Il viaggio del testo
Atti del Convegno internazionale
di Filologia italiana e romanza
(Brno, 19-21 giugno 2014)
a cura di
Paolo Divizia e Lisa Pericoli
Edizioni dell’Orso
Alessandria
Volume pubblicato con un contributo del Dipartimento di Lingue e Letterature Romanze della Masarykova univerzita di Brno.
Comitato scientifico del convegno:
Massimo Bonafin, Alberto Cadioli, Paolo Chiesa, Concetto Del Popolo, Paolo Divizia,
Maria Luisa Meneghetti, Lisa Pericoli, † Eleonora Vincenti, Alessandro Vitale Brovarone, Michelangelo Zaccarello
Con il patrocinio di:
Dipartimento di Lingue e Letterature Romanze, Masarykova univerzita di Brno
Dipartimento di Studi Umanistici, Università degli Studi di Torino
OVI. Opera del Vocabolario Italiano - DiVo. Dizionario dei Volgarizzamenti
Dipartimento di Filologia, Letteratura e Linguistica, Università degli Studi di Verona
SIFR. Società Italiana di Filologia Romanza
Dipartimento di Studi Umanistici, Università degli Studi di Macerata
Gli interventi consegnati per la stampa figurano negli atti quasi esattamente nell’ordine in cui furono pronunciati all’interno delle due sessioni parallele, ordine che cercava per quanto possibile di tenere conto della
geografia e storia dei testi oggetto delle singole relazioni. Così una sessione era dedicata alla Filologia italiana e umanistica (con relazioni aventi per oggetto testi dal Medioevo al Novecento), e un’altra alla Filologia romanza (con una prima breve serie di interventi su testi di area iberica, e poi numerose relazioni
su testi di area francese). Lievi eccezioni nell’organizzazione del programma erano dettate da necessità
logistiche: a queste si è posto rimedio negli atti.
Tutti i testi contenuti negli atti sono stati sottoposti a un procedimento di peer review.
Le parti I e II sono state curate da Paolo Divizia, la parte III da Lisa Pericoli.
© 2017
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anche a uso interno e didattico. L’illecito sarà penalmente perseguibile a norma dell’art. 171 della Legge n. 633
del 22.04.41
ISBN 978-88-6274-771-4
Indice
PAOLO DIVIZIA, Il viaggio del testo. Ragioni di un convegno
p.
IX
PARTE I. TRA FILOLOGIA ITALIANA E FILOLOGIA ROMANZA
EUGENIO BURGIO, Tra Aden e Alessandria. Sull’esistenza di varianti d’autore
nel Milione
SAMUELA SIMION, La vita di Buddha nel Milione veneziano V
3
23
PARTE II. FILOLOGIA ITALIANA E UMANISTICA
ANDREA BERETTA, Frate Guittone d’Arezzo, Miri, miri, catuno a ccui bisogna
41
GIUSEPPE MARRANI, Alle origini dello stilnovo. Cino secondo la ‘verità della
tradizione’
57
CRISTIANO LORENZI, Per un’edizione critica dell’orazione Pro Ligario volgarizzata
da Brunetto Latini
73
MARCO GIOLA - ROBERTA GUERINI, Tra Libro di costumanza e Tesoro toscano:
appunti su un incontro di tradizioni diverse
89
VALENTINA NIERI, «Quei ke informa lo coltadore non dè siguitare li rettorici».
Volgarizzare Palladio nel Trecento
107
GIULIO VACCARO, Andrea Lancia. Storia di un volgarizzatore
119
CATERINA MENICHETTI, Le correzioni linguistiche del copista del Marciano
It. I.2 del Nuovo Testamento in antico italiano
129
LUCIA BERTOLINI, La Cronica d’Anonimo Romano (ovvero cosa sta in capo al suo
stemma codicum)
147
MARTINA MAZZETTI, L’autografo del Teseida di fronte alla sua tradizione: un caso
esemplare
191
TERESA NOCITA, Tradizione testuale del Decameron. I rapporti tra l’autografo (B)
e il codice Holkham misc. 49 (H)
211
VI
Indice
DIEGO DOTTO, L’architettura del corpus DiVo (Dizionario dei volgarizzamenti).
Fondamenti e evoluzioni
221
ANTONIO MONTINARO, Tradizioni manoscritte in era digitale
239
CLEMENTINA MARSICO, Saggi di filologia d’autore. Dal cantiere delle Elegantie
di Lorenzo Valla
251
RINO MODONUTTI, Petrarca, Boccaccio e gli ‘altri’: edizioni di Livio nel primo
Umanesimo
265
ANDREA FELICI - MARCO MAGGIORE - ANNA RINALDIN, Prime ricognizioni
per una banca dati degli antichi commenti in volgare alle opere di Dante,
Petrarca e Boccaccio (ante 1500)
277
SIMONA MERCURI, L’apporto della tradizione indiretta nella constitutio textus: il
De regnandi peritia di Agostino Nifo e l’edizione critica del Principe di Machiavelli 291
IRENE TANI, Il ‘viaggio’ delle Rime di Bernardo Cappello. Nuova recensio e una
proposta d’edizione
303
FRANCESCO SAMARINI, «Acciò non vada per il mondo così scorretta e mal trattata».
I travagli editoriali della Madalena penitente di Paolo Silvio
317
SIMONA TARDANI, Ungaretti e le varianti del Dolore: un caso di filologia riflessa
331
PARTE III. FILOLOGIA ROMANZA E ISPANO-ARABA
MANUEL NEGRI, «E porque en todo Roma non era enton eigreja». Il dialogo con
la tradizione della cantiga 309 delle Cantigas de Santa Maria
347
MOHANAD AMER KADHIM, El Ġarā’ib al-nuḫab fī raġā’ib al-šucab de al-Sāḥilī
(un unicum de la Biblioteca Angelica)
359
JUAN CARLOS BUSTO CORTINA, El ms. Or. 88 de la Biblioteca Angelica y los
manuscritos árabes traídos desde España por el cardenal Camillo Massimo
377
ANDREA GHIDONI, Modelli di sviluppo diacronico e diatopico delle prime chansons
de geste
395
MARGHERITA LECCO, I viaggi testuali del Beuves de Hampton
407
Indice
VII
PATRIZIA SERRA, Il viaggio della riscrittura nel Meraugis de Portlesguez di Raoul
de Houdenc
421
MAURIZIO VIRDIS, Trasposizioni del romanzo cortese: tra allegoria e ironia
433
LUCA DI SABATINO, Il rimaneggiamento cortese del Roman de Thèbes tràdito
dal manoscritto P (Cologny, Bibliotheca Bodmeriana, 18)
441
SONIA MAURA BARILLARI, Dall’Inghilterra alla Provenza. Riflessioni sulle vicende
testuali del Jeu d’Adam
453
LUCA GATTI, Il repertorio delle attribuzioni discordanti nella lirica trovierica:
un progetto in corso
465
PAOLO RINOLDI, Le tradizioni dei Vœeux du paon in Italia fra latino e volgari
477
MARTINA DI FEBO, Brevi riflessioni sulla tradizione manoscritta dell’Ovide moralisé
a partire dal libro VI
493
DENISE LENZO, La lectura Senecae nel Medioevo: il codice angioino C.F.2.5 della
Biblioteca dei Gerolamini di Napoli
509
GIULIA MURGIA, «La difference du vieil rommant à nostre histoire renouvelée»:
il Nouveau Tristan (1554) di Jean Maugin tra Antichi e Moderni
525
MONICA LONGOBARDI, Il viaggio della Rose. Quel «poetà beante» di Franco
Scataglini
539
LUCIA BERTOLINI
La Cronica d’Anonimo Romano (ovvero cosa sta in capo al suo stemma
codicum)*
I.1. Il lettore che apra la Cronica cosiddetta d’Anonimo Romano rimane di necessità colpito dalla lucida consapevolezza dello scrittore. Nel primo contatto con il destinatario
(Prologo e primo capitolo) l’Anonimo evoca la costante antropologica che induce l’uomo a
perpetuare e trasmettere la memoria del passato al di là dei condizionamenti storici che
hanno mutato i modi di conservazione e trasmissione di tale memoria (I 1-40)1; enuncia
l’utilità esemplare della storia a beneficio dell’intera comunità umana come giustificazione alla registrazione scritta degli eventi (I 41-53); esprime (in entrambi i casi sull’autorità di Livio) tanto la molla vocazionale, tutta intima e soggettiva, che presiede alla sua
propria trascrizione memoriale («L’animo mio stimolato non posa finente dio che io non
aio messe in scritto queste belle cose e novitati» I 54-71), quanto lo splendido paradosso
per cui lo scrivere di storia difende e preserva dalla drammaticità della storia stessa («Mentre che prenno diletto in questa opera, sto remoto e non sento la guerra e li affanni li quali
curro per lo paese, li quali per la moita tribulazione siento tristi e miserabili non solamente
chi li pate, ma chi li ascoita» I 71-81). Infine, in quel medesimo Prologo e primo capitolo trovano spazio la rivendicazione della veridicità degli eventi narrati, confermata per autopsia o in via orale-aurale (I 81-90), l’esplicita e consapevole determinazione di un
destinatario ecumenico («onne iente») e la conseguente scelta del mezzo linguistico opportuno a raggiungerlo poiché «vulgari mercatanti e aitra moita bona iente […] per lettera non intenne» (I 90-97)2. Il Prologo insomma risulta un denso coagulo di differenti
motivazioni alla scrittura, eppure tanto ordinatamente e lucidamente esposte da indurre
il lettore a riconoscere allo storico trecentesco l’altissima capacità di guardare dentro di
sé e al farsi dell’opera, con un distacco prospettico e con una visione d’insieme eccezionali per la metà del Trecento; il giudizio critico, formulato sul versante ideologico, si scarica poi inevitabilmente sul versante della pianificazione testuale. Al giudizio su
* Per la redazione finale di questo lavoro ho potuto giovarmi dei suggerimenti, delle correzioni e
degli stimoli a ulteriori approfondimenti di amici lettori cui sono debitrice e che desidero ringraziare
pubblicamente: Maurizio Campanelli, Paolo Divizia, Vittorio Formentin, Valentina Gritti, Livio Petrucci, † Giuliano Tanturli, Paolo Trovato.
1
Di qui in avanti la Cronica sarà citata (salvo avvertenza in contrario) secondo il testo stabilito in
ANONIMO ROMANO, Cronica, edizione critica a cura di GIUSEPPE PORTA, Milano, Adelphi, 1979, al cui
testo si rimanda tramite numero romano (per il capitolo) e cifre arabe (per le righe); il numero di pagina (eventualmente preceduto dal nome dell’editore) rimanda al corredo critico del volume.
2
Sul Prologo cfr. da ultimo MAURIZIO CAMPANELLI, The Preface of the Anonimo Romano’s Cronica: Writing History and Proving Truthfulness in Fourteenth-Century Rome, in «The Mediaeval Journal», III (2013), pp.
83-106.
148
Lucia Bertolini
quest’ultimo punto contribuisce l’indice della materia, collocato in quel primo capitolo
proemiale, consistente nel registro ordinato dei capitoli e dei titoli di ciascuno di essi (I
102-197) preceduto dall’avvertenza: «Anche questa opera destinguo per capitoli, perché
volenno trovare cobelle, senza affanno se pozza trovare» (I 99-101). Tale strategica posizione del piano complessivo del testo dispone il lettore “ingenuo” a guardare in avanti,
il quale, fidando nell’autore che a ciò l’ha indotto, non può sottrarsi al senso di gratitudine verso l’Anonimo che dice di sovvenirlo, fin dall’apertura, a trovare «cobelle».
Il lettore non “ingenuo” però, dopo aver subìto il fascino iniziale esercitato dal Prologo e primo capitolo e dopo aver goduto di quel primo straordinario contatto che ci fornisce tante informazioni sul mondo culturale e ideologico di colui che continua comunque
a essere anonimo3, deve riassumere l’atteggiamento del critico, e, per evitare di rimaner
succube della prima impressione, deve porsi alcune domande. Quale effettiva utilità ha,
al di là dell’esplicita ma formulare dichiarazione dell’Anonimo, quel registro che per «trovare cobelle» ripete pedissequamente (le divergenze sono solo di tipo formale) le rubriche e la numerazione dei successivi capitoli? La natura particolare della Cronica –
organizzata, com’è noto, per macroeventi intorno ai quali o ruotano altri numerosi avvenimenti di minore portata o si collocano digressioni, anticipazioni e posticipazioni4, e
3
Per le proposte attributive avanzate fra il 1995 e il 1999 a favore di Bartolomeo di Iacovo da Valmontone (Giuseppe Billanovich) e di Lello Tosetti (Aldo Rossi) e le reazioni non convinte di vari studiosi (Fulvio Delle Donne, Giampaolo Tognetti, Pietro Trifone), si integrino i resoconti di CAMPANELLI,
The Preface of the Anonimo Romano’s Cronica, cit., p. 85 n. 12 e di GIULIO VACCARO, Text and transmission
in early Italian Chronicles, relazione ufficialmente inedita presentata al Cambridge International Chronicles Symposium (Cambridge, University of Cambridge, 16-18 July 2010), pp. [2-3] non numerate del
file consultabile su Academia.edu all’indirizzo: https://www.academia.edu/1938112/Text_and_transmission_in_early_Italian_Chronicles.
4
GIULIANO TANTURLI, La Cronica di Anonimo romano, in «Paragone. Letteratura», XXXI (1980), 368,
pp. 84-93, a p. 84: «Il resultato, però, non è l’indiscriminato e polverizzato cumulo di notizie, ma la selezione stretta di pochi fatti, distesi con ricchezza di particolari, e giustapposti al di fuori di ogni storica conseguenzialità, come grandi quadri ciascuno a sé stante e in sé compiuto»; MAURIZIO DARDANO,
L’articolazione e il confine della frase nella «Cronica» di Anonimo Romano, in Italia linguistica: idee, storia, strutture, a cura di FEDERICO ALBANO LEONI, DANIELE GAMBARARA, FRANCO LO PIPARO, RAFFAELE SIMONE, Bologna, il Mulino, 1983, pp. 203-22, a p. 205: «I capitoli di cui si compone la Cronica sono di
diversa estensione e carattere, ma, salvo poche eccezioni hanno in comune il fatto di comprendere più
di un episodio»; GUSTAV SEIBT, Anonimo romano. Scrivere la storia alle soglie del Rinascimento, edizione italiana a cura di ROBERTO DELLE DONNE, Roma, Viella, 2000 (ed. orig. Anonimo romano. Geschichtsschreibung in Rom an der Schwelle zur Renaissance, Stuttgart, Klett-Cotta, 1992), p. 27, parla di «peculiare struttura
compositiva dell’opera […], articolata in unità narrative a sé stanti, che ha reso, naturalmente, più facile ai copisti l’opera di selezione e di riorganizzazione dei materiali», ma per una più articolata caratterizzazione dei criteri organizzativi della Cronica, si veda, ivi, pp. 38-39: «il rispetto della
contemporaneità degli eventi si subordina al rispetto dell’unità tematica dei capitoli. […] A un capitolo
non corrisponde, pertanto, necessariamente, un’unità tematica. Se questo comprende più argomenti,
il loro legame, oltre che dal principio di contemporaneità, è dato, in genere, da un nesso di tipo causale o geografico».
La Cronica d’Anonimo Romano
149
nella quale dunque non è sempre agevole districarsi per l’intentata disposizione dei fatti
lungo l’asse ordinatore del tempo – si sarebbe piuttosto giovata di un indice tematico o
di una cronotassi5; d’altro canto a metà del Trecento, per opere storiografiche di impronta e organizzazione non annalistica, la divisione in capitoli è ormai un dato formale
diffuso se non corrente, ma (laddove esperito) esso ha funzione organizzativa e strutturante (per lo più per opere di ampia estensione) in forza della natura monografica delle
singole partizioni6. Al contrario la prevalente natura binaria, talvolta addirittura accumulativa, dei capitoli della Cronica è esposta fin dai loro titoli i quali, esplicitando per lo
più accanto a un argomento maggiore una notizia di minore portata, paiono rendicontare e tematizzare a posteriori gli argomenti trattati in un materiale testuale già confezionato piuttosto che pianificare il narrabile7. In ogni caso, e in assenza di un registro più
5
Per le pratiche ordinatorie e di indicizzazione dei testi medievali (di carattere storico e non) cfr.
PASCALE BOURGAIN, Les textes historiques, in Mise en page et mise en texte du livre manuscrit, sous la direction
de HENRI-JEAN MARTIN et JEAN VÉZIN, Préface de JACQUES MONFRIN, Paris, Éditions du Cercle de la
Librairie-Promodis, 1990, pp. 169-72 e, nello stesso volume, GENEVIÈVE HASENOHR, Les systemes de repérage textuel, pp. 273-88. In entrambi i contributi si trovano esempi di ‘indicizzazione’ molto più articolati e raffinati rispetto all’elenco dei capitoli in capo d’opera, mentre, quando tali indici siano costituiti
solo dall’elenco dei capitoli, essi sono più di frequente frutto dell’iniziativa di copisti e lettori. Negli ultimi anni la bibliografia su questo aspetto del libro manoscritto e a stampa si è fatta particolarmente
ricca: si vedano ‘Fabula in tabula’. Una storia degli indici dal manoscritto al testo elettronico, a cura di CLAUDIO
LEONARDI, MARCELLO MORELLI e FRANCESCO SANTI, Spoleto-Firenze, Centro Italiano di Studi sull’Alto Medioevo - Fondazione Ezio Franceschini, 1995; MARIANGELA REGOLIOSI, Il paratesto dei manoscritti, in «Paratesto», III (2006), pp. 9-33; MARIA GIOIA TAVONI, Sull’utilitas degli indici, in «Paratesto», I
(2004), pp. 13-22; EAD., «Per aconcio de lo lectore che desiderasse legiere piu in uno luoho che nell’altro…»: gli indici nei primi libri a stampa, in I dintorni del testo. Approcci alle periferie del libro, Atti del convegno internazionale (Roma, 15-17 novembre 2004 - Bologna, 18-19 novembre 2004), a cura di MARCO SANTORO
e MARIA GIOIA TAVONI, Roma, Edizioni dell’Ateneo, 2005, pp. 57-79; EAD., Circumnavigare il testo. Gli
indici in età moderna, Napoli, Liguori, 2009, con la bibliografia pregressa.
6
È quel che avviene per esempio nella duecentesca Cronica in factis et circa facta Marchie Trivixane di
Rolandino da Padova nella quale l’elenco dei capitoli di ciascuno dei dodici libri è introdotto, alla fine
del prologo, con le parole seguenti: «Ut demum haberi possit scriptorum lucidior intellectus, opus
istud sive recollectio cronicorum distinguatur in partes; et placeat legentibus, quod in libris duodecim
est divisum. Hec autem sunt capitula, que in toto volumine continentur»; ROLANDINO, Vita e morte di
Ezzelino da Romano (Cronaca), a cura di FLAVIO FIORESE, Milano, Fondazione Lorenzo Valla - Arnoldo
Mondadori Editore, 2004, p. 16. Dell’eccezionale forza strutturante delle partizioni della Cronica di
Rolandino è testimonianza l’acrostico (CRONICA ROLANDINI DATA [o, secondo il codice Estense: FACTA]
PADUE) costituito dall’incipit dei dodici libri.
7
La struttura coordinativa caratterizza la gran parte dei titoli dei capitoli della Cronica, di volta in
volta giustificata o dall’esplicitazione di aspetti particolari di un unico macrotema o dall’accostamento
di fatti in rapporto di causa-effetto o di correlazione storica, o infine, e più di frequente, in ragione di
una più o meno esatta contemporaneità. Il rilievo non attiene tanto alla struttura linguistica dei titoli
(che è costante lungo tutta la Cronica), quanto alla natura giustappositiva del materiale storico che si condensa in unità testuali per ragioni variabili e si direbbe dunque occasionali. All’interno di tale tendenza
generale mi paiono però dimostrare l’assunto di un addensamento creato a posteriori il titoletto (e ov-
150
Lucia Bertolini
dettagliatamente organizzato, o di un vero e proprio indice completo dei rimandi alle
carte in cui il singolo capitolo trovava luogo (questo dettaglio è generalmente assente
dai manoscritti della Cronica), l’elenco dei titoli collocato in fine al Prologo e primo capitolo
non offre ai lettori del Trecento (né a noi oggi) nessun aiuto concreto a «trovare cobelle»
evitando loro di sfogliare il volume e rintracciare sulla pagina numerazione e titolo delle
partizioni (magari evidenziati con accorgimenti particolari o anche soltanto centrati sul
rigo): insomma l’indice racchiuso nel proemiale capitolo primo non aggiunge granché
(alla luce dei dati a noi oggi disponibili) alla sequenza topograficamente ordinata dei capitoli, se essa come tale fosse stata trasmessa nella tradizione.
I.2. Il lettore non sprovveduto che intenda sottrarsi al fascino del primo contatto con
l’Anonimo, però, sarà posto di fronte a ben più seri e inquietanti quesiti suscitati dal capitolo II che, immediatamente dopo il mirabile proemio e l’ordinata e geometrica presentazione del piano di lavoro, appare caratterizzato da una serie di incertezze e di false
partenze. Solo il titolo iniziale del Cap. secunno (Como Iacovo de Saviello senatore fu cacciato de
Campituoglio per lo puopolo, e della cavallaria de missore Stefano della Colonna e missore Napolione
delli Orsini) separa il registro con cui si conclude il Prologo e primo capitolo da questo attacco: «Dunqua da quale novitate comenzaraio? Io comenzaraio dallo tiempo de Iacovo
de Saviello» (II 1-2).
Il punto originariamente proposto per l’avvio (la destituzione di Iacopo Savelli, unico
senatore romano, da parte di Napoleone Orsini e Stefano Colonna, avvenuta fra il luglio
e il novembre del 1325) è enunciato in breve, in trentatre linee a stampa, nelle quali hanno
modo di confluire vivide immagini coloristiche («L’uitimo de quelli […] portava una iuba
de zannato roscio e una scuffia de zannato giallo in capo, una mazza a cannali in mano»
II 15-18)8 riesumate da una incerta memoria giovanile («Bene me recordo como per
viamente il contenuto) del cap. III (Como fu sconfitto lo principe della Morea a porta de Castiello Santo Agnilo,
e como fu trovato Guelfo e Gebellino, e delle connizione de Dante e que fine abbe soa vita) e il cap. IX (Della aspera
e crudele fame e della vattaglia de Parabianco in Lommardia e delli novielli delle vestimenta muodi); il titolo del cap.
