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a cura di Anna Dolfi Gli intellettuali/scrittori ebrei e il dovere della testimonianza In ricordo di Giorgio Bassani FIRENZE UNIVERSITY PRESS MODERNA/COMPARATA — 21 — MODERNA/COMPARATA COLLANA DIRETTA DA Anna Doli – Università di Firenze COMITATO SCIENTIFICO Marco Ariani – Università di Roma III Enza Biagini – Università di Firenze Giuditta Rosowsky – Université de Paris VIII Evanghelia Stead – Université de Versailles Saint-Quentin Gianni Venturi – Università di Firenze Gli intellettuali/scrittori ebrei e il dovere della testimonianza In ricordo di Giorgio Bassani a cura di Anna Doli Firenze University Press 2017 Gli intellettuali/scrittori ebrei e il dovere della testimonianza : in ricordo di Giorgio Bassani / a cura di Anna Doli. – Firenze : Firenze University Press, 2017. (Moderna/Comparata ; 21) http://digital.casalini.it/9788864535623 ISBN 978-88-6453-561-6 (print) ISBN 978-88-6453-562-3 (online PDF) ISBN 978-88-6453-563-0 (online EPUB) Progetto graico di Alberto Pizarro Fernández, Pagina Maestra snc BASSANI 1916/2016 Con il patrocinio di Certiicazione scientiica delle Opere Tutti i volumi pubblicati sono soggetti ad un processo di referaggio esterno di cui sono responsabili il Consiglio editoriale della FUP e i Consigli scientiici delle singole collane. Le opere pubblicate nel catalogo della FUP sono valutate e approvate dal Consiglio editoriale della casa editrice. Per una descrizione più analitica del processo di referaggio si rimanda ai documenti uiciali pubblicati sul catalogo on-line della casa editrice (www.fupress.com). Consiglio editoriale Firenze University Press A. Doli (Presidente), M. Boddi, A. Bucelli, R. Casalbuoni, M. Garzaniti, M.C. Grisolia, P. Guarnieri, R. Lanfredini, A. Lenzi, P. Lo Nostro, G. Mari, A. Mariani, P.M. Mariano, S. Marinai, R. Minuti, P. Nanni, G. Nigro, A. Perulli, M.C. Torricelli. La presente opera è rilasciata nei termini della licenza Creative Commons Attribution 4.0 International (CC BY 4.0: https://creativecommons.org/licenses/by/4.0/legalcode). his book is printed on acid-free paper CC 2017 Firenze University Press Università degli Studi di Firenze Firenze University Press via Cittadella, 7, 50144 Firenze, Italy www.fupress.com INDICE SALUTO E INTRODUZIONE AI LAVORI 13 Luigi Dei PAROLE DIFFICILI. PER TRACCIARE I CONFINI DI UNA RICERCA 15 Anna Doli EBRAISMO E MEMORIA SIGNIFICATO E VALORE DELLA TESTIMONIANZA NELLA BIBBIA E NELLA TRADIZIONE EBRAICA 27 Ida Zatelli LA LEGGENDA DELL’EBREO ERRANTE NELLA LETTERATURA ROMANTICA 35 Patrizio Collini PARIGI 1928-1932: LA COLLANA «ARTISTES JUIFS» DE LE TRIANGLE TRA PROMOZIONE ARTISTICA E APPARTENENZA EBRAICA Alessandro Gallicchio 1. Critica d’arte e antisemitismo 2. Le Triangle e la collana Artistes juifs 3. L’arte contemporanea e gli ebrei 4. Conclusioni ANDENKEN: CONTINUITÀ E FRATTURE NELLA FILOSOFIA DELLA STORIA TRA GIUDAISMO E CRISTIANESIMO. INTELLETTUALI EBREI E TRADIZIONE APOCALITTICA TRA «ENTRE-DEUX-GUERRES» E «APRÈS-GUERRE» 43 44 46 49 53 Mario Domenichelli EDMOND JABÈS. LA PAROLA FERITA Antonio Prete 63 8 INDICE I VOLTI DELLA MEMORIA. ARTISTI DOPO L’EMANCIPAZIONE 69 Dora Liscia Bemporad A PROPOSITO DI «EXIL DES LANGUES, LANGUES D’EXIL. EXEMPLES D’AUTEURS D’ORIGINE JUIVE» 79 Claude Cazalé Bérard 1. Yiddish, esilio e sopravvivenza 2. Tra lingue e esili nella Mitteleuropa 3. Scrittori di lingua tedesca nella Germania del dopoguerra: esilio della lingua 4. Lingue salvate: dal giudeo-spagnolo al «Judan» e al giudeo-alsaziano 80 82 88 92 SEMANTICA E TESTIMONIANZA «LA MORTE È LA MONETA DEL POTERE» IL NOVECENTO IRREDENTO DI ELIAS CANETTI Silvana Greco 1. La metamorfosi di uno scrittore 2. Origine del comando: il potere I TEMI DELL’ESILIO E DELLA REDENZIONE NELLA NARRATIVA DI BERNARD MALAMUD 99 101 107 Gigliola Sacerdoti Mariani «SCRIVERE L’INIMMAGINABILE»: «L’ESPÈCE HUMAINE» DI ROBERT ANTELME 129 Enza Biagini 1. L’inimmaginabile 2. «La scrittura lazzariana» 3. La specie umana. L’immagine di sé 4. L’Autore e il testimone SEBALD, UN TENTATIVO DI TESTIMONIANZA 130 136 141 149 161 David Matteini LA RIMOZIONE 173 Laura Barile 1. Fortini, Vittorini, «Il Politecnico» 2. Tre storie editoriali e «Se questo è un uomo» 3. Saba e «Il Ponte» 4. L’imprescrittibile, gli intellettuali francesi, «Combat» e «Les Temps Modernes» 5. Amos Oz e Israele 6. Teatro, cinema, tv UN MODO NEL MONDO: LA VITA NON È ALTROVE Carlo Carlucci 174 178 181 183 184 185 189 INDICE UN EDITORE PER LA TESTIMONIANZA 9 211 Daniel Vogelmann SCRIVERE LA MEMORIA LE «MELODIE EBRAICHE» DI HEINE. TESTIMONIARE L’APPARTENENZA E PARTECIPARE AL TEMPO DELLA MEMORIA 225 Liliana Giacoponi «UND ALLES ERINNERT MICH AN ALLES». LA TESTIMONIANZA DI MARGARETE SUSMAN 237 Giuliano Lozzi MEMORIA DELLA SHOAH E SCRITTURA IN NELLY SACHS 251 Mattia Di Taranto NEL NOME DEL PADRE E DEL MESSIA. MEMORIA E IDENTITÀ EBRAICA IN BRUNO SCHULZ 269 Francesco M. Cataluccio «LA TEMPESTA SUL FIORE». GIACOMO DEBENEDETTI E LA «FERITA» DELLA PERSECUZIONE 279 Dario Collini ARTURO LORIA. UN FENOMENO DI DIPLOPIA 291 Ernestina Pellegrini «GLI EBREI». UN ARTICOLO DI NATALIA GINZBURG E LE SUE VICENDE 299 Domenico Scarpa GLI EBREI DI AMOZ OZ 315 Paolo Orvieto UN’IDENTITÀ, NONOSTANTE TUTTO «DAS MÄRCHEN DER TECHNICK» E «DER VERLORENE SOHN»: DUE RACCONTI DI ALFRED DÖBLIN 339 Claudia Sonino IRÈNE NÉMIROVSKY: UN’INTERESSANTE AMBIGUITÀ Valeria Dei 349 10 INDICE CESARE SEGRE, LA CONDIZIONE E LA COGNIZIONE DELL’EBRAISMO 361 Clelia Martignoni LA SHOAH NELL’OPERA DI HEINER MÜLLER 371 Benedetta Bronzini L’INEVITABILE EBRAICITÀ DI MAURICIO ROSENCOF 381 Giorgia Delvecchio ESSERE EBREI IN TURCHIA 395 AyŞe SaraÇgil LA MEMORIA DIFFICILE. LA SHOAH NEI GRAPHIC NOVEL DELLA «SECONDA GENERAZIONE» Elisabetta Bacchereti 1. La memoria diicile 2. I padri sanguinano storia e qui cominciano i guai dei igli 3. L’insostenibile leggerezza dell’essere igli di sopravvissuti dell’Olocausto 4. Crescere all’ombra di Auschwitz I CONFLITTI DELLA MEMORIA 407 409 414 419 427 Elisa Lo Monaco PER GIORGIO BASSANI LA MEMORIA NELLA TRADIZIONE EBRAICA E NEL «ROMANZO DI FERRARA» 435 Piero Capelli SCRIVERE DI LÀ DAL CUORE Anna Doli 1. Ai margini delle soglie 2. Andando verso l’oltranza 3. Scrivere di là dal cuore UNA DOMENICA D’APRILE 1957 E UN’ULTIMA VISITA. IL PROLOGO A «IL GIARDINO DEI FINZI-CONTINI» 451 453 455 459 Portia Prebys NEL GIARDINO DI MICÒL: FIABA, LUTTO E TESTIMONIANZA 475 Eleonora Conti 1. Un lutto perenne 2. Dal forestiero testimone all’Io narrante 3. Preigurazioni e simbolismi 4. Le masse invisibili 6. Guadi della Storia e un buco nero 476 479 482 483 485 INDICE IL DESIDERIO DI LUCE E LA CONDANNA AL BUIO. «DIETRO LA PORTA» TRA AUTORIALITÀ E NARRAZIONE 11 489 Gianni Venturi LO STILE DI UNA TESTIMONIANZA Pietro Benzoni 1. I margini della inzione narrativa 2. Il giardino tradito 3. L’indiretto libero e la sintassi multipla 4. Una sfuggente precisione LE TEMOIGNAGE ILLISIBLE. PAUL CELAN, GIORGIO BASSANI 503 507 510 515 521 Guillaume Surin INTERSEZIONI AFFETTIVO-SEMANTICHE TRA MEMORIA E TESTIMONIANZA Francesca Nencioni 1. La «vocazione alla solitudine»: un intreccio tra carattere e destino 2. Semantica della memoria 3. Semantica della testimonianza 4. Semantica dell’isolamento, tra memoria e testimonianza UNA LAPIDE IN VIA MAZZINI: LA VERA STORIA GEO JOSZ 559 562 569 576 581 Marcella Hannà Ravenna 1. Geo Josz, il protagonista del racconto di Bassani 2. Eugenio Ravenna, l’ispiratore del racconto 3. Gli anni della persecuzione e della deportazione 4. Il ritorno a Ferrara DALL’ARCHIVIO DI MIO PADRE 581 584 585 592 597 Paola Bassani PRIMO LEVI CONTRO L’OBLIO E IL ‘SOGNO’ DI RACCONTARE PRIMO LEVI: THE MATTER OF LIFE AND SUICIDE 615 Jacob Golomb 1. Life Beyond Deinite Identity 2. he Guilt-Feeling of the Survival and His Suicide Epilogue: Vita brevis, ars longa TESTIMONE DI CIVILTÀ SCOMPARSE. LEVI E LA LETTERATURA MITTELEUROPEA SUL MONDO EBRAICO-ORIENTALE Anna