Location via proxy:   [ UP ]  
[Report a bug]   [Manage cookies]                
Speleologia del Lazio 9 Spelunca docet Atti del VII Convegno della Federazione Speleologica del Lazio Roma Parco Regionale dell’Appia Antica - ex Cartiera Latina 5-7 maggio 2017 2019 VII Convegno Federazione Speleologica del Lazio Con il contributo di Regione Lazio Parco Regionale dell’Appia Antica Club Alpino Italiano - Sezione Roma RR Trek Rifugio Roma Con il patrocinio di Regione Lazio Parco Regionale dell’Appia Antica Italia Nostra La Venta Esplorazioni Geografiche Università degli Studi di Roma Tor Vergata Dipartimento di Scienze dell’Università degli Studi Roma Tre Società Speleologica Italiana Ordine dei Geologi del Lazio ISPRA - Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale Comunità Montana dell’Aniene Comunità Montana Sabina Comune di Carpineto Romano Comune di Gorga Comune di Vallinfreda 2 Editoriale speleologia del Lazio A cura di Gabriele Catoni, Valeria Pasqualini, Almalinda Giacummo, Laura Bernardi, Pietro Cortellessa Grafica e impaginazione Ancora una volta, a circa tre anni dal numero precedente, la rivista della Federazione Speleologica del Lazio è interamente dedicata agli atti del convegno regionale, questa volta tenutosi a Roma presso la prestigiosa sede del Parco Regionale dell’Appia Antica - ex Cartiera Latina, tra il 5 e il 7 maggio 2017. Luca Alessandri Paolo Dalmiglio L’impegno profuso dai gruppi federati è stato ancora una volta esemplare e il risultato si è concretizzato in tre giorni densi di interventi che non si sono limitati a presentare le ultime esplorazioni ma hanno spesso approfondito tematiche laterali di grande interesse. Un ringraziamento particolare va all’Associazione Speleologi Romani, allo Shaka Zulu Club Subiaco e al Gruppo Speleologico Cai Roma, che ne hanno curato l’organizzazione, e ai numerosi sponsor ed enti patrocinanti i cui loghi trovano posto nella pagina precedente. Va infine sottolineato che, finalmente, due delle espressioni identitarie della Federazione, il Convegno e la Rivista, si sono fuse in un unico aspetto, costituendo la seconda il naturale sbocco della prima.. In copertina Grotta Ciaschi, foto di Chiara Paparelli Indice Presentazione Comitato Organizzativo .................................................................................... Pag. 7 Franco Ciocci. 30 settembre 1955 - 29 ottobre 2018 Andrea Bonucci - Pierriccardo Festa ............................................................ Pag. 9 Aldo Giacomo Segre Maria Piro .......................................................................................................... Pag. 11 “Spelunca Docet”. La grotta come laboratorio didattico. Valeria Paqualini - Maria Fierli - Federica De Bellis .................................. Pag. 13 Blocco occidentale dei Monti Lepini. Campagna di ricerca 2016 - 2017 Danilo Iannucci - Leonardo Romboli ............................................................. Pag. 19 Speleologia di superficie. Tre anni a Campovano Gianluca Sterbini .............................................................................................. Pag. 25 Sulle orme di Saverio Patrizi: la Grotta dei Pipistrelli di Cala Cetarola Claudio Di Russo - Fulvio Fonseca - Chiara Calcari - Stefano Gambari ........ Pag. 31 Cave Microbial Survey: proposta di implementazione dati sulla microflora ipogea Ilaria Vaccarelli - Paola Cacchio - Maddalena Del Gallo ....................... Pag. 37 La Grotta dei Serpenti tra medicina e folclore Stefano Gambari ................................................................................................. Pag. 47 Alla scoperta del buio: l’esplorazione della grotta per il disabile visivo Francesca Licordari - Giammario Mascolo ................................................... Pag. 53 Progetto Natura Maestra Mario Tomei - Roberta Aliforni - Stefano Pace ............................................. Pag. 59 I pionieri della speleologia terracinense Loredana Spezzaferro ...................................................................................... Pag. 65 Ipogei e draghi nelle tradizioni religiose e nel folklore del Lazio Roberto Libera .................................................................................................... Pag. 69 Ritrovato un documento inedito del 1932: “Cavità naturali esistenti nella Provincia di Roma” Giovanni Mecchia - Maria Piro ........................................................................ Pag. 75 Sentire la grotta. Emozioni, memorie ed esperienze di “non” speleologi Mario Federico Rolfo - Katia Francesca Achino - Maurizio Gatta Letizia Silvestri .................................................................................................. Pag. 81 Grotta Pila. Elementi di geologia e nuovi dati sull’utilizzo antropico in epoca protostorica Maria Piro - Giovanni Mecchia - Cristiano Ranieri ...................................... Pag. 89 Monti Aurunci Orientali. Le grotte e la loro interazione con l’uomo Paolo Dalmiglio - Patrizia Marino .................................................................. Pag. 95 Trasmissione dati Wireless nelle esplorazioni speleosub Vincenzo Bello .................................................................................................. Pag. 115 I corsi di speleologia nel Lazio. Come abbiamo insegnato ai giovani l’arte della speleologia Giovanni Mecchia - Maurizio Monteleone - Fabio Bellatreccia ................ Pag. 119 Obiettivi e finalità della Scuola di Speleologia della F.S.L. Claudio Fortunato - Maurizio Monteleone .................................................. Pag. 129 L’ambiente ipogeo della Montagna di Cesi: laboratorio di ricerca per rilievi termo-igrometrici Simona Menegon - Augusto Rossi - Lucio Di Matteo - Stefano Liti ........... Pag. 131 Il Canyon del Quirino. Riserva Naturale Oasi WWF Guardiaregia - Campochiaro Pietro Cortellessa - Marco Topani ................................................................. Pag. 141 La Rete regionale di monitoraggio dei Chirotteri nella Regione Lazio Marco Scalisi - Alessandra Tomassini ............................................................ Pag. 149 Geografia carsica dei Monti Aurunci Occidentali. Un’analisi distributiva delle cavità nel territorio come possibile metodo di ricerca Andrea Cesaretti - Luca Forti ......................................................................... Pag. 157 Chiavica, Ciavica, Ciauca: diversi modi per chiamare una grotta? Lavinia Giorgi ..................................................................................................... Pag. 167 MATERIALI DALLA MOSTRA Cavernicoli. Dietro le quinte della speleologia Ilaria Gioia .......................................................................................................... Pag. 183 Tolosu Expedition 2016 Claudia Porfidia - Filippo Baldini ................................................................... Pag. 184 Speleologia del Lazio, 9 | dicembre 2018 Presentazione IL COMITATO ORGANIZZATIVO O rganizzare un convegno non è una cosa semplice; gli speleologi per loro natura rappresentano una comunità eterogenea: per preparazione, esperienza, conoscenze pregresse, sensibilità ed interessi. Un Comitato Organizzativo formatosi entro questo contesto sociale non poteva non incontrare difficoltà nel coordinare e armonizzare competenze così diverse, ma questa condizione ha rappresentanto inevitabilmente anche una ricchezza e un motivo di stimolo. personale del Parco, dalla dott.ssa Francesca Mazzà al dott. Andrea Marroni, oltre al resto del personale tutto. La Sala Appia, grazie all’ampia metratura e architettura post industriale, ha consentito lo sviluppo di un pratico e appropriato modello espositivo: si sono utilizzati dei pallet o pedane da imballaggio quali strumenti a supporto di pannelli in forex, adatti per la versatilità che trova applicazione nel campo del design degli arredi; infine, l’elemento corda, solido ancoraggio dei pallet alle strutture portanti della sala, nonché legame tra l’attività esplorativa negli ambienti ipogei (progressione e sicurezza) e lo speleologo. La scelta del titolo è legata alla necessità di utilizzare una parola che richiamasse le grotte, la speleologia e il mondo sotterraneo, legandola ad un termine che facesse riferimento alla didattica, all’educazione e all’istruzione; non a caso gli ospiti d’eccezione del VII Convegno della FSL sono stati gli studenti delle scuole. Lo spirito che ha guidato l’organizzazione del Convegno è stato la condivisione e l’attenzione verso la parte divulgativa, diretta soprattutto ai giovani, coinvolgendo quindi sia le scuole sia la parte dell’amministrazione pubblica preposta e sensibile a questo argomento. Fondamentale la partnership del Corpo Nazionale Soccorso Alpino e Speleologico e soprattutto dell’ente Parco Regionale dell’Appia Antica che hanno donato il loro “know how” per la buona riuscita del convegno. Altre istituzioni hanno dato il loro patrocinio, la Regione Lazio e vari comuni e comunità montane, dando lustro alla manifestazione. La volontà di dare un’impronta più dotta ed universale al titolo ha dirottato la scelta su “Spelunca docet”, latino de “la grotta insegna”. Chiarificatore il sottotitolo: “la grotta comunica, racconta, insegna”. Tre verbi che sono gli anelli di una catena: attraverso lo scambio e la comunicazione si possono raccontare storie e queste storie insegnano; è un processo valido per la scuola, ma anche per la ricerca e l’esplorazione, temi focali del convegno. Contributi importanti sono stati quello del CAI sezione di Roma, che ha permesso di organizzare la giornata per le scuole; di RRtrek, che ha donato il materiale per l’allestimento; oltre ovviamente agli interventi-articoli dei relatori, che hanno arricchito in modo significativo lo spirito divulgativo-esplorativo del mondo speleologico rappresentato nel VII Convegno. Una volta stabiliti il tema e la location adatta, contattati gli Enti per i patrocini ed i gruppi per gli interventi, si è pensato ai protagonisti-fruitori La scelta della location è stata relativamente facile: è ricaduta sulla sede del Parco Regionale dell’Appia Antica, la Ex Cartiera Latina, nella splendida cornice della Regina Viarum. La direttrice, dott.ssa Alma Rossi, ha avuto esperienze speleologiche, un’occhiata alle sale Antonio Cederna ed Appia e la scelta è fatta. Insostituibile in seguito l’apporto dato dal 7 VII Convegno Federazione Speleologica del Lazio principali, i giovani. Spiegare il fantastico mondo delle grotte ai ragazzi direttamente nelle loro scuole e far loro elaborare materiali da portare al convegno. Il Convegno è stato per alcuni di loro l’opportunità di esporre una presentazione in una sala convegni vera, di vedere le foto delle esplorazioni di un mondo sconosciuto ai più, di assistere alla dimostrazione del Corpo Nazionale del Soccorso Alpino e Speleologico del Lazio. Ed il loro entusiasmo è stato il miglior risultato che si sia ottenuto. della mostra. Un Grazie più che formale va a chi con la propria disponibilità ha efficacemente contribuito alla realizzazione dell’allestimento della mostra e, più in generale, a tutti coloro che hanno collaborato prima e durante lo svolgimento del convegno. In particolare: Angelo Spirito, Claudio Cardoni, Fabrizio Fedeli, Antonello Di Pardo, Fabio Tarini, Federica Cocchi, Monica Falcinelli, Gabriele Persia, Pierriccardo Festa (ASR); Angelo Procaccianti, Fabrizio Paoloni, Michela Foffo, Erminio Lauri, Mario Cetorelli, Giuseppe Bosso, Valerio Callaringi, Maurizio Tandari (Shaka Zulu Club Subiaco); Barbara Fioretti, Vincenzo Bello, Alessandro Luciano, (G.S.CAI Roma); Maria Fierli (Speleo Club Roma). Inoltre, per la manifesta disponibilità, si ringraziaAndrea Marroni responsabile dell’Ufficio Comunicazione del Parco Regionale dell’Appia Antica. La gestione di tre giorni di Convegno, il venerdì mattina riservato alle scuole, il sabato e la domenica aperti a tutti, così come la mostra tutti e tre i giorni, hanno reso necessario pensare anche ad una parte gastronomica, ben gestita grazie ai consigli di chi di speleo se ne intende…Tutto servito e ripulito velocemente, senza lasciare tracce… Le dimostrazioni su corda dei volontari del Soccorso hanno destato l’attenzione degli addetti ai lavori e degli occasionali visitatori italiani e stranieri della Ex Cartiera. Alla fine del percorso-convegno una breve visita guidata all’interno delle bellezze del Parco. Il Comitato Organizzativo Coordinamento Gabriele Catoni, Valeria Pasqualini, Pietro Cortellessa, Camillo Tenaglia, Marco Colantoni, Laura Bernardi, Claudia Porfidia, Chiara Manfrini, Marco Lo Presti, Daniele Dragoni, Federica De Bellis, Almalinda Giacummo L’esperienza del VII Convegno della Federazione Speleologica del Lazio: intensa, faticosa, divertente, appassionante, finita… e passata la palla a chi dovrà occuparsene in futuro, lasciando anche noi il nostro bagaglio di consigli. Rapporti con i gruppi e gli enti Paolo Dalmiglio, Almalinda Giacummo, Gabriele Catoni Rapporti con le scuole Valeria Pasqualini, Federica De Bellis Il Comitato Organizzatore del VII Convegno FSL rivolge i suoi più sinceri ringraziamenti a tutti quelli che con la propria partecipazione e il proprio sostegno hanno contribuito al buon esito della manifestazione. In particolare si ringraziano tutti i relatori e gli Istituti Scolastici intervenuti durante le sessioni dei lavori; gli Enti Istituzionali che hanno patrocinato l’evento, quali il Parco Regionale dell’Appia Antica, la Regione Lazio, le Comunità Montane Valle dell’Aniene e della Sabina, i comuni di Carpineto Romano, Gorga e Vallinfreda, le Università di Tor Vergata e Roma Tre, gli Istituti ISPRA e Ordine dei Geologi, il C.N.S.A.S. Va Sezione Speleo Lazio, la Società Speleologica Italiana (SSI), le associazioni Italia Nostra e La Venta Esplorazioni Geografiche. Citazione a parte meritano il C.A.I., Sezione di Roma, e RRTREK Rifugio Roma, che hanno contribuito, il primo economicamente, dando il patrocinio oneroso e il secondo con la fornitura del materiale tecnico, utilizzato per l’allestimento Grafica e sito web Fabio Bonuglia, Gabriele Catoni Accoglienza Laura Bernardi, Claudia Porfidia Organizzazione bookshop Laura Bernardi, Federica De Bellis Organizzazione mostra materiali storici Claudia Porfidia, Gabriele Catoni, Laura Bernardi Organizzazione e allestimento mostra Pietro Cortellessa, Camillo Tenaglia Correttori di bozze Almalinda Giacummo, Lavinia