabile è dato dagli sportelli unici (art. 6), tramite i quali i prestatori e i destinatari dei servizi possono agevolmente prendere conoscenza delle diverse informazioni rilevanti (art. 7). Certamente la “direttiva servizi”, pur mirando a perseguire un livello di armonizzazione minima tra le legislazioni dei diversi Stati membri, costituisce un passo in avanti – sebbene, per le ragioni che si esporranno, non sufficiente – in vista della creazione di un mercato unico dei servizi integrato e rafforzato: difatti, come risulta da una Comunicazione della Commissione, in svariati settori, tra cui le professioni regolamentate, «[c]entinaia di obblighi discriminatori, ingiustificati e sproporzionati vigenti nell’UE sono stati aboliti […]»9. Resta tuttavia un problema non ancora superato, derivante dal fatto che «alcune norme UE adottate nel corso degli anni per promuovere il funzionamento del mercato unico dei servizi non sono utilizzate pienamente e, in alcuni casi, sono attuate o applicate in maniera non uniforme»10. 2. La regolazione delle professioni in Italia: i principi costituzionali. Il sistema di accesso al mercato delle professioni è regolato da tre momenti fondamentali: un tirocinio; un esame di Stato; l’iscrizione all’Ordine11. La Costituzione italiana, che rappresenta «la fonte primaria dei principi posti a presidio della libertà di accesso alle professioni e del loro esercizio»12, dispone all’art. 33, co. 5 che «[è] prescritto un esame di Stato per l’ammissione ai vari ordini e gradi di scuole o per la conclusione di essi e per l’abilitazione all’esercizio professionale». Che l’esame di Stato imposto dalla Carta costituzionale si riferisca alle libere professioni rappresenta un principio pacifico13. Del resto, la ratio di tale prova risiede nell’«esigenza che un accertamento preventivo, fatto con serie garanzie, assicuri, nell’interesse e della collettività 9 V. Comunicazione della Commissione, COM(2011) 20 def., Verso un migliore funzionamento del mercato unico dei servizi – basarsi sui risultati del processo di valutazione reciproca previsto alla direttiva servizi, 27.01.2011, par. 2. 10 Ibid., par. 4.2. 11 Cfr. N. RANGONE, Riforma delle professioni intellettuali: contenuti, limiti e prospettive, in B.G. MATTARELLA e A. NATALINI (a cura di), La regolazione intelligente, cit., spec. pp. 236-239. 12 V. G. DELLA CANANEA, L’ordinamento delle professioni, in S. CASSESE (a cura di), Trattato di diritto amministrativo. Diritto amministrativo speciale, tomo II, Milano, Giuffrè, 2003, p. 1141. 13 Lo ha ricordato la Corte cost. con sent. n. 77 del 1964, che poi ha così proseguito: «[i] dissensi e le incertezze possono nascere in relazione alla nozione di libera professione in generale ed in rapporto a singole professioni, rispetto alle quali si ammetta o si neghi la rispondenza a quella nozione». Per approfondire, cfr. G. ROSSI, voce Esame di Stato, in Enc. giur., XIII, Roma, Treccani, 1989, p. 1 ss. www.federalismi.it 5 e dei committenti, che il professionista abbia i requisiti di preparazione e di capacità occorrenti per il retto esercizio professionale»14. Ciò che viene in rilievo è dunque un «principio di professionalità specifica»15, in virtù del quale, pur essendo la Costituzione indifferente rispetto alle forme giuridiche in cui le professioni sono esercitate, si rende necessario che l’esercizio dell’attività professionale si svolga sulla base di conoscenze sufficientemente approfondite. Quest’ultimo costituisce un requisito indispensabile «in una società, quale quella attuale, i cui interessi si connotano in ragione di una accresciuta e sempre maggiore complessità»16: la necessità di acquisire tali competenze si spiega infatti in ragione dell’obiettivo di preservare gli interessi della collettività e non, invece, per garantire la tutela «corporativa di ordini o collegi professionali, o di posizioni di esponenti degli stessi ordini»17. Del resto, non è un caso se, proprio con riferimento all’esame di Stato, i Costituenti abbiano scelto di utilizzare il verbo “prescrivere”; elemento questo che, tra l’altro, «toglie ogni pregio alle dispute intorno al carattere precettivo o programmatico della norma: non può essere posta in dubbio la necessità di un esame di Stato per accertare l’attitudine all’esercizio di una professione. Il legislatore ordinario è vincolato da questa prescrizione costituzionale»18. Ciò che è rimesso alla legge è pertanto la determinazione dei contenuti e dei criteri inerenti tale esame, sebbene essa possa equiparare all’esame di Stato, che in linea generale è imposto per accertare determinate capacità professionali, altri esami rivolti a soddisfare le medesime esigenze. Resta il fatto che «tali equipollenti, rappresentando un’eccezione alla regola, devono venire espressamente previsti, anziché risultare in modo implicito»19. Sempre al fine di fornire un inquadramento costituzionale della materia, va osservato che i servizi professionali formano (e da sempre hanno formato20) oggetto di contenzioso costituzionale tra lo Stato e le Regioni, posto che l’art. 117, co. 3, Cost., annovera le «professioni» tra le materie di competenza concorrente21. La ragione dell’acceso contenzioso 14 Corte cost., sent. n. 77 del 1964. Corte cost., sent. n. 29 del 1990. 16 Corte cost., sent. n. 345 del 1995. 17 Ibid. Va osservato che, a differenza di quanto accade per altre formazioni sociali, come ad esempio i sindacati o le imprese, gli Ordini e i Collegi professionali non ricevono alcun riconoscimento costituzionale. Sul punto cfr. G. DELLA CANANEA, L’ordinamento delle professioni, cit., p. 1144. 18 Corte cost., sent. n. 174 del 1980. 19 Corte cost., sent. n. 207 del 1983. 20 Tra i primi commenti in materia, cfr. V. CRISAFULLI, In tema di libertà professionale e legislazione regionale, in Giur. cost., 1961, p. 83 ss. 15 www.federalismi.it 6 costituzionale sul tema in oggetto è dovuta soprattutto all’esplicita devoluzione della «formazione professionale» alla potestà residuale delle Regioni22. Sin da subito, la collocazione della materia «professioni» nell’ambito dell’art. 117, co. 3, Cost., ha fatto temere che vi potesse essere il rischio concreto di determinare condizioni diverse per l’esercizio delle attività professionali nei diversi territori23. Come ci si aspettava, molte Regioni sono intervenute con proprie leggi nel settore in questione: talune (es., Calabria, Molise, Lombardia) individuando una vera e propria Consulta per la valorizzazione degli Ordini, Collegi o associazioni professionali24; talaltre (es., Basilicata25) istituendo un Comitato consultivo; la Regione Lazio, invece, ha disciplinato le funzioni di una Conferenza Regione – Ordini e Collegi professionali26. Vi è stato poi addirittura chi, come la Regione Toscana, si è spinto sino all’introduzione di una disciplina di carattere generale relativa a tutte le professioni (regolamentate e non)27: prevedendo la costituzione obbligatoria da parte degli Ordini e dei Collegi professionali di propri coordinamenti provinciali, nonché disponendo che tali coordinamenti dovessero essere finanziati con il contributo degli iscritti agli Ordini o ai Collegi (art. 2); attribuendo ai coordinamenti funzioni prima svolte dagli Ordini o dai Collegi (art. 3); istituendo un organo All’indomani della riforma del Titolo V, cfr. M. LUCIANI, Leggi regionali e professioni, in Prev. forense, 2002, n. 2, p. 108 ss.; A. GIANNOTTI, Le «professioni» tra legislazione statale e regionale dopo la riforma del titolo V della Costituzione, in Le Regioni, 2004, n. 1, p. 123 ss. Cfr. anche L. CUOCOLO, Le professioni tra materia e antimateria, in Giur. cost., 2005, n. 6, p. 4587 ss. 22 La «formazione professionale» e la «polizia amministrativa locale» rappresentano le due uniche materie – c.d. nominate – che l’art. 117 Cost. riserva espressamente alla competenza residuale delle Regioni. Cfr. A. CANDIDO, Confini mobili. Il principio autonomista nei modelli teorici e nelle prassi del regionalismo italiano, Milano, Giuffré, 2012, p. 192. Secondo C. BERTOLINO, Nuovi spazi di intervento per le Regioni in materia di «professioni» e «formazione professionale»?, nel Forum Quad. cost., 2012, la formazione professionale «rappresenta una di quelle ‘etichette’ del nuovo art. 117 Cost. che pongono tipicamente problemi di definizione e delimitazione, che originano ‘intrecci’ funzionali con altre materie – prima fra tutte quella dell’istruzione – e, non ultimo, che richiedono un necessario e preventivo intervento dello Stato affinché la competenza regionale possa pienamente esplicarsi». 