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L'armamento: dal guerriero celtico al legionario romano

In questo contributo si cerca principalmente di mettere a fuoco i problemi che si incontrano nell'affrontare lo studio dell'armamento degli Insubri e dei popoli loro confinanti occidentali, i Levi della Lomellina e i Vertamocori del Novarese, nella fase della " romanizzazione " (fine del II e inizio del I sec. a. C.)

Massimiliano Di Fazio, Armando Cherici L’armamento: dal guerriero celtico al legionario romano Premessa In questo contributo si cerca principalmente di mettere a fuoco i problemi che si incontrano nell’affrontare lo studio dell’armamento degli Insubri e dei popoli loro confinanti occidentali, i Levi della Lomellina e i Vertamocori del Novarese, nella fase della “romanizzazione” (fine del II e inizio del I sec. a. C.); vengono altresì ribaditi alcuni punti fermi già prospettati dalle ricerche recenti e se ne offrono di nuovi al dibattito scientifico. La ricerca prende in esame tre ambiti documentari: quello letterario, quello iconografico e quello archeologico. Presentiamo qui solo brevi cenni ai primi due ambiti, per concentrare l’attenzione sul piano più propriamente archeologico. Fonti letterarie La maggior parte dei riferimenti alla sfera bellica riguarda i Celti di IV secolo, che tanta impressione destarono nel mondo romano1. Ma non si può essere certi che gli elementi desumibili da queste descrizioni siano validi anche per situazioni lontane nello spazio e nel tempo, e che i Galli che misero a ferro e fuoco Roma agli inizi del IV secolo avessero usi bellici analoghi agli Insubri dei secoli II e I. Dare per scontata questa analogia equivarrebbe a sottrarre ai Celti la dimensione del cambiamento, a negare che essi potessero adattarsi nel corso del tempo ai diversi nemici, alle diverse situazioni ambientali, anche al progresso tecnologico: cosa che nessuno sarebbe disposto ad ammettere per l’esercito romano. Stesso discorso vale per la diversità delle aree culturali: le notizie che Cesare fornisce a proposito dei Galli transalpini, in che misura possono essere utili per una indagine sul mondo insubre? Non dimentichiamo, inoltre, che le stesse fonti autorizzano a cercare le distinzioni nell’ambito della “galassia” celtica, 2 quantomeno a livello di armamento, quando ad esempio ricordano le caratteristiche dei Gesati , usi ad andare in combattimento pressoché nudi e per di più con la lancia come arma principale, laddove il guerriero 3 celtico ha di solito nella spada la sua arma di riferimento e sembra disporre anche di corazze di particolare 4 valore 1 Per un quadro generale si rinvia a DEFENTE 2003; PIANA AGOSTINETTI 2004. Pol. 2,28-30. GRASSI 1991, 29–31. 3 PLEINER 1996. 4 CHERICI 2006, 395–8. Sulla contraddizione tra guerriero reale e «mythe du guerrier nu»: RAPIN 2003, 135. 2 Bollettino di Archeologia on line I 2010/ Volume speciale F / F10 / 5 Reg. Tribunale Roma 05.08.2010 n. 330 ISSN 2039 - 0076 www.archeologia.beniculturali.it/pages/pubblicazioni.html 38 XVII International Congress of Classical Archaeology, Roma 22-26 Sept. 2008 Session: La romanizzazione della Cisalpina centro-occidentale: storia, epigrafia, archeologia A questi temi si aggiunge quello più “classico” e tradizionale. È ben noto infatti che le fonti greche e romane tendono, in linea di massima, a dare del barbaro (e il Celta non fa eccezione) una visione che accentua gli aspetti meno raffinati5. In particolare, per i Celti un vero e proprio leit-motiv è quello che ne fa guerrieri temibili al primo impatto, coraggiosi, sprezzanti del pericolo e della morte, ma incapaci di strategia, di organizzazione, e pertanto destinati a soccombere di fronte ad un nemico organizzato. Questo stereotipo, 6 più volte criticamente analizzato , potrebbe sollevare ulteriori eccezioni rispetto a quelle già individuate. Tanto per limitarci ad un esempio, ricordiamo che uno degli aspetti del modo di combattere celtico che più colpisce le fonti è quello dell’impatto emotivo, visivo ed acustico che l’orda di guerrieri produceva sul nemico, sia per l’aspetto selvaggio, sia per il caos (apparente?) con cui si lanciavano in battaglia, sia per il frastuono di grida e suoni con cui atterrivano il nemico. È stato però osservato che, per un manipolo non schierato che scende in campo puntando proprio sulla mobilità e sulla rapidità di spostamento, avere immediati riferimenti visivi ed acustici è essenziale per mantenere l’unità del gruppo e per ricevere e trasmettere ordini e in 7 maniera efficace . Non è da escludere, pertanto, che ciò che agli