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Pe re scl us - F ivo or uso ex ne clu ll' siv am e u bit se o d wi ell thi a A n A bi SN lita pr zion oc ess e sc . U ien na tifi uth ca or naz ise io d c na op le. yin Og g o ni r d rip ist rod rib uz uti ion on e is o d str ist ict rib ly uz for ion bid e è de vi eta n ta Annali della Fondazione Ugo La Malfa - XXVIII, 2013 Luigi Tomassini “Conservare per sempre l’eccezionalità del presente”. Dispositivi, immaginari, memorie della fotografia nella Grande Guerra, 1914-18 Vi diranno che le sballate grosse. Non ve lo diranno se potrete produrre la testimonianza di una fotografia. […] Chi non ha proprio voglia di parlare prenda una macchina fotografica e scatti fotografie. […] Il ricordo è un apparecchio scadente. Tra un paio di anni non avrete più una immagine chiara di ciò che è stato. Le immagini poetiche degli scrittori dell’entroterra vi sembreranno realtà. Mancherà la parte migliore, la parte viva, ai limiti dell’impossibile, di quello che ora vi sta intorno ad ogni istante. [Le immagini ] conserveranno per sempre, a tutti i combattenti di questa guerra, l’eccezionalità del presente. Robert Musil, Kameraden arbeitet mit!1 S econdo Musil, per gli stessi combattenti era difficile conservare e trasmettere il ricordo di cosa fosse veramente stata la guerra, già a pochi anni di distanza. Figuriamoci per noi oggi, saremmo tentati di pensare. Ci sono, è vero, le memorie, i diari, gli scritti, i documenti. Possiamo pensare che attraverso di essi riusciremo a cogliere ancora quale fosse stata l’esperienza di guerra dei soldati al fronte, che potremo su queste basi avere una memoria attendibile e condivisa di cosa fosse e come fosse la guerra di cent’anni fa. Tuttavia, anche le memorie scritte procederanno per immagini, spesso «immagini poetiche», ci avverte Musil, e presto si creeranno immaginari che si sovrappor- ranno alle esperienze reali, vive, «ai limiti dell’impossibile» che i combattenti sperimentavano al fronte. La fotografia sembrava a Musil un antidoto a questo appannamento, a questa traslazione del ricordo, il mezzo più adatto per mantenere questa parte della memoria, per conservare per sempre, per gli stessi combattenti, «l’eccezionalità del presente». Ad un secolo da quell’evento, vale ancora quel suggerimento, e come possiamo rileggerlo oggi? La dimensione di storia culturale verso cui si è orientata la storiografia degli ultimi decenni rende del tutto attuale, mi pare, il monito di Musil. Per quanto riguarda la storiografia recente sulla guerra si è molto insistito infatti sulla dimensione dell’espe- 1 Robert Musil, Kameraden arbeitet mit!, “Tiroler Soldaten-Zeitung” n. 9 1916, pp. 3-4, ora in Id., La Guerra parallela, Reverdito, Trento 1987, p. 22. 34 Pe Luigi Tomassini re scl us - F ivo or uso ex ne clu ll' siv am e u bit se o d wi ell thi a A n A bi SN lita pr zion oc ess e sc . U ien na tifi uth ca or naz ise io d c na op le. yin Og g o ni r d rip ist rod rib uz uti ion on e is o d str ist ict rib ly uz for ion bid e è de vi eta n ta rienza di guerra da parte dei combattenti, segnando così anche in questo caso una svolta in senso “culturale” degli studi, dopo fasi in cui avevano prevalso studi politicodiplomatici o economico-sociali2. In Italia, l’introduzione di un punto di vista di storia culturale negli studi sulla Grande Guerra ebbe una tappa fondamentale nel convegno di Rovereto del 1984; in quella occasione Paul Fussell espresse, in maniera forse ancora più accentuata di quanto non avesse fatto nei suoi scritti, la convinzione che lo storico non avrebbe mai potuto conoscere la “realtà” della guerra, dato che poteva lavorare solo su testimonianze letterarie. Un’affermazione del genere, per quanto perfettamente iscrivibile in una svolta culturalista preannunciata da un “linguistic turn” che aveva già esercitato una influenza notevole sulle discipline umanistiche e aveva prodotto anche qualche risultato in campo storiografico3, suscitò una notevole impressione fra gli storici italiani presenti, proprio perché applicata a un recupero e una rivalutazione dell’esperienza di guerra, cioè ad uno sguardo “autentico” e diretto sulla realtà della guerra da parte degli stessi protagonisti4. In un certo senso, era come se Fussell riproponesse «le immagini poetiche degli scrittori dell’entroterra» come unico materiale possibile per la ricostruzione della memoria della guerra, o per dirla in maniera più appropriata, equivaleva ad affermare che la creazione di una memoria poteva av- venire solo attraverso la traduzione di quell’esperienza in linguaggio, e quindi per mezzo di un tramite culturalmente determinato, che avrebbe permesso di registrare, ma anche finito per banalizzare e sbiadire le immagini vive e autentiche della guerra, non conservabili altrimenti attraverso la sola macchina (“scadente”) del ricordo. Rispetto allo studioso di letteratura Fussell, che dichiarava di valersi di fonti esclusivamente letterarie, escludendo ogni possibilità di accesso all’esperienza reale della guerra, lo scrittore Musil individuava però una via d’uscita a questa aporia, e la individuava nell’uso della fotografia come dispositivo di conservazione della memoria. Sia pure nella forma leggera di una boutade di un combattente letterato, Musil esprimeva una convinzione circa una specificità peculiare della fotografia nel processo di conservazione della memoria, che obbliga lo storico, che proprio di quel processo si deve occupare, a porsi delle domande ineludibili. La fotografia sembrava a Musil una via d’uscita perché in un certo senso lo scrittore condivideva un’idea ancora ottocentesca, positivista, incardinata su una presunta “obiettività”, del dispositivo fotografico? Oppure pensava già che nella fotografia si potesse davvero annidare uno degli ultimi terreni di resistenza del “realismo” di fronte alla “relatività semantica”, come avrebbe sostenuto circa mezzo secolo dopo Roland Barthes, affermando Cfr. in proposito l’ottimo bilancio storiografico tracciato da Antoine Prost-Jay Winter, Penser la Grande Guerre. Un essai d’historiographie, Editions du Seuil, Paris 2004. 3 Cfr. sul tema La storia culturale. Parabole di un approccio critico al passato, a cura di Rolf Petri-Antonella Salomoni-Luigi Tomassini, numero monografico di “Memoria e Ricerca” n. 40 maggio-agosto 2012. 4 Paul Fussell, La Grande Guerra e la memoria moderna, il Mulino, Bologna 1984; in Italia successivamente oltre al lavoro del gruppo di storici raccolti attorno al Museo di Rovereto si registrarono alcuni contributi importanti che tradussero in studi relativi al caso italiano la forte attenzione al tema della esperienza di guerra che avevano introdotto Fussell ed Eric Leed (anch’egli presente a Rovereto): cfr. in particolare Antonio Gibelli, L’officina della guerra. La Grande Guerra e le trasformazioni del mondo mentale, Bollati Boringhieri, Torino 1991; Giovanna Procacci, Soldati e prigionieri italiani nella Grande guerra: con una raccolta di lettere inedite, Editori Riuniti, Roma 1993. 2 342 Pe re scl us - F ivo or uso ex ne clu ll' siv am e u bit se o d wi ell thi a A n A bi SN lita pr zion oc ess e sc . U ien na tifi uth ca or naz ise io d c na op le. yin Og g o ni r d rip ist rod rib uz uti ion on e is o d str ist ict rib ly uz for ion bid e è de vi eta n “Conservare per sempre l’eccezionalità del presente”. Dispositivi, immaginari, memorie della fotografia nella Grande Guerra, 1914-18ta che «nella Fotografia il potere di autentificazione supera il potere di raffigurazione»5? Non è il caso di affrontare qui in linea teorica questo nodo, che ci porterebbe su un terreno del tutto esterno ai limiti di questo saggio6, ma possiamo osservarne i riflessi sui processi storici concreti; e in questo senso si deve registrare che una convinzione del tipo di quella di Musil dovette essere molto diffusa durante il periodo della Grande Guerra, perché la produzione di fotografie conobbe una accelerazione importante, anche se difficilmente quantificabile, nella sua dimensione privata, familiare, “vernacolare”; e la fotografia giunse a sconfiggere definitivamente sul piano del discorso pubblico, in particolare sul terreno della stampa periodica di informazione, che costituiva il medium visivo più largamente diffuso all’epoca, l’illustrazione tradizionale, che ancora resisteva durante gli anni anteguerra7. Questo fenomeno che storicamente presenta delle evidenze difficilmente controvertibili, si basava probabilmente proprio sulla convinzione, diffusa anche presso il pubblico dell’epoca, che la fotografia garantisse di per sé, per il suo procedimento di natura chimico-fisica, una obiettività superiore a quella di altri media tradizionali, essendo in grado in qualche misura di collegare direttamente l’osservatore con l’oggetto fotografato, dato che la mediazione e la “traduzione” linguistica del fotografo era limitata dalla natura meccanica del medium. Per quanto questo modo di pensare la fotografia sia oggi chiaramente superato, tuttavia permane a livello di senso comune una convinzione diffusa circa la peculiare affidabilità della fotografia come fonte o “prova”, derivante in ultima analisi dal suo essere traccia, “impronta”, e non “segno” del reale passato. Questa convinzione, o per meglio dire questa modalità culturale attraverso cui la fotografia è stata concepita, praticata e diffusa, ha prodotto risultati rilevanti, riconosciuti anche a livello normativo8, nei comportamenti sociali connessi con la comunicazione per immagini. Questo saggio si occuperà soprattutto di questo, cioè di cercare di capire come le fotografie sono state prodotte, fatte circolare, come sono state recepite ed usate socialmente, in una parola come hanno agito nella storia, prima di divenire oggetto di attenzione degli storici. Seguendo queste tre fasi si articolerà in tre paragrafi rispettivamente dedicati a: dispositivi, immaginari, memorie. DISPOSITIVI FOTOGRAFICI Il concetto di dispositivo, come quello di immaginario, è entrato a far parte del vocabolario di coloro che si interessano di cultura visiva già da diversi decenni, e in particolare in relazione al dispositivo cinematografico9, un termine che comprende Roland Barthes, La camera chiara, Einaudi, Torino 1980, pp. 89-90. Mi permetto di rimandare a Luigi Tomassini, Una “dialettica ferma”? Storici e fotografia in Italia fra “linguistic turn” e “visual studies”, in La storia culturale, cit., pp. 93-110. Devo dire che il presente saggio oltre ad alcune parti di ricerca originali, sintetizza, in un quadro nuovo, diversi risultati di mie precedenti ricerche, finora mai sistematizzati in volume, ed ai quali quindi mi scuso di rimandare in queste note. 7 Cfr, qui di seguito, nota 32. 