XII (Como fu cacciato de Fiorenza lo duca de Atena, e como morìo papa Benedetto e fu creato papa Chimento) introduce (in ordine inverso rispetto all’ordine dell’esposizione) due avvenimenti che, dal punto di vista
cronologico, sono tangenti solo nell’anno iniziale (1342, secondo la Cronica, anche se in realtà 1342 e
1343). Sulla “disomogeneità” tematica del contenuto del cap. IX cfr. SEIBT, Anonimo Romano, cit., pp.
38-39: «Non mancano, tuttavia, casi in cui l’Anonimo non conforma la costruzione di un capitolo al
rigoroso rispetto del principio dell’omogeneità tematica. Al capitolo nono si racconta, in primo luogo,
di una carestia, poi si descrive la battaglia di Parabiago, seguita, a sua volta, da una caratterizzazione, a
grandi linee, della figura di Luchino Visconti e, in conclusione, da un passo moraleggiante sulle nuove
mode dominanti nel campo dell’abbigliamento. Fatta eccezione per la sezione dedicata a Luchino Visconti, il titolo del capitolo riporta tutti gli argomenti trattati. […] è la prospettiva lombardo-bolognese
il filo rosso che unisce i temi trattati nel nono capitolo, fatta esclusione per il racconto del miracolo accaduto a Roma in occasione di una carestia e del passo moraleggiante sull’abbigliamento».
8
Introduco direttamente a testo la correzione a cannali, recuperata sulla scorta di α (a canali) da Vit-
La Cronica d’Anonimo Romano
151
suonno» II 10-11), la presentazione di uno dei protagonisti della Roma della prima metà
del Trecento (Stefano Colonna del ramo di Palestrina) con i suoi sapidi epifonemi («Con
doi denari de cerase lo rappagaraio» II 31-32) che bene ne tratteggiano l’alterezza, e ingiustificate ripetizioni («Io stava in Santa Maria dello Piubico» II 11-12 e II 21-22). Dopo
quella prima proposta d’avvio però, l’Anonimo, evidentemente insoddisfatto, avanza, a
immediato ridosso, un argomento di partenza alternativo: «Anche comenzo io dallo
tiempo che questi doi baroni fuoro fatti cavalieri per lo puopolo de Roma, bagnati de
acqua rosata» (II 33-35).
La menzione di Stefano Colonna e Napoleone Orsini nello spezzone precedente ha
fatto riaffiorare alla memoria un altro evento (la cerimonia di investitura cavalleresca avvenuta nello stesso 1325) del quale i due potenti baroni romani erano stati protagonisti9.
Anche in questo caso poche vividissime righe (venti in tutto) che rappresentano però anch’esse, e per la seconda volta, una falsa partenza; perché anche di questo evento (come
del primo riguardante Iacopo Savelli) l’Anonimo si ricorda a malapena.
Certo da queste cose io non comenzo; ca, benché così fosse, io era in tanta tenerezza de etate,
che conoscimento non avea elettivo. Anco voglio comenzare da cosa de più aitezza. Incomenzaremo collo nome de Dio dalla sconfitta dello principe della Morea, la quale fu per questa via (II 52-58)10.
Ormai il lettore, immesso nel concreto dello scrivere la storia, si sarà immunizzato
dalla prima impressione che l’apertura della Cronica gli aveva trasmesso e formulerà un
quesito più ampio e più generale: di quale Anonimo fidarsi? di quello che si presenta nel
Prologo e primo capitolo come padrone e sommo gestore di un progetto testuale chiaro fin
dall’inizio nei suoi dettagli? o piuttosto dell’altro che si mostra nudo nell’atto dell’enunciazione e che, in presa diretta, candidamente dichiara di essere ancora incerto su quale
possa essere l’evento da cui prendere le mosse?
torio Formentin (Filologia e lessicografia: due discipline in contatto, in La nascita del vocabolario, Convegno di
Studio per i quattrocento anni del Vocabolario della Crusca, Udine, 12-13 marzo 2013, a cura di ANTONIO DANIELE e LAURA NASCIMBEN, Padova, Esedra, 2014, pp. 193-209, alle pp. 207-09) contro la
variante di β (a cavallo) accolta a testo da Porta.
9
La cerimonia di investitura a cavalieri dei due scendichi protagonisti della precedente destituzione
è di incerta datazione, ma dovette seguire a stretto giro, nello stesso 1325; degli inizi del 1327 è invece
il viaggio a Napoli dei due cavalieri per la ratifica da parte di Roberto d’Angiò, di cui si fa menzione
alle rr. 49-52. Per le datazioni degli eventi mi avvalgo liberamente delle Note storiche contenute nelle pp.
683-723 dell’edizione già citata di Giuseppe Porta (editio maior) e delle Note poste a corredo dell’editio minor (ANONIMO ROMANO, Cronica, a cura di GIUSEPPE PORTA, Milano, Adelphi, 1981, pp. 201-58).
10
Come mi fa notare Vittorio Formentin, il fatto che la topica invocatio («Incomenzaremo collo
nome de Dio […]») sia collocata alla fine del cap. II anziché, come ci aspetteremmo, nel Prologo e primo
capitolo, o all’inizio del cap. II, sconfessa definitivamente i precedenti tentativi di attacco e, al contempo,
è ulteriore sintomo dello stato di non-finito in cui la Cronica è stata lasciata dal suo autore.
152
Lucia Bertolini
I.3. Con il III capitolo, nel quale la Cronica prende l’avvio definitivo, lo scrittore non risulta più esclusivamente ancorato ai fatti romani contemporanei, non fosse altro perché,
volendo descrivere il tentativo di Giovanni d’Angiò di entrare in Roma e la vittoriosa resistenza dei Romani guidati da Sciarra Colonna, in piena consapevolezza amplia il campo
prospettico su uno scenario internazionale e europeo (lo scontro fra il Bavaro e Giovanni XXII) temporalmente dilatato, all’interno del quale collocare l’evento principale.
Al contempo il capitolo III registra un sostanziale cambio di passo che non può essere
spiegato se non come maturazione ideologica e assunzione di coscienza storica: la divaricazione cronologica fra gli eventi narrati nel capitolo II (attinenti al 1325, quando l’autore era in «tanta tenerezza de etate, che conoscimento non avea elettivo», e ai primi del
1327)11 e rispettivamente nel capitolo III (del settembre 1327, quando lo scrivente pare
aver raggiunto in pieno i requisiti necessari) è troppo contenuta per giustificare, in termini puramente anagrafici, la conquista di autonomia di giudizio che l’Anonimo si attribuisce nel III capitolo12. Il cambio d’argomento, di passo e di prospettiva che
caratterizzano il III capitolo (evidenti rispetto ai barcollamenti ostentati nel precedente)
corrisponde alla presa d’atto che l’esclusiva testimonianza autoptica non è sufficiente
per scrivere di cose di granne escellenzia de novitate in questo munno13; accanto a notizie puntuali di grande dettaglio (il nome del banditore cui Sciarra Colonna si affida per svegliare
i Romani e chiamarli all’arme: «Coscia abbe nome lo vannitore» III 60-61; il ricordo personale: «Io me recordo che in quella notte uno cavalieri romano armato, essenno cavalcato a Ponte14, odìo una trommetta de nimici. Volenno fuire tramazzao da cavallo. Lassao
lo cavallo e vennese a pede. Sacci ca non abbe carestia de paura!» III 82-87) risalenti al-
11
Cfr. la nota 9.
Le considerazioni cronologiche riguardano la datazione assoluta oggettiva e soggettiva, non invece i tempi della scrittura; la divaricazione fra scrittura del II capitolo (non determinabile se non in
rapporto ai fatti narrati; dunque post 1325-1327) e scrittura del III (non prima del 1332, data dell’attribuzione a Giovanni d’Angiò del titolo di duca di Durazzo, citato nel cap. III della Cronica come Ianni
della Rascione) potrebbe infatti essere più ampia.
13
Il cap. III infatti dimostra la conquistata pianificazione narrativa sia in avanti sia retrospettiva,
nel caso specifico recuperabile solo mediante il ricorso a fonti indirette (rr. 1-11): «Currevano anni
Domini MCCCXXVII, dello mese de settiembro, nella viilia de santo Agnilo de vennegne, quanno fatta
fu la granne sconfitta per li Romani a porta de Castiello; la quale fu per questa via. Li elettori dello
imperio nella Alamagna liessero Ludovico duce de Bavaria in imperatore [se alla lettera, si dovrà intendere il
1314; più probabile che l’Anonimo accenni all’indiscussa autorità conquistata sul campo di Muhldorf
nel settembre 1322, che aveva messo fuori gioco l’antagonista Federico d’Asburgo], lo quale non fu
obediente a papa Ianni, como se dicerao [che rinvia al cap. IV, perduto]. Quanno la venuta de questo
elietto a Roma fu intesa, papa Ianni, lo quale era in quello tiempo, e Ruberto re de Apuglia se
provedevano de pararese a soa venuta».
14
Adotto la correzione (Ponte, in luogo di ponte dell’edizione) proposta da FRANCESCO A. UGOLINI,
Intorno a una recente edizione della cronaca romanesca di anonimo, «Contributi di dialettologia umbra», II (1983),
6, pp. 371-423, a pp. 408-09.
12
La Cronica d’Anonimo Romano
153
l’autore-testimone, l’icastica evidenza dei fotogrammi è più rarefatta rispetto al cap. II, a
vantaggio di oggettive informazioni strategiche e topografiche riguardo l’assalto degli
Angioini e la difesa di Roma da parte di Sciarra. Pare di poter concludere che, mentre all’altezza del capitolo II l’Anonimo è ancora alle prese con la costruzione dell’immagine
di sé come autore consapevole di un testo pianificato nei dettagli, proprio in quegli abortiti tentativi di attacco, reiterati e messi a nudo, si matura la scelta di essere, oltre che testimone autoptico della veridicità dei fatti, anche autore-garante, tramite la loro
escussione e confronto, di fonti indirette, orali e scritte15.
In un passo che ha fatto problema dal punto di vista testuale si potrebbe in effetti
veder traccia di una progressiva presa di coscienza autoriale che si sedimenta per strati
nella pagina (la successiva proposta editoriale, tutta ipotetica, vorrebbe tentare la strada
redazionale: con i caratteri in apice si segnalano le possibili aggiunte autoriali successive
alla prima stesura, che hanno creato in definitiva un testo non rigorosamente coerente):
Quello che io scrivo sì ène fermamente vero. E de ciò me sia testimonio Dio e quelli li quali
mo’ vivo con meco, ché le infrascritte cose fuoro vere. E io le viddi e sentille: massimamente alcuna cosa che fu in mio paiese intesi da perzone fidedegne, le quale concordavano ad uno. E de ciò io poneraio certi
segnali, secunno la materia curze, li quali fuoro concurrienti con esse cose. Questi segnali farrao lo leiere essere certo e non suspietto de mio dicere (I 81-90)16.
15
Sulla componente scritta delle fonti messe a frutto dall’Anonimo pone ora l’accento MAURIZIO
CAMPANELLI, The Anonimo Romano at his Desk: Recounting the Battle of Crécy in Fourteenth-Century Italy, in
«The Medieval Chronicle», IX (2014), pp. 33-77, in rapporto alla battaglia di Crécy narrata nel cap. XIV
(ma si veda anche CAMPANELLI, The Preface of the Anonimo Romano’s Cronica, cit., pp. 99-106); per l’eventuale e più o meno assodato utilizzo di precise fonti documentarie e cronachistiche coeve si veda SEIBT,
Anonimo romano, cit., pp. 71-99, con la precedente bibliografia ivi indicata. Infine di «autopsia dichiarata come fattuale ma in realtà finzionale» parla opportunamente, a proposito del capitolo XXVII,
TOMMASO DI CARPEGNA FALCONIERI, «Dolore ène de recordare». Testimonianza diretta e modelli letterari nella
morte di Cola di Rienzo narrata dall’Anonimo Romano, in Roma e il Papato nel Medioevo. Studi in onore di Massimo Miglio, II. Primi e tardi umanesimi: uomini, immagini, testi, a cura di ANNA MODIGLIANI, Roma, Edizioni
di Storia e Letteratura, 2012, pp. 49-57, a p. 53.
16
Della problematicità del brano così come è unanimemente tramandato dai codici si è per primo
accorto Giuliano Tanturli che, diagnosticata una lacuna per omoioteleuto, ha proposto di intervenire
integrando così: «E io le viddi e sentille massimamente alcuna cosa che fu in mio paiese; [e le cose che
non fuoro in mio paiese] intesi da perzone fidedegne, le quale concordavano ad uno» (TANTURLI, La
Cronica di Anonimo romano, cit., p. 92 n. 2). La soluzione, impeccabile dal punto di vista formale, mi pare
però non tenga conto dei segnali che l’autore dice di aver inserito nel testo, la cui natura è di essere stati
«concurrienti con esse cose», cioè con gli avvenimenti stessi (e non con la loro relazione presso l’autore da parte di persone fededegne); la considerazione appena espressa mi pare metta anche in dubbio la proposta di CAMPANELLI, The Preface of the Anonimo Romano’s Cronica, cit., pp. 96-98, a p. 96: «In
my opinion, the most important part of these signs consists of parallels with either modern or ancient
history». Annoto che una inconseguenza, certo di minore evidenza, coinvolge l’avverbio «massimamente» anche a I 17-19: «E questo muodo servaro li Romani per tutta Italia e in Francia e massimamente in Roma».
154
Lucia Bertolini
II.1. Se questo è quanto il lettore non più ingenuo, anche a un primo livello di curiosità,
può supporre riguardo alla progressiva presa di coscienza ideologica dello scrittore in
quanto scrittore di storia, a un successivo livello il lettore, assunto definitivamente l’atteggiamento del critico, si dovrà chiedere se c’è modo di spiegare la contraddizione ineludibile fra l’ordinata pianificazione degli argomenti propostaci dall’elenco delle partizioni
con cui si conclude il I capitolo e l’affannosa ricerca di un punto di avvio che le fa immediatamente seguito nel cap. II e di render conto filologicamente della loro coesistenza.
Anche i più fidenti operatori di filologia formale secondo la tradizione lachmanniana
e neolachmanniana (come la sottoscritta) sono pienamente consapevoli che essa funziona come uno scatto fotografico: immobilizza i fatti e la storia, consente di avanzare
ipotesi (ipotesi di lavoro) sulla direzione del flusso, ma poi non può far altro che, di quel
flusso, tracciare con il grafo stemmatico la direzione principale, alcuni rivoli, insomma
gli effetti e le tracce della storia piuttosto che la storia stessa; eppure, come la macchina
fotografica, il metodo che tenta di ricostruire la storia dei testi reca con sé, oltre che l’effetto collaterale e indesiderato dell’immobilità dei gesti, la possibilità, per chi ne abbia voglia, di indagare su quel che della storia si è sedimentato sulle persone, i paesaggi e gli
oggetti offerti al nostro sguardo nello scatto, perché gli oggetti e i soggetti del fotogramma la storia la portano su di sé, sulla pelle, e dentro di sé, negli occhi e nella conformazione fisica; insomma, fuor di metafora, la storia si sedimenta nel testo. Per scattare
il miglior fotogramma possibile è necessario entrare in una qualunque “patia” con l’oggetto dello scatto, così da limitare l’effetto collaterale di trasformare uno strumento di
indagine (la macchina fotografica, come il metodo filologico) in pura tecnica. O anche
(per continuare la metafora del viaggio che gli organizzatori hanno scelto per questo
convegno): il filologo per tracciare il viaggio del testo deve formulare, insieme e prima
che delle ipotesi sul percorso, anche delle ipotesi sul punto di avvio di quel tour.
Questa ambizione, e la coscienza dei condizionamenti indotti dalla strumentazione
in nostro possesso, dovrebbero persuaderci a dismettere l’abitudine (soprattutto se inconsapevole) di esercitare la critica testuale su un tavolo diverso da quello della storia del
testo, quest’ultima comprensiva delle fasi elaborative dell’autore: anche se in teoria sappiamo bene quanto la conoscenza intima dell’opera coadiuvi l’operazione ricostruttiva,
di rado ci proponiamo di affrontare durante l’esercizio testuale (e ovviamente nei limiti
in cui ciò è possibile) le questioni di “come lavorasse l’autore” (si intenda: non nei termini variantistici, ma in quello, forse più dozzinale, di come l’autore costruiva pagina
dopo pagina l’opera sua) e di come l’autore abbia consegnato il suo testo (se l’ha consegnato) ai lettori contemporanei e futuri.
II.2. Ma, come direbbe l’Anonimo, torniamo a casa! L’incertezza che il nostro scrittore
ha mostrato al momento di iniziare la sua Cronica (nel II capitolo, e dunque in un luogo
topograficamente successivo all’elencazione dei capitoli in fine del primo) ci impone di
formulare delle ipotesi su come l’Anonimo abbia costruito il proprio testo. Infatti, è davvero possibile che l’incertezza del capitolo II sia successiva (come di fatto risulterebbe
dal punto di vista topografico) alla determinazione del lucido piano tematico che topograficamente la precede? L’organizzazione dei capitoli, ciascuno costruito intorno a un
macrotema e disposti l’uno rispetto all’altro secondo una linea grosso modo cronologica,
La Cronica d’Anonimo Romano
155
poteva facilmente consentire una stesura libera da condizionamenti correlativi stringenti
e dunque, tanto o poco, divergente dall’asse topografico-temporale quale oggi il testo
conservato o ci attesta o pretende per coerenza interna; la linea cronologica infatti era
comunque recuperabile a posteriori tramite l’opportuno successivo riordino. Il filologo
abituato a lavorare su autografi conosce bene altre “introduzioni scritte da ultimo” e
sulle carte d’autore ha sperimentato i modi con i quali quest’ultimo raggiunge e conquista, anche faticosamente, la distanza prospettica dal proprio prodotto dopo la stesura dell’intero o di una sua parte; sulla base di tale esperienza l’operatore critico è in grado di
prendere in considerazione l’ipotesi, per il momento astratta e teorica, che parte del capitolo (piuttosto che il capitolo per intero) topograficamente primo possa essere stata inserita in quel luogo a un certo momento dell’elaborazione (non necessariamente alla
fine) per imporre ordine a un enunciato fin lì gestito sull’impulso dell’enunciazione: se
così fosse, l’autore stesso, prima ancora che il lettore, avrebbe avuto bisogno di «trovare
cobelle, senza affanno» nella fino a lì casuale sommatoria di temi-capitoli.
II.3. Dopo le incertezze iniziali il testo corre continuo (a parte le lacune di cui si parlerà
in seguito), con una caratterizzazione prevalente che privilegia i fatti romani o, se italiani, affrontati da un punto di vista romano; fanno eccezione il punto di vista “occidentale”, cristiano e antimusulmano, dal quale si descrivono la battaglia del Rio Salado,
l’assedio di Gibilterra (cap. XI) e la crociata di Smirne (cap. XIII), e quello francamente
“europeo” con cui l’Anonimo rende conto di un episodio della guerra dei Cento Anni
(cap. XIV); con minore evidenza fanno eccezione i capitoli, di argomento italiano, VIIIIX e la seconda parte del cap. XII17. Conscio di questa irregolare fuoriuscita dai confini
che si era imposto, l’Anonimo riassume il punto di vista privilegiato all’inizio del cap.
XV:
Granne circuito avemo fatto, moito tiempo simo iti spierzi, moito paiese stranio avemo cercato. Cercato avemo la Lommardia e.lla Spagna, la Turchia e.lla Francia. Ora ène anche tiempo
convenevile de tornare a casa. Tornemo in Italia, tornemo alle magnifiche e inaudite novitate
le quali per noviello haco tutta Italia cercata (XV 1-7)18.
L’Anonimo elenca ordinatamente i luoghi in cui si sono svolti i fatti raccontati nei
capp. VIII-IX (Della cometa la quale apparze in Lombardia e della abassazione de missore Mastino
tiranno per li Veneziani, in relazione a fatti avvenuti nel 1337 e rispettivamente Della aspera
e crudele fame e della vattaglia de Parabianco in Lombardia e delli modi novielli delle vestimenta, del
1338 e del 1339), nel cap. XI (Della sconfitta de Spagna e della toita della Zinzera e dello assedio
17
Per l’inversione nel titolo del cap. XII (Como fu cacciato de Fiorenza lo duca de Atena, e como morìo papa
Benedetto e fu creato papa Chimento) dei due temi principali svolti nella narrazione, cfr. sopra la nota 7.
18
Su questo passo si veda ora DANIELE ORLANDI, Granne circuito avemo fatto. Itinerari geoculturali nella
Cronica di Anonimo Romano, in «Carte di viaggio», V (2012), pp. 9-28.
156
Lucia Bertolini
de Iubaltare, del 1340, ma con un estremo accenno alla morte di Alfonso XI del 1350), nel
cap. XIII (Della crociata la quale fu fatta in Turchia alle Esmirre, al cui evento principale, del
1344, si accostano accenni a fatti del 1341 e del 1345-1346), nel cap. XIV (Della sconfitta
de Francia, dove morìo lo re de Boemia e lo re de Francia fu sconfitto dallo re de Egnilterra, del 1346).