occhi romani appariva come un barbaro modo per spaventare gli avversari, non fosse invece una forma di organizzazione tattica. Ad ogni modo, le fonti letterarie permettono di fissare alcuni punti in un quadro non sempre stabile. Da un punto di vista politico-militare i testi restituiscono l'impressione di una solida egemonia insubre nell'area transpadana, egemonia che traspare da alcuni dati. Vi è innanzitutto una matura organizzazione politica interna, indicata dalla capacità di far assurgere un tempio del proprio maggiore insediamento, Milano, al ruolo di santuario federale perché vi erano conservate le “insegne inamovibili”8, che venivano prelevate solo in occasione di scontri con realtà esterne. Questo aspetto sembra suggerire la raggiunta capacità da parte degli Insubri di costituire ed egemonizzare una lega politico-militare, presupposto di un possibile sforzo militare sinergico9. Altro punto interessante è la capacità di stabilire e mantenere contatti a largo raggio, “internazionali”. L’esistenza di questi contatti è testimoniata sia dall’arruolamento di truppe mercenarie, come nel caso dei Gesati della valle del Rodano, cosa che indicherebbe una notevole disponibilità di risorse10, sia dal probabile accordo con Annibale già prima della sua discesa dalle Alpi; sono gli Insubri, infatti, che destabilizzano l'area padana, inducendo i Boi ad affrontare con loro i Romani e che creano una situazione di non ostilità all'ingresso punico, costituendo fin dall’inizio per Annibale un alleato privilegiato, tanto che la ribellione di un popolo terzo verso di loro viene considerato dal generale cartaginese - come dagli storici posteriori - un segno di ostilità verso gli stessi Cartaginesi11. Sul piano più strettamente oplologico, è stato da tempo riconosciuto che le osservazioni più interessanti sono contenute nell’opera di Polibio, che per formazione personale aveva un occhio “tecnico”, come dimostrano alcune annotazioni specifiche12. In particolare, è ben noto il passo in cui lo storico ricorda le caratteristiche della spada celtica: lunga, a doppio fendente e realizzata in ferro non temprato, per cui si piegava facilmente. Questa spada era temibile al primo colpo, ed era proprio all’impatto iniziale che i guerrieri celtici affidavano la loro efficacia. Tale caratteristica fisica sembra essere confermata dalle analisi 13 sulle spade lateniane (anche) di area insubre . Ma anche in questo caso, il livello di guardia deve essere tenuto alto. E’ stato infatti notato che i caratteri che Polibio attribuisce alle spade celtiche sono gli stessi che la tradizione storiografica riconosce ai Celti: grandi, capaci di incutere timore, ma poco resistenti per costituzione, e dunque propensi a piegarsi quando avessero trovato resistenza14. Si deve tener presente che 5 KREMER 1994; W ILLIAMS 2001, 68–99. RAPIN 1996. 7 CHERICI 2008, 213–4. 8 Pol. 2,32,6. GRASSI 1991, 41–2. 9 KRUTA 1993; GABBA 1994a. 10 Pol. 2,22; GABBA 1994a; C HERICI 2006. 11 Pol. 3,68,8; W ILLIAMS 2001, 208; PIANA AGOSTINETTI 2006, 116–8. 12 CHERICI 2006, 390. 13 LEONI 1973-‘75; GRASSI 1998. 14 W ILLIAMS 2001, 220. Su Polibio e i Celti cfr. anche BERGER 1992. 6 Bollettino di Archeologia on line I 2010/ Volume speciale F / F10 / 5 Reg. Tribunale Roma 05.08.2010 n. 330 ISSN 2039 - 0076 www.archeologia.beniculturali.it/pages/pubblicazioni.html 39 M. Di Fazio, A. Cherici – L’armamento: dal guerriero celtico al legionario romano sulla effettiva debolezza del metallo delle spade celtiche non vi è unanimità15. Per cui, anche alcuni dettagli della sfera bellica potrebbero essere leggermente alterati nelle fonti sulla scorta di quel “pregiudizio morale” che ben conosciamo. Anche le altre fonti antiche, che ci forniscono preziose informazioni16, andranno misurate con questi argomenti e di volta in volta strettamente confrontate con la realtà della cultura materiale. Fonti iconografiche Dal punto di vista iconografico, la cultura etrusco-padana nel corso del V e IV secolo offre più volte la rappresentazione del guerriero celta. Le raffigurazioni sulla ceramica, sulle stele felsinee ed anche sulla monetazione di età ellenistica mettono a disposizione dello studioso Fig. 1 - Guerriero celta in un affresco dell’Ipogeo Arieti a Roma (da un interessante repertorio iconografico in cui è TALAMO 2008). proprio il soldato celta ad essere rappresentato, a 17 volte anche in maniera dettagliata . Per quanto riguarda l’area insubre alle soglie della romanizzazione, le raffigurazioni sono invece pressoché inesistenti. Tuttavia è possibile ricavare qualche informazione quando si procede