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Studies in Law & Social Sciences 4 I poteri privati e il diritto della regolazione A quarant’anni da «Le autorità private» di C.M. Bianca a cura di Pietro Sirena e Andrea Zoppini 2018 L'opera è stata pubblicata grazie al contributo del Centro di eccellenza in diritto europeo "Giovanni Pugliese" dell'Università degli studi di Roma Tre. Coordinamento editoriale: Gruppo di Lavoro Elaborazione grafica della copertina: Mosquito mosquitoroma.it Impaginazione: Colitti-Roma colitti.it Edizioni: © Roma, giugno 2018 ISBN: 978-88-94376-31-9 http://romatrepress.uniroma3.it Quest’opera è assoggettata alla disciplina Creative Commons attribution 4.0 International License (CC BYNC-ND 4.0) che impone l’attribuzione della paternità dell’opera, proibisce di alterarla, trasformarla o usarla per produrre un’altra opera, e ne esclude l’uso per ricavarne un profitto commerciale. Università degli Studi Roma Tre – Dipartimento di Giurisprudenza Studies in Law & Social Sciences La collana è diretta da GUIDO ALPA • CARLO ANGELICI • ADOLFO DI MAJO • NICOLÒ LIPARI SALVATORE MAZZAMUTO •฀PIETRO RESCIGNO Coordinatore ANDREA ZOPPINI Comitato Scientifico Mads Andenas; William Burke-White; Emanuele Conte; Luca Enriques; Jorg Fedtke; Giuseppe Grisi; Andrea Guaccero; Martijn Hesselink; Francesco Macario; Giulio Napolitano; Antonio Nicita; Giorgio Resta; Giacomo Rojas Elgueta; Pietro Sirena; David A. Skeel; Noah Vardi; Anna Veneziano; Vincenzo Zeno-Zencovich. La collana Studies in Law and Social Sciences intercetta nuove frontiere nello studio del diritto italiano, del diritto di matrice europea e poi del diritto comparato e transnazionale. In questa prospettiva, ospita lavori che propongono una nuova lettura delle fonti del diritto, dei fenomeni giuridici, dei rapporti fra diritto e società, osservati sia con i tradizionali strumenti ermeneutici e sistematici del giurista, sia attraverso il prisma conoscitivo delle scienze sociali. La collana, aperta a lavori redatti anche in lingue straniere, è pubblicata su una piattaforma editoriale digitale open access. The Roma TrE-Press Studies in Law and Social Sciences Series sets itself at the crossroads of research in Italian and European law, and of comparative and transnational legal studies. It publishes groundbreaking work on legal issues, on sources of law and on the interactions between law and society. This perspective is pursued not only by using traditional tools of legal scholarship, but also through the application of the “Law and…” methodology. The series publishes studies in Italian and foreign languages and is hosted on an open access digital platform. Indice PREMESSA 1 I POTERI PRIVATI E LE FONTI DEL DIRITTO Mauro Grondona, Poteri dei privati, fonti e trasformazioni del diritto: alla ricerca di un nuovo ordine concettuale 5 Michele Spanò, Istituire o regolare? Le autorità private e la crisi della “topologia moderna” 29 I POTERI PRIVATI NEI RAPPORTI ORGANIZZATIVI Andrea Fusaro, L’autonomia organizzativa negli Enti del Terzo Settore 41 Francesco Bacchini, Indisponibilità del tipo lavoro subordinato e potere del regolamento interno nelle cooperative di produzione e lavoro 55 Alessandra Quarta, L’espulsione del socio dal partito tra risoluzione e sanzione: nuovi profili civilistici della disattivazione dell’account 79 Martina D’Onofrio, L’esportabilità della disciplina del dolo incidente a tutela del socio di minoranza danneggiato dall’abuso di potere della maggioranza 93 I POTERI PRIVATI NEI RAPPORTI FAMILIARI Antonina Astone, “L’autorità di diritto” dei genitori nel passaggio dalla patria potestà alla genitorialità responsabile 107 Gianni Ballarani, Contenuti e limiti alla autonomia privata in ambito familiare tra sussidiarietà ed esigenze di tutela degli interessi dei soggetti deboli 135 Mirzia Bianca, La buona fede nei rapporti familiari 159 Carlos Lasarte, Autonomia privata e norme imperative nelle relazioni familiari contemporanee 179 Marco Rizzuti, Che cosa rimane delle potestà familiari? 191 Antonio Vercellone, Oltre le obbligazioni naturali. Poteri privati, distribuzione, regolazione: le unioni di fatto come rapporto contrattuale 217 I POTERI PRIVATI, PERSONA E SUCCESSIONI Massimo Foglia, Autodeterminazione terapeutica e poteri della persona nella relazione di cura 245 Luigi Nonne, Fondamento sistematico, natura giuridica e disciplina della clausola penale testamentaria 263 Alberto Venturelli, Gli accordi di interpretazione del testamento 311 I POTERI PRIVATI NEI RAPPORTI CONTRATTUALI Tommaso dalla Massara, La determinazione di segmenti contrattuali da parte del terzo attraverso la lente di lettura delle autorità private: un’ipotesi di lavoro in tema di arbitraggio 353 Edoardo Ferrante, Il consenso contrattuale e le sue gradazioni: l’esempio dell’interpretazione contro l’autore della clausola 367 Francesco Longobucco, Donazione con riserva di disporre e sopravvenienze meritevoli nel rapporto: dal dogma dell’irrevocabilità alla gestione negoziale dell’effetto 409 Valerio Brizzolari - Chiara Cersosimo, Organizzazione dei rapporti commerciali tra imprese e “contratti relazionali” 433 I POTERI PRIVATI NEI RAPPORTI DI MERCATO Alberto Maria Benedetti, Il ius variandi nei contratti bancari esiste davvero? 469 Mariassunta Imbrenda, Asimmetria di posizioni contrattuali, contratto predisposto e ruolo delle Authorities 479 Andrea Nervi, Il contratto come strumento di conformazione dell’assetto di mercato 507 Federica Boncristiano, Autorità private e mercati finanziari: il caso dei portali di equity crowdfunding 529 Silvia Martinelli, L’autorità privata del provider 555 Paola Romito, Autorità e autonomia privata della pubblica amministrazione 569 Valerio Brizzolari - Chiara Cersosimo Organizzazione dei rapporti commerciali tra imprese e “contratti relazionali” Sommario: 1. Una variante del modello tradizionale: dallo scambio istantaneo (e isolato) al rapporto di durata – 2. La rilevanza del fattore temporale nel contratto – 3. segue: e della “relazione” fra i contraenti: la rilevanza socio-economica dei c.d. relational contracts – 4. Attività d’impresa e poteri privati: l’abuso della “forza” contrattuale e i “limiti” all’autonomia privata – 5. segue: Il “potere” contrattuale limitato dal legislatore: il caso dell’abuso di dipendenza economica – 6. segue: Il “potere” contrattuale limitato dalla giurisprudenza: il caso (Renault) del recesso ad nutum controllato dal giudice – 7. segue: La distribuzione del “potere” nell’organizzazione (contrattuale) della rete di imprese – 8. L’adeguamento e la rinegoziazione del contratto in presenza di sopravvenienze – 9. Conclusioni. 1. Una variante del modello tradizionale: dallo scambio istantaneo (e isolato) al rapporto di durata Fra le tante definizioni dell’autonomia negoziale è possibile muovere da quella riconducibile al fenomeno sociale, non puramente psicologico, attraverso il quale i privati si danno delle regole proprie e con esse costituiscono un “ordinamento autonomo” diretto a disciplinare le loro relazioni economico-sociali1. Se all’interno del vasto mondo dell’autonomia privata consideriamo il contratto, quale sua manifestazione più emblematica, è difficilmente controvertibile la considerazione secondo la quale l’idea di contratto sottesa alla parte generale della sua disciplina, espressa dal nostro codice civile, così come quella che fa capo alla teoria generale degli atti negoziali, ruota intorno al concetto di scambio istantaneo a prestazioni corrispettive. La volontà dei contraenti, in sede di stipulazione, acquista rilevanza centrale e assorbente: 1 C.M. Bianca, Le autorità private, Napoli, 1977, p. 2; R. Scognamiglio, Contributo alla teoria del negozio giuridico, Napoli, 2008, p. 91. 433 V. Brizzolari - C. Cersosimo le parti stabiliscono a monte, in maniera tendenzialmente completa, il regolamento dei loro interessi, per cui, laddove il contratto si rileva incapace di soddisfare la volontà espressa al momento della sua conclusione, il rimedio offerto dal codice è la risoluzione. Tale ricostruzione teorica adotta come suo prototipo il contratto di compravendita, espressione dell’“affare” secondo l’id quod plerumque accidit, punto in cui si incontrano la domanda e l’offerta di mercato2. Non vi è spazio, quindi, per il mantenimento in vita della relazione negoziale, ove il contratto si riveli incapace di realizzare il programma originariamente concordato. Questa elaborazione riflette la concezione del negozio giuridico tradizionalmente utilizzato nello studio dei rapporti patrimoniali tra privati. Lo scopo dello scambio è il trasferimento di ricchezza, lo strumento per realizzarlo il contratto ad effetti reali3. Il mercato in cui si svolge lo scambio istantaneo è tipicamente quello dei beni, all’interno del quale i contraenti s’impegnano ad acquistare o a cedere la proprietà di una cosa certa e determinata. Con riferimento ai rapporti tra imprese, il modello dello scambio istantaneo individua unicamente le operazioni commerciali occasionali tra operatori autonomi di mercato, rispetto alle quali la gestione delle sopravvenienze, al fine del mantenimento in vita del contratto, acquista rilevanza soltanto quando le parti stesse si siano preoccupate ex ante di individuare, con sufficiente precisione, le regole di gestione del rischio. Il contratto a prestazioni corrispettive ed esecuzione istantanea non appare, tuttavia, idoneo a valorizzare in modo totalizzante la negoziazione e le modalità di svolgimento degli affari tra imprenditori commerciali. Tra gli operatori di un determinato settore economico, infatti, si instaurano frequentemente relazioni sociali, prima ancora che giuridiche. Tali relazioni si formalizzano nei contratti non solo, e non tanto, per dar vita ad uno scambio episodico, ma soprattutto per predisporre un modello organizzativo. Il contratto diventa la sede in cui si dà veste esteriore alla collaborazione tra operatori economici. I contraenti non sono operatori autonomi che negoziano occasionalmente, ma soggetti legati da vincoli stabili e ben radicati, in dipendenza economica l’uno dall’altro4. Il mercato 2 F. Macario, voce Vendita. 1) Profili generali, in Enc. giur. Treccani, XXXII, Roma, 1994; G. D’Amico, La disciplina della vendita come “tipo generale” (elogio della differenziazione), in F. Macario, M.N. Miletti (a cura di), Tradizione civilistica e complessità del sistema. Valutazione storiche e prospettive della parte generale del contratto, Milano, 2006, p. 429. 3 F. Macario, Adeguamento e rinegoziazione nei contratti a lungo termine, Napoli, 1996, p. 57. 4 G. Amadio, Il terzo contratto. Il problema, in G. Gitti, G. Villa (a cura di), Il terzo 434 Organizzazione dei rapporti commerciali tra imprese e “contratti relazionali” di riferimento è quello del commercio integrato e lo strumento negoziale “tipico” è quello dei contratti distribuzione5. La struttura del contratto traslativo, pertanto, è idonea a raffigurare solo una parte delle transazioni del mercato. La logica dello scambio istantaneo presuppone che le parti abbiano interessi contrapposti e utilizzino il contratto come strumento di composizione e regolamentazione dei lori interessi. Tuttavia, laddove sia individuabile una relazione stabile tra imprese, queste potrebbero voler perseguire uno scopo comune e usare il contratto come strumento di pianificazione della propria attività economica. La logica del puro scambio pare cedere il posto a quella associativa: il contratto non appare più solamente un veicolo di massimizzazione dell’utilità del singolo operatore, ma uno strumento per raggiungere il risultato economico comune a più contraenti. I rapporti contrattuali tra imprese testimoniano il tramonto della società in cui i soggetti economici si obbligano reciprocamente secondo le regole proprie di etica individuale e denotano l’affermazione della cooperazione per scopi condivisi6. Data la collaborazione itinerante tra le imprese contraenti, una volta concluso il contratto associativo, non sarà più possibile scindere l’atto negoziale dall’attività che ne costituisce l’esecuzione, in quanto, per sua natura, destinato ad esplicare effetti per tutto il tempo di durata della “relazione sociale”7. L’affermazione della validità giuridica dei contratti a lungo termine è un’acquisizione piuttosto recente, specchio di un’evoluzione sociale, e poi giuridica, comune a diversi ordinamenti8. Ove sia necessario ripetere nel tempo, per esigenze imprenditoriali, la stessa operazione commerciale, non è agevole concludere tanti contratti quanti sono i casi in cui è necessaria quella prestazione, ma piuttosto addivenire ad un unico “affare”, suscettibile di subire variazioni per quanto concerne l’entità del dovuto e le modalità di adempimento. Completato il processo di industrializzazione, tra fine Ottocento e inizio Novecento, gli ordinamenti giuridici prendono atto di tali esigenze imprenditoriali, esigenze che avrebbero potuto essere soddisfatte soltanto contratto, Bologna, 2009, p. 10. 