Giorgi, Francesca Licordari 8 Speleologia del Lazio, 9 | dicembre 2018 Franco Ciocci 30 settembre 1955 - 29 ottobre 2018 confronti di tutti, e grazie ai suoi modi cordiali e non certo di maniera, di tutti verso di lui. Poi, dopo la speleologia, sono venute altre passioni, altre avventure più impegnative e trascinanti, il matrimonio e la paternità che in varie occasioni ha avuto la generosità di condividere con alcuni dei suoi vecchi amici, tanto da farli riconoscere come tali alla sua famiglia. Con lui ho vissuto alcuni dei momenti più belli in esplorazione in grotta e fuori, in occasioni conviviali, nelle iniziative della FSL, tra i boschi del Matese che battemmo in due in appendice di un campo speleo che ci era sembrato troppo breve, e in tante altre occasioni di incontri speleologici e no. Troppe anime di amici ci hanno lasciato, “travolte anzitempo all’Orco”, per dirla col Monti. E sicuramente tra le più generose quella di Franco”. Mentre fervevano i lavori per completare l’impaginato di questi atti è venuto a mancare Franco Ciocci, primo Presidente della Federazione Speleologica del Lazio. Lo vogliamo ricordare pubblicando le memorie di due suoi amici speleologi: Andrea Bonucci e Pierriccardo Festa. “Un po’ perché era andato a vivere vicino a Frascati, dove lavorava come fisico all’ENEA, un po’ perché gli stava un po’ stretta, Franco Ciocci aveva lasciato l’ASR, di cui pure era stato Presidente amato e rispettato, per affiliarsi al Gruppo Speleologico di Guidonia, che aveva avuto modo di apprezzare durante il suo incarico di Presidente della FSL, anzi, di primo Presidente. Ho avuto il privilegio di conoscerlo e di andarci in grotta insieme fin dal mio inizio, nel 1974, e del resto lui, benché avesse partecipato al mitico raggiungimento del fondo-sifone a Pozzo della Neve, era praticamente un allievo appena svezzato (e che svezzamento: sei giorni in esplorazione fino al vecchio fondo a -650 metri). Quando si allontanò dall’attività speleologica essenzialmente per motivi di studio e di lavoro, una volta scomparsa la vecchia ASR era rimasto per così dire senza riferimenti; ma subito dopo la nascita, quasi una rifondazione, della nuova ASR alla fine degli anni ’80, ci era venuto a trovare, ricevendo, da parte degli ex giovincelli, divenuti ormai consolidati quadri, un’accoglienza entusiasta e affettuosa che amava ricordare commosso ad ogni occasione. Chi mi conosce sa che sono abituato ad avere sulle labbra quello che ho in testa e in cuore, perciò non nasconderò che Franco si era allontanato dal gruppo, con garbo e discrezione com’era suo stile e carattere, perché vi si trovava a disagio. Tra i pregi innegabili di un gruppo speleologico infatti convive non di rado un difetto non irrilevante, che le persone più avvezze a valutare la partecipazione più alla pratica speleologica esplorativa che ai riti dell’appartenenza di gruppo soffrono non poco. Ma Franco, da animo grande qual era, non solo andandosene non aveva sbattuto la porta, ma aveva mantenuto intatto il buon animo suo nei Andrea Bonucci Franco Ciocci nel 2002, durante il II Convegno della FSL. 9 VII Convegno Federazione Speleologica del Lazio avvicinò e si confrontò con tutti i gruppi del Lazio. Infine aderì anche al Gruppo Speleologico di Guidonia Montecelio. Ci ha lasciato un uomo importante nel panorama della speleologia del Lazio, e non solo, ma ci ha lasciato soprattutto una persona squisita. Passando per Frascati non mancavo di andarlo a trovare sul suo posto di lavoro, la sede della ENEA, e si parlava di speleologia e dei suoi recenti sviluppi; una passione che, nonostante gli impegni della vita corrente, non aveva mai abbandonato. Che la terra gli sia lieve”. “Il primo ricordo di Franco risale al 1975, al mio primo momento di conoscenza con la vecchia Associazione Speleologica Romana. La sede era in via Varese, in una cantina che già odorava di grotta. Appena entrati, lungo la parete più estesa, faceva bella mostra una chilometrica rappresentazione grafica di Pozzo della Neve e, dai discorsi degli esperti, ogni persona che aveva contribuito alla sua esplorazione si trasformava nel partecipante ad un grande evento speleologico; Franco, nonostante la giovane età, era uno di quelli. Il suo aspetto ed il comportamento, carico di una bonomia che lo avrebbe accompagnato per tutta la vita, invitava al dialogo ed al racconto. Poi, preso dallo studio e dal lavoro, scomparve per vari anni. Si riavvicinò alla speleologia con la nuova Associazione Speleologi Romani ed in sua rappresentanza ebbe un ruolo centrale nella formazione della Federazione Speleologica del Lazio e nella formulazione del suo Statuto. É quindi anche grazie al suo personale contributo che oggi possiamo, tramite la FSL, esprimere le istanze di tutta la speleologia laziale. Da Presidente della Federazione Pierriccardo Festa Franco Ciocci 10 Speleologia del Lazio, 9 | dicembre 2018 Aldo Giacomo Segre MARIA PIRO I l 12 Novembre 2018 è scomparso Aldo Giacomo Segre, geografo, geologo e paleontologo di fama internazionale. Aveva compiuto 100 anni nel gennaio 2018. Speleologico Romano, all’interno dell’Unione Italiana Naturalisti di cui è animatore. Recupera la documentazione rimasta in precarie condizioni di conservazione nella sede del CSR e, in particolare, il primissimo catasto delle grotte. Si occupa della riorganizzazione del catasto, sia del Lazio che dell’Abruzzo e Molise; inizia quindi gli studi sulla toponomastica speleologica e approfondisce vari argomenti collegati al fenomeno carsico. Prosegue gli studi conseguendo la laurea in Geografia e inizia la sua attività di ricercatore. La sua tesi di laurea “I fenomeni carsici e la speleologia nel Lazio”, riguardante lo studio del fenomeno carsico, viene pubblicata nel 1948 dall’Istituto di Geografia dell’Università di Roma con il contributo del CNR, e costituisce un’opera fondamentale per la conoscenza del territorio da parte degli speleologi, in quanto, oltre a illustrare tutte le grotte conosciute all’epoca, descrive il carsismo della regione in tutti i suoi aspetti. Inoltre scrive numerosi articoli su speleologia e carsismo, dedicandosi in particolare al Lazio e all’Abruzzo. Alla fine degli anni ‘50 termina questo filone di attività, pur restando in contatto con l’ambiente speleologico. Nel frattempo inizia la sua lunga e intensa attività di ricercatore, nel corso della quale spazia in numerosi campi. Per quanto si evince dai circa 150 articoli e volumi da lui pubblicati, negli anni ‘50 e ‘60 si dedica soprattutto a ricerche di geologia marina, studiando le antiche linee di riva sommerse e la geomorfologia delle piattaforme continentali nel Mediterraneo e realizzando carte batimetriche, scoprendo per primo l’esistenza del Vulcano Marsili; ha collaborato anche con Jacques Costeau per lo studio dei fondali mediterranei con la nave Bannock, con l’Istituto Idrografico della Marina di Genova; è stato per molti anni presidente della Commissione Internazionale per lo studio del Mediterraneo con sede al Principato di Monaco. In qualità di Geologo Capo nel Servizio Geologico d’Italia partecipa, negli anni ‘50 A metà degli anni trenta il giovanissimo Segre comincia a dedicarsi alla speleologia, iniziando la sua attività presso il Circolo Speleologico Romano; contemporaneamente partecipa agli scavi di Carlo Alberto Blanc nel giacimento di Saccopastore. Il clima creatosi con la promulgazione delle leggi “per la difesa della razza” determina in sostanza la fine delle attività del Circolo ed ha ripercussioni anche sulla sua famiglia. Subito dopo la parentesi della guerra è il promotore della rifondazione del Circolo Aldo Giacomo Segre 11 VII Convegno Federazione Speleologica del Lazio alla moglie Eugenia Naldini, allo studio dei giacimenti preistorici; inoltre collabora con l’Istituto Italiano di Paleontologia Umana nella sede storica di Roma in Piazza Mincio. A lui e ai suoi collaboratori si deve, fra l’altro, la scoperta dell’Uomo di Ceprano nel 1994. Sono queste solo delle brevi note, su Aldo Giacomo Segre ci sarebbe da dire ancora molto. e ‘60, alle campagne di rilevamento per la redazione della Carta Geologica d’Italia, collaborando all’elaborazione di vari fogli geologici dell’Italia Centrale e della Campania, e al rilevamento geologico delle isole Pontine e di alcune aree della Sardegna; compie studi anche nella regione del Vulture e nella bassa valle del Sacco-Liri. Studia inoltre i giacimenti quaternari e la paleontologia umana, partecipando anche a campagne di scavi e pubblicando vari studi in collaborazione con archeologi. Per diversi anni insegna presso l’Università di Messina dirigendo l’Istituto di Geologia, Paleontologia e Geografia Fisica dell’allora Facoltà di Scienze Matematiche, Fisiche e Naturali. È il Capo Scientifico della prima spedizione italiana in Antartide svoltasi nel 1968 1969, curata dal Consiglio Nazionale delle Ricerche insieme al Club Alpino Italiano, con il supporto logistico della Nuova Zelanda, e della seconda spedizione organizzata dal CNR nel 1973 - 1974. Dagli anni ’80, terminata l’attività accademica, si dedica quasi esclusivamente, insieme Aldo Giacomo Segre in compagnia della moglie Eugenia Segre Naldini e di un gruppo di amici 12 Speleologia del Lazio, 9 | dicembre 2018 “Spelunca docet” la grotta come laboratorio didattico VALERIA PASQUALINI - MARIA FIERLI - FEDERICA DE BELLIS Il Convegno si è sviluppato in 3 giornate: la prima, venerdì 5 maggio 2017, è stata interamente dedicata alle scuole, con la partecipazione attiva degli studenti, che hanno presentato i propri lavori al pubblico. I ragazzi si sono confrontati con rappresentanti del mondo della speleologia (esploratori, divulgatori, scienziati), scoprendo o approfondendo una realtà tanto affascinante quanto poco conosciuta al pubblico. La speleologia presenta numerosissimi spunti didattici: dalla letteratura, con gli scritti di autori affascinati dal mondo sotterraneo; alla scienza, con lo studio degli aspetti ecologici unici che caratterizzano le aree carsiche ed ipogee in generale; all’arte, con le meravigliose forme che la natura riesce a creare in taluni ambienti; alla storia, con le testimonianze archeologiche e paleontologiche che le grotte svelano. La delicatezza di tali ambienti e la necessità di una loro tutela rende fondamentale un’opera di sensibilizzazione e divulgazione, in cui le scuole non possono che essere incluse; infatti, riteniamo che i giovani siano ottimi destinatari e donatori di conoscenze legate al mondo sotterraneo. Tre classi pilota di altrettanti istituti superiori hanno partecipato attivamente, realizzando progetti il cui argomento non poteva che essere la speleologia nei suoi diversi aspetti: ecologico, geologico, storico, esplorativo, eccetera. Di seguito la relazione dei professori responsabili dei laboratori. 13 VII Convegno Federazione Speleologica del Lazio qualche minuto questi cristalli mi hanno incantato per la loro bellezza e perché non avevo mai visto una cosa simile”. La 2ª I dell’Istituto Comprensivo Eduardo De Filippo e la speleologia Valeria Pasqualini (Docente di matematica e scienze) “Della speleologia mi ha colpito il settore esplorativo perché si possono visitare posti stupendi e unici e il settore biologico perché si possono osservare specie uniche di animali”. “Penso che ogni grotta sia diversa e ognuna nasconda un grande mistero da svelare e grandi scoperte da fare”. “Mi hanno colpito molto i modi in cui gli animali delle grotte si sono adattati a questi ambienti”. “La cosa che mi è piaciuta di più della speleologia sono gli animali: le loro caratteristiche e come vivono in grotta, ma anche che, se qualcuno si fa male, tutti sono lì ad aiutarlo”. “Poter visionare l’interno della Terra dev’essere emozionante: possiamo scoprire la forma e la struttura del nostro Pianeta”. “La parte che mi è piaciuta di più del film che abbiamo visto, intitolato “La lunga notte”, è quella del salvataggio, perché ci fa capire che ognuno di noi è importante”. “Della speleologia mi ha colpito soprattutto la parte scientifica, in maggior modo la formazione dei cristalli e anche l’attrezzatura con cui gli speleologi vanno ad esplorare le grotte”. “Quello che mi è interessato di più nell’ambito delle grotte è l’aspetto scientifico e quello umano: del primo mi ha molto colpito la composizione dei cristalli; del secondo mi ha colpito che per salvare una sola persona si sono messi all’opera per 5 giorni circa 200 persone, incessantemente”. “Mi ha incuriosito più di tutto la Grotta del Bue Marino, che prende questo nome perché un bue marino era alloggiato lì nell’epoca preistorica”. “Mi ha interessato molto l’aspetto esplorativo, in particolare mi ha colpito la grotta di Torre Paola, su cui ho trovato un articolo in una rivista di speleologia”. “Mi ha colpito molto la Grotta dei Cristalli in Messico, perché questa grotta è molto affascinante, ma allo stesso tempo mortale per l’uomo”. “La cosa che mi ha colpito di più sono gli animali che passano l’intero ciclo della loro vita in grotta”. “Ciò che mi ha colpito di più è l’aiuto reciproco visto nel video de “La lunga notte”. “Sono stata molto colpita dalla grotta dei Cristalli in Messico perché non avevo mai visto cristalli di così enormi dimensioni e perché questa grotta è bellissima, ma anche letale”. “Durante il video sulla Grotta dei Cristalli per Figura 1 - La classe 14 Speleologia del Lazio, 9 | dicembre 2018 Queste le impressioni degli studenti della 2ª I dell’I. C. Eduardo de Filippo (Colleverde di Guidonia) a proposito della speleologia. Con entusiasmo i ragazzi hanno accolto la proposta di partecipare ad un convegno sulla speleologia, con entusiasmo hanno affrontato tutto il percorso, durato cinque mesi, e con entusiasmo e serietà hanno partecipato al Convegno, dimostrando che il coinvolgimento attivo dei giovani ad eventi culturali diversi dalle classiche lezioni in classe, non solo accresce le loro conoscenze, ma anche la loro capacità di relazionarsi con il mondo esterno. “Spelunca docet, la grotta racconta, comunica, insegna” Trattandosi di una seconda media, ho potuto inserire l’attività nel programma di scienze: i ragazzi hanno avuto la possibilità di consultare riviste e libri di speleologia, ognuno ha trovato l’ambito che più gli interessava e lo incuriosiva: dalla zoologia all’archeologia, dalla geologia alla fisica, dall’avventura esplorativa alla solidarietà… Dopodiché gli alunni, divisi in gruppetti di 4-5, si sono occupati dei vari aspetti della speleologia: carsismo e speleogenesi, idrogeologia, biologia. Inoltre, stimolati dalla visione di alcuni filmati, in particolare il documentario “La Grotta dei Cristalli” de La Venta ed il film “La lunga notte” sul salvataggio dello speleologo Igor nella grotta di Piaggia Bella da parte del Corpo Nazionale Soccorso Alpino e Speleologico, in molti hanno deciso spontaneamente di approfondire la conoscenza su alcune grotte e complessi carsici. Figura 2 - Durante il Convegno “L’aspetto che mi ha colpito di più è stato quello di fraternità e umanità dei soccorritori di Igor”. “La cosa che mi ha colpito di più è che nella Grotta dei Cristalli, pur essendoci una temperatura molto alta, gli speleologi sono potuti entrare usando delle attrezzature speciali”. Infine, la decisione di produrre un filmato, in classe e con i mezzi scolastici (la mia macchina fotografica e la fantasia dei ragazzi), è stata determinata dalla volontà di rendere tutti ugualmente protagonisti della storia, cosa che è riuscita perfettamente. “La cosa che mi è interessato di più l’ho letta in una rivista: ossia il ritrovamento nella Grotta di Pertosa di ciotole, cucchiai, aghi, frecce dell’Età del Bronzo”. “Mi è piaciuto molto l’aspetto sperimentale nella Grotta dei Cristalli, che consisteva nel vedere se le persone potevano resistere al caldo perché dentro la grotta ci sono circa 40°C con alta umidità”. La partecipazione alla giornata del Convegno dedicata alle scuole è stata la giusta conclusione per poter attribuire importanza e merito a qualcosa prodotto dai ragazzi, secondo le inclinazioni di ciascuno, con l’obiettivo di aumentare la sicurezza nelle proprie capacità, che non sempre emergono nelle tradizionali lezioni in classe. “È difficile dire cosa mi è piaciuto delle grotte, possiamo dire che mi sono piaciuti tutti gli aspetti in egual modo”. “A me della speleologia ha colpito il settore esplorativo, che ci permette di andare nella profondità delle grotte e di esplorarle personalmente, ed è davvero un’affascinante avventura”. 