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SIRIS 9.2008

STUDI E RICERCHE DELLA SCUOLA DI SPECIALIZZAZIONE IN ARCHEOLOGIA DI MATERA 9,2008 SIRIS 9,2008 Studi e ricerche della Scuola di Specializzazione in Beni Archeologici di Matera - ISBN 978-88-7228-566-4- © · Edipuglia s.r.l. - www.edipuglia.it SIRIS Studi e ricerche della Scuola di Specializzazione in Archeologia di Matera Università degli Studi della Basilicata Scuola di Specializzazione in Archeologia di Matera Polo Umanistico di S. Rocco, via S. Rocco 1, 75100 Matera Tel. 0835 335638 Fax 0835 337935 Direttore responsabile Massimo Osanna Comitato scientifico Gregorio Angelini, Paola Baldassarri, Marco Bettelli, Antonio Conte, Aldo Corcella, Emmanuele Curti, Angela Laviano, Ina Macaione, Marco Mucciarelli, Maria Luisa Nava, Massimo Osanna, Francesco Panarelli, Anna Rita Parente, Dimitris Roubis, M. Maddalena Sica, Francesco Sdao, Armando Sichenze, Francesca Sogliani Gioia Bertelli (Bari), Gert Jan Burgers (Amsterdam), Fabio Colivicchi (Kingston), Mario Denti (Rennes), Marco Fabbri (Roma), Sara Levi (Roma), Enzo Lippolis (Roma), Alessandro Naso (Isernia), Claude Pouzadoux (Paris), François Quantin (Pau), Thomas Schäfer (Tübingen), Francisco Salvador Ventura (Granada), Stèphane Verger (Paris) Redazione Vincenzo Capozzoli, Rosanna Colucci, Catia Trombetti Rivista annuale Condizioni di abbonamento (spese postali incluse): Italia € 30,00; Estero € 40,00. L’abbonamento, salvo revoca scritta a fine anno, s’intende automaticamente rinnovato. Versamenti su c.c.p. n. 18790709, intestato a Edipuglia s.r.l. o con carta di credito indicando il numero e data di scadenza presso i nostri recapiti. In copertina: Matera, la piazza San Giovanni Battista durante i lavori di riqualificazione urbana (foto M. Calia). © 2009 - Edipuglia srl, via Dalmazia 22/b - 70127 Bari-S.Spirito tel. 080 5333056-5333057 (fax) - http://www.edipuglia.it - e-mail: edipuglia@email.it Redazione: Valentina Natali Copertina: Paolo Azzella ISBN 978-88-7228-566-4 ISSN 1824-8659 SIRIS 9,2008 Studi e ricerche della Scuola di Specializzazione in Beni Archeologici di Matera - ISBN 978-88-7228-566-4- © · Edipuglia s.r.l. - www.edipuglia.it STUDI SIRIS 9,2008 Studi e ricerche della Scuola di Specializzazione in Beni Archeologici di Matera - ISBN 978-88-7228-566-4- © · Edipuglia s.r.l. - www.edipuglia.it SIRIS 9,2008 Studi e ricerche della Scuola di Specializzazione in Beni Archeologici di Matera - ISBN 978-88-7228-566-4- © · Edipuglia s.r.l. - www.edipuglia.it Siris 9,2008, 5-10 Sotto una cattiva stella. Alessandro Magno e la fondazione di Alessandria nella storiografia araba medievale di Marco Di Branco In una bella pagina del suo Pensiero storico classico Santo Mazzarino affronta lucidamente la grande questione della formazione del mito di Alessandro, giungendo a una conclusione semplice e al tempo stesso illuminante 1: Il legame di Alessandro con la sfera del mito è dunque un ‘carattere originario’ della sua figura e della sua vicenda: nei secoli e nei millenni egli diviene non solo l’archetipo del conquistatore che «vive e regna per sempre» ma anche quello dell’uomo alla ricerca della sapienza, della verità e della vita immortale. A Bisanzio Alessandro assume le fattezze del kalÕς basileÚς, capostipite degli imperatori, nei panegirici dei quali il paragone con il grande conquistatore macedone costituisce un punto di riferimento ineludibile. Inoltre, proprio in quanto termine di confronto per i sovrani, lo stesso Alessandro si trasforma in imperatore bizantino: in una versione del Romanzo – la cosiddetta recensione epsilon – si ritrovano ad esempio le medesime formule e i medesimi gesti del cerimoniale di corte di Costantinopoli 2. Nel mondo orientale la leggenda di Alessandro si diffuse soprattutto per il tramite del Romanzo dello Pseudo-Callistene, che venne tradotto in mediopersiano, siriaco, armeno, etiopico, copto, arabo ed ebraico, e fu alla base delle celebri rielaborazioni neopersiane di Neẓâmî e Firdawsî (fonti, a loro volta, di una versione turca) 3. Ovviamente, l’Oriente cri- S. Mazzarino, Il pensiero storico classico, II, Roma-Bari 19832, pp. 20 e 24. 2 Sull’immagine di Alessandro a Bisanzio ved. soprattutto H.J. Gleixner, Das Alexanderbild der Byzantiner, Diss., München 1961; J. Trumpf, Zur Überlieferung des mittelgriechischen Prosa Alexander und der Full£da toà Megalex£ntrou, «Byzantinische Zeitschrift» LX 1967, pp. 3-40; H.G. Beck, Geschichte der byzantinischen Volksliteratur, München 1971, 133-135, e ultimam. W.J. Aerts, Die Bewertung Alexanders des Grossen in den Beischriften des byzantinischen Alexandergedichts, in M. Bridges, J.Ch. Bürgel (a cura di), The Problematics of Power. Eastern and Western Representations of Alexander the Great, Bern-Berlin-Frankfurt am Main-New York-Paris-Wien 1996, pp. 69-85. 3 Per una panoramica generale sulle versioni orientali del Romanzo, ancora fondamentali E.A.W. Budge, The History of Alexander the Great. Being the Syriac Version of Ps.-Callisthenes, Cambridge 1889, pp. LII-CXI, e Th. Nöldeke, Beitrage zur Geschichte des Alexanderroman, Wien 1890. Cfr. anche S. Fraenkel, Rec. di Nöldeke, «ZDMG» XLV 1891, pp. 309-330, e F. Pfister, Alexander der Grosse in den Offenbarungen der Griechen, Juden, Mohammedaner und Christen, Berlin 1956, pp. 36-50. Sulla versione etiopica ved. soprattutto K.F. Weymann, Die aethiopische und arabische Übersetzung des Pseudocallisthenes. Eine literarkritische Untersuchung, Kirchhain 1901, e A.R. Anderson, The Arabic History of Dulcarnain and the Ethiopian History of Alexander, «Speculum» VI 1931, pp. 434-445. Sulla fortuna del Romanzo nella tradizione ebraica ved. ora G. Tamani, La tradizione ebraica del Romanzo di Alessandro, in A. Valvo (a cura di), La diffusione dell’eredità classica nell’età tardoantica e medievale. Forme e modi di trasmissione (Atti del Seminario internazionale di studio, Trieste, 19-20 settembre 1996), Alessandria 1997, pp. 221-232; cfr. anche L. Wallach, Yosippon and the Alexander Romance, «The Jewish Quarterly», n.s., XXXVII 1947, pp. 407-422. Sulla versione armena ved. ora G. Traina, Problemi testuali dello Pseudo-Callistene armeno, «The Jewish Quarterly», n.s., XXXVII 1947, pp. 233-240. Sulla versione copta ved. soprattutto C.D.G. Müller, s.v. Romances, The Coptic Encyclopaedia, coll. 2059a-2061a, con ampia bibliografia, e G. Lusini, Osservazioni sulla versione copta del Romanzo di Alessandro, «StClOr» XLII 1992, pp. 259-270. Sulla versione turca ved. ultimamente P. Zieme, Alexander according to an Old Turkish Legend, in La Persia e l’Asia centrale da Alessandro al X secolo (Atti del Convegno dei Lincei, Roma 9-12 novembre 1994), Roma 1996, pp. 25-37. Sulle versioni slave ved. da ultimo E.G. Vodolazkin, La storiografia della Slavia ortodossa, in M. Capaldo (a cura di), Lo spazio letterario del Medioevo. 3. Le culture circostanti, III. Le culture slave, Roma 2006, pp. 296-297. Noi, oggi, non possiamo più accettare integralmente la divisione netta, che tuttavia apprendemmo sui banchi della scuola, fra la tradizione “veridica” (pragmatica) sulle imprese di Alessandro Magno e la tradizione “fantastica” (retorica o dramatica) intorno a quelle imprese medesime. Possiamo dire che c’era un più o un meno d’invenzione; anzi, che ce n’era in taluni storici d’Alessandro moltissima, un minimo in altri; ma non ci riuscirà mai di segnare una barriera netta fra la storiografia pragmatica e quella retorica [...]. Anche la leggenda fantastica, come [...] il Romanzo di Alessandro, affonda le sue radici nella stessa personalità storica di Alessandro e nell’interpretazione che di lui avevano dato i contemporanei. 1 SIRIS 9,2008 Studi e ricerche della Scuola di Specializzazione in Beni Archeologici di Matera - ISBN 978-88-7228-566-4- © · Edipuglia s.r.l. - www.edipuglia.it 6 Marco Di Branco stiano tardoantico vedeva nel conquistatore della Persia al tempo stesso un modello e una speranza di liberazione dal giogo dei Sasanidi. Al contrario, l’Iran sasanide demonizza Alessandro, creando una sua ‘leggenda nera’ che ebbe un ruolo fondamentale per la propaganda della nuova dinastia, nella quale si enfatizzavano gli elementi ‘nazionalistici’ e tradizionali, ricollegandosi all’antica alleanza fra aristocrazia persiana e clero zoroastriano. Fu proprio tale clero il principale responsabile della trasmissione dell’immagine negativa del Macedone, rappresentato come malvagio sovvertitore della monarchia achemenide e della religione iranica, e quale implacabile distruttore dei templi del fuoco e dei libri sacri del mazdeismo 4. Come tutte le grandi figure sospese fra il mito e la storia, Alessandro è dunque un eroe ‘flessibile’, su cui si cristallizzano valori positivi o negativi che variano a seconda dei contesti politici, sociali e culturali e dei momenti storici. Se si prescinde dal celeberrimo e discusso riferimento ad Alessandro contenuto nella Sura XVIII (8398) del Corano, il più antico testo arabo che abbia per protagonista la figura del Macedone risulta essere, dalle fonti a nostra disposizione 5, una traduzione di una lettera di Aristotele ad Alessandro. Ibn al-Nadîm, nel suo famoso catalogo di libri arabi (Kitâb al-fihrist, III 2) completato intorno al 377/987-8, scrive infatti che Sâlim, soprannominato Abû ’l-‘Alâ’, segretario del califfo umayyade Hišâm ibn ‘Abd al-Malik (105/724-125/743), «era un maestro di stile letterario e di eloquenza; costui fece una traduzione delle epistole di Aristotele ad Alessandro, oppure esse furono tradotte per lui ed egli corresse la traduzione; la sua raccolta di lettere comprende circa cento fogli». La notizia di Ibn al-Nadîm sulla traduzione di Sâlim Abû ’l-‘Alâ’ è indicativa del precoce interesse del mondo arabo-islamico per la storia di Alessandro: in effetti fra l’epoca umayyade e la prima età abbaside il quadro che emerge dalle fonti mostra un’ampia diffusione dei temi ‘alessandrini’ relativi alla conquista e alla riorganizzazione dell’impero persiano, e al tempo stesso l’assenza pressoché totale degli elementi leggendarî, filosofici, mistici e alchemici legati alla figura del Macedone che conosceranno invece un enorme successo nel mondo islamico a partire dallo scorcio finale del IX secolo d.C. 6. D’altra parte, i numerosi e pervicaci tentativi di rintracciare elementi di una precoce versione araba del Romanzo dello Pseudo-Callistene hanno ottenuto quasi paradossalmente il risultato di evidenziare come di tale versione esistano solo attestazioni assai tardive: sembra proprio che per lungo tempo l’unico ‘romanzo arabo di Alessandro’ sia stato quello costituito dalle sintesi operate dagli storici e letterati islamici sulla base della versione siriaca dello Pseudo-Callistene 7. Nelle grandi opere di storia universale musul- 4 Sulla demonizzazione di Alessandro in ambito sasanide ved. soprattutto A. Abel, La figure d’Alexandre en Iran, in La Persia e il mondo greco-romano (Atti del Convegno, Roma, 11-14 aprile 1965), Roma 1966, pp. 119-225; G. GNOLI, La demonizzazione di Alessandro nell’Iran sasanide (III-VII secolo d.C.) e nella tradizione zoroastriana, in Alessandro Magno. Storia e mito (Catalogo della Mostra, Roma, Palazzo Ruspoli, 21 dicembre 1995-21 maggio 1996), Milano 1995, p. 175. Un’utile antologia di testi pahlavi, tra cui molti riguardanti Alessandro, è quella curata da C.G. Cereti, La letteratura pahlavi. Introduzione ai testi con riferimenti alla storia degli studi e alla tradizione manoscritta, Milano 2001, in partic. pp. 44; 56; 60; 71; 76; 103; 131; 203; 241-242. 5 Grignaschi 1965-66, pp. 15-16, riporta una notizia dei Murûǧ al-dahab, a cura di Barbier de Meynard-Pavet de Courteille, Beyrouth 1966, II, § 558, che dimostra come particolari delle imprese di Alessandro (soprattutto concernenti la conquista della Persia) fossero già noti ai dotti arabi dell’inizio del II secolo dell’égira e che alcuni di costoro conoscessero l’esistenza di una lettera di Aristotele al Macedone relativa all’istituzione dei cosiddetti mulûk al-t.awâ’if. Tuttavia non sembra possibile inferirne, come fa invece Grignaschi (1965-66, p. 16), che «la version arabe du roman épistolaire grec existait déjà au début du IIe siècle de l’hég.»: quanto affermato da Mas‘ûdî prova soltanto che in quest’epoca, tra gli storici arabi che si occupavano di storia persiana, erano diffuse informazioni sulle conquiste di Alessandro, ovviamente desunte da fonti greche, siriache e mediopersiane. Sui manoscritti citati da Grignaschi ved. anche R. Walzer, Greek into Arabic, Essays on Islamic Philosophy, Oxford 1939, pp. 139140, e F. Rosenthal, The Classical Heritage in Islam (1965), tr. ingl. London-New York 1975, pp. 116-118. 6 Ved. ora M. Di Branco, Storie arabe di Greci e di Romani: la Grecia e Roma nella storiografia arabo-islamica medievale (VIII-XV secolo), Pisa 2009, pp. 57-106. 7 Ved. ad es. E. García Gómez, Un nuevo texto árabe ocidental de la leyenda de Alejandro, Madrid 1929; A. Spitaler, Die arabische Fassung des Trostbriefs Alexanders an seine Mutter; ein Beitrag zur Überlieferung des arabischen Alexanderromans, in Studi orientalistici in onore di G. Levi Della Vida, II, Roma 1956, pp. 493-508; J. Bauwens, Deux textes “tunisiens” de la Légende d’Alexandre Dûlqarnayn, «IBLA» XXIX 1966, pp. 1-33; ’A.C. Lîloj, `H ¢rabik“ met£frash toà metagen≈sterou pexoà Muqistor“matoj toà yeudo-Kallisq≈nh gi£ tÒ M≈ga ’Alex£ndrou, «Graeco-Arabica» III 1984, pp. 191-202; T. Fahd, La version arabe du Roman d’Alexandre, «Graeco-Arabica» IV 1991, pp. 25-31; M. Marín, Legends on Alexander the Great in Moslem Spain, «Graeco-Arabica» IV 1991, pp. 71-89; S.Kh. Samir, Les versions arabes chrétiennes du Roman d’Alexandre, in R. Bianca Finazzi, A. Valvo (a cura di), La diffusione dell’eredità classica nell’età tardoantica e medievale. Il “Romanzo di Alessandro” e altri scritti (Atti del Seminario internazionale di studio, Roma-Napoli, 25-27 settembre 1997), Alessandria 1998, pp. 227-247: 236-237; S.Kh. Samir, La version arabe melkite du Roman d’Alexandre du Pseudo-Callisthène, «ByzF» XXV 1999, SIRIS 9,2008 Studi e ricerche della Scuola di Specializzazione in Beni Archeologici di Matera - ISBN 978-88-7228-566-4- © · Edipuglia s.r.l. - www.edipuglia.it Sotto una cattiva stella. Alessandro Magno e la Emiliano fondazione Cruccas di Alessandria nella storiografia araba medievale 7 mana, quali ad esempio la cronaca di Ya‘qûbî (morto prima del 292/905), la prima opera storiografica islamica a noi nota che contenga un profilo completo dedicato ai Greci e ai Romani 8, e il celebre Ta’rîh al-rusul wa ’l-mulûk (Storia dei Profeti e dei re) di˘ T.abarî (morto nel 310/923) 9, la vicenda di Alessandro è sintetizzata riunendo elementi provenienti da fonti diverse: non solo dal Romanzo dello PseudoCallistene, ma anche dalla tradizione sasanide, e dalla leggenda coranica di Du ’l-Qarnayn, che del resto T.abarî, in varî luoghi della sua opera, identifica esplicitamente con un eroe di àmbito sudarabico assai più antico di Alessandro, definito come «il compagno di Abramo» (a sua volta identificato con il leggendario Farîdûn), distinguendo fra un «Du ’l-Qarnayn il vecchio» e un «Du ’l-Qarnayn il giovane» 10. Ma se il ritratto di Alessandro tracciato da T.abarî si configura come essenzialmente ‘politico’, non lasciando quasi spazio agli elementi leggendari cristiani e islamici, la situazione cambia considerevolmente con Mas‘ûdî (morto nel 345/956), l’‘Erodoto degli Arabi’, l’‘imâm’ dell’enciclopedismo, uno dei principali rappresentanti della nuova storiografia nata sotto il segno dell’adab: una storiografia secolarizzata e aperta alle altre culture, che mostra interesse per l’antichità, considerata strumento di progresso intellettuale ed estetico e di propaganda, e che si oppone consapevolmente alla concezione rigorista secondo la quale il Corano e gli h.adîth, conterrebbero tutta la saggezza necessaria alla salvezza. Se nel più tardo Kitâb al-tanbîh wa ’l-išrâf (Libro dell’avviso e della revisione) Mas‘ûdî, sulla scorta di T.abarî, si limita a fornire dati puramente cronologici e storici 11, nei Murûǧ al-dahab wa ma‘âdin al-ǧawhar (I campi d’oro e le miniere di gemme) l’approccio appare ben diverso. La narrazione delle imprese di Alessandro (Murûǧ, II, §§ 664-698 Pellat), che l’autore conosce senza dubbio grazie alla versione siriaca del romanzo dello Pseudo-Callistene, ma anche attraverso tradizioni arabo-islamiche (tra cui quelle riportate dallo stesso T.abarî) e arabo-cristiane (soprattutto le opere di Eutichio e Agapio), contiene dettagli sulla genealogia e identità del Macedone, informazioni sulla sua attività militare e la narrazione di quattro momenti isolati della storia di Alessandro: come nota finemente Ahmad M.H. Shboul, «in giving these details alMas‘ûdî is not only reticent about his direct sources; but also, perhaps largely owing to his awareness of the literary and legendary, as opposed to the purely historical significance of such details, he seems to give his own literary composition, combining the various traditions, often without making a distinction between their different elements» 12. Il primo tema ‘monografico’ affrontato da Mas‘ûdî è quello della stretta relazione fra Alessandro e Aristotele; il secondo episodio è quello dell’incontro fra Alessandro e un ‘filosofo’ inviatogli da un re indiano; il terzo evento importante su cui si sofferma l’autore è la morte del Macedone (Murûǧ, I, §§ 679 Pellat); infine – e veniamo ora al tema che ci interessa più da vicino – in una sezione dei Murûǧ specificamente dedicata ad Alessandria (II, §§ 827-843 Pellat), Mas‘ûdî narra della fondazione della città da parte del Macedone. Secondo l’autore (Murûǧ, II, § 827 Pellat), il primo scrittore islamico a noi noto che ci tramandi un racconto sulla fondazione della grande metropoli ellenistica, Alessandro, dopo aver consolidato la sua autorità nel paese si mette in cerca di una contrada fertile e ben irrigata; giungendo nel luogo in cui sarebbe sorta Alessandria, trova le vestigia di un grande edificio e un gran numero di colonne di marmo. Al centro si innalzava un’altissima colonna che recava un’iscrizione in antichi caratteri h.imyarîti, in cui il mitico re Šaddâd b. ‘Âd b. Šaddâd b. ‘Âd, costruttore della città di «Iram dalle alte colonne» (cfr. Corano, LXXXIX 6), affermava di aver desiderato costruire in quello stesso sito, «riparato dai colpi del tempo, pp. 55-82, e soprattutto gli studî di F.C.W. Doufikar-Aerts, Alexander Magnus Arabicus. Zeven eeuwen Arabische Alexandertraditie: Van Pseudo-Callisthenes tot S.ûrî, Diss., Leiden 2003; F.C.W. Doufikar-Aerts, Alexander the Flexible Friend, «JECS» LV 2003, pp. 195-210; F.C.W. Doufikar-Aerts, “Epistola Alexandri ad Aristotelem” Arabica, in C. Baffioni (a cura di), La diffusione dell’eredità classica nell’età tardoantica e medievale. Filologia, storia e dottrina (Atti del Seminario nazionale di studio, Napoli-Sorrento, 29-31 ottobre 1998), Alessandria 2000, pp. 35-51; F.C.W. Doufikar-Aerts, Sîrat Al-Iskandar: an Arabic Popular Romance of Alexander, «OM» n.s. XXII 2003, pp. 505520, e F.C.W. Doufikar-Aerts, The Last Days of Alexander in an Arabic Popular Romance of Al-Iskandar, in S. Panayotakis, M. Zimmerman, W. Keulen (a cura di), The Ancient Novel and Beyond, Leiden-Boston 2003, pp. 23-35. 8 Ya‘qûbî, Historiae, M.Th. Houtsma (a cura di), I, Leiden 19692, pp. 161-163. 9 T.abarî 1879, pp. 693-811. 10 Ved. ad es. T.abarî 1879, pp. 226, 414-416. 11 Ed. de Goeje, Lugduni Batavorum 1894, pp. 96-98, 112114, 129-131, 196-197. 12 A.M.H. Shboul, Al-Mas‘ûdî & His World, London 1979, p. 116. SIRIS 9,2008 Studi e ricerche della Scuola di Specializzazione in Beni Archeologici di Matera - ISBN 978-88-7228-566-4- © · Edipuglia s.r.l. - www.edipuglia.it 8 Marco Di Branco dalle cure e dai mali» una città simile a Iram, ma di non aver avuto il tempo di farlo. L’iscrizione si concludeva con l’invito a non lasciarsi sedurre dall’ingannevole fortuna e dalle lusinghe del mondo. Alessandro, dopo aver meditato su queste parole, riunisce gli operai e dà inizio ai lavori, facendo affluire materiali dalla Sicilia, dal Nord-Africa, da Rodi, Creta e dai «confini del Mediterraneo» (Murûǧ, II, § 828 Pellat). Per ordine di Alessandro viene disegnato il tracciato delle mura e a una certa distanza l’uno dall’altro si infiggono dei picchetti, ai quali è attaccata una corda con molti campanelli, la cui estremità terminava davanti alla tenda del re, su una colonna di marmo in cima alla quale il Macedone aveva fatto porre una grande campana; gli operai avrebbero dovuto cominciare il lavoro quando la corda si fosse mossa e la campana e i campanelli avessero suonato: in tal modo Alessandro avrebbe potuto scegliere il momento più favorevole per l’inizio dell’opera. Ma, mentre il sovrano è immerso nella lettura degli oroscopi, il sonno cala su di lui, ed egli si addormenta: allora un corvo si posa sulla colonna e aziona la grande campana, che a sua volta mette in azione i campanelli. Gli operai, vedendo la corda vibrare e udendo suonare le campane, gettano le fondazioni della città, rendono grazie e pregano. Alessandro si risveglia, si stupisce, apprendendo la causa di quel frastuono, ed esclama: «Avevo voluto una cosa e Iddio ne ha voluta un’altra; Egli respinge ciò che è contrario alla Sua volontà. Desideravo assicurare la durata di questa città, Iddio ha deciso che essa perirà e sparirà presto, dopo essere appartenuta a diversi re» (Murûǧ, II, § 829 Pellat). A questo punto, comincia una dura lotta contro dei mostri marini che distruggono tutto ciò che viene costruito (Murûǧ, II, § 830 Pellat): per Alessandro si tratta di un chiaro presagio della decadenza che attende la città, e tuttavia non si dà per vinto, e progetta una sorta di sottomarino con il quale studiare le belve nel loro habitat naturale; poi fa riprodurre le loro fattezze ed eseguire delle copie dei mostri in ferro, cuoio e pietra, che vengono poste su dei pilastri lungo la riva; quando i mostri escono dall’acqua per attaccare la città vedono le loro immagini sui pilastri e si danno alla fuga (Murûǧ, II, § 831 Pellat), per non tornare più. Così Alessandro fa incidere sulla porta della città questa iscrizione: «Ecco Alessandria; io volevo costruirla in piena sicurezza e assicurarle felicità e durata; ma Iddio onnipotente, il re del cielo e della terra, il distruttore dei popoli, ha deciso altrimenti. Io ho costruito questa città su solide fondamenta; ho innalzato le sue mura. Dio mi ha dato la scienza e la saggezza in tutte le cose, e ha spianato le mie vie. Nessuno dei miei voleri mondani è stato irrealizzabile, tutto ciò che ho desiderato mi è stato accordato per la grazia di Dio e la bontà che Egli mi ha testimoniato per realizzare la felicità dei Suoi servi che hanno vissuto nel mio tempo. Gloria a Dio, Signore dei mondi, non c’è altri che Lui, il Signore di tutte le cose» (Murûǧ, II, § 832 Pellat); il seguito dell’epigrafe annunciava tutti gli eventi futuri concernenti Alessandria, la sua prosperità, la sua rovina e, in generale, tutto ciò che l’attendeva in avvenire, fino alla fine del mondo. Infine il Macedone fa posizionare «su delle colonne chiamate obelischi» dei potenti talismani, perché proteggessero, per quanto possibile, la sua nuova fondazione (Murûǧ, II, § 834 Pellat). Questo racconto straordinario, che pure contiene molti riferimenti strutturali al Romanzo dello PseudoCallistene (v. in particolare Ps.-Call., I 31-34 ) 13, se ne allontana alquanto, inglobando tradizioni apocrife (come quella dello Pseudo-Epifanio) e motivi derivanti da storie e leggende locali (come l’enfasi sugli aspetti magici e astrologici) che l’autore dei Murûǧ attribuisce esplicitamente agli ah bârîûn («raccogli˘ tori di notizie») egiziani e alessandrini: esso finisce per costituire una sintesi originale delle principali narrazioni e dei principali valori associati ad Alessandro da quell’‘umanesimo islamico’ di cui Mas‘ûdî è uno dei maggiori esponenti. Per prima cosa vi troviamo infatti la connessione fra Alessandro e il mondo sudarabico, che tanta parte avrà nella costruzione dell’immagine islamica del Macedone: nella fondazione dalla città che porta il suo nome, Alessandro segue infatti le orme di un suo ‘doppio’ (simile al «Du ’lQarnayn il vecchio» di cui parla T.abarî), il re Šaddâd b. ‘Âd b. Šaddâd b. ‘Âd, la cui iscrizione in caratteri h.imyarîti contiene in nuce tutte le profezie di decadenza che si addenseranno su Alessandria nel corso del racconto 14. In secondo luogo, va appunto sottoli- 13 Cfr. In proposito le giuste osservazioni di M. Casari, Alessandro alle sedi degli antichi sovrani, dal Romanzo greco alle versioni persiane, in C. Baffioni (a cura di) La diffusione dell’eredità classica nell’età tardoantica e medievale. Filologia, sto- ria e dottrina (Atti del Seminario nazionale di studio, Napoli-Sorrento, 29-31 ottobre 1998), Alessandria 2000, p. 24. 14 Ved. ultimamente Dakhlia 1998, pp. 170-174. SIRIS 9,2008 Studi e ricerche della Scuola di Specializzazione in Beni Archeologici di Matera - ISBN 978-88-7228-566-4- © · Edipuglia s.r.l. - www.edipuglia.it Sotto una cattiva stella. Alessandro Magno e la Emiliano fondazione Cruccas di Alessandria nella storiografia araba medievale neato come nel testo di Mas‘ûdî i presagi mutino di segno rispetto a quelli descritti nel Romanzo – che sono annunci di benessere e prosperità – e assumano una valenza assolutamente negativa, instaurando un rapporto ‘strutturale’ fra il momento della costruzione e il momento della rovina 15: la fondazione della città sotto cattivi auspicî diviene il simbolo della caducità delle imprese umane e Alessandro torna qui a incarnare, come negli al-ahbâr al-t.iwâl (Racconti detta˘ 281-2/894-5), una delle più gliati) di Dînawarî (m. antiche opere storiche arabe conservate, il mistico monoteista che rende gloria all’unico Dio Signore dei mondi e accetta con rassegnazione il suo volere. Come scrive Faustina C.W. Doufikar-Aerts, «with this account al-Mas‘ûdî certainly enriched the Arabic Alexander tradition and he may also have contributed to the process of integration of the Islamic features of Al-Iskandar with the antique conception. This synthesis was to result, in the course of the eleventh century, in the emergence of the integral Arabic version of Alexander the Great: Al-Iskandar Dhû ’l-Qarnayn» 16. Ma in realtà la filosofia sottesa alla narrazione di Mas‘ûdî è ancora più sottile: la figura del re macedone resta infatti sospesa fra la sfera della Ûbrij (e della ǧâhiliyya) e quella della prassi politico-religiosa del buon sovrano musulmano: in fondo, il destino ultimo di Alessandro nel mondo islamico resta quello di un’integrazione mancata 17. Resta da chiedersi se al pessimismo espresso da Mas‘ûdî nei confronti della sorte di Alessandria non possa aver contribuito la situazione di grave instabilità politica dell’Egitto della sua epoca, conteso fra gli Ihšîdidi e i Fatimidi 18; in effetti, l’autore, che dal ˘ visse per la maggior parte del tempo proprio 330/941 in Egitto, risentì certamente degli effetti della crisi in atto, e l’idea della rovina imminente della città principale del paese, espressa profeticamente dal Macedone, può ben essere un portato delle convulse Dakhlia 1998, pp. 173-174. Doufikar-Aerts 1994, p. 337. 17 Ved. A. Miquel, La géographie humaine du monde musulman jusqu’au milieu du 11e siècle, IV, Paris 1977, pp. 18-19, e Dakhlia 1998, pp. 92-93. 18 Vedi soprattutto M. Brett, The Rise of Fatimids. The World of the Mediterranean & the Middle East in the Tenth Century CE, Leiden-Boston-Köln 2001, pp. 269-316. 15 16 9 circostanze precedenti alla conquista fatimide, che Mas‘ûdî, morto nel 345/956, comunque non vide. Al racconto di Mas‘ûdî, volutamente e ‘personalmente’ improntato a una visione pessimistica non solo della storia antica dell’Egitto, ma anche di quella contemporanea, si contrappone una tarda leggenda sulla fondazione del Cairo da parte del generale Ǧawhar 19, che potrebbe ben conservarci una tradizione di epoca fatimide: in effetti – pur mancando ovviamente ogni riferimento diretto alla figura di Alessandro – la struttura narrativa è esattamente la medesima utilizzata da Mas‘ûdî, ma in questo caso l’intervento del corvo fa sì che l’inizio dei lavori venga a trovarsi sotto la tutela positiva del pianeta Marte, il cui soprannome di qâhir al-falak, «il trionfatore del firmamento», si trasmette addirittura alla città stessa, al-Qâhirah. Questo scoperto rovesciamento del segno del racconto di Mas‘ûdî non sembra privo di un certo intento polemico e propagandistico: alla triste decadenza di Alessandria, città senza futuro, simbolo del vecchio Egitto pagano e poi abbaside, fanno da contrappunto i preconizzati trionfi di al-Qâhirah, la capitale del grande califfato sciita, il luogo a partire dal quale un nuovo ordine sociale, politico e religioso cambierà per sempre il volto del mondo islamico 20. Abbreviazioni bibliografiche Grignaschi 1965-66 = M. Grignaschi, Les «Rasã’il ’Arist.a–.ta–lisa ‘ila–-l-Iskandar» de Sa–lim Abu– ‘l-‘Ala–’ et l’activité culturelle à l’époque omayyade, «BEO» XIX (1965-66), pp. 7-83. Dakhlia 1998 = J. Dakhlia, Le divan des rois. Le politique et le religieux dans l’Islam, Paris 1998. Doufikar-Aerts 1994 = F.C.W. Doufikar-Aerts, A Legacy of the Alexander Romance in Arab Writings, in J. Tatum (a cura di), The Search for the Ancient Novel, Baltimore-London 1994, pp. 323-343. Ṭabarî 1879 = Ta’rîh al-rusul wa ’l-mulûk, M.J. de Goeje (a ˘ Batavorum I, 1879. cura di), Lugduni 19 La tradizione è riportata nell’opera di Ibn Taġrîbirdî (m. 874/1470), Al-nuǧûm al-ẓâhira fî mulûk Miṣr wa ’l-Qâhira, ed. Juynboll (1855), II, Lugduni Batavorum, p. 416. Non soddisfacente il commento di Doufikar-Aerts (1998), p. 334. 20 Una riflessione sulle tradizioni arabe riguardanti la fondazione di Alessandria è purtroppo assente nell’interessante volume miscellaneo: A. Hirst, M. Silk Burlington (a cura di), Alexandria, Real and Imagined, VT-London 2004. SIRIS 9,2008 Studi e ricerche della Scuola di Specializzazione in Beni Archeologici di Matera - ISBN 978-88-7228-566-4- © · Edipuglia s.r.l. - www.edipuglia.it SIRIS 9,2008 Studi e ricerche della Scuola di Specializzazione in Beni Archeologici di Matera - ISBN 978-88-7228-566-4- © · Edipuglia s.r.l. - www.edipuglia.it Siris 9,2008, 11-33 Modalità di scambio tra il mondo miceneo e i territori dell’Albania e dell’Epiro * di Elisabetta Onnis Gli studi circa i contatti tra il mondo egeo e i territori a nord di esso, quali l’Epiro e l’Albania, si presentano per lo più come sintesi generali finalizzate a comprendere il grado di influenza della cultura micenea sulle genti indigene, ricorrendo spesso al concetto di core-periphery per capire fino a che punto, per questi territori, sia possibile parlare di periferia del mondo miceneo. Il dibattito archeologico, sviluppatosi a partire dalla fine degli anni ’60, non mostra un’evoluzione lineare delle teorie interpretative tale da poter tracciare una chiara storia degli studi 1, né una fase di forte cambiamento nell’approccio analitico che abbia potuto stimolare un acceso confronto 2. All’interno di queste analisi, l’Albania settentrionale, meno investigata e con materiale per lo più sporadico, raramente è stata presa in considerazione, a differenza dell’Epiro e dell’Albania meridionale, aree maggiormente indagate ed esaminate, il più delle volte considerate insieme, in quanto comparti geografici contigui e collegati da elementi fisiografici 3. L’esclusione dei territori più settentrionali ha dato luogo, quindi, a conclusioni talvolta parziali, in particolare per quanto riguarda le analisi di carattere diacronico relative allo svolgersi delle relazioni con l’Egeo, dal momento che l’Albania settentrionale presenta diversi materiali appartenenti alle fasi più antiche. Nel tracciare una breve storia degli studi sembra opportuno menzionare la prima importante raccolta dei materiali di tipo egeo che interessò i territori dell’antico Epirus. Tale opera fu elaborata da N.G.L. Hammond 4 in seguito alla sua attività di ricerca sul territorio e agli scavi fino ad allora portati avanti, realizzando un lavoro ancora oggi punto di partenza per lo studio delle più antiche relazioni con il mondo egeo. Se tale analisi particolareggiata risulta, pertanto, fondamentale, la teoria migrazionista relativa all’origine dei Micenei, elaborata considerando i rinvenimenti dei tumuli albanesi 5, trovò, al contrario, scarso seguito in campo archeologico e venne presto smentita. M. Korkuti e F. Prendi 6 furono i primi a contestare questa teoria, ritenendo che l’influenza da Nord a Sud ipotizzata da N.G.L. Hammond dovesse * Il presente contributo è una parte della tesi di laurea in Paletnologia dal titolo Contatti micenei con i territori dell’Albania, dell’Epiro e del versante adriatico pugliese: modalità di scambio a confronto, svolta presso l’Università “La Sapienza” di Roma, nell’A.A. 2005-2006. Desidero in questa sede ringraziare il Prof. Alberto Cazzella, mio relatore, per la sua generosa disponibilità al dialogo e per i suoi preziosi suggerimenti. Un sentito ringraziamento al Dott. Marco Bettelli, mio correlatore, per la sua attenta partecipazione allo svolgimento del lavoro e per i suoi utili e puntuali consigli. 1 Aspetto sicuramente legato alla difficile storia politica di queste zone, in particolare dell’Albania. 2 Come, ad esempio, il rinnovamento degli studi avvenuto in Italia a partire dagli inizi degli anni ’80 con l’utilizzo delle analisi archeometriche per le ceramiche di tipo miceneo, che permisero non solo di distinguere le diverse aree di provenienza dei manufatti, ma anche di individuare produzioni locali tra queste ceramiche. Ved. L. Vagnetti, Ricerche recenti sulle relazioni fra l’Egeo e l’Occidente mediterraneo, in M. Rocchi, L. Vagnetti (a cura di), Seminari 1988 (CNR-Istituto per gli Studi Micenei ed Egeo Anatolici), Roma 1989, pp. 30-31; M. Bettelli et alii, Le ceramiche micenee in area medio tirrenica: nuove prospettive («Studi di Protostoria in onore di Renato Peroni»), Firenze 2006, pp. 399-406. Le acquisizioni di tali dati stimolarono ulteriormente il dibattito archeologico già in atto, spingendo a riflettere sull’eventuale presenza di artigiani egei (R. Peroni, L’Italia alle soglie della storia, Bari 2004, pp. 285-286) o sulla capacità degli artigiani locali di imitare i prodotti importati: A. Cazzella et alii, Scambio alla pari, scambio ineguale: la documentazione archeologica e il contributo dell’Etnoarcheologia (Atti della XXXIX Riunione Scientifica, Istituto Italiano di Preistoria e Protostoria, Firenze 2004), Firenze 2006, pp. 145-168. 3 Non a caso queste aree costituivano l’antico Epirus. 4 Hammond 1967a. 5 Secondo l’autore, i fondatori di Micene erano giunti dall’Albania centrale o meridionale, discendenti a loro volta dal popolo dei Kurgan, di lingua indoeuropea e con l’usanza funeraria dei tumuli. Solo in un secondo momento, giunti nella Grecia meridionale, avrebbero preso una diversa linea di sviluppo, dando origine alla civiltà micenea. Questa proposta interpretativa fu ribadita anche nei lavori successivi: ved. Hammond 1967b, pp. 77105; N.G.L. Hammond, Prehistory and Protohistory, in M.B. Sakellariou (a cura di), Epirus: 4000 Years of Greek History and Civilaztion, Atene 1997, pp. 34-45. 6 Korkuti 1970, pp. 43-90; Prendi 1977-1978, pp. 27-58. SIRIS 9,2008 Studi e ricerche della Scuola di Specializzazione in Beni Archeologici di Matera - ISBN 978-88-7228-566-4- © · Edipuglia s.r.l. - www.edipuglia.it 12 Elisabetta Onnis avere in realtà direzione contraria, trattandosi in prevalenza di importazioni micenee nei territori albanesi. Il lavoro di Prendi si distinse, in particolare, per la proposta di periodizzazione della preistoria albanese, posta in connessione con il mondo egeo e con le regioni vicine, avvalendosi delle scoperte più recenti, ma soprattutto del sito pluristratificato di Maliq 7. Tale proposta risulta ancora oggi l’unico tentativo di divisione in fasi, data l’assenza di una dettagliata conoscenza della cultura locale, recentemente arricchita dagli scavi dell’abitato di Sovjan, anch’esso posto in prossimità dell’alta valle del Devoll. Un diverso taglio analitico è stato seguito, invece, da K. Sueref 8, che ha posto particolare attenzione alle dinamiche di scambio, al loro evolversi nel tempo e alle rotte seguite, partendo dallo studio dei materiali egei e di tipo egeo del Tardoelladico (TE) presenti in Epiro e in Albania e valutando il grado di penetrazione della cultura micenea. Proprio quest’ultimo aspetto, ovvero comprendere fino a che punto sia possibile parlare di periferia del mondo miceneo, è stato approfondito da diversi autori, quali K. Kilian, G. Touchais e Th. Tartaron 9, che, in modo diverso, hanno riflettuto sul concetto, spesso applicato in ambito egeo, di core-periphery. Il lavoro di Kilian dal taglio diacronico, quello di Touchais incentrato sul confronto tra tre aree nel TE (Epiro, Albania e Macedonia) e le analisi di Tartaron, focalizzate in particolare sulla bassa valle dell’Acheronte (Epiro), sembrano concordare sulla presenza di un’influenza del mondo miceneo, in particolare nella sfera metallurgica e, in parte, in quella della ceramica, ma non tale da incidere sull’assetto sociale dei territori dell’Albania e dell’Epiro. L’unica zona per la quale viene ipotizzata una forte incidenza, se non una vera e propria presenza egea, è il tratto di costa epi- Prendi 1977-1978, pp. 29-31; F. Prendi, La preistoria dell’Albania, in J. Boardman et alii (a cura di), La preistoria dei Balcani e l’età del Ferro in Medio Oriente nel X-VIII sec. a.C. («The Cambridge Ancient History» III), Milano 1985, pp. 225279. 8 Sueref 1989, pp. 65-78; Sueref 1996. 9 Kilian 1985, pp. 175-178; Tartaron 2004; Touchais 2002, pp. 199-215. 10 Riguardo le relazioni tra l’Egeo e i territori a nord di esso, vi sono anche altri lavori, ugualmente importanti, ma di stampo più specifico, come ad esempio l’approfondimento di L. Bejko (1994, pp. 105-126) sui contesti dell’Albania meridionale con materiale miceneo (bronzi e ceramica) e il lavoro di K. A. War- rota a Nord del golfo di Ambracia, interlocutore diretto negli scambi con i Micenei 10. L’attenzione della maggior parte di tali studi, quindi, è stata rivolta soprattutto ai materiali egei (bronzi e ceramica) presenti in tali territori, in quanto indicatori più evidenti delle relazioni intercorse tra i due ambiti. Tali manufatti, però, sono stati, per lo più, considerati in sé, al di fuori del loro contesto di rinvenimento e della loro associazione, ponendo, spesso, in secondo piano le ragioni della loro presenza e, quindi, le modalità degli scambi avvenuti. Nel presente lavoro, pertanto, si è cercato di analizzare il tipo di contatti intrattenuti dalle genti egee nei territori dell’Epiro e dell’Albania, partendo, ancora una volta, dal materiale presente 11, sia di sicura importazione che di tipo egeo, ovvero manufatti che riproducono prototipi egei, con l’aggiunta, talvolta, di elementi locali o periferici, con l’intento di mettere in evidenza le motivazioni alla base di tali contatti. I materiali connessi ai traffici con l’Egeo presenti nei territori dell’Albania e dell’Epiro: distribuzione e analisi Prima di iniziare ad analizzare la distribuzione del materiale di tradizione egea nei territori dell’Albania e dell’Epiro, sembra opportuno evidenziare alcuni aspetti del metodo applicato e le problematiche riscontrate durante il lavoro, che inevitabilmente ne hanno influenzato la scelta. Innanzitutto si è sottolineato il diverso livello di documentazione dei siti dell’Albania rispetto a quelli dell’Epiro (fig. 1a). In questa ultima zona, infatti, è stato recentemente effettuato un progetto di ricognizioni (Nikopolis Project) 12 finalizzato a delineare l’occupazione della 7 dle, Mycenaean Trade and Influence in Northern Greece, in C. Zerner et alii (a cura di), Wace-Blegen 1939-1989: Pottery as evidence for trade in the Aegean Bronze Age (Proceedings of the International Conferece Held at the American School of Classical Studies at Athens, Dicembre 2-3, 1989), Amsterdam 1993, pp. 117-141, che pone a confronto la situazione epirota con quella macedone nell’ambito dei rapporti con l’Egeo, soffermando, però, maggiormente l’attenzione sulla Macedonia. 11 Sono stati presi in considerazione anche materiali non prettamente egei, ma che rimandano ai traffici con quell’area, quali l’ambra e l’oro. 12 Tartaron 2004. SIRIS 9,2008 Studi e ricerche della Scuola di Specializzazione in Beni Archeologici di Matera - ISBN 978-88-7228-566-4- © · Edipuglia s.r.l. - www.edipuglia.it Modalità di scambio tra il mondo Emiliano miceneo Cruccas e i territori dell’Albania e dell’Epiro Fig. 1. - a. Tipi di contesto archeologico presenti nei territori in esame; b. Distribuzione dei siti citati nel testo. SIRIS 9,2008 Studi e ricerche della Scuola di Specializzazione in Beni Archeologici di Matera - ISBN 978-88-7228-566-4- © · Edipuglia s.r.l. - www.edipuglia.it 13 14 Elisabetta Onnis bassa valle dell’Acheronte durante l’età del Bronzo, ponendo particolare attenzione ai rapporti con il mondo miceneo. Se da un lato un lavoro così approfondito risulta estremamente importante in quanto mette in luce il potenziale presente sul territorio, dall’altro, però, si presenta come una situazione poco confrontabile con il resto dell’Epiro e con l’Albania, dove analisi di tal genere sono assenti. Infatti, a tale contesto si affianca la documentazione dell’Albania costituita essenzialmente da tombe e da materiali sporadici (fig. 1b), prevalentemente bronzi. La scarsa presenza di insediamenti con materiale egeo potrebbe essere il riflesso di una realtà storica, come anche, verosimilmente, di una insufficiente indagine archeologica. Inoltre i contesti funerari dell’Albania sono rappresentati soprattutto da tumuli con più sepolture individuali, spesso danneggiati, documentati in modo poco chiaro e con corredi di provenienza incerta. Una diversa situazione si riscontra in Epiro, dove è presente l’utilizzo di tombe a cista che, anche se in numero inferiore, forniscono dati più certi presentando corredi in associazione. Inoltre, come vedremo, l’assenza lungo la costa di insediamenti con materiale egeo in Albania e, al contrario, di contesti funerari in Epiro pone ulteriori difficoltà nell’interpretare e confrontare i dati. Un altro aspetto da segnalare riguarda la ceramica micenea. L’impossibilità di analizzare nello specifico siti così significativi, quali Ephyra e Dodona, a causa del difficile reperimento dell’intera documentazione, nonché la presenza di informazioni piuttosto generiche riguardo la ceramica degli altri insediamenti epiroti ed albanesi, hanno comportato il ricorso a un’analisi di carattere generale, limitata a considerare i siti in relazione alla presenza o assenza di ceramica. In relazione alla ceramica di tipo minio, tendenzialmente prodotta alla fine del Mesoelladico (ME) e in parte nel TE, si è deciso, invece, di non inserirla nelle analisi quando la provenienza è da contesti con cronologia non definita 13. Per quanto riguarda il ME, non sono state analizzate le singole fasi, ma è stato considerato, a livello generale, il MEII-III in riferimento agli inizi del TE, per poter delineare un quadro più completo delle relazioni con il mondo egeo 14. Inoltre, per rappresentare in modo più esauriente le presenze relative ai traffici egei in queste aree, sono stati inclusi anche i materiali presenti a Corfù, in considerazione della sua vicinanza ai territori in esame. Purtroppo, il carattere sporadico e di incerta provenienza dei materiali non ha permesso il loro inserimento all’interno delle analisi. Quindi, dopo aver raggruppato tutti i manufatti per contesti, a sua volta ordinati per posizione geografica 15, e aver effettuato una loro distribuzione a livello diacronico, a partire dal ME fino alla fine del TE, sono state effettuate alcune analisi considerando, in un primo momento, ciascun territorio separatamente, per poi confrontare unitamente le due aree, con il fine di individuare le modalità dei contatti tra i territori dell’Epiro e dell’Albania e il mondo miceneo e le eventuali linee di traffico seguite. MEII-III. Il territorio dell’Albania è interessato da una presenza cospicua di materiali di tradizione egea a partire dal ME avanzato. La distribuzione dei siti (fig. 2) appare piuttosto omogenea. Essi si dispongono in prossimità delle valli fluviali più importanti, quali la valle del Vjosë, del Devoll, del Mat e del Drin, e della costa, in particolare lungo il versante meridionale. Come si evidenzia anche dal grafico (fig. 5c) la maggior parte di essi è posta lungo la fascia centrale; si tratta di tumuli con più sepolture individuali (tranne il caso della grotta di Katundas), per lo più circoscritti all’interno di tale fase, ad eccezione di tre siti che continuano a presentare materiale di tipo egeo fino alle prime fasi del TE 16 (fig. 5a). 13 Ci si riferisce, in particolare, ai materiali provenienti dalle ricognizioni lungo la bassa valle dell’Acheronte. 14 L’arco cronologico preso in considerazione è, infatti, il TE in tutte le sue fasi. Ma, dal momento che i territori epiroti e albanesi presentano importanti elementi riferibili a contatti più definiti a partire già dal ME, è sembrato opportuno includere nello studio alcuni dei contesti di tale periodo, al fine di poter comprendere meglio lo svolgersi dei rapporti tra i suddetti territori e l’area egea. 15 Siti costieri; subcostieri (tra 0-8km); siti della fascia centrale (lungo la media valle dei fiumi); siti interni (lungo l’alta valle dei fiumi). 16 Midhë: Kurti 1977-1978, p. 312, tav. II 2, 3; Prendi 2002, p. 91, fig. 4, n. 7; Rrethe Bazje: Islami, Ceka 1964, p. 102, tav. XII, n. 2; Prendi 2002, p. 92, fig. 4, nn. 3,8; Pazhok: Bejko 1994, pp. 114, 117, fig. 5, nn. 2, 5, 8, fig. 6, n. 1; N. Bodinaku, Varreza tumulare e Pazhokut (Gërmime të vitit 1973), «Iliria» XII, 1 1982, pp. 58-59, tav. IX, v. 52; 1995, p. 259, fig. 3, n. 10; Hammond Albania SIRIS 9,2008 Studi e ricerche della Scuola di Specializzazione in Beni Archeologici di Matera - ISBN 978-88-7228-566-4- © · Edipuglia s.r.l. - www.edipuglia.it Fig. 2. - Distribuzione dei materiali connessi ai traffici con l’Egeo presenti in Epiro e in Albania nel MEII-III e nel TEI-II. L’interno 17 è caratterizzato, invece, dalla presenza dei due contesti insediativi più importanti dell’Albania, Maliq e Sovjan. In tale fase, inoltre, sono presenti anche due siti subcostieri 18, come vedremo poco documentati nelle fasi successive. All’interno di tali contesti funerari frequente è il ricorrere dei bronzi (fig. 5c), in particolare dei col- telli a dorso dritto, unico materiale attestato nell’Albania settentrionale. Nell’area centrale, invece, gli stessi si trovano associati ai pugnali, sia in sepolture che in abitato, come ad esempio a Maliq; peraltro quest’ultimi sono gli unici elementi bronzei di tipo egeo al momento rinvenuti nell’Albania meridionale. Per quanto riguarda i coltelli, essi sono di tradi- 1967b, pp. 77-82; Islami, Ceka 1964, pp. 95-97, tavv. V, nn. 1, 2, VI, n. 1; Vajzë: Avila 1983, tav. 1, nn. 6, 7, 7a; Bejko 1994, pp. 114, 116-117, fig. 4, n. 2, fig. 5, nn. 1, 7, 9-12; Hammond 1967a, pp. 311, 320, 328, 330, 337-338, 343, 348, fig. 21 E, fig. 23 F, fig. 24 1, 2, fig. 26, n. 8; F. Prendi, Tumat në fushën e fshatit Vajzë, «Buletin per Shkencat Shoqerore» XI, 2 1957, pp. 76-110; Vodhinë: Bejko 1994, pp. 112, 116, fig. 4, nn. 3-8, fig. 5, n. 4; F. Prendi, Mbi rezultatet e gërmimeve në fshatin Vodhinë, te rrethit te Gjinokastes, «Buletin per Shkencat Shoqerore» X, 1 1956, pp. 180-188; Bajkaj: Bejko 1994, pp. 112, 118, fig. 4, nn. 9-13, fig. 6, n. 2; D. Budina, Gërmimet arkeologjike ne varrezen tumulare te Bajkajt, «Buletin Arkeologjk» III 1971, pp. 57-66; Korkuti 1982, p. 248, tav. 13, n.7; Katundas: Bejko 1994, p. 112. 17 Bardhoc: A. Hoti, Varreza tumulare e Bardhocit në rrethin e Kukësit, «Iliria» XII, 1 1982, p. 31, tav. VIII, v. 22, tav. IX, v.1; Maliq: M. Korkuti, K. M. Petruso, Archaeology in Albania, «AJA» XCVII 1993, p. 715; Hammond 1974, p. 143, fig. 4: g, i; Prendi 1977-1978, tav. IV, n. 7, tav. V, n. 3; 2002, pp. 90, 92-93, fig. 4, n. 6; Sueref 1989, nota 45; Sovjan: P. Lèra et alii, Sovjan (Albanie), «BCH» CXIX 1995, p. 785, fig. 7; P. Lèra et alii, Sovjan (Albanie), «BCH» CXXIV 2000, pp. 633, 636-638, figg. 4, 10, 6; Lèra, Touchais 2001, pp. 718, 720, figg. 8, 10, 11; P. Lèra, G. Touchais, Sovjan (Albanie), «BCH» CXXVI 2002, p. 640, fig. 20; Prendi 2002, p. 93, fig. 3, nn. 2, 3, 6, fig. 4, n. 9. 18 Dukat: Bodinaku 2001-2002, pp. 37-38, tav. IV v.30; Prendi 2002, p. 92; Çukë: M. Korkuti, Un depot votif de l’âge du Bronze a Çukë de Sarandë, «Iliria» XX, 1 1990, pp. 75-83. SIRIS 9,2008 Studi e ricerche della Scuola di Specializzazione in Beni Archeologici di Matera - ISBN 978-88-7228-566-4- © · Edipuglia s.r.l. - www.edipuglia.it 16 Elisabetta Onnis zione mesoelladica e la maggior parte di essi è inquadrabile nel tipo V di Branigan 19, con dorso dritto e tre ribattini (fig. 7) 20, di ampia diffusione, sia in ambito epirota che nelle isole Ionie (Leucade, Itaca) come anche in Etoloacarnania, Beozia e Messenia 21. Il tipo Va, con soli due ribattini, invece, al momento sembra essere presente solo in Albania centro-settentrionale. Anche il tipo Vb, con i ribattini disposti ad angolo retto, a cui potrebbero essere attribuiti il coltello di Rrethe Bazje e altri esemplari della valle del Mat 22, al momento risulta attestato solo in quest’area e con un unico riscontro a Sesklo. Anche i pugnali sono di tradizione mesoelladica e sembrano trovare addentellati a Lerna e a Leucade 23. La ceramica di tradizione egea presente in tale fase è quella di tipo minio; anche se fatta a mano, il trattamento della superficie, di colore grigio o grigio/scuro, e le forme (aperte, per lo più kantharoi) rimandano alla ceramica minia del mondo egeo. La distribuzione geografica di tale ceramica risulta interessante in quanto appare del tutto assente nelle sepolture della valle del Mat e del Drin (Albania settentrionale), caratterizzando così, allo stato attuale, solo i siti dell’area centro-meridionale 24 (fig. 2). In particolare è presente all’interno dell’insediamento di Sovjan e di Maliq, nella piana di Korçë, con esemplari che potrebbero essere influenzati dalla Tessaglia o dalla Macedonia centrale 25, ma che si ritrovano anche nel Bronzo Medio in Grecia 26. Come si osserva dal grafico (fig. 5c), l’associazione tra la ceramica di tipo minio e i bronzi, coltelli e pugnali, all’interno dei contesti funerari, ma anche nell’insediamento di Maliq, risulta piuttosto frequente. Se i materiali all’interno dei siti appaiono alquanto omogenei, da tale modello si discosta Vajzë. Situata in prossimità di un affluente del Vjosë, lungo la fascia TEI-II. Agli inizi del TE si evidenzia una diminuzione della presenza di materiali di derivazione egea nel territorio albanese (fig. 2). Al momento sono attestati solo quattro contesti funerari, tre dei quali hanno avuto il loro inizio nella fase precedente (fig. 5a). La distribuzione dei siti interessa la fascia centrale, con Pazhok lungo la media valle del Devoll e Midhë lungo il corso del Mat; nell’area interna, invece, sono presenti i siti di Bardhoc nell’alta valle del Drin e di Rehovë 30, posto in prossimità delle sorgenti dell’Osum. All’interno dei tumuli i corredi sono caratterizzati ancora una volta dalla presenza dei coltelli a dorso dritto, in due casi, Pazhok e Midhë, associati a spade. Si tratta di due spade lunghe molto simili agli esemplari di tipo A, ma con la presenza di diversi ribattini per l’impugnatura, elemento che ha portato alcuni autori a considerarle non vere e proprie importazioni 31. La lunga lama con le incisioni sulla costolatura è stata considerata di produzione cretese, ma l’impugnatura in materiale deperibile, a forma di corna o a croce, sembrerebbe una rielaborazione locale in quanto assente in questo tipo di spade (fig. 6). Si sottolinea, inoltre, che il corredo della tomba 7 Branigan 1974, pp. 27-28. I riferimenti bibliografici da cui sono state tratte le immagini dei materiali delle figg. 6 e 7 sono presenti nella bibliografia relativa a ciascun sito. 21 Sueref 1989, p. 67. 22 Hammond 1974, p. 143, fig. 4:j; Korkuti 1970, p. 51, tav. II, nn. 6, 7. 23 Si tratta degli esemplari di Vodhinë e Vajzë: Bejko 1994, p. 116. 24 Si segnala la probabile presenza di alcune forme ceramiche che rimandano ai kantharoi di tipo minio nel materiale proveniente dalla grotta di Këpute nella valle del Mat: Bodinaku 1995, p. 263. Bejko 1994, p. 111. Prendi 2002, p. 90. 27 Questo esemplare, come anche quelli di Vodhinë, trova affinità con i kantharoi della Grecia occidentale: Bejko 1994, pp. 111-112. 28 N. K. Sandars, The first Aegean Swords and Their Ancestry, «AJA» LXV 1961, pp. 21-22. 29 Bardhoc tumulo II T. 1; Dukat tumulo II T. 30; Vodhinë T. 15 e T. 16. 30 Rehovë: Bejko 1993, pp. 103, 118, fig. 2, n. 6; L. Bejko, Mortuary customs in the Late Bronze Age of Southeastern Albania, «BCH» Suppl. XLII 2002, p. 177, fig. 2. 31 Kilian 1985, pp. 175-177; Bejko 1994, p. 114. 19 20 centrale dell’Albania meridionale, questa necropoli è caratterizzata dalla presenza di una tomba (T. 12) con un corredo ricco e vario. Oltre un kantharos di tipo minio 27 e un coltello, vi sono anche, una pinzetta, una punta di lancia di tipo Sesklo, una di tipo cicladico e una spada di tipo A Sandars 28, tutti elementi appartenenti all’ambito egeo del ME II-III. In tale sepoltura, come in altre 29, si può notare un’assenza di elementi prettamente locali e quindi un’esclusiva presenza di elementi di tradizione allogena. 25 26 SIRIS 9,2008 Studi e ricerche della Scuola di Specializzazione in Beni Archeologici di Matera - ISBN 978-88-7228-566-4- © · Edipuglia s.r.l. - www.edipuglia.it Modalità di scambio tra il mondo Emiliano miceneo Cruccas e i territori dell’Albania e dell’Epiro 17 Fig. 3. - Distribuzione dei materiali connessi ai traffici con l’Egeo presenti in Epiro e in Albania nel TEIII A e nel TEIII B. di Pazhok è costituito, oltre che da una spada, anche da un coltello 32, da una tazza di tipo vapheio di probabile origine dalla Grecia S/W (TEII A) e da due pendenti in oro. L’associazione dei materiali di corredo risulta in parte simile a quella di Vajzë (MEIII), visto il ricorrere della spada e del coltello con una L’unico autore a far menzione di tale coltello è N. Bodinaku (1995, p. 259). 33 I. Kilian-Dirlmeier, Die nadeln der eisenzeit in Albanien, «Iliria» XII, 1 1984, p. 88. 34 Si tratta di una brocca a corpo lenticolare attribuita da L. Bejko (1993, p. 118) alla forma Furumark 87 e datata al TEII B. 32 forma aperta di derivazione egea, ma al tempo stesso si discosta per la presenza di alcuni elementi locali quali un’olla e sette punte di freccia. Nella tomba di Bardhoc, accanto al coltello è presente, invece, uno spillone, assimilabile ai modelli dell’Europa centrale e sud-orientale 33. Un’altra forma ceramica, in questo caso chiusa 34, di probabile provenienza dalla Tessaglia, risulta essere l’unico elemento di corredo della tomba 285 di Rehovë, nella piana di Kolonjë. Anche per questa fase si sottolinea l’assenza di ceramica allogena nei territori settentrionali dell’Albania. TEIII A. A partire dalla fase del pieno affermarsi SIRIS 9,2008 Studi e ricerche della Scuola di Specializzazione in Beni Archeologici di Matera - ISBN 978-88-7228-566-4- © · Edipuglia s.r.l. - www.edipuglia.it 18 Elisabetta Onnis della realtà palaziale i rapporti tra l’Albania e l’area egea sembrano cambiare. Innanzitutto si può osservare (fig. 3) che sono attestati siti posizionati nella fascia centrale, lungo la valle del Devoll e del Drin e lungo la media valle del Mat 35; vi è un solo sito interno, Shtikë 36, nella piana di Kolonjë. Nell’Albania meridionale, al contrario, non è attestato, al momento, alcun tipo di materiale. Si tratta di contesti funerari, tranne un insediamento e un rinvenimento sporadico, che presentano materiali di tipo egeo a partire da tale fase, ad eccezione di Rrethe Bazje da cui proviene un coltello del ME (fig. 5a). I materiali di tradizione egea presenti all’interno dei tumuli sono esclusivamente spade, tranne a Shtikë, dove è presente un coltello di tradizione mesoelladica (figg. 6-7). La ceramica micenea, invece, compare esclusivamente nel sito di Margëllic, sia nell’abitato 37 che in una sepoltura. In questo caso si dovrebbe trattare di una tomba isolata, piuttosto danneggiata, in cui è stato rinvenuto un alabastron, anch’esso di probabile provenienza dal sud della Grecia 38. In tale fase, non sono attestate associazioni tra la ceramica e i bronzi (fig. 5c). Per quanto riguarda le spade, invece, esse hanno una distribuzione che interessa l’Albania centrale e settentrionale, in particolare il versante occidentale. Si tratta di spade ad impugnatura cornuta, tipo C1 e tipo C2, e ad impugnatura a croce, tipo D1 (fig. 6). Tali spade hanno una diffusione a partire dal TEII (C1 e C2) con una continuità nel TEIII A (C1, C2, D1), ma verosimilmente gli esemplari periferici si possono inquadrare nel TEIII A 39. Le spade rinvenute sul territorio albanese mostrano alcune variazioni, quali la presenza di due ribattini sulle 35 Germenëj: Zh. Andrea, Një varrezë e dystë në fshatin Gërmenj (Rrethi i Lushnjës), «Iliria» XI, 1 1981, p. 224, tav. I, nn. 15; Kilian-Dirlmeier 1993, pp. 47, 61, nn. 84, 132; Touchais 2002, p. 212; Shtogj: Kilian-Dirlmeier 1993, p. 49, n. 104; Prendi 1982, fig. 11, n. 6; Touchais 2002, p. 212; Burrel: Z. Andrea, Archaeology in Albania 1973-1983, «ARepLond» XXX 1983-1984, p. 106, fig. 7; Kurti 1977-1978, pp. 312-313, tav. II, n. 4; Touchais 2002, p. 212; Komsi: Kilian-Dirlmeier 1993, p. 45, n. 67; Touchais 2002, p. 212; Bruç: Eder, Jung 2005, p. 488, fig. CIX b; Kilian-Dirlmeier 1993, p. 61, n. 133; Touchais 2002, p. 212; Nënshat: Kilian-Dirlmeier 1993, p. 61, n. 135; Touchais 2002, p. 212; Varibop: Kilian-Dirlmeier 1993, p. 47, n. 83; Touchais 2002, p. 212; Margëllic: Bejko 1993, pp. 103, 118, fig 2 c, d. 36 Shtikë: S. Aliu , Tuma e Shtikës, «Iliria» XXVI 1996, pp. 61, 63, tav. I, v. 4, v. 6, tav. II, n. 22. 