8 È appena il caso di ricordare che anche il Codice Civile riconosce alla fotografia in quanto tale (cioè se non alterata o falsificata) uno specifico valore di prova in giudizio. 9 Lucilla Albano, La caverna dei giganti. Scritti sull’evoluzione del dispositivo cinematografico, Pratiche, Parma 1992; Gilbert Durand, Strutture antropologiche dell’immaginario. Introduzione all’archetipologia generale, Dedalo, Bari 2009 (ed. or. PUF, Paris 1963). 5 6 343 Pe Luigi Tomassini re scl us - F ivo or uso ex ne clu ll' siv am e u bit se o d wi ell thi a A n A bi SN lita pr zion oc ess e sc . U ien na tifi uth ca or naz ise io d c na op le. yin Og g o ni r d rip ist rod rib uz uti ion on e is o d str ist ict rib ly uz for ion bid e è de vi eta n ta sia la componente industriale, tecnologica, ideologica, sottesa alla produzione e fruizione del cinema, sia il modo in cui ne vengono influenzati i processi percettivi degli spettatori. La Grande Guerra appare vista alla luce di questo concetto come un momento significativo di svolta sia nel dispiegamento degli apparati tecnologici e ideologici della fotografia, sia nelle forme della percezione e della fruizione sociale delle immagini fotografiche. Come in molti altri campi, la guerra non sembra segnare tanto una rottura radicale, quanto un’accelerazione di alcune tendenze già in atto. Un’accelerazione talmente forte, tuttavia, da cambiare radicalmente assetti ed equilibri consolidati, e da produrre quindi una trasformazione molto forte, rispetto al periodo anteguerra. Un primo aspetto di questa forte trasformazione è relativo alla produzione delle fotografie di guerra, agli operatori, ai committenti, alle procedure messe in opera; un secondo aspetto è relativo alla circolazione effettiva delle fotografie, al modo in cui viene regolata la effettiva distribuzione e visibilità delle immagini, a ciò che effettivamente viene reso pubblico e fatto circolare; un terzo si riferisce ai contenuti delle fotografie e alla loro percezione sociale, alle dinamiche che si innestano fra fronte e fronte interno, agli usi informativi e memoriali che se ne fanno sia sul momento che successivamente alla guerra. Lungo questi tre aspetti che corrispondono grosso modo alle tre pratiche fondamentali che caratterizzano il dispositivo fotografico, ovvero il fare, il guardare e il subire, a cui si associano poi le tre figure barthesiane dell’Operator, dello Spectator, e dello Spectrum, si possono individuare alcune parole chiave che segnalano alcuni importanti vettori di trasformazione dei dispositivi fotografici nel periodo bellico. La prima di queste parole chiave, che si adatta particolarmente al primo punto, quello relativo alla produzione delle foto, o alla figura dell’operator, è controllo. Gli anni del conflitto segnano infatti un momento di accelerazione assai forte per quanto riguarda il controllo (da parte degli apparati dello Stato, ma anche di alcuni attori privati) dei processi di produzione delle immagini fotografiche destinate ad una circolazione pubblica. Prima della guerra la produzione e la distribuzione delle immagini erano regolate già da procedure e protocolli che stabilivano alcuni parametri culturalmente condivisi e largamente accettati; ma la regolazione formale, sul piano giuridico, era minimale, e le pratiche e le norme repressive erano limitate a campi molto specifici, come quelli della fotografia “immorale” o pornografica, e anche in questo settore soltanto negli anni immediatamente precedenti il conflitto si era avuta una seppur minimale regolazione normativa a livello internazionale10. Durante il conflitto, il controllo sulle procedure di produzione e sulle forme di circolazione delle immagini divenne invece rigidissimo, in molti paesi europei, ed anche in Italia, con la predisposizione di una serie di apparati di regolazione e di controllo e con una normativa specifica. Nel caso italiano, prima della guerra, la fotografia aveva un ruolo, nella cultura nazionale, non troppo dissimile da quello Mi permetto di rimandare in proposito a Luigi Tomassini, Fotografia, pornografia e polizia in Francia e Italia tra Ottocento e Novecento, “AFT – Rivista di storia e fotografia” n. 2 1985, pp. 46-67; ora anche in http://rivista.aft.it/aftriv/controller.jsp?action=rivista_browse&rivista_id=12&rivista_pagina=46#pag_46. 10 344 Pe re scl us - F ivo or uso ex ne clu ll' siv am e u bit se o d wi ell thi a A n A bi SN lita pr zion oc ess e sc . U ien na tifi uth ca or naz ise io d c na op le. yin Og g o ni r d rip ist rod rib uz uti ion on e is o d str ist ict rib ly uz for ion bid e è de vi eta n “Conservare per sempre l’eccezionalità del presente”. Dispositivi, immaginari, memorie della fotografia nella Grande Guerra, 1914-18ta delle altre grande nazioni europee, ma con alcuni tratti originali. La ricezione dell’invenzione era stata piuttosto rapida, con un notevole coinvolgimento della cultura scientifica, come del resto in Francia e in Inghilterra11; nei decenni successivi l’Italia aveva avuto un ruolo non inconsistente, ma certo secondario rispetto ai maggiori paesi europei nella evoluzione tecnologica, nella produzione industriale, nella ricerca chimico-fisica legata alla fotografia; aveva avuto invece un ruolo originale e di primo piano nella produzione fotografica e nella diffusione di uno specifico prodotto fotografico, piuttosto rilevante, cioè la riproduzione fotografica del patrimonio artistico, monumentale e paesaggistico della nazione. Fra le voci che esprimevano pubblicamente questa cultura fotografica nel paese, vi erano alla vigilia della guerra, oltre ai circoli e alle associazioni (fra le quali la Società Fotografica Italiana, con Presidente Onorario lo stesso Re Vittorio Emanuele III, appassionato fotografo), alcune riviste. Si può dire che vi fosse quindi un tessuto di “cultura fotografica” già abbastanza radicato, riconosciuto, e indubbiamente ispirato a valori patriottici e “nazionali”. Questi ambienti legati alla cultura fotografica al momento dell’intervento in guerra dell’Italia si trovarono di fronte ad un divieto generalizzato e radicale, frutto dell’eccezionalità della situazione. Come scriveva il “Progresso Fotografico”, la più diffusa delle riviste del settore: «in questo periodo moltissimi amatori sono costretti all’inerzia perché non solo nei territori dichiarati zona di guerra, ma anche in tutti i paesi dichiarati in istato di difesa è proibito fotografare, non solo, ma anche semplicemente trasportare a mano un apparecchio che non sia debitamente piombato dall’autorità»12. Per contro, la domanda di fotografie di guerra era diventata fortissima. Evidentemente non era possibile, perdurando la guerra, mantenere questo divieto assoluto. Gli ambienti della cultura fotografica italiana elaborarono quindi un ampio programma di collaborazione fra la fotografia privata e professionale italiana, e gli organi di governo, per realizzare una estesa documentazione della guerra. Il programma, che apparve sul “Progresso Fotografico” e fu sottoposto al governo, prevedeva un meccanismo di mobilitazione spontanea e in certo senso dal basso, essenzialmente privata, non un servizio gestito direttamente dall’esecutivo, come fu poi in pratica realizzato. Il governo avrebbe dovuto intervenire, in maniera tale da realizzare una collaborazione stretta con i fotografi professionali, e da formare quasi un ente misto allo scopo. Questo progetto, che mescolava iniziativa privata e intervento pubblico, a fini di pubblica utilità, e come risposta all’emergenza della guerra, non ebbe successo: ma è importante sottolineare che faceva parte di un fenomeno più ampio, di commistione fra pubblico e privato, con la costituzione di organismi ad hoc su cui si basava lo sforzo di automobilitazione della società civile per la guerra, trovando la sua espressione nella miriade di comitati, soprattutto per l’assistenza e la mobilitazione civile, che sorsero un po’ lungo tutta la penisola. Questo tipo di automobilitazione, Mi permetto di rimandare in proposito a Monica Maffioli-Luigi Tomassini, Il dagherrotipo nell’Italia del 1839, in L’Italia d’argento. 1839-1859. Storia del dagherrotipo in Italia, Alinari, Firenze 2003, pp. 15-30. 12 Notizie. Il divieto di fotografare, “Progresso Fotografico” n. 6 giugno 1915. 11 345 Pe Luigi Tomassini re scl us - F ivo or uso ex ne clu ll' siv am e u bit se o d wi ell thi a A n A bi SN lita pr zion oc ess e sc . U ien na tifi uth ca or naz ise io d c na op le. yin Og g o ni r d rip ist rod rib uz uti ion on e is o d str ist ict rib ly uz for ion bid e è de vi eta n ta che era funzionale al sostegno del governo Salandra, originariamente minoritario in parlamento, trovava però un forte limite se tendeva ad entrare in contatto con la mobilitazione militare (che era invece stabilita sulla base di una rigida disciplina, con una prassi fortemente autoritaria e repressiva, impersonata dalla conduzione di Luigi Cadorna): allora veniva interdetto o interrotto drasticamente qualsiasi tipo di collaborazione. Così, nonostante che al comitato proposto dal “Progresso Fotografico” avessero aderito importanti personalità quali il deputato Giuseppe. De Capitani D’Arzago, deputato milanese assai vicino a Salandra il Comando reagì in maniera assolutamente negativa, così come negli stessi mesi aveva recisamente declinato le offerte di un analogo e anche più rappresentativo comitato per le invenzioni di guerra, appoggiato fortemente dal Governo, e composto in parte dalle stesse persone, compreso Rodolfo Namias, il Direttore del “Progresso Fotografico”. Come informava sommariamente lo stesso Namias, «il Ministero della Guerra, pur lodando l’iniziativa, giudica non si possano conciliare le esigenze militari coll’intervento sul campo di fotografi non alle dipendenze dirette del Comando». La gran parte della documentazione fotografica della guerra fu affidata così ai reparti fotografici alle dipendenze del Comando Supremo, che funzionarono in pratica da enorme agenzia fotografica, e costituirono un canale di rifornimento essenziale per l’approvvigionamento della stampa illustrata. I reparti fotografici dell’esercito erano nati alla fine del XIX secolo, ed avevano avuto un primo collaudo durante la guerra di Libia, quando alla iniziale specializzazione esclusivamente tecnica per un uso operativo tattico, si affiancò una attività di