Speleologia del Lazio
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Spelunca docet
Atti del VII Convegno della Federazione Speleologica del Lazio
Roma
Parco Regionale dell’Appia Antica - ex Cartiera Latina
5-7 maggio 2017
2019
VII Convegno Federazione Speleologica del Lazio
Con il contributo di
Regione Lazio
Parco Regionale dell’Appia Antica
Club Alpino Italiano - Sezione Roma
RR Trek Rifugio Roma
Con il patrocinio di
Regione Lazio
Parco Regionale dell’Appia Antica
Italia Nostra
La Venta Esplorazioni Geografiche
Università degli Studi di Roma Tor Vergata
Dipartimento di Scienze dell’Università degli
Studi Roma Tre
Società Speleologica Italiana
Ordine dei Geologi del Lazio
ISPRA - Istituto Superiore per la Protezione e la
Ricerca Ambientale
Comunità Montana dell’Aniene
Comunità Montana Sabina
Comune di Carpineto Romano
Comune di Gorga
Comune di Vallinfreda
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Editoriale
speleologia
del Lazio
A cura di
Gabriele Catoni, Valeria Pasqualini,
Almalinda Giacummo, Laura Bernardi,
Pietro Cortellessa
Grafica e impaginazione
Ancora una volta, a circa tre anni dal numero precedente, la rivista della Federazione Speleologica del
Lazio è interamente dedicata agli atti del convegno
regionale, questa volta tenutosi a Roma presso la prestigiosa sede del Parco Regionale dell’Appia Antica
- ex Cartiera Latina, tra il 5 e il 7 maggio 2017.
Luca Alessandri
Paolo Dalmiglio
L’impegno profuso dai gruppi federati è stato ancora
una volta esemplare e il risultato si è concretizzato in
tre giorni densi di interventi che non si sono limitati
a presentare le ultime esplorazioni ma hanno spesso
approfondito tematiche laterali di grande interesse.
Un ringraziamento particolare va all’Associazione
Speleologi Romani, allo Shaka Zulu Club Subiaco e
al Gruppo Speleologico Cai Roma, che ne hanno curato l’organizzazione, e ai numerosi sponsor ed enti
patrocinanti i cui loghi trovano posto nella pagina precedente.
Va infine sottolineato che, finalmente, due delle
espressioni identitarie della Federazione, il Convegno
e la Rivista, si sono fuse in un unico aspetto,
costituendo la seconda il naturale sbocco della prima..
In copertina
Grotta Ciaschi, foto di Chiara Paparelli
Indice
Presentazione
Comitato Organizzativo .................................................................................... Pag. 7
Franco Ciocci. 30 settembre 1955 - 29 ottobre 2018
Andrea Bonucci - Pierriccardo Festa ............................................................
Pag. 9
Aldo Giacomo Segre
Maria Piro ..........................................................................................................
Pag. 11
“Spelunca Docet”. La grotta come laboratorio didattico.
Valeria Paqualini - Maria Fierli - Federica De Bellis .................................. Pag. 13
Blocco occidentale dei Monti Lepini. Campagna di ricerca 2016 - 2017
Danilo Iannucci - Leonardo Romboli ............................................................. Pag. 19
Speleologia di superficie. Tre anni a Campovano
Gianluca Sterbini ..............................................................................................
Pag. 25
Sulle orme di Saverio Patrizi: la Grotta dei Pipistrelli di Cala Cetarola
Claudio Di Russo - Fulvio Fonseca - Chiara Calcari - Stefano Gambari ........ Pag. 31
Cave Microbial Survey: proposta di implementazione dati sulla microflora ipogea
Ilaria Vaccarelli - Paola Cacchio - Maddalena Del Gallo ....................... Pag. 37
La Grotta dei Serpenti tra medicina e folclore
Stefano Gambari ................................................................................................. Pag. 47
Alla scoperta del buio: l’esplorazione della grotta per il disabile visivo
Francesca Licordari - Giammario Mascolo ................................................... Pag. 53
Progetto Natura Maestra
Mario Tomei - Roberta Aliforni - Stefano Pace ............................................. Pag. 59
I pionieri della speleologia terracinense
Loredana Spezzaferro ...................................................................................... Pag. 65
Ipogei e draghi nelle tradizioni religiose e nel folklore del Lazio
Roberto Libera .................................................................................................... Pag. 69
Ritrovato un documento inedito del 1932:
“Cavità naturali esistenti nella Provincia di Roma”
Giovanni Mecchia - Maria Piro ........................................................................ Pag. 75
Sentire la grotta. Emozioni, memorie ed esperienze di “non” speleologi
Mario Federico Rolfo - Katia Francesca Achino - Maurizio Gatta Letizia Silvestri .................................................................................................. Pag. 81
Grotta Pila.
Elementi di geologia e nuovi dati sull’utilizzo antropico in epoca protostorica
Maria Piro - Giovanni Mecchia - Cristiano Ranieri ...................................... Pag. 89
Monti Aurunci Orientali.
Le grotte e la loro interazione con l’uomo
Paolo Dalmiglio - Patrizia Marino .................................................................. Pag. 95
Trasmissione dati Wireless nelle esplorazioni speleosub
Vincenzo Bello .................................................................................................. Pag. 115
I corsi di speleologia nel Lazio.
Come abbiamo insegnato ai giovani l’arte della speleologia
Giovanni Mecchia - Maurizio Monteleone - Fabio Bellatreccia ................ Pag. 119
Obiettivi e finalità della Scuola di Speleologia della F.S.L.
Claudio Fortunato - Maurizio Monteleone .................................................. Pag. 129
L’ambiente ipogeo della Montagna di Cesi:
laboratorio di ricerca per rilievi termo-igrometrici
Simona Menegon - Augusto Rossi - Lucio Di Matteo - Stefano Liti ........... Pag. 131
Il Canyon del Quirino.
Riserva Naturale Oasi WWF Guardiaregia - Campochiaro
Pietro Cortellessa - Marco Topani ................................................................. Pag. 141
La Rete regionale di monitoraggio dei Chirotteri nella Regione Lazio
Marco Scalisi - Alessandra Tomassini ............................................................
Pag. 149
Geografia carsica dei Monti Aurunci Occidentali.
Un’analisi distributiva delle cavità nel territorio come possibile metodo di ricerca
Andrea Cesaretti - Luca Forti ......................................................................... Pag. 157
Chiavica, Ciavica, Ciauca: diversi modi per chiamare una grotta?
Lavinia Giorgi ..................................................................................................... Pag. 167
MATERIALI DALLA MOSTRA
Cavernicoli. Dietro le quinte della speleologia
Ilaria Gioia .......................................................................................................... Pag. 183
Tolosu Expedition 2016
Claudia Porfidia - Filippo Baldini ................................................................... Pag. 184
Speleologia del Lazio, 9 | dicembre 2018
Presentazione
IL COMITATO ORGANIZZATIVO
O
rganizzare un convegno non è una cosa
semplice; gli speleologi per loro natura
rappresentano una comunità eterogenea:
per preparazione, esperienza, conoscenze
pregresse, sensibilità ed interessi. Un Comitato
Organizzativo formatosi entro questo contesto
sociale non poteva non incontrare difficoltà
nel coordinare e armonizzare competenze così
diverse, ma questa condizione ha rappresentanto
inevitabilmente anche una ricchezza e un
motivo di stimolo.
personale del Parco, dalla dott.ssa Francesca
Mazzà al dott. Andrea Marroni, oltre al resto del
personale tutto. La Sala Appia, grazie all’ampia
metratura e architettura post industriale,
ha consentito lo sviluppo di un pratico e
appropriato modello espositivo: si sono
utilizzati dei pallet o pedane da imballaggio
quali strumenti a supporto di pannelli in forex,
adatti per la versatilità che trova applicazione
nel campo del design degli arredi; infine,
l’elemento corda, solido ancoraggio dei pallet
alle strutture portanti della sala, nonché legame
tra l’attività esplorativa negli ambienti ipogei
(progressione e sicurezza) e lo speleologo.
La scelta del titolo è legata alla necessità di
utilizzare una parola che richiamasse le grotte, la
speleologia e il mondo sotterraneo, legandola ad
un termine che facesse riferimento alla didattica,
all’educazione e all’istruzione; non a caso gli
ospiti d’eccezione del VII Convegno della FSL
sono stati gli studenti delle scuole.
Lo spirito che ha guidato l’organizzazione del
Convegno è stato la condivisione e l’attenzione
verso la parte divulgativa, diretta soprattutto ai
giovani, coinvolgendo quindi sia le scuole sia
la parte dell’amministrazione pubblica preposta
e sensibile a questo argomento. Fondamentale
la partnership del Corpo Nazionale Soccorso
Alpino e Speleologico e soprattutto dell’ente
Parco Regionale dell’Appia Antica che hanno
donato il loro “know how” per la buona
riuscita del convegno. Altre istituzioni hanno
dato il loro patrocinio, la Regione Lazio e vari
comuni e comunità montane, dando lustro alla
manifestazione.
La volontà di dare un’impronta più dotta
ed universale al titolo ha dirottato la scelta
su “Spelunca docet”, latino de “la grotta
insegna”. Chiarificatore il sottotitolo: “la
grotta comunica, racconta, insegna”. Tre verbi
che sono gli anelli di una catena: attraverso
lo scambio e la comunicazione si possono
raccontare storie e queste storie insegnano;
è un processo valido per la scuola, ma anche
per la ricerca e l’esplorazione, temi focali del
convegno.
Contributi importanti sono stati quello del CAI
sezione di Roma, che ha permesso di organizzare
la giornata per le scuole; di RRtrek, che ha
donato il materiale per l’allestimento; oltre
ovviamente agli interventi-articoli dei relatori,
che hanno arricchito in modo significativo
lo spirito divulgativo-esplorativo del mondo
speleologico rappresentato nel VII Convegno.
Una volta stabiliti il tema e la location adatta,
contattati gli Enti per i patrocini ed i gruppi per
gli interventi, si è pensato ai protagonisti-fruitori
La scelta della location è stata relativamente
facile: è ricaduta sulla sede del Parco Regionale
dell’Appia Antica, la Ex Cartiera Latina,
nella splendida cornice della Regina Viarum.
La direttrice, dott.ssa Alma Rossi, ha avuto
esperienze speleologiche, un’occhiata alle sale
Antonio Cederna ed Appia e la scelta è fatta.
Insostituibile in seguito l’apporto dato dal
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VII Convegno Federazione Speleologica del Lazio
principali, i giovani. Spiegare il fantastico
mondo delle grotte ai ragazzi direttamente
nelle loro scuole e far loro elaborare materiali
da portare al convegno. Il Convegno è stato
per alcuni di loro l’opportunità di esporre
una presentazione in una sala convegni
vera, di vedere le foto delle esplorazioni di
un mondo sconosciuto ai più, di assistere
alla dimostrazione del Corpo Nazionale del
Soccorso Alpino e Speleologico del Lazio. Ed
il loro entusiasmo è stato il miglior risultato
che si sia ottenuto.
della mostra. Un Grazie più che formale va a
chi con la propria disponibilità ha efficacemente
contribuito alla realizzazione dell’allestimento della
mostra e, più in generale, a tutti coloro che hanno
collaborato prima e durante lo svolgimento del
convegno. In particolare: Angelo Spirito, Claudio
Cardoni, Fabrizio Fedeli, Antonello Di Pardo,
Fabio Tarini, Federica Cocchi, Monica Falcinelli,
Gabriele Persia, Pierriccardo Festa (ASR); Angelo
Procaccianti, Fabrizio Paoloni, Michela Foffo,
Erminio Lauri, Mario Cetorelli, Giuseppe Bosso,
Valerio Callaringi, Maurizio Tandari (Shaka Zulu
Club Subiaco); Barbara Fioretti, Vincenzo Bello,
Alessandro Luciano, (G.S.CAI Roma); Maria
Fierli (Speleo Club Roma).
Inoltre, per la manifesta disponibilità, si ringraziaAndrea
Marroni responsabile dell’Ufficio Comunicazione del
Parco Regionale dell’Appia Antica.
La gestione di tre giorni di Convegno, il venerdì
mattina riservato alle scuole, il sabato e la
domenica aperti a tutti, così come la mostra tutti e
tre i giorni, hanno reso necessario pensare anche
ad una parte gastronomica, ben gestita grazie ai
consigli di chi di speleo se ne intende…Tutto
servito e ripulito velocemente, senza lasciare
tracce… Le dimostrazioni su corda dei volontari
del Soccorso hanno destato l’attenzione degli
addetti ai lavori e degli occasionali visitatori
italiani e stranieri della Ex Cartiera. Alla fine
del percorso-convegno una breve visita guidata
all’interno delle bellezze del Parco.
Il Comitato Organizzativo
Coordinamento
Gabriele Catoni, Valeria Pasqualini, Pietro
Cortellessa, Camillo Tenaglia, Marco Colantoni,
Laura Bernardi, Claudia Porfidia, Chiara Manfrini,
Marco Lo Presti, Daniele Dragoni, Federica De
Bellis, Almalinda Giacummo
L’esperienza del VII Convegno della Federazione
Speleologica del Lazio: intensa, faticosa,
divertente, appassionante, finita… e passata la
palla a chi dovrà occuparsene in futuro, lasciando
anche noi il nostro bagaglio di consigli.
Rapporti con i gruppi e gli enti
Paolo Dalmiglio, Almalinda Giacummo,
Gabriele Catoni
Rapporti con le scuole
Valeria Pasqualini, Federica De Bellis
Il Comitato Organizzatore del VII Convegno
FSL rivolge i suoi più sinceri ringraziamenti a
tutti quelli che con la propria partecipazione e il
proprio sostegno hanno contribuito al buon esito
della manifestazione. In particolare si ringraziano
tutti i relatori e gli Istituti Scolastici intervenuti
durante le sessioni dei lavori; gli Enti Istituzionali
che hanno patrocinato l’evento, quali il Parco
Regionale dell’Appia Antica, la Regione Lazio,
le Comunità Montane Valle dell’Aniene e della
Sabina, i comuni di Carpineto Romano, Gorga e
Vallinfreda, le Università di Tor Vergata e Roma
Tre, gli Istituti ISPRA e Ordine dei Geologi, il
C.N.S.A.S. Va Sezione Speleo Lazio, la Società
Speleologica Italiana (SSI), le associazioni Italia
Nostra e La Venta Esplorazioni Geografiche.
Citazione a parte meritano il C.A.I., Sezione di
Roma, e RRTREK Rifugio Roma, che hanno
contribuito, il primo economicamente, dando il
patrocinio oneroso e il secondo con la fornitura
del materiale tecnico, utilizzato per l’allestimento
Grafica e sito web
Fabio Bonuglia, Gabriele Catoni
Accoglienza
Laura Bernardi, Claudia Porfidia
Organizzazione bookshop
Laura Bernardi, Federica De Bellis
Organizzazione mostra materiali storici
Claudia Porfidia, Gabriele Catoni, Laura
Bernardi
Organizzazione e allestimento mostra
Pietro Cortellessa, Camillo Tenaglia
Correttori di bozze
Almalinda Giacummo, Lavinia Giorgi,
Francesca Licordari
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Speleologia del Lazio, 9 | dicembre 2018
Franco Ciocci
30 settembre 1955 - 29 ottobre 2018
confronti di tutti, e grazie ai suoi modi cordiali e
non certo di maniera, di tutti verso di lui.
Poi, dopo la speleologia, sono venute altre passioni,
altre avventure più impegnative e trascinanti, il
matrimonio e la paternità che in varie occasioni
ha avuto la generosità di condividere con alcuni
dei suoi vecchi amici, tanto da farli riconoscere
come tali alla sua famiglia.
Con lui ho vissuto alcuni dei momenti più belli
in esplorazione in grotta e fuori, in occasioni
conviviali, nelle iniziative della FSL, tra i boschi
del Matese che battemmo in due in appendice di un
campo speleo che ci era sembrato troppo breve, e
in tante altre occasioni di incontri speleologici e no.
Troppe anime di amici ci hanno lasciato, “travolte
anzitempo all’Orco”, per dirla col Monti. E
sicuramente tra le più generose quella di Franco”.
Mentre fervevano i lavori per completare
l’impaginato di questi atti è venuto a mancare
Franco Ciocci, primo Presidente della
Federazione Speleologica del Lazio.
Lo vogliamo ricordare pubblicando le memorie
di due suoi amici speleologi: Andrea Bonucci e
Pierriccardo Festa.
“Un po’ perché era andato a vivere vicino a
Frascati, dove lavorava come fisico all’ENEA,
un po’ perché gli stava un po’ stretta, Franco
Ciocci aveva lasciato l’ASR, di cui pure era
stato Presidente amato e rispettato, per affiliarsi
al Gruppo Speleologico di Guidonia, che aveva
avuto modo di apprezzare durante il suo incarico
di Presidente della FSL, anzi, di primo Presidente.
Ho avuto il privilegio di conoscerlo e di andarci
in grotta insieme fin dal mio inizio, nel 1974, e
del resto lui, benché avesse partecipato al mitico
raggiungimento del fondo-sifone a Pozzo della
Neve, era praticamente un allievo appena svezzato
(e che svezzamento: sei giorni in esplorazione fino
al vecchio fondo a -650 metri).
Quando si allontanò dall’attività speleologica
essenzialmente per motivi di studio e di lavoro,
una volta scomparsa la vecchia ASR era rimasto
per così dire senza riferimenti; ma subito dopo
la nascita, quasi una rifondazione, della nuova
ASR alla fine degli anni ’80, ci era venuto a
trovare, ricevendo, da parte degli ex giovincelli,
divenuti ormai consolidati quadri, un’accoglienza
entusiasta e affettuosa che amava ricordare
commosso ad ogni occasione.
Chi mi conosce sa che sono abituato ad avere sulle
labbra quello che ho in testa e in cuore, perciò
non nasconderò che Franco si era allontanato dal
gruppo, con garbo e discrezione com’era suo stile
e carattere, perché vi si trovava a disagio. Tra i
pregi innegabili di un gruppo speleologico infatti
convive non di rado un difetto non irrilevante, che
le persone più avvezze a valutare la partecipazione
più alla pratica speleologica esplorativa che ai riti
dell’appartenenza di gruppo soffrono non poco.
Ma Franco, da animo grande qual era, non solo
andandosene non aveva sbattuto la porta, ma
aveva mantenuto intatto il buon animo suo nei
Andrea Bonucci
Franco Ciocci nel 2002, durante il II Convegno della FSL.
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VII Convegno Federazione Speleologica del Lazio
avvicinò e si confrontò con tutti i gruppi
del Lazio. Infine aderì anche al Gruppo
Speleologico di Guidonia Montecelio.
Ci ha lasciato un uomo importante nel
panorama della speleologia del Lazio, e
non solo, ma ci ha lasciato soprattutto una
persona squisita.
Passando per Frascati non mancavo di andarlo
a trovare sul suo posto di lavoro, la sede della
ENEA, e si parlava di speleologia e dei suoi
recenti sviluppi; una passione che, nonostante
gli impegni della vita corrente, non aveva mai
abbandonato. Che la terra gli sia lieve”.
“Il primo ricordo di Franco risale al 1975, al
mio primo momento di conoscenza con la
vecchia Associazione Speleologica Romana.
La sede era in via Varese, in una cantina che
già odorava di grotta.
Appena entrati, lungo la parete più estesa,
faceva bella mostra una chilometrica
rappresentazione grafica di Pozzo della Neve
e, dai discorsi degli esperti, ogni persona
che aveva contribuito alla sua esplorazione
si trasformava nel partecipante ad un grande
evento speleologico; Franco, nonostante la
giovane età, era uno di quelli.
Il suo aspetto ed il comportamento, carico di
una bonomia che lo avrebbe accompagnato
per tutta la vita, invitava al dialogo ed al
racconto. Poi, preso dallo studio e dal lavoro,
scomparve per vari anni. Si riavvicinò alla
speleologia con la nuova Associazione
Speleologi Romani ed in sua rappresentanza
ebbe un ruolo centrale nella formazione della
Federazione Speleologica del Lazio e nella
formulazione del suo Statuto.
É quindi anche grazie al suo personale
contributo che oggi possiamo, tramite la FSL,
esprimere le istanze di tutta la speleologia
laziale. Da Presidente della Federazione
Pierriccardo Festa
Franco Ciocci
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Speleologia del Lazio, 9 | dicembre 2018
Aldo Giacomo Segre
MARIA PIRO
I
l 12 Novembre 2018 è scomparso Aldo
Giacomo Segre, geografo, geologo e
paleontologo di fama internazionale. Aveva
compiuto 100 anni nel gennaio 2018.
Speleologico Romano, all’interno dell’Unione
Italiana Naturalisti di cui è animatore.
Recupera la documentazione rimasta in
precarie condizioni di conservazione nella sede
del CSR e, in particolare, il primissimo catasto
delle grotte. Si occupa della riorganizzazione
del catasto, sia del Lazio che dell’Abruzzo
e Molise; inizia quindi gli studi sulla
toponomastica speleologica e approfondisce
vari argomenti collegati al fenomeno carsico.
Prosegue gli studi conseguendo la laurea in
Geografia e inizia la sua attività di ricercatore.
La sua tesi di laurea “I fenomeni carsici e la
speleologia nel Lazio”, riguardante lo studio
del fenomeno carsico, viene pubblicata nel
1948 dall’Istituto di Geografia dell’Università
di Roma con il contributo del CNR, e costituisce
un’opera fondamentale per la conoscenza del
territorio da parte degli speleologi, in quanto,
oltre a illustrare tutte le grotte conosciute
all’epoca, descrive il carsismo della regione
in tutti i suoi aspetti. Inoltre scrive numerosi
articoli su speleologia e carsismo, dedicandosi
in particolare al Lazio e all’Abruzzo.
Alla fine degli anni ‘50 termina questo filone
di attività, pur restando in contatto con
l’ambiente speleologico.
Nel frattempo inizia la sua lunga e intensa attività
di ricercatore, nel corso della quale spazia in
numerosi campi. Per quanto si evince dai circa
150 articoli e volumi da lui pubblicati, negli
anni ‘50 e ‘60 si dedica soprattutto a ricerche
di geologia marina, studiando le antiche linee
di riva sommerse e la geomorfologia delle
piattaforme continentali nel Mediterraneo
e realizzando carte batimetriche, scoprendo
per primo l’esistenza del Vulcano Marsili;
ha collaborato anche con Jacques Costeau
per lo studio dei fondali mediterranei con la
nave Bannock, con l’Istituto Idrografico della
Marina di Genova; è stato per molti anni
presidente della Commissione Internazionale
per lo studio del Mediterraneo con sede al
Principato di Monaco.
In qualità di Geologo Capo nel Servizio
Geologico d’Italia partecipa, negli anni ‘50
A metà degli anni trenta il giovanissimo Segre
comincia a dedicarsi alla speleologia, iniziando
la sua attività presso il Circolo Speleologico
Romano; contemporaneamente partecipa agli
scavi di Carlo Alberto Blanc nel giacimento di
Saccopastore.
Il clima creatosi con la promulgazione delle
leggi “per la difesa della razza” determina in
sostanza la fine delle attività del Circolo ed ha
ripercussioni anche sulla sua famiglia.
Subito dopo la parentesi della guerra è il
promotore della rifondazione del Circolo
Aldo Giacomo Segre
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VII Convegno Federazione Speleologica del Lazio
alla moglie Eugenia Naldini, allo studio dei
giacimenti preistorici; inoltre collabora con
l’Istituto Italiano di Paleontologia Umana
nella sede storica di Roma in Piazza Mincio. A
lui e ai suoi collaboratori si deve, fra l’altro, la
scoperta dell’Uomo di Ceprano nel 1994.
Sono queste solo delle brevi note, su Aldo
Giacomo Segre ci sarebbe da dire ancora
molto.
e ‘60, alle campagne di rilevamento per la
redazione della Carta Geologica d’Italia,
collaborando
all’elaborazione
di
vari
fogli geologici dell’Italia Centrale e della
Campania, e al rilevamento geologico delle
isole Pontine e di alcune aree della Sardegna;
compie studi anche nella regione del Vulture e
nella bassa valle del Sacco-Liri. Studia inoltre
i giacimenti quaternari e la paleontologia
umana, partecipando anche a campagne di scavi
e pubblicando vari studi in collaborazione con
archeologi.
Per diversi anni insegna presso l’Università
di Messina dirigendo l’Istituto di Geologia,
Paleontologia e Geografia Fisica dell’allora Facoltà
di Scienze Matematiche, Fisiche e Naturali.
È il Capo Scientifico della prima spedizione
italiana in Antartide svoltasi nel 1968 1969, curata dal Consiglio Nazionale delle
Ricerche insieme al Club Alpino Italiano, con
il supporto logistico della Nuova Zelanda,
e della seconda spedizione organizzata dal
CNR nel 1973 - 1974.
Dagli anni ’80, terminata l’attività accademica,
si dedica quasi esclusivamente, insieme
Aldo Giacomo Segre in compagnia della moglie Eugenia Segre Naldini e di un gruppo di amici
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Speleologia del Lazio, 9 | dicembre 2018
“Spelunca docet”
la grotta come
laboratorio didattico
VALERIA PASQUALINI - MARIA FIERLI - FEDERICA DE BELLIS
Il Convegno si è sviluppato in 3 giornate: la prima, venerdì 5 maggio 2017, è stata interamente
dedicata alle scuole, con la partecipazione attiva
degli studenti, che hanno presentato i propri lavori
al pubblico.
I ragazzi si sono confrontati con rappresentanti del
mondo della speleologia (esploratori, divulgatori,
scienziati), scoprendo o approfondendo una realtà tanto affascinante quanto poco conosciuta al
pubblico. La speleologia presenta numerosissimi
spunti didattici: dalla letteratura, con gli scritti di
autori affascinati dal mondo sotterraneo; alla scienza, con lo studio degli aspetti ecologici unici che
caratterizzano le aree carsiche ed ipogee in generale; all’arte, con le meravigliose forme che la natura
riesce a creare in taluni ambienti; alla storia, con le
testimonianze archeologiche e paleontologiche che
le grotte svelano. La delicatezza di tali ambienti e
la necessità di una loro tutela rende fondamentale
un’opera di sensibilizzazione e divulgazione, in cui
le scuole non possono che essere incluse; infatti, riteniamo che i giovani siano ottimi destinatari e donatori di conoscenze legate al mondo sotterraneo.
Tre classi pilota di altrettanti istituti superiori hanno partecipato attivamente, realizzando progetti il
cui argomento non poteva che essere la speleologia nei suoi diversi aspetti: ecologico, geologico,
storico, esplorativo, eccetera.
Di seguito la relazione dei professori responsabili dei laboratori.
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VII Convegno Federazione Speleologica del Lazio
qualche minuto questi cristalli mi hanno incantato per la loro bellezza e perché non avevo mai
visto una cosa simile”.
La 2ª I dell’Istituto Comprensivo Eduardo De
Filippo e la speleologia
Valeria Pasqualini
(Docente di matematica e scienze)
“Della speleologia mi ha colpito il settore esplorativo perché si possono visitare posti stupendi e
unici e il settore biologico perché si possono osservare specie uniche di animali”.
“Penso che ogni grotta sia diversa e ognuna nasconda un grande mistero da svelare e grandi scoperte da fare”.
“Mi hanno colpito molto i modi in cui gli animali
delle grotte si sono adattati a questi ambienti”.
“La cosa che mi è piaciuta di più della speleologia sono gli animali: le loro caratteristiche e
come vivono in grotta, ma anche che, se qualcuno
si fa male, tutti sono lì ad aiutarlo”.
“Poter visionare l’interno della Terra dev’essere emozionante: possiamo scoprire la forma e la
struttura del nostro Pianeta”.
“La parte che mi è piaciuta di più del film che abbiamo visto, intitolato “La lunga notte”, è quella
del salvataggio, perché ci fa capire che ognuno di
noi è importante”.
“Della speleologia mi ha colpito soprattutto la
parte scientifica, in maggior modo la formazione
dei cristalli e anche l’attrezzatura con cui gli speleologi vanno ad esplorare le grotte”.
“Quello che mi è interessato di più nell’ambito
delle grotte è l’aspetto scientifico e quello umano: del primo mi ha molto colpito la composizione dei cristalli; del secondo mi ha colpito
che per salvare una sola persona si sono messi
all’opera per 5 giorni circa 200 persone, incessantemente”.
“Mi ha incuriosito più di tutto la Grotta del Bue
Marino, che prende questo nome perché un bue
marino era alloggiato lì nell’epoca preistorica”.
“Mi ha interessato molto l’aspetto esplorativo, in
particolare mi ha colpito la grotta di Torre Paola, su cui ho trovato un articolo in una rivista di
speleologia”.
“Mi ha colpito molto la Grotta dei Cristalli in
Messico, perché questa grotta è molto affascinante, ma allo stesso tempo mortale per l’uomo”.
“La cosa che mi ha colpito di più sono gli animali
che passano l’intero ciclo della loro vita in grotta”.
“Ciò che mi ha colpito di più è l’aiuto reciproco
visto nel video de “La lunga notte”.
“Sono stata molto colpita dalla grotta dei Cristalli
in Messico perché non avevo mai visto cristalli di
così enormi dimensioni e perché questa grotta è
bellissima, ma anche letale”.
“Durante il video sulla Grotta dei Cristalli per
Figura 1 - La classe
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Speleologia del Lazio, 9 | dicembre 2018
Queste le impressioni degli studenti della 2ª
I dell’I. C. Eduardo de Filippo (Colleverde di
Guidonia) a proposito della speleologia.
Con entusiasmo i ragazzi hanno accolto la
proposta di partecipare ad un convegno sulla
speleologia, con entusiasmo hanno affrontato
tutto il percorso, durato cinque mesi, e con entusiasmo e serietà hanno partecipato al Convegno, dimostrando che il coinvolgimento attivo
dei giovani ad eventi culturali diversi dalle
classiche lezioni in classe, non solo accresce
le loro conoscenze, ma anche la loro capacità
di relazionarsi con il mondo esterno.
“Spelunca docet, la grotta racconta, comunica, insegna”
Trattandosi di una seconda media, ho potuto
inserire l’attività nel programma di scienze: i
ragazzi hanno avuto la possibilità di consultare
riviste e libri di speleologia, ognuno ha trovato
l’ambito che più gli interessava e lo incuriosiva:
dalla zoologia all’archeologia, dalla geologia
alla fisica, dall’avventura esplorativa alla solidarietà…
Dopodiché gli alunni, divisi in gruppetti di 4-5,
si sono occupati dei vari aspetti della speleologia: carsismo e speleogenesi, idrogeologia,
biologia. Inoltre, stimolati dalla visione di alcuni filmati, in particolare il documentario “La
Grotta dei Cristalli” de La Venta ed il film “La
lunga notte” sul salvataggio dello speleologo
Igor nella grotta di Piaggia Bella da parte del
Corpo Nazionale Soccorso Alpino e Speleologico, in molti hanno deciso spontaneamente di
approfondire la conoscenza su alcune grotte e
complessi carsici.
Figura 2 - Durante il Convegno
“L’aspetto che mi ha colpito di più è stato quello
di fraternità e umanità dei soccorritori di Igor”.
“La cosa che mi ha colpito di più è che nella
Grotta dei Cristalli, pur essendoci una temperatura molto alta, gli speleologi sono potuti entrare
usando delle attrezzature speciali”.
Infine, la decisione di produrre un filmato, in
classe e con i mezzi scolastici (la mia macchina fotografica e la fantasia dei ragazzi), è stata
determinata dalla volontà di rendere tutti ugualmente protagonisti della storia, cosa che è riuscita perfettamente.
“La cosa che mi è interessato di più l’ho letta in
una rivista: ossia il ritrovamento nella Grotta di
Pertosa di ciotole, cucchiai, aghi, frecce dell’Età
del Bronzo”.
“Mi è piaciuto molto l’aspetto sperimentale nella
Grotta dei Cristalli, che consisteva nel vedere se
le persone potevano resistere al caldo perché dentro la grotta ci sono circa 40°C con alta umidità”.
La partecipazione alla giornata del Convegno
dedicata alle scuole è stata la giusta conclusione per poter attribuire importanza e merito a
qualcosa prodotto dai ragazzi, secondo le inclinazioni di ciascuno, con l’obiettivo di aumentare la sicurezza nelle proprie capacità, che non
sempre emergono nelle tradizionali lezioni in
classe.
“È difficile dire cosa mi è piaciuto delle grotte,
possiamo dire che mi sono piaciuti tutti gli aspetti
in egual modo”.
“A me della speleologia ha colpito il settore esplorativo, che ci permette di andare nella profondità
delle grotte e di esplorarle personalmente, ed è
davvero un’affascinante avventura”.
15
VII Convegno Federazione Speleologica del Lazio
della classe 4ª D e 4ª H hanno avuto modo di
presentare il lavoro svolto e i risultati.
Gli alunni, pienamente soddisfatti, hanno potuto
conoscere, grazie alla presenza del C.N.S.A.S.,
le tecniche di risalita e di soccorso speleologico,
provando anche delle strettoie riprodotte in
maniera artificiale.
Nel contesto del Convegno gli alunni hanno
incontrato altri speleologi e visitato la mostra dove
erano presenti sia le foto che le vere attrezzature,
attuali e d’epoca, utilizzate dagli esploratori per
percorrere le grotte.
Il fascino della scoperta è stato un elemento
fondamentale del lavoro svolto con i ragazzi,
sia per quanto riguarda l’esplorazione di nuovi
luoghi, come quelli ricercati e visitati nell’ambito
speleologico, che quello altrettanto affascinante
della ricerca e conoscenza spaziale, fuori quindi dal
nostro pianeta. Tramite un video dell’ESA e della
NASA, proposto dalla scrivente, sull’allenamento
dei futuri astronauti in grotta, i ragazzi hanno potuto
riflettere su quanto ancora ci sia di inesplorato anche
sul nostro pianeta e paragonare in qualche maniera
le profondità siderali con i luoghi sconosciuti e
affascinanti ancora celati nel sottosuolo terrestre.
Un altro risultato importante è stata la presa
di coscienza, da parte degli alunni, di quanto
fondamentale sia preservare dall’inquinamento i
luoghi sotterranei, e in primis le falde acquifere,
direttamente collegati con la potabilità dell’acqua
che berranno.
Ringrazio i colleghi che hanno contribuito, insieme ai
ragazzi, a realizzare questo progetto dove si è messa
in evidenza non solo la conoscenza speleologica ma
anche l’importanza di un luogo, spesso non sempre
valorizzato, come la Biblioteca.
Istituto Tecnico Industriale Statale (ITIS) Enrico Fermi di Roma e la speleologia
Maria Fierli
(Docente di sostegno ed educazione fisica)
Durante l’anno scolastico 2016/2017, presso
l’Istituto Tecnico Industriale Statale (ITIS) Enrico
Fermi di Roma, si sono svolti degli incontri per far
conoscere ad alcuni alunni la Speleologia.
Tutto si è svolto con i docenti Maria Fierli,
relatrice, e il supporto dei colleghi Emanuele Fanti,
Roberta De Blasis e Romina Palomba; gli incontri
hanno avuto come tema principale l’emozione
della scoperta e della conoscenza. Tramite video e
foto si è cercato di spiegare cos’è la speleologia e
soprattutto quali possono essere le motivazioni che
muovono gli speleologi a svolgere un’attività così
impegnativa e a volte faticosa.
Tutto si è svolto nella biblioteca dell’Istituto con le
classi 4ª D e 4ª H e le classi del corso serale.
Durante il mese di marzo e aprile, a seguito del
lavoro svolto precedentemente, si è dato inizio,
sempre nella nostra biblioteca, ad un lavoro che ha
preso il nome “Parole della Speleologia”.
I ragazzi hanno lavorato ad una ricerca, sui
libri e le enciclopedie della nostra biblioteca, di
alcune parole utilizzate nell’ambito speleologico.
Il lavoro ha prodotto dei risultati che sono stati
elaborati dalle varie classi in un power point
prodotto dagli alunni stessi.
Nella giornata del 5 maggio 2017, al convegno
di speleologia presso la Ex Cartiera del Parco
Regionale dell’Appia Antica, organizzato dalla
Federazione Speleologica del Lazio, alcuni alunni
SCR
FSL
ITIS FERMI
LE PAROLE DELLA SPELEOLOGIA
CON GLI ALUNNI DELLA 4D E 4H
DELL’ITIS E. FERMI DI ROMA
E I DOCENTI FIERLI, DE BLASIS E PALOMBA
16
Speleologia del Lazio, 9 | dicembre 2018
La classe 1a B dell’Istituto Comprensivo “San
Vittorino - Corcolle” e la speleologia
Federica De Bellis
(Docente di matematica e scienze)
Il 5 maggio 2017 la classe 1ª B (secondaria
di primo grado) dell’I.C. “San Vittorino –
Corcolle”, dopo lunga e accurata preparazione
ha partecipato attivamente al VII Convegno di
Speleologia della Federazione Speleologica del
Lazio. Ho scelto questa classe per l’entusiasmo
con cui è solita affrontare tutti gli argomenti,
anche quelli che per la maggior parte degli
studenti sono considerati noiosi. Ero quindi
certa che avrebbero assecondato anche la mia
grande passione per l’ambiente cavernicolo, e
così è stato. Ho spiegato loro la biospeleologia
mostrando la presentazione che ho preparato
molti anni fa per le nuove leve della speleologia:
sono stata tempestata di domande, ho impiegato
tre giorni di lezione per soddisfare tutte le loro
curiosità. Anche la lezione di Gabriele Catoni
sul carsismo e le esplorazioni in grotta nei locali
della scuola ha avuto un grande successo. Per
mesi, nel corso delle lezioni di scienze, i ragazzi
facevano riferimento a ciò che avevano imparato
quel giorno. Il lavoro è stato fervente: con l’aiuto
della collega di arte e immagine, tutti si sono
cimentati nella produzione di disegni che poi
sono stati esposti alla mostra: come potete vedere
dalle immagini, sono dei veri e propri capolavori!
Due ragazze molto intraprendenti hanno invece
prodotto autonomamente una presentazione che
poi hanno esposto, senza nessun aiuto da parte
della sottoscritta, nella sala delle conferenze.
L’argomento della presentazione riguardava la
speleogenesi, il carsismo e la biospeleologia.
I ragazzi hanno assistito alle dimostrazioni del
Soccorso Speleologico e visitato la mostra con
grande interesse.
Le grotte, oltre ad avere un valore intrinseco, in
quanto monumenti naturali, e un valore scientifico,
in quanto ecosistemi isolati, rappresentano per
noi la principale fonte di acqua potabile. Lo
studio dell’ecosistema cavernicolo è stato anche
un pretesto per sensibilizzare gli studenti verso
tematiche ambientali che non possiamo più
permetterci di ignorare. L’ambiente ipogeo è
stato in seguito anche un punto di partenza per
parlare della conservazione della natura e delle
sue risorse con particolare riguardo ai danni
ambientali che, specialmente in alcune regioni
italiane, stanno portando gravi conseguenze alla
salute delle popolazioni locali.
Dopo lezioni frontali e partecipate, i ragazzi
hanno avuto la possibilità di agire in modo
autonomo: i lavori portati al convegno sono il
frutto della ricerca e della creatività personale e
di gruppo.
I ragazzi hanno potuto sperimentare le proprie
capacità di approfondire i propri interessi:
ciascuno è diventato artefice del proprio processo
di apprendimento superando così la trasmissione
verticale del sapere. In questo contesto, lo
studente assume un ruolo centrale e il docente un
ruolo di guida.
Un anno dopo ho voluto fare un esperimento:
cosa sarà rimasto ai miei alunni di ciò che hanno
appreso da questa avventura?
Ecco i risultati:
“Facendo delle ricerche per questo convegno
sulle grotte, ho scoperto molte cose su di esse:
come si formano e da chi sono abitate. La cosa
che mi è piaciuta maggiormente è stato scoprire
la fauna di questo habitat naturale”. Elisa
“Ho imparato molte cose grazie a questo
convegno. Ho imparato ad esporre meglio
facendo una presentazione insieme ad una
mia compagna. Ho visto molte cose, come il
salvataggio che mi ha colpita particolarmente
per il semplice fatto che potevamo partecipare e
vedere tutto da vicino. Grazie a questo convegno
so molte più cose sulle rocce e sugli insetti che si
trovano nelle grotte”. Aurora
“Siamo andati ad un convegno e abbiamo visto
dei video che parlavano della morfologia delle
grotte. Alcune classi, tra cui la nostra, hanno
portato dei video. Ci hanno mostrato anche
come si salvano le persone nelle grotte. Con
la professoressa di arte abbiamo anche fatto
dei disegni delle specie ed è venuto un esperto
in classe che ci ha spiegato delle cose e ci ha
mostrato dei video”. Alessandra
“È stata una bella esperienza. Mi ricordo del
Soccorso Speleologico: c’era una persona sulla
barella e noi la portavamo”. Maurizio
17
VII Convegno Federazione Speleologica del Lazio
“Del convegno sulla speleologia ricordo che nella
grande sala organizzata per l’occasione c’era uno
dei miei disegni su cui avevo lavorato giorni prima
e che ora è attaccato su un pannello nella scuola.
Inoltre ricordo che due mie compagne di classe hanno
spiegato cose riguardanti il tema del convegno. In
generale quell’esperienza mi è piaciuta perché mi
ha fatto capire parecchio riguardo il mondo delle
grotte e chi le abita”. Melissa
scorso anno, la cosa che più mi ha colpito è stata
la mostra di numerose attrezzature utilizzate
in ambito speleologico, quali: corde, zaini,
caschi e tute adatte ad ogni situazione. È stata
un’esperienza molto bella e spero di poterla
rifare”. Luca
“Al convegno dell’anno scorso mi sono divertita
molto. Ricordo bene il filmato che ci hanno fatto
vedere, nel quale c’era anche la professoressa.
Mi è piaciuto anche che i nostri disegni erano
nella stanza che abbiamo visitato dopo la
conferenza, perché abbiamo impiegato molto
tempo per realizzarli. Mi ricordo le procedure di
salvataggio che ci hanno fatto vedere. Ricordo
anche il lavoro che abbiamo fatto insieme alla 1ª
A con Gabriele”. Giulia
“Siamo andati ad un convegno. Abbiamo visto un
video creato da un’altra scuola dove ci facevano
vedere le specie di animali che vivono nelle
grotte. Anche due ragazze della nostra classe
hanno presentato il loro video dove si parlava
della morfologia delle grotte e degli animali che
vi abitano”. Giulia
“La cosa che mi ricordo e che più mi è piaciuto
della gita al convegno è stato il Soccorso
Speleologico perché se un giorno da grande
dovesse succedere qualcosa a un mio amico io
saprei come salvarlo”. Roberto
“La gita al convegno è una delle più emozionanti
e interessanti che abbia mai fatto. La speleologia
mi ha colpito molto per il coraggio, la pericolosità
e talvolta la bellezza delle cose che trovano e che
fanno gli esploratori. Una cosa che mi piace è
l’agilità, una delle cose più importanti per essere
un esploratore”. Simone
“Del convegno a cui abbiamo partecipato nello
18
Speleologia del Lazio, 9 | dicembre 2018
Blocco occidentale
dei Monti Lepini
Campagna di ricerca 2016-17
DANILO IANNUCCI - STUDIO GEOLOGICO LEONARDO ROMBOLI
U
n po’ per caso e un po’ per curiosità nacque
in noi la passione della speleologia: persone
comuni con la stessa passione incontrate
nei vari ambienti speleologici. Tre anni fa, in una
calda estate, Vincenzo e Danilo decisero di visitare
una grotta turistica a Falvaterra. L’esperienza,
bella e interessante, fece nascere in noi il desiderio
di ripeterla, prima o poi. Qualche tempo dopo,
durante un’escursione con Andrea e altri amici
lungo le rive del fiume Aniene, ai piedi del paese di
Jenne, leggemmo una cartellonistica che indicava
una grotta lungo il sentiero. La curiosità di vederla
ci spinse ad entrare nei primi metri e, una volta
tornati a casa, cercammo su internet se vi fosse
la possibilità di visitarne altre. Ci imbattemmo
dunque nell’elenco e nella descrizione delle grotte
più belle ed importanti del Lazio. Consci delle
difficoltà e dei pericoli ai quali potevamo andare
incontro, scegliendo quelle orizzontali e, con un
minimo di attrezzatura speleologica, iniziammo a
visitarle. Dalle grotte orizzontali a quelle verticali il
passo fu breve e, una volta completati l’attrezzatura
e l’addestramento, decidemmo di esplorare il
territorio dei Monti Lepini. Durante una visita
dell’Ouso di Pozzo Comune incontrammo Davide
e Stefano, alle prime esperienze anch’essi. Nelle
successive uscite conoscemmo Luca, Massimiliano
e Stefano.
Durante l’attività, avemmo modo di notare che
il numero delle grotte nel blocco occidentale dei
monti Lepini era notevolmente minore rispetto a
quello riscontrato nel resto della catena montuosa.
Chiedemmo dunque informazioni agli allevatori del
posto e uno di essi ci parlò di un ingresso che aveva
tappato con una pietra per non far cadere gli animali.
Alcuni giorni dopo ci recammo sul posto e, spostata
la pietra che era a protezione della cavità, notammo
una sensibile corrente d’aria in uscita. Armata la
corda ad un albero demmo inizio all’esplorazione,
mettendo il sigillo sulla nostra prima grotta.
Nelle settimane successive organizzammo una
battuta di ricerca lungo tutta l’area interessata,
trovando molti altri ingressi più o meno
interessanti.
Avevamo trovato un’area inesplorata dove tutte
le cavità originavano in frattura, caratterizzate da
varie profondità e ampiezze. Chiedemmo infine
aiuto al geologo Leonardo Romboli che ce ne
spiegò la genesi.
Alcune delle grotte scoperte sono attualmente
in fase esplorativa e la ricerca di possibili
prosecuzioni continua.
A seguire una breve descrizione delle cavità e i
rilievi delle stesse.
Ouso di Billy (fig. 1). La grotta in frattura
abbastanza comoda con un P. 6 iniziale prosegue
tra massi di crollo e spazi più o meno ampi
arrampicabili fino al fondo detritico. Al suo
interno sono presenti concrezioni coralloidi ed è
attraversata da un flusso di aria.
Ouso della Finestrella (fig. 2). La grotta si
presenta con un P. 3 arrampicabile che porta in
una saletta 2,5x2,5 m dal soffitto concrezionato,
sulla base si trova una finestrella che con un P. 8
scende in stretta frattura fino al fondo detritico; si
percepisce una leggera corrente d’aria.
Grotta Grugliano (fig. 3). La grotta si presenta
con un P. 7 che atterra su un masso di crollo da
cui si vede la frattura che dopo 5 metri e un P. 3
conclude su fondo detritico.
Ouso 2 di Billy (fig. 4). La grotta è posizionata più
a valle dell’Ouso di Billy, a un’altitudine inferiore
di circa 50 m; si presenta in frattura molto stretta
in unico salto di 9 metri che conclude in uno
spazio più ampio dal fondo terroso.
Grotta Campazzano (fig. 5). La grotta in frattura
scende con unico P. 5, il fondo detritico presenta
spazi di larghezza variabile.
19
VII Convegno Federazione Speleologica del Lazio
Figura 1 – Ouso di Billy (La 2127)
Figura 2 – Ouso della Finestrella (La2129)
Figura 2 – Grotta Grugliano 47 (La 2126)
20
Speleologia del Lazio, 9 | dicembre 2018
Figura 4 – Ouso 2 di Billy (La 2128)
Figura 5 – Grotta Campazzano (La 2125)
Fino ad ora il maggior numero di grotte conosciute
sui Monti Lepini, è concentrato nel settore sudcentro-orientale del massiccio.
Ci si è chiesti se ciò fosse dovuto ad una scarsa
esplorazione o ad un’assenza vera e propria
dovuta a condizioni geomorfologiche diverse.
La campagna di ricerca del Gruppo Ipogei,
condotta in un’area storicamente povera di grotte,
ha portato all’identificazione di alcune cavità,
che per il momento non sembrano possedere
dimensioni particolarmente importanti.
Le osservazioni di seguito riportate si basano
anche sulla lettura critica e l’acquisizione di dati
che diversi autori hanno riportato nei loro lavori,
essenzialmente mirati allo studio idrogeologico
dei Monti Lepini.
In particolare ci si riferisce agli articoli comparsi
nella Pubblicazione “Progetto Monti Lepini –
Studi idrogeologici per la tutela e la gestione della
risorsa idrica”, Gangemi Editore 2010.
I fattori geomorfologici e climatici che
favoriscono la formazione di grotte e di ampi
ambienti ipogei sono:
1. Più o meno facilità di alterazione chimica
della roccia madre, più aggredibile un calcare
meno una dolomia.
2. Più aggredibile un calcare poroso, rispetto ad
uno compatto.
3. Maggiore o minore acidità dell’acqua.
4. Maggiore o minore presenza di diaclasi, da
stratificazioni e soprattutto da tettonica.
5. Maggiore o minore piovosità.
6. Morfologia che favorisca o meno il
ruscellamento superficiale.
7. Maggiore o minore tempo da quando è iniziato
il processo carsico.
Nella figura sono indicati i due settori dei Monti
Lepini dove è stata riscontrata questa differenza
sostanziale nella presenza di grotte, numerose nel
settore A, poche nel settore B.
Il Settore A è quello di centro sud, nei territori
di Carpineto e Gorga; il Settore B è quello più a
nord, nel Comune di Segni.
Le due zone sono state messe a confronto,
utilizzando
un
metodo
estremamente
semplificato, verificando per ciascuno dei fattori
sopra indicati, se la sua incidenza sia maggiore o
minore per il settore A o per il settore B, secondo
la tabella 1.
É evidente che per ciascuno dei fattori
considerati la Zona A (Carpineto-Gorga) è
quella più favorita per la formazione di cavità,
motivando in tal modo la presenza di un maggior
numero di grotte.
Tale analisi non ha certo la pretesa di essere
rigorosa, i diversi parametri indicati non sono
tutti facilmente determinabili o realmente
21
VII Convegno Federazione Speleologica del Lazio
Figura 6 – I settori dei Monti Lepini discussi nel testo
Tabella 1
determinanti nel favorire il carsismo. Ad
esempio, il parametro f) (Tabella 1) è di sicura
incidenza e facilmente definibile tramite
l’andamento orografico (modesta pendenza,
aree endoreiche, presenza di doline). Il
parametro e) si riferisce alla piovosità degli
ultimi decenni, quindi con un’influenza
minima. Oppure il parametro c), l’acidità
dell’acqua percolante è favorita dalla presenza
o meno della vegetazione, ma conosciamo solo
quella attuale.
Tuttavia, pur con tutte le riserve del caso
abbiamo verificato che le differenze fra i diversi
settori della catena esistono, vanno studiati con
maggiore accuratezza, così da poter indirizzare
la ricerca in modo mirato.
Con questo non vogliamo concludere che l’Area
B sia sicuramente priva di cavità interessanti,
uno studio più approfondito, prendendo in
esame anche altri fattori: ad esempio, gli ultimi
studi sulla circolazione sotterranea, condotti da
Bono, Alimonti, Capelli et alii, potrebbero dare
indicazioni determinanti sulla presenza di un
carsismo profondo.
Queste considerazioni, ci hanno portato ad
immaginare un sistema che, sulla base di
dati noti, permetta di verificare se un’area sia
potenzialmente ricca o meno di cavità.
Potrebbe essere interessante elaborare un indice
numerico che per unità di area tenga conto
22
Speleologia del Lazio, 9 | dicembre 2018
Tabella 2
dei diversi parametri favorevoli o meno alla
formazione delle grotte, applicando agli stessi
un peso che sia funzione della specificità del
parametro, come nella tabella 2.
L’area in studio va divisa in maglie quadrate,
con lato sufficientemente ampio: ad es. 1.000
metri, per ciascun quadrato la sommatoria dei
valori attribuiti determinerà un indice, variabile
da un minimo ad un massimo, che, al fine di
una rappresentazione cartografica, permetterà
di valutare la presenza o meno di cavità.
È inteso che tale metodo è solo a titolo
d’esempio, deve essere uno punto di partenza
da approfondire, uno schema su cui lavorare, da
elaborare in equipe con diverse professionalità.
23
VII Convegno Federazione Speleologica del Lazio
Laboratorio didattico “Spelunca Docet” - disegno di un alunno
della classe I B (secondaria di primo grado) dell’Istituto
Comprensivo “San Vittorino - Corcolle”
24
Speleologia del Lazio, 9 | dicembre 2018
Speleologia di
superficie
Tre anni a Campovano
GIANLUCA STERBINI
A
nnidata tra le creste nel cuore degli
Ernici, la splendida e isolata conca
carsica di Campovano è stata oggetto
negli ultimi anni di minuziose ricerche.
Negli anni ‘80 le indagini degli speleologi
avevano scoperto solo un buco ventoso in una
frana, il Pozzetto di Campovano, tuttavia la
quota dell’area, circa 1900 metri, e l’assenza
di altre cavità facevano intuire un notevole
potenziale.
Dopo più di tre anni di lavoro il bilancio è
positivo: sono state trovate alcune grotte nuove
tra le quali un accesso importante, attualmente in
esplorazione a –100 e con eccellenti possibilità
di sviluppo ulteriore, l’Abisso al 61.
Molti cantieri sono in corso e sono stati
identificati più di venticinque punti - fessure con
circolazione d’aria, assorbimenti e inghiottitoi,
carsismo antico e fenomeni idrotermali - che
confermano l’esistenza di un luogo di grande
interesse potenziale.
L’apertura delle grotte e di una nuova area di
esplorazione sono stati certamente risultati
di valore per la speleologia ma è altrettanto
importante che le attività siano state frutto della
collaborazione di molti gruppi e speleologi
indipendenti e che le grotte di Campovano
siano state rese disponibili a tutti fin dal primo
momento, in una filosofia “open cave”.
L’attività sul campo si è sviluppata con cadenza
settimanale. Iniziata nell’estate del 2014 e mai
interrotta, i partecipanti hanno svolto un intenso
lavoro di ricerca, specie all’esterno.
Dedicandosi alla speleologia di superficie
sono stati trovati e resi accessibili molti
ingressi diversi ed è stato possibile conoscere
Campovano palmo a palmo.
Insieme all’apertura e all’esplorazione delle
cavità, nel corso delle stagioni sono stati
osservati gli effetti di una grande varietà di
condizioni ambientali e meteo, compresi eventi
estremi, e sono stati monitorati con continuità
il comportamento e le variazioni degli elementi
che entusiasmano noi speleologi: l’aria e l’acqua.
Inoltre, sono stati indagati altri fenomeni nuovi
e inaspettati: le colonie dei topi.
Figura 1 - Logo Progetto Campovano, grafica di Chiara Campioni
25
VII Convegno Federazione Speleologica del Lazio
Figura 2 - Carta delle grotte e dei punti di interesse a Campovano. 18, Grotta di Mia, piccolo ambiente 3x2
completamente rivestito di cristalli, all’esterno dell’imbocco sono presenti concrezioni erose; 19, Primo assorbimento
principale, della conca, sotto l’elettrodotto, profondo un paio di metri, detrito. In occasione della piena del 14-10-15
ha formato un discreto lago, drena lentamente, aria; 20, San Michele Arcangelo, secondo assorbimento principale, al
centro di un fosso poco prima di una dolina, attualmente 4 mt., in corso di scavo, roccia fessurata in posto, molta aria, in
occasione della piena ha drenato istantaneamente circa 1/3 del bacino, portata stimata in difetto dalle tracce del torrente
temporaneo (larg. mt. 2.5, alt. 0.6, pendenza 15%) almeno 5 mc/sec, notata colonia di topi; 21, Aria tra detrito e roccia
fessurata; 22, Fessura sul versante, piccolo assorbimento; 23, Buchetto presso il Cianetti-Zampighi con aria; 24, Abisso
Cianetti-Zampighi, in corso di esplorazione, frana a -30 con molta aria, colonia; 25, Buchetto alla quota del Cianetti,
dalla parte opposta della dolina, in un piccolo fosso; 26, Abisso dei Giovani; 27, Abisso dei Vecchi, alla prima entrate è
stato notato un pipistrello e una colonia; 28, Punto di assorbimento; 30, Terzo assorbimento principale, ampia dolina al
fondovalle nei pressi del Cianetti, drena le doline della parte in fondo di Campovano, nel corso della piena ha formato un
discreto lago, con troppo-pieno in corrispondenza di buchetti all’estremità Nord, aria, nei pressi piccolo sfondamento in
terra formato nella estate 2017; 31, Dolina con fessura, aria; 32, Abisso al 61, presso il traliccio con lo stesso numero,
in corso di esplorazione, molta aria; 33, Dolina dove sbocca il San Michele, zona di assorbimento al bordo del versante,
nel detrito, con molta aria; 34, La Vagabonda, fessura in roccia viva a pochi metri dal Rifugio, con molta aria, crea buco
nella neve, nei pressi altre fessure soffianti più piccole; 35, IL Celato, pozzetto in roccia viva con molta aria, ampio buco
nella neve; 36, L’ Annascuso, condotta con aria nei pressi del Celato, buco nella neve; 37, Il Lazzaro, dolina e punto di
assorbimento din fondo a Campovano, fessura in roccia viva con aria, buca la neve; 38, Il Bubusèttete, tra Rifugio e San
Michele, pozzetto in roccia viva con molta aria, ampio buco nella neve originato a inizio 2018
26
Speleologia del Lazio, 9 | dicembre 2018
della grotta, ora ribattezzata Abisso CianettiZampighi, si osservò che le cose non erano così
semplici e l’aria aveva comportamenti bizzarri.
Alle volte in inverno la grotta aspirava anziché
soffiare e il gelo penetrava profondamente
all’interno rivestendo di ghiaccio le pareti per
molti metri, altre in estate soffiava con forza
invece di aspirare, con volumi impressionanti
di aria sia all’imbocco che all’interno. Alla
base della frana a -30, dove per il momento si
sono interrotte le esplorazioni, talvolta c’era un
vento capace di spegnere una candela distante
qualche metro.
Questa circolazione potente e di verso contrario
al normale andamento convettivo iniziava
improvvisamente, durava molte ore, e spesso
era correlata ai cambiamenti del meteo frequenti
e veloci a Campovano per la sua esposizione ai
venti su tutti i lati. Era sempre presente anche
nelle calde giornate estive, con aria ferma e alta
pressione. In questi casi cominciava a soffiare
la mattina per poi smettere la sera, quindi la
circolazione invertiva la direzione e la grotta
iniziava ad aspirare durante tutta la notte.
