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Cultura liutistica in Slovacchia tra XVI e XVII secolo: i testi didattici di Michal Hottmar. p. 11.

Il Liuto Rivista della Società del Liuto Numero 13, novembre 2016 In copertina: Il Maestro Gian Luca Lastraioli e la European Lute Orchestra in scena ad Hogwarts la notte di Halloween e … un enorme grazie alla nostra ‘magica fotografa’ Francesca Latini! Il Liuto Indice Rivista della Società del Liuto Numero 13, dicembre 2016 ISSN 2280-9392 Note di segreteria p. ii Assemblea dei soci 2017 e rinnovo del Consiglio Direttivo p. iii Il concerto della European Lute Orchestra nella Great Hall del Castello di Durham di Silvia Amato p. 1 Società del Liuto Sede legale: via A. Aleardi, 64 30172 Venezia Mestre (VE) Presidente: Alessandro Grilli Vicepresidente: Gian Luca Lastraioli Segretario e Tesoriere: Matteo Simone Consiglieri: Franco Fois, Leonardo Pallotta ❦ Responsabile delle pubblicazioni Gian Luca Lastraioli Comitato di redazione Rita Comanducci Franco Fois Alessandro Grilli ❦ www.societadelliuto.it presidente@societadelliuto.it segretario@societadelliuto.it redazione@societadelliuto.it ❦ Iscrizioni online (www.societadelliuto.it) o rivolgendosi alla Segreteria: Matteo Simone via A. Aleardi, 64 30172 Venezia Mestre (VE) t. +39 041 2003706 Sulla tecnica del mandolino nel secolo XVIII: plettro o dita? di Marco Luca Capucci e Giorgio Ferraris p. 5 Cultura liutistica in Slovacchia tra XVI e XVII secolo: i testi didattici di Michal Hottmar p. 11 I duetti francesi per liuti barocchi nel XVII secolo di Jean-Marie Poirier p. 27 Sei brani per (arci)liuto (attiorbato) attribuiti a Santino Garsi da Parma, tratti dal Manoscritto Dusiacki di Gian Luca Lastraioli p. 50 I bordoni della tiorba: alcuni esercizi per la mano destra di Diego Cantalupi p. 56 La Battaglia per Liuto (XIII) di Gian Luca Lastraioli p. 59 «Il Liuto nell’Arte» (a cura di Rita Comanducci) Il liuto di Re Salomone di Rita Comanducci p. 61 Ricordo del Maestro Caffagni di Diego Cantalupi e Maurizio da Col p. 69 Note di Segreteria Iscrizione Per diventare membri della Società del Liuto è necessario • • • compilare e spedire il modulo di iscrizione, che si può scaricare dal sito o richiedere alla Segreteria; pagare la quota annuale di iscrizione secondo quanto esposto di seguito. • • Una volta eseguite queste due operazioni si è automaticamente iscritti, salvo il caso di eventuali comunicazioni da parte della Segreteria. Per i rinnovi è sufficiente versare la quota annuale. Raccomandiamo di effettuare i rinnovi entro il 31 gennaio dell’anno di riferimento. Invitiamo inoltre tutti i soci a comunicare tempestivamente variazioni di indirizzo, mail ecc. Per informazioni e comunicazioni relative all’iscrizione potete telefonare alla Segreteria (041 2003706) o mandare un messaggio all’indirizzo: • • Per i nuovi iscritti alla Società del Liuto che scelgano la rivista via web l'iscrizione sarà valida 2 anni! 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È possibile versare la quota anche via internet, con la propria carta di credito tramite il servizio PayPal, che addebita una percentuale del 4% circa su ogni transazione; per questo motivo con tale modalità di pagamento gli importi totali saranno aumentati di 1 euro per coprire le spese. La quota associativa è valida per l’anno solare di riferimento (1 gennaio-31 dicembre); per il 2017 gli importi sono i seguenti: • quota ridotta IT 20€ rivista cartacea inviata via posta ordinaria (la quota ridotta si applica ai soci di età inferiore a 21 anni); quota socio ordinario web 25€ rivista digitale via web; quota ridotta web 15€ rivista digitale via web (la quota ridotta si applica ai soci di età inferiore a 21 anni); quota socio residente all'estero 35€ rivista cartacea inviata via posta ordinaria; quota soci sostenitori pari o superiore a 150€. quota socio ordinario IT 30€ rivista cartacea inviata via posta ordinaria; ii Assemblea dei soci 2017 e rinnovo del Consiglio Direttivo Riportiamo infine qui di seguito le norme e alcune regole generali per la candidatura a Consigliere della società del Liuto. Cari soci e amici della Società del Liuto, alla fine di marzo 2017 giungerà al termine il mandato triennale previsto dallo Statuto per le cariche dell’Associazione. Le procedure per il rinnovo del Consiglio Direttivo, cui spetta nominare Presidente, Segretario e Tesoriere della SdL, si svolgeranno in occasione della prossima Assemblea annuale, che avrà luogo il 27-28 maggio 2017 a Padova, nella Sala della Carità del convento di San Francesco Grande. Guardando al triennio trascorso, non si può che provare grande soddisfazione per il consolidamento delle attività della Società del Liuto: sono stati organizzati eventi didattici e musicali in vari luoghi d’Italia; la rivista «Il Liuto» è stata affidata alle cure di un Comitato di redazione composto da soci; è stata rinnovata la piattaforma per il sito web dell’Associazione; sono proseguite con grande successo, in Italia e all’estero, le attività della «European Lute Orchestra», cui la SdL è legata da un vincolo fortissimo. Prima dell’elezione del nuovo Consiglio Direttivo è bene che tutti i soci siano consapevoli di quanto ciascuno di questi risultati sia dovuto all’unione delle forze: senza la collaborazione di tante persone con competenze e risorse disparate non saremmo riusciti a conseguire tanti dei nostri obiettivi. Affinché però questi obiettivi siano a loro volta la base per un futuro altrettanto proficuo, vorremmo invitare ciascuno di voi a segnalare la propria disponibilità a candidarsi come Consigliere o anche solo a cooperare con le varie iniziative permanenti dell’Associazione: la pubblicazione della rivista, la gestione del sito web, la promozione della Sdl nelle scuole. Invitiamo tutti a comunicare indicazioni precise o suggerimenti al Presidente (presidente@societadelliuto.it). La nomina e composizione del Consiglio Direttivo è regolata dall’art. 20 dello Statuto. In particolare, il testo dell’articolo precisa: «Qualsiasi Socio maggiorenne può candidarsi (art. 8). Le candidature potranno essere fatte pervenire in anticipo con comunicazione scritta o via e-mail al Consiglio Direttivo oppure essere presentate nel corso dell'Assemblea. Saranno eletti i candidati che riceveranno il maggior numero di preferenze. In caso di parità si procederà per ballottaggio». Forniamo infine alcune indicazioni di massima sui requisiti necessari per assolvere in maniera ottimale il ruolo di Consigliere sulla base delle attuali necessità di funzionamento della Società del Liuto: • disponibilità a partecipare alle riunioni del Consiglio Direttivo sia a distanza via internet che presso la sede stabilita; • disponibilità a ricoprire incarichi specifici (partecipazione alla gestione del sito, della rivista ecc.); • disponibilità alla promozione delle attività della SdL anche mediante spostamenti presso manifestazioni o incontri non direttamente organizzati dalla SdL; • disponibilità a coordinare gruppi di lavoro per l’organizzazione di manifestazioni o pubblicazioni della SdL. Per facilitare la presentazione delle candidature, le persone impossibilitate a partecipare all’assemblea ordinaria del 21 maggio potranno designare un proprio socio delegato che leggerà una breve presentazione, basata sui punti sopra citati, che illustri in senso generale la futura azione del candidato all’interno del Consiglio. iii Fig. 1 (sopra): Durham, La Cattedrale e Palace Green. Fig. 2 (a sinistra): Durham, North Road Methodist Church, interno. Fig. 3 (sotto): Durham, Palace Green, Concert Hall del Department of Music. Il concerto della European Lute Orchestra nella Great Hall del Castello di Durham di Silvia Amato Partita dal binario nove e tre quarti… la European Lute Orchestra è arrivata a Durham, per il suo primo concerto fuori dai confini italiani. Una felice combinazione di eventi ha portato la early band proprio nel Regno Unito, quasi a voler idealmente annullare quel vago senso di distacco che, per la Brexit, si percepisce nel comune sentire. Ma la musica non conosce confini, come non li conoscono i musicisti che ancora una volta hanno condiviso il piacere di unirsi in concerto sotto la sapiente guida di Gian Luca Lastraioli, raggiungendo il locus musicae dai luoghi più disparati. L’organizzazione logistica, grazie al fattivo operato di Hector Sequera, ha consentito lo svolgimento delle prove in due diversi luoghi, la North Road Methodist Church e la Concert Hall del Department of Music a Palace Green. La comunità metodista di Durham conta un centinaio di adepti ed è molto attiva nel sociale, secondo gli insegnamenti del relativo fondatore, John Wesley. L’austero edificio ottocentesco in pietra che ospita la North Road Methodist Church dispone per le proprie attività di una moderna Sala Congressi, dove si è svolta la prima giornata di prove, di una Hall e di altri ambienti più piccoli che mette a disposizione Silvia Amato della collettività per meeting, corsi di formazione e concerti. Il Palace Green è inserito nel complesso monumentale che racchiude alcuni fra i più mirabili esempi dell’architettura romanica d’Inghilterra, la Cattedrale, che pur prefigura alcuni innovativi elementi tipici del successivo stile gotico, quali gli archi ogivali e le volte a coste del soffitto della navata, e il Castello di Durham. Furono i Normanni ad introdurre nel paese lo stile romanico al momento della conquista, nell’undicesimo secolo; addirittura Guglielmo il Conquistatore in persona ordinò la costruzione del Castello di Durham nel 1072, cioè appena sei anni dopo l’occupazione. Il Castello fu sede dei Principi-Vescovi di Durham, una carica che rimase in vita fino al XIX secolo e conferisce alla cittadina che ci ha ospitato uno status unico in terra inglese. La maestosa Cattedrale, costruita fra il 1093 e il 1133 per ospitare una comunità monastica benedettina e custodire le reliquie di San Cuthbert, è il più antico edificio di grandi dimensioni con il tetto originale in pietra ancora esistente. L’impianto stilistico romanico iniziale è rimasto intatto, non avendo praticamente l’edificio subito rimaneggiamenti nel corso dei secoli. Altra peculiarità: chi ha visto il ciclo dei film di Harry Potter, riconoscerà nelle potenti opere murarie della Cattedrale di Durham gli esterni della Scuola di Magia di Hogwarts. Tornando a Palace Green, in origine il suo nome era un francesizzante “la Place”, che suona come il nostrano Piazza delle Erbe. Era l’antico mercato di frutta e verdura, spostato in altro sito da un PrincipeVescovo di Durham “affinché fuoco e immondizia non mettessero in pericolo la Chiesa”. L’area divenne così sede degli uffici pubblici che assicuravano il funzionamento del Principato. Uno di questi edifici è oggi la Sala Concerti del Dipartimento di Musica dell’Università di Durham ed è proprio qui che abbiamo provato dal secondo giorno in poi. L’austero, piccolo edificio, nasce nel 1541 come Ginnasio, voluto da Enrico VIII per garantire un’istruzione scolastica gratuita. Sono ancora riconoscibili i nomi degli alunni che per generazioni hanno lasciato il loro ricordo imperituro inciso nel muro. Si può dire che questa funzione formativa dell’edificio non sia mai mutata ma si sia semplicemente trasformata nel tempo. Oggi il Dipartimento di Musica dell’Università di Durham è considerato un modello per lo studio e la diffusione della musica in tutta l’Inghilterra, con una ricchissima vita musicale, impreziosita al suo interno da cori, orchestre, ensemble operistici come di musica antica o jazz. Finita l’esperienza dei Principi-Vescovi, il Castello di Durham si trasformò, sin dal 1837, in un college universitario. La Great Hall che ha ospitato il nostro concerto è usualmente il refettorio in cui una media di 300 persone, fra studenti e personale dell’Università, si riunisce tre volte al giorno per consumarvi i pasti. Originariamente usata per i banchetti dei suoi autorevoli ospiti, la sala è stata più volte rimaneggiata. Nel suo aspetto attuale, che risale al XIX secolo, misura 30 metri per 14 ed è dominata da un finestrone in vetro istoriato, con le insegne feudali dei Principi-Vescovi più famosi. Abbiamo suonato circondati dai ritratti di dignitari dai fieri cipigli, una location dunque particolarmente suggestiva. Ancor più suggestivo l’aver condiviso l’eccezionale evento con l’ensemble The Durham Singers ed alcune soliste del Music Department nell’esecuzione di alcuni brani di Emilio de’ Cavalieri. L’ensemble The Durham Singers, nato nei primi Anni Settanta nel solco della tradizione dei grandi cori da camera britannici e sin dall’origine specializzato nella musica antica, esegue principalmente musica a cappella, allo scopo di creare un vasto repertorio che spazi nei secoli per facilitare la fruizione della musica da parte di un sempre più vasto pubblico. 2 Il Concerto ELO al Castello di Durham Entusiasticamente accolto l’invito, la ELO ha accompagnato l’ensemble e le tre soliste nell’esecuzione di Chiostri altissimi e stellati, tratto dalla Rappresentatione di anima, et di corpo e O che nuovo miracolo, ballo composto da Emilio de’ Cavalieri per l’intermezzo finale de La Pellegrina, commedia con musiche e coreografie scritta a più mani (Ottavio Rinuccini curò il testo, Emilio de’ Cavalieri, Luca Marenzio e Cristofano Malvezzi le musiche, il celebre architetto Bernardo Buontalenti scene e costumi…) nel 1589, in occasione dei festeggiamenti per il matrimonio del Granduca di Toscana Ferdinando de’ Medici e di Cristina di Lorena, i più sfarzosi mai visti a Firenze. E nulla di simile – ne siamo convinti – fu mai udito nel maniero di Durham: sontuose musiche di scena accompagnate da un’orchestra di quaranta elementi fra liuti, tiorbe e chitarre (ed un tamburo). Altra novità nel repertorio della ELO è costituita dalla Battaglia (Vallet, Barbetta, Lastraioli), che molti di noi conoscono per averla studiata quale esempio contenente numerosi passaggi di tecnica liutistica. A fine concerto, tutta la early band – o quasi – si è ritrovata al ristorante italiano (!) in un simpatico ed allegro convivio, con la promessa di ritrovarsi presto a Füssen, in Germania, per il prossimo concerto. Fig. 4: Il Maestro G. L. Lastraioli durante il concerto. Fig. 5: Un momento della prova generale. 3 Silvia Amato Figg. 6-7: Due momenti del concerto. 4 Sulla tecnica del mandolino nel secolo XVIII: plettro o dita? di Marco Luca Capucci e Giorgio Ferraris Fig. 1: PIETRO LONGHI, Concerto familiare, 1750-1760, olio su tela, Milano, Pinacoteca di Brera. È in corso, tra alcuni mandolinisti italiani, un dibattito sulla tecnica strumentale del mandolino nei secoli XVII e XVIII e precisamente sull’uso del plettro o delle dita per pizzicare le corde.1 È comunque un problema già affrontato molti anni fa 1 D. REBUFFA, Una partita di Filippo Sauli, tiorbista e mandolinista alla corte degli Asburgo, «Il Liuto. Rivista della Società del Liuto», IX, 2014: «Contrariamente a ciò che alcuni ancora credono, il mandolino barocco non fu mai suonato con il plettro, come risulta evidente non soltanto dalle numerose fonti iconografiche pervenuteci, ma soprattutto dalla scrittura e dall’impossibilità di eseguire con il plettro composizioni polifoniche con note su corde distanti fra di loro […]». dallo studioso Giuseppe Severini2 che, in modo chiaro e sistematico, è entrato nel merito della questione: è questo un approccio su cui noi ci basiamo. Anche il Maestro Ugo Orlandi, titolare della cattedra di mandolino al Conservatorio di Milano, ha scritto sull’argomento trattandolo dal punto di vista della scrittura musicale di alcuni compositori importanti.3 2 G. SEVERINI, Strumenti a plettro nella musica europea, dal Medioevo al Settecento, «Il Fronimo», n. 62, XVI, 1988. 3 U. ORLANDI, A. Vivaldi, Concerto in Do maggiore, Edizioni Santabarbara, Bellona, 1995. Marco Luca Capucci, Giorgio Ferraris Vediamo ora, alla luce di nuove tendenze e riscoperte musicologiche, di dare alcune indicazioni che permettano di affrontare la questione dal punto di vista non solo etimologico ma, soprattutto, dal punto di vista della trattatistica e della letteratura musicale. Anzitutto cerchiamo di capire cosa potrebbe significare ‘mandolino barocco’, che a nostro avviso è un appellativo ormai decisamente abusato e insufficiente. L’esigenza tutta contemporanea di definire, incasellare e globalizzare anche i nomi degli strumenti, in particolare del mandolino, è spesso strettamente personale e comunque vaga: troppi sono i modelli con morfologia, numero di corde e accordature differenti. In tutta la storia della musica troviamo strumenti con lo stesso nome, ma differenti nel numero di corde e nell’accordatura, che esistevano nello stesso contesto storico; altrettanto coesistevano strumenti uguali ma con nomi diversi. Allo stesso modo, per uno stesso strumento potevano sussistere lunghezze vibranti diverse, corde realizzate con tecniche differenti e tecniche esecutive diverse. Non è un caso che in tempi moderni proprio al mandolino siano stati assegnati dei secondi nomi come ‘mandolino lombardo’, ‘genovese’, ‘bresciano’, ‘napoletano’, ‘mandola’, senza trascurare ‘mandolino classico’, ‘barocco’, ‘moderno’ e altri ancora. Non intendiamo riclassificare gli strumenti o riproporre il problema terminologico perché non è questo lo scopo. Quando alcuni studiosi si riferiscono al ‘mandolino barocco’, anche se non lo specificano con esattezza potrebbero intendere lo strumento a cinque/sei ordini già illustrato abbondantemente da Evaristo Baschenis (1617-1677) e ripreso in un celebre dipinto, Concerto familiare di Pietro Longhi (ca. 1701-1785). Pensiamo anzitutto al periodo storico chiamato il ‘barocco musicale’. A grandi linee, trascurando le singole scuole musicali e con tutte le possibili eccezioni di estensione o di riduzione temporale, oggi riteniamo che sia quello intercorso in Europa tra la seconda metà del ’600 e la metà del ’700. In questo spazio geografico/temporale erano presenti vari modelli con quattro, cinque e sei ordini di corde, peraltro variamente chiamati anche ‘mandola’ o con storpiature varie del nome mandolino, come ‘armandolino’, ‘amandolino’ e così via. Citiamo, a titolo di esempio, gli strumenti impiegati da due compositori barocchi eccelsi: Antonio Vivaldi (16781741) e Domenico Scarlatti (1685-1757). Del primo, nel manoscritto del Concerto in do per mandolino e archi, si trovano in alcune battute due diverse scritture, una più congeniale al mandolino a cinque/sei ordini (con accordatura per terze e quarte) e l’altra al mandolino a quattro corde doppie (accordato per quinte). Dall’altra parte della penisola Domenico Scarlatti, invece, scrive le sonate per violino e cembalo, alcune delle quali, secondo gli studi di Ugo Orlandi, erano verosimilmente destinate al mandolino. Alcune erano sicuramente eseguibili solo sul modello a sei ordini: infatti sono presenti accordi ineseguibili sul modello accordato per quinte, come il ‘mandolino napoletano’ e quindi ineseguibili anche sul violino.4 La nostra prima conclusione, dunque, è che non esisteva assolutamente il ‘mandolino barocco’. Semmai, nell’ambito del periodo musicale cosiddetto barocco, si trova che esistevano diversi tipi di strumenti, ascrivibili al mandolino, con morfologia, corde, tecniche esecutive molto differenti e differentemente chiamati dai contemporanei. Definire una realtà molto variegata con un solo nome o concetto è un modo molto parziale di affrontare il problema. Se ad esempio parlassimo di liuto barocco o, per intenderci, della letteratura liutistica dei secoli XVII e XVIII, dovremmo circostanziare le scuole importanti (francese, italiana, tedesca), i modelli (liu- 4 E. MERLINI, U. ORLANDI, D. Scarlatti, Cinque Sonate per mandolino (violino, flauto) e basso continuo, Ancona, Edizioni Bèrben, 1994. 