37 Alcuni frammenti presentano una decorazione per la quale estensioni a forma di corna delle spade C1, di uno e più ribattini lungo l’impugnatura rispettivamente delle spade C2 e D1, come anche sull’estensioni di queste ultime. Secondo alcuni autori si tratta di produzioni micenee periferiche di centri non ancora individuati 40, mentre per altri 41 si potrebbe trattare di produzioni locali. L’esemplare che si discosta maggiormente dai modelli egei è quello di Shtogj 42, mentre l’unica spada che trova stretti confronti con gli esemplari micenei è quella di Rrethe Bazje (D1). TEIII B. La situazione che si presenta nel TEIII B sembra confermare il cambiamento dei rapporti evidenziato nella fase precedente. Come emerge dalla distribuzione dei materiali (fig. 3), i siti di tale fase con contesti ben definiti sono, al momento, soltanto due: un insediamento, Sovjan, situato nella piana di Korçë e una sepoltura, Këlcyrë, lungo la valle dell’Aoos . Dal contesto insediativo provengono alcuni frammenti di ceramica micenea e uno skyphos, la cui area di origine è incerta. Dalla sepoltura n.1 di Këlcyrë, invece, proviene una spada di tipo D2, considerata anch’essa una variante per i numerosi ribattini presenti sull’impugnatura (fig. 6) 43. Il corredo è composto anche da una punta di lancia, sempre di tradizione egea. Nel TEIII B i contatti con il mondo miceneo risultano, quindi, documentati da pochi contesti sicuri, da cui proviene un’esigua quantità di materiali. L’area interessata sembra essere l’Albania centro-meridionale, mentre la zona settentrionale appare assumere un ruolo secondario. Ma nell’analizzare tale fase, è opportuno segnalare un’abbondante attestazione di bronzi di tipo egeo sporadici: coltelli, punte di lan- L. Bejko (1993, p. 118) ha ipotizzato una loro probabile provenienza dalla Grecia meridionale. 38 Bejko 1993, p. 118. 39 Kilian-Dirlmeier 1993, p. 53, fig. 13; Sandars 1963, p. 126. Le spade definite da Sandars come tipi C1 e C2 sono inserite da Kilian-Dirlmeier rispettivamente nei tipi Ib e Ia delle spade a impugnatura cornuta. 40 K.A. Wardle, Cultural groups of the late Bronze and Early Iron Age in North-West Greece, «Godišnjak» (Sarajevo) XV 1977, p. 191; Sueref 1989, p.68. 41 Sandars 1963, p. 126; Prendi 2002, p. 93. 42 Touchais 2002, p. 212 la definisce genericamente spada tipo C. 43 Këlcyrë: Bejko 1993, pp. 107, 118, fig. 6: c; N. Bodinaku, Dy arme bronzi nga Këlcyra, «Iliria» XVIII, 1 1988, pp. 34-45. SIRIS 9,2008 Studi e ricerche della Scuola di Specializzazione in Beni Archeologici di Matera - ISBN 978-88-7228-566-4- © · Edipuglia s.r.l. - www.edipuglia.it Modalità di scambio tra il mondo Emiliano miceneo Cruccas e i territori dell’Albania e dell’Epiro 19 Fig. 4. - Distribuzione dei materiali connessi ai traffici con l’Egeo presenti in Epiro e in Albania nel TEIII C e nel TEIII B-C. TEIII C. La distribuzione dei materiali del TEIII C interessa la medesima area del TEIII B e si concentra, in particolare, nelle fasi più avanzate (TEIII C finale). I contesti principali sono i tumuli con più sepolture individuali, posizionati nell’area centrale e interna dell’Albania centro-meridionale, lungo l’alta e media valle del Vjosë-Aoos e l’alta valle del Devoll 47 44 Punte di lancia: Germenëj; Vajzë tumulo 2; Bajkaj; Piskovë: Bodinaku 1981, tav. II, n. 9. Al TEIII B-C è attribuito anche il coltello di Pazhok tumulo IV, T. 52. 45 Buchholz 1983, pp. 53, 72-75; Sarandë: Buchholz 1983, p. 75; Xarë: Buchholz 1983, p. 75; Përparim: Korkuti 1982, p. 250, tav. 14, n. 2; Qafë e Marinzës: Prendi 2002, p. 95, fig. 4, n. 14; Kudhesi: Sueref 1989, nota 48; Qeparo: Prendi 2002, p. 95, fig. 4, n. 12; Butrhotum: Buchholz 1983, p. 75. 46 Polis: Buchholz 1983, p. 90, tav. 25; Lleshani: Buchholz 1983, p. 90, tav. 25; Mokër e Poshtme: Prendi 1982, p. 220, fig. 10, n. 4; Shelcan: Buchholz 1983, p. 86; Gjirokastër: Buchholz 1983, pp. 83, 86; Nepravishtë: Buchholz 1983, p. 81, tav. 23; Navarice: Korkuti 1982, p. 250, tav. 14, n. 3; Mokra: Buchholz 1983, pp. 83, 86; Kukës: Buchholz 1983, pp. 83, 86; Krumë: Buchholz 1983, p. 86; Vilë: Buchholz 1983, p. 82, tav. 24. 47 Tren: Bejko 1994, pp. 106, 123; Piskovë T. 88, 103: Bodinaku 1981, p. 246; Bejko 1994, p. 118, fig. 7; Barç tumulo I, T. 18, 120, 149, 162 (fase I), T. 47, 55, 65 (fase II), tumulo II, T. 6, 11 (fase II): Zh. Andrea, Kultura ilire e tumave në pellgun e Korçës, Tirana 1985; Bejko 1994, pp. 119-123, fig. 8, 9; Kilian-Dirlmeier 1993, p. 50, n. 109. cia 44 e soprattutto doppie asce, sia di tipo miceneo (tipo III, IV, III/IV di Buchholz) 45 che di tipo locale (tipo Hermones e Kilindir) 46, tutti inquadrabili tra il TEIII B e il TEIII C (fig. 4, 5c). SIRIS 9,2008 Studi e ricerche della Scuola di Specializzazione in Beni Archeologici di Matera - ISBN 978-88-7228-566-4- © · Edipuglia s.r.l. - www.edipuglia.it Fig. 5 - a, b. Cronologia dei materiali di tradizione egea presenti nei contesti funerari e di abitato dell’Albania e dell’Epiro; c, d. Contesti albanesi ed epiroti organizzati per fasce geografiche e per tipo di materiale. (fig. 4). Proprio in questa area, inoltre, sono situati i due unici insediamenti, Sovjan e Tren. L’Albania settentrionale, invece, risulta quasi del tutto priva di materiali e pertanto, come nella fase precedente, sembra continuare a non essere inclusa nei traffici. A partire dal TEIII C finale si può osservare un evidente aumento del materiale ceramico rispetto ai bronzi (predominanti nelle fasi precedenti) sia lungo la valle dell’Aoos (Piskovë e Këlcyrë), ma soprattutto nella piana di Korçë (tumuli I e II di Barç); anche nel- l’Albania sud-occidentale (Bajkaj) è presente ceramica micenea (fig. 5c). Solamente la kylix della tomba 6 di Barç, di probabile provenienza dalla Macedonia centrale o dalla Tessaglia occidentale, è databile al TEIII A2-TEIII B, ma presumibilmente può essere riconducibile ad un momento successivo 48. Il resto della ceramica, pre- 48 Bejko 1994, p. 123. SIRIS 9,2008 Studi e ricerche della Scuola di Specializzazione in Beni Archeologici di Matera - ISBN 978-88-7228-566-4- © · Edipuglia s.r.l. - www.edipuglia.it Fig. 6. - Spade di tipo egeo presenti in Albania e in Epiro. sente all’interno delle sepolture, si inquadra interamente nel TEIII C finale, e trova confronti soprattutto con la Grecia occidentale, sia N che S 49, con Cefalonia, ma anche con Thermon e con Tebe. Si tratta di forme chiuse, per la maggior parte brocche (4) e anfore (2), ma sono presenti anche una lekythos, un amphoriskos e un’altra forma chiusa non identificata; le forme aperte, invece, sono solamente 49 L’unico esempio potrebbe essere la lekythos di Bajkaj: Bejko 1994, pp. 118-123. due, una kylix e uno skyphos, rinvenute esclusivamente a Barç. I bronzi di tradizione egea (punta di lancia, coltello e pinzetta) sono attestati in quattro diverse tombe 50, il più delle volte associati alla ceramica micenea; nella maggior parte dei casi, quest’ultima compare come unico elemento importato. Inoltre, la ceramica di produzione locale è stata rinvenuta in 50 Barç tumulo I, T. 120, 65; tumulo II, T. 11; Piskovë T. 103. SIRIS 9,2008 Studi e ricerche della Scuola di Specializzazione in Beni Archeologici di Matera - ISBN 978-88-7228-566-4- © · Edipuglia s.r.l. - www.edipuglia.it 22 Elisabetta Onnis quasi tutte le sepolture, come anche alcuni manufatti di derivazione europea. Dalla t. 162 di Barç proviene una spada di tipo miceneo (G) 51 associata ad una punta di lancia con una lama con caratteristiche sia dell’ambito egeo (foliata) che delle aree più settentrionali (a fiamma) 52. Sempre nella piana di Korçë sono presenti due insediamenti da cui provengono frammenti di forme chiuse di ceramica di tipo miceneo (Sovjan)53 e una kylix (Tren), con confronti con il S/W della Grecia 54. In quest’area sono attestati, inoltre, vaghi in ambra e in pasta vitrea oltre che spirali d’oro 55. Si deve ricordare, come per il TEIII B, che in tale fase vi è una distribuzione di diversi manufatti in bronzo (coltelli, punte di lancia e doppie asce), di probabile produzione locale 56, che interessa in modo particolare l’Albania centro-meridionale (fig. 4, 5c) 57. MEII-III. Le più antiche attestazioni di materiali di tradizione egea rinvenute nel territorio dell’Epiro non presentano una vasta distribuzione. Come si può osservare (fig. 2), i siti sono posizionati lungo la fascia centrale 58 e interna 59, solo in un caso, Skaphidaki 60, sulla costa (fig. 5d). In particolare si nota una loro disposizione in prossimità della valle del Louros e una verosimile assenza di contesti nell’area Nord dell’Epiro. In realtà, le ricognizioni del Nikopolis Project hanno segnalato in prossimità della foce dell’Acheronte, area oggetto dell’indagine, diversi siti (fig. 2) con frammenti ceramici attribuibili a ceramica di tipo minio 61, che, in quanto raccolta di superficie, non presentano una datazione precisa e, di conseguenza, non è possibile attribuirli con certezza a tale fase. Per quanto riguarda questa ceramica, in ambito epirota essa è considerata una variante della ceramica locale KIII, anch’essa di colore grigio scuro e con la superficie spesso lucidata, ma con forme che rimandano alla ceramica minia 62. Secondo Th. F. Tartaron la produzione di tale ceramica in quest’area è dovuta a un’influenza proveniente dall’area albanese più che dalle Isole Ionie o dall’Etoloacarnania, vista l’assenza in Albania, come anche in Epiro, di importazioni di vere e proprie esempi di ceramica minia 63. Nella maggior parte dei casi la distribuzione dei materiali di tipo egeo risulta piuttosto omogenea, in prevalenza frammenti di ceramica di tipo minio 64, talvolta associati a bronzi, ad eccezione di Dodona che 51 Un’altra spada di tipo G proviene da Corfù/Itaca: Souyoudzoglou-Haywood 1999, p. 12. 52 Questo esemplare, come quello di Piskovë e di altri rinvenuti in Epiro, presentano un insieme di caratteristiche che non permettono di inserirli con sicurezza in una delle due categorie, ved. Prendi 2002, p. 93; Sueref 1989, p. 69; Tartaron 2004, p. 156. 53 In questo insediamento è stata rinvenuta una tazza su piede di tipo miceneo di probabile produzione locale. Non presenta elementi per una puntuale datazione, né informazioni riguardo l’eventuale utilizzo del tornio: Lèra, Touchais 2001, pp. 720-721. 54 Questa kylix è datata da Bejko (1993, p. 118) tra il TEIII B e il TEIII C iniziale, mentre Prendi (2002, p. 94) la inserisce nel TEIII C finale. 55 Si ricorda che quattro placche a clessidra e diversi ornamenti per capelli, sempre in oro, sono stati rinvenuti nella piana di Kolonjë (Rehovë e Shtikë), nell’alta valle dell’Osum, a sud della piana di Korçë. La cronologia di questi materiali non è definita a causa del difficile reperimento dell’intera documentazione. Un’altra spirale d’oro è stata rinvenuta a Bruç, mentre una lamina circolare proviene da Vajzë, entrambi datate al TEIII C finale (fig. 4). 56 Due stampi di fusioni per doppie asce sono state rinvenute negli insediamenti di Sovjan e Maliq, ved. Prendi 2002, p. 93. 57 Qui di seguito si menzionano i siti con materiali di tipo egeo datati genericamente al TEIII, tra i quali sono stati inseriti anche quelli la cui documentazione è di difficile reperimento. Frammenti di ceramica di tradizione egea sono stati rinvenuti a Belsh: Bejko 1994, p. 118; Plaka: Bejko 1994, p. 106; Gramsh: Bejko 1994, p. 118; Apollonia: Bejko 1994, p. 112. Coltelli di tipo egeo sono stati rinvenuti a Patos t. 71: M. Korkuti, Tuma e Patosit, «Iliria» XI, 1 1981, p. 20, tav. VIII; Kënëte tumulo V, T. 21: A. Hoti, Tumat V e VI të Kënete, «Iliria» XVI, 2 1986, p. 59, tav. VI, il cui coltello potrebbe essere confrontato con il tipo III di Branigan (1974, p. 74), attestato in contesti del ME, ma verosimilmente con una continuità nel TE; Luaras in numero indefinito: S. Aliu, Les rapports entre l’Albanie du Sud-Est et l’Europe centrale pendant la transition de l’âge du Bronze à l’âge du Fer, à la lumière des découvertes de Kolonjë, «BCH» Suppl. XLII 2002, p. 228; e a Prodan T. 7, 11 in due soli esemplari: S. Aliu, Tuma e Prodanit, «Iliria» XIV, 1 1984, p. 33, tavv. I-II. 58 Ghiannotio: I. Vokotopoulou, Αρχαιότητες και Μνεμεία Ηπείρου, «ADelt» XXIII 1968, p. 286, tav. 228 a; Dodona: Avila 1983, p. 79, n. 162 k; Kilian-Dirlmeier 1993, pp. 47, 85, nn. 82, 208-209; Papadopoulos 1976, pp. 294-295, 297, 307, 328, 330; Tartaron 2004, pp. 21-23, 148, fig. 5, n. 3. 59 Kastritsa: S. I. Dakaris, Αρχαιότητες και Μνεμεία Ηπείρου, «ADelt» XIX 1964, pp. 312-313, tav. 351 d; KilianDirlmeier 1993, p. 83, n. 191; Tartaron 2004, pp. 153-154. 60 Skaphidaki: Tartaron 2004, pp. 50-51, 59-60, 83, 113-116, 157. 61 Vouvopotamos: Tartaron 2004, p. 54; Galatas: Tartaron 2004, pp. 64-65; Spilaion: Tartaron 2004, p. 53; Koulia Grove: Tartaron 2004, pp. 49-50; Xirolophos: Tartaron 2004, p. 57; Pountas East: Tartaron 2004, p. 51; Kastriza: Tartaron 2004, pp. 44-48; Kastri: Tartaron 2004, pp. 43-44. 62 Si tratta di tazze dal profilo arrotondato e kantharoi, ved. Dakaris 1967, pp. 30-31. 63 Tartaron 2004, p. 84. 64 Nella grande maggioranza dei casi la quantità della ceramica non è specificata. Epiro SIRIS 9,2008 Studi e ricerche della Scuola di Specializzazione in Beni Archeologici di Matera - ISBN 978-88-7228-566-4- © · Edipuglia s.r.l. - www.edipuglia.it Modalità di scambio tra il mondo Emiliano miceneo Cruccas e i territori dell’Albania e dell’Epiro presenta una particolare quantità e varietà di materiali. In tale insediamento, situato in prossimità dell’alta valle del Louros, sono stati rinvenuti due coltelli, quattro pugnali e due probabili rasoi, oltre a diversi frammenti di ceramica di tipo minio. L’abbondante presenza di materiale bronzeo di derivazione egea potrebbe essere riferita alla favorevole posizione geografica del sito, in prossimità delle sorgenti del Louros e ben collegato alla valle del Thiamis, quindi lungo un’importante via di traffico in direzione N-S. Da altri due insediamenti, Skhaphidaki e Kastritsa, provengono esclusivamente frammenti di ceramica di tipo minio. Gli unici due contesti funerari, Skaphidaki e Ghiannotio, presentano, invece, un corredo costituito da un kantharos associato rispettivamente a uno spillone e a un coltello. In questo caso, come anche a Dodona, si tratta di coltelli a dorso dritto di tradizione mesoelladica (fig. 7), con affinità con gli esemplari albanesi e riscontri anche nelle isole Ionie, in Etoloacarnania, in Beozia e Messenia. TEIIIA. Se per le prime fasi i rapporti tra l’Epiro e il mondo egeo si sono dimostrati poco intensi, se non del tutto assenti 65, la situazione sembra cambiare radicalmente con gli inizi del TEIII A, nonostante una distribuzione dei siti (fig. 3) simile a quella riscontrata nel ME. Si ritrovano, infatti, i medesimi insediamenti situati lungo la media e alta valle del Louros, come Dodona e Galatas, e Shaphidaki sul golfo di Ambracia. Inizia, invece, in tale fase, uno dei più importanti siti rinvenuti, per il momento, in Epiro, Ephyra 66. Si tratta di un insediamento costiero, prospiciente una baia, Glykys Limin, e posto in prossimità della foce dell’Acheronte. Per la sua posizione geografica, sulla costa ma nello stesso tempo collegato con l’interno da una via fluviale, fu presumibilmente scelto Come risulta nel TEI-II (fig. 2). 66 Ephyra: Dakaris, Papadopoulos 1976, pp. 149-152; Sueref 1989, pp. 66-69; Tartaron 2004, pp. 39-43, 145-148. 67 Tartaron 2004, pp. 169-171. 68 Kiperi: Th. I. Papadopoulos, Das Mykenische Kuppelgrab von Kiperi bei Parga (Epirus), «AM» XCVI 1981, pp. 7-24; Tartaron 2004, pp. 67, 145. 69 Uno dei frammenti di ceramica micenea rinvenuti in tale sito è stato considerato di provenienza dalla Grecia meridionale: Tartaron 2004, p. 113. 70 In questa fase a Ephyra sono presenti anche alcuni vaghi in 65 23 dai micenei per stanziarvi un sito con la funzione di centro di distribuzione, ma anche punto di arrivo dei prodotti dell’interno e scalo per i traffici nell’Adriatico 67. È interessante che nella stessa area, poco più a nord, è presente una tomba a tholos, Kiperi 68, l’unico esempio conosciuto in Epiro. Si tratta del solo contesto funerario sicuro del TEIII A ed è caratterizzato da un ricco corredo di ceramica micenea costituito da numerose forme chiuse (alabastra, anfore a staffa, olle) e da diverse forme aperte (un cratere, kylikes e tazze). All’interno della tomba sono stati rinvenuti anche alcuni frammenti di ceramica locale, mentre la provenienza della punta di lancia di tradizione europea continentale è incerta. La tecnica costruttiva della tomba e il materiale ceramico rimandano all’Etolia. La ceramica micenea è presente anche negli insediamenti lungo la costa, a Skaphidaki 69 e in particolare a Ephyra 70, ma anche lungo la valle del Louros, a Galatas e in particolare a Dodona 71. Il materiale bronzeo 72, invece, è stato rinvenuto esclusivamente nell’area interna ed è costituito da spade di tipo C1 provenienti dal contesto funerario di Mesoghephyra, dall’insediamento di Dodona e da Strounion (sporadico) 73. La presenza dei ribattini sulle estensioni, sull’esemplare di Dodona e su quello di Mesoghephyra, porta a considerare tali spade delle varianti del tipo C1, trovando analogie con la spada di Germenëj, in Albania (fig. 6). L’unica spada che ha maggiori similitudini con i modelli micenei è uno dei due esemplari di Mesoghephyra, dove, anche se in stato frammentario, verosimilmente i ribattini sulle estensioni sono assenti. TEIII B. Nel corso del TEIII B, lungo la fascia costiera e subcostiera, continuano a essere attestati, al momento, esclusivamente insediamenti; oltre Ephyra e Skaphidaki, compare anche Kassope 74 (fig. 3). A tale periodo, inoltre, sono riferite le fortificazioni di ambra e, probabilmente, anche in pasta vitrea, ved. Papadopoulos 1984, pp. 45-46. 71 Dal momento che l’intera documentazione relativa alla ceramica dei siti di Dodona ed Ephyra è di difficile reperimento, non è possibile fornire al momento informazioni più dettagliate. 72 Si tratta unicamente di armi. 73 Mesoghephyra: Kilian-Dirlmeier 1993, pp. 46-47, nn. 73, 81; Strounion: Hammond 1967a, p. 321. 74 Kassope: K. Gravani, Die Keramik von Kassope. Ein Vorläufiger Überblick, in W. Hoepfner, E. L. Schwandner (a cura di), Haus und Standt in Klassichen Griechenland («Whohnen in der Klassischen Polis» I), Munich 1986, p. 162; Tartaron 2004, p. 65. SIRIS 9,2008 Studi e ricerche della Scuola di Specializzazione in Beni Archeologici di Matera - ISBN 978-88-7228-566-4- © · Edipuglia s.r.l. - www.edipuglia.it 24 Elisabetta Onnis Fig. 7. - Esempi di coltelli di tipo egeo presenti in Albania e in Epiro e distribuzione di ciascun tipo nel MEII-III e nel TE. SIRIS 9,2008 Studi e ricerche della Scuola di Specializzazione in Beni Archeologici di Matera - ISBN 978-88-7228-566-4- © · Edipuglia s.r.l. - www.edipuglia.it Modalità di scambio tra il mondo Emiliano miceneo Cruccas e i territori dell’Albania e dell’Epiro tipo miceneo presenti alla foce dell’Acheronte, come quelle di Ephyra e, probabilmente, anche quelle di Kastriza, Aya Eleni e Kiperi 75, che testimoniano gli stretti contatti con le genti micenee o una loro eventuale presenza lungo la costa. Nell’area interna e centrale gli unici insediamenti sono quelli di Dodona e Kastritsa, mentre il resto dei siti sono contesti funerari. La ceramica micenea sembra essere il materiale più attestato all’interno degli insediamenti della costa, per la maggior parte forme aperte. A partire da questa fase, inoltre, per i siti di Ephyra e di Dodona 76 è stato ipotizzato l’inizio di una produzione locale di tale ceramica, considerata la presenza di alcuni esemplari fatti a mano 77. Da Skaphidaki, invece, provengono frammenti, probabilmente importati, che sembrano trovare stretti confronti con le Isole Ionie 78. Nella fascia centrale e interna la ceramica micenea è presente in abitato, Dodona e Kastritsa, e in due contesti funerari (fig. 5d). Si tratta della tomba di Kastritsa, da cui proviene un sola forma chiusa 79, e di quella di Mazaraki 80, situata nell’alta valle del Thiamis. Qui, tre sepolture erano accompagnate da un corredo costituito da 1 spada 81, 3 pugnali e 2 punte di lancia 82, da forme chiuse di ceramica micenea 83 e da 2 kyathoi in ceramica di tipo minio 84. Compaiono anche diversi ornamenti, quali vaghi in ambra, faïence, cristallo di rocca e in argilla. 75 Tartaron 2004, p. 155. Kastriza: Tartaron 2004, pp. 44-48; Aya Eleni: Tartaron 2004, pp. 37-38. 76 Qualche frammento è attestato anche a Kastritsa: Sueref 1989, p. 68. 77 Al momento non sono state ancora svolte analisi per determinare il luogo di produzione e la tecnica di lavorazione (con o senza tornio) della ceramica di tipo miceneo presente in tali siti. Sono stati individuati, però, alcuni esemplari, per lo più di forma aperta, fatti a mano e prodotti, quindi, verosimilmente sul luogo, ved. Tartaron 2004, pp. 148, 156, 162. 78 Tartaron 2004, p. 157. 79 Un’anfora a staffa di piccole dimensioni con profilo angolare, attribuita alla forma Furumark 175 e datata al TEIII B-C1 o TEIII C2: Tartaron 2004, pp. 153-154. 80 Mazaraki: Avila 1983, pp. 70-71, nn. 143-144; Tartaron 2004, p. 153, fig. 8.5, n. 138. 81 Si tratta di una spada tipo D1. Anche dall’area funeraria di Liatovouni (A. Douzougli, Θέση Λιατοβούνι, «ADelt» XLIX 1994, pp. 368-369, tav. 22 a, b) proviene una spada di tipo D, mentre nella tomba 59 sono state rinvenute due spade tipo F, datate tra il TEIII B-C. 82 Si tratta di due punte di lancia a lama foliata verosimilmente importate, che presentano affinità con l’esemplare sporadico di Vereniki, datato anch’esso al TEIII B: I. Katsadima, Νόμος Ιωαννίνων, Βερενίκη, «ADelt» LI 1996, p. 401, tav. 108 γ. 83 Anche qui è presente un’anfora a staffa di piccole dimensioni. 25 Il resto delle sepolture, invece, è caratterizzato dalle spade tipo F, associate spesso a punte di lancia 85. Le spade di Paramithia (tipo E II), di Kalpaki-Kalivia, di Kalpaki t. A, di Mesopotamos 86 e di Dodona 87 si caratterizzano come varianti, per la presenza dei margini dell’impugnatura rialzati su un solo lato. Anche per queste spade è stata ipotizzata una produzione locale 88. Sul secondo esemplare di Dodona e sulla spada di Kastritsa questo elemento non compare, mostrando, così, maggiori affinità con i modelli micenei (fig. 6). Tranne il caso di Mazaraki, la ceramica non compare associata con i bronzi in nessuna sepoltura e, inoltre, nonostante sia presente negli abitati, non sembra, dai dati a disposizione, un bene diffuso nei corredi funerari. Si sottolinea inoltre la presenza di vaghi in ambra sia sulla costa, a Ephyra, che nelle sepolture dell’alta valle del Thiamis, quali Mazaraki e Kalpaki. In tale fase, come in quella successiva, sono presenti, inoltre, numerose doppie asce, per lo più di tipo miceneo 89 (tipo III/IV), particolarmente concentrate lungo la valle del Louros. TEIII C. La maggior parte della documentazione relativa al TEIII C è connessa soprattutto a contesti di abitato 90 (figg. 4, 5b), dove è predominante la presenza di ceramica micenea, in particolare le kylikes. 84 Questa ceramica è attestata anche nelle sepolture di Elaphotos. Nella tomba 1 questo tipo di ceramica è associato a vaghi in ambra e ad altri elementi con forte influenza dell’Europa continentale, quali armille, dischi a spirale e vaghi in bronzo, ved. Tartaron 2004, p. 150. 85 Si fa riferimento alle sepolture di Paramithia (Dakaris 1967, p. 34, tav. I, n. 5; Th. I. Papadopoulos, The Late Bronze Age Daggers of the Aegean I. The Greek Mainland («Prähistorische Bronzefunde» VI-11), Stuttgart 1998, p. 23, n. 102) e di Kalpaki t. A, anche se quest’ultima si data a un momento di poco successivo e presenta, inoltre, un coltello a lama fortemente convessa di tradizione europea, ma presente anche in Egeo. 86 Kalpaki: Avila 1983, p. 69, n. 141; Kilian-Dirlmeier 1993, p. 85, n. 207; Papadopoulos 1976, p. 334, nn. 20, 22-23; Tartaron 2004, p. 151; Kalpaki-Kalivia: Kilian-Dirlmeier 1993, p. 85, n. 210; Mesopotamos: Kilian-Dirlmeier 1993, p. 84, n. 197. 87 Questi ultimi due esempi si inquadrano tra il TEIII B e il TEIII C. 88 Sueref 1989, p. 68. 89 Riziani: Buchholz 1983, p. 73, tav. 21 d; Terovo: Buchholz 1983, p. 73, tav. 21 c, e; Arta: Buchholz 1983, p. 72; Kathamaki: I. Vokotopoulou, Θησαυρός χαλκών πελέκεων εκ Καταμάχης Ιωαννίνων, «AAA» V 1972, pp. 112-119; Stephani: Tartaron 2004, p. 63; Pramanda: Hammond 1967a, p. 334. 90 Krya: Tartaron, Zachos 1999, pp. 70-71. SIRIS 9,2008 Studi e ricerche della Scuola di Specializzazione in Beni Archeologici di Matera - ISBN 978-88-7228-566-4- © · Edipuglia s.r.l. - www.edipuglia.it 26 Elisabetta Onnis Gli unici frammenti per cui è stata ipotizzata un’origine sono quelli di Skaphidaki, che trovano confronto con le Isole Ionie, e quelli di Vovoupotamos, con Thermon 91. In tale periodo, inoltre, come è stato notato anche per il TEIII B, è stata ipotizzata una produzione locale di ceramica di tipo miceneo, ad Ephyra e a Dodona 92. Per quanto riguarda i bronzi, gli esemplari che si potrebbero attribuire con sicurezza al TEIII C risultano, al momento, piuttosto scarsi 93. Si tratta, infatti, per la maggior parte di spade tipo F e punte di lancia 94 provenienti da contesti di cronologia incerta, inquadrabili tra il TEIII B e il TEIII C, così come anche le doppie asce, rinvenute sporadicamente (fig. 5d). Come accennato per la fase precedente, la comparsa di alcune rielaborazioni sulle spade 95, sulle punte di lancia e l’abbondante presenza di doppie asce hanno portato a ipotizzare una produzione locale, o quanto meno periferica, di tali manufatti. L’insediamento fortificato di Ephyra, inoltre, viene in parte abbandonato alla fine del TEIII C 96, episodio forse testimoniato dalla presenza di tombe a tumulo a ridosso delle mura. A tale periodo, infatti, si data il tumulo A, dalla cui tomba proviene uno skyphos 97 associato a uno spillone a capocchia emisferica, un vago biconico in argilla, uno in steatite e a ceramica locale 98. Da un’altra sepoltura della necropoli provengono, invece, alcuni vaghi in ambra e in pasta vitrea 99. Come è apparso dalle osservazioni precedenti, gli scambi tra il mondo miceneo e i territori dell’Albania e dell’Epiro hanno avuto un antefatto nelle ultime fasi del Mesoelladico (fig. 2). L’Albania, in particolare, sembra aver avuto contatti diretti con l’area egea nel corso del MEIII. Ci si riferisce alla sepoltura di Vajzë che, come si è visto, presenta un corredo ricco di elementi di tradizione allogena. A distinguere tale contesto da tutti gli altri è la presenza di una spada di tipo A, forse, di produzione cretese, datata al MEIII, momento in cui il tipo compare anche nella Grecia continentale 100. È interessante notare che tali spade, oltre a una diffusione nell’area egea, si trovano, per quanto riguarda il versante occidentale, anche a Leucade, Corfù/Ithaca 101 e a Iglarevo, in Kosovo 102. La distribuzione di queste armi sembra, dunque, seguire una direzione verso nord, presumibilmente da porre in relazione con una loro particolare concentrazione in Transilvania 103 e con i giacimenti di oro presenti in queste zone 104. L’area in prossimità del sito di Vajzë, non lontano dal golfo di Valona, potrebbe essere stata una delle tappe nella rotta verso nord o un punto di arrivo del prezioso metallo proveniente da settentrione. Inoltre, a testimoniare i contatti diretti con il mondo egeo sono, altresì, le punte di lancia cicladiche e quelle di tipo Sesklo, queste ultime rinvenute anche Tartaron 2004, pp. 113-115. Qualche frammento proviene anche da Kastritsa e le informazioni a disposizione riguardano soprattutto le kylikes e un amphoriskos fatti a mano: Sueref 1989, p. 68. La quantità non è definita, ma sembra essere modesta. 93 Due spilloni da Ephyra. 94 Anthochori: Avila 1983, p. 75, n. 154; Gardiki: Avila 1983, p. 72, n. 147. Qui di seguito si menzionano i siti con materiali di tipo egeo datati genericamente al TE: Despotiko Gouves: Tartaron 2004, p. 213; Kato Pedina: Tartaron 2004, fig. 8.1; frr. di ceramica micenea da Koumasaki: Tartaron 2004, pp. 50-51; Nekyomanteion T. 1: Tartaron 2004, p. 24; Dikorpho: Tartaron 1994, pp. 38-39; Koronopoulos: Tartaron 2004, pp. 48-49; Kastri: Tartaron 2004, pp. 43-44; Kopani: Tartaron 2004, p. 214; Aristi: Tartaron 2004, tav. 8.2; Neochoropoulo: S.I. Dakaris, Αρχαιότητες και Μνεμεία Ηπείρου, «ADelt» XXI 1966, p. 287, tav. 290 β, δ; Sueref 1989, p. 68. Punte di lancia nel sito di Kakousioi: Hammond 1967a, p. 340, fig. 23; Lakhanokastro: Hammond 1967a, p. 340, fig. 23 H; Bizani: Papadopoulos 1976, p. 332, n. 137; Preveza: Avila 1983, p. 48, n. 105. 95 Margini rialzati sul solo lato dell’impugnatura. 96 Riguardo agli altri insediamenti fortificati non si hanno informazioni circa la loro durata nel tempo. 97 Un altro frammento, relativo ad una kylix, datato al TEIII C, è stato rinvenuto nella terra smossa della tomba di Mazaraki: Tartaron 2004, p. 153. 98 Si tratta di un’anfora e di un pithos (Dakaris, Papadopoulos 1976, p. 151). 99 La quantità non è specificata (Papadopoulos 1984). 100 Bejko 1994, p. 114. 101 Kilian-Dirlmeier 1993, p. 19, n. 40. I siti di Corfù con materiale di tipo egeo, esaminati in questa sede, sono Ermones e Kefali, da cui provengono frammenti che rimandano alla ceramica di tipo minio: Souyoudzoglou-Haywood 1999, p. 12. 102 K. Kilian, Il confine settentrionale della civiltà micenea nella tarda età del Bronzo, in M. Marazzi et alii (a cura di), Traffici micenei nel Mediterraneo. Problemi storici e documentazione archeologica (Atti del Convegno di Palermo, 11-12 maggio e 36 dicembre 1984), Taranto 1986, fig. 9. 103 Kilian-Dirlmeier 1993, p. 31. 104 Si ipotizza che gli interessi elladici per le miniere d’oro sarebbero stati finalizzati all’approvvigionamento di tale metallo per ridistribuirlo a Creta e in Anatolia, ved. M. Cultraro, I Micenei, Roma 2006, p. 53. Traffici micenei nei territori dell’Albania e dell’Epiro: due situazioni a confronto 91 92 SIRIS 9,2008 Studi e ricerche della Scuola di Specializzazione in Beni Archeologici di Matera - ISBN 978-88-7228-566-4- © · Edipuglia s.r.l. - www.edipuglia.it Modalità di scambio tra il mondo Emiliano miceneo Cruccas e i territori dell’Albania e dell’Epiro 27 tali circuiti, ma in scambi più interni, con l’Albania meridionale a N e con le isole Ionie e l’Etoloacarnania a S, forse in quanto area di collegamento con i giacimenti di rame presenti a nord della piana di Korçë, nonché nella valle del Mat 107. Questi traffici sono indiziati in particolare dai coltelli a dorso dritto (tipo V Branigan), ma anche dai pugnali e dalla ceramica di tipo minio. L’alta valle del Devoll, stante la presenza dei medesimi materiali, sembra essere inserita in tali scambi, ma con influenze anche dall’area della Tessaglia e della Macedonia centrale per quanto riguarda la ceramica di tipo minio. I coltelli a dorso dritto (tipo V) dell’Albania settentrionale, invece, potrebbero Tab. 1. - Associazione delle armi di tipo egeo presenti nelle sepolture albanesi ed epirote. Si seessere giunti attraverso la gnala, in questa fase, la presenza, in entrambi i territori, di diverse spade tipo C1, C2 e D1, rinvenute sporadiche all’interno di contesti funerari. Allo stesso modo, molte spade di tipo F medesima rotta delle spade, provengono da contesti datati al TEIII B-TEIII C. vista una loro presenza anche nelle isole Ionie, come poa Leucade 105, così come lo stesso kantharos di tipo trebbero essere legati a scambi con il sud. Un discorminio, che sembra avere influenze dalla Grecia occiso a parte riguarda il tipo Va (fig. 7), con soli due ridentale. battini, al momento privo di stretti confronti con A rafforzare tale ipotesi è soprattutto l’associal’area egea 108 e che sembra caratterizzare esclusivazione delle armi (tab. 1) che rimanda al coevo comente l’area centro-settentrionale dell’Albania, spinstume in ambito cretese e greco-continentale 106, con gendo a ipotizzare una sua produzione locale. l’associazione di spada+coltello+punta di lancia, in Inoltre, la deposizione di tali coltelli come unica questo caso tutte armi verosimilmente importate. arma all’interno delle sepolture dell’Albania e delQuindi, se da un lato si possono ipotizzare conl’Epiro (tab. 1) può indicare l’assunzione di elementi egei adattati ai costumi locali. Questo rituale, infatti, tatti diretti tra l’area egea e l’Albania centro-occinon sembra ricorrere nei corredi egei. dentale, dall’altro non sembra che l’Epiro rientri in Kilian 1985, p. 175. Kilian-Dirlmeier, in particolare, nota come i corredi della Grecia continentale, nelle fasi del MEIII/TEI-II, siano caratterizzati dalla presenza della spada associata con il coltello e con il pugnale, e dallo scarso utilizzo delle lance, più frequenti, invece, a Creta. In Grecia l’associazione della spada+coltello+punta di lancia (e con altri elementi) è presente a Tebe e Micene, a Creta e Knosso: Kilian-Dirlmeier, 1993, figg. 27, 30. 105 106 107 La Grecia nord-occidentale risulta priva di giacimenti di rame, ved. Harding 1984, fig. 7; Bejko 1994, p. 105. 108 Questo tipo era stato individuato da Branigan nel solo sito di Vajzë (Branigan 1974, p. 167, nn. 660-661) ma, in seguito ai rinvenimenti successivi, si può notare una sua specifica diffusione nel territorio albanese. SIRIS 9,2008 Studi e ricerche della Scuola di Specializzazione in Beni Archeologici di Matera - ISBN 978-88-7228-566-4- © · Edipuglia s.r.l. - www.edipuglia.it 28 Elisabetta Onnis Per quanto riguarda la ceramica, invece, è interessante sottolineare che, in tale fase, non si presenta come un bene legato allo scambio, dal momento che le ceramiche minie e matt-painted 109 non appaiono in nessun contesto, o quanto meno non sono state fino ad ora riconosciute. Sono, invece, presenti, imitazioni locali, fatte a mano, delle ceramiche minie, rinvenute sia in tombe che in abitato. Le attestazione riferibili alle prime fasi del TE (fig. 2) sono piuttosto scarse e sembrano confermare il quadro sopra delineato. La presenza di due spade con la lama di probabile produzione cretese e l’impugnatura in materiale deperibile, ritrovate nella valle del Mat (Midhë) e nella media valle del Devoll, e l’associazione della spada + coltello (Pazhok) attestata in questo periodo nella Grecia continentale, possono essere messe in relazione a contatti specifici con tali aree, sempre in connessione alla rotta verso N delineata precedentemente. La piana di Kolonjë (Rehovë), invece, continua a mantenere i contatti con le aree limitrofe occidentali (Tessaglia) come dimostrano i confronti riscontrati per la brocca (TEII B), la prima attestazione di forma chiusa deposta nel corredo, rituale che caratterizzerà anche le fasi successive. Se fino a tale momento l’Epiro non sembra essere stato interessato da contatti diretti con il mondo miceneo, a partire dal TEIII A la sua costa sud-occidentale sembra assumere un ruolo preminente nei traffici con l’Egeo (fig. 3). A tale periodo, infatti, viene riferita la fondazione di Ephyra da parte dei Micenei 110, presumibilmente provenienti da aree non centrali 111, al fine di creare uno scalo lungo la rotta verso l’Adriatico, ma anche un punto di accentramento di risorse provenienti dall’interno e di distribuzione dei prodotti micenei. L’importanza di tale tratto di costa è sottolineata anche dalla tholos di Kiperi, che, per la tecnica costruttiva e per il ricco e vario corredo funerario, con addentellati in Etolia, deve ritenersi verosimilmente appartenente a personaggi micenei. Come è emerso anche dalle osservazioni precedenti, quindi, se sulla costa epirota sembrano sussistere contatti diretti con i Micenei, testimoniati anche dalla presenza della ceramica negli insediamenti, seppure in cospicue quantità solo nel centro di Ephyra, nella fascia interna, invece, sembra delinearsi una linea di scambi più indiretti, legata ai materiali bronzei, quali le spade 112. Si è visto, infatti, che non si tratta di manufatti prettamente micenei ma, verosimilmente, di varianti, in particolare del tipo C1. La diffusione di questo tipo di spada interessa un’area piuttosto ampia, sia le zone centrali del mondo egeo che quelle più “periferiche” 113, ma in quantità non cospicue. Come accennato, gli esemplari epiroti, così come quelli albanesi, presentano, invece, alcune modificazioni, che rendono incerta la loro origine 114, come anche poco chiara la loro via di diffusione, se via mare o via terra 115. Per quanto riguarda gli esemplari epiroti, a giudicare dalla loro distribuzione, si potrebbe ipotizzare una via interna, legata alla valle dell’Arachtnos, dell’Aoos e alla catena del Pindo. In tale quadro, l’insediamento di Dodona, situato nell’interno, ma in prossimità del Louros e dell’Arachtnos, sembra assumere, pertanto, una posizione di crocevia, vista la cospicua presenza di ceramica micenea e, allo stesso tempo, di bronzi di tipo egeo. La situazione riscontrata lungo la costa dell’Epiro meridionale non trova confronti in Albania, i cui rapporti con l’Egeo appaiono diminuire, proprio nel momento di sviluppo dei commerci micenei. Questo cambiamento di rapporti con il territorio albanese po- 109 Unico, forse, sulla fascia subcostiera il caso della tomba di Dukat, il cui kantharos, presumibilmente con decorazione mattpainted, potrebbe essere considerato un’importazione: Bodinaku 2001-2002, p. 46. 110 A rendere incerta tale ipotesi è la presenza, piuttosto abbondante, di manufatti indigeni all’interno dell’insediamento, giustificati da Th. F. Tartaron (2004, p. 171) con l’eventuale esistenza di una popolazione mista (schiavi, artigiani) o considerando la foce dell’Acheronte una sorta di buffer zone, un’area neutrale di scambio tra i micenei, impegnati sulla costa, e gli indigeni dell’entroterra. La sola presenza di tali genti allogene in questa zona è, invece, ipotizzata da Sueref (1989, p. 66) e, in parte, da Touchais (2002, p. 206), indiziata dalla tomba a tholos e dalle mura di fortificazione. 111 Tartaron 2004, p. 174. 112 È opportuno sottolineare che la maggior parte dei contesti funerari è posta nell’interno, fattore incisivo nel valutare la totale assenza di armi lungo la costa. Ma, la presenza di una spada in un contesto insediativo (Dodona), l’assenza di spade nella tholos di Kiperi (sulla costa, ma danneggiata in antico) e soprattutto il carattere “locale o periferico” di tali spade, possono far supporre una loro maggiore ma, verosimilmente, non esclusiva circolazione attraverso vie interne. 113 Per quanto riguarda le zone centrali del mondo egeo, si tratta dell’Attica, dell’Argolide e di Creta, mentre le aree periferiche cui si fa riferimento sono la Macedonia e la Tessaglia: Kilian-Dirlmeier 1993, tav. 62, tipo Ib. 114 Si potrebbe trattare, infatti, di produzioni locali o di un centro miceneo secondario. 115 Sueref 1996, pp. 1311-1317. SIRIS 9,2008 Studi e ricerche della Scuola di Specializzazione in Beni Archeologici di Matera - ISBN 978-88-7228-566-4- © · Edipuglia s.r.l. - www.edipuglia.it Modalità di scambio tra il mondo Emiliano miceneo Cruccas e i territori dell’Albania e dell’Epiro 29 trebbe essere scaturito da maggiori interessi dei Micenei verso altre località, quali la Macedonia 116 come anche l’Italia meridionale. A testimoniare tale mutamento non è solo la scarsa presenza di ceramica micenea, ma anche la continuità di utilizzo di materiali di tradizione mesoelladica, come il coltello da Sthikë, e di spade (tipo C1, C2 e D1), molte delle quali varianti di esemplari egei. Le spade attestate in questa fase in Albania appartengono a tipi diversi. Sono, infatti, state individuate non solo le varianti di spade C1, ma anche C2 e D1 (fig. 6). Le spade di tipo C2 sono largamente distribuite a Creta, in Argolide, in Attica, in Tessaglia e in Macedonia, ma non pare che abbiano la stessa diffusione in Albania e in Epiro. Al contrario, le spade D1, anche se presenti nei territori oggetto di questa ricerca, hanno una concentrazione in Argolide, a Creta e a Rodi, come anche in Attica e lungo la costa occidentale della Grecia, ma risultano assenti nei territori di collegamento con le aree in esame 117. L’apparente prevalere di certi tipi (C1, D1) rispetto ad altri (C2, D2) potrebbe esser legato a questioni di gusto, alla tecnica di produzione o d’impugnatura o, semplicemente, a motivazioni connesse all’indagine archeologica. Analogamente all’Epiro, si potrebbe ipotizzare una diffusione di queste spade di tipo egeo attraverso traffici interni, da luoghi di produzione ancora incerti (locali o periferici); ma la loro distribuzione nelle stesse aree dove, nelle fasi precedenti, si erano riscontrate spade di origine egea, non porta a scartare del tutto l’ipotesi di una via attraverso il mare. Questa probabile dicotomia nella distribuzione del materiale egeo (ceramica e bronzi), presumibilmente riflesso di diverse linee di scambio, come anche del tipo di documentazione a disposizione, continua a manifestarsi nel TEIII B nell’Epiro meridionale (fig. 3). Alla foce dell’Acheronte, agli inizi di tale fase, Ephyra viene cinta da una fortificazione di tipo miceneo 118, segno di una volontà di distinzione nei confronti delle comunità locali con le quali, nello stesso tempo, i Micenei instaurano intensi rapporti commerciali. Negli insediamenti lungo la costa le uniche attestazioni di materiale egeo continuano ad essere frammenti di ceramica micenea, presenti per lo più ad Ephyra. Si tratta in prevalenza di forme aperte (kylikes), indicanti presumibilmente l’adozione della pratica del convivio; tra queste, compaiono anche alcuni esemplari fatti a mano, chiaramente prodotti a livello locale. La presenza sporadica dei crateri 119, utilizzati nei banchetti micenei per mescere l’acqua e il vino, potrebbe, però, far ipotizzare un’adozione parziale di questo rituale 120. Anche nell’interno sembra circolare la ceramica micenea; questa si trova sia in abitato (Dodona, Kastritsa e Kassope) che in una sepoltura a cista (Mazaraki). In questo caso, la presenza di due contenitori micenei (anfora a staffa e alabastron) non necessariamente indica un’associazione di tali elementi e quindi un’acquisizione del rituale egeo. Si tratta, infatti, non solo di una sepoltura multipla, ma, inoltre, la forma dell’alabastron sembra rimandare ad una fase di poco precedente. Al contrario, la presenza di una spada e di due punte di lancia, tutte armi verosimilmente importate, potrebbe rimandare al costume in uso, in tale fase, nel mondo miceneo 121. Tale associazione è attestata anche in altri contesti epiroti (Paramithia, Kalpaki T. A) e albanesi (Këlcyrë); in questi casi la spada è di tipo egeo, probabilmente di manifattura locale, mentre solo una punta di lancia sembrerebbe essere un’importazione. Per quanto riguarda le spade, in questa fase predominano quelle di tipo F, in alcuni casi varianti di prototipi egei, presumibilmente prodotte a livello locale 122. La presenza di tali esemplari concentrati nel- 116 La presenza di giacimenti di oro e di rame nei pressi di tali territori possono aver svolto un ruolo piuttosto importante (Touchais 2002, p. 208), divenendo una rotta di rifornimento alternativa a quella settentrionale supposta precedentemente. 117 Kilian-Dirlmeier 1993: tav. 62, tipo Ia, tav. 63. 118 Probabilmente anche altri siti posti nella valle dell’Acheronte (Aya Eleni, Kastriza e Kiperi più a nord) vengono cinti da fortificazioni, anche se, al momento, non vi sono dati certi per considerarle di tipo miceneo. 119 Tartaron 2004, p. 162. 120 È interessante notare che nella tomba a tholos di Parga-Ki- peri (TEIII A), verosimilmente pertinente a personaggi micenei, compaiano diverse forme relative al costume del banchetto, quali le kylikes, le tazze e anche un cratere. 121 Kilian-Dirlmeier (1993, fig. 29) osserva che, a partire dal TEIII B, l’associazione del corredo cambia, con l’utilizzo prevalente della punta di lancia unita alla spada, con una chiara diminuzione della presenza del coltello e del pugnale. 122 Si sottolinea che l’esemplare più antico di questo tipo di spade, quello di Paramithia (tipo E II/tipo F, datato al TEIII A2), presenta la caratteristica dei margini rialzati su un solo lato, elemento che si ritrova negli esemplari di tipo F successivi, consi- SIRIS 9,2008 Studi e ricerche della Scuola di Specializzazione in Beni Archeologici di Matera - ISBN 978-88-7228-566-4- © · Edipuglia s.r.l. - www.edipuglia.it 30 Elisabetta Onnis l’alta valle del Thiamis, nonché il rinvenimento di spade analoghe nelle isole Ionie (Cefalonia) 123 e i confronti della ceramica di Skaphidaki con queste stesse aree, delineano, ancora una volta, l’importanza delle valli del Louros e del Arachtnos quali vie di scambio. Questo tipo di spade, in particolare il tipo F2A e F2B, ha una diffusione nel N/W della Grecia, in Argolide, in Attica, soprattutto a Creta, ma anche in Etolia e in Macedonia. Il tipo F2C, invece, ha una distribuzione esclusivamente locale 124, confermando l’eventuale produzione sul posto. Altre rielaborazioni si riscontrano nelle punte di lancia, la cui produzione, verosimilmente in tali aree, inizia in questa fase e continua in quella successiva 125. È interessante notare che la distribuzione di queste armi interessa esclusivamente l’Albania centro-meridionale e l’Epiro, escludendo la zona settentrionale dell’Albania. La presenza di una via naturale di percorrenza 126, che collega il golfo d’Ambracia con l’entroterra epirota fino all’alta valle dello Shkumbin, nell’Albania centrale, potrebbe confermare la correlazione riscontrata nei rituali funerari, nella distribuzione delle punte di lancia e delle spade dall’Epiro all’Albania meridionale e i collegamenti di tale aree con la costa, in particolare con le isole Ionie. A sostegno di ciò, è da evidenziare la particolare concentrazione (fig. 4), a partire da questa fase, ma anche in quella successiva, di doppie asce di tipo miceneo (tipo III, IV e III/IV), rinvenute lungo la valle del Louros, e a Dodona, ma anche, come sporadici, lungo la costa dell’Albania meridionale. Il rinvenimento di due forme di fusione di doppie asce nella piana di Korçë 127, porta a considerare la produzione di tali strumenti a livello locale 128, e, quindi, a ipotizzare almeno due aree di manifattura, una sicuramente nell’alta valle del Devoll e una, verosimilmente, nel territorio epirota. In particolare, si evidenzia una prevalenza di doppie asce di tipo III nell’Albania meridionale da dove, tra l’altro, proviene anche uno stampo per tale tipo di bipenne, mentre sembra più diffuso nel territorio epirota il tipo III/IV, come si rileva da i due ripostigli di Kathamaki e di Stephani. Pertanto, la presenza delle doppie asce di tipo egeo, circoscritta tra il golfo di Ambracia e la valle dello Shkumbin, sembra confermare la connessione tra tali aree attraverso percorsi interni e conferire particolare importanza alla valle del Louros e allo stesso golfo nelle relazioni con il mondo egeo. La presenza di bipenne tipo Hermones e Kilindir in queste aree, ma soprattutto nell’Albania settentrionale, testimonia, invece, circuiti di scambio di maggiore portata e l’influenza di elementi balcanici. Inoltre, in tali aree dell’Albania settentrionale la presenza di prodotti di derivazione egea è, al momento, molto scarsa: in particolare la ceramica micenea risulta assente, confermando la posizione marginale che quest’area assume sempre di più. Il quadro delineato per il TEIII B sembra sostanzialmente continuare anche nel corso del TEIII C (fig. 4), mentre si possono evidenziare alcuni cambiamenti nella fase finale di quest’ultimo periodo. In Epiro, pur considerando il peso di una scarsa documentazione relativa ai contesti funerari, sembra che, sia sulla costa che nell’area più interna, la ceramica si presenti come l’unico bene allogeno attestato. La ceramica importata, documentata all’interno degli insediamenti, sottolinea ancora una volta il rapporto con le isole Ionie e l’Etolia. Inoltre, nei siti di Ephyra e Dodona, sembra che continui la produzione locale di ceramica di tipo miceneo. Per quanto riguarda le armi, invece, nessun esemplare è attribuito con sicurezza a tale fase. Diverse spade sono, infatti, poste tra il TEIII B e il TEIII C; si tratta di varianti e di alcune verosimili importazioni. Allo stesso modo, come è stato già notato in precedenza, sono datate alcune punte di lancia e numerose doppie asce. derati presumibilmente locali. Questa spada, rinvenuta in un contesto del TEIII B, potrebbe essere quindi una rielaborazione successiva, o semplicemente una produzione (locale o periferica) avvenuta nel TEIII A e con un riutilizzo nel TEIII B. 123 Si datano a un momento successivo (Souyoudzoglou-Haywood 1999, p. 141), ma è opportuno ricordare che diverse spade tipo F sono datate tra il TEIII B e il TEIII C. 124 Kilian-Dirlmeier 1993, fig. 64b. 125 Si tratta di esemplari che presentano una forma ibrida, con caratteristiche che rimandano all’area egea (lama foliata): Tartaron 2004, tav. 8.1; Touchais 2002, tav. 2. 126 Sueref (1989, p. 69) identifica tale rotta con una via di transumanza, percorso di lunga distanza forse non ipotizzabile per il periodo in questione, ved. anche Tartaron, Zachos 1999, p. 63. 127 Maliq e Sovjan. 128 In tali regioni, a differenza di quanto accade in ambito egeo, non sembra che le doppie asce abbiano un valore cultuale: Tartaron 2004, p. 21. A confermare tali ipotesi potrebbe essere il ripostiglio di Katamachi, dove tali bipenne sono associate a uno scalpello e a un’incudine. SIRIS 9,2008 Studi e ricerche della Scuola di Specializzazione in Beni Archeologici di Matera - ISBN 978-88-7228-566-4- © · Edipuglia s.r.l. - www.edipuglia.it Modalità di scambio tra il mondo Emiliano miceneo Cruccas e i territori dell’Albania e dell’Epiro 31 Anche in Albania si nota un fenomeno analogo. L’unica area ancora interessata dai traffici è il comparto centro-meridionale, dove i prodotti importati non sono abbondanti e molti manufatti, soprattutto bronzei, così come in Epiro, sono verosimilmente rielaborati 129. L’Albania settentrionale, quindi, sembra continuare a rimanere esclusa dalle vie di scambio dirette, ma anche indirette. A partire dalla fine del TEIII C, invece, si possono notare alcuni cambiamenti nelle linee di traffico tra il mondo egeo e i territori dell’Albania e dell’Epiro. Ephyra, in parte abbandonata, perde il ruolo che aveva svolto in precedenza, mentre si evidenzia l’inserimento della piana di Korçë in una intensa rete di scambi con l’area egea. Qui la ceramica micenea è attestata non solo all’interno degli abitati, dove sono state rinvenute anche alcune imitazioni 130, ma soprattutto nelle sepolture (Barç), conferendo a tali oggetti un valore di prestigio, rappresentativo dello status del defunto. È interessante sottolineare che i corredi funerari continuano a essere caratterizzati dalla presenza di un solo vaso miceneo, in prevalenza una forma chiusa, nonostante una significativa circolazione della ceramica micenea in tale area. La provenienza di questa ceramica sembra delineare la presenza di specifiche vie di scambio, da un lato attraverso la catena del Pindo e la valle dell’Acheloos in direzione dell’Etolia, dell’Acaia e dell’Attica, dall’altro attraverso le valli dell’Aoos e dell’Arachtnos verso Cefalonia. Attraverso le medesime vie, si potrebbe ritenere ancora che siano arrivate anche le spirali d’oro, presenti nell’Albania centrale (Barç) e settentrionale (Bruç) 131. Per quanto riguarda l’ambra 132, non essendo presenti vaghi di forme particolari, di sicura lavorazione egea, è difficile stabilire l’origine di tali prodotti. Potrebbero provenire sia dall’area micenea, attraverso il mare, ma anche da vie interne provenienti da sud, come dai traffici adriatici o da Nord, attraverso il mare o l’interno, con vie che si ricollegano alla Croazia costiera e all’Albania settentrionale. Dalle analisi effettuate per le fasi del ME e del TE nei territori dell’Albania e dell’Epiro, si possono evidenziare, pertanto, alcuni aspetti dei rapporti tra tali zone e il mondo miceneo. Sia per quanto riguarda l’Albania per le fasi più antiche che l’Epiro per le fasi successive sembra che tali territori siano stati importanti per l’area egea soprattutto come aree di transito. Se, alla fine del ME, l’Albania sembra aver avuto un ruolo importante in quanto area di collegamento con i ricchi giacimenti di oro della Transilvania, così a partire dal TEIII A la foce dell’Acheronte appare divenire un prezioso scalo lungo la rotte verso l’Adriatico. Ma nonostante la presenza di una tomba a tholos, come di uno o più insediamenti fortificati, l’Epiro non sembra aver subito alcuna forma di “colonizzazione” da parte dei Micenei, se non nel tratto di costa alla foce dell’Acheronte. I “capi” delle comunità interne dell’Epiro, come di quelle dell’Albania, sotto lo stimolo di interlocutori maggiormente organizzati e portatori di beni di prestigio, sembra che, se da un lato articolarono le locali vie di scambio al fine di ottenere tali oggetti esotici, identificati come status symbol, dall’altro adattarono alle loro esigenze alcuni elementi propri del mondo miceneo. Questa rielaborazione di tipi egei caratterizzò tali zone sin dalle prime fasi di contatto 133 e si mantenne fino alla fine del TE, soprattutto per quanto riguarda i bronzi 134. Sembrerebbe che le armi di tradizione egea, se nelle prime fasi sono state oggetto di scambi diretti in aree particolari (Vajzë), nel TEIII A potrebbero aver circolato attraverso le modalità dello scambio “dif- 129 È opportuno ricordare che l’intera valle del Devoll (fig. 7), nel corso del TEIII, è interessata dalla presenza di coltelli che sembrano avere alcune affinità con il tipo Ia Sandars piuttosto diffuso in Acaia, in Argolide, in Attica e a Creta nel TEII-III, ved. N. K. Sandars, The Antiquity of the One-edged Bronze Knife in the Aegean, «ProcPrehistSoc» XX 1955, p. 177. Allo stesso modo, anche il coltello attribuito alla tomba 7 di Pazhok potrebbe trovare somiglianze con questo tipo. 130 In tale caso, le analisi ceramiche sembrano confermare una produzione sul luogo, ma l’utilizzo del tornio rimane incerto (comunicazione personale del Dott. M. Bettelli). 131 Eder, Jung 2005, tav. CIX. 132 La materia prima è di origine baltica, ma si presenta come un bene di forte interesse per il mondo miceneo, dove vi poteva arrivare come prodotto grezzo. Una volta lavorata, l’ambra veniva utilizzata per la decorazione di armi, oggetti e, soprattutto, ornamenti, ma poteva anche essere reinserita nei traffici come bene di scambio. 133 Si fa riferimento alle spade del TE I-II. 134 In particolare si tratta di spade, punte di lancia, coltelli e doppie asce. Per quanto riguarda le spade, e in misura minore i coltelli, è interessante sottolineare come tale rielaborazione abbia interessato in modo particolare l’impugnatura, costituita sempre da diversi ribattini. SIRIS 9,2008 Studi e ricerche della Scuola di Specializzazione in Beni Archeologici di Matera - ISBN 978-88-7228-566-4- © · Edipuglia s.r.l. - www.edipuglia.it 32 Elisabetta Onnis fuso” tra le comunità dell’interno, partendo dalla zona di produzione (locale o periferica rispetto al mondo miceneo) e diffondendosi nel territorio, forse mediante scambi di doni tra capi. Dalle linee di traffico sottolineate in precedenza, appare anche che l’Epiro interno, mediatore fra i territori più settentrionali, abbia avuto, sin dalle fasi più antiche, come interlocutore con il mondo egeo le isole Ionie e, presumibilmente, anche i territori a sud del golfo d’Ambracia 135. In particolare si sottolinea il ruolo di Dodona, situata tra i più importanti corsi d’acqua dell’Epiro. Quindi, se da un lato sembra che le comunità non abbiano subito particolari modifiche nell’assetto socio-economico a seguito dei contatti, indiretti (tranne alcuni casi), con il mondo egeo, dall’altro, però, va sottolineato che, indubbiamente, i “capi” 136 intensificarono gli scambi locali, presumibilmente già esistenti e legati alla circolazione di prodotti di diverso genere, per ottenere beni di prestigio che confermassero il loro ruolo, quali spade, ornamenti in materiale prezioso, bevande o cibi esotici in contenitori allogeni. La presa in prestito di simboli appare accompagnata anche dalle conoscenze metallotecniche che, unite a quelle provenienti dall’area settentrionale, stimolarono, verosimilmente, una produzione locale di strumenti e armi (bipenne, punte di lancia, spade). Pertanto è possibile evidenziare due distinti aspetti. Da un lato vi è l’acquisizione sia di alcuni elementi relativi al rituale del banchetto, quali le kylikes, sia di forme ceramiche pertinenti ad altri ambiti, ad esempio la cura del corpo (alabastra e anfore a staffa), deposte, queste ultime, secondo il costume funerario miceneo, all’interno delle sepolture. Dall’altro vi è l’utilizzo di armi micenee, il più delle volte, però, rielaborate. Se tale fenomeno riveste un’importanza tale da far ipotizzare un certo peso del mondo egeo sugli usi locali, dall’altro sembra opportuno, 135 Si potrebbe ipotizzare che la presenza di giacimenti di rame (Harding 1984, fig. 7) subito a nord della piana di Korçë possa essere stato un elemento di particolare interesse per tali territori. 136 Parlare di elitès, per la documentazione a disposizione, potrebbe essere azzardato in quanto queste non sembrano essere documentate dai contesti funerari esaminati. Nella fase finale del TEIII C, con maggiori informazioni, non sembra che la comunità si stratifichi internamente in modo significativo. Uno studio più dettagliato della cultura locale potrebbe maggiormente fare luce su tale problematica. però, evidenziare anche altri aspetti. Dai dati a disposizione, l’incerto utilizzo del tornio in Albania, la presenza di ceramica imitata fatta a mano in Epiro, l’assenza di attestazione di contenitori per l’immagazzinamento, sono tutti elementi che spingono a supporre che l’Albania e l’Epiro non abbiano subito un’influenza micenea tale da articolare in modo significativo l’organizzazione socio-economica delle comunità locali, nonostante una presenza costante di Micenei sulla costa epirota a partire dal TEIII A. Questo, unito agli altri fattori sopra indicati, potrebbe far ipotizzare un interesse delle genti egee non tanto per il controllo del territorio epirota e dell’Albania meridionale, quanto piuttosto per il possesso di un punto nodale nei traffici verso l’alto Ionio e l’Adriatico occidentale, aree dove la ceramica micenea compare in quantità cospicue. Abbreviazioni bibliografiche Avila 1983 = R. A. J. Avila, Bronzene Lanzen- und Pfeilspitzen der griechischen Spätbronzezeit («Prähistorische Bronzefunde» V-1), München 1983. Bejko 1993 = L. Bejko, Mbi praninë e qeramikës Mikene në Shqipërinë Jugore dhe probleme lidhur me të, «Iliria» XXIII, 1-2 1993, pp. 101-122. Bejko 1994 = L. Beiko, Some problems of the Middle and Late Bronze Age in southern Albania, «BALond» XXXI 1994, pp. 105-126. Bodinaku 1981 = N. Bodinaku, Kërkime arkeologjike në rrethin e Përmetit, «Iliria» XI, 2 1981, pp. 243-256. Bodinaku 1995 = N. 