23 Non è del resto un caso se il progetto di riforma costituzionale del 2005 (poi fallito per via del referendum oppositivo del 2006) avesse tentato di ricondurre alla competenza esclusiva dello Stato quella in tema di «ordinamento delle professioni intellettuali» (inserendo all’art. 117, co. 2, Cost., la lett. s-quater), sia pure con la singolare circostanza di non depennare la materia «professioni» dall’elenco delle materie di potestà concorrente. 24 Si tratta delle seguenti leggi: l. reg. Calabria 26 novembre 2001, n. 27; l. reg. Lombardia 14 aprile 2004, n. 7; l. reg. Molise 18 ottobre 2004, n. 19. Dubbi di legittimità costituzionale sono stati avanzati dalla dottrina sin dall’approvazione della legge calabrese: cfr. ad es. G. DELLA CANANEA, L’ordinamento delle professioni dopo la riforma costituzionale, in Giornale dir. amm., 2003, n. 1, p. 94 ss.; A. GIANNOTTI, Le «professioni» tra legislazione statale e regionale dopo la riforma del titolo V della Costituzione, cit. Di opinione contraria M. CLARICH, Un’iniziativa dall’impatto modesto che apre la strada a interventi più decisivi, in Guida al diritto, 2002, n. 9, p. 19 ss. 25 Cfr. l. reg. Basilicata 1 marzo 2005, n. 23. 26 Ci si riferisce alla l. reg. Lazio, 22 luglio 2002, n. 19. 27 Cfr. l. reg. Toscana, 28 settembre 2004, n. 50. Al riguardo, cfr. T. PONTELLO, Il riparto di competenze legislative tra Stato e Regioni in materia di professioni: la posizione “statalista” della Corte costituzionale, in Le ist. del federalismo, 2006, n. 6, spec. p. 1093 ss. 21 www.federalismi.it 7 consultivo della Regione, la Commissione per le professioni e ammettendo che i coordinamenti avessero un ruolo specifico all’interno della medesima (art. 4). Tale legge è stata dichiarata incostituzionale con la sentenza n. 405 del 200528. Secondo la Corte, la normativa nazionale vigente risponde all’esigenza di tutelare un interesse pubblico non frammentabile, ragion per cui solo lo Stato può «prevedere specifici requisiti di accesso e […] istituire appositi enti pubblici ad appartenenza necessaria, cui affidare il compito di curare la tenuta degli albi nonché di controllare il possesso e la permanenza dei requisiti in capo a coloro che sono già iscritti o che aspirino ad iscriversi. Ciò è, infatti, finalizzato a garantire il corretto esercizio della professione a tutela dell’affidamento della collettività»29. In particolare, il settore in oggetto rientrerebbe per un verso nella materia «ordinamento e organizzazione amministrativa dello Stato e degli enti pubblici nazionali» (art. 117, co. 2, lett. g, Cost.), per un altro nella materia «professioni» (art. 117, co. 3, Cost.). Sì che le Regioni non potrebbero in nessun caso disciplinare gli Ordini e i Collegi professionali30. Inoltre, secondo una parte della dottrina, le Regioni non sarebbero abilitate ad adottare norme in materia di professioni in contrasto con le altre competenze esclusive statali, con particolare riguardo all’ordinamento civile (si pensi ad esempio alla disciplina dei rapporti contrattuali tra professionisti e utenti, o ancora ai profili di responsabilità dei primi nei confronti dei secondi…), alla giurisdizione e al diritto di difesa (come nel caso delle regole deontologiche), alla tutela della concorrenza, nonché alla tutela dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali31. 28 Cfr. R. TOSI, Nomina costituzionali, materie e interessi: la Corte contraddice se stessa, in Le Regioni, 2006, nn. 2-3, p. 478 ss. 29 Corte cost., sent. n. 405 del 2005. Sono critici E. BINDI, M. MANCINI, La Corte alla ricerca di una precisa delineazione dei confini della materia ‘professioni’ (nota a margine delle sentt. nn. 319, 355, 405 e 424 del 2005 della Corte costituzionale), in Federalismi.it, 2006, spec. pp. 2-4, ritenendo poco persuasivo il ragionamento della Corte. Cfr. anche la nota di G. COLAVITTI, Gli interessi pubblici connessi all’ordinamento delle professioni libere: la Corte conferma l’assetto consolidato dei principi fondamentali in materia di professioni, in Giur. cost., 2005, n. 6, p. 4417 ss. 30 Tale pronuncia si pone in continuità con una consolidata giurisprudenza costituzionale (ex plurimis, cfr. sent. nn. 319 e 353 del 2003, 424 e 355 del 2005), che ha in pratica declassato la materia professioni, facendola coincidere totalmente con la competenza residuale regionale in tema di «formazione professionale». Così A. POGGI, Disciplina “necessariamente unitaria” per le professioni: ma l’interesse nazionale è davvero scomparso?, in Le Regioni, 2006, n. 2, spec. pp. 393-396. Secondo ID., La riforma delle professioni in Italia: sollecitazioni europee e resistenze interne, cit., pp. 369-370, il quadro giurisprudenziale relativo all’assetto della materia può dirsi oramai completato con le sent. nn.: 40 del 2006; 57, 90, 91, 300 e 443 del 2007; 62, 93, 179 e 222 del 2008. Più recentemente, cfr. la sent. n. 108 del 2012. 31 Si rinvia a M. LUCIANI, Leggi regionali e professioni, in Prev. forense, 2002, n. 2, p. 110; G. ALPA, «Ordinamento civile» e «principi fondamentali» nella recente giurisprudenza costituzionale sulla potestà legislativa dello Stato e delle Regioni, in Rass. forense, 2004, n. 1, p. 22; E. GIANFRANCESCO, Libertà di impresa e libertà professionale nell’esperienza costituzionale italiana, in Giur. cost., 2005, n. 3, p. 2229. www.federalismi.it 8 Dopo una prima fase di incertezze, con il d.lgs. 2 febbraio 2006, n. 30 il legislatore ha tentato di individuare le linee guida sulle professioni32, senza però contribuire a fare chiarezza in materia, come dimostra la mancata riduzione del contenzioso costituzionale. In particolare, il decreto precisa che: le Regioni possono esercitare le proprie competenze soltanto con riferimento alle «professioni individuate e definite dalla normativa statale» (art. 1, co. 3); in secondo luogo, esse possono porre esclusivamente norme di dettaglio nell’ambito dei principi fondamentali individuati dallo Stato (art. 1, co. 2)33. I principi fondamentali in materia di professioni individuati con decreto riguardano quattro ambiti: a) la libertà professionale (art. 2), in relazione alla quale è fatto divieto di ogni discriminazione e i cui soli limiti sono legati al rispetto delle norme imperative, dell’ordine pubblico e del buon costume. Corollario del principio di libertà professionale è quello dell’autonomia del professionista34. b) la tutela della concorrenza e del mercato (art. 3). L’attività professionale è infatti espressamente equiparata all’attività di impresa, come del resto stabilito dal diritto dell’UE e come più volte ha ribadito l’Antitrust35; sì che gli interventi pubblici a sostegno delle attività professionali devono rispettare la normativa comunitaria. c) l’accesso alle professioni (art. 4), che è libero, previo possesso dei titoli e dei necessari requisiti individuati dalla normativa nazionale. d) la regolazione delle attività professionali (art. 5), da svolgersi «nel rispetto dei princìpi di buona fede, dell’affidamento del pubblico e della clientela, della correttezza, della tutela degli 32 Cfr. A. MARI, I principi fondamentali in materia di professioni, in Giornale dir. amm., 2006, n. 8, p. 825 ss. Come disposto dall’art. 1, co. 4, sono espressamente escluse dall’ambito di applicazione del menzionato decreto: la formazione professionale universitaria; la disciplina dell’esame di Stato previsto per l’esercizio delle professioni intellettuali, nonché i titoli, compreso il tirocinio, e le abilitazioni richiesti per l’esercizio professionale; l’ordinamento e l’organizzazione degli Ordini e dei Collegi professionali; gli albi, i registri, gli elenchi o i ruoli nazionali previsti a tutela dell’affidamento del pubblico; la rilevanza civile e penale dei titoli professionali e il riconoscimento e l’equipollenza, ai fini dell’accesso alle professioni, di quelli conseguiti all’estero. 