6 Sulla tecnica del mandolino nel secolo XVIII: plettro o dita? to attiorbato, liuto a undici/tredici ordini, strumenti a tratta lunga o corta), e tutte le possibili e differenti accordature. Pertanto dire che esista un solo liuto barocco non è riduttivo ma semplicemente sbagliato così come non si può parlare di un solo mandolino barocco. tanto l’interpretazione di un’iconografia musicale non è probativa in sé, ma va contestualizzata e accettata con tutti i sui limiti. Il Concerto familiare del Longhi (fig. 1) non rappresenta tutta la tecnica esecutiva di quello strumento. Osserviamo la fig. 2: Giambattista Tiepolo (1696-1770) nella Suonatrice raffigura una modella o una musicista? Nella fig. 3 la mandolinista utilizza un plettro (penna) e nella fig. 4, nel dipinto di pittore anonimo veneziano sec. XVIII, Giovane donna con mandolino, è raffigurato un piccolo plettro a forma di cuore tenuto sotto le corde. Passando alla trattatistica tardo barocca, pensiamo al metodo storico di Leone, Méthode raisonnée pour passer du Violon à la Mandoline et de l’archet a la plume […], Gravée par M.me Vendome, Paris, 1768, trattato per mandolino ‘napoletano’, suonato con il plettro, per il quale ci sono indicazione precise circa l’uso e il materiale col quale deve essere realizzato. Oppure al metodo di Fouchetti, Méthode pour apprendre facilment à jouer de la Mandoline à 4 et 6 cordes, A.D. P. R., Paris, 1770. Viene raccomandato l’uso di plettri di corteccia di ciliegio per gli strumenti a corde di budello (mandolino a sei cori), senza alcun accenno all’uso delle dita: è un quadro indicativo se si riflette che è stato pubblicato a pochi decenni dalla realizzazione del dipinto del Longhi. Inoltre nello studio di alcuni trattati storici ci è capitato di trovare indicazioni tecniche uniche, come ad esempio sempre nel metodo citato di Leone, nel quale si parla di come «tirer deux sons de la même corde» (ordine).5 Nel suo tema con variazioni L’avez-vous vu mon bien-aimé se ne trova l’indicazione per una sua applicazione. Difficile ma fattibile. Ciò non vuol dire però che tutte le volte quando si trova un bicordo ravvicinato del repertorio coevo lo si debba eseguire in tale modo. An- Fig. 2: GIOVANBATTISTA TIEPOLO, La suonatrice, seconda metà del XVIII sec., olio su tela, Detroit, Detroit Institute of Art. Come venivano suonati questi mandolini e in particolare quello che montava cinque/sei ordini di corde? Si usavano le dita o il plettro? Gli studiosi si basano, come abbiamo visto, sulla comparazione di varie fonti storiche. Le fonti iconografiche, indubbiamente, sono importanti, ma spesso non risolutive. Basti pensare che frequentemente erano impiegati modelli o modelle fisicamente incapaci di suonare: pensiamo alla improbabile postura del liutista di Caravaggio, dove la simbologia dell’atto musicale prevale sulla fedeltà rappresentativa. A titolo di esempio, se osserviamo un dipinto di Evaristo Baschenis e vediamo un violino, ma non l’arco, non possiamo certo affermare che il violino fosse suonato con le sole dita. Per- 5 PIETRO LEONE, Méthode raisonnée pour passer du violon à la mandoline et de l’archet a la plume […], Gravée par M.me Vendome, Paris, 1768, p. 17. 7 Marco Luca Capucci, Giorgio Ferraris più corde contemporaneamente. Il plettro poteva essere tenuto fra il pollice e l’indice della mano destra o legato a una delle altre dita. In ogni caso Mersenne cita l’esistenza di mandore a sei e più corde nonché la possibilità di suonarle con le dita. Analizziamo ora gli strumenti. Discutendo con vari studiosi, tra cui il Maestro Liutaio Federico Gabrielli, costruttore, docente di liuteria presso la Civica Scuola di Liuteria di Milano, ma soprattutto grande studioso del mandolino, risulta come non sia sempre facile e certo stabilire se moltissimi strumenti dell’epoca si trovino oggi in condizioni originali o siano stati modificati.6 Pensiamo ai violini Stradivari usati dai grandi violinisti contemporanei che hanno subito modifiche alla tastiera, al manico, all’anima e magari vengono suonati con la mentoniera. Tornando al mandolino ci chiediamo: quali corde saranno state montate ma soprattutto vi sarà stato spazio sufficiente per le dita della mano che la muta di corde di Fouchetti per il ‘mandolino napoletano’ («la mandoline»), descritta con dovizia, era peraltro quella che usava lui e non necessariamente imposta a tutto il mondo mandolinistico: un riferimento, non la verità universale. 6 I mandolini in genere hanno subito minori (o comunque differenti) interventi di manutenzione/trasformazione rispetto agli strumenti ad arco. Molti si sono conservati indenni o quasi. Il più delle volte hanno i piroli originali. Talvolta nei modelli liutiformi il ponte è stato sostituito. Comunque trovo ancor oggi attuale la distinzione che fece anni or sono John Henry van der Meer: mandolini del ‘vecchio tipo’ e del ‘nuovo tipo’ ove, con quest’ultimo termine, definiva gli strumenti con tavola piegata per differenziarli da quelli liutiformi. In realtà, all’epoca, egli definiva (e forse conosceva) solo quelli di tipo napoletano, ma oggi sappiamo che esistevano strumenti di tale costruzione sia in Liguria, sia nel Lazio. A proposito, ricordo che lo strumento più antico con tavola piegata del quale risulti una data certa è un mandolone di Gaspar Ferrari del 1731, Accademia Nazionale S. Cecilia, Roma , inv. n. 104, cartiglio «Gaspar Ferrari fecit in Roma, 1731», e che, sempre a mia conoscenza, il mandolino di tipo napoletano con datazione più remota è un Joseph Maria del 1733 (collezione privata). Purtroppo dei mandolini genovesi di Nonemacher (degli altri costruttori di questa tipologia, conosco solo strumenti della seconda metà del ’700) non sono ancora riuscito a dare una datazione, anche se un suo mandolino a cinque cori (cantino singolo), conservato presso lo Horniman Museum di Londra, è datato 1732. Personalmente identifico gli strumenti come, ad esempio, ‘mandolino a sei ordini di corde (o cori) del periodo barocco’, anche se poi adopero gli appellativi geografici ‘genovese’ o ‘bresciano’ per praticità e perché oggi sono termini universalmente conosciuti e accettati. Fig. 3: GIUSEPPE NOGARI, Giovane con mandolino, metà del sec. XVIII, olio su tela, Palidano Gonzaga, Collezione privata. Vi sono altri documenti che possono testimoniare che si suonava con le dita o col plettro? Veramente già Praetorius nel Syntagma Musicum del 1619 scrive: «Pandurina: Mandurichen […] È come un piccolo liuto con quattro corde […] alcune hanno anche cinque corde o cori […] È molto usata in Francia […] eseguono […] o servendosi di una penna di uccello come si usa sul cittern oppure riescono a suonare con un solo dito […] Ad ogni modo certuni usano due o più dita a seconda delle abitudini». E Mersenne, in Harmonie Universelle del 1636, spiega che la mandora suonava nei complessi di liuti, che il suono vivace e acuto era molto penetrante e che i migliori esecutori muovevano la penna tanto velocemente da dare l’impressione di suonare 8 Sulla tecnica del mandolino nel secolo XVIII: plettro o dita? destra con il tipo di spaziature che troviamo al ponticello? Saranno stati analizzati dagli studiosi un numero di strumenti tale per giungere alle conclusioni circa l’uso delle dita o del plettro? L’assenza del battipenna risulta solo in modelli successivi in quanto, probabilmente, esso non sarebbe servito con plettri fatti di materiali morbidi come la corteccia di ciliegio, cuoio e penne d’uccello. sun spartito del periodo o di quello immediatamente successivo c’è l’indicazione «con il plettro» quando l’iconografia mostra poi mandolinisti con tale accessorio? Se l’uso del plettro fosse stata una novità rispetto al passato non avremmo trovato tale indicazione? La scrittura per mandolino è essenzialmente melodica, tranne qualche rarissima eccezione. La giustificazione dell’uso delle dita data dalla presenza di note simultanee su corde non attigue non dimostra nulla. Altrimenti, anche nelle sonate e partite per violino solo di J. S. Bach, gli accordi non diteggiabili per esecuzioni simultanee dovrebbero dimostrare che l’esecutore lasciava l’arco per pizzicare con le dita le corde. Nelle musiche citate da alcuni studiosi, come quelle di Fra’ Giuseppe Paolucci (1727-1776) e Niccolò Ceccherini (inizio sec. XVIII), è vero che si incontrano una o poche battute pensate con bicordi di note su corde distanti. Una soluzione ragionevole, però, potrebbe essere una tecnica mista plettro/dita o la più scontata, e a mio avviso più logica, che consiste nell’aggiunta dei suoni delle corde intermedie. Pensiamo, a titolo di esempio, all’infinita letteratura per chitarra barocca, quando un paio di note scritte su corde distanti sottintendevano in realtà l’esecuzione di tutte le note intermedie. Non dimentichiamo infine che si potevano avere delle differenze nell’accordatura, che semplificavano quanto appariva complicato a prima vista: per esempio, in Paolucci il sesto ordine di corde era intonato un semitono sotto. Il significato generale di quanto affermo è che ogni città, anzi ogni realtà culturale importante, aveva un suo modello di mandolino con differenze evidenti nella forma, nel numero di corde, nell’accordatura, e presumibilmente nella tecnica strumentale. Se è vero che il liuto è indicativamente suonato con il plettro fino al secolo XVI e nei secoli successivi principalmente con le dita, non vuol dire necessariamente che il Fig. 4: ARTISTA ANONIMO VENEZIANO, Giovane donna con mandolino, olio su tela, secc. XVIII-XIX, Collezione privata. Consideriamo ora la musica il vero elemento oggettivo. In nessuno spartito di mia conoscenza, anche per lo strumento a cinque/sei ordini, è specificato se usare le dita o il plettro. In altri contesti strumentali, come nel repertorio coevo per violino, si poteva trovare l’indicazione «si può anco fare con tutti li violini pizzicati» (Concerto in do di A. Vivaldi per mandolino archi e cembalo) Se pensiamo ad altri strumenti, la tromba ad esempio, nel tempo si è trovata l’indicazione «per tromba (o cornetta) a pistoni» perché prima si usavano quelle naturali o con le ritorte sostituibili. Queste specifiche indicano una differenza rispetto a ciò che era usuale. Perché allora in nes9 Marco Luca Capucci, Giorgio Ferraris mandolino abbia avuto la stessa evoluzione tecnica, ma al contrario. Più probabilmente, è pensabile che venisse suonato con le dita da chi non padroneggiava la tecnica del plettro come i liutisti e tiorbisti, che preferivano l’uso delle dita. Dato che nel Settecento molti erano polistrumentisti e che anche la stessa musica era spesso eseguibile su più strumenti, come i Divertimenti da Camera di Giuseppe Gaetano Boni (1650-1732), non tutti gli esecutori necessariamente padroneggiavano correttamente tutte le tecniche. Concludiamo: affermare che il mandolino barocco era sicuramente suonato con le dita è azzardato, se non scorretto. In primo luogo perché non esiste il ‘mandolino barocco’; in secondo luogo perché la tecnica dita/plettro va riferita al contesto stesso della musica e dell’autore da eseguire. Se la scrittura musicale liutistica è cambiata quando è stato introdotto l’uso delle dita, la letteratura per mandolino è rimasta sostanzialmente invariata dal punto di vista melodico/armonico. Le eccezioni, da contestualizzare ogni volta, sembrano solo comprovare queste riflessioni e non il contrario. La scuola mandolinistica italiana sta vivendo un momento positivo grazie all’apertura di nuove classi in diversi conservatori. Nel mandolino storico al momento, però, manca una altissima direzione culturale che sia di riferimento sulla scelta dei modelli storici o sulla tecnica appropriata, come è avvenuto per il liuto con Diana Poulton o per la chitarra classica con Andrès Segovia. Per il mandolino storico questo è quindi un momento ancora pionieristico; le ricerche degli studiosi, possono essere piuttosto distanti sia sulle basi di studio sia sulle conclusioni. Milano, settembre 2015 10 Cultura liutistica in Slovacchia tra XVI e XVII secolo: i testi didattici di Michal Hottmar1 In epoca rinascimentale si sono prodotti, nel territorio dell’attuale Slovacchia, importanti cambiamenti economici, politici e culturali che hanno creato le condizioni migliori per lo sviluppo della cultura musicale, sviluppo connesso all’esistenza e alla crescita della musica per liuto. La cultura musicale nel territorio dell’attuale Slovacchia è stata fortemente influenzata dal progresso economico e commerciale. Le città hanno mantenuto contatti economici e culturali vivaci con centri europei come Praga, Vienna, Wittenberg, Cracovia, Parigi, Padova, Roma e altri. Per questo motivo risulta logica l’ipotesi che, grazie a questi contatti, siano state importate nel territorio slovacco, accanto ad altre stampe musicali, anche quelle per liuto, destinate a un pubblico locale.2 In quest’epoca lo sviluppo economico delle città ha ancor più influenzato la partecipazione della borghesia alla vita musicale. Queste tendenze si sono manifestate in modo particolare in tre aree: nella zona occidentale di Bratislava e a Trnava; nel centro della Slovacchia e principalmente a Banská Bystrica; nella zona orientale della regione di Spiš e a Bardejov. Nelle città della Slovacchia orientale, oltre che a Bratislava, la vita musicale ha raggiunto il suo livello più alto. Ciò è comprovato dall’ampiezza delle collezioni musicali di Levoca e Bardejov, databili al XVI e XVII secolo (LZB e BZH). 1 Dipartimento di Musicologia, Facoltà di Lettere e Filosofia, Università di Žilina. Per la traduzione in italiano, l’assistenza e le correzioni l’autore ringrazia la sig.ra Ivana Kurtulíková. 2 Il contributo è realizzato all’interno del Progetto VEGA 1/0699/16: «Fonti di intavolatura del XVI e XVII secolo nel territorio della Slovacchia» La musica per liuto sul territorio dell’attuale Slovacchia nel XVI e all’inizio del XVI secolo Le collezioni musicali di Bardejov e Levoca del XVI e XVII secolo, provenienti dalla parte più orientale dall’area di Spiš, presentano il repertorio canonico di musica vocale monodica e polifonica, nonché di musica vocale-strumentale e comprendono anche il repertorio profano vocalestrumentale e la musica solo strumentale. L’insieme delle due collezioni musicali comprende 78 manoscritti e 87 unità a stampa,3 tra cui stampe musicali di repertorio per liuto.4 Nell’eredità libraria di Johan Dernschwam, che operava presso la famiglia aristocratica Thurzo-Fugger, proprietaria di società minerarie a Banska Bystrica,5 sono presenti musiche riconducibili al territorio della Slovacchia centrale. In base all’inventario redatto dal proprietario della biblioteca nel 1552 e modificato nel 1575, quando i libri furono acquistati dalla 3Cfr. M. HULKOVÁ, Concordanze e differenze della raccolta di musiche di Bardejov e Levoca, «Slovenská hudba», XXV, 1999, p. 151. 4 Cfr. L. BURLAS; J. FIŠER; A. HOŘEJŠ, Hudba na Slovensku v XVII. storočí, Bratislava, Slovenská akadémia vied, 1954, p. 146; R. RYBARIČ, Dejiny hudobnej kultúry na Slovensku I, Bratislava, Opus, 1984, p. 88; P. KIRALY, A lantjáték Magyarországon a XV. századtol a XVII. század kozepéig, Budapest, Balassi kiadó, 1995, pp. 61, 63, 65, 67, 157, 166; M. HOTTMAR, Fonti a stampa di musica per liuto nel territorio dell’attuale Slovacchia nel XVI e all’inizio del XVII secolo [Dissertazione di laurea], Bratislava, FiF UK, 2010. 5 Come indica J. KUZMIK, «nell’inventario di Johann Dernschwam, umanista e gestore delle attività e beni di Fugger a Banska Bystrica, nell’anno 1552 sono comprese 651 annotazioni, che rappresentano circa 2.100 libri». Cfr. I. KOTVAN, Knižnice na Slovensku v 15. a 16. storočí, in A. VANTUCH (ed.), Renesancia a humanizmus na Slovensku v 15. a 16. storočí, Bratislava, SAV, 1967, p. 431; secondo il catalogo che ha elaborato Berlász e che attualmente si trova nella Österreichische Nationalbibliothek a Vienna con la segnatura Cod. 12652; cfr. J. BERLÁSZ, A Dernschwam-könyvtára, Szeged, 1984, p. 30-31. Michal Hottmar Vienna.12 Risultano collegati con il territorio della Slovacchia odierna alcuni importanti liutisti di questa epoca.13 La città di Bratislava è indicata come luogo di nascita di Hans Newsidler (1508-1563), liutista tedesco, operante a Norimberga.14 Nel 1530 Newsidler, probabilmente sotto la minaccia costante di un’invasione turca, si unisce ai rifugiati e lascia Bratislava per Norimberga. In quel luogo pubblicò, negli anni che vanno dal 1536 al 1549, alcuni libri di intavolatura per sei liuti.15 Possiamo presumere che Newsidler abbia ricevuto la sua educazione musicale di base a Bratislava. Questo dimostra l’esistenza di una pratica musicale liutistica in questa città. Sebestyén Tinódi (1505-1556), liutista e poeta ungherese, fu autore di canzoni storiche e della raccolta Cronica (Kolozsvár 1554); anche nel suo caso sono documentati contatti con la Slovacchia in occasione di un suo viaggio, nel 1544, a Trnava e in altri territori del paese.16 Tinódi non è stato l’unico musicista a viaggiare nel territorio dell’odierna Slovacchia. Con il suo canto e con l’accompagnamento al liuto ha biblioteca della corte viennese, tra gli oltre 2000 titoli si trovavano opere musicali e teorico-musicali del XVI secolo, così come stampe musicali di provenienza tedesca con musica profana vocale e strumentale.6 Tra le opere a stampa musicali di Dernschwam si trovano anche libri per liuto.7 Ma non possiamo tralasciare neppure la biblioteca di Johann Sambucus,8 originario di Trnava.9 Sambucus ha lavorato in qualità di storico di corte, umanista e medico presso la corte viennese dell’imperatore Massimiliano I. La sua biblioteca comprende 4191 volumi; tra i 128 di contenuto musicale si trovano, oltre ai madrigali, chansons e repertorio a stampa per liuto di compositori italiani e tedeschi. 