documentazione utilizzabile anche in funzione di sensibilizzazione dell’opinione pubblica13. Durante il conflitto, l’esile apparato già esistente (tre “squadre” fotografiche, una presso il Comando Supremo, una ciascuna presso il comando della II e della III Armata, quattro squadre telefotografiche da montagna, una assegnata al Genio, per un totale di 23 fotografi) si sviluppò rapidamente, ampliando contemporaneamente i propri ambiti di lavoro. Alla fine del conflitto risultavano aver prestato la loro attività oltre 600 fotografi militari, che avevano realizzato oltre 150.000 riprese fotografiche. Cosa significa questo dato? Che la massa di 600 fotografi arruolati in un ruolo che richiedeva una certa esperienza del mestiere, poté essere raggiunta solo con un larghissimo ricorso a civili richiamati; inoltre non solo la massa operativa era civile, ma anche coloro che dirigendo il servizio ne ispiravano in qualche misura l’azione. In particolare, la squadra fotografica addetta al Comando Supremo, oltre ad essere trasformata prima in “sezione” con una maggiore dotazione di uomini e mezzi, e poi in “Direzione del Servizio Fotografico”, per chiarire la sua preminenza sulle altre, divenne particolarmente importante perché operò in stretto rapporto con l’Uf- Andrea Greco, Il servizio fotografico nell’esercito italiano. Il dibattito sulla documentazione fotografica agli inizi della Grande Guerra, “AFT Rivista di Storia e Fotografia” n. 22 1995, p. 9; Angelo Del Boca-Nicola Labanca L’impero africano del fascismo nelle fotografie dell’Istituto Luce, Editori Riuniti, Roma 2002, pag. 9; una dettagliata ricostruzione della storia dei servizi fotografici italiani durante la Grande Guerra in Nicola Della Volpe, Esercito e propaganda nella Grande Guerra, Ufficio Storico Stato Maggiore Esercito, Roma 1989. Cfr. anche Id., Fotografie militari, Ufficio Storico Stato Maggiore Esercito, Roma 1980. 13 346 Pe re scl us - F ivo or uso ex ne clu ll' siv am e u bit se o d wi ell thi a A n A bi SN lita pr zion oc ess e sc . U ien na tifi uth ca or naz ise io d c na op le. yin Og g o ni r d rip ist rod rib uz uti ion on e is o d str ist ict rib ly uz for ion bid e è de vi eta n “Conservare per sempre l’eccezionalità del presente”. Dispositivi, immaginari, memorie della fotografia nella Grande Guerra, 1914-18ta ficio Stampa del Comando Supremo, e fu affidata fin dall’inizio ad Ugo Ojetti. La figura di Ojetti, arruolato nel Genio militare con il grado di sottotenente, rientra in una tipologia piuttosto interessante di intellettuali che durante il conflitto prestarono servizio nell’Esercito, contribuendo in modo importante a introdurre saperi, competenze e modelli della società civile (e politica) entro l’apparato militare. Si trattava di personaggi come Giovanni Borelli, Giuseppe Prezzolini, Gioacchino Volpe e Giuseppe Lombardo Radice impegnati nell’Ufficio Storiografico della Mobilitazione Industriale e nel servizio “P” al fronte, o anche giuristi e universitari come Enrico Redenti, imprenditori come Enrico Toniolo, scienziati come Vito Volterra tutti inseriti, in qualità di ufficiali dell’Esercito, in alcuni posti chiave che gestivano il rapporto fra le forze armate e la società civile durante la guerra. Ojetti, dopo essere stato incaricato della gestione dei beni artistici e monumentali nella zona di guerra, fra il dicembre del 1915 e il febbraio del 1916 si occupò della costituzione dell’Ufficio Stampa e Propaganda del Comando Supremo, di cui costituì la figura chiave. L’arrivo di Ojetti comportò una svolta sensibile nei rapporti fra il Comando e la stampa, facendo in modo che la strategia di comunicazione del Comando Supremo, praticamente limitata inizialmente agli scarni e tecnici bollettini ufficiali, e per il resto affidata a un’azione di censura preventiva, passasse invece ad una fase di collaborazione, seppur limitata e controllata, con la stampa “amica”14, seguendo una linea di maggiore apertura verso l’opinione pubblica, come avveniva all’estero nei maggiori paesi alleati. All’interno dell’Ufficio Stampa e Propaganda fu costituita la sezione fotografica, che assorbiva la funzione svolta dalla precedente “squadra”, e di cui Ojetti assunse la diretta responsabilità, mentre per il resto il comando delle altre sezioni e l’Ufficio nel suo insieme fu affidato ad ufficiali di carriera di più alto grado, nonostante Ojetti rimanesse comunque la figura “chiave” dal punto di vista politico e culturale15. È interessante notare che comunque Ojetti aveva presentato, nel suo progetto per la costituzione dell’Ufficio, la proposta di istituire un servizio fotografico sul modello della Section photographique de l’Armée, costituita in Francia sotto la guida di Pierre Marcel Lévi16, che aveva una impostazione molto aperta e “privatistica”, contemplando un notevole grado di autonomia e fra l’altro una sostanziale autosufficienza sul piano economico raggiunta attraverso la vendita delle 14 Ojetti così si esprimeva in una sua relazione al Comando Supremo per la costituzione dell’Ufficio, parlando del coinvolgimento dei giornalisti migliori e più fidati: «Questo avviene ormai in tutti i paesi belligeranti. Per questo è necessario, magari sotto un’apparente eguaglianza di trattamento, dare solo a questi migliori notizie opportune, temi da trattare volta per volta, piante topografiche, schizzi disegnati da ufficiali di stato maggiore così frequenti nei giornali illustrati stranieri e ancora mai veduti in giornali illustrati italiani»; in: Relazione per la costituzione dell’Ufficio stampa al Comando Supremo, in Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze, Fondo Ojetti 250 Mss, 7, 14 busta 8, cit. in Raffaella Biscioni, I danni al patrimonio culturale durante la prima guerra mondiale fra documentazione e propaganda, tesi di dottorato in Scienze storiche in età contemporanea, Univ. Siena, a.a. 2011-12, p. 233. 15 Cfr. Marta Nezzo, Prodromi a una propaganda di guerra: i rapporti Ojetti, “Contemporanea” n. 2 aprile 2003. 16 Ojetti cita Pierre Marcel e Gabriel Faure, come realizzatori della section; cfr. ora sull’argomento Hélène Guillot, La section photographique de l’armée et la Grande Guerre. De la création en 1915 à la non-dissolution, “Revue historique des armées” n. 258 2010, pp. 110-117. 347 Pe Luigi Tomassini re scl us - F ivo or uso ex ne clu ll' siv am e u bit se o d wi ell thi a A n A bi SN lita pr zion oc ess e sc . U ien na tifi uth ca or naz ise io d c na op le. yin Og g o ni r d rip ist rod rib uz uti ion on e is o d str ist ict rib ly uz for ion bid e è de vi eta n ta immagini. Uno dei tratti caratterizzanti del modello francese, che Ojetti si proponeva di riprendere, era quello della collaborazione richiesta agli stessi combattenti, per fornire le fotografie da loro prodotte17. Questa impostazione, ribadita in un successivo promemoria specificamente destinato alla “propaganda per mezzo della fotografia”18, in cui si contemplava anche la possibilità che il Comando acquistasse fotografie dai singoli ufficiali e soldati al fronte con «l’esclusiva di riproduzione per un periodo di tempo limitato» in realtà fu solo molto limitatamente seguita nella prassi successiva, mentre la necessità di avere un materiale abbondante fu risolta dall’ampliamento già citato dei servizi, e il controllo della diffusione restò affidato saldamente allo stesso Ojetti19. La figura di Ojetti fu particolarmente importante anche per un altro aspetto, piuttosto rilevante e caratteristico, della produzione di fotografie di guerra, ossia la documentazione fotografica dei danni inferti al patrimonio artistico e monumentale. La propaganda francese all’interno e soprattutto all’estero, nei paesi neutrali, come l’Italia, aveva subito collegato strettamente i due temi della barbarie del nemico verso i civili (soprattutto i fanciulli e le donne del Belgio e delle zone occupate) e della barbarie verso i monumenti. Un grande rilievo ebbero le distruzioni inferte alla cattedrale di Reims e alla Biblioteca di Lovanio. Mentre però era difficile documentare in maniera inoppugnabile gli episodi di violenza tedesca sulla popolazione civile, era molto facile portare una documentazione fotografica dei danni al patrimonio artistico, e quindi la fotografia entrò fin dall’inizio con una certa importanza nel dispositivo di propaganda francese. Tutta una letteratura del genere entra in larga misura a far parte dell’apparato propagandistico alleato in Italia nei mesi della neutralità, con opuscoli riccamente corredati di fotografie e anche con cartoline illustrate20. Un tale filone, ripreso e curato da Ojetti presso il Comando Supremo, costituì in Italia un caso molto interessante di produzione e diffusione di documentazione fotografica, poiché coinvolse anche le Sovrintendenze e gli enti locali, con notevoli conflitti sia di competenza che di impostazione della rilevazione fotografica21. Secondo Hélène Guillot, La section photographique de l’armée, cit., tale apertura fu determinata in realtà dal ritardo con cui la Francia si mosse su questo terreno rispetto alla Germania. Ojetti si preoccupava comunque di precisare nel suo progetto di costituzione della sezione fotografica, che «Il Comando Supremo esercita, naturalmente, diritto di controllo su tutte le fotografie di questo ufficio». Cfr. Ugo Ojetti, Relazione per la costituzione dell’Ufficio stampa, cit., in Raffaella Biscioni, I danni al patrimonio culturale durante la prima guerra mondiale, cit., p. 233-34. 18 Il promemoria, del 29 febbraio 1916, è riportato, assieme ad altri prodotti nello stesso periodo da Ojetti per la costituzione delle varie sezioni dell’Ufficio, in Marta Nezzo, Prodromi a una propaganda di guerra, cit,, pp. 332-337. 19 Come affermava lo stesso Ojetti in una lettera alla moglie del 1° marzo 1916, «Ora il gabinetto [… fotografico] rientra sotto la mia diretta tutela […] di fatto tutta la propaganda per la guerra, d’ogni paese, in Italia e fuori, è da stamane nelle mie mani». Ugo Ojetti, Lettere alla moglie, Sansoni, Firenze 1964, p. 228; cit. in Raffaella Biscioni, I danni al patrimonio culturale durante la prima guerra mondiale, cit., p. 238. 20 Cfr. ad esempio Les Allemands destructeurs de cathédrales et de trésors du passé. Mémoire relatif aux bombardements de Reims, Arras, Senlis, Louvain, Soissons, etc. accompagné de photographies et pièces justificatives, Hachette, Paris 1915. Mi permetto di rimandare per questo aspetto a Luigi Tomassini, La documentazione fotografica dei bombardamenti e dei danni del patrimonio artistico ravennate nelle due guerre mondiali: la prima guerra mondiale, in Parola d’ordine Teodora, a cura di Giuseppe Masetti-Antonio Panaino, Longo, Ravenna 2005, pp. 247-265. 