Osservata sistematicamente, si è compreso
alla fine che si trattava del fenomeno della
circolazione barometrica. Questo tipo di moto
è dovuto alo svuotamento o riempimento
dei volumi interni di una cavità in risposta
alle variazioni di pressione dell’aria esterna.
In pratica, si innesca un flusso in ingresso o
uscita per equilibrare la pressione interna e
quella esterna, anche con rapide oscillazioni e
inversioni della direzione del flusso.
Il comportamento osservato in estate può
Figura 3 - L’aria del Cianetti-Zampighi può bucare più di due
metri di neve
Non è stato ancora possibile progettare
uno studio sistematico: la raccolta dei dati
(temperatura, pressione, circolazione dell’aria)
sarà utile per discriminare gli imbocchi, così
come la descrizione dettagliata della geologia,
della morfologia delle grotte e delle dinamiche
dell’acqua serviranno a comprendere il
sottosuolo. Tutto questo sarà necessario per il
futuro, perché le osservazioni fatte fino ad ora
e le informazioni raccolte sono ben lontane dal
permettere una ragionevole comprensione di
Campovano.
L’area risulta teatro di fenomeni complessi e di
storie geologiche sovrapposte, e le conoscenze
empiriche fin qui acquisite offrono al massimo
orientamenti suggestivi alle attività di ricerca,
permettono di tratteggiare congetture su cosa si
celi là sotto… in una parola, sono racconti.
A Campovano può nevicare molto e sono stati
osservati cornicioni di neve di molti metri
di spessore e pianori di decine di metri di
ampiezza, modellati dal vento a ridosso delle
creste. Il Rifugio dell’Enel, un fabbricato di due
piani posto all’inizio della conca, un inverno è
stato sepolto dalla neve fino al colmo del tetto.
In queste condizioni spesso un buco che soffia
non riesce a sfondare la neve, oppure l’aria
girovaga fino a creare un’uscita anche lontano
dall’imbocco. Malgrado questo il Pozzetto di
Campovano, collocato poco sotto la cresta SW
a quota 1875, era in grado di bucare più di due
metri di neve, un caso che sembrava unico in
tutta l’area.
Il soffio invernale era causato dal noto fenomeno
della circolazione convettiva: le differenze di
temperatura e quindi di peso tra l’aria all’interno
di una grotta e quella all’esterno causano i
movimenti dell’aria. La grotta sembrava un
normale caso di ingresso alto, che soffia in
inverno e aspira in estate: un classico.
Con il progredire dei lavori, un impegnativo
scavo di molti metri per aprire l’imbocco
Figura 4 - L’ingresso del Cianetti-Zampighi dall’interno
27
VII Convegno Federazione Speleologica del Lazio
spessori di neve come il Cianetti-Zampighi:
sono il Celato, l’Annascusu, la Vagabonda,
il Bubusèttete, il San Michele Arcangelo.
Altri, una decina di fessure e buchetti sparsi
in tutta la conca, presentano solo circolazione
barometrica. Altre grotte ancora, i Vecchi e i
Giovani, non hanno circolazione apprezzabile.
Dei quattro punti di assorbimento principali
della conca, due hanno aria e due no.
Tutti sono sincronizzati tra loro, compresi quelli
che hanno circolazione convettiva e bucano la
neve: in estate soffiano o aspirano tutti insieme,
senza distinzione di posizione e dimensione.
Infine, un’osservazione sull’aria all’Abisso al
61. Pur essendo molto più sviluppata, all’entrata
della grotta c’è molta meno circolazione di
quella presente al Cianetti-Zampighi. Però
in profondità, scendendo nel sottosuolo con
un’alternanza di antiche gallerie freatiche
e ringiovanimenti, si percepisce una forte
corrente, solo nella zona delle Condottine e
dell’Incatenato, intorno ai -80. Poi si perde,
forse in alto: chissà come mai non percorre le
gallerie che portano all’esterno. Ci sono altri
spazi attorno, più larghi, vie preferenziali?
Forse l’antica falda ha creato una specie di
millefoglie, condotte sovrapposte in lungo e in
largo attraversate e tagliate dalle faglie e dal
reticolo vadoso recente...
Non è dato sapere, ancora, da dove viene e
dove va, ma di certo l’aria a Campovano è un
appassionante rompicapo.
Anche seguire l’acqua è interessante e ha
portato a rilevanti scoperte.
Al disgelo Campovano si riempie di mille rivoli
che spesso finiscono in una piccola pozza,
assorbiti dal fondo erboso di una dolina. Uno di
questi, anziché perdersi in uno tra i tanti punti
di assorbimento, terminava dentro un minuscolo
Figura 5 - L’apertura nella neve del Celato, situato all’esterno
di Campovano
essere prodotto dall’aumento della temperatura
durante il giorno che causa una diminuzione
di pressione: così si innesca la circolazione
barometrica. Allo stesso modo in inverno,
col tempo stabile e la diminuzione della
temperatura, c’è un aumento di pressione che
causa una durevole circolazione in entrata.
Il problema è che normalmente in una
circolazione barometrica il flusso dell’aria
cessa rapidamente appena le pressioni interna
ed esterna raggiungono l’equilibrio, al massimo
in poche decine di minuti, e comunque è di
qualche ordine di grandezza inferiore ai volumi
della circolazione convettiva. Viceversa, la
circolazione barometrica al Cianetti-Zampighi
dura per decine di ore ed è preponderante su
quella convettiva.
Al momento l’ipotesi della circolazione
barometrica è l’unica sul tavolo. Se
fosse veramente così l’unica spiegazione
all’incredibile durata di questo fenomeno
osservato al Cianetti-Zampighi è che i volumi
interni complessivi siano enormi, anche se forse
non praticabili: il volume può essere composto
da fessure, frane, interstrati. Forse i resti di un
antico bacino freatico sviluppato sotto tutta la
conca di Campovano?
Inoltre, la cavità deve avere collegamenti
profondi con altri ingressi, causa della
circolazione convettiva verificata in inverno e
probabilmente causati dal successivo sviluppo
di sistemi vadosi.
In tutti i casi una prospettiva esplorativa
emozionante.
Nel tempo sono stati trovati altri elementi che
hanno aumentato la complessità della situazione
e oggi a Campovano si conoscono una
quindicina di punti con circolazione d’aria. Un
gruppo presenta chiaramente una circolazione
convettiva capace di sciogliere importanti
Figura 6 - La fessura della Vagabonda, nella quale l’aria si
sposta di molti metri prima di uscire
28
Speleologia del Lazio, 9 | dicembre 2018
Altre scoperte sono venute dal caso e
dall’incontro fortuito con eventi estremi. Sia
a Campovano che nella vicina Campocatino
in due occasioni ci si è trovati ad osservare gli
effetti di bombe d’acqua: in occasione di quella
di Campocatino si formò un lago temporaneo di
tre metri di profondità all’inizio del pianoro, al
centro del quale roteava un gorgo con tanto di
bolle e zampilli… una scena surreale.
Le indagini successive permisero di scoprire un
pertugio nel prato: lo scavo sul posto e l’esame
delle vecchie cartografie fecero riemergere
le tracce di un antico inghiottitoio che un
tempo raccoglieva gran parte delle acque di
Campocatino. In seguito, negli anni ‘50, venne
costruita dentro la dolina una fossa settica in
cemento, poi sepolta con 2 metri di roccia per il
drenaggio dei liquami quindi coperta di terra per
le piste da sci. Così la dolina venne cancellata,
l’inghiottitoio perso e create le condizioni ideali
per i periodici allagamenti.
In altre occasioni le bombe d’acqua hanno
modificato con rapidità le condizioni di una
grotta: è il caso di quella nota al Catasto come
Dolina sfondata a Campocatino, nella quale
l’imbocco si è improvvisamente stappato per
Figura 7 - Abisso al 61, il Meandro dell’Incatenato dove l’aria
si perde
foro tra l’erba, sul bordo di una depressione
di pochi metri di ampiezza, già nota per la
presenza di una debole corrente d’aria su un
lato, tra il pietrisco. Risuonava una cascatella,
si notava una fessura tra la roccia viva, anche
se di piccole dimensioni. Ma il punto esatto
dello scavo fu scelto in base alla presenza di
una colonia di topi: proprio in corrispondenza
di questa venne facilmente aperto l’imbocco del
61.
Durante i lavori in altri cantieri, al CianettiZampighi, al San Michele, ai Vecchi, al
Lazzaro e in altre fessure con aria, da tempo
era stata notata la presenza di colonie di topi
agli imbocchi, riconoscibili sia per i fori in
superficie delle tane, raggruppati strettamente
in aree circoscritte, sia per le tracce dei nidi
nel sottosuolo. Alle volte c’è stato un incontro
faccia a faccia con i roditori stessi.
Inizialmente sembrava una coincidenza fortuita,
poi si iniziò a riconoscere una certa regolarità,
anche se con un nesso causale incerto. Quello
che viene da pensare è che nelle condizioni
climatiche di Campovano, con molti mesi
di neve e ghiaccio e temperature estreme in
superficie, per i topi andare in letargo in una
area riscaldata dall’aria proveniente dall’interno
della montagna può essere vincente ai fini della
sopravvivenza. Sembra logico che la presenza
di aria relativamente più calda dia alla colonia
chance maggiori di sopravvivere all’inverno,
che a Campovano può presentare condizioni
severe per temperature e durata.
Tuttavia ci si può chiedere se questa connessione
abbia senso e se abbia valore generale anche in
zone diverse.
Certo è difficile immaginare l’uso delle colonie
di topi come segnale di circolazione d’aria e
presenza di grotte… ma nel caso del 61 questo
elemento, assieme all’aria e all’acqua, ha svolto
un suo ruolo.
Figura 8 - Colonia di topi all’apertura dei Vecchi
29
VII Convegno Federazione Speleologica del Lazio
Figura 9 - Allagamento a Campocatino (foto di Giovanni Tirocchi)
la furia dell’acqua aprendo un pozzetto di
qualche metro che dà su una condotta ancora
parzialmente interrata. Ora presenta una leggera
circolazione d’aria che buca la neve ed è tra i
tanti cantieri aperti: ci si augura che la prossima
alluvione finisca di aprire la condotta…
Un altro evento di particolare intensità accadde
nell’ottobre 2015 a Campovano. In quella
occasione caddero più di 220 millimetri di
acqua in un paio d’ore, causando un’imponente
e localizzata alluvione e vennero osservate
non solo le tracce lasciate dall’allagamento
di gran parte della conca ma anche il sistema
di scorrimento delle acque nella conca, che
coinvolge tre punti principali di assorbimento.
Questi fanno da bacini terminali nei quali sversa
il troppo-pieno di tutte le doline che in sequenza
occupano il fondovalle. Al di sotto ci sono
certamente le linee di deflusso principali della
conca carsica e probabilmente sono intasati da
importanti spessori di detrito.
Di particolare interesse fu l’osservazione delle
tracce di un torrente temporaneo che percorrendo
un’incisione del fondovalle fu inghiottito dal San
Michele Arcangelo. Al momento della bomba
d’acqua questo era uno scavo aperto da poco,
ma fu in grado di assimilare istantaneamente
una piena violentissima, superiore ai 5 metri
cubi al secondo.
Il rapido assorbimento di questo notevole flusso
d’acqua fa pensare alla presenza di ampie vie di
sotterranee. Questa osservazione, la presenza di
aria e la circostanza di essere esattamente sopra
al fondo attuale del 61, rendono il San Michele
particolarmente attraente.
Campovano spesso ha riservato sorprese: ad
esempio, ci si aspettava che lo spessore del
detrito fosse maggiore in fondo alla conca e
minore in cresta; viceversa entrare al CianettiZampighi, situato quasi in cresta, ha richiesto
un impegnativo scavo di 6/7 metri, mentre ne
sono bastati 2 per entrare al 61 e 1 per i Vecchi,
entrambi quasi a fondovalle.
Fare speleologia di superficie percorrendo l’area
di Campovano più e più volte vuol dire assistere
quasi da un giorno all’altro all’apertura di due
nuove cavità, a crolli dovuti all’indebolimento
delle coperture causati dalla siccità dello scorso
anno e trovare ogni volta elementi nuovi da
scandagliare con passione, indizi che nel tempo
aiutano a conoscere e svelare un mondo nel
quale abbiamo appena cominciato ad entrare: il
bel lavoro di questi tre anni è solo un inizio.
30
Speleologia del Lazio, 9 | dicembre 2018
Sulle orme di
Saverio Patrizi:
la Grotta dei Pipistrelli
di Cala Cetarola (Sperlonga, Latina)
CLAUDIO DI RUSSO - FULVIO FONSECA - CHIARA CALCARI - STEFANO GAMBARI
I
l tratto di costa compreso tra Sperlonga e
l’abitato di Gaeta è caratterizzato da alte
falesie calcaree costellate di caverne, ripari e
grotte più o meno estese. Segre (1948) riporta per
questa area la presenza di 102 cavità fra grotte,
nicchie e antri, tuttavia nel catasto speleologico
del Lazio sono riportate solo 16 grotte. Tra
queste la più rilevante, sia per lo sviluppo sia per
gli aspetti biologici, è la Grotta dei Pipistrelli o
del Guano (La 256), nei pressi di Cala Cetarola
(Fig. 1 e 2). In questo lavoro vengono riportati i
risultati di una serie di indagini bio-ecologiche
svolte negli ultimi due anni in questa grotta,
che fu oggetto nel lontano 1949 della prima
esplorazione zoologica ad opera del marchese
Saverio Patrizi, pioniere e fondatore della
biospeleologia romana (Fig. 3).
penetrammo, sempre nuotando, nel suo grande
atrio, largo e profondo una trentina di metri.
…… A sinistra di chi entra, un ripido pendio
cosparso di pietroni si innalza dalla riva, fino
a raggiungere la volta nella cupa penombra,
mentre sulla destra la parete é perforata da
una galleria entro la quale il mare si addentra
e si perde nell’oscurità ………”
Negli anni che seguirono l’esplorazione di
Patrizi la grotta non fu più oggetto di particolari
attenzioni ma solo di alcune sporadiche visite
come quelle di Valerio Sbordoni e Francesco
Pedone negli anni ‘70 e di uno di noi (CDR)
nel 1996.
Inquadramento geografico e geologico
La grotta dei Pipistrelli (La 256) si apre
all’interno di una falesia in erosione sulla
costa, nel tratto compreso tra Capo Spartivento
e Cala Cetarola nel comune di Sperlonga (41°
14’ 18” N, 13° 28’ 20” E) (Fig. 4). La grotta
si è originata all’interno della successione
calcareo-dolomitica appartenente al settore
geografico-geologico dei Monti Lepini,
Ausoni, Aurunci (Società Geologica Italiana,
2004). In particolare la grotta è situata nelle
litofacies calcaree di acque basse del DoggerCretacico superiore (Mecchia et al. 2003). La
cavità, cui si accede dal mare, ha uno sviluppo
totale di circa 110 m ed è costituita da due
camere collegate da un ampio corridoio invaso
dall’acqua. In figura 5 riportiamo il rilievo
topografico della grotta elaborato dai dati
originali con il supporto autocad.
Un po’ di storia
Le prime esplorazioni della grotta dei Pipistrelli
furono condotte agli inizi degli anni ’30 del
secolo scorso, dal barone C.A. Blanc per ricerche
paleontologiche. Nel 1949, in occasione di una
nuova campagna paleontologica nell’area, Patrizi
svolse una prima indagine biospeleologica,
della cui relazione riportiamo alcuni passi
significativi:
“…… il 31 agosto 1949 di mattina ci tuffammo
in acqua e seguimmo il piede della falesia,
parte camminando sul basso fondale di
finissima sabbia, parte nuotando nei tratti più
profondi……
in circa mezz’ora eravamo all’ingresso della
grotta, e attraversato il suo ampio portale,
31
VII Convegno Federazione Speleologica del Lazio
troglofila, vivono infossati numerosissimi
esemplari di coleotteri della famiglia Histeridae
(Saprinus sp.).
In alcune parti interne della grotta, seminvase
dall’acqua del mare, è stata rinvenuta la specie
Palaemon elegans (Crostaceo, Decapode). Questo
piccolo gambero, normalmente diffuso su fondali
con acque poco profonde, sembra aver trovato
rifugio in queste zone riparate delle grotta, dove
albergano numerosi esemplari.
Infine, l’ampia volta dell’atrio iniziale della grotta
è utilizzata come sito di nidificazione del rondone
comune Apus apus, di cui è stato rinvenuto anche
il suo ectoparassita specifico, un dittero della
famiglia Hippoboscidae Craterina pallida.
Il caso Miktoniscus
Uno degli elementi faunistici più rilevanti della
grotta di Sperlonga è l’isopode della famiglia
Trichoniscidae (Miktoniscus patrizii Brian, 1950),
raccolto nel 1949 da Patrizi durante la prima
esplorazione della cavità.
Quest’animale rimase a lungo un enigma irrisolto
per gli zoologi dato che non fu più catturato alcun
esemplare fino allo scorso settembre.
L’importanza di questo genere (Miktoniscus
Kesselyak, 1930), comprendente 15 specie
in totale, risiede principalmente nelle sue
implicazioni biogeografiche. Sei specie di
Miktoniscus sono infatti presenti in alcune aree
orientali dell’America del nord e del Brasile: M.
barri Vandel, 1965, M. halophiuls Blake, 1931,
M. mammothensis Muchmore, 1964, M. medcofi
Van Name, 1940; M. morganensis Schultz, 1976
e M. racovitzai Vandel, 1950). Sette specie
Figura 1 – Ingresso della Grotta dei Pipistrelli
Per quanto rigurda i dati climatici della grotta
i valori di temperatura e umidità relativa sono
stati registrati nelle parti più interne della
grotta durante i campionamenti del 3.07.2016
e del 4.09.2016; esse sono risultate comprese
rispettivamente tra 20° e 21° C e 90% 95% HR .
La Fauna (Fig. 6)
Nel complesso sono stati censiti 19 taxa tra
invertebrati e vertebrati. Le nostre raccolte e
osservazioni sono state compiute nel 2015, nel
mese di luglio, e nel 2016, nei mesi di luglio e
settembre.
In Tabella 1 viene riportata la lista completa
delle specie identificate e dei taxa ancora in
corso di studio.
Dall’analisi di questi dati non risultano presenti
specie troglobie, ovvero strettamente adattate
all’ambiente sotterraneo, e dei 19 taxa censiti solo
7 possono essere considerati troglofili, come il
gasteropode Oxychilus drapanaurdi, l’ortottero
Rhaphidophoridae del genere Dolichopoda
(D. geniculata), gli isopodi Trichoniscidea
Trichoniscus matulicii e Miktoniscus patrizii, il
chilopode Lithobius lapidicola e i ragni Nesticus
eremita e Meta marinae, questi ultimi due presenti
con popolazioni abbondanti nella grotta.
Nel grande salone terminale di destra si trova
un cospicuo deposito di guano, prodotto nel
tempo dall’accumulo di escrementi delle due
specie di chirotteri Myotis myotis e Miniopterus
schreibersii. Attualmente entrambe le specie
utilizzano la grotta sia come sito riproduttivo sia
come nursery. Nel deposito di guano, che fornisce
un’importante fonte alimentre a tutta la comunità
Figura 2 – Galleria destra della grotta invasa dal mare
32
Speleologia del Lazio, 9 | dicembre 2018
in Sicilia e Malta (Schmalfuss 2003). Questa
distribuzione, definita anfiatlantica, in quanto
include porzioni di territori dei due continenti
ora separati dall’Oceano Atlantico, testimonia
l’antichità di questo genere. Quest’ultimo deve
essersi originato almeno 150 milioni di anni
fa, cioè quando è iniziata la separazione della
Laurasia e la successiva apertura dell’Oceano
Atlantico, che ha portato all’allontanamento del
continente Americano dalla placca Eurasiatica e
al conseguente differenziamento delle specie nei
due continenti (Fig. 7).
La presenza di Miktoniscus in Sicilia e nella grotta
di Sperlonga pone un interrogativo sulla sua
distribuzione nel Mediterraneo, che potrà essere
risolto solo grazie ad indagini più approfondite,
soprattutto con l’ausilio della filogenesi
molecolare.
Conclusioni
Questo studio ci ha permesso innanzitutto di
redigere il primo rilievo completo della grotta
dei Pipistrelli. È stato inoltre aggiornato l’elenco
faunistico delle specie che vivono nella grotta,
con particolare riferimento ai chirotteri Myotis
myotis e Miniopterus schreibersii che utilizzano
la cavità come sito riproduttivo e nursery. Il più
importante risultato è stato la raccolta di nuovi
esemplari dell’isopode Miktoniscus patrizii che
permetteranno di chiarire la filogenesi di questo
gruppo, soprattutto in relazione agli eventi
paleogeografici che hanno interessato la Laurasia e
successivamente l’area mediterranea. Infine questi
nuovi dati potranno essere alla base di una proposta
di conservazione e gestione responsabile di questo
ambiente, che possiamo ritenere essere uno dei più
interessanti della costa del Lazio meridionale.
Figura 3 – Il marchese Saverio Patrizi in una foto del 1956
durante una spedizione in Sardegna
risiedono invece in Europa Occidentale: M.
bisetosus Vandel, 1946 (Spagna e Portaogallo
settentrionale) M. deharvengi Dalens, 1976
(Spagna meridionale), M. vandeli Bonnefoy, 1945
(Pirenei spagnoli); M. linearis (Patience, 1908)
(Germania e Inghilterra in serra); M. arcangelii
Vandel, 1960 e M. chavesi (Dolfus, 1889)
(Azzorre e Madeira); M. patiencei Vandel, 1946 (a
più ampia distribuzione, comprendente gran parte
dell’Europa Nord-Occidentale) e per ultimo M.
melitensis Caruso & Lombardo, 1982 è presente
Figura 4 – Localizzazione della grotta sul tratto di falesia tra
Capo Spartivento e Cala Cetarola
33
VII Convegno Federazione Speleologica del Lazio
Figura 5 – Rilievo topografico della grotta in pianta ( 1:650 )
Ringraziamenti
Bibliografia
Si rigrazia V. Cenni per l’aiuto dato nella ricerca
e nell’elaborazione del rilievo topografico della
grotta. Per le determinazioni delle specie raccolte
ringraziamo: R. Argano e S. Taiti (Isopodi), P.
Pantini (Ragni), Marzio Zapparoli (Chilopodi) e
P. Cerretti (Ditteri). Infine si ringrazia M. Rampini
per la foto del Miktoniscus patrizii.
Segre A.G. 1948, I fenomeni carsici e la
speleologia del Lazio. Istituto di Geografia
dell’Università di Roma (A) 7: 1-239.
Schmalfuss H. 2003, World catalog of terrestrial
isopods (Isopoda: Oniscidea). Stuttgarter Beiträge
zur Naturkunde, Serie A, Nr. 654: 1-341.
Figura 6 – Alcuni elementi faunistici che abitano la Grotta dei Pipistrelli: a-Dolichopoda geniculata, b- Miktoniscus patrizii, c- Myotis
myotis, d- Oxychilus drapanaurdii
34
Speleologia del Lazio, 9 | dicembre 2018
Figura 7 – Distribuzione geografica del genere Miktoniscus
Mecchia G.; Mecchia M.; Piro M.; Barbati
M. 2003, Le grotte del Lazio. I fenomeni carsici,
elementi della geodiversità. Regione Lazio. pp.
413.
Diptera
Limonia nubeculosa
Craterina pallida
Aves
Società Geologica Italiana. 2004. Guide
Geologiche Regionali, Lazio. BE-MA editrice
Milano. pp.368.
Apus apus
Chiroptera
Myotis myotis
Miniopterus schreibersii
Nematoda indet.
Tabella 1 – Lista della fauna censita nella Grotta dei Pipistrelli
Oligochaeta
Lumbricidae indet.
Gastropoda
Oxychilus drapanaurdii
Aranae
Nesticus eremita
Tegenaria marinae
Pholcus phalangioides
Isopoda
Miktoniscus patrizii
Triconiscus pusillus
Decapoda
Palaemon elegans
Chilopoda
Lithobius lapidicola
Diplopoda
Callipus sorrentinus
Orthoptera
Dolichopoda geniculata
Coleoptera
Saprinus sp.
Lepidoptera
Noctuidae indet.
35
VII Convegno Federazione Speleologica del Lazio
Laboratorio didattico “Spelunca Docet” - disegno di un alunno
della classe I B (secondaria di primo grado) dell’Istituto
Comprensivo “San Vittorino - Corcolle”
36
Speleologia del Lazio, 9 | dicembre 2018
Cave Microbial Survey:
proposta di implementazione dati
sulla microflora ipogea
ILARIA VACCARELLI - PAOLA CACCHIO - MADDALENA DEL GALLO
C
ave Microbial Survey nasce con l’idea
di promuovere una rete di informazione
internazionale riguardante la microflora
delle cavità naturali ed artificiali. La proposta
di collaborazione si basa sull’utilizzo di
una scheda compilabile online, in seguito
all’osservazione di colonie microbiche
rilevate all’interno delle grotte frequentate o in
esplorazione. Il form è organizzato in moduli
riguardanti informazioni sul collaboratore,
sulla data dell’osservazione, sulla grotta e
sulle colonie individuabili ad occhio nudo. In
particolare, questo micro-database permette
di raccogliere dati riguardo: 1) la presenza di
biofilm microbici che popolano substrati rocciosi
(pareti, soffitti e speleotemi); 2) gli aspetti
distintivi di tali patine (colore, dimensione e
aderenza alla superficie sottostante); 3) i segni
macroscopici dell’attività microbica (processi
di deposizione, corrosione e cambiamenti
strutturali del substrato); 4) la coesistenza di
biofilm di tipologie differenti sul medesimo
sito; 5) la localizzazione delle colonie nelle
diverse porzioni della grotta (zona di ingresso,
penombra e buio assoluto). Le informazioni
ricevute verranno poi elaborate ed utilizzate
a fini scientifici, divulgativi e gestionali. Il
progetto riveste, infatti, una grande importanza
per il monitoraggio, la conservazione
dell’ambiente sotterraneo e per una fruizione
consapevole degli ambienti ipogei. La struttura
della scheda facilita la compilazione, grazie ad
immagini esplicative, permettendo di ricevere
informazioni dettagliate anche da speleologi
non formati sull’argomento. L’insieme
delle segnalazioni implementa un database
innovativo e dai costi di gestione limitati. La
raccolta dei dati, iniziata nel novembre 2016,
ha portato finora ad ottenere segnalazioni
dall’intero territorio nazionale, su cavità di
diversa natura.
Il progetto
Cave Microbial Survey è un progetto di “citizen
science”, e più in particolare “speleologist
science”, che ha lo scopo di promuovere una
rete di informazioni a livello internazionale,
riguardante particolari aspetti della microflora
presente all’interno di cavità naturali ed artificiali
(Fig. 1). Si tratta di una ricerca partecipata,
realizzabile grazie al contributo di speleologi e
ricercatori che intendano condividere segnalazioni
microbiologiche. L’idea si basa sull’utilizzo di
una scheda digitale da compilare online dopo aver
compiuto osservazioni di determinate colonie
microbiche; la compilazione del form richiede
pochi minuti e non presenta vincoli di iscrizione
al progetto.
La microflora ipogea
I batteri sono praticamente ubiquitari. Grazie
alla loro ampia versatilità metabolica ed alle
straordinarie capacità di adattamento alle
condizioni ambientali più estreme, riescono a
colonizzare ogni nicchia ecologica disponibile
sul pianeta Terra (PORTILLO et al., 2008). In
particolare, nelle grotte è stata riscontrata la
presenza di batteri ovunque: nelle acque correnti,
in quelle ferme o di stillicidio, nel substrato,
su pareti e soffitti, sulle concrezioni. Anche
l’accumulo di materiale organico, come il guano,
determina lo sviluppo di una ricca popolazione
microbica, prevalentemente eterotrofa. Gli
eterotrofi rappresentano la componente principale
della microflora cavernicola, tuttavia, negli
ambienti ipogei più sfavorevoli alla vita, perché
estremamente poveri o privi di sostanza organica,
può essere presente un certo numero di batteri
autotrofi. Lo sviluppo di questi ultimi è favorito
proprio nelle grotte a bassa energia che presentano
37
VII Convegno Federazione Speleologica del Lazio
le condizioni sono adeguate, i microorganismi
possono proliferare notevolmente, tanto da
arrivare a formare colonie abbastanza grandi da
poter essere individuate ad occhio nudo.
La geo-microbiologia
La
geo-microbiologia
è
una
scienza
interdisciplinare che indaga il ruolo svolto
dai microorganismi all’interno di particolari
ambienti, ed i processi biogeochimici ad essi
collegati. Tale disciplina ha avuto uno sviluppo
assai recente, in quanto frenato essenzialmente da
un’iniziale incapacità di coltivare in laboratorio
i microrganismi; per quanto riguarda lo studio
dell’attività microbica in ambiente ipogeo, si può
affermare, infatti, che le attuali conoscenze hanno
avuto una maturazione strettamente legata alla
tecnologia ed alla evoluzione di altre discipline
che operano sempre in ambito speleologico
(BARTON & NORTHUP, 2007).
Oltre alle criticità riscontrate in ambito
tecnologico infatti, anche la raccolta dei dati
è stata, e risulta ancora essere, estremamente
impegnativa. A tale riguardo, un contribuito attivo
da parte di speleologi potrebbe rivestire un ruolo
fondamentale nell’attività di campionamento o
nell’individuazione di siti di maggiore interesse.
Tramite un supporto tecnico stabile, è possibile
acquisire in maniera costante informazioni sulle
grotte studiate, predisporre la strumentazione in
punti della grotta idonei per la raccolta dei dati
(laboratori in situ, stazioni multiparametriche
ecc.) ed abbattere, in tal modo, tempi e costi per la
ricerca ed il monitoraggio.
Figura 1 – Logo del progetto
scarso o nullo apporto di sostanze organiche
dall’esterno, poiché non c’è competizione con
gli eterotrofi; questi infatti, in presenza di risorse
trofiche sufficienti, prendono il sopravvento sugli
autotrofi, molto più sensibili alle modificazioni
dei delicati equilibri chimico-fisici.
Segni di attività microbica
Può sembrare strano pensare di poter osservare
dei
microrganismi
senza
un’opportuna
strumentazione, il prefisso stesso della parola
microrganismo (dal greco “μῑκρος“, piccolo),
indica proprio un organismo non visibile ad
occhio nudo; tuttavia, illustreremo nei paragrafi
successivi come, in particolari condizioni, alcune
colonie microbiche possono essere individuate
anche senza particolari dotazioni ottiche.
Nell’ambiente sotterraneo infatti, l’attività
microbica può palesarsi in forme diverse. I
microorganismi interagiscono con il substrato
sul quale vivono, ne alterano la composizione
chimica fino a produrre cambiamenti strutturali
della roccia, a volte anche molto appariscenti.
Una riduzione di densità e un ammorbidimento
della roccia sottostante, sottili deposizioni di
calcite, colorazioni inusuali del substrato roccioso
o formazioni di patine microbiologiche che
aderiscono sulla superficie sono tra i fenomeni che
più frequentemente possiamo osservare in grotta
(BARTON, 2006). Le colorazioni, in particolare,
possono variare da sito a sito, e generalmente
cambiano in base alla composizione chimica
della matrice rocciosa o all’attività microbica più
o meno intensa (BARTON, 2006). Inoltre, dove
L’astrobiologia
L’astrobiologia, un’altra importante disciplina
emergente, studia la vita e le sue origini
nell’universo. Gran parte del campo di ricerca è
concentrato proprio sugli ecosistemi microbici
presenti sul nostro pianeta ed una particolare
importanza è data a tutti quegli ambienti definiti
“estremi”, fra i quali l’habitat ipogeo.
Le applicazioni biotecnologiche
Le grotte possono essere considerate dei veri e propri
laboratori naturali. Infatti, mentre l’importanza ed
il ruolo che i microrganismi svolgono nel sistema
sotterraneo può suscitare interesse esclusivamente
per microbiologi e speleologi, le implicazioni di
queste ricerche vanno ben al di là del solo ambiente
ipogeo (NATUSCHKA et al., 2012).
38
Speleologia del Lazio, 9 | dicembre 2018
per comprendere l’evoluzione e la diffusione
delle capacità degli antibiotici di resistere a
particolari patogeni. (BHULLAR et al., 2012).
Bio-cementazione e bio-restauro
Le cavità carsiche costituiscono degli habitat
elettivi per l’isolamento di batteri in grado di
precipitare carbonato di calcio. I ceppi batterici
con capacità spiccate di bio-cementazione
hanno trovato applicazione in vari settori quali
il recupero ed il mantenimento di superfici
degradate di interesse storico ed artistico
(BARTON et al., 2006). Numerosi lavori svolti
sulle Grotte di Altamira (Spagna) hanno portato,
infatti, all’isolamento di microrganismi capaci
di degradare le antiche pitture preistoriche
presenti in queste cavità; tali scoperte hanno
favorito lo sviluppo di particolari applicazioni
biotecnologiche, impiegate per la conservazione
di monumenti e statue. L’insieme di tali tecniche
prende il nome di bio-restauro, in quanto i
microrganismi vengono impiegati per depositare
una leggera patina di calcite, atta a proteggere
antiche
strutture
dall’erosione
continua
(BARTON et al., 2006).
Ricerca spaziale
Lo studio delle cavità sotterranee al fine di
dedurre l’esistenza di potenziali forme di vita
in altri pianeti, può sembrare paradossale; in
realtà la microbiologia ipogea può darci risposte
interessanti per quanto riguarda i limiti della vita e
le sue possibilità di sviluppo in condizioni estreme
(BARTON et al., 2006).
La scheda
Molti parametri contribuiscono a definire
l’ambiente ipogeo (ENGEL, 2011). Ogni
informazione sul sistema sotterraneo, dunque,
può risultare importante per comprendere i
delicati equilibri che influenzano distribuzione,
struttura e composizione delle comunità
microbiche presenti in grotta. Ogni cavità
infatti, mostra un proprio equilibrio dovuto
a caratteristiche chimico-fisiche, geografiche
(latitudine, longitudine, altitudine, esposizione),
speleogenetiche (sviluppo cavità, contatti con
l’esterno, circolazione dell’aria e dell’acqua),
biologiche e ad altre condizioni che possono
contribuire a caratterizzare ulteriormente
l’ambiente ipogeo, come la copertura vegetale,
gli eventi metereologici, l’ingresso di sostanza
organica all’interno della cavità. La scheda
ha lo scopo di raccogliere e classificare queste
numerose informazioni (Fig. 2). Nello specifico,
è organizzato in moduli riguardanti informazioni
sul collaboratore, sulla data dell’osservazione,
sulla grotta e sulle colonie individuabili ad occhio
nudo, con la possibilità di inserire una breve
descrizione del punto di osservazione, o eventuali
note ritenute importanti dall’osservatore. Più
in particolare, questo micro-database permette
di raccogliere dati riguardo: 1) la presenza di
biofilm microbici che popolano substrati rocciosi
come pareti, soffitti e speleotemi; 2) gli aspetti
distintivi di tali patine come colore, dimensione
e aderenza alla superficie sottostante; 3) i
segni macroscopici dell’attività microbica
inerenti a processi di deposizione, corrosione
e cambiamenti strutturali del substrato; 4) la
coesistenza di biofilm di tipologie differenti sul
medesimo sito; 5) la localizzazione delle colonie
nelle differenti porzioni della grotta (zona di
ingresso, penombra e buio assoluto).
La diffusione dei batteri varia notevolmente da
grotta a grotta e perfino, all’interno della stessa
cavità, in relazione a determinati fattori presenti
Bio-risanamento
Sempre all’interno di particolari cavità
sotterranee sono state identificate alcune specie
di microrganismi in grado di degradare complessi
composti aromatici, come il benzotiazolo e
l’acido benzosolfonico, sostanze coinvolte nella
fabbricazione di materie plastiche e pericolosi
contaminanti ambientali (BARTON et al., 2006).
Questa importante capacità ha consentito di
impiegare tali specie in ambienti contaminati e di
degradare le sostanze inquinanti, permettendo il
ripristino degli habitat naturali con un processo
chiamato bio-risanamento.
Sempre nell’ambito del monitoraggio e
del ripristino ambientale, una maggiore
consapevolezza sulle dinamiche dei sistemi
carsici ha fornito soluzioni efficaci per proteggere
l’ambiente ipogeo e quello di superficie. Ad
esempio, il monitoraggio dei cambiamenti
ambientali in un sistema più semplice, come
quello sotterraneo, risulta molto utile per la
ricerca di alterazioni potenzialmente dannose e
meno visibili, già in atto in superficie.
Medicina
Batteri finora poco conosciuti, rappresentano
un’importante risorsa anche in campo medico.
Diversi ceppi batterici possono essere impiegati
nei trattamenti per il cancro (BARTON et al.,
2006), mentre alcuni batteri sono altamente
resistenti agli antibiotici. Conseguentemente,
indagare l’origine dei geni associati alla
resistenza può risultare estremamente importante
39
VII Convegno Federazione Speleologica del Lazio
correnti esterne sono variabili e vi è una maggiore
disponibilità di materiale organico proveniente
dall’esterno (giunto per gravitazione oppure per
trasporto idrocoro, anemocoro e zoocoro).
Zona di penombra
La zona di penombra presenta delle caratteristiche
intermedie tra le due aree d’ingresso e di buio
assoluto. Le oscillazioni di temperatura sono
meno variabili rispetto all’ingresso e la presenza
di vegetazione è notevolmente limitata. Gli arrivi
di luce sono estremamente ridotti.
Zona di buio assoluto
Si tratta generalmente della porzione preponderante
e che meglio identifica l’ambiente ipogeo. A
differenza degli habitat superficiali, nelle zone
più profonde delle grotte le condizioni chimicofisiche sono tendenzialmente più stabili. L’assenza
di luce è la caratteristica principale di questa area
e non permette la fotosintesi. Considerando che
questo processo non è possibile nelle zone di
buio assoluto, nella maggior parte delle grotte
il sostentamento, e quindi la disponibilità di
materiale organico, deriva dall’esterno; altre
particolari cavità, invece, utilizzano carbonio
organico fornito direttamente da organismi
chemoautotrofi, i quali rappresentano l’unica
fonte di produttività primaria presente in grotta
(DEL GALLO et al., 1985; ENGEL, 2010).
Un’altra informazione estremamente importante
richiesta all’interno della scheda è la presenza di
luce artificiale all’interno della cavità in esame.
I batteri sono sostanzialmente indifferenti alla
luce, fatta eccezione per i fotoautotrotrofi. Questi
particolari microrganismi non ottengono energia
dall’ossidazione di composti chimici – organici o
inorganici (chemotrofismo) – ma possiedono dei
pigmenti la cui funzione è analoga a quella della
clorofilla nei vegetali ed utilizzano energia solare.
Ovviamente, la mancanza di luce nelle grotte
rende impossibile la presenza dei fotoautotrofi, ma
troviamo alcune eccezioni date dall’illuminazione
artificiale. Un esempio è dato dalla Grotta di
Altamira (Spagna), all’interno della quale sono
presenti delle comunità fotoautotrofe associate
a vecchie lampade installate a terra (JONES et
al., 2008). Alcuni di questi organismi continuano
a vivere anche quando si hanno diminuzioni di
luminosità perché riescono a catturare piccolissime
quantità di fotoni. Questa capacità consente loro
non solo la sopravvivenza, ma anche un vantaggio
competitivo negli ambienti naturalmente privi di
luce (BORDERIE et al., 2016).
Per quanto riguarda il riconoscimento dei diversi
biofilm o delle tracce di attività microbiologica,
Figura 2 - Parte interna della scheda compilabile online
in diverse zone. Nelle varie porzioni della grotta
infatti, alcuni parametri chimico-fisici possono
variare, influenzando in maniera significativa
le colonie microbiche. In particolare, una cavità
connessa con l’esterno può presentare tre microhabitat principali influenzati dalla penetrazione
e dall’intensità della luce; tali settori sono
schematizzati in zone di ingresso, penombra e
buio assoluto. Ognuna di queste porzioni presenta
specifiche condizioni chimico-fisiche e trofiche
legate a gradienti geochimici che influenzano la
potenziale colonizzazione e distribuzione della
vita ipogea, come concentrazioni di metalli o
ossigeno disciolto, disponibilità di acqua, ecc.
(ENGEL, 2010).
All’interno della scheda è presente un semplice
schema che permette al collaboratore di
riconoscere e stabilire con facilità l’esatta area di
osservazione delle formazioni microbiologiche.
Zona di ingresso
È caratterizzata da arrivi di luce, quindi da una
discreta presenza di vegetazione, per lo più
composta da piante sciafile. Temperatura e
40
Speleologia del Lazio, 9 | dicembre 2018
la sezione della scheda deputata a ricevere
informazioni a riguardo è corredata da foto
esplicative, che consentono il riconoscimento
delle patine microbiche anche da parte dei meno
esperti ed informati sull’argomento.
I segni di presenza e attività microbica presi in
considerazione all’interno della scheda sono i
seguenti:
nome dall’andamento vermicolare, presentano al
loro interno depositi discontinui di fango e argilla,
resti animali e vegetali ed una ricca e attiva flora
microbica e si possono rinvenire generalmente su
pareti e soffitti (JONES et al., 2008).
Latte di Monte
Il latte di monte è un materiale biancastro descritto
come morbido e pastoso quando idratato, e
friabile e polveroso, come il gesso, quando è
asciutto. Si tratta di un aggregato microcristallino,
generalmente osservabile su soffitti, pavimenti,
pareti e su speleotemi. Il latte di monte è
considerato biologicamente attivo, grazie alla
presenza di quantità significative biofilm microbici
(CACCHIO et al., 2014). Tale fenomeno è
comunemente associato alla precipitazione di
calcite da parte di comunità microbiche e può
essere attuato sia in maniera diretta da parte dei
microrganismi (funghi, alghe, batteri e archea),
sia passivamente, nel caso in cui i microrganismi
stessi agiscono come punto di nucleazione su cui
precipitano i minerali (CACCHIO et al., 2014).
Puntini sulla superficie
Alcuni particolari biofilm microbici possono
avere colori vistosi. I principali colori osservati
in grotta sono bianco, giallo-dorato, grigioargentato, rosa e celeste (PAŠIĆ et al., 2009).
L’esatto meccanismo delle colorazioni può
variare da sito a sito, in base alla composizione
chimica locale e/o all’attività microbica. È
bene comunque precisare che, nella maggior
parte dei casi, queste peculiari colorazioni
delle roccia non sono dovute esclusivamente
all’attività microbica, ma alla natura della
matrice litologica stessa.
Un interessante
fenomeno è poi associato alle goccioline
d’acqua che condensano sulle superfici di
pareti e soffitti all’interno di numerose cavità
naturali ed artificiali. Quando queste goccioline
vengono esposte ad una sorgente luminosa,
come ad esempio una luce a led, si assiste ad
una debole riflessione fluorescente di colore
argentata o dorata (MULEC et al., 2015);
per cui tali particolari formazioni sono state
chiamate in gergo dagli speleologi “cave gold”
se si è in presenza di riflessione dorata e “cave
silver”, se invece presentano una colorazione
argentata. Il riflesso argentato o dorato potrebbe
essere dovuto al diverso colore che assumono i
rivestimenti sottostanti le goccioline, composti
soprattutto da microrganismi che possono
avere colorazioni prevalentemente giallastre o
biancastre; analisi filogenetiche delle colonie
sulle pareti hanno mostrato una somiglianza
con le comunità microbiche che si sviluppano
sulle pareti delle grotte che hanno subito un
discreto impatto antropico, un’informazione
importante per capire i delicati equilibri tra il
sistema sotterraneo e la frequentazione da parte
dell’uomo. Inoltre, nelle cavità dove è stata
riscontrata la presenza di cave silver e cave
gold pare essere comune la presenza di un corso
d’acqua ipogeo, altro elemento che potrebbe
determinare la proliferazione dei microrganismi
associati ai fenomeni di riflessione.
Patine verdi
Gli organismi fototrofici sono rinvenuti
generalmente solo nelle zone di ingresso delle
grotte, le quali sono soggette ad irradiazione
solare, ma tendono ad essere assenti nelle zone
più interne delle cavità, a meno che non sia
presente una installazione di luce artificiale
permanente. Le comunità fotosintetiche che
prosperano in prossimità delle illuminazioni
artificiali sono conosciute in letteratura con il
nome “Lampenflora”, un termine introdotto nel
1963 da Dobàt per descrivere queste peculiari
formazioni
microbiologiche
nelle
grotte
australiane. (LAMPRINOU et al., 2014).
Come risulta ormai noto in bibliografia,
l’illuminazione artificiale, se installata e gestita
senza opportuni accorgimenti, può causare
numerosi problemi derivanti dalla crescita di
cianobatteri e alghe che rappresentano un grave
disturbo ecologico, oltre ad una perdita del
valore estetico di pareti e concrezioni colonizzate
(SMITH & OLSON, 2007).
Infine, sono accolte favorevolmente anche le
segnalazioni che testimoniano un’assenza di
microflora visibile ad occhio nudo. Questo tipo di
informazione rappresenta un dato importante ed ha
lo stesso valore di una normale osservazione.
In caso di dubbi, consigliamo di inviare ugualmente
il materiale fotografico e chiedere se si possa
trattare o meno di attività microbica. Una buona
consuetudine per gli speleologi sarebbe infatti,
quella di osservare con attenzione l’ambiente che
si frequenta e nel caso venga trovato qualcosa di
“Pelli di leopardo”
Le biovermicolazioni, (meglio conosciute tra gli
speleologi come “pelli di leopardo”) prendono tale
41
VII Convegno Federazione Speleologica del Lazio
Figura 3 - Campionamento microbiologico in grotta (foto di Mattia Iannella)
insolito che non può essere facilmente spiegato
da fenomeni abiotici (chimici, fisici o geologici),
domandarsi se si possa trattare di attività
microbiologica. Un punto di riferimento attivo per
questo tipo di perplessità è rappresentato certamente
dal presente progetto. Cave Microbial Survey infatti,
cerca di fornire un supporto per l’identificazione di
particolari formazioni, potenzialmente connesse
alla microflora ipogea. Questo tipo di servizio è
attivo già da tempo negli Stati Uniti, dove team di
microbiologi aiutano gli speleologi a determinare
fenomeni sconosciuti o poco frequenti rinvenuti in
grotta. (BARTON et al., 2006).
Un altro aspetto rilevante della scheda è dato dalla
possibilità di georeferenziare le cavità che ospitano
le patine microbiologiche. L’insieme dei dati raccolti,
riportati su carte tematiche, forniscono informazioni
estremamente importanti che possono essere elaborate
attraverso software di cartografia e rilievo ipogeo
(GIS, C-Survey). Tramite l’utilizzo di particolari tools
è poi possibile stabilire la posizione delle faglie ed
altri fattori che potrebbero portare energia nel sistema
per la crescita microbica (BARTON et al., 2006).
Anche l’informazione temporale è importante.
È possibile inviare più segnalazioni della stessa
grotta in quanto ogni osservazione ricadrà in
periodi distinti, che potranno corrispondere a
mesi, stagioni, anni differenti e quindi testimoniare
cambiamenti nel tempo.
Le finalità del progetto
Le informazioni ricevute sono elaborate ed
utilizzate per fini:
1. Scientifici
La scheda risponde ad un’esigenza, riscontrata
anche in bibliografia, legata alla difficoltà nel
reperire dati sulle comunità microbiche presenti
in grotta ed alla conseguente complessità
dei campionamenti in situ (NATUSCHKA
et al., 2012). Inoltre, implementando le
informazioni disponibili in letteratura, favorisce
un’interpretazione più realistica dei risultati
scientifici ottenuti, oltre a permettere, nella fase
preliminare, una programmazione più efficace e
mirata del piano di campionamento (Fig. 3).
2. Divulgativi
Parallelamente all’attività di raccolta dati, saranno
promossi eventi formativi destinati soprattutto
42
Speleologia del Lazio, 9 | dicembre 2018
Grafico 1 - Frequenze percentuali dei biofilm microbici
agli speleologi interessati a conoscere il campo
della microbiologia degli ambienti ipogei.
gestire le colonizzazioni da parte di specie
invasive (PORTILLO et al., 2008). Dal punto di
vista ecologico inoltre, i microrganismi giocano
un ruolo fondamentale nei cicli biogeochimici
e conseguentemente, rappresentano un aspetto
di primaria importanza per studiare i delicati
equilibri, la struttura ed il funzionamento
dell’intero sistema sotterraneo (PORTILLO et
al., 2008).
3. Gestionali
La presenza ed il ruolo dei microrganismi
è fondamentale per il sistema sotterraneo,
anche se generalmente questi aspetti vengono
ignorati nella gestione delle grotte. Tuttavia,
una maggiore conoscenza sui meccanismi di
colonizzazione e dispersione dei microrganismi
è fondamentale per prevenire potenziali effetti
negativi sulla salute umana, e quando presente,
sul patrimonio artistico ipogeo (SAIZJIMENEZ, 2012). Gli studi dell’ecologia
microbica, fornendo indicazioni sulla struttura
delle comunità indigene ed individuando le
eventuali alterazioni nel tempo, costituiscono
un valido strumento per ottimizzare piani di
monitoraggio, conservazione e gestione delle
cavità sotterranee, in particolare, di quelle
turistiche (ENGEL, 2010).
Conoscere la composizione delle comunità
microbiche, infatti, rappresenta il primo passo
per capire, controllare, ed eventualmente,
I destinatari del progetto
Il progetto è rivolto a tutti; la scheda, infatti,
è stata ideata per essere utilizzata dal singolo
speleologo, dai gestori delle grotte turistiche
e dalle federazioni di tutta Italia, fino a
raggiungere gruppi speleologici o enti di ricerca
appartenenti ad altre nazioni. Il supporto tecnico
è fondamentale soprattutto per raggiungere
le grotte di difficile accesso. Inoltre, le
segnalazioni da parte degli speleologi, anche se
occasionali, possono risultare assai numerose e
quindi costituire per i microbiologi un ingente
materiale di studio.
43
VII Convegno Federazione Speleologica del Lazio
Figura 4 - Patina giallo-dorata (foto di Mattia Iannella)
La stretta collaborazione tra speleologi e
ricercatori dunque, favorirà indubbiamente
una conoscenza più completa del sistema
sotterraneo ed una maggiore consapevolezza
sulla complessità e sulla delicatezza dei
differenti ambienti ipogei.
Risultati preliminari
Il progetto è stato presentato in occasione
del Raduno Internazionale di Speleologia
“Strisciando 2016” ed è attivo online da novembre
dello stesso anno. Al momento sono state raccolte
segnalazioni da cavità di diversa natura e situate
in diverse regioni italiane (Abruzzo, Lazio,
Umbria, Emilia Romagna, Trentino - Alto Adige,
Sardegna). Il Grafico 1 mostra l’andamento
complessivo delle diverse patine microbiologiche
relative alle diverse porzioni della grotta (zona
di ingresso, penombra e buio assoluto). In questa
fase preliminare, si può osservare la prevalenza di
biofilm giallo-dorato (Fig. 4) riscontrato nel 41%
delle grotte in esame.
Le attività
Cave Microbial Survey non è solo una scheda o
un database, ma un insieme di attività di ricerca
di campo e accademica, attività divulgativa ed
educativa ad ampio spettro. Una particolare
attenzione è data alle esplorazioni in ambito
nazionale ed internazionale, che favoriranno
la diffusione del progetto e permetteranno
di raccogliere informazioni più diversificate
sui numerosi ambienti ipogei. La scheda
attualmente è disponibile in italiano ed inglese,
ma verrà tradotta anche in altre lingue per
facilitarne e semplificarne la compilazione.
In
conclusione,
questo
micro-database
speleologico può contribuire a definire
linee guida innovative sul monitoraggio, la
conservazione, la manutenzione, la gestione e
ed una fruizione consapevole del patrimonio
ipogeo, oltre a divulgare informazioni di base
sulla microbiologia ipogea, disciplina ancora
poco conosciuta in ambito speleologico.
Contatti
È stato realizzato un sito web gratuito, all’interno
del quale è possibile trovare tutte le informazioni
utili per seguire il progetto e contribuire attivamente
con la propria segnalazione. Oltre alla possibilità di
accedere al link per la compilazione della scheda, è
possibile scaricare materiale informativo di supporto
e seguire costantemente le nostre attività. Per
accedere all’interno della scheda di Cave Microbial
Survey basta collegarsi al sito https://vaccarelliilaria.
wixsite.com/cavemicrobialsurvey (Fig. 5) oppure
scannerizzare il QR-Code sottostante (Fig. 6).
44
Speleologia del Lazio, 9 | dicembre 2018
Figura 5 - Home page del sito web di Cave Microbial Survey
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VII Convegno Federazione Speleologica del Lazio
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Figura 6 - Q-R Code del progetto
46
Speleologia del Lazio, 9 | dicembre 2018
La Grotta dei Serpenti
tra medicina e
folclore
STEFANO GAMBARI
N
el Dizionario dei luoghi comuni,
Gustave Flaubert annotava che «le
caverne sono sempre piene di serpenti»
e i serpenti «sono tutti velenosi»! A Roma, nel
Seicento, si diffondono notizie di guarigioni
dovute a sospette pratiche terapeutiche che si
svolgevano in una cavità termale presso Sasso
(La 184, Cerveteri). La ricerca indaga una lunga
tradizione a stampa che giustifica il fenomeno e
si richiama ad elementi colti che si innestano su
un vasto tessuto di credenze folcloriche relative
alle virtù del serpente e della grotta: il mondo
sotterraneo è da sempre popolato di ianare, di
draghi, di creature fantastiche, di tesori nascosti.
Questa ricerca di‘microstoria’ indaga sul culto
terapeutico che, durante il Seicento, si svolgeva
nella Grotta dei Serpenti, una piccola cavità
nel comune di Cerveteri. L’indagine s’inscrive
nell’ambito degli studi riguardanti il folclore
delle grotte del Lazio, ossia nella tradizione
di ricerca sulle tradizioni popolari relative
alle cavità della regione. Gli studi sono molto
avanzati in alcune regioni italiane – si pensi alle
Regioni Veneto e Friuli Venezia Giulia – ma
piuttosto limitati nel Lazio.
Il paleontologo e geologo Aldo Giacomo
Segre scrisse un saggio dal titolo Le grotte del
Lazio nel mito e nella tradizione popolare, che
pubblicò nel 1948, lo stesso anno in cui dava
alle stampe la monografia I fenomeni carsici e
la speleologia del Lazio, un’opera che offriva
una sistemazione organica e un’interpretazione
speleogenetica ai dati raccolti sin dal 1904
dal Circolo Speleologico Romano (CSR) e
dall’autore che, con numerose ricognizioni a
partire dal 1935, acquisì dati e informazioni
sulle principali aree carsiche della regione.
Le ricerche sulle leggende relative a cavità
del Lazio non sono numerose né ha assunto
rilievo il lavoro di recupero dei dati relativi
al folclore delle grotte, nella letteratura o sul
campo, che si è svolto sino ad oggi. Le schede
del Catasto storico e i libri delle relazioni delle
uscite del CSR registrano a volte informazioni
folcloriche, che consistono in semplici citazioni
o riferimenti letterari o bibliografici ad opere
di autori classici, viaggiatori o studiosi. Più
raramente si tratta, invece, di segnalazioni di
racconti ascoltati, nel corso di ricognizioni,
dalla voce dei nativi, quei contadini e pastori
che “hanno da sempre frequentato la prima
parte delle cavità e aiutato spesso gli speleologi,
fornendo informazioni sulla posizione degli
ingressi, accompagnandoli come guide o
trasportando materiali utili alla progressione. Le
grotte sono state anche utilizzate dalle comunità
locali per diverse finalità: captazione dell’acqua
per irrigare campi, prelievo di ghiaccio da nevai
interni in grotte ad alta quota, estrazione di
rocce e minerali, abitazione o riparo per pastori,
rifugio per briganti, uso terapeutico (grotte
termali), uso cultuale (grotte-santuario).
Ciò ha portato a una certa, seppur limitata,
conoscenza dell’ambiente sotterraneo; gran
parte di questi saperi popolari non sono registrati
con la scrittura, ma vengono trasmessi per
mezzo della tradizione orale, tramite racconti e
leggende. Definito folclore delle grotte, questo
insieme di storie orali è andato in gran parte
perduto a seguito delle trasformazioni sociali
o della disgregazione delle comunità agricole
e pastorali a partire dagli anni Cinquanta: ne
sopravvivono solo isolati frammenti.
Sotto forma di leggenda si è trasmessa, per varie
grotte del Lazio – elemento comune a molte
regioni italiane – l’intuizione del collegamento
tra i pozzi e gli inghiottitoi delle zone
d’assorbimento e le sorgenti a valle. Le leggende
47
VII Convegno Federazione Speleologica del Lazio
Figura 1 - Monte delle fate (Sasso, Cerveteri). Punto giallo: Grotta Patrizi; punto rosso: Grotta dei serpi
fanno riferimento a “esperienze di colorazione
tramite traccianti naturali”, ad esempio allo
scorrimento di paglia, dall’inghiottitoio sino
alla risorgenza. L’intuizione è spesso infondata,
come per la voragine di Monte Tesoro, e per
Pozzo Santullo, ma a volte corretta per alcune
grotte dei Monti Carseolani. Secondo due
escursionisti di fine Ottocento della sezione
di Roma del CAI il fiume Imele che s’inabissa
nell’inghiottitoio omonimo, nel comune di
Cappadocia, risorge a Capacqua (Tagliacozzo)
e “corre voce nel paese che l’acqua impieghi
circa 24 ore ad attraversare il monte; ed a
convalidar ciò, si dice di un certo esperimento
fatto gettando nel fiume non so quali materie
coloranti” (GAMBARI 2015, p. 8, la citazione
interna è di GAVINI e VOLTAN 1892).