a vagliare accuratamente la documentazione. Un esempio è dato dagli affreschi del noto Ipogeo Arieti di Roma, che mostrano alcune figure di armati (fig. 1)18. Dopo anni di dibattito, i guerrieri sono stati riconosciuti come Celti e di recente si è anche proposto di individuare la battaglia rappresentata negli affreschi con quella di Talamone, in cui i Romani affrontarono proprio una coalizione di Insubri e Boi19. È interessante notare che, pur nella resa relativamente corsiva delle figure, alcuni dettagli appaiono raffigurati in maniera realistica: dal nostro punto di vista spicca la grossa spada lateniana, col relativo fodero correttamente posto sul fianco destro del guerriero20, ma non meno il caratteristico umbone ad alette trapezoidali che rinforza la parte centrale dello scudo e che trova (significativamente) precisi riscontri anche in esemplari appartenenti a corredi tombali 21 della Cisalpina centrale della fine del II sec. a. C (come a Garlasco, Barzio, Oleggio, Vinzaglio) . È poi interessante notare che anche in aree che hanno conosciuto una celticità autentica può affiorare una rappresentazione iconografica stilizzata e modellata su stereotipi, come è evidente nella raffigurazione “romantica” del guerriero celta a cavallo, a torso nudo e capelli al vento, spada nella mano destra e fodero a sinistra della lucerna di età augustea rinvenuta a Valeggio in Lomellina (fig. 2)22. 15 PLEINER 1988, 182. Va sottolineato inoltre come l’aspetto “tecnico” della metallurgia presso i Celti continui ad essere fonte di letture anche diametralmente opposte: ad esempio, la presenza di un’arma bronzea nella pira funebre avrebbe come conseguenza quella di irrobustire l’oggetto (VITALI 1996, 584) o al contrario di renderlo fragile (S PAGNOLO GARZOLI 1999, 350). 16 Per un quadro generale cfr. TOZZI 1976; MANSUELLI 1978; W ILLIAMS 2001; PIANA AGOSTINETTI 2006, 111–28. 17 SERVADEI 2003; BONDINI 2003; PIANA AGOSTINETTI 2006, 98–108. 18 TALAMO 2008, con bibliografia precedente. 19 MORENO 2003; contra: GIATTI 2007. 20 In coerenza con la celebre descrizione di Strabone (4,4,3): CHERICI 2006, 391. 21 S PAGNOLO GARZOLI 1999, 351–4. 22 VANNACCI LUNAZZI 1981, 494 (in cui l’arma è definita «coltello da guerra»). Dalla stessa matrice proviene un confronto dal Magdalensberg: VITALI 2003, 7. Bollettino di Archeologia on line I 2010/ Volume speciale F / F10 / 5 Reg. Tribunale Roma 05.08.2010 n. 330 ISSN 2039 - 0076 www.archeologia.beniculturali.it/pages/pubblicazioni.html 40 XVII International Congress of Classical Archaeology, Roma 22-26 Sept. 2008 Session: La romanizzazione della Cisalpina centro-occidentale: storia, epigrafia, archeologia Documentazione archeologica Fig. 2 - Lucerna da Valeggio (PV) con raffigurazione di guerriero celta (da VITALI 2003). Veniamo infine alla documentazione archeologica, iniziando con qualche precisazione. Si considerano fruibili ai fini del discorso sull’armamento gli esemplari di spade, lance, giavellotti e scudi rinvenuti in area insubre e attribuiti ad un periodo compreso tra la 23 metà del II sec. a. C. e l’età cesariana . Nella carta di distribuzione compaiono sia esemplari rinvenuti nel corso di scavi scientifici, nel corso dei quali è stato possibile recuperare l’intero corredo, sia esemplari sporadici, risultato di vecchie acquisizioni o di rinvenimenti occasionali, in certi casi attualmente irreperibili (fig. 3). Per quanto riguarda le scuri, sembra che in territorio insubre non sia loro riconosciuto un ruolo come arma, mentre il loro uso in contesto bellico appare più frequente nelle aree alpine (come dimostrano ad esempio gli esemplari rinvenuti nei contesti tombali di Ornavasso e di Giubiasco, in territorio lepontico, dal taglio espanso e complanare al manico, e le loro Fig. 3 - Carta della distribuzione delle armi in area Insubre tra il La Téne C finale ed il La Téne D. 23 Per una definizione di area insubre, cfr. PASSERINI 1954; PIANA AGOSTINETTI 1988. Bollettino di Archeologia on line I 2010/ Volume speciale F / F10 / 5 Reg. Tribunale Roma 05.08.2010 n. 330 ISSN 2039 - 0076 www.archeologia.beniculturali.it/pages/pubblicazioni.html 41 M. Di Fazio, A. Cherici – L’armamento: dal guerriero celtico al legionario romano Fig. 4 - Coltello dalla tomba 106 di Oleggio (NO) (da S PAGNOLO GARZOLI 1999). Fig. 5 Spada ritualmente deformata dalla tomba 106 di Oleggio (NO) (da SPAGNOLO GARZOLI 1999). 