21 Cfr. in proposito Raffaella Biscioni, I danni al patrimonio culturale durante la prima guerra mondiale, cit. 17 348 Pe re scl us - F ivo or uso ex ne clu ll' siv am e u bit se o d wi ell thi a A n A bi SN lita pr zion oc ess e sc . U ien na tifi uth ca or naz ise io d c na op le. yin Og g o ni r d rip ist rod rib uz uti ion on e is o d str ist ict rib ly uz for ion bid e è de vi eta n “Conservare per sempre l’eccezionalità del presente”. Dispositivi, immaginari, memorie della fotografia nella Grande Guerra, 1914-18ta I servizi fotografici ufficiali delle forze armate e del Comando Supremo non erano in realtà gli unici apparati impegnati nella documentazione fotografica della guerra. Un altro caso interessante fu quello della Sezione fotografica dell’Ufficio Storiografico della Mobilitazione Industriale, che produsse una documentazione dell’industria italiana che non aveva precedenti e restò a lungo ineguagliata come ampiezza e sistematicità. Il responsabile della sezione fotografica era il sottotenente Riccardo Bettini, cioè, anche in questo caso, un civile temporaneamente prestato al servizio militare, dato che era in realtà il rappresentante della terza generazione dei noti fotografi Bettini di Livorno, una delle “case” fotografiche più note e interessanti nel panorama italiano22. LA CENSURA Nonostante che gli interventi di Ojetti, la progressiva e in un certo senso naturale estensione dei servizi fotografici durante i lunghi anni del conflitto, nonché l’attività di alcune branche dell’amministrazione militare stessa rivolte al “fronte interno”, come quella dello Storiografico, avessero intro- dotto una notevole quantità di immagini relative al conflitto, superando quindi l’iniziale impostazione di una censura preventiva che semplicemente negava la possibilità di produrre immagini, la censura conservò un ruolo fondamentale per quanto riguardava la selezione delle immagini che effettivamente potevano essere viste dal pubblico23. Per quanto riguarda la fotografia propriamente militare, tale incarico fu affidato alla stessa Sezione fotografica di Ojetti che doveva occuparsi, fra i suoi compiti, anche della “censura fotografica”24. In realtà l’impostazione iniziale del progetto di Ojetti, che contemplava la possibilità di un contributo diretto da parte dei combattenti al fronte, era in parte confliggente con il divieto assoluto iniziale di riprendere fotografie; la soluzione non fu trovata a livello normativo con una nuova impostazione, ma attraverso una serie di circolari e provvedimenti specifici, che peraltro nel loro succedersi facevano intuire che non solo l’iniziale divieto assoluto non era in pratica mantenibile, ma che in certa misura si era costretti a cercare di ricondurre entro le maglie della censura militare un fenomeno di diffusione di immagini che evidentemente tendeva a superare i limiti della normativa25. 22 Su tutta questa vicenda, e sui risultati raggiunti, mi permetto di rimandare a Luigi Tomassini, La fotografia dell’industria. La grande guerra, in L’immagine dell’industria lombarda 1881-1945, a cura di Duccio Bigazzi-Giovanna Ginex, Mediocredito Lombardo-A. Pizzi, Milano 1998, pp. 99-126. 23 In questa sede ci riferiamo alla censura militare e specificamente a quella rivolta alle immagini fotografiche. Sulla censura in generale durante la guerra, cfr. Antonio Fiori, Il filtro deformante: la censura sulla stampa durante la prima guerra mondiale, Istituto storico italiano per l’età moderna e contemporanea, Roma 2001. 24 Nicola Della Volpe, Esercito e propaganda nella Grande Guerra, cit., pp. 16-24. 25 In particolare, con la Circolare n. 537 14 gennaio 1916, con oggetto: Fotografie nella zona di guerra, lamentando che su riviste italiane e straniere circolassero immagini del fronte che non erano passate dalla autorizzazione dell’Ufficio Censura, e che erano con ogni probabilità state scattate da ufficiali o soldati, si attribuiva ai Comandi di Armata la facoltà di proibire di nuovo in assoluto ai combattenti di riprendere immagini fotografiche della zona di guerra. Il primo maggio del 1916 fu emanato un apposito Decreto Luogotenenziale (n. 498) con il quale si vietava di «esibire, esporre, pubblicare, vendere o distribuire in qualsiasi modo o sotto qualsiasi forma, fotografie, disegni, modelli, schizzi di armi, munizioni e posizioni delle nostre truppe, che non siano stati preventivamente approvati dall’Autorità militare”. Ulteriori provvedimenti limitativi, che lasciavano però intuire il diffondersi di pratiche che tendevano a eludere la normativa, furono emanati nel corso del 1917 e fino praticamente ai mesi finali della guerra. Cfr. su di ciò Raffaella Biscioni, I danni al patrimonio culturale durante la prima guerra mondiale, cit., pp. 239-41. 34 Pe Luigi Tomassini re scl us - F ivo or uso ex ne clu ll' siv am e u bit se o d wi ell thi a A n A bi SN lita pr zion oc ess e sc . U ien na tifi uth ca or naz ise io d c na op le. yin Og g o ni r d rip ist rod rib uz uti ion on e is o d str ist ict rib ly uz for ion bid e è de vi eta n ta In ogni caso, si può dire che la preoccupazione principale della censura, nel caso della fotografia, fu quella di controllare l’afflusso delle immagini sulla stampa periodica e di informazione. Assai più limitato fu l’impegno a controllare il flusso di immagini fotografiche direttamente dal fronte verso l’interno, a parte qualche tentativo, effettuato anche con il ricorso alla censura postale26; mentre come è noto su questo ultimo terreno il governo italiano esercitò una fortissima pressione censoria per quanto riguardava scritti e comunicazioni epistolari27. Il che ci porta a considerare la fondamentale importanza, oltre alla questione della produzione, della circolazione delle immagini fotografiche attraverso quello che all’epoca si poteva considerare il medium visivo di maggiore diffusione, e cioè la stampa periodica illustrata. 2. IMMAGINARI Dopo aver esaminato la fase della produzione delle fotografie di guerra, associandola alla parola chiave del “controllo” di questa produzione, delle varie agenzie e protocolli che si occupavano di gestire la particolare visibilità garantita dal mezzo tecnico di registrazione visiva, conviene ora esaminare la circolazione e la diffusione effettiva di fotografie, seguendo il nostro schema tripartito per cui dalla funzione dell’operator, del produttore, si passa ad esaminare il polo opposto del processo fotografico, ovvero quello che corrisponde allo “spectator”, cioè allo stadio della fruizione delle fotografie. Assoceremo questa fase alla parola chiave “immaginari”, una parola estremamente diffusa nei recenti studi sulla rappresentazione della guerra. L’immaginario sociale, inteso come la capacità di un gruppo sociale di rappresentarsi il mondo con l’aiuto di un insieme articolato di immagini che gli forniscano un senso, è un concetto molto utile per analizzare l’insieme di immagini prodotte e circolanti negli anni di guerra. Un primo aspetto importante è che l’immaginario sociale costituendosi come sostrato della vita mentale, in un certo senso mediando fra il reale e il simbolico, ci induce a riflettere sul fatto che le immagini della guerra che ci sono pervenute e che ora esaminiamo non sono solo un modo per conoscere oggi la realtà della guerra di allora, ma sono state anche un elemento attivo del processo storico, hanno esercitato esse stesse un ruolo più o meno importante nel determinarne il divenire, non fosse altro come parte integrante della informazione e della propaganda di guerra. Il secondo aspetto, direttamente connesso a questo, è che ricollegando decisamente la produzione di immagini alle tensioni e alle relazioni che strutturano il rapporto degli individui con il loro contesto sociale, il concetto di immaginario sociale ci aiuta a concepire la produzione di immagini non come un corpus statico, indifferenziato, composto da elementi omotipici, ovvero esteso e definito in modo uniforme, ma come un complesso in cui esistono alcune parti particolarmente attive e significative. Circolare n. 12347 6 ottobre 1917, Censura postale – Divieto di commercio di fotografie, schizzi e disegni di carattere militare, in USSME, A91; cit. in Raffaella Biscioni, I danni al patrimonio culturale durante la prima guerra mondiale, cit., p. 241. 27 Su questo tema, più in generale, cfr. il fondamentale studio di Giovanna Procacci, Soldati e prigionieri italiani nella grande guerra. Con una raccolta di lettere inedite, Bollati Boringhieri, Torino 2000 (2 ed.). 26 350 Pe re scl us - F ivo or uso ex ne clu ll' siv am e u bit se o d wi ell thi a A n A bi SN lita pr zion oc ess e sc . U ien na tifi uth ca or naz ise io d c na op le. yin Og g o ni r d rip ist rod rib uz uti ion on e is o d str ist ict rib ly uz for ion bid e è de vi eta n “Conservare per sempre l’eccezionalità del presente”. Dispositivi, immaginari, memorie della fotografia nella Grande Guerra, 1914-18ta Qui non ci interessa cercare di vedere attraverso le fotografie “la guerra com’era”, ma cercare di capire quali fossero effettivamente le immagini che circolavano, che venivano viste, e come su di esse si potessero costruire immaginari sociali diffusi e condivisi. Avvertendo però che la particolare natura della fotografia impediva di costruire immaginari con la libertà di ricostruzione immaginativa e fantastica dell’illustrazione tradizionale, ma imponeva un vincolo forte e costante con la “realtà” della guerra, o quanto meno con l’oggetto, la determinata configurazione spazio temporale del reale che veniva riprodotta dall’apparato fotografico, sia pure come traccia, ombra, come “spectrum” appunto. Questi due aspetti, la ricerca cioè del massimo della diffusione sociale delle immagini e il vincolo “realista” che obbliga a precise scelte di contenuti, caratterizzano la presenza della fotografia nella stampa illustrata di informazione (e in parte di intrattenimento) durante la guerra. La produzione di immagini fotografiche durante la guerra fu enormemente più ampia di quella che circolò sulla stampa, ma solo una piccola parte ebbe una diffusione sociale di massa; la gran parte ebbe circolazione limitatissima, spesso solo privata nel ristretto ambito familiare o delle relazioni personali dei loro autori; si tratta di immagini utilissime per noi oggi per cercare di capire quale fosse la realtà del conflitto e per costruire una “memoria culturale” della guerra; ma le immagini che all’epoca, in seguito al processo di controllo che abbiamo appena esaminato, avevano una circolazione pubblica di massa, erano molto meno numerose e molto precisamente selezionate per tipologie e contenuti. In questo paragrafo cercheremo in primo luogo di quantificare il fenomeno, parametrando il “corpus” costituito idealmente dalle immagini fotografiche pubblicate dai maggiori periodici illustrati italiani sia in relazione all’universo complessivo delle immagini prodotte, sia in relazione al peso dell’illustrazione non fotografica; in secondo luogo cercheremo di capire quali fossero i soggetti rappresentati e quindi gli immaginari proposti, dedicando una particolare attenzione al tema della “banalizzazione” della guerra attraverso la fotografia. 