TRADIZIONI
di Oreste Sergi
Il pretorio: dalla chiesa matrice
di S. Michele Arcangelo
a Palazzo Grimaldi
L
a Chronica Trium Tabernarum è un documento
medievale del XII secolo,
tra i più discussi, che racchiude, a guisa di un testo sacro, la
‘genesi’ della città e della sua
diocesi in quanto, per la prima volta, viene menzionata
la Chiesa di S. Michele.
La Chronica, in realtà, non assegna alcun titolo di Matrice
o, ancor più, di “Cattedrale”,
ma si limita semplicemente a fornire alcuni dati. Tra
questi, il fatto che Flagizio vi
costruì accanto la sua casa e
il Pretorio: «Ecclesiam Sancti
Michaelis Arcangeli, quam
dedicavit Stephanus, Archiepiscopus Reginus, cum suffraganeo suo Basilio Genesio,
Trium Tabernarum Episcopo,
quia in Parochia Tabernae,
et civitas Catuanzarij et ipsa
Ecclesia constructa erat». Il
testo della Chronica fa, indubbiamente, presupporre
alla costruzione di un edificio
religioso di una certa importanza politico-cultuale ma,
con ogni probabilità, di pertinenza della “casa” e del Praetorium; una sorta di cappella
palatina che avrebbe assunto
il ruolo di “Matrice” soltanto al
momento del trasferimento
e dell’insediamento di Leon
Grande, “vescovo della Magna Grecia”, pastore di una
sorta di neo diocesi “in nuce”
di rito greco che sarà definitivamente “soppressa” con il
passaggio della città sotto la
dominazione normanna e la
costruzione della nuova Cattedrale.
Ciò è quanto si legge tra le
righe del D’Amato quando
scrive che «Assicurato in tal
guisa il posto, rivolsero alla
struttura degli edifici sollecito l’animo. Per prima edificarono la Chiesa Matrice in
quel luogo appunto ove oggi
è la Piazza Maestra sotto Titolo di S. Michele Arcangelo,
e quella consacrò Stefano
Arcivescovo di Reggio ad
istanza di Flagitio Procurator di Niceforo, e vi furono
di subito trasferiti da Leon
Grande primo Vescovo della
novella Città dalla desolata
fig.1-PalazzoGrimaldi.Particolare
dalla “Pianta geometrica della città
di Catanzaro in provincia di Calabria Ultra” di Francesco
Gattoleo (1809-1812).
48
fig.2-PalazzoGrimaldi,piantapiano terra. Tratto da G. Rubino-M. A.
Teti, Catanzaro, Laterza, Bari 1987.
Paleopoli i Corpi di S. Ireneo
Vescovo di Leone, e di S. Fortunato Vescovo di Todi, quali
si conservavano sotto l’Altare
Maggiore della Cattedrale di
quella Città, e dichiarati con
plauso universale della Città
sorgente Padroni».
Ma può essere il D’Amato ritenuto attendibile? Vincenzo
D’Amato è lo storico catanzarese che descrive, in maniera puntuale, la ‘sua’ città
seicentesca, con un rapporto
al passato ricco e vivo di particolari e testimonianze, non
solo orali, che attestano particolari storici tramandati, sino ai suoi tempi, di padre in
figlio, tanto da essere considerate dallo stesso studioso,
fors’anche per eccesso di zelo e ‘amor di patria’, non solo
attendibili e credibili, ma anche archivistiche e bibliografiche. Lo stesso, infatti, scrive
nelle sue Memorie, a margine
del testo del Libro Primo, pagina 9,: «Così ridotta in qualch’ordine questa, che sin dal
suo natale fu Città Vescovile,
e Capo della Provincia, come
non solo nelle nostre antiche Croniche in quel passo in
particolare si legge, che parla
della fondatione del Pretorio
di Flagitio in questa città fabbricato, per render ragione à
popoli della Calabria, ch’è del
tenor segu?te. Erexit praetorium suum Flagitius prope
Ecclesiam S. Michaelis Arcangeli, ubi universi Calabri, &
Lucani iudicabantur».
