TRASFORMAZIONI NEI NUCLEI
Cecilia Rostagni*
Titolo inglese
Moretti a Milano
«Quando caddero le impalcature che ricoprivano
l’ultimo dei tre ediici sorti tra via Rugabella e corso
Italia, fu per i milanesi un autentico “choc architettonico” e la nuova stranissima, ma logica, costruzione
ebbe presto il suo nome di battesimo: “palazzo volante”». Così viene soprannominato il secondo intervento realizzato da Luigi Moretti a Milano tra il 1949 e il
1956, per il carattere «avveniristico» del corpo di trenta metri proteso a sbalzo sulla strada1. L’ediicio viene
immediatamente riconosciuto dall’opinione pubblica cittadina come uno «spettacolo» eccezionale per
la sua forza costruttiva e l’ardita forma plastica: pur
essendo una costruzione rigorosamente funzionale,
capace di soddisfare le più diverse destinazioni d’uso,
il complesso di corso Italia si distingue, infatti, dall’architettura milanese del periodo per le originali soluzioni formali adottate. Già le precedenti case-albergo,
peraltro, realizzate da Moretti tra il 1947 e il 1953 in
via Corridoni, via Bassini e via Lazzaretto, nonostante
la loro estrema nudità espressiva, avevano esibito un
linguaggio diverso da quello di ispirazione razionalista diffuso in quegli anni a Milano, e volto piuttosto a
raggiungere con «mezzi minimi le trasigurazioni più
acute e emotive».
Nonostante la loro originalità, gli ediici costruiti da
Moretti a Milano non risultano estranei soltanto in
termini linguistici al clima che si respira negli ambienti professionali della città. Realizzati per rispondere alle nuove richieste del mercato, nel campo della residenza e dei complessi urbani ad elevato valore
commerciale, essi si presentano come eccezionali nel
panorama architettonico milanese della ricostruzione anche per l’entità del programma edilizio e la novità delle soluzioni tipologiche e costruttive proposte.
Gli «anni milanesi», come si possono deinire quelli
a cavallo degli anni cinquanta quando l’architetto
«romano», dopo il «nulla signiicativo di sei anni di
vita» e di «segreto travaglio», risiede e lavora prevalentemente nel capoluogo lombardo2, costituiscono
perciò un momento particolarmente signiicativo per
la sua produzione. Sebbene già nelle opere e negli
studi condotti prima della guerra si fosse mantenuto
distante dai principali temi del dibattito contemporaneo, in questi anni Moretti, architetto, impresario,
editore e gallerista al tempo stesso3, inizia a cimentarsi in un dificile equilibrio tra professione e ricerca,
tra «logica» e «lirica», secondo un percorso deinito
da Agnoldomenico Pica, «pericoloso e senza difese»
di «una personalità che non ida se non in sé medesi-
ma»4. Oltre a riuscire a «reinventarsi» dopo la caduta
del regime grazie a un linguaggio decisamente più
moderno di quello che andavano forgiando gli architetti della parte vincitrice, Moretti si confronta, infatti, con ambizione e ingegno5 con le richieste di un mercato e di una committenza sino ad ora non conosciuti
e conduce la sua attività con una spregiudicatezza e
un’indipendenza tali da segnarne il deinitivo isolamento dalla cultura architettonica italiana.
Da sempre persuaso che il ruolo dell’architetto sia,
oltre a quello dell’intellettuale impegnato a comunicare agli uomini la propria visione del mondo, quello
di intervenire direttamente nel corso della storia, Moretti, che si ritrova a Milano privo di una committenza
idata e della propria rodata struttura professionale6,
si associa nel 1946 con il conte Adolfo Fossataro, un
industriale conosciuto poco tempo prima nel carcere
di San Vittore7, per dar vita a Coimprese (Compagnia Finanziaria per le Imprese di Costruzione e di
Ricostruzione), società per azioni rivolta al inanziamento e all’assunzione di lavori di costruzione e ricostruzione8. Considerata generalmente una società a
carattere puramente speculativo, Coimprese svolge
un ruolo non marginale nel dopoguerra milanese,
laddove la cultura architettonica deve scontrarsi con
le innumerevoli dificoltà cui va incontro la committenza pubblica. Moretti, al contrario, senza cercare
alcun tipo di «puriicazione» né pensare di dover conoscere una «catarsi», mantenendosi ai margini dei
dibattiti e delle discussioni e piuttosto convinto che la
ricostruzione debba essere affrontata sul piano della
realtà economica e sociale, si confronta con Coimprese con le leggi del mercato e le esigenze abitative
della città che si appresta a rinascere.