Negli anni Settanta il curatore del Catasto,
Gianfranco Trovato, svolge un’ampia verifica
dei suoi contenuti, lavorando anche su “una
nutrita lista di incongruenze, di dati mancanti, di
dubbi e di palesi errori” e arricchendo le schede
con “ritagli delle fonti bibliografiche, foto e
tutte le informazioni reperibili” (TROVATO
2015, p. 405), ma insieme avviando un intenso
lavoro sul campo, controllando le informazioni,
identificando nuovamente le cavità e compiendo
spesso nuove esplorazioni e rilievi. Dunque
negli anni Settanta, all’interno di queste azioni
di campagna, anche la raccolta sul campo di
leggende e storie riportate da pastori e contadini
Figura 2 - Esecuzione del rilievo topografico della Grotta dei
serpi, CSR 2004 (Foto Stefano Gambari)
48
Speleologia del Lazio, 9 | dicembre 2018
Figura 3 - Manoscritto Barb. Lat. 259, folio 1 recto (Biblioteca Apostolica Vaticana)
49
VII Convegno Federazione Speleologica del Lazio
Figura 4 - Elaphe quatuorlineata (Foto Ernesto Filippi)
avviene in forma più sistematica e con più
frequenza, anche con l’uso del registratore.
Trovato svilupperà in particolare le sue ricerche
sui culti di carattere magico e religioso di cui
darà una sistemazione organica nell’opera Culti
ipogei, volta a delineare il rapporto tra l’uomo
e le grotte dai culti preistorici alle pratiche
votive dei santuari rupestri romani e cristiani,
e pubblicata nel 2000, mentre nel 1987 Alberta
Felici e Giulio Cappa avevano pubblicato un
primo studio sulle grotte santuario nel Lazio
(FELICI, CAPPA 1987).
Ricerche sulle leggende di tesori nascosti
sono sviluppate da Gambari (1974, 1977),
anche con registrazioni tramite magnetofono
di testimonianze orali relative alla risorgenza
dell’Inferniglio di Jenne (1975).
La ricerca sulla Grotta dei serpenti, svolta a
partire dagli anni Settanta, pubblicata dalla
casa editrice Espera come primo numero
della collana Archeoitinera, ha avuto sin dagli
inizi un intento multidisciplinare, come punto
di convergenza delle osservazioni di varie
discipline: geologia, erpetologia, storia e
bibliografia. La ricerca è nata dall’esame della
trascrizione di Saverio Patrizi di un documento
Figura 5 - Copertina
50
Speleologia del Lazio, 9 | dicembre 2018
del Seicento, conservata nella busta La 184
del Catasto storico delle grotte del Lazio.
Identificato il documento, De Spelunca et
serpentibus Caeretanis, scritto intorno al 1634
dal medico francese Pierre Michon Bourdelot
e conservato presso la Biblioteca Apostolica
Vaticana, è stata ricostruita una lunga tradizione
a stampa che narra del ruolo dei serpenti nello
svolgimento delle terapie in grotta.
Le leggende che hanno come tema il serpente e
la grotta sono abbastanza diffuse; molto spesso
si registrano racconti relativi a un grande
serpente, o a un drago, che abita la cavità. Nel
Lazio il toponimo è associato a due ipogei
artificiali (l’Antro del serpente del Santuario
di Giunone Sospita a Lanuvio, e la cisterna
romana dell’isola di Ponza, chiamata Grotta
del serpente “perché piena di bisce”) e a due
cavità carsiche (la Grotta dei serpenti di Sasso
e la Grotta del serpente di Gaeta).
Nelle mitologie più remote come nelle leggende
medievali, il serpente ha la sua dimora nelle
viscere della terra, laggiù custodisce luoghi
sacri ed è guardiano di mitici tesori nascosti.
Animale totemico, in origine ‘buono’, che
dispensa cure, il serpente si trasformerà in
una sua trasformazione di segno opposto,
completamente negativo, nella figura del
serpente-drago, l’antagonista con cui l’eroe
dovrà lottare, per riparare il danno iniziale e
concludere felicemente la sequenza narrativa
della fiaba.
Più tardi, con il Cristianesimo, il serpente
sarà ormai unicamente visto quale animale
malefico, che rappresenta il demonio, e al
quale verrà opposta la figura dell’arcangelo
Michele, un santo il cui culto andrà spesso a
sostituire quello di antiche divinità pagane:
Mercurio, Giove, Mitra, Diomede, Calcante
e Podalirio, Vacuna oppure Esculapio. Nella
iconologia cristiana del Seicento, l’azione
virtuosa era raffigurata da una persona che
uccide il serpente, simbolo del male: un “uomo
di età virile, di bellissimo aspetto”, con il capo
pieno di raggi. Nella mano destra tiene un’asta
rotta, la cui punta è conficcata “nella testa
di un bruttissimo e spaventevole Serpente in
terra morto”, e “colla sinistra tiene un libro, e
sotto a uno de’ piedi terrà una testa di morto”
(COSTANTINI, p. 193).
La tradizione relativa alla Grotta dei serpenti
presso Sasso non riguarda tuttavia il fantastico
e gigantesco serpente-drago resoci familiare dai
miti, dalle leggende e dalle fiabe, ma serpenti
che si pretendono “osservati in natura”, serpenti
reali, e tuttavia per l’uomo benefici e benefattori,
che operano nel contesto di una terapia insolita
e misteriosa, giocandovi un ruolo estremamente
suggestivo e particolare. Queste bisce buone
risanano i malati, escono dai cunicoli e leccano
il sudore, asciugando la pelle dei malati: sono
il biacco (Hierophis viridiflavus), il Saettone
comune (Zamenis longissimus) e soprattutto il
Cervone (Elaphe quatuorlineata), quella stessa
specie che è protagonista della processione di
San Domenico a Cocullo.
Accorrono a visitare la grotta il libertino Pierre
Michon Bourdelot, l’enciclopedico Athanasius
Kircher e il chirurgo Thomas Bartholin:
“similmente alla rugiada o al vapore del miele
gli umori insani restaura, e risolve la podagra
nodosa per la quale i medici sciupano il ranno
e il sapone” (BOURDELOT, 6r: 18-23). Inizia
una lunga tradizione a stampa che giustifica il
fenomeno e si richiama all’incubatio dell’Isola
Tiberina, all’uso dell’oppio, al re dei serpenti,
registrando l’invidia dei medici locali, che
bruciano il sottobosco per eliminare le bisce.
Più tardi prevale lo scetticismo e la tradizione
popolare è ridicolizzata.
La cavità fu nel lontano passato usata, in
piccolo, quale sauna naturale come lo sono
tuttora molte grotte italiane: è la disciplina
o ambito d’interesse dell’antroterapia o
speleoterapia.
La monografia descrive criticamente le fonti
documentarie disponibili relative al culto delle
serpi salutifere attraverso i secoli. Le visite di
numerosi eruditi nel Seicento testimoniano che
le pratiche terapeutiche e rituali furono attive
per tutto il secolo, ma alla fine del secolo si
estinsero. Nella letteratura successiva, che
si estende sino ai giorni nostri, si tenta una
interpretazione del fenomeno in varie chiavi,
alcune delle quali enfatizzano lo scetticismo
e ridicolizzano la tradizione: è “una favola
cui non credono” “nemmeno ‘i piu idioti del
popolo’” (Giovanni Battista Rampoldi), una
“ostinata pagania” che resiste caparbiamente ai
“colpi reiterati della religion vera” (Francesco
Orioli). Viene ad incrinarsi il complesso di
credenze sulle terapie che si svolgono a Sasso;
altri autori, come il domenicano Jean-Baptiste
Labat, in controtendenza, difenderanno tuttavia
la tradizione in una critica, aperta e feroce,
rivolta alla classe dei medici corrotti.
La Grotta dei serpenti tra medicina e folclore
propone una chiave di lettura del fenomeno
culturale all’interno di una “archeologia del
sapere” in cui emergono le tensioni tra religioso
e profano, e in cui si realizza l’innesto di
elementi mitologici ed eruditi su un vasto
tessuto di credenze popolari relative alle virtù
terapeutiche del serpente e della grotta, innesto
favorito da elementi suggeriti o creati dai
contadini del luogo.
51
VII Convegno Federazione Speleologica del Lazio
Bibliografia
Sito web
BOURDELOT F. M., De Spelunca et
serpentibus Caeretanis. Manoscritto Barb. Lat.
259, Biblioteca Apostolica Vaticana
https://sgambari.wixsite.com/grottaserpenti
Scheda del libro:
COSTANTINI, Iconologia del cavaliere
Cesare Ripa perugino notabilmente accresciuta
d’immagini, di annotazioni, e di fatti dall’abate
Cesare Orlandi patrizio di Citta della Pieve
accademico augusto [...], tomo primo [quinto]
Titolo: La Grotta dei serpenti tra medicina e
folclore
Autore: Stefano Gambari
Collana: archeoitinera
Argomento:
storia,
folclore,
zoologia,
speleologia
Dimensioni libro: 17x24 cm
Pagine: 208
Lingua: italiano
Prezzo: € 35,00
Anno di pubblicazione: 2017
ISBN: 9788899847012
FELICI A., E CAPPA G., 1987, Grotte santuario
nel Lazio, Notiziario Speleo club Roma, n. 8.
GAMBARI S., 1974, Aspetti comuni delle
tradizioni plutoniche nella fiaba e nella
leggenda. Notiziario del Circolo Speleologico
Romano, a. XIX (1-2), pp. 23-32, Roma, CSR.
GAMBARI S., 1975, La leggenda plutonica
della Grotta dell’Inferniglio (Jenne): materiali
e prime valutazioni critiche. Notiziario del
Circolo Speleologico Romano, a. XXIII (1-2),
pp. 51-74, Roma, CSR.
GAMBARI S., 1977, Settanta leggende
plutoniche:
contributo
ad
un’analisi
morfologica, tesi di laurea, Università La
Sapienza, A.A. 1976-1977.
GAMBARI S., 2015, Storia del CSR dalla
fondazione al 1959, in 100 anni sottoterra: il
Circolo Speleologico Romano dal 1904 al 2004,
Roma, CSR.
GAVINI C., VOLTAN G., 1892, Escursioni
in Abruzzo. Annuario Sez. Romana del CAI, 3,
1888-91, pp. 71-116. Roma, Loescher.
SEGRE A. G., 1948a, Le grotte del Lazio nel
mito e nella tradizione popolare. L’urbe. Rivista
di studi romani, 11(6), pp. 2-9.
SEGRE A. G., 1948b, I fenomeni carsici e
la speleologia del Lazio, Roma, Istituto di
geografia dell’Università di Roma.
TROVATO G., 2000, Culti ipogei: divinità, culti,
riti, religioni e magia nelle cavità dell’Italia
centrale. Notiziario del Circolo Speleologico
Romano, n.s., a. XXXVIII-XLI (12-15). Roma,
CSR.
TROVATO G., 2015, Il Catasto speleologico
del CSR: evoluzioni e memorie, in 100 anni
sottoterra: il Circolo Speleologico Romano dal
1904 al 2004, pp. 403-422, Roma, CSR.
52
Speleologia del Lazio, 9 | dicembre 2018
Alla scoperta del buio:
l’esplorazione della
grotta per il disabile visivo
FRANCESCA LICORDARI - GIAMMARIO MASCOLO
Q
uesto contributo si basa sul principio di
cercare di avvicinare il più possibile alle
attività di tutti i giorni anche le persone
con disabilità. Proprio per questo scoprire tutto
ciò che ci circonda e avere contatti con la natura
diventa un bisogno fondamentale. La speleologia,
in questo senso, si è dimostrata una disciplina
molto utile. In particolare l’esplorazione delle
grotte si è rivelata particolarmente attraente per
le persone con disabilità visiva, che hanno potuto
percepire un mondo buio, sotto un certo punto di
vista già noto, in maniera completamente nuova.
In questo articolo presentiamo i risultati
derivati dalla nostra esperienza e dalle nostre
visite, effettuate tra l’aprile 2015 e l’aprile
2016, alla Grotta dell’Arco a Bellegra e a
quelle dell’Ovido e di Beatrice Cenci nei
Monti Carseolani in Abruzzo.
I disabili visivi si possono distinguere in
primari (la perdita della vista è avvenuta prima
dei 3/5 anni) e secondari (la perdita della
vista è avvenuta dopo i 5 anni). La distinzione
è fondamentale perché ciechi secondari
possono comprendere più facilmente concetti
tipicamente visivi, come i colori.
In particolare chi ha perso la vista in età molto
precoce non ha praticamente nessun ricordo
visivo, non conosce i colori se non per i loro nomi,
assume atteggiamenti e strategie comportamentali
tipicamente da non vedente.
Chi invece ha perso la vista in età più avanzata
ricorda benissimo i concetti visivi, i colori, e assume
strategie comportamentali tipiche di chi vede.
Di contro i ciechi secondari tendono spesso a
mettere in atto comportamenti tipici di chi usa la
vista, cercando di fare affidamento sulle pochissime
informazioni visive a loro disposizione.
In base alla Legge 138 del 03/04/2001
“Classificazione
e
quantificazione
delle
minorazioni visive e norme in materia di
accertamenti oculistici”, è possibile, invece, fare
una distinzione in base al grado di cecità:
1. Ciechi totali
2. Ciechi parziali
3. Ipovedenti gravi
4. Ipovedenti medio-gravi
5. Ipovedenti lievi
Ciechi totali
a) coloro che sono colpiti da totale mancanza della
vista in entrambi gli occhi;
b) coloro che hanno la mera percezione dell’ombra
e della luce o del moto della mano in entrambi gli
occhi o nell’occhio migliore;
c) coloro il cui residuo perimetrico binoculare è
inferiore al 3 per cento.
Ciechi parziali
a) coloro che hanno un residuo visivo non
superiore a 1/20 in entrambi gli occhi o nell’occhio
migliore, anche con eventuale correzione;
b) coloro il cui residuo perimetrico binoculare è
inferiore al 10 per cento.
Ipovedenti gravi
a) coloro che hanno un residuo visivo non
superiore a 1/10 in entrambi gli occhi o nell’occhio
migliore, anche con eventuale correzione;
b) coloro il cui residuo perimetrico binoculare è
inferiore al 30 per cento.
Ipovedenti medio-gravi
a) coloro che hanno un residuo visivo non
superiore a 2/10 in entrambi gli occhi o nell’occhio
migliore, anche con eventuale correzione;
b) coloro il cui residuo perimetrico binoculare è
inferiore al 50 per cento.
53
VII Convegno Federazione Speleologica del Lazio
Figura 1 - Preparazione del non vedente al di fuori della Grotta dell’Ovido
Nell’immaginario comune la grotta ha soprattutto
la caratteristica di essere un luogo privo di luce
o con pochissima luce naturale. Il disabile visivo
vive l’assenza di luce già nella vita quotidiana, è
perciò abituato a relazionarsi con luoghi, oggetti,
percorsi senza fare affidamento sui propri occhi
e sugli indizi visivi. L’esperienza della grotta,
quindi, è per la persona con disabilità visiva come
Ipovedenti lievi
a) coloro che hanno un residuo visivo non
superiore a 3/10 in entrambi gli occhi o nell’occhio
migliore, anche con eventuale correzione;
b) coloro il cui residuo perimetrico binoculare è
inferiore al 60 per cento.
La grotta deve essere resa accessibile a tutti perché
in qualche modo spinge la persona a un contatto
diverso con l’ambiente che la circonda.
Il disabile visivo ha continuamente bisogno di
trovare, conoscere e applicare nuove modalità di
contatto con il mondo esterno. Questo avviene
perché problemi che per un vedente hanno una
soluzione già collaudata, spesso per un non
vedente richiedono necessariamente la ricerca di
soluzioni nuove. Nasce perciò in molti che vivono
questa condizione una curiosità “esplorativa”
e “conoscitiva”, legata al bisogno intrinseco di
conoscere e padroneggiare sempre nuovi modi e
tecniche di contatto con ciò che li circonda.
Al tempo stesso la grotta offre a chi guida
il non vedente l’opportunità di apprendere
continuamente come si possa essere di supporto
alla persona con disabilità visiva in attività che a
un profano potrebbero sembrare impossibili senza
la vista.
Figura 2 - Il non vedente sta scoprendo e toccando una
parete rocciosa. Le mani si sono bagnate e sporcate a causa
dell’umidità della roccia. Anche i segni lasciati sulle mani ed
“eventuali macchie” fanno parte della percezione tattile
54
Speleologia del Lazio, 9 | dicembre 2018
un “viaggio noto in un luogo sconosciuto”.
La percezione dell’ambiente “grotta” è determinata
per chi non vede da altri fattori sensoriali rispetto
a quelli utilizzati da chi vede: la prima cosa che
nota un non vedente non è la diminuzione di luce.
Dall’esperienza maturata nella guida di persone
non vedenti all’interno di diverse grotte sono
emersi alcuni elementi fondamentali che abbiamo
voluto riassumere con il “principio delle tre S”:
sicurezza, scoperta, sensazioni.
1 - Sicurezza
La sicurezza della persona non vedente che esplora
la grotta deve essere il primo punto fondamentale
da tenere sempre presente, come per chiunque altro.
Il lavoro su questo aspetto comincia già dalla scelta
della grotta da visitare: spazi sufficientemente ampi
per permettere il passaggio del non vedente e del
suo accompagnatore, assenza di zone pericolanti e
di ostacoli e dislivelli insuperabili per una persona
non attrezzata e non formata.
È importantissimo, se non addirittura
obbligatorio, che chi accompagna il non vedente
abbia seguito uno specifico addestramento teorico
e pratico sulle tecniche di accompagnamento di
base e avanzate.
Sarà opportuno in alcuni casi che la grotta sia
attrezzata con dispositivi di sicurezza; questi,
però, dovrebbero essere progettati e realizzati in
modo da non intralciare la visita della persona non
vedente a tutti gli elementi della grotta stessa. A
titolo di esempio la realizzazione di una passerella
è certamente una misura di sicurezza tra le più
efficaci, al tempo stesso, però, essa può portare
il percorso di visita troppo distante dalle pareti
e da elementi fondamentali per la comprensione
del luogo, facendo sì che il non vedente si
trovi completamente privato della possibilità di
toccare (quindi conoscere direttamente) punti di
interesse. Nella Grotta dell’Ovido, in Abruzzo,
la passerella è fissa e presente lungo tutto il
percorso. Quando gli ambienti si allargano,
rimane però molto distante dalle pareti e passa,
inoltre, sospesa, non consentendo di scendere al
livello del suolo. Sarebbe opportuno progettare
passerelle con corrimano rimovibile e, nel caso
di strutture sospese, anche scale che permettano
di scendere al livello del terreno originario.
Anche il personale tecnico preposto dei vari enti,
pertanto, potrebbe essere formato per realizzare
dispositivi di sicurezza fruibili per tutti.
Un vedente deve sviluppare nuovi strumenti per
rendere più accessibili gli ambienti.
Per garantire il buon livello di tutti e tre i
parametri è indispensabile che il non vedente sia
accompagnato e che ci sia un accompagnatore
per ogni disabile visivo, anche se la persona ha
Figura 3 - I segni di natura antropica o naturale non possono
essere tralasciati nella comprensione. Nell’immagine è visibile
la traccia del passaggio di un carro lasciata in epoca romana
sul pavimento del decumano massimo di Ostia Antica. Il non
vedente si è chinato proprio per toccare questa impronta del
terreno
Figura 4 - Un non vedente sta cercando di leggere un’iscrizione
latina nonostante le difficoltà date dall’incisione
Figura 5 - Esempio di esplorazione aptica. L’accompagnatore
prende la mano del non vedente e la guida nell’esplorazione
dell’oggetto
55
VII Convegno Federazione Speleologica del Lazio
A tal proposito, si ricorda che le tecniche di base
sono state sviluppate e perfezionate proprio
per evitare espressioni a voce, che non in tutte
le circostanze sono possibili e che possono far
perdere tempo. Chi è principiante nel settore
rischia di fornire indicazioni completamente
inutili, basate su espressioni tipiche dei vedenti, ma
inutilizzabili per l’orientamento dei ciechi come
per esempio “guarda là”, “più avanti” e così via.
Nel condurre un non vedente non bisogna avere
paura di rapportarsi con lui, una guida riuscirà
meglio nel suo compito tanto più sarà sicura nel
suo atteggiamento, ovviamente senza dimenticare
alcuni accorgimenti base. È da sfatare il luogo
comune che con un cieco non si possa parlare
liberamente: si possono tranquillamente utilizzare i
verbi “vedere”, “guardare” e “osservare”. Anzi tali
espressioni servono per integrare maggiormente la
persona nelle attività e nella società.
Ogni accompagnatore deve essere formato su
queste tecniche di base.
Una volta apprese queste tecniche, bisogna
specializzarsi ulteriormente con una formazione
avanzata, che necessita di un training specifico.
Proprio per questo in grotta è inoltre necessario
usare tecniche specifiche per segnalare le fonti di
pericolo non solo a terra, ma anche sulle pareti e
sul soffitto (stalattiti, spuntoni di roccia, tratti con
soffitto più basso, ecc.).
Figura 6 - Strettoia nella Grotta dell’Arco di Bellegra
un buon livello di autonomia nella vita di tutti
i giorni, poiché gli ostacoli che si presentano
sono totalmente imprevisti rispetto a quelli cui
si è abituati. Lo stesso discorso vale anche per
l’ipovedente.
Esistono tecniche di accompagnamento di
base della persona disabile visiva studiate
appositamente per:
1. guidare lungo il percorso;
2. segnalare eventuali ostacoli o variazioni o fonti
di pericolo;
3. ridurre al minimo le indicazioni verbali.
Figura 7 - Percepita la strettoia della grotta con l’udito, il non vedente si fa strada da solo aiutandosi con le mani e affrontando la
strettoia nella Grotta dell’Ovido
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Speleologia del Lazio, 9 | dicembre 2018
3 - Sensazioni
Attraverso i suoi sensi residui (quelli non visivi)
il disabile visivo potrà conoscere tutto ciò che
lo circonda. Quando si entra in grotta, la visita
guidata deve essere plurisensoriale: il tatto, l’udito,
l’olfatto diventano fondamentali. Bisogna cercare
di fare descrizioni semplici e lineari, facendo
riferimento il più possibile alle conoscenze già
acquisite.
Il tatto consente di esplorare l’ambiente
circostante grazie all’attenta percezione di tutto
ciò che vi è intorno (Fig. 2). È ovvio che se ci sono
delle peculiarità è fondamentale farle toccare,
come in particolare i casi di seguito elencati:
•
•
•
•
•
Figura 8 - Il non vedente affronta con le cognizioni acquisite
una strettoia della Grotta dell’Arco a Bellegra
Segni della roccia di origine naturale oppure
antropica (Fig. 3);
Eventuali decorazioni o iscrizioni (Fig. 4);
Percezione delle differenze di temperatura e
di umidità della roccia;
Sensazioni date dall’aria e dall’acqua sulla
pelle e in alcuni casi dai raggi del sole;
Nelle grotte con percorso obbligato, ad
esempio con passerella, è fondamentale che i
corrimano siano rimovibili, per consentire alla
persona disabile visiva di uscire dal percorso.
Nell’ambito della preparazione specifica bisogna
guidare la persona in quella che viene definita
esplorazione aptica, ovvero una modalità di
conoscenza tramite il tatto particolarmente
indicata per chi non vede, che ha bisogno di
costruire una rappresentazione dell’ambiente
proprio attraverso questo senso. Si incomincia
con una visione d’insieme per poi scendere nei
dettagli. Questo approccio deve essere effettuato
con le due mani e con tutte e dieci le dita,
seguendo un percorso logico. Fondamentale è
l’aiuto di un operatore esperto, che può aiutare
il non vedente a individuare e apprezzare i
dettagli più significativi e che guida proprio
materialmente le sue mani (Fig. 5).
A tal proposito è giusto evidenziare come dettagli
sporgenti dalle pareti, dai soffitti, dai pavimenti,
quali stalattiti, stalagmiti, canne d’organo,
concrezioni, siano di più facile comprensione
rispetto alle incisioni. Il non vedente, per sua
natura, è portato a riconoscere e a comprendere
tutto ciò che è a rilievo, mentre i segni incisi
risultano poco percepibili. Passano totalmente
inosservati eventuali pitture e graffiti, che possono
essere capiti solo tramite riproduzioni.
Il secondo senso da prendere in considerazione
è l’udito, che per il non vedente è anche uno
strumento di orientamento. Infatti, grazie alle
capacità del nostro cervello di interpretare il
ritorno delle onde sonore (effetto pipistrello),
2 - Scoperta
Quando si approccia alla grotta, il non vedente,
come chiunque altro, sta entrando in contatto
con qualcosa di “nuovo”, con caratteristiche
ambientali, tattili, acustiche e di mobilità
molto diverse da ciò cui è abituato. Per chi
non vede è fondamentale in questi casi arrivare
all’esperienza, per quanto possibile, già
preparato. Per questo motivo la conoscenza
per il non vedente deve incominciare fuori
dalla grotta (Fig. 1). Deve conoscere, prima di
entrare in grotta, quello che troverà all’interno.
Un aiuto nella comprensione può essere dato
dal toccare campioni di roccia, di materiali, di
concrezioni, di muschi; provare se possibile
la pavimentazione che troverà all’interno,
muoversi in un ambiente con caratteristiche
simili a una grotta naturale.
Una volta all’interno, la persona dovrà essere
guidata a toccare tutto quello che è possibile
confrontandolo con ciò che ha visto nella fase
preliminare.
Il disabile visivo userà i suoi sensi com’è già
abituato a fare. Dovrà essere guidato a percepire
attraverso il tatto i vari materiali, ma anche a
comprendere le differenze di temperatura e di
umidità della roccia.
57
VII Convegno Federazione Speleologica del Lazio
Figura 9 - Lucernario nella Grotta dell’Ovido
si possono percepire le dimensioni dei vari
ambienti, le gallerie, l’altezza dei soffitti, la
maggiore o minore regolarità delle pareti,
l’avvicinarsi o l’allontanarsi dall’uscita e dai
passaggi da un ambiente all’altro ed eventuali
ostacoli (Fig. 6). Questo senso permette anche di
apprezzare i classici rumori e suoni della grotta,
che la rendono un ambiente vivo, come i versi di
animali, le infiltrazioni di acqua, le sorgenti o i
corsi d’acqua sotterranei.
Si tratta di sensazioni che vanno continuamente
stimolate (Figg. 7-8).
L’altro senso fondamentale per la comprensione
di una grotta, che si rivela molto coinvolto, è
l’olfatto. Fornisce, infatti, sensazioni sulla qualità
dell’aria. Non bisogna avere paura di far sentire
tutti gli odori, anche i più sgradevoli, perché fanno
parte dell’ambiente.
Tale senso può dare informazioni molto importanti
e aumentare la suggestione del luogo perché i
muschi, le muffe, la flora in genere possono essere
percepiti attraverso questo canale.
Anche soffi d’aria che arrivano da altri ambienti o
mediante lucernai possono essere sentiti mediante
l’olfatto e, quindi, dare indicazioni sulla presenza
di eventuali aperture, fenditoie e lucernari (Fig. 9).
Conclusioni
È bene ricordare, per concludere, che la
grotta può essere un’esperienza estremamente
interessante e arricchente per la persona con
disabilità visiva. Essa va, però, vissuta con
il supporto di guide esperte e appositamente
formate, che possano garantire la sicurezza,
il piacere della scoperta, e la bellezza delle
sensazioni che una grotta può offrire a chiunque,
quindi anche ad un cieco.
58
Speleologia del Lazio, 9 | dicembre 2018
Progetto
Natura Maestra
MARIO TOMEI - ROBERTA ALIFORNI - STEFANO PACE
T
utto il mondo speleo è sempre stato
consapevole della valenza formativa della
nostra attività di esplorazione. Con questa
convinzione molti gruppi hanno speso esperienza
ed energie per la formazione di nuovi adepti
all’attività esplorativa. Corsi annuali producono
nuovi speleo, future energie e rinnovati
entusiasmi per questa attività estrema, ma con
un obiettivo predominante e quasi esclusivo,
formare nuovi speleologi per scoprire nuove
grotte ed incrementare e/o mantenere viva
l’attività negli ambienti ipogei di qualsivoglia
tipo ed origine.
Il progetto ha inizio a Magliano Sabina nel
maggio del 2004 con una prima uscita della 3a
geometri dell’ ITCG Poggio da Catino, al Buco
del Pretaro, cavità ipogea presso Montebuono
(RI), supportato dal GSS, il gruppo speleologico
di Magliano Sabina.
Un’uscita insolita per una scuola, autorizzata
per altro come viaggio d’istruzione a 40 metri
di profondità. Lo sconcerto di alcuni docenti
accompagnatori, misto al predominante ed
euforico entusiasmo dei discenti, ha portato
il sottoscritto a ripetere nel successivo anno
scolastico l’esperienza.
Oltre agli alunni interessati nell’uscita del
2005, fino alla Sala del Tè, si è dovuto far
fronte anche all’entusiasmo dei genitori e alla
loro stessa partecipazione. All’uscita di uno di
essi, parlando del figlio ci si interrogava sulla
miracolosa presenza in un ambiente stretto e buio
di un ragazzo affetto da sempre da claustrofobia,
diagnosticata dal suo neuropsichiatra di fiducia.
Il progetto viene in seguito proposto al collegio
dei docenti dell’IIS Aldo Moro di passo Corese
(RI), ma con una formula diversa. Non si tratta
più di una semplice uscita speleo fine a se
stessa, ma di un campo scuola multidisciplinare
didattico – formativo di 5 giorni presso il parco
Naturale Regionale dei Monti Simbruini, in
provincia di Roma.
Ora all’attività speleo, a cui veniva data solo
importanza di studio ed esplorazione del
fenomeno carsico, si associavano escursioni
a scopo naturalistico, botanico, ambientale e
sportivo.
Associare l’insegnamento delle tecniche di
progressione su corda all’esplorazione delle
grotte, del bosco e della montagna in un unico
contesto si è rivelata una carta vincente, tanto
da inserire, su richiesta del D.S. Antonio Gaeta
dell’IIS Aldo Moro, tale progetto nel Piano
triennale dell’Offerta Formativa dell’Istituto.
Nell’affrontare le tematiche nelle esperienze
sopra descritte si è subito palesato l’entusiasmo
dei ragazzi e la grande voglia di partecipazione.
L’esperienza riportata in classe, ad un’attenta
riflessione del sottoscritto e dei consigli di classe
degli studenti coinvolti, ha mostrato subito i
suoi benefici effetti sugli aspetti caratteriali e
psicologici dei discenti.
Tali effetti sono risultati poi nel tempo di
fondamentale importanza nella formazione
del carattere e di una sana e motivata crescita
adolescenziale e scolastica.
Qui di seguito una sintesi delle problematiche
adolescenziali.
Figura 1 - Esplorazione alla Grotta dell’Inferniglio
59
VII Convegno Federazione Speleologica del Lazio
Figura 2 - Tecniche di progressione su corda
Corpo
Aspetto razionale - individuale
Cambia continuamente e in maniera
disarmonica causando smarrimento, angoscia,
insicurezza e disprezzo di se stessi.
Evoluzione del pensiero e controllo delle
proprie azioni. Prepotente ricerca della verità,
dei propri mezzi, dei propri limiti.
Quindi, con il prezioso sostegno dei gruppi
speleologici GSS di Magliano Sabina (RI),
GSCAI Roma e Shaka Zulu Subiaco (RM),
è stato avviato dal maggio del 2013 un attento
Personalità
Io chi sono? Quanto valgo? Da ciò scaturisce
il desiderio di costruire la propria identità, la
consapevolezza delle proprie capacità, paure,
desideri, motivazioni, obiettivi, risultati,
soddisfazione dell’Io.
Gli estremi poi non sono da sottovalutare:
ipervalutazione dell’Io e sindrome del
Superuomo; valutazione dell’Io e depressione
con conseguente atteggiamento di chiusura,
isolamento ed autolesionismo.
Relazioni con gli altri e senso di appartenenza
Conflitto con i genitori (… voglio fare da sola/o,
ma ho tanto bisogno di te), quindi mai troppo
lontani per diventare autonomi, ma vicino ai
coetanei e agli amici per appartenere.
Figura 3 - Lezione in loco sul carsismo
60
Speleologia del Lazio, 9 | dicembre 2018
La regione 25 è estremamente ricca in trasportatori
della serotonina e viene considerata una regione
di coordinamento per una vasta rete che coinvolge
aree come l’ipotalamo e il tronco encefalico, regola
l’appetito e il sonno; per l’amigdala e per l’insula,
lobi che modulano il tono dell’umore e l’ansietà;
per l’ippocampo, che gioca un ruolo importante
nella formazione dei ricordi; per alcune parti della
corteccia frontale ritenute collegate alla propria
valutazione e ai sentimenti di autostima.
Uno studio ha osservato che l’area 25 di
Brodmann è metabolicamente iperattiva nel
disturbo depressivo e clinicamente resistente
alle terapie mediche. Praticamente l’anticamera
della depressione, che nel periodo della pubertà
è particolarmente sensibile ed attiva.
Da una ricerca dell’equipe del dott. Gregory
Bratman dell’Università di Stanford, pubblicata
sulla rivista Proceedings of the National
Academy of Sciences, si evince che il contatto
con la natura (in tutte le sue forme ed aspetti) ha
un effetto rigenerante sul cervello. Quindi:
1. Aumenta i livelli di attenzione
2. Acuisce i sensi
3. Inibisce la formulazione di pensieri negativi
Figura 4 - Progressione in libera, la più richiesta
Tutto dipende dalla minore attività della suddetta
area quando il ragazzo vive la natura, in tutti i suoi
aspetti e forme. Inoltre, la gestione delle proprie
emozioni in ambienti e realtà ignote ed estreme,
porta il ragazzo a vincere le proprie paure e
mantenere nel tempo (grazie alla positiva attività
dell’ippocampo) un ricordo positivo della sua
sfida e quindi una maggiore stima di se stesso.
In questo progetto sono stati curati e studiati
con metodi di indagine statistiche e relazionali i
seguenti ambiti caratteriali di natura soggettiva
prima ed oggettiva poi:
e particolareggiato studio del fenomeno in
collaborazione con la dott.sa Roberta Aliforni ed
altri colleghi neuropsichiatri e pedagogisti dell’età
adolescenziale, da cui è derivato un progetto
quadriennale denominato Natura Maestra.
Lo studio ha previsto la somministrazione
libera ed inconsapevole di quesiti ai
partecipanti del progetto prima di partire per
il campo scuola, osservazioni ed indagini in
loco ed infine quesiti attitudinali a chiusura
del periodo di 5 giorni, durante il quale è stata
offerta agli studenti la possibilità di vivere la
natura, i boschi, la montagna e gli ambienti
ipogei (Grotta dell’Inferniglio e Grotta del
Piccolo Inferniglio), in tutti i loro aspetti più
selvaggi e reconditi.
Dalla collaborazione con gli educatori e
psicologi della Cooperativa Sociale la Lanterna
di Diogene scaturisce una collaborazione
quadriennale del progetto.
L’archè della motivazione, autostima e
valutazione dell’essere umano, risiede nel
nostro cervello ed è stata individuata sotto il
nome di area 25 di Brodmann.
La parte del cervello nota come area 25
di Brodmann (sigla BA25) è un’area nella
corteccia cerebrale delineata dal grande
neurologo basandosi sulle sue caratteristiche
citoarchitettoniche. Viene anche denominata
area subgenuale.
1.
2.
3.
4.
5.
Autostima
Autovalutazione
Profitto
Senso di appartenenza
Dispersione scolastica
Progetto Natura Maestra: test di valutazione
multidimensionale
Prodotto ed elaborato dalla Dott.sa Roberta
Aliforni (Psicologa); Dott. Stefano Pace
(Educatore sociale)
Il test di valutazione multidimensionale è un test
self – report, cioè di autovalutazione, somministrato
ai ragazzi che hanno partecipato attivamente ai
progetti proposti dall’I.S.S. “ALDO MORO”
61
VII Convegno Federazione Speleologica del Lazio
Figura 5 - Sulla vetta del Monte Piano, 2120 m s.l.m.
durante gli anni scolastici 2012/2013; 2013/2014;
2014/2015; 2015/2016, in collaborazione con gli
operatori del Servizio d’Integrazione Scolastica
“La Lanterna di Diogene”.
Il test è composto da 129 items suddivisi in quattro
scale con punteggi ponderati attribuiti in funzione
della difficoltà del quesito e dei tempi di risposta.
•
•
•
•
La scala sulla motivazione
Ciò che spinge l’essere umano a perseguire
determinati scopi. La motivazione è il perché delle
azioni, il fine che spinge l’Uomo ad impegnarsi
per soddisfare i propri bisogni. Un bisogno
innato dell’Uomo, quello di apprendere, nella
quotidianità della vita da studente si salda infatti
con altre motivazioni intrinseche - quindi interne,
come curiosità, bisogno di sentirsi competente,
bisogno di auto-realizzazione - ma anche con
motivazioni estrinseche.
La motivazione allo studio è legata al bisogno di
conoscere ed apprendere. Tale bisogno è presente
in tutti gli uomini, ma si declina per ognuno in
modo diverso a seconda dell’esperienza, del
contesto di vita, delle preferenze personali e delle
aspirazioni.
Prima dell’esperienza: 54% sono motivati e
curiosi, 46% indifferenti e poco motivati.
Dopo l’esperienza: 79% sono motivati e curiosi;
21% restano indifferenti e poco motivati.
Scala sul senso di appartenenza al gruppo (30
items)
Scala sulla motivazione allo studio (30 items)
Scala sull’autostima (39 items)
Scala sull’autocontrollo (30 items)
I risultati sono di seguito elencati.
La scala sul senso d’appartenenza al gruppo
L’appartenenza ad un gruppo, di qualunque
tipologia esso sia, nasce dal bisogno di affiliazione
che è dato dall’esigenza di trovare supporto,
condivisione e approvazione. L’adolescente ambisce
a relazionarsi con i coetanei per rafforzare i processi
di identificazione e differenziazione/identificazione.
Prima dell’esperienza: 64% sentono appartenenza,
36% non sentono appartenenza.
Dopo l’esperienza: 83% sentono appartenenza;
17% non sentono appartenenza.
La scala sull’autostima
Prevede items sull’amore di sé, la visione di sé e
la fiducia in sé. L’amore di sé è ciò che ci consente
di apprezzarci nonostante i nostri limiti e difetti.
62
Speleologia del Lazio, 9 | dicembre 2018
Figura 6 - Lezione di carsismo e botanica dentro la dolina di Pozzo della Neve a fondi di Jenne (RM)
30% poco consapevoli ed equilibrati.
Una visione positiva di noi consente a ciascuno
di sentirsi all’altezza nell’affrontare ciò che la
vita riserva; viceversa una visione di noi troppo
limitata o timorosa ci espone molto di più al
disorientamento e all’insicurezza.
La fiducia in sé si applica soprattutto alle nostre
azioni. Essere fiduciosi significa pensare che
si è capaci di agire in maniera adeguata nelle
situazioni importanti, nelle situazioni nuove e
nelle situazioni di difficoltà anche estrema.
Prima dell’esperienza: 59% si stimano, 41%
hanno poco stima di sé.
Dopo l’esperienza: 83% si stimano; 17% hanno
poca stime di sé.
Risultato negativo > all’ 1% dei test
Induzione al protagonismo, Sindrome
Superuomo, Sindrome della Superdonna.
del
Zero dispersione scolastica
Dei 62 alunni esaminati e testati nessuno ha
abbandonato gli studi prima della fine degli stessi.
Il 37% frequenta ad oggi gli studi universitari, il
25% svolge lavoro d’impresa, il restante 48% è
occupato come dipendente in varie mansioni.
Il progetto ha mostrato nel tempo una stupefacente
valenza didattico – formativa, è inserito da tempo
nel piano dell’offerta formativa dell’Istituto
Agrario Aldo Moro di Passo Corese e richiama
iscritti, con entusiasmo dei genitori affamati di
spiegazioni e delucidazioni.
Sarebbe auspicabile poterlo sviluppare in rete con
altri istituti.
Il supporto dei gruppi speleo è stato fondamentale.
“Cresci nel gioco e nella conoscenza e ti rivelerai
nelle tue migliori attitudini”.
La scala sull’autocontrollo
Fa riferimento ad items che cercano di indagare
il controllo dei propri impulsi emotivi durante
le situazioni nuove o di difficoltà e quanto il
soggetto cerchi di prevedere le conseguenze
delle proprie azioni.
Prima dell’esperienza: 54% consapevoli ed
equilibrati , 36% poco consapevoli ed equilibrati.
Dopo l’esperienza: 70% consapevoli ed equilibrati;
63
VII Convegno Federazione Speleologica del Lazio
Subgenual area 25. braininfo.rprc.washington.
edu, retrieved November 18, 2006
Ringraziamenti
Un ringraziamento particolare per la realizzazione
del progetto va a tutto il Gruppo Speleologico
Sabino in nome del Presidente Tullio Bernabei,
Ambra Mazzasette, Gianni Todini, Paolo Forconi,
Teresa Bellagamba, Roberto Abiuso, Andrea
Colasante, Marika Fioretti, Fabrizio Toso.
A tutto il GSCAI Roma in nome dell’allora
Presidente Daniele Dragoni, Barbara Mancini,
Michela Foffo, Alessandro Luciano, Ilaria Gioia,
Luisa Stoppa, Alessandro Ponziani, Andrea
Alfonsi. A tutto il Team esplorativo Shaka Zulu
club Subiaco in nome del Presidente Angelo
Procaccianti, Gabriele Catoni, Erminio Lauri,
Livia d’Orazio, Laura de Angelis. La giunta
comunale di Jenne, la cooperativa Il Rifugio di
Jenne in nome del Dott. Psicologo Fulvio Lauri,
l’Ente Parco Monti Simbruini.
Area 25 of Brodmann-1909. braininfo.rprc.
washington.edu, retrieved November 19, 2006
“Faulty Circuits”, Scientific American, April 2010
Predictors of nonresponse to cognitive behavioural
therapy or venlafaxine using glucose metabolism
in major depressive disorder cma.ca, May 2009.
Retrieved May 23, 2009
Bibliografia
Libri
Korbinian
Brodmann,
Vergleichende
Lokalisationslehre der Grosshirnrinde in ihren
Prinzipien dargestellt auf Grund des Zellenbaues,
Johann Ambrosius Barth Verlag, Lipsia, 1909
Korbinian Brodmann, Brodmann’s ‘Localisation
in the Cerebral Cortex’, Smith-Gordon, London,
UK, 1909/1994. ISBN 1-85463-028-8. English
translation by Laurence Garey of the German
book
Garey L. J., Brodmann’s Localisation in the
Cerebral Cortex, New York, Springer, 2006,
ISBN 978-0387-26917-7
Articoli
Lorenzo Brenna, Camminare nei boschi fa bene
al cervello in “Lifegate” 2 Luglio 2015 (https://
www.lifegate.it/persone/news/camminare-neiboschi-fa-bene-al-cervello)
Korbinian
Brodmann,
Beiträge
zur
histologischen Lokalisation der Grosshirnrinde:
dritte Mitteilung: Die Rindenfelder der
niederen Affen, in “Journal für Psychologie und
Neurologie”, vol. 4, 1905, pp. 177–226
Korbinian Brodmann, Neue Ergebnisse über
die vergleichende histologische Localisation der
Grosshirnrinde mit besonderer Berücksichtigung
des Stirnhirns, in “Anatomischer Anzeiger”,
Supplement 41, 1912, pp. 157–216
64
Speleologia del Lazio, 9 | dicembre 2018
I pionieri della
speleologia terracinense
LOREDANA SPEZZAFERRO
D
esidero ardentemente ringraziare: Giovanni
Mecchia, presidente dello Speleo Club
Roma, perché mi ha spronato, come solo
un buon amico sa fare, a scrivere per celebrare
questi Uomini, tra cui mio padre, che sono stati veri
pionieri della Speleologia; Angelo Del Duca che mi
ha permesso di conoscere belle persone (mi riferisco
a Gianni Mecchia e ad alcuni soci dello Speleo Club
Roma che ho avuto il piacere di conoscere); la mia
madrina Armida, Cesare e Stefania, rispettivamente
moglie e figli di Sabatino Guadagnoli, che mi hanno
aiutato nel reperimento di foto e notizie. Un grazie
a mia madre Anna, gelosa custode di una parte del
materiale, ma soprattutto delle vicende vissute dal
Gruppo Speleologico Anxur.
C’era una volta… con questa frase iniziano, quasi
sempre, le fiabe ed io ve ne voglio raccontare una,
ma una di quelle che si è trasformata in realtà.
Nel lontano 1945 c’era una combriccola molto
affiatata di bambini, che passavano tanto tempo
insieme… e ne combinavano tante!
Una passione li accomunava e li teneva uniti: il
desiderio di avventura e l’amore per l’esplorazione,
che spesso rasentava la totale incoscienza.
Era da poco finita la II Guerra Mondiale e tanti
residuati bellici, tipo bombe a mano, erano rimasti
inesplosi. Ricordo perfettamente il racconto di
quando mio padre, insieme a Giacomo Tramonti
(per gli amici Mino), con tanta incoscienza
riempirono i loro zaini di queste bombe a mano e
dal Tempio di Giove Anxur, luogo dove le avevano
trovate, se le caricarono a spalla e le portarono giù,
sempre passando per la montagna! Ma non una
volta sola… in più viaggi!!!
Questi ragazzi non erano interessati a ciò che c’era
sulle loro teste, erano interessati a ciò che c’era
sotto i loro piedi.
A loro non interessava conoscere e sapere se
c’erano altri pianeti o altre forme di vita.
Essi erano desiderosi di sapere cosa si celava lì
sotto…avevano un’attrazione, oserei dire, quasi
soprannaturale per questo misterioso e temuto
Figura 1 - Franco Guadagnoli, Giorgio Silvestri, Giacomo (Mino) Tramonti, Giovanni Spezzaferro
65
VII Convegno Federazione Speleologica del Lazio
piedi del Monte S. Angelo, nella proprietà privata
del Prof. Decio Salvini, fecero una importantissima
scoperta. Rinvennero un deposito a breccia ossifera,
risalente al Paleolitico Superiore (circa 12.000 anni
fa) in periodo glaciale. Iniziò una fervente attività
di raccolta e catalogazione dei materiali rinvenuti.
Venne informato del ritrovamento anche il Prof.
Alberto Carlo Blanc (quell’Alberto Carlo Blanc
che nel 1939 recuperò, al Circeo, il cranio di Grotta
Guattari. Nel secondo dopoguerra iniziò, con i suoi
collaboratori, un’esplorazione sistematica delle
cavità del Promontorio del Circeo, studiandone
ben 27 e rinvenendo al loro interno ricchi depositi
paleolitici: per questo egli ritenne di coniare il
termine “pontiniano”, individuando con esso
l’industria litica neanderthaliana tipica di questa
zona), molto amico di mio padre, che fece portare
Figura 2 - Giovanni Spezzaferro (Archivio Giovanni
Spezzaferro)
Figura 3 - Piero Targa, Sabatino Guadagnoli e Giovanni
Spezzaferro all’Inghiottitoio di Val de’ Varri (Archivio
Giovanni Spezzaferro)
magico mondo sotterraneo!
Fu proprio questa smodata passione per il mondo
ipogeo che li portò ad approfondire le loro
conoscenze in materia e “ad andar per grotte”.
Così, nel 1955 decisero di dare vita al “Gruppo
Speleologico Anxur” grazie anche al prezioso
aiuto del Circolo Speleologico Romano. Stilarono
ed approvarono un Regolamento e iniziarono a
“costruire” il materiale per le esplorazioni.
Ritengo doveroso elencare tutti gli appartenenti
al “Gruppo Speleologico Anxur”: Giovanni
Spezzaferro, Giacomo Tramonti, Sabatino
Guadagnoli, Franco Guadagnoli, Piero Targa,
Luciano Maiello, Eolo Avelli, Paolo Tramonti,
Carlo Tramonti, Guido Libotte, Alessandro
Spezzaferro.
Gli Speleologi del Gruppo Anxur vennero
alla ribalta nel 1957, quando esplorarono un
inghiottitoio chiamato “Zi’ Checca” in località
Campo Soriano a Terracina.
Nel 1958, Giovanni Spezzaferro, Giorgio Silvestri
e Piero Targa, durante una serie di ricognizioni ai
Figura 4 - Esplorazione Chiavica di Zi’ Checca (-110m),
Loc. Campo Soriano - Giugno 1957. Suggestiva
inquadratura del pozzo mentre scende Giorgio Silvestri.
Giacomo Tramonti àncora la scala per evitarne
l’ondeggiamento (Archivio Giovanni Spezzaferro)
66
Speleologia del Lazio, 9 | dicembre 2018
tutti i reperti presso il Museo Preistorico Etnografico
Luigi Pigorini di Roma.
Subito dopo questo importante ritrovamento,
durante una serie di esplorazioni nel territorio di
Prossedi (Valle dell’Amaseno), rinvennero in una
voragine molto profonda, denominata “Chiavica
della Cutardella”, gli scheletri di alcuni soldati
marocchini che erano stati catturati e buttati lì
dentro. Di tale ritrovamento ne parla Virginio Reali
nel suo libro “Vicende di Guerra”.
Grazie a questo significativo ritrovamento lo
Speleo Club Roma, su richiesta del Gruppo, nel
1963 organizzò il V Congresso degli Speleologi
dell’Italia Centrale proprio a Terracina, riscuotendo
un enorme successo.
Iniziò un periodo denso di impegni per alcuni
“Speleologi” del Gruppo. Ricordo benissimo che
mio padre veniva invitato spesso all’Università “La
Sapienza” di Roma per tenere lezioni e partecipare
a convegni e conferenze. Qualche scuola media
della Provincia, timidamente e senza tanto rumore,
invitò a “raccontare” com’era fatto il “mondo di
sotto” e cosa poteva celarsi in quell’oscurità!
Nell’ottobre del 1967 compirono un’altra
spettacolare impresa, con l’importante ausilio
dello Speleo Club Roma. Finalmente riescirono ad
esplorare la cavità più profonda del Lazio, l’Abisso
della Ciauchella (-296m). Già nel 1962 e 1963 i
“ragazzi” del Gruppo Speleologico Anxur avevano
tentato la discesa ma, a causa della carenza di
Figura 5 - 25-26 giugno 1957 il Gruppo Speleologico Anxur
raggiunge il fondo della Chiavica di Zi’ Checca (-110m).
In alto da sinistra: Eolo Savelli, Giorgio Silvestri, Piero Targa,
Riccardo Asfogo; in basso: Franco Guadagnoli, Alberto Legge
e Giacomo Tramonti (Foto Giovanni Spezzaferro)
Figura 6 - Scavo archeologico del Riparo Salvini. Da sinistra in piedi: Giacomo Tramonti, Giovanni Spezzaferro, Franco
Guadagnoli, Gigino Cerilli, Paolo Tramonti, Sabatino Guadagnoli; da sinistra seduti: Alberto Legge, Luciano Maiello, Piero
Targa (Archivio Giovanni Spezzaferro)
67
VII Convegno Federazione Speleologica del Lazio
Figura 7 - Chiavica della Cutardella. Recupero resti di
un soldato marocchino gettato nel pozzo (Foto Giovanni
Spezzaferro)
Figura 9 - Gli amici storici (2014) (Archivio Giovanni
Spezzaferro)
Dobbiamo attendere il 1977, quando un gruppetto
di ragazzi giovanissimi si incontrò con mio padre
e chiese di poter entrare a far parte del Gruppo
Speleologico che oramai, possiamo dirlo, non
era più attivo! Infervorati da queste nuove leve, i
vecchi membri cercarono di ricompattare il Gruppo
e ripartire. Quasi tutti i sabati e quasi tutte le
domeniche erano fuori ad istruire questi “giovani”
aspiranti speleologi, insegnando loro anche come
costruire da soli le “attrezzature” necessarie: le
famose “scalette” fatte con cavi di acciaio e pezzi
di bastoni ricavati dai manici delle ramazze.
Nel 1985 il Gruppo ebbe un’altra battuta di arresto
in quanto le nuove leve presero strade diverse: chi
entrò nelle forze armate, chi andò a studiare e chi a
lavorare fuori.
Nel frattempo, qualcuno dei vecchi speleologi
aveva lasciato il Gruppo, qualcun’altro aveva
cambiato città, qualcun’altro purtroppo ci aveva
lasciato per sempre.
Bisogna arrivare al 1996/1997 per ritrovare mio
padre, Giacomo Tramonti, Franco Guadagnoli e
Alberto Legge (questi quattro non si erano mai persi
di vista…ricordo che si incontravano a casa nostra
tutti i venerdì sera perché si organizzavano per le
uscite domenicali armati di macchina fotografica),
animati da nuovo entusiasmo per un altro gruppo di
ragazzi da istruire, pronti a mettere di nuovo mano
alle loro speciali “attrezzature”.
Il 1998 fu un anno pieno di impegni per i quattro
“ragazzi” del Gruppo Speleologico Anxur, ma
purtroppo sarà anche l’ultimo per quanto riguarda
lo “scendere in grotta”.
Dal 2000 in poi andranno sempre in giro, tutte le
domeniche, ma armati di radio ricetrasmittenti
e macchine fotografiche, dimentichi, ma non
nostalgici, del favoloso mondo ipogeo!
Alla data di oggi, di tutti questi “ragazzi” ne
è rimasto uno solo, Franco Guadagnoli. Uno
ad uno sono andati via ad esplorare l’infinito
e l’eternità, ma sono certa che anche lì hanno
trovato la loro “grotta”.
Figura 8 - Anni ‘80. Le nuove generazioni del Gruppo
Speleologico Anxur (Foto Giovanni Spezzaferro)
materiale idoneo, si erano dovuti fermare una prima
volta a circa -80m e la seconda volta a -120m. C’è
da dire che questo abisso era annoverato tra le
cavità più importanti del mondo.
Sempre nel 1967 il Gruppo, nella persona
di Luciano Maiello, partecipò insieme ad
altri 12 Speleologi ad una spedizione molto
importante, organizzata dallo Speleo Club Roma,
precisamente alla discesa in quello che all’epoca
era definito l’Abisso più profondo al mondo,
l’Abisso Gouffre Berger in Francia, con il quale
l’Italia eguaglia il record mondiale di profondità
in grotta. Quell’abisso resterà per lungo tempo la
grotta più profonda del mondo e sfaterà la barriera
mito-psicologica dei “meno 1.000”, un chilometro
nel cuore della Terra.
Nel 1968 si dotarono anche di uno Statuto e
parteciparono a vari concorsi indetti da altri
Gruppi Speleologici, ma questo anno segna il
passo. Purtroppo, come in tutte le fiabe, non
sempre le cose vanno per il verso giusto. Infatti,
la prematura scomparsa di Giorgio Silvestri e le
vicissitudini che la vita fa affrontare ad ognuno
di loro, rallentarono molto l’attività del Gruppo.
Era iniziata la parabola discendente che portò il
Gruppo a fare sempre meno uscite.
68
Speleologia del Lazio, 9 | dicembre 2018
Ipogei e draghi nelle
tradizioni religiose e
nel folklore del Lazio
ROBERTO LIBERA
U
rappresentazione del Male, la manifestazione
di Satana. Progressivamente il serpente subì,
nell’immaginario e nella iconografia, delle
trasformazioni anatomiche: fu dotato di ali e dalla
sua bocca usciva un fiato velenoso o, addirittura,
delle fiamme. Questo aspetto del drago ha origine
nelle tradizioni orali e figurative del Medioevo,
il corpo ricorda quella di un serpente, ma,
diversamente da quest’ultimo, la presenza di
ali, dalla foggia simile a quella dei pipistrelli, lo
rendono capace di volare.
Di volta in volta, nel corso dei millenni, il serpente
ha incarnato significati simbolici contrapposti.
Nelle civiltà del Mediterraneo questo animale è
presente in contesti figurativi e, presumibilmente,
n drago non è una fantasia oziosa. Quali
che possano essere le sue origini, nella
realtà o nell’invenzione, nella leggenda il
drago è una potente creazione dell’immaginazione,
più ricca di significato che il suo tumulo d’oro
(J. R. R. Tolkien)
I draghi hanno un corpo serpentiforme, perché
sono essi stessi, in origine, dei serpenti, poi
trasformati in qualcosa di diverso da un
progressivo processo iconografico e culturale. A
confermarne l’origine sono la parola latina draco
e quella greca δράϰων, entrambe, derivate dal
sanscrito dragh-ayami (= allungare), significavano
“serpente”. Il Cristianesimo lo trasformò in una
Figura 1 – Mundus subterraneus di Athanasius Kircher, Amsterdam, 1678
69
VII Convegno Federazione Speleologica del Lazio
rituali, fin dai tempi più antichi.
A Creta la Signora dei Serpenti è una dea. La sua
immagine si ritrova spesso riprodotta in statuette
di maiolica, di altezze variabili tra i 29,5 cm e i
38,5 cm. Alcune rappresentazioni della dea sono
state rinvenute nella camera sotterranea del tesoro
nel santuario centrale del palazzo di Cnosso.
La divinità minoica indossa un abito a falde
ricadenti, bloccato sui fianchi da un elemento che
sembrerebbe realizzato in stoffa più pesante. Un
corpetto stretto, che comprime e lascia scoperti i
seni, cinge anche la parte superiore delle braccia.
Le sue mani stringono e mostrano due serpenti.
La Dea dei serpenti è vista come la Dea Madre
cretese, venerata almeno dal 3000 a.C. fino al
1200 a.C. legata alla fertilità e alla vita, ma anche
alla morte. Sono state trovate statue di divinità
femminile serpenti, ma anche statue di divinità
femminili con altri simboli, ad esempio la Dea
dei Papaveri e la Dea della Morte. Alcune teorie
sostengono che si tratti di figure divine differenti,
altre, invece, che la divinità fosse unica, la Dea
Madre, invocata con diversi nomi e attributi, a
seconda della funzione; identificata dagli antichi
greci con Potnia theron (Signora degli animali).
In Egitto, l’ureo era una decorazione a forma di
serpente, posta, in origine, ai lati del disco solare
e successivamente sul copricapo dei sovrani
egizi. L’ureo era la rappresentazione del serpente
cobra, sacro alla dea Uadjet, venerata nel 19º
distretto del Basso Egitto, divinità protettrice
del sovrano. Insieme alla barba posticcia l’ureo
era uno dei simboli esteriori della regalità e
rappresentava anche la potenza del faraone. Posto
sulla fronte del re, svolgeva il suo compito di
protettore, sputando fiamme contro i nemici. Al
contrario, nel suo viaggio celeste Ra, il dio sole,
doveva affrontare due volte al giorno un grave
pericolo: Apophis, il serpente primordiale, il
caos. Le sue spire circondavano il mondo lungo
la linea dell’orizzonte, posizione giusta per i suoi
attacchi al sole nel momento in cui si avvicinava
all’orizzonte. Il sole rispondeva agli attacchi
di Apophis, dalle cui ferite colava il sangue che
colorava di rosso il cielo dell’alba e del tramonto.
