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146 Segnalibro in un concilio ecumenico globale ben prima della globalizzazione dal sorriso di squalo. Premessa alla ine dell’URSS è stato il muro eretto nel bel mezzo d’Europa a Berlino, per decenni crocevia di paure mondiali, poi paciicamente crollato sotto il peso tutto europeo dei diritti umani. L’errore sovietico – materializzare un simbolo di dominio e sida alla libertà – si sta diffondendo oggi nel mondo, materializzando un demone di dominio che, nonostante le troppe vittime, ci sarà ancora perdonato perché non sappiamo quel che facciamo. Per tornare a realizzare un’umanità in sé globale e universale, da sempre. Giuseppe Gario Giorgio Agamben, Che cos’è la ilosoia?, Quodlibet, Macerata 2016, pp. 156, € 16. A lungo professore di ilosoia in diverse università italiane e insignito della laurea honoris causa in teologia dall’Università di Friburgo (Svizzera) nel 2012, Agamben ha pubblicato con una piccola ed effervescente casa editrice maceratese un appassionante libro sul compito della ilosoia nell’attuale contesto culturale. La sua tesi è semplice e chiara: la ilosoia oggi deve diventare la custode del linguaggio. Infatti «se scienza e ilosoia smarriscono la coscienza della loro prossimità e della loro differenza, esse perdono nella stessa misura ogni consapevolezza dei propri compiti rispettivi. […] Esse possono perseguire il loro ine soltanto mantenendosi in una reciproca tensione. La ilosoia, come contemplazione delle idee nei nomi, deve sempre spingersi al di là di questi verso i limiti del linguaggio che, tuttavia, non può superare con la propria terminologia» (p. 114). «Una ilosoia, che non si mette più in gioco, attraverso le idee, nella lingua, smarrisce la sua necessaria connessione con il mondo sensibile» (p. 115). Solo facendosi custode del linguaggio (e, dunque, come dimostra Agamben interpretando con acume ilologico passi dei testi di Platone e di Aristotele, custode del dicibile e dell’idea), la ilosoia può ricomporre il into dissidio fra logica e ontologia, ridando smalto a un’epoca in cui il dominio della tecnica diventa sempre più totalizzante e illimitato. «La ilosoia – scrive l’Autore – può darsi oggi solo come riforma della musica. Se chiamiamo musica l’esperienza della Segnalibro 147 Musa, cioè dell’origine e dell’aver luogo della parola, allora in una certa società e in un certo tempo la musica esprime e governa la relazione che gli uomini hanno con l’evento della parola» (p. 135). Questa riforma è tanto più necessaria perché la musica ha un carattere essenzialmente politico. Infatti, la musica può essere considerata la cifra della condizione politica di una società meglio e prima di ogni altro indicatore (anche economico) e, se si vuole mutare veramente l’ordinamento di una polis, di una città, è innanzitutto necessario riformare la musica. Ecco perché anche oggi – e forse tanto più oggi – deve essere tentato un nuovo experimentum vocis, un nuovo dire, una nuova articolazione tra comunità o società e linguaggio. Il libro indica una rotta, traccia un tragitto, segna una via che va perseguita perché nel linguaggio ciò che è in questione è l’uomo stesso e, dunque, in fondo la sua umanità. «L’uomo non è semplicemente homo sapiens, ma innanzitutto homo sapiens loquendi, il vivente che non semplicemente parla, ma sa parlare, nel senso che il sapere della lingua, anche nella sua forma più elementare, deve necessariamente precedere ogni altro sapere» (pp. 27-28). Indicando la via, Agamben ci offre anche una bussola, ossia il recupero dei testi dei maestri della ilosoia antica, che danno ancora oggi a pensare. Fabio Cittadini Giovanni Cesare Pagazzi, Questo è il mio corpo. La grazia del Signore Gesù, EDB, Bologna 2016, pp. 135, € 13. Con uno stile fruibile, che rifugge dai tecnicismi perlopiù relegati nelle abbondanti note, Pagazzi tenta di articolare quel dificile rapporto tra grazia e libertà che per la teologia attuale rimane ancora non del tutto chiaro. Seguendo una corrente possibile della teologia biblica della grazia, Pagazzi scorge nel potere di muoversi e nel senso pratico i primi doni dati da Dio all’uomo. In questo modo la grazia, in quanto dono di un potere che appartiene all’uomo, implica il suo effettivo e incarnato esercizio, non rimanendo qualcosa di “soprannaturale” e, dunque, di astratto. La grazia – ecco la felice e feconda intuizione di questo saggio – è qualcosa di vivibile e di visibile. Essa si trasforma, nel costante e graduale esercizio di tale dono, in un savoirfaire, in portamento e comportamento garbato, ag-graziato. Non è 148 Segnalibro infatti un caso che, in ebraico, l’insipiente sia il maldestro, il goffo, mentre il sapiente sia colui che sa muoversi. Paradigmatica, sotto questo proilo, appare la vicenda di Giuseppe che, venduto dai suoi fratelli, troverà grazia presso gli egiziani a motivo del suo riconosciuto savoir-faire (pp. 27-29). Il secondo capitolo, con uno sguardo fenomenologico che non disdegna di offrire diversi spunti desunti dalla letteratura, permette di cogliere, ancor più e meglio, come la grazia – se non si trasforma in un’abitudine, cioè in uno stile comportamentale reiterato e costante – in fondo non sia grazia; il terzo e ultimo capitolo, soffermandosi sulla singolare vicenda di Gesù Cristo, permette quindi di cogliere come, a partire dalle pericopi evangeliche dei miracoli, sia data all’uomo la capacità di ri-abilitazione, la capacità di ritornare a camminare, persa a causa del peccato. Il saggio, impreziosito dalla prefazione del cardinal Gianfranco Ravasi, attraverso un approccio “sistematico” alle Sacre Scritture accostate nella loro forma canonica, ha non solo l’indiscusso pregio di restituire nella sua luminosa freschezza il pensiero di Tommaso d’Aquino, spesso citato ma poco conosciuto, ma anche di indicare una preziosa via all’attuale teologia per sciogliere il districato nodo del rapporto tra grazia e libertà. Si pone dunque quale valido apripista per rilessioni ulteriori. fc G. Cicchese – G. Chimirri, Persona al centro. Manuale di antropologia ilosoica e lineamenti di etica fondamentale, Edizioni Mimesis, Milano 2016, pp. 750, € 32. Dire che l’uomo è persona signiica far emergere la singolarità ed eccezionalità dell’essere umano in quanto tale. Il concetto di persona indica l’io come soggetto, capace di autodeterminarsi nella libertà e di realizzarsi autenticamente nella relazione. Oggetto di studio da parte di varie discipline, il concetto di persona ha assunto diverse accezioni, ma nonostante ciò si può affermare che rimangono attuali le parole di Durkheim: «nessuno contesta al giorno d’oggi il carattere vincolante della regola che ci ordina di essere, e di essere sempre più, una persona». Gli autori attualizzano le parole di Romano Guardini