Nonostante la struttura di Coimprese non sia del
tutto nota, né sia possibile sapere chi ne faceva parte, essa deve essere assai articolata, data l’ampiezza e
la varietà degli obiettivi che la società si propone e la
quantità di richieste di lavoro che le pervengono nel
corso degli anni. A Fossataro e Moretti, amministratori delegati, competono rispettivamente la gestione
dei rapporti con le banche, gli istituti inanziari e di
credito e con gli eventuali inanziatori e le trattative,
e i rapporti con i tecnici, le imprese e gli stabilimenti,
oltre che gli aspetti progettuali delle singole operazioni. La società per il resto è articolata in tre gruppi
principali: professionisti specializzati in questioni inanziarie, amministrative e legali; ingegneri e architetti progettisti con esperienza dei problemi tecnici,
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sociali ed urbanistici; gestione delle imprese edilizie,
di trasporti, di fabbricazione ed approvvigionamento
di tutti i materiali, impianti, arredamenti e forniture
necessarie9. Coimprese si presenta quindi come un
organismo dalle capacità e dai criteri organizzativi
del tutto nuovi, distinguendosi dalla maggior parte
delle imprese private attive nel panorama milanese,
rivolte prevalentemente alla vendita di «affari immobiliari».
Come affrontare i problemi della ricostruzione e
come gestirli, in particolare a Milano, è oggetto
di discussioni e accesi confronti dopo la ine della
guerra10, che coinvolgono, sin dal primo Convegno
nazionale per la ricostruzione edilizia che si tiene al
Castello Sforzesco nel dicembre del 1945, architetti,
uomini politici e imprenditori11. Mentre gli architetti sostengono la necessità di un intervento pubblico
pianiicato sull’intero territorio cittadino, il mondo
imprenditoriale intravede nella ricostruzione appetibili occasioni speculative. Tra i due, l’Amministrazione comunale milanese, retta ino al 1949 da una
giunta di sinistra12, è consapevole di dover affrontare
il problema facendo appello sia alle forze pubbliche
sia a quelle private, come suggeriscono le parole pronunciate dal vice-sindaco Piero Montagnani nel 1946:
«nell’attuale situazione di disastro nazionale, noi pensiamo che anche la proprietà privata capitalistica abbia un largo compito da svolgere nella ricostruzione
del nostro Paese», pur tenendo conto «della necessità
di armonizzare gli interessi privati a quelli pubblici»13.
È in questo contesto che Coimprese, grazie ai inanziamenti raccolti dalle banche e alla sua articolata
struttura, riesce a guadagnarsi la iducia dell’Amministrazione per la costruzione delle case-albergo,
fornendo ad essa oltre alla propria organizzazione
tecnica, i mezzi per la costruzione degli ediici e un
apposito piano inanziario. Le case-albergo costruite
sono soltanto tre, anche se il primo progetto, presentato da Moretti nel 1946, prevedeva l’ediicazione di
ventidue ediici collettivi, disposti ad anello intorno
alla città, per un totale di circa 2700 appartamenti e
3000 unità letto14.