24 raffigurazioni incise sulle rocce della Valcamonica) . Quanto ai coltellacci (fig. 4), sono stati considerati di volta in volta come armi o come utensili. Una riflessione oplologica induce a ritenere che essi non fossero elementi significativi della panoplia, non essendo né strumenti qualificanti a livello di tattica di combattimento (in quanto al più potevano affiancare la spada ma non sostituirla) né tantomeno oggetti che rivestissero significati ideologici analoghi a quelli attribuiti alle armi25. Questa riflessione sembra confermata dall’analisi della presenza e della posizione di questi oggetti nei corredi, che mostra come essi fossero presenti in maniera pressoché paritaria sia in corredi maschili con armi che in corredi femminili, come è evidente nel caso di 26 Oleggio ; è peraltro frequente l’associazione con spiedi, che suggerisce una pertinenza del coltellaccio alla sfera della preparazione della carne piuttosto che a quella bellica. Pertanto, anche sulla scorta delle più recenti riflessioni sull’argomento (si vedano le recenti pubblicazione delle necropoli di Oleggio, Giubiasco e Casalandri di Isola Rizza)27, si è ritenuto di escludere il coltello dall’armamento vero e proprio. Ai fini di un ragionamento sulle armi e la guerra, solo i contesti noti ed integri possono essere utili: purtroppo questi sono tutto sommato piuttosto rari, il che costituisce il primo e più serio ostacolo ad un discorso che, partendo dal piano dell’analisi tipologica ed oplologica, voglia arrivare ad un qualche risultato sul piano della storia sociale. Estraiamo dal mazzo dei problemi alcune questioni che meritano ulteriore riflessione. Una di queste riguarda lo stato di conservazione. Un problema specifico della classe di oggetti di cui trattiamo, che per l’epoca in esame è esclusivamente di ferro, è lo stato di conservazione estremamente precario di molti esemplari, che spesso sono ridotti a massa informe o sono comunque molto corrosi28; inoltre spesso le armi sono anche soggette a deformazione intenzionale (fig. 5). Un altro problema è costituito dalla documentazione. Le armi rinvenute in area insubre, in molti casi, sono state scavate in tempi remoti, facendo poca attenzione ai dati di contesto e alla posizione degli oggetti nella tomba, con la conseguente perdita di elementi fondamentali per la comprensione degli aspetti rituali e della loro funzione simbolica. Per quanto riguarda le pubblicazioni, la documentazione grafica è generalmente poco soddisfacente perché avrebbe richiesto competenze specifiche nell’interpretazione dei pezzi, soprattutto per quelli di fattura più elaborata come le spade per le quali si richiederebbe la sinergia dell’archeologo specialista e del restauratore. In alcuni casi anche le edizioni di scavo più recenti non riescono a soddisfare del tutto lo studioso, perché non si tiene conto di alcuni parametri che sarebbero 24 PIANA AGOSTINETTI 1983, 118; PERNET ET AL. 2006, 58–60. La deformazione di cui alcuni esemplari sono stati oggetto (Oleggio (NO), Tb. 54: S PAGNOLO GARZOLI 1999, 115–7) non sembra esclusiva delle armi: nella necropoli di Oleggio simile trattamento è riservato anche a spiedi (Tbb. 53, 238 e 254: S PAGNOLO GARZOLI 1999, 112–5, 258–60 e 272–4). 26 S PAGNOLO GARZOLI 1999, 342. 27 SPAGNOLO GARZOLI 1999, 341–2 (Oleggio); PERNET ET AL. 2006, 28 e 87 (Giubiasco); SALZANI 1998, 61 (Casalandri). 28 VITALI 1996. 25 Bollettino di Archeologia on line I 2010/ Volume speciale F / F10 / 5 Reg. Tribunale Roma 05.08.2010 n. 330 ISSN 2039 - 0076 www.archeologia.beniculturali.it/pages/pubblicazioni.html 42 XVII International Congress of Classical Archaeology, Roma 22-26 Sept. 2008 Session: La romanizzazione della Cisalpina centro-occidentale: storia, epigrafia, archeologia invece molto utili per lo studio oplologico, quale ad esempio l’indicazione del peso degli oggetti che, soprattutto nel discusso caso dei coltellacci, potrebbe risultare utile per una migliore comprensione dell’uso che di questi strumenti poteva esser fatto. Del pari, nel caso delle lance è a volte indicato solo il diametro esterno dell’immanicatura, laddove sarebbe ancora più utile avere indicazione del diametro interno: un dato, questo, utile per distinguere tra quelle destinate a esser scagliate e quelle utilizzate per lo stocco che richiedono un'immanicatura più robusta29. Un terzo problema riguarda la possibilità di arrivare a ricostruire l’assetto con cui i guerrieri andavano in battaglia e ancor più le tattiche di combattimento attraverso la documentazione fornita dai corredi tombali. Va sempre considerato, infatti, il processo di selezione degli oggetti destinati alla tomba: la presenza di una panoplia completa piuttosto che della sola lancia dipende da condizioni che a noi in genere purtroppo sfuggono (classe