33 A questo proposito, ad es., il Cons. Stato, sez. V, con sent. 8 luglio 2010, n. 4427 ha dichiarato illegittimo, per violazione dell’art. 1, co. 2, d.lgs. n. 30 del 2006 «l’atto della Regione che individua le competenze e gli obiettivi di formazione della figura professionale denominata “operatore di tecniche di massaggio orientale in vertenza” […] perché invasivo di competenza statale in materia di professioni sanitarie». 34 Sul tema della libertà professionale, tra i lavori più recenti, cfr. G. COLAVITTI, La libertà professionale tra Costituzione e mercato, Torino, Giappichelli, 2012. 35 Su questi temi, cfr. G. DELLA CANANEA (a cura di), Professioni e concorrenza, Milano, Ipsoa, 2003. Sulla qualifica – oramai pacifica – di attività di impresa della professione legale, ex plurimis cfr. Corte di giustizia, 18 giugno 1998, causa C-35/96, Commissione c. Italia; 12 settembre 2000, cause riunite da 180/98 a 184/98, Pavlov e altri; 19 febbraio 2002, causa C-309/99, Wouters e altri c. Algemene Raad van de Nederlandse Orde van Advocaten. www.federalismi.it 9 interessi pubblici, dell’ampliamento e della specializzazione dell’offerta dei servizi, dell’autonomia e responsabilità del professionista». Alle norme del d.lgs. n. 30 del 2006 deve aggiungersi l’art. 2 del c.d. decreto Bersani (d.l. 4 luglio 2006, n. 223, convertito con mod. in l. 4 agosto 2006, n. 248) che, al fine di sviluppare la concorrenza e la libera circolazione delle persone e dei servizi, ha abrogato le disposizioni che, con riferimento alle attività libero professionali e intellettuali prevedevano: l’obbligatorietà di tariffe fisse o minime, nonché il divieto di parametrare i compensi professionali al raggiungimento di determinati risultati; il divieto di pubblicizzare i propri titoli professionali e le caratteristiche dei servizi offerti (compresi i costi delle prestazioni); il divieto di fornire servizi professionali di tipo interdisciplinare. Tale normativa di principio va inoltre letta in combinato disposto e in coordinamento con i più recenti interventi legislativi in tema di professioni: uno su tutti, il c.d. decreto “cresciItalia” del 201236. Ciò premesso, si può affermare che, nonostante la lettera dell’art. 117, co. 3, della Costituzione ponga la materia «professioni» tra le competenze concorrenti, la legislazione nazionale e la giurisprudenza successiva alla modifica del Titolo V ne hanno via via riconosciuto la spettanza – sostanzialmente esclusiva – statale. Sì che «nella prassi tutti i tentativi di intervento in senso ‘differenziatore’ delle Regioni sono stati respinti dalla Corte costituzionale»37. 3. Le tariffe e la pubblicità nei servizi professionali. Se dal quadro costituzionale di riferimento in materia di professioni emergono soprattutto questioni di competenza nei rapporti tra normazione statale e regionale, salendo al livello comunitario si riscontra un problema di assenza di omogeneità tra le diverse normative; invero, si tratta di un aspetto – quello della realizzazione di un quadro comune a tutti gli Stati membri – propedeutico alla liberalizzazione del mercato dei servizi professionali38. 36 Si tratta del d.l. 24 gennaio 2012, n. 1, conv. con mod. in l. 24 marzo 2012, n. 27. Cfr. infra, spec. par. 3. V. C. BERTOLINO, Nuovi spazi di intervento per le Regioni in materia di «professioni» e «formazione professionale»?, cit. Con particolare riguardo al potenziale conflitto tra la competenza statale trasversale in tema di tutela della concorrenza e le possibili spinte regionaliste verso una progressiva differenziazione nelle materie economiche, cfr. L. AMMANNATI, La tutela della concorrenza nella riforma costituzionale: come definire e realizzare un “valore” comune a Stato e Regioni, in Studi in onore di Giorgio Berti, vol. 1, Napoli, Jovene, 2005, p. 33 ss. Sul rapporto tra gli artt. 41 e 117, co. 2, lett. e), Cost., cfr. L. CASSETTI, La ragionevolezza della legislazione regionale in materia di grande distribuzione commerciale tra tutela della concorrenza e libertà di iniziativa economica privata, in Giur. cost., 2004, n. 3, p. 1814 ss. 38 Come osserva A. POGGI, La riforma delle professioni in Italia: sollecitazioni europee e resistenze interne, cit., p. 373, la questione del riparto di competenze tra Stato e Regioni in tema di professioni è destinata a rimanere 37 www.federalismi.it 10 Indubbiamente, una delle principali problematiche (che comporta effetti di differenziazione molto marcati tra i diversi Stati membri) consiste nelle difficoltà che si incontrano tutte le volte in cui si tenti di fornire una definizione univoca di servizio; il che è dovuto principalmente al fatto che si tratta di un concetto in continua evoluzione, con connotazioni differenti a seconda del contesto storico-politico del Paese che viene in rilievo39. Ciò premesso, va osservato che, in osservanza della richiamata normativa comunitaria, da più di quindici anni a questa parte l’Autorità garante della concorrenza e del mercato invoca in Italia l’apertura del mercato dei servizi professionali, con l’obiettivo di favorire un’offerta di servizi più competitiva, avanzata e innovativa; basti ad esempio fare riferimento all’Indagine conoscitiva sugli ordini e collegi professionali del 1997, alla Relazione sull’attività svolta nel biennio 2004/2005 per la promozione della liberalizzazione dei servizi professionali del 2005 o, ancora, all’Indagine conoscitiva sul settore degli ordini professionali del 2009. In particolare, tra le numerose questioni che vengono in rilievo quando si parla di liberalizzazione dei servizi professionali, pare il caso di accennare a due ambiti: quello delle tariffe e quello concernente le restrizioni in materia di pubblicità. Sotto il primo profilo, l’Antitrust ha più volte condannato l’uniformità dei tariffari fissati dagli organismi rappresentativi delle varie categorie professionali: da un lato, poiché sarebbero inidonei a garantire la qualità delle prestazioni; dall’altro, perché non consentirebbero al professionista «di gestire la più importante variabile del proprio comportamento economico»40, vale a dire il compenso. Se già dopo l’entrata in vigore del decreto Bersani (che – come già anticipato – ha abrogato le norme che prevedevano la fissazione di tariffe obbligatorie fisse o minime41) alcuni Ordini avevano adeguato i propri codici deontologici in materia di determinazione del compenso professionale ai principi concorrenziali42, molti altri Ordini si erano invece fermamente sullo sfondo, se confrontata con il «difficile e non raggiunto equilibrio tra parametro comunitario della “concorrenza” dei servizi professionali e attuale assetto normativo della disciplina delle professioni “protette”». 39 Basti pensare all’ingarbugliato panorama nozionistico che, a livello comunitario, riguarda i servizi pubblici. A questo proposito, sia consentito un rinvio ad A. CANDIDO, Verso il mercato interno dell’energia: le reti energetiche europee, in C. BUZZACCHI (a cura di), L’Europa a rete. Il modello delle reti tra concorrenza e coesione sociale, Milano, Giuffrè, 2011, p. 103. Ex plurimis, cfr. anche L. AMMANNATI, M.A. CABIDDU, P. DE CARLI, Servizi pubblici, concorrenza, diritti, Milano, Giuffré, 2001. 40 V. Agcm, IC34, Il settore degli ordini professionali, provv. n. 19435, 15 gennaio 2009, in Boll. n. 9/2009. 