L’elenco riassuntivo dell’inizio del cap. XV dunque, pur incentrato sull’evocazione dei
luoghi geografici, prescinde dalla vicinanza o lontananza reciproca di questi ultimi ed è
invece ordinato rispettando tanto la collocazione relativa (ma non assoluta) di quei medesimi capitoli all’interno della Cronica quanto la sequenza cronologica dei fatti che essi
trattano. Manca invece, non tanto la menzione del cap. X – di prevalente argomento romano (Della morte dello re Ruberto e della venuta che fece la reina de Ongaria a Roma, 1342-1343)
– quanto piuttosto quella dell’avventura fiorentina di Gualtieri di Brienne del 1342 che,
con una propaggine che giunge al 1356, è narrata nel cap. XII. La riassunzione della linea
privilegiata (su base italiana e romana) di costruzione del testo, riepilogativa una volta per
tutte dell’eccezionale uscita dai confini territoriali che l’Anonimo si era proposto, poco
avrebbe senso se non si riferisse a una porzione testuale continua, magari in via provvisoria, dal punto di vista della scrittura; a ciò induce sia il coinvolgimento, nella macro-sequenza riassuntiva, dei capp. VIII-IX (scavalcando dunque il cap. X, di argomento
romano), sia, forse, la mancata menzione del cap. XII19, sia la constatazione che proprio
in questo tratto della Cronica si attui il più evidente anacronismo nell’ordine cronologico
dei capitoli, il cap. XI (che narra principalmente di eventi dell’anno 1340) essendo inserito dopo la morte del re Roberto d’Angiò (1342, nel cap. X) e prima della vicenda del
Duca di Atene (1342, nel cap. XII)20.
Un indizio insomma, appannato da fasi successive dell’elaborazione del testo, che la
scrittura abbia proceduto per grandi temi, secondo una cronologia a maglia larga entro
la quale poté essere inserita, mano a mano, ma talora con qualche difficoltà, la narrazione di ulteriori eventi21. L’indizio appena riferito pertiene alla prima parte dell’opera,
19
Alla base della mancata menzione della vicenda fiorentina potrebbe forse stare la percezione
che la Toscana, al contrario della «Lommardia», faccia parte dell’Italia, anche in forza della contiguità
territoriale con il Lazio. Così del resto intende SEIBT, Anonimo Romano, cit., p. 175: «Il termine Italia –
con l’esclusione della Lombardia – allude, in questo caso, più a un concetto geografico che a un’idea
di realtà politica unitaria. L’Italia gravita intorno a Roma, di cui il cronista è cittadino, e dove si sente
“a casa”».
20
Se l’ipotesi di contemporaneità di scrittura di questi capitoli fosse valida, si potrebbe estendere
all’intera sezione la datazione (post-1355) relativa alla composizione del cap. XI, secondo quanto determinato da FRANCESCO A. UGOLINI, La prosa degli «Historiae Romanae fragmenta» e della cosiddetta «Vita
di Cola di Rienzo», in «Archivio della R. Deputazione romana di Storia patria», LVIII (1935), pp. 1-68, ora
in ID., Scritti minori di Storia e Filologia italiana, Prefazione di Giancarlo Dozza, Perugia, Università degli
Studi di Perugia, 1985, pp. 301-53, in particolare alle pp. 335-36.
21
Sebbene non si possa tassativamente escludere che l’unitarietà del segmento intravisto corrisponda a un successivo ampliamento avvenuto in un’unica fase elaborativa, mi par più probabile che
la sequenza digressiva fuori dei confini italiani, riassunta in capo al cap. XV e consistente nella scrittura dei capp. VIII-IX, XI, XIII-XIV, preceda la scrittura del cap. XII: si ricordi infatti che la scrittura
La Cronica d’Anonimo Romano
157
quella che, come vedremo, si presenta nella tradizione manoscritta come la più compatta
e coesa; anche alla luce di esso dovremo leggere il disordine con cui la tradizione trasmette la seconda parte della Cronica.
ΙΙΙ.1. Avanti di procedere oltre è utile ricordare in breve i dati della tradizione, come noto
tarda, che ci ha consegnato l’opera. Costituita da ventotto capitoli, secondo le intenzioni
espresse dall’Anonimo nel piano consegnato al cap. I, la Cronica è però conservata in maniera lacunosa come risulta dal prospetto che segue (nel quale, con fondo grigio, sono
segnalate le lacune o le assenze, siano esse parziali o integrali):
I, II, III[…], IV, […]V, VI, VII, VIII [con due lacune interne], IX, X, XI, XII, XIII [con due
lacune interne], XIV, XV, XVI, XVII, XVIII, XIX, XX, XXI, XXII, XXIII[…], XXIV, XXV,
XXVI, XXVII [con una lacuna interna], XXVIII.
Lacune o assenze si è detto, perché, a rigore, la mancata attestazione dei capitoli XVII,
XIX-XXII, XXIV-XXV e XXVIII (a cui va con buona probabilità aggiunta l’assenza
della parte finale del cap. XXIII)22 sta su un piano testualmente difforme dalle vere e
proprie lacune, desumibili dalle perdite di testo che lasciano traccia di sé in iati di senso
e di sintassi fra quanto precede il brano perduto e quanto vi fa seguito, cioè23:
1) l’ampia caduta di testo che interrompe ex abrupto il cap. III e che rende acefalo il capitolo V,
trascinando nell’abisso l’intero cap. IV di cui non è traccia nella tradizione;
di quest’ultimo va fissata post 19 settembre 1356, secondo quanto stabilito da UGOLINI, La prosa degli
«Historiae Romanae fragmenta», cit., p. 337.
22
La presunta mutilazione del cap. XXIII è ipotizzabile sulla base del titolo (Dello quinquagesimo iubileo in Roma e della tornata la quale fece lo re de Ongaria in Roma e in Puglia), poiché manca tutta la vicenda
del ritorno a Roma di Luigi il Grande, ma il capitolo non si interrompe con frattura di senso e di sintassi; merita comunque di essere segnalato che il titolo del cap. XXIII compare in tutti i codici nella
forma completa qui sopra riferita nell’indice contenuto nel primo capitolo, ma, ad apertura del testo
corrispondente, la maggioranza qualificata dei manoscritti (M1bβ) omette e della tornata […] Puglia, porzione riferita dunque solo da O4, poiché T non contiene il cap. XXIII (per lo scioglimento delle sigle
dei codici si rinvia all’Appendice I). Si noti infine che l’assenza totale dei capp. XIX e XX e quella della
parte finale del cap. XXIII coinvolgono un medesimo argomento internazionale, la doppia venuta di
Luigi d’Ungheria in Italia in conseguenza dell’uccisione del fratello Andrea.
23
Tralascio, ovviamente, le numerose omissioni di dati numerici e cronologici, già indicate da Seibt
come segnale di non-finito (SEIBT, Anonimo Romano, cit., p. 28), sulle quali è da vedere la precisazione
di VITTORIO FORMENTIN, Approssimazioni al testo e alla lingua della Cronica d’Anonimo Romano, in Leggere
gli apparati (Testi e testimoni dei classici italiani), Milano, UNICOPLI, 2012, pp. 27-71, alle pp. 38-40): «si
tratta di piccole incompletezze che possono rimanere in un originale che per il resto ha raggiunto uno
stadio d’elaborazione definitivo o quasi definitivo»; di seguito lo studioso segnala come microlacune
di questo genere ricorrano in testi cronachistici e, occasionalmente, in documenti autentici (e si potrebbero aggiungere anche casi letterari di varie opere umanistiche, in particolare del Valla e dell’Alberti). Prescindo inoltre dalla presunta, ma possibile, imperfezione del cap. XVIII, supposta da Seibt
sulla base della mancata registrazione di notizie storiche (cfr. SEIBT, Anonimo Romano, cit., pp. 176-83).
158
Lucia Bertolini
2) la doppia lacuna che separa in tre monconi il cap. VIII all’altezza di r. 137 e r. 118b;
3) la doppia lacuna che separa in tre spezzoni il cap. XIII, all’altezza della r. 77 e della r. 35b24;
4) la lacuna che divide in due il cap. XXVII all’altezza del r. 502.
La distinzione fra lacune e assenze non fu invece tutelata dall’editore della Cronica
che attribuì all’archetipo entrambe le tipologie.
fig. 1
Riguardo all’archetipo che domina lo stemma da lui tracciato, bipartito nelle famiglie
α e β, ciascuna delle quali suddivisa rispettivamente nei gruppi a e b da un lato e c e d dall’altro), il Porta affermò (p. 340):
Il suo cattivo stato di conservazione fornisce una base concreta all’idea, già suggerita dalla
tarda età dei codici, della distanza che separa le copie pervenute dall’originale, come dimostra
la mancanza dei capitoli IV (in un guasto che coinvolge la parte finale del capitolo precedente
e quella iniziale del seguente, parzialmente mimetizzato nell’antigrafo di a dall’intitolazione,
cavata dall’indice, del frammento del cap. V), XVII, XIX, XX, XXI, XXII, XXIV, XXV, XXVIII, dove
si noterà la distribuzione asimmetrica della perdita. Quanto in essa sia dovuto all’interesse particolare che già per il copista dell’archetipo dovevano rappresentare i capitoli XVIII e XXVII che
24
I due casi di doppia lacuna nel cap. VIII e nel cap. XIII potrebbero dirci qualcosa di molto importante sulla struttura fisica dell’oggetto che ne è all’origine. L’ipotesi che ciascuno di essi vada fatto
risalire alla caduta meccanica di un bifolio non centrale di un medesimo fascicolo potrebbe essere verificata concretamente qualora la porzione di testo contornata dalle due lacune nel cap. VIII fosse proporzionalmente coerente con la porzione di testo contornata dalle due lacune del cap. XIII. Il conteggio
dei caratteri (con e senza spazi) delle porzioni di testo delimitate dalle lacune parrebbe incoraggiare (con
un margine tollerabile di variabilità in considerazione delle differenti abitudini grafiche) chi volesse
giungere a una conclusione definitiva in tal senso.
La Cronica d’Anonimo Romano
159
raccontano i fatti di Cola (e incidentalmente, i capitoli XXIII e XXVI che si riferiscono ad avvenimenti in cui egli si trovò in qualche modo compromesso) non è possibile chiarire completamente. Rimane il sospetto che già in quel codice che occupa il piano più alto dello stemma
agisse il principio di quella selezione che doveva procreare le «Vite».
L’esistenza indiscussa dell’archetipo (e, agli occhi di Giuseppe Porta, di conclamata
evidenza esterna), indusse in buona sostanza l’editore a ritenere inutile sia procedere all’individuazione puntuale degli errori da addossargli25, sia distinguere fra lacune e assenze, nonostante i residui di incertezza che traspaiono nelle parole appena riferite, prima
fra tutte l’affermazione «si noterà la distribuzione asimmetrica della perdita», che, rimarcando un fatto che risultò notevole agli occhi dell’editore stesso, manca però di
un’ipotesi interpretativa.
III.2. Come prova il regesto recentemente stilato e discusso da Formentin e da chi scrive,
gli errori comuni all’intera tradizione (sulla base dei quali impostare la discussione dell’esistenza dell’archetipo e decidere della sua natura) sono numerosi, ma la possibile esistenza dell’interposito (si veda più avanti il § V) non esime il filologo dalla discussione
puntuale della pertinenza o meno a quell’individuo di ciascun errore o caratteristica della
tradizione. Nelle parole più sopra citate il Porta allude (seppur problematicamente per
quanto riguarda l’attribuzione all’archetipo: «non è possibile chiarire completamente. Rimane il sospetto etc.») alla disposizione, arruffata e disordinata in differenti modi, dei capitoli della Cronica nei codici, disposizione che il Porta parrebbe ipoteticamente attribuire
all’attività manipolatrice di chi (già immediatamente sotto l’originale) cercò di far emergere dal testo quanto afferente all’avventura di Cola de Rienzi26.
Nel concreto comunque la questione della disposizione dei capitoli nella tradizione
manoscritta non viene affrontata e professo dal Porta, evidentemente giudicata per un
verso irriducibile a una linea di tendenza unitaria in grado di spiegarla nei dettagli (in
quanto frutto di istanze “psicologiche”, per ciò stesso plurime e diffratte), per altro verso
ricondotta a una poligenetica sollecitazione (considerata sufficiente per la razionalizzazione filologica) alla riduzione del testo dell’Anonimo alla storia del tribuno. Una riflessione più accurata a questo proposito è invece meritevole di essere fatta.
25
Che invece Vittorio Formentin (Approssimazioni al testo e alla lingua della Cronica d’Anonimo Romano,
cit., pp. 46-62) ha di recente catalogato e discusso, proponendo di volta in volta di cassarli come tali,
oppure di confermarli (ma, spesso, con soluzioni congetturali alternative e preferibili a quelle precedentemente già avanzate) o infine integrarli. Cfr. ora anche LUCIA BERTOLINI, Per il testo (e l’interpunzione)
della Cronica d’Anonimo Romano, «Studi di filologia italiana», LXXIII (2015) [ma 2016], pp. 205-32, alle
pp. 205-11.
26
A dire il vero la posizione non è netta: in altro luogo (p. 328) l’editore afferma senza mezzi termini di aver escluso dalla ricostruzione, oltre ai codici descripti, quelli che si presentano in uno «stato
intenzionalmente frammentario», quei codici cioè che intorno al dittico principale dei due episodi romani di Cola (capp. XVIII e XXVII) hanno disposto «alcuni capitoli, per così dire, parassiti (III, V,
XXIII, XXVI)», imputando dunque a essi e a essi soltanto l’operazione selettiva.
160
Lucia Bertolini
III.3. Nei manoscritti della Cronica possiamo distinguere diverse tipologie di consistenza
e sequenza dei capitoli27: esistono infatti codici che tramandano il testo completo (s’intenda, per quanto effettivamente rimasto) e ordinato (CO), altri che recano il testo completo ma disordinato (CD), altri ancora che trasmettono la Cronica in maniera completa
ma ridondante (CR); i restanti conservano la Cronica in maniera variamente incompleta
(I).
CO: la sequenza I-XXVII è trasmessa da A Ch2 O2 O4 FNC. Non tanto stupisce la rarità di
tale sequenza ordinata, quanto che il Porta non faccia menzione di una diagnosi che a me
pare di palmare evidenza: la sequenza ordinata e completa è secondaria, frutto di riordinamento editoriale per iniziativa di singoli copisti che potevano facilmente giovarsi dell’indice contenuto nel cap. I e comunque della numerazione stessa di ciascun capitolo. Se
ci limitiamo ai manoscritti collocati nello stemma essa sembra comparire esclusivamente
in α (cui appartengono tanto Ch2 quanto O4), ma se allarghiamo lo sguardo anche ai codici non utilizzati per la ricostruzione, ci accorgiamo che essa penetra in entrambe le famiglie; che ciò avvenga in virtù di poligenetico riordino è dimostrato da O2, secondo il
Porta descriptus di V4 (β), che di quest’ultimo riordina l’errata sequenza I-XVI, XVIII,
XXVII, XXVI, XXIII; e da FNC, dichiarato dall’editore descriptus di M1 (α), del quale sana
il disordine I, II, VI-XVI, XVIII, XXVII, XXVI, III, V, XXIII. La natura poligenetica di
tale operazione risulta evidente dall’esistenza della numerazione dei capitoli (che avrebbe
consentito di correggere in un unico senso la posizione del capitolo numerato XXVII anteposto a quello numerato XXVI), tanto più che il riordino era addirittura incoraggiato
dalla ripetizione, nel capitolo I, di quel registro di cui abbiamo già parlato: chiunque ne
avesse avuto voglia avrebbe potuto fare, anche senza possedere particolari doti ricostruttive, quel che pure il filologo moderno ha fatto. Il caso di V8 conferma ulteriormente tale
evidente accertamento: il testimone vaticano è oggi ordinato e completo, ma per la collaborazione di una seconda mano che, ricorrendo a un secondo esemplare, ha farcito la sequenza parziale e disordinata di un suo predecessore con i capitoli mancanti collocandoli
al luogo deputato28.
CD: i manoscritti completi ma disordinati29 presentano due tipologie principali di sequenze.
CD1: *I, II, VI-XVI* ‡XVIII, XXVII, XXVI, III, V, XXIII‡ (U Tol M1; ma anche, con inversione delle due sottosequenze, C2: ‡XVIII, XXVII, XXVI, III, V, XXIII‡ *I, II, VI-XVI*)30.
27
Per un resoconto dettagliato della disposizione dei capitoli nella tradizione manoscritta il lettore
potrà giovarsi dell’Appendice I; un resoconto delle tipologie organizzative brevemente illustrato a testo
è riferito nell’Appendice II.
28
Sulla natura poligenetica dei riordini logici segnalo PAOLO DIVIZIA, Texts and Transmission in Late
Medieval and Early Renaissance Italian Multi-text Codices, in The Dynamics of the Medieval Manuscript: Text
Collections from a European Perspective, Proceedings of the international colloquium (Utrecht, 25-29 April
2013), ed. by BART BESAMUSCA, MATTHIAS MEYER, KAREN PRATT, AD PUTTER, Göttingen, Vandenhoeck & Ruprecht, i.c.s. Ringrazio l’autore per avermi consentito di leggere in anteprima il suo intervento.
29
I vari contrassegni *, ‡, ◊ etc., che saranno riutilizzati nella Appendice II, non servono tanto a contraddistinguere le sequenze individuate, quanto, didascalicamente, a delimitarne l’inizio e la fine.
30
Il codice, il più antico datato, è però fattizio; ai capitoli XVIII e XXVII trascritti da una prima
mano, segue, di mano diversa che data la trascrizione al 1550, il resto della sequenza sopradescritta; le
La Cronica d’Anonimo Romano
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CD2: ◊I-XVI◊ (si fa astrazione dalle lacune interne alla serie) √XVIII, XXVII, XXVI, XXIII√
(V4 FN H P2), alla quale può essere ricondotta anche la sequenza isolata di Gre1 √XVIII,
XXVII, ^◊I-XVI◊^, XXVI, XXIII√.
CD1 risulta attestato in entrambi i rami di α, a (M1 e il suo diretto derivato U, e Tol)
e b; CD2 è invece esclusivo di β. Nonostante la difformità fra CD1 e CD2, è comune a
entrambi gli ordinamenti la posposizione del cap. XXVI al XXVII e del cap. XXIII al
XXVI; tanto che le due sequenze si potrebbero facilmente ridurre a una immaginando
o che CD2 derivi da CD1 mediante la ricollocazione nel luogo che loro compete di III,
V (in realtà III[…] [IV] […]V), in CD1 posti dopo XXVI31, o che CD1 derivi da CD2 per
meccanico spostamento di un intero fascicolo (come indurrebbe a supporre la concomitante lacuna che lo interessa).
CR: la sequenza ◊I-XVI◊ (che corrisponde alla prima parte di CD2) e la sequenza ‡XVIII,
XXVII, XXVI, III, V, XXIII‡ (che abbiamo visto caratterizzare la seconda parte di CD1)
compaiono assemblate in due codici che finiscono per risultare completi e ridondanti: O3
e L (fra loro affini e risalenti a f, gruppo della sottofamiglia b di α) riportano i lacerti dei capp.
III e V sia all’interno dell’uno sia all’interno dell’altro spezzone, sebbene nei due testimoni
le due sequenze parziali risultino invertite. Che tale configurazione sia circoscritta e limitata a una porzione tanto precisa dello stemma fa supporre con buona verisimiglianza che
l’iniziativa della ridondanza sia ascrivibile a f, che avrebbe giustapposto la sequenza risalente
a β (la prima parte di CD2) alla sequenza risalente ad α (la seconda di CD1).
I: le sequenze relative rispettivamente alla prima e alla seconda parte della Cronica che abbiamo
visto fin qui collegate in macrosequenze, possono presentarsi anche isolatamente nei codici incompleti.
I1, cioè ◊I-XVI◊, è, fra i codici utilizzati nello stemma, di T e al di fuori di esso anche di V2 FNP;
il frammento corrisponde alla prima parte di CD2 o a una delle due parti di cui si compongono i codici CR e quest’ultima è forse l’ipotesi più verisimile data la collocazione
stemmatica di T. A questo tipo andrà ricondotto anche P3 che però manca del capitolo iniziale (I1-).
carte dei due spezzoni recano filigrane databili, nel primo caso Roma 1566-1567 (Briquet 12236), nel
secondo caso Vicenza 1579 (con var. sim. Roma 1580) se si fa riferimento a Briquet 12209, ma piuttosto potrebbe trattarsi di Heawood 179 e 182 (che rinvia alla prima metà del XVII secolo). Il Porta,
che non utilizzò C2 per i capitoli XVIII e XXVII riconoscendoli come dipendenti dal genere delle
«Vite», dovette pensare a un manoscritto del 1550, acefalo, a cui erano stati premessi XVIII e XXVII,
ma il codice meriterebbe di essere studiato più nel dettaglio e dovrebbero essere meglio illustrati i tentativi critici del copista della seconda parte di correggere con opportuni rimandi l’erronea collocazione
dei capitoli III e V dopo il cap. XXIII. L’unicità nell’inversione delle due sottosequenze mi induce, in
questa fase della ricerca, a non costituire una tipologia a parte.
31
L’operazione del riposizionamento nel luogo corretto dei due capitoli trasposti poteva essere desunta dai copisti solo sulla base della titolazione di III, senza che fosse possibile ricavare da dati paratestuali la consistenza dell’unità da ricollocare (il cap. V, acefalo, compare non di rado indistinto dalla
fine del cap. III a sua volta mutilo e forma perciò un’indissolubile unità testuale con il capitolo III). Si
vedano però, a sostegno di tale ipotesi, gli interventi critici tramandati da C2 menzionati nella nota
precedente.
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Lucia Bertolini
I2, cioè ‡XVIII, XXVII, XXVI, III, V, XXIII‡, è la sequenza che il Porta considera ininfluente
dal punto di vista stemmatico perché corrispondente alle cosiddette «Vite di Cola», anche
se con il concorso di «alcuni capitoli, per così dire, parassiti»; essa è propria di V1 V3 Barb1
Barb4 Capp1 O1 FR Fo Add Na1 Pe RA C1 C3 RAc1 RAc3 RL Tou ToA. A tale tipo va ricondotta la sequenza di Ch3 (ottenuta per riordino interno, I2O).
I3, che può essere interpretata come identica alla seconda parte di CD2 o come il risultato della
cancellazione da I2 dei capitoli “parassiti” III e V, presenta la seriazione †XVIII, XXVII,
XXVI, XXIII† (Capp2 Na2), successivamente riordinato in I3O (XVIII, XXIII, XXVI,
XXVII: V7), a sua volta decurtato dell’ultimo capitolo in I3O- (XVIII, XXIII, XXVI: Gre3);
lo stesso I3 si presenta variamente ridotto in I3- (XVIII, XXVII, XXVI: Barb5 Ch4 Gre3
RAc2) e in I3-- (XVIII, XXVII: V6 Ch6 Ch7 O5 FNR1 FNR2 Mi MoE2 P4 Re Gre2 RN1 RN2
M2).