10 Benché Sambucus abbia vissuto gran parte della sua vita all’estero, va incluso in questo studio a motivo del suo luogo di nascita. Parte della biblioteca di Sambucus è custodita oggi presso la Biblioteca Nazionale Austriaca, ed è stata acquistata dopo la sua morte, il 13 giugno 1584,11 da Hugo Blotio, il bibliotecario della corte reale a 12 Cfr. L. LOUTHAN, The Quest of Compromise, Cambridge, Cambridge University Press, 2007, p. 73. 13 Cfr. P. KIRALY, A lantjáték Magyarországon a XV. Századtol, cit., p. 75. 14 Nell’attuale letteratura storico-musicale si incontrano informazioni errate che hanno indicato Bratislava come luogo di nascita anche del figlio di Hans Melchior Newsidler, nato invece a Norimberga nel 1531; cfr. V. SEDIVA, Polyfónna hudba, in L. BURLAS; L. MOKRY; Z. NOVAČEK (a cura di), Dejiny slovenskej hudby, Bratislava, Vydavateľstvo SAV, 1957, p. 99; Z. NOVACEK, Hudba v Bratislave, Bratislava, Opus, 1978, p. 16; cfr. R. RYBARIC, Dejiny hudobnej kultúry na Slovensku I., cit., p. 88. Smith fornisce una corretta informazione, cioè che Melchior Newsidler era il figlio di Hans; cfr. D. A. SMITH, A History of the Lute from Antiquity to the Renaissance, The Lute Society of America, 2002, p. 174. 15 Cfr. E. POHLMANN, Laute, Theorbe, Chittarone. Bremen, 1975, pp. 23-24. 16 Nella nota n. 1 della pubblicazione sintetica Storia della Slovacchia troviamo che Tinódi è il creatore della canzone storica e che risiedeva nell’attuale Slovacchia (Trnava, Kosice) e in Transilvania. A Koloszvar (Klausenburg; Cluj) ha pubblicato una raccolta intitolata Cronica che contiene 23 canzoni storiche notate, tra le quali la melodia A kulcsárokról és udvarnokokról che è identica alla canzone Del castello di Muran (O muránskom zámku). Cfr. V. ŠEDIVÁ, Polyfónna hudba, cit., p. 59. 6 Cfr. J. KALINAYOVA et alii, Hudobné inventáre a repertoár viachlasnej hudby na Slovensku v 16.-17. storočí, Bratislava, SNM, 1994, p. 213; M. HULKOVÁ, Beitrag zur Problematik der Musikerziehung in den Musikschulen auf dem Gebiet der Slowakei im 16. Jahrhundert, in EAD. (ed.), «Musicologica Istropolitana 4», Bratislava, Stimul, 2005, p. 47. 7 Cfr. M. HULKOVÁ, Hudobniny v knižnici Johanna Dernschwama, in A. BITUŠČÍKOVÁ (ED.), Historicko-Etnologické štúdie, Banská Bystrica, 2001, vol. II, p. 98. 8 Cfr. T. KARDOS, La storia di Johann Sambucus, in Rinascimento e umanesimo in Slovacchia nel 15.-16. secolo, Bratislava, SAV, 1967, pp. 315-20. 9 Sambucus nei suoi scritti è indicato come «Pannonius Tirnaviensis»: cfr. I. KOTVAN, Knižnice na Slovensku v 15. a 16. storočí, in A. VANTUCH (a cura di), Renesancia, cit., p. 431; M. HOTTMAR, Musiche nella biblioteca di Johanes Sambucus, in Le piccole personalità di una grande storia – Le personalità grandi di una piccola storia: almanacco dei contributi dei convegni musicologici, Bratislava 12-13 novembre 2014, Bratislava, SMA e SNM-HM, 2015, pp. 4-18. 10 Cfr. J. KALINAYOVA et alii, Hudobné inventáre, cit., p. 213; P. GULYAS, A Számboky-Könyvtár katalógusa (1587), Szeged, Scriptum KTF, 1992; P. KIRALY, A lantjáték Magyarországon a XV. Századtol, cit., p. 66. 11Cfr. A. VANTUCH, Ján Sambucus. Život a dielo renesančného umelca, Bratislava, SAV, 1975, p. 153. 12 Cultura liutistica in Slovacchia tra XVI e XVII secolo Musicum (Louvain, 1568),19 abbiamo conoscenza solo dalla letteratura.20 L’esistenza di tali cimeli indica la presenza di suonatori esperti fra i nobili o borghesi. Compendi di liuto sul territorio slovacco sono attestati a Banská Bystrica e Levoca. All’interno della biblioteca di Dernschwam troviamo Musica Getutscht di Virdung (Basilea, 1511) e Musica und Tabulatur di Gerle (Norimberga, Formschneyder, 1546). A Levoca si utilizzava il libro per liuto di Besard, De mode (Colonia, 1603).21 Mentre si sa molto poco per quanto concerne l’insegnamento di liuto nel nostro territorio, dell’insegnamento all’estero abbiamo più informazioni e dati.22 esortato a combattere contro i Turchi. In relazione alla Slovacchia ricordiamo anche Valentin Bakfark 17 (1507-1576), uno dei più importanti liutisti del XVI secolo, che ha lavorato in diverse corti aristocratiche europee. František Zagiba e Zdenko Novaček,18 facendo riferimento all’attività di Bakfark sul territorio slovacco, parlano di una sua visita nel 1566 a Trenčin, nel cui castello ebbe luogo una sua esibizione. Nella varietà di stampe e manoscritti a carattere prevalentemente religioso di questo periodo, a Levoca e Bardejov si sono conservati componimenti di musica strumentale profana. Tra questi sono compresi tre libri a stampa di intavolatura per liuto. Due di essi, Tabulatura continens Insigne et sanctissimae di Waissel (Frankfurt an der Oder, 1573) e Thesaurus Harmonicus di Besard (Colonia, 1603), sono sopravvissuti fino ad oggi. Dell’ultima stampa di Phales, Luculentum Theatrum Compendi per liuto nel XVI e all’inizio del XVII secolo nel territorio della Slovacchia • SEBASTIAN VIRDUNG, Musica getutscht (Basilea, 1511) Musica getutscht è la più antica opera a stampa teorico-musicale, composta di 56 fogli che misurano 38 x 20 cm.; qui sono trattati strumenti musicali speciali nonché spiegati aspetti di interpretazione e pedagogia.23 I fogli singoli sono contrassegnati con le lettere dell’alfabeto da A a O. Ogni lettera contiene più di due fogli con l’indice di marcatura apposto con lettere i minuscole. È uno dei primi lavori che utilizza la lingua volgare. Questo prezioso libro 17 Cfr. P. KIRALY, A lantjáték Magyarországon a XV. Századtol, cit., pp. 80-81. 18 Zagiba afferma che la relazione di Bakfark con la Slovacchia è testimoniata nel passo di una delle poesie introduttive a Valentini Greffi Bakfarci Pannonii harmoniarum musicarum… (Cracovia, 1556), opera del cavaliere polacco Andreas Tricesius, che espone il significato del blasone di Bakfark: Ille lupi natus Trancini e sanguine cuius/ ornatum gemmis hic diadema vides. La parola «Trancini» viene considerata da Zagiba come ‘Trencin’: «“Ille Lupi natus Trancini” potrebbe essere detto da qualche nobile che ha incontrato Bakfark a Trenčín, dove probabilmente si era esibito nel castello. Fin dai tempi di Matteo Csak Trenčín ospitava spesso la nobiltà o anche i reali polacchi. È anche possibile che l’autore di questa poesia abbia sentito da qualcun altro che Bakfark proveniva da Trenčín. La sua ultima tappa potrebbe essere stata Trenčín, prima della data di pubblicazione della sua opera, in cui è ricordata la poesia introduttiva». Cfr. F. ZAGIBA, Dejiny slovenskej hudby od najstarších čias až do reformácie, Bratislava, Slovenská akadémia vied, 1943, p. 10. Da fonti secondarie disponibili, tuttavia, sappiamo che Bakfark proviene da Brașov, nell’attuale Romania; Novacek dà notizia di un concerto di Bakfark a Bratislava nel 1566: Z. NOVACEK, Hudba v Bratislave, cit., p. 16; Zagiba indica erroneamente l’anno di edizione dell’intavolatura per liuto di Cracovia. Come Brown e Benko, Pohlmann indica giustamente l’anno 1565. cfr. H. M. BROWN, Instrumental Music printed before 1600, Cambridge, Harvard University Press, 1965, pp. 216-218 («a. 15651»); D. BENKO, Valentinus Bakfark. The Crakow Lutebook 1565, Budapest, Editio Musica, 1979, p. 9; E. POHLMANN, Laute, Theorbe, Chitarrone, cit., p. 88. 19 Che questo testo facesse parte della biblioteca della Chiesa evangelica a Levoca si deduce dal catalogo che documenta i cimeli esposti nelle cosiddette «Celebrazioni Millenarie» a Budapest nel 1896. Il catalogo menziona la stampa per liuto di Phalèse sotto il numero 7768 con la dicitura «Ev. Kirche Leutschau» in Allgemeiner Katalog der Millennium Landes-Ausstellung 1896, p. 543. 20 Cfr. R. RYBARIČ, Dejiny hudobnej kultúry na Slovensku I., cit., a p. 88 e a p. 136, nella nota n. 20 dichiara che l’opera contenente la musica strumentale si sarebbe dovuta trovare, secondo i cataloghi, a Levoca, ma è dispersa; cfr. R. DUSATKO, Lutnová hudba na Slovensku. [Tesi di laurea] Bratislava, FiF UK, 1985, pp. 16-18. 21 Cfr. P. KIRALY, A lantjáték Magyarországon a XV. Századtol, cit., p. 90. 22 Cfr. M. KUBAT, První puvodní anglická loutnová škola, The Schoole of Musike (Londýn 1603), [Tesi BA] Brno, UHV ASH FF MU, 2008, pp. 10-12. 23 Ibidem. 13 Michal Hottmar tradotti in tedesco. L’intavolatura da tasto e per liuto del brano indicato in Musica Getutscht sono intesi solo come una dimostrazione delle suddette norme. contiene una gran quantità di materiale che appare in forma stampata per la prima volta, comprese le illustrazioni di strumenti musicali. È organizzato in base a categorie organologiche: intavolatura tedesca da tasto tedesca, intavolatura tedesca per liuto, impugnatura per flauto a becco, con le relative illustrazioni delle posizioni per l’esecuzione. L’autore presenta questo lavoro come un dialogo tra lui e il suo amico Andreas Waldner, meglio conosciuto, nella forma latinizzata, come Andreas Silvanus. Nell’opera Virdung assume il ruolo di musicista esperto, mentre Waldner accetta quello del principiante24 La popolarità dell’opera di Virdung e dalla sua illustrazione ha ispirato una seconda edizione di Musica getutscht durante gli anni 1511-1521 e anche l’edizione di quattro opere simili in altre lingue nel corso degli anni 1517-1529. 25 Virdung divide l’opera in due parti. Innanzitutto illustra gli strumenti musicali e fornisce istruzioni di base per tre strumenti rappresentativi in ordine di precedenza di studio: clavicordo, liuto e flauto a becco. Parte della stampa è una spiegazione dei principi base dell’intavolatura. Suddivide gli strumenti in tre categorie: strumenti ad arco, a fiato e a percussione. Come brano di esercitazione per l’intavolatura, Virdung utilizza una propria canzone sacra adattata a quattro voci. Si tratta di tre responsori mariani: O heylige, onbeflecte, zart iunckfrawschafft marie,26 • OTHMAR LUSCINIUS, Musurgia seu praxis musicae (Strasburgo, Schott, 1536) Nel 1536, anno della morte di Virdung, viene data alla stampa la Musica getutscht in traduzione latina, ma nel pieno rispetto della sua forma originale. L’autore è Othmar Luscinius. L’opera si intitola Musurgia seu praxis musicae. La pubblicazione ha avuto luogo grazie ad Andrea Calvo, editore milanese e libraio.27 L’opera, terminata nel 1518, è stata stampata solo nel 1536 a Strasburgo. Essa consta di 56 pagine che misurano 26 x 36,5 cm. I fogli sono contrassegnati dalle lettere minuscole dell’alfabeto, dalla a fino alla o. Come nel caso precedente, ogni lettera indica un gruppo di fogli contenente tre fogli contrassegnati dalle lettere minuscole arabe (a; a2; a3). La prima parte di quest’opera a stampa è una libera traduzione di Musica getutscht di Virdung. Contiene una classificazione degli strumenti e gli stessi esempi musicali di Virdung, nella notazione mensurale e nella intavolatura organistica tedesca. La seconda parte consiste nell’insegnamento della composizione e in una disputa sulle tecniche più antiche.28 Tra gli elementi di Musica getutscht che Luscinius ha mantenuto come base per il suo trattato ci sono i metodi di insegnamento originali, in particolare la conversazione virtuale tra le stesse persone, Sebastian e Andreas.29 Luscinius utilizza le stesse illustrazioni che appaiono già nel 1511, ad eccezione di alcune non ritenute coerenti con la sua 24 Ibidem. Martin Agricola nel 1545 pubblica in latino la versione estesa dell’opera dal titolo Musica instrumentalis deudsch (Wittenberg, 1529). Dit is een Schoon Boecxeken in fiammingo di autore anonimo degli anni 1528, 1554 e 1568. Gli ultimi due esemplari sono ancor oggi conservati. Musica instrumentalis deudsch è la versione popolare, in forma di versi, dei consigli musicali di Virdung. Il contributo alla musica per liuto di Agricola consiste nell’introduzione di una nuova forma di intavolatura per liuto. L’ultima è una traduzione anonima dal francese di altre opere citate Livre tres plaisant et utile del 1529; cfr. B. BULLARD, Musica getutscht. A Treatise on musical Instruments by Sebastian Virdung, «Cambridge Musical Texts and Monographs», New York, Cambridge University Press, 1993, p. 275. 26 Anche se il brano non è elencato nella descrizione del volume, Brown, Instrumental Music, cit., p. 536, lo 25 assegna all’anno 1511, come l’opera di Virdung dello stesso anno. 27 Cfr. B. BULLARD, Musica getutscht, cit., p. 61. 28 Cfr. H. M. BROWN, Instrumental Music, cit., p. 47. 29 Bullard sostiene che Luscinius sta considerando il dialogo tra lui e il suo buon amico Bartolomew Stoffler. Cfr. B. BULLARD, Musica getutscht, cit., p. 62. 14 Cultura liutistica in Slovacchia tra XVI e XVII secolo idea.30 La convinzione è che per le persone sia opportuno familiarizzarsi con i nuovi strumenti musicali tedeschi per mezzo di illustrazioni e che essi vadano quindi classificati in categorie strumentali. Il sistema di classificazione è lo stesso suggerito da Virdung. zione con le minuscole, utilizzando lo stesso metodo per contrassegnarli. In questo caso per lo studio dell’opera ci si è serviti dell’originale e della ristampa anastatica pubblicata a Ginevra nel 1977.31 I brani presenti in quest’opera sono notati in intavolatura tedesca e in notazione mensurale. Come indica il titolo completo, si tratta di una collezione di brani per liuto e viola da gamba, che rappresenta una versione ampliata di una precedente edizione dal 1532. 32 Titolo e introduzione sono stampati con lo stesso tipo di scrittura e ripresi da precedenti edizioni.33 La raccolta comprende 9 canzoni tedesche, 36 passamezzi, 36 chansons francesi e 2 mottetti. Il libro è stato stampato nel maggio 1546 a Norimberga dal tipografo tedesco Hieronym Vorschneider.34 Gerle ha diviso la raccolta in quattro parti suddivise in capitoli. Nella prima parte troviamo le indicazioni su come suonare la viola da gamba,35 con le spiegazioni di notazione di intavolatura tedesca per questo strumento. Si prosegue con brani per quattro viole da gamba di compositori tedeschi come Thomas Stoltzer, Georg Forster, Ludwig Senfl e altri. Parte importante della raccolta sono altresì le canzoni di autori francesi di chansons: Claudin de Sermisy, Rogier Pathie e altri. L’opera Elsslein liebes Elsslein di Ludwig Senfl è tratta dalla raccolta di Gerle del 1532. 36 Questa composizione, nell’adattamento per liuto, si trova anche nella raccolta di Hans Newsidler del 1536.37 Il secondo capitolo è dedicato alla spiegazione della notazione mensurale per viola da gamba. In questo capitolo troviamo Fig. 1: HANS GERLE, Musica und Tabulatur, Norimberga, Formschneyder, 1546, frontespizio. • HANS GERLE, Musica und Tabulatur (Norimberga, Formschneyder, 1546) Musica und Tabulatur…, del 1546, è l’opera del liutista e liutaio tedesco Hans Gerle. Il volume, che misura 36 x 20 cm, consiste di 102 fogli. I singoli fogli sono contrassegnati con lettere maiuscole, in ordine alfabetico, in gruppi dalla A alla Z con quattro fogli per ogni lettera. I singoli fogli presentano la serie A; A2; A3. Il quarto foglio non contiene il numero indice 4 ma rimane vuoto. Dopo l’esaurimento della serie di lettere maiuscole segue l’indica- 31 Cfr. H. GERLE, Musica und Tabulatur, Norimberga, 1546 [ristampa anastatica: Ginevra, Minkoff, 1977]. 32 Cfr. H. M. BROWN, Instrumental Music, cit., pp. 4042. 33 Ibidem, a. 15322, a. 15331, a. 15371, a. 15469. 34 Cfr. H. GERLE, Musica und Tabulatur, cit., fol. A. 35 Cfr. M. PRAETORIUS, Syntagma Musicum II, De Organographia, cit.; Cfr. K. MEDNANSKY, Viola da gamba, passato e presente, Prešov, FF PU a Prešov, 2014, p. 163. 36 Cfr. H. M. BROWN, Instrumental Music, cit., p. 41; a. 15469 , fol. D 4v. 37 Ivi, p. 52; a. 15366 , fol. k 3v. 30 Le illustrazioni che Luscinius ha tralasciato sono: lo stemma del vescovo di Strasburg (fol. Av); l’immagine di liuto (fol. B2); il ritratto di un liutista (fol. I2v); i diagrammi degli strumenti a tastiera senza simboli di tabulatura (fol. E3v e E4v); esempi di notazione mensurale (fol. G4-Hv); l’immagine delle mani che utilizzano le corde (fol. H4v); il diagramma dei cori dei liuti (fol. Kv) e le illustrazioni del flauto dolce con i suoi simboli (fol. Nv-N2v). Cfr. O. LUSCINIUS, Musurgia seu praxis, Strasburgo, 1536 [facsimile: Wien, ÖNB, sig. SA. 71. F. 50. (Mus. – S.)]. 15 Michal Hottmar squin Des Prez e il brano Ich klag den tag.44 In quella raccolta di brani Gerle allega materiale contemporaneo di musica profana della prima metà del XVI secolo. brani per quattro musicisti, tra i quali uno di Ludwig Senfl, Mag ich hertz lieb erwerben, facente parte della raccolta di Gerle del 1532. 38 La parte successiva non è ampia come la precedente. Contiene due canzoni di Oswalt Reytter e Caspar Bohem per quattro violini.39 La maggior parte del capitolo è dedicata al liuto. Come le parti precedenti, contiene le istruzioni per suonare il liuto e la spiegazione della notazione musicale in intavolatura tedesca per liuto. Tra i molti brani di autori tedeschi e francesi troviamo Preambel40, simile al Ricercar, fol. 3v, nella raccolta del 1536, di Francesco Canova da Milano. 41 Il brano Ich klag den tag di Thomas Stolzler si presenta in tre forme: 1. nella forma per quattro viole da gamba come parte del primo capitolo; 2. nella forma per quattro violini, nel secondo capitolo; 3. nella forma per liuto come parte dell’ultimo capitolo. La popolarità di questo brano è suggerita dalle concordanze nelle raccolte per liuto di Hans Newsidler. La raccolta del 1536 fornisce due versioni, cui si aggiungono due stampe del 1544.42 Nella parte dedicata al liuto troviamo altri brani della raccolta di Gerle: il brano Ich schwing mein Horn di Ludwig Senfl, originariamente collocato nella prima parte, e Hors de plaisir, del compositore Jean Richafort, anch’esso nella prima parte. Dalla sua raccolta del 1532 Gerle prende quattro brani per liuto: Pacientiu di Thomas Stolzer, Nach Willen dein43 di Paul Hofhaimer, Scaramellu, di Jo- • JEAN BAPTISTE BESARD, Thesaurus harmonicus (Colonia, Greuenbruch, 1603) Una importante fonte a stampa della musica per liuto in Slovacchia all’inizio del XVII secolo è il Thesaurus harmonicus (Colonia, 1603), del redattore e autore Jean Baptiste Besard. Dalla letteratura disponibile45 sappiamo che al documento manca il frontespizio. L’originale dell’opera è attualmente custodito nella cantoria della Chiesa evangelica della Confessione di Augusta a Levoca, in raccoglitori cartonati di colore beige con la segnatura 5157.46 Una copia in microfilm è invece conservata negli archivi UHV SAS a Bratislava (segnatura B 59). Questa stampa di musica per liuto è indicata anche in RISM con la segnatura B/I/1 1603.15 L’ultimo foglio contiene un timbro a data «Löcsei 1885».47 Le dimensioni della stampa sono 21 x 31 cm. Sulla prima pagina mancante, secondo la ristampa dal 1975 48, che abbiamo 44 Cfr. H. M. BROWN, Instrumental Music, cit., pp. 40- 42. 