Baldini 615 620 625 629 12 INDICE IL SISTEMA PARODICO. PARODIE SACRE IN «SE QUESTO È UN UOMO» Alberto Cavaglion 1. Premessa 2. Il Sistema «Parodico» 3. Animali mimetici 4. Imitatio Comediae 5. Parole che danzano per il capo 6. Personaggi segnalibri 7. Riscritture di divini uici L’ETICA DELLA FINZIONE. PRIMO LEVI E I MITI 645 647 648 651 652 654 656 659 Federico Pianzola PRIMO LEVI E LA TESTIMONIANZA DELLA POESIA 669 Marco Marchi LEVI E LA «ZONA GRIGIA» COME PREMESSA POETOLOGICA 675 Almut Seyberth PRIMO LEVI, IL DOPPIO LEGAME 685 Andrea Cortellessa «L’ALTRUI MESTIERE»: DUE AMICIZIE AL FEMMINILE DI PRIMO LEVI 693 Oleksandra Rekut-Liberatore 1. Luciana Nissim Momigliano: dalla Resistenza alla tardiva testimonianza del rimosso 2. Giuliana Fiorentino Tedeschi: l’amore per le lingue e la memoria del Lager INDICE DEI NOMI a cura di Martina Romanelli 694 704 SCRIVERE LA MEMORIA MEMORIA DELLA SHOAH E SCRITTURA IN NELLY SACHS Mattia Di Taranto L’assunzione da parte di Nelly Sachs del cosmo di igure e racconti del Tanakh come primario referente semantico-iconologico è un dato immediatamente evidente ai lettori più attenti e avvertiti, a coloro che abbiano cioè maggiore familiarità sia con la parabola trentennale della produzione lirica della poetessa di Schöneberg sia con i suoi drammi lirici e con il suo corposo epistolario. Un dato che si traduce, come notato acutamente da Ida Porena, sul duplice piano contenutistico e sintattico-lessicale, in primis nella «oggettualità tattile di certi elementi speciici»1 e nel «potente realismo dei profeti»2, del cui linguaggio sa imitare magistralmente il crudo vocabolario e le ritmiche cadenze. Altrettanto manifeste, esplicitate dalla stessa autrice e ampiamente sottolineate dalla critica specialistica, appaiono le peculiari occorrenze biograiche e le ragioni politicoculturali di questa scelta, condivisa peraltro da molti intellettuali ebrei contemporanei e per certi versi fatale: merita ricordare in questa sede, oltre alla morte del padre, l’imprenditore ed inventore William Sachs, avvenuta nel 1930, il brutale interrogatorio condotto dalla Gestapo, seguito dal saccheggio dell’appartamento in cui vivevano la madre vedova e la sua unica iglia, impunemente perpetrato da uomini delle SA e dalle loro consorti. Episodi particolarmente drammatici, magistralmente rievocati nella prosa autobiograica Leben unter Bedrohung3 (Vita sotto minaccia, 1956), che provocarono in lei uno choc tale da causarle una temporanea paralisi della laringe con conseguente afasia protrattasi per vari giorni4; una catena di eventi traumatici e circostanze personali, fra cui è interessante menzionare anche la lunga frequentazione di un uomo, unico amore della sua vita e membro attivo della resistenza, che verrà poi catturato 1 Ida Porena, Nelly Sachs: il più atroce dei silenzi, in Poeti della malinconia, a cura di Biancamaria Frabotta, Roma, Donzelli, 2001, p. 6. 2 Ibidem. 3 Walter Berendsohn, Nelly Sachs. Einführung in das Werk der Dichterin jüdischen Schicksals, Darmstadt, Agora, 1974, pp. 9-12. 4 Gisela Dischner, Noch feiert Tod das Leben, in Apropos Nelly Sachs, Frankfurt am Main, Neue Kritik, 1997, pp. 19-20. 252 MATTIA DI TARANTO e che morirà nel 1943 in un campo di concentramento5. Questa serie di lutti e atti persecutori la costrinse dapprima al repentino abbandono dell’illusoria utopia assimilazionista – tenacemente coltivata dalla élite ebraico-tedesca nel segno della Bildung e della Sittlichkeit6, da intendersi qui nel senso rispettivamente di aderenza ai modelli estetici della cultura mitteleuropea e di rispettabilità borghese – e la condusse poi, progressivamente ma ineluttabilmente, all’indomani della fortunosa fuga in Svezia nel maggio del 1940, ad una riscoperta sempre più partecipe e consapevole dell’inesauribile ricchezza della propria identità ebraica. La lettura assidua del canone veterotestamentario e di alcuni testi fondamentali di Martin Buber e Gershom Scholem, capaci di mediare e veicolare il portato ilosoico-letterario di alcuni dei più grandi movimenti della tradizione posttalmudica, segnatamente il chassidismo e la mistica medievale sefardita, costituì, in questa fase, la premessa indispensabile e il fondamento ineludibile per l’elaborazione di un linguaggio poetico in grado di confrontarsi con l’orrore indicibile della Shoah e garantire una voce ai «sommersi» di leviana memoria al di là di ogni sforzo di rappresentazione realistica dell’universo concentrazionario, appannaggio del proliico genere della memorialistica. Tale intento programmatico è formulato dalla stessa Nelly Sachs in una famosa lettera, datata 1 ottobre 1946 e indirizzata a Carl Seelig, in cui la poetessa in esilio esprime nella maniera più sintetica ed eicace l’urgenza impellente che una voce poetica impersonale, ovvero priva di qualunque individualità autoriale, sorga per trasmettere al mondo il dolore di un intero popolo ed aferma al contempo l’esigenza che tale voce non abbia la distaccata e burocratica forma di un verbale: «Aber es muß doch eine Stimme erklingen und einer muß doch die blutigen Fußspuren Israels aus dem Sande sammeln und sie der Menschheit aufweisen können. Nicht nur in Protokollform!»7. Alla luce del quadro qui sinteticamente delineato, la critica si è mossa peraltro già da tempo, sulla scorta di Ehrhard Bahr, in direzione di una periodizzazione della sua opera, con particolare attenzione alla più nota e studiata produzione poetica, in funzione delle riscontrabili speciicità linguistico-retoriche e della più o meno marcata aderenza contenutistica ai modelli identiicabili. Secondo questo schema, le prime due raccolte, In den Wohnungen des Todes (Nelle dimore della morte, 1947) e Sternverdunkelung (Eclissi stellare, 1949), si pongono sotto la duplice egida del Tanakh e dell’universo etico-narrativo chassidico; le succes- Gabriele Fritsch-Vivié, Nelly Sachs, Reinbek bei Hamburg, Rowohlt, 1993, pp. 40-42. George Lachmann Mosse, Jewish Emancipation: Between Bildung and Respectability, in Confronting the Nation: Jewish and Western Nationalism, Hanover and London, Brandeis University Press, 1994, pp. 131-145. 7 Nelly Sachs, Briefe der Nelly Sachs, a cura di Ruth Dinesen e Helmut Müssener, Frankfurt am Main, Suhrkamp, 1962, pp. 67-68. Trad. it.: «Ma deve, tuttavia, risuonare una voce e qualcuno deve raccogliere dalla sabbia le impronte insanguinate di Israele e poterle mostrare all’umanità. Non solo in forma protocollare!». Le traduzioni, ove non indicato, sono nostre. 5 6 MEMORIA DELLA SHOAH E SCRITTURA IN NELLY SACHS 253 sive tre opere poetiche – rispettivamente, Und niemand weiß weiter (E nessuno sa di più, 1957), Flucht und Verwandlung (Fuga e trasformazione, 1959) e Fahrt ins Staublose (Al di là della polvere, 1961) – si collocano, invece, genericamente nel segno dell’inluenza della lunga e multiforme tradizione mistico-cabbalistica e, più speciicatamente, del poliforme corpus zoharico8; e, inine, l’ultima fase, che in questa proposta di suddivisione ha origine con Noch feiert Tod das Leben (La morte festeggia ancora la vita, 1961) e che comprende le raccolte successive Glühende Rätsel (Enigmi roventi, 1963-67) e Die Suchende (La cercatrice, 1966) incluso il volume postumo Teile dich Nacht (Dividiti notte, 1971), ha come minimo comune denominatore il superamento della sicura preponderanza della prospettiva visuale di matrice culturale ebraica e la tendenza al sincretismo di tradizioni mistico-spirituali diverse, in primis cristiana. Accolta, pur senza rigidi schematismi, questa tripartizione come valida e assunta, dunque, come premessa critica fondamentale non già la generica rilevanza bensì il carattere essenziale e progressivamente fondante dei referenti storico-culturali e testuali indicati, il presente contributo si propone di dare un esempio delle possibilità interpretative che ofre una metodologia ermeneutica coerente con tali presupposti. A questo