2.1. La saturazione di immagini della guerra totale: la “Domenica del Corriere” 19151918. Il fatto che la Grande Guerra si avviasse a diventare “guerra totale”28 significa anche che la guerra divenne praticamente l’unico soggetto rappresentato; e quando non era rappresentata direttamente, restava comunque il parametro, il punto di riferimento indiretto di ogni rappresentazione, in misura molto maggiore che le guerre del passato. Per quanto schematico sia un indicatore puramente quantitativo, tuttavia non si può non tener conto del fatto che durante la prima guerra mondiale il più famoso e diffuso settimanale illustrato dell’epoca, la “Domenica del Corriere”, dedicò alla guerra e agli eventi ad essa connessi poco meno del 90% delle fotografie pubblicate sulle sue pagine. Allo scoppio della guerra europea, nel 1914, sorsero nuove testate specificamente A quanto ne sappiamo il primo consolidarsi del termine in un uso “pubblico” come un titolo di un libro, è in un volume di Leon Daudet del 1916, intitolato appunto La guerre totale. 28 35 Pe Luigi Tomassini re scl us - F ivo or uso ex ne clu ll' siv am e u bit se o d wi ell thi a A n A bi SN lita pr zion oc ess e sc . U ien na tifi uth ca or naz ise io d c na op le. yin Og g o ni r d rip ist rod rib uz uti ion on e is o d str ist ict rib ly uz for ion bid e è de vi eta n ta dedicate alla guerra29; e soprattutto le esistenti rivolsero quasi esclusivamente la loro attenzione al conflitto in corso. Il caso più eclatante fu quello dell’“Illustrazione popolare”, edita a Milano da Treves, che già dal n. 33, del 13 agosto 1914, cambiava il titolo in “La Guerra Europea”. Sulla “Domenica del Corriere” le fotografie non di guerra, che nei primi mesi del 1915, fino al maggio, erano il 53% del totale, scesero drasticamente e progressivamente dopo l’intervento in guerra dell’Italia e negli anni successivi, fino ad essere meno del 9% nel 1918. Negli anni immediatamente precedenti il 1914, nella “Domenica del Corriere” l’illustrazione fotografica aveva già acquisito un ruolo assolutamente predominante, ma non esclusivo: come è noto, rimanevano illustrate manualmente le due pagine più importanti, la Tabella 1 Categoria prima e l’ultima di copertina, ed inoltre la illustrazione manuale aveva ancora un ruolo all’interno del periodico. Sotto questo aspetto, il settimanale segue del resto un trend tipico dell’epoca: sono questi gli anni come è noto in cui si ha una profonda trasformazione nell’illustrazione della stampa periodica30. Nel complesso si contano durante i 4 anni di guerra 4.230 immagini fotografiche pubblicate: che diventano 7.810 se si aggiungono le 3.580 fotografie formato tessera contenute nelle rubriche dedicate ai caduti e ai decorati. In maniera del tutto empirica, abbiamo cercato di ripartire le foto in categorie tematiche. Per fare ciò abbiamo adottato una suddivisione in 12 tipologie; la ripartizione delle foto durante tutto l’arco degli anni 1915-1918 è quella evidenziata nella tabella 1, che mostra anche la suddivisione nelle varie categorie. 1915 1915 1916 prima dopo del 24 maggio l’intervento Combattimenti 30 7 6 Paesaggi di guerra 80 193 238 Soldati e eserciti 61 169 164 Prigionieri, feriti, morti 7 41 60 Regnanti, militari, personalità 47 145 180 Armi, munizioni, lavoro 34 88 133 Distruzioni 10 12 53 Cerimonie, commemorazioni 18 31 62 Storia della guerra 0 9 25 Tecnologia e trasporti 14 11 24 Manifestazioni collettive per la guerra 12 17 3 Foto non di guerra 284 51 147 Totale 597 774 1095 1917 20 170 111 37 157 195 41 69 16 19 2 124 961 1918 (fino al novembre) 15 97 161 22 119 90 39 62 4 10 13 68 700 Fra queste, oltre a quelle citate nel testo, uscirono nei primi mesi del conflitto “La guerra europea” e “La guerra illustrata” di Sonzogno, mentre Treves pubblicava “La guerra delle nazioni”, e l’editore napoletano Bideri “La grande guerra europea del 1914-1915”. Devo queste notizie a Francesco Mineccia, che mi ha cortesemente anticipato il testo in via di pubblicazione di una sua relazione dal titolo La Grande guerra in tempo reale: le dispense illustrate italiane nel periodo della neutralità (agosto 1914-aprile 1915) al convegno The Great War and the Illustrated Press, Paris XIII-MSH Paris Nord, 5-6 June 2013. 30 Anne-Claude Ambroise-Rendu, Du dessin de presse à la photographie (1878-1914): histoire d’une mutation technique et culturelle, “Revue d’histoire moderne et contemporaine” XXXIX 1992, p. 10, osserva che già nel 1900 più del 53% delle illustrazioni del maggiore settimanale illustrato francese (“L’Illustration”) sono fotografiche; anche in questo caso con la guerra si ha un balzo in avanti e la percentuale passa all’80% nel 1914. 29 352 Pe re scl us - F ivo or uso ex ne clu ll' siv am e u bit se o d wi ell thi a A n A bi SN lita pr zion oc ess e sc . U ien na tifi uth ca or naz ise io d c na op le. yin Og g o ni r d rip ist rod rib uz uti ion on e is o d str ist ict rib ly uz for ion bid e è de vi eta n “Conservare per sempre l’eccezionalità del presente”. Dispositivi, immaginari, memorie della fotografia nella Grande Guerra, 1914-18ta Si tratta di dati riferiti al numero di tutte le foto effettivamente pubblicate, con esclusione dei disegni, delle copertine, delle illustrazioni pubblicitarie, nonché delle fototessere dei caduti e decorati: queste ultime abbiamo ritenuto opportuno scorporarle, e ne parleremo nell’ultimo paragrafo, dato che tematicamente e graficamente costituiscono un corpo a sé nella pubblicazione. Come si vede, un primo dato è la evidente diminuzione delle foto non di guerra dal momento dell’intervento dell’Italia: con una forte cesura a partire dal mese di maggio, ma con un trend che si estende anche negli anni successivi (le foto non di guerra diminuiscono costantemente fino a tutto il 1918). Una diminuzione non così evidente ma comunque marcata e costante hanno anche le foto che abbiamo classificato nella categoria 2: ovvero paesaggi, ambienti della zona di guerra in cui il fattore ambientale paesaggistico era esclusivo o dominante rispetto alla presenza umana o ad altri temi. Fra le altre categorie, è piuttosto evidente che la categoria 11 (manifestazioni collettive) è particolarmente accentuata negli anni 1915 e 1918, ovvero in coincidenza della entrata in guerra e della vittoria: mentre per il resto, le oscillazioni più forti si hanno fra la categoria 3 (foto di soldati) e 6 (produzioni di guerra). Nel 1917 si ha una netta diminuzione della prima, mentre la seconda ha un picco verso l’alto. Anche qui la spiegazione è piuttosto evidente: nel 1917 infatti si ha Caporetto, che provoca una diminuzione nel numero delle fotografie di militari, mentre nel contempo il paese cerca di valorizzare lo sforzo del “fronte interno” dove non solo le produ- zioni di guerra sono in aumento, ma anche è necessario rispondere in qualche modo a fermenti contrari alla guerra che scuotono in profondità il mondo del lavoro. Sostanzialmente costante, anzi in crescita percentuale, è la categoria riservata alle personalità di governo e militari. Nel complesso, le tipologie di gran lunga più frequenti, nell’ambito delle foto che sono in relazione con la guerra, sono la 2, la 3, la 5 e la 6, che si collocano ciascuna con una percentuale da un quinto a un settimo della quota complessiva; poi le categorie 4, 7, 8, con quote che oscillano attorno al 5%, e poi tutte le altre con quote nettamente minori (attorno al 2%). Il dato senz’altro più significativo è che fra queste categorie vi è quella della rappresentazione della guerra per eccellenza: ovvero la rappresentazione del combattimento (cat. 1). 2.2. I limiti del rappresentabile: il combattimento e la morte Questo dato ci obbliga a soffermarci su questo punto, già notato in molti studi, ma in ogni caso ineludibile, della relativa scarsezza di foto di combattimento, le più drammatiche e coinvolgenti, così come delle foto dei soldati morti, quelli italiani in particolare, del tutto assenti in pratica sui giornali illustrati che abbiamo esaminato. Come hanno chiarito gli studi esistenti, che di questo aspetto si sono largamente occupati, questa assenza era dovuta congiuntamente a motivi tecnici, per la difficoltà di riprendere scene di battaglia sotto il vincolo di una situazione tattica che non lasciava praticamente nessuno spazio alla dimensione dello sguardo31, e a motivi di censura e di autocensura: questi ultimi 31 Come aveva sottolineato con grande efficacia Eric J. Leed, Terra di nessuno. Esperienza bellica e identità personale nella prima guerra mondiale, il Mulino, Bologna 1985. 