5 G. Santini, Il commercio. Saggio di economia del diritto, Bologna, 1979, p. 117 ss.; R. Pardolesi, I contratti di distribuzione, Napoli, 1979, passim. 6 F. Wieacker, Industriegesellschaft und Privatrechtsordnung, Frankfurt a. M.,1974, trad. it., Diritto privato e società industriale, Napoli, 1983, p. 37. 7 P. Ferro-Luzzi, I contratti associativi, Milano, 2001, p. 322. 8 R. Zingarelli, voce Somministrazione (Contratto di), in D.I., XXII, I, Torino, 1899, p. 22 ss. 435 V. Brizzolari - C. Cersosimo attraverso programmi negoziali a lungo termine, caratterizzati dalla flessibilità del regolamento d’interessi. Ne consegue il superamento della prevalenza della causa di scambio su quella di durata e, quindi, il riconoscimento della validità delle prestazioni ripetute nel tempo, rispetto alle quali è meno visibile, almeno in via immediata, il nesso tra una prestazione e l’altra9. Con riferimento specifico all’Italia, il superamento della visione atomistica dello scambio e il progressivo riconoscimento delle specificità dei contratti di durata può individuarsi nel periodo compreso tra l’entrata in vigore del codice del commercio del 1882 e quella del codice unificato del 1942. Il mutamento della sensibilità giuridica è rappresentato emblematicamente dal contratto di somministrazione, che, distinguendosi dalla compravendita, diventa il modello negoziale tipico dei contratti d’impresa, a carattere continuativo e duraturo, utilizzabile nel mercato delle materie prime, quanto in quello della distribuzione finale10. Il nucleo centrale del contratto di somministrazione era individuabile nella ripetizione delle prestazioni determinate in sede di stipulazione. In tale prospettiva, però, al contratto di durata non si conferiva ancora una propria autonoma rilevanza, poiché l’elemento temporale appariva solo come una modalità di adempimento delle prestazioni scambiate. Il contratto di somministrazione rientrava, nella classificazione del codice del commercio del 1882, nei c.d. atti obbiettivi di commercio e ricorreva solo laddove l’imprenditore avesse assunto la somministrazione11. Si guardava, pertanto, non alle peculiarità giuridiche del tipo negoziale, ma all’elemento empirico della reiterata fornitura da parte dell’impresa. Sembrava muoversi nuovamente intorno all’idea dello scambio, o meglio di tanti scambi ripetuti nel corso del rapporto contrattuale. Siffatta impostazione era stata, del resto, resa esplicita in ambito europeo dal § 984 dell’Allgemeines Landrecht prussiano (ALR) del 1794, secondo il quale ad ogni prestazione effettuata in esecuzione del contratto di somministrazione era applicata la disciplina della vendita12. Con l’entrata in vigore del codice del 1942, la somministrazione è stata “autonomizzata” dalla compravendita, qualificata normativamente quale 9 M. Granieri, Il tempo e il contratto. Itinerario storico-comparativo sui contratti di durata, Milano, 2007, p. 90 ss. 10 P. Boero, La somministrazione, in G. Cottino (a cura di), Contratti commerciali, in Tratt. dir. comm. Galgano, XVI, Padova, 1991, p. 237 ss.; R. Pardolesi, I contratti di distribuzione, cit., p. 237 ss. 11 Art. 3, n. 6, c. comm. 1882: “La legge reputa atti di commercio: […] Le imprese di somministrazioni”. 12 R. Mossa, Il contratto di somministrazione, Cagliari, 1914, p. 17. 436 Organizzazione dei rapporti commerciali tra imprese e “contratti relazionali” fattispecie contrattuale con causa di durata, e non di scambio, avente ad oggetto obbligazioni ad esecuzione continuata o periodica (art. 1559 c.c.)13. La durata è indice delle necessità del somministrato, il cui bisogno influenza l’organizzazione della produzione e rende necessaria la ripetizione o la continuazione delle prestazioni. L’interesse duraturo per la prestazione della controparte ai fini del soddisfacimento di un bisogno durevole è elevato a causa autonoma della somministrazione, la quale si presta a divenire il prototipo di contratto di durata. Il discrimen tra la vendita a consegne ripartite e la somministrazione sta proprio nell’unicità della prestazione, la cui esecuzione viene frazionata a fronte dell’autonomia delle prestazioni oggetto del contratto di somministrazione che, seppur connesse, vengono eseguite ad intervalli periodici14. Attraverso il contratto di somministrazione, quindi, il tempo entra nella struttura del contratto come elemento funzionale e carattere distintivo. La ripetitività delle prestazioni oggetto di contratto evidenza l’importanza relazionale nella fattispecie. Data la rilevanza del rapporto per l’attività svolta dalle imprese contraenti, il legislatore ha opportunamente previsto che l’inadempimento di una sola delle prestazioni è causa di risoluzione del contratto solo se di notevole importanza e tale da menomare il rapporto fiduciario tra le parti (art. 1564 c.c.). La natura commerciale del vincolo negoziale, destinato a protrarsi per un periodo di tempo, implica che la determinazione delle prestazioni corrispettive non può che essere approssimativa, divenendo cogente solo nel corso della relazione, man mano che i bisogni vengono identificati e quantificati dalle parti contraenti. La validità del contratto di durata, quindi, prescinde dall’esatta individuazione dell’entità delle prestazioni al momento di conclusione del contratto e, pertanto, dal requisito della determinatezza assoluta dell’oggetto contrattuale15. Se nello scambio istantaneo, espresso tipicamente dalla compravendita, è agevole individuare le prestazioni oggetto del contratto medesimo e il momento della loro esecuzione, nei rapporti tra imprese, le parti, spesso, non sono in grado di determinare a priori l’entità delle prestazioni a cui saranno tenute nel corso del rapporto. Può accadere che il fabbisogno delle imprese muti, cosicché l’unità di misura che scandisce l’utilità dei contraenti all’interno della relazione negoziale si individua nel tempo. 13 M. Granieri, Il tempo e il contratto. Itinerario storico-comparativo sui contratti di durata, cit., p. 108. 14 Cass., 30 marzo 1951, in Foro it., Rep. 1951, voce Somministrazione, n. 2; Trib. Napoli, 16 luglio 1968, in Riv. giur. idrocarburi, 1968, p. 376. 15 M. Granieri, Il tempo e il contratto. Itinerario storico-comparativo sui contratti di durata, cit., p. 114. 437 V. Brizzolari - C. Cersosimo I contratti di durata e la loro utilizzazione preminente nell’ambito delle attività commerciali comportano particolari problematiche con riferimento alle sopravvenienze, le quali incidono sull’equilibrio contrattuale, a svantaggio di una o di entrambe le parti. Il rimedio della risoluzione non appare idoneo a tutelare l’interesse dei contraenti al mantenimento del rapporto, ritenuto vitale per l’esercizio della loro attività imprenditoriale. Lo strumento della rescissione è parimenti inidoneo a soddisfare tale esigenza, in quanto presuppone una sproporzione originaria, ossia a monte del sinallagma, che si suole etichettare come vizio genetico. I contratti di durata, in sostanza, impongono la gestione del rischio di squilibrio in corso d’opera, attraverso il ricorso a rimedi diversi rispetto a quelli tradizionali, individuati nel codice civile. In tale contesto, si inserisce l’intervento del nostro legislatore in materia di subfornitura (l. 192/1998), il quale ha introdotto, come strumento di garanzia dell’equilibrio contrattuale, il divieto di abuso di dipendenza economica nei rapporti tra imprese (art. 9), previsione normativa elevata negli ultimi anni dalla giurisprudenza a vera e propria clausola generale dei rapporti business to business16. Nella disciplina dei contratti oggi appaiono, quindi, individuabili tre diversi regimi normativi, a seconda che il modello negoziale di riferimento sia qualificabile come contratto di adesione, contratto di consumo o contratto discrezionale17. Suddetta tripartizione è evidente nei codici che hanno, di recente, proceduto all’unificazione del diritto privato e commerciale (ad esempio il codice civile brasiliano del 2003 e il codice civile e commerciale argentino del 2015), accorpando nella medesima sede disposizioni dirette a disciplinare rapporti contrattuali caratteristici del mondo degli affari e 16 V. per tutti F. Macario, Genesi, evoluzione e consolidamento di una nuova clausola generale: il divieto di abuso di dipendenza economica, in Giust. civ., 2016, p. 509 ss. Sul punto amplius infra par. 5. In giurisprudenza, invece, si segnalano Cass., 18 settembre 2009, n. 20106, in Foro it., 2010, I, c. 85, con nota di R. Pardolesi, Cass., 15 febbraio 2007, n. 3462, in Dir. trasp., 2007, p. 871; Trib. Trieste, 21 settembre 2006, in Foro it., 2006, I, c. 3513, con nota di A. Palmieri; Trib. Isernia, 12 aprile 2006, in Giur. mer., 2006, p. 2149, con nota di L. Delli Priscoli; Trib. Trieste, 20 settembre 2006, in Corr. mer., 2007, p. 178, con nota di E. Battelli; Trib. Torre Annunziata-Castellammare di Stabia, 30 marzo 2007, in Giur. mer., 2008, p. 341; Trib. Vercelli, 14 novembre 2014, in Foro it., 2015, I, c. 3344; App. Milano, 15 luglio 2015, in Giur. it., 2015, p. 2665; Trib. Massa, 26 febbraio 2014 e (con conferma, in sede di reclamo) 15 maggio 2014, in Nuova giur. civ. comm., 2015, I, p. 218; Trib. Roma, 5 febbraio 2008, in Giur. mer., 2008, 9, p. 2248; Trib. Catania, 5 gennaio 2004, in Danno e resp., 2004, p. 424, con nota di A. Palmieri; Trib. Roma, 5 novembre 2003, in Riv. dir. comm., 2004, II, p. 1, con nota di Ph. Fabbio. 17 A. Parise, The Argentinian Civil and Commercial Code (2015): Igniting Third Generation of Codes in Latin America, in Zeitschrift für Europäisches Privatrecht, 2017, p. 639. 438 Organizzazione dei rapporti commerciali tra imprese e “contratti relazionali” disposizioni volte a regolare rapporti estranei alle logiche d’impresa18. Gli schemi contrattuali business to business tipizzati dai codici civili di c.d. terza generazione non sono altro che i modelli contrattuali sviluppatisi, sotto la vigenza dei codici ottocenteschi, nel processo di c.d. decodificazione e costituiscono le risultanze della prassi e delle consuetudini mercantili, delle leggi speciali statali quanto delle convenzioni internazionali (Convenzione di Vienna sulla vendita internazionale di beni mobili (CISG) del 1980; Principi dell’UNIDROIT sui contratti commerciali internazionali) e dei progetti transnazionali di unificazione del diritto dei contratti (Principles of European Contract Law; McGregor Contract code; Draft Common Frame of Reference)19. Proprio la rilevanza degli schemi negoziali a lunga durata nella regolamentazione dei rapporti economici ha giustificato l’allontanamento dei codici di ultimissima generazione dal modello contrattuale “classico”20. In particolare, il codice civile e del commercio argentino, entrato in vigore il primo agosto 2015, ha dedicato l’art. 1101 ai contratti di lunga durata, prevedendo che “en los contratos de larga duración el tiempo es esencial para el cumplimiento del objeto, de modo que se produzcan los efectos queridos por las partes o se satisfaga la necesidad que las indujo a contratar. Las partes deben ejercitar sus derechos conforme con un deber de colaboración, respectando la reciprocidad de las obligaciones del contrato, considerada en relación a la duración total. La parte que decide la rescisión debe dar a la otra la oportunidad razonable de renegociar de buena fe, sin incurrir en ejercicio abusivo de los derechos”. Il legislatore argentino, prendendo atto che i rapporti contrattuali duraturi nel tempo necessitano spesso la rideterminazione del loro contenuto, in ragione dei cambiamenti tecnologici e dell’andamento variabile dei prezzi, ha codificato sia l’obbligo di rinegoziare, che il divieto di esercizio abusivo del diritto. In particolare, si è cercato di offrire tutela a tutte quelle relazioni contrattuali che implicano degli investimenti per le parti contraenti, i quali possono essere ammortizzati solo dopo che sia trascorso un certo periodo di tempo. 18 M. Boretto, Los llamados “contratos de distribución” en el Código civil y comercial, in La Ley, 6 novembre 2014, p. 1. 