scopo, si selezioneranno ed analizzeranno qui di seguito due testi poetici estrapolati dalle opere composte e pubblicate da Nelly Sachs nei primi anni postbellici, più direttamente rilevanti per il nostro discorso in questa sede, nella convinzione che dinanzi all’ellittica enigmaticità del verso sachsiano si dimostri davvero proicua solo un’indagine che tenga debitamente conto, secondo le occorrenze, delle tre macroaree di interesse indicate. La prima è costituita dal testo biblico e dalla relativa tradizione esegetica rabbinica, in particolare dal corpus talmudico e dai midrashim aggadici, difusi in popolari antologie anche al di fuori della comunità ortodossa, come la raccolta edita dal teologo evangelico ed ebraista August Wünsche e la storia della letteratura ebraica in tre volumi curata da quest’ultimo in collaborazione con l’allora rabbino capo di Dresda, Jakob Winter9. La seconda comprende il ricchissimo patrimonio di detti e leggende iorito intorno ai protagonisti del movimento fondato nel XVIII secolo da Rabbi Israel ben Eliezer, meglio noto come Ba‘al Shem Tov (Maestro del buon nome), raccolto da Martin Buber a beneicio del pubblico germanofono in una serie di compilazioni di grande qualità letteraria e di larghissima circolazione10. La terza, inine, è rappresentata dalla complessa e artico8 Ehrhard Bahr, Nelly Sachs, München, C. H. Beck Verlag, 1980, pp. 87-97; G. Dischner, Die Lyrik von Nelly Sachs und Ihr Bezug zur Bibel, zur Kabbala und zum Chassidismus in «Text + Kritik. Zeitschrift für Literatur», 1979, 23, pp. 32-40. 9 Bibliotheca rabbinica: Eine Sammlung alter Midraschim, a cura di August Wünsche, Leipzig, Otto Schulze, 1880-1885; Die jüdische Literatur seit Abschluss des Kanons. Eine prosaische und poetische Anthologie mit biographischen und literargeschichtlichen Einleitungen, a cura di Jakob Winter e A.Wünsche, Trier, Sigmund Mayer, 1894-1896. 10 Martin Buber, Die Geschichten des Rabbi Nachman, Frankfurt am Main, Rütten & Loening, 1906; M. Buber, Die Legende des Baalschem, Frankfurt am Main, Rütten & Loening, 1908; 254 MATTIA DI TARANTO lata Weltanschauung teosoica11 racchiusa nel celebre Sefer ha-Zohar (Libro dello Splendore) e dal ventaglio di suggestioni semantiche, concettuali e iconograiche di cui tale straordinario e ineguagliabile zibaldone di oltre millecinquecento pagine, ancorché in traduzione e divulgato anch’esso in compilazioni antologiche12, è inevitabilmente veicolo. Solo tale approccio, infatti, sembra essere in grado di suggerire le ragioni profonde per scelte lessicali, associazioni terminologiche e giustapposizioni di immagini che rischierebbero altrimenti di apparire gratuite, ove non addirittura fuori contesto e fuorvianti rispetto all’onnipresente il rouge rappresentato dalla Shoah e al correlato tema della memoria. Tale approccio risulta, infatti, parimenti legittimo ed ermeneuticamente eicace anche in merito alla mitzvah dello zakhor13, il precetto divino che comanda il dovere del ricordo e di cui la voce poetica si fa carico, coerentemente tematizzato da Nelly Sachs in forma dialettica e con le sottintese implicazioni di selettività e coinvolgimento emotivo peculiari di tutte le espressioni della memoria collettiva maggiormente fondanti sul piano identitario. Merita, tuttavia, evidenziare la speciicità distintiva del concetto di zakhor quale si è venuto delineando nella plurimillenaria tradizione ebraica e come viene enucleato in un importante e noto saggio di Yosef Hayim Yerushalmi14; il medesimo concetto che, in perfetta consonanza con la prospettiva dell’ebraismo tradizionale, Nelly Sachs pone idealmente a fondamento della sua intera opera. La memoria ebraica, sia qualora si concretizzi nella rievocazione liturgico-rituale di grandi eventi storici del passato (si prenda come esempio paradigmatico la Yetziat Mitzrayim, l’uscita dall’Egitto, celebrata nella Haggadah del Seder di Pesach) sia nel caso si traduca nel ricordo di tragici eventi più recenti (l’espulsione degli ebrei dalla Spagna nel 1492 o la rivolta cosacca di Chmel’nyc’kij del 1648), non è mai oggettiva cronaca annalistica o semplice commemorazione, bensì si fonda sulla volontà attualizzante e sulla conseguente compenetrazione metastorica fra tempi remoti e futuri. Originando da questo presupposto, la tradizione ebraica adopera il dettato biblico come griglia attraverso cui leggere ed interpretare l’intera storia del popolo di Israele, dal Matan Torah (dono della Torah) e dall’ingresso in Eretz M. Buber, Die chassidischen Bücher, Berlin, Schocken, 1928; M. Buber, Hundert chassidische Geschichten, Berlin, Schocken, 1933; M. Buber, Die Erzählungen der Chassidim, Zürich, Manesse Verlag, 1949. 11 Sull’utilizzo del termine in riferimento alla dottrina zoharica, cfr. Gershom Scholem, Le grandi correnti della mistica ebraica, Torino, Einaudi, 1993, p. 218. 12 G. Scholem, Die Geheimnisse der Schöpfung. Ein Kapitel aus dem kabbalistischen Buche «Sohar», Berlin, Schocken Verlag, 1935 (I segreti della creazione. Un capitolo del libro cabbalistico «Zohar», Milano, Adelphi, 2003). 13 Il termine, tradotto abitualmente come ricordo o memoria, è in realtà la forma della seconda persona singolare dell’imperativo del verbo zakhar (ricordare). Sulle valenze che assume nelle numerose occorrenze nel testo biblico e sul legame che instaura fra uomo e Dio, cfr. Piero Stefani, Le radici bibliche della cultura occidentale, Milano, Bruno Mondadori, 2004, pp. 92-95. 14 Yosef Hayim Yerushalmi, Zakhor. Jewish History and Jewish Memory, Seattle, University of Washington Press, 1982 (Zakhor. Storia ebraica e memoria ebraica, Parma, Pratiche, 1983). MEMORIA DELLA SHOAH E SCRITTURA IN NELLY SACHS 255 Israel attraverso la lunga e soferta galut (esilio) alla inale Ge’ullah (redenzione). È necessario tenere sempre presente questo schema nella lettura delle poesie di Nelly Sachs, perché solo alla luce di esso sarà possibile decodiicare le sistematiche sovrapposizioni cronologiche fra mondo biblico, realtà concentrazionaria e prospettive future. La soggettiva scelta dei testi, i cui referenti ricadono principalmente nella prima delle macroaree di riferimento succitate, risponde proprio all’esigenza di evidenziare nella maniera più chiara i meccanismi sottesi a tale processo mnemonico e rievocativo. Rispettando, per chiarezza espositiva, l’ordine di composizione e pubblicazione delle raccolte poetiche prese in esame, si propone come prima poesia in analisi Einer war der blies den Schofar (Qualcuno suonò lo shofar), composta fra il 1945 e il 1946 e pubblicata l’anno seguente nella raccolta In den Wohnungen des Todes, nel ciclo Dein Leib im Rauch durch die Luft (Il tuo corpo nel fumo attraverso l’aria). Einer war Der blies den Schofar – Warf nach hinten das Haupt, Wie die Rehe tun, wie die Hirsche Bevor sie trinken an der Quelle. Bläst: Tekia Ausfährt der Tod im Seufzer – Schewarim Das Samenkorn fällt – Terua Die Luft erzählt von einem Licht! Die Erde kreist und die Gestirne kreisen Im Schofar, Den Einer bläst – Und um den Schofar brennt der Tempel – Und Einer bläst – Und um den Schofar stürzt der Tempel – Und Einer bläst – Und um den Schofar ruht die Asche – Und Einer bläst –15 N. Sachs, Das Leiden Israels. Eli / In den Wohnungen des Todes / Sternverdunkelung, Frankfurt am Main, Suhrkamp, 1965, pp. 75-76. Trad. it.: «C’era qualcuno / che suonò lo shofar – / Rovesciò all’indietro il capo, / come fanno i caprioli, come i cervi / prima di abbeverarsi alla fonte. / Suona: / tekiah / la morte fuoriesce nel sospiro – / shevarim / il seme cade – / teruah / l’aria narra di una luce! / La terra ruota e gli astri ruotano / nello shofar, / che qualcuno suona – / E intorno allo shofar arde il tempio – / E qualcuno suona – / E intorno allo shofar crolla il tempio – / E qualcuno suona / E intorno allo shofar riposa la cenere – / E qualcuno suona –». 