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S T ORIA di Oreste Sergi Lì dove i “vichi” trasudano di storia La chiesa di Santa Maria “de Meridie” o del Mezzogiorno in Catanzaro. Un importante “ristretto” parrocchiale e una strategica “ripartizione” militare di origine medievale L a fondazione di Catanzaro è da porsi fra i kastra sorti nell’habitat della Calabria bizantina dopo il riassetto operato da Bisanzio nella riconquista compiuta tra IX e XI secolo. È proprio a cavallo di questi secoli, infatti, che si attribuiscono alle città funzioni di centri amministrativi ed ecclesiastici e la fondazione del kastron di Catanzaro, attuata dallo stratega Flagizio proprio in questo arco di tempo, rientrerà nella rete fondamentale dell’armatura insediativa della Calabria bizantina, costituita da centri arroccati su «speroni di roccia, picchi e colline tagliati da strapiombi, legati da esili nodi istmici montuosi interni, non visibili dal mare». (Emilia Zinzi). Tra le prime chiese di culto cristiano, oltre a quella di S. Michele di cui non sono rimaste tracce, si impone, per importanza storica, artistica ed architettonica, la parrocchia altomedievale di S. Maria de Meridie, la cui costruzione si pone, secondo gli storici, tra la fine del IX e gli inizi dell’XI secolo. La chiesa, dedicata alla Madonna e la cui festa liturgica si celebra tutt’oggi il 15 agosto, solennità dell’Assunzione, conserva il suo titolo originale medievale “de meridie o di mezzogiorno”, derivato dall’orientamento liturgico dell’edificio posto S. Maria di Mezzogiorno, interno verso sud-est. La pratica dell’orientamento liturgico che si afferma in occidente a partire dall’VIII secolo diffondendosi particolarmente dopo l’anno 1000, consiste nell’orientare l’asse longitudinale della chiesa nella direzione in cui nasceva il sole, simbolo di Cristo. Questa tradizione medievale la si ritrova anche in S. Maria del Mezzogiorno la quale presenta l’altare rivolto verso sud-est, luogo dove sorge il sole e verso oriente (Gerusalemme), e l’ingresso verso nord-est. La tradizione locale, tuttavia, lega sia la costruzione dello storico tempio mariano che il singolare titolo ad un evento miracoloso. Narra la leggenda, infatti, che in un tempo di forte carestia, in un piccolo orto appariva ogni giorno a mezzogiorno, su un albero di fico, una bella signora identificata successivamente con la Madonna la quale, amorevolmente, distribuiva pane e fichi ad alcune persone del luogo, in modo particolare ai bimbi, riuscendo così a sfamarli. Quelle persone, scampate alla carestia e grate alla Vergine per l’aiuto portato costruirono in suo onore, su quel piccolo orto, la chiesa. La devozione a Maria ruota, da sempre, intorno all’antica statua della Madonna con il Bambino incoronata, con diadema d’argento, nel 1797. L’immagine è tutt’oggi posta nel presbiterio all’interno della nicchia del fastigio seicentesco, costituito da colonne e paraste di ordine composito, in marmi policromi e verdi di Gimigliano. Il simulacro è menzionato una prima volta, come «quadro di gizzo (gesso) cò l’immagine della Madonna», nel Libro della Visita Pastorale alle chiese parrocchiali di mons. De Horazis del 1601, ed ancora, nel 1670, dallo storico D’amato che nella sue “Memorie Historiche”, così scrive: «…S. Maria di Mezzogiorno, Chiesa oggi dalla pietà di D. Carlo Iannazzo in bella forma ridotta, ove per i continui miracoli, e gratie, che fa una devotissima immagine della Vergine, vi è un mirabil concorso». Fino agli inizi del ‘900, il culto e la devozione mariana erano soprattutto caratterizzati dalla festa e dal novenario del 15 agosto che, come ricorda Giacomo Frangipane, era con51 trassegnato dal pellegrinaggio notturno dei fedeli verso la chiesa; sebbene questa usanza andò scomparendo dopo il periodo post bellico, tuttavia la grande devozione verso la Madonna è ancora oggi viva nel popolo catanzarese. Per questo motivo, il 13 maggio 1991 l’antica parrocchia medievale fu eretta da mons. Antonio Cantisani, allora arcivescovo di Catanzaro – Squillace, a Santuario Mariano in perpetuum. La chiesa di S. Maria di Mezzogiorno, a differenza di altre antiche parrocchie, non rivestiva solo un ruolo importante dal punto di vista cultuale e devozionale ma, per la sua posizione strategica posta su uno sperone di roccia e «quasi attaccata ad un Baloardo» (D’Amato), era al centro di un vasto “ristretto” parrocchiale, sito nel quartiere del Vescovato, chiuso a nord dalla parrocchia dei Santi Pancrazio e Venera, ad est da quelle di S. Stefano Protomartire de Siclis (già sinagoga ebraica) e di S. Biagio e a sud da quella di S. Nicola Coracitano. Nel 1691 all’interno dei confini parrocchiali erano compresi camere, orti, palazzi chiese e tra questi: «l’horto, Camere, e Chiesa del Monte dé Morti», «tutto il Palazzo della Sig. Baronessa de Riso», il «palazzo, et horto del sig. Antonio Picerno», «le mura seu timpi della città sino alle case, et horto dotali del sig. Marc’Antonio Rocca», «il palazzo delli Signori Grimaldis» le «case di Vittorio de Roma che stanno sotto il campanile della Chiesa Cattedrale». Questa sua importanza territoriale era