Apophis, incarnazione del Nemico Divino,
simbolo dei poteri dell’oscurità, a volte veniva
identificato con Seth, nemico degli dei.
Tra gli israeliti, nell’Antico Testamento, il serpente
si presenta nella veste negativa del tentatore:
Dio ha detto: ‘Non ne dovete mangiare e non
lo dovete toccare, altrimenti morirete’. Ma il
serpente disse alla donna: “Non morirete affatto!
Anzi, Dio sa che quando voi ne mangiaste, si
aprirebbero i vostri occhi e diventereste come
Dio, conoscendo il bene e il male”. Allora la
donna vide che l’albero era buono da mangiare,
gradito agli occhi e desiderabile per acquistare
saggezza; prese del suo frutto e ne mangiò,
poi ne diede anche al marito, che era con lei,
e anch’egli ne mangiò. Allora si aprirono gli
occhi di tutti e due e si accorsero di essere nudi;
intrecciarono foglie di fico e se ne fecero cinture.
[Genesi 3:1-719].
Tuttavia, nel capitolo dei Numeri, assume
una funzione positiva; il serpente di bronzo
utilizzato da Mosè, su indicazione di Dio,
salverà gli Israeliti:
Poi gli Israeliti partirono dal monte Or, andarono
verso il mar Rosso per fare il giro del paese di
Edom; durante il viaggio il popolo si perse
d’animo. Il popolo parlò contro Dio e contro Mosè,
e disse: “Perché ci avete fatti salire fuori d’Egitto
per farci morire in questo deserto? Poiché qui non
c’è né pane né acqua, e siamo nauseati di questo
cibo tanto leggero”. Allora il Signore mandò tra
il popolo dei serpenti velenosi i quali mordevano
la gente, e gran numero d’Israeliti morirono. Il
popolo venne da Mosè e disse: “Abbiamo peccato,
perché abbiamo parlato contro il Signore e contro
di te; prega il Signore che allontani da noi questi
serpenti”. E Mosè pregò per il popolo. Il Signore
disse a Mosè: “Forgiati un serpente velenoso e
mettilo sopra un’asta: chiunque sarà morso, se lo
guarderà, resterà in vita”. [Numeri 21:4-8].
In realtà, già in precedenza Mosè utilizzò un
serpente per convincere il Faraone che le sue
parole venivano da Dio. Infatti utilizzò il bastone
di Aronne trasformandolo in serpente. I maghi del
Faraone furono invitati a ripetere l’incantesimo,
ma, a prova della superiorità del dio di Mosè, il
serpente di quest’ultimo divorò i serpenti dei
maghi del Faraone [Esodo 8 – 12]. Negli anni
seguenti il serpente diventò un idolo al quale gli
ebrei tributarono un culto e, dopo i tentativi falliti
dei sacerdoti, dei re e dei profeti, solo re Ezechia
di Giuda (716 a.C. – 687 a.C.) riuscì a distruggere
tutti gli idoli, compreso il Nehustan, il serpente di
Mosè [Re 18:4].
Nel primo Cristianesimo, tra le numerose sette
gnostiche del II secolo, gli Ofiti, detti anche
Naasseni, veneravano specificatamente il
Serpente. Quest’ultimo era ritenuto colui che
aveva donato agli uomini la conoscenza del Bene
e del Male; mentre il dio del vecchio testamento,
che aveva creato il mondo, era considerato dagli
Il serpente era la più astuta di tutte le bestie
selvatiche fatte dal Signore Dio. Egli disse alla
donna: “È vero che Dio ha detto: Non dovete
mangiare di nessun albero del giardino?”.
Rispose la donna al serpente: “Dei frutti degli
alberi del giardino noi possiamo mangiare, ma
del frutto dell’albero che sta in mezzo al giardino
70
Speleologia del Lazio, 9 | dicembre 2018
gnostici inferiore al serpente vero Dio supremo.
Secondo gli Ofiti, il serpente era stato mandato da
Sophia (la Sapienza) per convincere gli uomini
a mangiare il frutto proibito della Conoscenza
per rendersi conto di livelli divini ben superiori
a quelli del loro Creatore. Il Serpente era colui
che dava la Gnosis, la conoscenza illuminata
del Bene e del Male; era il serpente l’elemento
positivo al quale rendere culto e rivolgersi come
via per la Salvezza.
Nell’antica Grecia troviamo Cecrope che,
secondo il mito greco, fu il primo re di Atene.
Nato dal suolo stesso dell’Attica era rappresentato
con un corpo da uomo terminante in una coda di
serpente. Secondo altre tradizioni, il fondatore
di Atene sarebbe stato Eretteo, al quale Cecrope
sarebbe succeduto. In ogni caso, tutte le versioni
concordano nel ritenere Cecrope figlio della
Madre Terra. A lui si attribuiscono le innovazioni
nel campo della cultura, come l’abolizione dei
sacrifici cruenti, il principio della monogamia,
l’invenzione della scrittura e l’uso di seppellire i
morti. Fu un re pacifico: votò a favore di Atena
nella disputa fra la dea e Poseidone per chi
avrebbe dato il dono più utile e, di conseguenza,
il proprio nome alla futura città di Atene. La dea
donò l’ulivo e Poseidone il cavallo. La tomba di
Cecrope sembra sia da collocarsi, secondo il mito,
sull’acropoli di Atene, nei pressi dell’Eretteo.
Sempre in Grecia troviamo Asclepio, secondo
Esiodo figlio di Apollo e di Arsinoe, oppure di
Apollo e Coronide per Pindaro. Si diceva che egli
fosse stato istruito nella medicina da Chirone,
o che avesse ereditato tale proprietà dal padre
Apollo. Venerato come il dio della medicina,
delle guarigioni e dei serpenti, il suo potere di
riportare in vita i morti lo rendeva anche un dio
invocato dai negromanti. Il suo culto aveva il
centro a Epidauro.
Arriviamo sul suolo italico, nel mondo etrusco.
Nel 1985 venne individuata una tomba, sotto la
strada che oggi porta all’ingresso della necropoli
di Monterozzi a Tarquinia, risalente alla seconda
metà del V secolo a.C. (430-400 a.C. circa).
L’ambiente è a doppio spiovente e la decorazione
dipinta si presenta come un grande fregio figurato
continuo su tutte le pareti. Sulla parete sinistra è
rappresentato il defunto nel suo viaggio verso
l’oltretomba. Il soggetto è dipinto in piedi su una
biga tirata da una coppia di cavalli, è seguito da
due danzatori e preceduto da un personaggio,
che impugna un ramo frondoso, e da due musici.
Davanti al corteo un coppiere nudo, accanto
a una tavola imbandita, introduce la scena di
banchetto dipinta sulla parete di fondo. Le
coppie dei convitati sono quattro, sdraiati sulle
klinai, tutti di sesso maschile tranne la coppia
centrale, costituita dal proprietario del sepolcro
e da sua moglie, ritratti mentre si scambiano
una carezza affettuosa. Sulla parete di destra è
rappresentata una scena ambientata nell’aldilà. A
sinistra di essa compare l’immagine di Caronte
(Charun), che traghetta le anime governando
con un lungo remo la sua barchetta rossa sulle
acque azzurre dell’Acheronte. Qui non viene
rappresentato sotto le caratteristiche sembianze
del demone etrusco, raffigurato nei sepolcri di
età più recente, armato di un pesante martello
per conficcare il chiodo a compimento del
destino di ciascun mortale, ma come il Caronte
greco. Appena giunti sulle sponde dell’Ade si
notano due defunti: una donna ammantata e un
giovane. Costoro avanzano nell’aldilà accolti da
tre personaggi: una donna non identificata (forse
una parente morta in precedenza) anticipata da
un demone dalle carni azzurre e seguita da un
giovane demone alato che la afferra alla vita.
Chiudono la scena altre due figure infernali: un
demone blu dal volto grottesco, con serpenti
barbati avvolti alle braccia, e un ultimo essere
mostruoso, alato, dall’incarnato nerastro e dalla
bocca sanguinolenta che si avventa con le braccia
protese e le mani artigliate verso i nuovi arrivati.
Nell’antica Roma il serpente rappresentava
un’importante manifestazione della sostanza
spirituale di un individuo, il Genio. La festa del
Genio è il compleanno dell’individuo, il dies
natalis. Era ritenuto uno spirito buono, una specie
di “angelo custode” che si manifesta al momento
della nascita della persona e che l’avrebbe
accompagnata nel corso di tutta la sua esistenza.
A ben vedere, troviamo un altro precursore dei
draghi medievali ancora nella Roma antica,
eredità di un culto appartenuto ai padri Latini.
Nell’antica Lanuvio, città del Latium vetus, a sud
di Roma, oltre al famoso culto dedicato alla dea
Giunone Sospita, esisteva un rituale il cui oggetto
di devozione era un drago, un enorme serpente.
Nelle monete di L. Procilius dell’80 a.C. e di L.
Roscius Fabatus del 64 a.C. è raffigurato il sacro
draco; in particolare, nel rovescio dei denari
di Roscius si scorge una fanciulla che offre il
cibo ad un grosso serpente. Properzio ed Eliano
narrano che il rito, dedicato al serpente sacro, si
svolgeva nell’oscurità di una grotta immersa in
un bosco sacro, in cui giovani vergini, bendate,
offrivano delle focacce al rettile; quando l’animale
accettava il cibo allora era assicurato un anno
fecondo e prospero; se, viceversa, rifiutava di
mangiare, le fanciulle erano ritenute responsabili
e punite, perché il comportamento del serpente
era considerato prova indiscussa della mancata
purezza delle ragazze.
Scriveva Properzio:
«Lanuvio d’un antico drago è sotto la tutela, qui,
dove per sosta sì rara l’ora non va persa, per
71
VII Convegno Federazione Speleologica del Lazio
a un animale prediletto dagli dèi. Altrimenti i cibi
restano intatti, perché esso conosce in anticipo
e indovina la loro impurità. La focaccia della
giovinetta deflorata viene allora sminuzzata
dalle formiche per renderne facile il trasporto;
successivamente le formiche la portano fuori del
bosco e ripuliscono così il luogo. Gli abitanti,
venuti a conoscenza dell’accaduto, indagano sulle
giovinette che hanno preso parte alla cerimonia
e quella che ha disonorato la sua verginità viene
punita secondo la legge».
Dopo la fine dei culti tradizionali romani e la loro
proibizione, da parte degli imperatori cristiani, a
Lanuvio sopravviveva ancora il rituale dedicato
al serpente o drago sacro, come testimonia lo
Pseudo-Prospero D’Aquitania:
«Presso la città di Roma fu una spelonca, nella
quale un dragone di grandezza meravigliosa,
formato meccanicamente, portando in bocca
una spada, cogli occhi scintillanti per le gemme,
spaventevole e terribile appariva. A questo
vergini ornate di fiori, consacrate ogni anno, in
tal maniera gli si davano in sacrificio, che non
consapevoli della cosa, portando doni, toccando
un gradino della scala da cui con tutta quell’arte
del diavolo pendeva il meccanismo, il colpo della
spada si scaricava, onde si spargesse il sangue
innocente. E questo fu in tal modo distrutto da
un monaco ben conosciuto pel suo merito da
Stilicone: tastando questo monaco col bastone
in mano ciascun gradino, come toccando quello
si accorse della frode diabolica, lo saltò; e
scendendo tagliò in pezzi il dragone, mostrando
ivi numi che si fanno colle mani».
Figura 2 – Anonimo umbro sec. XII, San Michele Arcangelo
combatte contro il drago. Collegiata di S. Maria Assunta,
Lugnano in Teverina (Umbria, Italia)
dove la sacra discesa per una cieca voragine si
perde e la vergine in onore al serpente digiuno
penetra, (da un tal cammino guardati!) quando
l’annuale pasto reclama e dalle profondità della
terra sibili lancia. Impallidiscono le fanciulle
ad una tale cerimonia giù inviate, quando
dell’angue alla bocca temeraria la mano vien
affidata. Quello il cibo a lui dalla vergine
accostato afferra; i canestri fra le virginee
mani tremano. Se le giovinette son caste agli
abbracci dei genitori tornano e i contadini
gridano “Fertile l’annata sarà”. Qui Cinzia
da tosati cavallucci portata fu: di ciò fu causa
Giunone, ma Venere ancor più».
Anche a Roma, ancora pagana, troviamo la
presenza di un grosso serpente o drago, associato
al culto dedicato ad Ecate, nel cui santuario,
l’Hecatesium, erano presenti iniziati chiamati
drákontes/dracones (serpenti) e drákainai/
dracaenae (serpentesse). Alcune fonti (Paolino
da Pella, gli Actus Silvestri) ci informano che una
volta al mese le dracaenae romane si recavano
nel tempio di Hecate per «nutrire il serpente» (gli
Actus Silvestri, in particolare, ci informano che
al tempio romano della dea, situato sotto quello
di Vesta, si accedeva attraverso una scala di 365
scalini e che all’interno si trovava un enorme
serpente, poi ucciso dai Cristiani.
Con la fine del mondo classico, l’immaginario
riguardante il serpente subisce dei cambiamenti.
Il Cristianesimo lo trasforma in una
rappresentazione del Male, nella manifestazione
di Satana. L’animale subirà le trasformazioni
anatomiche che lo renderanno capace di volare
e sarà dotato del potere del fiato venefico e
infiammato. È, ormai, avvenuta la dissociazione
Raccontava Eliano:
«A Lavinio (Qui c’è un errore dell’autore che
scrive Lavinio e non Lanuvio n.d.L.) vi è un
bosco sacro, grande e folto, e nei pressi sorge un
tempio dedicato a Era protettrice dell’Argolide.
Nel bosco vi è una tana vasta e profonda, dove
dimora un mostruoso serpente. In determinati
giorni dell’anno entrano nel bosco delle
giovinette ancora vergini, che recano nelle
mani una focaccia e hanno gli occhi bendati. Le
conduce direttamente alla tana di quel mostro uno
spirito divino; esse avanzano passo passo, senza
inciampare, come se avessero gli occhi scoperti.
Se sono veramente illibate, il serpente accetta le
loro offerte di cibo, poiché le ritiene pure e adatte
72
Speleologia del Lazio, 9 | dicembre 2018
completa tra i due termini “serpente” e “drago”.
Se nell’antichità classica essi venivano usati per
indicare lo stesso soggetto, a partire dall’Alto
Medioevo le due parole saranno associate a due
esseri con delle similitudini, ma diversi. Il drago
non è più un grosso serpente, è altro, enorme e
mostruoso animale personificazione del Diavolo.
Se il comune serpente abita fessure nel terreno
o nella roccia, il drago vive in enormi caverne o
pericolose paludi.
Racconta una leggenda dell’Alto Medio Evo
che nella Mala Grotta si fosse rifugiato un
“immanentissime draco”, come indicato anche dai
toponimi di Dragona e Dragoncello. Per scacciare
il drago anche dalla grotta, dato che il suo fiato
mefitico e solfureo dava fastidio agli abitanti del
luogo, fu organizzata una spedizione guidata dai
baroni Anguillara. Il drago venne infine ucciso
ma il cattivo odore rimase nel territorio, da Mala
Grotta alla Caldara vicino Bracciano, a ricordare
l’antica presenza del mostro.
Nella chiesa di Santa Cristina a Bolsena, un quadro
del 1500, dedicato a San Giorgio, mostra il santo
nell’atto di infilzare il drago con santa Cristina alle
sue spalle che prega in ginocchio sotto l’ultimo
monte della catena dei Volsini, il monte Landro.
La vicenda è tratta dalla Legenda Aurea scritta, tra
il 1260 e il 1298, dal vescovo di Genova Jacopo
da Varagine. In Sabina, nell’eremo di San Michele
Arcangelo (comune di Pozzaglia Sabina, località
Montorio in Valle) si trova una piccola chiesa
rupestre costruita all’interno di una grotta, nella
quale, secondo la tradizione, il santo guerriero
avrebbe ucciso il drago.
A Poggio Catino, un paese sui monti Sabini in
provincia di Rieti, ha origine la leggenda riferita
al miracolo di San Silvestro. Sarebbe stato proprio
questo papa a liberare il paese da un drago che
viveva in una caverna, alla quale si accedeva
percorrendo 365 scalini. Forte del successo di
Poggio Catino, papa Silvestro si prodigò in un
miracolo simile a Roma. Un’antica leggenda, tratta
dagli Actus Silvestri, racconta che nel IV secolo
dopo Cristo, in una caverna sul Palatino, viveva
un terribile drago che con il suo alito mefitico era
in grado di uccidere tutti quelli che capitavano in
quel luogo. Il pontefice Silvestro, forte della sua
esperienza a Poggio Catino, decise di intervenire
e si recò nella grotta del mostro con una croce.
Alla vista del simbolo cristiano il drago divenne
mansueto. Il papa lo mise al guinzaglio e lo portò
al cospetto dei fedeli, che lo uccisero. Persino i
sacerdoti pagani, folgorati dall’avvenimento,
si convertirono al cristianesimo. Il drago, in
definitiva, può essere considerato un esempio
di trasformazione culturale di un elemento che,
pur se reale come serpente di grosse dimensioni,
si presenta, sin dalla remota antichità, come
fortemente caratterizzato da un valore simbolico
che sovrasta la realtà naturale. Tuttavia, se nelle
civiltà passate il serpente era portatore di un
dualismo simbolico, a volte positivo e vivificante,
altre negativo e mortificante, con il Cristianesimo
la trasformazione “anatomica” del serpente, in un
mostro fantastico, determina la unidirezionalità del
simbolo: il drago è una manifestazione diabolica,
in cui si manifesta soltanto l’aspetto negativo e
malvagio. La grotta diventa, allora, il luogo ideale
per ospitare un animale di tali dimensioni che,
come il Male che rappresenta, cerca l’oscurità e
l’isolamento per poter meglio attentare alla vita,
spirituale e fisica, dell’uomo.
Un’ultima considerazione è dedicata ad alcune
peculiarità che riguardano il drago e i luoghi in
cui vive: il mostro ha il potere di lanciare fiamme
o avvelenare l’umanità con il suo alito mefitico
e sulfureo, abita grotte o paludi maleodoranti.
Caratteristiche, queste, che potrebbero aprire
una strada a studi di geomitologia, per vedere
se i luoghi in cui si credeva dimorassero
questi animali fantastici sono aree in cui si è
manifestata o si manifesta tuttora una qualche
attività vulcanica minore.
Bibliografia
La Sacra Bibbia, ed. 2008, Testo a cura della
Conferenza Episcopale Italiana.
PROPERZIO, Elegiae, IV, 8. V. 3 ss.
ELIANO, ПEPI ZΩΩN IΔIOTHTOΣ, XI, 16.
1998, traduzione di Francesco Maspero, Milano.
PSEUDO-PROSPERO D’AQUITANIA, De
promissionibus et praedictionibus Dei, pars III,
cap.XXXVIII, n. 43, col. 835. Traduzione di
Oreste Raggi, Roma, 1879.
GIOVANNI PINI a cura di, 2017, Panarion,
Morcelliana, Brescia.
JACOBI A VORAGINE, 1850, Legenda aurea.
Vulgo historia Lombardica dicta ad optimorum
librorum fidem, 2ª ed. Lipsia, Librariae
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J. R. R. TOLKIEN, 1936, Beowulf: mostri e
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MARIO TOSI, 2004, Dizionario enciclopedico
delle Divinità dell’Antico Egitto, Torino.
GIOVANNI BECATTI, 1995, L’arte dell’età
classica, Sansoni, Firenze.
73
VII Convegno Federazione Speleologica del Lazio
L. BRUIT ZAIDMAN – P. SCHMITT
PANTEL,1992, La religione greca, Laterza,
Roma-Bari.
S. STEINGRÄBER, 2006, Affreschi etruschi.
Dal periodo geometrico all’ellenismo, Arsenale
Editrice, San Giovanni Lupatoto.
TESSA CANELLA, 2006, Gli Actus Silvestri.
Genesi di una leggenda su Costantino imperatore,
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Sitografia
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<http://www.sabina.it/luoghi/grottasm.html>
<http://www.sabina.it/comuni/montsgiov.html>
SPECCHIO ROMANO
<http://www.specchioromano.it/fondamentali/
Lespigolature/2009/SETTEMBRE/La%20
leggenda%20del%20drago%20vinto%20da%20
San%20Silvestro.htm>
74
Speleologia del Lazio, 9 | dicembre 2018
Ritrovato un documento
inedito del 1932:
“Cavità naturali esistenti
nella Provincia di Roma”
GIOVANNI MECCHIA - MARIA PIRO
N
el 2016 è stato rinvenuto, nell’Archivio
storico della ex Provincia di Roma
(oggi Città metropolitana di Roma
Capitale), un documento dattiloscritto datato
1 settembre 1932 (Fig. 1), dal titolo “Cavità
naturali esistenti nella Provincia di Roma”.
Il documento, che riporta in prima pagina un
titolo più esteso (“Elenco di cavità naturali,
grotte, pozzi esistenti nella Provincia di
Roma”) è firmato dall’allora ingegnere capo
dell’Ufficio Tecnico Vittorio Ferrari, anche
se probabilmente è stato redatto dai suoi
collaboratori.
Una copia del dattiloscritto è stata consegnata
al Servizio Geologico e Difesa del Suolo della
Città metropolitana di Roma Capitale. L’ufficio
ha capito subito l’importanza del documento;
il ritrovamento è stato presentato, dopo aver
effettuato delle ricerche storiche, con un poster
al Congresso Nazionale dei Geologi Italiani
che si è svolto a Napoli il 28-30 aprile 2016
(Argentieri et al.,2016). Gli autori di questo
testo hanno avuto la possibilità di visionare
il documento, di poterne trarre notizie e
informazioni e di pubblicarne i risultati.
L’ingegnere Vittorio Ferrari, capo dell’Ufficio
Tecnico Provinciale, è stato autore di relazioni
e pubblicazioni concernenti lavori stradali,
competenza fondamentale della Provincia fin
dalla sua istituzione, e ha presentato anche
una memoria nel IX Congresso Internazionale
della Strada (Lisbona 1951). Il dattiloscritto in
oggetto riguarda un aspetto non strettamente
legato al lavoro corrente dell’ufficio da lui
diretto, ma rivolto piuttosto ad una maggiore
conoscenza del territorio.
L’intento dei redattori era riportare un elenco
delle cavità conosciute all’epoca nel territorio
provinciale; oltre alle grotte naturali sono
segnalate anche doline e depressioni carsiche,
cavità artificiali di interesse archeologico,
antiche cave probabilmente in sotterraneo e
sorgenti minerali o termali. L’elenco contiene
i nomi e a volte le descrizioni delle cavità,
riportati però in modo disomogeneo: alcune
descritte metro per metro, altre con brevi cenni,
altre solo elencate.
Al documento è allegata una carta, nella quale
sono evidenziati con colori diversi i comuni nei
quali sono segnalate le cavità, con una legenda
che li classifica in ordine di importanza per il
numero di cavità elencate. La base topografica
utilizzata è la carta stradale della Provincia di
Roma del 1931, in scala 1:200.000.
L’importanza del documento consiste nel fatto
che si tratterebbe, per quanto è attualmente noto,
del primo elenco conosciuto di grotte del Lazio,
precedente alla pubblicazione di Aldo Giacomo
Segre, “I fenomeni carsici e la speleologia nel
Lazio” (1948), finora considerato il primo
catalogo delle grotte della regione. Il territorio di
riferimento è la Provincia di Roma, che nella sua
originaria estensione, dopo la sua istituzione nel
1870, comprendeva gran parte dell’attuale Lazio;
nel 1927 con l’istituzione delle nuove Province
di Frosinone, di Rieti e di Viterbo il territorio
era stato fortemente ridotto, ma comprendeva
comunque le attuali province di Roma e Latina.
75
VII Convegno Federazione Speleologica del Lazio
Figura 1 - Stralci del documento: copertina, intestazione della prima pagina e firma in calce
Nel documento sono elencate in totale 144
“cavità”: 97 sono grotte naturali, 8 sono doline,
29 sono cavità artificiali e 10 sono sorgenti.
Per alcune grotte che erano conosciute anche al
di fuori dell’ambito speleologico ed esplorate
nei primi anni del ‘900 (ad esempio la Grotta
dell’Arco a Bellegra, denominata Grotte in
località Colle delle Grotte, o il Pertuso ad
Affile o il Catauso a Sonnino) le informazioni
e le descrizioni, sebbene sintetiche, sembrano
riprese da relazioni di esplorazioni del Circolo
Speleologico Romano, anche se non hanno
corrispondenza con quanto riportato nei
“Bollettini” del C.S.R. del 1925 e 1926.
In alcuni casi le cavità sono descritte metro
per metro, come ad esempio la “Grotta di
Frateteria”, esplorata nel 1949 dal C.S.R. e
catastata come “Grotta di Frate Alessio” nel
comune di Arsoli (Fig. 2).
Al contrario, per altri comuni sono state
semplicemente elencate, senza fornirne
la descrizione. Per esempio per Carpineto
Romano sono stati elencati quelli che vengono
chiamati “OSI”, tra i quali si possono
identificare quello in località Rava Bianca
(esplorato nel 1955 dal C.S.R.), il Cerasolo
(Abisso Consolini, esplorato nel 1961 dallo
S.C.R.) ed altri (Fig. 3).
È stato quindi analizzato l’elenco per
verificare se le 97 grotte naturali elencate
fossero riconoscibili nel Catasto delle Grotte
del Lazio della FSL. Siamo riusciti per ora
a riconoscere 42 grotte naturali e 7 doline.
Il problema è che nell’elenco molte grotte
sono chiamate con nomi diversi da quelli
speleologici oppure i dati a disposizione sono
troppo pochi per identificarle: in alcuni casi
abbiamo solo il nome o solo la località, che non
sempre è indicata nelle tavolette IGM. Restano
comunque 55 grotte ancora da riconoscere o da
esplorare e catastare. Ci stiamo attivando per
andarle a cercare.
È interessante notare che molte delle cavità
elencate sono state esplorate dagli speleologi e
catastate solo anni, o addirittura decenni, dopo
la redazione dell’elenco. Altre, come detto, non
sono ancora in catasto o addirittura si trovano in
comuni dove attualmente non sono conosciute
grotte o ne sono conosciute pochissime
(ad esempio i Comuni di Artena, Capena,
Castelforte...). Nella figura 4 viene riportato un
esempio dell’elaborazione eseguita.
Dopo aver letto il documento ci siamo chiesti
per quale fine l’Ufficio Tecnico della Provincia
di Roma lo abbia redatto e come abbia reperito
le informazioni. Non è chiaro se ci sia stato
un evento che ha indotto l’Ente a promuovere
questo studio. Abbiamo ipotizzato alcuni
eventi, quali notizie su incidenti occorsi a
speleologi, piene eccezionali con le acque
risalenti dagli inghiottitoi che all’esterno
formano laghi, come si è verificato più volte
nel Lago di Canterno o nella piana di Pastena,
oppure la discesa nel 1925 della grotta allora
più profonda del mondo (la Spluga della Preta,
ribattezzata “Abisso Mussolini”), che all’epoca
76
Speleologia del Lazio, 9 | dicembre 2018
Figura 2 - Descrizione della grotta di Frate Alessio
Figura 3 - Descrizione delle cavità nel comune di Carpineto Romano
Bibliografia:
aveva suscitato una vasta eco sulla stampa.
Relativamente alle modalità di raccolta delle
informazioni, che, per quanto già detto, non
sembrano provenire dal mondo speleologico,
non sembra probabile che l’Ufficio Tecnico
abbia mandato personale nei Comuni a
raccogliere informazioni. Avanziamo l’ipotesi
che la Provincia abbia mandato una circolare
ai Comuni e abbia inserito nel documento le
risposte ottenute. Si spiegherebbe così perché i
dati sono disomogenei e perché non sono citati
Comuni con grotte conosciute, come i Meri
del Soratte a Sant’Oreste, note da sempre ed
esplorate a partire dal 1920.
Abbiamo chiesto aiuto al Comune di Carpineto
Romano per cercare di rintracciare l’eventuale
corrispondenza tra Comune e Provincia, per ora
senza successo. Si ringraziano comunque per
il loro impegno il Presidente della Compagnia
dei Lepini Quirino Briganti, il sindaco Matteo
Battisti, il direttore del Museo Italo Campagna
e Leo Gavillucci che ha fisicamente effettuato
le ricerche nell’archivio storico comunale.
Si ringrazia inoltre il dott. Alessio Argentieri,
dirigente del Servizio Geologico e Difesa
del Suolo della Città metropolitana di Roma
Capitale, per aver dato il consenso allo studio
del documento.
La ricerca continua...
Argentieri A., De Nardo V., Occhigrossi
B.C., Piro M., Rotella G., 2016, 1932:
A historical database of natural and
anthropogenic cavities in the Province of Rome
- Rendiconti Online della Società Geologica
Italiana, supplemento 1 al vol. 40/2016.
AA.VV., La nascita della Provincia di Roma
- sito istituzionale della Città metropolitana di
Roma Capitale - http://www.provincia.roma.it/
istituzionale/storia-e-territorio.
Circolo Speleologico Romano, 1925,
Bollettino speleologico n. 1. Aprile 1925.
Circolo Speleologico Romano, 1926,
Bollettino speleologico n. 2. Aprile 1926.
Ferrari V., 1932, Cavità naturali, grotte,
pozzi, ecc. esistenti nella Provincia di Roma,
Provincia di Roma, Ufficio Tecnico. Opera
dattiloscritta - Archivio storico della Biblioteca
Provinciale di Roma.
Segre A. G., 1948, I fenomeni carsici e la
speleologia nel Lazio. Pubblicazioni dell’Istituto
di Geografia dell’Università di Roma.
77
VII Convegno Federazione Speleologica del Lazio
Comune
Nome grotta
Località
1
Artena
Catauso
2
Artena
3
Artena
Fondo Prece
4
Artena
Puzzariga
5
Artena
Pomario
Naturale
6
Artena
Piano Civita
Artificiale
7
Artena
Colle Botte
Artificiale
8
Artena
Valle Raina
Artificiale
9
Artena
Pizzicheria
Artificiale
10
Arsoli
La Chiavica
Cisterna
Naturale
11
Arsoli
Grotta di
Frateteria
Le Selve
Naturale La 351
12
Anticoli Corrado
Recchicciola
Naturale
13
Anticoli Corrado
Fonte Cardinale
Naturale
14
Affile
N° cat.
15
Bellegra
16
Bellegra
Naturale La 133
Grotta del Catauso
Dolina
La 128
Dolina di Valle S.
Croce
Maddalena
Dolina
La 129
Brece dell’Asinaro
Dolina
La 127
La Pozzariga
La 98
Pozzo di Arsoli
? Grotta di Frate Alessio
Naturale
La 42
Il Pertuso
Colle delle Grotte Naturale
La 5
Grotta dell’Arco
Corra o Conra
17 Carpineto Romano Casal del Pozzo
Naturale
Naturale
18 Carpineto Romano
Fosso del Cuculo
Naturale
19 Carpineto Romano
Orticara
Naturale
20 Carpineto Romano Colle Mortale
Naturale
21 Carpineto Romano
Cerasolo
Naturale La 310
22 Carpineto Romano
Faggeto
Naturale
23 Carpineto Romano
Giulianello
Naturale
24 Carpineto Romano
Faggeto (prato
oaso)
Naturale
25 Carpineto Romano
Capreo
Naturale
26 Carpineto Romano Rava Bianca
27 Carpineto Romano
Attuale
denominazione
Porta Maggiore
Pertuso
Pertuso
Tipo
La 536 Ouso Due Bocche ed
etc
altre
Naturale La 240
Capreo (Valle
dell’Oaso)
Abisso Consolini
Ouso I della Rava
Bianca
Naturale
28 Carpineto Romano Valle dell’Altare
Naturale La 382
29 Carpineto Romano
Carpinetto
Naturale
30 Carpineto Romano
Isola
Naturale
La 24
Ovuso dell’Isola
31 Carpineto Romano
Formale
Naturale
La 39
Grotta del Formale
32 Carpineto Romano
Pratelle
Naturale
Ouso di Valle Jatare
33 Carpineto Romano Casale Scarano
Naturale La 524 ? Ouso del Formale ?
34 Carpineto Romano
Naturale
Ciroletto
35 Canale Monterano
Zolfatara
Artificiale
36 Canale Monterano
Biscione
Artificiale
78
Speleologia del Lazio, 9 | dicembre 2018
37 Canale Monterano Grotte Etrusche
Biscione
Artificiale
38 Canale Monterano Grotte Comuni
Rovine di Monterano
Artificiale
39 Canale Monterano
Grotte Termali di
Stigliano
40 Canale Monterano
Cava di gesso
attivo
Artificiale
Monte Angiano
Artificiale
Vallangela
Naturale La 172
Grotta di Vallangiola o
Vallefosca
Le Saure
Naturale La 171
Inghiottitoio di Campodimele
41
Campodimele
42
Campodimele
43
Campodimele
44
Castel Gandolfo
45
Castel Gandolfo
46
Cerreto Laziale
Pozzo’i Pietra
Monte Fossicchi
Naturale
47
Castelforte
Mofeta Bagni di
Suio
Bagni di Suio
Naturale
48
Castelforte
Grotta Bancone
Bagni di Suio
Naturale
49
Castelforte
Grotta Gazzetta
Bosco Caselle
Naturale
50
Castelforte
Fossa dei Vecchi
Forcella
Naturale
51
Castelforte
Grotta della
Polvere
Bosco di S. Antuono
Naturale
52
Castelforte
Mofeta Valloni
Sujo
Naturale
53
Castelforte
Grotta Ciara
Proprietà dei frat.
Naturale
Tribaldi
54
Castelforte
Grotta Annelli
Campomaggiore Naturale
55
Castelforte
Fossa Panella
56
Cianca
Costa delle FesNaturale
tole
Contrada Mele
Artificiale
Proprietà di Rossi
Artificiale
Pietro
Arole
Naturale
Castel S. Pietro
Contrada Leprara
Dolina
57
Castel S. Pietro
Contrada Solara Naturale
58
Civitavecchia (S.
Marinella)
59
Civitavecchia (S.
Grotta artificiale Località Monteroni Artificiale
Marinella)
60
Cineto Romano
Cunicolo
La 95
Pozzo di Cerreto
La 93
Fossa Leprara o Luprara
La 51
Pozzo di Cineto
Località Monteroni Artificiale
in vicinanza
dell’abitato
Figura 4 - Esempio di elaborazione dei risultati
79
Naturale
VII Convegno Federazione Speleologica del Lazio
Laboratorio didattico “Spelunca Docet” - disegno di un alunno
della classe I B (secondaria di primo grado) dell’Istituto
Comprensivo “San Vittorino - Corcolle”
80
Speleologia del Lazio, 9 | dicembre 2018
Sentire la grotta
emozioni, memorie ed
esperienze di non speleologi
MARIO FEDERICO ROLFO - KATIA FRANCESCA ACHINO - MAURIZIO GATTA - LETIZIA SILVESTRI
L
’attività di ricerca svolta dall’insegnamento
di Paletnologia dell’Università di Roma
Tor Vergata si è concentrata, nel corso
degli ultimi anni, nello studio sistematico degli
aspetti geo-paleontologici e delle più recenti
metodologie di studio archeologico del sito di
Mora Cavorso. La grotta, localizzata a 715 m
s.l.m. nell’Alta Valle dell’Aniene, è parte del
comune di Jenne (Subiaco). La sua scoperta
si deve al gruppo speleologico Shaka Zulu di
Subiaco nel 2001, in quell’occasione fu eseguito
anche il rilievo integrale della grotta, ad opera dei
coniugi Alberta Felici e Giulio Cappa (Fig. 1).
Lo studio, caratterizzato da una spiccata
multidisciplinarità, ha permesso di ottenere
importanti risultati riassunti, tra l’altro, nel
precedente contributo (ROLFO et al., 2015).
Tra le ricerche intraprese, particolare rilevanza
ha assunto lo studio etnografico portato avanti
dagli autori nel recente passato (ACHINO et al.,
2012), grazie al quale è stato possibile ricostruire
l’utilizzo della grotta nei tempi storici fino
all’epoca recente, dopo le frequentazioni d’età
pre- e proto-storica.
La ricerca si è incentrata sulla raccolta delle
testimonianze dirette di coloro che frequentarono
la grotta come rifugio durante la Seconda Guerra
Mondiale e nell’immediato dopoguerra. Tale
indagine ha permesso, da un lato, di chiarire
alcune caratteristiche stratigrafiche del deposito
archeologico identificate nel corso delle attività
di scavo (ACHINO et al., 2012); dall’altro ha
fornito dati relativi alle sensazioni personali
provate durante il soggiorno in grotta, dal primo
accesso fino all’ultima sporadica visita.
A partire dalla campagna 2016 si è deciso di
integrare queste “sensazioni” della grotta con
le più recenti percezioni da parte di coloro che
hanno svolto attività di ricerca e scavo. Pertanto,
per arricchire il campione preso in esame, ci
si è avvalsi del contributo di studenti italiani
e stranieri che hanno partecipato alle attività
archeologiche presso la grotta.
La raccolta di questi dati permetterà, in accordo
con la teoria dell’«archeologia dei sensi»
(SKEATES, 2010; HAMILAKIS, 2014), di
ricostruire lo stato d’animo più diffuso degli
attuali fruitori / utilizzatori della cavità. L’insieme
Figura 1 - Pianta generale della grotta Mora Cavorso
81
VII Convegno Federazione Speleologica del Lazio
di questi dati consentirà inoltre di elaborare
un ipotetico tentativo di ricostruzione delle
sensazioni provate da coloro che frequentarono
la grotta Mora Cavorso in un lontano passato.
2001) per varie grotte neolitiche e protostoriche
italiane ed infine da Hamilakis (2014) per le
strutture funerarie ipogeiche dell’età del Bronzo
cretese. Martin Roe (2000) ha inoltre sottolineato
l’importanza del tatto e del suono in grotta,
mentre Betts e Whitehouse hanno registrato le
emozioni provate entrando nelle cavità studiate
cercando delle affinità (o differenze) rispetto a
quanto provato ipoteticamente dai frequentatori
preistorici di quei luoghi.
Tradizionalmente, infatti, l’archeologia si è
concentrata sull’aspetto visivo dei reperti e dei
contesti di rinvenimento. È anche per questa
ragione che nel corso dei secoli tale disciplina
si è focalizzata sugli oggetti di maggior pregio
estetico (sempre inteso come visuale) fino a
poter quasi essere assimilata, a volte, alla storia
dell’arte. Fortunatamente, a partire dal lavoro di
Howard Morphy del 1992 (CLASSEN - HOWES,
2006; EDWARDS et al., 2006; FINNEGAN,
2002) è stato possibile iniziare a riconoscere la
“bellezza” come effetto delle proprietà fisiche
degli oggetti su tutti i sensi, aiutando a creare
una concezione più variegata delle qualità multisensoriali degli artefatti.
Una maggiore attenzione alla multi-sensorialità
della vita umana passata ha cominciato a
manifestarsi a seguito dell’emergenza, all’inizio del
ventesimo secolo, di una riflessione in altri campi,
quali l’estetica, l’antropologia, l’architettura, la
storia dell’arte, gli studi nella comunicazione, la
storia, la geografia, gli studi letterari e culturali,
la museologia, la filosofia, la psicologia e la
sociologia (HOWES, 2006, pp. 114-5; SKEATES,
2010). Inoltre, l’affermazione del capitalismo e
dei piaceri materiali ad esso collegati ha costituito
un ulteriore impulso alla presa di coscienza
dell’importanza di tutti i sensi nella vita quotidiana
non solo dell’uomo del presente, ma anche di
quello studiato dagli archeologi.
Secondo Robin Skeates (2010), l’archeologia
dei sensi deve riguardare non solo il modo in cui
uno studioso ricostruisce il passato e l’attenzione
alla ricostruzione di quella che poteva essere la
sensorialità di chi visse precedentemente, ma anche
la descrizione e divulgazione di tali ricostruzioni al
pubblico. I passaggi che permettono l’applicazione
di un’archeologia dei sensi sono:
2. Materiali e metodi
2.1 Materiali
Il campione si compone di 9 studenti italiani
e 3 studenti stranieri di Archeologia o Scienze
dei Beni Culturali, di età compresa tra i 20 ed
i 30 anni, privi di precedente esperienza e/o
formazione speleologica.
Il questionario che è stato loro sottoposto consta
di tre domande:
a) Come descriveresti ciò che hai provato
entrando nella grotta per la prima volta, tenendo
in considerazione l’aspetto naturalistico di
quest’ultima?
b) Come descriveresti ciò che hai provato
entrando nella grotta per la prima volta, tenendo
in considerazione l’esperienza di scavo svoltasi
in quest’ultima?
c) Come descriveresti ciò che hai provato
raggiungendo le sale più interne della grotta,
tenendo in considerazione l’aspetto speleologico
di quest’ultima?
Le interviste sono state videoregistrate nel corso
dell’ultima campagna di scavo con l’ausilio di
una videocamera e attrezzatura di registrazione
audio, con lo scopo di avere a disposizione le
risposte ottenute in vista dell’elaborazione di un
futuro documentario volto a presentare al grande
pubblico la grotta, le sue potenzialità e l’attività
di ricerca ivi svolta.
2.2 Metodi. Cos’è l’archeologia dei sensi:
definizione, nascita, evoluzione, limiti e futuri
sviluppi
L’archeologia dei sensi si può considerare una
metodologia transdisciplinare, più che una subdisciplina dell’archeologia. Si tratta, infatti, di
un approccio che prende in considerazione tutti i
sensi (compresi quelli meno tradizionali, come ad
esempio la propriocezione o cinestesia - ovvero la
consapevolezza della propria fisicità e dei propri
movimenti nello spazio) nel processo interpretativo
portato avanti dall’archeologo.
Nell’ambito del mondo sotterraneo, l’archeologia
dei sensi è stata applicata solo a partire dall’inizio
del nuovo millennio da Skeates (2010), in relazione
agli ipogei preistorici maltesi, da Betts (2003) per
Grotta Sant’Angelo (TE), da Whitehouse (1992;
1) L’inventario, che cataloga tutti gli aspetti
sensoriali relativi ad ogni elemento che compone
un contesto archeologico.
2) La riflessività, ovvero la presa di coscienza
dell’impossibilità di un distacco completo
dall’oggetto (o soggetto) studiato e del contributo
soggettivo alla costruzione di significati, prodotto
nel processo di ricerca (si veda ad esempio
CLIFFORD - MARCUS, 1986).
82
Speleologia del Lazio, 9 | dicembre 2018
Figura 2 - Il sentiero naturalistico che si percorre per raggiungere la grotta
3) La sperimentazione, ovvero l’osservazione
e studio degli effetti provocati sui sensi dalle
ricostruzioni archeologiche, così come la
registrazione delle proprie e altrui sensazioni
(cfr. TILLEY, 1994; 2004), non dimenticandone
la soggettività (si veda ad esempio BRÜCK,
1998; 2005; INGOLD, 2005; HAMILTON et
al., 2006).
4) La descrizione densa, un concetto
antropologico Geertziano (1973) che si traduce
in archeologia nell’approccio contestuale,
un’analisi approfondita di quante più prospettive
ed evidenze materiali possibili per incrementare
l’attendibilità delle conclusioni interpretative
prodotte.
5) La scrittura (o altri mezzi di espressione
artistica) creativa, un espediente che permette di
oltrepassare il livello descrittivo dello studio dei
contesti archeologici, creando rappresentazioni
artistiche basate su dati rigorosi ma integrati
da una componente libera dai confini della
ricostruzione scientifica in senso stretto.
percezioni umane siano culturalmente definiti
e non atavici, di conseguenza fortemente legati
alla memoria individuale e collettiva. Pur
aggiungendo un ulteriore elemento di relativismo
storico-culturale ad un già complesso processo
interpretativo, questa volontà di riconsiderare
la disciplina dell’archeologia riconoscendola
come “indisciplinata” non può non destare
degli spunti di riflessione. Nel suo provocatorio
lavoro, infine, lo studioso ribadisce come
l’esperienza sensoriale travalichi la dimensione
temporale ricreandosi di volta in volta in
modo diverso nel corso delle sempre nuove
interazioni tra soggetto e oggetto, o meglio –
eliminando la componente passiva del secondo
elemento – tra i due soggetti. Tanto influente
è, nella sua visione, la multi-temporalità e la
sensorialità dell’archeologia, che tale termine
potrebbe essere persino privato del prefisso
“archeo-” dato l’imprescindibile legame tra
passato e presente rappresentato da ogni studio
archeologico.
Una conclusione tanto estrema, lungi dal dover
essere condivisa nella sua totalità, non può
che stimolare una crescente consapevolezza
dell’importanza dei sensi nella pratica
archeologica e nella divulgazione dei risultati
da essa derivati, come si propone infatti di fare
questo lavoro, tra i primi elaborati da un’equipe
italiana in Italia.
Secondo Hamilakis (2014), l’archeologia e
i sensi devono andare di pari passo. Per lo
studioso, i sensi riguardano la natura e lo stato
dell’essere, sono infiniti, e l’archeologia li può
indagare solo se riesce a superare la classica
definizione dei cinque sensi aristotelici.
Hamilakis sostiene, inoltre, che i sensi e le
83
VII Convegno Federazione Speleologica del Lazio
Figura 3 - L’antegrotta
“abitazione”: in particolare l’antegrotta (Fig. 3),
più ampia rispetto all’immaginario collettivo,
suggerisce un senso di protezione, paragonabile
al salone di una casa.
3. Risultati
Le risposte alle interviste hanno fornito interessanti
risultati, riassunti come segue:
1) Aspetto naturalistico della grotta
2) Attività archeologica portata a termine nella
grotta
Il percorso che precede la grotta e le caratteristiche
naturalistiche interne di quest’ultima suscitano
negli intervistati principalmente emozione e
fascino. Raggiungendo Mora Cavorso ci si immerge
sempre di più nella natura, un’isola di pace nella
cui formazione l’uomo ha avuto poco a che fare.
In qualche modo nel momento stesso in cui ci si
avvicina alla grotta si ripercorrono i percorsi battuti
nel passato dai nostri antenati, intraprendendo una
sorta di viaggio nel passato (Fig. 2).
Alcuni degli intervistati hanno sottolineato il
carattere “personale e peculiare” che la grotta
assume: la contraddistingue un odore caratteristico,
corrispondente al profumo dell’ambiente umido e
degli animali che vi abitano. Nel caso specifico
inoltre si nota l’assenza del rumore tipico delle
gocce sulla superficie, conseguenti alla forte
presenza di stillicidio che, invece, in questa grotta
risulta del tutto assente.
Nella sua interezza Mora Cavorso è stata
percepita da alcuni intervistati (soprattutto da
coloro che hanno ripetuto l’esperienza di scavo
nel corso degli ultimi anni) come una sorta di
Per quanto concerne l’attività di scavo svoltasi
presso la grotta gli intervistati hanno sottolineato
la maggiore complessità che questo tipo di
contesto presenta rispetto ai siti archeologici
all’aperto (Fig. 4). Ciò nonostante alcuni di
essi hanno espresso la loro predilezione per lo
scavo in grotta che assicura, grazie al microclima
interno, un ambiente di lavoro piacevole e
rilassante anche in estate.
Questa attività viene nel complesso considerata
come altamente positiva e fortemente
consigliabile; il contatto diretto con la grotta,
attraverso il suo scavo, permette di riportare
alla luce tracce del passato finora sconosciute e
protette nelle sue profondità.
Gli intervistati (la totalità dei quali non ha avuto
esperienze pregresse in grotta) descrivono uno
stato di iniziale euforia mescolato a timidezza
nell’approcciarsi ad un contesto ed una pratica del
tutto sconosciute; inoltre, alcuni di loro tendono a
definire la ricerca archeologica in questo contesto
come una sfida, alla luce delle difficoltà maggiori
84
Speleologia del Lazio, 9 | dicembre 2018
Figura 4 - Lo scavo lungo il condotto che porta alle sale interne
che la grotta presenta. Tra di esse sottolineano in
particolar modo i limitati spazi a disposizione,
la presenza di cunicoli stretti e la scarsità di luce
naturale; tali condizioni impongono un maggiore
dispendio di energie e di tempo (Fig. 5). Per
queste stesse ragioni alcuni degli intervistati si
chiedono cosa, se non ragioni rituali, possano aver
portato i nostri antenati a depositare i corpi dei
propri cari defunti proprio in questi antri oscuri,
creando un legame profondo ed eterno tra i corpi
terreni e la natura. Secondo alcuni questa scelta
potrebbe essere dovuta al senso di pace, sicurezza
e protezione che la grotta infonde.
come familiare. Molti degli intervistati sostengono
inoltre che la grotta sia esteticamente più bella
al suo interno e che, una volta percorsi diverse
volte, i suoi cunicoli suscitino una sensazione di
meraviglia.
Nel corso della visita nella grotta, una volta raggiunte
le sale interne, si è sperimentata l’esperienza di
spegnere le luci. Il buio perfetto così raggiunto
trasmette alla maggioranza degli intervistati forti
emozioni (come isolamento, sacralità e piacevole
solitudine) e spesso un senso di serenità.
Coloro che hanno praticato l’attività di scavo nei
diversi saggi nel corso degli anni paragonano
l’ingresso in grotta ad un percorso di crescita
professionale: questo ha permesso loro di scavare
nei diversi contesti, dall’esterno all’interno,
affrontando di volta in volta le difficoltà di svolgere
queste attività in contesti sempre più ristretti e bui.
L’ingresso in grotta viene inoltre paragonato ad un
parto al contrario: procedendo nei cunicoli angusti
si passa da un ambiente ampio e familiare ad uno
ristretto e poco illuminato. Superati però questi
ostacoli, che impongono di strisciare lungo stretti
ambienti nei quali si sperimenta una ristretta
mobilità, si raggiungono scenari completamente
inattesi e di un’inimmaginabile bellezza: le sale
interne presentano una straordinaria ricchezza di
concrezioni, stalattiti e stalagmiti ed, in alcuni
periodi dell’anno, è anche possibile osservare un
piccolo laghetto. Quando si raggiungono queste
3) Aspetto speleologico rappresentato dalla grotta
La conformazione della grotta, caratterizzata
nelle sale più interne da camere buie raggiungibili
attraverso cunicoli angusti, ha comportato per
alcuni degli intervistati, soprattutto durante la prima
visita, un senso di insicurezza e paura. Mentre
l’antegrotta, grazie alla sua grandezza, infonde un
senso di accoglienza e protezione, a mano a mano
che si procede lungo lo scivolo naturale che precede
la sala C, ed entrando sempre più in profondità, si
diffonde un senso di preoccupazione.
Tuttavia, nella maggior parte dei casi, tale
sensazione è stata sostituita da un senso di
maggiore tranquillità con il ripetersi delle visite:
questo ambiente è infatti attualmente descritto
85
VII Convegno Federazione Speleologica del Lazio
Figura 5 - Lo scavo lungo il condotto che porta alle sale interne
sale si viene avvolti dall’oscurità più impenetrabile
e dal silenzio più totale. Queste due condizioni
permettono di sperimentare diverse sensazioni: il
tempo sembra innanzi tutto fermarsi e se ne perde
la cognizione; stare in questo ambiente per più
di 10 minuti permette agli intervistati di sentirsi
parte della grotta stessa, sembra quasi di potersi
fondere con la roccia sulla quale si è poggiati.
Questa sensazione di appartenenza viene descritta
come molto bella e profonda.
Nel buio è stato inoltre effettuato, nel corso di
una visita all’interno della grotta, un secondo
esperimento: uno degli intervistati si è esibito in
un breve canto. L’ottima acustica e l’eco che si
ottiene ha trasmesso ai presenti un senso di pace
e piacevolezza.
Un’intervistata ha sottolineato di aver immaginato
di cantare una canzone triste, che ben si associa
con il buio che la circondava, passando per alcuni
dei cunicoli più stretti e bui della grotta.
elementi della grotta (non solo i cinque
sensi tradizionali ma anche, ad esempio, la
propriocezione) e ad un approccio contestuale
(che ha preso in considerazione il paesaggio
circostante e la grotta stessa nei suoi variegati
settori, ma anche il grado di esperienza e il tipo
di attività degli intervistati) venisse unita la
sperimentazione. Questa si è manifestata non
solo per mezzo del semplice attraversamento
del percorso, ma anche con gli esperimenti
del canto e dello spegnimento delle luci.
Il tutto è stato costantemente corredato da
una consapevole riflessività da parte degli
studenti, i quali pur registrando con attenzione
le loro emozioni sono rimasti ben consci
della più che probabile diversità del proprio
“sentire la grotta” rispetto all’uomo – o
meglio, gli uomini – del passato. L’aspetto
della creatività, sottolineato da Skeates
(2010) per quanto riguarda l’importanza della
divulgazione, sarà invece affrontato con la
creazione di un documentario attualmente in
corso di realizzazione.
Tra le sensazioni personali più ricorrenti
si possono indicare il senso di benessere e
tranquillità che l’antegrotta suscita sin dalla
sua prima frequentazione; tali sentimenti sono
4. Discussione
L’applicazione integrata delle metodologie
sopra descritte ha fatto sì che all’accurato
inventario della sensorialità legata ai vari
86
Speleologia del Lazio, 9 | dicembre 2018
tenere presente che in epoca antica si aveva
un differente rapporto con la morte, quando
ha assunto una “rilevanza sociale totale”
(MAUSS, 1923-24), arrivando a coinvolgere
tutti gli aspetti delle società antiche. Al
contrario, a partire dal secolo scorso, sulla
concezione riduttivista dell’essere umano la
morte è stata spesso nascosta, instaurando in
molte occasioni un rapporto problematico
nella società contemporanea (FAVOLE, 2006).
È ipotizzabile, ad esempio, che il senso di
sicurezza dato dalla presenza di luci elettriche di
emergenza e tessuti rinforzati, dalla mancanza
di un contatto diretto con i propri defunti e dalla
forte fatica fisica derivante dal loro trasporto
crei un forte divario con la sensorialità vissuta
nella preistoria. Questa, infatti, poteva essere
maggiormente influenzata dalla paura dello
spegnimento delle torce con conseguente
possibilità di smarrimento (che avrebbe fatto
vivere diversamente il buio assoluto della grotta),
dalla difficoltà di respirazione derivante dal fumo
delle torce, dal dolore del contatto più diretto
con le acuminate stalagmiti del pavimento, dallo
sforzo derivante dal dover trasportare corpi
morti, dal disgusto per l’odore dei cadaveri in
putrefazione precedentemente deposti e dalla
forte emozione provocata dal dover entrare
nuovamente a contatto con essi (Fig. 6). Resta
comunque valida l’ipotesi che la grotta fosse
utilizzata proprio come luogo sepolcrale a causa
del suo isolamento dal mondo terreno e della sua
accogliente e quieta conformazione assimilabile
al ventre materno della terra - un vero e proprio
“parto al contrario” - quindi, con ritorno finale al
luogo della nascita.
Figura 6 - Reperti umani preistorici nella sala interna detta “sala
superiore”
sperimentati nelle sale interne soprattutto dopo
i primi ingressi, che si caratterizzano invece per
un maggior senso di paura e timore, mescolato
ad un senso di emozione e stupore. Il silenzio
ed il buio sembrano riempire il vuoto delle
sale, donando un senso di completezza, pace ed
appartenenza all’ambiente naturale circostante.
Un’esperienza questa che viene calorosamente
consigliata da tutti gli intervistati non solo agli
addetti ai lavori ma soprattutto a chi, vivendo in
città, non ha idea di cosa rappresenti lo spettacolo
naturale delle grotte. L’ingresso al loro interno
permette di lasciarsi alle spalle il nostro mondo
e la nostra vita quotidiana per dare spazio ad un
ambiente estraneo, di totale pace e serenità che
può “portare indietro nel tempo”.
È evidente che tale “viaggio nel tempo” non
può né deve convincere che gli studenti abbiano
provato sensazioni simili a quelle sperimentate
dai passati frequentatori della grotta. Se
è vero quanto afferma Hamilakis (2014),
infatti, le sensazioni hanno natura culturale
oltre che istintiva e non è possibile creare
un’equazione diretta tra epoche e tipologie di
frequentazione diverse: funerario-cultuali in
antico, ludico-lavorative quelle contemporanee
(anche se, per lo stesso motivo, non è corretto
neanche escludere che tali affinità possano
talvolta incidentalmente verificarsi). Bisogna
5. Conclusioni
Questo tipo di studio, focalizzato sulle
sensazioni provate da studenti intervistati nel
corso della frequentazione di una singola grotta
richiede, per ottenere risultati conclusivi,
l’ampliamento del campione ad ampio raggio;
in prospettiva futura, gli autori considerano
la possibilità di implementare il numero delle
grotte che gli intervistati dovranno valutare
e le relative sensazioni ivi provate. Questo
confronto avvalorerà le conclusioni presentate
in questo studio preliminare, dimostrando,
come prevedibile, che ogni cavità nella sua
unicità possa fornire sensazioni differenti.
Nello stesso modo, in passato queste stesse
grotte sono state utilizzate con modalità e
scopi distinti, probabilmente grazie alla diversa
percezione che l’uomo aveva di ciascuna di
esse in antico.
87
VII Convegno Federazione Speleologica del Lazio
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88
Speleologia del Lazio, 9 | dicembre 2018
Grotta Pila
Elementi di geologia
e nuovi dati sull’utilizzo
antropico in epoca protostorica
MARIA PIRO - GIOVANNI MECCHIA - CRISTIANO RANIERI
I
rilievi della Sabina Orientale costituiscono
una catena con andamento complessivamente
meridiano, che si estende in sinistra
idrografica del Fiume Tevere, separata verso
Ovest dai contigui Monti Lucretili tramite
l’incisione valliva del Torrente Licenza; si
tratta di un complesso sistema di rilievi che
giungono a Nord fino in prossimità di Terni
e a Sud toccano le sponde dell’Aniene. Sono
caratterizzati da strutture a pieghe, con asse
NW-SE o N-S, vergenti verso l’Adriatico; in
affioramento si trovano in netta prevalenza la
formazione marnoso-argillosa di Guadagnolo,
le “marne e brecciole” e i calcari della Scaglia,
tipici della Successione Sabina.
Nei calcari dei Monti Sabini Orientali
sono conosciute una cinquantina di grotte
(comprendendo quelle della media valle
dell’Aniene). La cavità più estesa di tutto
il gruppo montuoso è la Grotta Grande di
Muro Pizzo (sviluppo 380 m) che, come la
Grotta Pila, si apre nei calcari della Scaglia
dell’Eocene-Cretacico.