15 256 MATTIA DI TARANTO Si tratta di una delle poesie più note e commentate del corpus lirico sachsiano, immediatamente eicace sul piano comunicativo grazie alla capacità di evocare immagini di grande potenza simbolico-allegorica (gli animali alla fonte, la caduta del seme, la rivoluzione della terra e degli astri) culminanti nella distruzione del Beit HaMikdash, ovvero del Tempio di Gerusalemme. La sequela di immagini e igure è posta poi sistematicamente in relazione con l’afascinante personaggio dell’anonimo ba‘al tokea, lo specialista incaricato di suonare lo shofar per tutta la comunità, e con la gamma di suoni prodotti dal tradizionale corno biblico (rispettivamente, nella traslitterazione adoperata dall’autrice, «Tekia», «Schewarim» e «Terua»). È la stessa poetessa a fornire, in una lettera del 28 settembre 1946 a Gudrun Dähnert16, un conciso quanto signiicativo commento in merito a questa afascinante ed enigmatica poesia: «Die Worte aus dem Schofargedicht sind die Blasweisen Tekia (Wachtruf ), Schewarim (Singruf ), Terua (Geschmetter) wird am Neujahrstag geblasen, Aufsteigen der Bittengel, Erneuerung der Welt, so ist die ungefähre Erklärung»17. Nelly Sachs, dunque, nell’indicare all’amica una prima ed essenziale chiave di lettura del testo, suggerisce immediatamente il riferimento ad una data speciica e di primaria rilevanza del calendario ebraico, mettendola in diretta correlazione con la richiesta di perdono elevata a Dio e con l’attesa palingenesi messianica. Questa preziosa indicazione autoriale, che apparirà più comprensibile sulla scorta della successiva analisi del testo, insieme alla citazione pseudo-zoharica posta in esergo, «Und das Sinken geschieht um des Steigens willen»18, anch’essa evidentemente riferibile ad una realtà di escatologica redenzione, consentono già di inquadrare i termini concettuali e religiosi entro cui si muove la lirica. A proposito della citazione e di ciò che implica in riferimento alle fonti ebraiche di Nelly Sachs, tema di non secondario rilievo per il nostro studio, è interessante riportare sinteticamente i termini dell’acceso dibattito critico sorto intorno ad essa nella misura in cui non sembra trovare corrispondenza in nessuna delle fonti accessibili a Nelly Sachs al momento della composizione. Una sua riformulazione parafrastica è, efettivamente, rintracciabile in un testo edito prima della guerra e cer- Gudrun Dähnert aveva intrapreso, nei primi mesi del 1939, un viaggio in Svezia per procurare a Nelly Sachs e a sua madre, già ammalata, il necessario appoggio politico in vista della fuga oltre che per garantire l’essenziale supporto logistico ed economico: fece visita a Selma Lagerlöf presso la sua proprietà a Mårbacka per chiederne l’aiuto, ottenne udienza presso il principe Eugen Bernadotte guadagnandone il sostegno e, inine, si rivolse a varie comunità ebraiche, ricevendo un sussidio di 200 corone al mese. Cfr. Jennifer Miller Hoyer, he Space of Words: Exile and Diaspora in the Works of Nelly Sachs, New York, Camden House, 2014, p. 23. 17 N. Sachs, Briefe der Nelly Sachs cit., p. 65. Trad. it.: «Le parole della poesia sullo shofar indicano i suoni prodotti dallo strumento: tekiah (richiamo della sentinella), shevarim (richiamo canoro) e teruah (strepito). Viene suonato il primo giorno del nuovo anno, ascensione degli angeli supplici, rinnovamento del mondo, questa la spiegazione approssimativa». 18 Trad. it.: «Lo sprofondamento si veriica al ine di consentire l’ascesa». 16 MEMORIA DELLA SHOAH E SCRITTURA IN NELLY SACHS 257 tamente acquisibile da Nelly Sachs19; tuttavia, le indicazioni fornite in sede critica in merito alla fonte diretta cui avrebbe attinto per la riformulazione20, ovvero il già citato Die Geheimnisse der Schöpfung (1935) di Gershom Scholem, non trovano riscontro. È stato notato che un’espressione perfettamente corrispondente si trova nel racconto, ino a quella data inedito, intitolato Die Tröstung (Il conforto), contenuto nella raccolta Die Erzählungen der Chassidim (I racconti dei Chassidim, 1949) di Martin Buber21; ma, essendo quest’ultima apparsa a stampa solo dopo la pubblicazione di In den Wohnungen des Todes, non ha potuto fungere evidentemente da fonte per la citazione in questione. Si menzioni, comunque, a titolo informativo, che una nota al testo buberiano rivela l’origine dell’espressione, non già zoharica bensì talmudica22, pur essendo il concetto qui espresso variamente formulato in diversi passi dello Zohar. Pur restando in sospeso la soluzione al problema e in mancanza di un preciso ed esaustivo elenco dei testi letti e compulsati da Nelly Sachs in fase di preparazione, sembra più che verosimile dedurre, anche alla luce di questi ultimi dati, la sua rapida acquisizione di una notevole familiarità con la tradizione esegetica e lato sensu ilosoica ebraica oltre che di alcuni concetti basilari della mistica cabbalistica, prima del serrato confronto con il testo dello Zohar databile agli anni che seguirono l’ennesimo trauma, ovvero la morte della madre nel 195023. Il primo rilevante dato testuale è la peculiare sonorità, apparentemente dovuta alla spontaneità della vena lirica, che percorre l’intera poesia. Un’attenta lettura rivela, in realtà, una struttura fonico-ritmica estremamente complessa e sorvegliata, in cui lo strumentario della retorica classica si fonde con le cadenze e gli accenti dei libri più spiccatamente poetici del Tanakh (principalmente i Tehillim, ovvero i Salmi), concorrendo a formare un testo dalla musicalità ammaliante, interamente costruito sulla studiata alternanza e sulla progressione in climax di allitterazioni e anafore: il terzo e quarto verso, ad esempio, iniziano e terminano con parole aventi la stessa consonante iniziale, rispettivamente «Warf» (gettò), «Wie» (come), «Haupt» (testa) e «Hirsche» (cervi); ma ancor più emblematico e d’efetto appare l’impiego anaforico delle due locuzioni «Und um den Schofar» (E intorno allo shofar) e «Und Einer bläst» (E qualcuno suona) che, nella loro martellante e ritmica reiterazione, sono in grado di costruire un messaggio fonosemantico capace di trasmettere già autonomamente Der Sohar. Das heilige Buch der Kabbala, a cura di Ernst Müller, Wien, Heinrich Glanz, 1932, p. 264. 20 Anne Heitschmidt, Saiten, die noch tönen. Getrud Kolmars Dialog mit der Bibel in Widerstehen im Wort. Studien zu den Dichtungen Getrud Kolmars, a cura di Karin Lorenz-Lindemann, Göttingen, Wallstein, 1996, pp. 147-148. 21 M. Buber, Die Erzählungen der Chassidim, Zürich, Manesse Verlag, 1949, p. 289. 22 TB Makkot 7b. 23 Flucht und Verwandlung. Nelly Sachs, Schriftstellerin, a cura di Aris Fioretos, Berlin/ Stockholm, Suhrkamp, 2010, p. 160. 19 258 MATTIA DI TARANTO il senso di angosciante ed ineluttabile compiersi della catastrofe. Lungi dall’essere un mero artiicio, dunque, la ritmicità interna al testo stabilisce una programmatica ed esplicita correlazione fra piano formale e piano contenutistico, essendo l’intera poesia imperniata sul valore simbolico dello shofar, il cui suono è parte fondamentale, come già rilevato in precedenza, della liturgia di Rosh HaShanah, il Capodanno festeggiato al principio del mese di Tishri, signiicativamente indicato nella Torah con altre due espressioni, rispettivamente Zikhron Teruah24 (ricordo della teruah) e Yom Teruah25 (giorno della teruah). Si considerino qui, brevemente, i fondamentali signiicati simbolici connessi allo shofar alla luce del testo biblico, che concernono rispettivamente la struttura materiale dello shofar e il suo utilizzo. Sebbene il Talmud permetta l’impiego di altri animali kasher e vieti esplicitamente solo il corno di vacca e di vitello26 in ricordo del Chet HaEgel, ovvero del peccato di idolatria connesso all’episodio del vitello d’oro27, il materiale da cui lo strumento è ricavato è tipicamente il corno di ariete o montone, richiamo esplicito all’episodio della Akedat Itzchak (legatura di Isacco), in quanto fu notoriamente un ariete, le