15 VII Convegno Federazione Speleologica del Lazio della classe 4ª D e 4ª H hanno avuto modo di presentare il lavoro svolto e i risultati. Gli alunni, pienamente soddisfatti, hanno potuto conoscere, grazie alla presenza del C.N.S.A.S., le tecniche di risalita e di soccorso speleologico, provando anche delle strettoie riprodotte in maniera artificiale. Nel contesto del Convegno gli alunni hanno incontrato altri speleologi e visitato la mostra dove erano presenti sia le foto che le vere attrezzature, attuali e d’epoca, utilizzate dagli esploratori per percorrere le grotte. Il fascino della scoperta è stato un elemento fondamentale del lavoro svolto con i ragazzi, sia per quanto riguarda l’esplorazione di nuovi luoghi, come quelli ricercati e visitati nell’ambito speleologico, che quello altrettanto affascinante della ricerca e conoscenza spaziale, fuori quindi dal nostro pianeta. Tramite un video dell’ESA e della NASA, proposto dalla scrivente, sull’allenamento dei futuri astronauti in grotta, i ragazzi hanno potuto riflettere su quanto ancora ci sia di inesplorato anche sul nostro pianeta e paragonare in qualche maniera le profondità siderali con i luoghi sconosciuti e affascinanti ancora celati nel sottosuolo terrestre. Un altro risultato importante è stata la presa di coscienza, da parte degli alunni, di quanto fondamentale sia preservare dall’inquinamento i luoghi sotterranei, e in primis le falde acquifere, direttamente collegati con la potabilità dell’acqua che berranno. Ringrazio i colleghi che hanno contribuito, insieme ai ragazzi, a realizzare questo progetto dove si è messa in evidenza non solo la conoscenza speleologica ma anche l’importanza di un luogo, spesso non sempre valorizzato, come la Biblioteca. Istituto Tecnico Industriale Statale (ITIS) Enrico Fermi di Roma e la speleologia Maria Fierli (Docente di sostegno ed educazione fisica) Durante l’anno scolastico 2016/2017, presso l’Istituto Tecnico Industriale Statale (ITIS) Enrico Fermi di Roma, si sono svolti degli incontri per far conoscere ad alcuni alunni la Speleologia. Tutto si è svolto con i docenti Maria Fierli, relatrice, e il supporto dei colleghi Emanuele Fanti, Roberta De Blasis e Romina Palomba; gli incontri hanno avuto come tema principale l’emozione della scoperta e della conoscenza. Tramite video e foto si è cercato di spiegare cos’è la speleologia e soprattutto quali possono essere le motivazioni che muovono gli speleologi a svolgere un’attività così impegnativa e a volte faticosa. Tutto si è svolto nella biblioteca dell’Istituto con le classi 4ª D e 4ª H e le classi del corso serale. Durante il mese di marzo e aprile, a seguito del lavoro svolto precedentemente, si è dato inizio, sempre nella nostra biblioteca, ad un lavoro che ha preso il nome “Parole della Speleologia”. I ragazzi hanno lavorato ad una ricerca, sui libri e le enciclopedie della nostra biblioteca, di alcune parole utilizzate nell’ambito speleologico. Il lavoro ha prodotto dei risultati che sono stati elaborati dalle varie classi in un power point prodotto dagli alunni stessi. Nella giornata del 5 maggio 2017, al convegno di speleologia presso la Ex Cartiera del Parco Regionale dell’Appia Antica, organizzato dalla Federazione Speleologica del Lazio, alcuni alunni SCR FSL ITIS FERMI LE PAROLE DELLA SPELEOLOGIA CON GLI ALUNNI DELLA 4D E 4H DELL’ITIS E. FERMI DI ROMA E I DOCENTI FIERLI, DE BLASIS E PALOMBA 16 Speleologia del Lazio, 9 | dicembre 2018 La classe 1a B dell’Istituto Comprensivo “San Vittorino - Corcolle” e la speleologia Federica De Bellis (Docente di matematica e scienze) Il 5 maggio 2017 la classe 1ª B (secondaria di primo grado) dell’I.C. “San Vittorino – Corcolle”, dopo lunga e accurata preparazione ha partecipato attivamente al VII Convegno di Speleologia della Federazione Speleologica del Lazio. Ho scelto questa classe per l’entusiasmo con cui è solita affrontare tutti gli argomenti, anche quelli che per la maggior parte degli studenti sono considerati noiosi. Ero quindi certa che avrebbero assecondato anche la mia grande passione per l’ambiente cavernicolo, e così è stato. Ho spiegato loro la biospeleologia mostrando la presentazione che ho preparato molti anni fa per le nuove leve della speleologia: sono stata tempestata di domande, ho impiegato tre giorni di lezione per soddisfare tutte le loro curiosità. Anche la lezione di Gabriele Catoni sul carsismo e le esplorazioni in grotta nei locali della scuola ha avuto un grande successo. Per mesi, nel corso delle lezioni di scienze, i ragazzi facevano riferimento a ciò che avevano imparato quel giorno. Il lavoro è stato fervente: con l’aiuto della collega di arte e immagine, tutti si sono cimentati nella produzione di disegni che poi sono stati esposti alla mostra: come potete vedere dalle immagini, sono dei veri e propri capolavori! Due ragazze molto intraprendenti hanno invece prodotto autonomamente una presentazione che poi hanno esposto, senza nessun aiuto da parte della sottoscritta, nella sala delle conferenze. L’argomento della presentazione riguardava la speleogenesi, il carsismo e la biospeleologia. I ragazzi hanno assistito alle dimostrazioni del Soccorso Speleologico e visitato la mostra con grande interesse. Le grotte, oltre ad avere un valore intrinseco, in quanto monumenti naturali, e un valore scientifico, in quanto ecosistemi isolati, rappresentano per noi la principale fonte di acqua potabile. Lo studio dell’ecosistema cavernicolo è stato anche un pretesto per sensibilizzare gli studenti verso tematiche ambientali che non possiamo più permetterci di ignorare. L’ambiente ipogeo è stato in seguito anche un punto di partenza per parlare della conservazione della natura e delle sue risorse con particolare riguardo ai danni ambientali che, specialmente in alcune regioni italiane, stanno portando gravi conseguenze alla salute delle popolazioni locali. Dopo lezioni frontali e partecipate, i ragazzi hanno avuto la possibilità di agire in modo autonomo: i lavori portati al convegno sono il frutto della ricerca e della creatività personale e di gruppo. I ragazzi hanno potuto sperimentare le proprie capacità di approfondire i propri interessi: ciascuno è diventato artefice del proprio processo di apprendimento superando così la trasmissione verticale del sapere. In questo contesto, lo studente assume un ruolo centrale e il docente un ruolo di guida. Un anno dopo ho voluto fare un esperimento: cosa sarà rimasto ai miei alunni di ciò che hanno appreso da questa avventura? Ecco i risultati: “Facendo delle ricerche per questo convegno sulle grotte, ho scoperto molte cose su di esse: come si formano e da chi sono abitate. La cosa che mi è piaciuta maggiormente è stato scoprire la fauna di questo habitat naturale”. Elisa “Ho imparato molte cose grazie a questo convegno. Ho imparato ad esporre meglio facendo una presentazione insieme ad una mia compagna. Ho visto molte cose, come il salvataggio che mi ha colpita particolarmente per il semplice fatto che potevamo partecipare e vedere tutto da vicino. Grazie a questo convegno so molte più cose sulle rocce e sugli insetti che si trovano nelle grotte”. Aurora “Siamo andati ad un convegno e abbiamo visto dei video che parlavano della morfologia delle grotte. Alcune classi, tra cui la nostra, hanno portato dei video. Ci hanno mostrato anche come si salvano le persone nelle grotte. Con la professoressa di arte abbiamo anche fatto dei disegni delle specie ed è venuto un esperto in classe che ci ha spiegato delle cose e ci ha mostrato dei video”. Alessandra “È stata una bella esperienza. Mi ricordo del Soccorso Speleologico: c’era una persona sulla barella e noi la portavamo”. Maurizio 17 VII Convegno Federazione Speleologica del Lazio “Del convegno sulla speleologia ricordo che nella grande sala organizzata per l’occasione c’era uno dei miei disegni su cui avevo lavorato giorni prima e che ora è attaccato su un pannello nella scuola. Inoltre ricordo che due mie compagne di classe hanno spiegato cose riguardanti il tema del convegno. In generale quell’esperienza mi è piaciuta perché mi ha fatto capire parecchio riguardo il mondo delle grotte e chi le abita”. Melissa scorso anno, la cosa che più mi ha colpito è stata la mostra di numerose attrezzature utilizzate in ambito speleologico, quali: corde, zaini, caschi e tute adatte ad ogni situazione. È stata un’esperienza molto bella e spero di poterla rifare”. Luca “Al convegno dell’anno scorso mi sono divertita molto. Ricordo bene il filmato che ci hanno fatto vedere, nel quale c’era anche la professoressa. Mi è piaciuto anche che i nostri disegni erano nella stanza che abbiamo visitato dopo la conferenza, perché abbiamo impiegato molto tempo per realizzarli. Mi ricordo le procedure di salvataggio che ci hanno fatto vedere. Ricordo anche il lavoro che abbiamo fatto insieme alla 1ª A con Gabriele”. Giulia “Siamo andati ad un convegno. Abbiamo visto un video creato da un’altra scuola dove ci facevano vedere le specie di animali che vivono nelle grotte. Anche due ragazze della nostra classe hanno presentato il loro video dove si parlava della morfologia delle grotte e degli animali che vi abitano”. Giulia “La cosa che mi ricordo e che più mi è piaciuto della gita al convegno è stato il Soccorso Speleologico perché se un giorno da grande dovesse succedere qualcosa a un mio amico io saprei come salvarlo”. Roberto “La gita al convegno è una delle più emozionanti e interessanti che abbia mai fatto. La speleologia mi ha colpito molto per il coraggio, la pericolosità e talvolta la bellezza delle cose che trovano e che fanno gli esploratori. Una cosa che mi piace è l’agilità, una delle cose più importanti per essere un esploratore”. Simone “Del convegno a cui abbiamo partecipato nello 18 Speleologia del Lazio, 9 | dicembre 2018 Blocco occidentale dei Monti Lepini Campagna di ricerca 2016-17 DANILO IANNUCCI - STUDIO GEOLOGICO LEONARDO ROMBOLI U n po’ per caso e un po’ per curiosità nacque in noi la passione della speleologia: persone comuni con la stessa passione incontrate nei vari ambienti speleologici. Tre anni fa, in una calda estate, Vincenzo e Danilo decisero di visitare una grotta turistica a Falvaterra. L’esperienza, bella e interessante, fece nascere in noi il desiderio di ripeterla, prima o poi. Qualche tempo dopo, durante un’escursione con Andrea e altri amici lungo le rive del fiume Aniene, ai piedi del paese di Jenne, leggemmo una cartellonistica che indicava una grotta lungo il sentiero. La curiosità di vederla ci spinse ad entrare nei primi metri e, una volta tornati a casa, cercammo su internet se vi fosse la possibilità di visitarne altre. Ci imbattemmo dunque nell’elenco e nella descrizione delle grotte più belle ed importanti del Lazio. Consci delle difficoltà e dei pericoli ai quali potevamo andare incontro, scegliendo quelle orizzontali e, con un minimo di attrezzatura speleologica, iniziammo a visitarle. Dalle grotte orizzontali a quelle verticali il passo fu breve e, una volta completati l’attrezzatura e l’addestramento, decidemmo di esplorare il territorio dei Monti Lepini. Durante una visita dell’Ouso di Pozzo Comune incontrammo Davide e Stefano, alle prime esperienze anch’essi. Nelle successive uscite conoscemmo Luca, Massimiliano e Stefano. Durante l’attività, avemmo modo di notare che il numero delle grotte nel blocco occidentale dei monti Lepini era notevolmente minore rispetto a quello riscontrato nel resto della catena montuosa. Chiedemmo dunque informazioni agli allevatori del posto e uno di essi ci parlò di un ingresso che aveva tappato con una pietra per non far cadere gli animali. Alcuni giorni dopo ci recammo sul posto e, spostata la pietra che era a protezione della cavità, notammo una sensibile corrente d’aria in uscita. Armata la corda ad un albero demmo inizio all’esplorazione, mettendo il sigillo sulla nostra prima grotta. Nelle settimane successive organizzammo una battuta di ricerca lungo tutta l’area interessata, trovando molti altri ingressi più o meno interessanti. Avevamo trovato un’area inesplorata dove tutte le cavità originavano in frattura, caratterizzate da varie profondità e ampiezze. Chiedemmo infine aiuto al geologo Leonardo Romboli che ce ne spiegò la genesi. Alcune delle grotte scoperte sono attualmente in fase esplorativa e la ricerca di possibili prosecuzioni continua. A seguire una breve descrizione delle cavità e i rilievi delle stesse. Ouso di Billy (fig. 1). La grotta in frattura abbastanza comoda con un P. 6 iniziale prosegue tra massi di crollo e spazi più o meno ampi arrampicabili fino al fondo detritico. Al suo interno sono presenti concrezioni coralloidi ed è attraversata da un flusso di aria. Ouso della Finestrella (fig. 2). La grotta si presenta con un P. 3 arrampicabile che porta in una saletta 2,5x2,5 m dal soffitto concrezionato, sulla base si trova una finestrella che con un P. 8 scende in stretta frattura fino al fondo detritico; si percepisce una leggera corrente d’aria. Grotta Grugliano (fig. 3). La grotta si presenta con un P. 7 che atterra su un masso di crollo da cui si vede la frattura che dopo 5 metri e un P. 3 conclude su fondo detritico. Ouso 2 di Billy (fig. 4). La grotta è posizionata più a valle dell’Ouso di Billy, a un’altitudine inferiore di circa 50 m; si presenta in frattura molto stretta in unico salto di 9 metri che conclude in uno spazio più ampio dal fondo terroso. Grotta Campazzano (fig. 5). La grotta in frattura scende con unico P. 5, il fondo detritico presenta spazi di larghezza variabile. 