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SIRIS 9,2008 Studi e ricerche della Scuola di Specializzazione in Beni Archeologici di Matera - ISBN 978-88-7228-566-4- © · Edipuglia s.r.l. - www.edipuglia.it SIRIS 9,2008 Studi e ricerche della Scuola di Specializzazione in Beni Archeologici di Matera - ISBN 978-88-7228-566-4- © · Edipuglia s.r.l. - www.edipuglia.it Siris 9,2008, 35-57 Nuove ricerche sui culti di Eraclea: l’area sacra del c.d. Vallo di Laura D’Esposito, Giusj Galioto L’area del c.d. Vallo è ubicata all’estremità occidentale della valletta mediana di Eraclea (fig. 1), una conca naturale ricca di sorgenti, che separa la collina del Barone dalla c.d. città bassa coincidente con il moderno centro di Policoro. La zona, che doveva fungere da cerniera tra le due grandi aree abitate 1, non fu mai urbanizzata in maniera intensiva e conservò nel tempo un aspetto quasi rurale, determinante per la scelta di impiantarvi le aree sacre di Demetra e di Dioniso, nonché, come sarà discusso più avanti, il complesso monumentale oggetto di studio 2. L’interesse per il Vallo ebbe inizio con F.G. Lo Porto, il quale, nel 1960, eseguì una trincea nel c.d. Sito 6 portando in luce una serie di strutture di forma quadrangolare e rettangolare, X-Y-Z-ZI/AI, A-B e DE (figg. 2-3), interpretate, per la notevole quantità di materiale ceramico d’uso comune restituita dallo scavo, come “abitazioni classiche ed ellenistiche” 3. Gli scavi continuarono nel 1965 con le ricerche di B. Neutsch 4, che effettuò saggi di approfondimento all’interno dei vani X-Y-Z-ZI/AI e nelle aree, rispettivamente ad est e ad ovest dei suddetti ambienti, denominate Via I e Via II 5. A seguito di queste indagini furono riconosciute sei fasi costruttive, presentate in maniera preliminare da M. Müller-Dürr in un lavoro di sintesi sul complesso architettonico, inquadrate cronologicamente tra la fine del V-inizi del IV sec. a.C. ed il II sec. d.C. 6. All’interno di questo ampio arco cronologico i resti delle fasi più antiche, consistenti in crolli di tegole e coppi, lembi di piani pavimentali e brevi lacerti murari, apparivano piuttosto labili, mentre meglio definita risultava l’ultima fase di vita del complesso identificabile con le strutture scavate da Lo Porto 7. Nel 2003, l’esigenza di chiarire la cronologia delle strutture e di comprendere i limiti e l’articolazione del contesto monumentale del c.d. Vallo ha spinto la Soprintendenza Archeologica della Basilicata a riprendere le ricerche archeologiche e a concentrare l’attenzione all’interno dell’edificio A (fig. 4) e nella zona circostante 8. Sebbene i dati acquisiti non possano definirsi esaustivi, a causa della discontinuità dei lavori di scavo ancora oggi in gran parte inediti, vale comunque la pena di tentare, soprattutto alla luce delle recenti scoperte, un’analisi per grandi linee dell’evoluzione architettonica del complesso in esame 9. Bianco 1999, p. 65. 2 Osanna 2008, p. 29. 3 La datazione delle strutture era stata avanzata sulla base del rinvenimento di due monete bronzee (330-328 a.C.): una era stata recuperata nello strato di crollo a SE dell’ambiente orientale della struttura B, l’altra nel vano Y, all’interno di un’anfora infissa nel pavimento: Lo Porto 1961, p. 141. 4 Neutsch denominò Insula 1 i vani X-Y-Z-ZI/AI, Insula 2 gli ambienti D-E-F e Insula 3 i vani A-B: Neutsch 1967, pp. 123129, in particolare pp. 124-128. 5 Le due aree, Via I e Via II, erano state interpretate come strade che delimitavano gli ambienti X-Y-Z-ZI/AI, considerati inizialmente parte di un’abitazione. I pochi frammenti diagnostici provenienti dalla Via II, tra cui uno skyphos a vernice nera della serie Morel 4311, una coppa a vernice nera della serie Morel 3162 (Morel 1981, pp. 303-305, tav. 126, p. 253, tav. 89) e un tagenon, sono datati tra la fine del IV e la prima metà del III sec. a.C. 6 Il teminus post quem per l’abbandono dell’area era stato desunto esclusivamente da due monete: una di Adriano, l’altra di Faustina (Müller-Dürr 1996, p. 89, nota 97). Sulla base del rie- same complessivo del materiale è certo che esse testimonino una frequentazione dell’area, ma non la continuità di vita del complesso architettonico. 7 Müller-Dürr 1996, pp. 83-89. 8 I risultati preliminari delle indagini del 2003 sono stati pubblicati da M.L. Nava (Nava 2003, pp. 964-966). La documentazione dello scavo condotto dal 2 Giugno al 1 Agosto del 2003 dalla dott.ssa P. Iannuzziello, per conto della Soprintendenza della Basilicata, ci è stata fornita dal dott. Salvatore Bianco, direttore del Museo Nazionale Archeologico della Siritide. 9 Il presente contributo rappresenta una sintesi dello studio condotto dalle dott.sse Laura D’Esposito e Giusj Galioto ai fini delle rispettive tesi di specializzazione discusse presso la Scuola di Specializzazione in Archeologia classica di Matera. Al prof. M. Osanna, relatore della tesi, va un particolare ringraziamento per il costante interesse dimostrato in ogni fase della ricerca. Al dott. Salvatore Bianco, direttore del Museo Nazionale Archeologico della Siritide, va la nostra gratitudine per la disponibilità e la fiducia mostrataci. Alla prof.ssa E.C. Portale dell’Università degli Studi di Palermo rivolgiamo, infine, un sentito ringraziamento per i preziosi e stimolanti consigli. La ricerca archeologica e le fasi edilizie 1 SIRIS 9,2008 Studi e ricerche della Scuola di Specializzazione in Beni Archeologici di Matera - ISBN 978-88-7228-566-4- © · Edipuglia s.r.l. - www.edipuglia.it Fig. 1. - Eraclea. Aerofotogrammetria (Giardino 1998). tura, la cui cronologia purtroppo non è determinabile, presenta una leggera pendenza verso Est e asseconda l’andamento della valletta. La monumentalizzazione dell’area sembra avere avuto inizio con la costruzione di un oikos di forma grosso modo quadrangolare (m 6,00x5,00 ca.) orientato probabilmente ad est, denominato D, di cui si conoscono i limiti nord, est ed ovest, mentre appare più incerto quello sud. All’interno dell’edificio era ancora in situ una porzione del crollo della copertura costituita in gran parte da tegole e coppi di grandi dimensioni; il materiale ceramico rinvenuto in associazione ha permesso di fissare la cronologia finale della struttura tra la fine del IV e gli inizi del III sec. a.C. 11. Tra i reperti recuperati si segnalano minuti resti di materiale coroplastico, non identificabili ad eccezione di una testina femminile, frammenti di unguentari, di vasellame a vernice nera e di ceramica comune grezza e depurata, reperti osteologici, lucerne monolicni, parte di un louterion, oscilla e un peso da telaio di dimensioni quasi triple rispetto al normale. Significativo, infine, il rinvenimento, presso l’angolo ocFig. 2. - Eraclea. Valletta mediana, complesso architettonico dell’area del Vallo: planimetria (Neutsch 1967). La documentazione relativa a questo periodo si limita a pochi frammenti di coppe di tipo ionico, riconducibili al tipo B2, e ad un frammento di kotyle di probabile produzione corinzia. 11 Il crollo fu certamente sconvolto dagli interventi edilizi successivi. I frammenti diagnostici consistono in alcuni piatti a vernice nera della serie Morel 2237 e 1514, in una brocca e in una coppa con decorazione a bande e in uno skyphos a figure rosse, decorato con un motivo ad onda e girale vegetale, della serie Morel 4373: Morel 1981, p. 118, tav. 20, p. 152, tav. 38, p. 305, p. 311, tav. 131. Per quanto riguarda la cronologia di impianto dell’oikos i dati materiali suggeriscono una datazione nel corso del IV sec. a.C. 10 Dopo una prima frequentazione di età arcaica, archeologicamente piuttosto difficile da percepire 10, le indagini hanno permesso di distinguere almeno tre fasi costruttive succedutesi in un lasso di tempo abbastanza breve tra il IV ed il II-I sec. a.C. Ad un periodo più antico potrebbe, invece, riferirsi una canaletta per il deflusso delle acque rinvenuta nel settore nord-orientale dell’area, al di sotto del successivo edificio D. La strut- SIRIS 9,2008 Studi e ricerche della Scuola di Specializzazione in Beni Archeologici di Matera - ISBN 978-88-7228-566-4- © · Edipuglia s.r.l. - www.edipuglia.it Nuove ricerche sui culti Emiliano di Eraclea: Cruccas l’area sacra del c.d. Vallo 37 Fig. 3. - Eraclea. Valletta mediana, complesso architettonico dell’area del Vallo: foto di scavo (Neutsch 1967). Fig. 4. - Eraclea. Valletta mediana, area del Vallo: planimetria dell’edificio D, scavi 2003. cidentale della struttura, di un focolare all’aperto che ha restituito frammenti osteologici. Tra il IV e la metà del III sec. a.C. doveva essere frequentata anche la zona ad ovest dell’oikos corrispondente alla c.d. Via I e alla fascia occupata nell’ultima fase dall’edificio C; tale supposizione sembrerebbe confermata non solo dai numerosi reperti ceramici rinvenuti nell’area (fig. 8, nn. 1, 4, 68; fig. 9, nn. 9-15; fig. 10, nn. 19-28; fig. 11, nn. 29-30), ma anche da alcuni lacerti murari individuati durante gli scavi 12. Non sappiamo se in questo periodo esistessero altre strutture oltre all’oikos, ma è possibile che i materiali edilizi reimpiegati nelle costruzioni successive provenissero da edifici appartenenti a questa fase e totalmente smantellati. La seconda fase, che comportò una completa riorganizzazione dello spazio, sembra potersi collocare, grazie ai materiali recuperati durante gli scavi (fig. 8, nn. 2, 3, 5; fig. 9, nn. 16-17; fig. 10, n. 18), nell’arco del III sec. a.C. (fig. 6). La realizzazione del nuovo progetto dovette implicare la totale obliterazione dell’oikos e la costruzione di due edifici rettangolari, A e B, e di una struttura ad ovest indiziata dal rinvenimento di setti murari al di sotto della struttura C 13. Tutti gli edifici erano accomunati dalla medesima tecnica costruttiva: uno zoccolo realizzato a secco con ciottoli fluviali, appena sbozzati in facciavista, e frammenti di laterizi e da un alzato probabilmente realizzato in mattoni crudi. Gli edifici A e B con orientamento EO, leggermente divergenti tra loro, si affiancavano al centro dell’area; l’edificio A, che si sovrappose in parte all’oikos della fase precedente, era suddiviso in due vani di diverse dimensioni 14, mentre B sembra ricostruibile come un piccolo tempio con pronaos, naos, fornito sul fondo di banchina in ciottoli fluviali (fig. 5), e opistodomos (o adyton?). L’esame dei rinvenimenti ceramici non ha permesso di individuare alcuna cesura netta nei livelli di frequentazione dell’area, per cui molto probabilmente l’ultima fase, durante la quale si dovette dare l’avvio ad un sostanziale rifacimento del complesso architettonico, seguì a non molta distanza la precedente (fig. 6). La struttura B rimase inalterata nelle sue dimensioni, mentre fu ampliato l’edificio A, con l’aggiunta di un altro vano quadrangolare ad ovest (m 3,00x3,00 ca.), e furono realizzati un camminamento nella fascia meridionale, con orientamento EO e pavimentato con piccoli ciottoli, e un portico che, delimitandone con certezza il lato ovest, conferiva all’area un aspetto scenografico e più monumentale 15. Alle spalle del portico occidentale fu edificata la 12 Lo scavo effettuato in profondità nella c.d. Via I e all’interno degli ambienti dell’edificio C ha restituito abbondante ceramica a vernice nera, rosso-bruna, a figure rosse, a bande e di Gnathia. Le forme più attestate sono: crateri, crateriskoi, skyphoi, cup-skyphoi, piatti, coppe, coppette e lekythoi. Numerosi sono anche i frammenti di ceramica comune grezza e depurata appartenenti a chytrai, lopades, tagena, teglie, coperchi, coppe e brocche. Per le strutture murarie ved. Müller Dürr 1996, pp. 83-85. Müller-Dürr 1996, p. 85. Il vano orientale misura m 3,00 x 3,00 ca., mentre non è possibile stabilire con esattezza l’ampiezza dell’altro vano; all’edificio sembrano attribuibili un muro e i resti di una pavimentazione in ciottoli rinvenuti al di sotto delle strutture dell’ultima fase di vita del santuario. 15 Del portico occidentale rimane una parte del crollo pertinente alla copertura; sono probabilmente riconducibili alle co13 14 SIRIS 9,2008 Studi e ricerche della Scuola di Specializzazione in Beni Archeologici di Matera - ISBN 978-88-7228-566-4- © · Edipuglia s.r.l. - www.edipuglia.it 38 Laura D’Esposito - Giusj Galioto Fig. 5. - Eraclea. Valletta mediana, complesso architettonico dell’area del Vallo: banchina all’interno dell’edificio B (Neutsch 1967). struttura C, articolata in quattro ambienti paratattici di cui uno, all’estremità sud-occidentale, di forma rettangolare, bipartito di m 6,00 x 3,50 ca., e tre quadrangolari ciascuno di m 4,50 ca. di lato; all’angolo nord-occidentale dell’edificio C restava parte di un lastricato, realizzato con tegole poste in piano, riferibile ad un possibile ambiente delle stesse dimensioni dei precedenti, aperto ad est 16. Il complesso continuò a vivere per tutto il II e buona parte del I sec. a.C., com’è dimostrato dalla presenza, negli strati relativi all’ultima fase di vita, di ceramica a pasta grigia e a pareti sottili, – mentre si verifica una netta diminuzione di vasellame a vernice nera – di lucerne del tipo biconico dell’Esquilino e con decorazione radiale e di unguentari fusiformi riconducibili alla forma B Camilli (fig. 11, nn. 31-36). È interessante il rinvenimento di una fossa di forma quadrangolare, alle spalle del sacello B, sigillata e foderata al suo interno con tegole. Il riempimento, nel quale sono stati distinti tre livelli di bruciato, ha restituito numerosi frammenti osteologici combusti e scarso materiale fittile, tra cui ceramica a vernice nera e da fuoco, un oscillum e due unguentari deposti agli angoli 17. Al di sotto delle tegole, che rivestivano il fondo della fossa, sono stati rintracciati alcuni ciottoli che potrebbero essere pertinenti ad lonne del portico tre rocchi, un capitello dorico in pietra calcarea, individuati dal Neutsch durante gli scavi degli anni ’60 dello scorso secolo (Neutsch 1967, pp. 124, 126, figg. 19, 21), e due basi, in pietra arenaria, portate in luce grazie alle ricerche del 2003. 16 Al di sotto della pavimentazione sono stati individuati due muri ortogonali e parte di un acciottolato, interpretabile forse come piano pavimentale, appartenenti alla fase precedente. 17 La struttura, individuata nel 1965 (Neutsch 1967, p. 128, Fig. 6. - Eraclea. Valletta mediana, complesso architettonico dell’area del Vallo: planimetria scavi 2003. un muro più antico, di cui purtroppo non si conosce la cronologia. In conclusione è possibile immaginare l’aspetto unitario dello spazio, dove gli edifici si presentavano allineati secondo un orientamento comune, delimitato a nord, sicuramente nell’ultima fase 18, da un lungo muro EO, costruito a secco con ciottoli fluviali e pochi blocchi di calcare. Il muro, rafforzato lungo la faccia settentrionale da tramezzi (spessi m 0,30-40), posti ad intervalli regolari (m 2,30-40) e probabilmente interrati, doveva servire, oltre che come limite fisico, come struttura di contenimento contro lo sprofondamento dell’area molto disturbata, già in antico, dalla risalita della falda acquifera 19. Interpretazione delle strutture La rilettura dei dati finora emersi dalle indagini archeologiche svolte nel corso degli anni ha consentito, come visto sopra, di delineare l’evoluzione generale delle strutture del complesso architettonico del c.d. fig. 21), si è rivelata, grazie alle indagini del 2003, di gran lunga più piccola di quella documentata dai rilievi dello scavo Neutsch: Osanna 2008, p. 49. 18 La mancanza di saggi in profondità non permette di conoscere il terminus post quem per la costruzione del muro. Secondo M.L. Nava la struttura potrebbe essere stata costruita nella prima fase di vita del complesso architettonico: Nava 2003, p. 965. 19 Nava 2003, p. 965; Osanna 2008, p. 50. SIRIS 9,2008 Studi e ricerche della Scuola di Specializzazione in Beni Archeologici di Matera - ISBN 978-88-7228-566-4- © · Edipuglia s.r.l. - www.edipuglia.it Nuove ricerche sui culti Emiliano di Eraclea: Cruccas l’area sacra del c.d. Vallo 39 Vallo, la cui funzione si tenterà di chiarire attraverso il confronto con altri contesti archeologici noti e l’interpretazione dei dati materiali. Dopo la frequentazione di età arcaica, su cui non è possibile avanzare alcuna ipotesi per l’esiguità dei rinvenimenti, la prima fase definibile con maggiore chiarezza è quella di IV sec. a.C., quando l’area del Vallo venne interessata dalla realizzazione di opere di terrazzamento 20, come nei vicini santuari di Demetra 21 e Dioniso 22, e dalla costruzione dell’oikos sub-quadrangolare (fig. 4), che dal punto di vista planimetrico sembra richiamare le coeve soluzioni architettoniche note nei santuari lucani, quali Torre di Satriano 23, S. Chirico Nuovo 24, Civita di Tricarico 25 e Paestum 26. I recenti studi e le indagini archeologiche hanno dimostrato che l’oikos di forma quadrangolare rappresenta un elemento caratterizzante dell’architettura sacra del mondo lucano connesso probabilmente al culto di divinità femminili, come suggerisce il ricorrente rinvenimento di pesi da telaio 27. Il confronto con tali realtà cultuali rende verosimile l’ipotesi di una destinazione sacra dell’area del Vallo all’interno della quale l’oikos, che custodiva probabilmente la statua di culto 28, doveva costituire il fulcro religioso. Purtroppo nessun dato è utile al riconoscimento del luogo in cui veniva esplicato il sa- crificio; l’assenza dell’altare potrebbe essere legata non solo alla parzialità delle indagini archeologiche, ma anche al carattere provvisorio della struttura 29, nonché ai sostanziali rimaneggiamenti che interessarono l’area nelle epoche successive. La funzione cultuale dell’area ben si accorda con la presenza del focolare all’aperto destinato probabilmente alla cottura delle carni delle vittime sacrificali da consumare durante pratiche rituali che prevedevano, come dimostra il rinvenimento di abbondante ceramica da fuoco, da dispensa e da mensa, la preparazione e il consumo di cibi e di bevande, tra le quali il vino aveva di certo un ruolo importante 30, a giudicare dalla frequente presenza di vasi potori 31. Significativo il ritrovamento all’interno dell’oikos della testina fittile, raffigurante una figura femminile del tipo c.d. dell’Artemide Bendis, e del frammento di un louterion che potrebbe rimandare all’uso dell’acqua legato ai consueti riti purificatori preliminari al sacrificio 32. Infine, potrebbe essere riferibile alla decorazione architettonica dell’edificio l’antefissa raffigurante Artemide Bendis 33 utilizzata, probabilmente, come materiale di reimpiego nelle strutture successive 34. Si dimostra, a nostro parere, particolarmente rilevante la presenza di un modello edilizio ricorrente nelle aree sacre lucane, la cui presenza deve far ri- 20 L’esistenza di un sistema di terrazzamento sembra attestata da un muro realizzato con ciottoli fluviali, con orientamento EO, individuato a sud dell’edificio D, che fa angolo con un muro, di cui rimane solo un breve tratto che si dirige verso NE. 21 B. Otto, Policoro (Matera). Il santuario di Demetra, «BA» 19-21 1993, pp. 137-148; Osanna 2008, pp. 38-41, in particolare pp. 40-41; Otto 2008, pp. 69-94, in particolare pp. 75-77. 22 Pianu 1998, pp. 221-232; 2002; Osanna 2008, pp. 41-47. 23 Osanna 2005, pp. 430, 432, figg. 110-111. 24 Tagliente 2005, pp. 115-123. 25 O. de Cazanove, Un nouveau temple à Civita di Tricarico (Lucanie), «MEFRA» CXVI,1 2004, pp. 249-291. 26 G. Greco, J. de La Geniére, L’Heraion alla foce del Sele: continuità e trasformazione dall’età greca all’età lucana, in M. Cipriani, F. Longo (a cura di), I Greci in Occidente. Poseidonia e i Lucani (Catalogo della Mostra, Paestum), Napoli 1996, pp. 223-226. 27 E. Greco, Edifici quadrati, in L. Breglia Pulci Doria (a cura di), L’incidenza dell’antico (Studi in memoria di E. Lepore, 2), Napoli 1996, pp. 263-282; Lupia 2005, p. 210. 28 Masseria 2000, p. 241. 29 C.G. Yavis, D.M. Yavis, Greek Altars. Origins and Typology, Saint Louis 1949, pp. 214-215. 30 Trattandosi di un contesto santuariale non possiamo escludere che lo skyphos, tradizionalmente impiegato durante i banchetti, fosse utilizzato anche per le pratiche libatorie. Per l’associazione skyphos-pratica libatoria nel mondo greco e lucano ved. C. Bron, F. Lissarague, Il vaso da guardare, in A. Pontrandolfo (a cura di), La città delle immagini. Religione e società nella Grecia antica, Modena 1986, pp. 9-18; Osanna 2005, p. 438. 31 Si confronti il caso di Torre di Satriano dove, a differenza dell’area del Vallo, i resti di un focolare e abbondanti frammenti di ceramica da mensa e da dispensa, destinata al consumo del pasto sacro, sono stati rinvenuti all’interno di una sala bipartita (vani C e D), contigua al sacello (l’oikos quadrato) e funzionale alla preparazione dei cibi e all’espletamento del banchetto rituale da parte di alcuni membri della comunità: cfr. E. Greco, In Lucania: ruoli dei sessi e istituzioni politico-religiose (a proposito del santuario di Torre di Satriano), «DialA» 9 1991, pp. 75-83, in particolare p. 80; Rituali per una dea Lucana, pp. 33-38, figg. 2021; Osanna 2005, p. 433, che, riprendendo un’ipotesi di E. Greco, non esclude che tale sala, oltre alle funzioni già menzionate, potesse essere destinata anche alla “deposizione” originaria degli oggetti rituali e votivi. 32 S. Guettel Cole, The uses of water in Greek Sanctuaries, in R. Hägg (a cura di), Early Greek cult practice, Proceedings of the Fifth International Symposium at the Swedish Institute at Athens, 26 - 29 June, 1986 (Skrifter utgivna av Svenska institutet i Athen 4º, 38), Stockholm 1988, pp. 161-165. 33 Cfr. infra. 34 Lo Porto riferì di aver rinvenuto l’antefissa durante lo scavo degli edifici A e B: Lo Porto 1961, p. 141, fig. 27. SIRIS 9,2008 Studi e ricerche della Scuola di Specializzazione in Beni Archeologici di Matera - ISBN 978-88-7228-566-4- © · Edipuglia s.r.l. - www.edipuglia.it 40 Laura D’Esposito - Giusj Galioto flettere sulle dinamiche di trasformazione, concernenti la sfera religiosa della comunità della polis eracleota, avviate in seguito alla penetrazione dell’elemento lucano 35. Sebbene le fonti letterarie non forniscano notizie dettagliate per la fase lucana, è possibile ricostruire per grandi linee il quadro storico degli eventi che coinvolsero Eraclea nell’avanzato IV sec. a.C. 36. Sappiamo, grazie a Strabone 37, che le pressioni dei Lucani e dei Messapi avevano costretto Taranto a chiedere l’aiuto di Alessandro il Molosso, il quale giunto in Magna Grecia era riuscito, come tramanda Livio – che redasse una sorta di rassegna delle gesta italiote del Molosso 38 –, a liberare dai Lucani la città di Eraclea 39, colonia dei Tarantini. Anche se rimane solo una suggestione, non sembra forzato il legame tra il suddetto avvenimento storico e l’abbandono dell’oikos collocabile, grazie ai materiali ceramici rinvenuti al suo interno, entro i primi decenni del III sec. a.C. Della seconda fase monumentale del Vallo conosciamo solo il terminus post quem offerto dall’abbandono dell’oikos. La ristrutturazione del complesso architettonico fu intrapresa, verosimilmente, durante un’epoca di grandi trasformazioni sociali e politiche per la polis eracleota, di cui abbiamo eco nelle fonti letterarie, le quali attestano la stipula di un foedus prope singulare nel 278 a.C. tra Eraclea e Roma 40. La prima metà del III sec. a.C. fu, quindi, contrassegnata da un netto mutamento dell’organizzazione politica 41 e potrebbe essere allettante – anche se non si può escludere che alle motivazioni politico-religiose si siano sommate reali preoccupazioni di ordine statico e strutturale per far fronte allo smottamento del terreno – l’ipotesi che il nuovo scenario, creatosi all’indomani del foedus, permise l’avvio del consi- stente rifacimento del complesso architettonico del Vallo. La planimetria e la presenza nella struttura B della banchina, forse destinata all’alloggiamento della statua di culto 42, e molti elementi dell’edificio A, tra cui la posizione isolata al centro dell’area, la presenza dei due vani probabilmente comunicanti 43, la sovrapposizione ad un edificio di culto più antico e il rinvenimento al suo interno di un disco fittile 44, consentono di ipotizzare una destinazione sacra dei due edifici, nonostante l’assenza di materiali votivi sicuramente riferibili ad essi imponga una certa cautela. Riguardo alla destinazione d’uso della struttura occidentale, pur in mancanza di dati sicuri, non sembra troppo azzardato proporre un suo utilizzo come edificio funzionale all’espletamento dei rituali connessi al culto, i quali dovevano comprendere il momento del banchetto successivo a quello del sacrificio. Purtroppo nulla si può aggiungere su questa fase 45, ma che nell’area del Vallo si svolgessero pasti rituali è del resto accertato da alcuni rinvenimenti ceramici (fig. 8, nn. 2, 3, 5; fig. 9, nn. 16-17; fig. 10, n. 18), dal disco fittile 46 e dalla presenza di diversi frammenti di grattugie di bronzo, elementi accessori del vasellame da simposio 47, che dimostrano il perpetuarsi di una consuetudine presente, come visto, fin dalla prima fase di vita del complesso. L’esito di questa trasformazione sarebbe dunque l’abbandono del modello architettonico-cultuale lucano, una dislocazione più specializzata delle attività cultuali, con la costruzione dei due edifici rettangolari, A e B, e di quello occidentale, destinato con ogni probabilità al banchetto, ma probabilmente anche la stabilizzazione di una seconda personalità divina come dimostra la presenza dei due sacelli. 35 A tal proposito si è parlato di “lucanizzazione” strisciante, ma non violenta: Giardino 1999, pp. 335-336. 36 Prandi 2008, pp. 16-17. 37 Strabone, VI, 3-4. 38 Livio, VIII 24, 4. 39 Al periodo della presenza di Alessandro il Molosso in Magna Grecia è datato il tipo monetale eracleota raffigurante Eracle stante, con clava e leonté e l’arco in mano, incoronato da una Nike che potrebbe alludere alla città liberata dalla dominazione lucana: A. Siciliano, La documentazione numismatica, in Eraclea, pp. 97-114, in particolare p. 111, tav. XXIX, 35. 40 Cicerone, Balb. 21, 50; Arch. 6. Il foedus fu il risultato di scelte operate all’interno della polis all’indomani delle vicende della guerra pirrica e rimase valido anche in seguito alla breve defezione del 212 a.C.: Prandi 2008, p. 17. 41 Giardino 1985, p. 113; Bianco 1999, p. 67; Gualtieri 2003, p. 28. Osanna 2008, p. 50. La struttura si conserva a livello di fondazione e, anche se non è possibile individuare una soglia, non si può escludere che i due vani fossero comunicanti. 44 Cfr. infra. 45 Lo scavo effettuato per tagli non permette purtroppo di associare il materiale ceramico alle strutture murarie di seconda fase. 46 Tali oggetti di produzione eracleota vengono interpretati come probabili stampi per focacce sacre consumate nell’ambito di pasti comuni permeati da una forte valenza religiosa e politica: Pianu 1998, p. 222. 47 P. Bottini (a cura di), Il museo archeologico Nazionale dell’Alta Val d’Agri, Lavello 1997, p. 91, n. 21: l’esemplare, pur provenendo da necropoli, è associato ad un corredo ceramico che richiama l’ideologia del banchetto. 42 43 SIRIS 9,2008 Studi e ricerche della Scuola di Specializzazione in Beni Archeologici di Matera - ISBN 978-88-7228-566-4- © · Edipuglia s.r.l. - www.edipuglia.it Nuove ricerche sui culti Emiliano di Eraclea: Cruccas l’area sacra del c.d. Vallo 41 L’ultima fase (fig. 6), la più monumentale, corrispose ad una risistemazione generale dell’area del Vallo secondo le nuove concezioni planimetriche di età ellenistica 48. Il nucleo cultuale era costituito, come nella fase precedente, dai due sacelli A e B, mentre l’edificio C, con i suoi tre vani uguali, preceduti verosimilmente da un portico, e l’ambiente angolare, più profondo e bipartito, era funzionale quasi certamente, come la struttura che lo aveva preceduto, alla preparazione e allo svolgimento dei banchetti. L’ampiezza di ciascuno dei tre ambienti quadrangolari alle spalle della stoà è tale, infatti, da permettere la sistemazione di sette klinai 49 e l’accorgimento della soglia leggermente decentrata, caratteristico degli andrones 50, potrebbe corroborare questa interpretazione 51. Dal punto di vista planimetrico l’edificio C richiama la struttura con vani paratattici, destinata ai banchetti rituali e allo stoccaggio delle derrate alimentari, rinvenuta sulla terrazza superiore del santuario lucano di Armento monumentalizzato nel corso del III sec. a.C. 52 e, in modo notevolmente semplificato, esso sembra evocare le tendenze architettoniche espresse in maniera macroscopica e più articolata in numerosi contesti di età classica ed ellenistica di ambito greco, tra cui sembra opportuno ricordare il Pompeion del Ceramico di Atene 53, l’Artemision di Brauron 54, l’Artemision di Delo 55, l’Asklepieion di Corinto 56, l’Athenaion sull’acropoli di Lindo 57, i santuari di Zeus a Labraunda 58 e di Demetra a Pergamo 59. Negli ambienti quadrangolari del complesso del Vallo la presenza dei banchettanti doveva essere limitata, com’è dimostrato dal numero complessivo dei posti disponibili all’interno dei tre ambienti (ventuno klinai in totale). Quasi certamente dovevano esistere delle priorità o criteri di selezione; si potrebbe pensare anche all’esistenza di turnazioni, come è stato ipotizzato per il Pompeion di Atene e l’Artemision di Brauron 60, ma è chiaro che quanto proposto rimane una semplice ipotesi per l’assenza di specifiche fonti epigrafiche o letterarie. Riguardo al vano rettangolare bipartito, ubicato all’estremità sudoccidentale della stoà, si potrebbe supporre un uti- Winter 2006, pp. 50-70, in particolare pp. 50-51. Le stanze da banchetto erano rettangolari o più frequentemente quadrangolari di m 4,50 o 6,50 per lato a seconda che dovessero ospitare, rispettivamente, sette o undici klinai. Esse si caratterizzavano inoltre per una disposizione paratattica e solitamente erano precedute da un portico o si affacciavano su un peristilio, dove i banchettanti si riunivano prima o dopo i pasti rituali: G. Roux, Salles de banquets à Délos, in Etudes déliennes publiées à l’occasion du centième anniversaire du début des fouilles de l’Ecole française d’Athènes à Délos («BCH», Suppléments, 1), Athènes 1973, pp. 525-544, in particolare pp. 538-540, 544-546; Bergquist 1990, pp. 37-39, tav. I,a; Leypold 2008, pp. 176-180, 185-187. 50 L’ingresso decentrato permetteva di isolare i banchettanti dalla vista dei frequentatori del santuario: per la caratteristica planimetria delle stanze da banchetto ved. Tomlinson 1995, p. 38; L.C. Nevett, House and Society in the Ancient Greek World, Cambridge 1999, in particolare p. 72; Leypold 2008, pp. 152-156. 51 Un altro elemento a supporto di tale ipotesi potrebbe essere costituito dai lembi dei piani pavimentali, di ciottoli e terra battuta, rinvenuti all’interno dei vani durante gli scavi Neutsch (Müller-Dürr 1996, pp. 83-84), ma naturalmente l’assenza di scavi stratigrafici impone una certa prudenza. È noto, infatti, che le sale da banchetto erano dotate di pavimentazioni, realizzate di norma con ciottoli o lastre lapidee, resistenti all’acqua e facilmente lavabili: Leypold 2008, pp. 163-164. 52 Russo 1999, p. 112; Russo Tagliente 1996, pp. 190-194; 2000. 53 L’edificio presenta su due lati del peristilio sei ambienti, le cui dimensioni non sono uniformi: due misurano m 4,50 per lato, due m 6,50 e due m 8,15. Le sale erano destinate al simposio e dotate rispettivamente di sette, undici e quindici klinai: Coulton 1976, p. 226; Bergquist 1990, p. 38, tav. I; pp. 50, 52, tav. 4; Tomlinson 1995, pp. 41-42, fig. 23; Leypold 2008, pp. 40-48, tavv. 20-28. I nove vani quadrangolari, rinvenuti sui lati settentrionale e occidentale del portico, erano stati dapprima interpretati come celle per le arktoi (J. Papadimitriou, Βραυρών, «Ergon» 1961, pp. 20-37, in particolare p. 24), ma la peculiare planimetria con soglia decentrata e il rinvenimento in situ di klinai in poros e trapezai hanno suggerito una loro più verosimile destinazione come hestiatoria. Ciascuno dei vani, di m 6,50 per lato, poteva ospitare undici klinai. Rimane di difficile interpretazione il vano più meridionale di minori dimensioni, forse un semplice deposito: Coulton 1976, pp. 226-227; Bergquist 1990, p. 38, tav. I; Giuman 1999, pp. 29-32, 159; Leypold 2008, pp. 48-52, tavv. 29-33. 55 Bergquist 1990, p. 38, tav. I. 56 Nell’Asklepieion sono stati individuati tre vani quadrangolari, di m 6,50 di lato, destinati a contenere undici klinai: Coulton 1976, p. 227; Bergquist 1990, p. 38, tav. I; Leypold 2008, pp. 7984, tavv. 61-63. 57 L’andron, ricordato dalle fonti epigrafiche, è stato riconosciuto nelle tre stanze che costituivano l’ala meridionale del portico a paraskenia. I vani, di forma quadrangolare, misurano m 5,50 per lato e sono ubicati all’interno di un’area destinata alle funzioni più importanti della vita sacra e istituzionale del santuario: Coulton 1976, pp. 251-252; E. Lippolis, Il santuario di Athana a Lindo, «ASAtene» LXVI-LXVII 1988-1989, pp. 97157, in particolare pp. 124-126, 136, 139; Winter 2006, pp. 12, 25, fig. 29. 58 Sei vani quadrangolari, preceduti da un portico, sono stati rinvenuti nella parte orientale del santuario. L’edificio era destinato ai banchetti rituali: Leypold 2008, pp. 98-100, 177, tavv. 7679 b. 59 Si tratta delle quattro stanze da banchetto, di forma quadrangolare, ubicate alle spalle della stoà occidentale. Le stanze potevano ospitare sette klinai: Leypold 2008, pp. 119-122, 177, tavv. 95-98. 60 Giuman 1999, p. 158. 48 49 54 SIRIS 9,2008 Studi e ricerche della Scuola di Specializzazione in Beni Archeologici di Matera - ISBN 978-88-7228-566-4- © · Edipuglia s.r.l. - www.edipuglia.it 42 Laura D’Esposito - Giusj Galioto lizzo come ambiente di servizio, ma non possediamo attualmente elementi sicuri a supporto di tale ipotesi né siamo in grado di chiarire il rapporto tra i due vani, dal momento che l’apertura che li mette in comunicazione sembra essere di un’ampiezza troppo esigua per poter costituire la soglia d’ingresso. I dati a disposizione non permettono purtroppo di comprendere neppure la funzione dell’ambiente pavimentato ubicato nell’angolo nord-occidentale dell’edificio C; i limiti del possibile vano non sono perfettamente leggibili, ma le dimensioni, come detto sopra, sono simili a quelle delle tre stanze attigue. Le strutture costruite durante l’ultima fase di vita del santuario si presentano, a nostro parere, come il risultato di un programma edilizio coerente ed unitario e consentono di immaginare un’organizzazione più scenografica dell’intero contesto architettonico e una maggiore enfatizzazione degli spazi, entro cui dovevano avere luogo le pratiche rituali e cerimoniali. Dello spazio santuariale è certo il limite settentrionale, rappresentato dal lungo muro di temenos e di contenimento 61, mentre ignoriamo, per la parzialità dello scavo, come l’area sacra si articolasse verso est, ma è del tutto probabile che gli altari dei due edifici di culto e l’ingresso principale ricadessero appunto in questa zona rivolta verso la fronte dei sacelli e prossima al fondovalle, dove verosimilmente si snodava un percorso che attraversava longitudinalmente la valletta e collegava le aree sacre in essa ubicate. Per ciò che riguarda più specificatamente la sfera rituale, anche se i dati a disposizione non permettono di trarre conclusioni definitive, sembra che i momenti salienti dell’espletamento del culto non abbiano subito profondi mutamenti nel corso del tempo ed è pro- vato che, almeno nell’ultima fase, fossero previsti percorsi privilegiati all’interno dell’area sacra, come testimonia il rinvenimento della lunga via acciottolata sul lato meridionale 62, e vari apprestamenti cultuali, tra cui la fossa ubicata nello spazio tra il sacello B e l’edificio C, ma volta significativamente verso quest’ultimo. La struttura, interpretabile come un’eschara per la scarsa profondità e la presenza di almeno tre strati cinerosi 63, venne chiusa tra il II ed il I sec. a.C. durante l’ultima fase di vita del complesso sacro 64. È ragionevole ipotizzare, anche in assenza di dati epigrafici e letterari, che responsabile del restyling ellenistico, avviato durante la seconda fase di vita del santuario, fu l’élite locale che dalla conclusione del foedus aveva sostenuto l’apertura di Eraclea nei confronti di Roma 65. Sembra verosimile che, attraverso la promozione di interventi edilizi plateali e grazie all’adozione di soluzioni architettoniche innovative, i notabili eracleoti intendessero sia sottolineare la propria posizione sociale e autorappresentarsi di fronte all’intera comunità civica, che dimostrare alla potenza romana di essere degni interlocutori 66. Tale lettura interpretativa spiegherebbe l’esigenza della realizzazione, probabilmente già durante la seconda fase di vita del complesso, di apposite sale destinate al banchetto, che in età ellenistica era diventato un mezzo privilegiato di cui si serviva l’élite cittadina per la propria promozione politica e sociale 67. I dati fin qui esposti supportano decisamente, a nostro parere, l’ipotesi, sostenuta da alcuni studiosi 68, di una destinazione sacra del complesso architettonico del Vallo, nonostante di recente la Müller-Dürr, sulla base dell’abbondante presenza di ceramica d’uso comune, ne abbia proposto più genericamente una funzione pubblico-sacrale 69. Nava 2003, p. 965; Osanna 2008, pp. 48-50. Un percorso pavimentato all’interno di un’area sacra è stato rinvenuto nei santuari di Armento (Russo Tagliente 1996, pp. 190-191; Russo 1999, p. 112; Russo Tagliente 2000) e di Torre di Satriano (Osanna 2005, p. 435). 63 La struttura era stata interpretata dopo le indagini del 2003 come un bothros. In contesti sacri l’eschara costituisce un chiaro indizio della consumazione di pasti rituali: M. Osanna, T. Giammatteo, Azioni rituali e offerte votive, in Rituali per una dea lucana, pp. 107-122, in particolare pp. 116-117; Burkert 20032, p. 380; Leypold 2008, pp. 165-167. 64 Il terminus post quem è offerto dai due unguentari fusiformi riconducibili al Tipo IV-VII Forti e alla forma B Camilli: L. Forti, Gli unguentari del primo periodo ellenistico, «RendNap» XXXVII 1962, pp. 143-155; A. Camilli, Ampullae, Roma 1999, pp. 114-115, tav. 33, serie 62.1. 65 Gualtieri 2003, p. 28. L’alleanza tra Eraclea e Roma ebbe una durata di quasi due secoli: Prandi 2008, p. 17. 66 Il fenomeno dell’autorappresentazione delle élites è noto in numerosi contesti, sia di ambito privato che pubblico, del mondo ellenistico e romano: M. Cébeillac Gervasoni et alii, Autocélébration des élites locales dans le monde romain. Contexte, texte, images (IIe s. av. J.-C.-IIIe s. ap. J.-C.) («Collection Erga» 7), Clermont-Ferrand 2004. 67 Schmitt Pantel, Lissarague 2004, pp. 241-242. 68 Neutsch parla genericamente di strutture “dalla strana forma templare” o di botteghe legate ad un complesso sacro (B. Neutsch, Atti Taranto V 1965, pp. 282-285, in particolare p. 285; Documenti artistici del Santuario di Demetra a Policoro, Atti Taranto XX 1980, pp. 149-173, in particolare pp. 153-155); Adamesteanu 1974, p. 97; D. Adamesteanu, Heraclea, in S. Bianco, M. Tagliente (a cura di), Il Museo Nazionale della Siritide di Policoro. Archeologia della Basilicata meridionale, Bari 1985, pp. 93-102, in particolare p. 102; Giardino 1998, pp. 187-188; Osanna 2008, pp. 47-51. 69 Müller-Dürr 1996, p. 89. 61 62 SIRIS 9,2008 Studi e ricerche della Scuola di Specializzazione in Beni Archeologici di Matera - ISBN 978-88-7228-566-4- © · Edipuglia s.r.l. - www.edipuglia.it Nuove ricerche sui culti Emiliano di Eraclea: Cruccas l’area sacra del c.d. Vallo A C B E D Fig. 7. - Eraclea. Valletta mediana, area del Vallo: a) antefissa a maschera ellissoidale raffigurante Artemis Bendis; b) disco fittile con simboli di divinità rinvenuto all’interno dell’edificio A; c) placchetta di bronzo con occhi a rilievo; d) pinax con figura di offerente rinvenuto all’interno dell’edificio C; e) frammento di rilievo di terracotta raffigurante parte della testa di un cervide. (G. G.) 43 retro cavo, in cui la dea figura stante, su base aggettante, vestita con chitoniskos, apoptygma in vita, himation e, sul capo, un berretto di tipo frigio e leonté le cui zampe poggiano sulle spalle. Il braccio destro regge un cerbiatto volto a destra e la mano sinistra tiene l’arco ritorto lungo sino ai piedi; vicino alla gamba destra è rappresentato un animale dal lungo collo e testa tondeggiante, interpretato come cane o più probabilmente pantera 71. In generale si nota una resa poco accurata dei particolari anatomici e l’uso di matrici stanche il cui esito è un rilievo appiattito e una qualità stilistica mediocre. I rilievi, di cui rimangono minuti frammenti, conservano solo in pochi casi le tracce della scialbatura e della decorazione policroma. Sebbene si tratti di tipi notevolmente standardizzati, si può proporre, sulla base della resa stilistica dei manufatti, una datazione inquadrabile tra la seconda metà del IV ed i primi decenni del III sec. a.C. 72. Oltre che nei rilievi figurati, Artemide ricorre in un’antefissa (fig. 7a) che la ritrae con il consueto copricapo frigio e la leonté, confrontabile con altri esemplari rinvenuti in area eracleota 73, ma che nella fattispecie potrebbe essere un elemento fortemente indicativo per l’identificazione del culto. Il rinvenimento effettuato da Lo Porto, durante gli scavi che interessarono le strutture più recenti dell’area del Vallo, suggerisce che tale elemento architettonico, databile tra il IV ed i primi decenni del III sec. a.C., venne riutilizzato probabilmente fino alle ultime fasi di vita del santuario. Pendant all’antefissa è un frammento di protome che sembrerebbe pertinente ad un cervide (fig. 7e), forse un cerbiatto, animale tradizionalmente sacro ad Il culto Passando ora ad esaminare i reperti mobili ci soffermeremo in particolare su quelli coroplastici, relativi per la stragrande maggioranza alla prima fase di vita del santuario, il cui esame iconografico, in associazione allo studio delle diverse tipologie di ex voto e oggetti rituali, ha fornito dati interessanti per l’identificazione della titolarità del culto. Tra le terrecotte figurate il tipo numericamente più attestato, nei depositi relativi alla più antica fase edilizia, è quello riconducibile all’iconografia di Artemis Bendis 70, cui sono attribuibili trentatré frammenti che la ritraggono nella consueta posa da cacciatrice. Si tratta di piccoli rilievi realizzati a matrice, con 70 Il culto di Artemide, assimilato alla dea tracia Bendis, sembra diffondersi ad Atene a partire, sicuramente, dal 484 a.C. Da qui sarebbe arrivato, tramite Taranto, in diverse città della Magna Grecia (Rüdiger 1967, p. 357; Lippolis 1995, pp. 59-60; 2005, pp. 95-96); E. Curti propone piuttosto Thurii come centro diffusore sulla base della partecipazione ateniese nella sua fondazione (Curti 1989, p. 30). 71 Neutsch 1967, pp. 167-169, tav. 28,1-3; Rüdiger 1967, pp. 340- 353, figg. 22-23; Letta 1968, p. 305 sgg.; 1971, p. 122; Curti 1989, pp. 23- 30, tav. I,1-2; Lippolis 1995, pp. 59-60, tav. XIX,4; Abbruzzese Calabrese 1996, pp. 189-206; Pianu 2002, pp. 68, 75, figg. 26a-b, 27b, 31-32; Calabria 2005, pp. 73-82, figg. 5-15; Lippolis 2005, pp. 95-102, figg. 4-7; Tagliente 2005, pp. 119-123, figg. 10-11. 72 Il tipo, diffuso nelle colonie greche d’Occidente a partire dalla fine del V-inizi IV sec. a.C., sembra presente nei depositi votivi fino agli inizi del III sec. a.C.: Rüdiger 1967, p. 351; Curti 1989, pp. 29-30; Pianu 2002, pp. 96-97. 73 Neutsch 1967, pp. 140, 150, n. 2, tav. 37,1, 3. SIRIS 9,2008 Studi e ricerche della Scuola di Specializzazione in Beni Archeologici di Matera - ISBN 978-88-7228-566-4- © · Edipuglia s.r.l. - www.edipuglia.it 44 Laura D’Esposito - Giusj Galioto Artemide 74 sia per l’attinenza col mondo della caccia, che per il riferimento al mondo femminile, essendo le fanciulle comunemente assimilate alle cerbiatte 75. La netta preponderanza numerica degli esemplari riconducibili all’imagerie di Artemide, rilevata in maniera evidente dall’esame autoptico dei materiali coroplastici, ne fa, con buone probabilità, la principale destinataria del culto, frequentemente attestato in poleis magno-greche come Metaponto 76 e Taranto 77 e in diversi centri lucani in cui la dea sembra essere l’unica divinità venerata, come S. Chirico Nuovo 78 e Grumentum 79, o si trova affiancata ad altre figure divine in virtù proprio delle sue molteplici sfere d’azione, come suggeriscono i ritrovamenti di S. Maria D’Anglona, davanti al santuario di Demetra 80, Timmari 81 e Chiaromonte 82. Anche nel pantheon eracleota la presenza della dea è accertata da tempo 83, come indicano l’iscrizione rinvenuta nella zona del Castello dedicata ad Artamis Sotera 84, due grandi depositi votivi, di cui ha dato una breve notizia Neutsch 85, rinvenuti alle pendici sud-occidentali della collina del Barone e l’associazione a Demetra nel vicino santuario sul pendio meridionale della collina 86. Tenendo presente la personalità fortemente eclettica di Artemide, tra gli aspetti salienti della figura divina è opportuno sottolineare la sua stretta relazione con il mondo femminile, che ne faceva la garante delle donne in tutti i momenti del processo riproduttivo: il menarca, la vigilia del matrimonio, il periodo tra il matrimonio e la prima gravidanza, la gravidanza e il parto 87, cui doveva accompagnarsi un rito di pu- rificazione necessario per la reintegrazione nella società 88. Le singole tappe di tale processo di maturazione femminile erano celebrate con cerimonie che, come nel più noto caso di Brauron in Attica, erano principalmente connesse al passaggio dall’età infantile a quella adulta, quando la fanciulla, abbandonato lo stato “selvaggio”, veniva “addomesticata” e preparata al matrimonio inteso come legittimazione dell’appartenenza alla comunità della polis 89. Per questa ragione la costante presenza, nei rilievi rinvenuti nell’area del santuario del Vallo, di cerbiatti e pantere accanto ad Artemide costituirebbe un forte richiamo al suo carattere ancestrale di potnia theròn 90, ma al contempo suggerirebbe un collegamento con la sfera iniziatica, in quanto le vergini erano assimilate ad animali selvatici. Anche il pericoloso momento del parto – per l’alto rischio di morte corso sia dalla madre che dal nascituro 91 – era presieduto da Artemide 92, “dea vergine”, che tuttavia è nota con gli epiteti di Lousizonou “colei che scioglie la cintura” 93 e di Lochia “colei che favorisce il parto” 94, poiché secondo il mito avrebbe aiutato la madre Latona a partorire Apollo 95. Si comprende così la valenza liminare della dea, capace di preservare il delicato confine tra il “selvaggio” e il “civile”, in un momento, come il parto, che da un lato svelava l’aspetto animalesco della femminilità e dall’altro rappresentava il termine ultimo del percorso attraverso cui la donna, sposa e madre, otteneva la piena socialità 96. È nota, specialmente attraverso gli Inventari Brau- ~ ια: contribution à l’étude de la place 74 L. Bodson, ’Ιερά ζω de l’animal dans la religion grecque ancienne, Liége 1978, p. 93 sgg.; Bevan 1986, pp. 100-109. 75 Y. Morizot, Autour d’un char d’Artémis, in Άγαθός δαίμων, Mythes et cultes. Ètudes d’iconographie en l’honneur de Lilly Kahil («BCH» Suppl. 38), Paris 2000, pp. 383-392, in particolare pp. 387-392; Portale c.d.s., p. 7. 76 Calabria 2005, pp. 73-82. 77 Lippolis 1995, pp. 59-60; 2005, pp. 95-101. 78 Tagliente 2005, pp. 120-123. 79 Vedi la stipe di S. Marco: Bottini 2005, p. 189, fig. 10. 80 U. Rüdiger, S. Maria d’Anglona-Scavi nell’anno 1967, «NSc» XXIII 1969, pp. 171-197; Curti 1989, p. 28. 81 Russo 1999, p. 119; Tagliente 2005, p. 123. 82 Santuario dalle evidenti funzioni salutari: Russo 1999, p. 123. 83 Curti 1989, pp. 23-24; Pianu 2002, pp. 96-99. 84 Lo Porto 1961, p. 138; Neutsch 1967, p. 137, tav. 14,1-2. 85 I due depositi hanno restituito centinaia di frammenti di rilievi con Artemis Bendis del tutto simili a quelli ritrovati nel santuario del Vallo. Neutsch 1967, p. 163. 86 Pianu 1989, p. 109; Tagliente 2005, p. 123; Otto 2008, pp. 81-82. 87 Giuman 1999, p. 243; Calame 2002, pp. 57-61; Guettel Cole 2004, pp. 209-213. 88 Portale c.d.s., pp. 35-42. 89 Sul ruolo liminare di Artemide: Solima 1998, p. 398; Giuman 1999, pp. 236-246; Calame 2002, pp. 55-57; Portale c.d.s., p. 7. 90 Cfr. Omero, Il., XXI, 470. Sull’argomento Burkert 20032, p. 298; Brulé 1998, p. 23 sgg. 91 Per il legame con l’ambito funerario determinante è l’associazione Artemis-Hekate: ved. Curti 1989, p. 25; Calabria 2005, p. 77. 92 Secondo Erodoto (I 107, 196, 202) e Senofonte (Cyr., IV 6, 9) Artemide è la divinità che protegge il bambino e la donna durante il delicato momento del parto. Cfr. Barra Bagnasco 1999, p. 47, nota 92; J.P. Vernant, Figure, idoli, maschere. Il racconto mitico, da simbolo religioso a immagine artistica, Milano 2001, pp. 137-138; Lippolis 2005, pp. 98-99; Tagliente 2005, p. 123 con bibliografia precedente. 93 Scolia Apollonio Rodio, Argon., I 288. 94 Polibio 268. Ved. Giuman 1999, pp. 56-61. 95 Esiodo, Th., 404 sgg.; Scolia Apollodoro I 308; Omero, Hymn. ad Art., I 62; Callimaco, Hymn., 4; Igino, Fab., 40. 96 Vernant 1987, pp. 22-26; Giuman 1999, p. 47. SIRIS 9,2008 Studi e ricerche della Scuola di Specializzazione in Beni Archeologici di Matera - ISBN 978-88-7228-566-4- © · Edipuglia s.r.l. - www.edipuglia.it Nuove ricerche sui culti Emiliano di Eraclea: Cruccas l’area sacra del c.d. Vallo 45 ronii, la consuetudine di consacrare ad Artemide varie offerte legate a cerimonie di passaggio tra cui vesti e tessuti di vario genere a cui se ne affiancavano altre costituite da semplice lana, da filo da trama e da strumenti funzionali alla lavorazione dei tessuti 97. A questa pratica rituale è alquanto attraente la possibilità di ricollegare il rinvenimento nel santuario del Vallo, in livelli relativi alle diverse fasi edilizie, di un rocchetto e di un nutrito gruppo di pesi da telaio e oscilla, molti dei quali contrassegnati da bolli, in parte leggibili, con diversi segni come croci e rosette. Peculiari sono un peso troncopiramidale, decorato con un meandro a rilievo, ed un oscillum con la raffigurazione del volto di un sileno con bocca a tromba. La dedica di terrecotte a soggetto teatrale è nota per tutta l’età ellenistica, specialmente in ambito funerario; tuttavia la presenza, in contesti santuariali di IV e III sec. a.C., di immagini grottesche, sileniche e di attori, ha permesso di ipotizzare una frequentazione giovanile nell’ambito di riti di passaggio all’età adulta in rapporto con diverse divinità, non esclusivamente Dioniso, per eccellenza nume tutelare del processo di formazione del giovane tramite l’apprendimento dell’ars teatrale 98. Il riferimento a quest’ambito rende probabile un collegamento tra simili raffigurazioni a soggetto teatrale e particolari rituali di iniziazione e di passaggio all’età adulta sia maschili che femminili, come testimonierebbe, nel caso del Vallo, la presenza di una maschera silenica su un oggetto prettamente riconducibile al mundus muliebris come l’oscillum. L’offerta simbolica di strumenti legati alla filatura e alla tessitura, in particolare da parte di fanciulle prossime al matrimonio, rappresentava la volontà di porre sotto la tutela della divinità l’attività muliebre per eccellenza 99. A questo proposito sono emblematici gli epiteti Chitonea 100 e Chryselakatos, attribuito ad Artemide nell’Inno omerico in suo onore 101 e nell’Epinicio di Bacchilide per Alexidamos di Metaponto 102, che significa tanto “dalla conocchia d’oro” quanto “dalle frecce d’oro” 103. Di più controversa interpretazione risultano alcuni frammenti di rilievi in cui è possibile riconoscere una figura femminile che regge una fiaccola, oggetto comunemente associato a Demetra 104. Sembra verosimile l’identificazione con Artemide, spesso assimilata con Hekate 105 e nota anche con l’appellativo di Phosphoros 106; tale ipotesi è ulteriormente suffragata dal racconto di Pausania che narra di aver visto, nel santuario arcadico di Déspoina, il simulacro di Artemide che teneva una fiaccola 107. Questo tipo di attributo, nel contesto in questione, si carica di molteplici valenze: la fiaccola, infatti, costituisce un forte simbolo ctonio, che può rappresentare il momento della nascita inteso come “venire alla luce”, ma anche il successivo rito di purificazione di cui le fiamme costituiscono il simbolo per eccellenza 108; d’altra parte, secondo una diversa ipotesi di lettura potrebbe evocare piuttosto, in virtù della forza vitale del fuoco, un richiamo alla sfera della fertilità 109. Indiscusso resta certamente il legame tra la fiaccola e i riti iniziatici, in particolare quelli nuziali 110, con un probabile impiego funzionale in occasione di celebrazioni notturne 111. In un simile contesto iniziatico non sorprende la presenza di attributi come il maialino e lo skyphos nel thymiaterion plastico raffigurante Bes, attribuibile sempre ad un livello della prima fase di vita del santuario, ma proveniente da un contesto ignoto; l’offerta del maialino potrebbe rappresentare, infatti, piuttosto che la dedica di una generica vittima sacrificale, il simbolo della fertilità invocata dalle giovani donne 112. Esclusivamente a riti prenuziali rimanda l’offerta propiziatoria di votivi che simboleggiavano l’abban- Giuman 1999, p. 56, nota 15 con bibliografia precedente. Todisco 2005, pp. 717-721. 99 Giuman 1999, p. 208; Russo 1999, p. 113. 100 L’epiclesi è nota a Siracusa e a Mileto. Per l’Artemis Chitonea di Siracusa cfr. Ateneo, XIV 629e; Stefano di Bisanzio, s.v. Χιτώνη. 101 Omero, Hymn. ad Art., I. 102 Bacchilide, Epin., XI 10. 103 Portale c.d.s., p. 11. 104 Vedi esemplari eracleoti di Demetra con fiaccola e porcellino in Neutsch 1967, p. 167 sgg.; Otto 2005, pp. 12-13, fig. 17; Otto 2008, p. 78. 105 Esiodo riporta l’appellativo di κουροτρόφος sia per Ar- temide che per Hecate (Esiodo, Th., 450); sulla commistione di Artemide-Hecate: Bevan 1986; Curti 1989, p. 26; Brulé 1998, p. 31; Solima 1998, p. 393; Calabria 2005, p. 77. 106 Solima 1998, p. 393; Parisinou 2000, pp. 151-156, per il rapporto Artemis Bendis-fiaccola in particolare pp. 36-39. 107 Pausania, VIII 31,1. 108 Parisinou 2000, pp. 45-49; Portale c.d.s., p. 8. 109 Giuman 1999, p. 199. 110 Nei riti prenuziali la presenza della fiamma sembra alludere alla purezza delle fanciulle devote ad Artemide: Parisinou 2000, pp. 51-54. 111 Portale c.d.s., pp. 8-9. 112 Merker 2000, p. 118 sgg. 97 98 SIRIS 9,2008 Studi e ricerche della Scuola di Specializzazione in Beni Archeologici di Matera - ISBN 978-88-7228-566-4- © · Edipuglia s.r.l. - www.edipuglia.it 46 Laura D’Esposito - Giusj Galioto dono dello status infantile e l’avvenuta maturazione sessuale, la cui presenza nel santuario del Vallo è indiziata da un frammento di bambola ad arti snodabili 113 e dalla presenza sporadica dell’iconografia della c.d. “pupa” che rappresenta una figura femminile nuda seduta su un trono e, in una fase successiva, dalle c.d. Tanagrine, simbologia più “neutra” della fanciulla in età da marito 114. Più genericamente legati al mondo muliebre sono poi una serie di votivi come statuette panneggiate 115, assise ed in trono, busti e protomi, lekanai a vernice nera, pissidi e, tra gli oggetti di bronzo, un piccolo specchio e parte di una fibula, da ritenere strettamente legata alla dedica di vesti e che, in quanto oggetto di ornamento personale, rafforzava il legame tra l’offerente e la divinità 116. Oltre ai frammenti, sopra ricordati, di più generiche offerte votive, la maggior parte delle quali riferibili, come risulta evidente, alla sfera femminile, sono poi presenti alcune figure maschili di banchettanti e due di guerriero riconducibili a contesti sempre di prima fase. Tra i recumbenti il tipo più attestato è quello barbato, riconoscibile in quattro frammenti, con diadema a cercine, bende, rosette e palmetta. Solo due frammenti appartengono al tipo imberbe e infine in un caso si è identificata la figura femminile con bambino che talora affiancava il banchettante in posizione marginale. L’iconografia del recumbente, ricondotta a svariate sfere cultuali, tanto maschili quanto femminili 117, al pari dell’immagine del guerriero che evoca virtù legate all’attività militare 118, esprime verosimilmente l’autorappresentazione del polites che offrendo se stesso alla divinità celebra la propria appartenenza alla comunità 119. Anche a prescindere dalla possibile doppia titolarità delle fasi seconda e terza, suggerita dalla presenza di due sacelli, non sorprende, neanche nella fase originaria con un unico edificio sacro, il rinvenimento di terrecotte votive legate al mondo maschile dal momento che Artemide, in quanto kourotróphos 120, era protettrice di tutti i piccoli, fossero essi maschi o femmine; la dea li preparava e li guidava sino alla soglia della maturità finché potessero accedere, attraverso i riti di iniziazione da lei presieduti, alla piena socialità, che nel caso degli efebi si esplicava nello stato di cittadino-soldato, nel caso delle fanciulle nel ruolo di sposa-madre 121. Tra le dediche votive si annoverano anche alcune figure di animali, per la maggior parte forse ancora attribuibili alla prima fase di vita del complesso sacro del Vallo, donate frequentemente in ambito santuariale come simbolica offerta sacrificale 122; prevalente è la presenza di bovini – a questo proposito non si può non ricordare l’epiclesi di Tauropolos nota per Artemide 123 – ed equini, intesi anche come doni per ingraziarsi la protezione della divinità sul bestiame 124; solo una piccola base quadrangolare con due zampe a rilievo farebbe pensare alla dedica di volatili, genericamente legati al mondo afrodisio e giovanile 125. Sebbene non conservi evidenti tracce di utilizzo, funzionale all’espletamento del culto è una piccola arula decorata a rilievo, databile, sulla base di confronti stilistici, tra la seconda metà del IV e gli inizi del III sec. a.C., sulla cui faccia principale figura un erote con oca, mentre ai lati è una pantera o leonessa raffigurata con la zampa destra alzata nell’atto di ghermire. Oggetto dall’alto valore rituale è un disco fittile (fig. 7b), rinvenuto all’interno del sacello A, con trentadue simboli di divinità disposti concentricamente intorno ad una ruota centrale 126. Esso è riconducibile ad un particolare gruppo di reperti rinvenuto in Italia Meridionale, oltre che ad Eraclea, anche a Taranto – da cui il tipo sembra avere origine – Lucera, Brindisi, Metaponto, Gravina e Venosa 127. Il significato di que- Anche questo tipo di offerta sembra legato ai riti di passaggio di fanciulle prossime al matrimonio, in culti riconducibili ad Afrodite o Artemide, ved. Battiloro 2005, p. 184, nota 236. L’offerta aveva valore propiziatorio per la maturità sessuale e la fertilità: ved. J. Reilly, Naked and limblest. Learning about the feminine body in ancient Athens, in A.O. Koloski Ostrow, C.L. Lyons (a cura di), Naked truths. Women, sexuality and gender in classical art and archeology, London 2000, pp. 154-173. 114 Portale c.d.s., pp. 19-20, 37. 115 Lippolis 1995, pp. 58-59; Battiloro 2005, p. 417 sgg. 116 Giuman 1999, p. 61; Isler Kerényi 2002, pp. 118-121. 117 Lippolis 1995, pp. 51-52; Abbruzzese Calabrese 1996, p. 190. 118 Lippolis 1995, p. 54. Iacobone 1988, pp. 167-169, 172. Brulé 1998, p. 31. 121 Vernant 1987, pp. 22-26. 122 Pesetti 1994, p. 32; F.T. Van Straten, Hiera Kala: Images of Animal Sacrifice in Archaic and classical Greece, Leiden 1995, p. 54. 123 Brulé 1998, p. 30. 124 Pesetti 1994, p. 32. 125 Portale c.d.s., p. 24. 126 A causa dello stato estremamente frammentario, si può soltanto ipotizzare che gli altri due frammenti rinvenuti appartengano a matrici di dischi fittili simili. 