cui corna si impigliarono provvidenzialmente in un cespuglio28, ad essere oferto in olocausto al posto del secondo patriarca, consentendo così l’adempimento della promessa divina di fare di Abramo una grande nazione29. Inoltre, si rammenti che il Matan Torah, evento posto a fondamento della storia del popolo ebraico e della sua identità come tale, è introdotto dal suono in crescendo dello shofar30. Inine, il grande shofar, secondo le parole del profeta Isaia31, accompagnerà l’ingresso nell’era messianica, termine ultimo cui è teleologicamente indirizzata l’escatologia ebraica, dodicesimo dei tredici principi di fede formulati dal Rambam, ovvero Rabbi Moshè ben Maimon (Maimonide), e uno degli elementi distintivi della confessione ebraica32. Lo shofar, dunque, disegna e racchiude simbolicamente l’intera parabola storica del popolo di Israele, dall’età dei patriarchi alla venuta del mashiach. Stabilita questa basilare equivalenza, raforzata nella poesia dalla posizione incipitale del pronome indeinito e dalla sua incalzante riproposizione nei versi inali, trasposizione della mitzvah che impone l’ascolto del suono dello shofar per l’appunto il giorno di Rosh HaShanah, possiamo procedere all’analisi del testo. Lv 23, 24. Nm 29, 1. 26 TB Rosh HaShanah 26a. 27 Es 32, 1-28. 28 Gn 22, 13. 29 Gn 12, 2. 30 Es 19, 19. 31 Is 27, 13. 32 Il messianismo ebraico, a cura di Ilana Bahbout, Dario Gentili e Tamara Tagliacozzo, Firenze, Giuntina, 2006, pp. 19-22. 24 25 MEMORIA DELLA SHOAH E SCRITTURA IN NELLY SACHS 259 Ai due versi introduttivi che formano il titolo, destinati ad evocare il contesto liturgico-sacrale dell’avvenimento, segue un curioso parallelismo fra il già menzionato ba’al tokea e i cervi che, prima di abbeverarsi ad una fonte d’acqua, rovesciano indietro il capo. A proposito della similitudine, si noti innanzitutto l’accostamento simbolico dell’anonimo suonatore di shofar (e con lui dell’intero popolo di Israele) al cervo piuttosto che all’ariete o al montone, come sarebbe stato lecito attendersi in base a quanto prima rilevato, o ancora ad un generico animale. L’immagine è, in realtà, un’originale rielaborazione di un versetto dei Tehillim33, in cui è già presente il parallelismo fra un cervo presso un corso d’acqua e l’uomo che anela a Dio. Si tratta, dunque, di un preciso e puntuale riferimento al testo biblico. Merita segnalare incidentalmente, in proposito, due curiosità, forse non estranee alla scelta di questo speciico salmo (signiicativamente imperniato sui temi dell’alizione, del ricordo e dell’Hester Panim, ovvero del nascondimento del volto di Dio, concetto centrale della cosiddetta teologia dell’olocausto) come fonte di ispirazione: l’indicazione, nel versetto d’apertura, lamenatseach (al maestro del coro), rimanda direttamente alla musica sacra e pertanto ad un contesto strettamente pertinente a quello evocato dai versi sachsiani; inoltre, in ebraico le parole indicanti l’ariete (ayil) e il cervo (ayyal) sono scritte in modo identico (‫איל‬: aleph, yod, lamed), condividono cioè le consonanti radicali e vengono distinte solo dalla vocalizzazione. L’occorrenza testuale più interessante e pertinente è, tuttavia, un’altra, ovvero la menzione dei Bene Korach (igli di Core) come autori o cantori del salmo in oggetto34 e il commento di Rashi in proposito. Il più celebre e autorevole esegeta del Tanakh spiega il riferimento alla luce di due passi della Torah: il primo in cui Mosè preannuncia lo spalancarsi della terra per inghiottire Core e tutti coloro che lo seguirono nella rivolta e vede subito realizzarsi la sua previsione con la distruzione nel fuoco e la scomparsa nello Sheol dei ribelli insieme a tutti i loro averi35; il secondo relativo alla sopravvivenza della sua discendenza36 e alla loro virtù profetica riguardante l’esilio, la distruzione del Tempio e la stirpe davidica. Prescindendo dalle implicazioni halachiche della disputa, il celebre episodio della ribellione della congrega di Core e della sua spettacolare punizione, immortalato da Sandro Botticelli e Gustave Doré, assume evidentemente un profondo signiicato nel contesto della poesia in analisi, in cui l’intero passato biblico è riletto alla luce della dissoluzione dei conini spaziotemporali generata dal suono dello shofar: la minaccia di divisione interna al popolo Ps 42, 2. Per completezza di informazione, si ricordi che l’attribuzione ai igli di Core, come anche l’espressione lamenatzeach, si trova anche in altri salmi. Per quanto concerne il riferimento ai igli di Core, di primaria rilevanza per il nostro discorso, si segnala l’attribuzione a loro anche dei salmi 44-49, 84-85 e 87-88. 35 Nm 16, 30-33. 36 Nm 26, 11. 33 34 260 MATTIA DI TARANTO di Israele e il concreto rischio di una sua parcellizzazione corrisponde alla realtà diasporica; la morte per fuoco e la dispersione degli insorti nelle profondità della terra si ricollega, in un parallelismo che pure esclude ovviamente ogni intento accusatorio, alla tragica sorte delle vittime del genocidio nazista; la consacrazione degli incensieri di bronzo oferti come ot (segno) e zikkaron (ricordo) per i igli di Israele è messo idealmente in relazione con la morte dei prigionieri dei campi di sterminio e con la sacralità della memoria dovutagli dai sopravvissuti, la cui salvezza è ottenuta nel testo biblico grazie all’intercessione di Mosè e di suo fratello; e, inine, la ioritura miracolosa della verga di Aronne, episodio che segue la rivolta, sancisce simbolicamente la ricomposizione della frattura e la promessa mantenuta di future generazioni. L’analisi dei versi in oggetto può, tuttavia, essere approfondita ulteriormente, tenendo in debito conto la tradizione talmudica e midrashica. In proposito, sia suiciente in questa sede ricordare un passo del trattato Sanhedrin37 (Sinedrio) in cui l’episodio di Core viene lumeggiato, mediante l’usuale tecnica dei riferimenti intertestuali, tramite il richiamo ad un versetto del primo libro di Samuele38, letto nella haftarah di Rosh HaShanah, che parla della discesa negli inferi e della risalita da essi e che rimanda, dunque, proprio a quella dialettica di discesa e ascesa che abbiamo già evidenziato nella citazione posta in esergo e indicato come una delle chiavi di lettura del testo39. Il profeta Samuele era peraltro, come apprendiamo da un midrash40, un discendente della stirpe di Core e rappresenta pertanto, avendo sancito e favorito l’autorità regale (Saul e Davide) secondo il disegno divino, il più plateale capovolgimento del comportamento del suo antenato. Segue poi il riferimento ai tre suoni distintivi dello shofar: tekiah, suono continuativo che si protrae per diversi secondi, associato al verso «Ausfährt der Tod im Seufzer» (La morte fuoriesce nel sospiro); shevarim, composto di tre suoni staccati di media durata, associato al verso «Das Samenkorn fällt» (il seme cade); e, inine, teruah, suono unico che si prolunga per almeno nove secondi e correlato nel testo ai versi «Die Luft erzählt von einem Licht!» (L’aria narra di una luce) e «Die Erde kreist und die Gestirne kreisen» (La terra ruota e gli astri ruotano). È alquanto agevole riconoscere nei versi citati il richiamo a due dei quattro elementi cosmogonici (terra ed aria) e, sulla scorta di questo dato, il legame con i versi precedenti e seguenti, in cui ricorrono termini direttamente aferenti al campo semantico dell’acqua e del fuoco: «Quelle» (fonte), «brennt» (brucia) e «Asche» (cenere). Si tratta di un richiamo autenticamente zoharico, che verrà più tardi esplicitato nella poesia Und klopfte mit dem Hammer seines Herzens (E batteva con il martello del suo cuore), inclusa non casualmente nel ciclo dedicato allo Zohar e pubblicato nella racTB Sanhedrin 109b. 1 Sm 2, 6. 39 Ulrich Klingmann, Religion und Religiosität in der Lyrik von Nelly Sachs, Frankfurt am Main, Peter Lang, 1980, p. 84. 40 Bamidbar Rabbah 18, 15. 