19 D. Corapi, L’unificazione del codice di commercio e del codice civile in Brasile, in A. Calderale (a cura di), Il nuovo codice civile brasiliano, Milano, 2003, p. 3 ss.; B. Scotti, M. Brodsky, Los clásicos problemas del Derecho Internacional Privado relativos al Derecho aplicable en el nuevo Código Civil y Comercial, in En Letra, 2014, 1, p. 79, spec. p. 83; J.M. Gastaldi, Los contratos en general, in J.C. Rivera, Comentarios al Proyecto de Código Civil y Comercial de la Nación 2012, Buenos Aires, 2012, p. 524. 20 Sul nuovo codice brasiliano v. A.P. Monteiro, Erro e teoria da imprevisão, in A. Calderale (a cura di), Il nuovo codice brasiliano, cit., p. 66 ss. 439 V. Brizzolari - C. Cersosimo L’obbligo di rinegoziare e, quindi, di mantenere fermo il contratto, seppur rivisitandone il contenuto, si pone in alternativa al recesso unilaterale del contraente svantaggiato (rescisión) e ha lo scopo di ripristinare l’equilibrio del sinallagma, in caso di sopravvenuta sproporzione, nel rispetto della buona fede e senza che la parte contrattuale “forte” abusi della sua posizione dominante21. É evidente l’allontanamento dall’idea ottocentesca di contratto, inteso quale “ley misma para las partes”22, e l’approdo ad una visione flessibile dell’”affare”. Flessibilità specchio del dinamismo dei rapporti commerciali, il cui contenuto è fisiologicamente sottoposto a rinegoziazioni, ogniqualvolta si registri un mutamento degli elementi esterni determinanti per la contrattazione (variabilità dei prezzi e dei costi dei servizi; mutamenti tecnologici ed istituzionali)23. 2. La rilevanza del fattore temporale nel contratto In termini generali si può dire che non esiste contratto rispetto al quale il fattore temporale non acquisti rilievo. Tutte le attività umane, anche quelle giuridiche, utilizzano come loro coordinate il tempo e la spazio24. Il tempo, in particolare, si atteggia ad unità di misura degli interessi degli individui; conseguentemente, in tutti i rapporti contrattuali, anche ove si concretizzino in uno scambio istantaneo, è riscontrabile un lasso temporale tra la conclusione del contratto e la sua esecuzione25. Il tempo è elemento caratterizzante la funzione del contratto, nel senso che il raggiungimento del risultato negoziale realizza l’interesse delle parti nella misura in cui vengano rispettate le modalità temporali pattuite. Nella disciplina codicistica delle obbligazioni e dei contratti, il dato temporale è specchio della realizzazione dello scopo negoziale, ove l’esecuzione avvenga in un determinato momento o entro un termine prestabilito, o, infine, per un certo periodo. Nel primo e nel secondo 21 J. C. Rivera, G. Medina, Código civil y comercial de la Nación comentado, III, Buenos Aires, 2017, p. 520. 22 Così l’art. 1197 c.c. argentino del 1871, riprendendo un’espressione del Codice Napoleone; A. Chaneton, Historia de Vélez, Buenos Aires, 1969, p. 433. 23 R.L. Lorenzetti, Tratado de los Contratos, I, Buenos Aires, 2003, p. 120. 24 G. Saraceni, Il tempo nel diritto, in Iustitia, 2003, p. 461; F. Santoro Passarelli, Dottrine generali del diritto civile, 9a ed., Napoli, 1989, p. 111; M. Granieri, Il tempo e il contratto. Itinerario storico-comparativo sui contratti di durata, cit., p. 32. 25 M. Allara, Le nozioni fondamentali del diritto civile, Milano, 1958, p. 257; F. Macario, Adeguamento e rinegoziazione nei contratti a lungo termine, cit., p. 90. 440 Organizzazione dei rapporti commerciali tra imprese e “contratti relazionali” caso, i contraenti saranno soddisfatti qualora l’adempimento si verifichi nell’arco o entro il tempo stabilito; nel terzo caso, invece, la soddisfazione è correlata all’esecuzione continuativa delle prestazioni, secondo le modalità previamente concordate dalle parti. In quest’ultima ipotesi ciò che importa è, pertanto, la regolare e duratura attività dei contraenti26. Il contratto di durata, quindi, si differenzia dallo scambio a esecuzione istantanea e dal contratto sottoposto a termine, in quanto lo svolgimento del rapporto per un tempo più o meno lungo è funzionalmente connesso all’interesse delle parti alla continuità dell’esecuzione. Il perdurare nel tempo del rapporto contrattuale comporta l’individuazione della durata quale elemento fondamentale della relazione negoziale e, pertanto, delle prestazioni corrispettivamente scambiate. Il sinallagma deve, conseguentemente, trovare tutela, indipendentemente dal fatto che l’adempimento continuativo si realizzi tramite una serie di prestazioni che potrebbero costituire oggetto di autonome obbligazioni ad esecuzione immediata. È la durata del contratto a fungere da misura dell’interesse delle parti. La situazione non cambierebbe ove le parti stipulassero, anziché un solo contratto, una pluralità di atti tra loro collegati. L’interesse dei contraenti dovrebbe ritenersi sempre unitario, per cui le prestazioni oggetto dei successivi negozi, dato il limite insuperabile dell’unitarietà del rapporto, non potrebbero considerarsi autonome. Accanto a rapporti giuridici elementari, caratterizzati dalla relazione reciproca tra un singolo diritto e un singolo obbligo, sarebbero individuabili, quindi, rapporti giuridici complessi, in cui si intrecciano molteplici situazioni singole, ognuna delle quali rappresenta soltanto una parte rispetto al tutto27. In particolare, ricostruendo la fisionomia sottostante ad alcune complesse operazioni commerciali, è possibile scorgere una pluralità di singole fattispecie negoziali, tutte avvinte da un legame di reciproca interdipendenza28. La valutazione della natura obiettiva dell’affare e del programma economico ad esso sotteso permette spesso di cogliere il collegamento negoziale tra più atti. Il soddisfacimento degli interessi delle parti è subordinato, in tal caso, all’esecuzione complessiva dell’operazione, che si svolgerà in un lasso di tempo apprezzabile e nell’auspicato rispetto reciproco della buona fede. Nei contratti, soprattutto quelli tra imprese, il tempo acquista, quindi, 26 F. Macario, Sopravvenienze e gestione del rischio, in G. Gitti, G. Villa (a cura di), Il terzo contratto, cit., p. 179 ss.; S. Sangiorgi, Rapporti di durata e recesso ad nutum, Milano, 1965, p. 19; G. Oppo, Contratti di durata, in Riv. dir. comm., 1943, p. 174. 27 A. Falzea, La condizione e gli elementi dell’atto giuridico, Milano, 1941, p. 200. 28 C. Scognamiglio, Dal collegamento negoziale alla causa di coordinamento, in P. Iamiceli (a cura di), Le reti di imprese e i contratti di rete, Torino, 2009, p. 65. 441 V. Brizzolari - C. Cersosimo importanza centrale, in quanto elemento da cui dipende il perseguimento degli obiettivi, in primo luogo quelli imprenditoriali. Gli interessi degli operatori commerciali, specie se di particolare rilievo economico, non possono essere realizzati se non attraverso un rapporto prolungato, durante il quale le parti sono vincolate ad adempiere alle reciproche prestazioni. Elemento caratterizzante tali contratti è proprio la reiterazione o prosecuzione dell’esecuzione, proporzionale e funzionale al fabbisogno economicoimprenditoriale di ciascuna parte, così come dedotto in contratto. La giuridicità del tempo dipende, quindi, dal suo essere funzionale allo svolgimento e alla conservazione della “relazione” tra le imprese contraenti. Dell’importanza del fattore temporale nelle dinamiche imprenditoriali è consapevole il nostro legislatore, che, negli ultimi anni, ha offerto alle imprese schemi e “rimedi”, attraverso i quali gestire i rapporti contrattuali duraturi nel tempo. In particolare, all’art. 9 della disciplina in materia di subfornitura (l. 132/1998) introduce il divieto di abuso di dipendenza economica in quelle situazioni che possono ricondursi all’idea di long-term relationship29; il d.lgs. 231/2002 sui ritardi nei pagamenti nelle transazioni commerciali sanziona con la nullità tutti i contratti conclusi tra imprenditori che comportano la consegna di merci o la prestazioni di servizi contro il pagamento di un prezzo, rispetto ai quali l’accordo sulla data del pagamento o sulle conseguenze del mancato pagamento, risulti gravemente iniquo in danno al creditore (art. 7); la legge che regolamenta il franchising (l. 129/2004) individua in tre anni la durata minima del contratto, considerato quest’ultimo il tempo minimo affinché il franchisee ammortizzi i costi di affiliazione (art. 3); la disciplina dei contratti di rete, contenuta nella l. 33/2009, valorizza, a sua volta, l’elemento temporale in quanto solo nel lungo-medio periodo possono apprezzarsi i vantaggi della “capacità innovativa” e della “competitività sul mercato” del reticolato di imprese. 3. segue: e della “relazione” fra i contraenti: la rilevanza socio-economica dei c.d. relational contracts Data l’essenzialità che assume il fattore temporale, i contratti di durata devono essere sempre analizzati alla luce del momento storico e del contesto 29 F. Bartolini, Il recesso nelle reti contrattuali, in P. Iamiceli (a cura di), Le reti di imprese e i contratti di rete, cit., p. 357. 442 Organizzazione dei rapporti commerciali tra imprese e “contratti relazionali” socio-economico entro cui esplicano efficacia30. Il superamento della dimensione atemporale dell’affare e l’approdo ad una visione relazionale dei rapporti contrattuali costituisce l’esito della riflessione scientifica di un gruppo di giuristi ed economisti nordamericani, a cui si deve l’elaborazione della teoria dei contratti relazionali. Il modello contrattuale elevato a paradigma della visione classica del diritto privato dell’economia è costituito dalla c.d. discrete transaction, atto “isolato” e dunque, in un certo senso, separato dall’ambito spaziotemporale entro cui si colloca, rispetto al quale, sul presupposto dell’assenza di “fallimenti di mercato”, non si ravvisa l’esigenza di disciplinare il rischio di squilibrio, in corso d’opera, tra le prestazioni. Tali transazioni presentano un inizio e una fine esattamente individuati, si fondano sullo scambio istantaneo e permettono che l’interesse dell’operatore economico venga soddisfatto di volta in volta, con tutti i costi che ne comporta, attraverso una nuova contrattazione31. In tale prospettiva, il rischio resta a carico del venditore o del preponente e non ricade sull’acquirente o sull’agente. La logica del rapporto contrattuale muove intorno all’adempimento. Pertanto, ove questo non si verifichi, la parte adempiente può chiederne la risoluzione e concludere un nuovo affare con un operatore più diligente32. Soltanto il modello dell’economia neoclassica ha consentito l’elaborazione di rimedi giuridici per i casi di errore o d’impossibilità della prestazione. Tali strumenti, tuttavia, non sono stati pensati allo scopo di mantener salda, seppur con la rinegoziazione opportuna, la relazione contrattuale, ma quali veicoli di ripartizione equitativa delle sopravvenienze tra le parti33. La visione formalistica e dogmatica del contratto subisce le prime scalfitture solo nel momento in cui la negoziazione inizia ad essere studiata con un approccio empirico, attraverso l’ausilio di discipline estranee all’impianto formalistico del diritto, quali l’economia e la sociologia34. Così 30 G. Gottlieb, Relationism, Legal Theory for a Relational Society, in 50 University of Chicago Review (1983), p. 569. 31 I.R. Macneil, Economic Analysis of Contractual Relations: Its Shortfalls and the Need for a “Rich Classificatory Apparatus”, in 75 Northwestern University Law Review (1981), p. 1027; F.S. Nisio, Jean Carbonnier, Torino, 2002, p. 86 ss. 32 R.D. Cooter, M.A. Eisenberg, Damages for Breach of Contracts, in 73 California Law Review (1985), p. 1432. 33 I.R. Macneil, Contracts: Adjustment of Long-Term Economic Relations Under Classical, Neoclassical and Relational Contract Law, in 72 Northwestern University Law Review (1977-1978), p. 905. 34 D. Campbell (ed.), The relational theory of contract: selected works of Ian Macneil, London, 2001. 