127 Sui diversi dischi fittili rinvenuti cfr. D’Ercole 1989, pp. 31-35, in particolare p. 31 con bibliografia precedente. 113 119 120 SIRIS 9,2008 Studi e ricerche della Scuola di Specializzazione in Beni Archeologici di Matera - ISBN 978-88-7228-566-4- © · Edipuglia s.r.l. - www.edipuglia.it Nuove ricerche sui culti Emiliano di Eraclea: Cruccas l’area sacra del c.d. Vallo 47 sto manufatto è piuttosto controverso: comunemente riconosciuto come oggetto dal valore magico-religioso, viene interpretato, nel caso degli esemplari di Eraclea, come stampo per focacce sacre 128. Il rinvenimento tarantino in un contesto abbastanza certo permette di datare la circolazione di tali oggetti tra la fine del IV e gli inizi del III sec. a.C. 129. Passiamo adesso ad un altro gruppo di reperti, sulla base del quale Adamesteanu aveva ipotizzato la presenza, nell’area del Vallo, di un culto connesso alla sfera della sanatio e probabilmente ad Apollo 130. Si tratta di diversi ex voto anatomici, la maggior parte dei quali purtroppo frammentari, tra cui la celebre maschera di bronzo 131, interpretabile come dono per la guarigione della vista (fig. 7 c), e reperti fittili tra cui avambracci, piedi, dita e gambe 132. Questo genere di ex voto costituisce la più evidente motivazione della dedica fatta a divinità guaritrici, come Apollo, Asclepio e Anfiarao, si accorda inoltre a divinità protettrici delle nascite e della vita femminile come Demetra, Kore, Ilizia ed Artemide 133. Non è casuale quindi che simili votivi anatomici siano stati rinvenuti in grande quantità anche nel vicino santuario di Demetra 134; è nota, infatti, la stretta relazione di complementarietà tra Artemide e Demetra 135, entrambe connesse all’universo femminile e capaci di garantire il benessere della città attraverso il con- trollo, rispettivamente, sulla natura intesa come potenza generatrice e sulla natura regolamentata dall’uomo 136. Alle raffigurazioni di Artemide si affianca un più modesto gruppo di statuette riconducibile, per la particolare iconografia o per gli attributi rappresentati, a precise divinità come Afrodite, i Dioscuri e Apollo. Se la presenza di Afrodite è indiziata da un piccolo torso nudo coperto sui fianchi da un himation, derivante da qualche creazione della statuaria monumentale 137, quella dei Dioscuri si deduce da alcuni frammenti di pinakes in cui si riconosce parte del busto nudo, talora con la clamide allacciata al collo, la protome del cavallo che lo affianca o l’anfora, simbolo dei divini gemelli 138. La sporadicità di tali rinvenimenti potrebbe essere spiegata come presenza occasionale nell’ambito dei riti di passaggio, femminili nel caso di Afrodite 139 e maschili nel caso dei Dioscuri 140, che prevedevano un’integrazione tra gli ambiti cultuali relativi alle diverse divinità indicate 141. Sono attribuibili a rappresentazioni di Apollo due frammenti di rilievi in cui si identificano chiaramente delle cetre o lire relative all’iconografia dell’Apollo Hyakinthos ben nota grazie ai rinvenimenti tarantini 142, a cui, secondo Lippolis, riporterebbe anche il tipo del recumbente imberbe 143. Apollo è inoltre rappresentato su un pinax (fig. 7d), considerato a ragione 128 Per le diverse ipotesi interpretative cfr. Lo Prete, Bini 1989, pp. 49-74, tav. V,2-3-4 con bibliografia precedente. 129 Costamagna 1983, p. 106. L’esemplare più tardo che si conosca proviene da Brindisi ed è datato, in base al contesto, al I sec. a.C.: Sciarra Bardaro 1983, p. 31. 130 Adamesteanu 1974, pp. 97, 364; ad una generica divinità sanatrice aveva attribuito il culto G. Camassa, I culti delle poleis italiote, in Storia del Mezzogiorno, vol. I, Napoli 1991, pp. 421495, in particolare, p. 471. 131 B. Neutsch, Siris ed Heraklea. Nuovi scavi e ritrovamenti archeologici di Policoro, Urbino 1968, p. 19, tav. XIII,1; Neue Archäologische Entdeckungen in Siris und Heraclea, «AA» 1968, pp. 753-794; 1969, p. 237, tav. IX,9; 1980, p. 154, tav. XII,1; Van Straten 1981, p. 142, fig. 53.1. Simili reperti in metallo provengono dal santuario di Demetra a Mesembria: Van Straten 1981, pp. 100, 127, figg. 59-60. 132 In generale per la dedica di ex voto anatomici ved. Van Straten 1981, pp. 105-146. 133 Mitsopoulos Leon 1992, pp. 97-108; Solima 1998, p. 401, nota 115; Calabria 2005, p. 80; Tagliente 2005, p. 123. 134 Otto 2005, p. 13, nota 72, fig. 3. 135 Ad Herakleia il legame tra le due divinità è testimoniato nel santuario di Demetra dove Artemide sembra affiancarla nelle cerimonie di passaggio dalla condizione servile a quella libertina: Pianu 1989, p. 109; Tagliente 2005, p. 123. 136 Indicativo è l’esempio metapontino: Calabria 2005, p. 81. 137 Questo tipo di raffigurazione è spesso rinvenuto in contesti dalla fine del IV alla fine del I a.C. sia coloniali come Taranto (Graepler 1996, p. 246, n. 198; D. Graepler, Tonfiguren in Grab. Fundkontexte hellenistischer Terrakotten aus der Nekropole von Tarent, München 1997, p. 127, fig. 106) ed Heraklea (G. Pianu, La necropoli meridionale di Eraclea, 1. Le tombe di IV e III sec. a.C., Roma 1990, tav. LXVI,1) che indigeni come Rossano di Vaglio (D. Adamesteanu, H. Dilthey, Macchia di Rossano. Il santuario della dea Mefitis. Rapporto preliminare, Galatina 1992, p. 51), Monte Sannace (L. Rossi, Fase III. Dall’ellenismo alla romanizzazione -seconda metà IV sec. a.C.- I sec. d.C., Monte Sannace, Bari 1981, tav. 384,1-2) e Torre di Satriano (Battiloro 2005, tavv. IX-X, 39-42). 138 Lippolis 1995, pp. 55-56, tav. XIV,1,3-4; Abbruzzese Calabrese 1996, p. 202, n. 152. 139 Sul ruolo di Afrodite come garante del matrimonio e della fertilità ved. A. Brelich, Paides e Parthenoi, Roma 1969, pp. 288289; Brulé 1987. 140 K. Kerényi, Gli dei e gli eroi della Grecia, Milano 19884, pp. 112-119; Lippolis 1995, p. 55; Burkert 20032, pp. 400-403; Otto 2008, pp. 80, 83. 141 B. Alroth, Visiting Gods, in T. Linders (a cura di), Gifts to the Gods. Proceedings of the Uppsala Symposium 1985 («Boreas, Uppsala studies in ancient Mediterranean and Near Eastern civilizations» 15), Uppsala 1987, pp. 9-19. 142 In particolare sul legame tra Apollo Hyakinthos ed i riti di passaggio all’età adulta: Abruzzese Calabrese 1996, pp. 193-194; Lippolis 1995, p. 53, 57-58; 2005, p. 93. 143 Lippolis 1995, p. 53. SIRIS 9,2008 Studi e ricerche della Scuola di Specializzazione in Beni Archeologici di Matera - ISBN 978-88-7228-566-4- © · Edipuglia s.r.l. - www.edipuglia.it 48 Laura D’Esposito - Giusj Galioto un unicum e pertanto difficile da datare in assenza di indicazioni stratigrafiche, ma possibilmente riferibile al momento ellenistico e quindi attribuibile alla seconda o terza fase di vita del santuario: esso raffigura una figura femminile, mancante della parte superiore, che regge una tavola (hierà tràpeza?) sui cui sono disposti un cesto con frutta, una focaccia e uno skyphos; ai lati delle offerte sono riconoscibili due personaggi maschili, uno con clava e leontè, identificato con Eracle, e l’altro, con una lira nella mano sinistra, che sembrerebbe raffigurare Apollo impegnato in una scena di libagione. Tale rilievo richiama concettualmente le diverse figure di offerenti con frutta e vasi destinati alle libagioni spesso dedicate in contesti santuariali dell’area greca e italiota 144. Il suo rinvenimento nel corso dello scavo dell’edificio C permette di immaginare che il pinax fosse affisso in uno dei suoi ambienti o dei predecessori della seconda fase. La sua presenza potrebbe spiegarsi non soltanto come mera offerta votiva ma come la rappresentazione di singole azioni connesse alle pratiche rituali svolte attraverso oggetti simbolici ad esse riconducibili: oltre all’evidente relazione tra lo skyphos ed il vino 145, il cesto di frutti simboleggia la consuetudine di offrire le primizie alla divinità per invocare fertilità e prosperità 146, mentre la focaccia potrebbe indicare la pratica della preparazione e del consumo di pasti rituali, supposizione avvalorata dal ritrovamento di un frammento di macina e del disco fittile 147 forse usato come stampo per focacce sacre 148. Tale ipotesi di lettura sembrerebbe rafforzata dal rinvenimento di forme ceramiche legate alla dedica di offerte di primizie, tra cui coppette monoansate e concavo-convesse a vernice nera (fig. 10, nn. 19-23) e altre funzionali alla preparazione, alla cottura ed al consumo di cibi e bevande (figg. 8, 9, 10, 11, nn. 29- 34) come mortai, bacini, olle, lopades, teglie, coperchi 149, piattelli, coppette, crateri e skyphoi 150. Quanto alle divinità raffigurate sul pinax, la presenza di Apollo a fianco di Eracle, eroe storicamente legato alla fondazione della città, potrebbe essere giustificata dal ruolo centrale del dio nei riti iniziatici 151. Apollo e Artemide, la cui nascita gemellare nella sua eccezionalità crea un rapporto paritario tra i due fratelli, rappresentano le divinità tutelari dell’età efebica e i garanti dei giovani nel passaggio all’età adulta, uno dei momenti più importanti tra quelli celebrati all’interno della comunità 152. Ci troviamo, dunque, in presenza di un’associazione cultuale, comune in contesti religiosi del mondo greco 153, che può aver richiesto la costruzione all’interno dello spazio sacro di due sacelli – A e B – dalle simili dimensioni in sostituzione dell’unico oikos della fase originaria. La presenza della banchina destinata alla statua di culto e le dimensioni di poco superiori rendono suggestiva l’ipotesi che il sacello B, nonostante l’ubicazione non centrale rispetto all’intero complesso, potesse essere sede del culto principale; il confronto con altri edifici votati ad Artemide induce a supporre che il tempio fosse provvisto, piuttosto che di un opistodomos, di un adyton, elemento strutturale ricorrente nei templi artemisii 154. Ammettendo la possibile funzione templare del secondo edificio rettangolare libero entro l’area, A, è da ritenere plausibile, seppure in mancanza di dati sicuri, l’attribuzione del culto ad Apollo, tanto più che esso si sovrappose all’edificio sacro di prima fase. L’esito di tale compresenza sarebbe dunque un temenos che diventava lo spazio dell’interazione comune ad entrambe le divinità, con particolare riferimento ai rituali di passaggio all’età adulta ed all’integrazione dei giovani nella comunità sociale e politica. Lippolis 2005, pp. 99-100. 145 Lo skyphos, oltre ad essere il vaso potorio per eccellenza, assume, in ambito cultuale, una chiara destinazione sacra: supra, nota 30. 146 J.W. Bouma, Religio votiva. The Archaeology of Latial Votive Religion. The 5th-3rd centuries B.C. Votive Deposit south west of the main Temple at Satricum Borgo Le Ferriere, Groningen 1996, pp. 52-54; Burkert 20032, pp. 164-167; Battiloro 2005, p. 419. 147 All’esemplare integro si associano due frammenti di matrici riconducibili ancora a dischi fittili. 148 Il banchetto rituale prevedeva la consumazione di carne, vino e cereali, nel nostro caso forse presenti sottoforma di focacce: Schmitt Pantel, Lissarague 2004, pp. 231-245, in particolare p. 239. 149 Si ipotizza che il coperchio fosse funzionale al consumo di pasti rituali: cfr. Lupia 2005, p. 213. 150 Lupia 2005, pp. 211-212. 151 C.F. De Roguin, Apollon Lykeios dans la tragédie: vieu protecteur, dieu tueur, «lieu de l’initiation», «Kernos» XII 1999, pp. 99123, in particolare pp. 113-117, 121-122 per il ruolo iniziatico del dio. 152 Isler Kerényi 2002, pp. 127-128. 153 Il caso più noto è rappresentato dal santuario delio: per l’associazione cultuale tra Apollo e Artemide nel santuario ved. Giuman 1999, pp. 195-210 con bibliografia precedente. 154 Si confrontino Artemisia di Brauron, di Aulis e Halai. J. Travlos, Τρει̃ς ναοί τη̃ς ̉Αρτέμιδος Αυ̉λιδίας Ταυροπόλου και Βραυρωνίας, in U. Jantzen (a cura di), Neue Forschungen in griechischen Heiligtümern, Tübingen 1976, pp. 197-206; Brulé 1987, pp. 193-195, fig. 24; Giuman 1999, p. 22, figg. 2, 4. 144 SIRIS 9,2008 Studi e ricerche della Scuola di Specializzazione in Beni Archeologici di Matera - ISBN 978-88-7228-566-4- © · Edipuglia s.r.l. - www.edipuglia.it 1 2 3 4 6 5 8 7 Fig. 8. - Ceramica comune grezza e depurata, acroma e a bande. SIRIS 9,2008 Studi e ricerche della Scuola di Specializzazione in Beni Archeologici di Matera - ISBN 978-88-7228-566-4- © · Edipuglia s.r.l. - www.edipuglia.it 9 10 12 11 13 14 15 16 17 Fig. 9 - Ceramica a vernice nera. SIRIS 9,2008 Studi e ricerche della Scuola di Specializzazione in Beni Archeologici di Matera - ISBN 978-88-7228-566-4- © · Edipuglia s.r.l. - www.edipuglia.it 18 19 20 21 22 23 24 25 28 26 27 Fig. 10. - Ceramica a vernice nera e a figure rosse. SIRIS 9,2008 Studi e ricerche della Scuola di Specializzazione in Beni Archeologici di Matera - ISBN 978-88-7228-566-4- © · Edipuglia s.r.l. - www.edipuglia.it 30 29 31 32 33 34 35 36 Fig. 11 - Ceramica sovraddipinta, a pasta grigia, a pareti sottili e unguentari. SIRIS 9,2008 Studi e ricerche della Scuola di Specializzazione in Beni Archeologici di Matera - ISBN 978-88-7228-566-4- © · Edipuglia s.r.l. - www.edipuglia.it Nuove ricerche sui culti Emiliano di Eraclea: Cruccas l’area sacra del c.d. Vallo 53 Venendo ora alla collocazione topografica e all’inquadramento paesaggistico del santuario del c.d. Vallo, è opportuno premettere che raramente un santuario di Artemide è stato identificato su un’acropoli cittadina poiché gli spazi “abitati” dalla dea, talora denominata appunto Agrotéra 155, sono terre contraddistinte da un paesaggio selvatico, presupposto necessario allo svolgimento dell’attività venatoria, o zone di confine della polis 156. Inoltre, in molti casi si nota la predilezione per aree caratterizzate dalla presenza dell’acqua, sia che si tratti di paludi ed acquitrini (Artemis Limnatis 157) che di sorgenti e corsi d’acqua, spesso ubicate in valli o in zone costiere in prossimità delle rive del mare 158. Si tratta quindi di aree extraurbane o di confine in cui il selvaggio e il civilizzato, l’uno contiguo all’altro, entravano in contatto e interagivano profondamente tra loro creando l’ambiente ideale per l’espletamento di riti di tipo iniziatico che talora prevedevano periodi di isolamento 159. Il santuario del c.d. Vallo ubicato nella valletta mediana tra i due settori con funzione abitativa della città, appartato e circondato da un paesaggio contraddistinto da una fitta vegetazione e da un piccolo corso d’acqua, il Varatizzo, sembra dunque riproporre le caratteristiche essenziali dei luoghi di culto artemisii. Artemide sembra, non a caso, essere presente anche sulle pendici est ed ovest della collina del Barone, come testimoniano i due depositi votivi rinvenuti da Neutsch 160. Punto nodale dei santuari di Artemide, sia che sorgano tra valichi montuosi, sia che insistano in aree paludose o sulla costa, resta indubbiamente l’acqua, elemento fondamentale nei rituali destinati alla dea 161. Nell’ambito del nostro contesto santuariale ri- sulta determinante la presenza del vicino Varatizzo, che doveva costituire la fonte primaria per l’approvvigionamento idrico funzionale alle più svariate pratiche cultuali 162: tramite l’immersione in acqua avveniva l’iniziazione delle giovani che sancivano così la raggiunta maturazione sessuale e probabilmente invocavano la fertilità nell’ambito di cerimonie prenuziali 163. Essenziale anche nei riti di purificazione successivi al parto, spesso l’acqua è legata, in virtù delle sue doti terapeutiche, alla crescita sana del bambino, affidato fin dalla nascita alla kourotrophos per eccellenza, che proprio per lo stretto legame con l’acqua 164 assume, in maniera sempre più determinante, un aspetto salvifico 165 connesso alla capacità della dea di dispensare la salute sia fisica che mentale 166; in questo contesto risulta quindi comprensibile la presenza complementare di un culto di Apollo. In mancanza di una documentazione epigrafica o letteraria le dinamiche più strettamente legate al culto risultano difficili da delineare; dal punto di vista archeologico si riesce solo a percepire un cambiamento nella natura delle dediche intorno alla metà del III sec. a.C., molto probabilmente in concomitanza con l’avvento di Roma e la ristrutturazione dello spazio sacro, quando l’offerta di rilievi figurati e di statuette viene sostituita da ex voto come Tanagrine, unguentari, pesi da telaio, oscilla, patere, e lucerne 167 la cui presenza, nel contesto in esame, potrebbe suggerire l’esistenza di pratiche rituali notturne 168, mentre l’evidenza architettonica costante dell’edificio C e dell’eschara, unitamente al rinvenimento di vasellame da mensa e da dispensa denotano l’importanza del consumo di pasti rituali connessi all’ultima fase di vita del santuario. Appartiene più sicuramente alla fase ellenistica un busto femminile, con capo velato, di incerta datazione Brulé 1998, p. 30. I santuari di Artemide spesso segnano i confini tra centro e periferia, tra aree urbane e agricole e indicano i limiti territoriali, le eschatiaì pertinenti ad una polis: F. Frontisi Ducroux, Artémis bucolique, «RHR» CXCVIII 1981, pp. 25-56; Vernant 1987, pp. 20-21; De Polignac 1984, p. 52; Guettel Cole 2004, p. 180. 157 Brulé 1998, p. 30. 158 Vernant 1987, pp. 20-21; Guettel Cole 2004, pp. 191-194. 159 De Polignac 1984, pp. 66-69; Giuman 1999, pp. 236-237. 160 Cfr. supra. 161 Ginouvés 1994, p. 202; Guettel Cole 2004, pp. 192-193. 162 È probabilmente da riferire all’uso dell’acqua nell’ambito dei riti connessi al culto la presenza di numerosi frammenti di brocche e hydriai tra i materiali rinvenuti. 163 Numerose sono a tal proposito le raffigurazioni vascolari di fanciulle, al bagno o presso fontane, spesso identificate con le Ninfe, tradizionalmente parte del corteo artemisio e simbolo delle giovani iniziande: Isler Kerényi 2002, pp. 121-124.; V. Andò, Nymphe: la sposa e le Ninfe, «QuadUrb» LII 1996, pp. 47-77. 164 Russo 1999, pp. 103-104, 115-116; Otto 2005, pp. 5-6; Tagliente 2005, p. 123. 165 Mitsopoulos Leon 1992, pp. 97-108; Solima 1998, p. 401, nota 115; Calabria 2005, p. 80; Tagliente 2005, p. 123. 166 Guettel Cole 2004, p. 193. 167 Questo cambiamento si verifica in altri santuari: cfr. al riguardo I. Rainini, Il santuario di Mefite in Valle d’Ansanto, Roma 1985, pp. 118-120; Masseria 2000, p. 230 sgg.; Cipriani, Avagliano 2005, p. 562; S. De Vincenzo, Lucerne, in Torre di Satriano I, pp. 348-356, in particolare p. 352. 168 Per la connessione tra le lucerne e la ritualità notturna nell’ambito di culti ctoni per la fertilità ved. Baumbach 2004, pp. 38, 70, 99. 155 156 SIRIS 9,2008 Studi e ricerche della Scuola di Specializzazione in Beni Archeologici di Matera - ISBN 978-88-7228-566-4- © · Edipuglia s.r.l. - www.edipuglia.it 54 Laura D’Esposito - Giusj Galioto e attribuzione, che è stato interpretato come probabile figura di sacerdotessa, secondo Neutsch dono di un forestiero durante le guerre annibaliche 169. Sebbene l’iconografia sveli un gusto arcaicizzante nella resa della bocca e dei grandi occhi globulari, la dedica parrebbe comunque riconducibile al periodo ellenistico. Il busto sembrerebbe tradire una provenienza non greca: la resa del volto e il tipo di copricapo, infatti, trovano confronti con alcune rappresentazioni di provenienza iberica, tra cui la c.d. Dama di Ibiza 170, che potrebbero indicare la frequentazione del santuario da parte di genti puniche. Lo stato attuale delle nostre conoscenze sull’area del c.d. Vallo non consente di avanzare ulteriori ipotesi sulle diverse fasi che si sono succedute nell’arco della vita del complesso né di cogliere appieno eventuali cambiamenti all’interno della sfera religiosa. Ciò che appare adesso sufficientemente assodato è la destinazione sacra dell’intero impianto architettonico, dotato di due edifici con funzioni templari, che si inserisce all’interno di un contesto destinato volutamente alla creazione di un’unica e grande area santuariale 171, in cui si susseguono alcuni dei culti principali della città di Eraclea: Artemide, Demetra e Dioniso. I tre santuari in questione sono accomunati da attestazioni cultuali in alcuni casi funzionali a riti di passaggio. Nel caso di Demetra il rinvenimento, nel corso delle diverse campagne di scavo, di ceppi in ferro aperti è stato ricondotto a cerimonie per la manomissione di schiavi e prigionieri 172. La compresenza di Artemide all’interno del santuario demetriaco è provata da numerosi rinvenimenti coroplastici; l’associazione tra Demetra, che a partire dal 378 a.C., anno d’istituzione della Lega Italiota, rivestì un ruolo determinante nella sfera politica della città di Eraclea, ed Artemide, divinità legata ai passaggi di status, risulta spiegabile in virtù della stretta relazione di quest’ultima con il mondo servile 173. Per quanto concerne il santuario di Dioniso 174, prossimo al santuario demetriaco, il rinvenimento di un edificio rettangolare bipartito, interpretato come probabile hestiatorion, e di “escharai-bothroi” contenenti resti di ossa animali e depositi ceramici costituiti da vasi potori, ceramica da fuoco, grandi contenitori e qualche terracotta figurata, ha permesso di ipotizzare lo svolgimento di pasti rituali connessi a cerimonie di passaggio all’età adulta 175. Il rapporto che intercorre tra Dioniso ed Artemide, evidenziato nella tradizione letteraria con riferimento alla fase efebica in particolare, si comprende più in generale per l’indiscusso legame con tutti i momenti di transizione, le “metamorfosi” che avvenivano nella vita degli uomini e delle donne. La presenza di due santuari ricollegabili alla sfera della maturazione e alla fase di passaggio più importante nella vita del giovane, votati a Dioniso e ad Artemide, si esplica soprattutto nel senso di un completamento, forse di due momenti distinti all’interno dei passaggi di status, essendo Dioniso patrono dell’ultima tappa del percorso di maturazione del giovane: quest’ultimo, al termine del suo periodo di formazione, veniva introdotto all’interno della comunità come polites 176, integrando così il ruolo di Artemide, kourotróphos per eccellenza, la cui funzione era principalmente quella di far crescere i cuccioli, fossero essi di uomini o di animali, e di guidarli fino all’età adulta. Alla luce di queste considerazioni l’area della valletta mediana, fulcro e centro geometrico di Eraclea, assume ormai chiaramente l’aspetto di uno spazio programmaticamente destinato all’espletamento della religiosità cittadina, non a caso posto a metà tra le aree residenziali, ma in uno spazio dal paesaggio agreste che si addice esattamente a personalità divine quali Demetra, Dioniso ed Artemide 177. L’importanza che la valletta assume dal punto di vista socio-cultuale è ulteriormente rafforzata dall’identificazione dell’area libera presso il santuario di Dioniso come una delle agorài dell’antica polis 178, Neutsch 1967, p. 128. M.J. Almagro Gorbea, Corpus de las terracotas de Ibiza, Madrid 1980, pp. 22-23, tavv. I-II,2. 171 Giardino 1998, pp. 187-188; 1999, p. 322; Bianco 1999, p. 63. 172 G. Maddoli, Manomissioni sacre in Eraclea Lucana, (SEG XXX, 1162-1170), «PP» XLI 1986, pp. 99-107, in particolare p. 104; Otto 2008, pp. 87, 90, 93. 173 Otto 2008, p. 93; l’associazione Demetra/Artemide/ceppi di schiavo si trova anche a Timmari (Curti 1989, p. 28) e a S. Chirico Nuovo (Tagliente 2005, p. 123). 174 Identificato sulla base del rinvenimento, sulla terrazza meridionale del complesso, di un altare con iscrizione DIO[NYS]OU: Osanna 2008, pp. 30, 43, 47. 175 Pianu 2002, pp. 95-112. Lo studioso sulla base dell’analisi dei rinvenimenti coroplastici ha attribuito il culto ad Apollo Hyakinthos, divinità preposta al passaggio dei giovani all’età adulta. 176 Isler Kerényi 2002, pp. 129-135. 177 Osanna 2008, pp. 29-30. 178 Torelli 1987, pp. 693-695; Pianu 2002. 169 170 SIRIS 9,2008 Studi e ricerche della Scuola di Specializzazione in Beni Archeologici di Matera - ISBN 978-88-7228-566-4- © · Edipuglia s.r.l. - www.edipuglia.it Nuove ricerche sui culti Emiliano di Eraclea: Cruccas l’area sacra del c.d. Vallo distinta sulla base “delle marcate connotazioni religiose” dall’agorà con funzioni prettamente commerciali, che sarebbe piuttosto da ricercare nella terrazza meridionale, più ampia e meglio servita da arterie stradali 179. Potrebbe, infine, non essere un caso l’ubicazione del santuario di Artemide in posizione più esterna, all’estremità di questa sorta di “catena sacra” segnata, lungo il confine con l’area abitata, dai due depositi votivi artemisii e, nell’area della valletta mediana, dal santuario del Vallo. È noto infatti che la dea veniva definita Prothyraia, protettrice degli ingressi 180 e, più in generale, che la sua presenza segnava simbolicamente il confine tra il mondo della natura e il centro civico della polis. Si tratta chiaramente di una suggestione, che solo il prosieguo dell’indagine archeologica potrebbe permettere di confermare. (L. D’E.) Abbreviazioni bibliografiche Abbruzzese Calabrese 1996 = G. Abbruzzese Calabrese, La coroplastica votiva, Taranto, in I Greci in Occidente, pp. 189-206. Adamesteanu 1974 = D. Adamesteanu, La Basilicata antica. Storia e monumenti, Cava de’ Tirreni 1974. Archeologia dell’acqua in Basilicata, Lavello 1999. Barra Bagnasco 1999 = M. 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La popolarità di questo rituale nei secoli successivi è testimoniata, oltre che dagli stessi ex voto, soprattutto dalle fonti scritte, ad esempio gli inventari dei templi 3, così come dalle singole raffigurazioni di votivi anatomici su vasi e rilievi 4. Sulla penisola italiana i votivi anatomici vivono il loro massimo splendore in epoca medio e tardorepubblicana, benché la loro diffusione sia limitata quasi esclusivamente all’area etrusco-lazialecampana 5. Diversamente che in Grecia, in Italia centrale gli ex voto anatomici si ritrovano nei santuari di diverse divinità, alle quali solo attraverso la presenza dei votivi può essere attribuita di volta in volta una funzione taumaturgica locale 6. Infatti in quest’area la consacrazione degli ex voto non era collegata a divinità con funzione curativa e soprattutto non ad Asclepio 7. Per quanto concerne l’Italia meridionale, oggetto della nostra indagine, sono attestate raramente offerte votive anatomiche. In Basilicata, ritrovamenti di questo tipo sono citati per i santuari di Chiaromonte 8, * Traduzione di M. Golin. Questo contributo è frutto di un progetto di ricerca finanziato dal Fonds zur Förderung der Wissenschaftlichen Forschung presso l’Istituto di Archeologia dell’Università di Innsbruck, diretto dalla Prof.ssa Dott.ssa Brinna Otto con la collaborazione di chi scrive. Vorrei anzitutto ringraziare il Prof. Massimo Osanna, per l’autorizzazione concessami nel pubblicare i reperti. Sono inoltre grata al direttore del Museo Nazionale della Siritide, Dott. Salvatore Bianco, e ai suoi collaboratori per il costante sostegno. 1 Per una sintesi sui votivi, i luoghi di rinvenimento e le problematiche collegate al fenomeno si rimanda agli studi di F.T. van Straten e B. Forsén in bibliografia. 2 La maggior parte dei reperti proviene dall’Asklepieion di Corinto (Roebuck 1951, pp. 111-128, tavv. 29-46; van Straten 1981, pp. 123-124, n. 15; Forsén 1996, pp. 118-119). Altri ex voto, in parte solo singoli reperti, sono venuti alla luce negli Asklepieia di Atene (A. Körte, Bezirk eines Heilgottes, «AM» XVIII 1893, pp. 241-243, tav. 11; van Straten 1981, pp. 105-108, n. 1; Forsén 1996, pp. 31-54, nn. 1.1-49, figg. 3-39), di Cos (Herzog 1931, p. 148 e nota 15; van Straten 1981, p. 129, n. 30; Forsén 1996, pp. 93-94, nn. 26.1-3), di Melos (A. H. Smith, A Catalogue of Sculpture in the Department of Greek and Roman Antiquities, British Museum I, Londra 1892, p. 370, n. 809; van Straten 1981, pp. 128-129, n. 29; Forsén 1996, pp. 102-103, nn. 33.1-2, figg. 112113), a Delo (van Straten 1981, p. 127, n. 23; Forsén 1996, p. 95, n. 28.1, fig. 97), ad Epidauro (J. N. Svoronos, Das Athener Nationalmuseum, Atene 1908, pp. 430-434, n. 1428, fig. 212, tav. 70; p. 652, n. 2831, tav. 176; van Straten 1981, pp. 122-123, n. 14; Forsén 1996, p. 83, nn. 13.1-2, figg. 83-84) e a Pergamo, i cui reperti sono comunque di epoca romana (Ziegenaus, De Luca 1968, pp. 171-172, n. M 59/127, tav. 62A; pp. 172-173, n. M 59/3, tav. 62B; van Straten 1981, p. 134, n. 35; Forsén 1996, p. 113). 3 I più conosciuti sono gli inventari dall’Asklepieion di Atene (ved. ad es. Aleshire 1989). Ulteriori inventari compaiono nel santuario dell’Heros Iatros ad Atene (van Straten 1981, p. 114, n. 3.2), nell’Amphiareion di Oropos (van Straten 1981, p. 125, n. 16.3) e nel Thesmophorion di Delos (van Straten 1981, p. 127, n. 24); cfr. anche Forsén 1996, pp. 114-117. 4 Per ciò che concerne le rappresentazioni su rilievi ved. van Straten 1981, p. 106, nn. 1.1-3, fig. 50; p. 113, n. 2.1, fig. 52; p. 119, n. 9.1; p. 120, n. 10.2. Cfr. Stieda 1901, pp. 66-67. Per un esempio di pittura vascolare si rimanda a Forsén 1996, p. 120 con nota 80 (figura sulla copertina). 5 Su questo tema risultano fondamentali i lavori di M. Fenelli (Fenelli 1975a; 1992) e A. Comella (Comella 1981). 6 Spesso il culto era collegato alla più popolare divinità locale, che così diveniva in un certo senso un ‘salvatore’ in caso di bisogno: cfr. a questo proposito Fenelli 1975a, p. 213; Turfa 1994, p. 224. 7 Per il ruolo, o meglio il non-ruolo, di Asclepio in Italia centrale come destinatario degli ex voto anatomici ved. ad es. Comella 1982-83, cui si rimanda anche a proposito del culto di Asclepio in Italia centrale in generale. 8 Per i votivi fittili di una mammella, una gamba e un dito rinvenuti nel santuario ved. M. Barra Bagnasco, A. Russo Tagliente, I culti, in S. Bianco et alii (a cura di), Greci, Enotri e Lucani nella Basilicata meridionale (Catalogo della mostra, Policoro), Napoli 1996, pp. 187-189, 271, n. 3.45.16; p. 271, n. 3.45.18. Cfr. Barra Bagnasco 1999, p. 41. SIRIS 9,2008 Studi e ricerche della Scuola di Specializzazione in Beni Archeologici di Matera - ISBN 978-88-7228-566-4- © · Edipuglia s.r.l. - www.edipuglia.it 60 Ute Ch. Kurz Monticchio 9 e Rossano di Vaglio 10, ed in Calabria, ad es., per il santuario in località S. Anna di Cutro nella chora di Crotone 11; a Taranto, in Puglia, sono stati rinvenuti ex voto anatomici nella ‘valletta dell’Asinaro’ 12. La quasi totale assenza di queste particolari dediche nell’Italia meridionale, così come in Sicilia, a confronto con la loro massiccia presenza in ambito etrusco-laziale-campano, costituisce un importante indice di differenziazione dei complessi votivi delle due aree geografiche 13. I ritrovamenti di Eraclea presentati in questa sede – in gran parte ancora inediti – provenienti da tre diversi siti costituiscono dunque rari esempi di un gruppo di ex voto conosciuto appena in Magna Grecia e rappresentano importanti testimonianze per l’esistenza di culti salutari in quest’area. Il primo sito dove sono attestati votivi anatomici a Eraclea è il santuario urbano di Demetra. Da quest’area sacra sono venuti alla luce quasi 70 frammenti di votivi fittili anatomici; la maggioranza dei pezzi proviene dai c.d. ‘vecchi scavi’ di B. Neutsch 14. È sorprendente constatare che in questo sito i reperti si limitino a rappresentare gli arti superiori del corpo: dita, mani e avambracci frammentari 15. Le dita rappresentano, con quasi 60 esemplari, l’assoluta maggioranza dei reperti: sono modellate a tutto tondo e riprodotte a grandezza naturale o quasi (figg. 1a, 1b, 1d) 16. La maggior parte di esse, se non tutte, comunque, potrebbe essere appartenuta a votivi più grandi, mani o braccia 17. Fra i frammenti che comprendono il metacarpo a grandezza naturale o di poco inferiore sono stati rinvenuti solo due frammenti (fig. 1b) 18. Come si nota ancora dall’esame autoptico di questi votivi, nella realizzazione veniva attribuita particolare cura alla riproduzione dei singoli dettagli anatomici, come l’indicazione delle unghie e delle pieghe cutanee sulle articolazioni delle dita. Su alcune dita si possono osservare anelli di grandi dimensioni (fig. 1b). Tali gioielli presentano una forma piuttosto simile tra loro, mostrando una verga circolare che sul davanti si allarga in uno spesso e grande castone di forma ovoidale. Su due dita compaiono inoltre due escrescenze tumorali (fig. 1d) 19. L’unico esemplare parzialmente integro di braccio Per questo luogo sacro è attestata la presenza di votivi anatomici, ma non vengono date indicazioni in merito alla tipologia dei reperti: ved. E. Greco, Magna Grecia («Guide archeologiche Laterza» XII), Bari 1980, p. 276; Comella 1981, pp. 754-755, n. 144. 10 La presenza di votivi anatomici in questo santuario viene menzionata in Barra Bagnasco 1999, p. 41. 11 Nel santuario sono venuti alla luce «frammenti anatomici femminili» non meglio precisati: ved. R. Spadea, Note di topografia da Punta Alice a Capo Colonna, in E. Lattanzi et alii (a cura di), I Greci in Occidente. Santuari della Magna Grecia in Calabria (Catalogo delle mostre, 1996), Napoli 1996, p. 248; cfr. R. Spadea, La topografia, Atti Taranto XXIII 1983, p. 137 nota 43; Barra Bagnasco 1999, p. 41. 12 I votivi, in particolare alcuni falli in terracotta, rinvenuti nel XVIII sec., risultano però oggi dispersi: E. Lippolis et alii, Culti greci in Occidente, I. Taranto, («Magna Grecia» IX), Taranto 1995, p. 95. Cfr. Comella 1982-83, pp. 230-231; Barra Bagnasco 1999, p. 42. Oltre agli esempi citati, Comella 1982-83, p. 238 accenna anche a due piedi di Metaponto, riprendendo a questo proposito A. Letta, Piccola coroplastica metapontina, Napoli 1971, pp. 131-132, tav. 26.4, dove tuttavia i reperti vengono indicati come materiali facenti parte di un corredo funebre. 13 Ved. a questo proposito soprattutto Comella 1981, pp. 758-768. 14 Dopo un primo scavo sotto la direzione di F.G. Lo Porto nel 1964 (F.G. Lo Porto, Stipe del culto di Demetra in Heraclea Lucana, Herakleiastudien, pp. 181-192, figg. 43-45, tavv. 17, 26.2, 28.4, 46-49), il santuario è stato oggetto di ricerche archeologiche dirette da B. Neutsch dal 1965 al 1971 (Herakleiastudien; Neutsch 1968a; 1968b), da G. Pianu nel 1985 (G. Pianu, Il santuario di Demetra ad Eraclea di Lucania, «AnnPerugia» XXVI 1988-89, n.s. 12, pp. 103–137; G. Pianu, Scavi al santuario di Demetra a Policoro, in Studi su Siris-Eraclea, pp. 95-112, tavv. 13-15) così come da B. Otto negli anni 1995-2003 (ved., tra l’altro, Herakleia in Lukanien). Dal 2004 gli scavi sono diretti da M. Tschurtschenthaler. 15 Nel c.d. deposito 66B del santuario – per il quale ved. anche infra – sono venute alla luce dodici volute in terracotta (sul deposito e le volute cfr. Neutsch 1968a, pp. 770-784, fig. 26; Gertl 2001-02, pp. 45-47, 120, 220-221, nn. 531-543, tavv. 77, 78, 86), interpretate da Hinz e Gertl come imitazioni di ciocche di capelli (Hinz 1998, p. 192, fig. 51; Gertl 2001-02, p. 120). Le volute sono però senza dubbio da identificare come elementi decorativi delle terrecotte figurate, dal momento che recano segni di frattura. La maggior parte dei manufatti mostra nella parte terminale impronte di dita, formatesi probabilmente nel momento in cui l’elemento decorativo è stato applicato sulla terracotta figurata. Per quanto riguarda la matrice di piede frammentaria menzionata da B. Otto insieme ad altri votivi anatomici del santuario di Demetra (Otto 2005, p. 16, fig. 22), è possibile – ma dimostrarlo risulta assai difficile – che essa sia stata dedicata come votivo anatomico. 16 Si vedano da sinistra a destra, invv. KU 225-1 (251439), 251431, KU 149-8, KU 140-1, KU 03/28-1, 45165. 17 Questo viene dimostrato dal fatto che tutte le dita presentano una frattura in corrispondenza della parte iniziale e in molti esemplari la rottura è talmente vicina al palmo della mano, da escludere una terminazione originaria in quel punto; in alcuni casi le dita conservano anche una piccola parte del metacarpo della mano (cfr. figg. 1, 2, 4). In generale sembra poco probabile che votivi così piccoli venissero spezzati intenzionalmente e con regolarità prima di essere deposti, come accade invece per diverse terrecotte figurate del santuario e come si dovrebbe supporre se le dita stesse – essendo caratterizzate, come già detto, da segni di frattura – venissero piuttosto considerate come frammenti di votivi di dita. 18 Nella foto a sinistra. Sempre da sinistra a destra, invv. KU 157-1, KU 169-2. Si segnala, a tal riguardo, anche la presenza di due mani frammentarie, chiaramente più piccole rispetto alla grandezza naturale. 19 Da sinistra a destra, invv. 45170, 45169. 9 SIRIS 9,2008 Studi e ricerche della Scuola di Specializzazione in Beni Archeologici di Matera - ISBN 978-88-7228-566-4- © · Edipuglia s.r.l. - www.edipuglia.it Votivi anatomici Emiliano da Eraclea Cruccas e la sua chora 61 turale. Dato che dal santuario non provengono manufatti che possano essere ascritti con sicurezza a braccia di grandezza naturale, non è possibile stabilire se i numerosi frammenti di dita, e quelli di metacarpo, appartengano a votivi più grandi o meno. Non solo il braccio qui presentato, ma A anche gli altri due frammenti di braccia, indossano bracciali serpentiformi accuratamente rifiniti. Nella fig. 1c è evidente come la verga circolare stessa riproduca la forma del serpente: alle due estremità, il bracciale termina in corrispondenza della testa e della coda del rettile. Tra i contesti di rinvenimento B dei votivi anatomici nel santuario di Demetra, risaltano due settori in cui si concentra il materiale 21. Il primo si trova immediatamente a nord della zona delle sorgenti 22, definito dalle deposizioni di hydriskai 23; nell’area settentrionale, lungo questi depositi di hydriskai, sono venuti alla luce ben dieci votivi anatomici. La seconda concenC trazione interessa il c.d. deposito D 66B24. In quest’ultimo sono venuti alla luce circa 20 votivi anatoFig. 1. - Eraclea. Santuario di Demetra: a) dita votive frammentarie; b) frammento di memici 25, il che ne fa il più importante tacarpo e dito votivo con grandi anelli; c) braccio votivo frammentario; d) dita votive framcontesto di rinvenimento per quementarie con grandi escrescenze tumorali (foto J. Moser). sto tipo di terrecotte nel santuario. – che termina ancora prima del gomito – è chiaraNei due contesti in cui si concentravano i frammente di dimensioni inferiori al naturale (fig. 1c) 20. menti anatomici, nella zona delle sorgenti e in partiAltri due frammenti di avambraccio dal santuario colare nel deposito 66B, le riproduzioni di parti del corpo risultavano associate ad altri ex voto, riferibili sono di misura ridotta, cosicché non è possibile dead altre classi di materiali. terminare con precisione le dimensioni delle braccia. Quest’evenienza consente di riconoscere tali maTali frammenti sembrano comunque provenire da ex nufatti fittili come offerte votive, dato di fondamenvoto di misura più piccola rispetto alla grandezza na- Inv. KU 146-1. 21 Cfr. la planimetria del santuario (fig. 2). 22 Per le risorgive o ‘sorgenti di strato’ ved. K. Krainer, Die geologischen Verhältnisse im Bereich des Demeter-Heiligtums von Herakleia, in Herakleia in Lukanien, pp. 93-96. 23 Ved. per la zona delle sorgenti e i suoi ritrovamenti Otto 1996, pp. 106-109, tav. 9.1 per il contesto di rinvenimento con le 20 hydriskai; cfr. Neutsch 1968a, p. 784, fig. 37; 1968b, pp. 29, 39, tav. 22.2. 24 Per il deposito ved. Neutsch 1968a, pp. 771-774, figg. 25a, 26; Gertl 2001-02. Cfr. Otto 1996, p. 107, tav. 5.2; Hinz 1998, p. 190, fig. 50. 25 Per i votivi di questo deposito ved. Neutsch 1968a, fig. 26b; Gertl 2001-02, pp. 121-122, 218-219, nn. 514-530, tavv. 75-76; Otto 2005, p. 16, fig. 22. Cfr. Hinz 1998, pp. 190, 192, fig. 51. SIRIS 9,2008 Studi e ricerche della Scuola di Specializzazione in Beni Archeologici di Matera - ISBN 978-88-7228-566-4- © · Edipuglia s.r.l. - www.edipuglia.it 62 Ute Ch. Kurz tale importanza per l’interpretazione dei reperti anatomici. Dal momento che sia le dita che la maggioranza delle altre raffigurazioni di parti del corpo mostrano tutte evidenti segni di frattura, la loro presunta identificazione come votivi anatomici potrebbe suscitare qualche problema. I frammenti potrebbero, infatti, essere parti della grande statuaria in terracotta: a questa possibilità tuttavia si contrappone da un lato, come appena accennato, la deposizione selettiva di molti frammenti e dall’altro il grande numero di frammenti di dita e mani, per i quali si dovrebbe supporre un numero altrettanto elevato di statue, cosa che appare improbabile visto il carattere molto modesto del culto demetriaco in Magna Grecia, evidente, fra l’altro, nelle semplici strutture architettoniche dedicate alla dea. Nel santuario, del resto, manca qualsiasi altra traccia di simili manufatti fittili a grandezza naturale. Oltre a ciò, un’interpretazione dei reperti come frammenti di votivi anatomici trova una conferma definitiva nel fatto che alcune dita mostrano sintomi di malattie 26: si è già segnalata la presenza su due dita di escrescenze informi, per le quali dovrebbe trattarsi di ulcere o verruche (fig. 1d) 27. In aggiunta si segnala in alcune dita un evidente incurvamento delle stesse (fig. 1a), che sembrerebbe alludere ad affezioni artritiche oppure eventualmente anche ai sintomi della gotta. Non va comunque esclusa la possibilità, secondo quanto affermato da C. Roebuck, che questo incurvamento possa essere interpretato come una riproduzione della naturale posa rilassata della mano, in cui quest’ultima appare sempre più o meno chiusa 28. Le terrecotte ornate di gioielli riproducono invece articolazioni probabilmente sane. Una datazione dei votivi anatomici sembra generalmente difficile da definire. Nel nostro caso risulta ancora più complicata trattandosi di rappresentazioni di articolazioni superiori, le quali non offrono nessun ancoraggio cronologico preciso, a differenza per esempio delle raffigurazioni di arti inferiori con suola di sandalo 29; preclusa appare anche la possibilità di reperire confronti precisi. Tuttavia, per i reperti provenienti dal santuario di Demetra, possediamo un buon punto di riferimento cronologico nel deposito 66B, il cui contenuto è stato datato da V. Gertl, soprattutto in base al materiale ceramico, «vom ausgehenden 4. bis über die zweite Hälfte des 3. Jahrhunderts» 30. Poiché nel deposito sono venuti alla luce più di un quarto di tutti i votivi anatomici del santuario, la sua cronologia può essere assunta come linea guida per la datazione dei votivi e del rituale ad essi collegato. La datazione dei votivi anatomici fra il tardo IV ed il III sec. a.C. trova peraltro conferma in quegli esemplari di dita e braccia che indossano gioielli e dei quali nessuno proviene dal deposito 66B: i bracciali serpentiformi sono tra i più antichi e diffusi gioielli greci 31. Il tipo presente nella fig. 1c, in cui il bracciale stesso possiede la forma di un serpente, è comunque una creazione relativamente tarda, che secondo B. Deppert-Lippitz compare solo intorno alla metà del III sec. a.C. 32, offrendo così un terminus post quem per le braccia votive dal santuario, o almeno per il braccio presentato nella fig. 1c. Per quanto riguarda gli anelli, poi, sembrano da identificare anch’essi chiaramente come una riproduzione di gioielli ellenistici. Alla fine del IV sec. a.C. compaiono in Grecia anelli dalla morfologia affine a quella degli anelli presenti sulle nostre terrecotte. I gioielli sono caratterizzati da una verga circolare che sul davanti si allarga in uno spesso e grande castone di forma ovoidale, nel quale venivano generalmente inserite pietre colorate 33. L’assenza di queste ultime sulle rappresentazioni in terracotta può probabilmente essere spiegata con una semplificazione dell’immagine. In merito ad Raffigurazioni di patologie compaiono sui votivi anatomici piuttosto di rado. Sul tema ved. ad es. Stieda 1901, pp. 65-121; Meyer-Steineg 1912, pp. 13-24; Roebuck 1951, p. 117; Tabanelli 1962, pp. 12-13; Fenelli 1975a, pp. 212, 217-218; Turfa 1994, p. 225; van Straten 1981, p. 150; L. Capasso, Le terrecotte votive come fonti di informazioni paleopatologiche, in G. Baggieri (a cura di), L’antica anatomia nell’arte dei donaria. Ancient anatomy in the art of votive offerings, Roma 1999, pp. 30-32. 27 Simili tumori compaiono anche sui votivi anatomici di altri siti. Ad esempio, sul dorso di una mano di Corinto si nota una grossa escrescenza ulcerosa (Roebuck 1951, p. 117, n. 63, tav. 40) e «tre grosse ulcere» sono attestate su un fr. di braccio di Tarquinia (P. Romanelli, Tarquinia. Scavi e ricerche nell’area della città, «NSc» II 1948, p. 216, n. 19). Roebuck 1951, p. 117. Per la datazione di piedi fittili tramite la raffigurazione della suola del sandalo ved. infra. 30 Gertl 2001-02, p. 137. 31 A proposito di tali bracciali cfr., per la Grecia, Deppert-Lippitz 1985, pp. 90-91, 131, 158-159, 189, 234-235, 268-271, 292; per la Magna Grecia, Taranto in particolare, cfr. Gli ori di Taranto, pp. 239-240, n. 166; p. 243, n. 172; pp. 247-248, n. 173; Guzzo 2001, pp. 79-80, 238; Deppert-Lippitz 1985, p. 268, fig. 201. 32 Deppert-Lippitz 1985, p. 235. 33 Per questi anelli cfr. Deppert-Lippitz 1985, pp. 238-239. Per i ritrovamenti di Taranto ved. Deppert-Lippitz 1985, p. 239, specialmente Gli ori di Taranto, pp. 261-266, nn. 224-246; Guzzo 2001, pp. 34-36, 165-167. 26 28 29 SIRIS 9,2008 Studi e ricerche della Scuola di Specializzazione in Beni Archeologici di Matera - ISBN 978-88-7228-566-4- © · Edipuglia s.r.l. - www.edipuglia.it Votivi anatomici Emiliano da Eraclea Cruccas e la sua chora 63 anelli simili ritrovati in Magna Grecia, P.G. Guzzo puntualizza che «il periodo d’uso della classe è prevalentemente il III sec., con anticipazioni e con seguiti» 34. Per i materiali di Taranto A. Alessio afferma inoltre che, con un’unica eccezione, «la totalità degli anelli con pietra incastonata si colloca cronologicamente a partire dagli inizi del III secolo» 35. Così, anche per i votivi con anelli si pone un terminus post quem intorno al 300 a.C. Si deve tuttavia rinunciare per gli anelli, e così anche per le dita fittili, ad una datazione più precisa nel corso del III sec. a.C., se non addirittura del II sec. a.C. 36, proprio perché la resa degli anelli è imprecisa, come mostra anche l’assenza delle pietre incastonate. Riassumendo, dai dati a nostra disposizione si ottiene il seguente quadro cronologico: l’offerta dei votivi anatomici nel santuario di Demetra a Eraclea ha probabilmente avuto inizio nel IV sec. a.C., subendo tuttavia un forte incremento nel corso del III sec. a.C., periodo a cui risalirebbero la maggior parte delle attestazioni di questo particolare tipo di votivi. Allo stato attuale delle ricerche, non ci sono indizi che portano ad affermare che tale rituale sia proseguito anche nel corso del II sec. a.C. Il secondo sito in cui sono stati rinvenuti votivi anatomici nel territorio di Eraclea è il poco conosciuto complesso di edifici denominato ‘vallo’ e ubicato 200 m ca. ad ovest rispetto al Museo Nazionale della Siritide di Policoro nella valle del Varatizzo. L’impianto, formato da diversi vani e due strade, è stato indagato in due campagne di scavo, una nel 1960, sotto la direzione di F.G. Lo Porto 37, e una seconda nell’anno 1965, sotto la direzione di B. Neutsch, che portò alla luce gli strati relativi alla frequentazione più antica dell’area 38; i contesti di scavo con i reperti relativi a queste due campagne sono stati studiati da M. Müller-Dürr nell’ambito di un dottorato di ricerca 39. Nel 2003 si è proceduto ad una nuova indagine condotta dalla Soprintendenza Archeologica della Basilicata 40. I votivi anatomici trattati nel presente contributo sono stati recuperati tutti durante lo scavo di B. Neutsch41. Il complesso di edifici, così come è stato scavato da Neutsch, risulta caratterizzato da sei distinte fasi costruttive. Secondo lo studioso queste fasi abbracciano un arco cronologico complessivo che va dal tardo VI sec. a.C. fino al II sec. d.C. 42: e se la frequentazione dell’impianto già a partire dal periodo tardo arcaico risulta poco documentata dai vecchi scavi 43, nuove testimonianze sono invece emerse grazie proprio alle indagini del 2003 44. Per ciò che concerne la funzione di questo complesso, mentre all’inizio si è pensato di poterlo identificare con un quartiere abitativo, in seguito Neutsch ha proposto, per lo meno in relazione alle fasi di frequentazione più antiche, una destinazione sacra dell’area 45: a suo avviso, gli ex voto ritrovati sembrano suggerire un culto riservato ad una «divinità salvatrice» 46 e si è ipotizzata una connessione con la famiglia sacra di Asclepio, incluso anche «Apollo-medico» 47. MüllerDürr ha preferito invece lasciare aperta la questione sulla destinazione dell’area. La quantità di ex voto sarebbe per lei troppo ridotta e la percentuale di oggetti di uso ‘quotidiano’ troppo alta, per un’identificazione univoca del complesso come luogo di culto. Per gli edifici potrebbe comunque trattarsi, come sostiene Müller-Dürr, di strutture annesse ad un santuario, con funzione sia sacra che profana; per il carattere del culto della divinità la studiosa, tuttavia, non si pronuncia 48. Sussistevano insomma, al termine dei ‘vecchi scavi’, alcune incertezze in merito alla destinazione del complesso. Il ritrovamento però nel Guzzo 2001, p. 36. Gli ori di Taranto, p. 262. 36 Per l’evoluzione cronologica delle forme di questi anelli ved. Deppert-Lippitz 1985, pp. 238, 271, fig. 174. 37 Lo Porto 1961, pp. 140-141, figg. 23-29; cfr. Neutsch 1967, 123-129, figg. 21, 22, tav. 11. 38 Neutsch 1965, p. 285; 1968a, pp. 763-766; 1968b, pp. 1516, fig. 7, tav. 6; 1980, pp. 153-155, tav. 9.1B. 39 Dürr 1975. Cfr. Müller-Dürr 1996. 40 Nava 2003. 41 Dürr 1975, pp. 228-231. 42 Neutsch 1980, p. 153. Nelle pubblicazioni più vecchie si parla invece di cinque fasi che iniziano nel tardo V sec. a.C. (Neutsch 1968a, p. 763; 1968b, p. 15), o piuttosto dall’inizio del IV sec. a.C. (Neutsch 1965, p. 285). In Neutsch 1967, pp. 123- 129 vengono solo presentati i risultati della prima campagna di scavo del 1960. 43 Müller-Dürr ha visto l’inizio del complesso, ovvero la sua più antica frequentazione, solo tra la fine del V sec. a.C. e l’inizio del IV sec. a.C. (Dürr 1975, p. 234; Müller-Dürr 1996, p. 89). 44 Nava 2003, pp. 965-966. 45 Neutsch 1980, p. 153; cfr. Lo Porto 1961, p. 140, che interpretava le strutture da lui messe in luce come un «complesso di abitazioni» di età ellenistica; per l’interpretazione come area sacra cfr. anche Neutsch 1965, p. 285, dove si parla di «edifici sacrali o di botteghe appartenenti a questi». 46 Neutsch 1980, pp. 153-154. 47 Neutsch 1980, p. 155. 48 Dürr 1975, pp. 235-237; Müller-Dürr 1996, p. 89. 34 35 SIRIS 9,2008 Studi e ricerche della Scuola di Specializzazione in Beni Archeologici di Matera - ISBN 978-88-7228-566-4- © · Edipuglia s.r.l. - www.edipuglia.it 64 Ute Ch. Kurz Fig. 2. - Pianta del santuario di Demetra (O. Defranceschi). 2003 di una «struttura muraria con setti esterni di rinforzo, che potrebbe interpretarsi probabilmente come temenos» 49, costituirebbe una probabile ed ulteriore conferma del carattere sacro del complesso. Inoltre, pur tralasciando l’idea che gli edifici scavati siano direttamente riferibili ad un’area santuariale, i votivi trovati nella zona del ‘vallo’ – ad esempio le terrecotte figurate e i votivi anatomici – avvalorerebbero comunque l’ipotesi dell’esistenza di un santuario, magari da ipotizzare nelle vicinanze del complesso indagato. Gli ex voto anatomici provenienti dal ‘vallo’ presentano una maggiore varietà rispetto a quelli del santuario di Demetra. Essi comprendono, tra le terrecotte, un piede frammentario, una gamba miniaturistica, tre avambracci ed inoltre una maschera votiva bronzea. I pezzi sono modellati a mano e non recano segni di frattura, il che porta inequivocabilmente ad identificarli come votivi anatomici. L’unica eccezione è rappresentata dal piede, lesionato al centro del dorso (fig. 3a) 50. Esso potrebbe anche appartenere ad una statua in terracotta, ma sarebbe l’unico ritrovamento del complesso del ‘vallo’ riferibile ad una tale figura. La gamba destra miniaturistica termina appena sopra il ginocchio: i dettagli anatomici sono resi, considerando le ridotte dimensioni del pezzo, in maniera sorprendentemente accurata, con la riproduzione anche della calzatura (fig. 3b) 51. Il pezzo assume un particolare significato perché mostra un grosso polpaccio, interpretato già da Müller-Dürr come la raffigurazione di un rigonfiamento di natura patologica. I tre avambracci, simili tra loro, sono di misura inferiore rispetto alla grandezza naturale, pur avendo dimensioni leggermente diverse, e terminano prima del gomito 52. L’esemplare meglio conservato, un braccio destro, mostra sul bordo superiore due fori che sicuramente servivano ad appendere l’ex voto (fig. 3c) 53. Gli altri due esemplari non presentano invece simili fori di sospensione. Particolare è la posizione delle dita della mano: il mignolo e l’anulare sono totalmente ripiegati sul palmo, mentre il medio si solleva leggermente: probabilmente in passato la mano reggeva qualcosa. Si potrebbe tuttavia anche pensare che le dita definissero un particolare gesto, che per noi rimane comunque incomprensibile per la mancanza delle altre due dita. Non rimane molto da dire sulla posa delle mani nelle altre due braccia, mancando del tutto le dita. È certo comunque che queste ultime non dovevano essere ripiegate verso l’interno, poiché non sono presenti i relativi attacchi sul palmo della mano. Due delle braccia indossano bracciali serpentiformi (cfr. fig. 3c). Questi ultimi possiedono, proprio come l’esemplare proveniente dal santuario di Demetra, la 49 Nava 2003, p. 965, per la quale l’impianto «potrebbe riferirsi alla fase più antica». 50 Inv. S 1310. Cfr. Dürr 1975, pp. 149-150, foto n. 95. 51 Inv. S 1118. Cfr. Dürr 1975, pp. 148-149, foto nn. 93-94. 52 Gli avambracci sono menzionati brevemente da Neutsch 1965, p. 285. 53 Inv. S 1314. Cfr. Dürr 1975, pp. 150-151, foto nn. 96-97. SIRIS 9,2008 Studi e ricerche della Scuola di Specializzazione in Beni Archeologici di Matera - ISBN 978-88-7228-566-4- © · Edipuglia s.r.l. - www.edipuglia.it Votivi anatomici Emiliano da Eraclea Cruccas e la sua chora 65 state realizzate con eccezionale cura. Complessivamente i votivi provengono da settori diversi del complesso 55. Non hanno nessuna B A particolare relazione spaziale tra loro e soprattutto non si legano a nessun ambiente del complesso. I votivi anatomici dello scavo del ‘vallo’ sono nella maggior parte dei casi riferibili a fasi costruttive diverse. Pur provenendo da contesti distinti e databili, grazie all’apporto di alcuni materiali, la loro datazione risulta problematica. L’attuale cronologia delle fasi, presentata da Müller-Dürr nel suo lavoro di ricerca, si basa essenzialmente sullo studio delle lucerne e delle monete trovate in associazione ai contesti delle varie fasi. In questa cronologia però le fasi non sempre risultano ben distinte, per via di frequenti C D sovrapposizioni. Dunque quella che viene fornita va considerata solo come una proposta provviFig. 3. - Eraclea. Area del Vallo: a) piede frammentario (Dürr 1975, n. 95); b) gamba misoria. Del resto un chiarimento niaturistica (Dürr 1975, n. 93); c) braccio votivo frammentario (foto J. Moser). Santuario della datazione delle fasi costrutin contrada Petrulla: d) piede votivo frammentario (foto J. Moser). tive andrebbe al di là degli obforma dello stesso animale. La maschera votiva di biettivi di questo breve studio; ancora, di recente sono bronzo infine risulta già edita in diverse pubblicastati avviati nuovi studi sul materiale del complesso zioni 54. Nell’antichità le c.d. maschere, tra cui è da architettonico che potrebbero fornire nuovi dati sulla annoverare dal punto di vista morfo-tipologico la cronologia delle fasi costruttive. Dall’assegnazione placchetta bronzea, potevano comprendere tutto il dei votivi anatomici alle fasi costruttive e dal quadro volto, ma anche solo alcune parti di esso. Il nostro cronologico delle stesse presentato da Müller-Dürr emerge la seguente situazione 56: il pezzo presumibilesemplare mostra un dettaglio stretto e rettangolare mente più antico tra i reperti è la gamba miniaturiintorno agli occhi e la zona superiore del naso. Sopra, stica, che appartiene alla fase IV, datata al centro, la placchetta presenta un allungamento con complessivamente fra il 400 e il 150 a.C. Segue un foro rettangolare di sospensione. La raffigurazione quindi il piede, rientrante in un periodo tra il 350 a.C. degli occhi spalancati è straordinariamente naturalie il 200 a.C., che corrisponde alla fase III. Delle tre stica: le pupille, l’iride e in particolare le ciglia sono 54 Inv. S 1802. Cfr. Dürr 1975, pp. 224-227, foto n. 158. Cfr. Neutsch 1965, p. 285; 1968a, pp. 765-766, fig. 10a; 1968b, p. 19, tav. 13.1; 1980, pp. 154-155, tav. 12.1; Müller-Dürr 1996, p. 88, tav. 1.1. Il ritrovamento viene menzionato anche in Fenelli 1975a, pp. 240-241, 250, n. 62; Comella 1981, pp. 754-755, n. 149; Comella 1982-83, p. 238 (dove si accenna anche ad «alcune braccia di terracotta»); van Straten 1981, p. 142, n. 53; Forsén 1996, p. 113 nota 32; Ziegenaus, De Luca 1968, p. 173 (a proposito di n. M 59/3). 