Nonostante la scala dell’intervento e la rigidezza
dell’impianto costruttivo e distributivo, le case-albergo, concepite come «un piccolo centro urbano
concentrato in un solo ediicio a sviluppo verticale»15,
mostrano come Moretti non rinunci alla propria ricerca sulla forma e come proprio a partire dai suoi
instancabili studi sull’architettura antica, e in particolare michelangiolesca e barocca16, egli riesca a fornire
un’originale interpretazione della casa alta. Negli ediici di via Corridoni, ad esempio, il volume del corpo
maggiore, potenzialmente pesante per la ripetizione
dell’elemento inestra, viene scomposto in due corpi
separati da una fenditura centrale, in corrispondenza del giunto di dilatazione dei pilastri, e in ulteriori
due lame dal grande «taglio» dei corridoi. Questa
soluzione, elegante e sincretica, è derivata, al di là di
ogni altra possibile analogia, dalle igure caravaggesche, come spiega lo stesso Moretti su «Spazio», in cui
la limitazione delle superici ha la funzione di intensiicare gli effetti17. Il verticalismo della struttura è sottolineato, inoltre, in facciata dal ribassamento centrale delle inestrature in corrispondenza dei vani-scala,
mentre l’orizzontalità del volume basso dei servizi si
accosta per contrasto ai corpi alti, creando un’articolata composizione volumetrica. Moretti dedica poi
particolare attenzione al trattamento delle superici: i
corpi principali delle case-albergo sono rivestiti di tesserine di mosaico vetroso bianco e i basamenti sono
sempre caratterizzati dall’uso di materiali diversi.
Nella casa di via Lazzaretto, in particolare, l’introduzione di lastre di pietra sbozzate lascia intravedere la
struttura a telaio, evidenziando la propria funzione
non strutturale - un espediente utilizzato anche nella
palazzina romana dell’«Astrea» (1947-51). Analogamente nella casa di via Bassini la parete rastremata
nel punto d’attacco con l’ediicio preesistente vuole
mostrare la propria funzione di lastra sovrapposta e
didascalia
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svincolata dal volume di appartenenza, così come nella facciata del corpo alto della casa su via Corridoni
la supericie è «scollata» in corrispondenza dei corpiscala.
Come le case-albergo si propongono di rispondere
alle mutate condizioni della società contemporanea
nel campo dell’abitazione, così il complesso polifunzionale di corso Italia, anch’esso realizzato con il
supporto inanziario e organizzativo di Coimprese,
intende offrire una concreta soluzione alle nuove richieste del mercato immobiliare, sfruttando le possibilità offerte dalla tecnologia e dalle tecniche costruttive moderne. La costruzione, infatti, realizzata con
una struttura in cemento armato intelaiato, si basa
sull’utilizzo di solai a piastra senza travi a vista, con
impianti incorporati e interassi modulari tra i pilastri,
in modo da permettere una suddivisione dei locali interni più varia possibile18.
Pur essendo concepito come un esempio di realismo
professionale, il complesso rappresenta uno dei capolavori di Moretti, nel quale il rapporto tra il rigore
dell’impianto planimetrico e costruttivo e l’espressività della forma raggiunge il suo livello più alto. Nonostante i vincoli imposti dalla necessità di garantire un
adeguato rendimento economico e dalla rigida maglia strutturale, l’architetto mostra infatti l’intenzione di volersi confrontare con l’edilizia circostante in
modo assolutamente non convenzionale, rompendo
le regole di conformazione della consueta orditura
urbana e creando nuovi percorsi. Da questi presupposti nasce la particolare soluzione studiata per le facciate, diverse una dall’altra, tanto nella griglia delle
inestre quanto nei materiali di rivestimento -mosaico vetroso a tesserine bianche per il blocco su corso
Italia e lastre di calcare compatto per lo stabile retrostante - e alternativamente aperte o chiuse quasi integralmente al soleggiamento, secondo diversi gradi di
«proiettività con l’intelaiatura compositiva dell’ediicio e con la sua stereometria». Così il ianco sud di