37 38 MEMORIA DELLA SHOAH E SCRITTURA IN NELLY SACHS 261 colta Und niemand weiß weiter: «und sah das Feuer- Wasser- Luft und Sandgesicht entblößt41» (e vide il volto di fuoco, acqua, aria e sabbia messo a nudo). I quattro elementi con cui Dio creò il mondo ne mostrano, sulla scorta dell’indagine mistica dell’albero seirotico, il volto più intimo e autentico, celato allo sguardo profano; le medesime emanazioni divine che Scholem, nell’introduzione alla traduzione che Nelly Sachs ebbe come primo e fondamentale riferimento in materia, deinisce come «eine geheime Urwelt der Sprache42» (un segreto mondo originario del linguaggio), sottolineando quel ruolo fondamentale della lingua e dell’alfabeto nell’atto creativo-poietico che diverrà uno dei cardini della poetica sachsiana. Quanto alla curiosa associazione della tekiah con il termine «Seufzer», si rilevi che il verbo corrispondente (seufzen) ha in tedesco una gamma di signiicati che rimandano in senso igurato ai concetti di anelare, sofrire e gemere. Anche questa giustapposizione sembra spiegarsi con un riferimento alla tradizione esegetica rabbinica, segnatamente ad un passo talmudico in cui Rabbi Abbahu, famoso amora della terza generazione, mette in relazione il suono dello shofar proprio con una sorta di gemito o lamento43. Un passo che possiamo supporre abbia suscitato l’interesse di Nelly Sachs nel suo duplice riferimento al dolore e alla nascita o rinascita, implicito in ogni percorso di teshuvah (ritorno a Dio, conseguente al pentimento per i propri peccati). A proposito del tema della nascita, non è forse inutile ricordare che, secondo l’insegnamento della Mishnah44, il giorno di Rosh HaShanah corrisponde al sesto giorno dall’inizio della creazione (25 Elul) e, quindi, al giorno in cui venne creato l’uomo. Inine, la duplice ricorrenza del termine «Tempel» (tempio) si riferisce con ogni evidenza al Primo Tempio o Tempio di Salomone, distrutto dal re di Babilonia Nabucodonosor II nel 587 a. C., e al Secondo Tempio, conosciuto anche come Tempio di Erode in seguito agli ampliamenti ordinati da quest’ultimo nel 19 a. C., raso al suolo, ad eccezione del Kotel (Muro Occidentale), nel 70 d. C. dalle armate romane di Tito. Il verso conclusivo, con l’ennesima ripetizione del verso iniziale, inscrive così il testo nel segno della circolarità temporale ed evoca indirettamente l’avvento del mashiach, uno dei segni di riconoscimento del quale sarà l’ediicazione del Beit HaMikdash HaShlishi (Terzo Tempio), anche chiamato Tempio di Ezechiele, con la restaurazione del servizio levitico e delle connesse pratiche cultuali. Resta, inine, solo da dare una possibile spiegazione alla traduzione, altamente signiicativa ed etimologicamente corretta, del termine teruah (dalla radice ru’a, che rimanda alla catena sinonimica grido, urlo e clamore) con «Geschmetter» (strepito). Anche in questo caso, al di là di un possibile riferimento alla profezia di Ezechiele riguardante la battaglia di Gog e Magog45, ci viene in soccorso la tradiN. Sachs, Und niemand weiß weiter. Gedichte, Hamburg, Ellermann, 1957, p. 63. G. Scholem, Die Geheimnisse der Schöpfung. Ein Kapitel aus dem kabbalistischen Buche «Sohar» cit., p. 31. 43 TB Rosh HaShana 34a. 44 TB Sanhedrin 38b. 45 Ez 38-39. 41 42 262 MATTIA DI TARANTO zione esegetica ebraica: un passo talmudico, in cui è scritto che i suoni di tekiah e teruah sono prodotti al ine di confondere il Satan46, ed un parallelo passo zoharico, in cui Samma’el, arcangelo tradizionalmente associato con Esaù e con i nemici persecutori di Israele, assume presso il tribunale celeste istituito il giorno di Rosh HaShanah il ruolo di accusatore del popolo ebraico, che solo il fragore dello shofar, confondendolo, potrà salvare47. La seconda poesia di cui viene qui proposta un’analisi secondo il metodo indicato di indagine parallela del testo biblico e della tradizione esegetica rabbinica è Jakob (Giacobbe), tratta dalla già citata raccolta Sternverdunkelung (1949) e inclusa nel ciclo Die Muschel saust (La conchiglia emette un fruscio), dove sono raccolte varie liriche esplicitamente dedicate a grandi personaggi del Tanakh (Abramo, Giobbe, Daniele, Davide e Saul). O Israel, Erstling im Morgengrauenkampf wo alle Geburt mit Blut auf Dämmerung geschrieben steht. O das spitze Messer des Hahnenschreis der Menschheit ins Herz gestochen, o die Wunde zwischen Nacht und Tag die unser Wohnort ist! Vorkämpfer, im kreißenden Fleisch der Gestirne in der Nachtwachentrauer daraus ein Vogellied weint. O Israel, du einmal zur Seligkeit endlich Entbundener – des Morgentaus tröpfelnde Gnade auf deinem Haupt – Seliger für uns, die in Vergessenheit Verkauften, ächzend im Treibeis von Tod und Auferstehung und vom schweren Engel über uns zu Gott verrenkt wie du!48 TB Rosh HaShana 16a. Zohar. Il libro dello splendore, a cura di Giulio Busi, Torino, Einaudi, 2016, pp. 406-412. 48 N. Sachs, Das Leiden Israels. Eli / In den Wohnungen des Todes / Sternverdunkelung cit., pp. 122-123. Trad. it.: «O Israele, / primogenito nella lotta alle prime luci dell’alba / in cui ogni nascita con il sangue / è scritta sull’aurora. / O l’ailato coltello del canto del gallo / coniccato 46 47 MEMORIA DELLA SHOAH E SCRITTURA IN NELLY SACHS 263 La lirica si presenta suddivisa in quattro strofe, due delle quali (la prima e la terza) iniziano con la signiicativa apostrofe «O Israel», appello ad Israele come persona incorporationis ovvero al popolo di Israele e al suo progenitore eponimo, Giacobbe, che ricevette il nuovo appellativo in seguito alla lotta notturna con una misteriosa entità. Merita riportare i dati essenziali del brano biblico che funge qui da dichiarato referente49, uno degli episodi più enigmatici e glossati dell’intera Torah, in modo da poter condurre poi più agevolmente un’analisi sinottica dei due testi. Trascorso un lungo periodo nella località di Paddan-Aram in Mesopotamia, presso suo zio (e poi suocero) Labano, per sfuggire alla vendetta del fratello gemello Esaù, Giacobbe si appresta a rientrare carico di beni in Eretz Israel, conducendo al seguito le due mogli (Rachele e Lia) e undici dei dodici igli da cui discenderanno le tribù di Israele. Informato da un messaggero che Esaù gli sta venendo incontro con un contingente di quattrocento uomini, Giacobbe ordina a tutto il suo seguito di attraversare con il bestiame il iume Iabbok, conine nord-orientale e limes simbolico della terra di Israele50, e rimane solo. Durante la notte una igura misteriosa, qualiicata inizialmente come ish (uomo), ingaggia con lui una lotta serrata, dalla quale Giacobbe, pur ofeso da un colpo all’articolazione del femore che gli provoca una slogatura, esce vittorioso. L’avversario, sopraggiunta l’aurora, gli intima di lasciarlo andare, ma Giacobbe lo obbliga a concedergli prima la sua benedizione. Da quel momento assumerà il nome di Israele (colui che ha lottato con Dio) e il luogo sarà chiamato Penuel (volto di Dio). Questo, dunque, il perno tematico intorno a cui ruota l’intera poesia, nella quale si susseguono termini speciici – «Morgengrauenkampf» (lotta alle prime luci dell’alba), «Dämmerung» (aurora), «Wunde» (ferita), «Nachtwachentrauer» (cordoglio della veglia notturna), «Engel» (angelo), «Gott» (Dio) e «verrenkt» (slogato) – che stabiliscono non già una generica corrispondenza, bensì un marcato ed insistito parallelismo testuale con l’episodio narrato nel libro della Genesi e qui schematicamente sintetizzato. In questo gruppo andrebbe incluso, per completezza, anche «Hahnenschrei» (canto del gallo), che pur nella sottesa coloritura evangelica rimanda esplicitamente al sorgere del sole. Accanto ad essi igurano, tuttavia, termini che sembrerebbero solo funzionali alla trasposizione in chiave biblica dell’iconograia concentrazionaria, ovvero «Blut» (sangue), «Messer» (coltello) e «Tod» (morte). In aggiunta, si incontrano parole ed espressioni che nel cuore dell’umanità, / o la ferita fra notte e giorno / che è il luogo dove risiediamo. / Pioniere, / nella carne in travaglio degli astri / nel cordoglio della veglia notturna / da cui si leva come pianto il canto di un uccello. / O Israele, / tu che fosti liberato inine per la beatitudine – / la grazia stillante della rugiada mattutina / sul tuo capo – / Più beato per noi, / venduti nell’oblio, / gementi sul ghiaccio alla deriva / di morte e resurrezione / e dal forte angelo sopra di noi / lussati a Dio / come te». 