41 Si tratta dell’art. 2, co. 1, lett. a) del d.l. n. 223 del 2006, conv. in l. n. 248 del 2006. Cfr. P. SCHLESINGER, La nuova disciplina dei compensi professionali per gli avvocati, in Corr. giur., 2007, n. 4, p. 449 ss. 42 Si tratta dell’Ordine dei geometri, dell’Ordine dei dottori commercialisti ed esperti contabili, dell’Ordine dei periti industriali e di quello dei farmacisti. www.federalismi.it 11 opposti43, invocando il concetto di «decoro della professione» di cui all’art. 2223, co. 2, c.c., che costituirebbe un parametro imprescindibile per la determinazione del compenso professionale. Proprio tale carattere imporrebbe – nell’ottica della maggior parte degli Ordini – la necessità di predisporre delle tariffe minime, muovendo dal presupposto secondo cui un prezzo inferiore alla tariffa minima non risulterebbe decoroso per l’attività svolta dal professionista. Al riguardo, peraltro, pende un rinvio pregiudiziale recentemente promosso dal Consiglio di Stato dinanzi alla Corte di Giustizia, che è stata chiamata a chiarire la distinzione tra impresa professionale e impresa commerciale e a stabilire se il riferimento al decoro e alla dignità del professionista nella determinazione del compenso professionale possa effettivamente ritenersi finalizzato a restringere la concorrenza44. Com’è noto, l’abrogazione operata dal d.l. n. 223 del 2006 non ha avuto degli effetti significativi sui mercati45, tanto che l’Autorità garante della concorrenza e del mercato ha affermato la necessità di andare oltre l’abrogazione dell’obbligatorietà delle tariffe, sostenendo l’opportunità di eliminare espressamente le tariffe minime o fisse, in modo da riuscire così ad arginare definitivamente i tentativi (posti in essere da alcuni Ordini) di riproporre il rispetto dei tariffari46. Recependo quest’ultimo principio, l’art. 9, co. 1, del d.l. 24 gennaio 2012, n. 1 ha abrogato le tariffe professionali47, stabilendo che: il compenso per le prestazioni professionali è liberamente stabilito tra professionista e cliente; la liquidazione del compenso da parte di un organo professionale è determinato sulla base di parametri fissati con decreto del ministro della Giustizia, di concerto con il ministro dell’Economia e delle Finanze48; la misura del 43 Alcuni Ordini (notai, geologi, psicologi e giornalisti) continuavano a stabilire nei propri codici deontologici l’applicazione di tariffe minime o fisse; altri Ordini cercavano di superare l’abrogazione operata dal decreto Bersani prevedendo nei rispettivi codici l’obbligo di rispettare il principio del decoro professionale (medici, odontoiatri, ingegneri, nonché gli stessi geologi e psicologi); infine, vi era chi (avvocati, architetti e gli stessi ingegneri) effettuava un rinvio formale all’art. 2233 c.c., che al co. 2 dispone la necessità di adeguare la misura del compenso all’importanza dell’opera e al decoro della professione. 44 Cfr. Cons. St., ord. 5 marzo 2012, n. 1244. 45 Cfr. N. RANGONE, Riforma delle professioni intellettuali: contenuti, limiti e prospettive, cit., p. 244. 46 Cfr. Agcm, IC34, Il settore degli ordini professionali, cit. A. BERLINGER, Sulla vexata quaestio delle tariffe professionali forensi, in Merc. Conc. Reg., 2011, n. 1, p. 90, è critico verso l’introduzione dei minimi tariffari obbligatori, nonché nei riguardi del vecchio sistema dei prezzi relativi ai servizi legali, il quale sarebbe imperniato «su notule-parcelle che il cliente conosce solo ex post, una volta effettuata la prestazione. Prima di allora è assai difficile poter prevedere il costo dell’attività richiesta». 47 Con riferimento alla professione di avvocato, cfr. G. SCARSELLI, I compensi professionali forensi dopo il decreto sulle liberalizzazioni, in Corr. giur., 2012, n. 5, all. 2, p. 61 ss.; M. VACCARI, Il nuovo sistema dei parametri forensi: perché, quando, come, in Corr. mer., 2013, n. 2, p. 121 ss. Per uno sguardo in chiave comparata al sistema statunitense, cfr. V. VIGORITI, Contratto e contenzioso sui compensi professionali. Riflessioni comparative, in Contr. e impr., 2013, n. 1, p. 63 ss. 48 Sulla base della l. n. 27 del 2012 (di conversione del d.l. n. 1 del 2012), che ha introdotto un terzo comma al cit. art. 9, le previgenti tariffe avrebbero continuato ad applicarsi sino alla data di entrata in vigore del decreto ministeriale di determinazione dei parametri: vale a dire, il d.m. 20 luglio 2012, n. 140. Come ha recentemente www.federalismi.it 12 compenso deve essere resa nota al cliente attraverso un preventivo di massima (non necessariamente scritto)49. Per completezza, va infine osservato che, come hanno dichiarato le Sezioni Unite della Suprema Corte, i parametri ministeriali hanno efficacia retroattiva50: ciò comporta che, per le prestazioni non ancora esaurite, i nuovi parametri vadano applicati a tutte le liquidazioni giudiziali successive all’entrata in vigore del d.m. n. 140 del 201251. Se i principali problemi delle tariffe professionali – visti in un’ottica di sviluppo della concorrenza –sono legati alla necessità di salvaguardare da un lato il decoro e l’importanza della prestazione d’opera del professionista, dall’altro l’esigenza dei clienti alla trasparenza sui costi, sempre in una prospettiva di riduzione delle asimmetrie informative tra professionisti e utenti deve essere esaminata la questione relativa all’utilizzo della pubblicità. È noto che molti codici deontologici prevedano disposizioni non poco restrittive in materia di pubblicità, fattore che evidentemente costituisce un ulteriore limite allo sviluppo di un’effettiva liberalizzazione dei servizi professionali. Sulla scorta degli esaminati criteri posti dalla “direttiva servizi”, che ha rimosso i divieti assoluti in tema di comunicazioni commerciali, l’Antitrust ha criticato l’art. 2, co. 1, lett. b) del “decreto Bersani”, con il quale sono state abrogate le disposizioni che vietano ai professionisti di svolgere pubblicità informativa, attribuendo allo stesso tempo agli Ordini ogni valutazione circa l’osservanza dei «criteri di trasparenza e veridicità» del messaggio pubblicitario. In particolare, secondo l’Autorità, tale norma non sarebbe compatibile con il principio di concorrenza52, posto che: non dovrebbero essere gli Ordini, ma la stessa Autorità garante della concorrenza e del mercato a effettuare il controllo sulla veridicità dei messaggi osservato la Corte costituzionale con ord. n. 115 del 2013, la ragionevolezza di tale norma intertemporale è evidente, avendo tale previsione «posto rimedio a quella situazione di “blocco” verificatasi dopo l’abrogazione delle tariffe forensi, situazione poi comunque superata con l’adozione del d.m. 20 luglio 2012, recante la determinazione dei nuovi parametri per la liquidazione dei compensi per le professioni regolamentate». 49 M. BIANCO e S. GIACOMELLI, I servizi professionali, in B.G. MATTARELLA e A. NATALINI (a cura di), La regolazione intelligente, cit., p. 228, criticano l’assenza dell’obbligo di preventivo scritto. 50 Cfr. Cass., S.U.,12 ottobre 2012, nn. 17405 e 17406. Al riguardo, si rinvia ai commenti di L. CARBONE, “Passaggio” dalla tariffa forense ai parametri: le problematiche della disciplina transitoria, in Corr. giur., 2012, n. 11, p. 1314 ss.; A. RUSSO, Cass., SS.UU., n. 17405 del 12 ottobre 2012 - Retroattività dei parametri ministeriali e liquidazione delle spese inerenti liti tributarie non ancora discusse, in Fisco, 2012, n. 41, p. 6658 ss. 51 Tuttavia, come ha recentemente affermato la Suprema Corte, con riferimento al periodo precedente all’abrogazione delle tariffe professionali ad opera del d.l. n. 1 del 2012, nel caso in cui il cliente e il professionista non abbiano concordato un compenso in deroga ai minimi di tariffa, il giudice delegato dovrà determinare il compenso medesimo sulla base della tariffa professionale. Se infatti da un lato l’art. 2 del d.l. n. 223 del 2006 ha abrogato le disposizioni che prevedevano, con riferimento alle attività libero professionali e intellettuali, l’obbligatorietà di tariffe minime, allo stesso tempo ha anche previsto, al comma secondo, che «il giudice provvede alla liquidazione delle spese di giudizio e dei compensi professionali, in caso di liquidazione giudiziale e di gratuito patrocinio, sulla base della tariffa professionale» (v. Cass., sez. I, 10 maggio 2013, n. 11232). 