19 VII Convegno Federazione Speleologica del Lazio Figura 1 – Ouso di Billy (La 2127) Figura 2 – Ouso della Finestrella (La2129) Figura 2 – Grotta Grugliano 47 (La 2126) 20 Speleologia del Lazio, 9 | dicembre 2018 Figura 4 – Ouso 2 di Billy (La 2128) Figura 5 – Grotta Campazzano (La 2125) Fino ad ora il maggior numero di grotte conosciute sui Monti Lepini, è concentrato nel settore sudcentro-orientale del massiccio. Ci si è chiesti se ciò fosse dovuto ad una scarsa esplorazione o ad un’assenza vera e propria dovuta a condizioni geomorfologiche diverse. La campagna di ricerca del Gruppo Ipogei, condotta in un’area storicamente povera di grotte, ha portato all’identificazione di alcune cavità, che per il momento non sembrano possedere dimensioni particolarmente importanti. Le osservazioni di seguito riportate si basano anche sulla lettura critica e l’acquisizione di dati che diversi autori hanno riportato nei loro lavori, essenzialmente mirati allo studio idrogeologico dei Monti Lepini. In particolare ci si riferisce agli articoli comparsi nella Pubblicazione “Progetto Monti Lepini – Studi idrogeologici per la tutela e la gestione della risorsa idrica”, Gangemi Editore 2010. I fattori geomorfologici e climatici che favoriscono la formazione di grotte e di ampi ambienti ipogei sono: 1. Più o meno facilità di alterazione chimica della roccia madre, più aggredibile un calcare meno una dolomia. 2. Più aggredibile un calcare poroso, rispetto ad uno compatto. 3. Maggiore o minore acidità dell’acqua. 4. Maggiore o minore presenza di diaclasi, da stratificazioni e soprattutto da tettonica. 5. Maggiore o minore piovosità. 6. Morfologia che favorisca o meno il ruscellamento superficiale. 7. Maggiore o minore tempo da quando è iniziato il processo carsico. Nella figura sono indicati i due settori dei Monti Lepini dove è stata riscontrata questa differenza sostanziale nella presenza di grotte, numerose nel settore A, poche nel settore B. Il Settore A è quello di centro sud, nei territori di Carpineto e Gorga; il Settore B è quello più a nord, nel Comune di Segni. Le due zone sono state messe a confronto, utilizzando un metodo estremamente semplificato, verificando per ciascuno dei fattori sopra indicati, se la sua incidenza sia maggiore o minore per il settore A o per il settore B, secondo la tabella 1. É evidente che per ciascuno dei fattori considerati la Zona A (Carpineto-Gorga) è quella più favorita per la formazione di cavità, motivando in tal modo la presenza di un maggior numero di grotte. Tale analisi non ha certo la pretesa di essere rigorosa, i diversi parametri indicati non sono tutti facilmente determinabili o realmente 21 VII Convegno Federazione Speleologica del Lazio Figura 6 – I settori dei Monti Lepini discussi nel testo Tabella 1 determinanti nel favorire il carsismo. Ad esempio, il parametro f) (Tabella 1) è di sicura incidenza e facilmente definibile tramite l’andamento orografico (modesta pendenza, aree endoreiche, presenza di doline). Il parametro e) si riferisce alla piovosità degli ultimi decenni, quindi con un’influenza minima. Oppure il parametro c), l’acidità dell’acqua percolante è favorita dalla presenza o meno della vegetazione, ma conosciamo solo quella attuale. Tuttavia, pur con tutte le riserve del caso abbiamo verificato che le differenze fra i diversi settori della catena esistono, vanno studiati con maggiore accuratezza, così da poter indirizzare la ricerca in modo mirato. Con questo non vogliamo concludere che l’Area B sia sicuramente priva di cavità interessanti, uno studio più approfondito, prendendo in esame anche altri fattori: ad esempio, gli ultimi studi sulla circolazione sotterranea, condotti da Bono, Alimonti, Capelli et alii, potrebbero dare indicazioni determinanti sulla presenza di un carsismo profondo. Queste considerazioni, ci hanno portato ad immaginare un sistema che, sulla base di dati noti, permetta di verificare se un’area sia potenzialmente ricca o meno di cavità. Potrebbe essere interessante elaborare un indice numerico che per unità di area tenga conto 22 Speleologia del Lazio, 9 | dicembre 2018 Tabella 2 dei diversi parametri favorevoli o meno alla formazione delle grotte, applicando agli stessi un peso che sia funzione della specificità del parametro, come nella tabella 2. L’area in studio va divisa in maglie quadrate, con lato sufficientemente ampio: ad es. 1.000 metri, per ciascun quadrato la sommatoria dei valori attribuiti determinerà un indice, variabile da un minimo ad un massimo, che, al fine di una rappresentazione cartografica, permetterà di valutare la presenza o meno di cavità. È inteso che tale metodo è solo a titolo d’esempio, deve essere uno punto di partenza da approfondire, uno schema su cui lavorare, da elaborare in equipe con diverse professionalità. 23 VII Convegno Federazione Speleologica del Lazio Laboratorio didattico “Spelunca Docet” - disegno di un alunno della classe I B (secondaria di primo grado) dell’Istituto Comprensivo “San Vittorino - Corcolle” 24 Speleologia del Lazio, 9 | dicembre 2018 Speleologia di superficie Tre anni a Campovano GIANLUCA STERBINI A nnidata tra le creste nel cuore degli Ernici, la splendida e isolata conca carsica di Campovano è stata oggetto negli ultimi anni di minuziose ricerche. Negli anni ‘80 le indagini degli speleologi avevano scoperto solo un buco ventoso in una frana, il Pozzetto di Campovano, tuttavia la quota dell’area, circa 1900 metri, e l’assenza di altre cavità facevano intuire un notevole potenziale. Dopo più di tre anni di lavoro il bilancio è positivo: sono state trovate alcune grotte nuove tra le quali un accesso importante, attualmente in esplorazione a –100 e con eccellenti possibilità di sviluppo ulteriore, l’Abisso al 61. Molti cantieri sono in corso e sono stati identificati più di venticinque punti - fessure con circolazione d’aria, assorbimenti e inghiottitoi, carsismo antico e fenomeni idrotermali - che confermano l’esistenza di un luogo di grande interesse potenziale. L’apertura delle grotte e di una nuova area di esplorazione sono stati certamente risultati di valore per la speleologia ma è altrettanto importante che le attività siano state frutto della collaborazione di molti gruppi e speleologi indipendenti e che le grotte di Campovano siano state rese disponibili a tutti fin dal primo momento, in una filosofia “open cave”. L’attività sul campo si è sviluppata con cadenza settimanale. Iniziata nell’estate del 2014 e mai interrotta, i partecipanti hanno svolto un intenso lavoro di ricerca, specie all’esterno. Dedicandosi alla speleologia di superficie sono stati trovati e resi accessibili molti ingressi diversi ed è stato possibile conoscere Campovano palmo a palmo. Insieme all’apertura e all’esplorazione delle cavità, nel corso delle stagioni sono stati osservati gli effetti di una grande varietà di condizioni ambientali e meteo, compresi eventi estremi, e sono stati monitorati con continuità il comportamento e le variazioni degli elementi che entusiasmano noi speleologi: l’aria e l’acqua. Inoltre, sono stati indagati altri fenomeni nuovi e inaspettati: le colonie dei topi. Figura 1 - Logo Progetto Campovano, grafica di Chiara Campioni 25 VII Convegno Federazione Speleologica del Lazio Figura 2 - Carta delle grotte e dei punti di interesse a Campovano. 18, Grotta di Mia, piccolo ambiente 3x2 completamente rivestito di cristalli, all’esterno dell’imbocco sono presenti concrezioni erose; 19, Primo assorbimento principale, della conca, sotto l’elettrodotto, profondo un paio di metri, detrito. In occasione della piena del 14-10-15 ha formato un discreto lago, drena lentamente, aria; 20, San Michele Arcangelo, secondo assorbimento principale, al centro di un fosso poco prima di una dolina, attualmente 4 mt., in corso di scavo, roccia fessurata in posto, molta aria, in occasione della piena ha drenato istantaneamente circa 1/3 del bacino, portata stimata in difetto dalle tracce del torrente temporaneo (larg. mt. 2.5, alt. 0.6, pendenza 15%) almeno 5 mc/sec, notata colonia di topi; 21, Aria tra detrito e roccia fessurata; 22, Fessura sul versante, piccolo assorbimento; 23, Buchetto presso il Cianetti-Zampighi con aria; 24, Abisso Cianetti-Zampighi, in corso di esplorazione, frana a -30 con molta aria, colonia; 25, Buchetto alla quota del Cianetti, dalla parte opposta della dolina, in un piccolo fosso; 26, Abisso dei Giovani; 27, Abisso dei Vecchi, alla prima entrate è stato notato un pipistrello e una colonia; 28, Punto di assorbimento; 30, Terzo assorbimento principale, ampia dolina al fondovalle nei pressi del Cianetti, drena le doline della parte in fondo di Campovano, nel corso della piena ha formato un discreto lago, con troppo-pieno in corrispondenza di buchetti all’estremità Nord, aria, nei pressi piccolo sfondamento in terra formato nella estate 2017; 31, Dolina con fessura, aria; 32, Abisso al 61, presso il traliccio con lo stesso numero, in corso di esplorazione, molta aria; 33, Dolina dove sbocca il San Michele, zona di assorbimento al bordo del versante, nel detrito, con molta aria; 34, La Vagabonda, fessura in roccia viva a pochi metri dal Rifugio, con molta aria, crea buco nella neve, nei pressi altre fessure soffianti più piccole; 35, IL Celato, pozzetto in roccia viva con molta aria, ampio buco nella neve; 36, L’ Annascuso, condotta con aria nei pressi del Celato, buco nella neve; 37, Il Lazzaro, dolina e punto di assorbimento din fondo a Campovano, fessura in roccia viva con aria, buca la neve; 38, Il Bubusèttete, tra Rifugio e San Michele, pozzetto in roccia viva con molta aria, ampio buco nella neve originato a inizio 2018 26 Speleologia del Lazio, 9 | dicembre 2018 della grotta, ora ribattezzata Abisso CianettiZampighi, si osservò che le cose non erano così semplici e l’aria aveva comportamenti bizzarri. Alle volte in inverno la grotta aspirava anziché soffiare e il gelo penetrava profondamente all’interno rivestendo di ghiaccio le pareti per molti metri, altre in estate soffiava con forza invece di aspirare, con volumi impressionanti di aria sia all’imbocco che all’interno. Alla base della frana a -30, dove per il momento si sono interrotte le esplorazioni, talvolta c’era un vento capace di spegnere una candela distante qualche metro. Questa circolazione potente e di verso contrario al normale andamento convettivo iniziava improvvisamente, durava molte ore, e spesso era correlata ai cambiamenti del meteo frequenti e veloci a Campovano per la sua esposizione ai venti su tutti i lati. Era sempre presente anche nelle calde giornate estive, con aria ferma e alta pressione. In questi casi cominciava a soffiare la mattina per poi smettere la sera, quindi la circolazione invertiva la direzione e la grotta iniziava ad aspirare durante tutta la notte. Osservata sistematicamente, si è compreso alla fine che si trattava del fenomeno della circolazione barometrica. Questo tipo di moto è dovuto alo svuotamento o riempimento dei volumi interni di una cavità in risposta alle variazioni di pressione dell’aria esterna. In pratica, si innesca un flusso in ingresso o uscita per equilibrare la pressione interna e quella esterna, anche con rapide oscillazioni e inversioni della direzione del flusso. Il comportamento osservato in estate può Figura 3 - L’aria del Cianetti-Zampighi può bucare più di due metri di neve Non è stato ancora possibile progettare uno studio sistematico: la raccolta dei dati (temperatura, pressione, circolazione dell’aria) sarà utile per discriminare gli imbocchi, così come la descrizione dettagliata della geologia, della morfologia delle grotte e delle dinamiche dell’acqua serviranno a comprendere il sottosuolo. Tutto questo sarà necessario per il futuro, perché le osservazioni fatte fino ad ora e le informazioni raccolte sono ben lontane dal permettere una ragionevole comprensione di Campovano. L’area risulta teatro di fenomeni complessi e di storie geologiche sovrapposte, e le conoscenze empiriche fin qui acquisite offrono al massimo orientamenti suggestivi alle attività di ricerca, permettono di tratteggiare congetture su cosa si celi là sotto… in una parola, sono racconti. A Campovano può nevicare molto e sono stati osservati cornicioni di neve di molti metri di spessore e pianori di decine di metri di ampiezza, modellati dal vento a ridosso delle creste. Il Rifugio dell’Enel, un fabbricato di due piani posto all’inizio della conca, un inverno è stato sepolto dalla neve fino al colmo del tetto. In queste condizioni spesso un buco che soffia non riesce a sfondare la neve, oppure l’aria girovaga fino a creare un’uscita anche lontano dall’imbocco. Malgrado questo il Pozzetto di Campovano, collocato poco sotto la cresta SW a quota 1875, era in grado di bucare più di due metri di neve, un caso che sembrava unico in tutta l’area. Il soffio invernale era causato dal noto fenomeno della circolazione convettiva: le differenze di temperatura e quindi di peso tra l’aria all’interno di una grotta e quella all’esterno causano i movimenti dell’aria. La grotta sembrava un normale caso di ingresso alto, che soffia in inverno e aspira in estate: un classico. Con il progredire dei lavori, un impegnativo scavo di molti metri per aprire l’imbocco Figura 4 - L’ingresso del Cianetti-Zampighi dall’interno 27 VII Convegno Federazione Speleologica del Lazio spessori di neve come il Cianetti-Zampighi: sono il Celato, l’Annascusu, la