Inoltre, a parte specimina troppo ridotti per essere in qualche modo classificati (I6 I, VII-XIV:
MoA; I7 XV, II, III, XVI, V, VI, XII: MoE1; I8 I: Barb3; I9 XVIII: Ox), forse al tipo dei codici CD2 risalgono I4 (II-XVI, XXVI, XXIII: V5 Barb2 Ch1 Ch5 FM) e I5 (I-XVI, XVIII,
XXVII: P1).
III.4. In termini ecdotici i manoscritti incompleti (la varia tipologia di I, e dunque a fortiori I2, le cosiddette «Vite»), nati, per accidenti meccanici o per selezione tematica, da testimoni completi della Cronica o da precedenti selezioni, costituiscono manoscritti
lacunosi e per ciò portatori di un evidente errore separativo (o piuttosto di distinti errori
separativi, ciascuno individuato da precise caratteristiche della lacuna o selezione); errore o errori che talvolta saranno stati sanati per contaminazione, mediante il ricorso a
codici completi o a codici diversamente incompleti (come pare essere avvenuto in Gre1,
in V8, in f e così via). Viceversa il vario disordine dei codici non rappresenta errore separativo, se, come ho ricordato in precedenza, la sequenza I-XXVII poteva essere poligeneticamente ricostruita facendo ricorso al testo stesso (come si è avuto modo di
verificare essere effettivamente avvenuto per opera di singoli copisti che trascrivevano da
antigrafi disordinati).
Altro discorso è determinare se il vario disordine nella sequenza dei capitoli, errato
rispetto all’esplicita volontà dell’autore, risalga a un unico errore di portata congiuntiva.
L’editore della Cronica non affronta e professo la questione, ma, giunto al momento di caratterizzare l’archetipo, al quale ha già addossato la responsabilità delle lacune dei capitoli IV, XVII, XIX-XXII, XXIV-XXV e XXVIII, sembra propendere per una risposta
positiva (p. 340):
A questo [al sospetto cioè che nell’archetipo già «agisse il principio di quella selezione che doveva procreare le “Vite”»] si aggiunga la coincidenza, non casuale, fra l’ordine dei capitoli in
M1 [CD1] con quello della famiglia β [CD2] per rafforzare questa convinzione e ricostruire la
loro successione (tenendo conto anche dell’intrusione dei capitoli III e V nelle «Vite», che fanno
capo al gruppo b) nel modo che segue: I, II, VI-XVI, XVIII, XXVII, XXVI, III (mutilo), V (mutilo)
[ma si corregga con acefalo], XXIII32.
32
Nonostante tale diagnosi relativa all’origine del disordine dei capitoli (sulla cui sostanziale correttezza torneremo fra poco), colpisce il fatto che dei sei testimoni completi e ordinati (CO: A Ch2 O2
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Il ragionamento del Porta è ampiamente sottoscrivibile laddove riconosce l’ascendenza del disordine ai piani più alti dello stemma; abbiamo visto infatti come, facendo
astrazione dai codici completi e ordinati di cui abbiamo riconosciuto la secondarietà rispetto all’originario disordine, lo stemma presenti in entrambi i rami una sequenza disordinata ma differente (in α CD1, in β CD2). Più discutibile la diagnosi della anteriorità
di CD1 rispetto a CD2, che presuppone la necessità di reductio ad unum delle due sequenze,
una sola delle quali da imputarsi allo snodo stemmatico che in alto regola i complessivi
rapporti genealogici fra i testimoni.
Infine, in assenza di puntuali ragionamenti, non sottoscrivibile l’imputazione all’archetipo tanto delle mancanze (quelle che noi abbiamo distinto piuttosto in assenze e lacune) quanto del disordine nelle sequenze dei capitoli, in forza di un presumibile cattivo
stato di conservazione dell’archetipo stesso33.
III.5. Di recente è stato avvertito come lo strumentario della filologia applicata ai testi
romanzi possa e debba essere raffinato dal punto di vista concettuale; gli interventi recenti di Paolo Trovato hanno messo in guardia dall’inconsapevole (e non per ciò meno
grave) confusione fra albero reale e stemma codicum, e fra i due possibili significati attribuiti
all’etichetta “archetipo” rispettivamente nella storia della tradizione e nella critica testuale34. La necessità, in particolare, di distinguere dall’archetipo1 (il codice ufficiale predisposto per la diffusione) l’archetipo2 (il concetto filologico individuato solo tramite il
riconoscimento di almeno un errore comune di tipo congiuntivo), porta a mio parere con
sé la conseguente necessità di distinguere fra originale1 (l’oggetto fisico uscito dalle mani
e dalla penna dell’autore) e originale2 (il concetto filologico, che prevede il testo originale
indenne da mende ed errori). Solo con tale ulteriore dettaglio si può stabilire un sano rapporto dialettico fra originale2 e archetipo2 sul piano strettamente filologico, fra originale1
e archetipo1 sul piano della storia della tradizione, evitando di istituire invece altri inopportuni rapporti fra gli elementi delle due coppie. E del resto, che gli errori comuni alla
tradizione (archetipo2) vadano corretti nell’obiettivo di ripulire il testo da errori che certamente l’autore non avrebbe voluto lasciare (originale2), non esime dal tentativo di individuare i connotati, laddove ciò sia possibile, degli oggetti fisici corrispondenti in sede
O4 FNC V8), numericamente minoritari (l’8,4% dell’intera tradizione), ben tre siano utilizzati nello
stemma (il 25% dei testimoni considerati utili alla ricostruzione), ivi compreso V8, la cui completezza
e il cui corretto ordinamento sono surrettizi, come già ricordato.
33
Cfr. la citazione, già sopra riportata (PORTA, p. 340).
34
VINCENZO GUIDI - PAOLO TROVATO, Sugli stemmi bipartiti. Decimazione, asimmetria e calcolo delle probabilità, in «Filologia italiana», I (2004), pp. 9-48; PAOLO TROVATO, Archetipo, stemma codicum e albero reale,
in «Filologia italiana», II (2005), pp. 9-18; ora, infine, i capitoletti 1.4 (The stemma codicum, the elimination of copies of preserved witness (eliminatio codicum descriptorum), and the majority principle) e 1.5 (The archetype), in PAOLO TROVATO, Everything you Always Wanted to Know about Lachmann’s Method. A Non-Standard
Handbook of Genealogical Textual Criticism in the Age of Post- Structuralism, Cladistics, and Copy-Text, Foreword by MICHAEL D. REEVE, Padova, Libreria Universitaria, 2014, pp. 59-67.
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di storia della tradizione (originale1, archetipo1). Che l’archetipo2 spesso non coincida
(ma talvolta la fortunata ipotesi può avverarsi) con l’archetipo1 è la principale acquisizione
dei contributi di Trovato precedentemente citati; che l’originale1 possa non coincidere con
l’originale2 è stato avvertito chiaramente da d’Arco Silvio Avalle35:
Il concetto di originale, nel senso del testo autentico esprimente la volontà dell’autore, è uno
dei più sfuggenti ed ambigui della critica del testo. […] L’impressione è che l’originale, così
come l’intendiamo generalmente, vale a dire come testo perfetto in ogni sua parte, non sia mai
esistito. In effetti il concetto di originale deriva da una visione statica, modellistica, dell’opera
letteraria, mentre le singole opere di uno scrittore costituiscono a rigore una sezione, a volte
casuale e provvisoria […] di quel flusso continuo di adattamenti e di spostamenti successivi attraverso cui si esprimono le tendenze fondamentali di un sistema letterario36.
Al di là delle proposizioni e dei dubbi teorici, la storia dei testi ci insegna, dalla tradizione mediolatina a quella umanistica giù giù fino a noi, come l’originale1 possa non
coincidere con il nostro concetto filologico37; e come, tenuti distinti i poli di ciascuna coppia, possa esser utile far dialogare i risultati della critica testuale (originale2 e archetipo2)
con i corrispondenti realia della tradizione del testo. Acclarato che la Cronica così come
ci è tramandata dai testimoni conservati (archetipo2) necessita di interventi congetturali
per correggere errori comuni a tutta la tradizione e restaurare senso e significato a singoli luoghi altrimenti incomprensibili, al limite per segnalare cruces nel caso di luoghi irrecuperabili del testo originale (originale2), è lecito chiedersi se, sul versante della storia
della tradizione, quegli stessi errori (meglio: ciascuno di quegli errori) vadano addebitati
a un oggetto reale fisicamente esistito (archetipo1, sia che lo si intenda come copia di
diffusione autorizzata dall’autore o piuttosto, nel nostro caso, come tardo tramite di divulgazione, indipendente dall’autore) o non a un originale (“prima copia” secondo la
terminologia proposta da Giuliano Tanturli) incompleto (e dunque solo apparentemente
lacunoso), mal leggibile (e dunque causa di poligenetici errori comuni), ancora non limato
(e dunque contenente approssimazioni, imprecisioni e contraddizioni interne), conser-
35
D’ARCO SILVIO AVALLE, Principî di critica testuale, Padova, Antenore, 1972, pp. 33-34.
Sarebbe funzionale a eliminare radicalmente quella ambiguità a cui accennava Avalle riservare la
designazione di “originale” al testo in quanto indipendente dalla sua concreta realizzazione, al quale
ogni copia (compresa la “prima copia” dell’autore, come proponeva di chiamare lo scartafaccio dell’autore il compianto Giuliano Tanturli) tende soltanto per approssimazione. Cito da una comunicazione privata del 20 luglio 2015: «il testo esiste nella pluralità delle sue copie. Dal postulato consegue
che non c’è differenza sostanziale fra le copie autografe, siano scartafaccio o copie a pulito o copie a
pulito diventate copie di lavoro, e le altre fatte da altri, fino all’ultimo dei descripti antichi e moderni,
comprese quelle copie che si chiamano edizione critica […]. Al di là di tutte le copie senza dubbio c’è
il testo in sé, al quale ogni copia tende, ma che rimane inattingibile e in quanto testo senza errori, disordini, incongruenze resta dalla prima, dell’autore o di altri, all’ultima copia in potenza».
37
Vanno estese ben oltre i confini della tradizione mediolatina le considerazioni espresse da PAOLO
CHIESA in Una letteratura «sbagliata». I testi mediolatini e gli errori, in «Ecdotica», IX (2012), pp. 151-61.
36
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vato in fascicoli sciolti, come era solito avvenire ai codici su cui l’autore non aveva ancora finito di lavorare; un originale, per di più, che, riemerso a distanza di due secoli da
un oblio che le copie cinquecentesche consentono di supporre38, doveva ormai aver subito ulteriori danni meccanici.
Rispetto alle affermazioni dell’editore della Cronica sul cattivo stato di conservazione
dell’archetipo, non risulta forse altrettanto possibile (e forse ben più probabile) che quel
medesimo cattivo stato di conservazione, causa di lacune e fraintendimenti, sia da attribuirsi all’originale? quell’originale, quello scartafaccio, insomma quella “prima copia”
che, salvo notizia contraria, rimase oscuro e ignoto ai contemporanei e che solo dopo
circa due secoli fu riscoperto facendo esplodere la fortuna dell’Anonimo e della sua Cronica? In questa prospettiva la disordinata sequenza dei capitoli nella tradizione manoscritta non dipenderebbe dall’iniziativa dell’archetipo39, ma dalla situazione dell’originale:
un manoscritto che recava traccia fisica di quel libero procedere della scrittura dell’Anonimo di cui la Cronica, così come ci è conservata, reca vestigia di carattere testuale.
III.6. Se lo stato di disordine con cui la tradizione manoscritta tramanda la Cronica corrispondesse, come ho supposto poco fa, a uno stato dell’originale1 (piuttosto che dell’archetipo2), molte delle domande avanzate all’inizio troverebbero una sola e unica
risposta. Partito, su sollecitazione impellente allo scrivere storia, senza un piano preordinato, piano che si sarebbe venuto chiarendo man mano che la materia e gli argomenti
riempivano i suoi fogli, l’Anonimo dovette a un certo punto prendere atto dell’inconditezza del proprio testo e proporsi di imporgli (anzi quasi sovrapporgli per il momento,
in attesa di un più raffinato lavoro di raccordo) una struttura; a ciò corrispose da un lato
la partizione in capitoli del già scritto, dall’altra la confezione del regesto e il suo inserimento in fine del Prologo e primo capitolo, regesto che rendicontava e organizzava quanto
era stato fino a lì composto e, al contempo, pianificava i capitoli che restavano da scrivere.
A quale stadio di avanzamento della scrittura la pianificazione sia stata introdotta pare
accennarlo la compattezza e l’ordine (fatta salva la trasposizione di III e V e la connessa
38
È noto che la più antica notizia del testo risale a Onofrio Panvinio, che vi allude nella Tertia classis degli Auctores quibus tum in hoc chronico sive fasteis, tum in historia ecclesiastica conscribenda usi sumus, come
Historia rerum Romae, & per Europam gestarum lingua romanensi vulgari scripta (cfr. ONUPHRII PANVINII VERONENSIS, FRATRIS EREMITAE AUGUSTINIANI Chronicon ecclesiasticum a C. Iulii Caesaris dictatoris imperio usque
ad imp. Caesarem Maximilianum II […], Coloniae, Apud Maternum Cholinum, MDLXVIII); poiché la
dedica del Chronicon a Ludovico Torres è datata Roma, 1 ottobre 1557, la testimonianza del Panvinio
è di poco successiva alla più antica copia datata della Cronica (C2).
39
Tanto meno probabile se, secondo quanto presunto dal Porta, il disordine fosse di origine manipolatoria consapevole (a quel che capisco il Porta attribuisce all’archetipo una prima focalizzazione
su Cola tramite l’accorpamento dei capitoli XVIII e XXVII; ma non si spiega come e per quali motivi lo spostamento di XXVII abbia anche indotto l’inversione fra XXIII e XXVI che è propria anch’essa tanto di α quanto di β).
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lacuna di IV, di evidente natura meccanica) con cui si trasmette la sequenza dei capp. IXVI, tratto del testo che pure (se si dà credito alla contraddizione segnalata nel § II.3.)
era stato inizialmente portato avanti per ampie linee tematiche secondo eventi cronologici
disposti a maglie larghe successivamente infittite. Da lì, dalla raggiunta compiutezza del
tratto cronologico 1325/27-1345/46, corrispondente a I-XVI, la scrittura dell’Anonimo
riparte secondo le abitudini compositive che gli sono proprie e che già aveva sperimentato
nella fase della scrittura del tratto precedente: ma la seconda parte, lasciata a uno stadio
di compiutezza e di rifinitura molto meno avanzato rispetto a quello raggiunto per la
prima parte, rispecchia in maniera più evidente “come lavorava l’Anonimo” a causa del
mancato riordinamento fisico, che l’Anonimo si riservava di compiere a posteriori in
coerenza con il regesto. Un modo di lavorare che pare guidato dal testo e dagli eventi
narrati, piuttosto che da quel piano razionale che pure ormai, a questa altezza della fase
di scrittura, egli stesso si era dato. Si veda infatti come termina il capitolo XVI (Della
galea sorrenata e derobata in piaia romana), il capitolo cioè conclusivo della prima sezione,
compatta, dopo la cui stesura abbiamo supposto essere intervenuti il riordino e la
strutturazione di quanto scritto fino ad allora (XVI 64-84):
Per la qual cosa e per alcuno aitro excesso Martino de Puorto fu appeso per la canna, como se
dicerao. In quella galea venne la moneta e·lli riennita de Provenza, la quale veniva alla reina
Iuvanna de soa contrada. In quella venne panni de valore de vinti milia fiorini. In quella venne
vivate de Provenzani, uomini e femine, li quali ne ivano a Napoli. In quella veniva sacca de pepe
e de cennamo e de cannella. In quella venne uno feriero de Santo Ianni: avea nome frate
Monreale, provenzano de Narba, cavalieri a speroni d’aoro, moito iovinetto. Arrivao con
fortuna in piaia romana e perdìo là in quello pericolo onne sio arnese, fi’ alla scarzella delli
fiorini. Sola la perzona campao. Lo quale entrao in terra romana moito de tenerissima etate, e
fu omo de masnata e deventao virtuosissimo capitanio e fecese omo de granne fatto e de
granne valore e fu capo della Granne Compagnia. A l’uitimo li fu tagliata la testa in Roma,
como se dicerao.
La fine del cap. XVI, che introduceva la prima menzione di due personaggi che troveranno la morte rispettivamente nella prima e nella seconda avventura di Cola, sembra
far balzare in primo piano la figura del tribuno e può testualmente giustificare la temporanea (e poi definitiva) obliterazione dell’argomento cui era destinato il cap. XVII (De
Leonardo de Orvieto tenagliato per Roma), per passare direttamente alla scrittura dei due capitoli XVIII e XXVII che a Cola di Rienzo erano già stati destinati nel piano dell’opera
e che aprono la seconda parte, disordinata, della Cronica. D’altro canto, se la disposizione
dei capitoli nell’originale incompiuto e non rifinito fosse quella che abbiamo visto comune alla tradizione manoscritta (cioè I-XVI, XVIII, XXVII, XXVI, XXIII o la sua variante I, II, VI-XVI, XVIII, XXVII, XXVI, III, V, XXIII), non sarebbe certo un caso che
il cap. XXIII, ultimo dunque a essere stato scritto, non esaudisca al secondo dei due temi
proposti dal titolo (si tratterebbe dunque di una non finitezza in re) o, viceversa, risulti
mutilo per caduta meccanica delle carte finali, meno solide, dell’originale40; né che in fine
40
Cfr. la nota 22.
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del cap. XXVI, scritto dunque per penultimo (la meccanica trasposizione di III e V in
CD1 appanna solo parzialmente tale evidenza), si siano depositati i due estremi aggiornamenti dell’Anonimo, relativi alla predicazione della crociata a Tivoli nel 1358 e alla liberazione di Giovanni II nel 136041.
III.7. Anche per la seconda parte del testo è la lettera della Cronica a testimoniare in
positivo che il disordine dei capitoli non è caratteristica secondaria indotta dalla tradizione
e che, dunque, essa non va ascritta all’archetipo2, bensì all’originale1. L’Anonimo utilizza
di frequente rimandi interni, di volta in volta in avanti o all’indietro, con formule
pressoché fisse del tipo como se dicerao e, viceversa, del tipo como ditto ène; una serie di
richiami, come bene ha visto Gustav Seibt, «indice del grado di segmentazione dell’opera,
che [tramite essi] trova una ricomposizione solo esteriore»42. Una ricerca sistematica di
tale andirivieni del testo (di cui si dà dettagliato resoconto nella Appendice III) registra
quarantanove luoghi esplicitamente richiamati: di questi, i diciannove richiami che si
esauriscono nella misura relativamente breve o “prossima” del medesimo capitolo
risultano meno significativi ai fini del nostro discorso; più interessanti invece i restanti
trenta casi a distanza, quasi perfettamente suddivisi fra rinvii a quanto l’Anonimo si
propone di scrivere (quattordici casi) e rimandi a quel che era già stato scritto (sedici)43.
La natura rigorosamente tematica del rinvio, privo di indicazioni relative alla numerazione
dei capitoli, non consente in ognuno dei casi l’immediata e inequivocabile riconoscibilità
del bersaglio; spesso però essa si fa forte di riprese letterali puntuali e precise
(naturalmente laddove il raffronto sia esperibile, al di fuori cioè dei casi in cui sono
coinvolte le assenze o le lacune; si vedano nell’Appendice III gli esempi 1, 3-5 e 11 che
rinviano al perduto capitolo IV o alla lacuna iniziale del cap. V). Riguardo alle assenze
41
XXVI 475-477: «Mode novamente che curre anno Domini MCCCLVII[I], de iennaro, nella citate de Tivoli fu predicata», e, di seguito, XXVI 477-482: «His ferme diebus Iohannes rex Francie captus est
a filio regis Anglie bello magis tumultuario quam militari apud villam que dicitur …….. ductusque in Angliam sub
custodia annis ferme duobus. Tandem cum magno sui detrimento et regni evasit». Per una dettagliata analisi del secondo brano, cruciale anche per la datazione dell’opera, e in particolare per il significato di evasit (‘uscì
di prigionia’, ‘riuscì a venir via [dall’Inghilterra]’) cfr. UGOLINI, La prosa degli «Historiae Romanae fragmenta», cit., pp. 341-53.
42
SEIBT, Anonimo Romano, cit., p. 100 n. 22.
43
Un controllo dell’apparato permette di verificare la solida attestazione dei rinvii all’interno dei
testimoni utilizzati per la ricostruzione del testo; nel dettaglio tutti i rimandi elencati nella Appendice
III sono attestati dai testimoni utilizzati dal Porta con le seguenti limitatissime eccezioni (da segnalare
soltanto il comportamento di M1): a V 81-83 (esempio 3) «dello quale de sopra ditto ène» è omesso da
α; a XVI 64-66 (esempio 28) «como se dicerao» è omesso da V5; a XVI 78-84 (esempio 29) «como se
dicerao» è assente in β; a XXVI 59-66 (esempio 40) «como de sopra ditto ène» manca in M1; in XXVII
89-105 (esempio 45) «como ditto ène» manca in M1; ancora M1 non reca «della cui prodezza se dicerao» (coinvolto in omissione o lacuna più ampia) a XXVII 151-164 (esempio 47); infine il brano di
XXVII 77b-79b (esempio 49) è ampiamente rimaneggiato nel solito M1 con concomitante scomparsa
di «como ditto ène de sopra».
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andrà comunque notato che laddove il rimando in avanti si indirizzi a capitoli della
seconda parte non attestati nella tradizione (e per i quali sussiste il dubbio che essi non
siano mai stati scritti), esso si appunta sul focus principale del capitolo, mostrando
concordanze lessicali con il titolo di quest’ultimo (si vedano per es. nella stessa Appendice
III i casi numerati 12, 18, 20, 44 che rinviano all’argomento principale dei capp. XIX e
rispettivamente XXVIII, XXI, XXVIII); constatazione che limita, se non addirittura
annulla, il valore probatorio sulla effettiva esistenza di quei capitoli apparentemente
esibito dal richiamo stesso.