45 Cfr. R. RYBARIC, Dejiny hudobnej kultúry, cit., p. 88; P. KIRALY, A lantjáték Magyarországon a XV. Századtol, cit., p. 67; cfr. M. HULKOVÁ, Zhody a odlišnosti Bardejovskej, cit., p. 158. 46 Come indicato da Hulková, si tratta di una nuova segnatura che rinumera la segnatura originale 7A: M. HULKOVÁ, Rukopisné hlasové zošity, cit., p. 204. 47 Il testo completo con la data è il seguente: «A löcsei ág. h. ev egyház 1885 könyvtára». Come riporta Hulkova, L. Weszter, concittadino di Levoca e medico militare in pensione, ha usato probabilmente il timbro rotondo. Weszter, che ha assunto la funzione di bibliotecario nel 1880, ha grande merito nella formazione del fondo della biblioteca, che ha arricchito con rari libri nazionali e stranieri, documenti e stampe soprattutto del periodo della riforma. Questi rari documenti rari sono stati il frutto di una ricerca sistematica anche nelle soffitte delle case di Levoca e nei paesi limitrofi: Cfr. M. HULKOVÁ, Rukopisné hlasové zošity Levočskej zbierky hudobnín, cit., p. 205. 48 Come dice Spencer, la ristampa contiene per la prima volta il catalogo completo dei brani, dei compositori e delle canzoni. R SPENCER, Lute facsimile, «Early Music», XXII, 1994, pp. 335-36. 38 Ivi, p. 41; a. 15469, fol. G 3v. Il termine tedesco per violino – geyge e klein – nella lingua slovacca si traduce come ‘piccolo’, quindi possiamo concludere che il termine ‘kleingeyge’ designa un violino. Ciò è anche suggerito da una rappresentazione dello strumento della raccolta di Gerle. Cfr. H. M. BROWN, Instrumental Music, cit., 15469; cfr. K. MEDNANSKY, Viola da gamba, cit., p. 84. 40 Cfr. H. GERLE, Musica und Tabulatur, cit., fol. aIv. 41 FRANCESCO CANOVA DA MILANO, Intabulatura di liuto de diversi…, , cfr. H. M. BROWN, Instrumental Music, a. 15363, cit., pp. 46-47. 42 Ivi, 15366, fol. kI, fol. d3v, 15441, fol. CIv , 15442, fol. D3. 43 Cfr. H. GERLE, Musica und Tabulatur, fol. N. 39 16 Cultura liutistica in Slovacchia tra XVI e XVII secolo te Society51, della biblioteca digitale52 “Petrucci” e di altri. Le illustrazioni presenti in questo contributo sono copie di esemplari che si trovano negli archivi della Biblioteca Nazionale Austriaca53 e del Coro della chiesa Ecav a Levoca.54 Confrontando i metodi per liuto siamo partiti dall’analisi del contenuto e dell’ampiezza dei vari compendi. Così possiamo eseguire un’analisi su tre manuali di epoche molto diverse: l’inizio del XVI secolo, usato come edizione di riferimento, si trovava il frontespizio con il seguente testo latino: Thesaurus harmonicus Divini Laurencini Romani necnon praestantissimorum musicorum qui hoc saeculo in diversis orbis partibus excellunt selectissima omnis generis cantus in testudine modulamina continens.49 L’opera è divisa in una sezione di testo e in dieci libri di brani, in cui ciascuna contiene un diverso tipo di musica. Il frontespizio contiene il testo con cui l’autore attira l’attenzione sull’appendice alla fine della stampa, dove tratta di come imparare a suonare il liuto (De Modo). L’autore dell’appendice è Besard.50 Alla fine di quella pagina c’è l’informazione di come l’opera sia stata stampata a Colonia nel 1603 da G. Grevenbruch a spese dell’autore. I compendi per liuto: un’analisi comparativa Come abbiamo detto in precedenza, nella Slovacchia del XVI e all’inizio del XVII secolo sono stati in uso tre manuali per liuto. A Levoca era importante il libro di Besard De Modo (1603), mentre a Banská Bystrica venivano usati Musica Getutscht di Virdung (1511), Musurgia seu praxis musicae di Luscinius (1537) e Musica und Tabulatur di Gerle (1546). Dato che il capitolo per liuto nel lavoro di Luscinius è completamente derivato da Musica getutscht di Virdung, possiamo conseguentemente ridurre a tre il numero dei compendi per liuto usati in questo periodo in territorio slovacco. In questo confronto i manuali di liuto sono classificati in base al contesto cronologico e messi a confronto con i più importanti compendi del periodo. Dei molti testi didattici per liuto abbiamo selezionato quelli disponibili online in forma digitale, nel sito della American Lu- Fig. 2: JEAN BAPTISTE BESARD, Thesaurus harmonicus, Colonia, Greuenbruch, 1603, frontespizio. 51 Cfr. http://www.cs.dartmouth.edu/~lsa/links/ Digital-Facsimiles.html#Renaissance. 52 Cfr. http://imslp.org/. 53 Cfr. Österreichische Nationalbibliothek online: <http://www.onb.ac.at/ev/collections/music/music_h oldings.htm>. 54 J. B. BESARD, Thesaurus harmonicus, Colonia, 1603, sig. 5157. 49 «Il tesoro musicale del divino Lorenzino di Roma e anche dei grandi musicisti che eccellono in questo secolo in diversi parti del mondo, contenente i brani più pregiati e tutti i tipi di canzoni». 50 Parte dell’antologia di Besard è il libro per liuto chiamato De Modo. 17 Michal Hottmar Fig. 3: Incisione da SEBASTIAN VIRDUNG, Musica getuscht, Basilea, Furter, 1511. se spiega il tempo, la metrica, l’impugnatura dello strumento, il numero di capitoli del libro, in quale lingua è scritto e se si tratta di una forma dialogica o di un’esposizione trattatistica. Come materiale comparativo abbiamo usato i seguenti libri di liuto: FRANCESCO SPINACINO, Intabulatura de lauto, Libro primo (Venezia, Petrucci, 1507a); JOAN AMBROSIO DALZA, Intabulatura de lauto libri quatro (Venezia, Petrucci, 1508); SEBASTIAN VIRDUNG, Musica getutscht (Basilea, Furter, 1511); VINCENZO CAPIROLA, Intabulatura de lauto (ms., c. 1517), HANS JUDENKÜNIG, Ain schone kunstliche… auff der Lautten und Geygen (Vienna, Singriener, 1523); PIERRE ATTAINGNANT, Tres breve et familiere introduction… reduictes en la tabulature du lutz (Paris, Attaingnant, 1529); OTTOMAR LUSCINIUS, Musurgia seu praxis musicae (Strassburg, 1536); HANS NEWSIDLER, Das erste Buch (Norimberga, 1544); HANS GERLE, Musica und Tabulatur (Nürnberg, Formschneyder, 1546); ADRIAN LE ROY, A briefe and easye instru[c]tion to learne the tablature (London, Rowbotham, la metà del XVI secolo, l’inizio del XVII secolo.55 Analizziamo così più aspetti dei manuali per liuto, registrandone le analogie e le differenze. In primo luogo, i metodi per liuto differiscono in base all’impostazione. Altri criteri che abbiamo considerato sono la nazionalità dell’autore, il luogo di pubblicazione, il tipo di intavolatura, l’accordatura del liuto; altro criterio preso in considerazione è se l’autore ha indicato i titoli, il numero di liuti e il numero di tasti. Abbiamo analizzato se l’autore ha fatto attenzione alla problematica della mano destra e sinistra, così come alla diteggiatura. Utilizzando la comparazione abbiamo osservato se l’autore fornisce spiegazioni dei caratteri speciali ritmici, degli abbellimenti melodici, dei segni di intavolatura. Un aspetto importante della ricerca comparativa è consistita nell’analizzare quali brani polifonici l’autore indica come esempio per l’esercitazione; 55 Il libro di Besard è stato concepito nel XVI secolo. 18 Cultura liutistica in Slovacchia tra XVI e XVII secolo 1568); WILLIAM BARLEY, A New Booke of Tabliture (London, Barley, 1596); JEAN BAPTISTE BESARD, Thesaurus harmonicus. De Modo (Colonia, Greuenbruch, 1603); THOMAS ROBINSON, The school of Music (London, 1603); ROBERT DOWLAND, Varietie of lutelessons (London, 1610b); LEOPOLD FUHRMANN, Testudinogallo-germanicus (Nürnberg, 1615). tà in G. C’è differenza anche tra i manuali tedeschi, dove Virdung e Gerle presentano una terminologia diversa nei nomi dei singoli cori.57 Virdung chiama chanterelle il primo coro, indicato con il numero 6, mentre Gerle indica con il numero 6 il coro più grave, Grossebomhart. Besard non usa denominazioni per i singoli cori. Virdung e Gerle usano l’accordatura in ottava dei tre cori più gravi o la corda semplice, altri cori sono accordati all’unisono. Nella stampa di Virdung troviamo il consiglio di usare il liuto a sei cori, Besard invece consiglia il liuto a dieci cori, che deriva dallo sviluppo di composizioni musicali che esigevano estensioni verso toni più gravi. Nel caso del libro didattico di Thomas Robinson (1603) si consiglia di utilizzare il liuto a sette-cori, il liuto a dieci-cori è indicato da Fuhrmann (1615) e Robert Dowland. Gerle nel suo libro didattico non dà indicazioni circa la scelta di liuto. Virdung non presenta, nella prima metà del XVI secolo, la tecnica della mano sinistra, contrariamente a Capirola (1517), Judenkünig (1523) e Attaignant (1529). Besard fa particolarmente attenzione alla questione dei tasti della I, II e III posizione della tastiera, corrispondenti ai segni b, c, e d della intavolatura francese per liuto. Solo Gerle e Besard elaborano e spiegano la tecnica della mano destra in tutti i libri usati nel territorio attuale della Slovacchia. È interessante sapere che Virdung non dà importanza alla spiegazione del suo uso corretto. Quasi tutti i libri di liuto fanno riferimento alla questione precedente. 58 Gerle spiega l’uso del indice, del medio, dell’anulare e del mignolo. Si occupa anche della diteggiatura a due o tre voci. Besard si dedica anche alla problematica della mano destra, in dettaglio descrive la sua impostazione relativamente al ponticello, Fig. 4: HANS JUDENKÜNIG, Ain schone kunstliche... auff der Lautten und Geygen, Vienna, Singriener, 1523, frontespizio. La forma di dialogo tra insegnante e allievo è presente, fra tutti i libri didattici utilizzati nel territorio della Slovacchia, unicamente nel libro di Virdung. I libri di Gerle e Besard sono concepiti in forma di spiegazione, e utilizzano esempi per chiarire i vari problemi tecnici. Allo stesso modo, la maggior parte di libri per liuto che abbiamo selezionato è concepita in forma esplicativa.56 Nel caso di Virdung, troviamo l’accordatura del liuto in A, mentre Gerle e Besard utilizzano la tonali56 57 Virdung indica così i nomi dei cori: 1. Grosseprumer; 2. Mitterprumer; 3. Kleineprumer; 4. GrossSancksite; 5. MitterSancksite; 6. Quintsait. Gerle dà i nomi seguenti: 6. Grossebomhart; 5. Mittelbomhart; 4. Kleinbomhart; 3. Mittelseitten; 2. Gesangseitten; 1. Ringseitten. 58 Vedi Appendice, tabelle di confronto. Vedi Appendice, tabelle di confronto. 19 Michal Hottmar all’utilizzo del pollice e delle dita durante l’esecuzione di intervalli, accordi, arpeggi. Gerle indica che i toni singoli vengono eseguiti prima con il pollice e poi con l’in- Fig. 5: VINCENZO CAPIROLA, La vilanela, da Compositione di meser Vincenzo Capirola, ms., c. 1517, Chicago, Newberry Library, Case MS VM 140.C25 (VAULT), f. 5r. simo di tre voci mentre Besard usa fino a sei voci.59 La problematica connessa con l’interpretazione del tempo e del metro emerge invece nei compendi di Hans Judenküig (1523), Gerle Robinson (1603) e Besard. L’ultimo parametro considerato è stata l’ampiezza e la struttura dei compendi. Le analogie e le differenze dei compendi per liuto sono presentate oltre, nelle tabelle comparative. dice (battere e levare). Durante l’esecuzione di tre voci consiglia di utilizzare il dito medio. La spiegazione dei segni ritmici, nei compendi ‘slovacchi’, è presente solo in Gerle. Questo problema non è affrontato né da Ottomar Luscinius (1536), né da Hans Newsidler (1544) e neppure da Besard. Tutti e tre i compendi utilizzati nel territorio attuale della Slovacchia in quel periodo riportano esempi di notazione per spiegare la problematica similmente alle altre scuole europee di liuto. Besard riporta un consiglio per lo studio e l’esercizio degli abbellimenti, già presenti in Capirola (1517), che prevede simboli speciali per l’interpretazione degli abbellimenti stessi. Come criterio per i confronti abbiamo preso informazioni non direttamente connesse all’interpretazione ma inerenti l’aspetto pedagogico. Questo criterio è intitolato «capitolo speciale». In questo caso esso è presente solo nella stampa di Capirola (1517), Gerle e Besard. Per quanto riguarda il numero massimo di voci nel repertorio dei singoli libri, Virdung include un brano a quattro voci, Gerle indica un mas- Fig. 6: WILLIAM BARLEY, A new Booke of Tabliture, Londra, Barley, 1596, frontespizio. 59 20 Vedi Appendice, tabelle di confronto. 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Fig. 8: PIERRE ATTAINGNANT, Tres breve et familiere introduction, Parigi, Attaingnant, 1529. 23 Appendice Compendi per liuto dell’inizio del XVI secolo Collezione di intavolatura per liuto SPINACINO, FRANCESCO, Intabulatura de lauto, libro primo Venezia, Petrucci, 1507 DALZA, JOAN AMBROSIO, Intabulatura de lauto libri quatro, Venezia, Petrucci, 1508 VIRDUNG, SEBASTIAN, Musica getutscht, Basilea, 1511 CAPIROLA, VINCENZO, Intabulatura de lauto, ms., 1517c. JUDENKÜNIG, HANS, Ain schone kunstliche… auff der Lautten und Geygen, Vienna, Singriener, 1523 Paese Tipo di intavolatura Accordatura del liuto Nomi dei cori Numero degli ordini Numero dei tasti Mano destra Mano sinistra (diteggiatura) Spiegazione dei segni ritmici Spiegazione degli abbellimenti Spiegazione dei segni di intavolatura Capitolo speciale Stesura delle composizioni Tempo, metrica Impugnatura dello strumento Numero di capitoli Lingua Forma Italia italiana Italia italiana Germania tedesca Italia italiana Germania tedesca ATTAINGNANT, PIERRE, Tres breve et familiere introduction… reduictes en la tabulature du lutz, Parigi, Attaingnant 1529 Francia francese sì sì sì sì sì sì no 6 no 6 sì 6 sì 6 no 6 no 6 12 12 7 no no 9 sì no sì no no no sì sì sì sì sì sì sì sì no sì sì sì sì sì no sì sì no sì sì sì sì sì sì no no no sì no no 2-4 voci 2-3 voci 4 voci 2-4 voci 2-3 voci 2-4 voci no no no no no no no no sì no no no 1 1 3 3 3 4 italianalatina interpretazione italiana interpretazione tedesca dialogo italiana interpretazione tedesca interpretazione francese interpretazione Compendi per liuto della metà del XVI secolo Collezione di intavolatura per liuto LUSCINIUS, OTTOMAR, Musurgia seu praxis musicae, Strasburgo, Schott, 1536 Paese Tipo di intavolatura Accordatura del liuto GERLE, HANS, Musica und Tabulatur, Norimberga, 1546 Germania tedesca NEWSIDLER, HANS, Das erste Buch, Norimberga, 1544 Germania tedesca Germania tedesca LE ROY, ADRIAN, A briefe and easye instru[c]tion to learne the tablature, Londra, Rowbotham, 1568 Francia tedesca sì sì sì sì 24 Cultura liutistica in Slovacchia tra XVI e XVII secolo Nomi dei cori Numero degli ordini Numero dei tasti Mano destra Mano sinistra Spiegazione dei segni ritmici Spiegazione degli abbellimenti Capitolo speciale Stesura delle composizioni Tempo, metrica Impugnatura dello strumento Numero di capitoli Lingua Forma sì no sì no 6 6 no 6 7 no no 9 no no sì no sì sì no no no no sì sì no no no no no no sì nie 4 voci 4 voci 1-3 voci 4 voci no no sì no no no no no 3 2 5 4 latina dialogo tedesca interpretazione tedesca interpretazione francese interpretazione Compendi per liuto pubblicati tra fine XVI e inizio XVII secolo Collezione di intavolatura per liuto BARLEY, WILLIAM, A New Booke of Tabliture, London, Barley, 1596 BESARD, JEAN BAPTISTE, Thesaurus harmonicus. De Modo, Cologne, 1603 ROBINSON, THOMAS, The school of Music, London, 1603 LEOPOLD FUHRMANN, Testudino gallo–germanicus, Norimberga, 1615 DOWLAND, ROBERT, Varietie of lute-lessons, London, Adams, 1610 Paese Tipo di intavolatura Accordatura del liuto Nome dei cori Numero degli ordini Numero dei tasti Mano destra Mano sinistra Spiegazione dei segni ritmici Spiegazione degli abbellimenti Capitolo speciale Stesura delle composizioni Inghilterra francese Francia francese Inghilterra francese Germania francese Inghilterra francese sì sì sì sì sì sì no sì no no 6 9 7 10 10 8 no 9 no no sì sì sì sì sì no sì sì sì no no sì sì sì no no no no no no sì sì sì no sì 4 voci 1-6 voci 1-6 voci 1-6 voci 1-6 voci 25 Michal Hottmar Tempo, metrica Impugnatura dello strumento Numero di capitoli Lingua no sì sì no sì no sì sì no sì 24 7 19 1 7 inglese latina inglese tedesca inglese Forma interpretazione interpretazione dialogo interpretazione interpretazione Fig. 9: OTHMAR LUSCINIUS, Musurgia seu praxis musicae, Strasburgo, Schott, 1536, frontespizio. 26 I duetti francesi per liuti barocchi nel XVII secolo di Jean-Marie Poirier Questo titolo, molto generico, richiede evidentemente qualche chiarimento. Tenterò in questo articolo di definire più precisamente ciascuno dei temini che lo compongono e di offrire così un panorama di quel che rende tanto particolare questo repertorio quasi sconosciuto. I duetti per liuti barocchi Curiosamente, per la seconda metà del XVII secolo, quelli che vengono chiamati ‘duetti’ di liuti non erano veramente tali, ma, in generale, pezzi concepiti come solistici ai quali era stata associata, per lo più da un musicista diverso, una seconda parte, o ‘controparte’, che consentisse a un altro liuto di suonare assieme. Si tratta di una parte aggiunta definita normalmente contrepartie. Se ci si riferisce al Dictionnaire universel di Furetière,1 pubblicato postumo nel 1690, si trova la seguente definizione per il termine contrepartie: «Termine che definisce, in Musica, ciascuna di due parti in opposizione. La parte superiore e il basso sono due contreparties». (Fig. 1) Fig. 1: A. FURETIÈRE, Dictionnaire Universel, La Haye et Rotterdam, Arnout et Reinier Leers, 1690, Tome 1, s.p. Da questa definizione risulta dunque chiaro come il termine indichi due parti complementari in una medesima composizione. 1 A. FURETIÈRE, Dictionnaire universel, La Haye et Rotterdam, Arnout et Reinier Leers, 1690, Tome 1, s.p. La consuetudine di aggiungere una seconda parte a un brano preesistente non era certo nuova. Già nel XVI secolo si trovano esempi di questa prassi, alcuni dei quali hanno avuto il riconoscimento della stampa: le parti per il secondo liuto scritte da Johannes Matelart su alcune fantasie o ricercari di Francesco da Milano non son altro che delle contrepartie, con il vantaggio, in questo caso, di conoscere i nomi di entrambi i musicisti, cosa che difficilmente accade per i duetti barocchi. Altro esempio di questa prassi si incontra tra le composizioni attribuite a John Dowland. My Lord Willoughby’s Welcome Home compariva come ‘solo’ nel manoscritto Folger (c. 1590), mentre la parte complementare è contenuta nel Sampson (precedentemente Tollemache) Lute Book (c. 1609). 