55 Il piede frammentario proviene, così come anche la maschera di bronzo, dalla Via I del complesso; la piccola gamba è stata ritrovata nell’ambiente Y (parte nord), il braccio qui riprodotto nell’ambiente X e le altre due braccia nell’ambiente A. 56 Dürr 1975, tab. a p. 231. SIRIS 9,2008 Studi e ricerche della Scuola di Specializzazione in Beni Archeologici di Matera - ISBN 978-88-7228-566-4- © · Edipuglia s.r.l. - www.edipuglia.it 66 Ute Ch. Kurz braccia votive, due possono essere ascritte alla fase ellenistica II, che va dal 300 a.C. al 200 a.C.; per il braccio della fig. 3c evidentemente mancavano le necessarie informazioni per la sua assegnazione ad una fase in particolare. Per i due esemplari con il bracciale serpentiforme, i gioielli forniscono inoltre un terminus post quem intorno al 250 a.C. Dato che le tre braccia sono molto simili tra loro, è certamente verosimile datarle nello stesso periodo, ovverosia nella seconda metà del III sec. a.C. Per la maschera votiva si dovrebbe ugualmente supporre, vista la sua appartenenza alla fase II, una datazione nel corso del III sec. a.C. Neutsch però ha proposto – ma senza fornire una precisa motivazione – un riferimento cronologico molto più alto, rientrante nei «primi decenni successivi alla fondazione di Herakleia» 57, avvenuta come è noto dalle fonti letterarie nel 433/32 a.C. È dunque possibile che si debba riconoscere nel bronzo un esemplare più antico confluito in un contesto stratigrafico più recente 58. I tre avambracci e il piede frammentario si datano tra il 350 a.C. ed il 200 a.C., risultando quindi approssimativamente contemporanei ai votivi anatomici provenienti dal santuario di Demetra. La gamba miniaturistica in terracotta è certamente da considerarsi in collegamento con questi votivi anatomici fittili, e sembra perciò che la sua datazione possa essere adattata a quella degli altri esemplari, circoscrivendola ad un lasso cronologico che va dal 350 a.C. al 200 a.C. Per il votivo bronzeo, da datare possibilmente fra la fine del V e l’inizio del IV sec. a.C., teoricamente si potrebbe pensare ad un’offerta separata e precedente 59. Il terzo sito eracleota che presenta rinvenimenti di votivi anatomici è ubicato nella chora della città, in località Contrada Petrulla, sulla riva sinistra del Sinni. Qui D. Adamesteanu ha scavato tra il 1976 e il 1977 un piccolo luogo sacro, identificandolo, soprattutto sulla base delle strutture architettoniche presenti al- l’interno del recinto e nelle quali riconosceva delle edicole, come un heroon 60. Questa interpretazione, però, alla luce di una revisione complessiva di tutto il materiale archeologico, è stata recentemente rivista 61. Oggi viene piuttosto messo in evidenza come l’aspetto primario della divinità venerata sia quello legato “ai cicli naturali ed in genere alla fertilità” 62, particolarmente evidente nella dedica di riproduzioni fittili di frutti, di figure femminili – specialmente la kourotrophos –, così come di statuette di ‘temple boys’. M. Osanna agli inizi degli anni ’90 del secolo scorso aveva proposto per il santuario un culto di tipo afrodisio 63. Recentemente lo stesso studioso, in seguito allo studio del materiale considerato complessivamente da parte di A. Bruscella, al quale è stata affidata una tesi di laurea su questo contesto, ha proposto un culto delle Ninfe: a favore di un collegamento con queste divinità depone soprattutto la presenza nella zona del santuario di una sorgente 64. Tra le terrecotte restituite dallo scavo, può essere riconosciuto senza dubbio come un votivo anatomico un piede sinistro che termina sopra la caviglia (fig. 3d) 65. L’esemplare, già edito da Adamesteanu 66, risulta di dimensioni inferiori rispetto alla grandezza naturale e modellato a mano. Come negli esemplari già considerati, i dettagli anatomici sono resi con accuratezza. Particolare attenzione merita la calzatura, un sandalo con un sistema di stringhe rese in maniera molto dettagliata. Oltre al piede, esistono tra i materiali di Contrada Petrulla, anche due dita in terracotta riprodotte a grandezza naturale e plasmate a mano, che andrebbero identificate come ex voto anatomici, anche se entrambe sono spezzate all’altezza della seconda falange 67. Le dita potrebbero comunque appartenere ad un ex voto più grande, una mano, o forse un braccio. Il luogo di rinvenimento del piede e delle due dita 57 Neutsch 1968a, p. 765; cfr. 1968b, p. 19; 1980, p. 154; 1965, p. 285 (inizio del IV sec. a.C.). 58 Cfr. a questo proposito Dürr, p. 232, che osservava nelle fasi ellenistiche I und II in parte pezzi più antichi. 59 A questo punto è comunque necessario ricordare che l’offerta di votivi anatomici sia in Grecia che in Italia centrale diventa consuetudine solo a partire dalla fine del V sec. a.C., o meglio dall’inizio del IV sec. a.C. Per cui una realizzazione dei votivi anatomici di Eraclea nei primi decenni del IV. sec. a.C. è a mio avviso piuttosto improbabile. 60 Ved. Adamesteanu 1982, pp. 463-464. 61 In una sorta di ampliamento della tesi di Adamesteanu, cfr. M.P. Bini, Il territorio di Eraclea nel IV-III sec. a.C., in Studi su Siris-Eraclea, pp. 19-20, che, specialmente in base alle scene di- pinte sui vasi, ha associato alla divinità maschile una seconda figura divina femminile con caratteristiche ctonie. 62 Osanna 1992, p. 100. 63 Osanna 1992, pp. 98-100. 64 Bruscella 2003-04, pp. 186-189; cfr. più in generale le pp. 171-189. 65 Inv. 43889, cfr. Bruscella 2003-04, p. 159, n. 126, tav. 68. 66 Adamesteanu 1982, p. 461, tav. 120.4. 67 Cfr. Bruscella 2003-04, p. 160, nn. 128-129, tav. 68. Appare poco plausibile, anche in questo caso, riconoscervi parti di una statua di grandi dimensioni, non essendoci nel piccolo santuario rurale alcuna indicazione che lasci supporre l’esistenza di statuaria a grandezza naturale. SIRIS 9,2008 Studi e ricerche della Scuola di Specializzazione in Beni Archeologici di Matera - ISBN 978-88-7228-566-4- © · Edipuglia s.r.l. - www.edipuglia.it Votivi anatomici Emiliano da Eraclea Cruccas e la sua chora 67 va probabilmente ricercato nella «fossa allungata» posta nelle vicinanze dell’angolo SO del temenos del santuario 68. Il santuario di Contrada Petrulla ebbe un arco cronologico di vita molto breve, dal 360 a.C. ca. fino al primo quarto del III sec. a.C. 69. In questo lasso cronologico sono senza dubbio da collocare anche le due dita ed il piede. Per l’inquadramento cronologico del piede un utile indizio è costituito dalla rappresentazione del sandalo: due sono le componenti determinanti per la cronologia di un sandalo greco, come si deduce dallo studio di K.D. Morrow sulle calzature greche 70, la forma della suola e la foggia delle stringhe. La suola costituisce l’indicatore più importante, essendo spesso l’unico dettaglio rappresentato della calzatura, perché le stringhe erano solitamente rese solo con la pittura 71. Questo si riscontra anche nella maggior parte dei piedi votivi della zona etrusco-laziale-campana, a cui – come si vedrà meglio in seguito – appartiene il nostro piede dal punto di vista morfologico 72. La suola del sandalo di Petrulla risulta sottile e rappresentata come uno strato omogeneo. Essa si presenta orizzontale in corrispondenza del pollice, piega tra il secondo e il terzo dito in modo netto, per poi inclinarsi in una lunga diagonale fin dopo il mignolo, adeguandosi poi al profilo del piede. Questo sandalo rientra, seguendo le argomentazioni di Morrow, nella tradizione di modelli antichi, ma può anche essere riconosciuto come un esito della moda tardo-classica per il breve tratto orizzontale ed il lungo tratto diagonale 73. Il discrimine con l’ellenismo consiste nel fatto che la maggior parte delle suole di quell’epoca più tarda mostra una divisione molto caratteristica dell’alluce 74. Per le stringhe è poi tipico che la separazione della stringa che passa tra il pollice e il dito contiguo si trovi vicino alle dita del piede e non più sulla caviglia. Questa profonda sepa- razione diventa comune a partire dal IV sec. a.C., ricorrendo anche in epoca ellenistica 75. Riassumendo, il sandalo di Contrada Petrulla riflette chiaramente i modelli di calzatura tardo-classici. Con una cronologia compresa tra il 360/50 a.C. ed il 280 a.C. ca., i votivi anatomici dal santuario rurale di Petrulla rientrano nello stesso ambito cronologico dei votivi degli altri due siti dell’area urbana di Eraclea. Si può concludere quindi che l’usanza di dedicare votivi anatomici fittili a Eraclea sia verosimilmente iniziata nella seconda metà del IV sec. a.C. e abbia avuto il suo periodo di massima diffusione nel corso del III sec. a.C. Una continuità delle offerte nel II sec. a.C. non può essere esclusa definitivamente, anche se bisogna ravvisare che allo stato attuale delle indagini non ci sono veramente attestazioni in questo senso. Riepilogando, il manufatto probabilmente più antico risulterebbe la maschera bronzea, la quale si distacca in modo sostanziale dalle dediche fittili a tutto tondo. Come già accennato sopra, le raffigurazioni di parti del corpo umano costituiscono un gruppo di ex voto che ricorre solo raramente in Italia meridionale. Questi votivi sono poco diffusi nel mondo religioso sia dei popoli magnogreci sia indigeni, non rivestendo un grande ruolo anche nelle officine artigianali di queste realtà. La presenza di votivi anatomici a Eraclea va quindi letta come conseguenza di un influsso esterno. Sulla base della vicinanza geografica, l’area etrusco-laziale-campana si offre come ‘zona d’origine’, e infatti i ritrovamenti di Eraclea vengono ricollegati da V. Hinz proprio a quest’area, rinviando ai votivi anatomici di Paestum 76: qui 77, così come a Napoli 78, Lucera 79 e Venosa 80, sono attestati votivi anatomici, che corrispondono dal punto di vista tipologico a quelli dell’area estrusco-laziale-campana, e la cui esistenza viene spesso messa in relazione al- Adamesteanu 1982, p. 461; cfr. Bruscella 2003-04, p. 62. 69 Così Bruscella 2003-04, p. 169; cfr. Adamesteanu 1982, pp. 463-464. 70 Morrow 1985. 71 Così Morrow 1985, p. 72. 72 Per alcuni esempi di stringhe rappresentate in rilievo cfr. Comella 1982, pp. 130-131, D 13, tavv. 82a-c; Fenelli 1975a, tavv. 43.3-4; 1975b, pp. 302-303, D 399-402, fig. 378. Confronti per stringhe rese con la pittura si trovano in P. Pensabene et alii, Terracotte votive dal Tevere, Roma 1980, p. 307, nn. 1175, 1177, 1192, tav. 110. 73 Cfr. Morrow 1985, pp. 70-73, 88. 74 Ved. Morrow 1985, pp. 90, 140. Confronti particolarmente validi con suole di sandali tipicamente ellenistiche sono in Comella 1982, tavv. 77b, 78a-c, 79a, d, f. 75 Ved. Morrow 1985, pp. 70-73, 88, 90-97, 140. 76 Hinz 1998, p. 192, con nota 1119: la studiosa ne parla in relazione ai materiali del santuario di Demetra. 77 Ved. ad es. Ardovino 1986, pp. 167-169. 78 Per la presenza di votivi anatomici a Napoli ved. D. Giampaola, I Monumenti, in F. Zevi (a cura di), Neapolis, Napoli 1994, p. 63; cfr. Hinz 1998, pp. 181-182. 79 Per i materiali ved. R. Bartoccini, Arte e religione nella stipe votiva di Lucera, «Japigia» XI 1940, pp. 241-298 e specialmente D’Ercole 1990, pp. 183-225, tavv. 67-84; cfr. Bottini 1988, p. 85, fig. 120; Salvatore 1991, p. 97. 80 Ved. Salvatore 1991, p. 94, cat. pp. 96-97. 68 SIRIS 9,2008 Studi e ricerche della Scuola di Specializzazione in Beni Archeologici di Matera - ISBN 978-88-7228-566-4- © · Edipuglia s.r.l. - www.edipuglia.it 68 Ute Ch. Kurz l’espansione romana 81. A favore di un’associazione dei reperti provenienti da questi siti con quelli dell’area centro-italica depongono diversi fattori. Innanzitutto va sottolineata la scelta dei tipi di votivi, perché a Paestum, Lucera e Venosa 82 sono stati ritrovati uteri, rappresentazioni di organi interni, tipici per l’Italia centrale 83. Da notare ancora, per un collegamento tra le due aree geografiche, l’associazione dei votivi anatomici a Paestum, Napoli e Lucera, con terrecotte del tipo dei ‘bimbi in fasce’. I ‘bimbi’, o ‘pupi in fasce’, non solo sono molto diffusi nella zona etrusco-laziale-campana, ma compaiono spesso in concomitanza con i votivi anatomici 84. Infine va menzionata anche la concordanza morfologica dei reperti con quelli rinvenuti nell’Italia centrale. Tra i materiali di Eraclea, come abbiamo visto, non compaiono rappresentazioni di organi interni, né si riscontrano tra i ritrovamenti coroplastici dei tre siti statuette appartenenti al tipo dei ‘bimbi in fasce’. Per quanto riguarda l’aspetto morfologico dei votivi, si può leggere un collegamento con l’Italia centrale solo per il piede votivo di Petrulla, o meglio per la sua calzatura. Questo è inequivocabile, poiché la raffigurazione plastica di calzature su ex voto anatomici è una peculiarità propria delle officine dell’Italia centrale 85. Gli arti superiori, l’offerta più frequente a Eraclea, non mostrano invece nessuna concordanza con quelli dell’Italia centrale. Le dita delle terrecotte ritrovate in Italia centrale appaiono spesso rese in maniera perfet- tamente diritta e separate solo da solcature più o meno profonde 86. A questa particolare conformazione delle mani è stata attribuita da alcuni una speciale importanza per quanto riguarda il significato: ad esempio è stata interpretata come gesto di preghiera 87. Sembra però che la ragione di questa singolare raffigurazione possa anche essere di natura strettamente tecnica, dipendendo cioè dal fatto che le dita dei votivi dell’Italia centrale siano state prodotte a matrice con il resto della mano. Al contrario le dita dei votivi eracleoti sono lavorate a mano e a tutto tondo. La gamba miniaturistica proveniente dal ‘vallo’ può molto probabilmente essere considerata un pezzo unico di produzione locale, non influenzato da nessun preciso modello esterno, in quanto di regola i votivi anatomici sono solitamente a grandezza naturale o leggermente inferiori. Versioni miniaturistiche appaiono in primo luogo come una sorta di peculiarità locale 88. Per la maschera bronzea si ritrova qualche confronto sulla penisola italiana 89, ma votivi analoghi in metallo pregiato, spesso in oro, erano, a quanto sembra, molto diffusi in Grecia, come indica il fatto che venivano frequentemente nominati all’interno degli inventari dei templi 90; da questi ultimi si apprende anche che, spesso, nell’antichità questi ex voto preziosi venivano fusi, il che spiegherebbe il loro esiguo numero di attestazioni 91. Considerato l’alto numero di votivi di questo genere in Grecia, si è indotti a pensare che la ma- 81 In questo contesto vengono menzionati soprattutto Paestum e Lucera: cfr. Comella 1981, pp. 767-768, 770; Barra Bagnasco 1999, p. 41; Ardovino 1986, pp. 167, 168-169, 177-179 che ricollega i votivi alla fondazione della colonia latina, contraddicendo così le precedenti datazioni di Greco (E. Greco, D. Theodorescu (a cura di), Poseidonia-Paestum I. La curia («Collection de l’École francaise de Rome» XLII), Roma 1980, pp. 18-22, fig. 47); Bottini 1988, p. 85. Per i materiali di Venosa ved. Salvatore 1991, p. 94. 82 Per Napoli è attestata la presenza di votivi anatomici, ma non vengono date indicazioni in merito alla tipologia dei reperti (cfr. bibliografia in nota 78). 83 La raffigurazione di organi interni in Italia centrale rappresenta uno dei temi più amati nelle ricerche, altrettanto lunga quindi la bibliografia. Si cita qui solo ad es. Tabanelli 1962; Turfa 1994, pp. 225-233. 84 A questo proposito ved. ad es. Comella 1981, pp. 758-759; Ardovino 1986, p. 167. 85 Ved. infra. 86 Ved. ad es. le immagini in Fenelli 1975a, nn. 2, 5, tav. 42; Comella 1982, tavv. 72-75; cfr. anche Stieda 1901, p. 72. 87 Cfr. a questo proposito D’Ercole 1990, pp. 183-184, dove si accenna anche ad altre ipotesi interpretative e Forsén 1996, pp. 19-24. 88 Una piccola concentrazione di offerte votive in miniatura è venuta alla luce in contrada Fontana Calda a Butera in Sicilia: D. Adamesteanu, Fontana Calda, scoperta della stipe votiva di un santuario campestre, «MonAnt» XLIV 1958, pp. 589-672, 668, fig. 294. Cfr. ad. es. Hinz 1998, p. 95; Comella 1981, p. 767. 89 Così ad es. a Tarquinia: Comella 1982, p. 159, E 4, tav. 95a. Maschere in sottile lamina d’oro, in cui occhi, e a volte anche il naso, venivano impressi a stampo, sono stati trovati per es. a Bolsena Pozzarello (E. Gabrici, Scavi nel sacellum della dea Noria sul Pozzarello, «MonAnt» XVI 1906, p. 214, figg. 32a-c) e Pontecagnano (G. Bailo Modesti et alii, I santuari di Pontecagnano, in A. Comella, S. Mele (a cura di), Depositi votivi e culti dell’Italia antica dall’età arcaica a quella tardo-repubblicana (Atti del convegno di studi Perugia, 1-4 giugno 2000), Bari 2005, p. 580, tav. 4c). Sul tema dei votivi in bronzo in area etrusco-lazialecampana in generale cfr. Fenelli 1992, pp. 132-133. 90 In merito agli inventari di templi ved. supra. Votivi di occhi e volti sono menzionati in grande quantità soprattutto negli inventari dell’Asklepieion di Atene (ad es. I.G. II, 22 n. 1534; ved. Aleshire 1989, pp. 42, 113-369 a proposito dei singoli inventari di tempio; van Straten 1981, pp. 108-113, nn. 1.25-31; Forsén 1996, pp. 114-115), numerosi votivi di occhi anche negli inventari del Thesmophorion di Delos (ad es. ID 1444, Ba, 11; cfr. van Straten 1981, p. 127, n. 24). A proposito dei votivi greci in metallo in generale ved. anche Forsén 1996, pp. 112-117. 91 Cfr. a questo proposito ad es. van Straten 1981, p. 125, n. 16.3 per un esemplare dell’Amphiareion di Oropos e Aleshire 1989, pp. 104-105. SIRIS 9,2008 Studi e ricerche della Scuola di Specializzazione in Beni Archeologici di Matera - ISBN 978-88-7228-566-4- © · Edipuglia s.r.l. - www.edipuglia.it Votivi anatomici Emiliano da Eraclea Cruccas e la sua chora 69 schera bronzea eracleota sia da considerare di tradizione greca 92. Improbabile invece un simile collegamento per gli altri votivi anatomici eracleoti. Dediche di parti del corpo a tutto tondo in terracotta sono assolutamente rare e compaiono in quantità considerevole solo in un unico sito, l’Asklepieion di Corinto 93; gli ex voto di altri siti appartengono nella maggioranza dei casi al tipo delle «steinerne Reliefgliederweihungen», studiati da B. Forsén 94, che raffigurano cioè le parti del corpo offerte in forma di rilievo su marmo o altre lastre di pietra. Si sarebbe così costretti a parlare di un influsso di Corinto, in realtà inaspettato e del resto non attestato. Se è vero che la mano e soprattutto la raffigurazione delle dita di produzione eracleota trovano una corrispondenza in certi votivi di Corinto, questo potrebbe avere in primo luogo motivi tecnici e dipendere dalla produzione a mano delle dita in entrambi i centri di produzione 95. Di conseguenza, l’analogia tra i votivi di Eraclea e Corinto sembra essere casuale. I votivi anatomici di Eraclea sono quindi da identificare come creazioni locali. La loro produzione, anche se è stata di certo ispirata dall’esterno, dalla Grecia e dall’Italia centrale, si presenta però fortemente autonoma. La differenza con la vicina area dell’Italia centrale si mostra soprattutto nella scelta dei motivi. L’incredibile popolarità del gruppo di votivi nell’area etrusco-laziale-campana è comunque, con molta probabilità, responsabile della presenza dei votivi anatomici a Eraclea. Non è necessariamente scontato che il contatto con i votivi anatomici dell’area etrusco-laziale-campana sia avvenuto in maniera diretta, cioè proprio nell’area centro-italica. È possibile però che l’‘incontro’ sia avvenuto per esempio a Paestum, Napoli, o anche Lucera e Venosa, re- altà che non rientrano strettamente nell’area etruscolaziale-campana, ma geograficamente più prossime a Eraclea. Gli antichi votivi che riproducono parti del corpo umano – generalmente chiamati “votivi anatomici” – sono da interpretare come dediche per la guarigione di una malattia o di altri problemi fisici 96. Nella Grecia antica venivano dedicati soprattutto al dio della medicina Asclepio. In assenza di un luogo di culto del dio, ci si rivolgeva ad un’altra divinità locale alla quale si attribuiva un certo potere salvifico-taumaturgico. Da un lato si offriva un votivo raffigurante la parte del corpo afflitto da un male fisico accompagnando tale pratica con una preghiera, dall’altro lato si ringraziava la divinità con l’offerta anatomica dopo l’avvenuta guarigione; questa usanza si può tra l’altro ancora osservare oggi nella religione cristiana. Per quanto riguarda i votivi anatomici antichi risulta quasi sempre impossibile verificare se fossero dediche del primo o del secondo caso nominato. Sembra però probabile, o almeno possibile, che i votivi con sintomi di malattie, mostrando l’attuale stato patologico, venissero dedicati con la preghiera per la salvezza 97. Per i votivi di Eraclea questo vale per le dita con le escrescenze tumorali e forse anche per quelle ricurve del santuario di Demetra, nonchè per la gamba miniaturistica proveniente dal “vallo” con il polpaccio stranamente rigonfio. Le terrecotte eracleote ornate di gioielli restituiscono, come già detto, articolazioni probabilmente sane. Si potrebbe pensare che venissero offerte dopo l’avvenuta guarigione – forse i gioielli venivano anche indossati proprio in occasione della guarigione – ma si potrebbe vedere in questi votivi anche l’immagine di ciò che si desiderava avve- B. Neutsch cita, come confronti, le maschere votive degli Asklepieia di Kos e Pergamo (Neutsch 1965, p. 285; 1968a, fig. 10b; 1968b, p. 19; 1980, p. 154). Sulla maschera di Kos ved. inoltre Meyer-Steineg 1912, tav. 2.2, e su quella di Pergamo Ch. Habicht, Die Inschriften des Asklepieions, «AvP» VIII, 3, Berlino 1969, n. 111b, p. 127, tav. 30; Ziegenaus, De Luca 1968, pp. 172173, M 59/3, tav. 62. Cfr. van Straten 1981, p. 134, n. 35; Forsén 1996, p. 113. 93 Per i rinvenimenti di Corinto si rimanda alla bibliografia citata alla nota 2. Accanto ad essi vanno menzionati i due piedi di Rodi (van Straten 1981, p. 128, n. 26.1), alcuni occhi del santuario demetriaco di Pergamo (van Straten 1981, p. 134, n. 36), un orecchio e un piede di Efeso (van Straten 1981, p. 135, nn. 39.1-2); per tali manufatti cfr. anche Forsén 1996, p. 119 con nota 70. Van Straten menziona inoltre una gamba nel Museo Nazionale di Atene con una probabile provenienza da Atene (van Straten 1981, p. 120, n. 9.9). Forsén 1996, p. 120 pensa però che il manufatto provenga forse dalla Beozia. Da ricordare ancora le terrecotte indicate da Meyer-Steineg come reperti dell’Asklepieion di Cos (Meyer-Steineg 1912, pp. 6, 13-27; cfr. Herzog 1931, p. 148 nota 15). 94 Ved. Forsén 1996, p. 4 in particolare. 95 A Corinto le dita modellate a mano sono state applicate alle mani o braccia prodotte con l’aiuto di matrici. Sulle terrecotte corinzie delle estremità superiori ved. Roebuck 1951, p. 115, tavv. 36-40. 96 Cfr. a questo proposito la definizione chiara e stringente di Forsén (1996, p. 1): «Gliederweihungen…sind Darstellungen menschlicher Körperteile, die Göttern mit heilenden Kräften geweiht wurden, als Bitte um Heilung oder Dank für die Genesung des abgebildeten Gliedes». 97 La riproduzione di sintomi patologici sui votivi è un’ulteriore conferma che questi votivi sono da vedere come dediche per la guarigione di un male fisico. 92 SIRIS 9,2008 Studi e ricerche della Scuola di Specializzazione in Beni Archeologici di Matera - ISBN 978-88-7228-566-4- © · Edipuglia s.r.l. - www.edipuglia.it 70 Ute Ch. Kurz nisse, e così i votivi sarebbero stati dedicati con la preghiera della guarigione. In generale i votivi anatomici antichi sono da interpretare come offerte per il superamento di un male fisico. Determinate parti del corpo, però, vengono in parte svincolate da quest’accezione e ad esse vengono assegnati altri significati 98. Per quanto concerne i tipi attestati a Eraclea, questo riguarda essenzialmente il piede votivo di Petrulla. Per i piedi votivi veniva, infatti, proposto da L. Stieda un’offerta in rapporto alla buona riuscita di un viaggio 99. Con questo concorderebbe il fatto che, di regola, i piedi provenienti dall’Italia centrale indossano calzature, diversamente, per esempio, dalle produzioni corinzie raffigurate scalze 100. Dal momento che la resa della calzatura o, più precisamente, della suola non è riconducibile a nessun motivo tecnico, è da cercare una spiegazione diversa, relativa al significato. Una protezione del piede in occasione di un viaggio sarebbe non solo sensata, ma anzi quasi necessaria, mentre vestiario di ogni genere sarebbe d’impaccio per un’‘offerta salutare’, come mostrano ad esempio i piedi scalzi di Corinto, così come le braccia votive, dedicate ‘svestite’ sia a Corinto che in Italia centrale. Sembra perciò possibile che l’iconografia del piede con calzatura, tipico dell’Italia centrale, sia stata creata in considerazione di una dedica ricollegabile ad un viaggio, forse in rapporto anche al buon esito di un pellegrinaggio 101. Di certo, però, questa destinazione ‘originaria’ non impediva a qualcuno di offrire un piede con calzare anche per una guarigione da un male fisico. Infatti, per la maggior parte dei piedi votivi dell’Italia centrale si dovrà partire proprio da questo significato, poiché è impensabile che la grande quantità di offerte di piedi e gambe – questi due tipi sono tra i più diffusi votivi anatomici – in Italia centrale siano stati tutti donati in relazione ad un viaggio 102. Inoltre i piedi si ritrovano di regola in associazione con votivi relativi ad altre parti del corpo, cosa che suggerirebbe un significato comune, che è da rintracciare proprio nell’ambito dell’aspetto salutare. Per il caso concreto del piede di Petrulla, il collegamento con la buona riuscita di un viaggio è difatti privo di senso. In genere, con simili richieste, o per ringraziare dell’aiuto ricevuto, ci si rivolgeva ad Hermes, il dio delle strade e dei traffici 103, oppure anche ai Dioscuri, che nel ruolo di protettori degli stranieri diventavano anche protettori dei viaggiatori e il cui aiuto veniva invocato soprattutto per la buona riuscita di un viaggio per mare o, meglio, in occasione di pericoli in mare 104. A Petrulla però il culto praticato risulta riservato ad una divinità femminile e legato alla fertilità della terra e alla fecondità femminile e, in quest’ambito, l’interpretazione del piede come offerta per un viaggio risulterebbe piuttosto forzata. Sarebbe possibile solo se si ammettesse per il culto una variante specifica locale, per la quale però (ad eccezione del piede) non esiste alcun indizio. Nel caso di una dedica per una guarigione da un malanno, invece, il piede si inserisce bene nel culto attestato per il santuario, legato alla fecondità e ad una sorgente; del resto il collegamento tra votivi anatomici e sorgente presso un santuario ritorna ancora in Basilicata, nei già menzionati luoghi di culto di Chiaromonte, Monticchio e Rossano di Vaglio 105. Il piede formerebbe inoltre un gruppo omogeneo con le due dita votive del santuario e le tre terrecotte insieme corrisponderebbero semanticamente agli analoghi votivi del santuario di Demetra. Se anche alcuni esemplari venivano consacrati in contesti semantici differenti, la maggioranza delle antiche dediche votive anatomiche, comprese quelle dei tre siti qui trattati, sono da identificare come offerte per il superamento di una patologia. A seguito di que- Ad es. gli uteri e i genitali maschili e femminili, ai quali viene assegnata una valenza in rapporto alla «fecondità» e alla «riproduzione»: Comella 1981, p. 762; Ardovino 1986, p. 167; D’Ercole 1990, p. 183 sgg.; Hinz 1998, p. 192. Per ulteriori ipotesi ved. ad es. Fenelli 1975a, pp. 218-224 (cfr. F. Fabbri, Un exvoto fittile da Populonia e le attestazioni dei votivi anatomici di età repubblicana nell’Etruria settentrionale, «RassAPiomb» XII 1994-95, pp. 579-581; Turfa 1994, pp. 224-233), D’Ercole 1990, pp. 183-184; sul tema in generale ved. anche Aleshire 1989, pp. 40-42. 99 L. Stieda, Über alt-italische Weihgeschenke, «RM» XIV 1899, p. 237; Stieda 1901, p. 56 (con bibliografia precedente), 66, 75; cfr. tra l’altro Hinz 1998, p. 92; D’Ercole 1990, p. 183; Turfa 1994, p. 224. 100 Questa differenziazione tra i piedi votivi dell’Italia centrale e di Corinto viene già notata anche da Forsén 1996, p. 119. Si conoscono comunque anche esempi senza la suola del sandalo, cfr. Comella 1982, p. 111. 101 Per il rapporto con il buon esito di un pellegrinaggio cfr. Stieda 1901, p. 56. 102 Cfr. a questo proposito Comella 1981, p. 762, che esclude la connessione con la dimensione del viaggio. 103 Su Hermes come dio di strade e traffico si rimanda a S. Eitrem, s.v. Hermes, RE VIII, 1 (1987)2, coll. 738-792. 104 Per i Dioscuri, sia nella veste di protettori ‘in terra straniera’, che in quella di salvatori in mare, ved. Bethe 1990, coll. 1095-1097. Cfr. van Straten 1981, pp. 96-97. 105 Ved. infra. 98 SIRIS 9,2008 Studi e ricerche della Scuola di Specializzazione in Beni Archeologici di Matera - ISBN 978-88-7228-566-4- © · Edipuglia s.r.l. - www.edipuglia.it Votivi anatomici Emiliano da Eraclea Cruccas e la sua chora 71 st’interpretazione si può postulare per il santuario di Demetra a Eraclea, con i suoi quasi 70 frammenti di votivi anatomici, un culto salutare. I cinque o, forse, sei esemplari attestati per l’area del ‘vallo’ testimonierebbero ugualmente l’esistenza di un culto salutare, nonostante non si riesca a localizzarlo all’interno del complesso scavato. Sia nel santuario di Demetra, sia in misura anche maggiore nel ‘vallo’, il culto salutare rappresenta solo uno dei tanti esiti e, sicuramente, non il più importante aspetto cultuale 106. Per quanto concerne il santuario rurale di Contrada Petrulla, vista l’esigua quantità numerica di votivi anatomici, non è appropriato parlare di un culto salutare. In ogni caso, però, la o le divinità venerate nel santuario svolgevano evidentemente una qualche funzione salvifico-taumaturgica. Dei tre siti eracleoti che attestano votivi anatomici, solo il santuario di Demetra è associabile con chiarezza ad una determinata divinità, soprattutto in base alle numerose iscrizioni su tavolette bronzee e su hydriai 107. Le terrecotte figurate però testimoniano anche il culto di altre divinità, come la c.d. Artemis Bendis e i Dioscuri 108: di conseguenza non si può dare per scontato a priori che la funzione salvifica vada effettivamente attribuita a Demetra 109, sebbene la maggior parte delle terrecotte rinvenute all’interno del santuario e chiaramente riconducibili al suo culto sancisca la sua assoluta supremazia all’interno dell’area sacra, indicandola così anche come divinità titolare del culto salutare. Ulteriori conferme per Demetra come divinità salvifica nel santuario vengono dai contesti di rinvenimento, in particolare da quelli dove si concentra il materiale. Il collegamento tra il deposito 66B e la dea non è reso solo da offerte tipiche per la divinità, ma anche da un’iscrizione dedicatoria su una tavoletta bronzea. Per la zona della sorgente, invece, sono i depositi di hydriskai menzionati sopra ad attestare il rapporto con la signora del santuario. Qui la forma vascolare dell’hydria è legata a Demetra, come evidenziano le iscrizioni sui vasi. Così il culto salutare all’interno del santuario può essere ascritto in modo univoco alla dea Demetra 110. In Grecia sembra sussistere in alcune località un avvicinamento cultuale tra Demetra e Asclepio, dato che i santuari delle due divinità si trovano topograficamente vicini tra loro 111. La funzione salvifica della dea però, attestata non solo a Eraclea, ma anche in altri luoghi in cui si manifesta ugualmente con la dedica di ex voto anatomici 112, non si spiegherebbe attraverso questo rapporto con il dio della medicina 113, mentre la si potrebbe desumere, in particolar modo anche a Eraclea, dal suo ruolo di divinità legata alla fecondità e alla sfera femminile. Nella sua funzione di dea legata alla fecondità era responsabile non solo della fertilità del terreno e degli animali, ma anche degli uomini: la salute fisica è una importantissima condizione per la riproduzione e la crescita di figli sani. Come dea della sfera femminile, invece, Demetra veniva invocata tra l’altro per un buon parto; votivi in forma di organi genitali femminili e mammelle possono essere certo interpretati come offerta a Demetra in qualità di divinità connessa alla sfera femminile 114. Nel caso di Eraclea, non è però da sottovalutare anche l’importanza della sorgente per il culto salutare e per la presenza di votivi anatomici nel santuario demetriaco. Si potrebbe persino credere che 106 In questo la situazione nei due luoghi somiglia a quella di tanti luoghi sacri dell’Italia centrale, cfr. a questo proposito ad es. Turfa 1994, p. 224. 107 Per le iscrizioni sulle tavolette bronzee ved. Neutsch 1968a, p. 775, fig. 29; 1968b, p. 34, fig. 23; Sartori 1980, pp. 407-412, nn. 13-21; F. Ghinatti, Nuovi efori in epigrafi di Eraclea lucana, in Forschungen und Funde, pp. 137-143, tavv. 28-29; G. Maddoli, Manomissioni sacre in Eraclea Lucana, «PP» XLI 1986, pp. 99-107; F. Sartori, Ancora sulle dediche a Demetra in Eraclea lucana, F. Sartori, Dall’Italía all’Italia («Saggi e materiali Universitari. Serie di antichità e tradizione classica» XIX), Padova 1993, pp. 306-318; Otto 2005, pp. 17-18, fig. 25. Per quelle sulle hydriai ved. Neutsch 1968a, p. 784, fig. 39; 1968b, pp. 34, 39, fig. 27; Sartori 1980, pp. 403-407, nn. 3-12; Otto 2005, p. 18, figg. 26, 27. 108 Per le terrecotte della c.d. Artemis Bendis nel santuario ved. U. Frizzi, Artemis Bendis im Demeter-Heiligtum von Herakleia, in Herakleia in Lukanien, pp. 153-155. Per i pinakes dei Dioscuri nel santuario ved. G. Schick, Dioskurenvotive aus dem DemeterHeiligtum von Herakleia, in Herakleia in Lukanien, pp. 157-161. Per la problematica dei ‘visiting-gods’ in questo contesto cfr. ad es. Fenelli 1975a, p. 213 con nota 26. 110 Anche Otto 2005, p. 16 vede in Demetra la «divinità guaritrice» del santuario. 111 Cfr. a questo proposito Benedum 1986. 112 Risulta interessante notare che la dea Demetra sembra possedere un particolare potere in rapporto alle malattie legate agli occhi: O. Rubensohn, Demeter als Heilgottheit, «AM» XX 1895, pp. 360-367. Votivi di occhi sono documentati per il Thesmophorion di Delos (van Straten 1981, n. 24 pp. 127-128), per il santuario demetriaco di Pergamo (van Straten 1981, n. 36 p. 134) e per Demetra in Mesembria (van Straten 1981, n. 22 p. 127). Per Demetra come divinità salvifica e come destinataria di votivi anatomici in generale cfr. Forsén 1996, pp. 142-144; van Straten 1981, p. 122; O. Kern, s.v. Demeter, RE IV, 2 (1901), coll. 27522753. 113 Cfr. a questo proposito anche l’osservazione di Benedum 1986, p. 147, nota 64. 114 Cfr. Forsén 1996, p. 142. 109 SIRIS 9,2008 Studi e ricerche della Scuola di Specializzazione in Beni Archeologici di Matera - ISBN 978-88-7228-566-4- © · Edipuglia s.r.l. - www.edipuglia.it 72 Ute Ch. Kurz la sorgente – si ricordino le molteplici dediche di votivi anatomici nelle sue vicinanze – abbia rivestito un’importanza maggiore rispetto alla dedica di questo genere di votivi piuttosto che al culto demetriaco in sé. Ciò risulta evidenziato dai più volte citati santuari di Chiaromonte, Monticchio e Rossano di Vaglio in Basilicata ubicati presso sorgenti, ovvero dal fatto che in questi luoghi di culto sono ugualmente presenti votivi anatomici 115. Tra i santuari presso una sorgente in cui sono stati rinvenuti votivi anatomici, s’inserisce naturalmente anche il santuario di Contrada Petrulla nella chora di Eraclea. In relazione a quanto già detto, anche qui la presenza di votivi anatomici è spiegabile con l’esistenza della sorgente e inoltre, ugualmente, attraverso il culto legato alla fecondità attestato nell’area sacra 116. Sorgente e culto legato alla fertilità della terra e fecondità femminile rappresentano due fondamentali elementi di contatto tra il luogo di culto rurale e il santuario demetriaco urbano di Eraclea. In base a questa forte affinità, è ipotizzabile poi che il santuario cittadino di Demetra ed il suo culto, certo più influente, sia stato utilizzato come modello per la dedica di votivi anatomici a Petrulla 117. Per quanto concerne la proposta di M. Osanna di un culto delle Ninfe, tale ipotesi si inserirebbe bene all’interno del quadro tracciato, poiché, in Grecia, alle Ninfe come a Demetra, viene occasionalmente attribuita una funzione salvifica. Quest’ultima si fonda di certo, come per Demetra, sul legame di queste divinità con la fecondità e con il mondo femminile 118. La relazione tra l’esistenza di una sorgente e la presenza di votivi anatomici nei santuari dell’Italia meridionale trattati è dunque innegabile 119. L’influsso della sorgente si comprende, in questo contesto, attraverso l’acqua che, in tal caso, esce misticamente dal suolo. L’acqua possedeva nell’antichità diversi significati. Da un lato, rappresentava un importante simbolo di fecondità: uomini, animali e piante non potrebbero esistere senza acqua. Dall’altro, l’acqua simboleggia la purezza, avendo l’azione catartica dell’elemento liquido più valenze in ambito cultuale. Ad esempio, veniva considerata indispensabile la purificazione prima dell’entrata in un santuario e prima di compiere rituali sacri. Nell’ambito di culti salutari, come quelli praticati negli Asklepieia greci, ad esempio, la purificazione del malato precedeva la sua guarigione da parte del dio. Oltre a questo, all’acqua venivano attribuiti già nell’antichità dei poteri curativi; fanno parte dell’antica idroterapia greca, ad esempio, le immersioni nell’acqua e le applicazioni dell’acqua sulle parti malate del corpo 120. Per quanto riguarda il terzo sito in cui sono stati ritrovati votivi anatomici a Eraclea, il complesso del ‘vallo’, allo stato attuale delle ricerche si possono dire solo pochissime cose a proposito del background cultuale del complesso e di seguito anche dei votivi anatomici. Dal materiale proveniente dai ‘vecchi scavi’ di Lo Porto e Neutsch, studiato dalla Müller-Dürr, non è possibile dedurre il carattere, tanto meno il nome della divinità venerata. La ceramica ritrovata non è esclusiva di un culto solo. Lo stesso vale per i votivi più significativi, le terrecotte figurate, che sono comunque attestate in numero piuttosto ridotto nel materiale dei ‘vecchi scavi’ – il numero più alto è costituito infatti dai frammenti del c.d. recumbente e della c.d. Artemis Bendis 121. Osservando il materiale, la differenza tra l’eventuale culto nel ‘vallo’, i culti Per la Calabria andrebbe ad es. ricordato anche S. Anna di Cutro, già menzionato: ved. supra. 116 Per il significato della sorgente nel santuario ved. anche Bruscella 2003-04, pp. 182, 184, 186-189. 117 In generale i materiali trovati nel santuario urbano di Demetra e nel santuario in contrada Petrulla si distinguono in modo nitido (cfr. a questo proposito Bruscella 2003-04, pp. 182-185). Un certo influsso del culto demetriaco su quello affine praticato a Petrulla doveva però esistere. Questo lo dimostra la presenza non solo dei votivi anatomici, ma anche di una terracotta del tipo della busto-protome. Questo tipo di terracotta nella zona di Eraclea era strettamente legato al culto demetriaco come fanno vedere i tantissimi rinvenimenti nel santuario urbano di Demetra e a S. Maria d’Anglona, ubicato nella chora della città e ugualmente dedicato alla dea. Il fatto che la busto-protome di Petrulla non porta il maialino e la fiaccola a quattro braccia, i tipici attributi del culto demetriaco, dimostra che la figura non raffigurava la dea Demetra, ma ovviamente un’altra divinità abbastanza affine alla dea per assumere la sua iconografia della busto-protome. 118 Per le Ninfe come ‘divinità guaritrici’: Forsén 1996, pp. 140-142. 119 Per la connessione delle sorgenti con i santuari cfr. in generale I.E.M. Edlund, The gods and the place. Location and function of sanctuaries in the countryside of Etruria and Magna Graecia (700-400 B.C.) («SkrRom» IV, 43), Stoccolma 1987, pp. 60-61, in particolare pp. 94-124 con diversi esempi di santuari nei pressi di una sorgente in Italia Meridionale. 120 Per l’acqua nella medicina ved. R. Ginouvès et alii, L’eau, la santé et la maladie dans le monde grec, «BCH» Suppl. XXVIII, (Actes du colloque, Paris 25-27 novembre 1992), Atene 1994. Cfr. anche Barra Bagnasco 1999, p. 42; A. Russo, Il ruolo dell’acqua nei luoghi sacri della Basilicata antica, in Archeologia dell’acqua, p. 103. 121 Frammenti di queste due tipologie di terrecotte molto tipiche della coroplastica eracleota-tarentina si trovano un pò dappertutto nella zona di Eraclea. Sarebbe dunque sbagliato dedurre dai pochi frammenti trovati nella zona del ‘vallo’ un culto legato a queste due tipologie di terrecotte. 115 SIRIS 9,2008 Studi e ricerche della Scuola di Specializzazione in Beni Archeologici di Matera - ISBN 978-88-7228-566-4- © · Edipuglia s.r.l. - www.edipuglia.it Votivi anatomici Emiliano da Eraclea Cruccas e la sua chora del santuario di Demetra e quello nel santuario in Contrada Petrulla è tuttavia evidente. Mancano i tipici elementi del culto demetriaco – ad esempio un grande numero di ceramica miniaturistica e le terrecotte del tipo a busto-protome – e i significativi aspetti del materiale coroplastico di Petrulla nominati sopra. Nel complesso del ‘vallo’, ovviamente, non era venerata una divinità della fecondità e nell’area interessata dalle ricerche archeologiche non è neanche presente una sorgente. Di seguito, il complesso nel ‘vallo’ è completamente escluso da quanto osservato finora. I votivi anatomici provenienti da quest’area risaltano senza dubbio per la loro varietà e per la loro quantità relativamente alta. Non rappresentano però un argomento valido per l’attribuzione dell’area sacra ad Asclepio oppure ad un’altra ‘vera’ divinità medica. L’attuale carenza di informazioni relativa al complesso nella valle del Varatizzo rende difficile, in generale, formulare considerazioni sicure sui culti salutari di Eraclea. Dal punto di vista numerico, però, i votivi anatomici dal santuario di Demetra suggeriscono che nella dea, a Eraclea evidentemente specializzata per mali che affliggono gli arti superiori del corpo, è da riconoscere la divinità medica eracleota più importante. 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Questa volontà di assicurare, alla Gran Bretagna e all’Europa in genere, la possibilità di studiare l’arte classica allo scopo di migliorarsi, giustificò l’acquisizione da parte di grandi musei occidentali di opere d’arte greche e italiane. Evidentemente, l’Occidente in quel periodo si identificava con il mondo grecoromano, sino al punto di autodefinirsi custode del suo patrimonio culturale. Negli ultimi decenni tali presupposti sono stati severamente criticati 3. Sono stati gli stessi archeologi a dimostrare come la concezione del mondo classico come radice della società occidentale sia una costruzione moderna, una leggenda d’origini: l’Occidente aveva bisogno di tale mito del mondo classico e se ne è autodefinito erede. Gli stessi critici hanno dimostrato come questa definizione, oltre ad essere radicata in fattori sociali e psicologici, sia stata utilizzata per fini politici ed ideologici, in quanto il mito del mondo classico nell’Occidente ha nutrito un senso di superiorità che, a sua volta, ha giustificato e accompagnato l’espansione coloniale europea. Ugualmente, gli archeologi hanno dimostrato come le conquiste e la colonizzazione romana siano servite da esempio al colonialismo moderno 4. Molti archeologi delle nuove generazioni non riconoscono più la validità di questo paradigma e prediligono nuovi approcci sia nella ricerca che nella tutela del patrimonio paesaggistico. Nel presente contributo ci si propone di esaminare alcuni di questi approcci, iniziando con quelli che riguardano la ricerca, per proseguire con le tematiche legate alla tutela del paesaggio archeologico. 1 F. Cambi, N. Terrenato, Introduzione all’archeologia dei paesaggi , Roma 1998, pp. 13-44. 2 Citato in P. Bahn (a cura di), The Cambridge Illustrated History of Archaeology, Cambridge University Press 1996, p. 64. 3 Ved. K. Lomas, Greeks, Romans, and Others: problems of colonialism and ethnicity in southern Italy, in J. Webster, N.J. Cooper (a cura di) Roman Imperialism: Post-Colonial Perspectives, Leicester 1994, pp. 135-144; I. Morris, Archaeologies of Greece, in I. Morris, (a cura di), Classical Greece. Ancient Histories and Modern Archaeologies, Cambridge University Press 1994, pp. 8-48; P. van Dommelen, Colonial constructs: colonialism and archaeology in the Mediterranean, «World Archaeology» XXVIII 3 1995, pp. 305-323. 4 J. Webster, N.J. Cooper (a cura di) Roman Imperialism: Post-Colonial Perspectives, Proceedings of a symposium held at Leicester University in November 1994 (Leicester archaeology monographs, 3), Leicester 1996; D.J. Mattingly (a cura di) Dialogues in Roman Imperialism. Power, discourse, and discrepant experience in the Roman Empire («JRA», Supplementary series XXIII), Portsmouth 1997. Introduzione Lo studio del paesaggio antico italiano, che occupa un posto di rilievo nella storia dell’archeologia classica, ha visto maturare negli ultimi decenni un approccio molto diverso rispetto alla visione precedente 1. Nella tradizione di studio dominante, radicata nel periodo dell’Umanesimo, il paesaggio dell’Italia antica veniva percepito come ‘paesaggio con rovine’, ammirato perché esprimeva la gloria del mondo classico. Nei secoli seguenti, tale percezione ha spinto a visitare l’Italia molti studiosi ed artisti internazionali ed in particolare dall’Europa nord-occidentale, da Goethe a Berkeley. Il fenomeno si intrecciò con il Grand Tour, il viaggio di istruzione in Italia e in Grecia obbligatorio per le aristocrazie europee e, dopo la metà del XVIII secolo, anche per l’alta borghesia. In questo contesto si manifestò una vera e propria visione romantica ed idealizzata dell’Italia, come del resto accadde anche per la Grecia. Ovviamente si faceva riferimento al passato antico, percepito e interiorizzato come radice della storia europea in generale e in particolare della storia dell’Europa occidentale. Spicca il ruolo di archeologi quali Joachim Winckelmann, Heinrich Schliemann o anche Lord Elgin che, come è noto, smantellò nell’800 il Partenone di Atene per portarne i marmi in Inghilterra, a suo dire, con lo scopo: SIRIS 9,2008 Studi e ricerche della Scuola di Specializzazione in Beni Archeologici di Matera - ISBN 978-88-7228-566-4- © · Edipuglia s.r.l. - www.edipuglia.it 76 Gert-Jan Burgers dendo con ciò che la civiltà classica non è più percepita come modello assoluto, superiore ad altre civiltà, ma principalmente una delle tante nella storia universale. Pertanto, gli archeologi non si limitano più ai paesaggi urbani, monumentali di Roma, Ostia o Pompei ma includono anche i territori rurali e quelli non romani, dei sanniti, enotri e iapigi, o addirittura dei pastori anonimi stanziati in alta montagna. Numerosi, infatti, sono i progetti di ricognizioni topografiche iniziati nei decenni precedenti e finalizzati a ricostruire i paesaggi romani d’Italia 5, un interesse che si è sviluppato parallelamente ad un incremento degli studi di storia agraria romana da parte degli storici 6. Forte è stato anche l’impatto di ricerche archeologiche nei territori pre-romani, indigeni d’Italia 7. Nel presente contributo vorrei approfondire il caso delle ricerche che ultimamente ho portato avanti, insieme ai miei colleghi del Groningen Institute of Archaeology, fra cui Peter Attema e Martijn van Leusen, in tre territori italiani (Regione Pontina, Sibaritide, istmo salentino). Si tratta di un progetto sponsorizzato dalla Nederlandse Organisatie voor Wetenschappelijk Onderzoek (NWO, il CNR olandese), intitolato Regional Pathways to Complexity 8 (fig. 1). Il progetto è finalizzato a confrontare i processi di evoluzione dei sistemi insediativi indigeni nei tre territori sopra menFig. 1. - Il progetto Regional Pathways to Complexity (Bert Brouwenstijn). zionati, nonché a misurare gli effetti delle varie fasi di colonizzazione e urbanizzazione su queNuovi approcci: la ricerca sti processi. Delle tre regioni mi limiterò a presentare le ricerA proposito della ricerca, è sempre più evidente che della VU-Università di Amsterdam condotte sulun approccio che si può definire relativistico, inten- 5 Ved. P. Arthur, Romans in Northern Campania: Settlement and Land-use around the Massico and the Garigliano Basin, Roma 1991; I. 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SIRIS 9,2008 Studi e ricerche della Scuola di Specializzazione in Beni Archeologici di Matera - ISBN 978-88-7228-566-4- © · Edipuglia s.r.l. - www.edipuglia.it Fig. 2. - Aree campione sull’istmo salentino indagate tramite ricognizioni sistematiche (Bert Brouwenstijn). l’istmo salentino tra Taranto e Brindisi 9 e che si sono potute svolgere grazie alla stretta collaborazione dell’Università del Salento, della Soprintendenza ai Beni Archeologici della Puglia e dell’Università di Roma “La Sapienza” 10. Le indagini si sono concentrate principalmente sul survey archeologico, vale a dire sulle ricognizioni topografiche a copertura totale ed intensiva a campione, metodo col quale dal 1981 ad oggi abbiamo esplorato sistematicamente larghe aree del paesaggio salentino 11 (fig. 2). Scavi stratigrafici, invece, sono stati effettuati in una serie di insediamenti antichi di varie dimensioni e status 12. Gli scavi e le ricognizioni sono stati accompagnati da ricerche ambientali, geofisiche e paleo-ecologiche. Nell’ambito di tale progetto sono state pubblicate le seguenti sintesi: J.S. Boersma, Oria and Valesio. Dutch Archaeological Investigations in the Brindisi Region of Southern Italy, «MAWA», n.s., LIII.3 1990, pp. 55-108; Yntema 1993; Burgers 1998; G.-J. Burgers, D.G. Yntema, Town and countryside in preRoman southern Italy: A regional perspective, in F. Krinzinger (a cura di), Die Ägäis and das westliche Mittelmeer. Beziehungen und Wechselwirkungen 8. bis 5. Jh. v. Chr. (Akten des Symposions, Wien 1999), Wien 2000, pp. 95-104. 10 Dell’Università del Salento si ringraziano soprattutto gli amici e colleghi Francesco D’Andria, Mario Lombardo, Grazia Semeraro e Girolamo Fiorentino; della Soprintendenza pugliese Giuseppe Andreassi, Assunta Cocchiaro, Graziella Maruggi, Antonietta dell’Aglio e Angela Cinquepalmi e dell’Università “La Sapienza” Alberto Cazzella e Giulia Recchia. 11 Ved. Yntema 1993; Burgers 1998. Nel 2003 le ricognizioni sono proseguite nelle Murge nell’ambito di un nuovo progetto di collaborazione, il Murge Tableland Survey, della Libera Università di Amsterdam, dell’Università del Salento e del Dipartimento di Scienze Storiche, Archeologiche ed Antropologiche dell’Antichità dell’Università “La Sapienza”: cfr. G. Recchia, G.-J. Burgers, Murge meridionali (Provv. di Brindisi e Taranto), «RScPreist» LIV 2004, pp. 630-631. 12 Scavi stratigrafici sono stati eseguiti soprattutto a Valesio, Muro Tenente e Li Castelli di San Pancrazio Salentino: ved. J.S. Boersma, Mutatio Valentia. The Late Roman Baths at Valesio, Salento, Amsterdam 1995; J.S. Boersma, D.G. Yntema, Valesio. History of an Apulian Settlement from the Iron Age to the Late Roman Period, Fasano di Puglia 1987; G.-J. Burgers, Muro Tenente (Scamnum): indagini archeologiche della missione olandese, in M. Lombardo, C. Marangio (a cura di), Il territorio brundisino dall’età messapica all’età romana, «Idtorih» I 1998 (Atti del IV Convegno di Studi sulla Puglia Romana. Mesagne 19-20 gennaio 1996), pp. 137-150; G.A. Maruggi, G.J. Burgers (a cura di), San Pancrazio Salentino, Li Castelli. Archeologia di una comunità messapica nel Salento centrale, San Pancrazio Salentino 2001; D.G. Yntema, Pre-Roman Valesio. Excavations of the Amsterdam Free University at Valesio, Province of Brindisi, Southern Italy. Volume 1: The Pottery, Amsterdam 2001. 9 SIRIS 9,2008 Studi e ricerche della Scuola di Specializzazione in Beni Archeologici di Matera - ISBN 978-88-7228-566-4- © · Edipuglia s.r.l. - www.edipuglia.it 78 Gert-Jan Burgers romana. Tale fenomeno, identificato grazie alle intense attività degli archeologi dell’Università del Salento e di varie altre università italiane e straniere, ha portato alla nascita di numerosi centri fortificati con significativi elementi di urbanizzazione. Per poter inquadrare meglio questo processo abbiamo utilizzato il cosidetto Xtent-model di Colin Renfrew, che schematizzando in via ipotetica interpreta la formazione dei territori dei vari centri interpretandola come riflesso di una politica regionale fortemente gerarchica, dominata dai centri più grandi quali Oria e Ugento (fig. 3) 13. Focalizzando l’attenzione sui singoli territori cosi delineati, abbiamo evidenziato come la nascita della città, in Fig. 3. - Salento. Confini territoriali dei principali siti pre-romani, stabiliti in linea ipotetica in base questa fase, venga accomal modello Xtent (Willem Beex). pagnata da una forte espansione di insediamenti rurali, fenomeno che è stato In questa sede, però, non vorrei parlare di metocollegato ad un rapido incremento dell’attività agridologia, ma di approcci interpretativi ed in tal contecola 14. sto è doveroso sottolineare che, come la moderna arÈ evidente che l’approccio sopra discusso si fonda cheologia dei paesaggi in genere, le nostre indagini sui presupposti dell’archeologia processuale. Tuttasono radicate nel paradigma di ispirazione anglosasvia, recentemente, ci siamo resi conto dei limiti di tale sone della New Archeology. Altre fonti di ispirazione paradigma, e si è spostata l’attenzione su approcci sono i lavori di Emilio Sereni e di Fernand Braudel e teorici moderni che studiano il paesaggio non soltanto la rivista Annales. In accordo con questi paradigmi, come realtà fisico-economica, ma anche come col’obiettivo dell’archeologia dei paesaggi è quello di struzione mentale 15. Questi studi evidenziano come studiare i processi di trasformazione sociale e spain società pre-moderne questa costruzione mentale sia ziale a lungo e medio termine. Nell’ambito del nostro radicata in una specifica cosmologia, che a sua volta progetto nel Salento, abbiamo voluto studiare il proè riflessa nel paesaggio fisico. In tal modo, sono legati cesso di urbanizzazione che si è verificato nel mondo alla sfera cosmologica elementi naturali come le monindigeno, messapico, nella prima fase ellenistica tagne, ma anche elementi culturali come gli insedia(fine IV-inizio III sec. a.C.), precedente la conquista C. Renfrew, E.V. Level, Exploring Dominance: Predicting Polities from Centers, in C. Renfrew, K.L. Cooke (a cura di), Transformations, Mathematical Approaches to Culture Change, New York 1979, pp. 145-167. 14 Yntema 1993; Burgers 1998. 15 T. Ingold, The temporality of the landscape, «WorldA», 13 XXV 1993, pp. 152-174; E. Hirsch, Introduction. Landscape between place and space, in E. Hirsch e M. O’Hanlon (a cura di), The Anthropology of Landscape. Perspectives on place and space, Oxford 1995, pp. 1-30; T. Derks, The transformation of landscape and religious representations in Roman Gaul, «ADial», IV.2 1997, pp. 126-148. SIRIS 9,2008 Studi e ricerche della Scuola di Specializzazione in Beni Archeologici di Matera - ISBN 978-88-7228-566-4- © · Edipuglia s.r.l. - www.edipuglia.it Ricerca e tutela del paesaggio Emiliano archeologico: Cruccas nuovi approcci 79 menti ed i santuari. Infatti sono i santuari i luoghi per eccellenza da indagare, dove la cosmologia di una comunità si concretizza e si manifesta come principale elemento d’identità. Ed è questo il caso, soprattutto in fasi di forti trasformazioni sociali e spaziali, tipiche del periodo da noi indagato, ossia quello primo ellenistico. In questo periodo viene dato più rilievo ai numerosi santuari indigeni sull´istmo salentino. Tra i tanti esempi, forse il più conosciuto è quello della grotta di Monte Papalucio presso Oria, scavata dall’Università del Salento. Altri sono stati trovati presso Valesio e presso Ostuni 16 (fig. 3). Questi luoghi di culto spesso si trovano in ubicazioni rilevanti e per lo più in un contesto di confine, al limite tra la zona urbana e la campagna, o dove finisce il territorio. Nel primo periodo ellenistico sembra doveroso correlare questo fenomeno di forte intensificazione alle trasformazioni del paesaggio appena discusse. A mio avviso l’intensificazione delle attività cultuali è da interpretare come una pianificazione sacrale, ideologica del territorio. Già in altra sede ho proposto di leggere i nuovi luoghi di culto come elementi centrali nella percezione del paesaggio, che legano le popolazioni dei centri principali a quelle delle campagne 17. Potrebbero essere definiti delle ancore d’identità in un paesaggio e in una società che si trasformano velocemente. Chiaramente, quest’ultimo approccio è diverso da quello di tipo processuale. Sono dell’opinione che esso può aprire nuovi orizzonti per l’archeologia dei paesaggi in genere. Simili approcci si stanno sviluppando in altre regioni d’Italia e d’Europa. Ciò ci porta a concludere che la nuova generazione di archeologi non si ferma a criticare le vecchie teorie di Winckelmann, Lord Elgin e altri, e che sviluppa invece i propri schemi interpretativi. Ultimamente in Europa ha preso piede a tal proposito una vera e propria riscoperta dei popoli e dei paesaggi indigeni, fino al punto da parlare dell’invenzione di una nuova storia antica europea, oltre a quella ‘classica’, greco-romana. Nell’ultimo mezzo secolo, oltre a sviluppare nuovi schemi interpretativi, la disciplina dell’archeologia ha anche cambiato il suo rapporto con il patrimonio archeologico. Mentre Lord Elgin si portava a casa gran parte del Partenone, oggi l’archeologo cerca di valorizzare e tutelare i siti archeologici nel loro contesto originale, cioé nel paesaggio locale. Un tale approccio sta anche al centro del nostro programma di ricerche sull’istmo salentino. Grazie a queste ricerche si sono potuti realizzare dei progetti di recupero, valorizzazione e fruizione di due siti urbani che ho appena discusso, denominati I Castiedd’, nei pressi di San Pancrazio Salentino (fig. 3) e Muro Tenente, non lontano da Mesagne (figg. 3-4). Questi progetti sono tra le opere finanziate dal Progetto Integrato Settoriale n. 11 “Sulle orme dei Messapi”, il quale ricade nel settore di interventi Beni Culturali del POR Puglia 2000-2006. Gli interventi si propongono la riqualificazione dei paesaggi locali all’interno dell’azione generale di sviluppo turistico-culturale regionale. Ora, in particolare, si è proposta l’integrazione dei siti in un Sistema Ecomuseale Salentino 18. Per questa rete il punto di riferimento obbligatorio è il Museo “Diffuso” di Cavallino di Lecce, fatto realizzare da Francesco D’Andria 19. Muro Tenente e Li Castelli sono i toponimi di due contrade in provincia di Brindisi che nascondono le rovine di cittadine antiche di cultura messapica, le quali a sua volta si estendono su superfici notevoli, rispettivamente di 52 e 45 ettari. Nel caso di Muro Tenente è rimasta in situ la cinta muraria, di aspetto monumentale, che circonda interamente l’abitato antico. Nell’ultimo decennio, ho eseguito all’interno di questi due siti scavi sistematici per conto dell’Istituto di Archeologia della VU-Università di Amsterdam. Le indagini hanno messo in evidenza una grande varietà di strutture archeologiche, tra fortificazioni, sepolture, strade, e fondazioni di diversi nuclei abitativi. 16 Oria: ved. in particolare F. D’Andria, Monte Papalucio, in F. D’Andria (a cura di), Archeologia dei messapi. Catalogo della mostra museo provinciale Lecce, Bari 1990, pp. 239-306. Ostuni: cfr. D. Coppola, Le origini di Ostuni. Testimonianze archeologiche degli avvicendamenti culturali, Martina Franca 1983. Valesio: J.S. Boersma et alii, The Valesio Project: final interim report, «BABesch» LXVI 1991, pp. 115-131. 17 G.-J. Burgers, Rural landscapes in a ritual context. Field surveys and the early Hellenistic landscape of central and southern Italy, in P. Attema et alii (a cura di), Communities and set- tlements from the neolithic age to the early medieval period, Proceedings of the 6th Conference of Italian archaeology held at the University of Groningen, Groningen Institute of Archaeology, April 15-17, 2003 («BAR International Series» 1452), Oxford 2005, pp. 1030-1038. 18 F. Baratti, relazione al Convegno “Un Sistema Ecomuseale per il Salento”, tenutosi a Cavallino di Lecce, 6-7 dicembre 2006. 