49 Gn 32, 25-33. 50 Gdc 11, 13. 264 MATTIA DI TARANTO potrebbero apparire acontestuali rispetto allo speciico episodio in questione: «Erstling» (primogenito), «Auferstehung» (resurrezione) e i due versi conclusivi della terza strofa, «des Morgentaus tröpfelnde Gnade / auf deinem Haupt» (la grazia stillante della rugiada mattutina / sul tuo capo). La scelta di questi ultimi termini e locuzioni si spiega, in realtà, alquanto agevolmente tenendo presente non solo il dichiarato referente testuale, ma anche contestualmente due parashot precedenti, segnatamente Vayera (E apparve) e Toledot (Generazioni). In Vayera troviamo l’altrettanto celebre episodio della Akedat Yitzchak, cui abbiamo già fatto cenno a proposito dello shofar, ovvero dell’ordine impartito da Dio ad Abramo di recarsi nella terra di Moriah, su un monte (futuro sito del Tempio di Gerusalemme), per sacriicarvi il suo iglio prediletto e del suo mancato compimento per intervento divino. È interessante notare, a questo riguardo, come nella letteratura rabbinica – ad esempio, nei Pirke de-Rabbi Eliezer (Detti di Rabbi Eliezer), famosa raccolta di midrashim aggadici attribuita all’omonimo discepolo di Yochanan ben Zakkai51 – compaia una versione diversa da quella espressa dal peshat, dal livello cioè letterale del testo: secondo questa lettura, il coltello («Messer») giunse efettivamente a toccare la gola di Isacco, causandone la morte («Tod»), a cui seguì la resurrezione («Auferstehung»). Che il riferimento, qui apparentemente improprio e forzato, alla morte e resurrezione di Isacco sia invece fondato e rilevante nell’esegesi ebraica lo dimostra peraltro la scelta della haftarah alla parashah di Vayera, che narra della morte del iglio della sunamita e della sua resurrezione per intercessione del profeta Eliseo52. La parashah di Toledot ci fornisce, invece, il necessario contesto per comprendere sia il riferimento alla bechorah (primogenitura), motivo del risentimento di Esaù verso il fratello gemello e vera ragione del temporaneo esilio di Giacobbe, sia il curioso riferimento alla «Gnade». Quest’ultimo termine può avere il signiicato di grazia o anche, in un contesto religioso, di benedizione; inoltre, prescindendo dall’ovvio riferimento alla benedizione dell’angelo a Giacobbe, si noti che la parola è qui legata all’espressione «des Morgentaus» (della rugiada mattutina), che si ritrova, quasi identica, nella benedizione impartita da Isacco a Giacobbe, travestito da Esaù53. All’inizio della parashah di Toledot troviamo anche la giustiicazione contestuale del termine «Blut» (sangue), signiicativamente adoperato in correlazione a «Geburt» (nascita) e non, come sarebbe stato prevedibile, al coltello: si tratta, verosimilmente, di un riferimento ad Esaù, che viene per l’appunto qualiicato al momento della nascita con l’aggettivo admoni54 (rossiccio) e il cui destino sarà interamente segnato dal colore rosso e dalle sue valenze simboliche, a partire dall’episodio della vendita della primogenitura per un 51 52 53 54 Pirke de-Rabbi Eliezer, 31. 2 Re 4, 8-37. Gn 27, 28. Gn 25, 25. MEMORIA DELLA SHOAH E SCRITTURA IN NELLY SACHS 265 piatto di lenticchie rosse, che nell’originale ebraico suona haadom haadom55 (il rosso il rosso) e che è all’origine del nome suo (Edom) e della sua discendenza (Edomiti), cui sono riconducibili Amalek e Aman. Svelati alcuni dei nessi semantico-iconologici che legano i versi sachsiani al testo della Torah, resta tuttavia da indagare il secondo punto, ovvero come questo straordinario e simbolicamente inesauribile lascito narrativo abbia fornito la materia per l’originalissima rielaborazione operata da Nelly Sachs sul tema, fatale ed ineludibile, della Shoah. A questo scopo sarà necessario comprendere meglio il senso di quei termini che rimandano più esplicitamente all’episodio in oggetto, l’analisi dei quali può aiutarci a capire le ragioni che hanno spinto la poetessa di Schöneberg a scegliere proprio questo episodio come particolarmente signiicativo ed istruttivo per comprendere la storia di persecuzioni del popolo ebraico. Il termine «Engel» (angelo) è il primo fondamentale indizio in tal senso. Notoriamente, secondo un famoso midrash56 citato da Rashi, l’assalitore di Giacobbe sarebbe da identiicarsi nel Sarò shel Esav (l’angelo guardiano di Esaù). Avviene, pertanto, in questa occasione il primo e decisivo confronto fra Giacobbe ed Esaù, che precede di pochi versetti il momento dell’efettivo incontro e che spiega il motivo del mutato atteggiamento di Esaù e della conseguente riconciliazione fra i due fratelli, suggellata dal simbolico abbraccio. Va, inoltre, tenuto presente che nella tradizione ebraica successiva alla distruzione del Secondo Tempio è centrale l’identiicazione della discendenza di Esaù, nemici per antonomasia di Israele, con l’impero romano prima e poi con la sua erede, l’Europa cristiana. In questo senso, il Talmud è alquanto esplicito, contrapponendo Cesarea a Gerusalemme57, e il midrash ne dà conferma, associandone i poteri conlittuali e mutuamente escludentisi alla lotta fra Giacobbe e l’angelo di Esaù58. Da ultimo, si consideri come l’esegesi ebraica abbia letto i riferimenti alla presenza delle varie divinità dei popoli: non, evidentemente, come attestazione della loro esistenza, bensì come riferimento alla cultura e allo spirito delle nazioni. Così legge, ad esempio, Rabbi Nachman Krochmal un versetto apparentemente problematico59, dove è scritto che Dio farà giustizia di tutti gli dèi d’Egitto, spiegando che le divinità egizie indicano in realtà la sua civiltà e i suoi costumi60. A questo punto, appare chiaro come la lotta si svolga, in realtà, fra Israele e lo spirito delle nazioni destinate a perseguitarlo e come sia essa stessa preigurazione di quelle persecuzioni che dureranno ad alot hashachar (ino al salire dell’alba). Quest’ultima espressione ha comprensibilmente generato nuGn 25, 30. Bereshit Rabbah 77,3 e 78,3. 57 TB Meghillà 6a. 58 Bereshit Rabbah 63,9. 59 Es 12, 12. 60 Nachman Krochmal, Moreh Nevukhe HaZeman (Guida dei perplessi del tempo), a cura di Leopold Zunz, Lemberg, 1851, 7, 35-37. 55 56 266 MATTIA DI TARANTO merose e diverse interpretazioni, fra cui emerge ad ogni modo, come opinione maggioritaria, il più ovvio riferimento all’era messianica, confermato anche dalla notazione, apparentemente pleonastica, del successivo sorgere del sole nonché dalla curiosa costruzione del versetto61, secondo cui l’astro diurno sembrerebbe sorgere per il solo Giacobbe62. La seconda parola chiave è «Wunde» (ferita), termine logicamente correlato al «verrenkt» (slogato) dell’ultima strofa, ma di cui non risulta afatto chiaro il signiicato nel contesto del verso in cui è inserito: «o die Wunde zwischen Nacht und Tag / die unser Wohnort ist» (o la ferita fra notte e giorno / che è il luogo dove risiediamo). Si potrebbe avanzare la legittima ipotesi che Nelly Sachs voglia dire che il tempo che abita oggi Israele sia, per l’appunto, un non-luogo, metaforicamente connotato dalla ferita che lo ha azzoppato ma non vinto, scisso fra la notte delle persecuzioni e l’alba ancora attesa. La chiave d’interpretazione del verso è, ad ogni modo, l’utilizzo della diade «Nacht und Tag» (notte e giorno) in relazione alla ferita. A questo proposito, merita notare che la tradizione ebraica ofre una considerevole pluralità di varianti interpretative sull’identità dell’avversario, sulla realtà materiale o piuttosto