443 V. Brizzolari - C. Cersosimo procedendo, si ravvisa che i rapporti commerciali vengono disciplinati più in ragione della prassi che della norma giuridica statale che ne detta la regolamentazione35. La dottrina dei contratti relazionali muove dal concetto sociologico di scambio, inteso quale sinonimo di relazione e definisce il contratto come un articolato, complesso risultato della combinazione di vari elementi: la specializzazione del lavoro, la necessità dello scambio e la libertà di scelta dei contraenti. Alla base della scelta degli operatori di mercato v’è il fattore temporale, per cui appare più conveniente l’una o l’altra scelta a seconda del sistema di ordine, di pagamenti e di coercizione degli impegni vigente in un dato contesto spazio-temporale36. L’aspetto più innovativo della teoria dei relational contracts è dato dal superamento del dogma neoclassico del consenso, secondo cui il contratto è il luogo in cui viene cristallizzato l’accordo tra le parti, quale sintesi delle volontà individuali. Nella prospettiva “relazionale”, il contratto non è né l’inizio, né il termine di un percorso, ma un semplice strumento che concorre alla definizione della relazione tra due o più soggetti. In tal senso, la regolamentazione contrattuale non può essere considerata la fonte esclusiva o principale del rapporto, ma soltanto un elemento che concorre alla sua definizione. Il legame tra le parti viene inciso da continui condizionamenti esterni e interni, che ne impongono, in punto di fatto, costanti aggiustamenti per il suo mantenimento in vita (rectius: per la sua esecuzione e prosecuzione). Pertanto, se nella prospettiva dell’economia classica e neoclassica i rimedi costituiscono un’imposizione eteronoma da parte dell’ordinamento, per la teoria relazionale la contrattazione tra le parti prosegue ininterrottamente allo scopo di garantire l’equilibrio costante tra le prestazioni. Espressione emblematica dei contratti relazionali sono le transazioni del commercio “integrato”, in cui i protagonisti del mercato non sono contraenti occasionali, bensì operatori commerciali interessati all’instaurazione di vincoli stabili e duraturi. È del tutto innegabile la distanza dei contratti di questo tipo dal modello del contratto a effetti reali, quale atto dispositivo della ricchezza e negozio giuridico bilaterale perfetto, che assicura la reciprocità e la corrispettività. Quando il mercato si organizza in funzione non soltanto dello scambio 35 S. Macaulay, Non-Contractual Relations in Business: A Preliminary Study, in 28 American Sociological Review (1963), p. 55; S. Macaulay, The Use and Non-Use of Contracts in the Manufacturing Industry, in 9 Practical Lawyer (1963), p. 13. 36 M. Granieri, Il tempo e il contratto. Itinerario storico-comparativo sui contratti di durata, cit., p. 50 ss. 444 Organizzazione dei rapporti commerciali tra imprese e “contratti relazionali” di beni, ma anche e soprattutto della circolazione dei servizi, il modello classico di contratto si presenta idoneo a rappresentare solo una fetta delle transazioni commerciali, dovendo gli operatori ricorrere necessariamente a strutture negoziali che permettano la pianificazione dell’attività d’impresa per la realizzazione di risultati socio-economici comuni. Superata la visione del contratto come puro scambio teso alla massimizzazione dell’utilità individuale di ciascuna parte e dotato di completa autonomia rispetto alle altre relazioni intercorrenti tra i soggetti di mercato, la dottrina dei relational contracts muove fondamentalmente da due presupposti: 1) lo scambio acquista valore solo all’interno di un contesto specifico, denotato dalla comunità entro cui è posto in essere e dai rapporti tra coloro che vi operano; 2) lo scambio acquista forma grazie ad elementi pensati in termini di specificità, perché legati ad un contesto specifico. Tale impostazione, di carattere prevalentemente e, comunque, prima facie sociologica dello scambio implica la coercibilità del patto su cui l’affare si fonda, la rilevanza dei mezzi di comunicazione in cui lo scambio si esprime e, infine, la consapevolezza dei contraenti circa gli effetti che deriveranno dallo scambio37. Ogni rapporto contrattuale si colloca all’interno di relazioni complesse ed è comprensibile solo in relazione agli elementi esterni che concorrono ad influenzarlo. A differenza delle discrete transactions, transazioni commerciali isolate e ad effetto istantaneo, i c.d. relational contracts si caratterizzano per la ricerca della continuità della relazione tra le parti, le quali, pur perseguendo interessi individualistici, ossia di massimizzazione del proprio interesse, condividono il comune obiettivo di instaurare e mantenere una collaborazione duratura. Conseguenza inevitabile di tale continuità è, pertanto, l’insostituibilità della parte contrattuale, con la quale si crea un rapporto di natura fiduciaria, caratterizzato dalla solidarietà reciproca, che appare più affine alla logica del contratto associativo che non a quello di puro scambio38. In quanto contratto di lunga durata, il contratto relazionale è, per sua natura, flessibile. Flessibilità che si può manifestare nei più disparati elementi del rapporto contrattuale: dall’oggetto, all’adesione di altre parti, alle diverse modalità esecutive. Fondamentali, quindi, nella configurazione del genus contratti relazionali, appaiono: la reciprocità, per cui gli atti e le attività a beneficio di altri produrranno un vantaggio anche per l’agente, e la solidarietà, ovvero l’affidamento verso altri, nei limiti di quanto necessario 37 F. Macario, Adeguamento e rinegoziazione nei contratti a lungo termine, cit., p. 58 ss.; I.R. Macneil, The New Social Contract: An Inquiry Into Modern Contractual Relations, New Haven, 1980, p. 6. 38 P. Ferro-Luzzi, I contratti associativi, cit., p. 319. 445 V. Brizzolari - C. Cersosimo ai fini della continuazione del rapporto39. A livello empirico i contratti relazionali trovano esplicazione nei rapporti contrattuali a lungo termine. Le indagini sociologiche di mercato mostrano come il processo di programmazione contrattuale giochi un ruolo soltanto marginale nelle relazioni d’affari di un certo spessore economico, spesso formalizzate in contratti di lunga durata, e, pertanto, si risolvono unicamente in una pianificazione scarna e approssimativa. Le parti muovono dalla consapevolezza che, in ragione dei mutamenti a loro interni (ad esempio il mutamento del fabbisogno imprenditoriale) o esterni (variabilità dei costi, innovazioni tecnologiche) sia impossibile programmare, in maniera compiuta, ex ante, lo sviluppo del rapporto destinato a protrarsi per un lasso di tempo apprezzabile40. A fronte di ciò, i contratti di durata impongono all’ordinamento un’evoluzione delle tecniche di gestione del contratto, l’individuazione di strumenti idonei a consentire il riassetto delle condizioni negoziali in caso di mancata esecuzione delle prestazioni, sia per il caso d’inadempimento di un contraente che per qualsiasi altra causa41. L’applicazione della teoria relazionale ai contratti di durata impone, quindi, un mutamento di prospettiva nello studio del fenomeno della negoziazione nel suo complesso. Tale cambiamento comporta l’abbondono di una serie di dogmi in materia contrattuale e la segnalazione dell’esistenza di una soluzione di continuità del diritto dei contratti, specchio, a sua volta, della continuità delle relazioni tra imprese nella prassi commerciale42. Il tema dei contratti relazionali sembra potersi oggi presentare, ad esempio, nell’analisi delle conseguenze della c.d. Brexit sui contratti (specialmente se transazionali tra imprese). In particolare, ci si potrebbe chiedere che effetti avrà il divorzio tra il Regno Unito e l’Unione Europea sui contratti di lunga durata stipulati tra imprese britanniche e imprese con sede legale nel territorio degli Stati membri dell’Unione. L’uscita del Regno Unito dal mercato unico, con la conseguente introduzione di tariffe 39 I.R. Macneil, Barriers to the idea of relational contracts, 1987, in D. Campbell (ed.), The relational theory of contract: selected works of Ian Macneil, cit., p. 32. 40 T.M. Palay, Comparative Institutional Economics: The Governance of Rail Freight Contracting, in 13 The Journal of Legal Studies (1984), p. 265; G. Gottlieb, Relationism: Legal Theory for a Relational Society, cit., p. 567. 41 G. Gottlieb, Relationalism: Legal Theory for a Relational Society, cit., p. 572; V. P. Goldberg, Price Adjustment in Long Term Contracts, in Wisconsin Law Review (1985), p. 531; Id., Relational Exchange: Economics and Complex Contracts, in 23 American Behavioral Scientist (1980), p. 337. 42 M. Granieri, Il tempo e il contratto. Itinerario storico-comparativo sui contratti di durata, cit., p. 58. 446 Organizzazione dei rapporti commerciali tra imprese e “contratti relazionali” doganali o altri tipi di misure protezionistiche, potrà compromettere le condizioni in forza delle quali tali contratti sono stati stipulati. L’evoluzione dell’apparato rimediale per il mantenimento in vita del vincolo negoziale dovrebbe, quindi, provenire dal legislatore europeo e non da quello nazionale. Con riferimento alla Brexit, si potrebbe discorrere di vera e propria sopravvenienza che esige una regolamentazione uniforme a livello transnazionale, capace di garantire, in maniera opportuna, la permanenza della relazione economica tra le parti. Regolamentazione uniforme resa necessaria in ragione delle diverse normative nazionali degli Stati membri che disciplinano l’alterazione della base negoziale43. In Spagna, ad esempio, non esiste una disciplina di diritto positivo sul punto. Il Tribunal Supremo, tuttavia, ammette la rinegoziazione nel caso di un’alterazione grave e imprevedibile dell’equilibrio contrattuale44; il § 313 BGB45, introdotto dalla legge sulla modernizzazione del diritto delle obbligazioni del 200246, invece, prevede la riformulazione delle condizioni del contratto o, in mancanza, la risoluzione47. L’art. 1467 c.c. individua la risoluzione quale primo rimedio di fronte all’eccessiva onerosità sopravvenuta delle prestazioni, salva sempre la modificazione equitativa del contratto. In Gran Bretagna, invece, si segue la c.d. doctrine of frustration, per cui 43 M.P. Weller, M.G. Casas, El déstino de los contratos de larga duración en el Brexit, in La Ley, Buenos Aires, 5 settembre 2017, p. 1-3. 44 P.S. Coderch, Alteración de circunstancias en el art. 1213 de la Propuesta de Modernizaciòn del Còdigo Civil en materia de Obligaciones y Contratos, in In Dret, 2009, 4, p. 15; Tribunal Supremo, 25 gennaio 2007; Tribunal Supremo, 27 maggio 2002; Tribunal Supremo, 17 novembre 2000; Tribunal Supremo, 15 novembre 2000; Tribunal Supremo, 3 giugno 1997; Tribunal Supremo, 29 gennaio 1996. 45 § 313 BGB, rubricato “Alterazione del fondamento negoziale”: «Se le circostanze che sono diventate il fondamento del contratto sono notevolmente mutate dopo la conclusione del contratto, e le parti non avrebbero concluso il contratto o lo avrebbero concluso con un contenuto diverso se avessero previsto questi mutamenti, può pretendersi l’adeguamento del contratto, qualora tenuto conto di tutte le circostanze del caso concreto, in particolare della distribuzione contrattuale e legale dei rischi, da una delle parti non possa pretendersi il mantenimento del contratto non modificato. Al mutamento delle circostanze è parificata l’ipotesi in cui le rappresentazioni essenziali che sono diventate il fondamento del contratto si rivelano false. Se non è possibile un adeguamento del contratto o esso non sia pretendibile da una delle parti, la parte svantaggiata può recedere dal contratto. Nei rapporti obbligatori di durata, al posto del diritto di recesso subentra il diritto di recesso.» 46 Gezetz zur Modiernisierung des Schuldrechts, 26 novembre 2001. 47 Sulla codificazione degli istituti di diritto dottrinale e giurisprudenziale del Fehlen e del Wegfall der Geschäschaftsgrundlage v. G. Cian, Significati e lineamenti della riforma dello Schuldrecht tedesco, in Riv. dir. civ., 2003, I, p. 5. 447 V. Brizzolari - C. Cersosimo o il contratto resta vigente così come negoziato a monte, oppure si risolve48. A fronte di tale diversità normativa e in mancanza di un intervento del legislatore europeo, è ipotizzabile che siano gli operatori commerciali stessi ad adoperarsi ad una rinegoziazione che tenga conto del diverso scenario economico-istituzionale entro cui dovranno trovano esecuzione i contratti stipulati. 