uno degli ediici alti interni si «squarcia» ai raggi solari, creando un’asimmetrica satinatura elicoidale nello
spigolo alto, attraverso l’arretramento progressivo dei
terrazzi, e dando alla facciata un effetto dinamico,
quasi di un ventaglio che si apre nello spazio, mentre
il grande taglio verticale, scuro e profondo rompe
la ricorrenza delle ripetute linee orizzontali, generando per contrasto vibranti effetti luministici ed
accentuati toni cromatici. La supericie dell’ediicio
perpendicolare al corso è completamente rivestita in
cristallo, semplicemente alternato tra parti traslucide
e parti trasparenti, mentre il corpo a cuneo, che come
le «igure di taglio» caravaggesche avanza «oltre il
campo visuale appropriato»19, presenta due facciate
completamente diverse una dall’altra: la parete verso la strada interna è segnata da una serie continua
di aperture che dividono orizzontalmente ciascun
piano, mentre il fronte nord è quasi completamente
chiuso e solo sottili fenditure poste all’altezza di due
metri dal pavimento impediscono la vista degli interni ove sono collocati i servizi. E se è questa una scelta
che Moretti ripete e adotta anche in altre occasioni,
tali astratte bucature, che si dilatano lungo il fronte
in corrispondenza del progressivo ampliamento degli
spazi retrostanti, rivestono in questo caso anche una
funzione decorativa, quella stessa che, come scrive nel
famoso saggio dedicato ai Valori della modanatura, le
cornici - «gli elementi ove la realtà, la concretezza, di
una architettura sembra rivelarsi nella sua massima
forza» - rivestono nelle architetture antiche20.
Articolazione dei volumi, continuità plastica, chiusura, traforatura o apertura completa delle facciate creano all’interno di questa «gran macchina», come la
deinisce Pier Carlo Santini, un «itinerario avventuroso in cui si dimentica e si smarrisce presto la possibilità di una qualsiasi visione unitaria complessiva»21. Ciò
che appare con più evidenza nel complesso milanese
è, infatti, la volontà, dichiarata dallo stesso Moretti,
di instaurare una visione temporale o «successiva»,
come quella richiesta dalle grandi architetture michelangiolesche e barocche e anticipata dalle grandi
composizioni spaziali romane, da lui descritte nel saggio dedicato alle Strutture e sequenze di spazi 22. Questa
volontà si traduce in un’opera «che non è soltanto
funzione dello spazio ma anche del tempo e non può
essere compresa se non per visioni successive, come
un singolare dramma di pesi e di sostegni, di forze
e di forme, di piani e di linee, che via via si sviluppi
sino ad un epilogo culminato»23. Per comprendere
la realtà volumetrica dei diversi corpi di fabbrica che
compongono il complesso di corso Italia è necessario,
infatti, girarvi attorno scoprendo, dalle varie vie, la
molteplicità dinamica delle quinte delimitanti gli spazi, come in uno spettacolo compiuto che si divide in
prologo, atti e inale24.
Le opere realizzate da Moretti a Milano costituiscono
dunque una testimonianza pregnante delle sue doti
non comuni e della sua capacità di tradurre la volontà
di rappresentazione in un nuovo linguaggio architettonico senza venir meno alle richieste del presente e
alle logiche del mercato. E proprio da questa attitudine di Moretti a tenere insieme interessi teorici, qualità artistiche e ambizioni professionali, deriva la sconcertante modernità degli ediici milanesi, che non
teme confronti con molte architetture anche recenti.
* nota biograica
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Note
1. Cfr. per esempio i titoli apparsi all’epoca in alcuni quotidiani locali: O.G., Palazzo volante librasi in corso Italia, in
«Corriere Lombardo», 2-3 dicembre 1955; A. Missaglia,
Milano duemila: tra grattacieli la casa volante, in «Momento
Sera», 29 febbraio 1956; G. Neri, Il «palazzo volante» preoccupa i meneghini, in «Il Giornale», 4 marzo 1956. Sull’attività di Moretti a Milano negli anni dopo la guerra cfr.
F. Irace, Milano moderna. Architettura e città negli anni della
ricostruzione, Motta, Milano 1996; F. Bucci, M. Mulazzani, Luigi Moretti. Opere e scritti, Electa, Milano 2000; C.