353 Pe Luigi Tomassini re scl us - F ivo or uso ex ne clu ll' siv am e u bit se o d wi ell thi a A n A bi SN lita pr zion oc ess e sc . U ien na tifi uth ca or naz ise io d c na op le. yin Og g o ni r d rip ist rod rib uz uti ion on e is o d str ist ict rib ly uz for ion bid e è de vi eta n ta particolarmente evidenti nella rappresentazione dei morti. Nel loro insieme, le foto di combattimenti negli anni del conflitto sono sulla “Domenica del Corriere” solo l’1,5%. Una percentuale bassissima, come si vede, a cui però fa da contraltare la percentuale di quasi il 45% di immagini dedicate al combattimento nelle tavole di Beltrame. Come è noto, le illustrazioni di Achille Beltrame comparivano a colori nella prima e nell’ultima pagina di copertina del settimanale; per cui avevano un ruolo assolutamente privilegiato. Come ha notato Antonio Faeti, “quelle tavole acquerellate si [fondavano] su artifici retorici che media più complessi e più nuovi non possono usare”32 e per l’epoca avevano una efficacia complessivamente assai alta. La ripartizione delle immagini sulle copertine della “Domenica del Corriere” è quella che appare dalla tabella seguente: Come si vede una ripartizione del tutto diversa rispetto a quella delle fotografie. Con la significativa eccezione del 1917, un Tabella 2 Categoria Combattimenti Paesaggi di guerra Soldati e eserciti Prigionieri, feriti, morti Regnanti, militari, personalità Armi, munizioni, lavoro Distruzioni Cerimonie, commemorazioni Storia della guerra Tecnologia e trasporti Manifestazioni collettive per la guerra Foto non di guerra Totale anno difficile non solo per Caporetto, la quota di immagini di combattimento, nell’illustrazione manuale delle prime pagine della “Domenica” era sempre pari o superiore al 50%. E la stessa osservazione potrebbe esser fatta per le pagine finali, che seppure in misura minore assolvevano alla stessa funzione di un primo impatto visivo per il lettore. Il combattimento quindi era ancora privilegio dell’illustrazione tradizionale: un dato che si ritrova anche sulle pagine dell’“Illustrazione Italiana”, dove le copertine non sono necessariamente illustrate, e dove quindi vi è una maggiore libertà di impaginazione: ciò non toglie che anche sull’ “Illustrazione Italiana” le immagini di combattimento siano affidate spesso alla matita dei disegnatori, mentre le copertine vengono utilizzate per una diversa tipologia d’immagini (soprattutto fotografie di personaggi pubblici, personalità del governo e militari)33. In questa situazione per cui l’immagine manuale, per il resto in via di netta dimi- 1915 17 1 3 2 2 1916 34 1 4 3 2 2 0 1 2 1 2 0 4 1 30 52 1917 18 15 2 5 2 5 0 1 3 1 52 1918 22 1 4 1 3 1 2 4 0 5 1 44 Totale 91 2 24 9 12 5 3 13 0 6 11 2 178 Antonio Faeti, La guerra di Arcipiombo, in Il cinematografo al campo. L’arma nuova nel primo conflitto mondiale, a cura di Renzo Renzi, Transeuropa, Ancona 1993, p. 119. 33 Rimando per questo, come per altri aspetti della diffusione della fotografia sulla stampa periodica dell’epoca, a Luigi Tomassini, Immagini della grande guerra: fra pubblico e privato, “AFT. Rivista di storia e fotografia” n. 22 1996, pp. 35-47 e n. 23, pp. 39-49. 32 354 Pe re scl us - F ivo or uso ex ne clu ll' siv am e u bit se o d wi ell thi a A n A bi SN lita pr zion oc ess e sc . U ien na tifi uth ca or naz ise io d c na op le. yin Og g o ni r d rip ist rod rib uz uti ion on e is o d str ist ict rib ly uz for ion bid e è de vi eta n “Conservare per sempre l’eccezionalità del presente”. Dispositivi, immaginari, memorie della fotografia nella Grande Guerra, 1914-18ta nuzione, recupera un suo ruolo durante il conflitto proprio per rappresentare il combattimento, è da osservare che un tale atteggiamento è comune a molti paesi in guerra34; ma vi sono delle eccezioni rilevanti, che fanno capire che era possibile una rappresentazione molto più realistica35. La mancanza di morti è evidentemente da attribuirsi sia, come già detto, ad una autocensura dei fotografi, ma soprattutto (visto che la disponibilità di immagini degli archivi oggi accessibili rivela una certa quantità di fotografie di scene di morte) al funzionamento dell’apparato di controllo sopra descritto. Per quanto le singole immagini pubblicate offrano contenuti indubbiamente interessanti per il pubblico dell’epoca, nel suo complesso la visione “pubblica” della guerra espunge il dramma, l’esperienza di guerra, la banalizza riducendola in termini di razionalità e di quotidianità su misura di un pubblico “esterno” al vissuto reale dei combattenti36. 3. La memoria culturale della guerra: archivi – tracce – rappresentazioni Seguendo sempre, in questo rapido nostro schema, delle tre fondamentali figure che caratterizzano il processo fotografico, resta da esaminare quella forse più enigmatica, che Barthes definisce lo “Spectrum”. Spectrum è l’oggetto (o l’individuo) rappresentato dalla fotografia; viene chiamato così perché un istante dopo lo scatto della fotografia appartiene già al passato, la sua presenza in quella particolare congiunzione spazio-temporale è cessata, in un certo senso è già morto, e quella che ci resta attraverso la fotografia, per quanto simile, è solo un’ombra. Questa denominazione adottata da Barthes potrebbe apparire stravagante, o quanto meno troppo sofisticata, visto che si deve designare semplicemente il contenuto dell’immagine; ma in realtà corrisponde almeno in parte a un luogo comune molto diffuso, al fatto cioè che quando un individuo si fa fotografare si può dire che è stato “immortalato” dalla fotografia. In altre parole si stabilisce una funzione memoriale della fotografia, in rapporto diretto con il tempo, e quindi (anche nel termine) con la morte. L’aspetto un po’ paradossale di questo fenomeno è che mentre ci si potrebbe aspettare che gli “spectra” si assottiglino e si diradino col tempo, fotograficamente possiamo vedere oggi molto più di quanto potesse vedere un qualsiasi “spectator” di allora. L’operazione di render visibili le fotografie della guerra, anche quelle che il controllo, la censura, e la regia degli apparati governativi e della stampa, avevano lasciato del tutto sconosciute negli archivi, o quelle Laurent Veray, Montrer la guerre. La photographie et le cinématographe, “Guerres mondiales et conflits contemporains” n. 171 1993, pp. 113-114. 35 Cfr., per il caso assai interessante della rivista “Le Miroir”, Joëlle Beurier, Images et violence 1914-1918. Quand Le Miroir racontait la Grande Guerre, Nouveau Monde Éditions, Paris 2007 ; ed anche Stefano Viaggio-Luigi Tomassini-Joëlle Beurier, Soldati fotografi. Fotografie della grande guerra sulle pagine di “Le Miroir”, Museo Storico Italiano della Guerra, Rovereto 2005. 36 Sul tema della “banalizzazione” operata dalla fotografia rispetto al tema della morte e della violenza, recentemente riportato al centro del dibattito storiografico dalla discussione attorno alla mostra e catalogo di Clément Chéroux (a cura di), Mémoire des camps, photographies des camps de concentration et d’extermination nazis, 1939-1999, Marval, Paris 2001, cfr. alcune considerazioni in Ilsen About-Joëlle Beurier-Luigi Tomassini, Lo storico di fronte alle fotografie della violenza estrema, in Fotografie e violenza. Visioni della brutalità dalla grande guerra ad oggi, numero monografico di “Memoria e Ricerca” n. 20 sett.-dic. 2005, pp. 5-21. 34 355 Pe Luigi Tomassini re scl us - F ivo or uso ex ne clu ll' siv am e u bit se o d wi ell thi a A n A bi SN lita pr zion oc ess e sc . U ien na tifi uth ca or naz ise io d c na op le. yin Og g o ni r d rip ist rod rib uz uti ion on e is o d str ist ict rib ly uz for ion bid e è de vi eta n ta che avevano circolato ma solo in forma privata tra fronte e paese, era cominciata già subito dopo la guerra, anche per intenti politici molto determinati; ma ora ha compiuto passi da gigante. Se si visita il sito di Europeana, che dà accesso a molte (ma non tutte) delle risorse digitali relative alla guerra disponibili di internet, già troviamo immediatamente milioni di immagini disponibili. Lo spectrum della fotografia nel nostro caso si incarna dunque in una quantità praticamente sterminata di reperti, per di più dotati ciascuno almeno in parte di una propria irriducibile individualità (le fotografie non si possono trattare come le schede degli atti battesimali o come i registri di entrata e uscita delle merci, il cui contenuto per la sua parte essenziale e significativa può essere normalizzato secondo schemi logici standardizzati). Questo porta ad un certo disorientamento: la prima reazione da parte dello storico consiste nel ricondurre questa massa sterminata di fonti entro il quadro canonico a cui è abituato; in primo luogo la loro sistemazione archivistica, che oltre a garantire la conservazione fisica, fornisce una serie di informazioni dirette e indirette che aiutano poi a riconoscerle come “tracce” del passato, come indizi utili per elaborare infine ricostruzioni attendibili sul piano storico, rappresentazioni attuali di quel passato eccezionale. Tuttavia resta il fatto che queste moderne macchine della memoria che sono le grandi banche dati di immagini coi relativi motori di ricerca funzionano in un certo senso proprio in maniera tale da dissolvere tendenzialmente gli schemi tradizionali appena ricordati. Da un lato costituiscono una risorsa di straordinaria importanza e portata, se confrontata con la possibilità di accesso e di conoscenza di questo tipo di fonti; dall’altra i modi di conservazione, catalogazione, accesso di queste “fonti digitali” sollevano una serie di problemi su cui ancora il dibattito è alle sue fasi iniziali37. Tuttavia, oltre alla loro possibile utilizzazione in sede storica, che si può considerare quindi solo nella fase iniziale, vi è un evidente uso di queste fonti, e di queste tecnologie applicate al patrimonio culturale, in funzione memoriale. La parola chiave per affrontare questo ultimo punto, relativo allo spectrum, all’oggetto, al contenuto delle immagini, potrebbe essere dunque quella di memoria culturale. La memoria culturale, secondo l’accezione attualmente corrente di questo termine in campo storiografico, si riferisce ad operazioni tese a legare il passato al presente, modellando e mantenendo attuali i ricordi fondanti, e includendo le immagini e le storie di un altro tempo entro l’orizzonte del presente38; un compito per il quale la fotografia pare avere una vocazione particolare. Indubbiamente la gigantesca operazione di digitalizzazione di una serie di fonti in atto a proposito della guerra, favorita dalla ricorrenza centenaria, ma già in corso da tempo, sembra indirizzata proprio ad una operazione di memoria culturale, oppure ad un orizzonte di “public hi- Mi permetto di rimandare a Luigi Tomassini, Vita nuova di vecchi media: le fotografie storiche in rete fra divulgazione e ricerca, in Media e storia, a cura di Francesco Mineccia-Luigi Tomassini, numero speciale di “Ricerche Storiche” n. 2-3, a. XXXIX (2009), pp. 363-437. 38 Cfr. per questa impostazione l’opera di Jan Assmann, La memoria culturale: Scrittura, ricordo e identità politica nelle grandi civiltà antiche, Einaudi, Torino 1997. 39 Cfr, Serge Noiret, “Public history” e “storia pubblica” nella rete, in Media e storia, cit., pp. 275-327. 