4. Attività d’impresa e poteri privati: l’abuso della “forza” contrattuale e i “limiti” all’autonomia privata Il tempo, come visto, non è una caratteristica esclusiva e propria dei soli contratti c.d. relazionali (ammesso che si voglia riconoscere autonomia e indipendenza a tale categoria), ma può costituire, in ogni caso, un carattere specifico di tutti i contratti a lungo termine, che, per una ragione o per un’altra, si proiettano in avanti nel futuro. Tuttavia, anche nella visione più individualistica e liberalistica, rappresentata esemplificativamente dal pensiero di J. Stuart Mill, era chiaro che nessun rapporto può durare per sempre. Proprio a proposito del caso in cui le parti si impegnano a fare un qualcosa per un periodo di tempo prolungato, scriveva il celebre pensatore inglese che “[An] exception to the doctrine that individuals are the best judges of their own interest, is when an individual attempts to decide irrevocably now what will be best for his interest at some future and distant time”. La presunzione in favore del giudizio individuale, sempre secondo il pensiero del filosofo economista, è legittima solo se tale giudizio si basa sull’esperienza personale, attuale e presente. Diversamente, nessuno può validamente vincolarsi ora per il futuro, in virtù di una semplice previsione49. Il passaggio appena riportato, in un certo senso estremizzato dal contesto in cui fu elaborato - ovvero in piena rivoluzione industriale, è 48 Si discorre di frustraction of purpose nel caso in cui le circostanze sopravvenute siano tali da trasformare la prestazione (qualora eseguita) in qualcosa di radicalmente diverso da quanto pattuito, così alternando in modo sostanziale il significato dell’operazione economica inizialmente programmata (Krell v. Henry, [1903] 2 KB 74). Sulla doctrine of frustration in generale v. da ultimo la rapida e sommaria trattazione di C. Marchetti, Doctrine of frustration, in Id., R.E. Cerchia, Il contract in Inghilterra. Lezioni e materiali, Torino, 2012, p. 217 ss. 49 Tale passaggio è riportato da M.A. Eisenberg, Why there is no law of relational contracts, in 94 Northwestern University Law Review (1999-2000), p. 814 ss. 448 Organizzazione dei rapporti commerciali tra imprese e “contratti relazionali” bene specificarlo -, esprime comunque un concetto che appare indubitabile, ovvero l’impossibilità di vincolarsi per un tempo indefinito verso qualcun altro, anche nel caso di vincolo reciproco, giacché qualunque rapporto, non necessariamente di matrice giuridica, è esposto a delle variabili, spesso imprevedibili. È noto che l’ordinamento non tollera vincoli perpetui e, per tale ragione, prevede sempre una “via d’uscita”. In questa sede, tuttavia, interessano quelle variabili che possono alterare il normale svolgimento ed esecuzione del rapporto, che trova la propria fonte in un contratto. Un primo gruppo riguarda elementi per dir così “esterni”, ovvero, esemplificativamente, le c.d. sopravvenienze, tradizionalmente inquadrate nell’impossibilità e nell’eccessiva onerosità sopravvenute. È difatti assai arduo confidare nell’immutabilità delle condizioni sussistenti alla conclusione del contratto e si tratta perciò di verificare se i rimedi predisposti dal legislatore per questi “mutamenti” siano effettivamente rispondenti alle esigenze non solo delle parti, ma anche, più in generale, dell’economia, in una prospettiva di efficienza del mercato. Un secondo gruppo, invece, riguarda fattori “interni”, ossia, ad esempio, l’abuso che una parte può perpetrare nei confronti dell’altra, la quale magari abbia fatto affidamento su certe condizioni o su una certa durata del rapporto, effettuando degli investimenti specifici. A ben vedere, in una transazione che si consuma istantaneamente, è difficile immaginare che una parte s’approfitti dell’altra, anche se non è da escludere del tutto (basti pensare all’istituto della rescissione). È però nelle relazioni di durata che si corre il rischio maggiore di abusi o comportamenti opportunistici, come si vedrà meglio nel prosieguo Le due tematiche relative ai fattori interi o esterni che possono alterare la (corretta) esecuzione del contratto in un certo senso si intrecciano, essendo accomunate dal riguardare entrambe i rapporti a lungo termine, per definizione più esposti a variabili. Da molti anni, ormai, è nota l’inadeguatezza degli istituti tradizionali (rescissione, impossibilità ed eccessiva onerosità sopravvenute) a risolvere le problematiche connesse alla proiezione nel futuro dello svolgimento del rapporto50; istituti tradizionali che, d’altra parte, sono stati concepiti - e funziona(va)no perfettamente - in un sistema incentrato sullo scambio c.d. istantaneo (sul quale v. supra par. 1) e che ruota(va) tutto attorno alla filosofia magistralmente condensata dalle parole di J. Stuart Mill. Non è un caso che i rimedi introdotti progressivamente dal legislatore, 50 Per un confronto sul punto con il sistema francese v. C.L. Natali, L’abuso di dipendenza economica nel sistema italiano e francese, in Contratti, 2006, 10, p. 931. 449 V. Brizzolari - C. Cersosimo almeno in un primo momento, sono stati percepiti proprio come a carattere eccezionale e derogatorio rispetto alla disciplina di diritto comune. Esemplificativo è il caso della disciplina della subfornitura e, in particolare, dell’art. 9 l. 192/1998. In ogni caso, prima di procedere con qualche sommaria osservazione sul punto, si deve rilevare come, nell’evoluzione del pensiero giuridico recente, ci si sia resi conto che la “grande impresa” è in grado di imporre le proprie scelte non solo al singolo individuo-consumatore, bensì anche alle altre imprese, che magari da essa dipendono. 5. segue: Il “potere” contrattuale limitato dal legislatore: il caso dell’abuso di dipendenza economica La travagliata genesi della legge sulla subfornitura e dell’art. 9 nello specifico, per quanto interessante e “propedeutica” alla comprensione della ratio della legge medesima, può essere qui solo accennata, con un riferimento a uno dei maggiori problemi che si posero all’epoca, ovvero la collocazione all’interno, o meno, della normativa antitrust51. L’epilogo della vicenda è noto, ma era importante almeno menzionare la questione per comprendere che la controversia sull’abuso da parte di un’impresa rispetto all’altra (presuntivamente più debole) non costituisce mera questione tra privati, ma presenta numerosi e non trascurabili risvolti a livello di sistema e di mercato. Da un punto di vista strettamente civilistico, che rappresenta una delle tante prospettive dalla quale osservare il fenomeno, alla dottrina non è sfuggita l’opportunità di leggere la disposizione di cui all’art. 9 come portatrice di un principio più ampio, se non addirittura una vera e propria clausola generale. Inizialmente, ovvero immediatamente dopo l’avvento della legge, il divieto posto dall’art. 9 è stato applicato dalla giurisprudenza restrittivamente, ai solo contratti di subfornitura in senso stretto, ovvero quelli definibili tali ai sensi della l. 192/199852. In breve tempo, tuttavia, si è passati a una lettura 51 Per una sintesi dell’iter che ha portato all’approvazione della legge si rinvia a F. Macario, Genesi, evoluzione e consolidamento di una nuova clausola generale, il divieto di abuso di dipendenza economica, cit., p. 509 ss. Si segnala altresì il contributo di L. Renna, L’abuso di dipendenza economica come fattispecie transtipica, in Contr. e impr., 2013, p. 370 ss., spec. p. 372 ss. 52 In questo senso, Trib. Bari, 2 luglio 2002, in Foro it., 2002, I, c. 3208, con nota di A. 450 Organizzazione dei rapporti commerciali tra imprese e “contratti relazionali” più ampia della disposizione e non sono mancate, in sede giurisprudenziale, applicazioni in termini più generali ai rapporti tra imprese di natura commerciale53. D’altra parte, a ben vedere, oltre alla subfornitura, per limitarsi ai soli contratti tipici, sono molteplici gli ambiti nei quali si può realizzare l’abuso, a cominciare, ad esempio, dalla distribuzione o dal franchising. Per tale ragione, è risultato irragionevole limitare la repressione della condotta abusiva al ridotto ambito della subfornitura54. La giustificazione dell’estensione del divieto ad altre fattispecie si può spiegare in una duplice maniera. In primo luogo, i contratti a lungo termine sono, in un certo senso, terreno d’elezione delle regole di buona fede oggettiva e correttezza. In questo senso, la “generalizzazione” del divieto, per mutuare l’espressione di autorevole dottrina55, corrisponde alla più ampia tendenza, iniziata tempo addietro, a sottoporre le relazioni tra privati al rispetto della reciproca collaborazione, nonché al dovere di solidarietà di cui all’art. 2 Cost. In secondo luogo, si deve risalire alla ratio sottesa al divieto di abuso di dipendenza economica, che è stata rintracciata nella protezione e incentivazione degli investimenti specifici56. Questi verrebbero inevitabilmente scoraggiati se la parte che li intraprende non potesse contare sulla sicurezza di un rapporto contrattuale duraturo e, in definitiva, sulla possibilità non solo di recuperare l’investimento medesimo, ma anche di percepire possibilmente un utile. In breve, una giustificazione, questa, in termini di efficienza del mercato57. Palmieri, secondo cui il divieto dell’abuso di dipendenza economica si applica soltanto ai contratti di subfornitura e, derogando al principio di libertà contrattuale, conferisce al giudice poteri di natura eccezionale. 53 Nella giurisprudenza di legittimità, ad esempio, si veda Cass., 23 luglio 2014, n. 16787, in Contratti, 2015, p. 241, con nota di M. Lamicela, relativa a un contratto di importazione e distribuzione di autoveicoli. La Corte ha affermato che il divieto di abuso di dipendenza economica costituisce peculiare applicazione di un principio generale che si vorrebbe caratterizzasse l’intero sistema dei rapporti di mercato; esso può, quindi, venire in considerazione in un ambito più ampio di quello formato dalle parti del singolo contratto, per estendersi al rapporto commerciale più complesso in cui esso si inserisca, qualora proprio tramite un tale rapporto si realizzi l’abuso. 54 Cfr. in questi termini F. Prosperi, Il contratto di subfornitura e l’abuso di dipendenza economica, Napoli, 2002, p. 272 ss. 55 Il riferimento è a F. Macario, Genesi, evoluzione e consolidamento di una nuova clausola generale, il divieto di abuso di dipendenza economica, cit., p. 525. 56 R. Natoli, voce Abuso di dipendenza economica, in Dig. comm. Aggiornamento, II, Torino, 2003, p. 21, discorre di “debolezza” che si origina in seguito a un investimento che una parte ha intrapreso in vista di una futura relazione (con l’altra parte). 57 L. Renna, L’abuso di dipendenza economica come fattispecie transtipica, cit., p. 375. 451 V. Brizzolari - C. Cersosimo L’intervento legislativo sulla subfornitura, ancorché limitato (anche se oramai non più solo) a tale tipo di contratto, s’inserisce senza dubbio nell’ambito di una tendenza volta a limitare l’esercizio arbitrario dei diritti che, in astratto, sono attribuiti al committente, ma necessitano di un’indagine sulle modalità appunto dell’esercizio. La dipendenza economica, di per sé, non è una condizione da scongiurare o reprimere, tant’è che la legge punisce solo il suo abuso. Si potrebbe forse riflettere - ma questo profilo merita ulteriori approfondimenti - se il divieto in discorso possa essere annoverato tra le istanze di “giustizia contrattuale”, assieme, ad esempio, alla normativa consumeristica, o al c.d. terzo contratto, o alla protezione dell’individuo in quanto singolo58. Al di là, in ogni caso, della finalità che si vuole riconoscere all’art. 9, pare indubbio che esso rappresenti la sempre maggiore consapevolezza, da parte del legislatore, che la libertà negoziale - rappresentata dal soggetto che compie sempre scelte razionali, in quanto miglior giudice di sé stesso, secondo la visione tradizionale ottocentesca - spesso diviene, per mutuare l’espressione del Prof. Bianca, “illusoria”59, con la conseguenza che l’ordinamento deve intervenire per scoraggiare e reprimere determinate condotte. Tale intervento, tuttavia, risulta sovente incompleto o in ritardo, sicché spetta alla giurisprudenza offrire una tutela a situazioni che, altrimenti, non verrebbero adeguatamente protette. Un esempio di quanto precede è costituito dal noto caso Renault in tema di esercizio del diritto di recesso ad nutum. 6. segue: Il “potere” contrattuale limitato dalla giurisprudenza: il caso (Renault) del recesso ad nutum controllato dal giudice Il caso qui considerato non riguarda espressamente la subfornitura60, ma costituisce un esempio della sempre più diffusa tendenza al controllo 58 Su questo tema si segnala il contributo di E. Russo, Imprenditore debole, imprenditore-persona, abuso di dipendenza economica, « terzo contratto », in Contr. e impr., 2009, p. 120 ss. 59 C.M. Bianca, Le autorità private, cit., p. 89. Il Maestro esprime il concetto in relazione ai rapporti tra grande impresa e soggetto individuale, laddove quest’ultimo, per evidente disparità di potere contrattuale, è costretto a subire le condizioni impostegli. Il ragionamento può tuttavia essere applicato alla fattispecie che vede come protagonista due imprese, nella quale una si trova in una situazione appunto di dipendenza. 