di età, ruolo sociale, rango del defunto?) ma poco ci dice sull’effettivo assetto con cui quell'armato andava in guerra. A semplice conferma di ciò, basti ricordare che nella necropoli di Oleggio vi 30 sono tombe di infanti con una punta di lancia tra gli oggetti del corredo . Ciò ha una pesante ricaduta evidentemente anche sulle nostre possibilità di sviluppare un discorso sulle tattiche di battaglia. I campanelli d’allarme verso una meccanica trasposizione al mondo dei vivi dei dati relativi agli aspetti funerari sono sempre più numerosi. Prendendo qualche esempio da contesti o da ambiti cronologici vicini a quelli qui esaminati, si può citare la tomba 425,4 di Giubiasco (TI) in cui era stato deposto un elmo di due secoli più antico rispetto agli altri materiali di corredo, circostanza che gli editori hanno ritenuto di inquadrare nell’ottica di una selezione simbolica degli elementi che componevano il corredo31. In area cenomane, tra la fine del II e l’inizio del I sec. a.C., sono documentati due rituali diversi: nella necropoli di Valeggio sul Mincio non si deponevano più armi32, mentre nella contemporanea necropoli di Casalandri di Isola Rizza la deposizione di armi continuava33. Allontanandoci dalla Transpadana, lo stesso discorso vale per l’Europa occidentale (Lorraine e Bourgogne), dove sulla scorta di una analisi delle variazioni nella composizione dei corredi di necropoli vicine si è giunti alla conclusione che «les armes recueillies dans les tombes ne peuvent en aucun 34 cas être un reflet de l’armement. Leur apparition était régie par les coutumes funéraires» . Sotto un altro punto di vista, possiamo ricordare anche che molte delle armi celtiche transalpine erano originariamente decorate35, cosa che sembra suggerire un loro uso da parata più che da combattimento; purtroppo lo stato di conservazione dei manufatti metallici e in particolare delle armi rinvenute in Cisalpina e non adeguatamente restaurate impedisce di sviluppare questo argomento come sarebbe opportuno. Venendo agli aspetti “positivi”, il database del materiale ci permette di giungere ad alcuni dati quantitativi, che però non possono evidentemente essere considerati particolarmente significativi, proprio per i problemi sin qui prospettati. È ad ogni modo possibile stimare che il numero di lance, spade, elmi, umboni di scudo rinvenuti in area insubre e riferibili ai periodi LT C finale e D superi di poco i 100 pezzi. Ancor più significativo è il numero delle tombe utilizzabili ai fini di un discorso scientifico in quanto si hanno informazioni sufficienti sul corredo e sulla sua integrità: si tratta di circa una dozzina di sepolture, concentrate 36 37 prevalentemente nelle province di Lecco (Introbio, Esino e Barzio) e Pavia (S. Cristina e Bissone , 38 Gropello Cairoli, Valeggio e Garlasco ) e sul confine tra il milanese ed il bergamasco (Misano di Gera 29 RAPIN, SCHWALLER 1987, 172. SPAGNOLO GARZOLI 1999, 169–70 (Tb. 112); 141 (Tb. 79/a). 31 PERNET ET AL. 2006, 65. Questa particolarità trova un parallelo nel caso del “pendaglio” rinvenuto nella ricca tomba di Misano di Gera d’Adda, precedente di un secolo rispetto al resto del corredo (GRASSI 1995, 83). 32 SALZANI 1995, 43. 33 SALZANI 1998, 61–2. 34 LORENZ 1986, 284; si vedano anche le differenze tra le armi del santuario di Gournay-sur-Aronde e quelle di Ribemont-sur-Ancre: LEJARS 1996, 613. Va ricordato infine che le armi rinvenute in tombe nei dintorni di Alesia sono diverse per forma da quelle coeve rinvenute sul campo della celebre battaglia (SIEVERS 1994, 286–7; cfr. anche SIEVERS 2001). 35 VITALI 1996, 585–6; LEJARS 1996, 616. 36 TIZZONI 1982, 46–8; TIZZONI 1984, 10–31. 37 GRASSI 1995, 67. 38 VANNACCI LUNAZZI 1980; ARSLAN 1995. 30 Bollettino di Archeologia on line I 2010/ Volume speciale F / F10 / 5 Reg. Tribunale Roma 05.08.2010 n. 330 ISSN 2039 - 0076 www.archeologia.beniculturali.it/pages/pubblicazioni.html 43 M. Di Fazio, A. Cherici – L’armamento: dal guerriero celtico al legionario romano Fig. 6 - Corredo con armi della tomba 106 di Oleggio (NO) (da S PAGNOLO GARZOLI 1999). Fig. 7 - Corredo con armi della tomba 53 di Oleggio (NO) (da SPAGNOLO GARZOLI 1999). d’Adda)39, a cui è ora possibile aggiungere le 20 sepolture con armi di Oleggio40 (fig. 6) nel Novarese, che costituiscono evidentemente una novità di assoluto rilievo. Vale la pena di sottolineare che, allo stato attuale delle nostre conoscenze, la maggior parte delle tombe con armi del periodo considerato tende a localizzarsi nelle aree di confine del territorio insubre41: fenomeno questo che, se non dovrà essere