19 F. Baratti, L’esperienza progettuale del Museo Diffuso, in F. D’Andria (a cura di), Cavallino. Pietre, case e città della Messapia arcaica, Mottola 2005, pp. 25-27. Nuovi approcci: il patrimonio del paesaggio archeologico SIRIS 9,2008 Studi e ricerche della Scuola di Specializzazione in Beni Archeologici di Matera - ISBN 978-88-7228-566-4- © · Edipuglia s.r.l. - www.edipuglia.it 80 Gert-Jan Burgers opere complementari agli scavi che ne consentano la fruizione (figg. 5-6). In qualità di consulente scientifico, il mio compito è in primo luogo quello di riflettere sui criteri di musealizzazione e anche sulla storia che scegliamo di raccontare e di rappresentare. L’intenzione è di andare oltre la messa in evidenza delle strutture archeologiche, con l’obiettivo di offrire ai visitatori l’opportunità di dialogare con la storia, con il paesaggio, con l’ambiente e con gli altri utenti. Sono questi gli aspetti su cui vorrei soffermarmi. Fino a non molto tempo fa, i siti in questione non erano oggetto di attenzione, né da parte della cittadinanza locale, per le quali costituivano zone marginali connesse ad antiche leggende spesso associate a tematiche di morte, né da parte degli accademici i cui studi si incentravano principalmente sul mondo greco-romano. Come abbiamo già avuto occasione di sostenere, da alcuni decenni si è risvegliato anche un certo interesse nei confronti delle popolazioni autoctone, e questo interesse si è accompagnato ad un rinnovamento di indagini archeologiche, in Italia particolarmente concentrato nel Salento 20. Tale recente feFig. 4. - Manifesto sul progetto ‘Muro Tenente’ (Bert Brouwenstijn). nomeno ha portato anche ad un progressivo aumento dei parchi In stretta collaborazione con l’Università del Salento archeologici, spesso finanziati, in gran parte, con fondi e con i comuni di Mesagne e di San Pancrazio Salendella Comunità Europea. A questo punto, apprestandotino, abbiamo proposto un progetto di musealizzazione ci a progettare altri due parchi archeologici, appare doall’aperto che dovrebbe rendere visitabili i due siti. veroso un confronto con alcune voci critiche nei conGli interventi fondamentali consistono nel riporfronti di questa musealizzazione, obiezioni avanzate tare alla luce alcune emergenze archeologiche, acpiù che altro da archeologi come Ian Hodder, Barbara compagnando il progetto con un sistema integrato di Bender e Jan Kolen 21. 20 Negli ultimi decenni la ricerca archeologica del Salento ha compiuto dei grandi passi in avanti, grazie soprattutto ai continui impegni della Scuola di Specializzazione in Archeologia Classica e Medievale ‘Dinu Adamesteanu’ dell’Università del Salento, diretta da Francesco D’Andria. 21 B. Bender, Theorising Landscapes, and the Prehistoric Lan- dscapes of Stonehenge, «Man» XXVII 1992, pp. 735-755; I. Hodder, Theory and Practice in Archaeology, London 1992; J. Kolen, Recreating (in) nature, visiting history. Second thought on landscape reserves and their role in the preservation and experience of the historic environment, «ADial» II.2 1995, pp. 127-159. SIRIS 9,2008 Studi e ricerche della Scuola di Specializzazione in Beni Archeologici di Matera - ISBN 978-88-7228-566-4- © · Edipuglia s.r.l. - www.edipuglia.it Ricerca e tutela del paesaggio Emiliano archeologico: Cruccas nuovi approcci Fig. 5. - Muro Tenente. Saggio stratigrafico sulla cinta muraria (Lucia Di Noi). 81 Gli argomenti contrari sono di varia natura. Condividono però alcuni aspetti fondamentali. Innanzitutto la critica al fatto che il fenomeno venga stimolato dall’Unione Europea, quindi top-down, attraverso finanziamenti mirati. Più problematico ancora, il fatto che l’idea del museo parta top-down. Gli studiosi sottolineano come i vari tipi di museo sul territorio si ispirino a modelli più genericamente europei. La stessa cosa è valida anche per il genere di storia che si tende a rappresentare: è quella di ambito scientifico, che prende le mosse da una prospettiva europea, o anche mondiale. In questo senso non molto dissimile dall’archeologia di Lord Elgin, che nel XIX secolo, rappresenterà l’approccio dominante. Parliamo di mainstream history, sia per l’800, sia per l’epoca contemporanea, in forte contrasto con la percezione locale della storia e del paesaggio. È questo il problema più significativo per coloro che criticano i musei sul territorio. Essi concludono che nei musei di questo tipo la storia e il territorio, vengono razionalizzati e fossilizzati; la storia in particolare viene imprigionata ed esiliata, espulsa dalla vita quotidiana e dai sentimenti. Secondo questo approccio le persone visitano questi siti per ragioni ricreative, per evadere dalla quotidianità. Di conseguenza i parchi archeolo- Fig. 6. - San Pancrazio Salentino. Saggio stratigrafico nell’abitato antico del sito di I Castiedd’ (Jitte Waagen). SIRIS 9,2008 Studi e ricerche della Scuola di Specializzazione in Beni Archeologici di Matera - ISBN 978-88-7228-566-4- © · Edipuglia s.r.l. - www.edipuglia.it 82 Gert-Jan Burgers Fig. 7. - San Pancrazio Salentino. Vigneti nella contrada I Castiedd’ (Jitte Waagen). gici restano estranei al contesto locale. E questo è il punto fondamentale perché nella prospettiva locale il passato è invece generalmente percepito come parte integrante della vita quotidiana, intrecciato alla storia del paese, delle famiglie, ai sentimenti individuali e collettivi. Questa diversa percezione della storia è usata in modo diverso. Chi abita il territorio lo vive e lo utilizza in modo produttivo. Un bell’esempio sono le tante grotte della Puglia, spesso decorate con affreschi e piene di depositi archeologici. Molte di queste sino ad oggi vengono utilizzate come magazzini, o per la coltivazione dei funghi. In modo analogo, i siti archeologici di Muro Tenente e di Li Castelli per centinaie di anni hanno rappresentato lo scenario della pastorizia e dell’agricoltura (fig. 7). Coloro che si oppongono alla costruzione dei parchi archeologici, lo fanno principalmente in nome del rispetto per l’utilizzo e per la percezione da parte della popolazione locale. Non si dovrebbe intervenire e si dovrebbe lasciare il management di questi siti e paesaggi alla responsabilità delle amministrazioni locali, anche se questo potrebbe comportare un rischio di distruzione o di deformazione delle strutture archeologiche o del paesaggio che si vuole salvaguardare. Confrontandomi con tali posizioni, devo confessare di condividerle fino ad un certo punto. Mi permetto, tuttavia, di esprimere innanzitutto il mio dissenso. Ritengo che le teorie di Hodder, come quelle di altri studiosi, dimostrino un dualismo non fertile alla discussione. La dicotomia fra le popola- zioni locali e gli archeologi, o architetti e progettisti, per via della quale si parla di outsiders e di insiders, non rispecchia la realtà di oggi, molto più sfaccettata e sfumata, in una miriade di tonalità grigie tra il bianco e il nero. Un esempio di questa variabilità, che spesso non è presa in considerazione, è quello dell’archeologo o dell’architetto che ritorna nel suo paese d’origine per progettare egli stesso un museo sul territorio. Gli archeologi e i progettisti, in quanto outsiders, vengono considerati negativamente e rappresentati come neo-colonizzatori. Al contrario, all’interno di una visione direi quasi romantica, che idealizza una società pre-razionale, non ancora contaminata dal veleno della modernità, le popolazioni locali vengono rappresentate in un modo unicamente positivo, difensori della storia e del paesaggio contro gli attacchi degli outsiders. La teoria tuttavia deve essere precisata. Le popolazioni locali di oggi fanno parte della società moderna. In certi casi la loro percezione della storia e dei monumenti archeologici è motivata da un atteggiamento più razionale ed economico rispetto a quello di un progettista o di un archeologo. Inoltre, molti giovani riconoscono bene che la percezione del mondo nel passato era diversa, più arcaica e se ne vogliono allontanare. In molti casi, infatti, sono gli esponenti delle cosiddette popolazioni locali a sostenere e portare avanti i progetti di musealizzazione. Sono essi che condividono le misure di tutela e di conservazione proposte dalle autorità. Condivido anch’io queste misure, come condivido SIRIS 9,2008 Studi e ricerche della Scuola di Specializzazione in Beni Archeologici di Matera - ISBN 978-88-7228-566-4- © · Edipuglia s.r.l. - www.edipuglia.it Ricerca e tutela del paesaggio Emiliano archeologico: Cruccas nuovi approcci la musealizzazione in quanto processo inerente al mondo moderno. Condivido però anche le critiche degli oppositori verso il pericolo dell’uniformizzazione di questo fenomeno. Ritengo che dobbiamo opporci ad un modello internazionale unico, da importare in tutte le regioni d’Europa. In ogni singolo caso bisogna integrare le strutture archeologiche nel loro contesto locale, e bisogna rispettare, nei limiti del possibile, il paesaggio e l’ambiente locale, le attività agricole, pastorali ed economiche, e infine, il modo tradizionale di percepire la storia ed il paesaggio. Da questa prospettiva e anche al fine di sviluppare ulteriormente il senso di un paesaggio dinamico e non fossilizzato, gli interventi a Muro Tenente e I Castiedd’ si propongono prima di tutto di integrare le evidenze archeologiche con gli elementi ecologici e con le attività agrarie del loco. Questo vuol dire a Muro Tenente continuare l’agricoltura contadina e a I Castiedd’ principalmente la viticoltura, controllandole e senza che queste danneggino le strutture archeologiche. Inoltre, si cerca di comunicare i risultati della ricerca scientifica con più strumenti possibili e 83 di organizzare attività con l’intento di aiutare le popolazioni locali a comprendere e apprezzare il valore storico dei siti. Infine, si è voluto focalizzare anche le percezioni locali del passato – raccontando leggende e miti e trasmettendo la storia dell’utilizzo di questi paesaggi – non tanto creandone una gerarchia ma piuttosto confrontandole tra di loro e anche con quelle scientifiche, con l’obiettivo di stimolare ad aprirsi ad altre opinioni e a partecipare al dialogo. Abbreviazioni bibliografiche Barker, Lloyd 1991 = G. Barker, J. Lloyd (a cura di), Roman Landscapes. Archaeological Survey in the Mediterranean Region, London 1991. Burgers 1998 = G.-J. Burgers, Constructing Messapian Landscapes. Settlement Dynamics, Social Organization and Culture Contact in the Margins of Graeco-Roman Italy (Dutch monographs on ancient history and archaeology, 18), Amsterdam 1998. Yntema 1993 = D.G. Yntema, In Search of an Ancient Countryside. The Free University Field Survey at Oria, Province of Brindisi, South Italy, 1981-1983, Amsterdam 1993. SIRIS 9,2008 Studi e ricerche della Scuola di Specializzazione in Beni Archeologici di Matera - ISBN 978-88-7228-566-4- © · Edipuglia s.r.l. - www.edipuglia.it SIRIS 9,2008 Studi e ricerche della Scuola di Specializzazione in Beni Archeologici di Matera - ISBN 978-88-7228-566-4- © · Edipuglia s.r.l. - www.edipuglia.it SCAVI E RICERCHE SIRIS 9,2008 Studi e ricerche della Scuola di Specializzazione in Beni Archeologici di Matera - ISBN 978-88-7228-566-4- © · Edipuglia s.r.l. - www.edipuglia.it SIRIS 9,2008 Studi e ricerche della Scuola di Specializzazione in Beni Archeologici di Matera - ISBN 978-88-7228-566-4- © · Edipuglia s.r.l. - www.edipuglia.it Siris 9,2008, 87-100 Instabilità dei versanti e controllo, mediante tecniche integrate di monitoraggio, delle frane presenti in due siti sacri del Parco Archeologico Storico Naturale delle Chiese Rupestri di Matera * di Francesco Sdao, Stefania Pascale, Paolo Rutigliano Lungo gli acclivi fianchi della Gravina di Matera, un profondo ed aspro canyon che attraversa i calcari della cosiddetta Murgia materana in Basilicata, si è generata e conseguentemente sviluppata una Civiltà rupestre, di cui i Sassi di Matera – storici rioni cittadini – e i numerosi centri di culto (chiese, complessi monastici, cenobi eremi, ecc.), presenti nel Parco Archeologico Storico Naturale delle Chiese Rupestri del Materano, ne sono gli esempi più rappresentativi e celebrati; infatti l’UNESCO nel 1993 li ha riconosciuti come Patrimonio Mondiale dell’Umanità. La nascita e l’evoluzione architettonica e sociale di questa civiltà, presente sia nel materano che in un’ampia zona della vicina Puglia, sono state favorite dalle peculiari caratteristiche geologiche, geomorfologiche, idrogeologiche che soddisfacevano appieno le esigenze e le necessità socio-economiche, religiose e strategiche delle popolazioni medievali lucane 1: la possibilità di dotarsi di abitazioni poco costose, garantita dalla buona lavorabilità della Calcarenite di Gravina (il tipo litologico ampiamente affiorante nella parte alta della Gravina di Matera), associata alla presenza di numerose cavità naturali; la non agevole individuabilità dei siti insediativi, al fine di sfuggire alle incalzanti orde barbariche o alle persecuzioni iconoclastiche o di godere di isolamento per soddisfare la vocazione eremitica, tutelata dall’articolata e complessa geomorfologia della Gravina, caratterizzata da andamenti tortuosi del solco fluviale delimitato da versanti acclivi difficilmente ac- cessibili, da aspri anfratti e recessi modellati negli spalti calcarenitici; l’opportunità di soddisfare il bisogno di Dio dell’uomo, con la diffusa edificazione, fra l’VIII ed il XIII secolo d. C., di chiese rupestri, cenobi, cripte e asceteri affrescati con immagini sacre, viva testimonianza di civiltà monastiche di rito latino o greco-bizantino. Siffatto ambiente geo-morfostrutturale predispone nel contempo i ripidi versanti forratici della Gravina di Matera ad una diffusa fragilità geomorfologica che si manifesta mediante rapidi movimenti di versante e un generale stato di dissesto idrogeologico, che si ripercuotono, danneggiandole, sulle pregevoli testimonianze rupestri presenti sia nei già citati Sassi di Matera che nel Parco Archeologico Storico Naturale delle Chiese Rupestri del Materano. Nell’ambito di un progetto di ricerca nazionale finanziato con fondi MIUR COFIN (2001), in collaborazione anche con le attività espletate nell’ambito del programma Applicazioni Speciale GPS del Centro di Geodesia Spaziale di Matera dell’Agenzia Spaziale Italiana, sono stati condotti studi ed indagini riguardanti la caratterizzazione geomorfologica, le condizioni di potenziale instabilità e il monitoraggio dei significativi processi di dissesto presenti in due diversi siti rupestri del Parco Archeologico storico naturale delle Chiese Rupestri del Materano, ricadenti nelle località di Belvedere delle Chiese Rupestri e di Iazzo dell’Ofra (fig. 1). In questi siti si rinvengono diverse Chiese rupestri, alcune delle quali caratterizzate da pregevoli affreschi e dipinti, e un significativo Complesso Monastico (località Iazzo * Lavoro finanziato con Fondi MIUR COFIN (2001) - resp. Prof. Francesco SDAO; la campagna di rilievi GPS e topografici è stata svolta in collaborazione con l’Agenzia Spaziale Italiana (ASI), Matera - contratto n. I/011/03/0. 1 C.D. Fonseca, Civiltà Rupestre in Terra Jonica, Roma 1970; V. Cotecchia, D. Grassi, Stato di conservazione dei “Sassi” di Matera (Basilicata) in rapporto alle condizioni geomorfologiche e geomeccaniche del territorio e alle azioni antropiche, «Geol. Appl. e Idrogeol.» X, I 1975, pp. 5-105; P. Laureano, Giardini di pietra. I Sassi di Matera e la civiltà mediterranea, Torino 1993; V. Cotecchia, D. Grassi, Incidenze geologico-ambientali sull’ubicazione e lo stato di degrado degli insediamenti rupestri medioevali della Puglia e della Basilicata, «Geol. Appl. e Idrogeol.» XXXII, 2 1997, pp. 1-10; D. Grassi, F. Sdao, Factors responsible for the location and for the stability conditions of the man rocky settlements in Apulia (Italy), (Proceedings 31th International Geological Congress, Rio de Janeiro-Brasile, 6-7 Agosto 2000). 1. Premessa SIRIS 9,2008 Studi e ricerche della Scuola di Specializzazione in Beni Archeologici di Matera - ISBN 978-88-7228-566-4- © · Edipuglia s.r.l. - www.edipuglia.it Fig. 1. - Ubicazione dei siti rupestri investigati: 1) Belvedere delle Chiese Rupestri; 2) Iazzo dell’Ofra. dell’Ofra). Queste aree, come sarà evidenziato, sono particolarmente interessate da una spiccata ed attuale instabilità dei versanti che si manifesta mediante diffusi e rapidi crolli, ribaltamenti e scivolamenti di blocchi rocciosi. L’ultimo evento di frana si è generato in località Belvedere delle Chiese Rupestri, uno dei due siti investigati nel presente lavoro, nel mese di giugno 2003. Tale fragilità geomorfologica provoca gravi e diffusi processi di dissesto strutturale alle pregevoli testimonianze rupestri presenti negli stessi siti. Al fine di individuare e definire i caratteri geologico-strutturali e geomorfologici, le aree maggiormente soggette a potenziale instabilità e i relativi meccanismi di frana, nei siti investigati sono stati condotti accurati studi ed indagini multidisciplinari basati sull’applicazione inte- grata di metodi geostrutturali e geomorfologici. Tali studi si sono, in particolare, giovati di: 1. dettagliati rilievi geologici e geomorfologici di campagna coadiuvati da analisi ed interpretazione di foto aeree di diversa epoca e scala ed integrati da indagini geofisiche (prospezioni di tomografie geoelettriche e georadar); 2. analisi dello stato di fratturazione dei terreni calcarenitici (sono infatti questi i terreni maggiormente predisposti ai processi di instabilità), mediante l’acquisizione e l’interpretazione di numerosi dati giaciturali delle discontinuità stratigrafiche e meccaniche; 3. analisi cinematica delle attuali condizioni di instabilità dei due siti investigati mediante l’applicazione del metodo di Matheson 2, in parte modificato da Hudson e Harrison 3; zonazione della pericolo- G.D. Matheson, Rock stability assessment in preliminary site investigation – Graphical Methods. «Transport and road Research laboratory Report » 1039, 1983, pp. 1-30; G.D. Matheson, The collection and the use of field discontinuity data in rock slope design, «Q. J. Eng. Geol.» XXII 1989, pp. 19-30. 3 J.A. Hudson, J.P. Harrison, Engineering rock mechanics. An introduction to the principles, («Oxford Elsevier Science»), Oxford 1997. 2 SIRIS 9,2008 Studi e ricerche della Scuola di Specializzazione in Beni Archeologici di Matera - ISBN 978-88-7228-566-4- © · Edipuglia s.r.l. - www.edipuglia.it Instabilità dei versanti e controllo, mediante Emilianotecniche Cruccasintegrate di monitoraggio, delle frane sità cinematica dei versanti mediante la stima dell’indice di pericolosità cinematica di frana, così come proposto da Casagli e Pini 4, adattato alle condizioni geomorfologiche locali. 89 Uno dei principali obiettivi dello studio è stato l’analisi cinematica delle condizioni di potenziale instabilità delle aree analizzate e la conseguente zonazione della pericolosità relativa di frana. In particolare, le analisi di stabilità cinematica sono state condotte utilizzando il metodo proposto da Mathe- son2 parzialmente rivisitato da Hudson e Harrison3 nel 1993. Essendo un metodo di analisi cinematica, vengono utilizzati solo alcuni parametri di tipo geometrico e giaciturale che possono determinare il movimento dei blocchi rocciosi, delimitati da discontinuità piane ed infinitamente persistenti, senza far alcun riferimento alle forze che lo producono; tuttavia, tale tipo di analisi è integrata dalle forze di resistenza al taglio che si sviluppano lungo i piani di discontinuità, rappresentate dall’angolo di attrito. Il metodo permette di definire quali famiglie di superfici di discontinuità, caratterizzate da determinati parametri, che siano esse geneticamente primarie o secondarie, possono costituire potenziali superfici di distacco di blocchi rocciosi. Le tipologie cinematiche identificabili attraverso detta analisi sono: lo scivolamento planare, lo scivolamento di cunei e il ribaltamento di blocchi di roccia. La metodologia consiste nel sovrapporre ai diagrammi stereografici (reticolo di Wulff, emisfero inferiore) relativi a un determinato data set di piani di discontinuità un campo critico di esistenza per ogni singolo meccanismo di distacco. I campi critici vengono definiti attraverso la stima dei seguenti parametri geometrici: la direzione d’immersione e l’angolo d’inclinazione del versante; l’angolo di attrito del materiale lungo i piani di discontinuità. In particolare per la creazione dell’area critica d’instabilità per lo scivolamento planare si assume che: a) l’inclinazione del versante sia maggiore di quella del potenziale piano di scivolamento; b) l’inclinazione del potenziale piano di scivolamento sia maggiore dell’angolo di attrito del materiale roccioso c) la direzione d’immersione del piano di scivolamento sia racchiusa in un intervallo approssimativo di +/– 20° rispetto alla direzione di immersione del versante. Per la costruzione dell’area critica d’instabilità per il meccanismo di scivolamento di cunei si assume che: a) la direzione d’immersione della linea d’intersezione tra i due piani di discontinuità, lungo la quale può scorrere il potenziale cuneo roccioso, immerga nello 4 N. Casagli, G.A. Pini, Analisi cinematica della stabilità di versanti naturali e fronti di scavo in roccia (Atti del 3° Convegno Nazionale dei Giovani Ricercatori in Geologia Applicata. Potenza, 28-30 Ottobre 1993), pp. 223-232. 5 N. Casagli et alii, Tecniche di monitoraggio dei dissesti di versante nell’area “Belvedere Chiese Rupestri” di Matera, in Geotematica per l’ambiente, il territorio e il patrimonio culturale (Atti della 6a Conferenza Nazionale ASITA, Perugia-Novembre 2002), pp. 691-696; P. Rutigliano et alii, Landslide monitoring with integrated technique, (Proceedings of EGS-AGU-EUG Joint Assembly, Nice-France, 06-11 April 2003), Geophysical Research Abstracts V 2003, abstract 8545; P. Rutigliano et alii, Investigation of landslide movements in an area of historical and archaeological interest, (Proceedings of the First Conference on Applied Environmental Geology, Federal Environmental Agency, Austria-Vienna, Ottobre 2003), pp. 214-215; P. Rutigliano, F. Sdao, Investigation and monitoring of slope instabilities in a rupestrian-heritage area (Basilicata, south Italy), (5th International Symposium on Eastern Mediterranean Geology, ThessalonikiGreece, 14-20 April 2004), pp 784-787. Tali studi hanno costituito la necessaria base conoscitiva per la realizzazione di un piano di monitoraggio atto al controllo degli spostamenti e dell’evoluzione morfodinamica dei movimenti di massa individuati nei due diversi siti investigati. Tale piano di monitoraggio è basato sull’integrazione di diverse tecniche di controllo degli spostamenti, sia tradizionali che innovative, ricorrendo in particolare a tecniche topografiche tradizionali, a rilievi GPS e a misure di basi deformometriche. I risultati conseguiti con tale attività di monitoraggio sono stati già in parte resi noti ed hanno costituito oggetto di memorie presentate in congressi nazionali ed internazionali 5. Nel presente lavoro: vengono illustrati i caratteri geologici e geomorfologici dei siti investigati e si evidenziano, attraverso una serie di carte tematiche, le attuali condizioni di instabilità dei versanti; ricorrendo a procedure di analisi di stabilità cinematica si definiscono le aree maggiormente soggette a potenziali e rapidi movimenti di blocchi ed i meccanismi di instabilità dominanti nelle stesse aree investigate. Sono altresì riportati, commentati ed interpretati i dati scaturiti dalla campagna di monitoraggio condotta nel sito rupestre Belvedere delle Chiese Rupestri. 2. Analisi di stabilità cinematica e stima della pericolosità di movimenti di blocchi rocciosi: metodologia di studio SIRIS 9,2008 Studi e ricerche della Scuola di Specializzazione in Beni Archeologici di Matera - ISBN 978-88-7228-566-4- © · Edipuglia s.r.l. - www.edipuglia.it 90 Francesco Sdao - Stefania Pascale - Paolo Rutigliano stesso senso del versante, sia cioè racchiusa in un intervallo approssimativo di +/- 90° rispetto alla direzione di immersione del versante; b) l’inclinazione apparente del versante sia maggiore rispetto a quella della linea di intersezione, la quale deve affiorare lungo lo stesso versante; c) l’angolo di attrito medio che si genera lungo i potenziali piani di scivolamento sia minore dell’inclinazione della predetta linea di intersezione tra gli stessi piani. Infine, per la creazione dell’area critica d’instabilità per il meccanismo di ribaltamento diretto di blocchi rocciosi si assume che: a) la linea di intersezione tra i due piani di discontinuità laterali che delimitano il blocco roccioso immerga nel versante, sia cioè disposta a reggipoggio; b) esista un set di superfici di discontinuità che costituisce i piani basali del blocco, la cui inclinazione sia minore dell’angolo di attrito del materiale al fine di prevenire lo scivolamento; c) l’intersezione tra le due famiglie ricada in un intervallo approssimativo tra 160° e 200° rispetto alla direzione di immersione del versante; d) la direzione d’immersione del set di piani basali sia +/- 20° rispetto alla direzione d’immersione del versante. Gli ultimi due criteri non risultano essere strettamente vincolanti per l’innesco del movimento. Per tutti e tre i meccanismi d’instabilità, la definizione di una o più superfici di discontinuità come potenziali piani di scivolamento o di ribaltamento è funzione dell’appartenenza o meno all’area circoscritta dal relativo campo critico. La definizione della pericolosità relativa di frana è stata condotta mediante la procedura proposta da Casagli & Pini, adattata alle situazioni geomorfologiche locali. Tale procedura, che si avvale di criteri cinematici, permette la stima, per ogni possibile meccanismo di movimento di blocchi, di indici adimensionali (indice di pericolosità cinematica), espressi dal rapporto del numero di poli o di intersezioni che soddisfano le condizioni cinematiche di instabilità ed il numero totale di poli (o di intersezioni) acquisiti. In particolare, tali indici sono così definiti: NSP a) CSP = –––– (%) N dove Csp è l’indice di pericolosità cinematica per lo scivolamento planare, Nsp è il numero di poli che 6 M. Tropeano, Aspetti geologici e geomorfologica della gravina di Matera. Parco archeologico storico naturale delle Chiese Rupestri del materano, «Itinerari Speleologici» II, 6 1992, pp. 19-33; P. Beneduce et alii, Caratteri del reticolo idrografico nel- soddisfano le condizioni cinematiche di instabilità ed N è il numero totale di poli; NSC b) CSC = –––– (%) N in cui Csc è l’indice di pericolosità cinematica per lo scivolamento di cuneo, Nsc è il numero di intersezioni che soddisfano le condizioni cinematiche di instabilità, mentre N è il numero totale di intersezioni fra le discontinuità individuate; NRD IRD c) CRD = –––– * –––– (%) N I in cui Crd è l’indice di pericolosità cinematica per il ribaltamento diretto, Nrd è il numero di poli che soddisfano le condizioni cinematiche di instabilità, N è il numero totale di poli, I rd è il numero intersezioni che soddisfano le condizioni cinematiche di instabilità, mentre I è il numero intersezioni totali. Tali indici, se il campione di dati giaciturali è significativamente ampio, forniscono, sulla scorta delle condizioni cinematiche al contorno, una stima della probabilità relativa, e quindi della pericolosità relativa, che un dato meccanismo di movimento avvenga in un dato punto del versante. 3. Caratteri geologici dei siti investigati Il territorio di Matera si sviluppa nella fascia di transizione tra l’Avampaese Apulo e l’Avanfossa Bradanica e, pertanto, è caratterizzato da terreni appartenenti ad entrambi i domini geologici. Infatti, sui calcari cretacei di avampaese giace una successione bordiera plio-pleistocenica di avanfossa, caratterizzata prevalentemente da depositi argillosi chiusi a tetto da depositi sabbiosoconglomeratici di regressione marina. Alla base della serie geologica di avanfossa, in discordanza sul substrato cretaceo, si riconosce la Formazione della Calcarenite di Gravina (Pliocene superiore-Pleistocene inferiore), oggetto prevalente degli studi descritti nel presente lavoro. Il territorio di Matera è attraversato da una profonda incisione, il Torrente Gravina di Matera, che intaglia tutti i depositi precedentemente descritti e si inforra nei calcari cretacei 6. In entrambi i siti investi- l’area dell’Horst di Matera in Basilicata, in F. Boenzi, M. Schiattarella (a cura di), Guida all’escursione geomorfologica: dalla Val d’Agri a Matera (Assemblea AIGeo, Potenza 2002), pp. 6878. SIRIS 9,2008 Studi e ricerche della Scuola di Specializzazione in Beni Archeologici di Matera - ISBN 978-88-7228-566-4- © · Edipuglia s.r.l. - www.edipuglia.it Instabilità dei versanti e controllo, mediante Emilianotecniche Cruccasintegrate di monitoraggio, delle frane gati affiora la medesima successione geologica costituita in basso dalla Formazione dei Calcari di Altamura e in alto dalla Formazione della Calcarenite di Gravina. Il calcare di Altamura (Cretaceo superiore), affiorante lungo le parti basse degli acclivi versanti della Gravina di Matera, è prevalentemente costituito da una monotona successione di calcari micritici compatti e laminati, da calciruditi e calcareniti organogene con abbondanti resti di Rudiste. Tali terreni sono ben stratificati e intensamente fratturati e presentano di norma giaciture variabili ma prevalentemente immergenti, con inclinazioni di 5°-10°, verso i quadranti meridionali. La calcarenite di Gravina (Pliocene superiorePleistocene inferiore), trasgressiva sui predetti calcari, si è depositata in un ambiente di spiaggia-piattaforma alimentato da abbondanti apporti terrigeni carbonatici 7. Essa è rappresentata da un membro inferiore, marcatamente litoclastico e costituito da calcareniti e calciruditi terrigene a grana variabile con clasti calcarei erosi dai calcari cretacei; da un membro superiore, essenzialmente bioclastico, rappresentato da biocalciruditi e biocalcareniti intrabacinali spesso costituite da un ammasso caotico di gusci fossili interi o in frammenti 8. In varia misura cementati ed addensati, siffatti terreni calcarenitici si presentano ovunque intensamente fessurati e ben stratificati in grossi banchi a giacitura orizzontale o poco inclinati ed immergenti prevalentemente a franapoggio. 91 seca mediante l’attivazione di movimenti di massa rapidi riconducibili a crolli, ribaltamenti e scivolamenti di ammassi calcarenitici; le principali cause predisponenti di tale diffusa labilità geomorfologica vanno ricercate: 1. nei caratteri litologici e stratigrafici e nel variabile grado di cementazione dei terreni calcarenitici; 2. nella spesso profonda fessurazione e disarticolazione tettonica che caratterizza tali terreni, dovuta a più sistemi di joints ad alto angolo, unitamente alla loro giacitura prevalentemente a franapoggio, riducendo in alcuni casi l’affioramento calcarenitico ad un ammasso di blocchi prismatici accatastati e giustapposti ed in precarie condizioni di stabilità; 3. nella significativa acclività dei versanti forratici su cui sono sorti i due siti investigati. 4.1. Sito “Belvedere delle Chiese Rupestri” Come si evince dalle carte geomorfologiche realizzate, i siti investigati sono diffusamente ed intensamente interessati da tracce ed effetti (nicchie di distacco e scarpate di frana, numerosi blocchi rocciosi crollati ed accumuli detritici poggianti in precarie condizioni di stabilità sulla parte inferiore dei versanti) riconducibili ad una attiva evoluzione morfologica che si estrin- Il sito investigato, che ricade in località Belvedere delle Chiese Rupestri, di fronte agli storici rioni dei Sassi di Matera, è caratterizzato da acclivi versanti che si elevano per circa 200 m in sinistra idrografica del Torrente Gravina di Matera; un ripiano di abrasione, posto a quota di 405-415 m s.l.m. 9, delimita superiormente l’area investigata, mentre alla base è definita dal solco fluviale del suddetto torrente (figg. 2-3). Tale sito è modellato nella successione carbonatica costituita dal calcare di Altamura e dalla calcarenite di Gravina, il cui contatto geologico è di tipo trasgressivo, è ben marcato e mostra generalmente una giacitura a franapoggio con inclinazioni medie intorno a 8°-12° verso WNW. Nell’area, lo spessore della Calcarenite di Gravina raggiunge anche i 50 metri. Nel sito investigato sono presenti, oltre a numerose grotte cavate nei teneri terreni calcarenitici, molte delle quali modificate dall’architettura rupestre e destinate a luoghi di culto, alcune significative chiese di varie dimensioni e a diverso stato di conservazione: si ricordano le cripte di San Vito, di Sant’Agnese della Madonna delle Tre Porte. In tali cripte, caratterizzate da architetture più o meno complesse, sono presenti affreschi medievali di buona fattura, non di rado degradati. 7 M. Tropeano, Sistemi costieri carbonatici nella Calcarenite di Gravina (Pliocene superiore-Pleistocene inferiore) nell’area delle Murge e della Fossa Bradanica (Tesi di Dottorato di Ricerca, Università degli Studi di Bari, 1994). 8 L. Pomar, M. Tropeano, The Calcarenite di Gravina For- mation in Matera (southern Italy): new insight for coarse-grained, large-scale, cross-bedded bodies encades in offshore deposits, «AAPG Bulletin» LXXXV, 4 2001, pp. 661-689. 9 F. Boenzi et alii, Caratteri geomorfologici dell’area del Foglio “Matera”, «Boll. Soc. Geol. It.» XCV 1976, pp. 527-566. 4. Caratteri di fratturazione dei terreni calcarenitici e condizioni di instabilità dei versanti nei siti rupestri analizzati SIRIS 9,2008 Studi e ricerche della Scuola di Specializzazione in Beni Archeologici di Matera - ISBN 978-88-7228-566-4- © · Edipuglia s.r.l. - www.edipuglia.it 92 Francesco Sdao - Stefania Pascale - Paolo Rutigliano chi e movimenti di blocchi rocciosi. Il rilevamento strutturale ha previsto la raccolta di dati giaciturali di circa 250 fratture beanti, la descrizione delle caratteristiche geometriche delle stesse (apertura, rugosità, spaziatura e condizioni delle fratture) e l’individuazione di blocchi con evidenti situazioni di distacco prossimo. I dati raccolti sono stati trattati con appositi softwares, analizzati e riassunti in tabelle e schemi che sono di seguito illustrati. Generalmente, le superfici di discontinuità mostrano caratteristiche di spaziatura e rugosità molto variabili, anche all’interno delle stesse aree, rendendo complicata una Fig. 2. - Area di studio “Belvedere delle Chiese Rupestri”. È indicato il contatto geologico fra le due formazioni carbonatiche. Nella parte alta del versante sono visibili alcune delle testimonianze ruqualunque schematizzapestri presenti. Si osserva inoltre la diffusa presenza di nicchie di distacco e di blocchi calcarenitici zione. La spaziatura è mesia in evidente stabilità precaria sia crollati, a testimonianza della spiccata fragilità geomorfologica diamente di diversi decicaratterizzante tale sito rupestre. metri, ma sempre contraddistinta da forte irregolariL’intero sito è interessato da rapidi movimenti di tà; le pareti delle fratture non presentano normalmassa che interessano in particolar modo i terreni mente una rugosità accentuata e possono essere escalcarenitici e che si palesano mediante: evidenti nicsenzialmente riferite alle classi IV e V (ondulata lichie di distacco con forma più o meno complessa ed scia e ondulata rugosa) della classificazione ISRM impostate in corrispondenza di fessure o all’interse(1978), mentre mostrano tracce di alterazione più o zione di più discontinuità strutturali; blocchi in evimeno spinta. dente stato di precaria stabilità delimitati da fessure I dati giaciturali delle discontinuità strutturali ribeanti o crollati sul sottostante versante; accumuli levate sono stati riportati su appositi rose diagrams detritici generati dalla continua dinamica morfogra(fig. 3), dai quali è possibile evidenziare le principavitativa che caratterizza tale area (fig. 4). I movili famiglie di discontinuità strutturali. Sono distinmenti di massa, come sarà successivamente evidenguibili due direzioni preferenziali, NE-SW e NW-SE. ziato, si realizzano mediante prevalenti scivolamenti Il primo set di fratture, di direzione antiappenninica, di cunei rocciosi e ribaltamenti diretti. condiziona marcatamente l’andamento di gran parte del ciglio del versante investigato; inoltre è respon4.1.1. Caratteri di fratturazione dei terreni calcasabile di alcune delle profonde incisioni che interesrenitici sano il lato meridionale dello stesso versante. Il trend NW-SE è di notevole importanza in quanto, in parte, Per definire lo stato di fratturazione dei terreni potrebbe riflettere l’andamento regionale dei master joints e dei graben che incidono questa area della calcarenitici, il sito è stato suddiviso in quattro aree Murgia materana. Entrambi i predetti sistemi struttu(aree 1-4 in fig. 3), la cui scelta è essenzialmente dirali sono rilevabili anche nei calcari sottostanti, rappesa dalla presenza di evidenze di potenziali distac- SIRIS 9,2008 Studi e ricerche della Scuola di Specializzazione in Beni Archeologici di Matera - ISBN 978-88-7228-566-4- © · Edipuglia s.r.l. - www.edipuglia.it Instabilità dei versanti e controllo, mediante Emilianotecniche Cruccasintegrate di monitoraggio, delle frane 93 mi di fessurazione sulla potenziale instabilità del sito rupestre si evidenzia chiaramente dall’analisi strutturale e dalla lettura dei rose diagrams ottenuti per ogni singola stazione e riportati nella figura 3, da cui è possibile trarre le seguenti considerazioni: a) l’area 1 è caratterizzata da tre trend principali rispettivamente orientati NE-SW, NW-SE e E-W ed in particolare, le fratture relative ai primi due sistemi delimitano le nicchie di distacco presenti in questo segmento di versante; b) il rose diagram dell’area 2 evidenzia la presenza di più famiglie strutturali con un peso percentuale rilevante, anche se particolare importanza hanno le due famiglie orientate rispettivamente N 330°- 360° e N 0°- 10°, perché esse esprimono l’andamento del versante in quel tratto e bordano le nicchie di distacco ricadenti nell’area stessa; c) le aree 3 e 4, infine, mostrano la presenza delle stesse famiglie di fratturazione che, in funzione della diversa giacitura del versante, hanno un diverso valore percentuale: infatti, mentre nell’area 4 predomina la famiglia orientata NW-SE con in subordine la famiglia orientata NE-SW, nell’area 3 si verifica l’esatto contrario, anche se la famiglia con trend NW-SE mostra uno scattering dei dati maggiore. Anche in queste aree è netta l’influenza di questi sistemi di fessure nell’attivazione e nella successiva evoluzione di distacchi di blocchi calcarenitici. Fig. 3. - Carta geologica, geomorfologica, dell’analisi di stabilità cinematica e della pericolosità relativa di frana del sito di studio “Belvedere delle Chiese Rupestri”. 1) Depositi alluvionali recenti; 2) Formazione della Calcarenite di Gravina; 3) Formazione del Calcare di Altamura; 4) Aree interessate dai rilievi geostrutturali; 5) Andamento delle principali famiglie di fratturazione; 6) Nicchie e scarpate di frana; 7) Accumuli di frana; 8) Giacitura degli strati calcarenitici; 9) Analisi cinematica di stabilità (diagramma di Matheson); 10) Valori dell’indice di pericolosità cinematica. 4.1.2. Analisi di stabilità cinematica e stima dell’indice di pericolosità cinematica: interpretazione dei dati e principali risultati presentando quindi strutture tettoniche importanti e con implicazioni strutturali a livello regionale, riflesso diretto del contesto geodinamico in cui è inserito l’intero avampaese murgiano. Questi due principali set di fratturazione hanno generato l’andamento del versante investigato e ne controllano anche l’evoluzione morfogravitativa, influenzando sia la posizione che la forma delle numerose nicchie di distacco presenti lungo il ciglio della gravina (fig. 2). La stretta influenza dei siste- Utilizzando i dati giaciturali rilevati in ogni singola stazione ed applicando il metodo della sovrapposizione o di Matheson2, sono state condotte delle analisi di stabilità cinematica, i cui risultati sono schematizzati nella figura 3. In tali analisi di stabilità cinematica è stato utilizzato un angolo di attrito medio dell’ordine di 30°, ricavato da dati di letteratura 10 e dati da analisi di laboratorio realizzate su campioni calcarenitici prelevati nel territorio materano 11. Per quanto riguarda la giacitura delle famiglie, essa è espressa con la convenzione dip direction/dip angle. Dalle analisi di stabilità cinematica eseguite si evince quanto segue: nell’area 1 si evidenziano con- R. Francioso et alii, Parco Archeologico Storico Naturale delle Chiese Rupestri Del Materano: geomorphological fragility and slope instability in a rupestrian-heritage rich area (Basilicata, south Italy), (Proceedings of EGS-AGU-EUG Joint As- sembly, Nice-France, 06-11 April 2003) Geophysical Research Abstracts V 2003, abstract 8545. 11 C. Cherubini et alii, Caratteri petrografici e meccanici delle calcareniti di Matera, «Mem. Soc. Geol. It.» LI 1996, pp. 761769. 10 SIRIS 9,2008 Studi e ricerche della Scuola di Specializzazione in Beni Archeologici di Matera - ISBN 978-88-7228-566-4- © · Edipuglia s.r.l. - www.edipuglia.it 94 Francesco Sdao - Stefania Pascale - Paolo Rutigliano B Fig. 4. - Belvedere delle Chiese Rupestri. a) distacco e scivolamento di un blocco calcarenitico avvenuto nel giugno 2003; b) blocchi calcarenitici molto fessurati, dislocati o in evidente stabilità precaria. Tali blocchi, i cui spostamenti sono stato oggetto di monitoraggio GPS, costituiscono il coronamento del versante investigato ed incombono sulla sottostante scarpata. A dizioni di instabilità dovute a potenziali scivolamenti di cuneo e ribaltamenti. Nell’area 2, anch’essa caratterizzata dall’assenza di predisposizione allo scivolamento planare, le analisi eseguite mostrano come tutte le famiglie strutturali principali siano coinvolte nel predisporre il versante a fenomeni di ribaltamento di blocchi, mentre le famiglie orientate N 259°/79° e N 35°/74° predispongono la stessa area a processi di scivolamento di cunei. Le restanti aree analizzate – aree 3 e 4 in figura 3 – mostrano, così come risulta dai rilievi geomorfologici eseguiti, le situazioni di pericolo più evidenti. Infatti, la prima delle due aree, oltre ai meccanismi di rottura prima riportati, risulta essere predisposta anche allo scivolamento planare, con un ruolo importante svolto dalla famiglia di fratturazione orientata N 303°/63°. Infine, nell’ultima area, la numero 4, le condizioni di potenziale instabilità sono in particolare dettate dalle famiglie orientate N 64°/69°, N 210°/67° e N 239°/70°, che predispongono l’area a processi di scivolamento di cunei e di ribaltamento. Come precedentemente detto, si è proceduto, per ogni area analizzata e per i singoli meccanismi di instabilità, alla stima dell’indice di pericolosità cinematica, così come formulato da Casagli e Pini4 e utilizzando la gran mole di dati giaciturali acquisiti. I risultati di tale stima sono riportati nella figura 3. Vale la pena evidenziare che i risultati conseguiti con tali stime ben si attagliano con quanto risulta dalle analisi di stabilità cinematica eseguite. I valori dell’indice in parola sono sempre significativi anche se variabili: per quanto riguarda lo scivolamento di cuneo si hanno valori compresi fra 11% e 30%, mentre per i ribaltamenti diretti, essi variano tra il 6% e il 22%. I valori maggiori di tale indice si registrano nelle aree 3 e 4, evidenziando ancora una volta un’alta e diffusa potenziale instabilità di versante. A comprova di quanto fin qui detto, nel mese di giugno 2003, nell’area 4 di figura 3, in corrispondenza di alcune nicchie ben evidenziate con il presente studio, si sono verificati distacchi e crolli di blocchi calcarenitici. 4.2. Sito di località “Iazzo Dell’Ofra” Il sito in oggetto è situato lungo l’acclive versante occidentale del Torrente Gravina di Matera, a SSE della Città di Matera, lungo una stretta e profonda ansa della gravina in località Iazzo dell’Ofra. In tale area è presente un pregevole e ben conservato complesso monastico costituito da numerosi ambienti e SIRIS 9,2008 Studi e ricerche della Scuola di Specializzazione in Beni Archeologici di Matera - ISBN 978-88-7228-566-4- © · Edipuglia s.r.l. - www.edipuglia.it Fig. 5. - Panoramica del complesso monastico rupestre di Iazzo dell’Ofra. Sono evidenti i diffusi e significativi movimenti gravitativi che si palesano mediante marcate nicchie di distacco, una diffusa fratturazione dei terreni calcarenitici, blocchi rocciosi sia in evidente stabilità precaria sia crollati, pregiudizievoli dissesti statici (lesioni beanti, crolli di e sprofondamenti) a numerose cavità. cunicoli, fra loro collegati mediante scale intagliate nella roccia, e distribuiti su tre diversi livelli (fig. 5); una significativa cripta, che si incunea profondamente nell’ammasso calcarenitico, rappresenta il principale elemento sacro del complesso. In ogni ambiente scavato si rinvengono nicchie, giacitoi, fornelli e cisterne. Molte cavità sono significativamente dissestate ed alcune di esse sono addirittura crollate. Nelle vicinanze del complesso monastico, scavata nel sottostante Calcare di Altamura, è presente una chiesa rupestre dedicata a San Nicola in cui si rinvengono pregevoli affreschi significativamente degradati. Il sito investigato è limitato superiormente da una superficie di abrasione marina che si sviluppa intorno alle quote 300-320 m s.l.m., inferiormente dal letto del torrente Gravina di Matera, che con la sua azione erosiva sta incidendo una profonda forra in risposta al sollevamento tettonico a cui è soggetta questa area da tempi recenti. Tale versante, per il quale nella figura 6 sono rispettivamente riportati la carta geomorfologica e un profilo geologico rappresentativo, è caratterizzato da un profilo composito ad inclinazione variabile legato alla differente erodibilità delle due formazioni rocciose e alla variazione del tasso di sollevamento nel tempo: i segmenti superiore ed inferiore sono a maggiore pendenza, mentre quello centrale presenta una pendenza minore. Dal punto di vista geologico, lungo il versante affiora la successione carbonatica più volte descritta: il limite geologico fra il Calcare di Altamura e la Calcarenite di Gravina corre lungo le quote 280-290 m s.l.m., mentre lo spessore dei terreni calcarenitici raggiunge anche i 30 metri. I terreni calcarenitici sono disposti secondo una struttura monoclinalica immergente di 10° verso i quadranti occidentali, e quindi mostrando spesso giaciture a franapoggio. Come evidenziato in queste figure, l’intero pendio è interessato da rapidi movimenti di massa che, anche in questo caso, interessano in particolar modo i terreni calcarenitici. Le forme più evidenti sono: nicchie di distacco, essenzialmente presenti nella parte sommitale del versante ed impostate all’intersezione di più discontinuità strutturali; blocchi calcarenitici in evidente stato di precaria stabilità delimitati da fes- SIRIS 9,2008 Studi e ricerche della Scuola di Specializzazione in Beni Archeologici di Matera - ISBN 978-88-7228-566-4- © · Edipuglia s.r.l. - www.edipuglia.it 96 Francesco Sdao - Stefania Pascale - Paolo Rutigliano Fig. 6. - Carta geologica, geomorfologia, dell’analisi di stabilità cinematica e della pericolosità relativa di frana del sito rupestre di “Iazzo dell’Ofra”. Legenda: 1) Depositi alluvionali recenti; 2) Formazione della Calcarenite di Gravina; 3) Formazione del Calcare di Altamura; 4) Aree interessate dal rilevamento geomeccanico di dettaglio; 5) Andamento delle principali famiglie di fratturazione; 6) Scarpate di frane da crollo; 7) Depositi di frane da crollo; 8) Giacitura degli strati calcarenitici; 9) Analisi di stabilità cinematica (Diagrammi di Matheson); 10) Indice di pericolosità relativa. sure beanti o crollati sul sottostante versante e accumuli detritici conseguenti alla evoluzione morfologica dinamica a cui è soggetta tale area (fig. 7). Come si evidenzierà in seguito, un importante ruolo nella potenziale instabilità del sito è svolto dallo stato di fessurazione dei terreni calcarenitici in concorso con la notevole acclività del versante forratico. lità del sito, particolare importanza assume il set di fratture orientato WNW-ESE, che condiziona l’andamento del versante lungo il quale è stato cavato il complesso rupestre. Anche le principali e più evidenti nicchie di distacco sono impostate in corrispondenza di fessure riferibili al predetto sistema strutturale. Il trend NW-SE, a direzione appenninica, è di notevole importanza strutturale in quanto, in parte, potrebbe riflettere l’andamento regionale dei master joints e dei graben che incidono questa area delle Murge, e quindi è possibile riferirlo ad un contesto molto più ampio. Il terzo trend, con strike NE-SW, oltre a condizionare l’andamento della porzione orientale del versante investigato, è responsabile sia di parte delle incisioni sia di alcune nicchie di distacco presenti nella porzione occidentale del sito di studio. Per quanto riguarda i caratteri della fratturazione, i rilievi eseguiti hanno evidenziato quanto segue: la spaziatura media delle fratture varia da 40-50 cm a oltre 100 cm, testimoniando una forte irregolarità che comunque è una delle proprietà tipiche della fratturazione della calcarenite in questa zona dell’avampaese murgiano; la rugosità delle pareti non è accentuata e può essere mediamente riferita alle classi IV e V (ondulata liscia e ondulata rugosa) della classificazione ISRM 12. Le dimensioni medie dei blocchi già crollati o potenzialmente instabili hanno varie dimensioni, da qualche m3 a qualche decina di m3. 4.2.2. Analisi di stabilità cinematica e stima dell’indice di pericolosità cinematica: interpretazione dei dati e principali risultati Lo stato di fratturazione delle rocce calcarenitiche è stato rilevato e studiato in tre diverse aree (aree 1-3 in fig. 6); i risultati dei rilievi geostrutturali sono stati sintetizzati in appositi rose diagrams, riportati nella figura 6. Nell’area investigata sono presenti almeno tre direzioni preferenziali, rispettivamente orientate NW-SE, WNW-ESE e NE-SW. Ai fini della potenziale instabi- Anche in questo caso, basandosi sui dati giaciturali rilevati, si è proceduto all’analisi di stabilità cinematica applicando il metodo della sovrapposizione o di Matheson2. I risultati di tali analisi sono riportati nella figura 6. Come si evince da queste, il sito investigato mostra una notevole propensione all’instabilità marcatamente dovuta a potenziali scivolamenti di cuneo e ribaltamenti. In particolare, questi ultimi interessano blocchi calcarenitici di varie dimensioni, definiti lateralmente da due o più famiglie strutturali e alla base dalle superfici di deposizione delle calcareniti disposte a franapoggio; mentre gli scivolamenti di cuneo avvengono essenzialmente lungo fratture relative a due sistemi strutturali fra loro intersecatisi. 12 ISRM, Commission on the Standardization of Laboratory and Field Test, Suggested methods for the quantitative descrip- tion of discontinuities in rock masse, «Int. Jour. Rock Mech. Min. Sci. & Geomech. Abstract» XV, 6 1978, pp. 319-368. 4.2.1. Caratteri di fratturazione dei terreni calcarenitici SIRIS 9,2008 Studi e ricerche della Scuola di Specializzazione in Beni Archeologici di Matera - ISBN 978-88-7228-566-4- © · Edipuglia s.r.l. - www.edipuglia.it Instabilità dei versanti e controllo, mediante Emilianotecniche Cruccasintegrate di monitoraggio, delle frane 97 5. Monitoraggio dei movimenti di massa presenti nel sito Belvedere delle Chiese Rupestri Fig. 7. - Blocchi calcarenitici in evidenti condizioni di potenziale instabilità ed incombenti sull’entrata principale del complesso monastico Le condizioni di potenziale instabilità di ogni singola area possono essere così sintetizzate: 1. i meccanismi di scivolamento di cuneo e di ribaltamento sono presenti, anche se con varia importanza, in tutte e tre le aree e sono essenzialmente predisposti da più sistemi di fratturazione; 2. anche in questo caso la predisposizione del versante allo scivolamento planare non è molto significativa, anche se non è del tutto assente; tale circostanza è legata sia al particolare andamento del versante, sia alla notevole acclività dei sistemi di fessurazione, spesso più inclinati del versante. Per quanto riguarda l’indice di pericolosità cinematica, le stime eseguite sono in accordo con risultati ottenuti con la tecnica di Matheson2 e prima descritti. Esse, come nel caso del sito Belvedere Chiese Rupestri, mostrano come i potenziali meccanismi di movimento più significativi siano lo scivolamento di cuneo e il ribaltamento; lo scivolamento planare, seppur presente, non gode di una significativa probabilità di accadimento. In ogni area investigata, particolarmente alti sono gli indici di pericolosità cinematica relativi allo scivolamento di cuneo, variando fra il 27% e il 35%. Il complesso degli studi volti depone a favore di una significativa e diffusa instabilità potenziale lungo l’intero versante, peraltro confermata dai rilievi geomorfologici eseguiti. Come è stato già evidenziato, gli studi geomorfologici e di stabilità cinematica condotti, hanno consentito di individuare e definire, all’interno del sito Belvedere delle Chiese Rupestri, le aree maggiormente soggette a processi di dissesto riconducibili a distacchi, crolli, ribaltamenti e scivolamenti di blocchi. Al fine di definire ed interpretare i caratteri cinematici e dinamici di tali movimenti di massa è stato ideato e predisposto un piano di monitoraggio degli spostamenti superficiali basato sull’integrazione di tecniche di topografia “classica” (mediante l’impiego di teodolite e prismi retroriflettenti), di rilievi GPS e di letture di basi deformometriche. L’uso integrato di diverse tecniche di monitoraggio ha tra l’altro permesso una mutua validazione delle misure di spostamento registrate. Come si evince dalla figura 8, la rete di monitoraggio interessa essenzialmente una stretta fascia del bordo dell’acclive forra carbonatica, in cui più evidenti sono i blocchi potenzialmente instabili. 5.1. Rete di monitoraggio topografico e GPS: acquisizione ed interpretazione dei dati La rete di monitoraggio GPS/topografica è costituita da 10 punti di controllo degli spostamenti, materializzati da appositi markers a centramento forzato uniformemente distribuiti per l’intero sito investigato (fig. 8). Di tali markers, 2 rappresentano i necessari capisaldi (markers 01 e 10 in fig. 8), mentre i restanti 8 punti, identificati con le sigle 02,...,09 sono posizionati sui principali blocchi potenzialmente instabili che costituiscono gran parte del ciglio della scarpata rocciosa. La rete di monitoraggio è stata ideata e messa in opera nel mese di Giugno 2002. La scelta di definire ed utilizzare due diversi capisaldi (Stazioni 01 e 10) è stata effettuata per ottenere, per ogni campagna di rilevamento, due serie di misure indipendenti della rete di monitoraggio: infatti, con l’utilizzo indipendente del GPS e del teodolite, ogni singolo marker della rete è stato sottoposto, in ogni ciclo di rilievo, a quattro serie di misure, due con il GPS (Stazione 1 — punto N, Stazione 10 — punto N) e due con il teodolite secondo lo stesso schema di misura. Ciò ha permesso una maggior precisione e validazione delle misure degli spostamenti superficiali misurati. La campagna di monitoraggio si è sviluppata nel periodo luglio 2002 - Novembre 2003, all’interno del SIRIS 9,2008 Studi e ricerche della Scuola di Specializzazione in Beni Archeologici di Matera - ISBN 978-88-7228-566-4- © · Edipuglia s.r.l. - www.edipuglia.it 98 Francesco Sdao - Stefania Pascale - Paolo Rutigliano stema di riferimento locale. Vale subito la pena evidenziare che i valori di spostamento misurati con il sistema GPS sono del tutto simili a quelli valutati con il rilevamento topografico. Per tale ragione, qui di seguito si farà essenzialmente riferimento ai rilievi eseguiti con il GPS. I risultati delle campagne di misura sono riportati nella figura 9. Da questa figura si evince chiaramente che, nel periodo di osservazione, molte delle stazioni di misura hanno subito spostamenti più o meno significativi, al di sopra dei valori soglia prima detti. In particolare relativamente alla componente Nord: le stazioni 01, 04, 08 mostrano degli spostamenti, rispetto ad entrambi i caposaldi 01 e 10; le stazioni 02 e 03 mostrano spostamenti evidenti, dell’ordine dei cm, rispetto al caposaldo 10; le stazioni 05 e 06 sono sostanzialmente ferme. Rispetto alla componente Est dei movimenti, nelle stazioni Fig. 8. - Ubicazione e distribuzione nel sito Belvedere della Chiese Rupestri della 02, 03, 05 e 08, rispetto ai capisaldi 01 e rete di monitoraggio GPS, topografico e deformometrico. 10, gli spostamenti registrati si collocano al di sopra limite dei valori soglia, esquale sono state effettuate 11 campagne di misura sendo dell’ordine dei 1,5-2 cm (fig. 9). GPS e 5 di rilievi topografici (periodo luglio 2002Per quanto riguarda la stazione 09 (fig. 9), la serie giugno 2003). Tre delle campagne GPS sono state detemporale è la più corta ed è bene evidenziare che, dicate unicamente alla georeferenziazione dei due nel giugno 2003, la parete su cui è stata installata la capisaldi (punti 01 e 10 nella descrizione della rete), stazione ha subito un significativo crollo, a testimomentre le altre campagne hanno interessato l’intera nianza dell’elevato grado di dissesto in cui versa rete. La georeferenziazione dei due capisaldi è stata l’area investigata. In questa stazione, dal luglio 2002 effettuata analizzando i dati del periodo Giugno-Lufino al maggio 2003 sono stati rilevati significativi glio 2002 e calcolando la loro posizione rispetto alla spostamenti, ben al di sopra dei valori soglia. stazione permanente GPS dell’ASI collocata presso il In definitiva, sebbene i rilievi di spostamento mecentro di Geodesia Spaziale di Matera a pochi chilodiante tecniche GPS siano tuttora in corso, dalla serie metri (~ 7 Km) dall’area in esame. La posizione di di misure collezionate è possibile trarre alcune consiquesti punti è stata verificata in occasione di ogni derazioni sulla dinamica geomorfologica in atto, pecampagna, risolvendo la loro posizione rispetto alla raltro confermate e validate dai rilievi di basi stazione permanente GPS dell’ASI al fine di verifideformometriche di cui si dirà: l’intera area investicare la stabilità di capisaldi nel tempo. La lettura di gata e i fenomeni di frana monitorati mostrano una zero dell’intera rete è stata effettuata a Luglio 2002. seppur lenta ma continua attività, con spostamenti vaPer quanto riguarda i rilievi GPS e topografici, al fine riabili da qualche mm/anno a qualche cm/anno; gli di attribuire un elevato livello di affidabilità alle mispostamenti e le deformazioni, come è stato osservato nella stazione 09, subiscono un rapido incremento che sure acquisite, sono stati definiti dei valori-soglia di genera la rottura dei blocchi. Inoltre, i rilievi GPS, tospostamento, pari a 0,5 cm per le componenti planari pografici e deformometrici confermano quanto già e a 1,0 cm per la componente verticale; spostamenti evidenziato con i rilievi geomorfologici e le analisi di maggiori a tali valori sono stati ritenuti significativi. stabilità cinematica: infatti, gli spostamenti più signiPer valutare meglio eventuali direzioni preferenziali ficativi e le rotture di versante si sono verificati nelle di moto, le deformazioni misurate sono state riporstazioni GPS 02, 03 e 04, ricadenti nelle aree 3 e 4, tate secondo le componenti Nord, Est ed Up di un si- SIRIS 9,2008 Studi e ricerche della Scuola di Specializzazione in Beni Archeologici di Matera - ISBN 978-88-7228-566-4- © · Edipuglia s.r.l. - www.edipuglia.it Instabilità dei versanti e controllo, mediante Emilianotecniche Cruccasintegrate di monitoraggio, delle frane 99 A D B E C F Fig. 9. - Monitoraggio GPS: a), b) e c) valori degli spostamenti misurati nelle diverse stazioni rispetto alla stazione 01 lungo la componente Nord, Est ed Up; d), e), e f) valori degli spostamenti misurati nelle diverse stazioni rispetto alla stazione 10 lungo la componente Nord, Est ed Up già riconosciute come quelle più potenzialmente instabili. 