Rostagni, Luigi Moretti 1907-1973, Electa, Milano 2008;
B. Reichlin, L. Tedeschi (a cura di), Luigi Moretti. Razionalismo e trasgressività tra barocco e informale, Electa Maxxi,
Milano 2010.
2. Così Moretti deinisce gli anni della guerra e della
successiva detenzione nel carcere di San Vittore in
G. Ungaretti, 50 immagini di architetture di Luigi Moretti,
De Luca, Roma 1968. Tra il 1945 e il 1954 Moretti, pur
mantenendo stretti contatti con Roma, vive e lavora prevalentemente a Milano, dove si era trasferito già durante
la Repubblica di Salò.
3. Nel luglio del 1950 Moretti fonda a Milano la rivista
«Spazio», che esce ino al 1953, in soli sette numeri,
mentre alla ine del 1952 allestisce nella sede romana
della rivista, in via Cadore, la galleria «Spazio».
4. Cfr. A. Pica, Luigi Moretti architetto, 1957, dattiloscritto, in
Archivio Centrale dello Stato (d’ora in poi acs), fondo
L. Moretti, b. 1.
5. Cfr. B. Zevi, Ambizione contro ingegno. Luigi Moretti doubleface, in «L’Espresso», 17 febbraio 1957, ora in Cronache di
architettura, n. 982, Laterza, Bari 1978.
6. Nel 1933 Moretti viene nominato direttore dell’uficio
tecnico dell’Opera nazionale balilla, e ino allo scoppio
della guerra la sua attività è quasi intermente rivolta
alla costruzione di ediici per l’educazione dei giovani
fascisti.
7. Adolfo Fossataro, nato a New York nel 1905, amministratore delegato della Higher Life Standard National Company, lavora negli anni successivi anche come produttore
cinematograico.
8. Documentazione riguardante la società Coimprese è
conservata in Archivio Moretti Magniico (d’ora in poi
amm) a Roma e in Uficio Provinciale Industria e Commercio di Milano, Registro delle Ditte.
9. Così viene descritta in un pro-memoria, s.d., in amm. Non
si hanno notizie più precise su questi vari gruppi, anche
se in molti casi la società si avvale di imprese esterne,
a cui richiede di prestare la propria organizzazione e
l’attrezzatura necessaria per l’esecuzione dei lavori.
10. Cfr. P. Meldini, Il dibattito sulla ricostruzione, in O.
Calabrese (a cura di), Italia moderna. Immagini e storia di
un’identità nazionale, vol. III: Guerra, dopoguerra, ricostruzione, decollo, Electa, Milano 1983, pp. 123-140. Cfr. anche
aa. vv., Milano ricostruisce 1945-54, Cariplo, Milano 1990.
11. Cfr. F. Brunetti, L’architettura in Italia negli anni della
ricostruzione, Alinea, Firenze 1986.
12. La Giunta comunale, insediata con le elezioni amministrative del 7 aprile 1946, è composta da Psi-Pci-Dc:
sindaco è Antonio Greppi, socialista come la maggior
parte dell’amministrazione.
13. Cfr. P. Montagnani, Un alloggio per ogni famiglia, discorso
tenuto al Teatro Olimpia di Milano l’8 settembre 1946,
in Un alloggio per ogni famiglia, numero speciale del bollettino «Mostra Permanente della Costruzione», a cura
della Organizzazione Cantieri, Milano 1946, pp. 6-20.
14. Cfr. L. Moretti, Le case albergo. Questa iniziativa del Comune risolve un grave problema cittadino, ivi, pp. 32-38.
15. Cfr. L. Moretti, La «Casa albergo» di via Corridoni in Milano, dattiloscritto, in acs, fondo L. Moretti, b. 8.
16. Le prime analisi dedicate al rapporto tra forma e struttura nell’architettura di Michelangelo e dei barocchi
risalgono agli anni universitari. Cfr. C. Rostagni, Moretti,
Michelangelo e il barocco, in «Casabella», n. 745, giugno
2006, pp. 81-85.