52 Cfr. Agcm, IC34, Il settore degli ordini professionali, cit. www.federalismi.it 13 pubblicitari; inoltre, gli Ordini sarebbero privi del requisito della terzietà rispetto ai soggetti controllati (i propri iscritti), potendo così restringere la concorrenza tra i professionisti; l’attribuzione agli Ordini del potere di verifica della trasparenza e della veridicità dei messaggi pubblicitari, peraltro non soggetto ad alcun controllo pubblico, non potrebbe prescindere dalla predeterminazione – da parte degli Ordini medesimi – dei parametri alla base dell’esercizio di tale potere53. Raccogliendo solo in parte gli auspici dell’Antitrust, il “decreto sviluppo” ha sostanzialmente riproposto il contenuto del “decreto Bersani”, disponendo che «la pubblicità informativa, con ogni mezzo, avente ad oggetto l’attività professionale, le specializzazioni ed i titoli professionali posseduti, la struttura dello studio ed i compensi delle prestazioni, è libera. Le informazioni devono essere trasparenti, veritiere, corrette e non devono essere equivoche, ingannevoli, denigratorie»54. Si tratta di principi che sono stati poi attuati dall’art. 4 del d.p.r. 7 agosto 2012, n. 137, che al co. 3 contiene però una significativa novità: in linea generale, infatti la violazione delle regole in tema di pubblicità non costituisce più soltanto un illecito disciplinare, ma anche una pratica commerciale scorretta, sanzionabile dunque, oltre che dall’Ordine di appartenenza dell’iscritto, altresì dall’Autorità garante della competenza e del mercato55. Dal quadro tracciato pare evidente che l’unica forma di pubblicità ammessa sia quella informativa, cioè una pubblicità che non impiega i linguaggi suggestivi ed evocativi tipici della pubblicità commerciale tout court, limitandosi invece a fare riferimento a dati obiettivi, in grado di consentire al cliente di decidere razionalmente. Tra gli Ordini più restii a recepire i suddetti principi si colloca senza dubbio quello degli avvocati, rispetto al quale pare opportuno segnalare che l’art. 10 della l. 31 dicembre 2012, n. 247 (Nuova disciplina dell’ordinamento della professione forense)56, in vigore dal 2 febbraio 2013, ha stabilito che è consentita all’avvocato la pubblicità informativa sulla propria attività Quest’ultimo principio è stato espresso anche dalla giurisprudenza comunitaria. Cfr. Corte di Giustizia, Sez. riunite, 9 settembre 2003, causa C-198/01, Consorzio Industrie Fiammiferi (CIF) c. Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato. 54 Art. 3, co. 5, lett. g), d.l. 13 agosto 2011, n. 138, conv. in l. 14 settembre 2011, n. 138. 55 Così dispone l’art. 4 del d.p.r. n. 137 del 2012, rubricato “Libera concorrenza e pubblicità informativa”: «1. È ammessa con ogni mezzo la pubblicità informativa avente ad oggetto l’attività delle professioni regolamentate, le specializzazioni, i titoli posseduti attinenti alla professione, la struttura dello studio professionale e i compensi richiesti per le prestazioni. 2. La pubblicità informativa di cui al comma 1 dev’essere funzionale all’oggetto, veritiera e corretta, non deve violare l’obbligo del segreto professionale e non dev’essere equivoca, ingannevole o denigratoria. 3. La violazione della disposizione di cui al comma 2 costituisce illecito disciplinare, oltre a integrare una violazione delle disposizioni di cui ai decreti legislativi 6 settembre 2005, n. 206, e 2 agosto 2007, n. 145». 56 Tra i primi commenti alla riforma, cfr. G. SCARSELLI, Note sulla nuova disciplina dell’ordinamento della professione forense, in Corr. giur., 2013, n. 3, p. 301 ss. 53 www.federalismi.it 14 professionale, purché le informazioni offerte facciano riferimento «alla natura e ai limiti dell’obbligazione professionale» (co. 3). La pubblicità deve essere veritiera, trasparente, corretta e non comparativa con altri professionisti, oltre a non dover essere ingannevole, equivoca, suggestiva o denigratoria (co. 2). La violazione di tali norme è infine sanzionata solo come illecito disciplinare e non ai sensi del Codice del consumo (co. 4): sì che la competenza a irrogare le relative sanzioni spetta esclusivamente agli Ordini e non invece – come di regola accade per le altre professioni regolamentate – all’Antitrust. Con specifico riferimento alla pubblicità nella prestazione dei servizi legali, è infine il caso di segnalare che l’Autorità garante della concorrenza e del mercato ha aperto un’istruttoria rivolta a verificare se la decisione dell’Ordine degli avvocati di Brescia di sanzionare gli ideatori dell’iniziativa A.L.T. (Assistenza legale per tutti) costituisca un’intesa restrittiva della concorrenza57. Come risulta dal sito web dell’associazione58, si tratta di avvocati che in numerose città hanno dato vita al primo studio legale “aperto su strada”, cioè in locali che affacciano sulla pubblica via, dotati di una vetrina e di un’insegna, ove risulta a chiare lettere la possibilità di beneficiare di una prima consulenza a carattere totalmente gratuito. A questo proposito, l’Antitrust dovrà chiarire, tra le altre cose, se siano legittime le modalità di pubblicizzazione e di erogazione dei servizi in questione, con particolare riguardo alla gratuità della prima consulenza. Dall’analisi svolta emerge con chiarezza che negli ultimi anni sono state compiute modifiche sostanziali sia sul sistema delle tariffe (ma non si sa ancora bene con quali effetti, tanto rispetto ai professionisti, quanto nei confronti degli utenti), che su sul versante della pubblicità (attribuendo in linea generale la competenza a sanzionare la violazione delle regole imposte dalla normativa vigente non solo agli Ordini, ma – salvo il caso dei servizi legali – anche all’Antitrust). Tanto i compensi professionali, quanto la diffusione delle notizie concernenti i professionisti rappresentano certamente due aspetti determinanti – forse i più decisivi – in vista dell’effettiva apertura del mercato dei servizi professionali, in quanto idonei a dare luogo a numerose asimmetrie informative tra professionisti e utenti; asimmetrie che, nonostante le resistenze degli Ordini, la normativa e la giurisprudenza comunitaria intendono definitivamente rimuovere. 57 58 Agcm, I719, Ordine degli avvocati di Brescia, provv. n. 19966, 18 giugno 2009, in Boll. n. 24/2009. Il sito di riferimento è http://www.assistenzalegalepertutti.it/. www.federalismi.it 15 4. La normativa sull’accesso alla professione legale: avvocati vs “abogados italiani”. Liberalizzazione o abuso del diritto? Si è già osservato che l’assenza di univocità nella nozione di servizio si riverbera sulla – ancora incompleta – apertura del mercato dei servizi professionali, che richiederebbe la totale rimozione delle barriere nazionali alla loro circolazione, la fissazione di standard condivisi, nonché di regole tecniche e certificazioni uniformi59. L’assenza di omogeneità rischia infatti di costituire talvolta una modalità, nascosta sotto la maschera della liberalizzazione imposta dall’ordinamento comunitario, per eludere alcune stringenti norme di diritto interno, in modo da applicare la disciplina più favorevole di un altro Paese membro. Un caso interessante riguarda i servizi legali che, forse più di ogni altro settore, si caratterizzano per la presenza di numerose differenze di normative a livello comunitario in relazione alla formazione, all’accesso e all’esercizio della professione. Giova ad esempio comparare l’esperienza spagnola e quella italiana, essendo la Spagna l’unico Paese comunitario che, fino al 2011, non regolava l’accesso alla professione legale. La normativa spagnola, infatti, non prevedeva il superamento di alcun esame di abilitazione: era sufficiente ottenere la laurea in giurisprudenza in un qualunque Stato membro, poi presentare il relativo titolo alle autorità spagnole e, al fine di ottenere l’omologazione del proprio titolo di laurea, superare una serie di esami integrativi presso università spagnole. Quindi, una volta acquisita la licencia en derecho, il candidato poteva – sulla base della presentazione di questo titolo (equivalente, appunto, a una laurea in giurisprudenza conseguita ad esempio in Italia) – ottenere l’iscrizione all’Albo degli abogados, divenendo così abogado60. Diversamente dalla Spagna, nel periodo di riferimento la normativa italiana subordinava l’accesso alla professione a requisiti ben più stringenti: oltre a una laurea quinquennale in giurisprudenza, si prevedevano due anni di pratica forense e il superamento di un esame di Cfr. M. CONSITO, L’immigrazione intellettuale. Verso un mercato unico dei servizi professionali, Milano, Jovene, 2012, p. 150. 