5.2. Rilievi di basi deformometriche: descrizione della rete di monitoraggio Le stesse aree instabili interessate dai rilievi topografici e GPS sono state soggette ad un ulteriore tipo di controllo degli spostamenti costituito da una rete di basi deformometriche. Trattasi di dischi di circa 5 mm di diametro posti a cavallo di fratture e distanziati di circa 20 cm. Le misurazioni avvengono mediante uno strumento dotata di comparatore bimillesimale che valuta la distanza fra i dischetti con una precisione teorica di due millesimi di millimetro. La frequente applicazione di tale sistema di controllo ha permesso di verificare che in realtà la precisione del metodo è del decimo di millimetro. La rete di basi deformometrica (fig. 8), installata e collaudata nel mese di giugno del 2002, è costituita da 12 basi deformometriche: 10 di queste sono state posizionate a cavallo di significative fratture beanti che definiscono blocchi rocciosi potenzialmente instabili; due altre basi sono state collocate su blocchi di roccia integri per controllare l’influenza delle escursioni termiche sugli spostamenti misurati. La lettura di zero della rete è stata eseguita il 12 Giugno 2002. Nel periodo Luglio 2002-Novembre 2003 sono stati eseguiti 10 cicli di misura riguardanti l’intera rete di controllo. I risultati dei rilievi eseguiti sono schematizzati nella figura 10. SIRIS 9,2008 Studi e ricerche della Scuola di Specializzazione in Beni Archeologici di Matera - ISBN 978-88-7228-566-4- © · Edipuglia s.r.l. - www.edipuglia.it 100 Francesco Sdao - Stefania Pascale - Paolo Rutigliano Fig.10. - Spostamenti registrati mediante la misura periodica di basi deformometriche. 5.3. Misure sulle basi deformometriche nel sito Belvedere delle Chiese Rupestri Le misure deformometriche sono state eseguite con una cadenza all’incirca mensile per il periodo di tempo compreso tra giugno 2002 e novembre 2003. La metodologia con cui sono state effettuate le misure è stata esposta in precedenza, e quindi anche in questo caso i valori vengono analizzati in termini di spostamenti residui tra la lettura di zero effettuata a giugno 2002 e le misure successive. Nella stima degli spostamenti acquisiti con tale tecnica si è tenuto in debito conto delle escursioni di temperatura. I risultati ottenuti dalle campagne di misure deformometriche confermano quanto ricavato dai dati ottenuti con le campagne GPS ed in subordine con le campagne effettuate con il teodolite e cioè che nell’area investigata è in atto un’evoluzione geomorfologica continua anche se molto lenta. Nello specifico si vuole ricordare che come riportato precedentemente, con questo sistema si possono apprezzare deformazioni fino al decimo di millimetro; dalle misure effettuate si evince che in alcune stazioni le deformazioni misurate superano quest’ordine di grandezza e questi sono chiari indizi di una cinematica attiva e misurabile in alcune delle aree rilevate. In particolare le due basi che evidenziano più chiaramente deformazioni in atto sono la n. 11 e la n. 10, entrambe posizionate su cigli di rottura evidentemente attivi e ricadenti nell’area 4. SIRIS 9,2008 Studi e ricerche della Scuola di Specializzazione in Beni Archeologici di Matera - ISBN 978-88-7228-566-4- © · Edipuglia s.r.l. - www.edipuglia.it Siris 9,2008, 101-129 Un progetto di archeologia urbana a Matera. Ricerche preliminari per la redazione della Carta Archeologica di Matera (CAM) tra Antichità e Medioevo di Rosanna Colucci, Isabella Marchetta, Massimo Osanna, Francesca Sogliani Introduzione Il progetto di indagine su Matera antica e medievale intrapreso dalla Scuola di Specializzazione in Archeologia di Matera in collaborazione con la Soprintendenza per i Beni Archeologici della Basilicata si vuole rivolgere in primo luogo al territorio in cui opera il polo universitario materano, un contesto quanto mai famoso e oggi protetto dall’Unesco (fig. 1), ma che rimane sostanzialmente poco noto per quanto riguarda la sua storia più antica. La ricerca è finalizzata dunque alla comprensione della esperienza insediativa, delle sue fasi di sviluppo e delle sue trasformazioni, dal secondo millennio a.C. alla piena età medievale. Il centro urbano di Matera, come del resto tutto il territorio comunale, è un palinsesto straordinario di stratificazioni insediative, che prendono avvio in età molto remota, evidente conseguenza di una morfologia peculiare che coniuga una serie di elementi fondamentali per lo sviluppo della frequentazione umana. Il comprensorio si caratterizza, infatti, per la sua posizione strategica sia rispetto agli assi di transito tra Ionio e Adriatico, sia per le ampie possibilità di difesa, di sfruttamento economico dei paesaggi e non da ultimo per la peculiare conformazione geologica, particolarmente adattabile ad un habitat antropizzato. Il territorio è idoneo tanto all’allevamento quanto alla agricoltura, grazie alla presenza di terreni fertili e risorse idriche particolarmente abbondanti da un lato, e la presenza dei tavolati murgiani dall’altro. Gli ampi terrazzi e le colline della variegata morfologia, acquistano inoltre maggior valore per la presenza della straordinaria altura della Civita (fig. 2), posta a dominare la gravina, vera e propria acropoli naturalmente difesa, che domina il paesaggio circostante e ancora oggi rappresenta un segno forte nel paesaggio urbano, visibile com’è da notevoli distanze con la sua cattedrale romanica che ne domina la sommità. Prima di portare l’accento sulle novità già acquisite dal nuovo progetto e dunque prima di ripercor- rere le tappe della vicenda storica che ha caratterizzato il sito, attraverso la presentazione di manufatti e architetture (percorso che sarà di seguito illustrato dal gruppo di ricerca) mi siano concesse alcune osservazioni sulle modalità della ricerca e sull’importanza di un progetto di archeologia urbana e di carta archeologica a Matera, come possibilità di ricostruzione storica – che non significa semplicemente conoscere le tracce archeologiche lasciate dalle antiche civiltà ma piuttosto ricostruire sistemi economici e sociali, contesti politici, mentalità e culture (dalla religione alle manifestazioni artistiche) di chi ci ha preceduto nel territorio che oggi abitiamo – e di valorizzazione del nostro eccezionale patrimonio archeologico. La ricerca è caratterizzata, come dovrebbero essere sempre le ricerche archeologiche, da una cooperazione che ha visto all’opera diverse componenti istituzionali e professionali, la cui sinergia si è intensificata nella più recente fase del progetto. Oggi la ricerca archeologica va intesa sempre di più come lavoro di équipe interdisciplinare e tutto quello che è stato fatto non sarebbe stato possibile senza la condivisione e l’entusiasmo di tutti coloro che vi hanno preso parte. Voglio ringraziare pertanto, innanzitutto, Annamaria Patrone che ha condiviso con me gli sforzi per l’attivazione e la conduzione del progetto; Rosanna Colucci che sta coordinando la nuova fase del progetto di ricontestualizzazione dei vecchi rinvenimenti e studio dei materiali; Lara Cossalter che ha coordinato le ricerche del nucleo di manufatti di S. Nicola dei Greci; Francesca Sogliani che coordina il progetto per la fase medievale e Isabella Marchetta che ha condotto le attività di scavo a Piazza San Giovanni Battista (fig. 3) e ovviamente quanti, studenti e specializzandi, hanno partecipato alla recente campagna. Se passiamo alle istituzioni coinvolte, che hanno preso parte in maniera diversa al progetto, innanzitutto vorrei sottolineare come la collaborazione con la Soprintendenza ha significato la presenza attiva sul SIRIS 9,2008 Studi e ricerche della Scuola di Specializzazione in Beni Archeologici di Matera - ISBN 978-88-7228-566-4- © · Edipuglia s.r.l. - www.edipuglia.it Fig. 1. - Matera, Sasso Caveoso (Archivio fotografico Museo “D. Ridola”). Fig. 2. - Matera, la Civita. cantiere e in tutte le fasi della ricerca di molto del personale della sede materana. Ricordo soprattutto Nicoletta Montemurro e Cosimo Disimino. Last but not least vorrei menzionare il Comune di Matera, e in particolare Emanuele Lamacchia, con il quale dall’inizio si è proceduto in pieno accordo. Prima di lasciare la parola alle colleghe che pre- senteranno i nuovi risultati nel dettaglio, vorrei dedicare un’ultima riflessione ai problemi complessi legati alla archeologia urbana e alla valorizzazione di un sito pluristratificato e “difficile” come Matera. Infatti, i risultati ottenuti nel campo della conoscenza non ci devono far dimenticare il ruolo doveroso che abbiamo nei confronti della comunità tutta, nel co- SIRIS 9,2008 Studi e ricerche della Scuola di Specializzazione in Beni Archeologici di Matera - ISBN 978-88-7228-566-4- © · Edipuglia s.r.l. - www.edipuglia.it Un progetto diEmiliano archeologia Cruccas urbana a Matera 103 Fig. 3. - Matera, la piazza San Giovanni Battista durante i lavori di riqualificazione urbana (foto M. Calia). municare e rendere patrimonio collettivo i risultati ottenuti. È ovvio che bisogna cercare nuovi linguaggi per tradurre e evitare una esclusiva ricaduta delle conoscenze in solo ambito accademico. In tal senso il sito ben si presta ad essere “restituito” alla collettività realizzando un Museo della città diffuso, attraverso il quale sia possibile illustrare e raccontare la storia di chi ha vissuto nel territorio prima di noi, serbando la memoria storica attraverso la valorizzazione di quei monumenti che ancora segnano il paesaggio e vanno preservati dalla distruzione. Un progetto di archeologia urbana a Matera significa pensare la città in modo nuovo: un Museo della Città diffuso potrebbe realizzarsi attraverso la creazione di percorsi tematici (città e territorio/ gli spazi della vita quotidiana/ gli spazi pubblici: politici e sacri ecc.) e cronologici. Ciò implica che non tutti gli scavi svolti in occasione di interventi di trasformazione urbana sono necessariamente da valorizzare (per evitare eccessivi disagi alla popolazione e difficoltà nella gestione e manutenzione dei resti archeologici), concentrando invece le risorse verso quelle aree che risulteranno maggiormente rappresentative delle differenti “città” che caratterizzano la complessa e articolata vicenda insediativa di Matera, con tutte le sue straordinarie specificità. L’acquisizione di nuovi dati e la conseguente redazione di una carta archeologica (strumento imprescindibile per lo svolgimento del progetto) rappresentano momenti fondamentali e indispensabili per una corretta e consapevole gestione della città: infatti andrebbe programmata la redazione di carte del sottosuolo mirate non solo a ridurre il rischio di impatto sulle preesistenze, ma anche alla registrazione di altre tipologie di informazioni come ad esempio dati di natura pedologica, geomorfologica ecc. Si tratta di carte (che ovviamente presuppongono la creazione di una cartografia su piattaforma GIS) che attraverso una serie di attività di indagine (anche non invasive) – che oggi comunemente possiamo indicare con il termine di archeologia preventiva – possano ricostruire i diversi paesaggi urbani succedutesi dall’età antica fino ai giorni nostri. L’uso del GIS e la interrelazione di dati di diversa natura consente infine l’applicazione di analisi di tipo predittivo che anche in questo caso avrebbe il duplice obiettivo della conoscenza/interpretazione degli assetti urbani del passato e quello della redazione di carte del rischio fondamentali per la programmazione degli interventi di trasformazione urbana. Un ultimo punto da sviluppare è quello della formazione e della ricerca: oltre a ovvie considerazioni sull’opportunità di offrire un campo applicativo ai numerosi studenti della Scuola di Specializzazione in Archeologia e del corso di Laurea in Operatore dei Beni Culturali, si potrebbe pensare a cantieri aperti alla cittadinanza (troppo spesso sbandierati in molti progetti di archeologia urbana, ma mai realizzati in Italia al contrario di altri paesi europei, come ad esempio Inghilterra e Spagna) nei quali si possa condividere con una larga fetta della popolazione della città obiettivi, modalità, risultati parziali delle indagini. La ripavimentazione di alcune aree di Matera come ha mostrato il caso di piazza San Giovanni Battista deve essere intesa, dunque, come un’occasione unica per un giusto superamento del conflitto tra necessità di trasformazione e modernizzazione della città ed esigenze di conoscenza e conservazione delle SIRIS 9,2008 Studi e ricerche della Scuola di Specializzazione in Beni Archeologici di Matera - ISBN 978-88-7228-566-4- © · Edipuglia s.r.l. - www.edipuglia.it 104 Rosanna Colucci - Isabella Marchetta - Massimo Osanna - Francesca Sogliani preesistenze urbane. Conflitto che può essere superato solo attraverso la redazione di un progetto di archeologia urbana che tenda a ridurre la separazione tra passato e presente-futuro. Un progetto di archeologia deve necessariamente essere incentrato sulla valorizzazione del patrimonio archeologico con l’obiettivo di condividere con l’intera comunità cittadina i risultati della ricerca. Vorrei terminare queste riflessioni ribadendo che conoscere e rendere fruibile la storia di un territorio e ancor di più di un centro urbano significa anche avere la consapevolezza delle modalità per gestirlo, tutelarlo e perché no trasformarlo adeguandolo alle esigenze di chi oggi ci vive e ci opera. L’insediamento antico di Matera 1 costituisce un importante caso di studio per la comprensione diacronica delle dinamiche insediative e culturali del- l’area centro-orientale dell’attuale Basilicata e per lo studio dei rapporti che si instaurarono tra le locali popolazioni con le limitrofe realtà coloniali costiere. Il presente contributo vuole suggerire spunti di riflessione e si inserisce in un progetto di più ampio respiro che prevede anche la comprensione del territorio limitrofo alla città. Archeologia della città e archeologia del territorio diventano perciò complementari, avendo la nascita e l’evoluzione del centro urbano la sua stessa ragion d’essere all’esterno dei suoi confini: la città di Matera rappresenta, infatti, un eccezionale laboratorio di ricerca che, attraverso uno studio sistematico, contribuirà a riunire la letteratura di archivio (fonti storico-documentarie) e quella archeologica e topografica, in parte ancora inedita, per cogliere lo sviluppo del centro urbano nelle sue fasi di occupazione e in relazione al territorio, così marcatamente “segnato” dall’orografia 2. In considerazione di quanto esposto finora, si ribadisce la necessità di fornire, pur consapevoli della provvisorietà dei dati che verranno presentati, un quadro delle evidenze archeologiche puntando, in un’ottica futura, alla conoscenza approfondita e alla valorizzazione di un paesaggio pluristratificato che presenta una complessa successione di frequentazioni dall’età antica ai giorni nostri. L’intervento nell’area urbana di Matera rappresenta una stimolante opportunità per tentare di redigere un vero e proprio progetto di archeologia, che abbia come obiettivo primario il reinserimento dell’antico nel tessuto culturale, sociale e territoriale attuale. Il punto di partenza su cui si prevede di impostare il progetto parte dalla considerazione che nel mondo antico, ancor più che oggi, la configurazione di un territorio o di un insediamento siano determinati da molteplici fattori che comprendono la sfera ideologica, e quella rituale-religiosa, politica, sociale ed economica. Diventa prioritaria pertanto, nell’immediato, la volontà di comprendere e conoscere la realtà storica I dati che qui si presentano sono il frutto di una giornata di studi organizzata il 12 maggio 2007 in occasione della Settimana della Cultura, promossa dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali, e resa possibile grazie all’entusiastica cooperazione della Scuola di Specializzazione in Archeologia di Matera, della Soprintendenza per i Beni Archeologici della Basilicata e del Museo Archeologico Nazionale “Domenico Ridola”, luogo-contenitore della stessa. L’occasione è stata fornita dalla presentazione dei primi risultati relativi all’intervento di archeologia urbana nella piazza San Giovanni Battista per la riqualificazione dell’area e contestualmente dalla presentazione del Progetto Carta Archeologica di Matera. 2 Tali informazioni, organizzate secondo scansioni cronologi- che, confluiranno in un database dove le schede di sito, funzionali alla ricostruzione dei nuclei insediativi, saranno integrate dalla classificazione e catalogazione dei materiali dei singoli contesti. Il presente lavoro si inserisce in un progetto di ricerca dal titolo Dinamiche insediative in area bradanica. L’insediamento antico di Matera tra la prima età del ferro e la romanizzazione, tema della mia tesi di dottorato in corso di svolgimento, presso l’École Pratique des Hautes Études di Parigi, Section des Sciences Historiques et Philologiques, sotto la direzione scientifica del prof. S. Verger. Desidero in questa sede ringraziare il prof. M. Osanna che ha fortemente sostenuto l’idea progettuale proponendomi di intraprendere la ricerca. (M.O.) Matera. La città prima della città «Arrivai a Matera verso le undici del mattino. Avevo letto nella guida che è una città pittoresca, che merita di essere visitata, che c’è un museo di arte antica e delle curiose abitazioni trogloditiche. Allontanatomi un poco dalla stazione, arrivai a una strada, che da un solo lato era fiancheggiata da vecchie case, e dall’altro costeggiava un precipizio. In quel precipizio è Matera. La forma di quel burrone era strana, come quella di due mezzi imbuti affiancati, separati da un piccolo sperone e riuniti in basso in un apice comune, dove si vedeva, di lassù, una chiesa bianca, Santa Maria de Idris, che pareva ficcata nella terra. Questi coni rovesciati, questi imbuti, si chiamano Sassi. Hanno la forma con cui, a scuola, immaginavamo l’inferno di Dante, in quello stretto spazio tra le facciate e il declivio passano le strade, e sono insieme pavimenti per chi esce dalle abitazioni di sopra e tetti per quelle di sotto. Alzando gli occhi vidi finalmente apparire, come un muro obliquo, tutta Matera. È davvero una città bellissima, pittoresca e impressionante». (Carlo Levi, Cristo si è fermato ad Eboli.) 1 SIRIS 9,2008 Studi e ricerche della Scuola di Specializzazione in Beni Archeologici di Matera - ISBN 978-88-7228-566-4- © · Edipuglia s.r.l. - www.edipuglia.it Fig. 4. - Matera, distribuzione dei rinvenimenti archeologici nell’area urbana (elaborazione M. Danese). e delle sue dinamiche culturali attraverso la realizzazione di una carta archeologica, strumento utile per cogliere nella diacronia le fasi degli insediamenti susseguitisi nel corso dei secoli (fig. 4), e al tempo stesso fondamentale e imprescindibile per una oculata e corretta pianificazione urbanistica e territoriale. Si potrebbe parlare finalmente di archeologia programmata e preventiva tesa a moderare le indebite attenzioni che l’area riceve da più parti e a restituire agli organi pubblici e istituzionali competenti un’area “archeologicamente compresa” e pronta ad essere reinserita nel tessuto urbano. «Le città si sviluppano in luoghi particolari per adempiere a funzioni necessarie, fra le quali vi è la possibilità di una comoda difesa, tale da essere giustamente considerata come la stessa ragion d’essere della città (...) Tra le considerazioni relative al sito che hanno giocato una certa importanza nel fissare i termini dello sviluppo urbano, spesso è stata preminente la possibilità di una comoda difesa» 3. Le parole di A.E. Smailes a tal riguardo, ben si conciliano con la morfologia rupestre: l’elemento geofisico che condiziona il comprensorio materano è costituito dalla stretta e profonda forra della Gravina (fig. 5), con le sue pareti a picco subverticali incise da solchi erosivi 4, nell’altipiano carsico della Murgia 5, roccia calcarenitica sedimentaria, di natura friabile, sede favorevole dei primi insediamenti in grotta sin dal- A.E. Smailes, Geografia urbana, Padova 1964, p. 34. V. Cotecchia, Studio geologico-tecnico e stato di conservazione, Matera 1974, p. 9. Le gravine, fenomeni orografici caratterizzanti la geografia regionale con orientamento est-ovest sono tre: quella di Matera, quella di Picciano e quella del fiume Bradano. Il torrente Gravina di Matera, muovendo dal territorio di Altamura, piega verso il fiume Bradano in direzione sud-est verso l’altura di Montescaglioso. Per il sistema delle gravine in gene- rale ved. P. Laureano, Giardini di pietra. I Sassi di Matera e la civiltà mediterranea, Torino 1993, pp. 55-58. 5 Incerta la derivazione di “Murgia”: il filologo materano Ascanio Persio (1554-1610), docente nel Cinquecento di lingua e letteratura greca presso l’Univerità di Bologna, ne attribuisce l’origine a murices, rocce aguzze, scogli, ma non è da escludere il nesso con murices, conchiglie, con riferimento alla roccia fossilifera o organogena. 3 4 SIRIS 9,2008 Studi e ricerche della Scuola di Specializzazione in Beni Archeologici di Matera - ISBN 978-88-7228-566-4- © · Edipuglia s.r.l. - www.edipuglia.it 106 Rosanna Colucci - Isabella Marchetta - Massimo Osanna - Francesca Sogliani Fig. 5. - Matera, la Gravina (foto N. Colucci). l’età preistorica. E non solo: alla natura accidentata del territorio si aggiunge, ad originare le prime forme di vita, la prossimità di alcune sorgenti fluviali, fra le quali quella copiosa dello Jurio, da cui Matera attinse acqua fino all’arrivo dell’acquedotto pugliese nel 1927. Passando a considerare il centro storico, le prime fasi del popolamento antico rimandano all’età neolitica 6, seppure con una scarsità nella documentazione ad essa riferibile: si tratta per lo più di materiale recuperato sulla collina del Castello Tramontano e nell’area della Piazza San Francesco, in origine formata da una spianata rocciosa e da una leggera altura sulla quale oggi insiste la chiesa di San Francesco e dove ha sede l’attuale Banca d’Italia 7, luoghi favorevoli all’insediamento umano per la posizione elevata. Se l’esiguità degli elementi non permette di ipotizzare l’esistenza di un vero e proprio insediamento, è pos- sibile almeno attestare una frequentazione dell’area data la vicinanza del comprensorio murgiano puntellato da numerosi insediamenti. Il quadro non muta sostanzialmente con l’avvento della prima età dei Metalli o Eneolitico: la mancanza di sicure seriazioni stratigrafiche di riferimento e di datazioni assolute limita notevolmente l’inquadramento cronologico e culturale sia nel panorama regionale, sia, più in generale, nell’Italia meridionale peninsulare 8. Nel centro urbano le uniche attestazioni, per quanto labili, riguardano la Civita-Cattedrale (fig. 6), il primo consistente nucleo della futura Matera e la località Cappuccini, l’attuale periferia sud della città, dove Domenico Ridola individuò agli inizi del Novecento due tombe a grotticella artificiale con pozzetto e piccola cella scavata, una delle quali documentata da ceramica con motivi decorativi tipici di 6 Per un inquadramento generale sull’età neolitica nella Basilicata e nel Materano in particolare, ved. G. Radi, Il Neolitico, in Storia della Basilicata 1999, pp. 31-33, con bibliografia precedente. 7 I rinvenimenti risalgono al 1951 in occasione dei lavori di demolizione dell’ex convento di San Francesco per la costruzione della Banca d’Italia: Bianco 1986, pp. 57-58. 8 M. Cipollini Sampò, L’Eneolitico e l’Età del Bronzo, in Storia della Basilicata 1999, pp. 67-71, con bibliografia precedente. SIRIS 9,2008 Studi e ricerche della Scuola di Specializzazione in Beni Archeologici di Matera - ISBN 978-88-7228-566-4- © · Edipuglia s.r.l. - www.edipuglia.it Un progetto diEmiliano archeologia Cruccas urbana a Matera 107 Fig. 6. - Matera, la Civita (foto N. Colucci). questa facies 9. Non è difficile ipotizzare, infatti, che l’abbandono dei villaggi per le fasi preistoriche della Murgia abbia comportato il naturale trasferimento degli abitanti sulla Civita, il nucleo più antico della città, essendo, lungo i lati settentrionale e orientale, impraticabile per un ripido pendio che la rendeva inaccessibile e solidamente protetta ad occidente da mura intercalate da altissime torri, giusta la descrizione che ne avrebbe fatto nel Cinquecento il cronista Eustachio Verricelli 10. Per l’età del Bronzo la documentazione archeologica offre una maggiore omogeneità grazie alla notevole presenza di resti di abitati sparsi in tutto il comprensorio, dove l’esteso altopiano di Timmari, nella media valle del fiume Bradano, a circa 12 km ad ovest di Matera, si configura come nodo centrale di una rete di scambi a largo raggio. La favorevole posizione elevata, connessa alla produttività del suolo e alla presenza di sorgenti, nonché la vicinanza alla più antica e agevole rete viaria che collegava le città coloniali della costa ionica con gli insediamenti indigeni dell’entroterra (Montescaglioso, Irsina, Gravina, Altamura e Matera) ne avrebbero consacrato l’apertura a significativi apporti commerciali e culturali dal mondo coloniale greco 11. Nell’area urbana non è possibile, allo stato attuale, definire con precisione il ruolo dell’insediamento, ma alcuni rinvenimenti dei primi decenni del Novecento lasciano ipotizzare una frequentazione abbastanza capillarizzata nell’area della Civita-Cattedrale 12 e in 9 G. Cremonesi, L’Eneolitico e l’Età del Bronzo in Basilicata (Atti della XX Riunione Scientifica dell’Istituto Italiano di Preistoria e Protostoria), Firenze 1978, pp. 63-86; Bianco 1986, pp. 59-60. 10 Nel suo manoscritto Cronica de la Città di Matera nel regno di Napoli (1595-1596), [carta 3 recto] […], p. 37 si legge: «la città è tutta admurata con alcune altissime torri, quali all’antico, quale a tempi che si combatteva con balestre hera espugnabile così come oggi sarebbe a guerra senza artelleria», ved. Moliterni et alii 1987. Curioso l’accostamento temporale quali all’antico e quale a tempi che si combatteva con balestre che implica un cambiamento nel modo di combattere, dalle frecce ed armi bianche, all’introduzione dell’artiglieria e si traduce in una rinnovata azione di adeguamento delle opere di difesa, non più torri quadrate, più vulnerabili, ma rotonde per la necessità di ridurre l’azione dell’offesa. 11 E. Lattanzi, L’insediamento indigeno sul pianoro di S. Salvatore - Timmari (Matera), in Attività archeologica 1980, pp. 239-241. 12 Nel 1904, durante i lavori per la costruzione del Seminario interdiocesano, adiacente alla Cattedrale, ideato e voluto da mons. Raffaele Rossi, arcivescovo di Matera, il Ridola (Ridola 1906, p. 8) individuò una serie stratigrafica di ca 10 m di spessore con frammenti ceramici dell’età del Bronzo; Bianco 1986, pp. 66-68. SIRIS 9,2008 Studi e ricerche della Scuola di Specializzazione in Beni Archeologici di Matera - ISBN 978-88-7228-566-4- © · Edipuglia s.r.l. - www.edipuglia.it 108 Rosanna Colucci - Isabella Marchetta - Massimo Osanna - Francesca Sogliani località Ospedale Vecchio 13, come documentano numerosi frammenti di ceramica ad impasto, con i caratteristici motivi a punzonature, o recanti la decorazione plastica con cordone orizzontale liscio o con impressioni digitali, della media età del Bronzo. Allo stesso orizzonte culturale sono riferibili i reperti provenienti dal complesso monumentale rupestre di San Nicola dei Greci, dove in corrispondenza dell’aula basilicale, sul finire degli anni Settanta, Giuseppina Canosa indagò una fossa pressoché quadrata, profonda 4 metri, al cui interno era rimescolata anche una abbondante quantità di ceramica indigena a decorazione geometrica ed acroma 14. Recenti dati, infine, che consentono ad oggi di integrare le informazioni e confermare l’esistenza di più nuclei insediativi, nell’agglomerato urbano dei Sassi, sono stati acquisiti grazie al recupero fortuito, in via Santa Maria di ceramica ad impasto 15. Se per gli abitati, l’assenza di scavi sistematici e la sfavorevole circostanza, in alcuni casi, della dispersione dei dati, ostacola la comprensione dei modelli insediativi, indizi più incoraggianti sono deducibili dalle testimonianze funerarie: nell’età del Bronzo finale è largamente documentato il rito dell’incinerazione che scandisce una netta cesura con la tradizione precedente. Se nell’immediato suburbio, alle pendici occidentali del Monte Timbro, Timmari – che costituisce lo spartiacque tra la gravina di Picciano e la valle del Bradano – rappresenta l’esempio più significativo di una estesa necropoli ad incinerazione 16, labili indizi di quella che poteva essere un’altra area di necropoli provengono dalla collina del Castello Tramontano dove Ridola rinvenne un’urna cineraria alla quale era associata una fibula in bronzo ad arco semplice, decorato da sottili incisioni 17. Il momento di passaggio dall’età del Bronzo alla prima età del Ferro è caratterizzato da una sostanziale continuità; numerosi sono gli insediamenti che continuano ad essere occupati, si pensi nuovamente a Timmari, secondo una scelta ubicativa che privilegia abitati di altura, a ridosso della fascia costiera o a controllo delle vallate fluviali, inseriti all’interno di un circuito che favorisce lo sviluppo di scambi commerciali e di un’economia artigianale 18. Tale momento è scandito nel centro urbano da linee di sviluppo e da una continuità di vita che insiste sugli stessi luoghi. Sull’altura della Civita e in località Ospedale Vecchio 19, infatti, sono stati rinvenuti materiali databili all’VIII sec. a.C. che potrebbero provare l’esistenza di nuclei abitati. Cospicua l’attestazione della ceramica a decorazione geometrica, inquadrabile tra il primo quarto dell’VIII e il VI secolo a.C. proveniente dal complesso monumentale rupestre di San Nicola dei Greci, che indizierebbe la compresenza, in un’area ristretta, di abitato e necropoli 20. A breve distanza dagli antichi rioni e risalendo “sul piano”, nell’area della Piazza San Francesco e dell’adiacente Banca d’Italia 21, significativi i frammenti ceramici a decorazione geometrica, con il motivo a losanga multipla o a file di doppi cerchi concentrici, marginati da coppie di linee parallele di medio spessore, di matrice enotria-japigia, riferibili al medesimo orizzonte cronologico del già citato sito rupestre di San Nicola. L’unica altra testimonianza relativa a sepolture è rappresentata dal rinvenimento nella Piazzetta Caveosa di una punta di lancia in bronzo, sicuro elemento di un corredo tombale 22. Con l’età arcaica (fig. 7) si ha un forte incremento nelle attestazioni; permangono le testimonianze di vita nelle aree antropizzate già nella prima età del Ferro e si registra un sensibile incremento degli spazi destinati alle necropoli. La povertà dei rinvenimenti Bracco 1935, pp. 119-120. L’occasione del rinvenimento fu il lavoro di ampliamento della strada, presso il Convento di S. Lucia Vecchia, destinata a fungere da cerniera di collegamento tra i due rioni Sassi; Bianco 1986, pp. 68-70. 14 Canosa 1986a, pp. 171-182. 15 Un sincero ringraziamento per la comunicazione fornitami va alla direttrice del Museo Archeologico Nazionale D. Ridola, dott.ssa Annamaria Patrone e all’assistente di scavo Gianfranco Lionetti che, nel dicembre 2006, durante i lavori di rifacimento di una gradinata in via Santa Maria, ha recuperato i frammenti ceramici della medià età del Bronzo. 16 Q. Quagliati, D. Ridola, Necropoli arcaica ad incinerazione presso Timmari nel Materano, «MonAnt» XVI 1906, pp. 5-166. Dopo il silenzio durato un secolo, le successive campagne di scavo, riprese negli anni 2001-2002, hanno permesso di inter- cettare alcuni saggi di Quagliati e Ridola del 1901 e di meglio definire l’estensione della necropoli: M.L. Nava, L’attività archeologica in Basilicata, Atti Taranto XLI 2001, pp. 725-729; Atti Taranto XLII 2002, pp. 654-660. 17 Bianco 1986, pp. 70-72. 18 F.G. Lo Porto, Timmari. L’abitato, le necropoli, la stipo votiva, Roma 1991, pp. 1-3. 19 Canosa 1986b, pp. 93-94. 20 Canosa 1986a, pp. 178-182. 21 Nella prima, la ceramica si rinvenne ad un livello sottostante la necropoli medievale, laddove vennero individuati allineamenti di buche per palo e alcune cavità scavate nel banco tufaceo, nella seconda, contestualmente a frammenti di intonaco di rivestimento di capanne, ved. Canosa 1986b, pp. 84-87; Bianco 1999, p. 148. 22 Canosa 1986b, p. 95, fig. 22. 13 SIRIS 9,2008 Studi e ricerche della Scuola di Specializzazione in Beni Archeologici di Matera - ISBN 978-88-7228-566-4- © · Edipuglia s.r.l. - www.edipuglia.it Un progetto diEmiliano archeologia Cruccas urbana a Matera 109 prevede l’uso dell’inumazione in posizione rannicchiata, secondo un costume funerario che accomuna tutte le genti japigie, distinguendole da quelle delle vallate dei fiumi Agri e Sinni che usano il seppellimento in posizione supina 23. L’arco cronologico, compreso tra la fine del VII ed il primo venticinquennio del V secolo a.C. è relativo ai corredi delle sepolture di contrada San Francesco 24, periferia sud della città, di località Ospedale Vecchio 25, di Piazzetta Caveosa 26 e di Santa Maria de Idris 27. La composizione dei corredi prevede generalmente l’associazione costante e ricorrente di una Fig. 7. - Matera, distribuzione dei rinvenimenti archeologici di età arcaica nell’area urbana. coppia di vasi incentrata su un vaso-contenitore, di medie o grandi dimensioni, gerelativi ad abitati, non consente di percepirne la neralmente l’olla ad ampia imboccatura, e di un vaso consistenza, ma, seppure le informazioni siano deper bere, il kantharos a due anse sormontanti, tipico ficitarie in tal senso, è altrettanto possibile individella produzione locale, che si riallaccia ad una traduare e ricostruire alcune caratteristiche del dizione precedente alla colonizzazione greca, quella popolamento antico, avendo a disposizione il solo della penisola balcanica e in particolare dell’area aldato relativo alle tombe, che si dispongono a picbanese ed epirota 28. coli nuclei sparsi sullo sperone della Civita e lungo Contestualmente alla ceramica di produzione ini valloni naturali del Sasso Caveoso a sud, e del digena si registra l’affluenza di ceramica di importaSasso Barisano a nord. L’organizzazione spaziale, zione coloniale, con le coppe di tipo cosiddetto articolata in gruppi di due o tre, che può raggiunionico, dagli esemplari più antichi di tipo B1 ai più gere il numero di cinque sepolture, può rappresencomuni di tipo B2, e comunque, in generale, di forme tare un elemento prezioso e chiarificatore della vascolari che rimandano al consumo del vino come struttura parentelare, marcata all’interno di uno forma di convivialità rituale, a sancire un processo di spazio fisico destinato ai defunti. acculturazione tra le comunità indigene, qui stanziate L’analisi dei contesti funerari, tuttora in corso di già da lungo tempo, e i nuovi arrivati di stirpe greca, studio, ha permesso di delineare un quadro abbaormai presenti sulla costa ionica. stanza omogeneo. Le sepolture rientrano nella tipoNel primo quarto del V secolo si assiste ad una nologia della fossa terragna rettangolare, con copertura tevole contrazione delle testimonianze archeologiche realizzata in blocchi di tufo disposti orizzontalmenche si traduce, come è stato definito a più riprese, in te, e a doppia fossa con copertura a lastroni che siun complesso momento di passaggio e di crisi, visgilla la fossa più piccola. Il rituale, ad esse associato, Bianco 1999, pp. 170-175. Lo Porto 1973, pp. 219-220, tav. 64. 25 Bracco 1935, pp. 113-115; Lo Porto 1973, pp. 206-207, tav. 55; Canosa 1986b, p. 98. 26 E. Bracco, Matera. Rinvenimento di un sepolcro di età greca nel Sasso Caveoso, «NSc»» XIV 1936, pp. 84-88. 27 Lo Porto 1973, pp. 207-209, tav. 55-56; Canosa 1986b, pp. 99-100. 23 24 28 Sullo sviluppo e sulla funzione di queste forme ved. F. Colivicchi, L’altro vino. Vino, cultura e identità nella Puglia e Basilicata panelleniche, «Siris» V 2004, pp. 34-37; Kantharoi attici per il vino degli Apuli, in Il greco, il barbaro e la ceramica attica. Immaginario del diverso, processi di scambio e autorappresentazione degli indigeni (Atti del Convegno Internazionale di Studi, Catania-Caltanissetta-Gela-Camarina-Vittoria-Siracusa, 14-19 maggio 2001), Roma 2006, pp. 117-130. SIRIS 9,2008 Studi e ricerche della Scuola di Specializzazione in Beni Archeologici di Matera - ISBN 978-88-7228-566-4- © · Edipuglia s.r.l. - www.edipuglia.it 110 Rosanna Colucci - Isabella Marchetta - Massimo Osanna - Francesca Sogliani cativa presenza di ceramica di tipo greco, in particolare delle produzioni a figure rosse e a vernice nera con un ampio spettro di forme che comprendono vasi per mescolare (crateri) e contenere liquidi (pelikai e hydriai), vasi per versare (oinochoai), per bere (kylikes, skyphoi e kantharoi) e contenitori di olii e unguenti (lekythoi ed epichyseis). Particolarmente ricorrente è il cratere sia di medie dimensioni, il cratere a campana, sia monumentale, il cratere a volute e a colonnette. La sua presenza, in associazione con suppellettile legata al consumo del vino, enfatizza la pratica del simposio; l’adesione alla cultura greca nell’acquisizione del reperFig. 8. - Matera, distribuzione dei rinvenimenti archeologici di IV sec. a.C. nell’area urbana. torio vascolare sottolinea il preponderante influsso di Taranto, come documenta l’assoluta preponderanza dei vasi suto in maniera diversa nei vari comparti regionali 30 29 . figurati di produzione apula della Lucania antica . Sul finire del IV secolo il processo di romanizzaIl passaggio al IV secolo (fig. 8) segna qui, come zione e la definitiva conquista di tutto il territorio main tutto il panorama regionale, una sostanziale ridefignogreco da parte di Roma determineranno grandi nizione degli assetti territoriali che non conoscono trasformazioni nell’organizzazione territoriale del paancora la forma urbana della successiva conquista ronorama regionale 31. Lungo la costa meridionale della mana ma che si caratterizzano per una capillare difBasilicata le due colonie greche, Metaponto ed Hefusione nel territorio. raklea sopravvissero, seppure sotto il peso di un peAnche per questo periodo, come per l’età arcaica, sante ridimensionamento e la situazione di declino e la documentazione è rappresentata nella maggior di collasso graduale investì anche i luoghi di culto, parte dei casi da aree di necropoli, la cui distribuziocome il santuario di Timmari che venne abbandonato ne permette di ipotizzare un insediamento organizzagià nella prima metà del III secolo 32 e verosimilmente to in piccoli nuclei abitativi che ricade in due aree, tutto il comprensorio materano. È altamente probauna gravitante intorno alla Civita, l’altra nel Sasso bile infatti che, nel corso del III secolo, gli esigui rinCaveoso. Il colle della Civita appare topograficavenimenti di ceramica a pasta grigia, provenienti da mente un’area omogenea nella quale la distribuzione San Nicola dei Greci, dalla Cattedrale, da San Pietro dei rinvenimenti lascerebbe ipotizzare l’esistenza di Caveoso e dall’area della Banca d’Italia, più che atun unico nucleo, nel Caveoso, invece, i rinvenimentestare la permanenza di un insediamento strutturato, ti appaiono più numerosi ma meno concentrati, proindizierebbero la presenza di abitati rurali. babilmente connessi a più insediamenti. La composiRecuperare la propria identità storico culturale, zione dei corredi si caratterizza ora per una signifitramandandone quindi la storia, è l’obiettivo finale di A. Bottini, Gli Indigeni nel V secolo, in Storia della Basilicata 1999, pp. 436-439. Tale fenomeno, se da un lato ostacola la comprensione di una lettura globale del V secolo, essendo inficiato da tale lacuna nell’evidenza materiale, dall’altro stimola la ricerca ad una riconsiderazione dei dati, partendo proprio da un approfondimento del materiale datante. 29 Lo Porto 1973, pp. 209-211, tavv. 57-60; A. Patrone, Età magno-greca, in Matera. Piazza San Francesco d’Assisi, p. 104, fig. 32. 31 Small 1999, pp. 559-569; da ultimo Gualtieri 2003. 32 H. Dilthey 1980, Sorgenti, acque, luoghi sacri in Basilicata, in Attività Archeologica, pp. 553-555. 30 SIRIS 9,2008 Studi e ricerche della Scuola di Specializzazione in Beni Archeologici di Matera - ISBN 978-88-7228-566-4- © · Edipuglia s.r.l. - www.edipuglia.it Un progetto diEmiliano archeologia Cruccas urbana a Matera questo ambizioso e stimolante progetto nel quale l’archeologo ha il compito, non solo di capire il passato, ma di gestire la memoria di quanti ci hanno preceduto e restituirla alla collettività in quanto bene comune. 111 L’idea del Progetto CAM, elaborata nell’ambito di una Convenzione stipulata tra il Museo Archeologico “D. Ridola” di Matera, la Scuola di Specializzazione in Archeologia di Matera - Università degli Studi della Basilicata e il Comune di Matera nel 2007, dopo la presentazione avvenuta in occasione di un incontro-dibattito tenutosi a Matera il 12 maggio 2007, trova ora una sua prima definizione puntuale, potremmo dire il suo “manifesto”, in queste pagine, che intendono sottolinearne l’importanza e la assoluta necessità nell’immediato. La prospettiva metodologica sottesa all’intero percorso progettuale parte dalla necessità di dotare anche la città di Matera di uno strumento strategico di notevole impatto sia culturale che urbanistico quale è appunto la Carta Archeologica 33. Lo strumento della Carta Archeologica, che può e deve essere anche carta delle potenzialità archeologiche e contemporaneamente carta del rischio archeologico, si è rivelato in altre realtà urbane italiane 34 un mezzo utilissimo ed imprescindibile per la pianificazione urbanistica moderna. Le finalità scientifiche di tale strumento sono riconoscibili nella possibilità di raggiungere una conoscenza ottimale del territorio, sia urbano che extraurbano, che permetta di comprendere l’articolazione delle scelte insediative avvenute nel passato, funzionali alle esigenze e alle potenzialità delle singole aree. Altresì l’aspetto più propriamente tecnico della Carta Archeologica consente di impostare una corretta progettazione territoriale, mirata alla salvaguardia dei beni archeologici presenti sul territorio stesso, all’elaborazione di programmi di valorizzazione dei siti e dei beni archeologici, ma soprattutto alla efficace gestione del territorio attraverso lo sviluppo di indirizzi di programmazione territoriale in termini di tutela del patrimonio culturale comune, di economia di interventi infrastrutturali e di valorizzazione dei paesaggi storici. Nello specifico, la Carta archeologica circoscritta alle realtà urbane costituisce la sintesi degli studi che hanno analizzato l’evoluzione urbana alla luce dei dati archeologici e della conservazione della stratificazione urbana, consentendo pertanto la valutazione preventiva dell’impatto potenziale degli interventi edilizi moderni sul patrimonio archeologico e architettonico urbano antico e la conseguente programmazione delle opere strutturali ed infrastrutturali. Tuttavia l’elaborazione e l’avvio in tal senso di progetti di carte archeologiche ha interessato una parte ancora non particolarmente estesa del territorio 33 Il Progetto CAM è stato fortemente voluto ed è coordinato da Massimo Osanna (Scuola di Specializzazione in Archeologia di Matera), Francesca Sogliani (IBAM-CNR, Scuola di Specializzazione in Archeologia di Matera) e Anna Maria Patrone (Museo Archeologico “D. Ridola” - Matera), ed è nato in occasione del primo intervento di archeologia urbana estensiva realizzato in occasione dei lavori di riqualificazione urbana (Fondi PISU) in Via S. Biagio-Piazzetta S. Rocco, di cui si dirà in seguito, che ha portato alla scoperta di una vasta area cimiteriale di età medievale nell’area interessata dalla cava di estrazione del materiale da costruzione per la vicina chiesa di S. Maria La Nova (attuale S. Giovanni Battista). 34 Dalle prime esperienze degli anni ’80 del secolo scorso in Lombardia si è ora giunti alle attuali e più complesse elabora- zioni in Toscana, Lazio, Veneto ed Emilia Romagna. Per una recente sintesi sull’argomento si rimanda a Francovich 2001 e A. Ricci (a cura di), Archeologia e urbanistica (XII Ciclo di Lezioni sulla Ricerca Applicata in Archeologia, Certosa di Pontignano-Siena, 26 gennaio-1febbraio 2001), Firenze 2002. Si ricorda in particolare la sperimentazione in tal senso operata dal Comune di Modena, che ha prodotto il progetto C.A.R.T. (Carta Archeologica del Rischio Territoriale, http://www.ibc.regione.emilia-romagna.it/approf/cart/introduzione.htm) ed inoltre, da ultima, la realizzazione della Carta delle Potenzialità Archeologiche di Faenza, C. Guarnieri (a cura di), Progettare il passato. Faenza tra pianificazione urbana e Carta Archeologica («Quaderni di Archeologia dell’Emilia Romagna» III), Firenze 2000. (R.C.) Matera in età post-antica «Il patrimonio archeologico, al pari di quello ambientale, è continuamente eroso e minacciato dai fenomeni legati alla crescita indiscriminata dei centri urbani, al generalizzarsi dell’uso di mezzi meccanici, sia nei centri abitati che nelle campagne, e ai grandi processi di trasformazione delle infrastrutture». R. Francovich «Un grande museo, unico, diffuso, irriproducibile è il territorio antropizzato, sono i percorsi storici, gli insediamenti sepolti, sono le nostre campagne misurate e divise, le città stratificate. Garantirne la conservazione dev’essere inteso come impegno prioritario di una politica culturale». M.M. Calvani SIRIS 9,2008 Studi e ricerche della Scuola di Specializzazione in Beni Archeologici di Matera - ISBN 978-88-7228-566-4- © · Edipuglia s.r.l. - www.edipuglia.it 112 Rosanna Colucci - Isabella Marchetta - Massimo Osanna - Francesca Sogliani italiano, limite che in alcune Regioni, tra queste la Basilicata, è ancora totalmente da superare. La necessità quindi di pensare ad uno strumento efficace per l’attività di ricerca, il censimento territoriale e lo sviluppo urbanistico corretto, in rispetto delle esigenze di tutela del patrimonio culturale è stata alla base del Progetto CAM - Carta Archeologica di Matera e del suo territorio, che, partendo dalla identificazione tipologica dei beni archeologici presenti, sia mobili che immobili, nella diacronia e dal trattamento delle informazioni attraverso la tecnologia GIS, funzionale alla creazione di relazioni di tipo gerarchico dei diversi oggetti nello spazio e nel tempo, intende proseguire verso la formulazione di livelli più propriamente tecnici, quali l’analisi dei fattori di rischio, la redazione della carta dei vincoli, la collaborazione alle attività di pianificazione urbanistica e alle azioni di tutela e salvaguardia, comprese il restauro e la manutenzione. Peraltro tale iniziativa è concepita in rispetto agli standards europei già formulati nel 1992 all’interno della European Convention on the Protection of the Archaeological Heritage di Malta-La Valletta 35, che prevedono l’applicazione di normative tese a conciliare gli aspetti propri della conservazione del patrimonio archeologico e monumentale e quelli dello sviluppo economico: «Definition of the archaeological heritage. Article 1. The aim of this (revised) Convention is to protect the archaeological heritage as a source of the European collective memory and as an instrument for historical and scientific study. To this end shall be considered to be elements of the archaeological heritage all remains and objects and any other traces of mankind from past epochs: i. the preservation and study of which help to retrace the history of mankind and its relation with the natural environment; ii. for which excavations or discoveries and other methods of research into mankind and the related environment are the main sources of information; and which are located in any area within the jurisdiction of the Parties. The archaeological heritage shall include structures, constructions, groups of buildings, developed sites, moveable objects, monuments of other kinds as well as their context, whether situated on land or under water». Sempre in termini di adeguamento a normative 35 36 http://conventions.coe.int/Treaty/en/Treaties/Html/143.htm. http://cidoc.icom.museum/guide0.htm. europee si intende anche prestare attenzione alla strutturazione dei dati elaborata e proposta dal Comité international pour la documentation, conseil international des Musées, group de travail sur les sites archéologiques (CIDOC-ICOM, Maison de l’Unesco) 36 e riveduta dal gruppo di lavoro che ha elaborato la carta archeologica della Toscana 37. Le soluzioni per la redazione della carta archeologica presentate in questi documenti sono in via di valutazione nel corso del loro utilizzo per il caso preso in esame, essendo il sito urbano di Matera assieme al territorio circostante, due comprensori del tutto particolari soprattutto per quanto riguarda l’aspetto paleoambientale e geomorfologico, fortemente condizionanti per le caratteristiche e le vicende insediative dall’età antica fino ad oggi. La definitiva formulazione dell’intera architettura di catalogazione e definizione di lemmi, campi ed informazioni costituirà lo sviluppo del percorso di studio appena iniziato. Arrivando ora a considerare nello specifico gli aspetti più propriamente scientifici dell’evoluzione insediativa per quanto riguarda il periodo post-antico, occorre ancora una volta sottolineare come le trasformazioni verificatesi negli insediamenti urbani sul territorio italiano rappresentino uno degli aspetti più significativi inerenti il passaggio dall’antichità al medioevo. È proprio la complessa realtà insediativa antica che rende il territorio della penisola italiana un punto di osservazione privilegiato per seguire tempi e modalità del cambiamento dal modello culturale, topografico e insediativo degli antichi centri urbani all’urbanesimo tardoantico e poi tardomedievale. Senza dubbio l’impiego di nuove metodologie di indagine e lo sviluppo di nuove visuali prospettiche hanno offerto maggior impulso al settore dell’archeologia urbana, che ha riletto i molteplici aspetti di un problema storiografico già datato, quello appunto della continuità o rottura tra antichità e medioevo. Grazie al notevole incremento dei dati desunti dall’analisi archeologica sugli insediamenti e sui prodotti della “cultura materiale”, giunta in molte parti d’Italia a notevoli risultati, il fenomeno dell’urbanesimo post-antico ha ormai acquisito un posto ben definito nel dibattito generale, in qualche modo rendendosi in- 37 Francovich 2001. SIRIS 9,2008 Studi e ricerche della Scuola di Specializzazione in Beni Archeologici di Matera - ISBN 978-88-7228-566-4- © · Edipuglia s.r.l. - www.edipuglia.it Un progetto diEmiliano archeologia Cruccas urbana a Matera 113 dipendente, dal punto di vista strutturale, dal panorama costituito alla rete delle città che caratterizzava gli equilibri istituzionali ed economici dei territori dell’Impero romano. Diverse aree regionali a questo proposito sono state studiate per quanto riguarda i livelli di mantenimento dell’urbanesimo antico o i fenomeni di deurbanizzazione di municipia o civitates tardoromani e i dati offrono una visione fortemente disomogenea e molto articolata. Ci piace utilizzare, per dare un’identità all’urbanesimo tardoantico e altomedievale, quella che è stata proposta da C. Wickham come definizione “minima” del termine urbanesimo, cioè “una relativa concentrazione demografica, caratterizzata dalla presenza di attività economiche strutturalmente diverse da quelle della campagna oltre che da un mercato locale e possibilmente da un certo ruolo amministrativo (civile e/o ecclesiastico)” cui forse si potrebbe aggiungere l’appartenenza ad un contesto territoriale ancora attivo o ancora la vicinanza ad un sistema di viabilità ancora efficiente. Su queste premesse si vuole collocare lo studio sulle potenzialità informative del centro urbano di Matera, funzionale all’identificazione delle modalità insediative del sito tra tarda antichità e tardo medioevo 38. Le visuali prospettiche dalle quali è stata osservata fino ad ora l’evoluzione del profilo urbano sono sostanzialmente riassumibili nell’assimilazione della realtà insediativa al più vasto ambito della civiltà rupestre, ampiamente analizzata sia nelle sue implicazioni più puramente culturali-insediative che nei suoi aspetti artistico-architettonici. Pur facendo tesoro di quanto fin qui elaborato, si propongono alcune note prelimininari d’insieme, immaginate all’interno di un percorso di ricerca che accorpi attraverso una ricerca sistematica i dati fino ad ora editi, sia di tipo storicodocumentario, che archeologico e topografico, per capire le modalità dello sviluppo urbano nelle sue diverse fasi di frequentazione. Obiettivo complementare dell’indagine è inoltre la comprensione del rapporto tra nucleo urbano e territorio, qui, più che altrove, condizionato dal contesto geografico assolutamente caratterizzante, ma anche della compagine sociale ed economica della città post antica e dei rapporti commerciali analizzati attraverso le testimonianze della cultura materiale. Matera rappresenta il paradigma dell’ “architettura in negativo”, caratterizzante l’insediamento rupestre, in cui si crea al contempo una del tutto particolare stratigrafia di vuoti edificati ipogei cui si sovrappone il costruito sub divo; il banco roccioso è allo stesso tempo la base per le strutture costruite e il bacino di approvvigionamento della materia prima per le costruzioni. Morfologicamente, l’area occupata dal nucleo insediativo antico è costituita dallo sperone elevato (400 m slm) della Civita, che sovrasta due valloni naturali, a nord il Sasso Barisano e a sud il Sasso Caveoso (fig. 9); i confini fisiografici della Civita sono costituiti ad est dallo strapiombo della parete della Gravina a nord e a sud da due solchi formatisi dall’ erosione fluviale, noti come “grabiglioni” 39. Da quanto detto risulta evidente che la conformazione naturale dell’area su cui si insedia il centro abitato condiziona fortemente i parametri interpretativi delle trasformazioni topografiche dell’insediamento. Concetti come “sito urbano pluristratificato”, ma ancor più “reticolo ortogonale”, “spazi pubblici e aree residenziali”, utilizzati come chiavi di lettura delle trasformazioni urbane per la maggior parte delle città nelle quali si è rivelato consistente il retaggio dell’impianto urbano di età classica, nel caso in questione vanno rimodulati, tenendo conto dei limiti costituiti dalla scarsissima documentazione scritta relativa all’età tardoantica e altomedievale e dai rari interventi di carattere archeologico. In occasione del Progetto CAM è stata organizzata in maniera sistematica la raccolta dei dati archeologici che testimoniano le fasi di vita della città per il periodo che va dall’età tardoantica al tardo medioevo, per arrivare ad una definizione delle potenzialità archeologiche delle stratigrafie urbane e ad un tentativo di ricostruzione della topografia urbana. Allo stato attuale della ricerca, sono stati cartografati i “luoghi” che hanno restituito informazioni archeologiche, sia Fondamentale, sotto questi aspetti, è il riferimento al volume pubblicato nella Collana “Le città nella storia d’Italia” su Matera, curato da C.D. Fonseca, R. Demetrio e G. Guadagno (Fonseca et alii 1999) così come il contributo di C.D. Fonseca sul popolamento rupestre nell’area materana, per cui ved. Fon- seca 2006, pp. 164-191, con bibl. precedente. Ved. G. Bertelli, s.v. Matera, EAM VIII (1997), pp. 260-264. 39 Per il quadro ambientale e le peculiari caratteristiche geomorfologiche, ved. F. Boenzi et alii, Caratteri geomorfologici dell’area del Foglio “Matera”, «Boll. Soc. Geol. It» XCV 1976, pp. 527-566. 38 SIRIS 9,2008 Studi e ricerche della Scuola di Specializzazione in Beni Archeologici di Matera - ISBN 978-88-7228-566-4- © · Edipuglia s.r.l. - www.edipuglia.it 114 Rosanna Colucci - Isabella Marchetta - Massimo Osanna - Francesca Sogliani Il Ridola, nel resoconto degli scavi effettuati all’inizio del XX secolo per la costruzione del Seminario attiguo alla Cattedrale 42, ricorda, sotto il livello con tombe di età tardoantica, il rinvenimento di “frammenti di statue, capitelli, di colonne e di ornati. Più giù ancora la città più antica incavata nel tufo, ed in quest’ultimo strato erano frequenti i cocci di ceramica greca e romana”: tra questi ultimi sono annoverati numerosi blocchetti di porfido rosso e verde che sembrano attestare l’esistenza di un edificio dotato di una pavimentazione di Fig. 9. - Matera. Ortofoto sovrapposta al rilievo tridimensionale del terreno. Vista da est pregio di cui tuttavia non si co(elaborazione Maria Danese). noscono le caratteristiche planiderivanti da indagini a carattere sistematico, che da metriche nonché strutturali. Il rinvenimento di alcuni rinvenimenti occasionali o ancora da sole citazioni frammenti di terra sigillata chiara, nonché di una sta40 tuetta marmorea di Dioniso imberbe, datata al III-IV blibliografiche . secolo 43 confermerebbe la presenza insediativa nelIniziando dalla Civita, l’area intorno alla Cattel’area in età tardoromana, anche se è purtroppo diffidrale (fig. 6) ha restituito dati che, pur necessitando cile definirne i dettagli sia quantitativamente che di una lettura maggiormente approfondita, registrano qualitativamente. Sicuramente va tenuta in considel’attestazione di manufatti databili all’età romana nel razione per questa fase l’esistenza del sepolcreto tarperiodo repubblicano fino all’età imperiale. La totadoantico segnalato sempre dal Ridola nell’area della le assenza di informazioni derivanti da fonti docuCattedrale, cui egli aggiunge anche la menzione asmentarie (epigrafiche) o letterarie relative all’esi41 solutamente troppo generica di una chiesetta, ma stenza di Matera come urbs ridimensiona tuttavia dalla stessa area provengono anche dati numismatici le aspettative offerte dai dati materiali, che appaiono di età imperiale e un pentanummo di Giustiniano troppo esigui per costituire supporto ad attribuzioni primo (553-565). di carattere topografico nella ricostruzione della L’assetto dell’insediamento in età tardoantica riforma urbis. 