Comunque sia, l’elenco dei rinvii, pur con i limiti sopra esposti, non consente di cogliere cadute eclatanti nella tenuta organizzativa della Cronica così come l’Anonimo l’ha
immaginata nel Prologo e primo capitolo; nel senso che alcuni rapporti più labili o alcuni rapporti non indiscutibili, non sono in grado di affermare positivamente l’incompletezza
della Cronica44. In un caso però il testo prova, in maniera a mio modo di vedere efficace,
per un verso l’incompleto adattamento della cronologia della scrittura al piano dell’opera
e dall’altro, concordando con il disordine dei capitoli nella tradizione manoscritta, dimostra che quest’ultimo risale all’originale1 e non all’archetipo2.
Già Gustav Seibt aveva sostenuto che «la separazione del racconto della breve avventura di Cola senatore da quello dei provvedimenti adottati dal cardinale Albornoz in
Italia presuppone la morte del tribuno», notando, sia dal punto di vista dei tempi della
storia, sia per quanto riguarda la sequenza delle informazioni date nel cap. XXVI e nel
successivo cap. XXVII, che esisteva una sorta di mancato coordinamento narrativo45. Ma
la contraddizione non riguarda soltanto la distribuzione dei fatti narrati nei due capitoli
incriminati: a dispetto del doppio richiamo interno che dal cap. XXVII rimanda alla materia già narrata nel cap. XXVI è evidente che la redazione del seguente passo (XXVII
99-105 = esempio 45)
Deveva venire in Italia uno legato, don Gilio Conchese, cardinale de Spagna. Apparecchiavase
e scriveva sia famiglia. Cola de Rienzi con questo legato iessìo de Avignone purgato, benedetto
44
Si vedano rispettivamente l’esempio numerato 35 nell’Appendice III (il rinvio contenuto a XVIII
1107-1109: «Allora se fece ponere in capo la corona tribunale, della quale io’ farraio menzione» si esaurisce in una descrizione molto sintetica, per di più approntata en passant, consegnata a XVIII 1792-1794:
«e pusese in capo la soa corona de ariento de fronni de oliva») e quello successivo numerato 36 (l’identificazione del luogo a cui l’Anonimo rimanda in XVIII 1380-1382 è, a mio modo di vedere, molto problematica; per le varie possibilità si veda l’Appendice III). Per la proposta di incompletezza del capitolo
XVIII, interessato dai due esempi ora riferiti, si veda sopra la nota 23.
45
SEIBT, Anonimo romano, cit., p. 25 (riporto qui di seguito e per esteso il passaggio): «Il fatto che
l’opera non sia stata redatta nel rispetto della successione cronologica degli eventi narrati, verrà illustrato nel capitolo seguente (pp. 37 ss.), allorché se ne esaminerà la struttura e, in particolare, il problema della divisione in capitoli. Decisiva si rivela la ripartizione della materia negli ultimi due capitoli,
il XXVI e il XXVII, in cui la separazione del racconto della breve avventura di Cola senatore da quello
dei provvedimenti adottati dal cardinale Albornoz in Italia presuppone la morte del tribuno».
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e assoluto. E collo legato passao la Provenza e venne a Montefiascone per recuperare lo
Patrimonio, como ditto ène
prescinde (perché non la prende in carico come tappa narrativa già superata) dalla presentazione del personaggio che nell’ordinata topografia dei capitoli avrebbe dovuto precederlo (ma così non è nella disordinata tradizione del testo), e cioè in particolare XXVI
54-67:
Questo papa Innocenzio la prima cosa che se puse in core fu che.lli tiranni restituissero l’altruio,
li bieni della Chiesia li quali avevano usurpati e sforzati. A ciò esequire mannao sio legato in
Italia missore Egidio Conchese de Spagna, cardinale. Questo don Gilio quanto fussi sufficiente
guerrieri l’opere soie lo demustravano. Esso fu in prima cavalieri a speroni d’aoro. Puoi fu
arcidiacono de Conche. E fu de tanta industria, che fu fatto confallonieri dello re de Castelle.
Esso perzonalemente se trovao alla rotta de Taliffa in Spagna, como de sopra ditto ène.
Desceso lo legato don Gilio in lo Patrimonio, venne a Montefiascone.
D’altro canto, e viceversa, tenuto conto della prevalente letteralità delle autocitazioni
contenute nei rinvii, quando l’Anonimo nel XXVI capitolo dice (cfr. nella III Appendice
l’esempio 41): «In quella oste fu Cola de Rienzi cavalieri, lo quale veniva assoluto de Avignone dallo papa, como s’è ditto», stabilisce sì un rimando tematico con il (topograficamente) precedente cap. XVIII, ma il richiamo è puntuale piuttosto con il
(topograficamente) seguente cap. XXVII, di cui richiama il tecnicismo assoluto. Se nella
disordinata sequenza dei capitoli attestata nella tradizione manoscritta (nella quale il cap.
XXVI segue anziché precedere il XXVII) si riconosce il senso di una modalità di scrittura, entrambe le (piccole) contraddizioni qui sopra segnalate trovano la loro piena spiegazione.
IV.1. «Giuseppe Porta, editore della Cronica, ipotizza, in maniera convincente, che già
l’archetipo della tradizione manoscritta dell’opera, da lui accuratamente indagata, presentava le lacune attualmente riscontrabili nel testo. Per il filologo la ricostruzione dell’archetipo è fondamentale; lo storico, invece, non può tralasciare di domandarsi anche
come si siano prodotte le lacune nell’archetipo: se esse rappresentano una traccia della
fase più antica della storia della recezione dell’opera, se non siano la conseguenza di un
danneggiamento meccanico, o se non siano, invece, da ricondurre a una stesura incompleta del testo»46. Non è solo la nuova distinzione fra i due diversi significati di originale
e di archetipo che consente al filologo di condividere l’esigenza sentita dallo storico, poiché il sospetto di uno stato di non-finito per la Cronica è stato avanzato fin dalla ripresa
primo-novecentesca degli studi sui Fragmenta historiae da parte di Francesco Ugolini47, per
46
SEIBT, Anonimo Romano, cit., pp. 27-28.
FRANCESCO A. UGOLINI, Preliminari al testo critico degli Historiae Romanae fragmenta, in «Archivio della R. Deputazione romana di Storia patria», LXVIII (1945), pp. 63-74, ora in ID., Scritti minori di
Storia e Filologia italiana, cit., pp. 393-404, in particolare p. 395.
47
170
Lucia Bertolini
passare attraverso il Porta stesso, Domenico De Robertis, fino ai più recenti interventi
di Seibt e di Vittorio Formentin48.
Tale ipotesi, avanzata da tempo e a più riprese, sebbene spesso in forma solo evocativa e allusiva, prende ancora più corpo alla luce di quanto è stato analizzato nei paragrafi
precedenti, mentre le considerazioni espresse in questa sede possono avvantaggiarsi di
quanto altri, in passato, hanno evidenziato. La dichiarazione dell’incompiutezza di un
testo, del resto, può essere decretata entro un range abbastanza ampio di possibilità e di
carenze.
Ho già ricordato, sulla scorta di Vittorio Formentin, come l’assenza di dati numerici
e cronologici sia un livello di incompletezza sostanzialmente tollerabile perché conosce
esempi analoghi tanto più pertinenti perché rilevabili nel medesimo ambito letterario o
nel medesimo genere testuale. A una mancata revisione, causa di contraddizioni fra un
luogo e l’altro della Cronica, ha fatto opportunamente appello il medesimo studioso al momento di valutare la tenuta e il grado di accertamento di presunti errori di archetipo. Entrambi i criteri appena ricordati (l’assenza di dati cronologici o numerici e le
contraddizioni interne, talora imputabili a una stesura saltuaria o corrispondenti alla frizione non risolta fra anteriorità topografica e posteriorità di composizione) sono livelli
di incompletezza sopportabili anche per un’opera che l’autore avesse messo in circolazione. La disordinata sequenza dei capitoli di cui abbiamo parlato nei paragrafi precedenti
comporta invece uno stato di non-finito che può essere contemplato soltanto in un originale che si fatica a credere possa essere uscito dal laboratorio dello scrittore.
IV.2. A un’incompiutezza di quest’ultimo genere, causa anche della mancata scrittura dei
capitoli assenti dalla tradizione, ha fatto appello in termini verisimili Gustav Seibt, che
ha addotto come principale argomento la presenza nel volgare della Cronica degli inserti
latini spiegati come aggiunte apposte in margine49. Vittorio Formentin ha espresso mo-
48
Per un resoconto delle proposte in tal senso si veda FORMENTIN, Approssimazioni al testo e alla lingua della Cronica d’Anonimo Romano, cit., p. 39 n. 22, al quale si aggiunga DOMENICO DE ROBERTIS,
L’Anonimo cronista, in Il Tempo, 13 marzo 1980, che recensendo l’edizione Porta, fra le altre cose diceva:
«Ma la stesura volgare subentra ad una in latino, più concisa, della quale sono rimasti qua e là, come
incastrati, ma in perfetta continuità, residui non volgarizzati o con annesso volgarizzamento («per avia,
per locora salvatiche, deserte», dove par di cogliere un’indecisione circa la resa del latino). Testimonianza
di non-finito che fa strada a più ampie illazioni: che non tutte le lacune siano dovute a lacerazioni, ma
per episodi (capitoli) compiuti possa trattarsi di traduzione non eseguita».
49
SEIBT, Anonimo Romano, cit., pp. 29-30: «Una conferma ulteriore del carattere incompiuto dell’opera sono le numerose inserzioni in latino. Se si escludono le citazioni, i modi di dire, i discorsi diretti, si contano ben undici casi di aggiunte in latino con funzione di integrazione o di spiegazione.
L’Anonimo dichiara nel prologo, di aver redatto la sua opera prima in lingua latina. Ciò significa che
gli risultava più facile scrivere in questo idioma piuttosto che in volgare, per il quale, peraltro, ancora
mancava una tradizione letteraria consolidata. È perciò legittimo ritenere che il cronista abbia annotato rapidamente, in latino, aggiunte e osservazioni in margine che, successivamente, un copista inserì
all’interno del testo».
La Cronica d’Anonimo Romano
171
tivate perplessità sull’omogeneità testuale dei frammenti latini50. L’argomento evocato dal
De Robertis nella recensione all’edizione del 1979, e ripreso da Tanturli, riguarda invece
la compresenza nello stesso tessuto testuale di «residui non volgarizzati […] con annesso
volgarizzamento» (Tanturli parla di «frammenti latini inseriti nel testo volgare […] in parallelo al volgarizzamento»), che può in effetti in alcuni casi evocare uno stato additizio
delle porzioni latine51. Simili compresenze vanno del resto valutate alla luce delle ricorrenti ripetizioni, in alcuni casi particolarmente marcate, che occorrono anche in contesto interamente volgare52, e che denunciano una pianificazione testuale debole che
procede per accumulo. Ma anche tali casistiche rientrano nel più generico argomento di
una mancata revisione attenta e definitiva, che non esclude una circolazione dell’opera e
che non ne implica la segregazione totale fino all’avanzato Cinquecento.
Ben più convincente, se non addirittura risolutivo, è il tentativo di Vittorio Formentin di spiegare alcuni luoghi problematici della Cronica ipotizzando l’erronea dislocazione
di materiale verbale posto sui margini53, mettendo a frutto l’esperienza maturata da Pier
Vincenzo Mengaldo riguardo la tradizione manoscritta del De vulgari eloquentia54.
50
FORMENTIN, Approssimazioni al testo e alla lingua della Cronica d’Anonimo Romano, cit., p. 43: «a ben
vedere nulla costringe ad ammettere l’ipotesi che si tratti di annotazioni marginali successivamente inserite nel corpo dell’opera da parte di un copista». Formentin ha invece tentato un’analisi prosodica dei
lacerti per saggiare la tenuta dell’ipotesi che li vuole tracce dell’originale latino della Cronica. Non intendo intervenire e professo sulla questione del precedente latino, ma segnalo che l’affermazione dell’Anonimo («Dunqua per commune utilitate e diletto fo questa opera vulgare, benché io l’aia ià fatta
per lettera con uno latino moito …….. Ma l’opera non ène tanto ordinata né tanto copiosa como questa», I 94-99), a rigore, accenna alla precedente composizione di un’opera storica su fatti contemporanei scritta in latino e infine lasciata interrotta, senza che con ciò si debbano stabilire rapporti di
continuità formale e contenutistica con la nostra Cronica tanto stretti quanto normalmente si intendono.
Fra gli ultimi interventi su tale questione rimando a MAURIZIO CAMPANELLI, Benché io l’aia ià fatta per
lettera: gli inserti latini nella Cronica dell’Anonimo Romano, in «Filologia e critica», XXXVII (2012), pp. 3-29.
51
L’esempio addotto dal De Robertis («per avia, per locora salvatiche, deserte» XXVII 372-373) non
esprime appieno la singolarità effettiva di alcuni passaggi, nei quali testo latino e testo volgare si affiancano, dal più al meno di contiguità, con pari se non identico contenuto informativo; si vedano ad
esempio XI 398-400 «Onne servizio faco a Spagnuoli loro signori. Hortos et vineas colunt dominorum precepto solo victu contenti»; XII 74-77 «Quanno la matina missore Malatesta, paratis omnibus copiis tam ad
pugnam quam etiam ad grasciam, transivit aquam diluculo»; XXVII 181b-184b «Ipso instanti ridens plangebat
et emittens lacrimas et suspiria ridebat, tanta inerat ei varietas et mobilitas voluntatis. Ora lacrimava, ora sgavazzava».
52
II 10-12 «Bene me recordo como per suonno. Io stava in Santa Maria dello Piubico […]» da
confrontare con II 21-22 «Io stava in Santa Maria dello Piubico» e con II 47-48 «Queste cose me recordo como per suonno»; VII 4-5 «Avea nome lo Cardinale Bianco» da confrontare con VII 14-15:
«Questo abbe nome lo Cardinale Bianco» (nel caso del cap. VII regolo le maiuscole interpretando
quanto proposto da UGOLINI, Intorno a una recente edizione della cronaca romanesca di anonimo, cit., p. 76).
53
Un’analoga spiegazione è stata proposta, anche al di fuori degli inserti latini, da Gustav Seibt nel
suo volume, in particolare a proposito della redazione “a salti” di gran parte del cap. XVIII (cfr. sopra
la nota 23).
54
DANTE ALIGHIERI, De vulgari eloquentia, a cura di PIER VINCENZO MENGALDO, Padova, Antenore, 1968, p. CVIII.
172
Lucia Bertolini
«Dei vari passi sospetti» Formentin segnala quello che gli pare più significativo, cioè
XXVI 433-442:
Po’ la presa de Cesena lo legato mannao allo capitanio, dicenno così: «Capitanio, rienni quello
che tio non è. Io te renno toa donna, figlioto e nepoteti». A queste paravole lo capitanio deo
questa resposta: «Dicete allo legato ca io credeva che fussi savio omo. Oramai lo tengo per una
vestia pazza. Dicete che se io avessi auto in presone esso, ↓ tre dìi passati so’ che io l’àbbera
appeso per la canna, como esso ave auto le cose mie»55,
proponendo di ricollocare il brano in corsivo nel luogo che indico mediante la freccia e
aggiunge: «D’altro canto non possiamo del tutto escludere, tanto più se accediamo all’ipotesi di un’incompletezza originaria della Cronica, che si tratti di un costrutto approssimativo imputabile all’originale, dovuto a un’insufficiente o imperfetta progettazione
sintattica e destinato ad essere modificato in una successiva revisione dell’opera». Un
tale scrupolo mi pare invece non possa né debba essere invocato per il caso seguente di
XVI 40-47:
Allora descesero marinari alquanti per sapere la cascione della demoranza della nave e viddero
che.llo legno toccava terra; e non valeva aiutare con pali né premere con vraccia. Anche lo fiume
tempestate avea. Lo legno s’era sorrenato nella rena. ↓ L’onna buttava e moveva lo legno da lato
in lato. Pareva che.llo volessi revoitare sottosopra.
L’esempio appena citato, di incontrovertibile evidenza, riverbera parte della sua efficacia probatoria sul caso indicato da Formentin e su altri che in futuro potranno aggiungersi.
IV.3. «Per altro, se anche la ricostruzione proposta cogliesse nel segno, l’aggiunta si sarebbe potuta trovare sui vivagni di una copia, a monte di ω ma distinta dall’originale, ovviando al banale errore di un amanuense: la dislocazione avvenuta all’altezza
dell’archetipo costituirebbe, come si diceva, un indizio, ma non sarebbe a rigore una
prova dell’esistenza di un originale incompleto e in progress»56. Ma se alla scarsa pianificazione del testo appurata in sede puntuale aggiungiamo la verifica di più casi di dislocazione, le piccole ma insistite contraddizioni interne relative ai modi e i tempi della
scrittura e infine quanto abbiamo determinato, in sede strutturale, relativamente alla tradizione disordinata dei capitoli, la verisimiglianza dell’ipotesi che la Cronica sia un testo
non-finito risulta a mio modo di vedere molto alta, se non definitivamente da passare in
giudicato. Il testo, non rifinito in ogni sua parte, fu lasciato in uno stato in cui la disposizione fisica dei capitoli sulle pagine dell’originale corrispondeva a una crescita disorganica della seconda parte, non ancora terminata e dunque in attesa di essere ridisposta
alla luce di quel piano che fa bella mostra di sé nel Prologo e primo capitolo; e se il testo fu
55
56
FORMENTIN, Approssimazioni al testo e alla lingua della Cronica d’Anonimo Romano, cit., p. 41.
Ivi, p. 42.
La Cronica d’Anonimo Romano
173
abbandonato, per ragioni che non sappiamo meglio determinare, in un tale stato di magmatica incompletezza, l’assenza di alcuni capitoli rispetto al piano dell’opera per mancata
scrittura da parte dell’autore risulta l’ipotesi più economica.
V.1. È a partire da tali più che probabili connotati fisici e testuali della “prima copia”
(originale1) della Cronica che può essere avanzata una seria ipotesi sull’esistenza di una e
una sola copia dalla quale tutte le altre conservate discenderebbero, unica responsabile
dell’uscita dal laboratorio dello scrittore di quell’originale deturpato e incompleto, insomma sull’esistenza dell’archetipo (archetipo1). L’esperienza esegetica maturata negli
anni mostra il lavoro che resta da fare sulla prosa dell’Anonimo: a fronte di numerose segnalazioni di passaggi problematici e di affrettati emendamenti congetturali, solo un numero limitato di congetture è passato giustamente in giudicato per l’inequivocabile
capacità di esaudire al restauro di senso e forma. Il recente contributo di Vittorio Formentin già più volte citato ha mostrato come una migliore conoscenza del romanesco di
prima fase e in genere della lingua antica o una migliore intelligenza del testo e degli usi
calendariali o, infine, un diverso utilizzo delle lezioni concorrenti rispetto a quelle messe
a testo dall’editore consentano di ridurre in maniera sostanziale i venti errori di ω corretti nel testo critico di Giuseppe Porta;57 degli altri, inoltre, Formentin ha valutato la
specifica natura e la possibile pertinenza a un originale incompleto e non rivisto58. Resta
invece ancora da fare un bilancio critico degli errori e degli emendamenti proposti da vari
studiosi a partire dall’edizione del 1979 (bilancio che può agevolmente ripartire da un ar-
57
Ma per un ulteriore incremento del numero degli interventi congetturali dell’editore e la loro discussione cfr. ora anche BERTOLINI, Per il testo (e l’interpunzione), cit., pp. 205-11.
58
«È evidente che, in ordine alla necessità logica di ω, il valore probatorio di questi luoghi critici è
assai variabile. […] La caduta di una sola parola “breve o brevissima” come quella supposta in [XIV
378; ma cfr. l’Appendice IVa], [XXIII 74; ma cfr. l’Appendice IVa] e [XXVII 328] “può risalire addirittura all’originale trascritto dall’autore” […]. L’ipotesi di un originale non-finito […] può giustificare
un’espressione più brachilogica che impropria come quella di [XVIII 194]: è la mancanza di pane, infatti, che causa la fame che determina la rabbia dei pellegrini. La stessa postulata condizione di testo in
fieri, e dunque non sottoposto a una definitiva revisione da parte dell’Anonimo, rende a priori verosimile la sussistenza nel testo tramandato di errori di fatto, attribuibili a sviste dell’autore, come sarebbe
il frate di [IX 210] in luogo di zio. Certo Luchino Visconti era lo zio e non il fratello di Azzone e qualcuno potrebbe inoltre osservare che in IX 210 si rileva non soltanto un errore puntuale, ma anche una
contraddizione con un passo che si legge poco più innanzi, in cui il rapporto di parentela tra i due Visconti è indicato correttamente […]. Sennonché non si tratterebbe nella Cronica dell’unico esempio di
un’incongruenza di tal genere […]» (FORMENTIN, Approssimazioni al testo e alla lingua della Cronica d’Anonimo Romano, cit., pp. 49-51). A contraddizioni interne coniugate a sviste o errori d’autore andranno ricondotti tanto l’appellativo della Rascione in luogo del legittimo Durazzo (duca de Durazzo compare nella
Cronica a XVIII 1091 e nel titoletto del cap. XX riferito a I 166) tanto il numerale otto in luogo di sette
a XXVI 245, per i quali cfr. ARRIGO CASTELLANI, Ancora sulla Cronica d’Anonimo Romano (1989), in ID.,
Nuovi saggi di linguistica e filologia romanza (1976-2004), a cura di VALERIA DELLA VALLE, GIOVANNA FROSINI, PAOLA MANNI, LUCA SERIANNI, Roma, Salerno Editrice, 2009, pp. 1060-75, alle pp. 1069-70 e rispettivamente pp. 1073-74.