Vagabonda, il Bubusèttete, il San Michele Arcangelo. Altri, una decina di fessure e buchetti sparsi in tutta la conca, presentano solo circolazione barometrica. Altre grotte ancora, i Vecchi e i Giovani, non hanno circolazione apprezzabile. Dei quattro punti di assorbimento principali della conca, due hanno aria e due no. Tutti sono sincronizzati tra loro, compresi quelli che hanno circolazione convettiva e bucano la neve: in estate soffiano o aspirano tutti insieme, senza distinzione di posizione e dimensione. Infine, un’osservazione sull’aria all’Abisso al 61. Pur essendo molto più sviluppata, all’entrata della grotta c’è molta meno circolazione di quella presente al Cianetti-Zampighi. Però in profondità, scendendo nel sottosuolo con un’alternanza di antiche gallerie freatiche e ringiovanimenti, si percepisce una forte corrente, solo nella zona delle Condottine e dell’Incatenato, intorno ai -80. Poi si perde, forse in alto: chissà come mai non percorre le gallerie che portano all’esterno. Ci sono altri spazi attorno, più larghi, vie preferenziali? Forse l’antica falda ha creato una specie di millefoglie, condotte sovrapposte in lungo e in largo attraversate e tagliate dalle faglie e dal reticolo vadoso recente... Non è dato sapere, ancora, da dove viene e dove va, ma di certo l’aria a Campovano è un appassionante rompicapo. Anche seguire l’acqua è interessante e ha portato a rilevanti scoperte. Al disgelo Campovano si riempie di mille rivoli che spesso finiscono in una piccola pozza, assorbiti dal fondo erboso di una dolina. Uno di questi, anziché perdersi in uno tra i tanti punti di assorbimento, terminava dentro un minuscolo Figura 5 - L’apertura nella neve del Celato, situato all’esterno di Campovano essere prodotto dall’aumento della temperatura durante il giorno che causa una diminuzione di pressione: così si innesca la circolazione barometrica. Allo stesso modo in inverno, col tempo stabile e la diminuzione della temperatura, c’è un aumento di pressione che causa una durevole circolazione in entrata. Il problema è che normalmente in una circolazione barometrica il flusso dell’aria cessa rapidamente appena le pressioni interna ed esterna raggiungono l’equilibrio, al massimo in poche decine di minuti, e comunque è di qualche ordine di grandezza inferiore ai volumi della circolazione convettiva. Viceversa, la circolazione barometrica al Cianetti-Zampighi dura per decine di ore ed è preponderante su quella convettiva. Al momento l’ipotesi della circolazione barometrica è l’unica sul tavolo. Se fosse veramente così l’unica spiegazione all’incredibile durata di questo fenomeno osservato al Cianetti-Zampighi è che i volumi interni complessivi siano enormi, anche se forse non praticabili: il volume può essere composto da fessure, frane, interstrati. Forse i resti di un antico bacino freatico sviluppato sotto tutta la conca di Campovano? Inoltre, la cavità deve avere collegamenti profondi con altri ingressi, causa della circolazione convettiva verificata in inverno e probabilmente causati dal successivo sviluppo di sistemi vadosi. In tutti i casi una prospettiva esplorativa emozionante. Nel tempo sono stati trovati altri elementi che hanno aumentato la complessità della situazione e oggi a Campovano si conoscono una quindicina di punti con circolazione d’aria. Un gruppo presenta chiaramente una circolazione convettiva capace di sciogliere importanti Figura 6 - La fessura della Vagabonda, nella quale l’aria si sposta di molti metri prima di uscire 28 Speleologia del Lazio, 9 | dicembre 2018 Altre scoperte sono venute dal caso e dall’incontro fortuito con eventi estremi. Sia a Campovano che nella vicina Campocatino in due occasioni ci si è trovati ad osservare gli effetti di bombe d’acqua: in occasione di quella di Campocatino si formò un lago temporaneo di tre metri di profondità all’inizio del pianoro, al centro del quale roteava un gorgo con tanto di bolle e zampilli… una scena surreale. Le indagini successive permisero di scoprire un pertugio nel prato: lo scavo sul posto e l’esame delle vecchie cartografie fecero riemergere le tracce di un antico inghiottitoio che un tempo raccoglieva gran parte delle acque di Campocatino. In seguito, negli anni ‘50, venne costruita dentro la dolina una fossa settica in cemento, poi sepolta con 2 metri di roccia per il drenaggio dei liquami quindi coperta di terra per le piste da sci. Così la dolina venne cancellata, l’inghiottitoio perso e create le condizioni ideali per i periodici allagamenti. In altre occasioni le bombe d’acqua hanno modificato con rapidità le condizioni di una grotta: è il caso di quella nota al Catasto come Dolina sfondata a Campocatino, nella quale l’imbocco si è improvvisamente stappato per Figura 7 - Abisso al 61, il Meandro dell’Incatenato dove l’aria si perde foro tra l’erba, sul bordo di una depressione di pochi metri di ampiezza, già nota per la presenza di una debole corrente d’aria su un lato, tra il pietrisco. Risuonava una cascatella, si notava una fessura tra la roccia viva, anche se di piccole dimensioni. Ma il punto esatto dello scavo fu scelto in base alla presenza di una colonia di topi: proprio in corrispondenza di questa venne facilmente aperto l’imbocco del 61. Durante i lavori in altri cantieri, al CianettiZampighi, al San Michele, ai Vecchi, al Lazzaro e in altre fessure con aria, da tempo era stata notata la presenza di colonie di topi agli imbocchi, riconoscibili sia per i fori in superficie delle tane, raggruppati strettamente in aree circoscritte, sia per le tracce dei nidi nel sottosuolo. Alle volte c’è stato un incontro faccia a faccia con i roditori stessi. Inizialmente sembrava una coincidenza fortuita, poi si iniziò a riconoscere una certa regolarità, anche se con un nesso causale incerto. Quello che viene da pensare è che nelle condizioni climatiche di Campovano, con molti mesi di neve e ghiaccio e temperature estreme in superficie, per i topi andare in letargo in una area riscaldata dall’aria proveniente dall’interno della montagna può essere vincente ai fini della sopravvivenza. Sembra logico che la presenza di aria relativamente più calda dia alla colonia chance maggiori di sopravvivere all’inverno, che a Campovano può presentare condizioni severe per temperature e durata. Tuttavia ci si può chiedere se questa connessione abbia senso e se abbia valore generale anche in zone diverse. Certo è difficile immaginare l’uso delle colonie di topi come segnale di circolazione d’aria e presenza di grotte… ma nel caso del 61 questo elemento, assieme all’aria e all’acqua, ha svolto un suo ruolo. Figura 8 - Colonia di topi all’apertura dei Vecchi 29 VII Convegno Federazione Speleologica del Lazio Figura 9 - Allagamento a Campocatino (foto di Giovanni Tirocchi) la furia dell’acqua aprendo un pozzetto di qualche metro che dà su una condotta ancora parzialmente interrata. Ora presenta una leggera circolazione d’aria che buca la neve ed è tra i tanti cantieri aperti: ci si augura che la prossima alluvione finisca di aprire la condotta… Un altro evento di particolare intensità accadde nell’ottobre 2015 a Campovano. In quella occasione caddero più di 220 millimetri di acqua in un paio d’ore, causando un’imponente e localizzata alluvione e vennero osservate non solo le tracce lasciate dall’allagamento di gran parte della conca ma anche il sistema di scorrimento delle acque nella conca, che coinvolge tre punti principali di assorbimento. Questi fanno da bacini terminali nei quali sversa il troppo-pieno di tutte le doline che in sequenza occupano il fondovalle. Al di sotto ci sono certamente le linee di deflusso principali della conca carsica e probabilmente sono intasati da importanti spessori di detrito. Di particolare interesse fu l’osservazione delle tracce di un torrente temporaneo che percorrendo un’incisione del fondovalle fu inghiottito dal San Michele Arcangelo. Al momento della bomba d’acqua questo era uno scavo aperto da poco, ma fu in grado di assimilare istantaneamente una piena violentissima, superiore ai 5 metri cubi al secondo. Il rapido assorbimento di questo notevole flusso d’acqua fa pensare alla presenza di ampie vie di sotterranee. Questa osservazione, la presenza di aria e la circostanza di essere esattamente sopra al fondo attuale del 61, rendono il San Michele particolarmente attraente. Campovano spesso ha riservato sorprese: ad esempio, ci si aspettava che lo spessore del detrito fosse maggiore in fondo alla conca e minore in cresta; viceversa entrare al CianettiZampighi, situato quasi in cresta, ha richiesto un impegnativo scavo di 6/7 metri, mentre ne sono bastati 2 per entrare al 61 e 1 per i Vecchi, entrambi quasi a fondovalle. Fare speleologia di superficie percorrendo l’area di Campovano più e più volte vuol dire assistere quasi da un giorno all’altro all’apertura di due nuove cavità, a crolli dovuti all’indebolimento delle coperture causati dalla siccità dello scorso anno e trovare ogni volta elementi nuovi da scandagliare con passione, indizi che nel tempo aiutano a conoscere e svelare un mondo nel quale abbiamo appena cominciato ad entrare: il bel lavoro di questi tre anni è solo un inizio. 30 Speleologia del Lazio, 9 | dicembre 2018 Sulle orme di Saverio Patrizi: la Grotta dei Pipistrelli di Cala Cetarola (Sperlonga, Latina) CLAUDIO DI RUSSO - FULVIO FONSECA - CHIARA CALCARI - STEFANO GAMBARI I l tratto di costa compreso tra Sperlonga e l’abitato di Gaeta è caratterizzato da alte falesie calcaree costellate di caverne, ripari e grotte più o meno estese. Segre (1948) riporta per questa area la presenza di 102 cavità fra grotte, nicchie e antri, tuttavia nel catasto speleologico del Lazio sono riportate solo 16 grotte. Tra queste la più rilevante, sia per lo sviluppo sia per gli aspetti biologici, è la Grotta dei Pipistrelli o del Guano (La 256), nei pressi di Cala Cetarola (Fig. 1 e 2). In questo lavoro vengono riportati i risultati di una serie di indagini bio-ecologiche svolte negli ultimi due anni in questa grotta, che fu oggetto nel lontano 1949 della prima esplorazione zoologica ad opera del marchese Saverio Patrizi, pioniere e fondatore della biospeleologia romana (Fig. 3). penetrammo, sempre nuotando, nel suo grande atrio, largo e profondo una trentina di metri. …… A sinistra di chi entra, un ripido pendio cosparso di pietroni si innalza dalla riva, fino a raggiungere la volta nella cupa penombra, mentre sulla destra la parete é perforata da una galleria entro la quale il mare si addentra e si perde nell’oscurità ………” Negli anni che seguirono l’esplorazione di Patrizi la grotta non fu più oggetto di particolari attenzioni ma solo di alcune sporadiche visite come quelle di Valerio Sbordoni e Francesco Pedone negli anni ‘70 e di uno di noi (CDR) nel 1996. Inquadramento geografico e geologico La grotta dei Pipistrelli (La 256) si apre all’interno di una falesia in erosione sulla costa, nel tratto compreso tra Capo Spartivento e Cala Cetarola nel comune di Sperlonga (41° 14’ 18” N, 13° 28’ 20” E) (Fig. 4). La grotta si è originata all’interno della successione calcareo-dolomitica appartenente al settore geografico-geologico dei Monti Lepini, Ausoni, Aurunci (Società Geologica Italiana, 2004). In particolare la grotta è situata nelle litofacies calcaree di acque basse del DoggerCretacico superiore (Mecchia et al. 2003). La cavità, cui si accede dal mare, ha uno sviluppo totale di circa 110 m ed è costituita da due camere collegate da un ampio corridoio invaso dall’acqua. In figura 5 riportiamo il rilievo topografico della grotta elaborato dai dati originali con il supporto autocad. Un po’ di storia Le prime esplorazioni della grotta dei Pipistrelli furono condotte agli inizi degli anni ’30 del secolo scorso, dal barone C.A. Blanc per ricerche paleontologiche. Nel 1949, in occasione di una nuova campagna paleontologica nell’area, Patrizi svolse una prima indagine biospeleologica, della cui relazione riportiamo alcuni passi significativi: “…… il 31 agosto 1949 di mattina ci tuffammo in acqua e seguimmo il piede della falesia, parte camminando sul basso fondale di finissima sabbia, parte nuotando nei tratti più profondi…… in circa mezz’ora eravamo all’ingresso della grotta, e attraversato il suo ampio portale, 31 VII Convegno Federazione Speleologica del Lazio troglofila, vivono infossati numerosissimi esemplari di coleotteri della famiglia Histeridae (Saprinus sp.). In alcune parti interne della grotta, seminvase dall’acqua del mare, è stata rinvenuta la specie Palaemon elegans (Crostaceo, Decapode). Questo piccolo gambero, normalmente diffuso su fondali con acque poco profonde, sembra aver trovato rifugio in queste zone riparate delle grotta, dove albergano numerosi esemplari. Infine, l’ampia volta dell’atrio iniziale della grotta è utilizzata come sito di nidificazione del rondone comune Apus apus, di cui è stato rinvenuto anche il suo ectoparassita specifico, un dittero della famiglia Hippoboscidae Craterina pallida. Il caso Miktoniscus Uno degli elementi faunistici più rilevanti della grotta di Sperlonga è l’isopode della famiglia Trichoniscidae (Miktoniscus patrizii Brian, 1950), raccolto nel 1949 da Patrizi durante la prima esplorazione della cavità. Quest’animale rimase a lungo un enigma irrisolto per gli zoologi dato che non fu più catturato alcun esemplare fino allo scorso settembre. L’importanza di questo genere (Miktoniscus Kesselyak, 1930), comprendente 15 specie in totale, risiede principalmente nelle sue implicazioni biogeografiche. Sei specie di Miktoniscus sono infatti presenti in alcune aree orientali dell’America del nord e del Brasile: M. barri Vandel, 1965, M. halophiuls Blake, 1931, M. mammothensis Muchmore, 1964, M. medcofi Van Name, 1940; M. morganensis Schultz, 1976 e M. racovitzai Vandel, 1950). Sette specie Figura 1 – Ingresso della Grotta dei Pipistrelli Per quanto rigurda i dati climatici della grotta i valori di temperatura e umidità relativa sono stati registrati nelle parti più interne della grotta durante i campionamenti del 3.07.2016 e del 4.09.2016; esse sono risultate comprese rispettivamente tra 20° e 21° C e 90% 95% HR . La Fauna (Fig. 6) Nel complesso sono stati censiti 19 taxa tra invertebrati e vertebrati. Le nostre raccolte e osservazioni sono state compiute nel 2015, nel mese di luglio, e nel 2016, nei mesi di luglio e settembre. In Tabella 1 viene riportata la lista completa delle specie identificate e dei taxa ancora in corso di studio. Dall’analisi