rilevante anche dal punto di vista amministrativo tanto che la parrocchia fu compresa nelle undici “ripartizioni” militari, assegnate a due capitani per quartiere appartenenti al ceto dei nobili e degli onorati, ed il suo “quartiere”, oltre ad avere competenza sulla Porta di Pratica e la fontana del “Circuglio” fino al grande bastione di S. Nicola Coracitano nel quartiere “Pietra Viva”, possedeva, come afferma Luise Gariano, «più corpi di guardia, il primo sulla valle sottostante, il secondo nella detta chiesa, il terzo nella porta di Pratica, ed altri in diversi luoghi». Lo stesso storico inserisce la chiesa parrocchiale all’interno dell’itinerario delle chiese dentro la città in un percorso urbano che, partendo dal Piano Grande ove era posta la chiesa di S. Nicola Coracitano, passava dal monastero cinquecentesco di S. Maria della Stella per arrivare «camminando a ponente, verso le Timpe» dove «si trova la chiesa di S. Maria di Mezzogiorno». La parrocchia ebbe, anche in tempi antichi, problemi di accomodi e di staticità soprattutto per S. Nicola, particolare del fastigio dell’altare della Madonna del Buon Consiglio, sec. XVIII 52 ciò che concerne le murature del versante occidentale prospiciente il vallone della Fiumarella. Nel 1691, infatti, il parroco D. Giuseppe de Martino annota tra i “Pesi e le Spese” della parrocchia i continui costi per gli «acconcij ordinarij di detta Chiesa, per esser grande e con quattro Cappelle dentro impostano carlini trentacinque» e le «Spese straordinarie [che] sono incerte, ma occorrono allo spesso per essere la Chiesa esposta al ponente e posta alli timpi di detta Città». I lavori strutturali, sebbene non risparmiarono l’edificio dal subire danni per gli effetti del terremoto del 1783, servirono ad evitarne la soppressione e la demolizione. La chiesa, infatti, non fu abbattuta ma, con l’istituzione del Piano del Marchese di Fuscaldo all’indomani del sisma, assorbì la parrocchia dei Santi Pancrazio e Venera e la giurisdizione della soppressa parrocchia di S. Biagio. Successivamente al terremoto del 1783, grazie all’opera del parroco di allora D. Giuseppe Caravita (18111842), si apportarono i primi riattamenti e abbellimenti; tra questi è documentato il portellino dell’altare maggiore, opera del maestro argentiere napoletano Gennaro Iaccarino, raffigurante il “Buon Pastore”. Altri lavori di restauro furono eseguiti successivamente da D. Vincenzo Sestito (parroco dal 1852-1879), che provvide soprattutto a consolidare l’edificio sacro nella parte delle mura costruite sul banco roccioso, e da D. Tommaso Spadafora (parroco dal 1879-1911) che, come riferisce il Frangipane, «intraprese le riforme interne della Chiesetta, decorandola di ricche dorature e con una bella tribuna per l’organo». A lui si deve, inoltre, l’affresco dell’Assunta sulla volta della navata, realizzato nel 1886 ad opera degli «indoratori e pittori Vincenzo e Bernardo fratelli Pignatari», che fu, successivamente, restaurato nel 1912. Dal punto di vista artistico la parrocchia comprendeva, anticamente, anche quattro cappelle che, nel XVIII secolo, fruttavano alla parrocchia, nelle feste titolari, due ducati. Come riportato nella già menzionata Visita Pastorale del 1601, due cappelle, tra le quattro esistenti, erano abbellite da dipinti: «un quadro cò l’immgine di S. Stefano in tila e un quadro cò l’immagine di S. Agata in tila». Oggi non resta più alcuna traccia di queste due tele che, in origine, dovevano essere collocate accanto alle due cappelle, poste a lato del presbiterio, dedicate a S. Carlo e a S. Michele Arcangelo. A quest’ultimo, oltre ad essere intitolata la piccola campana realizzata nel 1663 dall’allora par- S. Maria di Mezzogiorno, fastigio dell’altare maggiore, sec. XVII roco Carlo Iannuzzo, era dedicata anche l’omonima confraternita che officiava all’interno della stessa chiesa. Gli antichi altari in muratura e stucchi di S. Michele e di S. Carlo, come si evince nella relazione di S. Visita del 1957, furono, insieme alle rispettive tele, distrutti e stessa sorte subirono gli altari delle cappelle e l’altare maggiore che, successivamente, fu ricostruito dal parroco D. Camillo Gentile nel 1927. L’interno, pertanto, fatta eccezione per i lavori suddetti, si presenta nel suo rifacimento sette-ottocentesco caratterizzato da un impianto a navata unica con tre cappelle per lato, la prima delle quali, al cui interno è collocato il fonte battesimale realizzato dopo il 1940 dal parroco D. Bruno D’amica, evidenzia una pianta semicircolare. La chiesa custodisce diverse suppellettili liturgiche e alcune opere d’arte tra le quali meritano di essere ricordate: la tela della “Madonna del Buon Consiglio”, inserita in un fastigio a stucco sormontato da un ovale raffigurante “S. Nicola”, e quella della “Sacra Famiglia con i Santi Elisabetta, Zaccaria e Giovannino”, quest’ultima probabile opera di Francesco Colelli. L’esterno, nel 1945, fu restaurato in forme eclettiche attraverso lavori radicali che si resero necessari in quanto, come scrive il parroco dell’epoca, «salvo reverenza, aveva la forma di capannone con un campanile monco e schiacciato». 53