attribuito allo stato lacunoso della ricerca (si ricordi che conosciamo poco la fase insubre della “capitale” Mediolanum), potrebbe essere interessante inquadrare nell’ottica di una strategia di difesa dei confini. Purtroppo, anche l’analisi di una serie di contesti sufficientemente ben scavati e documentati come quelli della citata necropoli di Oleggio incontra difficoltà rilevanti. Ad esempio, l’ipotesi secondo cui i corredi con la presenza della lancia come unica arma si possano attribuire ai giovani della comunità, sembra contraddetta dai risultati delle analisi antropologiche, secondo le quali questa situazione ricorre non solo in tombe di individui maturi, ma anche in quelle di individui con pochi mesi di vita (tomba 112) o giovani 42 (tomba79/a) . Anche l’attribuzione di armi a tombe maschili sembra non costituire una regola, dal momento 39 DE MARINIS 1978. S PAGNOLO GARZOLI 1999. 41 GRASSI 1995, 79. 42 SPAGNOLO GARZOLI 1999, 169–70 (Tb. 112); 141 (Tb. 79/a). Un passo di Polibio (2,20) fa pensare che l’arruolamento di giovani appena entrati nell’età adulta fosse pratica eccezionale. 40 Bollettino di Archeologia on line I 2010/ Volume speciale F / F10 / 5 Reg. Tribunale Roma 05.08.2010 n. 330 ISSN 2039 - 0076 www.archeologia.beniculturali.it/pages/pubblicazioni.html 44 XVII International Congress of Classical Archaeology, Roma 22-26 Sept. 2008 Session: La romanizzazione della Cisalpina centro-occidentale: storia, epigrafia, archeologia che la tomba 53 con panoplia completa conteneva resti ossei che dall’analisi antropologica sono risulti attribuibili ad una donna (fig. 7) e una patera che aveva graffito il nome femminile rikanas43. Restano altresì alcuni interrogativi per quanto riguarda i gesti rituali legati alla deposizione delle armi e al criterio in base al quale in alcune aree le armi, in particolare le spade, venivano deformate, come nelle 44 45 tombe di Oleggio nel territorio dei Vertamocori , oppure lasciate intatte, come avviene in area insubre . È chiaro che anche in questo ambito siamo fortemente dipendenti dalla precarietà della documentazione disponibile: è un caso se possiamo dire che anche le lance potevano essere spezzate al momento della loro deposizione, come nella tomba 226 di Oleggio, in cui è stato possibile cogliere le tracce archeologiche di questa situazione46; per altre sepolture purtroppo questa possibilità non c’è, e dunque rimaniamo nel dubbio. Le scarse informazioni desumibili dalla documentazione archeologica si possono distribuire su due assi, quello della continuità e quello del cambiamento. Sul piano della continuità, sembra possibile affermare che l'armamento, a grandi linee, continua a essere quello che ha caratterizzato i Celti fin dal loro affacciarsi sul mondo mediterraneo. La natura dei dati attualmente in nostro possesso non consente di apprezzare quale impiego avessero i vari tipi di lancia, talvolta associati. L’arma più qualificante era comunque la spada lunga da fendente, che implicava il persistere di un modus dimicandi basato non sull'urto di schiere - come in tutte le formazioni di linea - ma sulla mobilità, sulla possibilità di ampio brandeggio e sullo shock d'impatto del colpo tranciante risolutivo, come ampiamente confermato dalle fonti letterarie (Polibio e Plutarco su 47 tutti) . Sul piano del cambiamento, questa uniformità di base della composizione dell’armamento lateniano, legata evidentemente ad una sua semplicità di fondo ed alla sua efficacia in determinati contesti geografici e momenti storici, va misurata nelle sue variazioni regionali, oltre che cronologiche, dal momento che sembrano emergere differenze ad esempio con la panoplia tipica di alcune zone dell’area boica da un lato e di quella alpina dall’altro, in cui la diversa realtà ambientale dovette portare i guerrieri ad adattare le tecniche di combattimento48. È infatti da considerare che vi sono differenze tra uno scontro tra schiere in campo pianeggiante, situazione che poteva di frequente prospettarsi in area insubre, ed uno scontro in contesto collinare o montuoso, situazione tipica delle popolazioni alpine e delle comunità stanziate sulla dorsale appenninica. La necropoli di Oleggio offre una base documentaria statisticamente sufficiente a documentare che, nel territorio dei Vertamocori del Novarese, le armi in tomba tendono a rarefarsi nell’orizzonte LT D1. Questa tendenza sembra confermata anche dai corredi tombali del territorio degli Insubri e dei popoli confinanti di 49 pianura (Levi della Lomellina e dei Libici del Vercellese) nei quali la scomparsa soprattutto della spada 50 appare