174
Lucia Bertolini
ticolo riassuntivo di Arrigo Castellani del 1992 che fa il punto a quella data)59, per valutarne (oltre quanto decretato dalla bibliografia pregressa) l’effettiva tenuta. Poiché non è
questo il luogo per un tale bilancio (che indurrebbe a motivare dettagliatamente le esclusioni o i dubbi), ma dal quale l’auspicabile nuovo editore non potrà esimersi, colloco nell’Appendice IVa le ragioni per revocare l’opportunità di emendamenti proposti in quattro
luoghi della Cronica, e riservo a un numero di casi, rigidamente selezionato in rapporto
al loro grado di certezza, alcune riflessioni finali.
V.2. Ho raccolto nell’Appendice IVb le cruces del testo critico e quegli errori per i quali
sono state proposte correzioni che a mio modo di vedere, per l’eccellenza sostanziale e
formale delle soluzioni avanzate, certificano ad abundantiam l’esistenza della menda (facendo dunque astrazione da quei passi che risultano invece di interpretazione problematica, ma per i quali soluzioni definitive non sono state raggiunte). Si tratta di
ventiquattro errori (ai quali qui di seguito si farà riferimento con il numero d’ordine che
hanno nella Appendice IVb)60, un manipolo tutt’altro che irrilevante dal punto di vista numerico; sotto il rispetto qualitativo invece mi pare che la diagnosi debba essere più prudente.
A un autore-scrivente, e dunque a un originale non ancora rivisto, potrebbe risalire
l’aplografia di 12 (affine è cosa della Colonna per con casa d. C. a 20), come anche il caso, che
si potrebbe definire di mancato accordo, di 14 (la pace [per paca] doppia)61; gli altri errori,
intollerabili in un originale, qualunque esso sia, sono per larga parte di tipo ottico e paleografico, e dunque, almeno dal punto di vista teorico, di discutibile portata congiuntiva:
si vedano, oltre le omissioni di singole lettere a 1 e 22 (Persia è da correggere in Perusia;
preso va corretto in presso) e l’omissione di tituli in 2 e 13 (canali da correggere in cannali;
Fuoro de in Fuoronde), lo scambio di -ci- in -a- (3), di e in a (4), di -m- in -in- (5 e 15), di
-m- in -ra- (6), di -t- in -r- (7), di C in e (9), di -ri- in -n- e di -c- in -t- (17) e così via. Si aggiunga poi la banale poligenesi, che a partire da una medesima abbreviazione (pu, con la
prima lettera tagliata per p(ro)), valida, seppure in date differenti, per provisini e provisione,
ha condotto al travisamento dell’antica moneta verso un identico esito attualizzante (8).
La scarsa portata congiuntiva di ciascuno di questi errori a me pare evidente; semmai
è il loro numero che rende scarsamente verisimile il dubbio teorico di poligenetico accordo, numero troppo alto anche invocando e il particolare status fisico dell’originale
(che può averne condizionato la leggibilità verso un medesimo fraintendimento) e la
scarsa dimestichezza di copisti cinquecenteschi con la scrittura di due secoli prima.
59
ARRIGO CASTELLANI, Ritorno all’Anonimo Romano (1992), in ID., Nuovi saggi di linguistica e filologia
italiana e romanza (1976-2004), cit., pp. 1130-43.
60
Va però rilevato che in almeno tre dei casi raccolti nell’Appendice IVb (propriamente 2, 5, 15) la
soluzione dei codici non è unanime, e dunque, a rigore, più che di errori d’archetipo si dovrebbe parlare, data la diffrazione, di una condivisa difficoltà a decrittare l’antigrafo, forse anche l’originale.
61
Si ricordi che alla tradizione manoscritta della Cronica non è ignoto l’uso di k per l’occlusiva velare (e a tale uso potrebbero rinviare i travisamenti di pace per pache e di scelmire per sche-, a 20).
La Cronica d’Anonimo Romano
175
Basti qui aver posto il problema: al futuro editore rimandiamo l’onere di dimostrare
se la Cronica sia risorta una sola volta (e pochi dubbi ritengo possano essere avanzati sul
fatto che ciò sia avvenuto nel Cinquecento)62 o non piuttosto due volte, filologicamente
corrispondenti ai due subarchetipi, α e β, dello stemma disegnato da Giuseppe Porta, ai
quali ricondurre i due ordinamenti dei capitoli testimoniati dalla tradizione (CD1 in α e
CD2 in β), magari in dipendenza di due differenti stati di conservazione dell’originale
sfascicolato.
62
Per le differenti proposte riguardo alla datazione (ancora al Trecento o al Cinquecento) dell’archetipo della Cronica, cfr. i vari interventi di Arrigo Castellani: Note di lettura: la Cronica d’Anonimo Romano (1987), in ID., Nuovi saggi di linguistica e filologia italiana e romanza (1976-2004), cit., pp. 975-93, alle
pp. 983-85; Ancora sulla Cronica d’Anonimo Romano, cit., pp. 1074-75 e Ritorno all’Anonimo Romano, cit.,
pp. 1142-43.
176
Lucia Bertolini
Appendice I: DISPOSIZIONE DEI CAPITOLI NELLA TRADIZIONE MANOSCRITTA
Dei codici a me noti riferisco in maniera sintetica la disposizione dei capitoli, desumendola dalla Descrizione dei manoscritti dell’edizione maior (pp. 271-328) e dagli altri interventi del Porta che aggiornano
sulla tradizione: ANONIMO ROMANO, Cronica, ed. minor, pp. XVI-XVII, n. 8; GIUSEPPE PORTA, Un
nuovo manoscritto della Cronica di Anonimo Romano, in «Studi di filologia italiana», XLII (1984), pp. 151-59;
ID., Notizia di una recente «Vita di Cola di Rienzo» alla Biblioteca Nazionale di Roma, in «Studi di filologia italiana», LVIII (2000), pp. 49-51. All’elenco, ordinato topograficamente, sono aggiunti tre codici segnalatimi da Vittorio Formentin (Au, ToA, Tol): di ToA e Tol posso fornire consistenza e ordine dei capitoli
grazie alla cortesia e disponibilità dello scopritore che mi ha consentito la visione delle riproduzioni in
suo possesso; non ho invece notizie riguardo l’ordine dei capitoli in Au (l’assenza del dato è segnalata
con ===).
Ho attribuito una sigla a tutti i testimoni, integrando le sigle assegnate dal Porta solo ai manoscritti
inseriti nello stemma (queste ultime sono contrassegnate da un asterisco); dei manoscritti compresi nell’albero tracciato dall’editore riferisco la collocazione stemmatica (indicazione della famiglia e, dopo il
segno →, del gruppo e sottogruppo); dei descripti è indicato il modello diretto secondo quanto affermato dall’editore. Infine il simbolo ‖ indica una frattura nella consecuzione del testo (di volta in volta
rappresentata da spazi o fogli bianchi).
A = BRUXELLES, Bibliothèque Royale Albert Ier, IV 1080
(I-XXVII, ma forse I-XVI ‖ XVIII, XXIII, XXVI, XXVII)
Au = AUSTIN, University of Texas, Harry Ransom Humanities Research Center, Ph 12809.iii.4
(sec. XVII)
(===)
V1 = CITTÀ DEL VATICANO, Biblioteca Apostolica Vaticana, Vat. Lat. 5522 (ante 1618)
(XXIII, XVIII acefalo e mutilo ‖ XVIII, XXVII, XXVI, III, V, XXIII)
V2 = CITTÀ DEL VATICANO, Biblioteca Apostolica Vaticana, Vat. Lat. 6389 (ante 1622): descriptus di O3
(I-XVI)
V3 = CITTÀ DEL VATICANO, Biblioteca Apostolica Vaticana, Vat. Lat. 6560 (XVI sec. ex.)
(XVIII, XXVII, XXVI, III, V mutilo per caduta di carte, XXIII)
*V4 = CITTÀ DEL VATICANO, Biblioteca Apostolica Vaticana, Vat. Lat. 6756 (1580) β→d
(I-XVI, XVIII, XXVII, XXVI, XXIII [numerato XXVIII])
*V5 = CITTÀ DEL VATICANO, Biblioteca Apostolica Vaticana, Vat. Lat. 6880 (ante 1589) β→c
(II-XVI, XXVI, XXIII)
V6 = CITTÀ DEL VATICANO, Biblioteca Apostolica Vaticana, Vat. Lat. 7817 (XVI sec.)
(XVIII, XXVII)
V7 = CITTÀ DEL VATICANO, Biblioteca Apostolica Vaticana, Vat. Lat. 8665 (XVIII sec.)
(XVIII [diviso in nove capitoletti: 1-9], XXIII [10], XXVI [11], XXVII [diviso in tre capitoletti: 12-14])
*V8 = CITTÀ DEL VATICANO, Biblioteca Apostolica Vaticana, Vat. Lat. 11717 (XVI sec.)
(I-II α→b, III β→c, V β→c, VI-XVIII [1-1310 α→b, 1273-fine β→c], XXIII β→c, XXVI
β→c, XXVII β→c)
Barb1 = CITTÀ DEL VATICANO, Biblioteca Apostolica Vaticana, Barb. Lat. 4841 (XVII sec.)
(XVIII, XXVII, XXVI, III, V, XXIII)
Barb2 = CITTÀ DEL VATICANO, Biblioteca Apostolica Vaticana, Barb. Lat. 4924 (XVII sec.): descriptus di V5
(II-XVI, XXVI, XXIII)
Barb3 = CITTÀ DEL VATICANO, Biblioteca Apostolica Vaticana, Barb. Lat. 4936 (XVII sec.)
(I)
La Cronica d’Anonimo Romano
177
Barb4 = CITTÀ DEL VATICANO, Biblioteca Apostolica Vaticana, Barb. Lat. 5049 (XVI sec.)
(XVIII, XXVII, XXVI, III, V, XXIII)
Barb5 = CITTÀ DEL VATICANO, Biblioteca Apostolica Vaticana, Barb. Lat. 5333 (XVII-XVIII
sec.)
(XVIII, XXVII, XXVI)
Capp1 = CITTÀ DEL VATICANO, Biblioteca Apostolica Vaticana, Capp. 241 (XVII sec.)
(XVIII, XXVII, XXVI, III, V, XXIII)
Capp2 = CITTÀ DEL VATICANO, Biblioteca Apostolica Vaticana, Capp. 242 (XVII sec.)
(XVIII, XXVII, XXVI, XXIII)
Ch1 = CITTÀ DEL VATICANO, Biblioteca Apostolica Vaticana, Chig. F.V.126 (XVII sec.): descriptus di V5
(II-XVI, XXVI, XXIII)
*Ch2 = CITTÀ DEL VATICANO, Biblioteca Apostolica Vaticana, Chig. G.II.63 (XVI sec.) α→b
(I-XXVII)
Ch3 = CITTÀ DEL VATICANO, Biblioteca Apostolica Vaticana, Chig. G.IV.103 (XVIII sec.)
(III, V, XVIII, XXIII, XXVI, XXVII)
Ch4 = CITTÀ DEL VATICANO, Biblioteca Apostolica Vaticana, Chig. M.VIII.165 (XVII-XVIII
sec.)
(XVIII, XXVII, XXVI)
Ch5 = CITTÀ DEL VATICANO, Biblioteca Apostolica Vaticana, Chig. N.II.31 (XVII sec.): descriptus di V5
(II-XVI, XXVI, XXIII)
Ch6 = CITTÀ DEL VATICANO, Biblioteca Apostolica Vaticana, Chig. N.III.60 (XVII-XVIII sec.):
descriptus di V4
(XVIII, XXVII)
Ch7 = CITTÀ DEL VATICANO, Biblioteca Apostolica Vaticana, Chig. Q.I.23 (XVII sec.)
(XVIII, XXVII)
O1 = CITTÀ DEL VATICANO, Biblioteca Apostolica Vaticana, Ott. Lat. 1511 (XVI sec.)
(XVIII, XXVII, XXVI, III, V, XXIII)
O2 = CITTÀ DEL VATICANO, Biblioteca Apostolica Vaticana, Ott. Lat. 2615 (XVII sec.): descriptus di V4
(I-XXVII)
*O3 = CITTÀ DEL VATICANO, Biblioteca Apostolica Vaticana, Ott. Lat. 2616 (ante 1622) α→b→f
(I-XVI α ‖ XVIII, XXVII, XXVI, III, V, XXIII)
*O4 = CITTÀ DEL VATICANO, Biblioteca Apostolica Vaticana, Ott. Lat. 2658 (XVI sec.) α→a
(I-XXVII)
O5 = CITTÀ DEL VATICANO, Biblioteca Apostolica Vaticana, Ott. Lat. 3183 (XVII sec.)
(XVIII, XXVII)
U = CITTÀ DEL VATICANO, Biblioteca Apostolica Vaticana, Urb. Lat. 967 (XVII sec.): descriptus
di M1
(I, II, VI-XVI, XVIII, XXVII, XXVI, III, V, XXIII)
*L = FIRENZE, Biblioteca Medicea Laurenziana, Med. Pal. 231 (XVII sec.) α→b→f
(XVIII, XXVII, XXVI, III, V, XXIII, I-XVI)
FM = FIRENZE, Biblioteca Marucelliana, B.V.32 (XVII sec.): descriptus di V5
(II-XVI, XXVI, XXIII)
FN = FIRENZE, Biblioteca Nazionale Centrale, II.III.349 (XVII sec.): descriptus di H
(I-XVI, XVIII, XXVII, XXVI, XXIII)
FNC = FIRENZE, Biblioteca Nazionale Centrale, Capponi 127, III (XVIII sec.): descriptus di M1
(I-XXVII)
FNP = FIRENZE, Biblioteca Nazionale Centrale, Pal. 679 (XVI-XVII sec.): descriptus di P2
178
Lucia Bertolini
(I-XVI)
FNR1 = FIRENZE, Biblioteca Nazionale Centrale, Rinuccini, filza 20 n° 3 (XVI sec.)
(XVIII, XXVII mutilo)
FNR2 = FIRENZE, Biblioteca Nazionale Centrale, Rinuccini, filza 22 n° 1bis (XVI sec.): descriptus di FNR1
(XVIII, XXVII mutilo)
FR = FIRENZE, Biblioteca Riccardiana, 4016 (XVII sec.)
(XVIII acefalo, XXVII, XXVI, III, V, XXIII)
Fo = FOLIGNO, Biblioteca Jacobilli, C.V.8 (XVII sec.)
(XVIII, XXVII, XXVI, III, V, XXIII)
Add = LONDRA, British Library, Add. 20040 (XVII sec.)
(XVIII, XXVII, XXVI, III, V, XXIII)
*H = LONDRA, British Library, Harl. 3543 (XVI sec.) β→d
(I-XVI, XVIII, XXVII, XXVI, XXIII)
Mi = MILANO, Biblioteca Ambrosiana, H.42 inf. (XVI sec.)
(XVIII, XXVII)
MoA = MODENA, Archivio di Stato, Manoscritti della Biblioteca 30 (XVII sec.): descriptus di M1
(I, VII-XIV)
MoE1 = MODENA, Biblioteca Estense, it. 517 (α.F.4.20) (XVII-XVIII sec.)
(XV, II, III, XVI, V, VI, XII)
MoE2 = MODENA, Biblioteca Estense, it. 383 (α.F.6.16) (XVII-XVIII sec.)
(XVIII, XXVII)
Na1 = NAPOLI, Biblioteca Nazionale “Vittorio Emanuele III”, XIII.F.7 (XVI sec.)
(XVIII, XXVII, XXVI, III, V, XXIII)
Na2 = NAPOLI, Biblioteca Nazionale “Vittorio Emanuele III”, Brancacciano I.D.5 (XVI-XVII
sec.)
(XVIII, XXVII, XXVI frammentario, XXIII frammentario)
*T = ORVIETO, Biblioteca Comunale “Luigi Fumi”, XIV.O.26 (XVII sec.) α→a→e
(I-XVI)
Ox = OXFORD, Bodleian Library, Add. C. 196 (XVI-XVII sec.)
(XVIII)
P1 = PARIGI, Bibliothèque Nationale, it. 730 (XVII sec.): descriptus di Ch2 per i capp. I-XVIII
(I-XVI, XVIII, XXVII mutilo in fine)
*P2 = PARIGI, Bibliothèque Nationale, it. 820 (XVI sec.) β→c
(I-XVI, XVIII, XXVII, XXVI, XXIII)
P3 = PARIGI, Bibliothèque Nationale, it. 1503 (1632): descriptus di P1
(II-XVI)
P4 = PARIGI, Bibliothèque Nationale, it. 2165 (XVI sec.)
(XVIII, XXVII)
Pe = PESARO, Biblioteca Oliveriana, 1185
(XVIII, XXVII, XXVI, III, V, XXIII)
Re = RECANATI, Biblioteca Leopardiana, 40 (XVII sec.)
(XVIII, XXVII)
Gre1 = ROMA, Archivum Pontificiae Universitatis Gregorianae, 872 (XVI sec.): descriptus di H
(XVIII, XXVII ‖ I-XVI, XXVI, XXIII)
Gre2 = ROMA, Archivum Pontificiae Universitatis Gregorianae, 873 (XVII sec.): descriptus di Gre1
(XVIII, XXVII)
Gre3 = ROMA, Archivum Pontificiae Universitatis Gregorianae, 948.I (1785)
(XVIII, XXIII, XXVI)
RA = ROMA, Biblioteca Angelica, 1418 (XVI sec.)
La Cronica d’Anonimo Romano
179
(XVIII, XXVII, XXVI, III, V, XXIII)
C1 = ROMA, Biblioteca Casanatense, 698 (XVI sec.)
(XVIII, XXVII, XXVI, III, V, XXIII)
*C2 = ROMA, Biblioteca Casanatense, 976 (XVI sec. e per la seconda sezione 1550) α→b
(XVIII, XXVII ‖ XXVI, III, V, XXIII, I, II, VI-XVI)
C3 = ROMA, Biblioteca Casanatense, 5036 (XVII sec.)
(XVIII, XXVII, XXVI, III, V, XXIII)
RAc1 = ROMA, Biblioteca Acc. Naz. Lincei e Corsiniana, 34.C.17 (XVI sec.)
(XVIII, XXVII, XXVI, III, V, XXIII)
RAc2 = ROMA, Biblioteca Acc. Naz. Lincei e Corsiniana, 34.E.21 (XVI sec.)
(XVIII, XXVII, XXVI mutilo)
RAc3 = ROMA, Biblioteca Acc. Naz. Lincei e Corsiniana, 34.F.5 (XVI sec.)
(XVIII, XXVII, XXVI, III, V, XXIII)
RL = ROMA, Biblioteca Lancisiana, 23 (XVI sec.)
(XVIII, XXVII, XXVI, III, V, XXIII)
RN1 = ROMA, Biblioteca Nazionale Centrale “Vittorio Emanuele II”, 549 (XVI sec.)
(XVIII, XXVII)
RN2 = ROMA, Biblioteca Nazionale Centrale “Vittorio Emanuele II”, 1699 (XVI-XVII sec.)
(XVIII, XXVII)
Tol = TOLEDO, Biblioteca Capitular, 103.3
(I, II, VI-XVI, XVIII, XXVII, XXVI, III, V, XXIII)
Tou = TOLOSA, Bibliothèque Municipale, 506 (XVII sec.)
(XVIII, XXVII, XXVI, III, V, XXIII)
ToA = TORINO, Archivio di Stato, Biblioteca Antica, Mazzo 1, Racc. Mongardino, vol. 154
(XVIII, XXVII, XXVI, III, V, XXIII)
*M1 = VENEZIA, Biblioteca Nazionale Marciana, It. Z. 41 (=4802) (XVII sec.) α→a→e
(I, II, VI-XVI, XVIII, XXVII, XXVI, III, V, XXIII)
M2 = VENEZIA, Biblioteca Nazionale Marciana, It. VI.117 (=6181) (XVI sec.)
(XVIII, XXVII)
Appendice II: TIPOLOGIE D’ORDINE DEI CAPITOLI NELLA TRADIZIONE MANOSCRITTA
Sono segnalate con sottolineato le sigle dei codici accolti nello stemma dell’edizione portiana.
CO (completi e ordinati) = I-XXVII (A Ch2 O2 O4 FNC + V8)
CD (completi ma disordinati)
CD1 = *I, II, VI-XVI*, ‡XVIII, XXVII, XXVI, III, V, XXIII‡ (U Tol M1); ‡XVIII, XXVII,
XXVI, III, V, XXIII‡, *I, II, VI-XVI* (C2)
CD2 = ◊I-XVI◊, √XVIII, XXVII, XXVI, XXIII√ (V4 FN H P2); √XVIII, XXVII, ^◊I-XVI◊^,
XXVI, XXIII√ (Gre1)
CR (completi ma ridondanti)
◊
I-XVI◊, ‡XVIII, XXVII, XXVI, III, V, XXIII‡ (O3)
‡
XVIII, XXVII, XXVI, III, V, XXIII‡, ◊I-XVI◊ (L)
I (incompleti)
I1 ◊I-XVI◊ (T V2 FNP);
I1- (I1 decurtato) ‹II-XVI› (P3)
I2 ‡XVIII, XXVII, XXVI, III, V, XXIII‡ (V1 V3 Barb1 Barb4 Capp1 O1 FR Fo Add Na1 Pe RA
C1 C3 RAc1 RAc3 RL Tou ToA);
I2O (I2 ordinato) III, V, XVIII, XXIII, XXVI,
XXVII (Ch3)
180
Lucia Bertolini
I3 †XVIII, XXVII, XXVI, XXIII† (Capp2 Na2); I3O (I3 ordinato) XVIII, XXIII, XXVI,
XXVII (V7);
I3O- (I3 ordinato decurtato) XVIII, XXIII, XXVI (Gre3); I3- †-XVIII,
XXVII, XXVI-† (Barb5 Ch4 Gre3 RAc2);
I3-- †--XVIII, XXVII--† (V6 Ch6 Ch7 O5
FNR1 FNR2 Mi MoE2 P4 Re Gre2 RN1 RN2 M2)
I4 II-XVI, XXVI, XXIII (V5 Barb2 Ch1 Ch5 FM)
I5 ◊I-XVI◊, †--XVIII, XXVII--† (P1)
I6 I, VII-XIV (MoA)
I7 XV, II, III, XVI, V, VI, XII (MoE1)
I8 I (Barb3)
I9 XVIII (Ox)
Appendice III: RIMANDI INTERNI
Con le frecce variamente orientate si segnala il rinvio, marcato in grassetto, in avanti (↓) o all’indietro
(↑); il segno ↕ (seguito da ↓ o ↑) avverte che il rimando è all’interno del capitolo. Il sottolineato rileva
le concordanze letterali; il fondino grigio segnala la lacuna o l’assenza secondo le modalità già sopra
utilizzate.