60 Le cose sono cambiate con l’entrata in vigore della Ley n. 34/2006 sobre el acceso a las profesiones de Abogado y Procurador de los Tribunales che, al fine del conseguimento del titolo, ha previsto un periodo di formazione professionale successivo alla laurea in giurisprudenza, oltre al superamento di un esame di abilitazione. Invero, si tratta di requisiti – individuati dal Real Decreto n. 775/2011 – non troppo stringenti (se ad esempio paragonati a quelli stabiliti dalla normativa italiana). A partire dal 31 ottobre 2011 (ma, in forza del regime transitorio, potranno beneficiare del vecchio sistema tutti coloro che abbiano conseguito la laurea prima del 31 ottobre 2011, purché facciano richiesta di iscrizione all’albo entro il 31 ottobre 2013), l’aspirante abogado dovrà infatti: frequentare un apposito master della durata di otto mesi (dove la presenza in aula dell’iscritto non è indispensabile); svolgere – contestualmente al master – un periodo di pratica di tre mesi; sostenere la prova finale, che in parte consiste in un test a risposta multipla, in parte nella redazione di un parere su un caso pratico tra le materie individuate dal candidato. Al riguardo, cfr. G. DI FEDERICO, L’iscrizione all’albo degli avvocati stabiliti: la “via spagnola” e il divieto di abuso del diritto, in Corr. giur., 2012, n. 5, p. 653 ss. 59 www.federalismi.it 16 abilitazione consistente in tre prove scritte con l’ausilio dei codici commentati e in una prova orale61. Addirittura, la normativa sull’accesso alla professione legale è recentemente diventata ancor più rigida. Difatti, la l. n. 247 del 2012 di riforma della professione forense, pur avendo ridotto da 24 a 18 mesi il periodo del tirocinio (prevedendo, nell’ottica pro-concorrenziale da tempo auspicata dall’Antitrust, che sei dei diciotto mesi possano essere svolti durante l’ultimo anno del corso di studi per il conseguimento della laurea in giurisprudenza62) ha stabilito che: le tre prove scritte dell’esame di Stato si svolgano senza l’ausilio dei codici commentati63; la prova orale debba vertere su un numero di materie maggiore rispetto a quanto avveniva in passato64. Fatta salva la riduzione a diciotto mesi del periodo di tirocinio, previsione da subito in vigore, in via meramente transitoria l’esame di abilitazione all’esercizio della professione di avvocato si svolgerà per i primi due anni seguendo le modalità previgenti65. Confrontando la normativa italiana e quella spagnola (sia quelle vigenti, che quelle previgenti), le differenze in tema di accesso alla professione legale risultano non poco significative, posto che le prove da sostenere e da superare sono in Italia (come in altri Stati membri) molto più gravose rispetto a quelle spagnole. La norma di riferimento è l’art. 17-bis del r.d. 22 gennaio 1934, n. 37 (rubricato “Norme integrative e di attuazione del R.D.L. 27 novembre 1933, n. 1578, sull’ordinamento della professione di avvocato e di procuratore”). In particolare, le prove scritte consistono in: un parere motivato di diritto civile, un parere motivato di diritto penale e un atto giudiziario in una materia a scelta tra il diritto civile, penale o amministrativo. La prova orale, invece, si svolge, dopo una breve illustrazione delle prove scritte, mediante un esame avente ad oggetto cinque materie (di cui almeno una di diritto processuale) scelte dal candidato tra le seguenti: diritto costituzionale, diritto civile, diritto commerciale, diritto del lavoro, diritto penale, diritto amministrativo, diritto tributario, diritto processuale civile, diritto processuale penale, diritto internazionale privato, diritto ecclesiastico e diritto comunitario. Infine, l’abilitando deve dimostrare di conoscere l’ordinamento forense, nonché i diritti e i doveri dell’avvocato. 62 La norma di riferimento è l’art. 41, co. 6, lett. d) della l. 31 dicembre 2012, n. 247. Essa recepisce gli auspici dell’Agcm, secondo la quale «il periodo di tirocinio dovrebbe essere proporzionato alle esigenze di apprendimento pratico delle diverse professioni e dovrebbe poter essere svolto, ove ciò si ritenga in concreto possibile, nell’ambito degli stessi corsi di studio». V. l’indagine conoscitiva dell’Agcm, Il settore degli ordini professionali (IC 34), cit., consultabile sul sito dell’Autorità. Cfr. anche un’ulteriore e più risalente indagine conoscitiva, Il settore degli ordini e collegi professionali (IC 15), conclusa dall’Agcm il 9 ottobre 1997 con provv. n. 5400, p. 8-9, anch’essa consultabile sul sito dell’Antitrust. 63 L’art. 46, co. 7 del testo normativo in questione dispone che «[l]e prove scritte si svolgono con il solo ausilio dei testi di legge senza commenti e citazioni giurisprudenziali». 64 Come si stabilisce all’art. 46, co. 3, oltre a illustrare il contenuto delle prove scritte, il candidato deve dimostrare «la conoscenza delle seguenti materie: ordinamento e deontologia forensi, diritto civile, diritto penale, diritto processuale civile, diritto processuale penale; nonché di altre due materie, scelte preventivamente dal candidato, tra le seguenti: diritto costituzionale, diritto amministrativo, diritto del lavoro, diritto commerciale, diritto comunitario ed internazionale privato, diritto tributario, diritto ecclesiastico, ordinamento giudiziario e penitenziario». 65 Cfr. l’art. 48 (Disciplina transitoria per la pratica professionale) e l’art. 49 (Disciplina transitoria per l’esame). 61 www.federalismi.it 17 Ciononostante, in base alla disciplina oggi in vigore, un soggetto munito di un titolo equivalente a quello di avvocato (conseguito in Spagna, come in qualsiasi altro Paese membro dell’UE), il quale voglia esercitare la professione in Italia, dispone di due possibilità: da un lato, a fronte della “direttiva qualifiche”, recepita dal già richiamato d.lgs. n. 206 del 2007, può domandare al Ministero della giustizia l’immediato riconoscimento del titolo, previo superamento di una prova attitudinale; dall’altro, avvalendosi del procedimento di stabilimento/integrazione di cui al d.lgs. n. 96 del 2001, che ha dato attuazione alla direttiva n. 98/5/CE66, può chiedere l’iscrizione nella Sezione Speciale dell’albo degli avvocati del foro nel quale intendere eleggere domicilio professionale in Italia; nel qual caso, dopo un triennio di effettiva attività svolta d’intesa con un legale iscritto nell’albo italiano, egli avrà titolo ad essere iscritto nell’albo ordinario degli avvocati, senza la necessità di sostenere alcuna prova attitudinale. In quest’ultima ipotesi, il professionista che intenda iscriversi all’albo come “avvocato stabilito” dovrà soltanto presentare al Consiglio dell’ordine idonea documentazione con la quale si limiti ad attestare: la cittadinanza di uno Stato membro dell’UE; la residenza o il domicilio professionale; l’iscrizione all’organizzazione professionale dello Stato membro d’origine67. Addirittura, secondo la Corte di Giustizia, quest’ultimo criterio costituisce «l’unico requisito cui deve essere subordinata l’iscrizione dell’interessato nello Stato membro ospitante»68. Sì che colui il quale, per evitare le gravose prove scritte e orali italiane, abbia deciso di abilitarsi in Spagna, ha tutto il diritto di esercitare la professione in Italia come “avvocato stabilito” al pari di ogni altro avvocato italiano, purchè sia in grado di provare di far parte dell’organizzazione professionale spagnola e senza nemmeno il bisogno di dimostrare alcuna conoscenza linguistica. Dello stesso avviso è l’Autorità garante della concorrenza e del mercato, che alla fine del mese di aprile 2013 ha concluso un procedimento rivolto a valutare l’eventuale sussistenza di un’intesa restrittiva della concorrenza, instaurato a seguito di numerose delibere con cui diversi Consigli degli Ordini avevano subordinato l’iscrizione all’albo, Sezione Speciale degli “avvocati stabiliti”, al possesso di requisiti ulteriori e diversi rispetto a quelli normativamente Si tratta della dir. del Parlamento europeo e del Consiglio volta a facilitare l’esercizio permanente della professione di avvocato in uno Stato membro diverso da quello in cui è stata acquistata la qualifica. 