60 Il caso è stato deciso da Cass., 18 settembre 2009, n. 20106, cit., e riguardava il recesso ad nutum esercitato da un costruttore di automobili francese nei confronti di numerose concessionarie italiane. 452 Organizzazione dei rapporti commerciali tra imprese e “contratti relazionali” giudiziale sull’esercizio dei poteri dei privati. Il caso Renault si adatta al tema qui in analisi: da un lato, c’è il costruttore di automobili, il quale, in sede di contrattazione, si riserva il diritto di recesso ad nutum, probabilmente traendo vantaggio dalla sua posizione di grande multinazionale, imponendo così la propria scelta, per poi esercitarlo con modalità e in circostanze che saranno ritenute contrarie a certi canoni di comportamento; dall’altro, le singole concessionarie, parti “deboli” del rapporto, che prima subiscono la suddetta riserva e poi ne scontano le conseguenze. In breve, almeno con riferimento alla fase della contrattazione, quella che il Prof. Bianca qualifica nel proprio lavoro come “autorità di fatto”61. La Suprema Corte, nel decidere sulla legittimità del diritto di recesso, ha fatto largo uso dell’argomento dell’abuso del diritto62. Questo argomento in particolare ha suscitato in dottrina posizioni contrastanti e sin dai primi commenti si sono registrate opinioni favorevoli e contrarie alla soluzione della Cassazione63. Non interessa in questa sede soffermarsi sul dibattito relativo alla correttezza della decisione, potendosi comunque dar conto del fatto che essa costituisce un “tassello” di un più ampio contesto e non può (e, soprattutto, non deve) essere considerata isolatamente. In primo luogo, un’osservazione di carattere fattuale: il problema sottoposto alla Corte è tutt’altro che raro e “virtuale”. Esso, al contrario, rappresenta esemplificativamente la situazione di molte imprese, che si trovano a operare in posizione di squilibrio. Tale posizione, lo si è già rilevato, non è di per sé da reprimere, purché non venga sfruttata per 61 C.M Bianca, Le autorità private, cit., p. 55 ss. L’illustre Autore, tuttavia, non considera espressamente il caso dell’impresa “forte” e dell’impresa “debole”, ma si sofferma soprattutto sui rapporti di forza all’interno della contrattazione di massa, in cui un soggetto impone le proprie scelte a una generalità di contraenti. Il caso più esemplificativo è quello delle condizioni generali di contratto. 62 Sul tema non si può prescindere dal contributo di P. Rescigno, L’abuso del diritto, in Riv. dir. civ., 1965, I, p. 205 ss. (ora Id., L’abuso del diritto, Bologna, 1998). Si vedano, inoltre, R. Sacco, voce Abuso del diritto, in Dig. civ. Aggiornamento, VII, Torino, 2012, p. 28 ss.; S. Patti, voce Abuso del diritto, ivi, I, 1994, p. 1 ss.; C. Restivo, Contributo ad una teoria dell’abuso del diritto, Milano, 2007; C. Castronovo, Abuso del diritto come illecito atipico?, in Eur. dir. priv., 2006, p. 1051; M. Messina, L’abuso del diritto, Napoli, 2004; G. Pino, Il diritto e il suo rovescio. Appunti sulla dottrina dell’abuso del diritto, in Riv. crit. dir. priv., 2004, p. 25. 63 Tra queste si segnalano quelle di M. Orlandi, Contro l’abuso del diritto, in Riv. dir. civ., 2010, II, p. 147 ss.; e A. Palmieri, R. Pardolesi, Della serie «a volte ritornano»: l’abuso del diritto alla riscossa, in Foro it., 2010, I, c. 95. Si vedano, poi, le osservazioni di F. Macario, Recesso ad nutum e valutazione di abusività nei contratti tra imprese: spunti da una recente sentenza della Cassazione, in Corr. giur., 2009, p. 1577 ss. 453 V. Brizzolari - C. Cersosimo perpetrare un abuso. L’esperienza, tuttavia, dimostra che la regolamentazione rimessa esclusivamente ai privati - in ipotesi in grado di disciplinare il loro rapporto in ogni singola fase, compresi le c.d. sopravvenienze e lo scioglimento - è spesso insufficiente64. Difatti, per quanto il regolamento privato possa essere articolato e prevedere il maggior numero possibile di situazioni verificabili, esso può solo tendere e aspirare alla completezza65, senza tuttavia mai raggiungerla. Si potrebbe allora volgere lo sguardo alla legislazione, nel tentativo di rinvenire l’opportuna repressione per gli “abusi” in analisi. Essa è innegabilmente presente, basti pensare alla subfornitura cui si è fatto riferimento, ma numerosi altri esempi si potrebbero fare, come la normativa consumeristica, quella sul ritardo dei pagamenti e via discorrendo. Alla dottrina più accorta, tuttavia, non è sfuggito come non sia comunque possibile fare completamente e unicamente affidamento sul formante legislativo66. Procedendo allora per esclusione, sia consentita l’espressione, non rimane che affidarsi all’intervento della giurisprudenza e, più in particolare, a quel controllo giudiziale di cui il caso Renault costituisce un’applicazione. Dal 2009 in poi, ovvero successivamente a quest’ultima decisione, si sono moltiplicati gli interventi della Cassazione che si pongono sulla medesima scia67. Il modo di procedere della Corte è grossomodo sempre il medesimo, 64 Il rilievo è di F. Macario, Genesi, evoluzione e consolidamento di una nuova clausola generale, il divieto di abuso di dipendenza economica, cit., p. 534. 65 Viene qui in rilievo il tema del contratto c.d. incompleto. L’elaborazione della figura si deve alla dottrina nordamericana, in particolare a O.E. Williamson, Transaction Cost Economics: The Governance of Contractual Relations, in 242 Journal of Law & Economics (1979), p. 243. Tale espressione, come riportato da R. Natoli, voce Abuso di dipendenza economica, cit., p. 10, è stata coniata nel linguaggio economico e riassume l’assunto di base per il quale nessun contratto può prevedere in anticipo gli sviluppi del mercato; ogni contratto, dunque, è necessariamente incompleto. Dall’incompletezza “economica” si è poi passati all’incompletezza “giuridica”, con ciò intendendosi la regola giuridica del rapporto che non è stata sufficientemente definita dalle parti e che si presta a integrazioni (cfr. S. Landini, Vincolatività dell’accordo e clausole di rinegoziazione. L’importanza della resilienza delle relazioni contrattuali, in Contr. e impr., 2010, p. 203). Sul tema, a titolo meramente esemplificativo, nella letteratura italiana, v. A. Fici, Il contratto “incompleto”, Torino, 2005; G. Bellantuono, I contratti incompleti nel diritto e nell’economia, Padova, 2000. 66 F. Macario, Genesi, evoluzione e consolidamento di una nuova clausola generale, il divieto di abuso di dipendenza economica, cit., p. 534. 67 Si veda ad esempio Cass., 23 novembre 2015, n. 23868, in Contratti, 2016, 7, p. 659, con nota di F. Piraino, secondo cui in presenza di una clausola risolutiva espressa, i contraenti sono tenuti a rispettare il principio generale della buona fede ed il divieto di abuso 454 Organizzazione dei rapporti commerciali tra imprese e “contratti relazionali” mediante il richiamo ad argomentazioni che tra loro s’intrecciano, ovvero abuso del diritto e clausola generare di buona fede68. Clausole generali, appunto, che sembrano vivere una nuova stagione69. A ben vedere, in verità, il processo di “rilettura” del codice civile alla luce del dettato costituzionale, che ha consentito di superare l’iniziale ritrosia al ricorso alle clausole in discorso, è iniziato già da qualche decennio70. Non si può però non richiamare l’affermazione compiuta dal Prof. Bianca, nel volume che qui si celebra, proprio a proposito dei princìpi generali, un’affermazione, verrebbe da dire, premonitrice, peraltro resa in tempi non sospetti. Il contesto è quello dell’analisi dell’inadeguatezza del controllo giudiziale sulle clausole uniformi in contrasto con l’utilità sociale, controllo limitato dalla difficoltà di applicare direttamente un principio costituzionale (appunto l’utilità sociale), che comporterebbe un apprezzamento del giudice eccessivamente discrezionale. L’illustre Autore, nel rispondere a coloro che del diritto, preservando l’uno gli interessi dell’altro. Sicché il potere di risolvere di diritto il contratto, avvalendosi della clausola risolutiva espressa, è necessariamente governato dal principio di buona fede, da tempo individuato dagli interpreti sulla base del dettato normativo (artt. 1175, 1375, 1356, 1366, 1371 c.c., ecc.) come direttiva fondamentale per valutare l’agire dei privati e come concretizzazione delle regole di azione per i contraenti in ogni fase del rapporto (precontrattuale, di conclusione e di esecuzione del contratto). Tale principio si pone allora, nell’ambito della fattispecie dell’art. 1456 c.c., come canone di valutazione sia dell’esistenza dell’inadempimento, sia del conseguente legittimo esercizio del potere unilaterale di risolvere il contratto, al fine di evitarne l’abuso ed impedendone l’esercizio ove contrario ad essa (ad esempio escludendo i comportamenti puramente pretestuosi, che quindi non riceveranno tutela dall’ordinamento). 68 Il connubio tra abuso del diritto e buona fede, inaugurato, per dir così, dalla Suprema Corte con il caso Renault, ha inevitabilmente condizionato la dottrina, che tuttora riflette sull’opportunità di leggere assieme le due figure. Sul punto si segnala il recente contributo di L. Balestra, Rilevanza, utilità (e abuso) dell’abuso di diritto, in Riv. dir. civ., 2017, p. 541 ss. Ma v. altresì G. Alpa, Appunti sul divieto dell’abuso del diritto in ambito comunitario e sui suoi riflessi negli ordinamenti degli Stati Membri, in Contr. e impr., 2015, p. 244 ss. Al di là del riconoscimento dell’autonomia alla figura dell’abuso del diritto, sembra potersi affermare che, talvolta, se ne fa eccessivo ricorso. Per un curioso caso di applicazione del principio in discorso, relativamente alla liquidazione di una società, sia consentito il rinvio a V. Brizzolari, Cessione d’azienda e limitazione della responsabilità del cessionario in danno del creditore: un nuovo caso di abuso del diritto?, in Nuova giur. civ. comm., 2016, I, p. 374 ss. 69 Sempre sull’abuso del diritto, quale “nuova” clausola generale, si vedano le brevi ma efficaci osservazioni di R. Pardolesi, Nuovi abusi contrattuali: tipici e atipici, in Danno e resp., 2017, p. 137 ss. 70 Per una puntuale ricostruzione del percorso seguito da dottrina e giurisprudenza sul punto, si veda senz’altro F. Macario, voce Autonomia privata (profili costituzionali), in Enc. dir. Annali, VIII, 2015, p. 61 ss. 455 V. Brizzolari - C. Cersosimo temevano un’eccessiva ingerenza e politicizzazione del potere giudiziario71, non manca di sottolineare un dato di carattere concreto (dell’epoca chiaramente, ovvero il 1977), che dimostra l’inesistenza di tale rischio, ossia lo scarso ricorso ai princìpi generali da parte dei giudici, tra i quali annovera il precetto di buona fede72. Il caso Renault, al quale si è fatto brevemente cenno, costituisce un esempio del nuovo ruolo assunto dal giudice, al quale non spetta più la mera applicazione di una disposizione del codice civile (nella specie il recesso), bensì il “controllo” sul rapporto e sul fine realizzato mediante l’esercizio di un diritto, alla luce proprio della buona fede73. Il controllo giudiziale, dunque, se sapientemente misurato e utilizzato, consente di rimediare a possibili “abusi”. Legislazione e giurisprudenza offrono così numerosi spunti per riflettere sui “limiti” al potere privato, in relazione ai rapporti contrattuali qui considerati, ovvero quelli di durata. Tra questi ultimi si può annoverare il contratto di rete, che lascia alle parti la libertà di organizzare la loro “relazione” e scegliere il grado di collaborazione, scambio di informazioni e via discorrendo, sempre naturalmente in una prospettiva che si sviluppa e proietta nel futuro. 7. segue: La distribuzione del “potere” nell’organizzazione (contrattuale) della rete di imprese Nel panorama degli strumenti a disposizione delle imprese per organizzare la propria attività, un rilievo particolare assume il contratto di rete74. La figura in esame, nonostante i pochi anni dalla sua introduzione, è stata 71 Il riferimento è a P. Barcellona, Sui controlli della libertà contrattuale, in Riv. dir. civ., 1965, I, p. 602. 72 C.M Bianca, Le autorità private, cit., p. 72 ss. L’Autore non esprime un giudizio positivo o negativo sullo scarso impiego dei princìpi generali, ma dal senso complessivo della parte cui si è fatto riferimento sembrerebbe propendere per la seconda alternativa. Difatti, successivamente, alle pp. 76 ss., ipotizza di affidare all’autorità giudiziaria il controllo sulle condizioni generali di contratto alla stregua, tra le altre cose, della buona fede. 73 Cfr. S. Patti, Principi, clausole generali e norme specifiche nell’applicazione giurisprudenziale, in G. D’Amico (a cura di), Principi e clausole generali nell’evoluzione dell’ordinamento giuridico, Milano, 2017, p. 158. 