L’unità è costituita da calcari detritici biancastri
a macroforaminiferi con frequenti intercalazioni
di brecce e puddinghe poligeniche e con livelli
marnosi e selciferi. Verso l’alto si passa alle
marne e calcari marnosi della formazione del
“Bisciaro”, di età oligocenica. La Grotta Pila si
trova sul versante occidentale della catena, in una
zona geologicamente complessa con vari assi di
anticlinali parallele orientate N-S, dislocate da
faglie orientate E-W, una delle quali, ben visibile
nella carta geologica, condiziona l’andamento
del Fosso Vignale, lungo il versante sinistro del
quale si apre la cavità.
La grotta ha uno sviluppo di 74 m. Dal
largo portale d’ingresso che si apre alla
base di una parete si accede ad una breve
galleria che si allarga in un vasto salone ad
andamento suborizzontale, probabilmente di
interstrato, con diametro di circa 50 m e con
alcune diramazioni laterali, apparentemente
frammentato in vari ambienti da colonne
concrezionali e accumuli di massi. Il pavimento
è in leggera salita (dislivello positivo di circa 2
m) e la volta è sempre alta almeno 2-3 m.
Sul fondo della cavità si notano vari punti
di ristagno e assorbimento delle acque. Sul
soffitto si notano canali di volta e concrezioni
mammellonari, che fanno pensare a fasi di
temporanea sommersione e di riempimento
della cavità.
Probabili fasi di riempimento ed erosione sono
indicate anche dalla presenza di pavimenti
concrezionati sospesi rispetto all’attuale piano
di calpestio. Da notare ovunque la deviazione
dell’asse di accrescimento di molte colonne
stalattitiche, un aspetto che potrebbe essere
oggetto di successivi studi.
Le ricerche archeologiche
Di notevole importanza sono i reperti
paletnologici rinvenuti all’interno della Grotta
Pila che venne indagata per la prima volta nel
1949 da A. G. Segre e A. M. Radmilli.
Nel Bollettino di Paletnologia Italiana del 1959
il Radmilli scrive: “La caverna ampia consta
di un ambiente interno ed un altro esterno,
separati da una grande frana di grossi blocchi,
89
VII Convegno Federazione Speleologica del Lazio
Figura 1, Planimetria e sezione della Grotta Pila, Rilievo L. Lanzi, disegno F. Consolini
90
Speleologia del Lazio, 9 | dicembre 2018
Figura 2 - Grotta Pila, 22 gennaio 1950, foto storica. Archivio Circolo Speleologico Romano
cementati e coperti da una grossa stalagmite”
(Radmilli 1951-52).
Nell’ambiente interno lo studioso recuperò
“abbondanti frammenti fittili di civiltà enea e
della fase di transizione dalla stessa civiltà enea
a quella del ferro” sottolineando la presenza di
tombe di inumati e resti di scheletri.
Venne eseguito un saggio di scavo che restituì
“industria litica associata a frammenti di
vasellame fittile ed oggetti litici riferibili ad
un orizzonte culturale affine a quello degli
strati basali delle Cavernette Falische e della
Grotta Polesine”.
Attualmente i materiali sono conservati con la
seguente indicazione di scavo: “I taglio – 14
gennaio 1950 e II taglio – 22 gennaio 1950”.
Si tratta di una settantina di frammenti fittili
ed un centinaio di frammenti di industria litica,
conservati nei magazzini del Museo Pigorini e
purtroppo mai pubblicati.
Radmilli, evidenziando l’importanza dei resti
paletnologici presenti nella grotta, sottolineava
la necessità di intraprendere scavi sistematici
quanto prima.
A proseguire gli studi fu G. Filippi che, a
seguito di un sopralluogo effettuato all’interno
della grotta nel 1979, recuperava un frammento
ceramico “che per fattura e foggia ci riporta a
forme di età neolitica o tutt’al più all’Eneolitico”
(Filippi 1979).
A partire dal 1996 il Gruppo Speleo
Archeologico Vespertilio, in collaborazione
con la Soprintendenza, ha effettuato diversi
sopralluoghi all’interno della cavità, al fine
di poter acquisire ulteriori dati riguardo lo
sfruttamento antropico avvenuto nella Grotta
Pila in epoca protostorica. Le ricerche sono
state effettuate principalmente negli ambienti
interni della cavità. Sono stati recuperati
numerosi frammenti fittili in alcune zone della
grotta dove si evidenzia per altro un’intensa
attività di saggi clandestini che hanno alterato
la stratigrafia del sito.
Di notevole importanza risultano i materiali
recuperati in un anfratto stalagmitico che fanno
riferimento con ogni probabilità al corredo
di una sepoltura eneolitica. Si tratta di alcuni
resti osteologici associati ad una punta di
freccia in selce e frammenti di una scodella
con sopraelevazione dell’orlo con decorazione
radiale incisa. La scodella, restaurata e
disegnata da Giovanni Carboni, trova riscontro
91
VII Convegno Federazione Speleologica del Lazio
Figura 3 - In alto: sala principale (foto C. Ranieri). In basso: zona della cavità dove sono stati recuperati materiali ceramici della
cultura Laterza
92
Speleologia del Lazio, 9 | dicembre 2018
“protoappenninici” in Apulia, Origini, I, pp. 195-300.
Filippi G. 1979, Primo contributo alla conoscenza
del territorio sabino nell’età preistorica e
protostorica. Quaderni del Centro di Studio per
l’Archeologia Etrusco-Italica, 3, p. 111.
Filippi G., Pacciarelli M. 1991, Materiali
protostorici della Sabina Tiberina. L’età del
bronzo e la prima età del ferro tra il Farfa ed
il Nera, Quaderni del Museo Archeologico di
Magliano Sabina, Magliano Sabina.
Figura 4 - Scodella con sopraelevazione dell’orlo con
decorazione radiale incisa
Radmilli A. M. 1951, Attività del Museo
Nazionale Preistorico ed Etnografico L. Pigorini
– anni 1946-1951 in BPI n.s. VIII parte IV, pp.7475.
con quella presente nel corredo della tomba 14
dell’abitato eneolitico di Osteria del Curato-via
Cinquefrondi (AA.VV., 2017).
I caratteri tipologici del materiale ceramico,
attualmente in studio da parte di Cristiano
Ranieri e Giorgio Filippi, e della punta di
freccia in selce si inseriscono nell’ambito
culturale della facies di Laterza, documentata
ampiamente sul versante tirrenico del Lazio
meridionale e della Campania.
Materiale ceramico è stato recuperato in altre
zone della grotta la cui attribuzione culturale,
seppure riconducibile ad un orizzonte
cronologico eneolitico, risulta di difficile
attribuzione. Non si può quindi escludere che
oltre alla facies Laterza ci possa essere una
sovrapposizione di altre culture, come nel
già citato sito di Osteria del Curato, come ad
esempio le facies di Rinaldone ed Ortucchio.
Presenti anche alcuni frammenti ceramici
riconducibili alla media età del Bronzo, in
particolare ciotole e scodelle.
Grotta Pila, come altre cavità presenti in Sabina
(Filippi, Pacciarelli, 1991), deve essere
stata quindi utilizzata come luogo di culto e/o
sepoltura anche dalle comunità appenniniche.
Le ricerche hanno quindi confermato che lo
sfruttamento antropico della grotta copre un
ampio spazio cronologico, dal paleolitico
superiore all’età del Bronzo.
Ranieri C. 2015, Nuove scoperte paletnologiche
dalle grotte del Costone di Battifratta a Poggio
Nativo, Speleologia del Lazio, 8, Attraverso il
vuoto. Atti del VI Convegno della Federazione
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Segre A. G. 1948, I fenomeni carsici e la
speleologia del Lazio, Roma.
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del Curato-via Cinquefrondi: nuovi dati delle
facies archeologiche di Laterza e Ortucchio
nel territorio di Roma. Atti della XL riunione
scientifica: strategie di insediamento fra Lazio
e Campania in età preistorica e protostorica, pp.
477-508.
Biancofiore F. 1967, La necropoli eneolitica
di Laterza, origini e sviluppo dei gruppi
93
VII Convegno Federazione Speleologica del Lazio
Laboratorio didattico “Spelunca Docet” - disegno di un alunno
della classe I B (secondaria di primo grado) dell’Istituto
Comprensivo “San Vittorino - Corcolle”
94
Speleologia del Lazio, 9 | dicembre 2018
Monti Aurunci Orientali
Le grotte e la loro
interazione con l’uomo
PAOLO DALMIGLIO - PATRIZIA MARINO
Geografia del territorio
84 milioni di anni fa, le cavità individuabili sugli
Aurunci Orientali si aprono, invece, nei più recenti calcari organogeni “a Briozoi e Litotamni”
del Miocene Inferiore, databili tra 23 e 15 milioni di anni fa. Queste rocce sono il risultato della
sedimentazione di invertebrati marini coloniali, i
Bryozoa o Ectoprocta, e di alghe rosse calcaree,
i Lithothamnia. In alcune aree vi sono anche abbondanti resti fossili di Pectinidae, una famiglia di
molluschi bivalvi.
Lo spessore dello strato così caratterizzato è mediamente di 50 metri e nella zona di Coreno Ausonio si
trova uno degli esempi più estesi e rappresentativi
in Italia di questa unità geologica, la cui estrazione,
non a caso, a partire dagli anni Cinquanta del XX
secolo ha costituito la primaria attività economica
locale e lo è tuttora (cfr. fig. 1), vantando anche
I Monti Aurunci sono l’estrema propaggine montuosa del Lazio verso la Campania, costituendo,
da nord a sud, la parte più meridionale del sistema
antiappenninico dopo i Lepini e gli Ausoni, tutti
affacciati sulla Valle del Sacco - Liri.
Gli Aurunci Orientali sono separati dal settore occidentale del massiccio dalla Valle dell’Ausente,
torrente tributario del Garigliano, fiume che circoscrive ad est questi rilievi e traccia il confine
con la Campania. La quota di massima elevazione
della zona considerata è quella di Monte Maio,
con 940 m s.l.m.
Mentre le grotte del comparto occidentale degli
Aurunci si sono generate all’interno di formazioni carbonatiche del Cretaceo Superiore, risalenti a
Figura 1 - Cava di calcare, il cosiddetto Perlato Royal Coreno, in località Piedi di Serra (foto P. Dalmiglio)
95
VII Convegno Federazione Speleologica del Lazio
Figura 2 - Carta di distribuzione degli ingressi delle grotte censite a Catasto nel comprensorio dei Monti Aurunci Orientali. I punti neri
contrassegnano le cavità trattate nel presente lavoro. 1) Grotta Focone; 2, 3 e 4) Grotte I, II e III di Rio Candrella; 5) Grotta da Tonto; 6)
Grotta della Cava di Piedi di Serra; 7) Grotta dell’Arnale Piccolo; 8) Pozzo Arnale Piccolo; 9) Arnale di Coreno; 10) Antro di Monte Maio;
11) Grotta fessa di Monte Maio; 12) Grotta della Pipa; 13) Grotta Pimpinelli; 14) Pozzo le Cese; 15) Grotta di Costa dell’Annunziata. Fuori
carta, verso est, si colloca il Labirinto di San Lorenzo nel territorio comunale di SS. Cosma e Damiano.
la classificazione del pregiato marchio commerciale Perlato Royal Coreno. Le cave hanno una
ripercussione sia positiva sia negativa sulle grotte presenti e in secondo luogo sulla possibilità di
effettuare ricerche speleologiche: talvolta infatti
l’attività estrattiva intercetta e mette in luce nuovi
ingressi, come nel caso della Grotta della Cava di
Piedi di Serra; tuttavia il progressivo avanzamento del fronte di cava può provocare la parziale o
totale distruzione delle cavità. Inoltre si segnalano
casi in cui i detriti movimentati durante le operazioni di scavo obliterano gli accessi, come nel
caso di seguito illustrato di Grotta Focone.
Un altro tratto peculiare degli Aurunci Orientali
è la presenza di alcune sorgenti termali di acque
oligominerali, concentrate nella zona di Suio e
Castelforte: fenomeno di vulcanismo secondario riferibile alla presenza del vicino Vulcano di
Roccamonfina in provincia di Caserta, attivo tra
630.000 e 50.000 anni fa.
Storia delle ricerche speleologiche
Le grotte dei Monti Aurunci Orientali sono
state indagate innanzitutto dal Circolo Speleologico Romano tra il 1970 e il 1975, attività
che ha portato alla registrazione di otto cavità
nel Catasto delle Grotte e delle Aree Carsiche
del Lazio, tuttavia mai oggetto di pubblicazione: Grotta dell’Arnale Piccolo (687 La), Pozzo
Arnale Piccolo (693 La), Grotta Focone (846
La), Grotta I di Rio Candrella (847 La), Grotta
II di Rio Candrella (848 La), Grotta III di Rio
Candrella (849 La), Grotta Da Tonto (870 La) e
Grotta dell’Arnale (871 La).
Altre tre nuove grotte sono state rese note dai
Bollettini “La Ciauca”, frutto dell’impegno dello Speleo Club Trivio Maranola (S.C.Tri.Ma.):
la Ciauca del Gallo, della profondità di 15 metri, esplorata il 29 luglio del 1979 ad Ausonia,
di cui conosciamo solo il rilievo pubblicato nel
96
Speleologia del Lazio, 9 | dicembre 2018
te agli speleologi e prive di qualsivoglia forma
di documentazione. Finora è stato quindi possibile rintracciarne tre, ovvero: la Grotta Fessa
di Monte Maio (2012 La); la Grotta Pimpinelli
(2005 La) e il Pozzo le Cese (1115 La); a queste se ne sono aggiunte altre tre del tutto nuove:
la Grotta della Pipa (1922 La), la Grotta della
Cava di Piedi di Serra (2120 La) e la Grotta di
Costa dell’Annunziata (2006 La).
A seguire si procederà, in prima battuta, alla
presentazione delle grotte esplorate ex novo; in
seconda battuta all’illustrazione di quelle che,
sebbene già conosciute, sono state oggetto di
aggiornamenti a livello documentario o hanno richiesto analisi e studi ulteriori, tra queste
spiccano per importanza la Grotta Focone (846
La), la Grotta da Tonto (870 La) e la Grotta
dell’Arnale (871 La).
1982 (Ciauca n. 4, anno III, 1982); la Grotta
della Polvere, a Suio alto, esplorata il 5 agosto
del 1979, di cui non si ha neanche una precisa riproduzione topografica (Ciauca n. 1, 1979,
pp. 19-21) e il Labirinto di San Lorenzo (1338
La) a SS. Cosma e Damiano, esplorato nel mese
di marzo 1980 (Ciauca n. 2, 1980, p. 20) e nel
mese di dicembre 1982 (Ciauca n. 4, anno III,
1982, notizia desunta dal paragrafo “Calendario
delle esplorazioni ‘82”), quindi pubblicata nel
2003 (Mecchia et alii 2003, pp. 280-281).
Anche il Circolo Speleologico Esperiano ha
frequentato questo territorio, visitando probabilmente per la prima volta le zone iniziali della Grotta Pimpinelli (2005 La), senza lasciare
però documentazioni al riguardo.
Al 1994 risale uno studio di Brunamonte, Prestininzi e Romagnoli del Gruppo Nazionale
per la Difesa dai Terremoti presso l’E.N.E.A.
e dell’Università degli Studi di Roma “La Sapienza”, sulla geomorfologia e i caratteri geotecnici dei depositi di terre rosse nelle aree
carsiche degli Aurunci Orientali (Brunamonte
et alii 1994). In una carta geomorfologica allegata a questo lavoro risultano posizionati dodici
ingressi di cavità, di cui una sola già nota in
ambito speleologico: la già menzionata Grotta
dell’Arnale.
E’ proprio a partire da questa pubblicazione che
il Gruppo Grotte Castelli Romani ha dato avvio
alle ultime ricerche nella zona, nell’intento di individuare e verificare la presenza e la natura delle
grotte segnalate nella carta citata, ma sconosciu-
Grotta Fessa di Monte Maio (2012 La)
Comune: Coreno Ausonio (FR).
Località: versante sud-ovest di Monte Maio,
poco sotto la cima.
Coordinate UTM WGS’84: 4578295- 399919
Quota s.l.m.: 890m.
Speleometrie: dislivello -42m; sviluppo planimetrico 40m.
Esplorazioni: Gruppo Grotte Castelli Romani
8-3-2014.
L’ingresso di questa grotta (n. 11 nella carta di
distribuzione di fig. 2), collocato poco sotto la
cima di Monte Maio, fa parte molto probabilmente di quelli segnalati, assieme ad altri due
non identificati, nella carta allegata al lavoro di
Brunamonte et alii del 1994. Si presenta come un
foro di dimensioni contenute, in parte ostruito da
blocchi di frana e percorso nella stagione fredda
da una violenta corrente d’aria in uscita.
L’intera cavità è impostata lungo una diaclasi verticale con andamento planimetrico lievemente serpeggiante, complessivamente orientata est-ovest. La discontinuità tettonica genitrice
restringe progressivamente la sua luce sia verso
est che verso ovest; alla stessa maniera avvicina le pareti contrapposte con l’aumentare della
profondità, tanto che, raggiunta la quota di -42m
rispetto all’ingresso, diventa impercorribile.
Frane sospese caratterizzano pavimento e soffitto di ogni porzione della grotta, come d’altra
parte accade sistematicamente in altre cavità
con analoga origine tettonica. Non sono stati
osservati scorrimenti d’acqua significativi e il
concrezionamento è assente.
La percorrenza umana all’interno di questa
grotta deve tenere conto costantemente del pericolo derivante dalle frane, non sempre stabili.
Figura 3 - Grotta Fessa di Monte Maio, frattura con scivolo
detritico alla base del P. 7 (Foto M. G. Lobba)
97
VII Convegno Federazione Speleologica del Lazio
L’ingresso immette su una prima verticale di 6m;
segue uno scivolo detritico e una seconda verticale profonda 7m; dalla sua base se si procede in direzione ovest, si deve superare un restringimento
alla quota di calpestio per affacciarsi su un salto di
9m, all’interno di un ambiente molto franoso e decisamente pericoloso; sceso su corda il dislivello è
possibile avanzare oltre scavalcando una sorta di
sella ed entrare così in un ambiente dalle caratteristiche analoghe al precedente. Per raggiungere la
98
Speleologia del Lazio, 9 | dicembre 2018
Figura 4 - Grotta Pimpinelli, ambiente alla base della prima verticale (foto P. Dalmiglio)
zona più profonda è necessario tornare alla base
del P.7 e procedere verso est scendendo lungo un
ripido scivolo detritico (fig. 3); un passaggio assai
delicato sotto una frana pensile consente di guadagnare la partenza in strettoia di una verticale profonda 24m e impostata per intero lungo la frattura
genitrice. Si scende su corda, non senza difficoltà
a causa degli spazi decisamente ristretti, per atterrare su un pavimento detritico alla profondità di
42 metri dall’ingresso; da qui non si può fare altro
che constatare l’impossibilità a procedere oltre.
Sebbene sia questo il secondo punto più profondo raggiunto nell’esplorazione delle cavità dei
Monti Aurunci Orientali, la Grotta fessa di Monte Maio non presenta particolari motivi di interesse e soprattutto non lascia speranza in merito
a suoi possibili ulteriori sviluppi.
L’ingresso della Grotta Pimpinelli (n. 13 nella carta di distribuzione di fig. 2) è conosciuto da sempre dagli abitanti del posto; fonti orali indirette ci
hanno informato che nel pozzo iniziale sarebbe
precipitato negli anni successivi la seconda guerra
mondiale un bambino, ritrovato ormai morto solo
alcuni giorni dopo.
L’imbocco di questa grotta è segnalato quasi certamente nella carta allegata alla ricerca di Brunamonte et alii del 1994. A causa della fittissima
vegetazione è stato possibile per noi rintracciarne
il piccolo ingresso solo grazie alle precise indicazioni di un anziano abitante della vicina frazione
di Pimpinelli.
La grotta, di un certo interesse speleologico, è stata esplorata nei mesi invernali a cavallo tra il 2014
e il 2015. Alcune scritte tracciate a nero fumo e
ritrovate negli ambienti concrezionati alla base
del primo pozzo, testimoniano una prima esplorazione ad opera di alcuni soci del Circolo Speleologico Esperiano negli anni ’80 del secolo scorso;
durante queste prime visite, tuttavia, non fu visto
il cunicolo sospeso a 4 metri d’altezza lungo la
parete ovest dell’ambiente posto alla base del pozzo d’ingresso, e quindi non furono raggiunti gli
articolati e profondi sviluppi delle zone più occidentali della grotta, scoperti ed esplorati ex novo
dal GGCR nel 2014-2015.
La cavità si presenta assai articolata e ad oggi rag-
Grotta Pimpinelli (2005 La)
Comune: Castelnuovo Parano (FR).
Località: Pimpinelli, 90m ad ovest della chiesuola dell’omonima frazione.
Coordinate UTM WGS’84: 395245- 4581351
Quota s.l.m.: 325m.
Speleometrie: dislivello -50m; sviluppo planimetrico 93m; sviluppo spaziale 155m.
Esplorazioni: Circolo Speleologico Esperiano
1980, G. G. Castelli Romani 2014-2015.
99
VII Convegno Federazione Speleologica del Lazio
giunge, con i suoi 50 metri, la massima profondità conosciuta sui Monti Aurunci Orientali. Dal
punto di vista morfologico può essere suddivisa in
due settori ben distinti: gli ampi e comodi sviluppi
orizzontali, posti tra i 10 e i 19 metri di profondità,
per intenderci la serie di gallerie e sale che vanno dal punto X del rilievo (estremità occidentale
della grotta) al punto E (limite planimetrico verso
oriente); e gli angusti, scomodi ed intricati approfondimenti, che raggiungono i tre fondi di -30m,
-32m e -50m.
Le zone orizzontali più prossime alla superficie
risultano fossili, con forme a volte anche arrotondate e ben diffusi fenomeni di concrezionamento
(fig. 5); quelle strette e profonde sono invece in-
teressate da fenomeni di stillicidio anche intenso,
roccia viva e frastagliata, spessi depositi fangosi e
assenza di concrezioni.
Le differenze tra i due settori di grotta sono talmente marcate da suggerire una speleogenesi
polifasica: una fase più antica avrebbe visto la
formazione degli ambienti ad andamento orizzontale prossimi alla superficie, impostatisi lungo una
frattura orientata NO-SE (andamento anti appenninico); nella seconda fase, quella più giovane, si
sarebbero formati gli stretti e tortuosi approfondimenti attivi ad andamento prevalentemente verticale, condizionati nella loro geometria da una famiglia di fratture tra loro parallele, ad andamento
NE-SO (appenninico).
100
Speleologia del Lazio, 9 | dicembre 2018
Figura 5 - Grotta Pimpinelli, ambienti riccamente concrezionati lungo il tratto orizzontale fossile (foto P. Dalmiglio)
Pozzo le Cese (2115 La)
Comune: Castelnuovo Parano (FR).
Località: Spatuli Lago, 240m ad est della frazione “Casali”.
Coordinate UTM WGS’84: 396165- 4581401
Quota s.l.m.: 339m.
Speleometrie: dislivello -28m; sviluppo planimetrico 10m.
Esplorazioni: Gruppo Grotte Castelli Romani
7-1-2017.
Pozzo già segnalato nella carta allegata al lavoro
di Brunamonte et alii del 1994 (n. 14 nella carta di
distribuzione di fig. 2); ritrovato da noi solo grazie
alla guida fino all’ingresso di un abitante della vicina frazione Casali. L’imbocco, stretto e richiuso
con blocchi di roccia per ragioni di sicurezza, immette sulla sottostante verticale di 22m; la base è
costituita da un ambiente cilindrico del diametro
di circa 3 metri, ingombro di rifiuti di vario genere
gettati dall’alto; l’accumulo di immondizie è tale
da precludere la possibilità di sondare una prosecuzione verso il basso solo intravista, attraverso
la quale sembra incanalarsi l’acqua raccolta dalla
verticale soprastante; sulla parete nord-est si apre,
sospeso a 2m d’altezza, un cunicolo che sbuca su
Figura 6 - Grotta Pimpinelli, ordigno bellico visibile alla base
del pozzo d’ingresso (foto P. Dalmiglio)
Nell’immediato dopoguerra il pozzo d’ingresso
fu utilizzato per sbarazzarsi di ordigni bellici
inesplosi, che furono gettati al suo interno e che,
dopo oltre 70 anni, si conservano ancora in buono stato (fig. 6) sul pavimento detritico alla base
della verticale: una tetra presenza, tutt’altro che
rassicurante, una testimonianza tangibile degli
orrori di una guerra che in queste zone ha lasciato dietro di sé ferite profonde.
101
VII Convegno Federazione Speleologica del Lazio
un fuso parallelo; da qui si scendono due dislivelli
di 4 metri separati da un terrazzo franoso; la grotta
chiude in fessure impraticabili.
L’intera cavità risulta essere impostata lungo una
frattura con orientamento 30° rispetto al nord magnetico. Durante la nostra esplorazione è stata
percepita una leggera corrente d’aria in entrata.
Grotta della Pipa (1922 La)
Comune: Vallemaio (FR).
Località: Vallaurea.
Coordinate UTM WGS’84: 401276- 4578519
Quota s.l.m.: 672m.
Speleometrie: dislivello -3m; sviluppo planimetrico 26m.
Esplorazioni: Gruppo Grotte Castelli Romani
23-12-2012.
Nel corso di una battuta di ricognizione è stata
scoperta questa piccola grotta (n. 12 nella carta di distribuzione di fig. 2), rappresentata da un
primo saltino di 2m che immette in un basso cunicolo orizzontale con alcune brevi diramazioni
per uno sviluppo complessivo di 26 metri. La
grotta è di scarso interesse speleologico ma di
notevole rilevanza per la storia che è stata in grado di raccontarci.
All’interno di una sorta di bassa macera a secco di
forma circolare si apre lo stretto imbocco verticale
di questa cavità, trovato al momento della scoperta
richiuso da blocchi di roccia incastrati gli uni sugli
altri. Muretti come quello che circoscrive l’ingresso si trovano un po’ ovunque in zona e sono da
interpretare come i resti di trincee realizzate durante l’ultimo conflitto mondiale. Nel nostro caso
il soldato di turno poteva trovare un riparo ben più
sicuro intrufolandosi all’interno della grotta, dove
è stata rinvenuta, a 7 metri dall’ingresso (punto X
102
Speleologia del Lazio, 9 | dicembre 2018
del rilievo), in corrispondenza di un piccolo slargo, una pipa di ceramica, tipologicamente affine ad
altri esemplari databili tra il 1930 e il 1940. Sembrerebbe che tali oggetti fossero particolarmente
diffusi tra le truppe marocchine.
E’ altamente probabile che un soldato, trovato
scampo all’interno della grotta, si sia concesso un
attimo di riposo e abbia cercato di allentare la tensione fumando del tabacco con quella piccola pipa
in ceramica; possiamo immaginare che l’abbia poi
dimenticata, oppure che l’avesse poggiata là dove
noi l’abbiamo rinvenuta, pensando di poterla riutilizzare in un secondo momento… un secondo
momento che la guerra non gli concesse.
La grotta in questione (n. 6 nella carta di distribuzione di fig. 2) è stata intercettata dalla cava
aperta nell’omonima località, probabilmente in
un momento successivo ai primi anni ’70 del secolo scorso; non si spiegherebbe altrimenti la sua
assenza tra quelle censite tra il 1970 e il 1975
dal Circolo Speleologico Romano, soprattutto in
considerazione dell’esplorazione in quegli anni
della vicinissima Grotta da Tonto.
La cavità si risolve in un unico grande ambiente d’interstrato, dunque basso e largo, che
verso nord-ovest sale progressivamente fino a
bloccarsi su una frana che occlude il possibile
ingresso originario; verso sud-est un troncone
di galleria, intercettato dalla cava moderna (fig.
8), presenta invece le forme arrotondate tipiche
di una speleogenesi ipogenica (per questo tipo
di processo carsico si veda oltre il paragrafo dedicato alla Grotta Focone).
Tutta la zona più interna della grotta conserva
un abbondante e a tratti scenografico concrezionamento (fig. 7).
L’attività estrattiva dovette essere fortemente
condizionata dalla presenza di questi vuoti ipogei che sicuramente ne provocarono l’arresto,
almeno su questo fronte.
Grotta della Cava di Piedi di Serra (2120 La)
Comune: Coreno Ausonio (FR).
Località: all’interno di una cava posta tra il
Rio Candrella e Colle Vallicelle.
Coordinate UTM WGS’84: 397268- 4576678
Quota s.l.m.: 271m.
Speleometrie: dislivello -2m / +4m; sviluppo
planimetrico 38m.
Esplorazioni: Gruppo Grotte Castelli Romani
14-3-2017.
Figura 7 - Grotta della Cava di Piedi di Serra, ambiente riccamente concrezionato nella zona più interna della grotta (foto P.
Dalmiglio)
103
VII Convegno Federazione Speleologica del Lazio
La grotta (n. 15 nella carta di distribuzione di fig.
2) è stata individuata grazie alla segnalazione di
Clino Vallone, socio storico del Circolo Speleologico Esperiano. Si tratta di un’ampia sala, di
forma sub circolare e diametro medio di 12m,
in collegamento con la superficie attraverso il
crollo di una parte della volta; non a caso sulla
verticale dell’ampio sprofondamento d’ingresso
(P.7) si trova la cima del conoide detritico, evidentemente generato dal collasso della volta e
dal detrito che continua a cadere all’interno della
cavità. Tre piccole diramazioni cieche si aprono
Grotta di Costa dell’Annunziata (2006 La)
Comune: San Giorgio a Liri (FR).
Località: nell’alveo del fosso che da Colle S.
Lucia scende verso nord tra le località Rialdo
e Calcarelle.
Coordinate UTM WGS’84: 395365- 4583315
Quota s.l.m.: 220m.
Speleometrie: dislivello -13m; sviluppo planimetrico 15m.
Esplorazioni: Gruppo Grotte Castelli Romani
14-3-2017.
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Speleologia del Lazio, 9 | dicembre 2018
Grotta Focone (846 La)
Comune: Coreno Ausonio (FR).
Località: Selva Piana.
Coordinate UTM WGS’84: 396818-4575778
Quota s.l.m.: 85m.
Speleometrie: dislivello -4m; sviluppo planimetrico 110m.
Esplorazioni: Circolo Speleologico Romano
1975; Circolo Speleologico Esperiano 1981,
Gruppo Grotte Castelli Romani e Speleo Club
Roma 2017.
La cavità (n. 1 nella carta di distribuzione di fig.
2), il cui ingresso originario è in gran parte occluso da blocchi provenienti dalla cava soprastante,
presenta uno sviluppo orizzontale ed una pianta
ad andamento labirintico. Si distinguono due diverse famiglie di fratture, lungo le quali l’acqua
ha scavato il reticolo di gallerie e cunicoli. Da un
punto di vista morfologico la caratteristica comune di questi ambienti sono le cupole d’erosione sulle volte, le forme arrotondate delle pareti e
i condotti con sezioni trasversali sub-circolari; si
segnala anche, nelle zone più interne della cavità, l’assenza di sedimenti clastici e al contempo
la presenza di depositi argillosi, a volte frammisti a concrezioni in disfacimento o in giacitura
secondaria. Tutti questi elementi riconducono
ad una speleogenesi ipogenica (cfr. De Waele –
Piccini 2008, pp. 41-47, ivi bibliografia di riferimento), lasciando supporre quindi l’antica risalita di acque fortemente mineralizzate e altamente
Figura 8 - Grotta della Cava di Piedi di Serra, la galleria
d’ingresso intercettata dal taglio di cava (foto P. Dalmiglio)
lungo la parete est della sala.
Per questa grotta, come per altre in zona, è probabile una speleogenesi di origine ipogenica (per
questo tipo di processo carsico si veda appresso
il paragrafo dedicato alla Grotta Focone).
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VII Convegno Federazione Speleologica del Lazio
aggressive, che hanno corroso la roccia calcarea
lungo l’orizzonte di stazionamento dell’antica
falda, privilegiando le linee di frattura principali;
si spiega così l’andamento planimetrico apparentemente caotico e comunque estraneo a qualsivoglia logica di scorrimento/deflusso delle acque in
una direzione piuttosto che in un’altra.
La presenza delle vicine sorgenti termali sulfuree di Suio (circa 7 km ad est in linea d’aria)
sembra confermare la possibilità che anche su
questo versante degli Aurunci Orientali vi siano
stati in passato fenomeni di termalismo e conseguente formazione di cavità di natura ipogenica, come avremo modo di apprezzare anche
e soprattutto trattando le ultime due grotte di
questo contributo: la Grotta da Tonto e la Grotta dell’Arnale.
La Grotta Focone, anche conosciuta in zona come
Grotta delle Fate, è certamente la più significativa
dal punto di vista dell’interazione con l’uomo: qui
la frequentazione umana è stata intensa e protratta
nel tempo, lasciando tracce materiali che si collocano dalla preistoria fino all’età contemporanea.
In collaborazione con la Cattedra di Paletnologia dell’Università di Roma Tor Vergata è stata
effettuata una raccolta di superficie dei reperti archeologici presenti, in cui si è evidenziato come
l’intero contesto non sia integro e in deposizione primaria, ma al contrario piuttosto alterato e
rimaneggiato nel corso delle frequentazioni più
recenti, situazione che non permette affatto di
desumere delle datazioni puntuali, ma solo genericamente indicative.
Nell’ambito di questo lavoro si è individuata una
106
Speleologia del Lazio, 9 | dicembre 2018
vesso verso il fondo e con una lieve gola: forma di
vaso comune nell’età del Bronzo Medio avanzato
(1.500 – 1.350 a.C.); e che quindi suggerisce una
frequentazione della grotta durante quest’epoca
(fig. 11; cfr. Macchiarola 1995, p. 88, fig. 34 p.
89). Il secondo frammento è in impasto grossolano e si potrebbe ascrivere allo stesso periodo.
Per quanto riguarda la litica, si tratta di un nucleo
in selce, una lama in selce frammentaria con delle
tracce di ritocco ed un frammento di selce, che
potrebbero ipoteticamente anch’essi risalire all’età del Bronzo Medio (1.700 - 1.350 a.C.), ma per
cui non si può escludere una cronologia più antica
risalente fino al Paleolitico Superiore (fig. 12). Un
arco temporale così ampio, riferito in via preliminare, è dovuto, come accennato, alle ripetute azioni di disturbo riscontrabili sugli strati superficiali
dei depositi.
Altri materiali raccolti sono dei frammenti ossei
umani: degli arti superiori e inferiori, una vertebra, tre falangi, una porzione di cranio, due molari
e due incisivi rinvenuti in varie zone della grotta (Sala grande, Sala del cervo, Sala del femore,
Sala del lupo, il bivio) (fig. 13). Si può supporre
che almeno alcuni di questi resti antropici siano
coevi alla ciotola frammentaria, infatti proprio
nell’età del Bronzo Medio numerosissime cavità
Figura 9 - Grotta Focone, Stanza dell’istrice. Cucciolo di istrice
nascosto in un anfratto laterale (foto P. Dalmiglio)
fase pre-protostorica rappresentata da due frammenti vascolari e da alcuni scarti di lavorazione di
industria litica provenienti dalla Sala del coccio e
dal Corridoio della selce (cfr. rilievo).
Il primo reperto ceramico consiste in una porzione di ciotola in impasto fine caratterizzata da una
vasca con parete rientrante al di sopra del punto
di massima espansione, a profilo lievemente con-
Figura 10 - Grotta Focone, lungo la galleria principale nei pressi de “il bivio” (foto P. Dalmiglio).
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VII Convegno Federazione Speleologica del Lazio
Figura 11 - Grotta Focone, Reperto ceramico risalente alla
media Età del Bronzo (disegno A. Cesaretti)
Figura 13 - Grotta Focone, resti di ossa umane (foto A.
Ferracci).
Figura 12 - Grotta Focone, Industria litica proveniente da
diversi settori della cavità (foto A. Ferracci).
Figura 14 - Grotta Focone, Resti ossei appartenenti a Bos
taurus primigenius (foto A. Ferracci).
naturali dell’Italia centro meridionale sono state
utilizzate primariamente per la deposizione di sepolture ad inumazione, ed in secondo luogo per
scopi cultuali non funerari (Alessandri-Rolfo
2015, pp. 109-126).
Dalla zona dell’ingresso, dalla Sala del cervo e
dalla Sala grande sono stati recuperati dei reperti
faunistici non inquadrabili cronologicamente: un
palco frammentario di cervo (Cervus elaphus), resti ossei di Ursus arctos, di canide e di Bos taurus
primigenius: l’uro, antenato dell’attuale bue domestico, estinto nel 1627 in Polonia, ma non più
esistente in Italia almeno a partire dal XIII secolo
d.C. (fig. 14).
La fase arcaica (VI-IV secolo a.C.) è testimoniata
da tre frammenti ceramici non diagnostici, e dunque non associabili a forme vascolari note.
Una fase di epoca romana è riconoscibile nella
sala di ingresso, che risulta interamente squadrata in maniera artificiale. Sulla parete nord-occidentale di questa sala è stata scavata la vasca di
un sarcofago (fig. 15) su cui doveva essere alloggiato un coperchio oggi non conservato, costituito da uno o due grandi blocchi di pietra. Al di
sopra del sarcofago è stata risparmiata una lesena ed un’alta risega è stata ricavata in negativo,
probabilmente per alloggiarvi il coperchio, che
doveva essere sostenuto da due barre metalliche,
i cui incassi sono visibili sui bordi dei lati lunghi
della vasca. Sul bordo del sarcofago si trova un
foro cola-piombo, forse da mettere in relazione
con il fissaggio del coperchio.
La parte superiore del manufatto è costituita da
una sorta di arcosolio con volta a sesto ribassato
108
Speleologia del Lazio, 9 | dicembre 2018
Figura 15 - Grotta Focone, struttura ad uso sepolcrale ricavata in negativo lungo la parete ovest del primo vano (foto P. Dalmiglio)
impostata su piedritti verticali. Alla base della vasca del sarcofago si nota infine un foro a cui corrisponde una canaletta sul pavimento della sala.
La presenza dell’arcosolio ed il foro di scolo alla
sua base, solitamente praticato per il deflusso dei
liquidi di putrefazione, fanno propendere per una
interpretazione funeraria del monumento, ipotesi
del resto non contraddetta dalle ossa umane rinvenute negli altri ambienti della grotta.
Gli elementi che indicano una cronologia di epoca romana imperiale sono vari: la monumentalità
della camera sepolcrale insieme all’estrema regolarità delle tracce di scavo; l’impiego di multipli del piede romano in tutte le misure del profilo
del sarcofago; la conformazione del foro di fissaggio cola-piombo.
Si tratta quindi probabilmente della tomba monumentale di un personaggio facoltoso appartenente all’aristocrazia locale e vissuto nei primi
secoli dopo Cristo.
Ad un’epoca post–romana appartengono delle
trasformazioni d’uso della tomba: il primo elemento in tal senso è una sorta di sedile tagliato su
un lato breve della vasca del sarcofago, in corrispondenza del quale è evidente una discontinuità
nelle tracce di scavo rispetto a tutto il resto del
manufatto (vedi fig. 16); il secondo indizio di
trasformazione funzionale è il taglio di una canaletta ad L sul pavimento di fronte al sarcofago.
Anche due segmenti di murature in laterizi sono
successivi all’età romana: uno di essi si trova
sul lato sinistro della tomba ad arcosolio; l’altro
Figura 16 - Grotta Focone, sedile ricavato in negativo sul lato
destro della vasca sepolcrale (foto P. Dalmiglio)
riveste parte della volta dell’ingresso. Ulteriori
segnali di questa fase d’uso più recente sono un
muretto in pietre a secco posto a sbarrare l’ingresso della grotta ed una tabula lusoria (censita
in Uberti 2012, pp. 94-95; 171) per il gioco del
filetto incisa sul bordo del sarcofago; dei graffiti a forma di croce si trovano poi all’interno
dell’arcosolio. Questo insieme di evidenze si può
mettere in relazione con le memorie orali che si
conservano ancora oggi riguardo ad alcune famiglie che trovarono rifugio nella cavità tra la fine
del 1943 e il maggio del 1944, ossia nel periodo
109
VII Convegno Federazione Speleologica del Lazio
Figura 17 - Grotta Focone, ambiente laterale denominato “Sala del cervo” (foto P. Dalmiglio).
che coincise con le quattro battaglie di Cassino
ed i bombardamenti che precedettero gli scontri
sul campo. Proprio a questa fase di uso da parte
degli sfollati si riferisce verosimilmente la muratura a secco, alzata per tamponare ed occultare
l’ingresso della cavità.
Pare che in questo stesso frangente storico nella
grotta fosse stato installato anche un telegrafo,
come riportato in Trovato 2004.
L’ultimo intervento antropico risale ad anni recenti, quando, in concomitanza con l’attività della
cava su questo versante del rilievo, l’originario
ampio imbocco della grotta è stato obliterato con
enormi massi calcarei, tanto che attualmente per
accedervi si è costretti a strisciare in un piccolo
budello tra i blocchi.
Relativamente a questa grotta e al manufatto sepolcrale in essa contenuto, esistono astruse trattazioni on line, oltre ad alcune pubblicazioni che
non possiamo fare a meno di segnalare a chi volesse dilettarsi con interpretazioni fantasiose e avulse
da qualsivoglia testimonianza storica: di Salvatore M. Ruggiero, Storie dalla Val di Comino; dello
stesso autore, Storie dalla Valle dell’Ausente e di
Succu-Dalla Vecchia, Luoghi di Forza.
Grotta da Tonto (870 La)
Comune: Coreno Ausonio (FR).
Località: a nord del Rio Candrella, sopra la
cava di Piedi di Serra.
Coordinate UTM WGS’84: 397314-4576605
Quota s.l.m.: 257m.
Speleometrie: dislivello -4m; sviluppo planimetrico 98m.
Esplorazioni: Circolo Speleologico Romano
1970.
La grotta (n. 5 nella carta di distribuzione di fig. 2)
si sviluppa al di sotto di un piccolo pianoro isolato, delimitato a sud dalla valle del Rio Candrella,
ad est da quella di un suo affluente di destra, a
nord e ad ovest dai tagli di una cava moderna.
La cavità, a sviluppo orizzontale, si muove pochi
metri sotto il piano di campagna e presenta due
ingressi (1 e 2 in pianta), posizionati entrambi
appena sotto il ciglio del pianoro. La planimetria
mostra un andamento assai intricato, con numerosissimi diverticoli ciechi e giri in tondo; le gallerie
principali sono comode e spaziose, con pavimenti
piani di terra o detrito, i profili trasversali sono
110
Speleologia del Lazio, 9 | dicembre 2018
111
VII Convegno Federazione Speleologica del Lazio
Figura 18 - Grotta da Tonto, la galleria principale con le tipiche forme arrotondate riconducibili ad una speleogenesi ipogenica (foto L. Forti)
tondeggianti (figg. 18 e 19) e ampie zone della
grotta, anche all’indomani di precipitazioni molto
intense, si mantengono perfettamente asciutte.
Due brevi gallerie in discesa (x ed y sul rilievo)
consentono l’accesso ad un ambiente, contrassegnato in pianta dalla lettera A, che costituisce il
punto più depresso della cavità, con un dislivello negativo rispetto all’ingresso di 4m; in questa
zona si segnalano gli unici, e comunque poco sviluppati, fenomeni di concrezionamento.
Sulla parete nord del primo vano che si incontra
entrando dall’ingresso principale si apre lo stretto
imbocco di una diramazione che, dopo un giro in
tondo, ritorna al punto di partenza attraverso un
passaggio molto stretto e non percorribile.
Per le stesse ragioni già evidenziate nella descrizione della Grotta Focone, anche per questa cavità l’andamento labirintico, le caratteristiche forme
arrotondate dei condotti e la natura dei depositi
presenti al suo interno, sono tutti elementi riconducibili ad una speleogenesi ipogenica.
Inoltre la facilità d’accesso, l’assoluta orizzontalità dei vuoti ipogei, nonché le loro dimensioni, ne
fanno una cavità a misura d’uomo e un perfetto
rifugio naturale; dobbiamo pertanto immaginare
una sua frequentazione, sia animale che antropica,
in ogni epoca storica.
Figura 19 - Grotta da Tonto, caratteristico condotto con profilo
trasversale a forma di otto e forme estremamente arrotondate
(foto P. Dalmiglio)
112
Speleologia del Lazio, 9 | dicembre 2018
camino a sezione circolare posto a ridosso dell’angolo nord-ovest della sala; dopo 10m di dislivello
positivo la cavità ha continuato a svilupparsi, sempre verso l’alto, attraverso un ripido scivolo fangoso; superato un passaggio basso è stata raggiunta
infine la base di uno stretto camino che chiude con
una frana pensile sul soffitto.
Questa grotta rappresenta un fenomeno imponente, tanto grande da esser stato utilizzato come
rifugio antiaereo da centinaia di abitanti del vicino
paese di Coreno Ausonio durante la seconda guerra mondiale. Il pavimento terroso, perfettamente livellato, conserva brani di murature a secco,
tracce di focolari, una macina molitoria in pietra e
moltissimi frammenti di vasellame, in gran parte
moderni, anche se non mancano testimonianze di
epoche più antiche.
In ogni caso la cavità presenta caratteristiche
talmente favorevoli ad un utilizzo antropico da
rendere estremamente probabile una sua frequentazione già a partire dalla preistoria; tempi e modalità di questi processi sono oggi celati entro le
pieghe dei depositi archeologici accumulati sul
pavimento della grande sala; un auspicabile scavo stratigrafico sarebbe in grado di recuperare il
potenziale narrativo, e dunque storico, di questi
depositi e dei reperti contenuti al loro interno.
Grotta dell’Arnale (871 La)
Comune: Coreno Ausonio (FR).
Località: versante sud-ovest di Colle Arnale, 190 metri ad ovest della Masseria Ventipalombi.
Coordinate UTM WGS’84: 396462-4578090
Quota s.l.m.: 205m.
Speleometrie: dislivello -5m; sviluppo planimetrico 45m.
Esplorazioni: Circolo Speleologico Romano
1970.
Lungo le pendici sud-occidentali di Colle Arnale
si trova un grande sprofondamento dalle sponde
assai ripide, in particolare quella nord-ovest risulta
strapiombante e alla sua base si apre lo spettacolare
ingresso della Grotta dell’Arnale (n. 9 nella carta di
distribuzione di fig. 2 - foto in fig. 20). Una grande china detritica scende fino al pavimento piatto e
fangoso che occupa gran parte della vasta sala sotterranea (32m di larghezza per 45 di lunghezza, con
il soffitto ad un’altezza media di 6/8m). La volta
della sala è costituita da una bancata di calcare ricchissima di fossili di Pectinidae (molluschi bivalvi), visibili a centinaia. Nella primavera del 2017 il
GGCR ha intrapreso una risalita in artificiale di un
Figura 20 - Lo spettacolare ingresso della Grotta dell’Arnale (foto P. Dalmiglio)
113
VII Convegno Federazione Speleologica del Lazio
Guidi 1992 = Guidi A., Recenti ritrovamenti in
grotta nel Lazio: un riesame critico del problema
dell’utilizzazione delle cavità naturali, in Rassegna di Archeologia X, pp. 427-437.
Considerazioni conclusive
I Monti Aurunci Orientali possono rappresentare
un’area di un certo interesse per le ricerche speleologiche: innanzitutto in quanto finora scarsamente noti rispetto ad altre zone carsiche del Lazio; in
secondo luogo perché la capillare attività estrattiva può di continuo mettere in luce ambienti ipogei
altrimenti inaccessibili.
Per le sue peculiarità geologiche la zona si presta all’approfondimento degli studi sui processi di
formazione ipogenica delle grotte.
D’altro canto cavità ad andamento orizzontale
di facile accessibilità, inserite entro un contesto
geografico con altitudini poco elevate, visuale
sulla vallata alla base dei rilievi e vicinanza al
mare, hanno sempre rappresentato dei poli di
attrazione per l’uomo in ogni epoca storica. In
questo risiede l’alto potenziale archeologico
delle grotte, dove si colgono brani di frequentazione e attività umane dalla lontana preistoria
fino alle vicissitudini delle due guerre mondiali.
Macchiarola 1995 = Macchiarola I., La facies appenninica in Cocchi Genick D. (a cura
di), Aspetti culturali della media età del bronzo
nell’Italia centro-meridionale, Firenze, Octavo,
pp. 88, 89; 441-466.
Mecchia et alii 2003 = Mecchia G., Mecchia
M., Piro M., Barbati M., Le Grotte del Lazio.
I fenomeni carsici, elementi della geodiversità,
Roma 2003.
Ruggiero 2016 = Ruggiero S. M., Storie dalla
Val di Comino, Lulu.com edizioni 2016, p. 93.
Ruggiero = Ruggiero S. M., Storie dalla Valle
dell’Ausente, Lulu.com edizioni 2016, pp. 25-39.
Succu S. – Dalla Vecchia I., Luoghi di Forza,
Sperling & kupfer 2016.
Bibliografia
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“Notiziario del Circolo Speleologico Romano”, nuova serie n.12/15, anno XXXVIII-XLI,
1997/2000, pp. 38-41.
Alessandri – Rolfo 2015 = Alessandri L. –
Rolfo F. M., L’utilizzo delle cavità naturali nella
media età del bronzo: nuovi dati dal Lazio meridionale, in “Bollettino della Unione Storia ed
Arte”, n. 10 – Terza Serie – CVII dalla fondazione
- Gennaio/Dicembre 2015, pp. 109-126.
Uberti 2012 = Uberti M., Ludica, Sacra, Magica Triplice Cinta. (Storia, geografia e simbolismo
del gioco del filetto. Con il censimento aggiornato al 2012), Ilmiolibro.it 2012.
Brunamonte et alii 1994 = Brunamonte F.,
Prestininzi A., Romagnoli C., Geomorfologia
e caratteri geotecnici dei depositi di terre rosse
nelle aree carsiche degli Aurunci Orientali (Lazio
meridionale, Italia), in “Geologica Romana”, 30
(1994), pp. 465-478.
Cocchi Genick 1999 = Cocchi Genick D., I rituali in grotta durante l’età del bronzo, in Ferrante Rittatore Vonwiller e la Maremma, 1936-1976.
Paesaggi naturali, umani, archeologici, Grotte di
Castro, pp. 163-172
De Waele – Piccini 2008 = J. De Waele – L. Piccini, Speleogenesi e Morfologia dei sistemi carsici in rocce carbonatiche, in “Atti del 45° Corso
CNSS-SSI di III livello - Geomorfologia carsica”
(a cura di M. Parise, S. Inguscio, A. Marangella), Grottaglie (TA), 2-3-febbraio 2008.
Giannetti-Belardi 1970 = Giannetti A. – Belardi A., Città scomparse della Ciociaria: contributo storico-archeologico alla conoscenza della regione, Casamari, Tip. Dell’Abbazia, 1970.
114
Speleologia del Lazio, 9 | dicembre 2018
TRASMISSIONE DATI
WIRELESS NELLE
ESPLORAZIONI SPELEOSUB
VINCENZO BELLO
L
a trasmissione dati adottata dal progetto SUNRISE si basa sulla modulazione
acustica di suoni che, propagandosi attraverso l’acqua, permettono la trasmissione
di dati digitali. In natura la comunicazione
acustica è largamente usata in quanto efficiente metodo di comunicazione subacquea: molti
mammiferi acquatici, come i cetacei, possiedono complessi apparati per l’emissione di
suoni e a questi si è ispirata la realizzazione
dei droni. Questa tecnologia è stata già incorporata ad alcuni droni sottomarini usati per il
recupero profondo e per la mappatura del fondale marino. Un drone a differenza di un ROV
prende decisioni autonome e non è totalmente
telecomandato da remoto; questo permette di
comunicare in maniera molto efficiente sulla
banda trasmissiva ottenuta dai modem acustici
perché bisogna inviare comandi basilari al drone, come “Spostati su” o “Spostati giù”, e non
comandare tutte le eliche e i sistemi necessari
per eseguire quelle operazioni.
La rete ed i protocolli di rete costruiti con il
sistema acustico permettono una comunicazione a banda larga più funzionale rispetto ad una
comunicazione Wi-Fi ad onde radio che viene
dispersa in acqua: le onde sonore infatti si propagano nel liquido e trasportano un maggior
numero di informazioni per distanze più lunghe (Fig. 1). Portare una rete dati (INTERNET
underwather THINGS), che permetta il collegamento ed il controllo di droni, sensori e strutture sottomarine, è il concetto portante che ha
consentito lo sviluppo di questa tecnologia.
Questo sistema sta rivoluzionando il modo di comunicare e fare rete con sensori sottomarini, che
comunicano e cooperano con i robot sfruttando
sia la comunicazione acustica che quella ottica.
È questa rete che permette ai droni di controllarsi
e controllare l’ambiente circostante.
Figura 1 – I droni comunicano tra loro attraverso sonar e radar, possono scandagliare i fondali e mappare le superfici
115
VII Convegno Federazione Speleologica del Lazio
Figura 2 – Si può notare un’evidente connessione tra gli andamenti delle faglie e le posizioni dei sinkhole. Le analisi
idrogeologiche e geochimiche di Caramanna hanno evidenziato una stretta correlazione tra l’acquifero cornicolano e quello delle
sorgenti delle Acque Albule (ipotizzata anche dal Manfredini nel ‘49)
Il progetto SUNRISE vede una collaborazione
internazionale. Per l’Italia l’Università La Sapienza, il Center of Maritime Research and Sperimentation e la NEXT; per la Germania l’azienda ECOLOGIC e ancora l’università di Porto
(Portogallo) e l’università di San Buffalo (New
York State, USA).
L’ambiente subacqueo è meno conosciuto dello
spazio ed a certe profondità ci è completamente
ignoto. Questo nuovo metodo di comunicazione
può portare i robot a fornire risposte e informazioni per la ricerca scientifica, aprendo nuove frontiere e permettendo esplorazioni fino ad
oggi impossibili.
La costruzione di un drone speleosub presenterà dei punti cruciali da risolvere nel prossimo
futuro. La comunicazione acustica presenta una
capacità trasmissiva dell’ordine di alcune decine di kilobit/s, che difficilmente permetterà di
avere immagini di alta qualità in tempo reale.
Per questo l’uso da parte dei droni della banda
di trasmissione sarà un punto cruciale per permettere un controllo remoto delle operazioni.
Anche la resistenza alle alte profondità, l’autonomia e magari l’installazione di apparecchiature per il prelievo di campioni dovranno essere
progettate ad hoc.
Applicazione della tecnologia sunrise nelle
esplorazioni dei Monti Cornicolani
Il Pozzo del Merro potrebbe essere un esempio
di un’esplorazione speleosub impossibile oggi,
da condurre con questa nuova tecnologia nel
prossimo futuro.
Il Pozzo del Merro è stato per molti anni il sinkhole allagato più profondo del mondo, detentore del
record mondiale. La sua esplorazione si è fermata
a quota -392 m dall’interfaccia acqua-aria a causa
del limite tecnico dei ROV utilizzati, costituito dal
cordone ombelicale: questo trasmette informazioni, comandi ed energia al ROV, ma nel caso del
Pozzo del Merro non permette di esplorare ulteriormente il fondale a causa dell’altissimo rischio
di incaglio del cordone sulle asperità del Pozzo e
la conseguente perdita del ROV. L’utilizzo di un
drone senza cavi potrebbe portare avanti questa
esplorazione. Il Pozzo del Merro è importante
perché è un punto di accesso ad un’intera zona
di faglie sottoposte alla corrosione endogenica. Il
Pozzo del Merro è circondato da altre doline delle
medesime dimensioni, tuttavia, mentre il primo è
allagato e presenta una caratteristica e notevole
continuità verticale, le doline secondarie risultano
ostruite al fondo da depositi detritici franosi pur
116
Speleologia del Lazio, 9 | dicembre 2018
mantenendo un’analoga estensione areale.
Giorgio Caramanna ha diretto le prime esplorazioni del Pozzo del Merro e per comprendere meglio la genesi di questo sinkhole ha proseguito i
suoi studi dal 1999 al 2002 eseguendo rilevamenti
ed analisi delle acque anche nei sinkhole che si
trovano nei dintorni. Dalle analisi risulta possibile
un fenomeno di erosione inversa del bedrock carbonatico, dovuto alla risalita di fluidi geotermali
profondi. L’anidride solforosa, in essi contenuta,
a contatto con l’acqua forma acido solfidrico che
corrode e amplia le fratture e le cavità presenti nel
carbonato. Questo fenomeno, maggiorato dalla
presenza di una linea di faglia quale altro punto
di debolezza, avrebbe portato alla formazione del
sinkhole (Fig. 2).
Per capire meglio l’orogenesi del sistema dei Cornicolani dobbiamo guardare gli studi sulla Dorsale Tiberina (Fig. 3). Come descritto in un articolo
del prof. B. Martinis, dell’Università di Roma La
Sapienza, la Dorsale Tiberina collega il complesso dei Monti Cornicolani (dove si localizza il Pozzo del Merro) al complesso del Monte Soratte e
la presenza di grotte endogeniche generate dall’erosione da anidride solforosa è già ampiamente
dimostrata e documentata in quest’area. Questo
elemento fornisce una chiave di lettura tempora-
Figura 3 - Rilievo gravimetrico dell’area dei Monti Cornicolani
e del Monte Soratte (tratto da Martinis 1992)
Figura 4 – Nello Sventatoio di Poggio Cesi, tra le rocce delle pareti si nota la presenza di strie di spostamento quali possibili
indizi di un movimento di faglia diretta recentemente attiva
117
VII Convegno Federazione Speleologica del Lazio
Figura 5 – Campione di argilla del Pozzo delle Aragoniti
le per ipotizzare ciò che si potrebbe trovare nelle
profondità del Pozzo del Merro.
Per meglio comprendere la natura della struttura
ipogea che ha generato le doline sono state prese in esame la Dolina di Fossavota, la Grotta di
Fossavota, lo Sventatoio di Poggio Cesi, il Pozzo
delle Aragoniti e la Grotta dell’Elefante. La Dolina di Fossavota pone il suo limite verticale a 325
m s.l.m. e presenta intorno a sé tre grotte allineate
secondo le linee di faglia (cfr. Fig. 2). Secondo l’ipotesi in esame, le spinte tettoniche di tipo distensivo agenti lungo la linea di faglia diretta avrebbero facilitato la risalita dei fluidi geotermali ed il
collegamento dei sinkhole con il sistema di faglie
profonde è quindi avvalorato da alcuni elementi
comuni quali, ad esempio, l’alta temperatura delle
grotte (tutte tra i 18°C e i 22°C) (Fig. 4).