Lo studio dello storico catanzarese appare, in certo
qual modo, circostanziato e
puntuale. Diventa, pertanto,
proponibile la tesi secondo
la quale la chiesa palatina di
Flagizio funzionò, in epoca
successiva all’insediamento
di Leon Grande, da Matrice
o da Cattedrale di rito greco
di quel “kastron” bizantino
attraversato, da sud verso
ovest, dalla via Mesa e costellato dagli edifici sacri dal
titolo greco (S. Nicola Favatà,
S. Maria di Cataro, S. Barbara,
S. Pantaleone, S. Tecla) i quali,
ognuno con la propria “enoria”, occupavano la parte sud
orientale dell’antico quartiere Grecìa, posto quest’ultimo
ai margini meridionali del
colle di S. Trifone e contrapposto, più a nord, al “praitorion” della città bizantina.
Tutto ciò scompare con la
rekatholisierung dei normanni, perno decisivo e fondante della loro politica ecclesiastica, culminante, urbanisticamente, con lo spostamento del polo cultuale sul
colle centrale del Triavonà,
dove sarà eretta la Cattedrale, e del polo politico-militare
sul colle nord, oggi denominato di S. Giovanni, dove troverà allocazione il castellum
dei Loritello. La civitas normanna darà avvio, pertanto,
ad una sorta di espansione
urbanistica in cui i quartieri,
con le loro parrocchie ‘latine’,
si disporranno lungo la superficie altimetrica irregolare del monte Triavonà le cui
tre quote, progressivamente
salienti e corrispondenti ai
tre colli rappresentati nello
stemma civico, conserveranno, fino ad oggi, la memoria
visiva che trova il suo culmine nella grande mole della
cattedrale dell’Assunta e dei
Santi Pietro e Paolo.
Con la costruzione del nuovo
duomo e la consacrazione di
papa Callisto II nel 1122, la
vecchia chiesa di S. Michele
viene completamente abbandonata e il rito greco, che
49
fig. 3 - Palazzo Grimaldi, pianta
piano nobile.
Tratto da G. Rubino-M. A. Teti, Catanzaro, Laterza, Bari 1987.
sussisterà almeno sino al XV
secolo, si trasferirà, secondo
alcuni studiosi, nella chiesa di
S. Nicola Favatà nel quartiere
Grecìa. Da S. Michele, come
sostiene il D’Amato, furono
prelevati tutti i paramenti sacri e le suppellettili liturgiche
che vennero definitivamente
trasferite «dalla Vecchia Cattedrale alla Nuova» con tutti
«gli ornamenti Sacerdotali &
ogn’altra cosa, che ivi si conservava con gli vestimenti di
Calisto medesimo, con li quali vestissi nella funtion predetta. Restò in abbandono
l’antico Tempio, che in progresso di tempo à squarcio,
à squarcio cadendo, restò
sepolto nelle sue medesime
ruine, quali da molti vecchi
Cittadini vengono di veduta testificate, benche (sic) al
presente coperte dà mattoni
posti in quel luogo per ab-
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bellimento delle strade, non
compariscono».
È questa l’ultima fonte che,
al momento, ritroviamo sulla
chiesa di Flagizio i cui ruderi
furono definitivamente occultati nello stesso secolo in
cui scrive lo storico catanzarese, allorquando si costruì
sul sito l’edificio del Monte
di Pietà con la chiesetta e si
principiò l’attiguo palazzo
Grimaldi, oggi sede della Camera di Commercio. Le prime notizie sull’edificio si desumono da alcuni atti notarili
in cui si riporta che nel 1644
il Capitano Cristofaro Pallone
vendette la propria parte di
palazzo a Gregorio Grimaldi;
un’altra parte risultava essere di proprietà di Bernardino
Marincola, barone di Sellia,.
Nel 1665 il palazzo apparteneva a Giovanni Grimaldi e
rimase di proprietà della famiglia Grimaldi fino al 1851
quando l’ultima proprietaria,
Peppina Grimaldi, vendette
la sua parte al Cav. Pasquale
Montuori. Nel 1769, il palazzo
risulta posizionato a sud con
il palazzo del Monte di Pietà e
al centro delle vie degli Scarpari, dei Barbieri e della piazza Mercanti.