2 Questa controparte è stata veramente composta da Dowland? Impossibile dirlo con certezza. In ogni caso, contrariamente a quanto accade per quelli rinascimentali, nessun duetto barocco è stato stampato e quelli a noi pervenuti si sono conservati solo in forma manoscritta. Esiste un esiguo numero di duetti che sembrerebbe essere stato composto dallo stesso autore, ma questa non è certo la regola. Per esempio i pezzi a due liuti di Johann Gumprecht, liutista di Strasburgo, e Jean (John) Mercure, conservati presso la Biblioteca Jagiellońska di Cracovia, 3 formano un piccolo volume di nove pagine scritte da una sola mano e si presentano su pagine consecutive. Lo stesso accade per i 2 3 Ms. 602, Londra, Royal Academy of Music. Mus. ms. 40637, Cracovia, Biblioteka Jagiellońska. Jean-Marie Poirier Fig. 2: T. MACE, Musick’s Monument, London, T. Ratcliffe and N. Thompson, G.B. 1676, p. 121. duetti, certamente copiati a Roma da Julien Blovin, che si trovano alla fine del V volume della Collezione Goëss di Schloss Ebenthal,4 tra i quali figura la bella suite in do minore di François Dufaut ; e, ancora, per i sette duetti copiati su pagine consecutive nel manoscritto svedese Kalmar 21072.5 Altra testimonianza interessante da aggiungere a questa casistica è quella che si incontra in Thomas Mace. Il suo trattato Musick’s Monument, pubblicato a Londra nel 1676, è una fonte preziosa, soprattutto se si tiene presente che Mace ci informa su pratiche musicali generalmente ben più antiche della pubblicazione del suo scritto. A p. 125 leggiamo: Uno dei miei allievi ha espresso il desiderio che io realizzassi una seconda parte per poter suonare contemporaneamente My Mistress (che compare alla p. 121) su un altro liuto: ho quindi composto il brano seguente che è concepito in modo da essere suonato sia in duetto (col brano precedente, su un secondo liuto uguale) che in ‘solo’, ed è spesso chiamato seconda parte o parte per My Mistress. Eccolo. (Fig. 3) Quando suonerete questo brano dovrete far attenzione soprattutto a due cose. La prima, se lo suonerete in duetto, […] è che le due ultime note della quarta misura e le tre prime della quinta possono non essere suonate (quel che diciamo fare una pausa) poiché sono esattemente le stesse note che compaiono, nella stessa posizione, nel brano precedente; infatti, benché il suonarle non provochi dissonanza, non è considerato bello suonare parti uguali su due strumenti diversi, in un duetto. Ma se questo brano è suonato come un ‘solo’, le stesse note sono giuste e conformi allo spirito di quel passaggio, visto che si riferiscono all’imitazione delle due misure successive. Quando lo si esegue come parte aggiunta all’altro liuto conviene però non suonare quelle cinque note (mentre le suona l’altro liuto) in modo che i due 4 Schloss Ebenthal, Graf Goëss’sche PrimogeniturFideikommiss-Bibliothek. 5 Ms 21072, Kalmar, Läns Museum, Svezia. 28 I duetti francesi per liuti barocchi nel XVII secolo Fig. 3: T. MACE, Musick’s Monument, London, T. Ratcliffe and N. Thompson, 1676, pag. 125. liuti si rispondano rendendo con maggior comple- tezza il medesimo spirito.6 29 Jean-Marie Poirier Poiché le diverse parti che ci permettono ricostruire i duetti sono spesso sparse in fonti talvolta molto distanti tra loro, non mi sembra inutile stilare una lista, beninteso non esaustiva, delle fonti che rendono possibile una simile ricostruzione. Questo sarà oggetto di un’appendice in coda all’articolo. Questo passo sottolinea diverse cose interessanti: era considerato normale aggiungere una parte supplementare a un ‘solo’ preesistente e, altro elemento più tecnico, in alcuni momenti era possibile omettere qualche nota per evitare di raddoppiare le voci. La possibilità di suonare la controparte come un ‘solo’ solleva anche una serie di domande riguardanti le numerose controparti esistenti. In effetti alcune potrebbero benissimo essere suonate ‘a solo’ come sostiene Mace. Quindi è interessante valutare se le raccomandazioni di Mace possano essere applicate a un repertorio più ampio. Una volta stabilito questo principio circa la composizione di una controparte, si è di fronte al problema della ricostruzione dei duetti i cui elementi siano sparsi in diversi manoscritti. Esiste un esempio notevole e unico di manoscritto interamente dedicato a delle controparti. Precedentemente conservato a Danzica, Stadtbibliothek MS 4230, si tratta del manoscritto che è ora in possesso della Deutsche Staatsbiliothek, Preußischer Kulturbesitz a Berlino, Germania, dove conserva la stessa segnatura. Questo voluminoso codice comprende novantatre brani distribuiti su novantasette fogli (ben centonovantaquattro pagine) tra i quali alcune controparti per liuti (barocchi) dispari, ovvero accordati ad altezze differenti.7 Liuti barocchi francesi Anche il concetto di liuto ‘francese’ ha bisogno di essere chiarito. Infatti la stragrande maggioranza delle controparti non si trova in fonti francesi, eppure i duetti risultanti dalla loro combinazione con un’altra parte meritano comunque la qualifica di duetti francesi. vedremo il perché più avanti. Il più antico esempio di duetto per liuti barocchi con contrepartie viene dall’Inghilterra. Negli anni ‘30 del XVI secolo William Lawes compose infatti una seconda parte per liuto su un’alemanda di René Mésangeau (vedi, a Fig. 4, l’inizio del brano). Questa Alemande era stata pubblicata a Parigi, da Ballard, nel 1638 e compare in un certo numero di fonti manoscritte in Gran Bretagna. Mesangeau era stato in Inghilterra nel 1631 e sembra abbia goduto di una certa notorietà, ivi come in Scozia. Probabilmente è per questa ragione che si trovano oltre Manica diverse fonti manoscritte in cui sono copiate alcune delle sue composizioni, talvolta direttamente di sua mano. Mésangeau morì nel 1638 e la controparte di Lawes è databile a questo periodo, non oltre il 1640. Ci sono due Corants che seguono questa Almande, formando così una breve suite, ma potrebbero essere state composte interamente da 6 T. MACE, Musick’s Monument, London, Ratcliffe e Thompson, 1676, pp. 121-125. 7 Il manoscritto in questione è disponibile on-line sul sito estremamente utile di Peter Steur et Markus Lutz. Grazie alle concordanze che vi si trovano indicate è possibile identificare e ricostruire più di sessanta duetti partendo da questa sola fonte. Va qui sottolineato il notevole lavoro compiuto da Peter Steur, che ha inserito in un database la maggior parte dei manoscritti per liuto barocco, con un gran numero di concordanze, come pure da Markus Lutz, responsabile della pubblicazione sul web ma anche di numerose concordanze. Il loro sito (http://mss.slweiss.de) è una vera miniera ed è servito come base per questa ricerca e per l’elaborazione del programma a due liuti barocchi con Thierry Meunier. Con l’aiuto di questo sito web, e grazie al crescente numero di fonti disponibili on-line, possiamo ora farci un’idea più precisa della letteratura per due liuti in epoca barocca. Parimenti vanno qui ringraziati coloro che hanno fornito concordanze, incipit, idee e anche alcune edizioni. In ordine alfabetico citerei Richard Civiol, Tim Crawford, Christoph Dalitz, François-Pierre Goy, Peter Rauscher, Andreas Schlegel e Arto Wikla. I loro contributi vari e preziosi hanno reso più accessibile questo particolare repertorio. 30 I duetti francesi per liuti barocchi nel XVII secolo Fig. 4: Ms. Mus. Sch. B2, Oxford, Bodleian Library, p. 86. Lawes. Questi brani sono scritti per due liuti a dodici cori (il cosiddetto French lute) accordati in uno di quegli accord nouveau che conobbero all’epoca un grande successo, prima che si imponesse l’accordatura in re minore, che diventerà a quel punto ordinaire. Le fonti conservate in Francia che contengono duetti o controparti sono veramente poche. Posso citare solo tre manoscritti che includano brani per due liuti: - il celebre manoscritto Vaudry de Saizenay, attualmente conservato a Besançon,8 che riporta tre duetti (parti e controparti) e circa quattordici brani ‘a solo’ per i quali esiste altrove una controparte; - un altro manoscritto che si trova a Aix-en-Provence9 e che racchiude tre duetti e quattro ‘a solo’ la cui controparte è stata riconosciuta in altre fonti; - infine il ms. 675 di Parigi,10 che include un duetto sulle Folies d’Espagne. La pratica di aggiungere una controparte a un brano esistente sembra fosse molto popolare nei paesi germanici, in quelli del nord Europa e dell’Europa orientale : la maggior parte dei manoscritti che includono controparti proviene infatti da Germania, Austria, Polonia, Svezia e dall’attuale Repubblica Ceca. Questi paesi coprono un’area in cui, nel XVII secolo, la cultura francese era dominante e in cui l’elite riceveva un’educazione che comprendeva l’insegnamento e la pratica della lingua francese. Alcuni musicisti appartenenti a questa cerchia erano immigrati o rifugiati religiosi come, per esempio, Philipp Franz Lesage de Richée, che probabilmente ebbe Charles Mouton come insegnante e che cita Dufaut in alcuni dei suoi brani. Una comunicazione di Tim Crawford, nell’ambito del seminario Luth et Luthistes en Occident tenutosi a Parigi nel 1998 e intitolato The historical importance of François Dufaut and his influence outside France11 mostra chiaramente l’importanza dell’influenza francese in tutti i paesi di lingua tedesca, ben oltre il XVII secolo. Liutisti come Johann Anton Losy, a Praga, adottarono lo stile francese e lo fecero proprio, ma al contempo contribuirono anche all’evoluzione dello style brisé (segno distintivo della maniera francese) verso una struttura molto più segnata dall’opposizione tra la parte superiore e il basso, che sarebbe diventata la specificità dello stile tedesco del XVIII secolo. L’opposizione tra i due stili è all’origine delle osservazioni poco garbate di Ernst Gottlieb Baron, nella sua opera Untersuchung des Instruments der Lauten, del T. CRAWFORD, The historical importance of François Dufaut and his influence outside France, in Luths et Luthistes en Occident, actes du colloque organisé par la cité de la musique, 13-15 mai 1998, Paris, Cité de La Musique, 1998, pp. 201-216 (disponibile on-line all’indirizzo http://igor.gold.ac.uk/~mas01tc/web/ttc/DufaultWP. html). 11 8 Besançon, Bibliothèque municipale. Ms. 279152 detto ms. Vaudry de Saizenay. 9 Aix-en-Provence, Bibliothèque Municipale (Bibliothèque Méjanes), ms. 17, 10 Parigi, Bibliothèque Nationale, Ms. Vm7 675. 31 Jean-Marie Poirier perché ritengono sia alla moda ribattere gli accordi sul liuto con la mano destra, come sulla chitarra, e si deve continuamente saltellare per dare spirito e vita ai brani. Ho inoltre osservato che considerano poco conveniente utilizzare i bassi nel 1727, a proposito della pratica del liuto in Francia: «Quanto alle caratteristiche dei Francesi, essi cambiano voce troppo spesso, in modo tale che non si riconosce più nemmeno la melodia e, come ho già detto, ci si ritrova poco di ‘cantabile’, soprattutto Fig. 5: E. G. BARON, Untersuchung des Instruments der Lauten, Nürnberg, J. F. Rüdiger, 1727, p. 87. Risulta evidente un divario che separa ormai la supremazia francese, attestabile fino al 1680, mentre poco a poco, a partire dai primi anni del XVIII secolo, l’influenza crescente dei compositori tedeschi inizia a prendere il sopravvento. L’influenza francese è ancora evidente nella raccolta di Le- registro grave, preferendo un registro medio. E non mi riferisco alle semplici melodie che spesso sento. Ci sono comunque dei brani piuttosto ben scritti».12 (Fig. 5) 12 E. G. BARON, Untersuchung des Instruments der Lauten, Nürnberg, Rüdiger, 1727, p. 87. 32 I duetti francesi per liuti barocchi nel XVII secolo ca 60 anni, approssimativamente dal 1640 al 1700. Qui non prenderò in cosiderazione i duetti dell’inizio del secolo composti per l’accordatura vieil ton, escludendo dunque i duetti di Jean-Baptiste Besard stampati nel 1603 e nel 1617. Che io sappia non ci sono altri duetti copiati o pubblicati prima della breve suite che comprende una Alman e due Corant scritti da William Lawes in accordatura Mésangeau (Oxford, Bodleian Library, Mus. Sch. B 2, p. 86, con la dicitura «for 2 Lutes» in alto sulla pagina) e l’Allemande in una delle accordature nuove per bemolle (Flat French Tuning) che si trova alla fine dello Sturt Lute Book (London, British Library, Additional MS 38539, f. 33v). Questi duetti sono scritti per liuti a 12 cori, strumento emblematico della Gran Bretagna spesso chiamato French lute perché la sua invenzione era attribuita al liutista francese Jacques Gaultier (rifugiatosi in Inghilterra dopo aver ucciso un gentiluomo). Benché questo tipo di liuto avesse attraversato la Manica, non era mai stato adottato veramente sul Continente, eccetto che nei Paesi Bassi. Gli esempi più antichi di duetti per liuti barocchi in stile francese si trovano in una fonte francese, che utilizza l’accordatura ordinaria in re minore: il Manoscritto Reynaud conservato nella biblioteca Méjanes di Aix-en-Provence, conosciuto sotto il nome di Livre des vers au luth.15 I brani ‘a solo’ e i tre duetti cominciano all’immagine 103, corrispondente al f. 97 del mano- sage de Richée, Cabinet des Lauten, pubblicata nel 1695, il cui frontespizio può essere letto come un modo per affermare una certa ‘discendenza’ musicale. In esso infatti sono mostrati degli angeli che sollevano una tenda dietro la quale compaiono quattro libri impilati, sulle cui rilegature spiccano i nomi di Mouton, Dufaut e Gaultier; il nome di Losy, liutista boemo, è in posizione particolarmente onorevole, sul quarto volume, in cima alla pila. Emil Vogl, uno dei maggiori conoscitori di Losy, ha scritto che «la sua precisa conoscenza dello style brisé parigino testimonia la sua confidenza con il linguaggio di questo centro dell’arte liutistica dell’epoca. Impossibile però determinare se il suo modello sia stato Charles Mouton, Dufaut o qualche altro allievo di Gaultier».13 Comunque sia, nel 1727, Baron liquida con un’osservazione un po’ sprezzante la scuola liutistica francese con questa dichiarazione priva di ambiguità: «Per quanto riguarda il liuto, i Francesi non hanno fatto molto di notevole. I loro più celebrei maestri sono Gaultier [non si sa quale] che è considerato uno dei primi anche se ha scritto brani per il liuto che usiamo attualmente, oltre a Mouton e Dufaut che hanno seguito la propria inclinazione trascurando l’elemento ‘cantabile’».14 Si può dunque concludere che lo stile francese, o style brisé, sia morto intorno a quegli anni, nel primo quarto del XVIII secolo, per essere definitivamente soppiantato dalla scuola liutistica tedesca emergente e dal suo stile ‘cantabile’, ma questa è un’altra storia. ...nel XVII secolo Di fatto il periodo relativo allo sviluppo della tecnica dalla ‘controparte’ copre cir13 E. VOGL, Johann Anton Losy, Lutenist of Prague in «Journal of the Lute Society of America», XIII, 1980, pp. 58-86. 14 E. G. BARON, Untersuchung des Instruments, cit., p. 85. 15 Questo manoscritto può essere consultato on-line all’indirizzo http://www.e-corpus.org/notices/88279/gallery/. 33 Jean-Marie Poirier Fig. 6: ISAAC LUTTICHUYS, Ritratto di un liutista, c. 1645, Glasgow, Glasgow Art Gallery and Museum. con lo stile di transizione emergente nei paesi germanici del XVIII secolo. scritto che, secondo François-Pierre Goy, sarebbe stato probabilmente copiato tra il 1665 e il 1670. Gli esempi più tardivi provengono dal manoscritto L79 dell’Abbazia di Kremsmünster (Benediktiner-Stift Kremsmünster, Regenterei oder Musikarchiv), in Austria. Verso la metà dei 346 brani di Reusner, Dufaut, Mouton, Gallot e altri, che formano questa imponente raccolta, troviamo due suites complete in Sol maggiore per due liuti. Lo stile si discosta già chiaramente dallo style brisé francese, peraltro ben rappresentato nel manoscritto, per adottare un atteggiamento decisamente più ‘cantabile’, come direbbe Baron. Benché le due suite siano anonime, potrebbero essere state composte da Losy o da un suo allievo o quanto meno presentano affinità Alcune pagine significative A – Manoscritto Raynaud, ms. Rés. 17, Aix-en-Provence, Bibliothèque Méjane: tre parti con le loro controparti, nello stesso manoscritto, ma a diverse pagine di distanza. Questo rende impossibile suonare i duetti direttamente dalla fonte, la qual cosa ci fa pensare che le controparti possano non essere contemporanee delle parti e che non siano state composte dallo stesso liutista. B – Tre brani di Hinrich Niewerth, Allemande, Courante, Sarabande: controparti presenti nel ms. Sloane 2923, Londra, Bristish Library, f. 34, 35 e 36 Le controparti 34 I duetti francesi per liuti barocchi nel XVII secolo sono sulla pagina di destra e quella di si- nistra è rimasta bianca – eccetto il f. 33v – Fig. 7: Courante Narcisse e sua controparte dal Manoscritto Reynaud, Aix-en-Provence, Bibliothèque Municipale (Bibliothèque Méjanes), Ms. Rés. 17. 35 Jean-Marie Poirier Fig. 8: Ms. L 79, Kremsmünster, Benediktiner-Stift Kremsmünster, Regenterei oder Musikarchiv, fine de Allemande, f. 113v-114, come se lo scrivano avesse intenzione di copiare successivamente le parti, ma non l’avesse mai fatto. Le stesse controparti si trovano nel ms. Danzica 4230 citato precedentemente (f. 41v, 42v e 43v) con titoli differenti. L’allemanda è così intitolata: Contrepartie de l’Allemande de Nievert sur le grand connestable Mons. le Comte Wrangel. Le parti del primo liuto che completano queste controparti si trovano in diversi altri manoscritti, come spesso accade in epoca barocca, e questo rende talvolta dif ficile la ricostruzione dei duetti: - Ms. Rés. Vmc 61 (olim: Bibl. Mad. Thibault), Parigi, Bibliothèque Nationale, f. 46v porta l’indicazione: In Venetiis 7 7br 1712. L’allemanda è qui chiamata Le Parnasse Allemande de Nivert; - Ms. G 616, Oxford, Bodleian Library, pp. 2, 4 e 6. - Ms. SA 4060, Berlino, Staatsbibliothek, Preußicher Kulturbesitz, f. 128v per l’allemanda, due versioni della corrente ai ff. 99v e 125, ma manca la sarabanda; - infine, ms. SW1 640, Schwerin, Landesbibliothek Mecklenburg-Vorpommern, Musikaliensammlung, pp. 15 e 16 per l’angélique. 36 I duetti francesi per liuti barocchi nel XVII secolo Fig. 9: Ms. Sloane 2923, Londra, British Library, f. 34 37 Jean-Marie Poirier Fig. 10: Ms. Danzig 4230, Berlino, Staatsbibliothek, Preußicher Kulturbesitz, ff. 41v-42. Fig. 11: Ms. Rés. Vmc 61 (olim: Bibl. Mad. Thibault), Parigi, Bibliothèque Nationale, f. 46v. 38 I duetti francesi per liuti barocchi nel XVII secolo Fig. 12: Ms. G 616, Oxford, Bodleian Library, p. 2. gnante francese di liuto attivo a Roma tra il 1675 e la sua morte, nel 1715. Tim Crawford fa notare che «Maria-Anna von Sizendorff-Erstbrunn (1670-1709) sposò Johann Peter, primo Conte Goëss, a Roma nel 1693, portando con sé molti dei [suoi] manoscritti. Il V volume del Goëss MS fu cominciato da Julien Blovin che vi copiò 16 ‘a solo’ e 12 duetti [...] probabilmente in quegli anni». 