↓ 1) III 5-8: «Li elettori dello imperio nella Alamagna liessero Ludovico duce de Bavaria in imperatore, lo quale non fu obediente a papa Ianni, como se dicerao» vs. IV De papa Ianni e della venuta dello
Bavaro a Roma e della soa partenza e dello antipapa lo quale fece
↕↑ 2) V 19-20: «Questa citate, como ditto ène, è signoriata dalli marchesi da Este» vs. […]V 6-7:
«Ora ne soco signori in luoco loro li marchesi da Este»
↕↑ 3) V 81-83: «Ora fu puosto lo assedio allo bello e nobile castiello dello legato, dello quale de
sopra ditto ène» vs. […]V (nella parte iniziale perduta)
↕↑ 4) V 104-105: «Puoi deruparo a terra quello nobile castiello de che ditto ène» vs. […]V (nella
parte iniziale perduta)
↑ 5) VI 82: «Anche in questo tiempo morìo papa Ianni, dello quale ditto ène» vs. IV De papa Ianni
e della venuta dello Bavaro a Roma e della soa partenza e dello antipapa lo quale fece
↕↑ 6) VIII 39c-40c: «Allora apparze quella cometa della quale de sopra ditto ène» vs. VIII Della
cometa la quale apparze nelle parte de Lommardia e della abasazione de missore Mastino tiranno per li Veneziani, 14: «Currevano anni Domini MCCCXXXVII, dello mese de agosto, apparze nelle parte de Lommardia
una cometa moito splennente e bella e durao dìe tre in airo, puoi desparze»
↑ 7) IX 1: «Po’ questa cometa, della quale de sopra ditto ène, fu uno anno moito umido, moito
piovoso» vs. VIII Della cometa la quale apparze nelle parte de Lommardia e della abasazione de missore Mastino
tiranno per li Veneziani, 1-4: «Currevano anni Domini MCCCXXXVII, dello mese de agosto, apparze
nelle parte de Lommardia una cometa moito splennente e bella e durao dìe tre in airo, puoi desparze»
↕↑ 8) IX 189-191: «Lo tiempo era de vierno e era quella neve granne con quella umiditate della
quale ditto ène de sopra» vs. IX 1: «Po’ questa cometa, della quale de sopra ditto ène, fu uno anno
moito umido, moito piovoso»
↕↑ 9) IX 247-248: «Tornao in Milano con trionfo e granne danno; ca, como ditto de sopra ène,
quarantaquattro centinara de perzone moriero, senza li aitri pericolati delle ferute» vs. IX 213-215:
«Quarantaquattro centinara de uomini fuoro occisi, senza li affocati in fiume e nelli gorgi della neve»
↓ 10) X 6-7: «Per la cui morte [di re Ruberto] lo renno de Puglia fu desolato, como ioso se dicerao» vs. XIX Della morte de Antreasso re de Puglia, lo quale fu appeso, e como fu comenzata a fare de tal morte iustizia oppure XXIII (cfr. sotto, al numero 39 = XXIII 152-156)
↑ 11) X 24-27: «Doi imperatori consumao drento le mura de Roma: como fu Errigo conte de
Luzoinborgo e Lodovico duce de Bavaria, como de sopra ditto ène» vs. IV De papa Ianni e della venuta
dello Bavaro a Roma e della soa partenza e dello antipapa lo quale fece
La Cronica d’Anonimo Romano
181
↓ 12) X 143-148: «Moito la onoraro le donne de Roma. Moito ammirava l’abito de Romane. Partìose e gìo a Napoli a visitare sio figlio re Antrea, e visitaolo e là recipéo per la reina Iuvanna e per li
conti dello Renno quelle onoranze le quale diceraio là dove se tocca della morte de re Antrea» vs. XIX
Della morte de Antreasso re de Puglia, lo quale fu appeso, e como fu comenzata a fare de tal morte iustizia; e cfr. anche
XVIII 1095-1101 = numero 34) e 1217-1228
↕↓ 13) XI 87-92: «Era questo don Ianni in errore collo re Alfonzo, ché no.lli favellava e derobare
faceva, perché reprenneva lo re, lo quale con soa reina stare non voleva, anche stava con una badascia
– madonna Leonora avea nome –, como io’ diceremo» vs. XI 599-604: «[Questo re donno Alfonzo]
Una sola cosa abbe reprensibile, ca esso non amava la soa reina, né con essa voleva stare, benché uno
figlio ne abbe. Anche teneva una soa badascia – donna Leonora aveva nome –, la quale amava sopra
tutte cose, la quale era sio confuorto, della quale avea figlioli e figlie»
↕↑ 14) XI 157-159: «Dereto li stava una stretta valle, la quale avevano passata per forza de moneta,
como ditto ène» vs. XI 92-94: «A questo don Ianni Manuello donaro li Saracini granne quantitate de
doppie de aoro, perché.lli concedessi lo passo; e così fu»
↕↑ 15) XI 329-332: «Una maraviglia fu, che.llo ferrante dello re Alfonzo, della cui bellezza alcuna
cosa ditto ène, da puoi che fune in quello campo, mai non posao» vs. XI 174-177: «Po’ li setteciento
crociati sequitao esso re Alfonzo a cavallo in uno cavallo ferrante liardo. Dicese che fussi lo più bello
e megliore dello munno»
↕↓ 16) XI 359-361: «che milli muli ne fuoro fatigati a portare, arme e aitro arnese, como se dicerao» vs. XI 416-418: «Puoi ce fuoro trovati li tesauri regali, la quarta parte; le tre furate erano. Milli e
doicento muli portaro quelle, e fuoro doppie […]»
↕↑ 17) XI 412-414: «Drento dallo alfanic fu trovata la Ricciaferra, la reina morta per Arcilasso,
como ditto ène» vs. XI 324-327: «Quanno questo Spagnuolo [Arcilasso] vidde la reina sedere in figura
de tristizia (puro la soa vista dignitate mustrava), lassase e deoli de una lancia. Da oitra in parte la passao»
↓ 18) XI 463-465: «Nella citate de Tivoli venne Carlo imperatore, anno Domini MCCC…, como
se dicerao» vs. XXVIII Della venuta de Carlo imperatore a Roma e della soa coronazione e della soa partenza alla
Alamagna; e cfr. numero 42 = XXVI 180-181 e numero 44 = XXVII 22-26
↕↑ 19) XI 583-584: «Picazzo, de chi ditto ène, lo fece fare su lo vivo sasso» vs. XI 13-27: «[Questo re Alfonzo] In una rotta sconfisse uno grannissimo duca de Saracini, lo quale avea nome Picazzo,
e sì.llo prese per la perzona. Questo Picazzo avea uno uocchio, non più. Consideranno lo re Alfonso
la nobilitate e.lla potenzia de Picazzo, deliverao de perdonarli la vita, se voleva recipere lo battesimo e
prennere soa figlia per moglie. Le cose fuoro promesse e venivano ad effetto. Quanno Picazzo venne
alla fonte dello battesimo, fu pentuto. Desprezzanno lo battesimo e lo cristianesimo sputao orribilmente
nella conca. Questo vedenno lo buono re Alfonzo fu turvato. Niente tarda. Impuina mano a soa spada
e senza misericordia li partìo la testa dallo vusto. Quello cuorpo fu iettato fra li cani»
↓ 20) XI 588-592: «Questa fortezze se crese recuperare donno Alfonzo per assedio; ma non li
venne fatto, ca sopravenne la granne e orribile mortalitate, della quale se dicerao» vs. XXI Della crudele mortalitate per tutto lo munno e delle scale de Santa Maria de l’Arucielo
↕↑ 21) XII 23-26: «Como questo papa creato fu, così lo cucurullo dello campanile de Santo Pietro Maiure fu abrusciato, como ditto ène» vs. XII 1-3: «Anni Domini MCCCXLII, uno fulguro nello
campanile de Santo Pietro Maiure de Roma deo e arze tutto lo cucurullo»
↓ 22) XII 41-44: «Quanto allo secunno, concedéo lo quinquagesimo iubileo in Roma, generale remissione de peccati, pena e colpa alli pentuti e confiessi; delle connizioni dello quale iubileo infra se
dicerao» vs. XXIII Dello quinquagesimo iubileo in Roma e della tornata la quale fece lo re de Ongaria in Roma e
in Puglia, in particolare 1-5: Currevano anni Domini MCCCL quanno papa Chimento concedéo alli Romani la universale induglienzia de pena e de colpa per uno anno. Dunqua in quello anno senza impedimento alcuno venne a Roma tutta la Cristianitate»
↑ 23) XII 121-124: «L’aitra ambasciata fece uno cavalieri, lo quale gìo allo re Ruberto in Napoli,
de chi ditto ène de sopre. Anche non era de questa vita passato» vs. X Della morte dello re Ruberto e della
182
Lucia Bertolini
venuta che fece la reina de Ongaria a Roma, in particolare 1-124; un rimando situazionale più preciso è però
stabilito soltanto con le rr. 116-124: «Lo re con soie galee se trasse alquanto a reto, puoi tanto più che
tornao a Napoli. In sio palazzo entrao. Mai non gìo più in armata, né per mare né per terra. Avea un
sio ogliardino allato dello palazzo e là sempre stava a valestrare. Mentre che valestrava, penzava li fatti
de sio reame. Mentre che iva de segnale a segnale, dava le resposte e.lle odienzie alle iente, commetteva li fatti e.lle cose le quali devea» (si noti del resto la annotazione cronologica «Anche non era de
questa vita passato», resa necessaria proprio nel momento in cui si attua il rinvio ad un capitolo intitolato Della morte dello re Ruberto)
↓ 24) XII 298-305: «Lo duca [Gualtieri di Brienne, duca d’Atene] ne gìo in Francia, in sio paiese.
Alla fine morìo nella vattaglia la quale fu fatta fra lo re de Francia e.llo re de Egnilterra; nello quale
stormo Iuvanni re de Francia fu presone, como se dicerao. Currevano anni Domini MCCC… Questo duca de Atena fu occiso in quella vattaglia. Tal fine abbe lo duca de Atena signore de Fiorenza» vs.
XXVI Como lo senatore fu allapidato da Romani e delli magnifichi fatti li quali fece missore Egidio Conchese de Spagna, legato cardinale, per recuperare lo Patrimonio, la Marca de Ancona e Romagna, 473-482: «La guerra durao
anni moiti. Per questa guerra mantenere fu predicata la crociata moite fiate. Mode novamente che
curre anno Domini MCCCLVII[I], de iennaro, nella citate de Tivoli fu predicata. His ferme diebus Iohannes rex Francie captus est a filio regis Anglie bello magis tumultuario quam militari apud villam que dicitur ........ ductusque in Angliam sub custodia annis ferme duobus. Tandem cum magno sui detrimento et regni evasit»
↑ 25) XIII 112c-113c: «Erance lo sufficiente conestavile todesco, de chi de sopra ditto ène, lo
Malerva» vs. IX Della aspera e crudele fame e della vattaglia de Parabianco in Lommardia e delli novielli delle vestimenta muodi (Malerva è citato alle rr. 148, 159, 212, 235, 242, 264)
↕↑ 26) XIII 121c-124c: «Erance uno nobilissimo barone de Francia: Fiore de Belgioia avea nome.
Questo Fiore de Belgioia se trovao a fonnare le mura collo patriarca, como ditto ène» vs. XIII 6c-8c:
«Lo patriarca con uno nobile cavalieri francesco, nome Fiore de Belgioia, pusero li fonnamenti con loro
mano»
↕↑ 27) XIV 268-272: «Questa novitate vidde Ludovico conte de Flandria, lo quale, como ditto ène,
era cacciato de sio contado, stava a suollo in Parisci per gran tiempo» vs. XIV 97-98: «Anche abbe Ludovico conte de Flandria, lo quale era cacciato de sio contado»
↓ 28) XVI 64-66: «Per la qual cosa e per alcuno aitro excesso Martino de Puorto fu appeso per la
canna, como se dicerao» vs. XVIII Delli granni fatti li quali fece Cola de Rienzi, lo quale fu tribuno de Roma
augusto, 567-606 e più precisamente 602-603: «Menato così mannifico omo alle forche, nello piano de
Campituoglio fu appeso»; cfr. anche sotto al numero 31 (XVIII 572-573)
↓ 29) XVI 78-84: «Lo quale [fra Monreale] entrao in terra romana moito de tenerissima etate, e fu
omo de masnata e deventao virtuosissimo capitanio e fecese omo de granne fatto e de granne valore
e fu capo della Granne Compagnia. A l’uitimo li fu tagliata la testa in Roma, como se dicerao» vs.
XXVII Como missore Nicola de Rienzi tornao in Roma e reassonse lo dominio con moite alegrezze e como fu occiso
per lo puopolo de Roma crudamente, in particolare 150-174 e 1b-98b; più precisamente 87b-92b: «Posta che
li fu la mannara in cuollo, favellao e disse: “Non stao bene”. Allora era seco moita bona iente, fra quali
era lo sio miedico de piaghe. Questo li trovao la ionta. Puosto lo fierro, allo primo colpo stoizao in là.
Pochi peli della varva remasero nello ceppo»
↑ 30) XVIII 523-531: «Allora lo tribuno fece uno sio generale Consiglio, e scrisse lettere luculentissime […] a Ludovico duca de Bavaria, lo quale era stato elietto imperatore, como ditto de sopra
ène, […]» vs. IV De papa Ianni e della venuta dello Bavaro a Roma e della soa partenza e dello antipapa lo quale
fece; cfr. anche III 5-8 = numero 1: «Li elettori dello imperio nella Alamagna liessero Ludovico duce
de Bavaria in imperatore» (si noti che il rinvio è al 1314, anno dell’elezione di Ludovico il Bavaro, sebbene i fatti narrati nel cap. XVIII facciano riferimento a ben trentatre anni dopo, al 1347)
↑ 31) XVIII 572-573: «De questo Martino feci menzione sopra della galea sorrenata» vs. XVI Della
galea sorrenata e derobata in piaia romana, 55-67, in particolare 55-57: «Era nello castiello de Puorto uno
nobile romano: Martino de Puorto avea nome»; cfr. anche sopra al numero 28
La Cronica d’Anonimo Romano
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↕↑ 32) XVIII 763-766: «Puoi che.llo editto abbe mannato a tutti li baroni e alle citate intorno, doicemente obediscono, secunno che de sopra ditto ène» vs. XVIII 751-763: «Manna sio editto intorno
e cita tutti potienti nelle finaite de Roma. Intanto ordinao alquanti suoi fattori e mannaoli coglienno
lo focatico. Coizero dunqua lo cienzo antico dello puopolo de Roma, e onne dìe la moneta vene a
Roma, per tale via che increscimento e fatiga fosse contare pecunia de tanta iente. Prestamente li vassalli delli baroni pacano uno carlino per fumante. Apparecchiavanose a questa paca le citate, le terre e
le communanze, le quale staco nella Toscana inferiore e in Campagna e in Maretima. No.llo créseri: li
vassalli de Antioccia pacaro»
↑ 33) XVIII 837-841: «Uno fraticiello, lo quale aveva nome frate Acuto de Ascisci spidalieri, lo quale
fece lo spidale della Croce de Santa Maria Rotonna, dello quale de sopre feci menzione nella renovazione de ponte Muolli, fu santa e bona perzona» vs. X Della morte dello re Ruberto e della venuta che fece
la reina de Ongaria a Roma, 130-134: «Frate Acuto, uno fraticiello de Ascisci lo quale fece lo spidale della
Croce a Santa Maria Rotonna, fu lo primo che.lli domannassi elemosina per acconciare ponte Muolli
lo quale era per terra»
↕↓ oppure ↓ 34) XVIII 1095-1101: «Ià vennero li preventori delli ambasciatori e pregavano che.llo
tribuno collo puopolo de Roma provedessi sopre la vennetta la quale se dovessi fare della cruda morte
la quale fece lo re Antrea, re de Puglia, lo quale dalli baroni era stato appeso, como se dicerao puoi»
vs. XIX Della morte de Antreasso re de Puglia, lo quale fu appeso, e como fu comenzata a fare de tal morte iustizia;
ma cfr. anche XVIII 1217-1228, dove gli avvocati della regina Giovanna, accusata delle morte di re Andrea, e gli avvocati del fratello di Andrea, Ludovico di Ungheria, discutono della questione davanti a
Cola
↕↓ 35) XVIII 1107-1109: «Allora se fece ponere in capo la corona tribunale, della quale io’ farraio menzione»63 vs. XVIII 1792-1794: «e pusese in capo la soa corona de ariento de fronni de oliva»
↑ 36) XVIII 1380-1382: «Uno dìe convitao a pranzo missore Stefano della Colonna lo vegliardo,
della cui bontate ditto ène de sopra» vs. II (vi si parla di Stefano Colonna sindaco e poi cavaliere),
XVIII 148-151 («E congregao moiti potienti de Roma, fra li quali fu Stefano della Colonna e Ianni Colonna sio figlio, lo quale era delli più scaitriti e mannifichi de Roma») e 404-425 («Puoi che queste cose,
le quale in Roma fatte erano, pervennero alle recchie de missore Stefano della Colonna, lo quale staieva in Corneto nella milizia per grano, con poca compagnia senza demoranza ne cavalcao e venne a
Roma. Ionto nella piazza de santo Marciello, disse ca queste cose non li piacevano. Lo sequente dìe,
la matina per tiempo, Cola de Rienzi mannao a missore Stefano lo editto e commannamento che se
dovessi partire de Roma. Missore Stefano la cetola prese e sì.lla sciliao e fecene mille piezzi e disse: “Se
questo pascio me fao poca de ira, io lo farraio iettare dalle finestre de Campituoglio”»; ma quel che
segue narra l’umiliante fuga da Roma del vecchio colonnese); missore Stefano ricompare con un’altra
bravata ancora più avanti nel cap. XVIIII 1406-1421, anche stavolta pagata cara, con una breve prigionia: «Allora missore Stefano lo veglio mosse una questione: quale era meglio ad un rettore de puopolo, l’essere prodigo overo avaro? Moito fu desputato sopra ciò. Dopo tutti missore Stefano, presa
la ponta della nobile guarnaccia dello tribuno: “Per ti, tribuno, fora più convenevole che portassi vestimenta oneste de vizuoco, non queste pompose”. E ciò dicenno li mostrao la ponta della guarnaccia. Questo odenno Cola de Rienzi fu turbato. La sera era. Fece stregnere tutti li nuobili e feceli aiognere
guardie. Missore Stefano lo veterano fu renchiuso in quella sala dove se fao lo assettamento. Tutta la
notte stette senza lietto. Annava de là e de cà, toccava la porta, pregava le guardie che·lli operissino.
Le guardie non lo scoitavano. Crudele cosa fatta li fu in tutta quella notte senza pietate»
63
L’edizione legge «della quale io farraio menzione»; accolgo come pienamente convincente l’intervento editoriale proposto in VITTORIO FORMENTIN, Nuovi rilievi sul testo della Cronica d’Anonimo Romano, «Contributi di filologia dell’Italia Mediana», XVI (2002), pp. 23-47, alle pp. 35-36.
184
Lucia Bertolini
↕↑ 37) XVIII 1932-1934: «Lo legato cardinale, dello quale de sopra ditto ène, lo maledisse e iudicaolo per eretico» vs. XVIII 1527-1530: «In questi dìi sopravenne a Roma uno cardinale; legato era
de papa. Questo legato infestava tuttavia con lettere che.llo tribuno tornassi a Roma, ca.lli voleva alcuna cosa rascionare»
↓ 38) XVIII 1997-2003: «Puoi ne gìo allo papa in Avignone e là sappe sì fare che fu revocato sio
prociesso e fu fatto senatore de Roma per lo papa, e venne a Roma e fece cose memorabile e granne,
como se dicerao. Puoi fu occiso per lo puopolo e fattone granne iudicio, como se toccarao nello
capitolo de soa tornata in Italia» vs. XXVII Como missore Nicola de Rienzi tornao in Roma e reassonse lo
dominio con moite alegrezze e como fu occiso per lo puopolo de Roma crudamente, in particolare 64-82 (viaggio verso
Avignone), 83-99 (soggiorno in Curia) e, in quest’ultimo tratto, più precisamente 95-96 («Allora fu
revocato lo prociesso e.lla sentenzia de don Bruno e dello cardinale de Ceccano»); nel medesimo
capitolo alle rr. 248-251 si menziona la nomina a senatore da parte del legato e alle rr. 219b-221b la
lettera di conferma papale. Per il secondo rinvio vs. XXIII[…] Dello quinquagesimo iubileo in Roma e della
tornata la quale fece lo re de Ongaria in Roma e in Puglia (nella parte finale non tramandata)
↓ 39) XXIII 152-156: «A questo missore Aniballo de commannamento dello papa li convenne assentare fòra de Roma e gire a Napoli a provedere sopra la desolazione dello regno de Puglia, lo quale
iva in desperzione, como se dicerao» vs. XXIII[…] Dello quinquagesimo iubileo in Roma e della tornata la
quale fece lo re de Ongaria in Roma e in Puglia (nella parte finale non tramandata); cfr. anche sopra, al numero 10 = X 6-7
↑ 40) XXVI 59-66: «Questo don Gilio quanto fussi sufficiente guerrieri l’opere soie lo demustravano. Esso fu in prima cavalieri a speroni d’aoro. Puoi fu arcidiacono de Conche. E fu de tanta industria, che fu fatto confallonieri dello re de Castelle. Esso perzonalemente se trovao alla rotta de Taliffa
in Spagna, como de sopra ditto ène» vs. XI Della sconfitta de Spagna e della toita della Zinzera e dello assedio de Iubaltare dove però non è menzione di Egidio d’Albornoz
↑ 41) XXVI 102-104: «In quella oste fu Cola de Rienzi cavalieri, lo quale veniva assoluto de Avignone dallo papa, como s’è ditto» vs. XVIII 1997-2003 (cfr. = numero 38); ma cfr. anche XXVII 82105: «Ionto in Avignone parla denanti allo papa. Scusavase ca non era patarino, né incurreva la sentenzia
dello cardinale don Bruno. Voleva stare alla esaminazione. A queste paravole lo papa stette queto. Fu
renchiuso in una torre grossa e larga. Una iusta catena teneva in gamma. La catena era legata su alla
voita della torre. Là staieva Cola vestuto de panni mezzani. Aveva livri assai, sio Tito Livio, soie storie
de Roma, Abibia e aitri livri assai. Non finava de studiare. Vita assai sufficiente della scudella dello
papa, che per Dio se daieva. Fuoro esaminati suoi fatti e fu trovato fidele cristiano. Allora fu revocato
lo prociesso e·lla sentenzia de don Bruno e dello cardinale de Ceccano, e fu assoluto. E venne in grazia dello papa e fu scapulato. Quanno iessìo de presone fu lo primo dìe de agosto. Deveva venire in
Italia uno legato, don Gilio Conchese, cardinale de Spagna. Apparecchiavase e scriveva sia famiglia. Cola
de Rienzi con questo legato iessìo de Avignone purgato, benedetto e assoluto. E collo legato passao
la Provenza e venne a Montefiascone per recuperare lo Patrimonio, como ditto ène»
↓ 42) XXVI 180-182: «Era per quelli dìi in Roma Carlo imperatore, de cui se dicerao. Avea presa
la corona» vs. XXVIII Della venuta de Carlo imperatore a Roma e della soa coronazione e della soa partenza alla
Alamagna
↑ 43) XXVI 226-229: «[Francesco degli Ordelaffi] Avea odio insanabile a prelati, recordannose
che ià fu male trattato dallo legato antico, missore Bettrannio dello Poietto, cardinale de Uostia, como
de sopra ditto ène» vs. […]V Dello mostro che nacque in Roma e dello legato dello papa lo quale fu cacciato de
Bologna, 36-41: «Anco ce fu li signori de Romagna. Lo legato li teneva moito poveri. Nulla provisione
li daieva. Quanno ademannavano alcuna grazia, responneva: “Bene faciemus”. Vedi que doveano penzare
quelli che suoglio essere signori e non haco cobelle!»