concomitante con la concessione dello ius Latii, come è stato rilevato già da tempo . La spada appare in qualche modo come il simbolo dell’indipendenza del guerriero celta; di conseguenza il suo venir meno nel corredo tombale sembra significare la mutata condizione dell’adulto insubre, che da guerriero cui è affidato il ruolo di difensore della sua tribù si è trasformato in cittadino romano. In area alpina, invece, dove le comunità locali conservano la loro indipendenza fino all’età augustea, nei corredi tombali vi è, ancora nel 43 SPAGNOLO GARZOLI 1999, 112–5. Vale la pena ricordare anche altri casi in apparenza contraddittori, come tombe maschili con fusaiole (Tb. 207: S PAGNOLO GARZOLI 1999, 232) e tombe femminili con rasoio (Tb. 183: S PAGNOLO GARZOLI 1999, 220). Ammessa la validità delle analisi osteologiche, va detto che la diretta partecipazione delle donne celtiche a scontri bellici (S PAGNOLO GARZOLI 1999, 347) difficilmente sarà da considerarsi situazione normale, quanto piuttosto dettata da eccezionale gravità. 44 SPAGNOLO GARZOLI 1999, 350 (anche se l’affermazione che «Tutte le armi rinvenute nella necropoli mostrano i segni di una volontaria distruzione» sembra dover essere ristretta alle spade). 45 Per le spade sporadiche provenienti da centri del territorio insubre, confluite nel Museo Archeologico di Milano (TIZZONI 1984, 106–7; GRASSI 1995, 79), delle quali mancano dati precisi sul contesto di rinvenimento, si potrebbe pensare che la loro integrità sia dovuta alla collocazione in un santuario anziché in una tomba. Peraltro sembra che la maggior parte degli esemplari di spade integre risalga al La Téne antico e medio. 46 SPAGNOLO GARZOLI 1999, 247. 47 PLEINER 1993, 20–23; CHERICI 2006, 389–91. 48 VITALI 1986 per i Boi. PERNER ET AL. 2006, 342–4 per l’area alpina. In generale cfr. RAPIN 1991; DORE 1995. 49 ARSLAN 1978a, 84; GRASSI 1995, 83. 50 TIZZONI 1981, 219; D E MARINIS 1986, 138; GABBA 1994; GRASSI 1995, 31 e 83. Bollettino di Archeologia on line I 2010/ Volume speciale F / F10 / 5 Reg. Tribunale Roma 05.08.2010 n. 330 ISSN 2039 - 0076 www.archeologia.beniculturali.it/pages/pubblicazioni.html 45 M. Di Fazio, A. Cherici – L’armamento: dal guerriero celtico al legionario romano LT D2, talvolta la panoplia completa, talvolta la sola spada o la lancia, come attestano alcune tombe di Ornavasso, Giubiasco e Sementina nel territorio dei Leponti51 e di Esino e Introbio in Valsassina52. L’Insubre mantiene il suo profilo di combattente ma in maniera diversa. La deposizione di armi, soprattutto delle lance, fino al La Téne D1 evidenzia infatti come gli Insubri non fossero stati disarmati dopo la sottomissione: l'accordo con la classe egemone locale, rispettata nelle proprie prerogative secondo quanto attestatoci da Cicerone53, era probabilmente garanzia bastevole, e l'apporto di ausiliari assicurato dal 54 sistema di potere dei clan gallici era necessario - quasi strategico - per rendere efficace l'azione della 55 legione; una legione che aveva peraltro progressivamente recepito molti elementi dell'armamento celtico . Certamente dunque la scomparsa della spada dai contesti tombali insubri ha un valore simbolico e “politico”. 56 Ma il permanere di tombe con la sola lancia in area insubre oltre che nelle zone alpine , come abbiamo già ricordato, configura una situazione di difficile lettura. Sarebbe interessante poter pensare ad un manipolo di 57 truppe leggere, armato solo di lance , che sarebbe stato più tollerabile da parte romana, se non addirittura 58 voluto, nell’intento di creare gruppi di armati arruolati come ausiliari per esercitare una sorta di “servizio d’ordine” in aree di confine (quelle aree in cui, come abbiamo già ricordato, si addensano i ritrovamenti di armi). Vale la pena notare che dall’esercito romano i velites, contraddistinti proprio da un armamento leggero e quindi da maggiore mobilità, scompaiono negli ultimi anni del II secolo a.C.59: vi è un nesso tra i due fenomeni? Non va nemmeno dimenticato, d’altro canto, che la lancia (a differenza della spada) non è solo strumento bellico, ma anche da caccia, specie ad animali di grossa taglia come quei maiali e cinghiali per i quali la Cisalpina era celebre60: nelle tombe di Oleggio, punte di lancia sono associate in sette contesti con altre armi, ed in sei con strumenti quali spiedi, coltelli, falcetti61. La contraddizione tra continuità ed innovazione nelle armi si ritrova dunque immediatamente sul piano sociale quando si cerca di valutare il ruolo degli Insubri in quella delicata fase di processo culturale che li porta a diventare