Nel caso del Pozzo delle Aragoniti invece è la presenza di una particolare argilla ricca in ossidi di
zolfo e di tracce di erosione da fluidi geotermali a
fornire un sostegno alla teoria dell’erosione inversa. Nelle cavità delle pareti e sul fondo della grotta
si è infatti depositata un’argilla carbonatica ricca
di ossidi di zolfo, che le conferiscono una particolare colorazione (Fig. 5). Questi depositi testimoniano la presenza di acqua sulfurea nella grotta e
la legano geneticamente al sistema di faglie.
Questa argilla è stata recentemente ritrovata anche nella Grotta dell’Elefante. Proprio in questa
grotta stanno venendo alla luce le tracce di erosione inversa che aprono vie di acqua tra le linee di
faglia. L’esplorazione del Pozzo delle Aragoniti è
ripresa quest’anno grazie alla collaborazione con
il Gruppo Speleologico di Guidonia Montecelio.
Lo studio di questa meravigliosa cavità ha prodotto inaspettati risvolti per la teoria secondo cui la
genesi di questa grotta, del Pozzo del Merro e forse delle altre enormi doline circostanti, sia dovuta
all’erosione inversa.
Applicare all’esplorazione speleologica l’uso di
nuovi droni capaci di oltrepassare le odierne barriere fisiche potrebbe riuscire a percorrere le vie
d’acqua tra le faglie e questo permetterebbe di
accedere a nuove conoscenze e di formulare nuove teorie. Nel caso portato in esame, quello del
Pozzo del Merro, potremmo non solo capire la
genesi e lo sviluppo di questo incredibile sistema
di cavità, comprendente strutture speleologiche di
dimensioni uniche, ma anche raggiungere vette di
esplorazione speleologica mai raggiunte a livello
mondiale.
Bibliografia:
Caramanna G., 2001, Idrochimica del sistema
Monti Cornicolani - Piana di Tivoli, Idrogeologia,
idrologia e morfologia di “sinkholes” rappresentativi della regione Lazio.
La Vigna F. et al., 2013, Le risorse idriche nei
travertini della piana di Tivoli-Guidonia. La modellazione numerica come strumento di gestione
degli acquiferi, Rend. Online Soc. Geol. It., vol.
27.
Martinis B., 1992, L’evoluzione della Dorsale
Tiberina (Lazio Centrale), Acc. Lincei.
Petrioli C. et al., 2014, The SUNRISE GATE:
Accessing the SUNRISE federation of facilities
to test solutions for the Internet of Underwater
Things, Underwater Communications and Networking (UComms).
118
Speleologia del Lazio, 9 | dicembre 2018
I corsi di speleologia
nel Lazio
Come abbiamo insegnato ai giovani l’arte
della speleologia
GIOVANNI MECCHIA - MAURIZIO MONTELEONE - FABIO BELLATRECCIA
I
l lavoro che vi presentiamo è nato nel 2011,
quando la FSL aveva affidato a Giovanni
(Gianni) Mecchia, Maurizio Monteleone e
Alessandro Ponziani il compito di scrivere la
bozza dell’Atto Costitutivo della Scuola della
FSL. Per avere un quadro migliore i tre incaricati
effettuarono una ricerca storica sui corsi di
speleologia e mandarono ai gruppi federati, ed
anche ad alcuni gruppi non federati, un modello
da riempire con alcune informazioni e statistiche.
I gruppi federati risposero tutti, chi riempendo il
modulo, chi fornendo i dati per telefono, in modo
poco uniforme alla domanda, ma sufficiente
per avere un quadro di quanto fatto. Scritto ed
approvato l’Atto Costitutivo, i dati rimasero
nell’hard-disk di Gianni. Dopo alcuni anni, in
vista di questo Convegno Regionale, Maria
Grazia Lobba telefonò a Gianni per chiedere se
era interessato a scrivere sull’argomento corsi,
altrimenti avrebbe provato a farlo lei. Gianni
ricontattò Maurizio ed Alessandro per sentire se
erano d’accordo a presentare insieme il lavoro,
ma Alessandro, pur non avendo nulla in contrario
che i risultati della ricerca venissero pubblicati,
non era interessato a partecipare. Fabio
Bellatreccia invece si mise subito a disposizione
con entusiasmo per sviluppare le statistiche.
Ci si è divisi il lavoro. Gianni ha preparato la
prima parte, relativa ad una storia dei corsi
di speleologia. Maurizio ha riletto la sua
“Proposta per la definizione di una nuova figura
d’insegnante di speleologia”, approvata dalla
Federazione Speleologica del Lazio, dove si
propone la figura di “Maestro di speleologia”
che negli intenti è un qualcosa in più di un
istruttore. Fabio ha elaborato le statistiche.
Una breve storia dei corsi di speleologia nel
Lazio
Questo capitolo non vuole essere esaustivo
sull’argomento. Ho letto le pubblicazioni in
bibliografia. In particolare devo ringraziare
Paolo Grimandi per avermi fatto avere il testo,
che tratta evidentemente dell’esperienza, vissuta
in prima persona, di una pubblicazione da lui
scritta sulla storia della Commissione Nazionale
di Speleologia, a cui ho fatto largo riferimento, in
quanto hanno partecipato attivamente due gruppi
speleologici del Lazio.
Nel corso di oltre un secolo di attività speleologica,
i gruppi speleologici del Lazio hanno dovuto
Figura 1 - Anni ‘50: Mariano Dolci si allena nella sede del CSR
a via Aldrovandi - Archivio CSR
119
VII Convegno Federazione Speleologica del Lazio
poi all’inizio degli anni ‘20 per far fronte alla
grande mole di lavoro che si prospettava per la
speleologia triestina dopo la fine della Grande
Guerra (GUIDI & al., 2008).
Il Gruppo Grotte Milano del CAI-SEM nel
1947 creò una “Scuola di Speleologia” presso
l’Istituto Gonzaga, progetto reiterato ancora una
volta nel 1952 (GUIDI & al., 2008). Costituì
inoltre una sezione speleologica di ex allievi, che
ha assunto successivamente il nome di Circolo
Speleologico Gonzaga (GHIDINI, 1954). A
differenza dei corsi tenuti a Trieste nei primi
decenni del secolo, questa Scuola organizzò un
corso distribuito lungo l’anno scolastico.
L’insegnamento della speleologia nel Lazio
risale ai primi anni del ‘900, con la nascita
del Circolo Speleologico Romano (CSR),
che ha praticato fino all’inizio degli anni
‘60 il coinvolgimento diretto di coloro che si
affacciavano all’attività del gruppo.
Dalla metà degli anni ‘50, la speleologia del
Lazio vide la nascita di altri gruppi; alcuni di
essi, effimeri, si sciolsero dopo due o tre anni,
altri dopo decenni, alcuni esistono ancora.
Fu il Gruppo Speleologico URRI, sotto la
guida di Gianni Pantanella e Ignazio Schirò, ad
organizzare nel 1958 il primo corso di speleologia
nel Lazio (CASTELLANI, 1995). L’esempio
sarà seguito dagli altri gruppi romani dell’epoca:
lo Speleo Club Roma (novembre 1960) e il
Circolo Speleologico Romano (dicembre 1960).
Questi corsi avevano un bacino di utenza romano
e spesso sfruttavano le conoscenze universitarie
dei soci: ad esempio i biologi si iscrivevano ai
Figura 2 - Catauso di Sonnino, 1955: Giorgio Pantanella e
Ignazio Schirò, i primi istruttori – Archivio URRI
gestire il proprio ricambio generazionale: il
reclutamento di nuovi adepti per l’attività
speleologica e come formarli per prepararli ad
affrontare con sicurezza e capacità le esplorazioni
del mondo ipogeo. Qualcuno si presentava in sede
e chiedeva di entrare a far parte del gruppo e di
poter fare attività speleologica. I soci del gruppo
lo portavano in grotta per cercare di coinvolgerlo
nell’attività. Dopo un periodo di prova veniva
accettato come socio a seconda delle sue qualità
tecniche, scientifiche e umane. Così facendo gli
aspiranti soci apprendevano in modo graduale
le tecniche di progressione e i rudimenti delle
discipline scientifiche applicate alla pratica della
speleologia e partecipavano alla vita sociale del
gruppo. Questo tipo di approccio alla speleologia
è ancora molto usato. I gruppi, anche se sempre
alla ricerca di nuovi soci, pubblicizzavano poco
la loro attività.
Nel 1911 la Commissione Grotte della Società
Alpina delle Giulie organizzò a Trieste il
suo primo corso di speleologia, dedicato
all’insegnamento della tecnica esplorativa, del
rilevamento topografico e dello studio delle
caverne nei suoi vari aspetti (Società Alpina
delle Giulie – Commissione Grotte E. Boegan,
2004). Il corso venne riproposto e ampliato
Figura 3 - Sant’Oreste, 1960: 1° corso dello SCR. Si
riconoscono Ugo Intini, Paolo Colosimo, Andrea Maniscalco,
Gianni Befani, Carlo Casale e Gianni Negretti in primo
piano, l’autista del pullman sullo sfondo – Archivio Gianni
Befani (SCR)
120
Speleologia del Lazio, 9 | dicembre 2018
confrontarsi per standardizzare l’insegnamento
delle tecniche di progressione e delle materie
divulgate con i corsi.
Nel 1958 la Commissione Grotte E. Boegan
propose alla Direzione Centrale del CAI
la costituzione della Scuola Nazionale di
Speleologia; ricevuto l’assenso ne organizzò
i primi tre corsi (1959, 1960, 1962) (Società
Alpina delle Giulie – Commissione Grotte E.
Boegan, 2004).
A partire dal 1965 alcuni dei principali gruppi
italiani presero l’iniziativa e progettarono di creare
una struttura nazionale sia nella SSI che nel CAI.
Il 27-28 marzo si tenne a Bologna l’Assemblea
Ordinaria della SSI. In chiusura dei lavori, “E.
Saracco (GSP) e G. Pasquini (SCR) propongono
che la SSI crei una Commissione specializzata
per il controllo dei vari Corsi di Speleologia,
tenuti dai Gruppi Speleologici, onde darne un
indirizzo omogeneo” (BADINI, 1965). Per
quanto riguarda l’atteggiamento che la Società
avrebbe dovuto adottare nei confronti dei Corsi
di Speleologia e della “Commissione Scuole”,
Pietro Scotti, presidente della SSI, ritenne che
si trattasse di problemi “di importanza vitale
per i Gruppi Speleologici, che solo dai Gruppi
Speleologici possono essere affrontati e risolti”
(GRIMANDI, 2008).
I gruppi di Bologna, Torino e Milano, che
appartenevano al CAI, il 15 ottobre 1965
indirizzarono al Comitato Scientifico una mozione
con la quale si richiedeva di organizzare il prossimo
“Corso Nazionale di Speleologia del CAI” come
corso di formazione di istruttori dei corsi locali. Il
Comitato rispose negativamente, in quanto non era
opportuno sostituire, almeno per il 1966, il Corso
Nazionale ed anche perché un corso per istruttori
sarebbe di incerta riuscita (Grimandi, 2008).
Il 4-5 novembre 1967, i gruppi promotori di
Bologna, Firenze e Roma si ritrovarono a Firenze
ove era riunita l’Assemblea SSI, insieme ad altri
22 gruppi. Dopo lunga discussione, che assunse
anche toni accesi, la deliberazione finale, a
maggioranza, impegnò i gruppi aderenti a dare vita
ad una Commissione per l’omogeneizzazione dei
corsi, attraverso la definizione di un programma
di minima per i corsi di I livello, l’obbligo della
copertura assicurativa infortuni, il rapporto
fisso istruttori-allievi, una prima serie di norme
tecniche e comportamentali tese a migliorare
lo standard di sicurezza e la preparazione di un
unico manuale didattico (GRIMANDI, 2008).
La SSI tentennava e non prendeva decisioni. Il 28
settembre 1968, in un bar di Roma, durante il X
Congresso Nazionale di Speleologia, il Gruppo
Grotte Milano CAI-SEM, il Gruppo Speleologico
Bolognese del CAI, il Gruppo Speleologico
CAI Perugia, il Gruppo Speleologico Fiorentino
Figura 4 - Giorgio Pasquini – Archivio Pasquini (SCR)
corsi del CSR, i geologi a quelli dello SCR. La
pubblicità del corso avveniva attraverso locandine
affisse o distribuite in università e scuole.
I corsi erano, e tutt’ora sono, strutturati in modo
da privilegiare la preparazione tecnica, pur non
tralasciando le altre materie didattiche. I gruppi
individuano tra i propri soci i più preparati per
svolgere il ruolo di istruttori e di insegnanti di
quelle discipline utili per una proficua pratica
della speleologia. Alcuni gruppi organizzano in
media un corso l’anno, altri lo programmano più
raramente, utilizzando il sistema di inserimento
diretto dell’interessato nel restante periodo.
A livello di curiosità lo Speleo Club Roma
durante i corsi, per raggiungere le grotte,
noleggiava un pullman con autista dove salivano
istruttori ed allievi. Questa pratica durò dal 1960
al 1973, quando uno dei due pullman noleggiati
a Carpineto Romano, salendo verso Pian della
Faggeta, slittò per il ghiaccio ed istruttori
ed allievi usarono le corde per rimetterlo in
carreggiata. Per alcuni anni ancora il pullman
fu noleggiato solo per l’ultima uscita, che era
sempre la Grotta del Mezzogiorno nelle Marche.
Nello stesso periodo in tutta Italia si
organizzavano corsi con le stesse modalità,
ma, visto il grande divario tecnico tra i gruppi,
qualcuno iniziò a pensare ad un organismo dove
121
VII Convegno Federazione Speleologica del Lazio
Utili di Firenze, Giorgio Pasquini di Roma,
unico INS non socio di un gruppo speleologico
CAI, Francesco Salvatori e Calogero Viviani di
Perugia, Mario Gherbaz, Giuseppe Guidi, Dario
Marini, Tullio Tommasini e Marino Vianello
di Trieste. Tra gli speleologi del Lazio che
parteciparono con successo ai corsi per istruttore
ricordiamo: al primo corso Antonio Mariani
(1969), poi Giancarlo Guzzanti e Roberto
Polverini (1973), quindi Sergio Graniero e Marco
Milizia (1985) ed infine Giulio De Meo (1986) e
Mauro Pappalardo (1987) (GUIDI, 2008).
Nel 1972 il Gruppo Speleologico CAI Roma
organizza il primo corso di una sezione del
Club Alpino Italiano nella Regione (GRASSI,
1993). Nell’anno successivo anche il Gruppo
Speleologico CAI Latina organizzò il suo
primo corso.
Uno dei primi problemi che la CNSS si trova
ad affrontare fu quello di assicurare istruttori ed
allievi. Fortunatamente il GS Bolognese del CAI
nel 1966 aveva stipulato una polizza assicurativa
(infortuni) con l’IFAC – Compagnia Veneta ed i
gruppi italiani anche per i Corsi di Speleologia
(250 Lire/giorno) (IFAC, 1966). Si tratta della
stessa polizza rilevata in seguito dalla Lombarda
e dalla Milano Assicurazioni, di cui diverrà
contraente, con successivi adeguamenti, la stessa
SSI. Per i corsi omologati CNSS l’assicurazione
obbligatoria iniziò nel 1972 (GRIMANDI, 2008).
Le omologazioni dei corsi CAI cominciarono
nel 1970. Per i corsi omologati CAI non ci
fu mai problema visto che istruttori, aiuti e
allievi dovevano, e devono, essere iscritti al
CAI che assicurava, e assicura, ogni iscritto.
Naturalmente esistono anche gruppi che
organizzano corsi non omologati né dalla SSI né
dal CAI; molti di loro concordano polizze con
assicurazioni private.
Si arriva quindi al 2010 quando, su iniziativa
di Andrea Bonucci e Giovanni Mecchia, la
Federazione Speleologica del Lazio decide
di fondare la sua Scuola di Speleologia (FSLSS). Gli obiettivi sono la standardizzazione
dell’insegnamento delle tecniche di progressione
e delle materie divulgate con i corsi e l’aiuto
reciproco nell’organizzazione dei corsi. Purtroppo
ci si è scontrati con i problemi assicurativi, ma si è
lavorato sulla preparazione dei maestri.
Figura 5 - Trieste 1973: il Corso Nazionale per INS. Roberto
Polverini uno dei fondatori del GS CAI Roma - Dal sito
Commissione Grotte Eugenio Boegan
CAI, il Gruppo Speleologico Piemontese CAIUGET, il Gruppo Speleologico URRI e lo Speleo
Club Roma, stanchi delle diffidenze della SSI e
dei tentennamenti del CAI, ruppero gli indugi e
fondarono la Commissione Nazionale Scuole
di Speleologia (CNSS). Da notare che i gruppi
fondatori oltre a far parte della SSI erano anche
CAI, eccetto i due gruppi romani. Il giorno stesso
Pasquini ne diede annuncio al Consiglio Direttivo
della SSI, che prese atto e lo nominò rappresentante
della Società in seno alla Commissione, mentre
si riservò di approvare il Regolamento che la
Commissione voleva inviare. Nel 1976, dopo 8
anni di polemiche con il CAI e all’interno della
SSI, diventerà la Commissione Nazionale Scuole
di Speleologia della Società Speleologica Italiana
(CNSS-SSI) (GRIMANDI, 2008).
Contemporaneamente anche il CAI creò una
Scuola Nazionale di Speleologia, e per farla
partire servivano degli Istruttori Nazionali. Nel
1969 vennero nominati per chiara fama Istruttori
Nazionali di Speleologia (INS) dal Presidente
del Comitato Scientifico Centrale del CAI,
Carlo Balbiano d’Aramengo, Federico Calleri
e Giulio Gecchele di Torino, Gianni Follis di
Varese, Giulio Cappa, Pianelli, Roberto Potenza,
Renato Tommasini e Tito Samoré di Milano,
Claudio De Giuli, Vittorio Prelovsek e Franco
Proposta per la definizione di una nuova figura
d’insegnante di speleologia
L’obiettivo è quello di definire un insegnante
di speleologia che si proponga, all’interno e
all’esterno dell’ambiente speleologico, come
una figura di maggiore importanza e spessore di
122
Speleologia del Lazio, 9 | dicembre 2018
di maestro è la più antica e quella che appare
nelle più svariate attività umane, dalla musica
allo sport, all’artigianato, all’arte stessa, alle
cerimonie. È trasversale alle categorie sociali. È
quella che più ampiamente e più specificamente
definisce un ruolo d’insegnante particolare:
quello che non veicola solo una tecnica o più
tecniche o una materia specifica, ma un’intera
cultura. È la figura che si propone come esempio,
come “guida” (la guida speleologica oggi tende
ad essere un ruolo in competizione con quello di
maestro), come modello, e lo potrebbe essere per
tutte le altre realtà didattiche della speleologia.
La parola maestro ci richiama alla mente quello
elementare che insegna ai bambini, i primi ai
quali insegnare cosa sono le grotte e che da
grandi si può fare anche lo speleologo.
Statistiche
Con tutti questi dati a disposizione c’è parso
naturale provare a fare un po’ di analisi statistiche
allo scopo di studiare come si è evoluto nel tempo
il modo d’insegnare la speleologia e di mettere
in evidenza tendenze particolari che possano in
qualche modo spiegare la situazione attuale.
Prima di illustrare i principali risultati emersi
dalle nostre analisi, è necessario fare una
premessa importante. Come riportato in un
mio vecchio libro di testo (SPIEGEL, 1976):
“La statistica riguarda i metodi scientifici per
raccogliere, ordinare, riassumere, presentare ed
analizzare i dati…”. Quindi la statistica si basa
sui dati e più questi sono completi più le analisi
sono realistiche. Altrimenti vale quanto scritto
da Carlo Alberto Salustri, in arte Trilussa, poeta
romano vissuto a cavallo tra 1800 e 1900:
Figura 6 - Richiesta di assicurazione del XVI Corso di
Speleologia dello SCR
quanto ne abbia avuto finora. Una figura che riduca
tra gli speleologi la gerarchia e la competizione
per i ruoli, che smetta di dipendere da categorie
professionali e accademiche, che abbia un’identità
originale e riconosciuta.
Un’identità che non prescinda dal territorio dove
opera, in questo caso la Regione Lazio, ma che
anzi lo rappresenti.
La Federazione Speleologica del Lazio ha
raccolto il proposito di impegnarsi nel compito
fondamentale e urgente di formare nuovi e giovani
speleologi e ha istituito una propria scuola per
questo. Ora non può perdere l’occasione di mirare
in alto, di avere l’ambizione, attraverso l’istituzione
degli insegnanti, di ridefinire anche la figura dello
speleologo, attribuendogli le caratteristiche che
merita, inoltre, attraverso questa nuova figura, di
mirare a formare speleologi duraturi nel tempo
tanto che possano assicurare l’insegnamento per
le generazioni future.
Forse do troppa importanza alla speleologia e,
di conseguenza, allo speleologo, ma se noi stessi
non diamo a questi il massimo dell’importanza,
come possiamo aspettarci che gli altri, le
Istituzioni, i media, quelli che vogliono fare le
grotte turistiche, ce ne diano?
La proposta di chiamare “maestro” l’insegnante
di speleologia ha la sua origine nell’idea di una
figura ben più ampia di quella di un semplice
istruttore, e abbastanza ampia da raggiungere
quella di docente, e trova sostegno nei più
autorevoli dizionari, dove emerge che la figura
“…da li conti che se fanno
seconno le statistiche d’adesso
risurta che te tocca un pollo all’anno:
e, se nun entra nelle spese tue,
t’entra ne la statistica lo stesso
perch’è c’è un antro che ne magna due.”
In effetti i nostri dati, sebbene apparentemente
numerosi, in realtà non rappresentano bene l’intera
“popolazione” dei gruppi speleologici che hanno
tenuto corsi nella nostra regione. Come detto la
raccolta dei dati risale al 2011 quando risposero al
questionario tutti i gruppi aderenti alla FSL e anche
qualche gruppo non aderente e furono fatte ricerche
bibliografiche sui gruppi che avevano cessato
l’attività. Ma solo da Associazione Speleologica
Romana (ASR), Circolo Speleologico Romano
(CSR), Gruppo Grotte Castelli Romani (GGCR),
Gruppo Speleologico Grottaferrata (GSG), Speleo
123
VII Convegno Federazione Speleologica del Lazio
Gruppo speleologico
Speleo Club Roma (compreso CRdS)
Gruppo Grotte URRI
Gruppo Speleologico
CAI Roma
Circolo Speleologico
Romano
Associazione Speleologi
Romani
Associazione Speleologica Romana ‘86
Gruppo Speleologico
Guidonia Montecelio
Gruppo Speleologico
Grottaferrata
Gruppo Speleologico
Ciociaro CAI Frosinone
Associazione Speleologica Romana
Gruppo Speleologico
Sabino
Gruppo Speleologico La
Stalattite Eccentrica
Gruppo Grotte Castelli
Romani
Gruppo Speleologico
CAI Latina
Roma Sotterranea
Gruppo Speleologico “Le
Talpe” CAI Rieti
Gruppo Speleologico
CAI Esperia (compreso
CS Esperiano)
Sotterranei di Roma
Centro Romano Documentazioni e Ricerche
Geonaturali
Gruppo Speleologico
Grottaferrata 2007
Centro Studi “Scienze
Naturali e Speleologiche”
TOTALI
Primo Ultimo Tot
1960 2016 62
1957
1972
2009
2016
54
50
1961
2017
30
1990
2015
29
2008
20
2011
18
2006
14
2014
13
1970? 1979
11
1994
2015
8
2008
6
2015
5
1979
4
2008
2011
4
3
1982
1983? 2
2010
1969
2011
1970
2
2
2010
1
2008
Figura 7 - Numero di corsi tenuti dai vari gruppi speleo
Club Roma (SCR) e Associazione Speleologi
Romani (SR), per l’ASR ha risposto lo SCR e per
il GSG il GGCR, abbiamo avuto i dati completi,
anche se non su tutti i corsi, come il numero di
allievi ed altre informazioni. Ma da allora pochi di
questi gruppi hanno fornito dati relativamente al
periodo dal 2011 ad oggi.
Inoltre, molti dei dati forniti sono incompleti per
quanto riguarda l’età anagrafica e speleologica dei
direttori dei corsi, l’età anagrafica dei maestri e
quella degli allievi ed infine a proposito del numero
di allievi per corso.
Malgrado tutto si evidenziano alcuni andamenti
particolarmente significativi sui quali si possono
fare delle riflessioni utili.
Quanto al numero di corsi, come si vede dalla
tabella 1 e dalla figura 7, appare evidente come ci
sia stata, da parte di molti gruppi, un’intensa attività
già a partire dagli anni ‘60.
Se si prendono in considerazione le età
anagrafiche dei direttori dei corsi, i dati diventano
molto interessanti. Il grafico in figura 8a mostra
la variazione dell’età anagrafica dei direttori con
il passare degli anni. È evidente come a partire
dagli anni ‘90 l’età media subisca un drastico
aumento e poi si osserva un’evidente tendenza a
scegliere sempre lo stesso direttore. Per quanto
riguarda l’evoluzione dell’età speleologica dei
direttori nel corso degli anni, rappresentata nel
grafico in figura 8b, si nota che fino agli anni
‘90 oscillava tra 1 e 15-20 anni, ma dopo questa
data, l’oscillazione diventa molto più ampia
grazie anche ai direttori eletti ad libitum, la cui
esperienza cresce ovviamente negli anni.
Passando ai maestri, questa soglia degli anni ‘90
diventa ancora più evidente (Fig. 9). Anche per
questo indicatore si osserva chiaramente come
l’età degli istruttori prima degli anni ‘90, sebbene
309
Tabella 1 - Numero di corsi tenuti dai vari gruppi speleo operanti
nel Lazio con le date del primo e dell’ultimo corso tenuto
124
Speleologia del Lazio, 9 | dicembre 2018
Figura 8 - Direttori dei corsi: a) Età dei direttori dei corsi; b) anni di esperienza. A partire dagli anni ‘90 l’età, e di conseguenza
l’esperienza, cresce nettamente nel corso del tempo. Si manifesta anche la netta tendenza ad affidarsi sempre agli stessi direttori
con ampie oscillazioni intorno al valor medio di
circa 25 anni, si mantiene più o meno costante. Poi,
alla fatidica soglia degli anni ‘90, inizia a crescere
drasticamente allargando di molto la forchetta tra
età massima e minima. Gli allineamenti dei simboli
stanno poi ad indicare l’invecchiamento progressivo
dei maestri, ovvero il fatto di un modesto ricambio
generazionale. Tralasciando l’identità dell’istruttore
più anziano, è interessante sapere che l’istruttore
più giovane è stato James De Martino (SCR,
1977), cugino dei più noti Giovannella e Sandro De
Martino: aveva solo 13 anni!
Anche per quanto riguarda gli allievi si osserva
lo stesso andamento sebbene quello che salta agli
occhi (Fig. 10) non è tanto l’aumento dell’età
media, che pure è evidente, quanto l’aumento
dell’età massima a cui ci si segna ai corsi, con
valori che superano il 60 anni!
Una curiosità: i due corsi più numerosi sono stati
organizzati dall’ASR negli anni 1972 e 1974 con
80 allievi; segue sempre l’ASR che nel 1971 ebbe
“solo” 62 allievi. Non sappiamo se ci sia stata una
scrematura degli allievi dopo la prima uscita, ma ci
sembra probabile.
C’è però un punto che più di tutti merita attenzione
e che sembra essere esperienza comune di tutti
coloro che organizzano corsi di speleologia: il
numero veramente esiguo di allievi che dopo il
corso continuano a frequentare il gruppo o più in
generale ad andare in grotta. Dal grafico nella figura
11 potrebbe sembrare il contrario, ma guardando
bene i valori ci si rende conto che il numero di
allievi che restano “in circolazione” per almeno un
anno dopo il corso, specialmente in questi ultimi
anni, di rado supera le 5 unità. E comunque, se
si potesse contabilizzare il numero di quelli che
proseguono oltre il primo anno, di certo raramente
si supererebbe l’unità.
Concludiamo questa nostra analisi statistica
andando a vedere quali sono state le grotte (Tab.
2) e le palestre (Tab. 3) utilizzate nei corsi con il
passare degli anni.
È subito evidente ed anche abbastanza
comprensibile, date la comodità di accesso e le
caratteristiche tecniche, che la grotta di gran lunga
preferita per la didattica è l’Ouso di Pozzo Comune
con ben 84 uscite a partire dagli anni ‘60. In verità,
data l’incompletezza dei dati di cui abbiamo detto in
precedenza, potrebbero di certo essere molte di più.
Segue poi la Grotta dei Pozzi della Piana in
quanto, essendo una cavità pressoché orizzontale
rappresenta una palestra ideale per svolgere la
prima uscita di iniziazione alla speleologia.
Seguono poi, con un numero di visite variabile tra le
10 sino alle 30, grotte dalle caratteristiche più varie
andando da cavità tecnicamente piuttosto semplici,
come la Grotta dell’Arco, l’Ouso del Pisciarello
o il Pozzo l’Arcaro, a grotte importanti, come
l’Antro del Corchia, la Grotta del Chiocchio o del
Mezzogiorno. Tra queste vi sono poi alcune grotte
una volta molto frequentate dai corsi, ma oggi per
diversi motivi non più utilizzate a questo scopo,
come la Grotta di Santa Lucia per pericoli oggettivi,
oppure l’Ovito di Pietrasecca e l’Inghiottitoio di Val
de’ Varri a causa di problemi burocratici.
Tra le palestre più utilizzate ci sono senza dubbio
la cava di leucitite di Fioranello a Ciampino e il
Monte Catillo a Tivoli. Invero, sebbene Fioranello
abbia dalla sua la vicinanza alla città, le pareti del
Catillo offrono molte più possibilità di sperimentare
differenti situazioni tecniche, oltre al fatto non
secondario di una migliore sicurezza della roccia.
A queste poi si aggiungono numerose altre località,
più o meno amene, che spesso scaturiscono dalla
grande fantasia dei gruppi nel cercare soluzioni
sempre diverse. Tanto per dire, sebbene non siano
citate nella tabella 3, quando il tempo verge al brutto
non è raro vedere bande di allievi appendersi alle
volte dei famigerati tunnel del Soratte, nei pressi di
Sant’Oreste.
125
VII Convegno Federazione Speleologica del Lazio
Conclusioni
Riassumendo, dal 1958, anno del primo corso
del Gruppo Speleologico URRI, ad oggi si sono
tenuti ben 309 corsi per un totale di 2524 allievi:
494 donne (33%) e 993 uomini (73%). L’età media
degli allievi è di 27 anni con un’ampia forchetta
compresa tra i 12 anni (!) e i 59 (!). Di questi
risultano essersi iscritti ad un gruppo in 647 ovvero
il 26% del totale. La discrepanza tra il numero totale
di allievi ed il totale di donne e uomini è sempre
legato all’incompletezza dei dati.
Tra i direttori si sono succeduti 10 donne e 31
uomini con età media di 39 anni compresa tra un
minimo di 20 ed un massimo di 65 anni. Quanto
all’esperienza dei direttori si va da un solo anno
ai 48 anni di attività accumulati al momento della
carica, con un valor medio di 15 anni.
Il numero di maestri impegnati nei corsi risulta
molto variabile passando da 2 a 39 (!), di
cui 8 donne e 32 uomini. Anche le età sono
estremamente variabili andando dai 13 ai 67 anni
con una media di 33.
Dunque, sebbene i dati siano incompleti, lo
ricordiamo ancora, e questa non è che un’analisi
statistica molto elementare, un dato spicca in
modo evidente: il basso numero di coloro che
dopo aver fatto il corso di speleologia continuano
ad andare in grotta, sia in modo indipendente sia
nell’ambito di un gruppo. In effetti questa tendenza
sembra essersi accentuata, come mostrano i
dati, a partire degli anni ‘90. Si nota infatti,
almeno stando ai dati, una mancanza di ricambio
generazionale testimoniata dalle conduzioni
pluriennali dei corsi da parte dallo stesso direttore
e dall’invecchiamento di maestri ed allievi.
Per cercare le ragioni di questi fatti non ci resta
che rimandare ad un paio di illuminanti lavori
del compianto Giovanni Badino (BADINO,
2000; BADINO, 2016) nei quali analizza la
tendenza all’invecchiamento della popolazione dei
frequentatori del mondo sotterraneo ed in particolare
come l’età dei neofiti si è evoluta nel corso degli
anni. Ebbene, anche le analisi di Badino mostrano
che verso la metà degli anni ‘80 l’età d’iniziazione
tende ad aumentare.
Per spiegare l’aumento dell’età d’iniziazione,
seguendo Badino, si possono chiamare in causa diverse
ragioni: invecchiamento generale della popolazione,
protrarsi dell’adolescenza, massificazione delle
attività ludiche connessa all’aumentare dei mezzi
di comunicazione; il tutto si traduce nel fatto che
alla speleologia si avvicinano sempre più persone di
qualsiasi età (BADINO, 2016).
Per quanto concerne invece l’altissima percentuale
di abbandoni dell’attività speleologica post corso,
mi appoggio ancora una volta all’analisi di Badino
che chiama in causa la cosiddetta “fruizione
Figura 9 - Età dei maestri. Il grafico mostra le età medie,
massime e minime dei maestri impegnati nei corsi durante
gli anni. La dispersione risulta abbastanza ampia, ma dagli
anni ‘90 c’è un netto incremento nell’età media. Inoltre,
come mostrano le numerose serie continue di simboli, c’è un
modesto ricambio nel corpo dei maestri
Figura 10 - Età degli allievi. Il grafico mostra l’evoluzione delle
età medie, massime e minime degli allievi nel corso degli anni.
La dispersione risulta abbastanza ampia, ma, come sempre,
dagli anni ‘90 in poi c’è un netto incremento nell’età media ed
un aumento dell’età massima fino oltre i 60 anni
Figura 11 - Numero di allievi iscritti ad un corso (bande rosse)
rispetto a quelli che sono risultati iscritti ad un gruppo almeno
per l’anno immediatamente successivo al corso (bande gialle)
126
Speleologia del Lazio, 9 | dicembre 2018
Grotte
Lepini
Ouso di Pozzo Comune
Umbria
Le Piane
Carseolani Inghiottitoio di Val dei Varri
Simbruini Pozzo della Creta Rossa
Lepini
Inghiottitoio dell’Erdigheta
Marche
Grotta del Mezzogiorno
Carseolani Ovito di Pietrasecca
Ernici
Abisso degli Urli
Umbria
Chiocchio
Aurunci
Serini
Lepini
Pisciarello
Simbruini Camposecco
Lepini
Gemello della Rava
Ernici
Grotta dell’Arco
Lepini
Pozzo l’Arcaro
Lepini
Alien 3
Ausoni
Zi’ Checca
Soratte
Santa Lucia
Toscana
Antro del Corchia
SCR
54
27
30
28
24
22
15
16
12
1
13
5
13
8
2
CSR* GGCR GSG
1
4
8
1
2
12
1
1
1
1
1
1
1
1
3
1
1
1
5
1
5
12
1
1
9
SR
17
6
1
3
10
10
1
1
10
8
5
1
1
1
2
3
3
4
2
4
2
2
Tot
84
48
31
30
29
27
22
21
21
19
18
17
13
12
12
11
11
9
8
Tabella 2 - Grotte utilizzate durante i corsi dai gruppi romani nel corso degli anni. * Il CSR non ha indicato il numero di volte che ha
usato la grotta per i corsi. Ad ogni grotta è stato dato il valore simbolico di 1
Palestra
Fioranello
Monte Catillo
Palestra roccia Convento Palazzolo
Diaclasi di Artena
Poggio Catino
Santullo
Soratte
Ouso di Pozzo Comune
Palestra roccia Esperia
Sperlonga
Santa Lucia
Monte Morra
Veroli
Magliano
Castelnuovo di Porto
SCR
8
28
GGCR GSG
16
25
SR
1
4
8
3
3
6
2
2
4
3
3
3
2
1
1
1
1
Tabella 3 - Palestre utilizzate durante i corsi dai gruppi romani nel corso degli anni.
127
Tot
50
32
8
6
6
4
4
3
3
3
2
1
1
1
1
VII Convegno Federazione Speleologica del Lazio
indiretta”, cioè quel vivere emozioni ed esperienze
per interposta persona, dato dagli attuali mezzi di
comunicazione e social (BADINO, 2000).
In sostanza la diffusione dei mezzi di comunicazione
rende la speleologia fruibile ad un pubblico sempre
più vasto, il che ha effetti senza dubbio positivi,
ma ha anche l’effetto deleterio di massificare e
quindi ridurre un’attività complessa e ricca come la
speleologia in uno dei tanti sport estremi che tanto
vanno di moda proprio a partire dagli anni ‘80.
Quindi molti di quelli che si avvicinano alla
speleologia lo fanno spinti più da una curiosità
contingente che da motivazioni profonde, cercando
un’esperienza a pronta presa, ma quando si rendono
conto del contrario, l’abbandono è automatico e
soprattutto senza rimpianti; perché tutto sommato
basta riguardare il selfie o il video di quel giorno in
grotta (o di una qualunque altra grotta), per rivivere
l’avventura e sentirsi uno “speleologo vero”. In
sostanza, come scrive Badino: “… vedendo fare, si
saziano come se facessero.”.
Speleologi Italiani. - Sottoterra, Gruppo Speleologico
Bolognese del CAI, anno V, n. 13, pp. 39-40.
SOCIETÀ ALPINA DELLE GIULIE –
COMMISSIONE GROTTE E. BOEGAN, 2004,
120 anni in grotta, Trieste.
SPELEO CLUB ROMA, Relazioni attività. –
Archivio dello Speleo Club Roma, inedito.
SPIEGEL M. R., 1976, Statistica – Collana Schaum.
Bibliografia
BADINI G., 1965, Assemblea SSI a Bologna. –
Sottoterra, Gruppo Speleologico Bolognese del
CAI, anno IV, n. 10, pp. 2-5.
BADINO G., 2000, Se Atene piange... Grotte, Gruppo
Speleologico Piemontese CAI-UGET 134, pp. 27-33.
BADINO G., 2016, Nascere speleo: un’analisi
statistica. Speleologia, 75, pp. 50-53.
CASTELLANI V., 1995, Imele, Stiffe, Cavallone …
ai primordi della speleologia nell’URRI, 1955-1965.
– URRI 1955-1995, numero unico del quarantennale.
CIRCOLO SPELEOLOGICO ROMANO, 2015,
100 anni sottoterra. Il Circolo Speleologico Romano
dal 1904 al 2004, Roma.
GHIDINI G. M., 1954, Uomini, caverne e
abissi, Milano.
GRASSI L., 1993, 1971-1993. Nomi, date e ricordi
di 22 anni di attività del GS-CAI Roma. – Ricerca
di archivio di Lorenzo Grassi, inedito.
GRIMANDI P., 2008, Dell’origine della specie: la
CNSS.
GUIDI P., SALVATORI F., SAMMATARO T. (a
cura di), 2008, 50 anni di speleologia della Scuola
Nazionale di Speleologia CAI 1958 – 2008.
IFAC, 1966, Assicuraz. Cumulativa Infortuni
128
Speleologia del Lazio, 9 | dicembre 2018
Obiettivi e finalità
della Scuola di
Speleologia della F.S.L.
CLAUDIO FORTUNATO - MAURIZIO MONTELEONE
L
a Federazione Speleologica del Lazio
costituisce la propria Scuola di Speleologia
nel 2012: l’Assemblea dei Delegati del
12 maggio 2012 ne approva lo statuto e di fatto
rende la scuola operativa. A fronte di questo, i
gruppi federati nominano i primi coordinatori
che coadiuveranno il Responsabile della scuola
nell’attività iniziale di avvio, che porta ai primi
incontri del Coordinamento. Questo è un passo
importante e ambizioso per tutta la speleologia
della regione, importante e chiaramente non
facile. Bisogna considerare che questa è la
prima scuola di speleologia regionale all’interno
di una federazione, la prima Scuola di una
Federazione Speleologica in Italia. Lo sforzo
iniziale è soprattutto concentrato nella stesura
del regolamento e nel creare strumenti didattici
per uniformare l’insegnamento delle tecniche
di progressione in ambiente ipogeo. Allo stato
attuale, i gruppi del Lazio sono presenti nella
Scuola con un numero di 27 Coordinatori,
presenza importante e in costante aumento.
Ogni gruppo può nominare un massimo di 3
coordinatori. Elemento importante per la scuola è
il corpo docente: questo è costituito dai “maestri di
speleologia”, un termine nuovo, diverso da quello
che fino ad ora era l’istruttore di speleologia. Ogni
anno i presidenti dei gruppi federati comunicano
alla scuola l’organigramma del proprio corpo
docente con i nomi dei maestri e aiuto-maestri.
Il corpo docente è per la Scuola l’elemento sul
quale concentrare le proprie energie. La figura
del maestro di speleologia richiede un bagaglio
di esperienza più vasto in quanto necessita di una
preparazione multidisciplinare. È necessario che
il “maestro di speleologia” guidi l’allievo verso
un percorso formativo mirato a comprendere
l’ambiente ipogeo in tutti i suoi aspetti. Quindi
ricerca, esplorazione, studio e documentazione:
Figura 1 - Il logo della Scuola di Speleologia (grafica di
Maurizio Monteleone)
diventa quindi necessario formare i maestri
affinché possano trasmettere tutto questo ai
futuri speleologi, creando percorsi formativi
adeguati e completi. La Scuola di Federazione
ha anche il compito di fornire formazione tecnica
ai maestri, con corsi di livello superiore e corsi
di aggiornamento tecnico. Sono anche previste
verifiche periodiche per il corpo docente. Oltre
alla formazione del corpo docente, la scuola di
speleologia intende offrire supporto didattico
alle associazioni speleologiche su temi che in
genere i gruppi stessi non trattano: si tratta di
argomenti spesso trattati solo in sede di corsi e
seminari che vengono svolti fuori della regione.
Per questo è stato definito un programma annuale
di attività che la scuola presenta alla Federazione
affinché venga reso disponibile ai gruppi e agli
speleologi interessati. Cosa importante tra i
129
VII Convegno Federazione Speleologica del Lazio
compiti della Scuola è quello di promuovere,
attraverso i propri docenti, la cultura per il
rispetto dell’ambiente sotterraneo. Informare gli
speleologi sulle problematiche inerenti la tutela
delle grotte del Lazio e su quali sono le linee guida
comportamentali qualora ci fossero situazioni
che mettono a rischio l’ecosistema ipogeo. In tal
senso, vengono organizzati degli incontri per il
corpo docente e per tutti gli speleologi.
Di fatto gli scopi della Scuola di Speleologia FSL
indicati nello statuto sono i seguenti:
•
•
•
•
•
•
Predisporre i programmi e scegliere i supporti
didattici
Diffondere e omogeneizzare le norme di
sicurezza per la prevenzione degli incidenti in
grotta
Promuovere la cultura del rispetto
dell’ambiente
Coordinare le attività della scuola e dei
maestri che vi operano
Qualificare i propri maestri svolgendo
un’adeguata attività formativa
Farsi riconoscere dagli enti territoriali come
un’istituzione di formazione nel campo della
speleologia laziale.
Il progetto Scuola di Federazione è in costante
sviluppo per le idee che vengono proposte
dai coordinatori riguardo le attività future di
interesse collettivo. Però è importante anche
il costante confronto con i gruppi federati per
creare uno spirito di collaborazione, necessario ad
individuare i piani di lavoro futuri utili al buon
funzionamento della scuola e per dare un servizio
didattico di primo livello. Inoltre, obiettivo
principale, argomentare e trattare tematiche di
interesse attuale nel mondo speleologico. Quindi
all’avanguardia per essere unici.
Commento al logo della Scuola (di Maurizio
Monteleone)
Quando il Coordinamento della Scuola
mi ha chiesto di realizzare un logo che la
rappresentasse, ne sono stato lusingato. Per la
seconda volta avrei avuto l’occasione di servire
la FSL. La prima quando creai il logo con il
doppio pipistrello e adesso quello della Scuola,
traducendo in simboli i concetti alla base della
sua fondazione. Pur dubitando di riuscirci, ho
comunque accettato di mettermi alla prova
contando solo sull’entusiasmo, per me unico
e vero propellente, e sulla certezza che la mia
visione fosse quella condivisa da tutti, a partire
dalla scelta di sostituire la parola Istruttore con la
parola Maestro. Questa scelta a lungo dibattuta
130
ma poi unanimemente approvata, mirava ad
immaginare una figura di maggior rilievo e ad
adottare un termine che fa sorridere alcuni, ma
che nel dizionario della lingua italiana significa
guida, esempio. Una scelta coerente con quella di
creare una Scuola autonoma, indipendente dalle
scuole nazionali; una scuola diversa, nuova, ma
con una tradizione centenaria nel tramandare
l’Arte della speleologia. Quando ho capito che
insegnare ad andare su corda non era insegnare
ad andare in grotta, che insegnare ad andare in
grotta non era insegnare la speleologia e che
insegnare la speleologia significa insegnare ad
amarla, allora è stato chiaro che il primo requisito
del maestro doveva essere quello di saper attrarre
l’allievo per potergli trasmettere la propria
passione. Solo in questo caso l’allievo avrebbe
dedicato la propria attenzione alla materia con il
piacere di apprendere, tanto da poter un giorno
superare il maestro e esserlo lui a sua volta.
Tutto questo andava racchiuso in un logo, un
discorso appunto per immagini.
Ho cominciato con un cerchio, la figura
geometrica più usata in questi casi, senza inizio
e senza fine. All’interno del cerchio, bordato da
una corda, simbolo di sicurezza e di tenuta, ruota
una fascia circolare con le parole Federazione
Speleologica del Lazio, ovvero l’unione dei
gruppi speleo della nostra Regione. Unione
simboleggiata anche dal cordino che, senza
soluzione di continuità, compone l’acronimo
FSL, formando così un nodo, un legame. A
conferire poi un aspetto araldico, un’altra corona
circolare formata dalla catena di moschettoni,
elemento della tecnica speleologica raffigurante
anch’esso l’unione e la messa in sicurezza
di ciò che racchiude all’interno, ovvero il
simbolo della Federazione stessa: il doppio
pipistrello. All’interno di questo simbolo
spiccano un libro, simbolo d’insegnamento, di
apprendimento, di cultura, e un casco con la
luce frontale, che rappresenta il primo strumento
tecnico necessario all’esplorazione, l’unico che
possa simboleggiare una speleologia che non
discrimina chi va su corda da chi non ci va. La
luce sul casco è accesa ad illuminare la grotta
nel cui profilo campeggiano libro e casco e ad
illuminare la scritta Scuola di Speleologia, come
se quest’ultima risiedesse nella grotta o come se
la grotta stessa fosse la Scuola o, perché no, la
maestra. I colori, ispirati a quelli del logo della
Federazione, ne confermano l’appartenenza:
blu, giallo, bianco e il nero simbolo del buio,
solo per la silhouette della grotta. Ma c’è un
colore che non si vede, è il colore della passione
e dell’entusiasmo che hanno ispirato la nascita
della Scuola e di questo logo, e che sono il vero
messaggio contenuto nel profondo.
Speleologia del Lazio, 9 | dicembre 2018
L’ambiente ipogeo della
Montagna di Cesi:
Laboratorio di ricerca
per rilievi termo-igrometrici
SIMONA MENEGON - AUGUSTO ROSSI - LUCIO DI MATTEO - STEFANO LITI
L
a comprensione dei sistemi carsici
è di fondamentale importanza per la
protezione e la valorizzazione di questi
ambienti. Il presente lavoro, tramite un approccio
multidisciplinare, contribuisce allo studio delle
possibili interconnessioni tra le cavità carsiche
presenti nella parte meridionale della dorsale
Martana (Montagna di Cesi, Italia centrale),
una struttura idrogeologica che alimenta un
acquifero regionale drenante verso le sorgenti,
ad elevata portata e salinità, di Stifone. Nella
parte sud-occidentale della dorsale Martana
sono state individuate sette cavità, cinque delle
quali si impostano nella Formazione del Calcare
Massiccio. I dati termo-igrometrici raccolti
a partire da novembre 2014 all’interno delle
cavità, uniti a quelli provenienti dalle stazioni
meteorologiche esterne, hanno permesso di
identificare il momento dell’inversione del
flusso d’aria che si verifica in tardo inverno/
inizio primavera e in fine estate/inizio autunno.
Nonostante le complessità morfologiche
delle cavità e dei modelli concettuali di flusso
d’aria, le variazioni termiche osservate e le
misure di flusso d’aria finora disponibili,
sembrano indicare che gli ambienti sotterranei
- anche se di piccole dimensioni - possono
essere interconnessi con un sistema di cavità
notevolmente più ampio. In conclusione, le
misure in corso, associate alle caratteristiche
idrogeologiche e geologico-strutturali del
massiccio calcareo, risultano utili per indirizzare
le future esplorazioni speleologiche nell’ottica
di scoprire cavità più grandi e di comprendere
meglio i percorsi di infiltrazione dell’acqua nel
massiccio calcareo. È stata anche condotta una
ricerca su documenti storici, in parte inediti, in
cui si evidenzia come le grotte di Cesi, con il
fenomeno dell’aria fredda in uscita d’estate e il
flusso inverso in inverno, con le relative opere
di canalizzazione dell’aria per rinfrescare le
case in estate, siano state oggetto di studio degli
scienziati sin dal XVI secolo, oltre che meta
turistica dei viaggiatori di tutta Europa che
visitavano l’Italia nel 1700 e nel 1800.
Inquadramento geologico
Si presentano i risultati della campagna di
monitoraggio condotta da novembre 2014 a
gennaio 2016 nell’area carsica situata nella
parte meridionale dei Monti Martani, a ridosso
dell’abitato di Cesi, presso Terni (Fig.1).
Si tratta di una struttura idrogeologica che
alimenta un acquifero regionale drenante verso
le Sorgenti di Stifone, che hanno un’elevata
portata e un’alta salinità. Il paesaggio, di
grande bellezza, è tipico degli ambienti montani
dell’Appennino umbro-marchigiano con forme
epigee (superficiali) ed ipogee (sotterranee) che
danno al territorio un alto valore naturalistico
ed ambientale che si intreccia con il valore del
patrimonio storico-culturale ed archeologico
(Eremo di S. Erasmo, necropoli protostorica
del Monte Torre Maggiore, ecc.). Dal punto
di vista geologico nell’area affiorano rocce
appartenenti alla Serie umbro-marchigiana
(Fig. 2), una serie di rocce calcaree e calcareomarnose deposte in ambiente marino durante le
ere geologiche e poi emerse grazie ai fenomeni
di compressione e sollevamento. La zona
si caratterizza per la presenza di numerose
cavità, di dimensioni differenti, con una
forte circolazione d’aria anche nelle grotte di
dimensioni modeste.
La zona del massiccio di Cesi è caratterizzata
dalla presenza di numerose cavità conosciute,
131
VII Convegno Federazione Speleologica del Lazio
strumenti sono stati collocati all’interno di
alcune cavità selezionate, in modo da monitorare
il comportamento sia degli ingressi alti che di
quelli bassi, mentre per la temperatura esterna
sono stati usati due termobarometri collocati
nel punto più basso e nel punto più alto della
zona interessata. I termo-igrometri sono stati
posizionati all’interno delle grotte a novembre
del 2014 e sono stati ritirati tra dicembre
2015 e gennaio 2016. Sono stati programmati
per registrare quattro misure giornaliere ad
intervalli di 6 ore.
Tutte le grotte scelte per il monitoraggio
sono state ritenute interessanti in quanto
caratterizzate da circolazioni d’aria piuttosto
intense, anche nel caso di cavità di modeste
dimensioni, che è considerato un probabile
indizio di un sistema di cavità più ampio.
Per avere un riscontro con l’ambiente esterno,
nello stesso periodo sono stati collocati due
termobarometri per il monitoraggio della
temperatura esterna e della pressione atmosferica.
Uno strumento è stato collocato presso la
cavità posta alla maggiore altitudine (Buca del
Diavolo), mentre l’altro presso la cavità più
bassa (Grotta Gis). Sono stati inseriti all’interno
di cassettine ventilate, ad adeguata distanza dal
suolo e lontane da possibili fonti di disturbo delle
misure. Analogamente ai termo-igrometri anche
i termobarometri sono stati programmati per
registrare quattro misure giornaliere.
Le misure di temperatura effettuate all’interno
delle grotte consentono di fare delle
considerazioni sulla circolazione dell’aria nel
massiccio calcareo. Va premesso che non tutte
le cavità, anche quelle poste a quote simili,
mostrano lo stesso andamento termico durante
il periodo di osservazione: questo indica
che il sistema è molto complesso, come era
da attendersi, e merita sicuramente ulteriori
ricerche specifiche che non possono prescindere
dall’approccio messo in opera dal presente
progetto. I dati acquisiti infatti, oltre ad essere i
primi a disposizione su questo sistema carsico,
rappresentano sicuramente un primo passo per
comprendere la circolazione d’aria del sistema
carsico della montagna di Cesi e per indirizzare
gli studi e i monitoraggi futuri. Di seguito si
farà riferimento al comportamento di due grotte
poste a quote molto diverse tra loro che danno
degli indizi di interconnessione, considerando
anche l’assetto geologico-strutturale del
massiccio calcareo. Si tratta della Grotta degli
Arnolfi (grotta posta alla base del sistema
carsico) e di Buca del Diavolo (grotta posta
nella parte alta, in prossimità del Monte Torre
Maggiore). La figura 4 mostra la temperatura
dell’aria registrata all’interno e all’esterno di
Figura 1 - Inquadramento geografico dell’area di Cesi
molte delle quali si trovano all’interno dello
stesso abitato, con accessi nelle cantine
che si appoggiano direttamente alla roccia.
Queste ultime sono state escluse dal presente
lavoro in quanto il loro clima è influenzato
inevitabilmente dalle attività antropiche. Per
il monitoraggio termo-igrometrico sono state
selezionate cinque grotte, le cui dimensioni
variano da pochi metri a qualche centinaio di
metri. Trattandosi di un primo approccio alla
conoscenza della meteorologia degli ambienti
ipogei si è deciso di concentrarsi, ottimizzando
le risorse a disposizione, su alcune cavità
selezionate sulla base dell’assetto geologicostrutturale del sistema. Queste sono tutte
caratterizzate da presenza di circolazione
d’aria, ma, dalle osservazioni occasionali, per
le due localizzate in alto (Buca del Diavolo
e Grotta della Rocchetta) è ipotizzabile un
comportamento tipico degli ingressi alti (flusso
in uscita in inverno, flusso in entrata in estate),
mentre per le altre tre (quelle poste alla base
del massiccio: Grotta degli Arnolfi, Risucchio
e Grotta Gis), viceversa, è ipotizzabile un
comportamento tipico degli ingressi bassi (flusso
in uscita in estate e flusso in entrata in inverno).
Monitoraggio
I dati termo-igrometrici (Fig. 4) provenienti
da 9 termo-igrometri USB con data-logger
integrati, e misure occasionali del flusso d’aria
con un anemometro a filo caldo (Fig. 3), sono
utili per identificare il momento dell’inversione
del flusso d’aria in primavera ed autunno. Gli
132
Speleologia del Lazio, 9 | dicembre 2018
Figura 2 - Mappa geologica e localizzazione delle cavità
queste due grotte. Durante l’inverno/inizio
primavera una grande quantità di aria fredda
entra nella Grotta degli Arnolfi, ma non appena
la temperatura dell’aria esterna supera quella
interna, il flusso d’aria inverte e l’aria fuoriesce
dalla grotta. L’aria all’interno della grotta
raggiunge gradualmente una temperatura di
11.5°C. A metà novembre 2015 si registra una
nuova inversione del flusso d’aria che torna ad
entrare nella grotta. Al contrario, la Buca del
Diavolo mostra un comportamento, in termini
termici e di flusso d’aria, speculare a quello
della Grotta degli Arnolfi: l’aria fuoriesce dalla
cavità durante l’inverno con temperature che
vanno da 11.4°C a circa 9.0°C.
Al fine di capire i volumi di aria in uscita,
durante i mesi estivi dalla Grotta degli Arnolfi e
durante i mesi invernali dalla Buca del Diavolo,
sono state effettuate delle misure saltuarie
della velocità del flusso d’aria mediante il
termo-anemometro acquisito nell’ambito del
presente progetto. In dettaglio, le misure sono
state condotte durante il mese di agosto 2015
nella Grotta degli Arnolfi e a fine febbraio
2015 a Buca del Diavolo. I volumi di aria in
uscita dalla Grotta degli Arnolfi sono stati di
1.85 m3/s, mentre da Buca del Diavolo di 0.50
m3/s. Sempre durante il mese di agosto 2015
le misure di flusso d’aria sono state estese a
tutte le cavità poste alla base del massiccio
calcareo: complessivamente il volume d’aria
in uscita durante l’estate, dalle cavità note,
non è inferiore a 6 m3/s. Allo stesso tempo
durante l’inverno dalle grotte alte (Buca del
Diavolo e Rocchette di Cesi) fuoriesce un
volume d’aria di circa 1.3 m3/s indicando che
nella parte alta la fuoriuscita di aria è molto
più diffusa e fortemente condizionata dalle
caratteristiche litologiche e stratigrafiche delle
rocce affioranti (Maiolica), dalla fitta rete di
fratture e/o da altre cavità non ancora scoperte.
Le ricognizioni speleologiche portate avanti nel
2014 nella parte sommitale di Torre Maggiore,
intensificate durante il presente progetto, hanno
permesso di esplorare con uno spirito diverso
delle piccole cavità a cui in precedenza non si
dava un grosso valore speleologico.
Conclusioni
I risultati qui ottenuti indicano che gli ambienti
sotterranei - anche se di piccole dimensioni sembrano essere interconnessi, tramite fratture
aperte e/o condotti, con una cavità notevolmente
più ampia presente nella sottostante Formazione
del Calcare Massiccio. I collegamenti ad oggi
non sono accessibili da un punto di vista
133
VII Convegno Federazione Speleologica del Lazio
loro ingresso, che come confermano anche
ricerche recenti, ha una spiccata componente
stagionale. Molte di queste fessure si trovano
all’interno delle cantine delle stesse abitazioni,
costruite appoggiate direttamente sulla roccia,
peculiarità che ha permesso agli abitanti, almeno
dal 1500, di costruire degli ingegnosi sistemi
di convogliamento dell’aria per rinfrescare le
case e conservare gli alimenti (Fig. 5). La più
grande di queste aperture all’interno del paese
è una vera propria grotta, Grotta Eolia, che
si sviluppa per circa 200 m al di sotto di un
palazzo.