74 Il contratto di rete è stato introdotto inizialmente dal d.l. 5/2009, successivamente convertito con la l. 33/2009, e più volte sottoposto a integrazioni, soprattutto dal d.l. 78/2001, poi convertito dalla l. 122/2010. 456 Organizzazione dei rapporti commerciali tra imprese e “contratti relazionali” ampiamente studiata e ha suscitato la curiosità della dottrina, soprattutto in relazione allo stravolgimento, per dir così, delle tradizionali categorie civilistiche75. Il riferimento qui operato al contratto di rete non è affatto fuori luogo, giacché tale contratto si inserisce in quel processo di superamento del modello dello scambio istantaneo, a vantaggio del paradigma contrattuale in analisi, ossia il modello dei relational contracts (quale relazione stabile e, almeno tendenzialmente, duratura nel tempo, caratterizzata dalla cooperazione produttiva, piuttosto che dalla pura e semplice sinallagmaticità delle prestazioni, valutabili all’interno di un rapporto isolabile dal suo contesto)76. A questo proposito, è apparso immediatamente evidente il parallelo con il consorzio; meno chiara, invece, la funzione del contratto di rete, ovvero se di comunione di scopo, di scambio, oppure entrambe77. Non è questa la sede per approfondire ulteriormente le tematiche appena accennate, che hanno comunque ricevuto la debita analisi. Per i profili che qui più interessano, tuttavia, vale la pena svolgere alcune considerazioni con riferimento ai rapporti di forza che si possono creare all’interno della rete, atteso comunque che tale contratto può essere annoverato tra quelli c.d. di durata78. Due sembrano essere i profili che maggiormente rilevano, ovvero il tipo di rete che si può costituire (verticale oppure orizzontale) e l’organo comune, che eventualmente può essere previsto dagli aderenti alla rete. Innanzitutto, occorre ricordare la distinzione tra reti c.d. orizzontali e verticali. Le prime si costituiscono, generalmente, tra imprese che operano al medesimo livello della catena produttiva; le seconde, invece, tra quelle che intervengono in fasi differenti, spesso interdipendenti tra loro79. 75 Per l’illustrazione di alcuni profili problematici relativi alle scelte del legislatore sulla disciplina il contratto di rete, si vedano senz’altro le fondamentali considerazioni di F. Macario, Reti di imprese, «contratto di rete», e individuazione delle tutele. Appunti per una riflessione metodologica, in P. Iamiceli (a cura di), Le reti di imprese e i contratti di rete, cit., p. 273. In forma più sintetica, Id., Il “contratto” e la “rete”: brevi note sul riduzionismo legislativo, in Contratti, 2009, 10, p. 951. 76 Un collegamento tra rete e contratti relazionali è rinvenibile in C. Camardi, Efficienza contrattuale e reti di imprese, in A. Lopes, F. Macario, P. Mastroberardino (a cura di), Reti di imprese. Scenari economici e giuridici, Torino, 2007, p. 331 ss. 77Per l’illustrazione delle possibili soluzioni, si veda Aa.Vv., I contratti di rete: prime applicazioni pratiche, a cura di G. D’Amico, F. Macario, in Contratti, 2013, p. 799 ss.; e A. Gentili, Il contratto di rete dopo la l. n. 122 del 2010, ivi, 2011, p. 617. 78 F. Cafaggi, P. Iamiceli, G.D. Mosco, Il contratto di rete e le prime pratiche: linee di tendenza, modelli e prospettive di sviluppo, in Contratti, 2013, p. 805. 79 F. Cafaggi, P. Iamiceli, G.D. Mosco, Il contratto di rete e le prime pratiche: linee di tendenza, modelli e prospettive di sviluppo, cit., p. 814. 457 V. Brizzolari - C. Cersosimo Volendo generalizzare, si potrebbe affermare che il rischio di “abusi” e comportamenti opportunistici è più elevato in queste ultime, poiché esse si creano - ma ciò non è chiaramente la regola - tra l’impresa capofila (o leader) e tutte, o almeno gran parte, di quelle che fanno parte della filiera, laddove l’una è solitamente di dimensione (almeno) medio-grande e le altre invece di dimensioni minori. Nella rete c.d. verticale può persino accadere che la (grande) impresa capofila sia esterna alla rete medesima, poiché ha solo incentivato la sua creazione, senza prendervi parte, ma assumendo comunque una leadership80. Per tale impresa, che ha così creato un “blocco” di altre imprese da lei dipendenti, è sufficiente, in ipotesi, troncare i rapporti anche con uno solo degli aderenti alla rete e “spezzare” la catena di produzione, creando senza dubbio non pochi problemi a tutti gli altri componenti. Nel caso, dunque, di capofila esterna alla rete, si potrebbe avere un’autorità di fatto (sempre secondo la definizione del Prof. Bianca81); nel caso di capofila interna, invece, questa potrebbe esercitare, oltre a tale autorità di fatto, anche una, per dir così, di diritto, se, ad esempio, s’è riservata taluni poteri decisionali tramite l’organo comune. Diversamente accade per le reti c.d. orizzontali. Sempre movendo dal presupposto che queste sono create da imprese del medesimo livello, appare meno probabile il rischio di prevaricazioni o comportamenti opportunistici. La rete orizzontale, difatti, si presenta sul mercato quantomeno come soggetto economico unitario82, creata proprio con lo scopo di raccogliere le singole competenze di ciascuna impresa e metterle in comune. Si discorre, a questo proposito, di leadership variabile o collettiva, proprio per sottolineare l’assenza di un soggetto sempre e comunque più “forte” degli altri, potendosi invece rilevare posizioni di preminenza appunto variabili, ma solo a seconda di specifici affari, in cui un’impresa è maggiormente specializzata83. In breve, la rete orizzontale consente al gruppo di operare laddove l’impresa singola non arriverebbe da sola. Ne deriva una sorta di potere “diffuso”, non attribuito ai singoli, bensì al gruppo, quando si trova 80 F. Cafaggi, Il contratto di rete nella prassi. Prime riflessioni, in Contratti, 2011, p. 509 ss. Autorità di fatto sono i poteri decisionali non fondati su particolari prerogative giuridiche, ma solo su posizioni di forza economico-sociale. Cfr. C.M Bianca, Le autorità private, cit., p. 55. 82 Non è detto che si presenti anche come soggetto giuridico unitario, poiché ciò dipende dalla costituzione del fondo comune, che, secondo la normativa vigente, attribuisce soggettività giuridica alla rete. 83 Cfr. G. Guzzardi, Note preliminari allo studio del contratto di rete, in Contr. e impr., 2013, p. 512. Ma v. altresì F. Cafaggi, Il contratto di rete nella prassi. Prime riflessioni, cit., p. 510. 81 458 Organizzazione dei rapporti commerciali tra imprese e “contratti relazionali” a operare come tale. Il tentativo di un componente di prevaricare gli altri e sfruttare individualmente tale potere, come giustamente rilevato, avrebbe delle conseguenze paradossali, poiché egli si troverebbe a partecipare da solo alla competizione sul mercato e perciò indebolito84. La rete costituita tra imprese complanari, dunque, appare meno esposta al rischio di abusi di un soggetto nei confronti di un altro. Trattandosi, tuttavia, di un contratto c.d. di durata, la rete non è immune dalla variabile “tempo”; ma sul punto si tornerà più avanti. Come rilevato poc’anzi, il problema del potere e dell’autorità all’interno della rete può essere esaminato anche da un altro profilo. L’allocazione del potere all’interno della rete85, difatti, può costituire oggetto di una specifica pattuizione da parte dei contraenti. Si tratta del c.d. organo comune, elemento eventuale del contratto86, che riguarda tanto le reti orizzontali quanto verticali. Anche qui, tuttavia, occorre distinguere tra i due tipi. Con riferimento alle prime, i risultati di uno studio, basato sull’analisi dei contratti di rete effettivamente stipulati e registrati presso il registro delle imprese, dimostrano che c’è una tendenza a estendere la partecipazione all’organo comune a tutti coloro che partecipano alla rete. In altri termini, nella rete orizzontale, in genere, i contraenti e i componenti dell’organo sembrano coincidere, con la realizzazione di una governance comune. Come già sapientemente rilevato dal Prof. Bianca, è la partecipazione all’organo deliberante che pone il singolo in posizione egalitaria rispetto agli altri compartecipi di tale organo87. Con riferimento, invece, alle reti verticali, lo studio ha dimostrato come queste siano tendenzialmente più gerarchiche, potendosi constatare 84 La rete di imprese, secondo il condivisibile pensiero di G. Guzzardi, Note preliminari allo studio del contratto di rete, cit., 514, genera una nuova forma di potere, che deriva dalla costante osmosi tra i partecipanti e dalla condivisione non occasionale di nuovi processi produttivi e risultati della ricerca. 85 Per un elenco, a titolo meramente esemplificativo, delle competenze che si possono attribuire all’organo comune, si veda V. Donativi, Le reti di imprese: natura giuridica e modelli di governance, in Società, 2011, p. 1438. 86 Come rilevato da A. Gentili, Il contratto di rete dopo la l. n. 122 del 2010, cit., p. 626, l’organo comunque, da che era previsto obbligatoriamente per tutti i contratti di rete, a pena di nullità, è divenuto solo elemento accidentale, rimesso alla volontà dei contraenti. La legge, a questo proposito, discorre solo di possibilità di costituire l’organo comune di controllo e coordinamento. 87 C.M Bianca, Le autorità private, cit., p. 19, si esprime in questi termini a proposito delle autorità di diritto e, più in particolare, a proposito dell’autorità privata nei gruppi organizzati. Tra questi vi si può far rientrare il gruppo creato dal contratto di rete, malgrado non espressamente considerato dall’Autore, per evidenti ragioni temporali. 459 V. Brizzolari - C. Cersosimo una preferenza per un organo di tipo ristretto, o persino monocratico88. La distribuzione del potere tra i partecipanti, dunque, non sempre è paritetica89 e non è da escludere che nella rete c.d. gerarchica uno o più dei membri abusino della loro posizione. La presenza dell’organo comune non previene perciò possibili “abusi”. Ancora una volta, torna utile il pensiero del Prof. Bianca, che si rileva corretto e avveniristico. L’illustre Maestro, difatti, aveva già rilevato come la presenza di un organo assembleare, posto al vertice dell’organizzazione, non necessariamente impedisce l’assunzione del potere decisionale da parte di “fazioni” o “capi”, poiché esso esclude, al limite, una disparità formale del singolo membro90. È inevitabile il rimando all’abuso di dipendenza economica. Il quesito che ci si è correttamente posti, è il seguente: se e in quali termini, nella valutazione dell’abuso in discorso, rilevi la circostanza che l’impresa sia inserita in un modello organizzativo di tipo reticolare91. Volgendo lo sguardo ai presupposti legali che integrano la figura in discorso, non sembra che l’appartenenza o meno a una rete, di qualunque tipo, possa escludere il ricorrere dell’abuso di dipendenza economica; purché - va da sé - ricorrano appunto tutti i requisiti di cui alla legge sulla subfornitura92. Non a caso, abuso di dipendenza economica e rete sono stati analizzati congiuntamente, soprattutto nel caso anzidetto della rete c.d. verticale, nella quale si può verificare anche un abuso c.d. di direzione e coordinamento93. 88 Il riferimento è sempre a F. Cafaggi, P. Iamiceli, G.D. Mosco, Il contratto di rete e le prime pratiche: linee di tendenza, modelli e prospettive di sviluppo, cit., p. 810, ai quali si rinvia per la puntuale illustrazione e interpretazione dei dati raccolti, con i dovuti riferimenti statistici, in base all’analisi dei contratti di rete stipulati dall’entrata in vigore della legge. 89 F. Cafaggi, Il contratto di rete nella prassi. Prime riflessioni, cit., p. 512. 90 C.M Bianca, Le autorità private, cit., p. 59. Il pensiero è espresso in relazione ai poteri di fatto nell’ambito dei gruppi organizzati, questa volta però con riferimento alle autorità di fatto. 91 Il tema è stato affrontato da M.R. Maugeri, Reti contrattuali e abuso di dipendenza economica, in P. Iamiceli (a cura di), Le reti di imprese e i contratti di rete, cit., p. 316; Ead., Abuso di dipendenza economica e affiliazione commerciale: ambito di applicazione, contenuto del contratto, caratteri del rimedio e tutela della rete, in A. Lopes, F. Macario, P. Mastroberardino (a cura di), Reti di imprese. Scenari economici e giuridici, cit., p. 371. 