37 356 Pe re scl us - F ivo or uso ex ne clu ll' siv am e u bit se o d wi ell thi a A n A bi SN lita pr zion oc ess e sc . U ien na tifi uth ca or naz ise io d c na op le. yin Og g o ni r d rip ist rod rib uz uti ion on e is o d str ist ict rib ly uz for ion bid e è de vi eta n “Conservare per sempre l’eccezionalità del presente”. Dispositivi, immaginari, memorie della fotografia nella Grande Guerra, 1914-18ta story”39, cioè in definitiva a creare un collegamento diretto fa i reperti memoriali e il pubblico dei fruitori, che spesso provvede ad una risemantizzazione dei documenti, saltando in un certo senso la mediazione della storia, intesa come operazione di selezione e rimodellazione del materiale documentario e delle fonti che mira, oltre che alla memoria del passato, alla sua comprensione critica. Se cerchiamo su Internet Europeana, il grande progetto di collezione digitale europea che ha una specifica parte dedicata alla Grande guerra, vediamo che il sito prevede una impostazione che può costituire senz’altro una risorsa per gli storici, ma è concepito soprattutto per un uso memoriale e per eventuali azioni di “public history”. L’accesso principale è infatti relativo alle “Storie famigliari sulla Prima Guerra Mondiale” (con possibilità di vedere le storie pubblicate e un bottone interattivo “aggiungi la tua storia”), mentre la parte più ampia della home page è dedicata ad una iniziativa tipicamente di “public history”40. È interessante osservare che la grande maggioranza delle storie presentate, anche al di là delle specifiche sezioni dedicate rispettivamente a “fotografie” e “cartoline”, sono in gran parte costituite per la parte documentaria da materiale fotografico. Su questi aspetti legati, più che al lavoro dello storico propriamente inteso, ad aspetti di costruzione di una memoria culturale (nonché al sempre incerto confine fra questi due ambiti) si dovrebbe però riflettere in maniera ben più approfondita di quello che non sia possibile in questo saggio. Quello che ci interessa però qui è di notare che questo tipo di operazioni memo- riali con uso della fotografia non sono tipiche dell’oggi e delle metodologie digitali, ma avevano avuto inizio si può dire al momento stesso dello scoppio della guerra. Può essere utile ricordarlo, ricostruendo un episodio finora assai poco noto, lateralmente accennato nei paragrafi precedenti, relativo al primo tentativo effettivo di raccolta/produzione sistematica di fotografie relative alla guerra, messo in atto dal Comitato Nazionale per la Storia del Risorgimento (CNSR). Nell’agosto del 1915, il Ministero della Pubblica Istruzione, attraverso il CNSR, promuoveva una “Raccolta di testimonianze e di documenti storici sull’attuale Guerra Italo-Austriaca” che al settimo dei 10 punti in cui si articolava prevedeva la raccolta di materiale documentario grafico, e in primo luogo dei “ritratti dei combattenti caduti e di segnalato valore”. Il programma veniva alla luce un paio di mesi dopo l’iniziativa sopra ricordata de “Il Progresso Fotografico” di promuovere una collaborazione dei fotografi, professionisti e dilettanti, e delle loro associazioni, allo sforzo di documentazione della guerra; e tendeva quindi a vanificare quella iniziativa, già respinta nel suo tentativo di interessarsi della zona di guerra, anche per quanto riguardava il fronte interno. Namias, il direttore del “Progresso Fotografico”, aveva cercato di resistere e ribadire la propria volontà di collaborazione, ma aveva dovuto amaramente concludere che il CNSR «è una emanazione del Governo, vuole che tutto quanto ha importanza per la storia della nostra guerra faccia capo ad esso, e non ammette iniziative estranee ad esso»; aveva dovuto quindi rassegnarsi di fronte a questo interlocutore 40 Al 22.12.2013, la home era ancora dedicata all’annuncio di un interessante “Collection day a Pordenonelegge” in collaborazione con l’«Associazione culturale WW1 - dentro la Grande Guerra». 357 Pe Luigi Tomassini re scl us - F ivo or uso ex ne clu ll' siv am e u bit se o d wi ell thi a A n A bi SN lita pr zion oc ess e sc . U ien na tifi uth ca or naz ise io d c na op le. yin Og g o ni r d rip ist rod rib uz uti ion on e is o d str ist ict rib ly uz for ion bid e è de vi eta n ta apparentemente così più potente e organizzato. In realtà, la raccolta di documentazione fotografica compiuta dal CNSR fu assai meno sistematica e completa di quanto non pretendesse il suo Presidente, Boselli, all’inizio della guerra, e per quanto riguarda la fotografia fu un quasi completo fallimento a quanto risulta dai documenti rimasti41 e dalle notizie disponibili. Questo insuccesso dipese in buona parte dal tipo di intervento che il CNSR aveva programmato, che è molto interessante però retrospettivamente dal nostro punto di vista. Il Comitato infatti pensò di provvedere emanando una circolare a tutti i sindaci dei comuni italiani in cui richiedeva ai comuni di appartenenza dei militari morti oltre ad alcuni dati biografici, una fotografia del caduto. Il comitato chiedeva ai sindaci di farsi tramite direttamente presso le famiglie, in termini nei quali questa commistione di pubblico e privato è evidente: Prego inoltre la S.V. di voler cortesemente adoperarsi affinché la rispettiva famiglia, per il tramite di Lei, faccia invio di un ritratto fotografico del suo congiunto. Qualora la famiglia possegga una sola copia di tale fotografia il Comitato Nazionale ne farà diligente restituzione, dopo aver provveduto a proprie spese alla riproduzione. Ma è superfluo aggiungere che si fa appello alla S.V. Ill.ma perché interponga i suoi buoni uffici affinché la fotografia venga possibilmente offerta in dono42. Questo episodio è poi caduto nel- l’oblio, ma ho avuto occasione di verificare in un caso specifico l’esito della richiesta del CNSR, in maniera piuttosto incidentale, mentre facevo alcune ricerche in un archivio di un comune toscano, a Castelfiorentino. Il Sindaco di Castelfiorentino, avendo ricevuto ovviamente la richiesta, vi aderì, e progettò anzi, per valorizzarla anche a livello locale, una esposizione permanente nei locali del Comune. Come si esprimeva una circolare indirizzata ai parenti dei caduti del comune, «perché rimanga per sempre memoria dei caduti sul campo dell’onore, sarò grato alla S.V. Ill.ma, se vorrà compiacersi di farmi avere una fotografia del suo caro Estinto, per riprodurla e farne oggetto di mostra ai propri conterranei, sia presenti che futuri, nella Sala maggiore del Municipio»43. L’iniziativa non ebbe successo, anzi suscitò le sentite proteste di alcune delle famiglie dei caduti, e fu quindi abbandonata. Tuttavia è a mio parere indicativa perché testimonia del fatto che durante la prima guerra mondiale si gioca una partita fra uso pubblico e privato della fotografia che stabilisce nuovi equilibri. La fotografia di guerra non ha solo un valore documentativo o anche estetico o evocativo; specie quando è fotografia dei caduti, e quando il corpo del caduto è disperso o comunque non raggiungibile dalla famiglia per le esequie, sulla fotografia del caduto si addensa una ritualità che in parte sostituisce quella delle normali onoranze funebri. La fotografia diviene parte importante dell’elaborazione del lutto, come già Maria Cristina Di Martino, I manifesti della grande guerra. Esposizione documentaria, iconografica e bibliografica del Fondo Guerra della Biblioteca Universitaria Alessandrina di Roma, “Accademie & Biblioteche d’Italia” nn. 1-4, gennaio-dicembre 2011, pp. 114-116. 42 Ministero della Pubblica Istruzione, Comitato Nazionale per la Storia del Risorgimento, circolare con oggetto Raccolta di documenti storici sull’attuale guerra; la copia da noi citata è spedita il 13 marzo 1917, e conservata in Archivio del Comune di Castelfiorentino, b. 204D. 43 Archivio del Comune di Castelfiorentino, b. 198 bis, f. Encomi e ricompense per atti di eroismo. 41 358 Pe re scl us - F ivo or uso ex ne clu ll' siv am e u bit se o d wi ell thi a A n A bi SN lita pr zion oc ess e sc . U ien na tifi uth ca or naz ise io d c na op le. yin Og g o ni r d rip ist rod rib uz uti ion on e is o d str ist ict rib ly uz for ion bid e è de vi eta n “Conservare per sempre l’eccezionalità del presente”. Dispositivi, immaginari, memorie della fotografia nella Grande Guerra, 1914-18ta aveva osservato Pierre Bourdieu, e assume quindi un valore “magico” (nel senso indicato da Roland Barthes, di emanazione diretta del reale e non di prodotto di una specifica “arte”). Anche questa dimensione eminentemente personale e privata della fotografia veniva però messa in discussione dalla guerra. Un tentativo molto simile a quello compiuto da Boselli e dal CNSR si ebbe infatti sulla stampa periodica. Fin dall’inizio della guerra infatti la “Domenica del Corriere” pubblicò una rubrica, variamente intitolata, ma comunque dedicata ai caduti in guerra, consistente in una o due pagine in cui erano ordinate le fototessere dei caduti. Spesso, almeno all’inizio, in abiti civili, prima quindi presumibilmente che le famiglie avessero ricevuto una loro foto in divisa militare, comparvero in ordine, sulle pagine del settimanale (come del resto di altri periodici: anche “La guerra italiana” e “L’Illustrazione Italiana” avevano una analoga rubrica), i caduti. In formato carte de visite o album, senza altra indicazione se non il nome, il grado e la località di provenienza; non evidentemente tutti, e a preferenza ufficiali o volontari: ma comunque con regolarità presenti sulle pagine del settimanale per quasi tutto il primo anno di guerra. In complesso, 1273 caduti apparvero in effigie sulle pagine del maggior settimanale illustrato italiano. Per dare un ragguaglio, il numero dei morti italiani durante le prime quattro battaglie offensive dell’Isonzo (cioè fino alla fine del 1915) raggiunse il numero di 62.000. Dal marzo 1916 però la rubrica si tra- sformò, nel senso che ospitava non più i caduti in guerra, sia pure selezionati secondo quanto abbiamo sopra detto, ma solo i decorati al valore, non necessariamente caduti, con un simbolo che si riferiva al tipo di onorificenza ottenuta. Si può ritenere, anche se non ne abbiamo prova diretta, che su questa scelta, per così dire comunicativamente meno ingenua, avessero influito le obiezioni di Ojetti, il quale aveva già da tempo osservato che «continua da mesi sui nostri periodici illustrati la deprimente pubblicazione a pagine intere e a doppie pagine dei ritratti dei caduti in guerra […] e solo di rado si è pubblicato il ritratto di uno degli ufficiali o dei militari di truppa che hanno avuto l’onore di una ricompensa al valore»44. Tuttavia, anche questa rubrica ebbe fine dopo circa un anno: l’ultima volta in cui venne pubblicata fu nel maggio del 1917. Anche in questo caso le ragioni immediate possono essere intuibili, in un momento in cui era in atto la decima battaglia dell’Isonzo, e in cui si profilavano momenti difficili e decisivi sul fronte di combattimento come sul fronte interno45. Ma si può anche leggere, a distanza, questa cessazione, come l’abbandono ormai di ogni dimensione privata, individuale, nel ruolo della fotografia di guerra ospitata sui periodici e destinata quindi ad uno sguardo “pubblico”. Questa tensione fra sguardo pubblico e dimensione privata risulta più evidente se si prova ad effettuare un confronto con le illustrazioni fotografiche dei giornali della seconda guerra mondiale. Mentre, come è stato già notato, le immagini pubblicate dei combattenti della Cit. in Raffaella Biscioni, I danni al patrimonio culturale durante la prima guerra mondiale, cit., p. 237. In complesso, sulla “Domenica del Corriere” vennero pubblicate 2.444 immagini di decorati in questa rubrica nel periodo sopra ricordato. 