40 Al collega Dimitris Roubis (IBAM-CNR) si devono le elaborazioni GIS dei dati raccolti e l’impostazione e realizzazione del database relazionale; ci si è avvalsi per l’elaborazione della cartografia digitalizzata della disponibilità e della perizia di Maria Danese, durante le fasi iniziali del Progetto, assegnista di ricerca dell’IBAM-CNR. Due Tesi di Specializzazione in Archeologia e Storia dell’Arte tardoantica e medievale discusse nell’A.A. 2006-2007 presso la Scuola di Specializzazione in Archeologia di Matera (relatore chi scrive), hanno avuto come oggetto Matera in età post-antica, la prima elaborata da Maurizio Bilò (Progetto CAM - carta archeologica di Matera. Repertorio degli strumenti bibliografici e cartografici per la ricostruzione della topografia urbana in eta’ post-antica) è stata dedicata all’analisi della bibliografia edita e del patrimonio documentario, mentre una seconda, discussa da Isabella Marchetta (Progetto CAM - carta archeologica di Matera. La fisionomia della città post-antica e del suo territorio attraverso lo studio dei manufatti archeologici dal Museo ”D. Ridola” di Matera), ha compreso il lavoro di censimento delle evidenze materiali post-antiche rinvenute a Matera e nel suo territorio. 41 Plinio, nella sua Descriptio Italiane totius in regiones XI (Nat. Hist. III 46), cita i Mateolani in un elenco di Apuli della Puglia del nord (Nat. Hist. III 105); per l’identificazione di Mateola con Matera, ved. V.A. Sirago, Per l’identificazione di Thuriae, Estratto da «Ricerche e Studi» XII/1980-1987 (Quaderni del Museo Archeologico Provinciale “Francesco Ribezzo” di Brindisi); per la nota discussione sulla lista pliniana, e per alcune considerazioni sulla “transizione” di alcuni toponimi lucani, ved. C. Masseria, M. Torelli, Genusia ritrovata. A proposito di un’iscrizione pubblica musiva di Montescaglioso-Matera («Koina». Miscellanea di Studi Archeologici in onore di Piero Orlandini), Milano 2000, pp. 431-440, in part. nota 2. 42 Ridola 1906. 43 M.G. Canosa, Le presenze archeologiche dall’età del Ferro all’età romana in Piazza San Francesco e Banca d’Italia, in Matera. Piazza San Francesco d’Assisi, pp. 108-112: (h. 74, 5 cm su plinto di base alto cm 19) Dioniso è raffigurato appoggiato ad un pilastrino decorato da un tralcio vegetale, la cui conformazione fa presupporre l’inserimento della statua in una struttura muraria. SIRIS 9,2008 Studi e ricerche della Scuola di Specializzazione in Beni Archeologici di Matera - ISBN 978-88-7228-566-4- © · Edipuglia s.r.l. - www.edipuglia.it Un progetto diEmiliano archeologia Cruccas urbana a Matera 115 sulta piuttosto evanescente in base ai pochi dati a disposizione e l’impossibilità di tracciare con adeguata precisione la forma urbana in età romana ne complica oltremodo la lettura. Sicuramente il ruolo di centri amministrativi maggiormente organizzati era stato assegnato da Roma alle città lucane che erano vicine alle grandi via consolari, come Venosa, Potenza, Grumentum 44, tuttavia la non marginalità di Matera rispetto alla viabilità principale sembra acquisire un significato come indicatore insediativo non prima del periodo altomedievale. Matera infatti non doveva apparire del tutto periferica, in quanto risultava ancora collegata attraverso la viabilità secondaria al tracciato dell’Appia, che consentì per tutto l’altomedioevo la comunicazione con la Puglia. La Strata qua itur de Tarento Materam (la via Tarantina), raccordava Gravina alla mansio Ad Canales, nel territorio di Castellaneta, e a Taranto; nell’Itinerario di Guidone, elaborato agli inizi del XII secolo sulla precedente Cosmographia dell’Anonimo Ravennate del VII secolo, Matera è parte di un percorso che da Oria si concludeva a Grumentum, passando da Taranto, Mottola, Castellaneta, Montecamplo, Ginosa, Montescaglioso, Gravina, Banzi, Acerenza e Muro 45. In effetti, pur volendo tenere in giusta considerazione la circostanza che i dati relativi alla cultura materiale di età post-antica sono in parte parzialmente editi, ma per la maggior parte quasi completamente inediti 46, da una valutazione preliminare della distribuzione delle attestazioni archeologiche tra l’area della Civita ed i versanti circostanti, sembra possibile riconoscere la fisionomia di agglomerato urbano, o meglio proto-urbano sulla Civita solo a partire dal IX secolo. Nessun dato per la ricostruzione della topografia urbana viene offerto, al momento, dall’analisi della cristianizzazione degli spazi. La cronotassi episcopale è assente per i primi secoli e piuttosto lacunosa almeno fino al XIII secolo, Matera viene inserita, assieme ad Acerenza, Tursi, Gravina e Tricarico, tra le diocesi suffraganee della metropolia di Otranto nel 968 da Polieucto, Patriarca di Costantinopoli e, dagli inizi del XIII secolo, è diocesi dipendente da Acerenza 47. Non vi sono notizie sul primo impianto della Cattedrale, tuttavia la cronaca di Lupo Protospata 48 testimonia che nel 1082 l’Arcivescovo di Acerenza consacrò la nuova chiesa – eretta tra il 1050 e il 1080 per volere dell’abate Stefano – del monastero di S. Eustachio, protettore della città, sorto probabilmente tra IX e X secolo sul pianoro sommitale della Civita, e di cui si conserva ancora solo la cripta a tre navate, coperta da nove cupolette, segnando quindi un forte segno topografico sull’altura che continua ad essere frequentata, in questo caso da edifici rappresentativi del potere religioso. Nel 1250 il monastero viene abbattuto per la costruzione, nelle adiacenze di S. Eustachio, della Cattedrale normanna, portata a termine nel 1270. Le vicende che hanno interessato il centro urbano dall’età altomedievale sembrano trovare maggiore riscontro tra i dati documentari. La presenza del controllo politico longobardo su Matera è verisimile dalla metà dell’VIII, da parte del Ducato longobardo di Benevento e, dopo la Divisio Ducatus, negli ultimi decenni del IX secolo, del Principato di Salerno 49. Tuttavia, allo stato attuale delle ricerche, significative testimonianze materiali della presenza longobarda sono leggibili prevalentemente in termini di possesso, in alcune donazioni del Monastero di S. Vincenzo al Volturno e nel noto ciclo di affreschi che decora la cripta del Peccato Originale 50. Small 1999, pp. 559-600; Gualtieri 2003. P. Dalena, Quadri ambientali, viabilità e popolamento, in Fonseca 2006, pp. 5-48. 46 M.R. Salvatore, Antichità altomedievali in Basilicata, in C.D. Fonseca (a cura di), Habitat-Strutture-Territorio (Atti del III Convegno Internazionale di Studio sulla Civiltà Rupestre medioevale nel Mezzogiorno d’Italia, Taranto-Grottaglie 1975), Galatina 1978, pp. 947-972; M.R. Salvatore, La ceramica tardoromana e altomedievale in Basilicata alla luce delle recenti scoperte, in M. Gualtieri et alii (a cura di), Lo scavo di San Giovanni Ruoti e il periodo Tardoantico in Basilicata, Bari 1983, pp. 111-121; M.R. Salvatore, La necropoli medioevale di Piazza San Francesco. Brevi note sui rinvenimenti archeologici coevi a Matera, in Matera. Piazza San Francesco d’Assisi, pp. 113-146. 47 C.D. Fonseca, Le istituzioni ecclesiastiche dal tardo antico al tardo Medioevo, in Fonseca 2006, pp. 231-306. Per la dipen- denza da Otranto, ved. F. Burgarella, La religiosità bizantina, in Fonseca 2006, pp. 328-347. Nel 1203, l’Arcidiacono materano Andrea otteneva da Papa Innocenzo III la Bolla con la quale la Chiesa Cattedrale di Matera veniva unita alla sede metropolitana di Acerenza, venendo a far parte della cosiddetta “diocesi bassa”, a testimonianza dell’estensione della Diocesi acheruntina che, dalla parte più interna della Basilicata, arrivava fino ai confini con la Puglia ed al mare, Fonseca 2006, pp. 285-286. 48 Lupi Protospatarii Annales, ed. G.H. Pertz, Hannoverae 1844, rist. 1985, (M.G.H., Scriptores, t. V), pp. 52-53: a. 1082, […] Et in eodem anno die 16. die intrante mense Maii dedicatum est in Matera novum templum in honore sancti Eustachii ab Arnaldo archiepiscopo sub domno Stephano abbate, auctore ipsius templi. 49 G. Breccia, Goti, Bizantini e Longobardi, in Fonseca 2006, pp. 49-85. 50 Da ultimo ved. G. Bertelli, Il territorio tra tardo antico e 44 45 SIRIS 9,2008 Studi e ricerche della Scuola di Specializzazione in Beni Archeologici di Matera - ISBN 978-88-7228-566-4- © · Edipuglia s.r.l. - www.edipuglia.it 116 Rosanna Colucci - Isabella Marchetta - Massimo Osanna - Francesca Sogliani Dagli ultimi decenni del IX secolo la città transita gradualmente verso il controllo politico bizantino. Si assiste ad una sostituzione di poteri in atto, operata da Bisanzio attraverso una politica altalenante di sostituzioni/integrazioni nelle file dell’amministrazione locale tra longobardi e greci. I documenti privati della fine del IX secolo attestano la presenza di famiglie longobarde, che appaiono pienamente inserite nei ranghi dell’amministrazione bizantina, nonché la compresenza del diritto romano-bizantino e di quello longobardo. Alla metà del IX secolo è attestata la presenza di un Godenus, protospatario imperiale a Matera 51, così come di funzionari dell’imperatore e di guarnigioni militari. Chiaro indizio questo di una definita funzione amministrativa e militare del centro urbano, cui dovevano necessariamente corrispondere dei luoghi fisici, atti ad espletare le attività di rappresentanza e di gestione del centro urbano. La realtà urbana sembra ora configurarsi come un centro politico che presuppone l’insediamento al suo interno del potere laico e di quello ecclesiastico, nonché di un agglomerato demico costituito dalla popolazione sulla quale tali poteri esercitavano la propria autorità e il proprio controllo. La provenienza dall’area della Cattedrale di un nucleo molto consistente di monete bizantine 52 – 320 esemplari – datate ininterrottamente tra l’829 e l’XI secolo, con un picco quantitativo (228 monete) del tipo riferibile a Costantino VII con la madre Zoe (913-919), può essere a mio parere messa in relazione ad un luogo fisico di assoluta preminenza del potere bizantino in urbe, sulla cui identificazione si è tuttavia incerti, in mancanza di indagini archeologiche mirate. La traccia materiale della compagine insediativa altomedievale (fig. 10) è maggiormente evidente nelle necropoli che occupano estese aree della città, negli edifici di culto e nelle fondazioni monastiche che sorgono sia nel tessuto dell’area della Civita, sia sulle pendici dell’altura, la cui tipologia è generalmente assimilabile all’insediamento rupestre 53, intesi come poli generatori di concentrazione demica. Le necropoli sono a tutt’oggi tra i pochi spazi dell’insediamento materano indagati archeologicamente. Ad eccezione delle tombe individuate nell’area della Cattedrale agli inizi e nella prima metà del XX secolo, per le quali non si hanno tuttavia dati precisi, le altre aree di sepolture si trovano tutte fuori dalla Civita e sono tutte legate ad edifici di culto, interpretati come polo d’attrazione per la popolazione funeraria. La necropoli indagata negli anni ‘80 a Piazza S. Francesco ha portato in luce 141 tombe scavate nel banco di roccia relativo al pianoro occupato, sotto l’attuale chiesa di S. Francesco, dalla chiesa ipogea dei SS. Pietro e Paolo; tale area sepolcrale è affiancata da un’ulteriore area interessata da sepolture, individuata sotto l’attuale edificio della Banca d’Italia, caratterizzata da un uno sfruttamento del suolo meno intensivo rispetto a quello presente sul sagrato della chiesa 54. Un’altra necropoli di notevoli dimensioni – circa 140 tombe – è stata scavata a più riprese negli anni ’90 sopra la chiesa ed il monastero di S. Lucia alle Malve 55 (fig. 11), caratterizzata anch’essa da una distribuzione molto fitta delle sepolture. Ulteriori nuclei di necropoli, sono stati individuati nell’area occupata in seguito nell’area limitrofa a S. Lucia alle Malve, davanti alla vicina chiesa della Madonna de Idris, a S. Nicola dei Greci, nell’area di S. Maria de Armenis e nella chiesa di S. Barbara, situata nel rione Casalnuovo, lungo il pendio della Gravina 56. Tutte le necropoli individuate presentano fortissime analogie: sono costituite da fosse scavate nella roccia, di forma antropoide o rettangolare, delimitate sulla superficie dalla risega per l’alloggio della copertura, costituita da blocchi di pietra irregolari di grandi dimensioni giustapposti. Le sepolture sono quasi sempre monosome e seguono tutte un orientamento est-ovest, sono deposte supine con le braccia incrociate sul petto o sull’addome e gli arti inferiori distesi. Del tutto assenti gli elementi del corredo, se si esclude il rinvenimento di un paio di orecchini di bronzo ad anello semplice in una tomba di Piazza S. alto medioevo. La documentazione archeologica, in Fonseca 2006, pp. 505-563. 51 Chronicon Vulturnense, ed. V. Federici, vol. II, Roma 1985 (Fonti per la storia d’Italia), pp. 12-14: a. 882: Godenus, imperiali protospatario in civitate materae; C.D. Fonseca, La città medievale (secoli VI-XIV), in Fonseca 1999, pp. 11-25. 52 M.R. Salvatore, Area della Cattedrale, in Matera. Piazza San Francesco d’Assisi, pp. 123-135. 53 C.D. Fonseca, Il popolamento rupestre, in Fonseca 2006, pp. 164-191. Matera. Piazza San Francesco d’Assisi. Bruno 2001, pp. 137-148. 56 Nella Cronica de la città di Matera nel Regno di Napoli (1595 e 1596), opera manoscritta di Eustachio Verricelli, [carta 2 verso] […], p. 34 viene riportato: «Et perché la Città et borghi non sono posti a terra piana et precisa lli borghi se vedono le chiese ove sono seppelliti li morti stare sopra lli grotti dove alcuni habitano et cossì se dice che in Matera li morti stanni sopra lli vivi»; ved. Moliterni et alii 1987. 54 55 SIRIS 9,2008 Studi e ricerche della Scuola di Specializzazione in Beni Archeologici di Matera - ISBN 978-88-7228-566-4- © · Edipuglia s.r.l. - www.edipuglia.it Fig. 10. - Matera, distribuzione dei rinvenimenti archeologici di età altomedievale nell’area urbana (elaborazione M. Danese). Francesco. La datazione di queste necropoli è affidata ad un appiglio cronologico certo grazie alle analisi al C14 effettuate sui reperti del cimitero di S. Lucia alle Malve, che ne fissa la cronologia all’VIII secolo. Un’ulteriore importante approfondimento relativo a queste ampie aree necropolari è stato lo studio antropometrico degli inumati delle necropoli di Piazza S. Francesco e di S. Lucia, che ha indicato come la popolazione della necropoli di S. Lucia fosse caratterizzata da indici di mortalità piuttosto elevati in età giovanile - il 70% degli inumati è morto prima del settimo anno di vita (età media calcolata attorno ai trent’anni) - non fosse affetta da gravi patologie con tracce residue sulle ossa, come traumi, ma fosse stata interessata da evidenti problemi di igiene e malnutrizione, alla base dell’accentuata mortalità infantile. L’analisi delle distanze antropometriche ha portato infine ad evidenziare tra gli inumati delle necropoli materane, un patrimonio genetico comune, non assimilabile a caratteristiche germaniche, pertanto plausibilmente riferibile a genti autoctone 57. Infine una preliminare analisi della distribuzione spaziale e dell’organizzazione delle necropoli, da approfondire tuttavia attraverso uno studio dettagliato dei confronti con altre aree regionali caratterizzate da questo tipo di necropoli, porterebbe a pensare ad una destinazione specifica d’uso delle aree interessate, slegata da eventi particolari, fornendo di conseguenza ulteriori spunti di riflessione per la topografia della città altomedievale. Uno degli elementi topici nella analisi sulle trasformazioni dell’urbanesimo è costituito dalla cinta muraria. Per Matera, il ruolo del perimetro fortificato 57 S. Borgognini Tarli, P. Giusti, Le necropoli alto-medioevali di Matera e l’Età barbarica in Italia: sintesi antropologica, in Matera. Piazza San Francesco, pp. 147-202. SIRIS 9,2008 Studi e ricerche della Scuola di Specializzazione in Beni Archeologici di Matera - ISBN 978-88-7228-566-4- © · Edipuglia s.r.l. - www.edipuglia.it 118 Rosanna Colucci - Isabella Marchetta - Massimo Osanna - Francesca Sogliani Fig. 11 - La necropoli altomedievale di S. Lucia alle Malve. nella individuazione dell’area abitata della città tardoantica e altomedievale è ben poco inquadrabile. L’Autore della Chronica cassinese ed Erchemperto 58 parlano di una “munitissima civitas”, tuttavia mancano a tutt’oggi dati archeologici sulla presenza di una cinta urbana in età altomedievale, anche se è possibile ipotizzare, almeno dal IX secolo ed in virtù anche della conformazione orografica naturale, una dicotomia tra l’area della Civita e le aree circostanti, cioè le pendici interessate da forme di insediamento rupestri, prevalentemente relative, nel periodo che ci interessa, ad impianti monastici di rito bizantino e ai relativi nuclei insediativi e necropolari. Le prime notizie sulle mura risalgono al periodo di grave conflitto che vede contrapporsi, alla metà dell’XI secolo, le truppe bizantine ai normanni: nel 1042 il catepano bizantino Giorgio Maniace punì la città di Matera che aveva appoggiato i Normanni, uccidendo “ducentos agricolas” che vivevano fuori dalle mura e nel 1054 si ricorda l’uccisione del Protospatario Sico Materiensis sotto le mura della città. Sembra quindi che il perimetro fortificato della Civita fosse una realtà topografica già nella prima metà dell’XI secolo, come si evince inoltre da alcune carte private che menzionano elementi relativi al sistema di difesa 59. Anche per l’ubicazione della struttura fortificata del castrum non si possiedono dati archeologici né appigli documentari; una traccia rimane nel toponimo Castelvecchio, a suggerire l’ubicazione del castello edificato in età normanna ed oggi non più esistente, ai margini occidentali dell’altura della Civita, a ridosso del lato delle mura che fiancheggiava l’entrata alla Civita stessa, definita dalle due porte “de Suso” e “de Juso”. L’esistenza del castello si rintraccia nei documenti solo tra XII e XIII secolo (una carta di donazione al monastero delle SS. Agata e Lucia alle Malve in cui com- 58 Chronicon Casinense, aa. 568-867, ed. G.H. PERTZ, Hannoverae MDCCCXXXVIIII (1839), Stuttgart 1985, pp. 222-230 in M.G.H., Scriptores, t. III; Erchemperti Historia Langobardorum Beneventanorum, ed. G. WAI T Z , Hannoverae MDCCCLXXVIII (1878), pp. 231-264 in M.G.H., Scriptores rerum Langobardicarum et Italicarum saec. VI-IX. 59 C. Di Lena, Le fortificazioni materane, «Bollettino della Biblioteca Provinciale di Matera e della sezione materana della Deputazione di Storia Patria per la Lucania» XV, 23-24 1994, pp. 135-157. SIRIS 9,2008 Studi e ricerche della Scuola di Specializzazione in Beni Archeologici di Matera - ISBN 978-88-7228-566-4- © · Edipuglia s.r.l. - www.edipuglia.it Fig. 12. - Matera, distribuzione dei monumenti e dei rinvenimenti di età medievale nell’area urbana (elaborazione M. Danese). pare un castellano di nome Bisanzio). Ciò che è attualmente percepibile nella maglie del tessuto urbano della Civita, e che è ancor più chiaramente leggibile nella cartografia antica della città, è l’assetto derivante dalla sistemazione di età normanno-sveva delle mura, che prevedeva l’utilizzo delle difese naturali costituite dal versante a strapiombo della Gravina ad est e il consolidamento del precedente ipotizzato tracciato attorno alla Civita, avvalorando definitivamente il ruolo rappresentativo dell’altura della Civita, sia in termini istituzionali che di controllo strategico 60. Dalla seconda metà dell’XI secolo Matera è assorbita nell’orbita politica normanna (fig. 12); le sue vicende e le sue trasformazioni urbane risultano a questo punto maggiormente leggibili nei resti architettonici che, pur con notevoli rifacimenti, defini- scono le funzioni religiose e civili della città tra medioevo e tardomedioevo. La ricerca archeologica a questo proposito è ancora una volta agli inizi, ma ha ricevuto un contributo molto importante dal recentissimo intervento di archeologia urbana nell’area antistante la chiesa di S. Giovanni Battista 61. La frequentazione medievale di quest’area extramuranea della città è segnata dalla fondazione del primo impianto religioso benedettino (fine XII secolo) intitolato a S. Maria (S. Maria ai foggiali o S. Maria la Nova) cui è da associare l’estesa necropoli che occupa l’area esterna al prospetto meridionale della chiesa di S. Giovanni, in uso fino alla data del suo provvisorio abbandono, avvenuto nel 1480, ed anche al contiguo Ospedale di S. Rocco, edificato in concomitanza con l’epidemia di peste del 1348. Importante F. Panarelli, La vicenda normanna e sveva: istituzioni e organizzazione, in Fonseca 2006, pp. 86-124. 61 Per la forma urbis della città tardomedievale, ved. R. Demetrio, Lo sviluppo urbano in età aragonese, in Fonseca et alii 1999, pp. 26- 37. Per i dati preliminari delle indagini archeologiche, ved. oltre il contributo di I. Marchetta; l’edizione scientifica dello scavo è in corso di realizzazione e costituirà parte di un volume monografico di prossima uscita dedicato alla Chiesa di S. Maria la Nova: Panarelli c.d.s. 60 SIRIS 9,2008 Studi e ricerche della Scuola di Specializzazione in Beni Archeologici di Matera - ISBN 978-88-7228-566-4- © · Edipuglia s.r.l. - www.edipuglia.it 120 Rosanna Colucci - Isabella Marchetta - Massimo Osanna - Francesca Sogliani a tal proposito è inoltre un decreto ecclesiastico del 1582 che conferma la vocazione assistenziale di quest’area, attestando la presenza di chiese e ospedali. Nel 1610 viene realizzato il nuovo ospedale, a ridosso della chiesa di S. Maria che solo alla fine del secolo, nel 1695, viene ristrutturata e riaperta al culto con il titolo di S. Giovanni Battista da monsignor Del Ryos. La fase finale di utilizzo dell’area come cimitero è probabilmente da porre in relazione con gli ultimi anni d’uso dell’Ospedale, quindi alla fine del XVIII secolo, quando l’edificio è destinato a carcere borbonico. Una considerazione, infine, va fatta sul termine stesso di città, osservando come esso conservi due ordini di valenze in connessione tra loro, a volte non precisamente interdipendenti e cioè l’aspetto politico-amministrativo e quello economico-demografico. Lo sforzo di indagare e riconoscere i livelli di integrazione tra i due aspetti attraverso i periodi cronologici considerati potrà portare, tramite l’analisi e il confronto delle fonti scritte e documentarie e dei dati archeologici, all’identificazione delle funzionalità specifiche del centro urbano, in senso diacronico e, allo stesso tempo in senso spaziale, cioè in riferimento ai rapporti economico-territoriali della regione. L’indagine è stata avviata in occasione dei lavori di riqualificazione e consolidamento di via San Biagio voluti dal Comune di Matera 62 consentendo l’acquisizione di nuovi e importanti dati sulla distribuzione delle aree di necropoli nel circuito urbano e suburbano dell’insediamento medievale. Una prima fase d’analisi ha interessato alcuni locali ipogei, oggetto dell’intervento di consolidamento, ubicati in via San Biagio in prossimità della chiesa di San Rocco. È noto dalle fonti che l’intera zona è interessata dalla presenza di numerosi locali sotterranei molti dei quali pertinenti al periodo medievale, seppur riutilizzati fino a tempi recentissimi. In una bolla papale del 1238 63, relativa proprio alla chiesa di Maria la Nova 64, è riportato che l’edificio è ubicato presso i foggiali della città, ovvero in un’area distinta per la presenza di numerose fosse granarie e cisterne. In particolare i foggiali erano deputati alla raccolta e conservazione delle derrate cerealicole. Avevano la volta di forma troncoconica con un pozzetto di caricamento dall’alto coperto, in superficie, da voltine rimovibili; le pareti, con sviluppo verticale cilindrico, erano trattate con una particolare mistura di pozzolane, cocciopesto e un’argilla rossa, definita nella letteratura storica locale come “bolo russo” 65, al fine di garantire una corretta conservazione delle derrate. Dei locali ipogei presso la chiesa di San Rocco cinque sono stati riconosciuti come foggiali grazie alla presenza della tipica copertura troncoconica, quasi mai intaccata dai successivi riutilizzi. Anche presso la chiesa di San Giovanni Battista è stato individuato un locale ipogeo che aveva riutilizzato tredici fosse granarie identificabili proprio con quelle citate dalle fonti e preesistenti alla chiesa. Infatti ad una quota superiore è venuta in luce una cava medievale che, nella sua pianificazione, sembra abbia tenuto conto della presenza dei foggiali e del loro sviluppo longitudinale e altimetrico. La cava occupava l’intera area oggetto d’indagine ed era ubicata nello spazio compreso tra l’attuale facciata d’ingresso della chiesa di San Giovanni Battista, l’ingresso al complesso noto come “Croce L’intervento è stato effettuato dalla Soprintendenza per i Beni Archeologici della Basilicata sotto la direzione della dott.ssa Annamaria Patrone, in collaborazione con la Scuola di Specializzazione in Archeologia di Matera, con il coordinamento del prof. Massimo Osanna e della prof.ssa Francesca Sogliani (IBAM-CNR, SSA) che ringrazio per avermi affidato le indagini. Alle attività sul campo hanno collaborato Nicoletta Montemurro, Cosimo Disimino, Mario Calia e Gianfranco Lionetti della Soprintendenza per i Beni Archeologici della Basilicata e gli studenti del corso di laurea in Conservazione dei Beni Culturali. Ringrazio il prof. Roubis, per avermi affiancato nelle riflessioni stratigrafiche, il prof. Curti, la dott.sa Chiara Prascina, il geom. incaricato della ditta Maragno, Angelo Vigilante, il geom. Enzo Scandiffio ed Enzo Viti per il loro supporto durante la campagna di scavo. 63 Ughelli 1721, tomo VIII coll. 40. 64 Nel 1695 le chiesa passerà al Capitolo di San Giovanni Battista e sarà, quindi, intitolata al Santo. 65 Moliterni et alii 1987, p. 36. Il cronachista Verricelli si riferisce a un’argilla locale con caratteristiche simili al “bolo armeno”, un’argilla molto ferrosa che fu molto utilizzata, a partire dal XVI secolo in ambito pittorico per la preparazione delle tele e che ancora è utilizzata nel restauro e pittura per stendere la foglia d’oro. (F.S.) Lo scavo in via San Biagio presso il sagrato della chiesa di San Giovanni Battista. Relazione preliminare I dati di scavo 62 SIRIS 9,2008 Studi e ricerche della Scuola di Specializzazione in Beni Archeologici di Matera - ISBN 978-88-7228-566-4- © · Edipuglia s.r.l. - www.edipuglia.it Fig. 13. - Ubicazione dell’area di scavo rispetto a Via San Biagio. Rossa” 66 e Via San Biagio (fig. 13). Fu realizzata, presumibilmente, al momento della pianificazione della chiesa di metà duecento 67 per ottenere una platea di fondazione omogenea per l’edificio e, al tempo stesso, una riserva di materiali costruttivi. Al termine delle operazioni di scavo è stato possibile, infatti, ricostruire l’immagine del cantiere estrattivo medievale poiché sono venuti in luce molti testimoni dell’attività: un blocco scalpellato su tre lati, lo strappo del blocco iniziale della fila, quindi in negativo, e tutte le tracce dei tagli di cavatura. La ricorrenza del modulo dei blocchi estratti è, nella quasi totalità dei casi, 30x20x50 cm, modulo analogo ai blocchi messi in opera nella fondazione dell’attuale facciata. Questa poggiava direttamente sul banco di calcarenite e consisteva di 4 filari di blocchi disposti, alternativamente per testa e per taglio. I primi due filari mostravano una realizzazione meno accurata con interstizi irregolari, e gradoni poco aggettanti. I successivi filari avevano un vero e proprio paramento e costituivano, probabilmente, la quota visibile del muro (fig. 14). Contestualmente alla realizzazione dell’edificio, la cava fu colmata fino a creare un livello orizzontale calpestabile. La colmata della cava (US 87) era sigillata da un massetto (US 2) costituito da un livello compattato di tufina non molto tenace che tendeva in molti tratti a sgretolarsi. Poiché conservato solo nel tratto più occidentale del sagrato, a causa dei numerosi tagli di scasso recenti, non è possibile stabilire se il massetto fosse steso uniformemente nell’area, ma è probabile che rappresentasse la sistemazione della piazza al momento della inaugurazione della chiesa. La stessa area fu poi occupata da una necropoli 66 Il complesso architettonico attiguo alla chiesa fu costruito a seguito della peste che colpì la città nel 1347 con funzione di ospedale laico. Nel 1610 l’edificio fu assegnato ai Padri Riformatori che si occuparono di ricostruirne le fabbriche insieme a una nuova chiesa ultimata nel 1615. La facciata principale della chiesa di Santa Maria la Nova fu allora inglobata nell’hospituim divenendone una sorta di cappella privata. Nel 1749 l’hospitium fu tramutato in Carcere Regio per poi ospitare il nuovo Ospedale Civico alla fine del XIX secolo. 67 Sulla parete absidale è murata la probabile pietra di fondazione dell’impianto su cui è incisa la data MCCXXIX. Tuttavia un atto notarile relativo allo stato di avanzamento dei lavori nella chiesa reca la data 8 gennaio 1233 testimoniando che, a quella data, i lavori non erano ancora completati. Presumibilmente i lavori di costruzione dell’intero impianto impegnarono le maestranze per almeno 4 anni. SIRIS 9,2008 Studi e ricerche della Scuola di Specializzazione in Beni Archeologici di Matera - ISBN 978-88-7228-566-4- © · Edipuglia s.r.l. - www.edipuglia.it 122 Rosanna Colucci - Isabella Marchetta - Massimo Osanna - Francesca Sogliani Fig. 14. - Un tratto delle fondazioni poggiate sul piano di cava. Fig. 15. - La tomba “a loggetta” rinvenuta nel settore orientale dello scavo. con livelli di deposizione multipli, pertinenti ad almeno tre distinte fasi cronologiche. Il più antico e considerevole numero di deposizioni è riferibile alla fase edilizia originaria della chiesa di Santa Maria La Nova, con un lungo periodo d’utilizzo che si sviluppa tra i secoli XIII-XIV. Gli inumati, orientati ad est, in molti casi con la testa sollevata da un cuscino di terra, erano sepolti in fosse terragne o in casse litiche 68. Di queste ultime, cinque, concentrate nel settore orientale dello scavo, conservavano la copertura realizzata da blocchi parallelepipedi di calcarenite, erano monosome con deposizione poste direttamente sulla colmata della cava (US 87) o sul banco cavato. In particolare il CF 225, pur intaccato da un taglio recente nella copertura, manteneva integra la cassa che presentava una nicchia crucisignata 69 destinata ad accogliere la testa del defunto (fig. 15). Il tipo, noto come tomba a “loggetta”, è diffuso in area materana e trova corrispettivi nei cimiteri urbani di Santa Lucia alle Malve (VIII secolo) e di San Pietro Barisano (XIII-XIV secolo) 70 e, al di fuori del contesto urbano, nel villaggio rurale bassomedievale del vallone della Madonna della Loe 71. I contenitori funerari del settore orientale erano invece privi della copertura e contenevano una densa sequenza di inumazioni, la più antica delle quali era deposta direttamente sul piano di cava. I livelli di sovrapposizione documentati hanno mostrato una tale continuità d’uso di quest’area della necropoli che i CF arrivarono ad essere obliterati dalle ultime deposizioni che pure ne rispettavano l’andamento. Anche le deposizioni in fossa terragna mostravano, in quest’area, livelli di sovrapposizione molto più fitti. La maggior parte delle sepolture non avevano elementi di corredo per cui non è stato possibile fissare una distinta sequenza temporale: i pochi elementi di ornamento personale rinvenuti confermano una cro- 68 La tipologia più attestata è la fossa terragna mentre nell’intera area di scavo si contano 13 casse litiche. Relativamente alle deposizioni, nel presente articolo, si utilizzeranno le seguenti abbreviazioni: DF (deposizione funeraria), CF (contenitore funerario), RP (reperti particolari, ovvero gli elementi a corredo della deposizione). Più in generale le tombe saranno identificate dal numero della deposizione. Una nicchia, non così ben conservata ma leggibile, era anche nelle casse 125 e 271. 70 Bruno 2001, p. 138. 71 E. Lapadula, Indagine archeologica nell’insediamento del vallone della Madonna della Loe (Matera). Risultati preliminari, «Siris» III 2002, p. 221, fig. 12. 69 SIRIS 9,2008 Studi e ricerche della Scuola di Specializzazione in Beni Archeologici di Matera - ISBN 978-88-7228-566-4- © · Edipuglia s.r.l. - www.edipuglia.it Un progetto diEmiliano archeologia Cruccas urbana a Matera 123 nologia di fine XIII-XIV secolo, sia per le deposizioni che obliteravano i CF, sia per quelle in essi contenute. La seconda fase di deposizioni potrebbe essere relativa all’ultimo momento di frequentazione della chiesa prima dell’abbandono perpetuatosi dopo l’anno 1480. A tale fase si possono attribuire 11 sepolture in fossa terragna, rinvenute in pessime condizioni di conservazione e prive elementi di corredo. La sola deposizione integra, DF 152, è pertinente ad un individuo di sesso maschile, deposto supino con il capo ad ovest e le braccia conserte sul petto. Questo livello di deposizione testimonia un progressivo disuso dell’area cimiteriale attribuibile all’altrettanto progressivo disuso della chiesa e delle fabbriche conventuali nel corso del XV secolo. La lunga cesura d’utilizzo della necropoli, che registra una nuova fase di sepolture solo dopo il 1793, sembra del tutto in linea con le vicende della chiesa 72. Per il lungo periodo che intercorre tra il 1480 e il 1610, data dell’inaugurazione dell’Ospedale attiguo che la riutilizzò come cappella interna, la chiesa fu abbandonata all’incuria. Solo in occasione della visita pastorale dell’arcivescovo Antonio de Ryos y Comenares cominciano gli interventi di riqualificazione dell’edificio di culto con la costruzione della Cappella del SS. Sacramento nel 1735, la pianificazione di un nuovo cimitero nell’area della sagrestia nel 1746, la realizzazione di un recinto che racchiudesse il nuovo sagrato della chiesa nel 1756, il rifacimento delle coperture nel 1793 73. Tra il 1792 e il 1793 il fronte meridionale della chiesa fu trasformato nell’ingresso principale e il mutamento di prospettiva fu perfezionato dalla realizzazione della fodera muraria ad arconi addossata al perimetrale. In seno a questo cantiere fu realizzata anche una fossa circolare (US 22), venuta in luce durante le indagini, ed interpretabile come “curatoia per la calce” 74. Parallelamente fu realizzato un muro di scarico ortogonale alla fodera, USM 17, appoggiato ad essa e munito di una arco che sormontava un tratto in cui il banco roccioso tendeva ad assottigliarsi per la presenza di un ulteriore vano ipogeo. A seguito di questi interventi di riqualificazione e ammodernamento si registra una nuova fase di deposizioni alla quale si attribuiscono 26 sepolture 75 in fossa terragna prive di elementi di corredo o di ornamento personale e con diversi livelli di sovrapposizione e orientamento (fig. 16). Ad una prima analisi sul campo una deposizione è attribuibile ad un neonato, due a fanciulli in età pre-puberale, le restanti ad adulti. I pochi frammenti ceramici rinvenuti nello strato di deposizione (US 38) non consentono di specificarne la cronologia assoluta ma il rapporto stratigrafico con il muro di scarico (USM 17) individua un terminus post quem. Le DF 16 e 97 coprivano, infatti, la malta reflua 76 che legava i blocchi dell’USM sancendone in maniera evidente il rapporto di posterità. La funzione cimiteriale dell’area presumibilmente si esaurisce nel 1840 anno in cui, a seguito del decreto napoleonico, fu costruito il moderno cimitero. L’immagine dell’area che lo scavo ci restituisce è quella di uno spazio, inizialmente extra moenia, inglobato, in età post-medievale, nel tessuto urbano, che perpetua la funzione cimiteriale per tutto il medioevo 77 fino al XIX secolo, con un momento di cesura tra XVI e XVIII secolo. Tale necropoli s’imposta all’interno della colmata di una cava che ha sfruttato 72 Per una disamina delle vicende architettoniche dell’edificio con puntuali riferimenti alle fonti documentarie e antiquarie cfr. Foti 1996. 73 Foti 1996, pp. 231-238. 74 La fossa 22 recava tracce di calce liquida solidificata lungo le pareti, mentre a un livello più basso, coperto da uno strato scomposto di calce in grumi, era uno scarico d’ossa. In un rendiconto di spese in seno al cantiere del febbraio 1793, si enumera anche la realizzazione di una curatoia per la calce, Significatoria del Libro Maggiore d’Introiti ed esiti dall’1/11/1792 al 31/10/1793 dell’Archivio del Capitolo di San Giovanni Battista, cfr. Foti 1996, doc. XIII, p. 308. 75 Il dato numerico è da sottoporre ad un’ulteriore verifica in seguito all’analisi antropologica del numero minimo d’individui. In una delle US superficiali, infatti, erano presenti numerosi frammenti ossei non attribuibili, sul campo, alle deposizioni sopra enumerate ma evidentemente pertinenti a questa fase d’uso della necropoli. 76 Il muro 17 è stato costruito con una fossa di fondazione, molto stretta e quasi aderente allo stesso. Alcuni muratori ci hanno riferito che era pratica consueta, fino a qualche decennio fa, quella di scavare uno stretto corridoio e mettere in opera i tufi camminando sui vari livelli di costruito che a mano a mano si realizzavano. La malta cementizia che univa i blocchi refluiva da entrambi i lati del muro, fatto che può ben spiegarsi attraverso la pressione della forza peso dei muratori che camminavano sul filare realizzato per innalzarne il successivo. 77 In fase di scavo è stato possibile verificare la funzione cimiteriale dell’area anche in periodo arcaico. Nella colmata della cava (US 87) si sono rinvenuti anche alcuni materiali riferibili al VII-VI secolo a.C. testimoni di un rimaneggiamento di una zona già occupata in una fase precedente. Il dato è stato confermato dal rinve- Analisi dei dati e cronologie SIRIS 9,2008 Studi e ricerche della Scuola di Specializzazione in Beni Archeologici di Matera - ISBN 978-88-7228-566-4- © · Edipuglia s.r.l. - www.edipuglia.it Fig. 16. Panoramica del settore occidentale dello scavo: strati di deposizione postmedievali in corso di scavo (foto M. Calia). il banco roccioso per l’estrazione di blocchi di calcarenite (fig. 17). Secondo le fonti scritte un primitivo impianto della chiesa risale ad una data precedente al 1204, anno in cui un atto notarile ricorda la vendita di una vigna all’Abate della chiesa di Santa Maria la Nova, Angelo de Ulmis. A questa data il luogo di culto era officiato dai monaci benedettini che lo tennero fino al 1212, quando fu concesso alle monache di Accon. Tre bolle papali, redatte tra il 1232 e il 1238 78 e pubblicate da Ughelli 79, confermano la proprietà dell’edificio alle monache orientali e l’attività edilizia intorno alla chiesa. La fase costruttiva relativa a questo secondo momento è ben leggibile nell’attuale impianto ma quella benedettina che la precede appare, al momento, sfuggente. Nel 1969, in occasione di alcuni lavori di ristrutturazione interna, vennero effettuati dei sondaggi che documentarono la presenza di alcuni setti murari e di un livello pavimentale inferiore di ca. 90 cm rispetto all’attuale 80. L’esiguità dei dati relativi a questo intervento non permette, al momento, di stabilire l’esistenza di una fase strutturale precedente la fase del secondo quarto del XIII secolo della chiesa né di chiarire, con completezza, i rapporti tra quest’ultima e il livello di calpestio rinvenuto al suo interno ad una quota inferiore, potendo tuttavia escludere che esso nimento di parte di un taglio di sepoltura, intaccato da messa in opera di servizi moderni, che conservava uno scampolo di riempimento in situ. Questo ha restituito un’ansa cornuta di produzione dauna e alcuni frammenti di ceramica indigena pertinente ad un’olla con decorazione geometrica bicroma. È evidente che il banco roccioso, prima dell’impianto della cava, era occupato da un’area di deposizione. Il taglio della tomba arcaica è conservato, infatti, in un tratto del banco non intaccato dalla cava medievale. 78 Nella terza la data non è leggibile, Foti 1996, p. 97, con nota relativa. Lo studio specifico della documentazione scritta relativa alla chiesa si Santa Maria la Nova, integrata dall’edizione completa dei dati dello scavo in questione, sarà oggetto di una imminente pubblicazione a cura di Panarelli c.d.s. 79 Ughelli 1721, tomo VIII, coll. 38-41. 80 La documentazione di scavo relativa all’intervento è piuttosto scarna ed è costituita da una lettera ed una foto. Nella lettera che il Soprintendente Zampino inviava al Vicario Generale, al parroco della chiesa e all’Arcivescovo della città si proponeva il mantenimento dell’antica quota nella messa in opera dei nuovi pavimenti (cfr. carteggi dell’Archivio del Capitolo di San Giovanni Battista di Matera, presso la stessa chiesa). La foto è stata gentilmente fornita dall’architetto della Soprintendenza ai Beni Monumentali B. La Fratta in occasione dello scavo. SIRIS 9,2008 Studi e ricerche della Scuola di Specializzazione in Beni Archeologici di Matera - ISBN 978-88-7228-566-4- © · Edipuglia s.r.l. - www.edipuglia.it Un progetto di archeologia urbana a Matera 125 Fig. 18. - Frammento di ceramica decorata a sgraffio dall’US 2. sia relativo alla chiesa costruita in occasione dell’arrivo delle monache di Accon 81. L’impianto sembra infatti avere una soluzione costruttiva unitaria e anche le fondazioni, venute in luce al termine dello scavo, poggiano direttamente sul livello di cava e appaiono omogenee allo sviluppo delle murature d’alzato escludendo che l’edificio s’imposti su precedenti livelli di fondazione 82 (fig. 14). Dai dati di scavo emerge che il calpestio esterno della chiesa inaugurata nel 1233 è di poco inferiore all’attuale quota interna 83 ed è cronologicamente attribuibile alla seconda metà del XIII secolo 84. Sembrano confermare tale cronologia due frammenti di un piatto graffito (fig.18) rinvenuti nel piano pavimentale esterno (US 2) e confrontabili con un tipo da Brindisi, purtroppo fuori contesto 85 e uno da Bari 86, ma la produzione è meglio attestata ad Otranto anche nell’ambito dei manufatti probabilmente prodotti localmente alla metà del ’200 87 . Un ulteriore elemento di datazione è fornito da una delle deposzioni (DF 10) che taglia l’US 2. Si tratta di una deposizione in fossa terragna pertinente a una bambina che ha restituito due elementi di corredo: un paio di orecchini in argento e una fibbia in ferro (RP 10/1-2, fig. 19). Degli orecchini si conservano solo 81 Solo la realizzazione di ulteriori e più approfonditi sondaggi archeologici all’interno della chiesa potrebbe consentire ulteriori chiarimenti sulla fase “benedettina” dell’impianto. 82 L’ipotesi elaborata, con le dovute cautele, per raccordare i dati è in Foti 1996, p. 102. 83 Tale livello di calpestio è testimoniato da numerosi altri dati di scavo: la quota superiore della colmata della cava (US 87), del piano pavimentale esterno (US 2), del piano di allettamento di alcune sepolture (US 298) appaiono omogenee. La copertura di queste stesse tombe rivelava evidenti segni di usura da calpestio. A questa stessa quota si articola anche l’alzato della facciata con l’innesto delle lesene che scandivano il perimetrale originario. 84 Il consistente livello di riempimento della cava, restituisce materiali ceramici non anteriori alla seconda metà del XIII secolo e anche le cronologie degli elementi d’abbigliamento rela- tive alle deposizioni tagliate in questo riempimento, ed evidentemente di poco successive ad esso, oscillano tra XIII e XIV secolo. 85 S. Patitucci Uggeri, Le ceramiche bizantine della Puglia normanno-sveva, C. Marangio, A. Nitti (a cura di), Scritti in memoria di Benita Sciarra Bardaro, Fasano 1994, pp. 85-100, in particolare fig. 6b. 86 P. Favia, Rapporti con l’Oriente e mediazioni tecnologiche nella produzione ceramica bassomedievale della Puglia centrosettentrionale: gli influssi bizantini, la presenza saracena e le elaborazioni locali, «Albisola» XL 2007, p. 80, fig. 10. 87 Exavations at Otranto II, fig. 6:19, nn. 605-610, 615-616. Una produzione locale di ceramica graffita imitante quella importata compare ad Otranto nelle stratigrafie di inizi XIII secolo. Fig. 17. - Panoramica della cava al termine dello scavo (foto M. Calia). SIRIS 9,2008 Studi e ricerche della Scuola di Specializzazione in Beni Archeologici di Matera - ISBN 978-88-7228-566-4- © · Edipuglia s.r.l. - www.edipuglia.it 126 Rosanna Colucci - Isabella Marchetta - Massimo Osanna - Francesca Sogliani Fig. 19. - Tavola degli elementi d’abbigliamento a corredo delle sepolture (disegno N. Montemurro). SIRIS 9,2008 Studi e ricerche della Scuola di Specializzazione in Beni Archeologici di Matera - ISBN 978-88-7228-566-4- © · Edipuglia s.r.l. - www.edipuglia.it Un progetto diEmiliano archeologia Cruccas urbana a Matera 127 due piccole sfere con decorazione a puntini rilevati che trovano confronto a Torre di Mare, dove il manufatto, giunto in migliore stato di conservazione, ha una cronologia di XIII-XIV secolo 88. Confronti generici possono istituirsi con un pendaglietto, a decorazione simile, proveniente da Gorzano 89 e con un bottoncino-campanello proveniente dall’Esedra della Crypta Balbi 90. Con un manufatto proveniente dall’Esedra della Crypta Balbi è confrontabile anche la fibbia in ferro con gancio uncinato 91, associata agli orecchini nella deposizione. Nel contesto romano entrambi i manufatti sono assegnati, da stratigrafia, alla seconda metà del XIV secolo. Relativamente alle casse litiche 44 e 58, che pure tagliano l’US 2, è da dire che entrambe mostravano più fasi di deposizione con una cronologia che oscilla tra XIII e XIV secolo. Il CF 58 conteneva due deposizioni, la più antica ammucchiata lungo la spalletta est della tomba, la seconda in posizione distesa, supina, con le braccia sul petto. Due frammenti ceramici pertinenti allo strato di copertura della seconda deposizione forniscono una datazione anteriore al XIV secolo 92. Anche il CF 59 mostrava una doppia deposizione, con la più antica raccolta ai piedi della seconda. Tuttavia, nella necropoli, sono maggiormente documentate tombe a cassa con più deposizioni successive deposte l’una sopra l’altra. Tale pratica assai diffusa nel medioevo, è te- stimoniata, ad esempio, nel CF 44, che conteneva ben 7 deposizioni 93. La terza della sequenza, DF 116, assegnata alla fine del XIII-metà XIV 94, ha restituito due fibbie in ferro (RP 116/1-2, fig. 19) posizionate all’altezza del bacino con gli ardiglioni disposti specularmene. Rispettivamente la fibbia sinistra ha forma quadrangolare e ardiglione a cucchiaio innestato sulla traversina con gancio ripiegato, la seconda è rettangolare con ardiglione rastremato e medesimo innesto alla traversina della precedente. Lo scavo ha restituito numerose fibbie di questo tipo rinvenute, generalmente, all’altezza del bacino. I confronti morfologici con altri contesti ascrivono l’uso di tali fibbie ad un lungo periodo che va tra la fine del XIII secolo e la prima metà del XV secolo 95. Nella DF 110 la fibbia, circolare, era associata a due anelli in ferro posti ai due lati verosimilmente pertinenti ad una cintura da lavoro con anelli di sospensione per utensili (RP 110/1-3, fig.19) attribuibile allo stesso periodo cronologico. Più antica e con tipi meglio seriati è la fibbia in bronzo pertinente alla deposizione 127. Si tratta di una fibbia a ovale schiacciato con una modanatura centrale trilobata e placca d’aggancio con decorazione fitomorfa incisa a tratto sottile (RP 127/1, fig. 19) 96. Questo tipo di fibbie si diffonde a partire dal XII secolo 97 per affermarsi pienamente tra la metà del XIII e il XIV secolo 98. In area lucana una fibbia con placca di questo tipo viene da Torre di Mare, Metaponto Lapadula 2006, p. 438, n. 10. 89 Sogliani 1995, p. 120, n. 271, senza datazione. 90 Sfligiotti 1990, p. 543, n. 749. 91 Sfligiotti 1990, p. 543, n. 745. 92 Si tratta di un frammento di parete di una forma chiusa di ceramica invetriata, ingobbiata e dipinta in rosso e verde e di un frammento di piatto in protomaiolica dipinta in bruno che a causa della frammentarietà non consente confronti puntuali. 93 In molti casi la mancanza di terra d’accumulo o di copertura verificata tra le deposizioni ha evidenziato come gli inumati fossero deposti in sequenza prima della completa decomposizione, con un intervallo di tempo relativamente breve. Al contrario la doppia deposizione con la sepoltura ammucchiata ai piedi della seconda necessita tempi più lunghi. Sperimentalmente, l’Università del Salento, Dipartimento per i Beni Culturali, ha utilizzato la datazione al radiocarbonio per assegnare la durata d’utilizzo del contenitore funerario e la sequenza delle deposizioni nella tomba XXIV del villaggio di Quattro Macine, a Giuggianello (LE). Effettuata sulle deposizioni scomposte, contenute nella tomba, la tecnica ha stimato un intervallo di tempo di circa 150 anni per la deposizione dei 5 inumati, P. Arthur et alii, Sepolture multiple e datazioni al radiocarbonio ad alta risoluzione di resti osteologici provenienti dal villaggio di Quattro Macine, Giuggianello (LE), «Amediev» XXXIV 2007, pp. 297-301. Tale risultato può ragionevolmente indirizzarci a considerare il tempo intercorso tra la prima e la settima deposizione interna al CF 44 di poco inferiore ai 150 anni. 94 Il terminus ante quem è determinato in relazione allo strato di distruzione, US 29, da attribuire a tempi recenti, che obliterava la cassa e la prima deposizione. Ad eccezione di alcuni frammenti di ceramica invetriata post-medievale (momento in cui è avvenuta la distruzione), le restanti ceramiche rivestite, evidentemente pertinenti alla terra di chiusura, coprono un arco cronologico che non si spinge oltre la seconda metà del XIV secolo e testimonia la distruzione dell’ultima fase di deposizione della sequenza contenuta nel CF 44. 95 Per la cronologia del tipo si veda Sogliani 1995, pp. 115117. 96 Una decorazione simile è su una fibbia da Segesta con cronologia tra la seconda metà del XIII e il XIV secolo (A. Molinari, Segesta II. Il castello e la moschea (scavi 1989-1995), Palermo 1997, p. 178, n. IX.1). 97 Si veda, ad esempio, la fibbia da Otranto (Exavations at Otranto II, fig. 10.9, n. 84). 98 Per un quadro di diffusione in area meridionale cfr. E. Lapadula, Oggetti e accessori dell’abbigliamento di età bassomedievale in Terra d’Otranto, in R. Fiorillo, P. Peduto (a cura di), III Congresso Nazionale di Archeologia Medievale, Salerno 2005, p. 150; per una panoramica sull’Italia Settentrionale si veda F. Piuzzi, Su tre fibbie basso medievali dal Castello della Motta di Savorgnano (Povoletto - UD), «AMediev» XXV 1998, pp. 281286. 88 SIRIS 9,2008 Studi e ricerche della Scuola di Specializzazione in Beni Archeologici di Matera - ISBN 978-88-7228-566-4- © · Edipuglia s.r.l. - www.edipuglia.it 128 Rosanna Colucci - Isabella Marchetta - Massimo Osanna - Francesca Sogliani (MT) con datazione di XIII-XIV secolo 99. Completa il repertorio dei tipi di fibbie metalliche una fibbia circolare in bronzo (RP 301/1, fig. 19) rinvenuta in una delle le deposizioni in cassa a blocchi di tufo del settore orientale dello scavo 100. La fibbia ha manifattura accurata, ardiglione rastremato ed innesto alla traversina tramite curvatura dello stesso. L’anello ha una decorazione a piccoli tratti paralleli e trova un corrispettivo regionale a Torre di Mare 101 ma ha numerosi confronti in tutta la penisola con cronologia di XIII-XIV secolo 102, sebbene gli esemplari in bronzo con manifatture accurate sembrano caratterizzare principalmente i corredi trecenteschi 103. Durante lo scavo altre due fibbie di questo tipo ma di dimensioni ridotte si sono rinvenute nel CF 125, a corredo della DF 191. La prima era disposta al centro del bacino, la seconda sul lato destro dell’inumato (RP 191/1-2, fig. 19). Relativamente alla sequenza di deposizione degli inumati nel CF 125 è da sottolineare, nella sepoltura successiva alla DF 191, la presenza di una fibbietta in osso, purtroppo in giacitura secondaria, che non trova, al momento, confronti in altri contesti ma evidentemente deposta dopo il XIV secolo a corredo di una deposizione entro la cassa litica (RP 191/1-2, fig. 19). Le cronologie dei materiali metallici a corredo delle deposizioni suggeriscono, quindi una lunga fase d’uso della necropoli e una cronologia per la colmata della cava anteriore di oltre un secolo 104 rispetto alle ultime deposizioni relative ad essa. Ad esempio la deposizione in fossa terragna, DF 110, che restituisce elementi d’abbigliamento di XIV-XV secolo, oblitera il CF 68, pianificato, con tutta probabilità, per le DF 267 e 249 105 e già riutilizzato dalle DF 169 e 170. Analogamente la deposizione 116 di fine XIII-metà XIV secolo, definisce il terminus ante quem per una lunga sequenza di deposizioni (DF 202, 201, 296, 297). A seguito di questa lungo e denso periodo di sepolture si assiste ad una progressivo abbandono dell’area che ha come conseguenza più diretta il disuso della necropoli. In questa seconda fase di sepolture si registrano, infatti, solo 10 deposizioni in fossa terragna tagliate in un livello compatto (US 48) che restituisce un frammento di ceramica graffita con datazione di fine XVinizi XVI secolo 106. A questa data il calpestio originario (US 2) si era ormai parzialmente disgregato ma si manteneva la funzione cimiteriale del luogo e l’US 48 rappresentava il livello di frequentazione dell’area. Le fonti documentarie riferiscono che, a partire dal 1412, alle monache fu accordato il trasferimento in una nuova sede mentre queste manifestavano segni di insicurezza alla permanenza in questa parte della città fuori dalle mura e lamentavano le pessime condizioni della fabbrica conventuale. A Lapadula 2006, pp. 437-438. Il reperto non è stato rinvenuto in giacitura primaria ma ai piedi del defunto probabilmente a causa della costruzione di un muro di consolidamento, USM 81, innalzato al di sopra delle casse funerarie. 101 Lapadula 2006, p. 436, n. 5. 102 Si vedano, per esempio i contesti di Campiglia Marittima e Rocca San Silvestro in cui i tipi sono stati seriati su contesti con datazioni certe (M. Belli, Manufatti metallici: un confronto fra Rocca Pannocchieschi e Campiglia Marittima, in G.P. Brogiolo (a cura di), II Congresso Nazionale di Archeologia Medievale, Firenze 2000-2001, p. 479). 103 Per la discussione del tipo si veda C.M. Lebole Di Gangi, I manufatti metallici, in M.M. Negro Ponzi Mancino (a cura di), San Michele di Trino (VC). Dal villaggio romano al castello medievale. Ricerche di archeologia altomedievale e medievale, Firenze 1999, pp. 409-410. 104 Cfr. nota 32. 105 Lo scheletro è stato rinvenuto contratto lungo la spalletta sud del CF 68. La deposizione sembra costretta nell’angolo della cassa lapidea ancor prima che fosse decomposta per far posto ad una nuova deposizione, DF 176, che appare centrale e distesa ma anch’essa tagliata nella parte inferiore e superiore da altre deposizioni, DF 169-170 e dal taglio di un’ulteriore cassa lapidea (CF 271) anch’essa a sepoltura multipla. 106 Le produzioni graffite medievali, nell’ambito dell’Italia meridionale, non sembrano particolarmente diffuse se si eccettuano le produzioni imitanti la graffita bizantina identificate ad Otranto nel corso del XIII secolo (Exavations at Otranto II, fig. 6:19, nn. 605-610, 615-616). Al contrario un boom qualitativo e quantitativo sembra esserci, nell’ambito della produzione tra XVXVI secolo in area salentina con le produzioni di Castrignano e Manduria. La cronologia del frammento proveniente dall’US 48, pur non conservando alcun elemento diagnostico nella geometria, è graffito nelle zone d’utilizzo del verde e del giallo distinguendosi dalle protograffite pugliesi che limitavano lo sgraffio alle aree verdi nella bicromia rosso-verde. Per una lunga discussione sulle produzioni salentine ved. C. Castronuovi, S. Di Matteo, Le produzioni di ceramica graffita nel salento, «Quaderni della ceramica di Cutrofiano» IV-V 2000, pp. 11-31. Anche in ambito abruzzese le ceramiche ingobbitate e graffite, trovano la loro prima fase produttiva a partire dal XV secolo, con una bottega localizzata nella città di Castelli, per poi diffondersi, nel XVI, in altri contesti del Teramano; per un quadro delle botteghe ved. S. Pannuzi, A. Staffa, La ceramica postmedievale in Abruzzo: primi dati archeologici, «Albisola» XIX 1994, pp. 114-117. In ambito campano alla produzione graffita identificata nel castello di Salerno, probabilmente prodotta in loco, è stata assegnata una cronologia di metà XIV-inizi XV secolo (A. De Crescenzo, La ceramica graffita del Castello di Salerno, Napoli 1990). 99 100 SIRIS 9,2008 Studi e ricerche della Scuola di Specializzazione in Beni Archeologici di Matera - ISBN 978-88-7228-566-4- © · Edipuglia s.r.l. - www.edipuglia.it Un progetto diEmiliano archeologia Cruccas urbana a Matera questa data avevano già mutato la loro regola vestendo l’abito domenicano mentre il trasferimento divenne definitivo nel 1480 in favore del convento di Maria Santissima dell’Annunziata al Piano. (I.M.) Abbreviazioni bibliografiche Attività archeologica = Attività archeologica in Basilicata 1964-1977 (Scritti in onore di Dinu Adamesteanu), Matera 1980. Bianco 1986 = S. Bianco, Rinvenimenti preistorici nell’area urbana di Matera, in Matera. Piazza San Francesco d’Assisi, pp. 57-74. Bianco 1999 = S. 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Alessandro Magno e la fondazione di Alessandria nella storiografia araba medievale 5 Elisabetta Onnis Modalità di scambio tra il mondo miceneo e i territori dell’Albania e dell’Epiro 11 Laura D’Esposito, Giusj Galioto Nuove ricerche sui culti di Eraclea: l’area sacra del c.d. Vallo 35 Ute Kurz Votivi anatomici da Eraclea e la sua chora 59 Gert-Jan Burgers Ricerca e tutela del paesaggio archeologico: nuovi approcci 75 SCAVI E RICERCHE Francesco Sdao, Stefania Pascale, Paolo Rutigliano Instabilità dei versanti e controllo, mediante tecniche integrate di monitoraggio, delle frane presenti in due siti sacri del Parco Archeologico Storico Naturale delle Chiese Rupestri di Matera Rosanna Colucci, Isabella Marchetta, Massimo Osanna, Francesca Sogliani Un progetto di archeologia urbana a Matera. Ricerche preliminari per la redazione della Carta Archeologica di Matera (CAM) tra Antichità e Medioevo 87 101 SIRIS 9,2008 Studi e ricerche della Scuola di Specializzazione in Beni Archeologici di Matera - ISBN 978-88-7228-566-4- © · Edipuglia s.r.l. - www.edipuglia.it Finito di stampare nel mese di novembre 2009 da STAMPA SUD spa in Mottola per conto di EDIPUGLIA srl, Bari-S.Spirito SIRIS 9,2008 Studi e ricerche della Scuola di Specializzazione in Beni Archeologici di Matera - ISBN 978-88-7228-566-4- © · Edipuglia s.r.l. - www.edipuglia.it