67 Cfr. l’art. 6 del d.lgs. n. 96 del 2001. Qualche anno prima si era occupato della questione G. CORSO, Dalla disciplina comunitaria delle professioni alla libertà di circolazione del professionista. Il caso degli avvocati, in Riv. it. dir. pubbl. comunit., 1992, n. 1, p. 71 ss. 68 Secondo la Corte di Giustizia, 19 settembre 2006, causa 193/05, Commissione c. Granducato di Lussemburgo, «[o]gni avvocato ha diritto ad esercitare stabilmente la sua attività in qualsiasi Stato membro con il suo titolo professionale d’origine senza previa verifica delle sue capacità linguistiche». 66 www.federalismi.it 18 previsti (ad es., la conoscenza della lingua spagnola, il superamento di un test attitudinale, la dichiarazione dei redditi relativa all’attività svolta all’estero, l’effettivo svolgimento di attività professionale in Spagna…)69. Secondo l’Antitrust, «le intese oggetto del procedimento, finalizzate a disincentivare l’accesso degli avvocati abilitati in un altro Paese membro al mercato italiano dei servizi di assistenza legale, sono idonee a pregiudicare in misura sensibile il commercio fra gli Stati membri, riducendo ingiustificatamente il confronto concorrenziale fra i professionisti attivi sul territorio italiano ed incidendo negativamente sul processo di stabilimento/integrazione di cui alla Direttiva 98/5/CE»70. L’idoneità dei descritti comportamenti a recare pregiudizio al commercio intracomunitario è stata altresì ribadita dalle Sezioni Unite della Suprema Corte 71 che, rifacendosi alla giurisprudenza comunitaria, hanno richiamato il (poc’anzi esaminato) doppio binario offerto dalla normativa europea: da un lato, il meccanismo previsto dalla “direttiva qualifiche”; dall’altro, l’apposita procedura di stabilimento di cui alla direttiva n. 98/5/CE72. Per completezza, va detto infine che oggi pende un rinvio pregiudiziale presentato il 30 gennaio 2013 dal Consiglio Nazionale Forense (in qualità di giudice speciale delle impugnazioni sui provvedimenti di diniego di iscrizione da parte dei Consigli dell’Ordine locali) alla Corte di Giustizia. In particolare, il CNF ha domandato ai giudici comunitari: se vi siano gli estremi per il configurarsi di un abuso del diritto73 nel caso in cui un soggetto consegua il titolo di laurea in Italia, si trasferisca in Spagna per ottenere il titolo di abogado e rientri poi in Italia per chiedere l’iscrizione nell’elenco degli “avvocati stabiliti”. Nell’ipotesi in esame, l’abuso del diritto comunitario, il cui accertamento spetta alle competenti autorità nazionali, deriverebbe dalla presenza di cittadini italiani laureati in Italia che, senza aver accresciuto la propria esperienza professionale e dopo aver conseguito l’abilitazione Cfr. Agcm, I745, Consigli degli ordini degli avvocati/diniego all’esercizio di avvocato, provv. n. 24327, 23 aprile 2013, in Boll. n. 52/2011. Il procedimento ha coinvolto i seguenti Consigli degli Ordini degli avvocati: Chieti, Roma, Milano, Latina, Civitavecchia, Tivoli, Velletri, Tempio Pausania, Modena, Matera, Taranto e Sassari. 70 Ibid. 71 Cfr. Cass., S.U., 22 dicembre 2011, n. 28340, con commento di G. DI FEDERICO, L’iscrizione all’albo degli avvocati stabiliti: la “via spagnola” e il divieto di abuso del diritto, cit. 72 Cfr. Corte di Giustizia, 29 gennaio 2009, causa C-311/06, Consiglio nazionale degli ingegneri c. Ministero della giustizia, Marco Cavallera; 22 dicembre 2010, causa C-118/09, Koller. In quest’ultimo caso veniva in rilievo la richiesta di un cittadino austriaco che, dopo aver conseguito il titolo di avvocato in Spagna, aveva domandato di essere ammesso all’Ordine degli avvocati di Graz, sostenendo esclusivamente una prova attitudinale per il riconoscimento diretto del titolo, senza passare attraverso l’obbligo di pratica quinquennale prevista per i laureati austriaci. I giudici comunitari hanno condiviso l’istanza del sig. Koller. 73 Sul tema dell’abuso del diritto, recentemente, cfr. V. VELLUZZI (a cura di), L’abuso del diritto. Teoria, storia e ambiti disciplinari, Pisa, ETS, 2012. Cfr. anche la bibliografia e la giurisprudenza comunitaria indicata da G. DI FEDERICO, L’iscrizione all’albo degli avvocati stabiliti: la “via spagnola” e il divieto di abuso del diritto, cit. 69 www.federalismi.it 19 professionale in Spagna (mediante il semplice superamento di esami universitari integrativi), richiedono in Italia l’iscrizione presso la Sezione Speciale degli “avvocati stabiliti” dei vari Consigli degli Ordini. 5. Gli ostacoli allo sviluppo di un mercato comune dei servizi professionali. Problemi aperti. Il quadro delineato mostra un’ancora parziale liberalizzazione del mercato delle professioni. Uno dei maggiori problemi è dato dalle resistenze opposte dagli Stati membri alle spinte concorrenziali provenienti dall’UE74, con la conseguente presenza di normative disomogenee che lasciano così la possibilità di eludere le norme del proprio Paese, per beneficiare di quelle – più permissive – di un altro Paese comunitario. Emblematica è la vicenda dei cittadini italiani che, sostenendo ingenti costi, si recano in Spagna per conseguire l’abilitazione all’esercizio della professione legale, scavalcando così il sistema italiano di accesso alla professione di avvocato che, come anticipato, comporta il superamento di un complesso esame di Stato. Risulta allora evidente che, per liberalizzare il mercato in oggetto (e scongiurare il rischio che vi siano differenze così significative tra le legislazioni dei Paesi membri), non pare sufficiente l’armonizzazione, peraltro tardivamente realizzata75, cui mirava la “direttiva servizi”. È invece necessario creare un insieme di regole comuni, che trovino un’applicazione effettivamente uniforme in tutti gli Stati membri. In caso contrario, come osservava Guido Corso già nel 1992, la concorrenza potrebbe produrre effetti distorsivi, così da spingere «le persone, le attività, le produzioni […] a spostarsi verso quei Paesi la cui legislazione risulti più conveniente»76. Tuttavia, per quanto la predisposizione di un sistema normativo coerente risulti imprescindibile per sviluppare una reale concorrenza, la disamina di alcuni aspetti della normativa interna in tema di professioni dimostra che restano ancora da sciogliere molti nodi. 74 Il principale problema, come osserva A. POGGI, La riforma delle professioni in Italia: sollecitazioni europee e resistenze interne, cit., p. 380, è dato dal fatto che «l’interesse statale alla regolazione protetta delle professioni si è, nel tempo, dimostrato convergente con l’interesse delle professioni alla protezione statale». 75 Basti pensare a quanto sia stato lungo il processo di recepimento della “direttiva servizi”. La Grecia, ad esempio, ha attuato tale atto comunitario soltanto il 31 maggio 2012; dunque, oltre due anni e mezzo dopo il termine triennale previsto dalla direttiva. Cfr. G. TIBERI, L’Unione europea e la liberalizzazione dei servizi: la sfida della creazione di un «mercato interno dei servizi», in B.G. MATTARELLA e A. NATALINI (a cura di), La regolazione intelligente, cit., p. 93. 76 V. G. CORSO, Dalla disciplina comunitaria delle professioni alla libertà di circolazione del professionista. Il caso degli avvocati, cit., p. 90. www.federalismi.it 20 Ad esempio, a proposito dei compensi professionali (certamente, tra i problemi più dibattuti), bisognerà valutare gli effetti concreti dell’abolizione delle tariffe in termini di apertura del mercato. Occorrerà in particolare verificare se simile misura sia idonea a ridurre le asimmetrie informative tra professionisti e utenti. Solo nei prossimi anni sarà infatti possibile tracciare un primo bilancio, in virtù del quale si potrà comprendere se l’abolizione delle tariffe abbia o meno comportato un significativo abbassamento dei prezzi dei servizi professionali e se, contestualmente, non ne abbia risentito la qualità dell’offerta dei medesimi servizi. È poi indubbio che anche la pubblicità costituirà uno strumento indispensabile per porre gli utenti nelle migliori condizioni per selezionare i professionisti di cui servirsi. E in questo caso pare un bene che essa (che indubbiamente incide positivamente sul benessere del consumatore, «generando una riduzione delle tariffe medie»77) sia consentita soltanto con finalità meramente informative, nonché che i relativi controlli non siano più di esclusiva competenza degli Ordini (ciò accade con l’unica eccezione degli avvocati), ma siano altresì rimessi alla vigilanza e al