Sarebbe sufficiente questo ad accendere la
fantasia degli esploratori sotterranei, ma se si
aggiunge la commistione tra indizi geologici
e testimonianze storiche, leggende e racconti
popolari, che ruotano intorno alla convinzione
che il sottosuolo di Cesi nasconda immense
cavità, ancora da scoprire, si capisce come
l’attenzione della comunità speleologica si sia
spesso rivolta verso quest’area, con risultati
però inferiori alle aspettative.
Si è cercato di ricostruire la storia delle
grotte di Cesi, basandosi esclusivamente su
documenti d’epoca, per riscoprire la reale
collocazione di questa zona nella storia della
ricerca speleologica.
Il quadro che ne emerge evidenzia come
questo luogo sia stato in passato un luogo
centrale per gli scienziati che si occupavano
dei fenomeni dei venti sotterranei, nonché,
proprio grazie alle grotte, una meta turistica
conosciuta in Europa.
La documentazione storica, tutta basata su testi
originali, è stata ricercata a partire da un articolo
di un nostro collega, Badino, che, studiando
la storia delle osservazioni del vento ipogeo,
si è imbattuto in Athanasius Kircher, tedesco
gesuita del 1600, scienziato e museologo,
che fondò il museo Kircheriano a Roma dove
visse gran parte della sua vita, famosissimo
all’epoca, che è stato in parte ripristinato negli
ultimi anni, e che lasciò un opera monumentale
Mundus Subterraneus del 1678. Kircher viene
a Cesi a studiare i fenomeni di Cesi di cui,
dice, aveva sentito grandi meraviglie. Cosa
c’era di meraviglioso? Soprattutto quello che
affascinava era il sistema di tubi refrigeranti
costruito dagli abitanti per portare l’aria fresca
dalle aperture soffianti, sia all’interno, sia
all’esterno, nelle cantine per tenere al fresco i
cibi ed il vino, oppure nei piani superiori delle
case per rinfrescare le stanze d’estate. Questa
rete è ormai quasi del tutto perduta, anche se
tuttora a Cesi usano rinfrescare le case aprendo
le porte delle cantine, che devono essere a tenuta
stagna per la violenza dell’aria che esce d’estate
Figura 3 - Dettagli dei termo-igrometri: (PCE-HT71 data logger,
101.5 x 30 mm, 25 g. range of measures: 0-100% U.r., -40/+70
ºC., resolution 0.1 % U.r., 0,1 °C.) and hot wire anemometer (ST732, air velocity: 0~40 m/s, accuracy ±0.03 m/s
esplorativo o lo sono solo in parte e quindi
va rimarcato che le informazioni termiche
e le velocità di flusso d’aria a disposizione
da sole non danno una risposta definitiva
sull’interconnessione tra grotte alte e grotte
poste alla base del sistema carsico. Il presente
studio deve essere considerato quindi come
un primo passo nella comprensione di questo
sistema carsico complesso e i risultati sono
utili per configurare una rete di monitoraggio
della velocità del flusso d’aria in continuo sulle
principali cavità. Tale monitoraggio fornirà
nuove informazioni sugli ambienti sotterranei
anche tramite l’analisi dei fenomeni di
risonanza e delle frequenze di oscillazione del
flusso d’aria (vedi per esempio, Cigna, 1968;
Plummer, 1969; Badino, 2010; Faimon et al.,
2012; Lang e Faimon, 2013). In conclusione, lo
schema concettuale presentato e i risultati qui
discussi migliorano le conoscenze del sistema
carsico, il quale risulta ancora ampiamente
inesplorato. L’approccio presentato ha come
obiettivo finale quello di valorizzare l’intero
massiccio calcareo che risulta interessante non
solo dal punto di vista speleologico, ma anche
geologico e storico-paesaggistico.
Le grotte di Cesi nella Storia
Il progetto ha compreso anche un’accurata
ricerca storica su fonti originali (Menegon,
2016). È emerso infatti come per molto tempo
Cesi sia stato un punto di riferimento europeo
della ricerca scientifica sulle circolazioni
d’aria ipogee. La zona è abitata sin da
epoca preromana dalla popolazione degli
Umbri, come attestato dalle varie emergenze
archeologiche, caratterizzata dalla presenza
di numerose cavità carsiche dalle dimensioni
più svariate, che vanno dalla fessura alla
vera e propria grotta. La particolarità che le
accomuna è la forte circolazione d’aria al
134
Speleologia del Lazio, 9 | dicembre 2018
Figura 4 - Temperatura dell’aria all’interno e all’esterno della Grotta degli Arnolfi (a) e di Buca del Diavolo (b). Periodo 2014-2015
ed entra d’inverno. Ma tornando a Kircher, egli
viene ad osservare proprio questi venti e la loro
periodicità indagandoli con spirito scientifico
e cercando di darne una spiegazione. Intuisce
che la spiegazione del tutto doveva risiedere
nella differenza di temperatura che provoca
una variazione della pressione (che lui chiama
rarefazione e condensazione), ma poi si perde
in concetti antichi (horror vacui) non tenendo
conto delle scoperte di Torricelli. Si nota però
la precisione con cui va a confutare le teorie
in voga all’epoca sui tali fenomeni (cataratte
d’acqua, fuochi sotterranei, flusso delle maree)
in quanto contrarie all’esperienza diretta
(manca la periodicità e la regolarità dei venti).
L’opera di Kircher farà poi da riferimento per
gli scienziati per un paio di secoli. Ma a partire
da questo siamo andati a ricercare chi potesse
aver parlato a Kircher di Cesi, dicendone grandi
meraviglie. Il legame può essere stato proprio
un eminente personaggio di Cesi, il cardinale
Felice Contelori, vissuto a Roma a metà del
1600, a servizio della famiglia Barberini e
quindi di papa Urbano VIII, perciò frequentando
gli stessi ambienti del Kircher potevano essersi
conosciuti. Contelori era un letterato e qualche
anno dopo la sua morte, avvenuta nel 1675,
esce un libretto “Memorie Historiche della
Terra di Cesi”, che riporta qualche notizia sulle
grotte di Cesi e due citazioni su chi prima di lui
aveva affrontato l’argomento. Una è una nota
colorita su un poeta di scarsa fama attualmente
vissuto a cavallo tra fine 1500 e inizio 1600,
Gasparo Murtola, famoso per aver attentato
alla vita del suo rivale Gianbattista Marino.
Murtola scrive dei versi dedicati al fenomeno
dei venti e al sistema di ventidotti, inseriti in un
ambizioso poema del 1608, “Della creazione
del Mondo”. L’altro è la notizia più antica
che abbiamo ritrovato finora e risale al 1571,
quando esce un trattato sulle terme De Thermis
del medico marchigiano Andrea Bacci, che
riporta in una nota il sistema di tubature per
l’aria di Cesi. Dopo Kircher anche Herbinius,
professore tedesco, riporta le stesse parole di
Kircher per parlare di Cesi non raggiungendo
risultati scientifici migliori. Dopo questo
periodo iniziamo a trovare testimonianze di
flussi turistici che passavano per Cesi. Il primo
rintracciato è di un certo Maximilien Misson,
precettore francese che nel 1687 viaggia in
Italia e nel suo libro di viaggio consiglia proprio
di passare a Cesi per vedere il fenomeno delle
bocche soffianti e dei ventidotti. Ma è all’inizio
del 1700 che abbiamo una sorta di salto di
qualità: per la prima volta le testimonianze,
oltre a descrivere il fenomeno visto dall’esterno,
entrano proprio all’interno di una grotta
descrivendone i particolari. Nel 1720 troviamo
Edward Wright. Non ci sono molte notizie su
questo inglese, tranne che fosse un esquire, e
che dedica il suo libro ad un certo Lord Parker,
cui assicura la veridicità delle sue osservazioni.
Arriva a Cesi dopo essere stato, come molti, a
visitare la cascata delle Marmore, anche lui ha
letto Kircher e quindi si reca a Cesi, presso le
Aeolian Hills, le colline di Eolo. Si fa portare
da una guida all’ingresso di una caverna sopra
l’abitato di Cesi, ingresso che è chiuso da un
porta di legno. Hanno sentito un gran parlare
135
VII Convegno Federazione Speleologica del Lazio
del gran vento che esce da questa grotta, davanti
alla porta sentono un gran ruggito, ma quando la
aprono vento non esce per nulla. Wright rimane
sbigottito ed attribuisce all’inizio il fatto alla
tendenza degli italiani ad esagerare ogni cosa,
ma poi si accorge che l’aria c’è, solo che entra
dentro la grotta, quindi con grande soddisfazione
capisce che il fenomeno dipende dalla
temperatura dell’aria, anche se lo spiega come
un’antiperistalsi, (gli inglesi non viaggiavano
nelle stagioni più calde). Comunque entrano
dentro questo antro, ma non si spingono oltre la
prima sala, anche se descrive un passaggio che
dovrebbe portare più avanti. Lo portano anche
a vedere un’altra grotta, che descrive più ampia
della precedente e con svariati abissi. Nel 1750,
un anonimo english gentlemen fa un viaggio in
Europa e durante il viaggio scrive a qualcuno
rimasto in patria una serie di lettere, ritenute
dal destinatario tanto interessanti da meritare
la pubblicazione, avvenuta in forma anonima
a causa dell’indisponibilità dell’autore a dare
l’autorizzazione alla pubblicazione in quanto
sempre in viaggio. Il gentiluomo inglese lascia
un lungo e dettagliatissimo resoconto della
visita alla stessa grotta visitata dal Wright trenta
anni prima. Ma il suo compagno di viaggio si
spinge oltre e si inoltra anche in zone a loro
dire inesplorate. Ne esce con la descrizione
di sale meravigliose, piene di concrezioni,
pozzi e strettoie. Ebbene di questa grotta ora
non c’è traccia. Nessuna grotta attualmente
conosciuta le corrisponde, né per posizione,
né per morfologia, né per dimensioni. Il ‘700
è un secolo di grandi progressi scientifici,
è l’epoca dell’Illuminismo, c’è fiducia nel
progresso, vengono fatti tanti passi avanti nel
sapere scientifico e nel pensiero filosofico, si
comincia a definire il concetto di temperatura.
Nel secolo precedente erano nati i primi
strumenti di misura (termometri fiorentini),
ma è nel ‘700 che si definiscono le prime
scale, Fahrenheit, Celsius, Réaumur. Qui si
colloca un altro passaggio importante a Cesi.
Nel 1773 un eminente personaggio del mondo
scientifico è a Cesi a misurare le temperature
dell’aria che esce dalle cavità. Si tratta di uno
svizzero, il ginevrino Horace Benedict de
Saussure, famoso per un’opera “Voyages dans
les Alpes”, con una descrizione dei suoi viaggi
e delle sue osservazioni scientifiche. Abbiamo
detto che nel 1773 viaggia in Italia e il 4 luglio
è a Cesi per misurare, con un termometro a
mercurio, nei sotterranei del Palazzo della
famiglia Cesi, la temperatura dell’aria, che
poi inserirà in un capitolo dei suoi Voyages
dedicato alle temperature a grandi profondità.
Misura cinque gradi e tre quarti della scala
Réaumur, che corrispondono a circa 7 gradi
Celsius: attualmente la temperatura tipica
delle grotte di Cesi. Le grotte, come sapete,
mantengono la temperatura costante ed hanno
una temperatura tipica che dipende dal clima
locale, dall’altezza e dall’umidità interna, ed
è di circa 11-12°C. Il fatto che de Saussure
abbia misurato una temperatura più bassa
può essere dipeso, oltre ad errori di misura
dovuti a strumenti non precisi e da condizioni
ambientali non controllate, dal fatto che in
quel periodo il clima era un po’ più freddo, e
quindi le temperature medie più basse. Infatti,
riferendosi al periodo che va da metà del 1300
al 1850, si parla di piccola era glaciale.
Ma non tutti gli studiosi venivano da fuori. Un
esponente della famiglia Pressio, importante
famiglia di Cesi, lascia tra la fine del ‘700
e l’inizio dell’800 una serie di manoscritti
riguardanti le grotte eoliche di Cesi. Questi
manoscritti sono all’Archivio di Stato di Terni.
Il vicario Pressio scrive una dissertazione
sulle grotte eoliche di Cesi, per dare una
risposta finale alla questione delle cause dei
venti ipogei, in maniera chiara, razionale e
conclusiva. Questi manoscritti sono molto
interessanti per molti aspetti diversi. Giovanni
Pressio è un erudito, non è uno scienziato, ma
un appassionato che cerca di tenersi al passo
con i progressi della scienza. Anche in una
località sperduta come Cesi, nel cuore dello
Stato della Chiesa, si poteva essere aggiornati
sulle novità scientifiche. Pressio infatti nella
sua lunga disamina dei fenomeni chiama in
causa, citando le fonti, un numero incredibile
di testi scientifici, sia a favore che contro le
proprie idee. Anche lui fa misure di temperatura
in varie grotte trovandole per la maggior parte
non diverse dal solito “temperato” e cioè 10
gradi Réaumur. Il temperato è quella che veniva
considerata la temperatura normale di tutti i
luoghi sotterranei. Non è un concetto banale
per l’epoca appurare che le grotte abbiano la
stessa temperatura in estate e in inverno, e che
la sensazione di freddo e di caldo dipenda solo
dalla temperatura esterna. Nei manoscritti si
trova anche una corrispondenza che l’autore
ha tenuto con un professore di Perugia, Luigi
Canali, il quale è il primo che per le grotte di
Cesi ipotizza l’esistenza di ingressi superiori
che spiegherebbero esattamente le circolazioni
d’aria, tesi questa assolutamente rifiutata
dall’autore, che nega l’esistenza di qualsivoglia
apertura nelle parti alte della montagna con una
circolazione inversa rispetto agli ingressi bassi.
Ma la questione delle temperature non
è ancora chiusa: un ternano, l’ingegner
Giuseppe Riccardi, nel 1818 pubblica un
136
Speleologia del Lazio, 9 | dicembre 2018
opuscolo “Ricerche istoriche e fisiche sulla
Caduta delle Marmore ed osservazioni
sulle adiacenze di Terni”. L’ultimo capitolo
dell’opuscolo è dedicato ai venti sotterranei
cesani. Il Riccardi per prima cosa ne misura
la temperatura, posizionando i termometri
all’imboccatura delle due grotte di Palazzo
Cesi sempre con un termometro reaumuriano.
Le temperature, prese in quattro date diverse
del 1817, vengono riportate in una tabella ed
oscillano tra i 6 e gli 9 gradi Réaumur (tra i
7,5 e gli 11,3 gradi Celsius).
Sia Canali che Riccardi fanno riferimento
ad un certo Abate Professor Candelori, che
pare essere stato il primo a proporre per le
grotte di Cesi il modello delle circolazioni
d’aria con il doppio ingresso. L’articolo dove
propone questo modello, “Trattato sulle grotte
Eolie”, lo abbiamo rintracciato alla sezione
manoscritti della Biblioteca Nazionale
di Roma, nello Zibaldone di Gioacchino
Belli, una raccolta di manoscritti su svariati
argomenti, autografi o raccolti dal famoso
poeta romano. Ricordiamo che il Belli aveva
una moglie ternana ed inoltre era amico di
monsignor Vincenzo Tizzani, vescovo di
Terni, che come si vedrà ha un ruolo anche
nella storia delle grotte Eolie di Cesi.
Quando ormai sembra perduta la memoria della
grotta visitata dal gentiluomo inglese, a metà
dell’800 l’interesse verso le grotte cesane viene
risvegliato da una scoperta che racchiude anche
un piccolo giallo. Nel 1843 arriva a Terni un
nuovo vescovo, Vincenzo Tizzani, che diventerà
poi un personaggio importante nella storia della
Roma del Risorgimento. Rimarrà a Terni fino
al 1847 e molti anni dopo in un suo libretto,
“Gita al santuario di Loreto”, ricorderà un fatto
avvenuto mentre era a Terni. In visita a Cesi
ospite del canonico Carlo Stocchi, si fa mostrare
i ventidotti con cui teneva al fresco il vino e,
spinto dalla curiosità, scende in cantina, dove
sente una forte corrente sotto un grosso macigno.
Fatto liberare il passaggio riesce a penetrare
di là, dove si ritrova in una bellissima grotta,
grande, piena di stalattiti, con una voragine in
mezzo. Il mistero, per così dire, sta nel fatto che
monsignor Tizzani si lamenterà nel suo libretto,
tanti anni dopo, che un altro si era attribuito
la scoperta. Comunque sia di questa grotta se
ne parla molto nei testi scientifici dell’epoca,
citando il fatto che il canonico Stocchi aveva
fatto dei lavori per agevolarne la visita, come nei
testi di Adone Palmieri “Topographia statistica
dello Stato Pontificio, ossia Breve descrizione
delle città e paesi”, in Gaetano Moroni Romani
“Dizionario di erudizione storico-ecclesiastica”,
nel Giornale Arcadico di Scienze, Lettere
ed Arti”, in Giuseppe Ponzi “Raccolta di
lettere ed altri scritti intorno alla fisica ed alle
matematiche” e in Guglielmo Jervis “I tesori
Sotterranei d’Italia”, tutti scritti intorno alla
metà del 1800.
Cercando tra i documenti dell’epoca sono
emerse innumerevoli citazioni di Cesi e
delle sue grotte eoliche, che non vale la pena
menzionare perché non aggiungono niente di
nuovo e riportano in genere notizie di seconda
o terza mano. Alcune però meritano di essere
ricordate per cui sono state messe in evidenza.
Tra coloro che hanno scritto di Cesi e delle
sue grotte è sorprendente trovare il nome
illustre di Immanuel Kant (Königsberg, 1724
– 1804), il grande filosofo tedesco. I suoi
interessi spaziavano anche in altri campi oltre
la metafisica e nel 1802 esce una sua opera
scientifica, “Geografia Fisica”. Il capitolo 8
del volume IV si intitola “Antri di vento” e
non potevano mancare Cesi e il monte Eolo,
che Kant riprende dalle descrizioni di Kircher
e dell’English Gentleman, riportando la loro
spiegazione dei venti freddi in uscita d’estate
e l’aria in entrata in inverno, come rottura
dell’equilibrio termico tra interno ed esterno.
Ma Cesi con le sue condutture dell’aria ha
attirato l’attenzione anche degli architetti che
ne parlano quando illustrano i sistemi per
rinfrescare le abitazioni.
Francesco Milizia (Oria, 1725 – 1798), teorico
dell’architettura e storico dell’arte, autore
dei “Principi di architettura Civile” nel 1785
afferma che “gli abitanti di Cesi sanno trarre
gran profitto da questi venti col fabbricar le
loro cantine alla bocca delle caverne”.
Nel 1825 il Professor Francesco Orioli
dell’Università di Bologna (Vallerano, 1783
– Roma 1856) pubblica un discorso, “L’arte
di riparare dai calori estivi le abitazioni e le
persone” e prende Cesi come esempio di luogo
fortunato in quanto fornito dalla natura di aria
fresca in estate.
La fama di Cesi è arrivata anche negli Stati
Figura 5 - Residuo di una tubatura dell’aria, rinvenuto nei pressi
di un’abitazione
137
VII Convegno Federazione Speleologica del Lazio
Uniti tanto che nel volume “The subterranean
World”
di Georg Hartwig (1813-1880),
stampato a New York nel 1871, si legge: “The
phenomenon of wind-grottoes is analogous to
that of ice-caves, and not seldom associated
with it. Here cold currents of air, increasing in
violence as the dayis hotter, are found to blow
from the interstices of rocks. One of the most
celebrated of these italian caverns is found
near Terni in Italy. The entrance is closed by
anold gate, through the crevices of which the
wind issues with a rustling noise, while in the
grotto itself the current issufficiently strong
to extinguish a torch. The proprietor of some
neighbouring villas have put the phenomenon
to an ingenious use. Leaden pipes, branching
out from the grotto, convey on sultry summer
days an agreeable coolness through masks of
gypsum with wide distended mouths, which are
fixed in the walls of the apartments”.
Anche la famigerata guida turistica Baedeker,
in un’edizione in inglese del 1875 dedicata
all’Italia centrale, non manca di citare Cesi
“loftily, situated, 4 3/4 M. to the N. of Terni,
possesses remains of ancient polygonal walls
and interesting subterranean grottoes of
considerable extent, from which a current of cool
air in summer, and of warm in winter issues”.
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140
Speleologia del Lazio, 9 | dicembre 2018
il canyon del quirino
riserva naturale oasi wwf
guardiaregia - campochiaro
matese nord-orientale, molise
PIETRO CORTELLESSA - MARCO TOPANI
Introduzione
Inquadramento geologico e territoriale
È attualmente in fase di elaborazione lo studio di
uno dei paesaggi più affascinanti dell’Appennino
meridionale nel versante nord orientale del
massiccio del Matese, riguardante in particolare
il Canyon del Quirino. Ricadente nei comuni di
Guardiaregia e Campochiaro (Cb), il canyon
presenta una profonda frattura alta mediamente
400 m, con uno sviluppo di circa 5 km e un
dislivello di 260 m (dal Ponte Arcichiaro,
sull’omonimo bacino idroelettrico, alla chiesa
di S. Maria ad Nives di Guardiaregia), costituita
da una struttura calcarea originatasi da sedimenti
marini carbonatici del Cretacico. Lo studio
ha lo scopo di censire e topografare le cavità
formatesi all’interno del complesso e di verificare
l’esistenza di una ipotetica connessione con i due
grandi sistemi carsici del centro-sud considerati
tra i più importanti d’Italia: Pozzo della Neve e
Cul di Bove.
Il Massiccio del Matese, ultimo contrafforte
orientale dell’Appennino calcareo, è allineato
all’incirca NO-SE sul confine tra il Molise e
la Campania per oltre 50 km, costituendo un
compatto massiccio carbonatico esteso per più
di 1000 km 2 tra le province di Campobasso e
Isernia nel Molise, Caserta e Benevento nella
Campania. Compreso nei Fogli 161 IS; 162
CB; 172 CE; 173 BN della Carta Geologica
d’Italia, è distinto in due unità stratigraficostrutturali: l’Unità del Matese Orientale e
l’Unità del Matese Nord-Occidentale, derivanti
la prima dalla Piattaforma Carbonatica
Laziale-Abruzzese-Campana, la seconda dalla
Piattaforma Carbonatica Abruzzese-Molisana.
Il Settore nord-orientale del Matese, parte
integrante dell’Area “Conca di Boiano – Piana
di Sepino, si presenta come un’alternanza di
creste e dirupi inaccessibili, profonde valli e
strette gole. I rilievi più alti che si collocano
sulla linea principale dello spartiacque sono
rappresentati dal M. Mutria, dal M. Acerone,
da La Gallinola, dal M. Miletto e dal M.
Morrone, spesso caratterizzati da versanti
a prevalente controllo strutturale (erosione
idrica, frane). Tra i processi morfogenetici
presenti in questo settore l’idrografia di
superfice e quella sotterranea, responsabile
di significativi fenomeni di carsismo
profondo, costituiscono un elemento di
primaria importanza in quanto favoriscono e
sviluppano la genesi di pozzi, inghiottitoi e
grotte, con la presenza di numerose doline,
polje ed uvala.
Figura 1 - Grotta delle Vaschette o Grotta del Pesce
141
VII Convegno Federazione Speleologica del Lazio
Figura 2 - Area geografica. In verde la riserva del WWF
stesso appartiene; in particolare, si può ipotizzare
che la formazione della forra sia dovuta alla
particolare struttura tettonica, distinta da una rete
di fratture che impostano la rete idrografica; alla
litologia del territorio, fatta di calcari stratificati
e banchi dislocati in monoclinali; all’erosione
fluviale, che ha inciso profondamente l’area in
corrispondenza delle fratture, anche per aver
intercettato, durante il suo approfondimento,
fenomeni carsici epigei ed ipogei. In sintesi, il
modellamento del Canyon sarebbe avvenuto per
la convergenza tra morfogenesi fluviale e carsica.
Area di lavoro
Il Canyon del Quirino ricade nell’area protetta
SIC-ZPS più grande della Regione Molise,
denominata “La Gallinola - M. Miletto - Monti
del Matese” e più precisamente all’interno della
Riserva Regionale Naturale di Guardiaregia –
Campochiaro, un’area, istituita nel 2010, di 3.135
ettari e considerata di notevole interesse paesistico
e naturalistico, gestita dal WWF.
La genesi e la storia evolutiva del Canyon si
inquadrano in quelle più ampie del Matese, cui lo
Figura 3 - Area con la maggior concentrazione di cavità. Cerchi gialli: fossati; triangoli blu: campi base.
142
Speleologia del Lazio, 9 | dicembre 2018
Figura 4 - Ad Ovest del Canyon: gli ingressi di Pozzo della Neve e Cul di Bove
Figura 5 - Database delle sorgenti del Molise. Il fiume Quirino nasce da un gruppo sorgentizio che si inserisce nel bacino
intramontano delimitato ad est, a sud e a ovest dalla linea di displuvio Montagna Vecchia – Monte Tre Confini – Monte
Mutria – Passo La Crocella – Costa S. Angelo – Costa Chianetta. Le sorgenti che emergono dai terreni, in genere arenarie
e marne argillose, comprendono: le Sorgenti Piscigli, la Fonte della Ratica, la Fonte Vateferrone, il Rio Vivo, Fonte La
Tagliata, le Sorgenti Bricciarello (prodotte dall’erosione di Monte Mutria) e le Sorgenti di Capo Quirino considerate le
più copiose. Nei pressi di Guardiaregia, il Canyon del Quirino riceve le acque del torrente Vallone Grande attraverso la
spettacolare cascata di San Nicola che, con tre salti, raggiunge un’altezza di circa 100 m.
143
VII Convegno Federazione Speleologica del Lazio
derivante dal crollo della volta, sia la presenza di
speleotemi e di materiale terrigeno, segno di una
stretta relazione con l’idrografia di superficie.
Ad eccezione di alcune (Complesso Grotta dei
Briganti, Camera Nera, Belvedere, Panoramico,
Buco Nero, Veranda dell’Eremita, Gruppo
Alpha, Sala Beta) la Grotta dell’Eremita, la
Grotta del Caprone, la Grotta delle Vaschette o
anche denominata la Grotta del Pesce, la Grotta
di Ros e la Grotta Frittata & Cipolla sono da
considerarsi al momento le più significative
tra quelle osservate. Si va dalla prima, che si
caratterizza per avere una struttura tipicamente
ipogea, con un ingresso basso, un’ampia sala
con una piccola finestra dalla quale si accede
ad uno stretto cunicolo che scende per decine di
metri; per arrivare poi, via via, alle altre, tutte
costituite per lo più da un unico ambiente, con
dimensioni che variano fino ad arrivare ai 40 m
di lunghezza. All’interno di un paio di queste,
inoltre, è da segnalare la presenza di blocchi
calcarei che, ritraendo vagamente i profili di
un caprone e di un pesce (dai quali, il nome
dato rispettivamente alle due grotte), per la
precisione dei suoi tratti, fa supporre che siano
stati modellati dall’uomo.
Storia delle esplorazioni
Le osservazioni e le successive esplorazioni
iniziate nel 2015, tuttora in corso, hanno
evidenziato l’esistenza in parete di una serie
di grotte, sgrottamenti e fratture con una
prevalenza nel versante di Campochiaro rispetto
a quello di Guardiaregia. Più precisamente
in un settore del canyon posizionato a nord
del Ponte di Arcichiaro, dove la presenza di
una serie di valloni, impostati N-NE sulla
gola, contribuisce alla formazione della rete
idrografica del complesso carsico. Attraverso
alcuni Punti Osservazione, dei veri e propri
balconi (7 per la precisione) posizionati lungo
il bordo superiore del canyon, si soni potuti
individuare una serie di obiettivi che, una volta
video-fotografati, sono stati traguardati con
bussola e clinometro. Ciò ha consentito, una
volta eseguita la restituzione su carta IGM,
di individuare in loco i punti dai quali poter
raggiungere (in molti casi sono state utilizzate
delle corde) le aperture. Le cavità esplorate e
rilevate sono caratterizzate prevalentemente da
un andamento orizzontale: all’interno è stato
possibile individuare sia depositi di materiale,
Figura 6 - Gruppo Alpha.
144
Speleologia del Lazio, 9 | dicembre 2018
Figura 7 - Grotta del Caprone.
Figura 8 - Buco Nero.
Figura 9 - Ingresso della Grotta dell’Eremita
Figura 10 - Grotta Frittata & Cipolla
Figura 11 - Vista sul Canyon del Quirino
145
VII Convegno Federazione Speleologica del Lazio
Conclusioni
La grotta dell’Eremita
Lo studio fin qui svolto oltre ad evidenziare
gli aspetti morfogenetici descritti nella parte
introduttiva, ha stabilito anche una relazione
tra l’ambiente carsico e alcuni fenomeni
di antropizzazione. La Grotta dell’Eremita
(versante Campochiaro) e la Grotta di Ros,
parte integrante del Complesso delle Grotte dei
Briganti (versante Guardiaregia), insieme a una
fitta ed intricata rete di sentieri testimoniano
quanto, in epoche remote, fossero state vissute.
In generale, per quanto riguarda le cavità
presenti nella gola e in particolare gli ingressi
di alcune di esse, rimane ancora molto da fare,
considerando che accedervi risulta tecnicamente
più difficile. Inoltre, sarà necessario percorrere
il greto del Torrente Quirino (in parte osservato
dal versante della diga di Arcichiaro) per avere
una visione completa della struttura e acquisire
una nuova prospettiva che aiuti ad individuare
altri ingressi.
La grotta presenta un ingresso alto circa 1 m e
largo 4 m dal quale si accede ad un’ampia sala
di circa 13x8 m alta circa 5 m, alla cui estremità
(N-NO) si apre un cunicolo di ampiezza di circa
1,5 m alto 1 m che scende, su un piano inclinato,
per circa 14 m con un dislivello approssimativo
di 2 m. Il primo ambiente non presenta alterazioni, mentre nel cunicolo è parsa evidente una
netta azione antropica dovuta alla presenza di un
manufatto (muro realizzato sia con malta che a
secco) edificato lungo tutto il fianco sinistro del
cunicolo fino alla base.
Figura 11 - Grotta dell’Eremita: rilievo e foto del cunicolo interno
146
Speleologia del Lazio, 9 | dicembre 2018
Figura 12 - Grotta del Caprone: rilievo
Gruppo di lavoro
Grotta del Caprone
Gaetano Boldrini, Marco Topani, Pietro Cortellessa,
Monica Falcinelli, Antonello Di Pardo, Pino
Mazzulli, Silvia Carrozzo, Franco Catalano, Federica
Cocchi, Valeria Pasqualini, Fabio Tarini, Gabriele
Persia, Piero Festa (ASR) - Fabio Baranello (ASM)
- Cristian Bulli, Marco Colantoni, Laura Bernardi
(GSCAI) - Manuela Merlo (GSG 2007) - Camillo
Tenaglia, Rosario Capparelli (SG).
La cavità è costituita da un ampio salone di
18x17 m con una volta alta 4,5 metri, all’interno della quale si trova una discreta quantità
di arbusti secchi e biancastri recisi nettamente
alla base, ma soprattutto un blocco calcareo
che, ritraendo vagamente il profilo di un caprone (da cui il nome dato alla grotta), per la
precisione dei suoi tratti fa supporre che sia
stato modellato dall’uomo.
Ringraziamenti
Per la disponibilità e cortesia mostrata si ringrazia il Dott. Nicola Merola responsabile dell’Oasi
WWF Guardiaregia-Campochiaro e Michele Marinelli guardaparco della Riserva.
Cartografia
Carta del Parco Regionale “Matese” tav. B scala
1:25000, Regione Campania.
Database delle sorgenti del Molise, Università degli
studi del Molise - Regione Molise Direzione Generale 4° Servizio Geologico - Groundwater Research
Centre Planimetria ZPS, Provincia di Campobasso.
Cartografia, Riserva Naturale Regionale Guardiaregia-Campochiaro Oasi WWF.
F 162 III NO Boiano scala 1:25000, Cartografia IGM.
Figura 13 - Grotta dei Caprone: particolare di un blocco calcareo
a forma di caprone
147
VII Convegno Federazione Speleologica del Lazio
Figura 14 - Quadro generale dei risultati conseguiti: Gruppo Alpha,
Grotta dell’Eremita, Veranda dell’Eremita, Grotta del Caprone,
Belvedere, Panoramico, Camera Nera, Buco Nero, Punto Calata
90, Dolina Area 2, Varie versante Guardiaregia, Sala Gamma,
Salone Beta, Grotta delle Vaschette.
N.B.: PO = Punto Osservazione
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Figura 16 - Grotta dei Briganti, vista dal versante di Campochiaro
148
Speleologia del Lazio, 9 | dicembre 2018
LA RETE REGIONALE DI
MONITORAGGIO
DEI CHIROTTERI
NELLA REGIONE LAZIO
MARCO SCALISI
ALESSANDRA TOMASSINI
sia la “scoperta” di nuove colonie sia il monitoraggio e il controllo di quelle già conosciute.
Riassunto
Le grotte rappresentano un luogo straordinario
particolarmente sensibile, non solo dal punto di
vista delle strutture geologiche ma anche da un
punto di vista biologico. In particolare le grotte ospitano molte specie di Chirotteri, che sono
tutelate da numerose norme tra cui la Direttiva
92/43/CEE “Habitat”. In questa ottica è stata istituita, nella Regione Lazio, una rete per il loro
monitoraggio.
La collaborazione con gli speleologi permette
di integrare i vari aspetti di tutela sia geologica
sia biologica, che, anche nella prospettiva della
L.R. 20/99, diventa un elemento fondamentale
per l’efficacia delle azioni finalizzate alla preservazione di questi delicati ambienti.
Per permettere la funzionalità della Rete, l’intero territorio regionale del Lazio è stato diviso in 15 macro-aree affidate al coordinamento
di altrettanti referenti territoriali. Le attività di
campo sono realizzate grazie al supporto dei rilevatori afferenti alla Rete, ai quali la collaborazione del mondo speleologico può imprimere
una svolta sostanziale nella raccolta dei dati.
La Rete regionale di monitoraggio dei Chirotteri (CHIROnet_Lazio) opera dal 2014 e coinvolge sia soggetti interni che soggetti esterni
all’amministrazione regionale (Università di
Napoli Federico II, Tutela Pipistrelli-onlus,
Gruppo Italiano Ricerca Chirotteri, Federazione Speleologica del Lazio).
Le attività della Rete coinvolgono tutti i territori del Lazio e concentrano l’attenzione sui siti
di roost, dei quali le grotte sono tipologie elettive e particolarmente importanti. L’obiettivo è
quello di raccogliere dati sulle tendenze e sullo
stato di conservazione dei popolamenti, in siti
prescelti e con modalità che consentano la facile e standardizzata raccolta dei dati da parte di
personale qualificato ma non specialista.
Obiettivi
Gli obiettivi della Rete sono molteplici pur vertendo ad un unico scopo, rappresentato dalla
conservazione della natura.
Il primo obiettivo specifico è la rendicontazione
alla Commissione Europea dello stato di conservazione delle specie, per rispondere agli artt.
11 e 17 della Dir. 92/43/CEE “Habitat”. Gli obblighi derivanti da questi due articoli della direttiva sono demandati, con il DPR 357/97, alle
singole regioni.
In questo processo di raccolta dei dati e di monitoraggio dei popolamenti di Chirotteri, il supporto degli speleologi è necessario e fondamentale. Infatti sono gli speleologi, più di altri, a
conoscere le cavità in cui sono presenti questi
animali e a sostenere la conservazione di questi
ambienti. L’apporto degli speleologi riguarda
I dati raccolti permettono di rispondere agli
obblighi di monitoraggio strictu sensu e, come
immediata conseguenza, di adattare la gestione
149
VII Convegno Federazione Speleologica del Lazio
Figura 1 - Immagine restituita dalla termocamera durante
il conteggio diretto in fase di emergenza dei pipistrelli dalle
cavità
Figura 2 - Fotografia utilizzata per il conteggio delle colonie
ibernanti; per quanto possibile la ripresa è effettuata in
maniera azimutale rispetto alla colonia
dei siti sia quando sono parte della Rete Natura 2000, come nel caso delle Zone Speciali di
Conservazione (ZSC), sia nel caso in cui siano
presenti habitat di specie di interesse unionale,
ovvero di specie elencate nell’all. II e IV della
direttiva stessa, anche al di fuori dei siti della
Rete Natura 2000.
Le attività di monitoraggio, in questi primi anni
di funzionamento della Rete, sono state concentrate sulle specie troglofile di pipistrelli e quindi
le visite hanno riguardato, quasi in via esclusiva, siti ipogei naturali e artificiali. Il disegno
del monitoraggio, secondo quanto suggerito da
Elzinga e collaboratori (2001), si è basato sulla semplicità dei metodi, dell’esplorazione dei
luoghi e della replicabilità del controllo; queste
scelte sono state fatte per permettere il monitoraggio di lungo periodo anche tramite personale
non specializzato, seppur formato. L’impiego di
personale non speleologo, ad esempio, ha reso
necessaria la scelta, per il monitoraggio, dei soli
siti sub-orizzontali facilmente visitabili, con
un’unica eccezione (Pozzo Miesole).
L’altro importante obiettivo è di raccogliere
dati che possano essere utili a fini valutativi
sia dalla parte pubblica, solitamente valutativa, che privata, solitamente progettuale o ludico-ricreativa.
Metodi
Dal 2014 è operativa la Rete regionale di monitoraggio dei Chirotteri, denominata CHIROnet_
Lazio, formata da 15 referenti territoriali con
compiti di coordinamento delle macroaree assegnate, 3 referenti specialisti (esterni all’Amministrazione) e 71 rilevatori. La rete è quindi costituita, in via principale, come struttura
istituzionale della Regione Lazio che impiega
quasi totalmente personale della Regione stessa, personale in servizio presso le aree naturali
protette regionali o presso gli altri enti su cui
grava la tutela di specie e habitat di interesse
unionale: i parchi nazionali. Il supporto degli
specialisti esterni è l’elemento essenziale che
garantisce il livello e la qualità dei dati raccolti
e dei metodi utilizzati.
L’obiettivo perseguito in questa specifica attività di monitoraggio (sensu art. 8 DPR 357/97),
meglio definita nella Dir. 92/43/CEE come
sorveglianza dello stato di conservazione, è di
tracciare l’andamento del popolamento di chirotteri nel territorio regionale (parametro popolazione), al fine di gestire, in maniera adattativa, le specie trattate garantendone il buono stato
di conservazione. Al parametro popolazione, si
aggiungono anche gli altri due necessari per rispondere agli obblighi della direttiva, quello del
range e dell’habitat delle specie.
I metodi utilizzati per il conteggio degli animali
sono differenziati in base al periodo fenologico,
tenuto conto che in questa prima fase di avvio
del monitoraggio sono stati controllati quasi
esclusivamente le specie troglofile. Durante il
periodo riproduttivo si utilizza il visual counts
come suggerito, fra gli altri, da Agnelli e collaboratori (2004) durante la fase di emergenza,
ovvero la fase in cui i pipistrelli fuoriescono
dalle grotte al crepuscolo: nel caso della CHI-
Man mano che la Rete si è strutturata e organizzata, i dati che sono stati raccolti hanno
assunto le connotazioni di un monitoraggio in
senso stretto, pur non tralasciando l’attività di
ricerca di nuovi siti e di valutazione di quelli
segnalati.
150
Speleologia del Lazio, 9 | dicembre 2018
Figura 3 - Dislocazione dei siti sottoposti a monitoraggio nel territorio regionale
ROnet_Lazio si utilizza l’osservazione diretta
tramite termocamera (Fig. 1) o telecamera IR.
Solo dopo la fine della fase di emergenza, e
con la supervisione di un mammalogo esperto
di Chirotteri, sono visitati i siti ipogei per la
verifica delle nascite e l’identificazione delle
specie presenti. Entrare nelle cavità solo in assenza degli adulti, o almeno la maggior parte
di essi, garantisce che non vi sia disturbo della colonia e quindi che non vi sia abbandono
del sito, o peggio ancora, degli eventuali nuovi
nati da parte delle madri.
N di
hibernacul nursery: swarming:
stazioni a: specie
specie
specie
visitate
rilevate rilevate rilevate
2013
2014
2015
2016
2017
13
23
35
34
36
2
11
16
15
26
2
12
18
11
14
2
7
0
0
3
Tabella 1 - Visite effettuate durante il periodo di attività della
CHIROnet_Lazio suddivise per anno e per tipologia di roost.
Ogni roost può essere utilizzato dai pipistrelli per uno o più
periodi fenologici e pertanto ogni stazione può essere stata
visitata più volte nell’arco di un anno
Il monitoraggio invernale viene effettuato durante
il periodo più freddo dell’anno perché si presume ci sia il maggior numero possibile di individui
(Kunz et al., 1996). La visita nel rifugio è attuata
da pochi operatori, di norma due, che agiscono
nel minor tempo possibile, riducendo al minimo
il disturbo sonoro e luminoso: sono utilizzate solo
luci a led, ad eccezione del lampeggiatore della
fotocamera, e la tecnica prevede la fotografia della colonia principale per il successivo conteggio;
le riprese sono effettuate, per quanto possibile, in
maniera azimutale (Fig. 2), così da avere il minimo errore di parallasse con conseguente massima visione degli individui presenti. Gli individui
sparsi e i raggruppamenti minori sono contati a
vista e annotati appena terminata la visita.
Risultati
Dal 2013, anno di costituzione della Rete, sono
state effettuate, in maniera mirata, visite negli ipogei in cui era stata rilevata, sulla base dei dati della
banca dati chirotteri della Regione Lazio, una probabilità di presenza di colonie; le visite effettuate
sono sintetizzate nella tabella 1. Nel 2017, la lista
consolidata delle stazioni sottoposte a monitoraggio conta 36 siti (Fig. 3), ognuno monitorato per
una o più fasi fenologiche. Le specie presenti nei
siti sottoposti a monitoraggio sono 15, delle 24
presenti nel Lazio, e riportate in Tab. 2.
151
VII Convegno Federazione Speleologica del Lazio
Figura 4 - Suddivisione del territorio regionale in macroaree; ogni macroarea ha un referente territoriale
Le attività di monitoraggio sono suddivise per
macroaree (Fig. 4), ognuna delle quali affidata ad
un referente territoriale.
Hypsugo savii
Miniopterus schreibersii
Myotis blythii
Myotis capaccinii
Myotis emarginatus
Myotis myotis
Myotis myotis/blythii
Nyctalus leisleri
Pipistrellus kuhlii
Pipistrellus pipistrellus
Plecotus auritus
Rhinolophus euryale
Rhinolophus ferrumequinum
Rhinolophus hipposideros
Tadarida teniotis
I dati raccolti durante i primi anni di funzionamento della CHIROnet_Lazio, hanno permesso
di accumulare importanti informazioni per la gestione dei siti e per la rendicontazione delle popolazioni presenti. Tutti i dati raccolti sono stati
innestati all’interno di una singola banca dati, già
implementata durante un precedente progetto in
cui era stato fatto un punto Ø delle conoscenze
sui Chirotteri nel Lazio e per il quale erano state
visitate molte stazioni per l’acquisizione dei dati
ultrasonori. Sebbene il picco di stazioni visitate
sia stato registrato nel 2008 (Fig. 5), con l’avvio
della rete di monitoraggio aumenta esponenzialmente il numero di individui contattati, ovvero
censiti, dato necessario per iniziare a costruire le
tendenze delle popolazioni (Fig. 6). Tutti i dati
raccolti sono stati collegati, laddove possibile,
con il catasto regionale delle grotte consegnato alla Regione Lazio (Fig. 7) e curato, ai sensi
della L.R. 20/99, dalla Federazione Speleologica
del Lazio (FSL).
Tabella 2 - Lista delle specie di Chirotteri ritrovati durante le
attività di monitoraggio. Il monitoraggio, ad oggi, è effettuato
soprattutto nelle grotte e pertanto le specie rilevate sono
soprattutto quelle troglofile
La raccolta dei dati, seppur parziale, operata
dalla CHIROnet_Lazio, inizia a dare una più
152
Speleologia del Lazio, 9 | dicembre 2018
Figura 5 - Numero di stazioni (punti di campionamento) riportati all’interno della banca dati suddivisi per anno; i dati possono
provenire sia da bibliografia che da rilievi
Figura 6 - Numero di pipistrelli contattati per anno (bibliografia o rilievi); i grandi numeri registrati negli ultimi anni sono
direttamente collegati alle attività di monitoraggio
Il più importante risultato della Rete è però quello di aver fatto sistema con i vari attori che intervengono sul territorio: amministrazioni centrali,
aree naturali protette, ricercatori, speleologi, appassionati e semplici cittadini. Ognuno degli attori coinvolti porta un importante ed insostituibile
chiara entità delle popolazioni presenti, della
loro distribuzione e della concentrazione su singoli siti che ne evidenziano l’importanza (Figg.
8 e 9) e dai quali si possono trarre gli spunti
opportuni per le attività di tutela dei siti, in base
alla numerosità delle colonie e al tipo di roost.
153
VII Convegno Federazione Speleologica del Lazio
Figura 7 - Cavità naturali presenti nel catasto delle grotte consegnato alla Regione Lazio dalla FSL
Figura 8 - Distribuzione delle colonie di Chirotteri nel Lazio con la relativa numerosità
154
Speleologia del Lazio, 9 | dicembre 2018
Figura 9 - Distribuzione delle colonie di Chirotteri nel Lazio con la relativa tipologia di roost
Tidermann, C. R. Pierson, E. D., Racey, P.
A., 1996, Observational Techniques for Bats,
in “Measuring and Monitoring Biological
Diversity, Standard Methods for Mammals”,
105–114. Smithsonian Press, 1996.
contributo alla conservazione delle specie, degli
habitat e più in generale dei luoghi in cui si ritrovano queste specie.
Il prezioso contributo degli speleologi deve essere
consolidato nel più ampio scambio di informazioni ed esperienze, a tutto tondo, che permetta la
conservazione delle specie e degli ambienti ipogei
contemperandola con la fruizione rispettosa e sostenibile delle “grotte” stesse.
Bibliografia
Elzinga, C. L., Salzer, D. W., Willoughby, J. W., Gibbs, J. P., 2001. Monitoring
plant and animal populations, New York.
Blackwell Science.
Agnelli, P., Martinoli, A., Patriarca,
E., Russo, D., Scaravelli, D., & Genovesi, P., (eds), 2004. Guidelines for bat monitoring: Methods for the study and conservation of bats in “Italy. Quad. Cons.
Natura”, 19bis; Min. Ambente – Ist. Naz.
Fauna Selvatica. 216 pp.
Kunz, T. H., Thomas, D. W., Richards, G. C.
155
VII Convegno Federazione Speleologica del Lazio
Laboratorio didattico “Spelunca Docet” - disegno di un alunno
della classe I B (secondaria di primo grado) dell’Istituto
Comprensivo “San Vittorino - Corcolle”
156
Speleologia del Lazio, 9 | dicembre 2018
Geografia carsica
dei Monti Aurunci
Occidentali
Un’analisi distributiva delle cavità nel
territorio come possibile metodo di ricerca
ANDREA CESARETTI - LUCA FORTI
L
o scopo del presente studio è quello di
presentare un approccio di tipo geografico e
sistematico dei fenomeni carsici ipogei nel
territorio dei Monti Aurunci Occidentali mediante
un’analisi distributiva che si è avvalsa di strumenti
propri della statistica e dell’elaborazione dei dati
in ambiente GIS.
altrimenti erano catastate, fino al 2007, solo 67
grotte (SEGRE 1948; CIAUCHE 1979-1984; LA
CIAUCA 1981-1985; MECCHIA ET ALII, 2003;
MECCHIA & PIRO, 2004).
Il lavoro si propone quindi come un’analisi
territoriale, geografica, dell’area dei Monti
Aurunci, nella fattispecie della porzione
occidentale del massiccio, avvalendosi sia dei dati
raccolti negli anni grazie ad una frequentazione
sistematica, sia di quelli ricavati dal formidabile
archivio rappresentato dal “Catasto delle Grotte
e delle Aree Carsiche del Lazio”, senza il
quale ogni forma di memoria legata alle grotte
andrebbe inevitabilmente perduta.
Queste informazioni sono state trasferite in
Introduzione
Un approccio di tipo geografico nella
frequentazione speleologica di un territorio
più o meno vasto, che si parli di un intero
massiccio montuoso fino ad arrivare ad un unico
versante di una singola montagna, permette
senz’altro di aggiungere tasselli importanti
alla conoscenza delle zone prese in esame.
L’indagine ed esplorazione sistematica di tutte
le grotte rinvenute su una superficie, e non solo
di quelle selezionate in base alle uniche variabili
di profondità ed estensione, consente infatti di
ottenere grandi quantità di dati ed informazioni
rilevanti sotto diversi punti di vista: per esempio
storico, geografico, geologico e, non da ultimo,
più propriamente speleologico.
L’attività esplorativa del G.G.C.R. (Gruppo Grotte
Castelli Romani) sui Monti Aurunci (G.G.C.R.,
2010; G.G.C.R., 2013), ubicati nella porzione
più meridionale della Catena dei Volsci (Fig.1),
ha perseguito negli anni questo metodo di ricerca
ottenendo come risultato il “popolamento”,
speleologicamente parlando, di un territorio dove
Figura 1 - Localizzazione dei Monti Aurunci
157
VII Convegno Federazione Speleologica del Lazio
Figura 2 - Carta di distribuzione delle cavità attualmente note sui Monti Aurunci. Indicatori rossi: grotte catastate prima del 2007;
indicatori verdi: grotte catastate tra il 2007 e il 2017
ambiente GIS (Geographical Information System,
LELO, 2010A; LELO, 2010B), attraverso il
quale è stata possibile, in seguito all’elaborazione
di carte di distribuzione, l’estrazione di dati
numerici che, in ultima istanza, sono stati oggetto
di valutazione statistica.
Il fine ultimo dell’analisi è certamente da un lato
la ricostruzione della distribuzione delle cavità
che rappresenta una buona base di partenza per
studi ed osservazioni future, anche a prescindere
dalla lettura interpretativa proposta in questa
sede; dall’altro offrire una stima, seppur ancora
a livello teorico, del potenziale speleologico
del territorio.
solo se i dati numerici in oggetto rappresentano
un campione rilevante da un punto di vista
quantitativo.
Come già affermato precedentemente, l’area dei
Monti Aurunci Occidentali si presta bene ad una
lettura analitica di questo tipo: osservando la carta
di distribuzione (Fig. 2) si noterà come le cavità
attualmente note ammontano a ben 250, delle
quali 163 risultano messe a catasto nei quasi dieci
anni di attività del G.G.C.R. su questo massiccio.
Nella zona presa in considerazione il presente
lavoro propone, dunque, l’applicazione della
specifica analisi statistica del χ² Test, o Goodness
of Fit (BALDI, 1998), una tecnica particolarmente
versatile ed efficace, non a caso abitualmente
utilizzata in campi di studio anche molto diversi
tra loro. Il χ² è un test di verifica di ipotesi che,
su base matematica, permette di decidere se sia
possibile o meno rifiutare l’ipotesi nulla, ovvero
definire se la distribuzione di una popolazione
di dati sia il risultato di casualità o no. L’analisi
può essere di tipo non parametrico o parametrico;
Analisi distributiva delle cavità sul territorio
La distribuzione delle cavità all’interno di una
porzione di territorio ben definita può essere
determinata attraverso l’utilizzo di analisi
statistiche di diverso tipo, le quali assumono valore
158
Speleologia del Lazio, 9 | dicembre 2018
Figura 3 - Carta di distribuzione delle grotte per esposizione dei versanti
nello studio proposto la scelta di quest’ultima
modalità ha visto l’individuazione di tre parametri
strettamente legati alle caratteristiche geografiche
e geomorfologiche del territorio: l’esposizione dei
versanti, la loro acclività e le fasce altitudinali.
Tali criteri sono andati a costituire i filtri che hanno
consentito l’elaborazione di carte di distribuzione
tramite l’utilizzo del software GIS, così da
poter estrarre di volta in volta i dati numerici
rappresentativi della distribuzione delle cavità
sul territorio, infine verificata attraverso l’analisi
statistica sopra descritta.
evidenziato con colori differenti. Aggiungendo la
distribuzione delle cavità è stato possibile estrarre il
numero di grotte per ogni punto cardinale.
Il dato numerico ottenuto è stato poi sistematizzato
in due grafici (Fig. 4 - 5) che comparano il numero
percentuale di grotte per ogni versante e le aree
Distribuzione delle grotte per l’esposizione dei
versanti
La relazione tra le cavità e l’esposizione dei versanti
dei Monti Aurunci in base ai punti cardinali è il primo
parametro preso in esame. La carta estratta (Fig. 3) è il
risultato dell’identificazione dell’esposizione di ogni
versante di tutte le montagne dell’area in questione
in base al proprio punto cardinale, il quale è stato
Figura 4 - Area totale dei versanti (m2)
159
VII Convegno Federazione Speleologica del Lazio
cavità per versante e le superfici complessive di
questi senza concentrazioni significative su uno o
più versanti in particolare.
Tale risultato viene confermato anche dal χ² Test,
che riconsegna infatti una distribuzione casuale
delle grotte in base all’esposizione dei versanti.
Interpretare questo tipo di informazioni rimane
piuttosto complesso: l’ipotesi che potrebbe essere
avanzata vedrebbe la sostanziale omogeneità nelle
porzioni di versanti che sono stati battuti, ovvero
senza predilezioni per versanti esposti in direzione
di un punto cardinale specifico.
Distribuzione delle grotte per l’acclività dei
versanti
Figura 5 - Percentuale di grotte per versante
Il secondo parametro preso in esame riguarda il
grado di acclività dei versanti montani: in questo
caso la carta di distribuzione (Fig. 6) è stata
costruita tenendo differenziati cromaticamente
intervalli di 5 gradi di acclività. Il dato numerico,
estratto e disposto in un grafico che incrocia
totali degli stessi mantenendo, in entrambi i casi, i
punti cardinali come variabile. Osservando questa
seconda elaborazione si noterà fin da subito la
quasi totale e diretta corrispondenza dei dati, che
consiste nella proporzionalità tra la percentuale di
Figura 6 - Carta di distribuzione delle grotte per acclività dei versanti
160
Speleologia del Lazio, 9 | dicembre 2018
per poi calare drasticamente, in altre parole il
numero maggiore di grotte si registra sui versanti
che hanno un grado medio di acclività.
Non a caso anche l’applicazione del χ² Test
restituisce come risultato una distribuzione non
casuale dei dati.
La spiegazione del basso numero di grotte per
versanti con grado di acclività nullo o molto
contenuto (0 – 15 gradi) è probabilmente legata
a motivazioni di natura geomorfologica: le aree
pianeggianti intramontane, sebbene costituiscano
spesso dei bacini chiusi sospesi e, dunque, dei
luoghi privilegiati per la formazione di doline ed
inghiottitoi, ricevono gran parte del materiale di
risulta del dilavamento dei versanti che può andare
ad occludere eventuali ingressi di cavità. A queste
cause di origine naturale bisogna aggiungere
motivazioni antropiche: le zone vallive sono
infatti quelle più favorevoli all’insediamento
e allo sfruttamento della montagna per finalità
agro-pastorali, attività per le quali la presenza
di grotte, nella fattispecie pozzi a cielo aperto, è
tradizionalmente vista come fonte di pericolo.
Figura 7 - Numero di grotte percentuale per l’acclività dei
versanti
numero di grotte e grado di acclività dei versanti
(Fig. 7), vede una situazione più articolata ed
eterogenea rispetto all’analisi precedente. Fin da
subito infatti è possibile notare come la curva
risultante cresca in progressione fino a toccare
un picco positivo per quei versanti che hanno un
grado di acclività compreso tra i 30 e i 35 gradi
Figura 8 - Carta di distribuzione delle grotte per fasce altimetriche
161
VII Convegno Federazione Speleologica del Lazio
Distribuzione delle grotte per fasce altimetriche
Il terzo ed ultimo parametro preso in considerazione
è il rapporto che intercorre tra le grotte e le fasce
altimetriche. In questo caso per la cartografia di
riferimento è stato possibile sfruttare direttamente
il DEM (Digital Elevation Model, BAIOCCHI &
GIANNONE, 2010), rielaborato differenziando
intervalli di 200 m, partendo da 28 m s.l.m. fino a
1533 m s.l.m. (Fig. 8).
L’estrazione del dato numerico e la conseguente
costruzione della curva nel grafico di riferimento
mostrano risultati non troppo diversificati rispetto
a quelli restituiti dall’analisi descritta appena
sopra. Anche in questo caso infatti il χ² Test
riconsegna una distribuzione non casuale.
La curva (Fig. 9) mostra nuovamente una crescita
progressiva con un picco che rappresenta i numeri
maggiori di ingressi che si aprono su quote medio
– alte (800 – 1400 m s.l.m.), aree di massiccio
montuoso meno antropicamente sfruttate, ma più
speleologicamente allettanti e rilevanti.
Discorso a sé merita l’ultimo setto del grafico
Figura 9 - Numero di grotte percentuale per fascia altimetrica
Le cause del calo drastico dei valori per versanti
con acclività superiore ai 35 gradi sono invece
individuabili direttamente nella frequentazione
speleologica del massiccio montuoso: ricercare
ingressi di cavità tramite battute territoriali
sistematiche su versanti troppo acclivi risulta
essere più complesso, se non, alle volte,
impossibile.
Figura 10 - Carta di distribuzione della densità delle grotte
162
Speleologia del Lazio, 9 | dicembre 2018
Figura 11 - Carta di distribuzione della densità delle grotte per acclività dei versanti
(1400 – 1533 m s.l.m.) che sta a rappresentare la
massima elevazione topografica degli Aurunci,
il Monte Petrella, la cui zona sommitale rimane
una delle zone a più alta densità di grotte dell’area
presa in esame, e probabilmente anche di tutto il
Lazio. Isolando l’area di densità massima di grotte,
che misura 1,2654 km², ovvero la fascia compresa
tra la Cima del Petrella, Mt. Campetelle (SO) e
Cima dello Stretto (NE) per una fascia altitudinale
compresa tra 1533 m s.l.m. e i 1300 m s.l.m.,
risultano 19 grotte per km². La zona, pertanto,
sarà sicuramente oggetto di un approfondimento
specifico futuro.