↓ 44) XXVII 22-26: «[Cola, cacciato nel 1347 da Roma] Gìo como fraticiello iacenno per le montagne de Maiella con romiti e perzone de penitenza. Alla fine se abiao in Boemia allo imperatore Carlo,
della cui venuta se dicerao, e trovaolo in una citate la quale se appella Praga» vs. XXVIII Della venuta
de Carlo imperatore a Roma e della soa coronazione e della soa partenza alla Alamagna
La Cronica d’Anonimo Romano
185
↑ 45) XXVII 89-105: «Là staieva Cola vestuto de panni mezzani. Aveva livri assai, sio Tito Livio,
soie storie de Roma, Abibia e aitri livri assai. Non finava de studiare. Vita assai sufficiente della scudella dello papa, che per Dio se daieva. Fuoro esaminati suoi fatti e fu trovato fidele cristiano. Allora
fu revocato lo prociesso e·lla sentenzia de don Bruno e dello cardinale de Ceccano, e fu assoluto. E
venne in grazia dello papa e fu scapulato. Quanno iessìo de presone fu lo primo dìe de agosto. Deveva
venire in Italia uno legato [ma i fatti corrispondenti sono stati già narrati nel cap. XXVI 59-67; cfr. il
numero 40], don Gilio Conchese, cardinale de Spagna. Apparecchiavase e scriveva sia famiglia. Cola
de Rienzi con questo legato iessìo de Avignone purgato, benedetto e assoluto. E collo legato passao
la Provenza e venne a Montefiascone per recuperare lo Patrimonio, como ditto ène» vs. XXVI Como
lo senatore fu allapidato da Romani e delli magnifichi fatti li quali fece missore Egidio Conchese de Spagna, legato cardinale, per recuperare lo Patrimonio, la Marca de Ancona e Romagna; in particolare si vedano le rr. 66-67: «Desceso lo legato don Gilio in lo Patrimonio, venne a Montefiascone»
↑ 46) XXVII 119-121: «Alla sopraditta depopulazione de Vitervo, como sopra narrato ène, fuoro
Romani» vs. XXVI Como lo senatore fu allapidato da Romani e delli magnifichi fatti li quali fece missore Egidio Conchese de Spagna, legato cardinale, per recuperare lo Patrimonio, la Marca de Ancona e Romagna, 105-108: «Allora
iessìo fòra lo puopolo de Roma. Ianni conte de Vallemontone fu lo capitanio. Comenzao a fare lo guasto. Uno terzieri de Vitervo guastaro, vigne, oliveta e arbori. Onne cosa metto in ruvina»
↓ 47) XXVII 151-164: «Fra Monreale fu a fare la guerra dello re de Ongaria. Puoi fu capo della
Granne Compagnia. Guastao moite terre in Puglia, arze e refocao moite, assai communanze mise a
roba e portaone le femine. In Toscana revennéo Siena, Fiorenza, Arezzo e moite terre. La pecunia
partiva fra suoi compagni. Puoi ne passao nella Marca e consumao li Malatesti. Prese per forza Montefilaterano e Filino, dove moriero più de setteciento villani. Arze le terre e derobaole. Revennéo li uomini e portaone le donne, quelle che apparenza avevano. Era feriero de Santo Ianni, omo sollicito e
prodo, della cui prodezza se dicerao» vs. XXVII, probabilmente nella porzione perduta fra 502 e 1b;
la morte di fra Monreale è poi narrata in 1b-102b
↑ 48) XXVII 354-357: «Questo Stefanello remase piccolo guarzone po’ la morte dello patre Stefano e de Ianni Colonna sio frate, como ditto ène» vs. XVIII 1713-1762, dove è narrata la morte di
Stefano e Ianni Colonna
↑ 49) XXVII 77b-79b: «Questo ène quello lo quale, con fortuna arrivato, ruppe in piaia romana,
como ditto ène de sopra della galea sorrenata» vs. XVI Della galea sorrenata e derobata in piaia romana,
in particolare 73-84: «In quella [galea] venne uno feriero de Santo Ianni: avea nome frate Monreale, provenzano de Narba, cavalieri a speroni d’aoro, moito iovinetto. Arrivao con fortuna in piaia romana e
perdìo là in quello pericolo onne sio arnese, fi’ alla scarzella delli fiorini. Sola la perzona campao» (per
il seguito cfr. sopra al numero 29).
Appendice IVa: PRESUNTI ERRORI DI ARCHETIPO
1) A XIV 378 i manoscritti recano «fu muorto dalli cavalli doi baroni allato ad esso», tranne C2 che davanti al numerale introduce l’articolo li. L’editore corresse in «fu muorto dalli cavalli [delli] doi baroni
allato ad esso» ricordando che il re di Boemia, di cui qui si descrive la morte, si era presentato sul
campo di battaglia legato a «doi baroni»; nei fatti l’integrazione non pare necessaria (che il re di Boemia sia ucciso dai cavalli dei due baroni che erano incatenati a lui o da quelli dei suoi nemici sono ipotesi parimenti verosimili) e basterà interpungere:
Lo re de Boemia fu attorniato denanti, da lato e da costato. Lo cavallo dello re cadde. Lo re
tramazzao e fu muorto dalli cavalli, doi baroni allato ad esso. Cade in prima missore Haun
dello Tornello, uno nobile cavaliero francesco lo quale portava la banniera dello re. Questo fu
quasi delli primi collo re scavalcato e muorto.
186
Lucia Bertolini
e intendere «doi baroni allato ad esso» come frase nominale per mancata ripetizione di «fu muorto» cui
la frase è coordinata in asindeto64.
2) A XXIII 72-76 tutti gli interpreti hanno accolto una congettura di Porta: dopo aver ricordato il
proposito di Aniballo da Ceccano di allontanarsi da Roma a causa dell’attentato subìto, l’Anonimo annota:
Questo legato fece preclare cose. Esso ficcao in Santo Pietro quelli doi belli panni li quali staco
dallo lato dello coro, e donao uno a Santo Ianni e [un] aitro a Santa Maria Maiure.
A un’attenta lettura però risulta strano che l’Anonimo possa vedere ancora in San Pietro i «doi
belli panni» che il cardinale legato vi aveva collocato (ficcao), nonostante che essi fossero stati donati a
due altre chiese romane, San Giovanni in Laterano e Santa Maria Maggiore, quasi che il legato avesse
dato a San Pietro i due addobbi in usufrutto. In realtà la famiglia β (che non ha uno) da un lato e tutti
i manoscritti concordi (in e aitro) dall’altro offrono una lezione complessiva corretta e migliore:
Questo legato fece preclare cose. Esso ficcao in Santo Pietro quelli doi belli panni li quali staco
dallo lato dello coro, e donao a Santo Ianni e aitro a Santa Maria Maiure65.
3) Nel brano «Questi ammasciatori Stefanello retenne e alcuni de essi mise in oscuritate. Anco li
trasse uno dente e connannaoli in quattrociento fiorini» (XXVII 362-364) il Porta aveva mutato
connannaolo di tutti i codici in connannaoli; Vittorio Formentin, dopo aver decretato l’emendamento come
inutile, e dopo aver recuperato la lezione pressoché concorde nei manoscritti «della rara (ma certo non
inaudita) costruzione apreposizionale del verbo di condanna – equiparato sintatticamente ai verbi di
prezzo –» (dunque restituendo «connannaolo quattrociento fiorini»), avverte: «La difficoltà, mi pare,
va invece localizzata nel segmento alcuni de essi, che è contra sensum, dato che gli ambasciatori sono
soltanto due, mentre la lezione di ω nelle due successive frasi coordinate è sensatissima»66. Va segnalato
però che nella Cronica l’indefinito alcuno è un singolare a tutti gli effetti, non solo dal punto di vista
grammaticale, ma anche sotto l’aspetto semantico, perché (anziché valere come il moderno ‘qualche’)
significa ‘uno qualsiasi’, ‘un qualche’, ‘un certo’ e insomma ‘uno (fra due o molti)’; prova ne siano frasi
inequivocabili come «Alcuna voita [‘Una volta’] fu demannato questo perché faceva. Respuse e disse
64
Per l’istituto della frase nominale nell’Anonimo e per altri casi di «incongruenza tra il singolare
del verbo […] e il plurale del successivo sintagma» cfr. PIETRO TRIFONE, Aspetti dello stile nominale nella
Cronica trecentesca di Anonimo Romano, in «Studi linguistici italiani», XII (1986), pp. 217-39, a p. 222.
65
Si avverta che, nella Cronica, ficcare oltre che ‘conficcare’ (XII 575, XIV 140-141, XXIII 100) vale
‘appendere’ (XVIII 250-252: «Scrisse una cetola e ficcaola nella porta de santo Iuorio della Chiavica»)
o, più genericamente, ‘collocare’ (cfr. XVIII 139-140, XVIII 479-481); del tecnicismo giuridico donare
(con oggetto implicito e con il senso di ‘fare donazioni’) mancano altre attestazioni nella Cronica; aitro,
pronome non determinato e con valore neutro (‘altre cose’) ricorre più normalmente in contesto negativo (V 67 e 105, IX 112, XI 169 e 230, XIV 489, XXVI 67, XXVII 495), ma il nostro caso è accostabile a XVIII 246-247 («Con aitro se vòlzera rettificare lo stato de Roma”) e XVIII 973-974 («Questo
non fora per aitro se non per la mutazione»), in entrambi i casi però preceduto da preposizione trattandosi di complemento indiretto. Sarà stata del resto proprio la rarità del costrutto a incoraggiare l’integrazione di uno in α.
66
FORMENTIN, Approssimazioni al testo e alla lingua della Cronica d’Anonimo Romano, cit., p. 55.
La Cronica d’Anonimo Romano
187
[…]» (IX 318-319), «Là a Trapani, facennose alcuna curreria [‘una certa scorreria’, ‘una scorreria delle
tante’], fu subitamente presa una donna» (X 69-71), e soprattutto, perché in contesto partitivo simile
a quello del caso in esame, «Disseme uno, lo quale tutte queste cose vidde, che moiti Turchi fuoro
presi, fra li quali ne fu alcuno [α reagisce con uno] moito grasso. Questo così grasso sorticaro vivo
[…]». (XIII 252c-255c)67. La precisazione, oltre a consentire di interpretare più esattamente vari luoghi
della Cronica68, riconduce al senso anche la frase incriminata poiché alcuni di essi o andrà corretto (in
maniera meno invasiva) con alcuno di essi (‘uno dei due’) o, invece, andrà considerato pienamente
legittimo69.
4) Infine ritengo che la proposta di correzione che a sostituzione di como avanzata dallo stesso Formentin70 a XXVI 18-20 («Più prete e sassi li fioccano de sopra como fronni che cascano delli arbori lo
autunno») anziché attuata a livello testuale debba volgersi in una, peraltro necessaria, avvertenza esegetica (che allontani il sospetto di paragone esornativo da quello che è al contrario un concretissimo
paragone elativo pertinente alla frequenza dei colpi subiti dal senatore durante la sua lapidazione); che
la correzione testuale non sia indispensabile lo indica il riscontro con XI 228-229: «Le prete, vrecce de
fiume, de piena mano fioccavano como neve» e, d’altro canto, l’uso di più seguito da nome plurale (per
‘numerosi/-e, parecchi/-ie’): «per più fiate àbbero» (XVIII 572), «vestìose riccamente de più robbe»
(XXVII 231).
Appendice IVb: ERRORI DI ARCHETIPO
Allo scopo che ci si è prefissi (§ V), si raccolgono qui di seguito gli errori di archetipo a mio parere resi
certi da una soluzione congetturale inoppugnabile (anche se un margine di soggettività sarà ineliminabile). Valgono per questa appendice le seguenti abbreviazioni:
Bertolini 1991 = LUCIA BERTOLINI, Proposte interpretative e testuali per la Cronica d’Anonimo Romano,
in «Contributi di filologia dell’Italia mediana», V (1991), pp. 5-22;
Castellani 1987 = CASTELLANI, Note di lettura: la Cronica d’Anonimo Romano, cit.;
Castellani 1992 = CASTELLANI, Ritorno all’Anonimo Romano, cit.;
67
Si veda anche IX 261-263: «Tale avea speroni alla correia, tale una targetta, tale uno cimiero e alcuno menava ronzino, secunno le connizione».
68
Per esempio: «Anche gran parte de loro portava lance con uno fierro pulitissimo, moito fortemente lato; alcuno [‘uno dei quali’, non ‘alcuni’] era ’naorato. […] De quelle frezze era alcuna [‘Fra
quelle frecce ce n’era una’ non ‘ce n’erano alcune’] nella quale stava avvolto uno filo d’aoro; ché la
freccia dignitate avea» (XIII 52c-58c).
69
In una magistrale nota compresa nell’articolo Postille a testi italiani antichi (in «Filologia italiana»,
VII (2010), pp. 9-39, alle pp. 22-29: VI. Ital. ant. (un) altro = ‘quivis’, ‘quidam’), lo stesso Formentin ha riconosciuto il medesimo valore a altro che con il nostro alcuno non solo condivide il valore indefinito
nelle frasi affermative e il senso di ‘nessuno’ in quelle negative, ma anche conosce almeno fin dal XIII
secolo, da un capo all’altro della penisola, la variante altri sing. che potrebbe aver contagiato il sing. alcuni. Infatti, a fronte di Cronica XVIII 246-248 («Alcuni dicevano: “Con aitro se vòlzera […]”. Alcuno
diceva: “Granne cosa […]”») si veda XVIII 1454-1456: «Alcuni de loro fece patrizii, alcuni fece profietti sopra la annona, alcuni duca de Toscana, alcuni duca de Campagna», cui isolatamente (e solo nella
seconda occorrenza) reagiscono con alcuno O4Ch2, con arguno V4.
70
FORMENTIN, Approssimazioni al testo e alla lingua della Cronica d’Anonimo Romano, cit., pp. 56-58.
188
Lucia Bertolini
Formentin 1989 = VITTORIO FORMENTIN, Proposte di restauro per la Cronica d’Anonimo Romano, in
«Medioevo romanzo», XIV (1989), pp. 111-25;
Formentin 2002 = FORMENTIN, Nuovi rilievi sul testo della Cronica d’Anonimo Romano, cit.;
Formentin 2012 = FORMENTIN, Approssimazioni al testo e alla lingua della Cronica d’Anonimo Romano,
cit.;
Formentin 2014 = FORMENTIN, Filologia e lessicografia, cit.;
Trifone 1986 = TRIFONE, Aspetti dello stile nominale nella Cronica trecentesca di Anonimo Romano, cit.
ω
Soluzione editoriale proposta
1
I 23
mo’ in persia (perzia d, om. α)
2
II 17-18
e una scuffia de zannato giallo in capo, e una scuffia de zannato giallo in
una mazza a cavallo (β, a canali α)
capo, una mazza a cannali (Formentin 2014, pp. 207-09)
3
II 18-19
Passavano per la strada ritta, per la po- Passavano per la strada ritta, per la
sana
Poscina (Castellani 1987, pp. 977-78;
Bertolini 1991, p. 22)
4
II 42-43
Vedesi rompere de aste, currere de ca- Vedesi rompere de aste, currere de
valli e pettorali
cavalli a pettorali (Bertolini 1991, p.
19)
5
XI 125-126
bona targia in vraccio, tagliente guisa- bona targia in vraccio, tagliente guirina (b, guiserina c, guisanna a, om. H, sarma da lato (Castellani 1987, pp.
rimaneggiato V4) da lato
976-77)
6
XIII 24
Paralifia α, Parafilia β
7
XVIII 78-79
in forma de perire che sio pericolo in forma de precare che sio pericolo
non fussi
non fussi (Porta, ma si corregga
piuttosto «in forma de petire che sio
pericolo non fussi» secondo Formentin 2012, pp. 55-56)
8
XVIII 386-387 se fussi pedone aia ciento livre de pro- se fussi pedone aia ciento livre de
visione
provisini (Formentin 2012, pp. 5859)71
71
mo’ in †Persia† (Porta, che, incerto
fra Peroscia e Proscia, non interviene
direttamente a testo; cfr. Porta, pp.
444-45)
Pamfilia (Porta)
Che valorizza un’ipotesi già avanzata da ANNA MODIGLIANI, L’eredità di Cola di Rienzo. Gli statuti
del Comune di popolo e la riforma di Paolo II, in ANDREAS REHBERG - ANNA MODIGLIANI, Cola di Rienzo e
il Comune di Roma, Roma, Roma nel Rinascimento, 2004, vol. II, p. 73 n. 111.
La Cronica d’Anonimo Romano
189
9
XVIII 739-740 Per ciasche rione de Roma ordinao Per ciasche rione de Roma ordinao
pedoni e cavalieri trenta, e deoli suollo. pedoni [C], cavalieri trenta, e deoli
suollo (Formentin 2012, pp. 59-60)
10
XVIII 990
per la morte de Attila l’airo mutato per la morte de Attila l’airo mutao
(immutato b)
(Porta)
11
XVIII 1375
con uno forame de sopre quanno in con uno forame de sopre †quanno†
prezzo
in prezzo (Porta; nell’editio minor,
p. 248, nota 281 in luogo della crux
è proposto l’emendamento «quale fu
tanno»)
12
XVIII
1613
1610- Delli baroni fuoro collo puopolo Iordano delli Orsini, Cola Orsino de Castiello Santo Agnilo, Malabranca
cancellieri della Poscina
13
XVIII
1777
1776- Fuoro de muorti in poco de spazio da Fuoronde muorti in poco de spazio
dodici
da dodici (Formentin 2002, pp. 3940)
14
XVIII 1892
“Vogliove dare la pace doppia
15
XXIII 51
clinora (α, e linora cH, e honora V4) elmora de acciaro (Trifone 1986, pp.
de acciaro
233-34)
16
XXIII 166
ca li votti tutti erano venuti per la gran ca li votti tutti erano venenati per la
campagna
Gran Compagnia (Porta)
17
XXVI 449
Questo legato fece l’oste pentolosa Questo legato fece l’oste pericolosa
sopra de Forlì
sopra de Forlì (Castellani 1987, pp.
975-76)
18
XXVII 162
era fiore de Santo Ianni
era feriero de Santo Ianni (Porta, ma
si corregga piuttosto «era fr(i)ere de
Santo Ianni» secondo Formentin
2012, p. 56)
19
XXVII 328
Mai non tanta pompa
Mai non [fu] tanta pompa (Porta)
20
XXVII 388
Non voglio più scelmire cosa della Non voglio più schermire [con] casa
Colonna
della Colonna (Formentin 2002, pp.
40-41)
21
XXVII 405
Vedi bella lerciaria che fece alli suoi Vedi bella lecciaria che fece alli suoi
capitanii
capitanii (Formentin 1989, pp. 11517)
22
XXVII 6b-7b
Fatta la notte, preso da primo suonno Fatta la notte, presso da primo
fra Monreale fu menato allo tormento suonno, fra Monreale fu menato allo
tormento (Bertolini 1991, pp. 19-21)
Delli baroni fuoro collo puopolo
Iordano delli Orsini, Cola Orsino de
Castiello Santo Agnilo, [Agnilo] Malabranca cancellieri della Poscina
(Formentin 2012, pp. 60-61)
“Vogliove dare la paca doppia
(Porta)
190
Lucia Bertolini
23
XXVII 152b- non facevano cosa notabile salvo le non facevano cosa notabile, salvo lo
153b
prede guerrieri Liccardo
prode guerrieri Liccardo (Porta)
24
XXVII 346b- Immediate puo’ esso secunnao lo ventre Immediate puo’ esso secunnao †lo
347b
de Treio
ventre† de Treio (Porta, ma si corregga «Immediate puo’ esso secunnao
Lorienzo de Treio» secondo Castellani 1992, p. 1137).