16 I duetti sono di Dufaut, Mercure e Dupré. Tutti questi liutisti hanno avuto, prima o poi, contatti con l’Inghilterra. C – sette movimenti dalle suite in Sol minore e in Do maggiore di Johann Gumprech e Jean Mercure, nel manoscritto ms. mus. 40637, Cracovia, Biblioteka Jagiellońska, manoscritto molto ridotto – otto pagine di intavolatura – che contiene solo questi duetti. Le prime e le seconde parti sono scritte su pagine consecutive e possono quindi essere suonate contemporaneamente da due liutisti. D – Due manoscritti contengono duetti copiati su pagine consecutive ma rovesciate, come nei table books elisabettiani e in Besard, il che rende ancora più agevole l’esecuzione simultanea da parte di due liutisti. Un certo Dupré, forse Charles, è detto ‘d’Angleterre’ in due manoscritti (ms. 279152 detto ms. Vaudry de Saizenay, Besançon, Bibliothèque municipale; e ms. Rés. 823, detto ms. Milleran, Parigi, Bibliothèque Nationale). - Goëss Ms. V, ff. 57v-79, Graf Goëss’sche Primogenitur-FideikommissBibliothek, Schloss Ebenthal, facsimile pubblicato da Tree Editions e curato da Tim Crawford. Questa sezione del manoscritto contiene dodici duetti, parti e controparti su pagine consecutive rovesciate. Sono stati copiati da Julien Blovin, inse- 16 39 CRAWFORD, The Historical Importance, cit., p. 211. Jean-Marie Poirier Fig. 13: Ms. SA 4060, Berlino, Staatsbibliothek, Preußischer Kulturbesitz, ff. 128v-129. Jean Mercure, conosciuto anche come ‘John’ Mercure, rientrò a Parigi, dopo una carriera alla corte d’Inghilterra, nel momento in cui scoppiava la guerra civile del 1642; dopo il suo ritorno in Francia ebbe allievi inglesi tra cui John Evelyn, che mentre era a Parigi annotò nel suo diario: «3 Marzo 1647, Monsieur Mercure ha in- cominciato a insegnarmi il liuto, senza pervenire a una gran perfezione […]».17 - Ms. L 79, f. 114 / 119, Kremsmünster, Benediktiner-Stift Kremsmünster, Regen- 17 J. EVELYN, The Diary, edito da W. Bray, Esq., London, Gibbings, 1890, p. 195. Testo originale: «1647, March 3, Monsieur Mercure began to teach me on the lute, tho’ to small perfection». 40 I duetti francesi per liuti barocchi nel XVII secolo terei oder Musikarchiv, due suite anonime in Sol maggiore, composte in uno stile più vicino al ‘cantabile’ caro a Baron, che ricorda più Losy che Gaultier. Lo stesso manoscritto contiene un gran numero di brani per liuto solo di Reusner, Gallot, Mouton, Dufaut, dei Gaultier e altri liutisti della generazione dello style brisé. Fig. 14: Ms. mus. 40637, Cracovia, Biblioteka Jagiellońska, ff. 4v-5 Fig. 15: Ms. II.Kk.84, Nelahozeves, Biblioteca private della famiglia Lobkowicz, Repubblica Ceca, pagina del titolo 41 Jean-Marie Poirier Fig. 16: Goëss ms. V, Allemande di Dufaut e controparte, Schloss Ebenthal, Graf Goëss’sche Primogenitur-FideikommissBibliothek, ff. 1v-2r. Nella maggior parte dei duetti, la linea del basso è uguale nelle due parti, con pochissime eccezioni non significative. L’intera struttura del duetto si poggia sulla relazione tra il basso e le altre parti. Si nota anche che i raddoppi delle voci sono rari o inesistenti (teniamo presente quanto Mace dice in proposito). L’obiettivo è dunque riempire la tessitura, presupposta esile, del ‘solo’, rispettando più o meno le regole dell’armonia e del contrappunto, per ottenere un insieme più sonoro e più accattivante. L’idea di base non è quella di avere uno strumento che suoni la melodia e l’altro che lo accompagni (treble and ground) ma piuttosto di sovrapporre due strumenti per ottenere l’effetto finale di un solo liuto più grande e sonoro. Va qui rilevata una serie di problemi che possono insorgere quando si ricostruisca un duetto partendo da fonti diverse. Evidentemente il brano ‘a solo’ che serve da base era all’epoca ben conosciuto da tutti i liutisti, ma comunque può accadere che delle varianti locali o personali mettano in mostra contraddizioni musicali nella sovrapposizione di parte e controparte. Talvolta capita anche che nella controparte manchi una battuta : ecco allora che si fa sentire la necessità di un lavoro di revisione. Ma il procedimento di ricostruzione è solo una revisione o anche una riappropriazione della musica volta ad ottenere un risultato coerente e soddisfacente? A Come realizzare una controparte? Guardando più da vicino, è possibile capire come i liutisti procedessero per realizzare una controparte. La sola fonte trovata che faccia allusione a questa prassi è stata già citata: si tratta del Musick’s Monument di Mace, pubblicato nel 1676, ma che testimonia pratiche più antiche, risalenti agli anni intorno al 1640, prima che la guerra civile introducesse cambi radicali nella vita dei musicisti, costretti a un’attività semiclandestina. Una recensione recente e molto positiva, nella rivista inglese Early Music Today, commenta il CD Courante dedicato da Edward Martin e Thomas Walker ai duetti barocchi francesi del XVII secolo. L’autore dell’articolo fa giustamente notare che «una debolezza del liuto, come direbbero i suoi detrattori, è l’esilità della sua tessitura, poiché non può facilmente sostenere una scrittura a quattro voci – e di solito non sono più di tre – con un ampio accordo o due nelle cadenze. Questo difetto (se difetto si può chiamare) trova rimedio nel repertorio per due strumenti». Questo mi dà l’opportunità di rendere omaggio ai due colleghi americani per l’eccellente lavoro e di sottolineare come si tratti di una buona indicazione di quanto il duetto possa contribuire al repertorio liutistico: è un mezzo per trasformare il liuto in uno strumento più completo, grazie al rinforzo della tessitura musicale di un dato brano. 42 I duetti francesi per liuti barocchi nel XVII secolo Fig. 17a: Ms. L 79, Kremsmünster, Benediktiner-Stift Kremsmünster, Regenterei oder Musikarchiv, Austria, Ballett, f. 108v. Fig. 17b: Ms. L 79, Kremsmünster, Benediktiner-Stift Kremsmünster, Regenterei oder Musikarchiv, Austria, Ballett, f. 109. 43 Jean-Marie Poirier Fig. 18: Ms. G 618, Oxford, Bodleian Library, p. 25. Fig. 19: Ms. Danzig 4230, Berlino, Staatsbibliothek, Preußicher Kulturbesitz, f. 67. Coelho.18 Pur analizzando la musica ita- questo proposito, mi piacerebbe tornare brevemente su un’idea espressa da Victor 44 I duetti francesi per liuti barocchi nel XVII secolo te ne pare?” Suonarono così trentasei ore, senza bere né mangiare.20 liana, Coelho esplicita di fatto principi universali. Egli oppone semplicemente due concetti: ‘autorità’ e ‘autonomia’, cercando di definirli chiaramente. «La ‘autorità’ è riferita in primo luogo all’utilizzo, da parte di un interprete, di un testo stabilito e alla scelta di uno strumento appropriato […] nonché alla conformità con una tradizione stabilita per tutto ciò che riguarda lo stile. L’‘autonomia’ considera le opzioni che sono (ed erano) disponibili per modificare il testo stabilito. Questo è ciò che l’interprete può fare con la musica entro limiti stilistici e storici accettabili».19 La mancanza di ‘autonomia’ nella ricostruzione dei duetti per liuti barocchi è semplicemente impossibile. Un certo numero di informazioni incerte deve essere preso in considerazione per rendere soddisfacente la ricostruzione di alcuni duetti. Personalmente ho la netta sensazione che i maestri liutisti fossero allora così in familiarità col repertorio e le tecniche di composizione per lo strumento da essere capaci di improvvisare delle controparti. A sostegno di questa intuizione vorrei citare l’aneddoto riportato da Tallemant des Réaux: Non vi sembra difficile immaginare che questi due lute heroes abbiano potuto accontentarsi di alternarsi nel suonare i loro brani per trentasei ore? Avrebbero potuto sia suonare qualche duetto a memoria, cosa molto probabile, sia, ancora più probabile a mio avviso, avrebbero potuto improvvisare una controparte. In quell’epoca saper improvvisare faceva comunque parte della formazione di ogni musicista veramente preparato. Vorrei concludere dicendo che, conformemente alle idee avanzate da Victor Coelho e alle prassi richiamate in questo articolo, mi son permesso di realizzare qualche controparte su brani di Dufaut, Vieux Gaultier, e Dubut per completare delle suite in alcune tonalità per le quali mancava un movimento. Basandomi sulla linea del basso ho cercato di completare la tessitura del ‘solo’ originale, rispettandone lo stile e le regole dell’armonia, per restare nei «limiti stilistici e storici accettabili». Si tratta infatti di un naturale approccio autonomo, per proseguire e mantenere viva la grande tradizione dei nostri predecessori. Gaultier il Vecchio, eccellente suonatore di liuto, si era ritirato in una casa acquistata nei pressi di Vienne, nel Delfinato, e L’Enclos vi andò espressamente per incontrarlo. “Ebbene come stai?” “Al tuo servizio!” Si abbracciano e poi proseguono camminando. “Non suoni più il liuto?” gli dice L’Enclos; “Per quanto mi riguarda, io ho lasciato perdere questa robaccia”. “Non lo suonerei più per tutto l’oro del mondo,” risponde Gaultier. Al rientro, L’Enclos vede dei liuti. “Sono per i bambini” dice Gaultier “ci si divertono; e non c’è una corda ben messa; son tutti in uno stato pietoso.” L’Enclos non può fare a meno di provarli; trova due liuti proprio ben accordati. “Ehi” dice, “ti piace questo brano?” Lo suona. Gaultier gli dice: “E questo, che 20 «Le vieux Gaultier, excellent joüeur de luth, s’estant retiré en une maison qu’il avoit acquise auprès de Vienne, en Dauphiné, l’Enclos y alla exprès pour le voir. “Eh bien, comment te portes-tu?” “A ton service.” Voylà bien des embrassades; ils disnent et puis se vont promener. “Tu ne joües plus du luth?” luy dit l’Enclos; “pour moy, j’ay quitté toute cette vilainie”. “Je n’en joüerois pas pour tous les biens du monde,” respond Gaultier. Au retour, l’Enclos voit des luths. “C’est pour ces enfans,” dit Gaultier, “ils s’y amusent; et il n’y pas une corde qui vaille; tout cela est en pitoyable estat.” L’Enclos ne put s’empecher de les prendre; il trouve deux luths fort bien d’accord. “Hé,” dit il, “telle piece, la trouves-tu belle?” Il la joüe. Gaultier luy dit: “Et celle-cy, que t’en semble?” Ils joüerent trente-six heures, sans boire ny manger». TALLEMANT DES RÉAUX, Historiettes, Extravagans, visionnaires, fantasques, bizarres, etc., éd. A. Adam, Paris, Gallimard, «Bibliothèque de la Pleiade», 1961, t. 2, p. 726. 18 V. COELHO, Authority, Autonomy and Interpretation in Seventeenth-Century Italian Lute Music, in ID., Performance on Lute, Guitar and Vihuela, Cambridge, Cambridge University Press, 1998, pp. 108-141. 19 Ivi, p. 110. 45 Jean-Marie Poirier Fig. 20: Courante l’Adieu di Gaultier il Vecchio (revisione di Jean-Marie Poirier). 46 I duetti francesi per liuti barocchi nel XVII secolo 47 Jean-Marie Poirier 48 I duetti francesi per liuti barocchi nel XVII secolo - f. 40v: Courante, Gaultier (ms. Danzig 4230, Berlin, Deutsche Staatsbibliothek, Preußicher Kulturbesitz). Appendice Breve lista di fonti contenenti controparti Per concludere, vorrei fornire una lista non esaustiva delle principali fonti che contengono delle controparti: Dodici duetti completi: Suite in Do minore: Dufaut: quattro pièces (e un Menuet, probabilmente non di Dufaut); Suite in Sol minore: Dupré ; Suite in Si bemolle maggiore: Mercure. Ms. 21072, Kalmar, Läns Museum, Svezia; tredici brani con controparti o sole controparti: tre in Re minore e dieci in Si bemolle maggiore su un’accordatura di transizione (accord Mercure). Ms. L 79, Kremsmünster, Benediktiner-Stift Kremsmünster, Regenterei oder Musikarchiv: otto brani in due suite in Sol maggiore. Ms. (1), Stoccolma, Stiftelsen Musikkulturens främjande: sei controparti (alcune delle quali diverse da D4230). Ms. Rés. 17, Aix-en-Provence, Bibliothèque Municipale (Bibliothèque Méjanes): tre duetti. Ms. Danzig 4230: precedentemente Danzig Stadtbibliothek MS 4230, ora in possesso della Deutsche Staatsbibliothek, Preußicher Kulturbesitz, Berlino. «North-German, possibly Swedish origin» secondo Tim Crawford (Colloque Luth et Luthistes en Occident, Paris, Cité de la Musique, 1998, p. 209). Una miniera ancora largamente da sfruttare. Ms. 279152, detto ms. Vaudry de Saizenay, Besançon, Bibliothèque municipale: tre brani per due liuti e quattordici parties. Ms. Littera S. N° 5616 (F.A. VI 10), Bruxelles, Bibliothèque du Conservatoire Royal de Musique: diciassette brani con contrepartie in altri manoscritti. Ms. mus. 40637, Cracovia, Biblioteka Jagiellońska: Mercure e Gumprecht, sette duetti. Ms. Sloane 2923, London, British Library: tre controparti per brani di Hinrich Niewerth. Ms. mus. 40626, Cracovia, Biblioteka Jagiellońska: Gaultier, due brani con controparte. Ms. G 617, Oxford, Bodleian Library: due parti. Ms. G 618, Oxford, Bodleian Library: due parti. Ms. Goëss V, Graf Goëss’sche PrimogeniturFideikommiss-Bibliothek, Schloss Ebenthal, Austria : - f. 5v: Courante, Du But (cf. Ms. 279152 detto ms Vaudry de Saizenay, Besançon, Bibliothèque municipale, p. 50); - f. 16v: Courante, D. Gaultier (sei fonti); Ms. Mus. Sch. B2, Oxford, Bodleian Library, p. 86: Lawes/Mesangeau, tre brani. Additional MS 38539, detto Stuart Lute Book, Londra, British Library: 1 [Almain]. Fig. 21: Concerto in un giardino, spalliera ricamata, 1647, New York, Metropolitan Museum (Accession number 64.101.1314). 49 Sei brani per (arci)liuto (attiorbato) attribuiti a Santino Garsi da Parma, tratti dal Manoscritto Dusiacki. di Gian Luca Lastraioli FIG. 1: NICOLAS REGNIER, L’ ispirazione della Musica, c. 1640, olio su tela, Los Angeles, County Museum of Art. Il cosiddetto Lautenbuch Dusiacki è un importante manoscritto risalente agli inizi del XVII secolo e contenente musica per (arci)liuto (attiorbato). Il manoscritto, oggi conservato presso la Biblioteka Jagiellońska di Cracovia (Polonia), prende tradizionalmente il proprio nome dal suo primo possessore: Stanislaw Kazimierz Rudomina Dusiacki, uno studente polacco di nobili origini, immatricolatosi nel 1620 presso l’Università di Padova nonché amatore di liuto. Tra i circa ottanta brani copiati nel manoscritto troviamo sei unica attribuiti a Santino Garsi (1542-1604), eminente liutista italiano a lungo attivo professionalmente nella natia Parma ove occupò, dal 1594 sino alla morte, la importante posizione di liutista di corte e di insegnante di liuto dei paggi sotto la protezione del Duca Ranuccio I Farnese. Dopo la morte di Santino il suo salario continuò ad essere corrisposto alla di lui vedova, Ottavia, per aiutarla nel mantenimento dei figli e dei nipoti, anch’essi liutisti. Di questi menzioniamo Ascanio Garsi e Donino Garsi: tra i brani copiati nel manoscritto Dusiacki troviamo infatti una dozzina di pezzi attribuiti a questi discendenti di Santino e questo ci è sufficiente per confermare la forte Garsi connection intercorsa fra il nobile studente polacco Stanislaw Dusiacki e la brillante tradizione musicale della famiglia di liutisti parmensi. Non è questa la sede per esaminare a fondo il contenuto dell’intero manoscritto (che conta quasi esclusivamente brani di prove- Sei brani per (arci)liuto (attiorbato attribuiti a Santino Garsi grave richiede infatti, nel caso dell’Aria del Granduca, l’uso di almeno 12 cori. Tuttavia, di quasi ogni pezzo si potranno eseguire versioni “plausibili” anche con strumenti meno estesi nel registro grave, ricorrendo ad opportune ottavature nella linea del basso. nienza italiana anche se tutti stesi in intavolatura francese) oppure per raccontare le pericolose acque (meglio sarebbe dire i fuochi) che il prezioso libretto si trovò ad attraversare al tempo del secondo conflitto mondiale quando venne prelevato dalla Preußische Staatsbibliothek di Berlino (dove al tempo era conservato) e portato oltre cortina come bottino di guerra. I sei brani di Santino Garsi tratti dal manoscritto Dusiacki che qui presentiamo sono idealmente da eseguirsi su un arciliuto (o meglio ancora su un liuto attiorbato): l’estensione Per la nostra trascrizione abbiamo mantenuto la stesura originale in intavolatura francese. Avvertiamo poi che il segno di ornamento apposto sotto alcune lettere dell’intavolatura nel brano Balletto di Santino sta ad indicare, nella nostra opinione, un trillo. 51 Gian Luca Lastraioli 52 Sei brani per (arci)liuto (attiorbato attribuiti a Santino Garsi 53 Gian Luca Lastraioli 54 Sei brani per (arci)liuto (attiorbato attribuiti a Santino Garsi 55 I bordoni della tiorba: alcuni esercizi per la mano destra di Diego Cantalupi FIG. 1: LAURENT DE LA HYRE, Allegoria della Musica, 1649, olio su tela, The Metropolitan Museum of Art, New York, Charles B. Curtis Fund. Uno dei problemi che gli studenti di liuto devono affrontare quando per la prima volta maneggiano una tiorba è quello relativo all’uso dei bordoni. Ho quindi ritenuto necessario scrivere alcuni brevi esercizi per aiutare la precisione nel suonarli e perfezionare l’orientamento della mano destra. Nella loro semplicità, questi brevi esercizi sono utili, a mio parere, anche per il musicista professionista che deve suonare uno strumento che non conosce, e di conseguenza con la distanza delle corde differente da quella a cui si è abituati, o che riprende la tiorba dopo un periodo di studio su un altro strumento. Per la loro esecuzione valgono le regole generali degli studi di tecnica: esecuzione lenta e precisa. Il metronomo, come sempre, può essere di particolare aiuto. 