Come si è visto precedentemente le ipotesi che
possono essere avanzate per spiegare i risultati
di questa analisi sembrano essere strettamente
legati a motivazioni di frequentazione antropica
del massiccio, sia speleologica che non, che
evidentemente hanno influenzato in maniera
diretta la visibilità delle cavità sul territorio. Se si
prende come vera l’interpretazione del fenomeno
proposta in questa sede si può quindi desumere
che le aree con maggiore quantità di cavità (es.
Mt. Petrella, Mt. Altino) siano anche quelle che
sono state più frequentate perché sembrano
presentare quelle caratteristiche “più favorevoli”
emerse dai risultati delle analisi parametriche
precedentemente esposte, ovvero un’acclività
media dei versanti e un’altitudine medio-alta. Con
questo non si vuole escludere l’importanza che
sicuramente ricoprono fattori e processi geologici,
geomorfologici, speleogenetici e speleologici a
riguardo, aspetti che potranno attivamente essere
oggetto di specifiche analisi future.
Applicando infine, attraverso il software GIS, la
Kernel density estimation (HOROVÀ ET ALII
Conclusioni e prospettive future
L’analisi della distribuzione geografica delle
grotte sul territorio mostra come l’applicazione
del χ² Test abbia riconsegnato per due parametri
(acclività dei versanti e fasce altitudinali) una
distribuzione non casuale del dato numerico e solo
in un caso (esposizione dei versanti) una casuale.
163
VII Convegno Federazione Speleologica del Lazio
Figura 12 - Carta di distribuzione della densità delle grotte per fasce altimetriche
2012; SILVERMAN 1986), è stato possibile
delineare le concentrazioni di grotte diverse,
stimate su km², definendo porzioni di territorio
con aree ad alta e bassa densità di cavità (Fig. 10).
A conclusione è stato possibile realizzare
un’elaborazione teorica basata sulla sottrazione,
dalla carta di distribuzione della densità, delle
aree “meno favorevoli”, perché più difficilmente
frequentabili (Fig. 11). In questo modo sono
state evidenziate solo quelle porzioni di territorio
che i parametri di acclività dei versanti e fasce
altitudinali indicano come potenzialmente foriere
di un numero maggiore di grotte, per i motivi
precedentemente esposti (Fig. 12). Mantenendo
su queste due nuove carte di distribuzione le linee
di margine delle aree a densità media ed alta si
sono ottenute a tutti gli effetti porzioni di terreno
meno frequentate e che potrebbero, almeno
ipoteticamente, rappresentare un potenziale, se
non uguale, quantomeno simile alle aree finora
indagate sistematicamente.
I risultati di questo studio teorico potranno
trovare un’applicazione pratica in futuro con
battute sul terreno prendendo proprio in esame
le aree meno indagate, ma con caratteristiche più
favorevoli per confutare o meno la validità delle
ipotesi formulate.
Ringraziamenti
Si ringrazia per l’aiuto nelle analisi statistiche e
nell’elaborazione dei dati Luca Alessandri, per i
consigli e la revisione del testo Paolo Dalmiglio e
Lavinia Giorgi.
164
Speleologia del Lazio, 9 | dicembre 2018
Bibliografia
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in Munafò M. (a cura di), “Rappresentare il
territorio e l’ambiente”, Acireale – Roma, pp.
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in Munafò M. (a cura di), “Rappresentare il
territorio e l’ambiente”, Acireale – Roma, pp.
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Lelo K., 2010b, Principi di basi di dati, in
Munafò M. (a cura di), “Rappresentare il territorio
e l’ambiente”, Acireale – Roma, pp. 287-292.
Baldi P., 1998, Calcolo delle probabilità e
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La Ciauca, 1982, La “Ciauca”. Voce del Circolo
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La Ciauca, 1982, La “Ciauca”. Voce del Circolo
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La Ciauca, 1983, La “Ciauca”. Voce del Circolo
Speleologico Esperiano, n. 5.
La Ciauca, 1985, La “Ciauca”. Voce del Circolo
Speleologico Esperiano, n. 6.
165
VII Convegno Federazione Speleologica del Lazio
Laboratorio didattico “Spelunca Docet” - disegno di un alunno
della classe I B (secondaria di primo grado) dell’Istituto
Comprensivo “San Vittorino - Corcolle”
166
Speleologia del Lazio, 9 | dicembre 2018
Chiavica, ciavica, ciauca:
diversi modi per chiamare una grotta?
LAVINIA GIORGI
L
’articolo indaga i termini dialettali
usati per definire le cavità carsiche,
concentrandosi in maniera prevalente
sull’esegesi dell’etimologia dei lemmi e sulla
verifica dell’eventuale esistenza di relazioni
tra il significato delle parole in questione e
la morfologia degli ingressi delle grotte. La
varietà terminologica dialettale sembra, infatti,
dipendere dalla percezione degli abitanti locali
di fronte all’evidenza superficiale del fenomeno
carsico ipogeo.
L’area presa in esame è quella della Catena dei
Volsci, nel Lazio meridionale, comprendente, a
partire da nord, i Monti Lepini, Ausoni e Aurunci
(fig. 1): si tratta di uno spazio circoscritto, dal
momento che la ricerca proposta è assolutamente
sperimentale, per cui, in questa prima fase, si è
scelto di concentrarsi su un areale ridotto. Tale
territorio si è rivelato utile ai fini dello studio
condotto perché interessante sia dal punto di
vista speleologico, in quanto intensamente
frequentato dagli speleologi laziali soprattutto
provenienti da Roma e dintorni, sia dal punto di
vista linguistico perché nella Carta dei dialetti
d’Italia di G. B. Pellegrini (PELLEGRINI,
1977) l’area è attraversata dalla linea che
distingue due macro-aree, quella dei dialetti
mediani e quella dei dialetti meridionali (fig. 2).
Ulteriore scopo di questa ricerca è stato, quindi,
quello di proporre una spiegazione per la
distribuzione dei sinonimi dialettali di grotta,
tenendo in considerazione i tratti distintivi dei
vernacoli parlati nei paesi della Catena dei
Volsci, validi anche per definire i mutamenti
fonetici alla base dell’evoluzione etimologica
dei termini presi in esame. Questi sono stati
ricavati dal “Catasto delle Grotte e delle Aree
Carsiche del Lazio”, suddivisi tra italiani e
dialettali e messi in relazione sulla base di
attinenze linguistiche e/o semantiche (fig. 3),
dal momento che, di solito, le parole del lessico
dialettale hanno origine da lemmi italiani. Per
questo si è dimostrata molto utile l’analisi
specificamente linguistica dei vocaboli in
questione, che ha permesso di risalire a ipotetici
archetipi italiani, gettando luce sul possibile
significato dei nomi indagati, rivelatore delle
sensazioni dei locali di fronte agli ingressi delle
cavità.
Verranno dunque considerati singolarmente i
lemmi individuati per cercare di rispondere agli
obiettivi sopra esposti.
Ouso
L’etimologia del termine ouso è quanto mai
oscura, ma una delle proposte avanzate in
questo studio ha tentato di individuare la sua
origine nella parola buco, su cui sarebbero
intervenute massicce mutazioni fonetiche,
spiegabili attraverso l’intervento di fenomeni
linguistici sia propri dell’italiano in generale,
sia specifici dell’area di diffusione di questa
parola (fig. 4).
Innanzitutto sembrerebbe essere intervenuto
il raddoppiamento fonosintattico (BERRUTO
& CERRUTI, 2011), fenomeno linguistico
specifico di tutta l’area centro-meridionale,
esclusa la Toscana, perciò coerente con la
zona presa in esame in questa ricerca. Esso si
manifesta attraverso l’intensificazione della
pronuncia della consonante iniziale di una
Figura 1 - La Catena dei Volsci (elaborazione grafica di L.
Alessandri)
167
VII Convegno Federazione Speleologica del Lazio
Figura 2 - La situazione dialettale del Lazio come si presenta nella Carta dei dialetti d’Italia di G. B. Pellegrini, con particolare
attenzione all’area evidenziata nel Lazio meridionale, corrispondente alla Catena dei Volsci (elaborazione grafica di L. Alessandri)
Figura 3 - Relazioni fonetiche e semantiche tra i nomi dialettali e non dialettali usati per definire genericamente una cavità carsica
(elaborazione grafica di L. Giorgi)
168
Speleologia del Lazio, 9 | dicembre 2018
Figura 4 (in alto) - Carta di distribuzione del nome ouso sulla Catena dei Volsci; Figura 5 (in basso) - Carta di distribuzione dei
nomi oviso e ovuso sulla Catena dei Volsci (elaborazione grafica di L. Alessandri)
169
VII Convegno Federazione Speleologica del Lazio
parola quando questa è preceduta da un altro
lemma in italiano uscente in vocale, risultante
tuttavia dalla caduta di un’antica consonante
finale propria del latino (SERIANNI, 1998;
LOPORCARO, 1997). Si potrebbe immaginare,
pertanto, un esito fonetico /lobbuco/, con
geminazione, ovvero raddoppiamento, della
consonante labiale sonora iniziale, /b/, del
sostantivo, che, stando alla spiegazione del
fenomeno succitato proposta da M. Loporcaro
(LOPORCARO, 1997), manifesterebbe la
derivazione dell’articolo determinativo dal
pronome/aggettivo dimostrativo latino ILLE,
ILLA, ILLUD, preso nel caso accusativo,
quindi ILLUM, ILLAM, ILLUD. Infatti “lo”
deriva da (<) (IL)LU(M), con aferesi, cioè
caduta in posizione iniziale, della prima sillaba
e apocope, cioè scomparsa in fine di parola,
di un fonema, in questo caso la consonante
nasale bilabiale, /m/. Di questa rimarrebbe il
retaggio nella prima occlusiva labiale sonora
di /lobbuco/, originatasi tramite assimilazione
regressiva, conseguenza dell’incontro della
–M del pronome/aggettivo dimostrativo con
la b- di buco, cosicché il secondo fonema
avrebbe condizionato il primo fino a renderlo
uguale a se stesso. Tale accorpamento, o
univerbazione, dell’articolo con il sostantivo
avrebbe potuto generare una forma *lobbuco,
non attestata, ma verosimilmente esistita nel
parlato. Questa espressione sembra rivelarsi
interessante anche relativamente al diverso
uso nell’italiano antico, rispetto all’italiano
moderno, delle due forme in cui si presenta
l’articolo determinativo maschile singolare,
“lo” e “il”. La scelta dell’uno o dell’altro un
tempo era determinata dalla cosiddetta norma
Gröber, così chiamata perché proposta dallo
studioso tedesco omonimo, il quale notò che
un tempo “il” si trovava dopo parole uscenti
in vocale, mentre “lo” era usato in posizione
iniziale e dopo parole terminanti in consonante,
come dimostrerebbero espressioni ormai fisse
come “per lo più” o “per lo meno” (GRÖBER,
1877). Il motivo dell’oscillazione dell’articolo
risiede nell’indebolimento di “lo”, forma
inizialmente generalizzata, dopo parole che
terminavano in vocale, per cui si sarebbe
ridotto a “’l” e, col tempo, avrebbe sviluppato
una vocale d’appoggio iniziale, passando a
“il”, “el” in toscano (SERIANNI, 1998).
Il termine ipotizzato *lobbuco, in una fase
successiva, sarebbe stato riscomposto in
articolo e nome tramite l’azione del fenomeno
della discrezione, ovvero la divisione di una
parola in due o più elementi riconosciuti come
morfologicamente indipendenti (SERIANNI,
1998; MAGNI, 2014). Tuttavia in questo
caso specifico la segmentazione si è rivelata
errata, avendo dato come risultato l’òbbuco,
attestato nella denominazione della Risorgenza
dell’Obbuco (17 La) a Falvaterra.
Per ricostruire l’evoluzione etimologica da
buco a ouso sembrerebbe doversi immaginare,
contestualmente o successivamente a òbbuco,
anche l’esistenza di una forma *òbuco, con
consonante occlusiva labiale sonora scempia,
ovvero non doppia, /b/. Inoltre la consonante
occlusiva velare sorda, /k/, in posizione
intervocalica, per effetto di un’assimilazione
bidirezionale parziale tale che le due vocali
adiacenti hanno influenzato da entrambi i lati
la consonante (MAGNI, 2014), sarebbe passata
ad affricata palatale sorda, /tʃ/, secondo il
fenomeno della palatalizzazione (SERIANNI,
1998; BERRUTO & CERRUTI, 2011; MAGNI,
2014). L’esito sarebbe stato dunque *òbucio, da
cui *òbuso con assibilazione (ZINGARELLI,
2008), cioè trasformazione in sibilante della
consonante affricata palatale sorda, /tʃ/, forse
attraverso il passaggio intermedio a /ʃ/, proprio
del dialetto romanesco, prima di approdare
a /z/, risultato giustificabile ricorrendo al
processo di lenizione, ovvero indebolimento
fonetico (ZINGARELLI, 2008; MAGNI,
2014), conforme alla tendenza generale di tutte
le lingue alla semplificazione (BERRUTO &
CERRUTI, 2011; MAGNI, 2014).
A questo punto si potrebbe individuare l’azione
del fenomeno del betacismo o spirantizzazione
(SERIANNI, 1998; LOPORCARO, 2009)
che, seppure ha conosciuto precedenti
realizzazioni nella fase del passaggio dal latino
alle lingue romanze, si dimostra ora distintivo
dei dialetti dell’area centro-meridionale. Si
tratta dell’alternanza tra /b/ e /v/ in posizione
intervocalica, spiegabile evocando una
consonante intermedia, la fricativa bilabiale
sonora, /β/, non attestata come fonema in
italiano, mentre esistente in spagnolo, che
presenta da un lato il medesimo luogo di
articolazione (BERRUTO & CERRUTI, 2011)
dell’occlusiva bilabiale sonora, /b/, dall’altro
lo stesso modo di articolazione della fricativa
labio-dentale sonora, /v/. Tale fenomeno
avrebbe prodotto l’esito òvuso, poco attestato
solo sui Monti Lepini, perciò a nord della
linea di demarcazione delle aree dei dialetti
mediani e meridionali; da òvuso sarebbe
potuta derivare la variante òviso, anch’essa
presente solo in zona lepinica (fig. 5), forse
interpretabile come risultato della volontà di
dissimilare, dunque diversificare (BERRUTO
& CERRUTI, 2011; MAGNI, 2014), il timbro
scuro delle vocali /o/ e /u/.
A quest’ultima alternativa sembra potersi
170
Speleologia del Lazio, 9 | dicembre 2018
collegare il termine ovizzo, dove è stata
ampiamente rafforzata la pronuncia della
fricativa dentale sonora, /z/, fino a trasformarla
in affricata dentale sorda geminata /ts:/. Il nome
tuttavia non sembra comparire sui Lepini,
bensì sugli Ausoni, tra i comuni di Pastena e
Falvaterra, rendendosi così ipoteticamente
peculiare di tale zona, come sembrerebbe valere
per òbbuco (fig. 6).
Tornando a òvuso, da questo si sarebbe
generato alla fine ouso grazie all’assimilazione
bidirezionale totale della consonante fricativa
labio-dentale sonora, /v/, in posizione
intervocalica, che sarebbe ipoteticamente
divenuta dapprima semivocale (BERRUTO
& CERRUTI, 2011) /w/, poi vocale /u/ e di
conseguenza assorbita dalla vocale identica che
la seguiva.
Osservando a questo punto la distribuzione del
termine dialettale ouso e delle parole costituenti
i passaggi intermedi nell’evoluzione etimologica
da buco in rapporto con le attestazioni di
quest’ultimo vocabolo (fig. 7), si può notare
come, mentre la parola italiana sia diffusa
più omogeneamente in tutta la Catena dei
Volsci, i lemmi vernacolari siano concentrati
esclusivamente sul massiccio dei Monti Lepini.
Un simile addensamento si potrebbe forse
spiegare qualora fosse possibile individuare
elementi linguistici peculiari della zona in
questione, per cui, avendo intrapreso una ricerca
in tal senso, sembrerebbe emergere un solo fattore
probabilmente distintivo, cioè la palatalizzazione
della consonante velare sorda che ha determinato
il passaggio da buco a bucio.
Non è da escludere, tuttavia, un’altra
possibile etimologia del termine indagato,
alla quale si potrebbe approdare riflettendo
sulla definizione di ouso e oviso, proposta da
A. G. Segre in un articolo degli Atti del VII
Congresso Nazionale di Speleologia (SEGRE,
1956). Egli considera i termini come sinonimi
di “abisso, inghiottitoio profondo, gorgia”
e, pur proponendo un’esegesi della parola
ouso molto diversa rispetto a quella fornita
in questa sede, accosta il lemma ad avisu,
attestato in Puglia, che lascerebbe supporre
un’origine da abisso. Pertanto l’avvicinamento
presentato da A. G. Segre potrebbe suggerire
un’eventuale etimologia di ouso da abisso.
Se così fosse, l’evoluzione fonetica del
vocabolo si spiegherebbe innanzitutto tenendo
in considerazione il termine intermedio
*aviso, non presente nel Catasto laziale, ma,
come già sopra ricordato, testimoniato nella
regione pugliese, nel quale bisognerebbe
riconoscere una retrocessione dell’accento
alla prima sillaba, *àviso, conformemente
all’accentazione della parola greca originaria,
ἂβυσσος.
Il passaggio da abisso ad *àviso si esplica
linguisticamente con l’azione del fenomeno
del betacismo, precedentemente illustrato
(SERIANNI, 1998; LOPORCARO, 2009), e
con lo scempiamento della sibilante (fricativa
dentale) in posizione intervocalica, forse per
semplificare la pronuncia del fonema geminato.
Si potrebbe poi immaginare un elemento
*àuiso, dove la consonante fricativa labiodentale sonora intervocalica, /v/, è divenuta
semivocale /w/ per effetto dell’assimilazione
bidirezionale
delle
vocali
adiacenti.
Successivamente sarebbe intervenuto un altro
fenomeno linguistico attestato già nel latino
tardo, perciò generalizzato in tutta la lingua
italiana, che consiste nella sincope, cioè caduta
in posizione interna di parola (SERIANNI,
1998; BERRUTO & CERRUTI, 2011;
MAGNI, 2014), della vocale postonica, ovvero
del fonema vocalico che si trova nella sillaba
successiva a quella accentata (SERIANNI,
1998), producendo infine l’esito auso.
Facilmente sembra potersi giustificare
l’evoluzione in òso, con l’intervento
di un ulteriore fenomeno proprio del
passaggio dal latino tardo all’italiano, cioè
il monottongamento (MAGNI, 2014) del
dittongo /aw/ in /ɔ/ (SERIANNI, 1998), anche
se il termine esula dall’argomento dell’articolo
poiché non è registrato nel “Catasto delle
Grotte e delle Aree Carsiche del Lazio” per le
cavità della Catena dei Volsci.
Meno manifesta sembrerebbe la spiegazione
della derivazione di ouso da auso, che si
potrebbe comunque motivare riconoscendo
l’azione dell’assimilazione regressiva prodotta
dalla /u/ sulla vocale precedente, che avrebbe
così scurito il suo timbro.
Osservando dunque la distribuzione del termine
dialettale in relazione a quella dell’etimo
italiano (fig. 8), si riscontra una situazione
simile a quella presentatasi accogliendo
l’origine di ouso da buco, secondo la quale la
parola italiana abisso è omogeneamente diffusa
su tutta l’area indagata, prevalentemente
dove sono presenti cavità verticali, mentre
il lemma vernacolare risulta peculiare della
zona lepinica. Diversamente, però, dalla
proposta precedente, qualora si accettasse la
derivazione di ouso da abisso, non sembrano
potersi individuare fenomeni linguistici
distintivi dei dialetti dell’area in questione
che giustificherebbero l’addensamento delle
attestazioni del lemma sui Monti Lepini, così
da rendere, almeno all’avviso di chi scrive, più
verosimile la prima ipotesi avanzata.
171
VII Convegno Federazione Speleologica del Lazio
Figura 6 (in alto) - Carta di distribuzione dei nomi ovizzo, oviso e obbuco sulla Catena dei Volsci; Figura 7 (in basso) - Carta di
distribuzione dei nomi buco, obbuco, ovuso e ouso sulla Catena dei Volsci (elaborazione grafica di L. Alessandri)
172
Speleologia del Lazio, 9 | dicembre 2018
Figura 8 - Carta di distribuzione dei nomi abisso e ouso sulla Catena dei Volsci (elaborazione grafica di L. Alessandri)
sinonimo di inghiottitoio, in quanto formatosi
dal probabile incontro della preposizione greca
κατὰ con l’aggettivo italiano “basso”, del
quale rafforzerebbe il significato. Si potrebbe,
pertanto, immaginare una forma iniziale
*catabasso, da cui catavasso per azione del
fenomeno del betacismo (SERIANNI, 1998;
LOPORCARO, 2009). A validare tale ipotesi
può considerarsi interessante la morfologia
degli ingressi delle cavità così denominate,
come ad esempio il Catravasso Verde (484 La)
(fig. 11), dall’aspetto conforme alla definizione
del lemma e al suo significato etimologico.
Un altro termine caratterizzato dalla presenza
di κατὰ sembrerebbe essere scatrafossa
(SEGRE, 1956), in quanto evoluzione dialettale
di catafossa, attestato sempre nell’opera di
S. Conti (CONTI, 1984). In questa sede la
definizione fornita è di “luogo stretto e buio”,
che ben si addice alla descrizione di una
grotta, in particolare se vista dall’ingresso.
L’esito finale, attestato solo nel comune di Cori
(CASTELLI, 1958) (fig. 10), si spiega con la
pròstesi, cioè inserimento a inizio di parola
(SERIANNI, 1998; BERRUTO & CERRUTI,
2011), di una consonante sibilante sorda, /s/, e
l’epentesi, ovvero aggiunta interna di un fonema
in una parola (SERIANNI, 1998; BERRUTO
Catauso, catravasso e scatrafossa
Un composto di ouso potrebbe essere considerato
il termine catauso (SEGRE, 1956), dove è stata
inserita, come prefisso, la preposizione greca
κατὰ, kata’, cioè “giù”, probabilmente utile
a specificare il significato di buco portato da
ouso, evidenziando lo sviluppo verticale della
cavità immediatamente all’ingresso. Le uniche
due attestazioni del vocabolo nell’area della
Catena dei Volsci (Il Catauso, 30 La, a Sonnino,
e Grotta del Catauso, 133 La, ad Artena), infatti,
si presentano all’esterno come grandi voragini
nel terreno (fig. 9), veri e propri inghiottitoi,
abissi, di cui il termine catauso, quindi,
sembra rappresentare un sinonimo dialettale
(CASTELLI, 1958).
La preposizione greca κατὰ si ravviserebbe
anche in un altro lemma dialettale, catravasso,
storpiatura dialettale di catavasso, concentrato
a Carpineto Romano (fig. 10), con una sola
attestazione a Maenza (Catravasso a Femmina
Morta, 816 La). L’ipotetico termine originario
catavasso è stato definito da S. Conti come
una “cavità carsica con una certa ampiezza
dell’imbocco da cui entra luminosità, sì da
renderne visibile l’interno” (CONTI, 1984) e la
sua etimologia lo farebbe apparire come altro
173
VII Convegno Federazione Speleologica del Lazio
- risultato del fenomeno di dilazione, consistente
in un’assimilazione che coinvolge elementi a
distanza (MAGNI, 2014). Nel caso specifico
il timbro della vocale finale sarebbe stato
condizionato da quello della vocale tonica
(tonico è termine tecnico della linguistica per
indicare la presenza di accento, inteso come
l’intensità di pronuncia di un elemento fonico,
cfr. BERRUTO & CERRUTI, 2011);
- notazione del genere neutro, la cui oscillazione
con il maschile è documentata in molti dialetti
mediani e alto-meridionali, anche se le vocali
coinvolte sembrano prevalentemente essere –u
e –o, non la –e (LOPORCARO, 2009);
- riproduzione più fedele della parola francese
bréche, da cui il termine italiano è stato
importato, se si accetta la derivazione del
lemma in questione da breccia come spaccatura
(ZINGARELLI, 2008).
Purtroppo appare assai complesso stabilire con
certezza quale ipotesi sia da considerare la più
valida.
Chiavica, ciavica, ciauca
Il termine chiavica è proprio della lingua
italiana e definito nel Vocabolario Zingarelli
come “fogna, cloaca” (ZINGARELLI, 2008),
derivando dalla versione del latino tardo
*CLĀVĬCA(M), sinonimica della forma
classica CLOACA.
La parola popolare si sarebbe evoluta in
chiavica secondo alcune norme linguistiche
che regolano il passaggio dal latino all’italiano,
come il trattamento del nesso consonantico
CL-, che nella nostra lingua diventa /kj-/. Tale
fenomeno si realizza solo se il gruppo uscente
con la consonante laterale, /l/, è seguito da una
vocale e prende il nome di palatalizzazione, in
quanto si tratta di una forma di assimilazione che
avvicina il luogo di articolazione della laterale
a quello della vocale successiva, come accade,
per esempio, anche nel caso di CLAVEM >
chiave, FLOREM > fiore o AMPLUM > ampio
(SERIANNI, 1998).
Relativamente al trattamento delle vocali,
invece, sembra riscontrarsi un’anomalia, dal
momento che l’esito atteso da CLĀVĬCA(M)
sarebbe dovuto essere chiaveca, secondo il
vocalismo atono dell’italiano (fig. 12), per
cui si potrebbe ipotizzare l’esistenza di una
forma latina con -Ī- (/i/ lunga) per spiegare la
forma chiavica. Tuttavia è verosimile anche
immaginare un’oscillazione tra la parola
propriamente latina e l’evoluzione italiana,
del resto attestata (SEGRE, 1956), che si
sarebbe risolta a vantaggio del primo lemma,
cosicché il toponimo chiavica risulta senz’altro
Figura 9 - Ingresso del Catauso (30 La) di Sonnino (Foto di
M. G. Lobba)
& CERRUTI, 2011), in questo caso di una
vibrante, /r/, nella seconda sillaba.
Bréce
La denominazione bréce potrebbe essere
considerata semanticamente vicina a buco
e alle sue varianti, dal momento che si può
spiegare come evoluzione dialettale della parola
breccia, che, in quanto definita come “apertura,
spaccatura”, evocherebbe la morfologia degli
ingressi delle cavità carsiche. Infatti già A. G.
Segre propose come sinonimo di tale lemma
inghiottitoio, non mancando però di citare anche
l’ulteriore significato di “dolina” (SEGRE, 1956;
CASTELLI, 1958), forma carsica superficiale
che, tuttavia, vista da lontano, potrebbe lasciar
immaginare, sia ai locali che agli speleologi, la
presenza di una grotta.
Al livello linguistico, per quanto riguarda il
consonantismo si può rilevare lo scempiamento
della consonante affricata palatale sorda
geminata, /tʃ:/, fenomeno della cui azione non
sono ben chiare le motivazioni.
Relativamente al vocalismo del termine, invece,
il mutamento della vocale finale potrebbe avere
varie spiegazioni:
174
Speleologia del Lazio, 9 | dicembre 2018
Figura 10 - Carta di distribuzione dei nomi catauso, catravasso e scatrafossa sulla Catena dei Volsci (elaborazione grafica di
L. Alessandri)
maggiormente esteso rispetto a chiaveca, in
realtà assente nella Catena dei Volsci, basandosi
sulle attestazioni del “Catasto delle Grotte e
delle Aree Carsiche del Lazio”.
L’uso del termine in ambito speleologico a
designare un inghiottitoio carsico (CONTI,
1984; MARINO, 2013), infatti, pare diffuso
omogeneamente in tutto il Lazio, dunque anche
sull’area qui presa in esame, dal momento che
si tratta di una parola italiana (fig. 13). Una
simile distribuzione lascia inoltre intuire come
una specifica conformazione degli ingressi di
alcune grotte condizioni l’immaginario di tutti
coloro che vi si imbattono, trasmettendo l’idea
dell’inghiottimento, dal momento che spesso
tali cavità, similmente alla funzione delle fogne,
drenano l’acqua che, scendendo dalle zone più
alte, trascina con sé tutto ciò che incontra lungo
il suo tragitto.
Si potrebbe pertanto desumere che, se gli
speleologi provenienti da ambienti cittadini
avrebbero usato la parola italiana chiavica
per denominare tali cavità, gli abitanti degli
insediamenti sulla Catena dei Volsci invece,
più verosimilmente, si sarebbero avvalsi di
evoluzioni dialettali, quali ciavica, ciaveca,
ciavoca, ciauca, con i loro derivati ciavocozza,
ciaucozza e ciaucone.
Il primo termine, ovvero ciavica, si spiega con
l’azione della palatalizzazione della consonante
occlusiva velare sorda, /k/, che si assimila alla
vocale che segue, divenendo una consonante
affricata palatale sorda, /tʃ/.
In alcuni casi un’ulteriore trasformazione
avrebbe generato il vocabolo ciauca, attraverso
il passaggio intermedio e non attestato *ciauica,
dove la consonante fricativa labiodentale sonora,
/v/, in posizione intervocalica si sarebbe mutata
in semivocale /w/ per azione dell’assimilazione
bidirezionale parziale prodotta dalle vocali
adiacenti. Successivamente sarebbe caduta la
vocale postonica, -i-, producendo così l’esito
finale ciauca.
Ciaveca e ciavoca, invece, costituiscono varianti
di ciavica meno attestate e deriverebbero
rispettivamente da chiaveca, di cui già si è detto
sopra, e *chiavoca, esito della forma alternativa
del latino tardo *CLAVOCA.
L’appartenenza di questi ultimi quattro nomi
al vocabolario vernacolare sembra avvalorata
dalla distribuzione dei termini sull’area indagata
in questa ricerca, dal momento che appaiono
175
VII Convegno Federazione Speleologica del Lazio
Figura 11 - Ingresso del Catravasso Verde (484 La) nel comune di Carpineto Romano (Foto di M. G. Lobba)
concentrati esclusivamente sui Monti Aurunci,
di contro alla dispersione di chiavica su tutta
la Catena dei Volsci (fig. 14). Tale osservazione
potrebbe consentire quindi di sostenere che
nell’evoluzione fonetica da chiavica a ciauca
siano intervenuti fenomeni specifici dei dialetti
del massiccio più meridionale della zona
interessata da questo studio, che, considerando
la suddivisione delle macro-aree dialettali
dell’Italia proposta da G. B. Pellegrini,
rientrano tra quelli meridionali, distinguendosi
dalle parlate dei Monti Lepini e Ausoni, inserite
nella zona mediana.
L’unica trasformazione che si può considerare
distintiva del massiccio aurunco è la
palatalizzazione ulteriore del nesso consonantico
latino CL- in /tʃ-/, particolarmente attestata
presso Pontecorvo (SARRO, 2005), che tuttavia
non sembra trovare ulteriori riscontri neanche
tra i vernacoli dell’area meridionale.
Del primo lemma si può facilmente ricostruire
l’etimo, individuabile nell’aggettivo latino di
seconda classe GRAVIS, -E, dal cui accusativo
GRAVE(M) deriva l’aggettivo italiano grave.
Nel lessico speleologico tale vocabolo, che si
manifesta nella variante grava, sembra aver
mantenuto uno dei valori semantici del latino,
corrispondente a “profondo”, dal momento che
è attestato prevalentemente per designare cavità
che si aprono immediatamente su una verticale,
comunicando così l’idea della profondità, tanto
che M. R. Castelli negli Atti dell’VIII Congresso
Nazionale di Speleologia ha definito il termine
come “voragine naturale piuttosto ampia e
profonda” (CASTELLI, 1958). Il termine grava
potrebbe spiegarsi linguisticamente come il
risultato dell’intervento della dilazione, per cui
la vocale tonica interna avrebbe condizionato il
timbro di quella finale.
Si potrebbe, tuttavia, avanzare l’ipotesi del
cambiamento del genere della parola anche a
causa dell’influenza del termine generico grotta,
femminile, su grave, che, terminando in –e
era difficilmente collocabile nelle categorie di
genere della lingua italiana, le quali prevedono
regolarmente il maschile singolare uscente in
–o e il femminile singolare in –a, assegnando
Rava
Con il medesimo significato di inghiottitoio è
attestato in tutta la Catena dei Volsci anche un
altro termine: grave/grava (SEGRE, 1956), da
cui ipoteticamente rava.
176
Speleologia del Lazio, 9 | dicembre 2018
Figura 12 - Vocalismo atono dell’italiano
poi, o all’uno o all’altro, i lemmi neutri in latino
(SERIANNI, 1998).
Relativamente a rava, in alternativa alle
due proposte etimologiche finora accettate
(MARINO, 2013) che individuano l’origine
del lemma rispettivamente nel latino LABES,
“sasso, macigno”, (CECE, 2004) o nella
radice prelatina *graba/grava (SANTORO,
1978), è stata avanzata una nuova ipotesi,
secondo la quale rava deriverebbe da grave/a
per azione dell’afèresi della consonante
iniziale, plausibilmente per semplificare il
nesso consonantico. Il legame tra i due termini
sembrerebbe confermato dall’esegesi proposta
da A. G. Segre negli Atti del VII Congresso
Nazionale di Speleologia, secondo la quale
rava alluderebbe a “dirupi, massi e rocce”
similmente a grave/grava, definiti come “doline,
specialmente di sprofondamento, inghiottitoi”,
in accordo con quanto affermato in apertura del
paragrafo (SEGRE, 1956).
La vera differenza sta nella distribuzione delle tre
forme, su cui bisogna però fare una precisazione
di carattere metodologico: in questa sede sono
da tenere in considerazione solo grava e rava,
poiché le uniche due attestazioni di grave nel
Catasto laziale non sembrano coerenti con il
significato del termine qui esplicitato. Quindi,
tralasciando l’ultimo lemma citato, è emerso
che le altre due forme hanno conosciuto una
diffusione alternativa: laddove è presente
l’una, è assente l’altra. Infatti la forma più
complessa, ma più vicina all’originaria parola
latina, grava, compare solo sui Monti Ausoni e
Aurunci, sostituita sui Monti Lepini dal termine
più evoluto rava, con esclusiva concentrazione
nel comune di Carpineto Romano, così da far
considerare il lemma distintivo del dialetto
carpinetano (fig. 15).
gli ingressi ad andamento verticale, ma anche
l’impiego di parole indicanti antri e caverne,
come arnale/arnalo e arnaro (SEGRE, 1956;
CASTELLI, 1958; MARINO, 2013).
La loro etimologia potrebbe essere ricondotta
alla parola arenario, usata per designare cave
di arenaria, una “roccia detritica e sabbiosa”
(ZINGARELLI, 2008), estratta anche dal
sottosuolo. Questi giacimenti ipogei vennero
sfruttati scavando lunghi cunicoli per il
prelievo del materiale minerario, fino a portarlo
a esaurimento, così da determinare il loro
abbandono e la loro chiusura da parte dell’uomo.
Il termine specifico per simili luoghi di estrazione
è andato, pertanto, a indicare genericamente
“luoghi che possono essere chiusi artificialmente
dall’uomo”, se si accetta la definizione di
S. Conti (CONTI, 1984). All’interno di tale
enunciato si potrebbero inserire anche le grotte,
oltretutto se non si trascura l’uso del termine
arnaro al livello locale nei paesi della Catena
dei Volsci, dove specifica luoghi impiegati dagli
abitanti come ripari per loro stessi e/o per il
bestiame, in quanto concedevano la possibilità
dell’occlusione volontaria dell’ingresso, che
assicurava protezione.
Dal punto di vista linguistico arnaro deriverebbe
da arenario, che a sua volta proviene dal latino
tardo ARENĀRIU(M), dove il passaggio alla
forma dialettale si può esplicare riconoscendo
innanzitutto l’intervento della sincope della
vocale intertonica (fonema vocalico della
sillaba compresa tra altre due, una con accento
primario, l’altra secondario) -e-, fenomeno
già attestato nel latino tardo e protrattosi
anche in italiano (SERIANNI, 1998). Inoltre
si nota il mutamento della sillaba finale con la
sincope dello /j/, che potrebbe essere chiarito
ricordando il trattamento del nesso vibrante, /r/,
+ /j/ nel passaggio dal latino all’italiano: nel
dialetto toscano il nesso -RJ- si è ridotto a -j-,
estendendosi poi alla lingua italiana in generale,
mentre nella maggior parte degli altri dialetti
ha mantenuto solo /r/. Per esempio, quindi, il
suffisso di mestiere –ARIUM in area toscana
divenne –ajo, mentre nel resto d’Italia –aro, come
è visibile nella coesistenza di notaio e notaro,
derivanti entrambi dal latino NOTARIU(M)
Arnale, arnalo, arnaro
Finora sono stati esaminati solo nomi usati
come sinonimi di inghiottitoio, voragine, ma
le cavità carsiche possono presentarsi anche
con altre morfologie già a partire dall’ingresso.
Attraverso questo studio è stato possibile
accertare non solo l’uso di termini specifici per
177
VII Convegno Federazione Speleologica del Lazio
Figura 13 (in alto) - Carta di distribuzione del nome chiavica sulla Catena dei Volsci; Figura 14 (in basso) - Carta di distribuzione
dei nomi ciaveca, ciavoca, ciavica, ciauca e chiavica sulla Catena dei Volsci (elaborazione grafica di L. Alessandri)
178
Speleologia del Lazio, 9 | dicembre 2018
(SERIANNI, 1998; LOPORCARO, 2009).
Dunque è lecito riconoscere nel caso di arnaro
l’influenza di tale fenomeno.
L’esito arnalo si può giustificare ammettendo
l’intervento della dissimilazione progressiva
(BERRUTO & CERRUTI, 2011; MAGNI,
2014), consistente nel passaggio della
seconda consonante vibrante alveolare, /r/, a
laterale alveolare, /l/, perché condivide con la
consonante originaria il luogo di articolazione.
Infine la variante arnale si potrebbe dimostrare
con l’opposizione, propria dei dialetti mediani
e alto-meridionali, tra maschile e neoneutro,
cioè un genere neutro non di derivazione latina,
anche se il fenomeno si manifesta con l’antitesi
tra –u e –o finali di parola nell’area mediana
e, diversamente, con l’utilizzo della vocale
media centrale, /ə/ (schwa), distintivo del
neutro nella zona dei dialetti alto-meridionali
(LOPORCARO, 2009). In realtà proprio
quest’ultima soluzione potrebbe rendere
accettabile la variante arnale, dove la –e
finale sarebbe pronunciata /-ə/ oppure sarebbe
diventata un vero e proprio fonema /-e/ perché
vicino a /-ə/ come suono.
Per l’ultimo termine analizzato, cioè arnale,
si potrebbe avanzare una proposta esegetica
alternativa, riconducendolo alla parola italiana
arenale, che ad ogni modo si ricollega alla
radice di arenario, in quanto entrambi i
vocaboli rimandano all’“arena”, quindi a una
roccia sabbiosa. Il nome arnale, dunque, in
questo caso andrebbe considerato una variante
di arnaro, derivante da una parola a esso
corradicale, arenale, dove è intervenuto il
fenomeno della sincope della vocale intertonica,
già precedentemente incontrato.
Da arnale si sarebbe poi originato arnalo, o
per influenza del genere maschile del termine
arnaro o semplicemente per regolarizzare il
nome, attribuendogli il carattere non marcato,
cioè regolare e consueto (MAGNI, 2014), della
categoria del genere maschile proprio della
lingua italiana, la vocale finale –o, per azione
dell’estensione, mutamento morfologico che
prevede “l’impiego di un morfema in contesti
più ampi rispetto a quelli originari” (MAGNI,
2014).
che ha consentito di risalire alla radice italiana
o latina dei lemmi vernacolari, evidenziandone
più manifestamente il valore semantico.
L’interesse per quest’ultimo è mosso dal
tentativo di comprendere le impressioni provate
dagli abitanti del luogo di fronte agli ingressi
delle grotte, attraverso le denominazioni
proprio da loro attribuite, poiché il dialetto in
generale è espressione di una comunità locale al
livello informale (LOPORCARO, 2009). Alla
luce di quanto esposto finora, dunque, si vede
confermato uno degli intenti presentati all’inizio
dell’articolo, cioè di verificare se la morfologia
dell’accesso alle cavità sia determinante per
comprendere come coloro che non praticano la
ricerca speleologica percepiscano l’ambiente
carsico epigeo e ipogeo. Infatti quando
l’ingresso si presenta come un foro più o meno
ampio nel terreno che immette direttamente su
una verticale, l’idea veicolata dai nomi dialettali
per evidenziare il fenomeno è prevalentemente
quella della profondità: dai composti con la
preposizione greca κατὰ a grava e rava, fino
eventualmente a considerare anche chiavica e
i suoi derivati.
Quest’ultimo gruppo di vocaboli è foriero di
un’ulteriore sfumatura semantica, riferendosi
a veri e propri inghiottitoi, sia naturali, che
purtroppo artificiali, in quanto spesso utilizzati
come mondezzai dagli esseri umani, proprio
perché fanno “sparire” nel buio delle loro
profondità tutto ciò che vi entra.
L’idea di conforto e protezione sembrerebbe
invece suscitata dagli ampi ingressi di antri,
caverne, ripari, ricoveri e arnari/arnali, così
come da piccoli pertugi simili ai covi degli
animali che popolano le montagne, per questo
definiti tane, appellativo attestato solo sui
Monti Aurunci, precisamente nei comuni di
Campodimele, Esperia, Formia, Itri e Spigno
Saturnia.
Si può dire inoltre raggiunto anche l’altro
obiettivo prefissatosi con questa ricerca, cioè
di notare un’eventuale corrispondenza tra
l’evoluzione dialettale dei nomi esaminati e
la distinzione delle due macro-aree dialettali,
mediana e meridionale, proposta da G. B.
Pellegrini nella Carta dei dialetti d’Italia.
Infatti, osservando la distribuzione dei diversi
toponimi su tutta la Catena dei Volsci, sono
emersi dei raggruppamenti concentrati o a nord
(ouso) o a sud (ciauca, ciavica e sue varianti)
della linea di demarcazione delle zone dei
dialetti mediani e meridionali, i quali sembrano
confermare, ancora una volta, tale suddivisione
(fig. 16), seppur con poche e circoscritte
eccezioni (Ouso di Scrima Piana nel comune
di Castro dei Volsci sui Monti Ausoni, Pozzo
Conclusioni
L’analisi etimologica dei toponimi speleologici
proposta in questa sede non si limita alla
semplice esegesi linguistica dei termini, ma
vuole fornire un eventuale contributo alla
ricostruzione dei significati dei sinonimi
dialettali per indicare le cavità, dal momento
179
VII Convegno Federazione Speleologica del Lazio
Figura 15 - Carta di distribuzione dei nomi grave/a e rava sulla Catena dei Volsci (elaborazione grafica di L. Alessandri)
Bibliografia
della Ciauca nel comune di Prossedi sui Monti
Lepini, Ciauca delle Porcarecce e Ciauca della
Lontra nel comune di Amaseno, tra Monti
Lepini e Ausoni).
Uno studio distributivo di questo tipo, quindi,
oltre che essere meramente descrittivo, potrebbe
avere anche una qualche utilità in ambito
linguistico, contribuendo alla definizione dei
caratteri distintivi dei dialetti addirittura al
livello comunale. Infatti l’esegesi dell’etimo dei
nomi dialettali a partire dall’italiano consente,
come emerge da questa ricerca, di individuare
l’intervento di fenomeni linguistici, che
determinano il mutamento delle parole coinvolte
nello studio e che potrebbero rivelarsi peculiari
di un vernacolo specifico, qualora la diffusione
del termine sia alquanto circoscritta, come
per esempio accade per catravasso e derivati,
presenti esclusivamente nel comune di Carpineto
Romano (fig. 10), oppure ciavica e le sue varianti
nel comune aurunco di Esperia (fig. 14).
Per concludere, quindi, lo studio presentato
in questa sede vuole essere solo l’avvio di
un’indagine più approfondita e rivolta a un’area
geografica maggiore, che metta in relazione
discipline tra loro molto diverse come la
speleologia e la linguistica.
Berruto G., Cerruti M., 2011, La linguistica.
Un corso introduttivo, Novara.
Castelli M. R., 1958, Contributo alla
raccolta della terminologia generica
dialettale del fenomeno carsico in Italia, in
Dell’Oca S. (ed), Atti dell’VIII Congresso
Nazionale di Speleologia – Tomo secondo,
Como, pp. 83-123.
Cece A., 2004, Toponomastica itrana e foresta
aurunca, Itri.
Conti S., 1984, Territorio e termini geografici
dialettali nel Lazio, Roma.
Marino P., 2013, Frammenti di storia e
memoria. Il patrimonio toponomastico dei
Monti Aurunci sud-occidentali, in GGCR, Le
grotte dei Monti Aurunci, vol. 1. Il territorio
della XVII Comunità Montana, Formia, pp.
263-289.
Gröber G., 1877, Zeitschrift Fur Romanische
Philologie, Vol. 1, Tübingen.
180
Speleologia del Lazio, 9 | dicembre 2018
Figura 16 - Carta di distribuzione dei nomi ouso e ciauca sulla Catena dei Volsci, significativa per confermare la validità della
linea di demarcazione delle macro-aree dialettali dell’Italia centro-meridionale, individuate da G. B. Pellegrini (elaborazione
grafica di L. Alessandri)
Loporcaro M., 1997, L’origine del
raddoppiamento
fonosintattico.
Saggio
di fonologia diacronica romanza, Basel Tübingen.
Speleologia, Como, pp. 122-130.
Loporcaro M., 2009, Profilo linguistico dei
dialetti italiani, Bari.
Zingarelli N., 2008, Lo Zingarelli 2008:
Vocabolario della lingua italiana, 12 ed.,
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Serianni L., 1998, Lezioni di grammatica
storica italiana. Nuova edizione, Roma.
Magni E., 2014, Linguistica storica, Bologna.
Pellegrini G. B., 1977, Carta dei dialetti
d’Italia. PDI 0, Pisa.
Santoro C., 1978, Riflessi preistorici e storici
nella terminologia geomorfologica relativa
alla civiltà rupestre mediterranea, in Fonseca
C. D. (ed.), Habitat, Strutture, Territorio,
Galatina, pp. 65-114.
Sarro F., 2005, Il dialetto di Pontecorvo.
Fonologia – Morfologia – Lessico, Todi.
Segre A. G., 1956, Toponomastica del
fenomeno carsico nell’Appennino centrale,
in Atti del VII Congresso Nazionale di
181
VII Convegno Federazione Speleologica del Lazio
Immagini dal Convegno
182
Speleologia del Lazio, 9 | dicembre 2018
M AT E R I A L I D A L L A M O S T R A
CAVERNICOLI
dietro le quinte della speleologia
ILARIA GIOIA
C
avernicoli è un progetto fotografico
dedicato ai volti della speleologia.
Nato nel 2016 su iniziativa di Ilaria
Gioia, fotografa free-lance, il progetto ha lo
scopo di descrivere il “dietro le quinte” del
mondo sotterraneo, fatto di uomini e donne che
dedicano il proprio tempo e le proprie risorse
all’esplorazione del sottosuolo.
È un modo insolito di guardare le grotte e di
rappresentare la “componente umana” di una
scienza sotterranea ancora poco conosciuta.
La realizzazione del progetto segue un
approccio stilistico che la fotografia di
reportage classifica come “seriale”, solitamente
impiegato per descrivere un fenomeno di
nicchia o una minoranza di persone.
La serialità implica infatti un concetto che si
reitera, che si ripete uguale a se stesso pur
con diverse sfumature e variabili, e che grazie
all’elevato numero di fattori in gioco permette
di studiare le dimensioni di un fenomeno in
modo da capirne la reale portata.
In questo approccio un gruppo di soggetti è
ritratto seguendo sempre la stessa impostazione
per creare un’idea di accumulo e sfruttare il
potere moltiplicativo della ripetizione che
in modo quasi ipnotico arriva a tracciare un
ritratto universale tramite il contributo di
ciascun partecipante al fenomeno stesso.
Cavernicoli è quindi un lavoro di raccolta, che
dal punto di vista estetico ricorda il catalogo, in
cui l’attenzione è tutta incentrata sugli elementi
che cambiano senza tuttavia entrare nella
sfera personale dei soggetti ritratti, secondo le
regole di un approccio descrittivo che tende ad
eliminare quasi totalmente il dato emotivo.
Da questo punto di vista infatti la scelta della
forma “archivio” obbliga a prendere le distanze
dai singoli ritratti, e l’uso della griglia, per
presentare il lavoro, pone le immagini in una
condizione non gerarchica, scardinando ogni
Figura 1 - Pannello del progetto esposto al VII Convegno
della Federazione Speleologica del Lazio
possibile intenzione narrativa.
Infine, come ogni buon lavoro di reportage,
anche Cavernicoli risente del fattore temporale
e la sua valenza espressiva potrà apprezzarsi tra
qualche tempo, quando il numero dei soggetti
ritratti si sarà sensibilmente esteso.
Una prima edizione del progetto è stata
esposta a maggio 2017 al VII Convegno della
Federazione Speleologica del Lazio che si è
tenuto a Roma presso la ex-Cartiera Latina
sull’Appia Antica.
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VII Convegno Federazione Speleologica del Lazio
M AT E R I A L I D A L L A M O S T R A
Tolosu expedition 2016
CLAUDIA PORFIDIA - FILIPPO BALDINI
L
fix, piastrine, corde, sacchi, mangimi, fornelli e
mondi vari, partimmo per la prima tappa, Bologna,
dove avremmo caricato Cracco e Roberto, per
quella che si rivelò un’avventura fantastica, di
quelle che si ricordano per tutta la vita.
Il viaggio stesso, circa 1300 km con nebbia,
frontiere, cambi guida e tutto quel che si può
facilmente immaginare, fu incredibile, in tutti i
sensi. Dopo 24 ore di viaggio ininterrotto e veglia,
almeno per me, arrivammo a destinazione di sera
tardi, montammo il campo e dormimmo poco,
ma ebbe ufficialmente inizio TolosuExpedition.
(Mappa Tolosu, Fig.1)
Capi spedizione Romeo Uries e Fabio Bollini.
Gli altri membri: Claudia Uries, Pamela Romano,
io (Claudia Porfidia), SuperFil (Filippo Baldini),
Matteo Turci, Bicio (Fabrizio Bandini), Cracco
(Andrea Moretti, fotografo e “ chef”), Giacomo
Meglioli, Roberto Scorselli. I colleghi romeni,
invece: Julian Parvulescu e Miha Parvulescu.
Lo scopo dell’esplorazione era il raggiungimento
ed il passaggio del 5° sifone: il sopralluogo fatto
prima della partenza ci faceva ben sperare nel
facile superamento e nel buon fine della missione;
poi trovare l’ingresso alto di questo complesso
sistema ipogeo, che per anni non era mai stato
possibile individuare, poichè i sifoni erano risultati
non oltrepassabili.
Eravamo armati di corde, cento fix, moschettoni
e tutto il necessario per ogni squadra: Fil aveva
un sacco speleo di squadra che pesava più di
me e per scherzo il primo giorno mi disse: “ohi
Clà, questo è il tuo sacco!!” Provai ad alzarlo, lo
guardai perplessa, lui rise e disse rassicurandomi:
“Scherzo dai!!”. Scendemmo finalmente il primo
(non so che sia), lungo la cresta, che dal campo
base portava all’ingresso della grotta, pronti per
il fine ultimo, ma arrivati al terzo sifone ahimé
dovemmo ammettere che, anche pensando di
passarlo in muta stagna, non era oltrepassabile se
non da esperti speleosub, forse, e che al 5° sifone
non saremmo mai arrivati! Tornammo al campo
bagnati e sconfortati, pensammo di lavorare tutti
nella parte iniziale della grotta, magari chissà…,
’ingresso della grotta era conosciuto
da tempo con il nome di Tolosu, che in
dialetto locale significa “pantalone”,
probabilmente dovuto alla presenza di
giganti marmitte situate all’ingresso. La
prima documentazione speleologica viene
fatta intorno agli anni 60/70 da un gruppo
di scienziati rumeni, che esplorano la grotta
per circa 600 m. Negli anni successivi viene
superato il 5° sifone (che negli anni seguenti,
nonostante il monitoraggio, non è più stato
superabile). Nel 2001, un anno di grande
secca, degli esploratori locali trovarono il
sifone aperto ed esplorarono la grotta in un
mordi e fuggi per circa 4 km.
Nel novembre 2016 una nutrita squadra di 8
italiani e 3 rumeni….
(Storia della grotta da Romeo Uries)
Dopo aver ascoltato le parole di Fabio Bollini,
durante la sua presentazione del Krubera al raduno
speleologico del 2015, decisi di contattarlo per
provare anch’io, nel mio piccolo, ad aggiungermi a
qualche esplorazione. Le sue parole “non bisogna
essere dei Superman per raggiungere risultati che
a noi stessi sembrano impossibili” mi avevano
colpito nell’anima, conoscendo i miei limiti e il
mio recente approccio alla speleologia. Bollini
quindi mi inviò gentilmente a due esplorazioni
in progetto, Draghi volanti e Tolosu. L’idea di
un’esplorazione fuori dall’Italia rafforzava ancora
di più la mia curiosità e, soprattutto, non trattandosi
di un abisso, potevo sicuramente farcela. Poiché
non avevo mai sperimentato la mia resistenza su
lunghissime risalite potevo forse dare un aiuto
concreto in un complesso ipogeo descritto come
orizzontale, chilometrico e con cinque sifoni
ma… orizzontale.
Ci organizzammo in squadre da due, già stabilite
prima della partenza, io conobbi per primo
Superfilcapo (Filippo Baldini): noi eravamo i più
distanti dal punto di ritrovo a Padova… Da Roma
raggiunsi quindi Fil ad Orvieto e carichi di bagagli,
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Speleologia del Lazio, 9 | dicembre 2018
M AT E R I A L I D A L L A M O S T R A
Figura 1 - Carta geologica generale del sistema di Tolosu
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VII Convegno Federazione Speleologica del Lazio
M AT E R I A L I D A L L A M O S T R A
ormai c’eravamo e, dopo un viaggio così lungo, un
senso a quella settimana sperduti tra le campagne
della Romania avremmo dovuto pur darlo.
Ogni squadra scelse un punto ed iniziammo le
risalite varie, io facevo da sicura a Superfil e a
causa della differenza di massa, peso e soprattutto
esperienza, mentre mi impegnavo a seguire i
suoi “comandi” pregavo che nulla accadesse al
mio compagno di squadra, perché non potevo
ancorarmi a terra da nessuna parte, se fosse caduto,
l’ingresso alto l’avrei trovato io… ma di testa
per il contraccolpo! Pur tra una risata e racconti
vari, la sera al campo base nessuno aveva trovato
qualcosa di veramente serio, Bicio e Matteo
avevano lavorato duramente ad una risalita, c’era
un buco da passare e per non farli faticare di più
ci unimmo anche io e Fil. Fisicamente io ero la
più piccola e passai il buco di fango, sì, una bella
esperienza entrare in un posto mai esplorato,
ma risultai talmente sporca di fango da dover
risalire al campo per darmi una lavata... Dopo
il buco finalmente c’era una saletta, ma anche
questa chiudeva con un altro buco impenetrabile
persino per un gatto, lo battezzammo Bificlate
(Bicio, Filippo, Claudia, Teo). Eravamo molto
sconfortati, seduti la sera al campo, le frontali
illuminavano volti un po’ delusi: all’improvviso
Fabio, che aveva aspettato l’ultimo momento,
ci rivelò la bellissima scoperta. L’ultima risalita
che lui e Pamela avevano fatto proseguiva! Il
campo prese nuova vita e nuovo sprint, i giorni
seguenti tutto il gruppo esplorò il nuovo ramo,
Romeo prendeva appunti per aggiornare il rilievo
e tutte le informazioni ricevute, i giorni passarono
veloci. Poi venne il momento di smontare tutto,
ripartimmo, il viaggio di ritorno lungo come
quello d’arrivo, sembravamo più degli zombie
che degli speleologi, eravamo partiti per esplorare
e scoprire nuove cose ed alla fine, anche se quel
5° sifone è ancora lì da bypassare, avevamo
comunque individuato nuovi ambienti ipogei,
alcuni pertinenti probabimente ad un’altra grotta
che si immette in quella originale.
Ma soprattutto io ho conosciuto grandi speleo,
non solo per la loro esperienza, la loro tecnica,
la formazione, ma anche per lo spirito di gruppo,
l’accoglienza, la condivisione, la semplicità dei
gesti, l’allegria e gli insegnamenti che ho ricevuto.
Un grazie a Superfil per la fiducia accordatami,
dal cambio guida a tutto il resto come un fratello,
a Fabio, a Romeo ed a tutti quanti ... alla prossima
Tolosu che aspetta tutti … anche voi.
Figura 2 - Il primo rilievo del sistema carsico di Tolosu
Figura 2 - Claudia Porfidia e Filippo Baldini durante le
esplorazioni a Tolosu
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Speleologia del Lazio, 9 | dicembre 2018
Giunta esecutiva
Presidente
Maria Fierli
Segretari
Andrea Cesaretti
Valeria Pasqualini
Tesoriere
Gabriele Catoni
Conservatore del Catasto delle Cavità Naturali
Luca Alessandri
Federazione Speleologica del Lazio
www.speleo.lazio.it
info@speleo.lazio.it
Delegato Speleo V Zona del CNSAS
Flavia Geminiani
delegato@soccorsospeleologicolazio.it
Associazione
Speleologica
Romana 86
Gruppo Speleologico
Ciociaro CAI Frosinone
www.caifrosinone.it/speleo
www.asr86.it
Associazione
Speleologi Romani
Gruppo Speleologico
Guidonia Montecelio
www.speleologiromani.it
www.gsgm.it
Circolo
Speleologico
Romano
Gruppo Speleologico
Sabino
“Paolino Cometti”
www.circolospeleologicoromano.it
www.gruppospeleologicosabino.it
Gruppo Speleo
Archeologico
Vespertilio
Shaka Zulu
Club Subiaco
www.shakazulusubiaco.net
www.speleovespertilio.it
Gruppo Grotte
Castelli Romani
Speleo Club Roma
www.speleoclubroma.org
www.ggcr.org
Gruppo
Speleologico
CAI Roma
Gruppo Speleologico
URRI
www.cairoma.it
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VII Convegno Federazione Speleologica del Lazio
Finito di stampare nel mese di aprile 2019
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