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in un concilio ecumenico globale ben prima della globalizzazione dal
sorriso di squalo.
Premessa alla ine dell’URSS è stato il muro eretto nel bel mezzo d’Europa a Berlino, per decenni crocevia di paure mondiali, poi
paciicamente crollato sotto il peso tutto europeo dei diritti umani.
L’errore sovietico – materializzare un simbolo di dominio e sida alla
libertà – si sta diffondendo oggi nel mondo, materializzando un demone di dominio che, nonostante le troppe vittime, ci sarà ancora
perdonato perché non sappiamo quel che facciamo. Per tornare a
realizzare un’umanità in sé globale e universale, da sempre.
Giuseppe Gario
Giorgio Agamben, Che cos’è la ilosoia?, Quodlibet, Macerata 2016,
pp. 156, € 16.
A lungo professore di ilosoia in diverse università italiane e insignito della laurea honoris causa in teologia dall’Università di Friburgo
(Svizzera) nel 2012, Agamben ha pubblicato con una piccola ed effervescente casa editrice maceratese un appassionante libro sul compito
della ilosoia nell’attuale contesto culturale. La sua tesi è semplice e
chiara: la ilosoia oggi deve diventare la custode del linguaggio. Infatti «se scienza e ilosoia smarriscono la coscienza della loro prossimità
e della loro differenza, esse perdono nella stessa misura ogni consapevolezza dei propri compiti rispettivi. […] Esse possono perseguire il
loro ine soltanto mantenendosi in una reciproca tensione. La ilosoia, come contemplazione delle idee nei nomi, deve sempre spingersi
al di là di questi verso i limiti del linguaggio che, tuttavia, non può
superare con la propria terminologia» (p. 114). «Una ilosoia, che
non si mette più in gioco, attraverso le idee, nella lingua, smarrisce la
sua necessaria connessione con il mondo sensibile» (p. 115).
Solo facendosi custode del linguaggio (e, dunque, come dimostra
Agamben interpretando con acume ilologico passi dei testi di Platone e di Aristotele, custode del dicibile e dell’idea), la ilosoia può
ricomporre il into dissidio fra logica e ontologia, ridando smalto a
un’epoca in cui il dominio della tecnica diventa sempre più totalizzante e illimitato. «La ilosoia – scrive l’Autore – può darsi oggi solo
come riforma della musica. Se chiamiamo musica l’esperienza della
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Musa, cioè dell’origine e dell’aver luogo della parola, allora in una
certa società e in un certo tempo la musica esprime e governa la relazione che gli uomini hanno con l’evento della parola» (p. 135). Questa riforma è tanto più necessaria perché la musica ha un carattere
essenzialmente politico. Infatti, la musica può essere considerata la
cifra della condizione politica di una società meglio e prima di ogni
altro indicatore (anche economico) e, se si vuole mutare veramente
l’ordinamento di una polis, di una città, è innanzitutto necessario riformare la musica. Ecco perché anche oggi – e forse tanto più oggi –
deve essere tentato un nuovo experimentum vocis, un nuovo dire, una
nuova articolazione tra comunità o società e linguaggio.
Il libro indica una rotta, traccia un tragitto, segna una via che va
perseguita perché nel linguaggio ciò che è in questione è l’uomo
stesso e, dunque, in fondo la sua umanità. «L’uomo non è semplicemente homo sapiens, ma innanzitutto homo sapiens loquendi, il vivente
che non semplicemente parla, ma sa parlare, nel senso che il sapere
della lingua, anche nella sua forma più elementare, deve necessariamente precedere ogni altro sapere» (pp. 27-28). Indicando la via,
Agamben ci offre anche una bussola, ossia il recupero dei testi dei
maestri della ilosoia antica, che danno ancora oggi a pensare.
Fabio Cittadini
Giovanni Cesare Pagazzi, Questo è il mio corpo. La grazia del Signore
Gesù, EDB, Bologna 2016, pp. 135, € 13.
Con uno stile fruibile, che rifugge dai tecnicismi perlopiù relegati
nelle abbondanti note, Pagazzi tenta di articolare quel dificile rapporto tra grazia e libertà che per la teologia attuale rimane ancora
non del tutto chiaro. Seguendo una corrente possibile della teologia
biblica della grazia, Pagazzi scorge nel potere di muoversi e nel senso
pratico i primi doni dati da Dio all’uomo. In questo modo la grazia,
in quanto dono di un potere che appartiene all’uomo, implica il suo
effettivo e incarnato esercizio, non rimanendo qualcosa di “soprannaturale” e, dunque, di astratto. La grazia – ecco la felice e feconda
intuizione di questo saggio – è qualcosa di vivibile e di visibile. Essa si
trasforma, nel costante e graduale esercizio di tale dono, in un savoirfaire, in portamento e comportamento garbato, ag-graziato. Non è
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infatti un caso che, in ebraico, l’insipiente sia il maldestro, il goffo, mentre il sapiente sia colui che sa muoversi. Paradigmatica, sotto
questo proilo, appare la vicenda di Giuseppe che, venduto dai suoi
fratelli, troverà grazia presso gli egiziani a motivo del suo riconosciuto savoir-faire (pp. 27-29).
Il secondo capitolo, con uno sguardo fenomenologico che non
disdegna di offrire diversi spunti desunti dalla letteratura, permette
di cogliere, ancor più e meglio, come la grazia – se non si trasforma in un’abitudine, cioè in uno stile comportamentale reiterato e
costante – in fondo non sia grazia; il terzo e ultimo capitolo, soffermandosi sulla singolare vicenda di Gesù Cristo, permette quindi di
cogliere come, a partire dalle pericopi evangeliche dei miracoli, sia
data all’uomo la capacità di ri-abilitazione, la capacità di ritornare a
camminare, persa a causa del peccato.
Il saggio, impreziosito dalla prefazione del cardinal Gianfranco
Ravasi, attraverso un approccio “sistematico” alle Sacre Scritture accostate nella loro forma canonica, ha non solo l’indiscusso pregio
di restituire nella sua luminosa freschezza il pensiero di Tommaso
d’Aquino, spesso citato ma poco conosciuto, ma anche di indicare
una preziosa via all’attuale teologia per sciogliere il districato nodo
del rapporto tra grazia e libertà. Si pone dunque quale valido apripista per rilessioni ulteriori.
fc
G. Cicchese – G. Chimirri, Persona al centro. Manuale di antropologia ilosoica e lineamenti di etica fondamentale, Edizioni Mimesis, Milano
2016, pp. 750, € 32.
Dire che l’uomo è persona signiica far emergere la singolarità ed
eccezionalità dell’essere umano in quanto tale. Il concetto di persona
indica l’io come soggetto, capace di autodeterminarsi nella libertà e
di realizzarsi autenticamente nella relazione. Oggetto di studio da
parte di varie discipline, il concetto di persona ha assunto diverse
accezioni, ma nonostante ciò si può affermare che rimangono attuali
le parole di Durkheim: «nessuno contesta al giorno d’oggi il carattere
vincolante della regola che ci ordina di essere, e di essere sempre più,
una persona». Gli autori attualizzano le parole di Romano Guardini