di questi dati non risultano presenti specie troglobie, ovvero strettamente adattate all’ambiente sotterraneo, e dei 19 taxa censiti solo 7 possono essere considerati troglofili, come il gasteropode Oxychilus drapanaurdi, l’ortottero Rhaphidophoridae del genere Dolichopoda (D. geniculata), gli isopodi Trichoniscidea Trichoniscus matulicii e Miktoniscus patrizii, il chilopode Lithobius lapidicola e i ragni Nesticus eremita e Meta marinae, questi ultimi due presenti con popolazioni abbondanti nella grotta. Nel grande salone terminale di destra si trova un cospicuo deposito di guano, prodotto nel tempo dall’accumulo di escrementi delle due specie di chirotteri Myotis myotis e Miniopterus schreibersii. Attualmente entrambe le specie utilizzano la grotta sia come sito riproduttivo sia come nursery. Nel deposito di guano, che fornisce un’importante fonte alimentre a tutta la comunità Figura 2 – Galleria destra della grotta invasa dal mare 32 Speleologia del Lazio, 9 | dicembre 2018 in Sicilia e Malta (Schmalfuss 2003). Questa distribuzione, definita anfiatlantica, in quanto include porzioni di territori dei due continenti ora separati dall’Oceano Atlantico, testimonia l’antichità di questo genere. Quest’ultimo deve essersi originato almeno 150 milioni di anni fa, cioè quando è iniziata la separazione della Laurasia e la successiva apertura dell’Oceano Atlantico, che ha portato all’allontanamento del continente Americano dalla placca Eurasiatica e al conseguente differenziamento delle specie nei due continenti (Fig. 7). La presenza di Miktoniscus in Sicilia e nella grotta di Sperlonga pone un interrogativo sulla sua distribuzione nel Mediterraneo, che potrà essere risolto solo grazie ad indagini più approfondite, soprattutto con l’ausilio della filogenesi molecolare. Conclusioni Questo studio ci ha permesso innanzitutto di redigere il primo rilievo completo della grotta dei Pipistrelli. È stato inoltre aggiornato l’elenco faunistico delle specie che vivono nella grotta, con particolare riferimento ai chirotteri Myotis myotis e Miniopterus schreibersii che utilizzano la cavità come sito riproduttivo e nursery. Il più importante risultato è stato la raccolta di nuovi esemplari dell’isopode Miktoniscus patrizii che permetteranno di chiarire la filogenesi di questo gruppo, soprattutto in relazione agli eventi paleogeografici che hanno interessato la Laurasia e successivamente l’area mediterranea. Infine questi nuovi dati potranno essere alla base di una proposta di conservazione e gestione responsabile di questo ambiente, che possiamo ritenere essere uno dei più interessanti della costa del Lazio meridionale. Figura 3 – Il marchese Saverio Patrizi in una foto del 1956 durante una spedizione in Sardegna risiedono invece in Europa Occidentale: M. bisetosus Vandel, 1946 (Spagna e Portaogallo settentrionale) M. deharvengi Dalens, 1976 (Spagna meridionale), M. vandeli Bonnefoy, 1945 (Pirenei spagnoli); M. linearis (Patience, 1908) (Germania e Inghilterra in serra); M. arcangelii Vandel, 1960 e M. chavesi (Dolfus, 1889) (Azzorre e Madeira); M. patiencei Vandel, 1946 (a più ampia distribuzione, comprendente gran parte dell’Europa Nord-Occidentale) e per ultimo M. melitensis Caruso & Lombardo, 1982 è presente Figura 4 – Localizzazione della grotta sul tratto di falesia tra Capo Spartivento e Cala Cetarola 33 VII Convegno Federazione Speleologica del Lazio Figura 5 – Rilievo topografico della grotta in pianta ( 1:650 ) Ringraziamenti Bibliografia Si rigrazia V. Cenni per l’aiuto dato nella ricerca e nell’elaborazione del rilievo topografico della grotta. Per le determinazioni delle specie raccolte ringraziamo: R. Argano e S. Taiti (Isopodi), P. Pantini (Ragni), Marzio Zapparoli (Chilopodi) e P. Cerretti (Ditteri). Infine si ringrazia M. Rampini per la foto del Miktoniscus patrizii. Segre A.G. 1948, I fenomeni carsici e la speleologia del Lazio. Istituto di Geografia dell’Università di Roma (A) 7: 1-239. Schmalfuss H. 2003, World catalog of terrestrial isopods (Isopoda: Oniscidea). Stuttgarter Beiträge zur Naturkunde, Serie A, Nr. 654: 1-341. Figura 6 – Alcuni elementi faunistici che abitano la Grotta dei Pipistrelli: a-Dolichopoda geniculata, b- Miktoniscus patrizii, c- Myotis myotis, d- Oxychilus drapanaurdii 34 Speleologia del Lazio, 9 | dicembre 2018 Figura 7 – Distribuzione geografica del genere Miktoniscus Mecchia G.; Mecchia M.; Piro M.; Barbati M. 2003, Le grotte del Lazio. I fenomeni carsici, elementi della geodiversità. Regione Lazio. pp. 413. Diptera Limonia nubeculosa Craterina pallida Aves Società Geologica Italiana. 2004. Guide Geologiche Regionali, Lazio. BE-MA editrice Milano. pp.368. Apus apus Chiroptera Myotis myotis Miniopterus schreibersii Nematoda indet. Tabella 1 – Lista della fauna censita nella Grotta dei Pipistrelli Oligochaeta Lumbricidae indet. Gastropoda Oxychilus drapanaurdii Aranae Nesticus eremita Tegenaria marinae Pholcus phalangioides Isopoda Miktoniscus patrizii Triconiscus pusillus Decapoda Palaemon elegans Chilopoda Lithobius lapidicola Diplopoda Callipus sorrentinus Orthoptera Dolichopoda geniculata Coleoptera Saprinus sp. Lepidoptera Noctuidae indet. 35 VII Convegno Federazione Speleologica del Lazio Laboratorio didattico “Spelunca Docet” - disegno di un alunno della classe I B (secondaria di primo grado) dell’Istituto Comprensivo “San Vittorino - Corcolle” 36 Speleologia del Lazio, 9 | dicembre 2018 Cave Microbial Survey: proposta di implementazione dati sulla microflora ipogea ILARIA VACCARELLI - PAOLA CACCHIO - MADDALENA DEL GALLO C ave Microbial Survey nasce con l’idea di promuovere una rete di informazione internazionale riguardante la microflora delle cavità naturali ed artificiali. La proposta di collaborazione si basa sull’utilizzo di una scheda compilabile online, in seguito all’osservazione di colonie microbiche rilevate all’interno delle grotte frequentate o in esplorazione. Il form è organizzato in moduli riguardanti informazioni sul collaboratore, sulla data dell’osservazione, sulla grotta e sulle colonie individuabili ad occhio nudo. In particolare, questo micro-database permette di raccogliere dati riguardo: 1) la presenza di biofilm microbici che popolano substrati rocciosi (pareti, soffitti e speleotemi); 2) gli aspetti distintivi di tali patine (colore, dimensione e aderenza alla superficie sottostante); 3) i segni macroscopici dell’attività microbica (processi di deposizione, corrosione e cambiamenti strutturali del substrato); 4) la coesistenza di biofilm di tipologie differenti sul medesimo sito; 5) la localizzazione delle colonie nelle diverse porzioni della grotta (zona di ingresso, penombra e buio assoluto). Le informazioni ricevute verranno poi elaborate ed utilizzate a fini scientifici, divulgativi e gestionali. Il progetto riveste, infatti, una grande importanza per il monitoraggio, la conservazione dell’ambiente sotterraneo e per una fruizione consapevole degli ambienti ipogei. La struttura della scheda facilita la compilazione, grazie ad immagini esplicative, permettendo di ricevere informazioni dettagliate anche da speleologi non formati sull’argomento. L’insieme delle segnalazioni implementa un database innovativo e dai costi di gestione limitati. La raccolta dei dati, iniziata nel novembre 2016, ha portato finora ad ottenere segnalazioni dall’intero territorio nazionale, su cavità di diversa natura. Il progetto Cave Microbial Survey è un progetto di “citizen science”, e più in particolare “speleologist science”, che ha lo scopo di promuovere una rete di informazioni a livello internazionale, riguardante particolari aspetti della microflora presente all’interno di cavità naturali ed artificiali (Fig. 1). Si tratta di una ricerca partecipata, realizzabile grazie al contributo di speleologi e ricercatori che intendano condividere segnalazioni microbiologiche. L’idea si basa sull’utilizzo di una scheda digitale da compilare online dopo aver compiuto osservazioni di determinate colonie microbiche; la compilazione del form richiede pochi minuti e non presenta vincoli di iscrizione al progetto. La microflora ipogea I batteri sono praticamente ubiquitari. Grazie alla loro ampia versatilità metabolica ed alle straordinarie capacità di adattamento alle condizioni ambientali più estreme, riescono a colonizzare ogni nicchia ecologica disponibile sul pianeta Terra (PORTILLO et al., 2008). In particolare, nelle grotte è stata riscontrata la presenza di batteri ovunque: nelle acque correnti, in quelle ferme o di stillicidio, nel substrato, su pareti e soffitti, sulle concrezioni. Anche l’accumulo di materiale organico, come il guano, determina lo sviluppo di una ricca popolazione microbica, prevalentemente eterotrofa. Gli eterotrofi rappresentano la componente principale della microflora cavernicola, tuttavia, negli ambienti ipogei più sfavorevoli alla vita, perché estremamente poveri o privi di sostanza organica, può essere presente un certo numero di batteri autotrofi. Lo sviluppo di questi ultimi è favorito proprio nelle grotte a bassa energia che presentano 37 VII Convegno Federazione Speleologica del Lazio le condizioni sono adeguate, i microorganismi possono proliferare notevolmente, tanto da arrivare a formare colonie abbastanza grandi da poter essere individuate ad occhio nudo. La geo-microbiologia La geo-microbiologia è una scienza interdisciplinare che indaga il ruolo svolto dai microorganismi all’interno di particolari ambienti, ed i processi biogeochimici ad essi collegati. Tale disciplina ha avuto uno sviluppo assai recente, in quanto frenato essenzialmente da un’iniziale incapacità di coltivare in laboratorio i microrganismi; per quanto riguarda lo studio dell’attività microbica in ambiente ipogeo, si può affermare, infatti, che le attuali conoscenze hanno avuto una maturazione strettamente legata alla tecnologia ed alla evoluzione di altre discipline che operano sempre in ambito speleologico (BARTON & NORTHUP, 2007). Oltre alle criticità riscontrate in ambito tecnologico infatti, anche la raccolta dei dati è stata, e risulta ancora essere, estremamente impegnativa. A tale riguardo, un contribuito attivo da parte di speleologi potrebbe rivestire un ruolo fondamentale nell’attività di campionamento o nell’individuazione di siti di maggiore interesse. Tramite un supporto tecnico stabile, è possibile acquisire in maniera costante informazioni sulle grotte studiate, predisporre la strumentazione in punti della grotta idonei per la raccolta dei dati (laboratori in situ, stazioni multiparametriche ecc.) ed abbattere, in tal modo, tempi e costi per la ricerca ed il monitoraggio. Figura 1 – Logo del progetto scarso o nullo apporto di sostanze organiche dall’esterno, poiché non c’è competizione con gli eterotrofi; questi infatti, in presenza di risorse trofiche sufficienti, prendono il sopravvento sugli autotrofi, molto più sensibili alle modificazioni dei delicati equilibri chimico-fisici. Segni di attività microbica Può sembrare strano pensare di poter osservare dei microrganismi senza un’opportuna strumentazione, il prefisso stesso della parola microrganismo (dal greco “μῑκρος“, piccolo), indica proprio un organismo non visibile ad occhio nudo; tuttavia, illustreremo nei paragrafi successivi come, in particolari condizioni, alcune colonie microbiche possono essere individuate anche senza particolari dotazioni ottiche. Nell’ambiente sotterraneo infatti, l’attività microbica può palesarsi in forme diverse. I microorganismi interagiscono con il substrato sul quale vivono, ne alterano la composizione chimica fino a produrre cambiamenti strutturali della roccia, a volte anche molto appariscenti. Una riduzione di densità e un ammorbidimento della roccia sottostante, sottili deposizioni di calcite, colorazioni inusuali del substrato roccioso o formazioni di patine microbiologiche che aderiscono sulla superficie sono tra i fenomeni che più frequentemente possiamo osservare in grotta (BARTON, 2006). Le colorazioni, in particolare, possono variare da sito a sito, e generalmente cambiano in base alla composizione chimica della matrice rocciosa o all’attività microbica più o meno intensa (BARTON, 2006). Inoltre, dove L’astrobiologia L’astrobiologia, un’altra importante disciplina emergente, studia la vita e le sue origini nell’universo. Gran parte del campo di ricerca è concentrato proprio sugli ecosistemi microbici presenti sul nostro pianeta ed una particolare importanza è data a tutti quegli ambienti definiti “estremi”, fra i quali l’habitat ipogeo. Le applicazioni biotecnologiche Le grotte possono essere considerate dei veri e propri laboratori naturali. Infatti, mentre l’importanza ed il ruolo che i microrganismi svolgono nel sistema sotterraneo può suscitare interesse esclusivamente per microbiologi e speleologi, le implicazioni di queste ricerche vanno ben al di là del solo ambiente ipogeo (NATUSCHKA et al., 2012). 