Il cambio di proprietà avvenuto nell’800 è emblematico
per la storia della città che è
interessata, all’indomani della Restaurazione Borbonica e
alla ricostruzione post terremoto del 1783 e del 1832, da
un consolidamento dell’alta
borghesia; ciò accentuerà la
vendita, da parte della classe
nobiliare, di molte residenze
con un conseguente sgretolamento della proprietà
edilizia ed un frazionamento
graduale causato sia dall’ereditarietà, sia da nuove figure
sociali quali, ad esempio, gli
imprenditori edili che alimenteranno in città una certa
vitalità del mercato edilizio. Il
caso di palazzo Grimaldi ne è
un esempio. L’imprenditore
edile Pasquale Montuori, impegnato anche nella realizzazione di alcune opere pubbliche, procede all’acquisto
di parte del fabbricato nel
1840 a cui aggiungerà, nel
1851, una seconda porzione
e che si concluderà intorno
agli anni ’70 dell’ottocento
con l’acquisto dei limitrofi
locali del Monte dei Pegni e
Maritaggi di Catanzaro, venduti dal sindaco Francesco
De Seta e dal presidente della
Congregazione di Carità Giu-
seppe Rossi per consentire
l’ allargamento del palazzo,
in quegli anni denominato
già Montuori, e di fornire via
Duomo di un grandissimo
edificio ricostruito. A tutt’oggi, il palazzo insiste su un intero isolato e si impone per la
sua eccezionale mole.
Già nell’ottocento le sue dimensioni erano particolarmente notevoli e ciò è confermato da alcuni carteggi
dai quali si evince che il palazzo era composto: da un piano terreno di 22 vani, da un
piano superiore di 30 vani e
una parte che si elevava a tre
piani, costituita da un corpo
di 11 vani coprendo in totale
una superficie di 955,54 mq,
dei quali 169,60 occupati dalla corte interna. Ma il palazzo,
nel 1877, per effetto dell’opera di allargamento e rettificazione dell’asse stradale del
Corso principale della città,
fu inserito nel “progetto di
massima” come la più consistente unità immobiliare da
espropriare e fu tra quest’ultime, poste sul lato occidentale, ad essere interessate da
tali interventi.
Secondo il progetto, il fabbricato doveva essere demolito
lungo il fronte stradale ed essere arretrato, secondo la linea del nuovo allineamento
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ese in geutti gli ambienti
doppia falda, con un manto di coper”,
o e due capriate,
olone storico-architettura inticoogettate sicuramente da tecnici francesi,
zione stoazione,
...Come si evince da due disegni, custoditi presso l’Archivio Storico del Comune, il progetto fu stilato il 27 agosto
1879 e previde non solo la rettifica della facciata e degli
ambienti prospicienti il Corso ma anche l’impianto planimetrico dell’edificio e la morfologia della corte centrale
che, da una forma pressoché quadrata, assunse una forma
trapezoidale con due ali laterali convergenti, a destra, verso lo scalone di rappresentanza, già presente nella mappa
Gattoleo degli inizi del XIX secolo, al quale si diede maggiore enfasi e prestigio.
Nell’ala sinistra dell’edificio, tuttora esistente, fu creato
uno scalone a pianta quadrata tipicamente ottocentesco
con rampe impostate su volte decorate da stucchi fitomorfi
e chiuse da ringhiere modulari in ghisa. Anche le facciate
esterne furono modificate e pensate secondo uno schema
morfologico-compositivo legato a motivi esornativi e architettonici tipici dell’epoca e tra i quali spiccano alcuni elementi di pregio - i capitelli, le mensole delle finestre delle
facciate minori, e le basi modulari decorative utilizzate per
le paraste dei balconi del secondo piano - tutti realizzati in
terracotta e presenti in altri edifici coevi cittadini. Il palazzo, ad opera ultimata, fu acquistato dalla Camera di Commercio istituita in città nel 1862.