1 - Bordone X † : : ê° : : 0 0 0 0 0S 0 0 0 † : : † : † 0 0 0 0 0 2 0S 2 0 2 0 2 0 0S † † 0 † : 0 2R 0 † : 0 0 ê° : ê° : 0S ê° : ê° 0Q Ä † † : ê° † ê° : 2 ê° † 0 2 † : 0 0 0 : 0 0 ê° : 0 2R † : 0 : 0Q 0S ê° 0 : 2 † : 0 0S ê° : ê° † : 0Q 0 0 0 † : 0 0 0 2 ê° 0 0 2 ü 0 0 2 0 2 2 - Bordone XI † 3 Ä † 3 0 0S ; 3 0S 0 † ; ; 3 0 0 ; † 3 0 0 3 ; 3 0 ; † 3 0 0 † ; 3 ê° 0R ê° † ê° 0 † ê° † ; 3 † ê° ; 3Q 0 0 0S 0 ê° 3Q 0 Ä 2R ê° † : 0S 3 0S 3R † ; 0Q 2S 0Q ê° 0 2R 0S 3R 2S † ê° : ; 2R † ê° † : 0Q 0S 2R 3S 2 0 2 0 57 † 0 3 2 ; 3 0R : ê° † 3 0 ∏ † 3 ê° ; ê° ; 3 0 ê° ; 3 0 0 0 0 † 3 0 0 / / / / / ê° ; 0 ê° 3 - Bordone X e XI ê° † ; 0S 0 ; 3 0 0 ê° 0 ; 3 † ; 3 0 ; 3 † ; 3 0S ê° 0S ê° ; 3Q 0 ; † ê° ; ; 4 - Bordone 7 † Ä † † 7 7 † † 7 0Q 0 0 0 2S 2 2 2 † 7 0 3 2 7 0 3 2 † 7 0 3 2 † 0 3 2 0 2S † 7 0Q ê° ê° † 7 0 3R † ê° 7 0 2S ê° 7 ê° 7 † 0 2 † 7 ê° 0 3 2 ê° 7 7 ê° † 7 0 3 2 7 ê° ê° 7 2S 2 7 7 † ê° 7 0Q 0 0 † 7 0 2 ê° 7 0 3R ê° † 0R 2S 2 0Q 3 ê° † 0Q 0 2 † † ê° 7 0 3 2 3 ê° 7 0 2 3 2 5 - Bordone 7 e X † ê° Ä 0 7 3S † ê¢ 2S † : 0S 0Q 0S † ê° 7 0 20 0R † : 2R 0 3S 0R 3R 2 0 ü : 0Q 0S 7 ê° 7 0 2R 3S 2R 3S : 0Q 2 3S 0R ü 7 0Q / / / / / ∏ 58 0S 0R 3S 3R 2S † ê¢ † ê¢ 7 7 3R 0Q 3R 2S 3R 2Q 3S 2 0 2R 3S 0R 0Q 0S La Battaglia per Liuto (XIII) di Gian Luca Lastraioli Presentiamo in questo numero una breve Bariera tratta dal Manoscritto Dusiacki, oggi conservato presso la Biblioteka Jagiellońska di Cracovia (Polonia). A proposito di questo manoscritto, della sua datazione, della sua stesura e del suo possessore, potrete trovare alcune brevi note nell’articolo sui brani di Santino Garsi che compare su questo stesso numero della rivista. Il brano in questione è anonimo: risale probabilmente ai primi anni del XVII seco- lo e prevede l’impiego di un liuto munito di almeno tredici cori – probabilmente un arciliuto o meglio ancora un più agile liuto attiorbato. Il brano è semplice ma ben costruito e perfettamente equilibrato in tutte le sue parti: potrebbe quindi trattarsi di un brano concepito da un maestro per un allievo. Se siete alle prime armi con strumenti dal “collo lungo” questo potrebbe essere un ottimo brano per prenderci dimestichezza. FIG. 1: DANIEL HOPFER, I cinque lanzichenecchi, c. 1530, acquaforte. Pl-Kj 40153 3v-4r Bariera † °ê † ê° ‘ c fd ÃS R à c c c ÃS R à c a à à e a † d à a c a † ê° a a a cS R † ê° c à à a c a c Ã Ã ê° c a cd ÃS R S à c aR ê° † ê° bS aR cS aR a a da c c e c c a a aS aR a ad b a S R a a c a a a a c a †/ ê° c a Ãa Ãc a c c a †/ °ê † d à a c a d à a c a a a † °ê dd a a a a a b a a d b d a a a a c dd a a a a a c à c a J a c à à aH aI a † a d d c c d a a a a c d c à c c a a  c c c Ãà à à a a a c a J a a J a D E a d c a F †/ ê° † d a a c a a a † °ê d c aS d a Á c ÃD 60 a a a c a à d c a a † † ê° ‘ fh a cS d c à c c d Ãà Ãà c a a cS a c d S c J a °/ ê/ ¢ê ê° c a à d à † ’ df ÃS a °ê / ¢ê ê° a c à c a J a db a a a °ê / ¢ê ê° c a c ÃS à † ê° ê° / ¢ê ê° † a a a a dd d a S ’ ê/ °/ ¢ê ê° ê° / ê¢ ê° J a ê/ °/ ê¢ °ê ê° / ê¢ ê° a ff ÃS R a d a † † °ê † ê° a †/ ê° a † a c a à R c a ê° / ¢ê ê° °/ ê/ ¢ê ê° a † † °ê † °ê † †/ ê° a a c à a d a d d °/ ê/ ¢ê ê° a † c a c a d c ÃS a a c Ãd c a c a † ê° a a a c cà c c c a a † d S † °ê † c à c a dc † a a † ê° † ê° ê° a a a a cd c c a a a c d R à c a J a a °/ ê/ ¢ê ê° d a † °ê e c † c a à R à a a † †/ ê° af † ê° c à à a † aS c a †/ °ê † d a a c a a a · Il Liuto nell’Arte a cura di Rita Comanducci L’immagine che si è scelto di commentare in questo numero ci conduce al di fuori dei consueti contesti iconografici che raffigurano il nostro strumento. Si tratta infatti di una delle splendide miniature che adornano un pregevole manoscritto ebraico, il Rothschild Mahzor, in cui il tema musicale, e specificatamente liutistico, offre lo spunto sia per una più ampia riflessione sull’importanza e la diffusione del liuto nella cultura ebraica europea del Rinascimento, sia per qualche ulteriore considerazione — dopo quelle già proposte nel n. 10 della nostra Rivista — sullo straordinario potere del liuto di assimilare, o potremmo quasi dire, incorporare, all’interno della propria immagine concettuale, strumenti musicali di altri tempi ed altri luoghi, portatori di simili caratteristiche, non tanto organologiche, quanto piuttosto ‘filosofiche’ e simboliche. Un potere che è continuato fino a tempi a noi vicini: basti pensare all’importante studio di R. H. van Gulik sul ‘liuto’ chinese (The Lore of the Chinese Lute, «Monumenta Nipponica», I, 1938, pp. 386-438; II, 1939, pp. 75-99 e 409-36; 7, 1951, pp. 300-10), dedicato in realtà non al liuto, (pipa), ma al ch’in, un cordofono dalle caratteristiche estremamente diverse da quelle del liuto e riconducibili piuttosto a quelle del salterio, come è stato fatto notare all’Autore (ivi, 7, 1951, p. 300), il quale ha però obiettato che traducendo il termine ch’in con liuto aveva volutamente inteso sottolineare la comune valenza simbolica ed il comune ruolo culturale detenuto dai due strumenti nelle rispettive società di appartenenza. Incredibile potere del liuto, capace di essere prima un’idea, e solo dopo un oggetto materiale. E forse questo è un po’ il motivo per cui noi tutti lo amiamo. Un’ultima annotazione: un caloroso ringraziamento va all’amica Jane Eston, il cui amore per il liuto e per l’arte rinascimentale hanno fatto sì che volesse inviarci alcuni mesi fa una foto di questo poco noto ma affascinante capolavoro, che abbiamo adesso il piacere di proporre ai nostri lettori. Il liuto di re Salomone* di Rita Comanducci La pagina di apertura del Cantico dei Cantici del Rothschild Mahzor, manoscritto liturgico di produzione fiorentina completato nel 1489, 1 preserva un’inconsueta ∗ _____________________________________ Desidero ringraziare Rabbi Jerry Schwarzbard, il Dottor Hector Guzman e il Professor David Kraemer del Jewish Theological Seminary of America per la squisita cortesia con cui hanno risposto alle mie richieste; Maurizio Busolli per l’insostituibile aiuto, e il mio Maestro, Gian Luca Lastraioli, per il quale non potrò mai avere sufficienti parole di gratitudine. 1 Sul Rothschild Mahzor, il suo contenuto liturgico di rito ebraico romano, la sua committenza e le botteghe fiorentine di miniatura coinvolte nella sua realizzazione, si veda M. SCHMELZER – E. M. COHEN, The Rothschild Mahzor, New York, The Jewish Theological Seminary of America, 1983/5744. Per la sua definitiva datazione, v. D. WACHTEL, How to Date a Rothschild, «Studia Rosenthaliana», XXXVIII/XXXIX, Omnia in Eo, 2005/2006, pp. 160-68. L’intero manoscritto è accessibile sul sito del Jewish Theological Seminary of America al seguente indirizzo: ∗ immagine di re Salomone. La cornice miniata a temi floreali e zoomorfi che racchiude il testo raffigura infatti nelle parte superiore il sovrano assiso su di un trono, sormontato da una sorta di baldacchino — verosimilmente, un simbolico elemento architettonico che nell’intento del miniatore dovrebbe esemplificare la fastosità del palazzo reale. Salomone, come si conviene al suo status secondo una percezione tipica tra l’altro del Quattrocento fiorentino, siede su di un cuscino color porpora, indossa calzari color porpora, e sfoggia uno splendido abito di velluto broccato fiorentino porpora ed oro — non dissimile da quello con cui Piero della http://www.jtslibrarytreasures.org/viewer/zifthumbs. php?image=images/MS8892_006v&thumbs=rothschild#. Rita Comanducci BOTTEGA FIORENTINA, Re Salomone con un liutista, miniatura dal Rothschild Mazor, codice liturgico completato nel 1489, New York, Jewish Theological Seminary, ms. 8892, particolare della c. 128v (riprodotto per gentile concessione della Biblioteca del Jewish Theological Seminary/courtesy of the Library of the Jewish Theological Seminary). figurato, in questo caso, sul Cantico dei Cantici. Il gesto della mano destra del sovrano si accompagna al movimento del suo sguardo, che sembra seguire con attenzione qualcosa che sta avvenendo alla sinistra della scena, al di là del cartiglio con la parola iniziale Shir (Shir ha-Shirim, Cantico dei Cantici), scritta in caratteri ebraici su fondo azzurro, sormontata da un vaso di fiori che si spandono all’intorno. Ed al di là del cartiglio è infatti visibile un liutista, in piedi su di una piccola piattaforma decorata e vestito se- Francesca (1416/17c.-1492) aveva rivestito qualche anno prima la Madonna ed uno degli angeli della Pala di Brera (1472c.), o dai preziosi drappi fiorentini in velluto porpora broccato ad oro che tuttora si conservano presso vari musei. Il re indossa al collo preziosi monili, è cinto in testa dalla corona, regge con la sinistra lo scettro e con la destra sfoglia le pagine di un libro aperto — tipica convenzione con cui l’Artista, come per i profeti o gli evangelisti, richiama l’attenzione dell’osservatore sugli scritti del personaggio raf62 Il liuto di re Salomone giava, la mano dell’Eterno fu sopra Eliseo» (II, Re, 3: 15).3 Il riferimento a II, Re, 3: 15, oltre a quello più ovvio al Qohèlet 2: 8, si trova già nel Commentario al Cantico dei Cantici di Yitzchaq ibn Sahula (1244–post 1284), famoso cabbalista, commentatore e poeta originario di Guadalajara, in Spagna. Nella sua opera infatti, Sahula definisce il Cantico di Salomone come «la cosa più straordinaria, grande e meravigliosa, perché attraverso la melodia del Cantico, che è nella voce e nello strumento, l’anima si risveglia e lo spirito divino risplende in essa. E si eleva più in alto, e raggiunge la suprema conoscenza, che non poteva raggiungere prima». In tal modo, Sahula stabilisce una solida connessione tra la parola sapienziale divinamente ispirata del Cantico — nonostante i temi profani, ed anzi scopertamente erotici — e l’armonia delle corde pizzicate, induttrice di uno stato di mistica ispirazione.4 condo la tipica foggia fiorentina coeva, che sta presumibilmente accompagnando al liuto i versi poetici del Cantico composto dal suo signore. David, il salmista, e Salomone, il saggio tra i saggi, costruttore del Tempio, sono i due personaggi che più frequentemente nelle Scritture sono associati a temi musicali. Salomone ad esempio, oltre ad essere riconosciuto come l’autore del Cantico dei Cantici, è presentato nei passi biblici come il sovrano che presiede al trasporto dell’arca nel Tempio mentre i Leviti al completo «stavano ad oriente dell’altare suonando cembali, kinnor e nevel [e] centoventi sacerdoti insieme a loro suonavano le trombe» (II, Cronache, 5: 12);2 è descritto come colui che durante la festa della dedicazione del Tempio offre un immane sacrificio di buoi e pecore «mentre i Leviti con gli strumenti di musica sacra fatti dal re Davide lodavano il Signore» (II, Cronache, 7: 6); ancora, è colui che «col legname di sandalo [donatogli dalla regina di Saba] fece le scale del Tempio del Signore e per il palazzo reale, inoltre kinnor e nevel per i cantori» (II, Cronache, 9: 11); ed infine, è ricordato come colui che si è procurato «cantori e cantrici, e, delizia dell’uomo, principesse in gran numero» (Qohèlet — o Ecclesiaste — 2: 8). Proprio a quest’ultimo passo sembra far riferimento la miniatura del Rothschild Mazhor, risentendo al contempo di una sorta di commistione con un altro commentatissimo passo biblico a tema musicale, quello in cui Eliseo, richiesto di profetizzare da Ioram, re d’Israele, domanda che gli sia prima condotto un suonatore: «“Ma ora conducetemi un suonatore”. E avvenne che, mentre il suonatore arpeg- _____________________________________ 3 La traduzione del passo biblico che si è data nel testo è quella della Nuova Diodati, che, in questo caso, si è preferita, perché non specifica quale sia lo strumento che il suonatore sta suonando (come nella Vulgata Clementina: «“[…] Nunc autem adducite mihi psaltem”», dove il termine psaltem significa suonatore di strumento a corde); nelle altre versioni italiane la traduzione che si incontra è sia «suonatore di arpa» sia «suonatore di cetra». 4 Per il tema dell’induzione estatica provocata dalla musica nella letteratura cabbalistica, ed in particolare in riferimento al citato passo dei Re, v. ad es. M. IDEL, Conceptualizations of Music in Jewish Mysticism, in L. E. Sullivan (ed.), Enchanting Powers. Music in the World’s Religions, Cambridge (Mass.), Harvard University Press, 1997, pp. 166-67, 173. Per il passo di Sahula v. J. GODWIN, Music, Mysticism and Magic. A Sourcebook, London, Arcana, 1987, pp. 60-61. La valenza misticomusicale del Cantico dei Cantici è oggetto di attenzione anche nello Chesheq Shelomoh (Il desiderio/anelito di Salomone), il commentario al Cantico di Yochanan Alemanno (1435-post 1504), a cui l’Autore lavorò soprattutto durante il suo secondo soggiorno fiorentino iniziato nel 1488: per i passi a carattere musicale nell’opera di Alemanno v. I. ADLER, Hebrew Writings concerning Music in Manuscripts and Printed Books from Geonic Times up to 1800, München, G. Henle Verlag, 1975, pp. 39-43 (testo ebraico) e M. IDEL, Anamnesis and Music, or Kabbalah as Renaissance before the Renaissance, «Rivista di Storia e Letteratura religiosa» XLIX, 2013, p. 404 (dove però il termine originale kinnor è reso con la corrente traduzione inglese violin). _____________________________________ 2 Per i passi biblici in italiano, se non altrimenti specificato, si è fatto riferimento alla Bibbia di Emmaus. 63 Rita Comanducci A tutto questo è da aggiungere che, proprio come la cithara/lyra degli umanisti, anche il kinnor poteva vantare straordinarie virtù metafisiche ‘accresciutesi’ nel corso dei secoli grazie all’apporto di tradizioni diverse, di origine biblica e classica, che lo rendevano – nella sua forma attualizzata di kinnor/liuto – lo strumento ideale per esplicitare il potere spirituale del Cantico dei Cantici, il «canto dei canti che stanno in alto, […] il canto che contiene il potere di penetrare nelle cose che sono state ed in quelle che saranno, il canto cantato dai principi celesti».8 Se la cithara/lyra/liuto degli umanisti aveva rappresentato infatti lo strumento capace di esprimere, nella sua ratio armonica, i principi matematici fondanti dell’armonia di un universo di stampo pitagorico-platonico, e di rinnovare tale armonia nell’animo umano che ne udisse le note, il kinnor aveva dimostrato analoghe qualità nelle mani di David, che grazie alla sua musica aveva saputo liberare l’anima di Saul dal suo tormento (I, Samuele, 16: 16, 23) e che nella vibrazione delle sue corde mosse dal Vento del Nord sapeva ascoltare lo Spirito divino che lo Ma per quale ragione, se gli strumenti evocati nei passi biblici sopra riferiti sono cembalo, tromba, kinnor e nevel, l’Autore della miniatura avrebbe mai dovuto porre tra le mani del ‘menestrello’ di Salomone proprio un liuto? I motivi sono molteplici ed hanno origini remote, ma l’esito a cui concorrono, e che costituisce la prima e più immediata giustificazione della presenza del liuto nella nostra immagine, è dato dal fatto che la traduzione del termine kinnor (l’antico cordofono ebraico della famiglia della lira)5 è indicata in tutti i dizionari dell’epoca nella parola liuto.6 L’attualizzazione di un nobile strumento antico in un altrettanto nobile e diffuso strumento contemporaneo non era certo una novità: come lo stesso miniatore aveva rivestito re Salomone di splendide vesti nobiliari fiorentine, così gli umanisti non avevano esitato a riconoscere nel liuto la lyra/cithara di apollinea memoria. Il fatto poi che la versione latina della Bibbia, la Vulgata, avesse tradotto l’ebraico kinnor – prevalentemente, anche se non esclusivamente – con il termine cithara, rendeva le due parole idealmente intercambiabili, rafforzando l’identificazione tra kinnor e liuto agli occhi dei lettori del Quattrocento.7 _____________________________________ 7 Per l’identificazione della cithara/lyra con il liuto, e del liuto con il kinnor ci permettiamo di rinviare a due contributi di chi scrive: Il liuto dalla corda spezzata: pensiero, arte e politica alle origini di un simbolo, «Il Liuto. Rivista della Società del Liuto», X, 2015, pp. 30-62, (di cui è stata appena pubblicata una nuova versione in «Interpres», XXXIV, 2016, pp. 173-224: Un “geroglifico” del Quattrocento. Il liuto dalla corda spezzata nella cultura umanistica), e Il fascino della ‘risonanza’: viaggio di un’idea tra scienza, platonismo e qabbalah, in S. U. Baldassarri - F. Lelli (a cura di), Umanesimo e cultura ebraica nel Rinascimento italiano, Firenze, Pontecorboli, 2016, pp. 115-45 (in corso di stampa). 8 Fonte della citazione è lo Zhohar, o Libro dello Splendore, l’opera più importante del misticismo ebraico, composta in Spagna sul finire del XIII secolo; la traduzione è quella data da E. Fubini, Musica e canto nella mistica ebraica, Firenze, Giuntina, 2012, pp. 61-62, che traduce in italiano il testo dell’ed. di Vilna (1924), Shemot, sez. 2, 18b e 143a. La stessa citazione zoharica sul ‘potere’ del Cantico di Salomone si incontra nel Commentario al Cantico dei Cantici di ibn Sahula: Godwin, Music, Mysticism and Magic, cit., p. 61. Su kinnor e nevel (altro cordofono — per pressoché unanime consenso – la cui natura è stata ampiamente dibattuta, e che la Vulgata traduce prevalentemente con psalterium) v. Y. KOLIADA, A Compendium of Musical Instruments and Instrumental Terminology in the Bible, London-New York, Routledge, 2014, in part. pp. 32-48; cfr. anche United Church of God, Music in the Bible. Study Paper, in part. pp. 47-52, accessibile al seguente indirizzo: https://www.ucg.org/members/study-papers. 6 Si veda ad es. il Maqre dardeqe, Napoli, Yosef ben Ya’qov Ashkenazi Gunzenhauser, 1488, p. 31a; DAVID DE POMIS, Tzemach David. Dittionario novo ebraico molto copioso dichiarato in tre lingue, Venezia, Giovanni di Gara, 1587, p. 63a; LEON MODENA, Galut Yehudah. Novo dittionario ebraico et italiano, Venezia, Giacomo Sardina, 1612 e Padova, Giulio Crivellari, 16402; MARCO MARINO, Arca Noe, Thesaurus linguae sanctae novus, Venezia, Giovanni di Gara, 1593, pp. 227a: per questi riferimenti v. D. HARRAN, Three Early Modern Hebrew Scholars on the Mysteries of Song, Leiden-Boston, Brill, 2015, p. 48. 5 64 Il liuto di re Salomone piedi del trono di Salomone. Oltre alle varie testimonianze iconografiche relative a manoscritti cerimoniali che già dal Trecento ne attestano la diffusione in ambienti ebraici — particolarmente significativa una miniatura della Rothschild Miscellany prodotta in area veneta intorno al 1460–80 e raffigurante coppie che danzano al suono del liuto durante i festeggiamenti per un matrimonio –,12 e nonostante i ripetuti divieti contenuti in responsi rabbinici circa la pratica musicale profana, soprattutto su strumenti a corda,13 l’importanza del liuto nella cultura musicale ebraica è significativamente comprovata dal crescente numero di liutisti ebrei o di origine ebraica che si incontrano a partire dalla seconda metà del Quattrocento. Tra costoro, il più noto fu Giovanni Maria Alemanno (1470-c. 1527), famoso per la proverbiale velocità delle sue mani e per le straordinarie capacità musicali – che, unitamente al favore dei Medici, lo scamparono da una condanna a morte comminatagli a Firenze nel 1492. Negli anni del pontificato di Leone X Giovan Maria, il cui nome prima della conversione non è noto, fu uno dei musicisti più ammirati della corte pontificia, tanto che il papa, quale riconoscimento per le sue capacità artistiche lo insignì nel 1513 del titolo di conte di Verucchio (datevi da fare, cari lettori...). Ma la sua fama era già stata consacrata fin dal 1508, quando, con Ottaviano Petrucci, l’editore tra l’altro di Spinacino (sec. metà XV sec._____________________________________ invitava allo studio della Legge (Berakhot, 3b–4a).9 L’incontro della cultura ebraica con quella araba avvenuto nella Spagna medievale dei regni islamici avrebbe ulteriormente arricchito gli ‘scambi’ concettuali tra cihtara/lyra e kinnor. Le proprietà metafisiche della lyra infatti, esplicitamente identificata con l’ud in un influente parafrasi araba delle Enneadi di Plotino (203/6-269/70), in particolare nel passo in cui si parla del potere magico-teurgico delle corde dello strumento risonanti per simpatia,10 sarebbero state trasferite al kinnor, di cui negli ambienti musicali e filosofici sefarditi l’ud era considerato la forma contemporanea — come si evince ad esempio dai riferimenti al kinnor quale strumento a cinque corde negli scritti di Abulafia (1240-1291) e della sua cerchia — anticipando e preparando in tal modo l’identificazione tra kinnor e liuto attestata dai dizionari di Quattro e Cinquecento. 