44 45 35 Pe Luigi Tomassini re scl us - F ivo or uso ex ne clu ll' siv am e u bit se o d wi ell thi a A n A bi SN lita pr zion oc ess e sc . U ien na tifi uth ca or naz ise io d c na op le. yin Og g o ni r d rip ist rod rib uz uti ion on e is o d str ist ict rib ly uz for ion bid e è de vi eta n ta Grande Guerra, a parte quelle appena citate dei caduti, sono di solito immagini che non ritraggono individui, ma gruppi, che cioè vedono il combattente come soggetto anonimo, collettivo, talora addirittura ripreso di spalle, o dall’alto, o comunque quasi come componente fra le altre del paesaggio o della macchina bellica, sostanzialmente passivo46, scorrendo giornali illustrati come “Tempo” o “Signal”, o “Stars and Stripes”, o altri settimanali della Seconda guerra, ci troviamo di fronte spesso a primi piani di combattenti, visti in azione, individualmente o in piccoli gruppi, con una capacità di rappresentazione psicologica e di concentrazione dello sguardo sul singolo combattente del tutto assente nelle foto della Grande Guerra. Nel contempo, però, queste foto della seconda guerra mondiale hanno un valore assolutamente esemplare, sono cioè assolutamente anonime, rappresentano in forma individuale una situazione, un tipo, un genere collettivo. Così è per il pilota che scruta il cielo prima del combattimento, per la sentinella che vigila attenta sull’orizzonte, per i puntatori della contraerea, e via dicendo. Si tratta insomma di tipi esemplari, che pur colti in un una istantanea (naturalmente costruita, ma non è questo il punto), esprimono una situazione generale, possono rappresentare un tipo universale, e per questo sono irreparabilmente anonimi: se avessero un nome guasterebbe probabilmente l’effetto. Le foto dei caduti, anche se eroi, se decorati, della Grande Guerra, con il loro volto fissato nella riproduzione formato tessera, a volte senza neppure la divisa, con la scarna ed essenziale nota del nome e del luogo di nascita, e di quello di morte, rimandano invece ad una dimensione irrimediabilmente, al confronto, individuale e privata. Resistono, inconsapevolmente, ad ogni tentativo di trasformare il dramma estremo che li ha portati a comparire in effigie proprio lì, ad ogni sforzo di tradurlo in “immagini poetiche degli scrittori dell’entroterra” o, se vogliamo, degli scrittori di cent’anni dopo. 46 Secondo quanto scriveva Giulio Bollati, le fotografie della Grande Guerra erano in genere “noiose”, “solitarie”, “monotone”, “come se non dovessero essere viste da nessuno, nemmeno da chi ha premuto il pulsante della Kodak portatile” (Note su fotografia e storia, in Storia d’Italia, Annali 2, L’immagine fotografica 1845-1945, t. I, Torino, Einaudi, 1979, p. 51). Lo stesso giudizio, con parole assai simili, in Jorge Lewinski, The Camera at War. A history of war photography from 1848 to the present day, Simon and Schuster, New York 1978, pp. 69-70. 360 Una pagina di un album realizzato dal Reparto fotocinematografico dell’Esercito, Museo Centrale del Risorgimento, Roma, MCRR A 5, p. 3. Fotografo: tenente Lomaglio Panorama dalla Valle di Visdende alla Valle del Fleous dalla q.ta 2400 presso la Forcella di Houbot. 14 agosto 1915, Museo Centrale del Risorgimento, Roma, MCRR Album E 2, 18 Pe re scl us - F ivo or uso ex ne clu ll' siv am e u bit se o d wi ell thi a A n A bi SN lita pr zion oc ess e sc . U ien na tifi uth ca or naz ise io d c na op le. yin Og g o ni r d rip ist rod rib uz uti ion on e is o d str ist ict rib ly uz for ion bid e è de vi eta n “Conservare per sempre l’eccezionalità del presente”. Dispositivi, immaginari, memorie della fotografia nella Grande Guerra, 1914-18ta 36 Pe Luigi Tomassini re scl us - F ivo or uso ex ne clu ll' siv am e u bit se o d wi ell thi a A n A bi SN lita pr zion oc ess e sc . U ien na tifi uth ca or naz ise io d c na op le. yin Og g o ni r d rip ist rod rib uz uti ion on e is o d str ist ict rib ly uz for ion bid e è de vi eta n ta Sul Podgora dopo la battaglia dell’8 e 9 agosto 1916. Il groviglio dei reticolati distrutti, Museo Centrale del Risorgimento, Roma, MCRR L 2 52 Una pattuglia di fanteria, Museo Centrale del Risorgimento, Roma, MCRR Album B 1 081 362 Vedetta di un battaglione di Marina, Museo Centrale del Risorgimento, Roma, MCRR A 5 248 La Cavalleria passa il Monticano, Museo Centrale del Risorgimento, Roma, MCRR A 5 398 18 Pe re scl us - F ivo or uso ex ne clu ll' siv am e u bit se o d wi ell thi a A n A bi SN lita pr zion oc ess e sc . U ien na tifi uth ca or naz ise io d c na op le. yin Og g o ni r d rip ist rod rib uz uti ion on e is o d str ist ict rib ly uz for ion bid e è de vi eta n “Conservare per sempre l’eccezionalità del presente”. Dispositivi, immaginari, memorie della fotografia nella Grande Guerra, 1914-ta Argine del Piave a Salettuolo, Museo Centrale del Risorgimento, Roma, MCRR A 5 354 (Si noti la squadra fotografica in azione sulla destra) Arditi della Sassari a Santa Lucia, Museo Centrale del Risorgimento, Roma, MCRR A 5 351 Soldati austriaci morti in una trincea, Museo Centrale del Risorgimento, Roma, MCRR NEG NE 11 0086 A2 I morti per la Patria, “La guerra Italiana”, n. 10, 2° serie, 1916, p. 149 363 Pe Luigi Tomassini re scl us - F ivo or uso ex ne clu ll' siv am e u bit se o d wi ell thi a A n A bi SN lita pr zion oc ess e sc . U ien na tifi uth ca or naz ise io d c na op le. yin Og g o ni r d rip ist rod rib uz uti ion on e is o d str ist ict rib ly uz for ion bid e è de vi eta n ta L’aviatore Tenente Enrico Cottino, morto il 16 maggio 1917. Album Ulderico David con 80 foto, Ravenna, Biblioteca Classense Produzione di guerra nel reparto fonderia dello stabilimento torinese della Società Anonima Italiana per la Fabbricazione dei Proiettili. Fotografo: Gian Carlo Dall’Armi. Archivio Storico della Città di Torino, fondo G.C. Dall’Armi. “L’immagine è ripresa durante la spillatura di prova del metallo fuso” (B. Bergaglio, Gian Carlo Dall’Armi. Una storia torinese, in http://www.sisf.eu/category/focus/ ) 364 Il Re Vittorio Emanuela e il Generale Joffre, “Illustrazione Italiana” 19-09-1915 18 Pe re scl us - F ivo or uso ex ne clu ll' siv am e u bit se o d wi ell thi a A n A bi SN lita pr zion oc ess e sc . U ien na tifi uth ca or naz ise io d c na op le. yin Og g o ni r d rip ist rod rib uz uti ion on e is o d str ist ict rib ly uz for ion bid e è de vi eta n “Conservare per sempre l’eccezionalità del presente”. Dispositivi, immaginari, memorie della fotografia nella Grande Guerra, 1914-ta Un gruppo di giovani donne italiane impiegate dall'esercito inglese mentre scaricano munizioni di artiglieria in una stazione ferroviaria del nord Italia durante il 1918 La contessa Niobe Bevilacqua Lazise di Nogarole che fu una vera madre per i bimbi dei richiamati, durante la loro permanenza a Viserba. La contessa curava anche i piccoli bimbi dalle leggere congiuntiviti. Album Ulderico David con 18 foto, Ravenna, Biblioteca Classense Torino. Donne al lavoro presso lo stabilimento della Società Anonima Italiana per la Fabbricazione dei Proiettili. Fotografo: Gian Carlo Dall’Armi. Archivio Storico della Città di Torino, fondo G.C. Dall’Armi. “Le operaie indossano tute e cuffie da lavoro, obbligatorie nei reparti con macchine utensili mosse da cinghie e pulegge al fine di impedire infortuni dovuti al trascinamento di abiti e capelli da parte delle cinghie stesse. Per tale motivo era vietato anche l’uso delle gonne” (B. Bergaglio, Gian Carlo Dall’Armi. Una storia torinese, in http://www.sisf.eu/category/focus/) Regina Noè Ferrari con il figlio Giuseppe e la sua capra si fanno ritrarre da un fotografo per spedire la fotografia al marito e padre al fronte, Alagna Lomellina, 1915 365 Pe Luigi Tomassini re scl us - F ivo or uso ex ne clu ll' siv am e u bit se o d wi ell thi a A n A bi SN lita pr zion oc ess e sc . U ien na tifi uth ca or naz ise io d c na op le. yin Og g o ni r d rip ist rod rib uz uti ion on e is o d str ist ict rib ly uz for ion bid e è de vi eta n ta La facciata della Basilica di San Marco protetta da difese antiaeree, Istituto Centrale per il Catalogo e la Documentazione, G.F.N. archivio fotografico, Fondo Ministero Pubblica Istruzione (MPI) N. inv. 147597 366 Basilica di S. Apollinare Nuovo, esterno – Danni riportati durante il bombardamento austriaco del 12 febbraio 1916, Istituto Centrale per il Catalogo e la Documentazione, G.F.N. archivio fotografico, Fondo Ministero Pubblica Istruzione (MPI) N. inv. 303885 18 Pe re scl us - F ivo or uso ex ne clu ll' siv am e u bit se o d wi ell thi a A n A bi SN lita pr zion oc ess e sc . U ien na tifi uth ca or naz ise io d c na op le. yin Og g o ni r d rip ist rod rib uz uti ion on e is o d str ist ict rib ly uz for ion bid e è de vi eta n “Conservare per sempre l’eccezionalità del presente”. Dispositivi, immaginari, memorie della fotografia nella Grande Guerra, 1914-ta Venezia. Deposizione della Statua equestre di Bartolomeo Colleoni, per proteggerla dai bombardamenti, Istituto Centrale per il Catalogo e la Documentazione, G.F.N. archivio fotografico, Fondo Ministero Pubblica Istruzione (MPI) N. inv. 305346 Venezia. Statua equestre di Bartolomeo Colleoni, Istituto Centrale per il Catalogo e la Documentazione, G.F.N. archivio fotografico, Fondo Ministero Pubblica Istruzione (MPI) N. inv. 305265 367 368 Pola durante il bombardamento del 17 luglio 1918, Museo Centrale del Risorgimento, Roma, MCRR E 4 13 Impianto cinematografico inglese autocarreggiato, Museo Centrale del Risorgimento, Roma, MCRR Fp 7 52 Pe Luigi Tomassini re scl us - F ivo or uso ex ne clu ll' siv am e u bit se o d wi ell thi a A n A bi SN lita pr zion oc ess e sc . U ien na tifi uth ca or naz ise io d c na op le. yin Og g o ni r d rip ist rod rib uz uti ion on e is o d str ist ict rib ly uz for ion bid e è de vi eta n ta