38 Speleologia del Lazio, 9 | dicembre 2018 per comprendere l’evoluzione e la diffusione delle capacità degli antibiotici di resistere a particolari patogeni. (BHULLAR et al., 2012). Bio-cementazione e bio-restauro Le cavità carsiche costituiscono degli habitat elettivi per l’isolamento di batteri in grado di precipitare carbonato di calcio. I ceppi batterici con capacità spiccate di bio-cementazione hanno trovato applicazione in vari settori quali il recupero ed il mantenimento di superfici degradate di interesse storico ed artistico (BARTON et al., 2006). Numerosi lavori svolti sulle Grotte di Altamira (Spagna) hanno portato, infatti, all’isolamento di microrganismi capaci di degradare le antiche pitture preistoriche presenti in queste cavità; tali scoperte hanno favorito lo sviluppo di particolari applicazioni biotecnologiche, impiegate per la conservazione di monumenti e statue. L’insieme di tali tecniche prende il nome di bio-restauro, in quanto i microrganismi vengono impiegati per depositare una leggera patina di calcite, atta a proteggere antiche strutture dall’erosione continua (BARTON et al., 2006). Ricerca spaziale Lo studio delle cavità sotterranee al fine di dedurre l’esistenza di potenziali forme di vita in altri pianeti, può sembrare paradossale; in realtà la microbiologia ipogea può darci risposte interessanti per quanto riguarda i limiti della vita e le sue possibilità di sviluppo in condizioni estreme (BARTON et al., 2006). La scheda Molti parametri contribuiscono a definire l’ambiente ipogeo (ENGEL, 2011). Ogni informazione sul sistema sotterraneo, dunque, può risultare importante per comprendere i delicati equilibri che influenzano distribuzione, struttura e composizione delle comunità microbiche presenti in grotta. Ogni cavità infatti, mostra un proprio equilibrio dovuto a caratteristiche chimico-fisiche, geografiche (latitudine, longitudine, altitudine, esposizione), speleogenetiche (sviluppo cavità, contatti con l’esterno, circolazione dell’aria e dell’acqua), biologiche e ad altre condizioni che possono contribuire a caratterizzare ulteriormente l’ambiente ipogeo, come la copertura vegetale, gli eventi metereologici, l’ingresso di sostanza organica all’interno della cavità. La scheda ha lo scopo di raccogliere e classificare queste numerose informazioni (Fig. 2). Nello specifico, è organizzato in moduli riguardanti informazioni sul collaboratore, sulla data dell’osservazione, sulla grotta e sulle colonie individuabili ad occhio nudo, con la possibilità di inserire una breve descrizione del punto di osservazione, o eventuali note ritenute importanti dall’osservatore. Più in particolare, questo micro-database permette di raccogliere dati riguardo: 1) la presenza di biofilm microbici che popolano substrati rocciosi come pareti, soffitti e speleotemi; 2) gli aspetti distintivi di tali patine come colore, dimensione e aderenza alla superficie sottostante; 3) i segni macroscopici dell’attività microbica inerenti a processi di deposizione, corrosione e cambiamenti strutturali del substrato; 4) la coesistenza di biofilm di tipologie differenti sul medesimo sito; 5) la localizzazione delle colonie nelle differenti porzioni della grotta (zona di ingresso, penombra e buio assoluto). La diffusione dei batteri varia notevolmente da grotta a grotta e perfino, all’interno della stessa cavità, in relazione a determinati fattori presenti Bio-risanamento Sempre all’interno di particolari cavità sotterranee sono state identificate alcune specie di microrganismi in grado di degradare complessi composti aromatici, come il benzotiazolo e l’acido benzosolfonico, sostanze coinvolte nella fabbricazione di materie plastiche e pericolosi contaminanti ambientali (BARTON et al., 2006). Questa importante capacità ha consentito di impiegare tali specie in ambienti contaminati e di degradare le sostanze inquinanti, permettendo il ripristino degli habitat naturali con un processo chiamato bio-risanamento. Sempre nell’ambito del monitoraggio e del ripristino ambientale, una maggiore consapevolezza sulle dinamiche dei sistemi carsici ha fornito soluzioni efficaci per proteggere l’ambiente ipogeo e quello di superficie. Ad esempio, il monitoraggio dei cambiamenti ambientali in un sistema più semplice, come quello sotterraneo, risulta molto utile per la ricerca di alterazioni potenzialmente dannose e meno visibili, già in atto in superficie. Medicina Batteri finora poco conosciuti, rappresentano un’importante risorsa anche in campo medico. Diversi ceppi batterici possono essere impiegati nei trattamenti per il cancro (BARTON et al., 2006), mentre alcuni batteri sono altamente resistenti agli antibiotici. Conseguentemente, indagare l’origine dei geni associati alla resistenza può risultare estremamente importante 39 VII Convegno Federazione Speleologica del Lazio correnti esterne sono variabili e vi è una maggiore disponibilità di materiale organico proveniente dall’esterno (giunto per gravitazione oppure per trasporto idrocoro, anemocoro e zoocoro). Zona di penombra La zona di penombra presenta delle caratteristiche intermedie tra le due aree d’ingresso e di buio assoluto. Le oscillazioni di temperatura sono meno variabili rispetto all’ingresso e la presenza di vegetazione è notevolmente limitata. Gli arrivi di luce sono estremamente ridotti. Zona di buio assoluto Si tratta generalmente della porzione preponderante e che meglio identifica l’ambiente ipogeo. A differenza degli habitat superficiali, nelle zone più profonde delle grotte le condizioni chimicofisiche sono tendenzialmente più stabili. L’assenza di luce è la caratteristica principale di questa area e non permette la fotosintesi. Considerando che questo processo non è possibile nelle zone di buio assoluto, nella maggior parte delle grotte il sostentamento, e quindi la disponibilità di materiale organico, deriva dall’esterno; altre particolari cavità, invece, utilizzano carbonio organico fornito direttamente da organismi chemoautotrofi, i quali rappresentano l’unica fonte di produttività primaria presente in grotta (DEL GALLO et al., 1985; ENGEL, 2010). Un’altra informazione estremamente importante richiesta all’interno della scheda è la presenza di luce artificiale all’interno della cavità in esame. I batteri sono sostanzialmente indifferenti alla luce, fatta eccezione per i fotoautotrotrofi. Questi particolari microrganismi non ottengono energia dall’ossidazione di composti chimici – organici o inorganici (chemotrofismo) – ma possiedono dei pigmenti la cui funzione è analoga a quella della clorofilla nei vegetali ed utilizzano energia solare. Ovviamente, la mancanza di luce nelle grotte rende impossibile la presenza dei fotoautotrofi, ma troviamo alcune eccezioni date dall’illuminazione artificiale. Un esempio è dato dalla Grotta di Altamira (Spagna), all’interno della quale sono presenti delle comunità fotoautotrofe associate a vecchie lampade installate a terra (JONES et al., 2008). Alcuni di questi organismi continuano a vivere anche quando si hanno diminuzioni di luminosità perché riescono a catturare piccolissime quantità di fotoni. Questa capacità consente loro non solo la sopravvivenza, ma anche un vantaggio competitivo negli ambienti naturalmente privi di luce (BORDERIE et al., 2016). Per quanto riguarda il riconoscimento dei diversi biofilm o delle tracce di attività microbiologica, Figura 2 - Parte interna della scheda compilabile online in diverse zone. Nelle varie porzioni della grotta infatti, alcuni parametri chimico-fisici possono variare, influenzando in maniera significativa le colonie microbiche. In particolare, una cavità connessa con l’esterno può presentare tre microhabitat principali influenzati dalla penetrazione e dall’intensità della luce; tali settori sono schematizzati in zone di ingresso, penombra e buio assoluto. Ognuna di queste porzioni presenta specifiche condizioni chimico-fisiche e trofiche legate a gradienti geochimici che influenzano la potenziale colonizzazione e distribuzione della vita ipogea, come concentrazioni di metalli o ossigeno disciolto, disponibilità di acqua, ecc. (ENGEL, 2010). All’interno della scheda è presente un semplice schema che permette al collaboratore di riconoscere e stabilire con facilità l’esatta area di osservazione delle formazioni microbiologiche. Zona di ingresso È caratterizzata da arrivi di luce, quindi da una discreta presenza di vegetazione, per lo più composta da piante sciafile. Temperatura e 40 Speleologia del Lazio, 9 | dicembre 2018 la sezione della scheda deputata a ricevere informazioni a riguardo è corredata da foto esplicative, che consentono il riconoscimento delle patine microbiche anche da parte dei meno esperti ed informati sull’argomento. I segni di presenza e attività microbica presi in considerazione all’interno della scheda sono i seguenti: nome dall’andamento vermicolare, presentano al loro interno depositi discontinui di fango e argilla, resti animali e vegetali ed una ricca e attiva flora microbica e si possono rinvenire generalmente su pareti e soffitti (JONES et al., 2008). Latte di Monte Il latte di monte è un materiale biancastro descritto come morbido e pastoso quando idratato, e friabile e polveroso, come il gesso, quando è asciutto. Si tratta di un aggregato microcristallino, generalmente osservabile su soffitti, pavimenti, pareti e su speleotemi. Il latte di monte è considerato biologicamente attivo, grazie alla presenza di quantità significative biofilm microbici (CACCHIO et al., 2014). Tale fenomeno è comunemente associato alla precipitazione di calcite da parte di comunità microbiche e può essere attuato sia in maniera diretta da parte dei microrganismi (funghi, alghe, batteri e archea), sia passivamente, nel caso in cui i microrganismi stessi agiscono come punto di nucleazione su cui precipitano i minerali (CACCHIO et al., 2014). Puntini sulla superficie Alcuni particolari biofilm microbici possono avere colori vistosi. I principali colori osservati in grotta sono bianco, giallo-dorato, grigioargentato, rosa e celeste (PAŠIĆ et al., 2009). L’esatto meccanismo delle colorazioni può variare da sito a sito, in base alla composizione chimica locale e/o all’attività microbica. È bene comunque precisare che, nella maggior parte dei casi, queste peculiari colorazioni delle roccia non sono dovute esclusivamente all’attività microbica, ma alla natura della matrice litologica stessa. Un interessante fenomeno è poi associato alle goccioline d’acqua che condensano sulle superfici di pareti e soffitti all’interno di numerose cavità naturali ed artificiali. Quando queste goccioline vengono esposte ad una sorgente luminosa, come ad esempio una luce a led, si assiste ad una debole riflessione fluorescente di colore argentata o dorata (MULEC et al., 2015); per cui tali particolari formazioni sono state chiamate in gergo dagli speleologi “cave gold” se si è in presenza di riflessione dorata e “cave silver”, se invece presentano una colorazione argentata. Il riflesso argentato o dorato potrebbe essere dovuto al diverso colore che assumono i rivestimenti sottostanti le goccioline, composti soprattutto da microrganismi che possono avere colorazioni prevalentemente giallastre o biancastre; analisi filogenetiche delle colonie sulle pareti hanno mostrato una somiglianza con le comunità microbiche che si sviluppano sulle pareti delle grotte che hanno subito un discreto impatto antropico, un’informazione importante per capire i delicati equilibri tra il sistema sotterraneo e la frequentazione da parte dell’uomo. Inoltre, nelle cavità dove è stata riscontrata la presenza di cave silver e cave gold pare essere comune la presenza di un corso d’acqua ipogeo, altro elemento che potrebbe determinare la proliferazione dei microrganismi associati ai fenomeni di riflessione. Patine verdi Gli organismi fototrofici sono rinvenuti generalmente solo nelle zone di ingresso delle grotte, le quali sono soggette ad irradiazione solare, ma tendono ad essere assenti nelle zone più interne delle cavità, a meno che non sia presente una installazione di luce artificiale permanente. Le comunità fotosintetiche che prosperano in prossimità delle illuminazioni artificiali sono conosciute in letteratura con il nome “Lampenflora”, un termine introdotto nel 1963 da Dobàt per descrivere queste peculiari formazioni microbiologiche nelle grotte australiane. (LAMPRINOU et al., 2014). Come risulta ormai noto in bibliografia, l’illuminazione artificiale, se installata e gestita senza opportuni accorgimenti, può causare numerosi problemi derivanti dalla crescita di cianobatteri e alghe che rappresentano un grave disturbo ecologico, oltre ad una perdita del valore estetico di pareti e concrezioni colonizzate (SMITH & OLSON, 2007). Infine, sono accolte favorevolmente anche le segnalazioni che testimoniano un’assenza di microflora visibile ad occhio nudo. Questo tipo di informazione rappresenta un dato importante ed ha lo stesso valore di una normale osservazione. In caso di dubbi, consigliamo di inviare ugualmente il materiale fotografico e chiedere se si possa trattare o meno di attività microbica. Una buona consuetudine per gli speleologi sarebbe infatti, quella di osservare con attenzione l’ambiente che si frequenta e nel caso venga trovato qualcosa di “Pelli di leopardo” Le biovermicolazioni, (meglio conosciute tra gli speleologi come “pelli di leopardo”) prendono tale 41 VII Convegno Federazione Speleologica del Lazio Figura 3 - Campionamento microbiologico in grotta (foto di Mattia Iannella) insolito che non può essere facilmente spiegato da fenomeni abiotici (chimici, fisici o geologici), domandarsi se si possa trattare di attività microbiologica. Un punto di riferimento attivo per questo tipo di perplessità è rappresentato certamente dal presente progetto. Cave Microbial Survey infatti, cerca di fornire un supporto per l’identificazione di particolari formazioni, potenzialmente connesse alla microflora ipogea. Questo tipo di servizio è attivo già da tempo negli Stati Uniti, dove team di microbiologi aiutano gli speleologi a determinare fenomeni sconosciuti o poco frequenti rinvenuti in grotta. (BARTON et al., 2006). Un altro aspetto rilevante della scheda è dato dalla possibilità di georeferenziare le cavità che ospitano le patine microbiologiche. L’insieme dei dati raccolti, riportati su carte tematiche, forniscono informazioni estremamente importanti che possono essere elaborate attraverso software di cartografia e rilievo ipogeo (GIS, C-Survey). Tramite l’utilizzo di particolari tools è poi possibile stabilire la posizione delle faglie ed altri fattori che potrebbero portare energia nel sistema per la crescita microbica (BARTON et al., 2006). Anche l’informazione temporale è importante. È possibile inviare più segnalazioni della stessa grotta in quanto ogni osservazione ricadrà in periodi distinti, che potranno corrispondere a mesi, stagioni, anni differenti e quindi testimoniare cambiamenti nel tempo. Le finalità del progetto Le informazioni ricevute sono elaborate ed utilizzate per fini: 1. Scientifici La scheda risponde ad un’esigenza, riscontrata anche in bibliografia, legata alla difficoltà nel reperire dati sulle comunità microbiche presenti in grotta ed alla conseguente complessità dei campionamenti in situ (NATUSCHKA et al., 2012). Inoltre, implementando le informazioni disponibili in letteratura, favorisce un’interpretazione più realistica dei risultati scientifici ottenuti, oltre a permettere, nella fase preliminare, una programmazione più efficace e mirata del piano di campionamento (Fig. 3). 2. Divulgativi Parallelamente all’attività di raccolta dati, saranno promossi eventi formativi destinati soprattutto 42 Speleologia del Lazio, 9 | dicembre 2018 Grafico 1 - Frequenze percentuali dei biofilm microbici agli speleologi interessati a conoscere il campo della microbiologia degli ambienti ipogei. gestire le colonizzazioni da parte di specie invasive (PORTILLO et al., 2008). Dal punto di vista ecologico inoltre, i microrganismi giocano un ruolo fondamentale nei cicli biogeochimici e conseguentemente, rappresentano un aspetto di primaria importanza per studiare i delicati equilibri, la struttura ed il funzionamento dell’intero sistema sotterraneo (PORTILLO et al., 2008). 