17. Cfr. L. Moretti, Discontinuità dello spazio in Caravaggio, in
«Spazio», n. 5, luglio-agosto 1951, pp. 1-8, 91 (ripubblicato
in F. Bucci, M. Mulazzani, Luigi Moretti…, cit, pp. 170-173)
in cui viene pubblicata un’immagine della testata delle
case-albergo di via Corridoni. Cfr. anche M. Mulazzani,
Le forme nello spazio di Luigi Moretti, in ivi, pp. 7-31.
18. Solo così, scrive Moretti nel presentare l’ediicio su «Spazio», esso è in grado di assicurare «un rendimento economico eccellente». Cfr. L. Moretti (irmato S.), Ricerche
di architettura. Sulla lessibilità di funzione di un complesso
immobiliare, in «Spazio», n. 6, dicembre 1951-aprile 1952,
pp. 43-44.
19. Cfr. L. Moretti, Discontinuità dello spazio in Caravaggio, cit.
20. Cfr. L. Moretti, Valori della modanatura, in «Spazio», n. 6,
dicembre 1951-aprile 1952, pp. 5-12, 112 (ripubblicato in
F. Bucci, M. Mulazzani, Luigi Moretti…, cit., pp. 173-175).
21. Cfr. P. C. Santini, Proili di architetti. Luigi Moretti, in
«Comunità», n. 52, agosto-settembre 1957.
22. Cfr. L. Moretti, Strutture e sequenze di spazi, in «Spazio», n.
7, dicembre 1952-aprile 1953, pp. 9-20, 107-108 (ripubblicato in F. Bucci, M. Mulazzani, Luigi Moretti…, cit., pp.
177-182).
23. Cfr. L. Moretti, relazione sul complesso di corso Italia,
in acs, fondo L. Moretti, b. 8.
24. Una serie di schizzi prospettici numerati (conservati
in amm) mostra chiaramente il percorso studiato da
Moretti che conduce lo spettatore attraverso successive
costrizioni ed espansioni dello spazio.
Gli ediici costruiti nel dopoguerra da Luigi Moretti a Milano (le
case albergo di via Corridoni, via Bassini, via Lazzaretto e il complesso per residenze e ufici di corso Italia) costituiscono un momento
particolarmente signiicativo nella sua produzione non solo in termini propriamente architettonici ma anche teorici e professionali.
Ciò che distingue questi ediici da altri progetti è il fatto che per essi
Moretti non è solo architetto ma anche impresario, in quanto animatore, insieme ad Adolfo Fossataro, di Coimprese, la Compagnia
Finanziaria di Costruzioni e Ricostruzioni, fondata nel 1946 per
intervenire concretamente nella realtà della ricostruzione.
Realizzati per rispondere alle nuove richieste del mercato edilizio,
nel campo della residenza e dei complessi urbani ad elevato valore
commerciale, gli ediici milanesi sono anche estremamente accurati
dal punto di vista delle soluzioni formali e si distinguono dalla
contemporanea edilizia del capoluogo lombardo per le particolari
soluzioni formali adottate: il trattamento delle superici, l’uso dei
materiali, la composizione dei volumi, la concezione dello spazio, il
disegno delle facciate, il rapporto con il contesto urbano non hanno infatti paragoni nell’architettura di quel periodo, impegnata
piuttosto nel recupero del linguaggio razionalista.
Gli “anni milanesi” costituiscono dunque un momento particolarmente signiicativo per la produzione di Moretti. Sebbene già nelle
opere e negli studi condotti prima della guerra si fosse mantenuto
distante dai principali temi del dibattito contemporaneo, in questi
anni l’architetto inizia a cimentarsi in un dificile equilibrio tra
professione e ricerca. Oltre a riuscire a reinventarsi dopo la caduta del regime grazie a un linguaggio decisamente più moderno
di quello che andavano forgiando gli architetti della parte vincitrice, Moretti si confronta, infatti, con le richieste di un mercato e di
una committenza sino ad ora non conosciuti e conduce la sua attività con una spregiudicatezza e unindipendenza tali da segnarne il deinitivo isolamento dalla cultura architettonica italiana.
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