cittadini romani, pienamente integrati nella nuova realtà “imperiale”. Le implicazioni di questo passaggio sono numerose, e vanno ascritte ad un’etichetta critica come quella di “romanizzazione”, sulla quale il dibattito si è fatto intenso negli ultimi anni62. Già da tempo Gabba63 ha sottolineato che un forte traino al processo che portò gli Insubri a diventare Romani fu costituito proprio dal reclutamento di soldati cisalpini impiegati come ausiliari nell’esercito romano, secondo un obbligo sancito dal foedus con gli Insubri. I soldati che entravano in contatto con la realtà dell’esercito romano riportavano in patria un bagaglio culturale, oltre che materiale, che ebbe senz’altro grandi responsabilità quanto meno nell’accelerare il percorso degli Insubri verso Roma: un percorso, va ribadito, che doveva essersi avviato già prima delle concessioni giuridiche dell’8964. Questo processo è stato a volte definito “Selbstromanisierung”, “autoromanizzazione”65, etichetta che sembra attribuire grande, forse eccessiva, responsabilità agli Insubri, mentre potrebbe essersi trattato di un fenomeno di acculturazione più complesso. Non sarebbe forse fuori 51 TIZZONI 1984, 32. TIZZONI 1984, 31–2. 53 Cic. Pro Balbo 14, 32: BALDACCI 1974; GABBA 1994a, 235–6; W ILLIAMS 2001, 214. Sui rapporti tra potere romano e classe dirigente indigena cfr. TORELLI 1988, 31–2 e di recente B ANDELLI 2007, con bibliografia precedente. 54 Sistema di potere per il quale non si è esitato ad usare l’etichetta “feudale”: GABBA 1994, 250 ; GABBA 1994b, 238. 55 CHERICI 2006, 389–98. Tali apporti dovevano esser importanti per Roma, tanto che il tentativo di disarmare i Cenomani, compiuto nel 187 a.C. dal pretore M. Furio Crassipes, viene immediatamente scongiurato dal senato e condannato dalla memorialistica, come evidente nelle parole di Livio (39,3,1-3: BRISCOE 2008, 215). In quella occasione, peraltro, l'appello al Senato da parte dei Cenomani evidenzia l'avvenuta integrazione delle classi dirigenti di quel nomen alle procedure politico-giuridiche di Roma. 56 Giubiasco: PERNET ET AL. 2006, 342; Ornavasso: PIANA AGOSTINETTI 1983, 123–4. 57 Per analogie con l’area gallica cfr. DEYBER 1986, 333–4. 58 S PAGNOLO GARZOLI 1999, 347; PERNER ET AL. 2006, 343–4. 59 Sall. Jugh. 46,7; CAGNIART 2007, 86. 60 Cato fr. 39 Peter=2,9 Chassignet; Pol. 2,15,2-3; GRASSI 1991, 49; W ILLIAMS 2001, 51. 61 S PAGNOLO GARZOLI 1999, 354. 62 Di recente TORELLI 1998; W ILLIAMS 2001; W ALLACE-HADRILL 2008. 63 GABBA 1994. 64 LURASCHI 1979; LURASCHI 1980; LURASCHI 1986; CASSOLA 1991; GABBA 1994, 254. 65 CASSOLA 1991, 24 (riprendendo una formula di F. Vittinghoff); TORELLI 1998. 52 Bollettino di Archeologia on line I 2010/ Volume speciale F / F10 / 5 Reg. Tribunale Roma 05.08.2010 n. 330 ISSN 2039 - 0076 www.archeologia.beniculturali.it/pages/pubblicazioni.html 46 XVII International Congress of Classical Archaeology, Roma 22-26 Sept. 2008 Session: La romanizzazione della Cisalpina centro-occidentale: storia, epigrafia, archeologia luogo, invece, considerare l’opportunità di sostituire a questa etichetta quella di “romanizzazione indiretta”66, che lascia intatto il senso di un fenomeno che, a differenza di altri casi (i territori a sud del Po, ad esempio), non avvenne tramite una diretta presenza ed occupazione, quanto piuttosto attraverso una lenta penetrazione di una civiltà soprattutto superiore dal punto di vista organizzativo67. Le due direttrici della continuità e della innovazione sono in qualche modo riassunte, come spesso succede nell’Italia antica, da una strada. La Postumia68, col suo tracciato che lambisce il territorio insubre senza attraversarlo, sembra esprimere materialmente l’arrivo di una grande novità, quella della cultura romana che non penetra con la forza nel territorio, ma, grazie anche alla collaborazione delle aristocrazie e all’auxilium dei guerrieri insubri e leponzi, può diffondersi e affacciarsi oltre le Alpi su quell’Europa che finirà poi per dominare ed improntare culturalmente in maniera così duratura. Massimiliano Di Fazio Mail: max.difazio@gmail.com Armando Cherici Mail: Armando.cherici@istruzione.it Bibliografia ARSLAN E. A., 1978. Celti e Romani in Transpadana. Études celtiques, 15, 441–81. ARSLAN E. A., 1978a. I Celti in Transpadana. In I Galli e l’Italia. Roma, 81–4. ARSLAN E. A., 1995. La nécropole de Garlasco (Province de Pavie). In L’Europe celtique du Ve au IIIe siècle avant J.-C.. Sceaux, 169–88. BALDACCI P., 1974. I trattati tra Romani e Galli transpadani nel pro Balbo di Cicerone. 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