92 Che il divieto di abuso non si applichi solo alla subfornitura in senso stretto è stato ampiamente dimostrato: v. supra par. 5. Sul rapporto tra rete e dipendenza economica, in ogni caso, v. M.R. Maugeri, Reti contrattuali e abuso di dipendenza economica, cit., p. 326 ss. 93 Sull’argomento diffusamente A. Barba, Reti di impresa e abuso di dipendenza economi- 460 Organizzazione dei rapporti commerciali tra imprese e “contratti relazionali” 8. L’adeguamento e la rinegoziazione del contratto in presenza di sopravvenienze Nelle pagine che precedono si è cercato, in via riduttivamente esemplificativa, di illustrare i “rimedi” a quei fattori, per dir così, “interni”, che possono alterare il normale svolgimento di una relazione contrattuale di durata, ovvero l’abuso di una pare nei confronti dell’altra e i comportamenti opportunistici, che sacrificano le ragioni di coloro che hanno fatto affidamento, appunto, su una determinata durata del contratto. Si è però visto che vi sono anche fattori “esterni”, che possono avere altrettanta efficacia alterativa: alterazione che può essere talvolta sfruttata da un contraente per ottenere un vantaggio ingiusto nei confronti della parte che ha subìto il fattore perturbativo del rapporto. Tutti i contratti sono esposti a tali eventi, tanto quelli che si concludono istantaneamente, quanto quelli, invece, la cui esecuzione è protratta o ripetuta nel tempo. All’inizio del presente contributo si è già tentato di dar conto, in prospettiva storico-comparatistica, della “crisi” del modello tradizionale dei primi, non sempre idonei a rispondere alle esigenze del mercato e delle imprese. È il momento di accennare a quei “rimedi” per far fronte alle c.d. sopravvenienze. Il riferimento è al tema dell’adeguamento e della rinegoziazione del contratto 94. La sopravvenienza pone sempre un problema di rinegoziazione, che può essere risolto ex ante, mediante l’introduzione di una clausola specifica, oppure concordemente dalle parti, se manca quest’ultima. Va da sé che il caso di più difficile risoluzione è invece proprio l’assenza sia di una clausola determinata, che della volontà di rinegoziare il contratto. Il quesito che la dottrina si è posta è allora il seguente: se sussiste un obbligo generale a rinegoziare il contratto in caso di sopravvenienza; e, in caso di risposta affermativa, qual è la fonte di tale obbligo. ca, in Contr. e impr., 2015, p. 1264; F. Longobucco, Abuso di dipendenza economica e reti di imprese, ivi, 2012, p. 390. 94 Sul punto non si può prescindere dal contributo di F. Macario, Adeguamento e rinegoziazione nei contratti a lungo termine, cit.; in forma più sintetica, Id., Rischio contrattuale e rapporti di durata nel nuovo diritto dei contratti: dalla presupposizione all’obbligo di rinegoziare, cit., p. 63 ss. Più recente, invece, Id., voce Revisione e rinegoziazione del contratto, in Enc. dir. Annali, II, Milano, 2008, p. 1026 ss. Si segnalano, poi, R. Tommasini, voce Revisione del rapporto, in Enc. dir., Milano, XL, 1989, p. 104; P. Gallo, voce Revisione e rinegoziazione del contratto, in Dig. civ. Aggiornamento, VI, Torino, 2011, p. 804. Più di recente, infine, E. del Prato, Sulle clausole di rinegoziazione del contratto, in Riv. dir. civ., 2016, p. 801. 461 V. Brizzolari - C. Cersosimo I due quesiti potrebbero essere letti come un’endiadi e la soluzione positiva dell’uno, in un certo senso, assorbe anche l’altro. Dal legislatore95, almeno a una prima e superficiale analisi, provengono indicazioni contrastanti. Da un lato, vi sono alcune disposizioni del codice in tema di gestione delle sopravvenienze, come l’art. 1664 c.c., ad esempio, per l’appalto, che lasciano intendere un principio di “conservazione” del contratto96. Dall’altro, pesa la formulazione dell’art. 1467 c.c., che sembrerebbe precludere la possibilità di formulare un principio generale di rinegoziazione97. Non sorprende, dunque, che la dottrina si sia divisa sul punto, potendosi registrare sia posizioni favorevoli98, che posizioni contrarie99. Sembra potersi affermare, in ogni caso, che le prime prevalgano sulle seconde. Questa circostanza però non esime dall’indicare quantomeno il fondamento dell’obbligo in discorso. Ancora una volta, si deve volgere lo sguardo al principio di buona fede (artt. 1175 e 1375 c.c.)100. Più in particolare, la valorizzazione della buona fede oggettiva costituisce, secondo i massimi esperti della materia, una ricaduta della dottrina dei relational 95 In Italia manca la codificazione dell’obbligo in analisi. Per la Germania, si veda il § 313 BGB; per l’Argentina, invece, l’art. 1101 del Código Civil y Comercial de la Nación, per la formulazione del quale v. supra par. 1. In ambito di diritto privato europeo, si segnalano i Principi Unidroit (art. 6.2.3) e i Principles of European Contract Law (art. 6:111). 96 Emblematico è l’art. 1367 c.c., rubricato proprio “Conservazione del contratto”, anche se riferentesi all’interpretazione del medesimo. Sul punto v. F. Macario, Rischio contrattuale e rapporti di durata nel nuovo diritto dei contratti: dalla presupposizione all’obbligo di rinegoziare, cit., p. 76 ss. 97 A parte il caso dell’offerta di cui al comma 3, ovvero l’offerta di un’equa modifica delle condizioni del contratto. 98 V. per tutti F. Macario, Adeguamento e rinegoziazione nei contratti a lungo termine, cit.; R. Sacco [e G. De Nova], Il contratto, 3a ed., in Tratt. dir. civ. Sacco, II, Torino, 2004, p. 721; V. Roppo, Il contratto, in Tratt. Iudica-Zatti, Milano, 2001, p. 1046. 99 Si segnalano, ad esempio, A. Cataudella, I contratti. Parte generale, 4a ed., Torino, 2014, p. 272 ss.; e A. Gentili, La replica della stipula: riproduzione, rinnovazione, rinegoziazione del contratto, in Contr. e impr., 2003, p. 709 ss., secondo cui il suggerimento interpretativo della rinegoziazione come istituto generale delle sopravvenienze finisce per presupporre un legislatore incoerente. L’obbligo in analisi, secondo l’Autore da ultimo citato, non è giustificato né dalla giustizia, poiché “il soccorso della legge è concesso per evitare pregiudizi non per catturare profitti”, né dall’efficienza, in quanto deresponsabilizza le parti più imprevidenti. V. altresì M. Barcellona, Appunti a proposito di obbligo di rinegoziazione e gestione delle sopravvenienze, in Eur. dir. priv., 2003, p. 480 ss. 100 Il riferimento è ancora a F. Macario, Adeguamento e rinegoziazione nei contratti a lungo termine, cit. Nel senso della buona fede in funzione integrativa v. M. Franzoni, Sub Artt. 1372-1375, in Comm. c.c. Schlesinger, 2a ed., Milano, 2013. 462 Organizzazione dei rapporti commerciali tra imprese e “contratti relazionali” contracts101. La logica della cooperazione tendente al raggiungimento del risultato di cui al contratto dovrebbe rimpiazzare quella più individualistica, finalizzata al mero advantage-taking, propria dello scambio isolato. Torna utile, a questo proposito, la distinzione riportata in principio tra i long-terms contracts e le discrete transactions. Nei primi assume maggior rilievo il profilo dell’esecuzione e, come opportunamente rilevato, quest’ultima coincide con la realizzazione dei diritti e degli scopi che le parti si sono prefissati. In breve, ciò che riveste rilevanza causale, nell’economia del contratto, non è propriamente la durata dell’adempimento, quanto la durata del soddisfacimento dell’interesse tutelato dal contratto102. Prevedere sic et simpliciter lo scioglimento di un rapporto colpito da una sopravvenienza senza dubbio vanifica l’interesse della parte onerata, ma non è da escludere che a essere sacrificato sia anche l’interesse di chi deve riceve la prestazione. Se si vuole restringere il campo d’indagine ai contratti a lungo termine, magari proprio a quelli preceduti da investimenti specifici, l’obbligo di rinegoziazione non pare solo auspicabile, bensì anche necessario, poiché la parte che ha intrapreso investimenti in vista del contratto si troverebbe davanti alla seguente alternativa: persistere in un’esecuzione eccessivamente gravosa, o chiedere la risoluzione del contratto e sopportare perdite pari alle spese e agli investimenti, senza contare il mancato guadagno103. Tra questi due estremi, si deve individuare una terza via, appunto quella della rinegoziazione. Il tema, seppur oramai ampiamente sottoposto a specifici studi, continua a porre intriganti questioni, tra le quali si segnalano il contenuto dell’obbligo a rinegoziare, l’inadempimento di quest’ultimo e le forme di tutela. I limiti di questo intervento e, soprattutto, di coloro che scrivono, tuttavia, non consentono di soffermarsi ed esaurire la trattazione con compiutezza ed efficacia. Ciononostante, concludendo, si possono formulare alcune brevi osservazioni. Innanzitutto, l’obbligo di rinegoziare discende, ancora una volta, dal più generale principio di buona fede oggettiva, che - pare ormai 101 F. Macario, Rischio contrattuale e rapporti di durata nel nuovo diritto dei contratti: dalla presupposizione all’obbligo di rinegoziare, cit., 83. 102 Così, lucidamente, A. Luminoso, Il rapporto di durata, in Riv. dir. civ., 2010, p. 525. 103 Prospetta l’alternativa di P. Gallo, voce Revisione e rinegoziazione del contratto, cit., p. 814. L’Autore può essere annoverato tra coloro che propendono per l’esistenza di un dovere generale di rinegoziazione. Egli afferma, difatti, che nei casi di investimenti specifici, la semplice possibilità di chiedere la risoluzione del contratto non pare sufficiente a fare giustizia. 463 V. Brizzolari - C. Cersosimo indiscutibile - connota tutto lo svolgimento del rapporto, tanto più se si tratta di rapporto di durata. La vigenza di tale obbligo (cor)risponde, tra l’altro, al principio di conservazione del contratto e pare necessaria soprattutto in quelle ipotesi in cui le parti non abbiano determinato ex ante una specifica disciplina applicabile in caso di sopravvenienza. La rinegoziazione, poi, potrebbe costituire anche un disincentivo a comportamenti opportunistici e “abusivi”, nel senso di prevenire prevaricazioni sulla parte indebolita dall’aver compiuto investimenti specifici e, per tale ragione, disposta a “subire” l’altrui volere per non perdere tali investimenti. 9. Conclusioni Nelle pagine che precedono si è tentato di mettere in luce il “superamento” del modello tradizionale dello scambio istantaneo, il quale, talvolta, pare inadeguato a offrire ai contraenti (in particolar modo alle imprese) uno schema funzionale e adatto alla regolamentazione dei rapporti, soprattutto per quelli che presuppongono o ai quali segue l’instaurazione di una “relazione” contrattuale a lungo termine. In questo contesto, in continuo mutamento, s’inserisce il problema dell’”autorità”, che, almeno ai limitati fini del presente scritto, va genericamente intesa come la possibilità che ha un soggetto di imporre le proprie scelte agli altri, durante la formazione o l’esecuzione del contratto. Come, ad esempio, quando, in sede di contrattazione, ci si riserva una specifica facoltà, le cui modalità d’esercizio dovranno essere valutate in relazione a certi canoni di comportamento; oppure quando si trae indebito vantaggio dalla propria posizione, prevaricando l’altro contraente. Vi sono, dunque, alcune situazioni nelle quali l’impresa potrebbe essere costretta a subire una sopravvenienza o le scelte altrui, per non veder vanificati gli investimenti intrapresi, non potendo confidare, ad esempio, nei “rimedi” tradizionali del codice, concepiti sul modello dello scambio istantaneo. Dal legislatore e dalla giurisprudenza, come si è cercato di mettere in luce, provengono soluzioni che, seppur, differenti, sembrano però tutte accomunate dall’intento di porre un limite al “potere” contrattuale. L’instaurazione di un rapporto a lungo termine, in ogni caso, non previene affatto il rischio di prevaricazione, ma, al contrario, sembrerebbe 464 Organizzazione dei rapporti commerciali tra imprese e “contratti relazionali” amplificarlo, poiché il tempo espone l’intera relazione (contrattuale) a delle variabili con le quali bisogna necessariamente misurarsi e che potrebbero essere sfruttate dalla parte interessata per svincolarsi dal rapporto. Risolvere sic et simpliciter il contratto divenuto più oneroso non pare dunque essere la soluzione immediatamente preferibile, bensì occorre quantomeno tentare di “recuperare” il rapporto. Allo stesso modo, vi sono taluni ambiti nei quali la grande impresa, o, se si preferisce, quella dotata di maggior forza contrattuale - le due cose non sempre coincidono - potrebbe agire in modo contrario alla buona fede e alla correttezza, azionando un diritto che astrattamente le spetta, il cui esercizio, però, in concreto, non risulta conforme ai predetti canoni e perciò si rivela dannoso per il soggetto nei confronti del quale è esercitato. 465