onirico-profetica della lotta63, sulle ragioni per cui fu inlitta la ferita, sulla sua guarigione e sul signiicato dello spartiacque temporale rappresentato dall’alba64. Una ricchezza esegetico-leggendaria che si presta peraltro perfettamente alle nuances simboliche e al tono oracolare del linguaggio poetico sachsiano. Coerentemente con la nostra impostazione metodologica, ancorché impossibilitati in questa sede ad approfondire il tema come meriterebbe, se ne propone qui una di particolare rilevanza per il quadro ancora relativamente limitato di riferimenti autoriali e testuali di cui poteva disporre all’epoca Nelly Sachs, ovvero l’interpretazione di Nachman di Breslav, celebre Rebbe chassidico e fonte d’ispirazione attestata in dalla prima raccolta poetica65. Prendendo le mosse da un passo del midrash66, in cui Esaù e Giacobbe vengono paragonati rispettivamente ad una luce sfolgorante e ad un lume ioco, indicando con ciò il predominio politico, sociale ed economico del primo sul secondo destinato a ribaltarsi nell’era messianica, Nachman di Breslav commenta ponendo le due forze in antitesi speculare e preannunciando, già nell’aievolirsi della luce delle nazioni, l’emergere sempre più manifesto dello splendore di Israele. Prosegue, quindi, con un accostaGn 32, 32. Bereshit Rabbah 78, 8. 63 Sulle posizioni in merito di Rambam e Ramban, cfr. Shmuel Goldin, Unlocking the Torah Text: an in-depth journey into the weekly parsha. Bereishit, Jerusalem, Gefen Publishing, 2007, pp. 187-188. 64 Louis Ginzberg, Le leggende degli ebrei. Da Abramo a Giacobbe, Milano, Adelphi, 2004, pp. 186-190. 65 N. Sachs, Das Leiden Israels. Eli / In den Wohnungen des Todes / Sternverdunkelung cit., p. 72. 66 Bereshit Rabbah 6, 3. 61 62 MEMORIA DELLA SHOAH E SCRITTURA IN NELLY SACHS 267 mento intertestuale altamente signiicativo per la nostra analisi, ovvero un passo di Isaia67 incentrato proprio sulla dialettica fra luce e tenebre nel segno della resurrezione di Israele68. Identiicata la notte del testo come la lunga e oscura tenebra dell’esilio, resta da analizzare il termine composito «Nachtwachentrauer» (cordoglio della veglia notturna). Se il senso delle prime due parole («Nacht» e «Wachen») è facilmente decodiicabile dal contesto delineato come attesa vigile e partecipe del tempo messianico, il sostantivo «Trauer», latore del generico valore di alizione ma anche del più speciico signiicato di lutto, non è immediatamente comprensibile e potrebbe sembrare inappropriato in ragione della felice conclusione dell’episodio biblico. Tuttavia, la motivazione profonda del suo utilizzo, la volontà cioè di rifunzionalizzazione e attualizzazione del dettato veterotestamentario che è alla base di tutta l’opera sachsiana, ne svela l’opportunità e il senso più autentico: si tratta, efettivamente, del lutto perenne che l’intero popolo ebraico porta per i milioni di morti innocenti della Shoah. Un segno incancellabile, iscritto nel corpo di Israele. Si rilevi, in proposito, che anche su questo speciico punto è rintracciabile un parallelismo fra la poesia e il testo della Torah, che comanda, a indelebile memoria dell’evento, di astenersi dal mangiare il gid hanasheh69 (nervo sciatico). Prescindendo dall’anomalia di questa speciica mitzvah, che contrasta con la più comune pratica di mangiare un cibo per ricordare uno speciico evento miracoloso (ad esempio, la matzah a Pesach o i dolci fritti nell’olio durante Chanukkah), va segnalato come dato linguisticamente interessante la correlazione del termine nasheh al valore semantico di dimenticanza, come esempliicato dal versetto in cui Giuseppe dà ad uno dei suoi igli il nome di Manasse (anch’egli al centro di un caso di primogenitura controversa), spiegandone la ragione con riferimento al fatto che Dio gli aveva fatto dimenticare (nashani) tutti i suoi afanni70. Una metaforica battaglia, dunque, fra dovere del ricordo e tendenza all’oblio da cui solo l’osservanza delle mitzvot, ovvero la solidità identitaria, permette di uscire vittoriosi. Alla luce delle indagini testuali proposte emergono, in conclusione, due dati fondamentali: il riconoscimento di un processo di originale appropriazione e rielaborazione del dettato biblico in funzione della rilessione sul tema della Shoah, a volte diretto e testualista, ma più spesso mediato dalla tradizione; e, secondo dato, altrettanto importante e conseguente al primo, la concezione del dovere della memoria come funzione attiva, non solo per il poeta, ma anche e soprattutto per il lettore. La cripticità del testo si svela così essere innanzitutto una porta di accesso, inattesa e privilegiata, all’universo inesauribile della Torah Is 60, 1-3. John McGinley, About the King’s Choice to Build His Palace Right On Top of the Dunghill (or, how to conceptualize Jewishly), Bloomington, iUniverse, 2006, p. 388. 69 Gn 32, 33. 70 Gn 41, 51. 67 68 268 MATTIA DI TARANTO e della plurimillenaria cultura ebraica, nella misura in cui richiede ad ogni lettore di assumere un ruolo attivo e far rivivere, nello sforzo interpretativo che il testo letterario esige, tutta la storia di cui quella medesima cultura è testimonianza diacronica. Le poesie di Nelly Sachs sono, dunque, prima di ogni altra cosa, simili a quel passo biblico che, come scrive spesso Rashi, «omer darsheni71» (dice interrogami), che ci sollecita a sollecitarlo. 71 Henri Atlan, Livelli di signiicazione e ateismo della scrittura, in Ebraismo e cultura europea del ’900, a cura di Marco Brunazzi e Anna Maria Fubini, Firenze, Giuntina, 1990, p. 81. Gli intellettuali/scrittori ebrei e il dovere della testimonianza Anna Doli «Un’umanità che dimenticasse Buchenwald, Auschwitz, Mauthausen, io non posso accettarla. Scrivo perché ci se ne ricordi»: così Giorgio Bassani a chi gli chiedeva notizie sull’origine della sua scrittura. Guidata da queste parole Anna Doli ha costruito un tessuto di suggestioni che hanno spinto studiosi italiani e stranieri e persino alcuni protagonisti a rilettere su narratori, poeti, saggisti, storici, ilosoi, editori, artisti, che dalla storia di una diicile appartenenza sono stati indotti a una sorta di fatale, testimoniale dovere morale. Ne è nato un libro di grande novità per taglio e proposte di lettura che, partendo dalla tradizione ebraica antica, da leggende rivissute in chiave politica e libertaria, dopo il Romanticismo e l’Ottocento tedesco porta in primo piano le moderne voci della letteratura/cultura europea e nord americana, della tradizione yiddish e orientale. A ricorrere sono i nomi della grande intellettualità ebraica della Mitteleuropa, di Canetti, Schulz, Döblin, Antelme, Wiesel, Sebald, Oz, Grossman, Nelly Sachs, Irène Némirovsky…, tra gli italiani quelli di Loria, Natalia Ginzburg, Giacomo Debenedetti, Cesare Segre…, soprattutto di Giorgio Bassani e di Primo Levi che, per serbare memoria della tragedia della persecuzione e della Shoah, hanno scelto di collocare la loro intera opera entre la vie et la mort. Inducendo a ricordare come il dovere di testimoniare si leghi all’afetto e al lavoro del lutto, all’efetto duraturo di una ferita immedicabile che ha nutrito la connessione tra la verità dell’accaduto e quello che si potrebbe chiamare il vero della creazione, le vrai du roman. insegna Letteratura italiana moderna e contemporanea all’Università di Firenze ed è socio dell’Accademia Nazionale dei Lincei. Tra i maggiori studiosi di Leopardi, di leopardismo, di narrativa e poesia del Novecento, ha progettato e curato volumi di taglio comparatistico dedicati alle «Forme della soggettività» sulle tematiche del journal intime, della scrittura epistolare, di malinconia e malattia malinconica, di nevrosi e follia, di alterità e doppio nelle letterature moderne, e raccolte sulla saggistica degli scrittori, la rilessione ilosoica nella narrativa, il non inito, il mito proustiano, le biblioteche reali e immaginarie, il rapporto tra letteratura e fotograia.