potere sanzionatorio dell’Antitrust. Vi sono poi degli altri aspetti sui quali la normativa italiana è intervenuta, adeguandosi ai parametri imposti dalla “direttiva servizi”: ad esempio, in tema di assicurazione professionale, l’art. 5 del d.p.r. n. 137 del 2011, attuativo del decreto sviluppo78, ha stabilito che, decorsi dodici mesi dall’entrata in vigore di tale regolamento, i professionisti hanno l’obbligo (la cui violazione costituisce illecito disciplinare) di stipulare «idonea assicurazione per i danni derivanti al cliente dall’esercizio dell’attività professionale, comprese le attività di custodia di documenti e valori ricevuti dal cliente stesso». Essi devono inoltre comunicare al cliente gli estremi della propria polizza professionale, nonché i relativi massimali, già al momento dell’assunzione dell’incarico79. Allo stesso modo, raccogliendo gli auspici pro-concorrenziali dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato80, l’art. 6, co. 4 del medesimo regolamento ha previsto la possibilità che il tirocinio professionale (di durata massima pari a diciotto mesi) venga svolto Lo ha affermato l’Agcm nella già cit. indagine conoscitiva del 1997, Il settore degli ordini e collegi professionali (IC 15), p. 49. 78 In particolare, l’art. 3, co. 5, lett. e), d.l. n. 138 del 2011 dispone che «il professionista è tenuto a stipulare idonea assicurazione per i rischi derivanti dall’esercizio dell’attività professionale. Il professionista deve rendere noti al cliente, al momento dell’assunzione dell’incarico, gli estremi della polizza stipulata per la responsabilità professionale e il relativo massimale». 79 Per quanto riguarda la professione di avvocato, l’art. 12, co. 2 della l. n. 247 del 2012 impone altresì l’obbligo di stipulare apposita polizza a copertura degli infortuni derivanti a sé, ai propri collaboratori, dipendenti e praticanti a seguito dell’attività svolta nell’esercizio della professione anche al di fuori dello studio legale. 80 Si fa sempre riferimento all’indagine conoscitiva dell’Agcm, Il settore degli ordini professionali (IC 34), cit. 77 www.federalismi.it 21 per i primi sei mesi «in concomitanza con l’ultimo anno del corso di studio per il conseguimento della laurea necessaria». Sempre in ossequio alla “direttiva servizi” che, come già detto, all’art. 25 vieta – salvo alcune eccezioni – le restrizioni alle società multidisciplinari (cioè le società tra professionisti costituite per l’esercizio in comune di più attività professionali), la legge di stabilità del 2012 ha ammesso la possibilità di costituire società aperte anche alla partecipazione di soci non professionisti81. In tal modo è stata definitivamente superata la previsione di cui all’art. 2 della l. 23 novembre 1939, n. 1815, che proibiva di costituire, esercitare o dirigere, sotto qualsiasi forma diversa da quella associata, società, istituti, uffici, agenzie o enti, i quali avessero per scopo di dare, anche gratuitamente, ai propri consociati o ai terzi, prestazioni di assistenza o consulenza in materia tecnica, legale, commerciale, amministrativa, contabile o tributaria82. Oggi, invece, per le professioni regolamentate è presente la figura della società tra professionisti, che può essere organizzata in forma di società di persone, di capitali, o cooperativa e il cui funzionamento è stato recentemente disciplinato con d.m. 8 febbraio 2013, n. 34. Indubbiamente il quadro tracciato mostra una serie di passi in avanti nell’ottica della liberalizzazione del mercato dei servizi professionali. Va però altresì osservato che, nonostante la sostanziale indifferenza della normativa comunitaria rispetto agli Ordini professionali83, questi ultimi, dotati di importanti poteri di autoregolazione84, incidono in modo determinante sugli interessi dei professionisti85. Secondo una parte della dottrina, il problema è che in capo agli Ordini si verifica una commistione tra funzioni di tutela dell’integrità professionale della categoria e funzioni di regolamentazione economica; fattore questo che, nonostante le riforme degli ultimi anni, Si tratta dell’art. 10, l. 12 novembre 2011, n. 183. Cfr. D. Di RUSSO, Stp: nuovo modello organizzativo per lo svolgimento della professione alla luce delle novità introdotte dalla L. n. 183/2011, in Fisco, 2013, n. 16, p. 2486 ss.; E. FUSA, B. MOCCHETTI, Le società tra professionisti tra opportunità e difficoltà operative, ibid., 2013, n. 3, p. 378 ss. Per una compiuta disamina dei molteplici profili caratterizzanti l’istituto della società tra professionisti, si rinvia inoltre ai contributi di S. ROSSI, M. ZACCHEO, A. PEROTTO, A. BUSANI, M. BINI, A. STABILINI, B. O’CONNOR, tutti in Società, 2012, n. 5, all. 1, p. 5 ss. 83 Così A. POGGI, La riforma delle professioni in Italia: sollecitazioni europee e resistenze interne, cit., p. 368. 84 Come osservano R. BALDWIN, M. CAVE, M. LODGE, Understanding Regulation. Theory, Strategy and Practice, Oxford, Oxford University Press, 2012, p. 137, «[s]elf-regulation can be seen as taking place when a group of firms or individuals exerts control over its own membership and their behaviour». Sull’autoregolazione, si rinvia alla bibliografia ivi citata, spec. pp. 137-164. 85 Com’è noto, gli Ordini esercitano numerose funzioni, che vanno dalla definizione dei codici deontologici alla vigilanza sulla loro osservanza; dalla tenuta degli albi alla partecipazione al processo di selezione per l’accesso alle professioni. 81 82 www.federalismi.it 22 potrebbe pregiudicare l’applicazione delle misure di liberalizzazione86. Difatti, sebbene il decreto sviluppo abbia separato le funzioni di vigilanza da quelle amministrative degli Ordini mediante l’istituzione di appositi Consigli di disciplina, questi ultimi saranno pur sempre composti da soli professionisti (dunque, da persone appartenenti agli Ordini) e non anche da soggetti esterni. Insomma, i professionisti continueranno a essere concorrenti e giudici al medesimo tempo87. Evidentemente, la strada da percorrere è molto lunga e non si può ancora dire quando tutti i Paesi dell’UE, senza eccezione alcuna, accetteranno di riformare drasticamente le proprie legislazioni in senso pro-competitivo88. Lo scopo, ancora lontano dal vedere la luce, è far sì che l’esercizio dell’attività professionale risponda effettivamente al principio di libera concorrenza, nonché a una presenza diffusa dei professionisti nei diversi territori, al criterio della differenziazione e della pluralità dell’offerta, in modo tale da consentire agli utenti di essere adeguatamente informati sui servizi prestati dai professionisti, così da garantire loro la più ampia possibilità di scelta. Senza, dubbio, si tratta di obiettivi per i quali si richiedono agli Stati membri pesanti rinunce in termini di sovranità. Tuttavia, vale la pena di provare a perseguirli, soprattutto in questo difficile periodo di crisi e recessione economica, che potrebbe rappresentare «una straordinaria opportunità per scelte coraggiose e impegnative, come quelle che occorre fare in tema di politiche di liberalizzazione e regolazione delle attività economiche»89. 86 V. M. BIANCO e S. GIACOMELLI, I servizi professionali, in B.G. MATTARELLA e A. NATALINI (a cura di), La regolazione intelligente, cit., p. 230. 87 Cfr. N. RANGONE, Riforma delle professioni intellettuali: contenuti, limiti e prospettive, ibid., pp. 240-241. 88 Basti pensare alle numerose resistenze – soprattutto francesi e tedesche – di questi anni al recepimento di alcuni aspetti della “direttiva servizi”, che inevitabilmente hanno rallentato le spinte liberalizzatrici dell’UE. Cfr. al riguardo G. COPPO e S. DOSSI, L’applicazione della direttiva «servizi» in Europa. Strutture di governance in Francia, Regno Unito e Germania, ibid., p. 119 ss. Si tratta di un problema che esiste da sempre, essendo gli Stati e le rappresentanze professionali notoriamente refrattari «all’idea dell’apertura dei mercati nazionali alla concorrenza di colleghi stranieri» (v. G. CORSO, Dalla disciplina comunitaria delle professioni alla libertà di circolazione del professionista. Il caso degli avvocati, cit., p. 76). 89 V. F. BASSANINI, Prefazione, ibid., p. 17. www.federalismi.it 23