11 La diffusione e l’apprezzamento dell’ud prima, e poi del liuto, nell’ambito della cultura ebraica – anche indipendentemente dalle connotazioni misticofilosofiche di cui lo strumento si andava arricchendo — avrebbe inoltre già di per sé costituito un ottimo motivo per rappresentarlo come degno di essere suonato ai _____________________________________ 9 «Un kinnor era appeso al di sopra del letto di David e quando si avvicinava la mezzanotte, il Vento del Nord soffiava su di esso, ed esso suonava da solo, ed allora egli si alzava subito e si occupava della Legge fino alla prima luce dell’alba»: S. Cavalletti, (a cura di), Il trattato delle benedizioni (Berakhot) del Talmud babilonese, Torino, Utet, 1968, p. 7 (3b-4a), traduzione con modifiche di chi scrive. 10 Sull’influenza della cosiddetta Theologia, nome con cui circolò la parafrasi araba dei libri IV-VI delle Enneadi, e sul passo ivi compreso in cui Plotino descrive il ‘magico’ potere della risonanza tra le corde di due lire – due ud nella versione araba – accordate all’unisono, che tanta influenza avrebbe avuto nel misticismo ebraico, v. il contributo ricordato alla n. 7 (Il fascino della ‘risonanza’). 11 V. ivi, n. 43; sulla diffusione dell’ud nella cultura musicale e poetica sefardita v. A. SHILOAH, Muslims and Jewish Musical Traditions of the Middle Ages, in R. Strohm - B. J. Blackburn (eds), Music as Concept and Practice in the Late Middle Ages, Oxford, Oxford University Press, 2001, pp. 5-30, in part. pp. 18-21. 12 Ms. Rothschild 24, c. 246b, Israel Museum, Gerusalemme; la miniatura è pubblicata in «Lute News», CXVI, 2015, p. 28. Altre testimonianze sono rappresentate ad es. dalla miniatura della Golden Haggadah raffigurante Miriam che danza con un gruppo di fanciulle, una delle quali suona un liuto (c. 1320, Londra, British Library, ms. Additional, 27210, c. 15r, o da quella de Gli azzimi nella Barcellona Haggadah, dove tra un gruppo di suonatori appare un liutista (c. 1340, Londra, British Library, ms. Additional, 14761, c. 61r). 13 V. ad es. E. FUBINI, La musica ebraica tra permessi e divieti nei commentari medievali, «Revista Espa ola de Filosofía Medieval», VI, 1999, pp. 69-70; FUBINI, Musica e canto, cit., pp. 23-31; HARRAN, Three Early Modern Hebrew Scholars, cit., pp. 131-74; ADLER, Hebrew writings, cit., pp. 143-45. 65 Rita Comanducci Infine, oltre alla popolarità dello strumento in ambiente ebraico varrà la pena ricordare un altro fattore che contribuì verosimilmente a rafforzare l’identifi-cazione tra kinnor e liuto ed a facilitare l’associazione di quest’ultimo con figure quali David e Salomone, vale a dire, il fatto che la tipica decorazione della rosetta dell’ud prima, e del liuto poi, almeno fino agli inizi del Seicento, fosse comunemente costituita dal motivo della stella a sei punte, noto al tempo sia come scudo di David sia come sigillo di Salomone.17 inizi XVI sec.), Francesco da Milano (1497-1543) e Giovanni Ambrosio Dalza (sec. metà XV sec.-inizi XVI sec.), aveva pubblicato a Milano una delle prime raccolte di musica per liuto, l’Intabulatura de lauto libro tertio, purtroppo, apparentemente perduta.14 Dopo Giovan Maria, vari altri furono i liutisti ebrei o di origine ebraica di cui resta testimonianza: Isacchino Masserano, che fu anche maestro di canto e di danza, David Civita, Angelo Mordechai De’ Rossi, e presumibilmente, i fratelli tiorbisti Orazio e Giovanni Battista Rubini, la maggior parte dei quali attivi presso la corte di Mantova, dove a partire dalla fine del Cinquecento sarebbe emersa la figura del primo importante compositore ebreo, Salamone De’ Rossi (c. 1570-c. 1628).15 Agli inizi del Cinquecento viveva invece a Messina il musicista sefardita Matteo Sansone, tra i cui beni, come risulta dall’inventario di confisca, figurano oltre ad opere di Virgilio, Ovidio, Petrarca ed altri vari libri in volgare toscano, ventotto «libros de arte musica», «quattro viole di arco», cinque «viole de mane» e soprattutto, «quattro liuti grande et mezane».16 Nonostante tutto questo, agli inizi del XVII secolo una singolare voce, quella del colto medico ed intellettuale mantovano Avraham Portaleone (1452-1612), si sarebbe levata a contestare l’equivalenza tra liuto e kinnor, ponendo una ‘razionalistica’ obiezione. Se nel Berakot (3b-4a) si afferma che «un kinnor era appeso al di sopra del letto di David, e quando si avvicinava la mezzanotte il Vento del Nord soffiava su di esso ed esso suonava da solo» - e Portaleone ben doveva aver riflettuto su questo passo dal momento che il suo maestro spirituale, il rabbino mantovano Yehudah Moscato (c.1533-1590) aveva composto e pubblicato un intero sermone dedicato alla musica traendo spunto proprio da esso —,18 non è possibile, sostiene Portaleone, identificare il kinnor con il liuto, dal momento che la ta- _____________________________________ 14 Su Giovan Maria v. H. COLIN SLIM, Gian and Gian Maria. Some Fifteenth- end Sixteenth-Century Namesakes, «The Musical Quarterly», LVII, 1951, pp. 562-74, in part. pp. 563-68; A. M. CUMMINGS, Gian Maria Giudeo Sonatore del Liuto, and the Medici, «Fontis Artis Musicae», XXXVIII, 1991, pp. 312-18; H. MINAMINO, Dream of a Dream: Giovan Maria’s Extra-Musical Career, «The Lute, The Journal of the Lute Society», XXXVII, 1997, pp. 916; H. MINAMINO, A Battle of Old and New: Giovan Maria Hebreo and Francesco da Milano at the Papal Court, «Lute Society of America Quarterly», XXXV, 2000, pp. 7-9; v. anche A. PIRRO - G. REESE, Leo X and Music, «The Musical Quarterly», XXI, 1935, pp. 1-16, in part. pp. 9-10; B. J. BLACKBURN, Music and Festivity at the Court of Leo X: a Venetian View, «Hearly Music History», XI, 1992, pp. 137, in part. pp. 7 e 12. 15 Si veda P. NETTI - T. BAKER, Some Early Jewish Musicians, «The Musical Quarterly», XVII, 1931, pp. 40-46; G. GHIRARDINI, Musicisti israeliti alla corte dei Gonzaga, «Rassegna mensile di Israel», XLI, 1975, pp. 100-107; D. Harran, Salamone Rossi, Jewish Musician in Late Renaissance Mantua, Oxford-New York, Oxford University Press, 1999, in part. pp. 1, 13, 21-23, 36-38. 16 L. SISTO, La confisca dei beni di Matteo Sansone, musico sefardita (Palermo, 1513), in F. Nardacci (a cura di), Musica tra Storia e Filologia. Studi in onore di Lino Bianchi, Roma, Istituto per la Storia della Musica, 2010, pp. 56778, in part. pp. 570-71. 17 Sul motivo dell’esagramma, sulle sue origini, sulle sue valenze magico-protettive e sulle oscillazioni del suo nome cfr. G. SCHOLEM, La stella di David. Storia di un simbolo, a cura di S. Campanini e E. Zevi, Firenze, Giuntina, 2013. 18 Il sermone sulla musica è il primo della raccolta di sermoni di YEHUDAH MOSCATO, Nefutzot Yehudah, Giovanni di Gara, Venezia 1589, riedito in I. ADLER, Hebrew Writings concerning Music in Manuscripts and Printed Books from Geonic Times up to 1800, München, G. Henle Verlag, 1975, pp. 221-39 (testo ebraico); HARRAN, Three Early Modern Hebrew Scholars, cit., pp. 47-128 (trad. inglese), pp. 263-290 (testo ebraico); D. Harran (ed.) Sermon One, in G. Veltri - G. Miletto, (eds), Judah Moscato, Sermons, Leiden-Boston, Brill, 2011, pp. 11-25 (testo ebraico), pp. 63-123 (trad. inglese). 66 Il liuto di re Salomone riore dell’abitazione, è possibile individuare lo strumento che negli anni della sua giovinezza dovette essere oggetto di un grandissimo amore: «un leutto, piccolo, vecchio».22 E’ così che proprio al liuto, allusivamente presentato come «strumento a noi abbastanza noto»,23 che Portaleone dedica lo spazio più ampio nella sua trattazione musicale, identificandolo con l’altro citatissimo strumento biblico, il nevel,24 e spendendo in suo favore entusiastiche lodi, tanto da definirlo come il migliore in assoluto tra gli strumenti più perfetti con cui possono accompagnarsi le voci dei cantori.25 Dopo averne offerto, come per gli altri strumenti presi in esame, un accurata descrizione, Portaleone riserva al liuto un trattamento privilegiato, descrivendone il tipo specifico di notazione, l’intavolatura — che egli afferma essere stata la stessa utilizzata negli antichi libri di musica dei Leviti —,26 e persino la diteggiatura degli accordi principali eseguibili sul nevel comune, ovvero il liuto a sei ordini «noto a tutti gli studenti di musica»,27 sul chitarrone a tredici ordini (singoli), e sullo strumento da lui pre-ferito, il liuto chitarronato a dieci ordini (sei doppi e quattro bordoni singoli),28 che non esita definire «eccellente, e del quale non può esisterne di migliore».29 E proprio il liuto chitarronato a dieci ordini si identifica per Portaleone con lo strumento biblico dal più alto valore spirituale, ovvero il nevel a dieci corde, quello, come sottolinea lo stesso Autore, che viene attribuito a David nel Salmo 144: 9, dove si legge: «Ti vola armonica di quest’ultimo, sopra la quale sono tese le corde, non potrebbe consentire al vento, se pure lo strumento vi fosse esposto, di farle vibrare liberamente. Dunque, in base al passo del Berakot e confortato da una preponderante tradizione iconografica che assegna a David il salterio o l’arpa (anche se a partire da Quattrocento non mancano esempi di David liutista),19 Portaleone conclude che non di liuto si tratti, ma di arpa, l’unico strumento, tra quelli che ritiene derivanti dalla tradizione biblica del Tempio, le cui corde libere possano risuonare al vento. L’opera in cui Portaleone esprime tale convinzione è lo Shilte ha-gibborim (Gli scudi degli eroi), pubblicata a Mantova nel 1612,20 una sorta di virtuale wunderkammer in cui l’Autore, possessore di una straordinaria biblioteca classica, ebraica e volgare comprendente più di mille libri,21 esplora ogni aspetto riconducibile all’esistenza dell’antico Tempio, dedicando ampio spazio alla musica ed agli strumenti dei Leviti — che egli identifica con i principali strumenti musicali del suo tempo. Ma l’identità tra kinnor ed arpa sostenuta da Portaleone non va a detrimento del liuto. Portaleone era stato infatti un liutista, come rivela l’inventario dei beni redatto dopo la sua morte, dove, conservato in una camera posta al piano supe_____________________________________ 19 V. ad esempio l’iniziale miniata tra il 1480 ed il 1490 da Girolamo e Francesco de’ Libri, probabilmente per un antifonario, e ora conservata presso il Victoria and Albert Museum di Londra, Prints and Drawings, Study Room. 20 Per la parte dell’opera di Portaleone dedicata alla musica v. ADLER, Hebrew Writings, cit., pp. 243-83 (testo ebraico); HARRAN, Three Early Modern Hebrew Scholars, cit., pp. 177-262 e 298-313 (testo parziale in traduzione inglese alle pp. 206-62; testo parziale ebraico alle pp. 298-13). Una parziale traduzione latina è reperibile in BLASIO UGOLINO, Thesaurus antiquitatum sacrarum complectens selectissima clarissimorum virorum opuscula, in quibus veterum hebraeorum mores, leges, instituta, ritus sacri et civiles illustrantur, vol. XXXII, Venezia, Giovanni Gabriele Hertz e Sebastiano Coletti, 1767, pp. I-XCVI (con testo ebraico a fronte). 21 G. MILETTO, La biblioteca di Avraham ben David Portaleone secondo l’inventario della sua eredità, Firenze, Olschki, 2013. _____________________________________ Ivi, p. 95. UGOLINO, Thesaurus, cit., pp.LXIII-LXIV. 24 Sul nevel biblico, v. supra n. 5. 25 Ivi, pp. LXXV-LXXVI. Il motivo che Portaleone indica come determinante in questo senso è, oltre alla dolcezza della sua voce (pp. LXIII-LXIV), il limitato numero delle sue corde (nonostante l’ampia gamma armonica). 26 Ivi, pp. LXXIX-LXXX. 27 Ivi, pp. LXXV-LXXVI. 28 Ivi, pp. LXXVII-LXXX. 29 Ivi, pp. LXV-LXVI. 22 23 67 Rita Comanducci sveglierà la musica celeste […] unendosi a quello degli angeli […], mentre l’intero mondo si riempirà di luce, felicità, gioia ed onore».31 Il liuto chitarronato a dieci cori, quel liuto che non può avere pari, sarebbe stato dunque per Portaleone lo strumento da cui avrebbe avuto avvio tale straordinario risveglio. Alle sue spalle, una lunghissima tradizione dalle molteplici radici, classiche e bibliche, ne aveva alimentato e confermato da secoli la valenza metafisica, configurandolo, nelle sue varie ‘incarnazioni’ storiche, quale strumento mediatore per eccellenza tra armonie umane e armonie divine – come già suggerito, alla luce dell’esegesi mistica al Cantico dei Cantici, anche dal liuto di Salomone del Rothschild Mahzor. E Portaleone, come provano la sua incredibile biblioteca ed il suo dichiarato amore di gioventù per gli studi classici, di tale articolata tradizione sembra essere pienamente consapevole.32 canterò un canto nuovo, col nevel a dieci corde a te inneggerò». L’omaggio al liuto non avrebbe potuto essere più alto. Negli scritti dei mistici e degli esegeti ebrei infatti, al numero delle corde del nevel biblico veniva da secoli attribuito un valore simbolico: il nevel dalle sette corde, tante quanti i giorni della creazione, era inteso quale simbolo del mondo presente; quello a otto corde era letto come simbolo dell’età del Messiah e della resurrezione, infine, quello a dieci corde, con cui David intona nel Salmo il «canto nuovo», era visto come simbolo del «mondo che verrà», ovvero del mondo del rinnovamento e della rigenerazione,30 o, come afferma Moscato nel suo sermone sulla musica, quello in cui «tutto tornerà alla sua piena e prima condizione di perfezione, […] le colpe e le mancanza di tutte le generazioni saranno cancellate […] e un canto nuovo […] ri- _____________________________________ Ivi, pp. 125-28. V. supra, n. 21. La ricchissima collezione di opera classiche – incluse le traduzioni di Platone e Plotino di Marsilio Ficino — ed ebraiche di Portaleone comprendeva anche una copia del Nefutzot Yehudah del suo maestro Yehudah Moscato, il cui sermone sulla musica è costruito grazie ad una straordinaria commistione di fonti rabbiniche, cabalistiche, classiche ed umanistiche. 31 32 _____________________________________ 30 Si veda HARRAN, Three Early Modern Hebrew Scholars, cit., pp. 43-46, che cita a questo proposito quanto affermato da Simeon Duran (1361-1444) nel suo Sefer Magen Avot (Libro degli scudi dei Padri). 68 Il Maestro Mirco Caffagni Un’importante figura del panorama liutistico italiano e internazionale ci ha lasciato il 12 gennaio 2017. Mirco Caffagni (Modena, 1934-2017) è stato tra i primi in Italia ad occuparsi del liuto e del suo repertorio; fondatore e primo presidente della Società Italiana del Liuto, ha insegnato ai corsi di Pamparato e di Urbino dispensando con generosità consigli e suggerimenti a molte persone che si avvicinavano per la prima volta allo strumento. Ha rappresentato una guida sempre presente, attenta e disponibile per molte generazioni di liutisti grazie ad un approccio alla musica e allo strumento rigoroso, scentifico e artistico. Diego Cantalupi Il Maestro Caffagni in un’immagine degli anni Settanta. Un ricordo del Maestro Caffagni di Maurizio da Col Ho conosciuto Mirco Caffagni in un’estate dei primi anni 70, quando ero giovane liceale, durante il Corso di Musica Antica a Urbino. Suonavo la chitarra un po’ svogliatamente a causa di un repertorio che non mi si confaceva, frequentavo la classe di flauto dritto. Mirco insegnava liuto in una bellissima aula dell’Università. Fu un’illuminazione e già in autunno possedevo il primo liuto. Da allora per molti anni ogni estate ero con lui, prima ad Urbino e poi a Pamparato, e poi spesso, durante l’anno, nella casa di Modena. La sua ospitalità era unica, sua moglie Paola lo accompagnava in questo in modo dolce e discreto. Mirco è conosciuto come musicologo e liutista, in realtà la sua presenza ai corsi estivi era la breve vacanza della sua attività di brillante e geniale ingegnere del settore ceramica di Modena, allora nel suo massimo splendore. Per questo forse l’approccio alla musica di Mirco era pragmatico, sempre documentato, non lasciato al caso. Dando però sempre spazio alla bellezza, mai in secondo piano. Questo era il messaggio che i suoi allievi recepivano prima ancora di muovere i primi passi sullo strumento. Gli autori italiani del primo seicento erano la sintesi del suo concetto di Ideale in musica. Quando parlava dei contemporanei in Francia diceva ironicamente che si trat- Un ricordo del Maestro Caffagni tava di bellezza senza sostegno, fine a se stessa. Parlava un tedesco fluente, lingua degli intellettuali nella sua generazione. Dopo un breve soggiorno in Spagna per lavoro, tornato a casa la sera raccontava barzellette in un ottimo spagnolo. Amava meno l’inglese, per lui il lettore CD era il giracompatti. Chi lo vedeva occasionalmente poteva pensare che fosse un po’ nervoso e burbero. Chi invece aveva la fortuna di conoscerlo meglio capiva che era semplicemente e straordinariamente veloce. La sua intelligenza vivissima gli faceva vivere le cose in continuo divenire. Ma quando si fermava per suonare o per scrivere musica, o di musica, era capace di una concentrazione unica. Non c’è Fronimo o altro programma di scrittura che possa avvicinare in precisione e bellezza grafica le intavolature scritte a mano da Mirco. Mirco era arguto, ironico, sempre pronto alla battuta. Un giorno gli telefonai dicendo “sono Maurizio da Feltre”; risposta immediata “ed io Mirco da Modena”, che per un liutista ha un doppio significato. Ricordo che un giorno insieme ad altri allievi andammo da Pamparato nel paese vicino per una commissione e lungo la strada facemmo salire una signora anziana con la borsa della spesa. Ci chiese cosa facessimo in quel luogo sperduto; e Mirco:“ci dedichiamo alla nobile arte del liuto”. La signora ammutolì preoccupata e scese veloce appena l’auto si fermò. Mirko era cosmopolita ma modenese fino al midollo. Amava la cultura, la cucina, la geografia, la lingua della sua terra. Ricordo ancora con emozione la visita alla biblioteca estense per visionare il manoscritto con le cadenze per la tiorba. Oggi sembra tutto scontato, allora c’era Mirco e basta. Nella casa di campagna produceva l’aceto balsamico, lo vedo ancora con la gomma dell’acqua lavare la “madre” gelatinosa dell’aceto della botte più grande. Una fredda domenica di gennaio mi disse: ho un presentimento Maurizio andiamo in campagna. Arrivati aprimmo la cantina e ci si presentò una scena spettrale: metà delle bottiglie di lambrusco erano semivuote, con il tappo appeso ad una colonna di vino gelato. Mi disse: con il brunello di Montalcino non succede! Un giorno andai a sciare sull’Appenino modenese e gli raccontai che era un luogo bellissimo anche per me che venivo delle Dolomiti, c’era una luce di soddisfazione nei suoi occhi. Se oggi il liuto è così suonato in Italia il merito è anche di Mirco, che con modestia e grande autorevolezza ha guidato tanti giovani ad un repertorio così prezioso. Amo ricordarlo durante le prove della European Lute Orchestra a Bologna seduto soddisfatto e sorridente insieme a Paola soltanto tre anni fa. Nel vederlo la mia immaginazione correva veloce indietro nel tempo. Grazie Mirco per tutto ciò che sei stato, non solo in musica. 70 Finito di stampare nel mese di gennaio 2017 a cura della Società del Liuto ISSN 2280-9392