3. Gestionali La presenza ed il ruolo dei microrganismi è fondamentale per il sistema sotterraneo, anche se generalmente questi aspetti vengono ignorati nella gestione delle grotte. Tuttavia, una maggiore conoscenza sui meccanismi di colonizzazione e dispersione dei microrganismi è fondamentale per prevenire potenziali effetti negativi sulla salute umana, e quando presente, sul patrimonio artistico ipogeo (SAIZJIMENEZ, 2012). Gli studi dell’ecologia microbica, fornendo indicazioni sulla struttura delle comunità indigene ed individuando le eventuali alterazioni nel tempo, costituiscono un valido strumento per ottimizzare piani di monitoraggio, conservazione e gestione delle cavità sotterranee, in particolare, di quelle turistiche (ENGEL, 2010). Conoscere la composizione delle comunità microbiche, infatti, rappresenta il primo passo per capire, controllare, ed eventualmente, I destinatari del progetto Il progetto è rivolto a tutti; la scheda, infatti, è stata ideata per essere utilizzata dal singolo speleologo, dai gestori delle grotte turistiche e dalle federazioni di tutta Italia, fino a raggiungere gruppi speleologici o enti di ricerca appartenenti ad altre nazioni. Il supporto tecnico è fondamentale soprattutto per raggiungere le grotte di difficile accesso. Inoltre, le segnalazioni da parte degli speleologi, anche se occasionali, possono risultare assai numerose e quindi costituire per i microbiologi un ingente materiale di studio. 43 VII Convegno Federazione Speleologica del Lazio Figura 4 - Patina giallo-dorata (foto di Mattia Iannella) La stretta collaborazione tra speleologi e ricercatori dunque, favorirà indubbiamente una conoscenza più completa del sistema sotterraneo ed una maggiore consapevolezza sulla complessità e sulla delicatezza dei differenti ambienti ipogei. Risultati preliminari Il progetto è stato presentato in occasione del Raduno Internazionale di Speleologia “Strisciando 2016” ed è attivo online da novembre dello stesso anno. Al momento sono state raccolte segnalazioni da cavità di diversa natura e situate in diverse regioni italiane (Abruzzo, Lazio, Umbria, Emilia Romagna, Trentino - Alto Adige, Sardegna). Il Grafico 1 mostra l’andamento complessivo delle diverse patine microbiologiche relative alle diverse porzioni della grotta (zona di ingresso, penombra e buio assoluto). In questa fase preliminare, si può osservare la prevalenza di biofilm giallo-dorato (Fig. 4) riscontrato nel 41% delle grotte in esame. Le attività Cave Microbial Survey non è solo una scheda o un database, ma un insieme di attività di ricerca di campo e accademica, attività divulgativa ed educativa ad ampio spettro. Una particolare attenzione è data alle esplorazioni in ambito nazionale ed internazionale, che favoriranno la diffusione del progetto e permetteranno di raccogliere informazioni più diversificate sui numerosi ambienti ipogei. La scheda attualmente è disponibile in italiano ed inglese, ma verrà tradotta anche in altre lingue per facilitarne e semplificarne la compilazione. In conclusione, questo micro-database speleologico può contribuire a definire linee guida innovative sul monitoraggio, la conservazione, la manutenzione, la gestione e ed una fruizione consapevole del patrimonio ipogeo, oltre a divulgare informazioni di base sulla microbiologia ipogea, disciplina ancora poco conosciuta in ambito speleologico. Contatti È stato realizzato un sito web gratuito, all’interno del quale è possibile trovare tutte le informazioni utili per seguire il progetto e contribuire attivamente con la propria segnalazione. Oltre alla possibilità di accedere al link per la compilazione della scheda, è possibile scaricare materiale informativo di supporto e seguire costantemente le nostre attività. Per accedere all’interno della scheda di Cave Microbial Survey basta collegarsi al sito https://vaccarelliilaria. wixsite.com/cavemicrobialsurvey (Fig. 5) oppure scannerizzare il QR-Code sottostante (Fig. 6). 44 Speleologia del Lazio, 9 | dicembre 2018 Figura 5 - Home page del sito web di Cave Microbial Survey Riferimenti bibliografici cave ecosystems. Geomicrobiology: Molecular and Environmental Perspective. Springer Netherlands, cap. 10, pp. 219-238. PORTILLO M. C., GONZALEZ J. M., SAIZ JIMENEZ C., 2008, Metabolically active microbial communities of yellow and grey colonizations on the walls of Altamira Cave, Spain. J. App. Microbiol., vol. 104, pp. 681-691. DEL GALLO M., FUMANTI B., VISONÀ L., 1985, Microflora and activity of functionals groups in the sediments of the cave ‘Grotta del Diavolo’ (Grosseto, Italy). Annali di Botanica, vol. 43, pp. 181-195. BARTON H. A., 2006, Introduction to cave microbiology: a review for the non-specialist. J. Cave Karst Studies., vol. 68, no. 2, pp. 43-54. JONES D. S., LYON E. H., MACALADY J. L., 2008, Geomicrobiology of biovermiculations from the Frasassy cave system, Italy. J. Cave Karst Studies, vol. 2, pp. 78-93. BARTON H. A., NORTHUP D. E., 2007, Geomicrobiology in cave environments: past, current and future perspectives. J. Cave Karst Studies, vol. 69, no. 1, pp. 163-178. BORDERIE F., DENIES M., BARANI A., ALAOUI-SOSSÉ B., ALEYA L., 2016, Microbial composition and ecological features of phototrophic biofilms proliferating in the Moidons Caves (France): investigation at the single-cell level. Environ. Sci. Pollut. Res., vol. 23, no. 12, pp. 12039-12049. NATUSCHKA M. L., MEISINGER D. B., AUBRECT R., KOVACIC L., SAIZ-JIMENEZ C., BASKAR S., BASKAR R., LIEBL W., PORTER M. L., ENGEL A. S., 2012, Caves and Karst Environments. Life at extremes: environments, organisms, and strategies for survival. cap. 16, pp. 320-343. PAŠIĆ L., KOVČE B., SKET B., HERZOGVELIKONJA B., 2009, Diversity of microbial communities colonizing the walls of a Karstic cave in Slovenia. FEMS Microbiol. Ecol., vol. 71, no. 1, pp. 50-60. BHULLAR K., WAGLECHNER N., PAWLOWSKI A., KOTEVA K., BANKS E. D., JOHNSTON M.D., BARTON H. A., WRIGHT G. D., 2012, Antibiotic restistance is prevalent in an isolated cave microbiome. PLOS ONE, vol., no. 7, e34953. MULEC J., OARGA-MULEC A., MATOS T., 2015, Characterization and fluorescence of yellow biofilms in karst caves, southwest Slovenia. Int. J. Speleology, vol. 44, no. 2, pp. 107-114. ENGEL A. S., 2010, Microbial diversity of 45 VII Convegno Federazione Speleologica del Lazio CACCHIO P., FERRINI G., ERCOLE C., DEL GALLO M., LEPIDI A., 2014, Biogenicity and characterization of moonmilk in the Grotta Nera (Majella National Park, Abruzzi, Central Italy). J. Speleology, vol. 76, no. 2, pp. 88-103. LAMPRINOU V., DANIELIDIS D. B., PANTAZIDOU A., OIKONOMOU A., ECONOMOU-AMILLI A., 2014, The show cave of Diros vs. wild caves of Peloponnese, Greecedistribution patterns of Cyanobacteria » Int. J. Speleology, vol. 43, no.3, pp. 335-342. SMITH T., OLSON R., 2007, A taxonomic survey of lamp flora (Algae and Cyanobacteria) in electrically lit passages within Mammoth Cave National Park, Kentucky. Int. J. Speleology, vol. 36, no.2, pp. 105-114. SAIZ-JIMENEZ C., 2012, Microbiological and environmental issues in show caves. World J. Microbiol. Biotechnol., vol. 28, pp. 2453-2464. Figura 6 - Q-R Code del progetto 46 Speleologia del Lazio, 9 | dicembre 2018 La Grotta dei Serpenti tra medicina e folclore STEFANO GAMBARI N el Dizionario dei luoghi comuni, Gustave Flaubert annotava che «le caverne sono sempre piene di serpenti» e i serpenti «sono tutti velenosi»! A Roma, nel Seicento, si diffondono notizie di guarigioni dovute a sospette pratiche terapeutiche che si svolgevano in una cavità termale presso Sasso (La 184, Cerveteri). La ricerca indaga una lunga tradizione a stampa che giustifica il fenomeno e si richiama ad elementi colti che si innestano su un vasto tessuto di credenze folcloriche relative alle virtù del serpente e della grotta: il mondo sotterraneo è da sempre popolato di ianare, di draghi, di creature fantastiche, di tesori nascosti. Questa ricerca di‘microstoria’ indaga sul culto terapeutico che, durante il Seicento, si svolgeva nella Grotta dei Serpenti, una piccola cavità nel comune di Cerveteri. L’indagine s’inscrive nell’ambito degli studi riguardanti il folclore delle grotte del Lazio, ossia nella tradizione di ricerca sulle tradizioni popolari relative alle cavità della regione. Gli studi sono molto avanzati in alcune regioni italiane – si pensi alle Regioni Veneto e Friuli Venezia Giulia – ma piuttosto limitati nel Lazio. Il paleontologo e geologo Aldo Giacomo Segre scrisse un saggio dal titolo Le grotte del Lazio nel mito e nella tradizione popolare, che pubblicò nel 1948, lo stesso anno in cui dava alle stampe la monografia I fenomeni carsici e la speleologia del Lazio, un’opera che offriva una sistemazione organica e un’interpretazione speleogenetica ai dati raccolti sin dal 1904 dal Circolo Speleologico Romano (CSR) e dall’autore che, con numerose ricognizioni a partire dal 1935, acquisì dati e informazioni sulle principali aree carsiche della regione. Le ricerche sulle leggende relative a cavità del Lazio non sono numerose né ha assunto rilievo il lavoro di recupero dei dati relativi al folclore delle grotte, nella letteratura o sul campo, che si è svolto sino ad oggi. Le schede del Catasto storico e i libri delle relazioni delle uscite del CSR registrano a volte informazioni folcloriche, che consistono in semplici citazioni o riferimenti letterari o bibliografici ad opere di autori classici, viaggiatori o studiosi. Più raramente si tratta, invece, di segnalazioni di racconti ascoltati, nel corso di ricognizioni, dalla voce dei nativi, quei contadini e pastori che “hanno da sempre frequentato la prima parte delle cavità e aiutato spesso gli speleologi, fornendo informazioni sulla posizione degli ingressi, accompagnandoli come guide o trasportando materiali utili alla progressione. Le grotte sono state anche utilizzate dalle comunità locali per diverse finalità: captazione dell’acqua per irrigare campi, prelievo di ghiaccio da nevai interni in grotte ad alta quota, estrazione di rocce e minerali, abitazione o riparo per pastori, rifugio per briganti, uso terapeutico (grotte termali), uso cultuale (grotte-santuario). Ciò ha portato a una certa, seppur limitata, conoscenza dell’ambiente sotterraneo; gran parte di questi saperi popolari non sono registrati con la scrittura, ma vengono trasmessi per mezzo della tradizione orale, tramite racconti e leggende. Definito folclore delle grotte, questo insieme di storie orali è andato in gran parte perduto a seguito delle trasformazioni sociali o della disgregazione delle comunità agricole e pastorali a partire dagli anni Cinquanta: ne sopravvivono solo isolati frammenti. Sotto forma di leggenda si è trasmessa, per varie grotte del Lazio – elemento comune a molte regioni italiane – l’intuizione del collegamento tra i pozzi e gli inghiottitoi delle zone d’assorbimento e le sorgenti a valle. Le leggende 47 VII Convegno Federazione Speleologica del Lazio Figura 1 - Monte delle fate (Sasso, Cerveteri). Punto giallo: Grotta Patrizi; punto rosso: Grotta dei serpi fanno riferimento a “esperienze di colorazione tramite traccianti naturali”, ad esempio allo scorrimento di paglia, dall’inghiottitoio sino alla risorgenza. L’intuizione è spesso infondata, come per la voragine di Monte Tesoro, e per Pozzo Santullo, ma a volte corretta per alcune grotte dei Monti Carseolani. Secondo due escursionisti di fine Ottocento della sezione di Roma del CAI il fiume Imele che s’inabissa nell’inghiottitoio omonimo, nel comune di Cappadocia, risorge a Capacqua (Tagliacozzo) e “corre voce nel paese che l’acqua impieghi circa 24 ore ad attraversare il monte; ed a convalidar ciò, si dice di un certo esperimento fatto gettando nel fiume non so quali materie coloranti” (GAMBARI 2015, p. 8, la citazione interna è di GAVINI e VOLTAN 1892). Negli anni Settanta il curatore del Catasto, Gianfranco Trovato, svolge un’ampia verifica dei suoi contenuti, lavorando anche su “una nutrita lista di incongruenze, di dati mancanti, di dubbi e di palesi errori” e arricchendo le schede con “ritagli delle fonti bibliografiche, foto e tutte le informazioni reperibili” (TROVATO 2015, p. 405), ma insieme avviando un intenso lavoro sul campo, controllando le informazioni, identificando nuovamente le cavità e compiendo spesso nuove esplorazioni e rilievi. Dunque negli anni Settanta, all’interno di queste azioni di campagna, anche la raccolta sul campo di leggende e storie riportate da pastori e contadini Figura 2 - Esecuzione del rilievo topografico della Grotta dei serpi, CSR 2004 (Foto Stefano Gambari) 48 Speleologia del Lazio, 9 | dicembre 2018 Figura 3 - Manoscritto Barb. Lat. 259, folio 1 recto (Biblioteca Apostolica Vaticana) 49 VII Convegno Federazione Speleologica del Lazio Figura 4 - Elaphe quatuorlineata (Foto Ernesto Filippi) avviene in forma più sistematica e con più frequenza, anche con l’uso del registratore. Trovato svilupperà in particolare le sue ricerche sui culti di carattere magico e religioso di cui darà una sistemazione organica nell’opera Culti ipogei, volta a delineare il rapporto tra l’uomo e le grotte dai culti preistorici alle pratiche votive dei santuari rupestri romani e cristiani, e pubblicata nel 2000, mentre nel 1987 Alberta Felici e Giulio Cappa avevano pubblicato un primo studio sulle grotte santuario nel Lazio (FELICI, CAPPA 1987). Ricerche sulle leggende di tesori nascosti sono sviluppate da Gambari (1974, 1977), anche con registrazioni tramite magnetofono di testimonianze orali relative alla risorgenza dell’Inferniglio di Jenne (1975). La ricerca sulla Grotta dei serpenti, svolta a partire dagli anni Settanta, pubblicata dalla casa editrice Espera come primo numero della collana Archeoitinera, ha avuto sin dagli inizi un intento multidisciplinare, come punto di convergenza delle osservazioni di varie discipline: geologia, erpetologia, storia e bibliografia. La ricerca è nata dall’esame della trascrizione di Saverio Patrizi di un documento Figura 5 - Copertina 50 Speleologia del Lazio, 9 | dicembre 2018 del Seicento, conservata nella busta La 184 del Catasto storico delle grotte del Lazio. Identificato il documento, De Spelunca et serpentibus Caeretanis, scritto intorno al 1634 dal medico francese Pierre Michon Bourdelot e conservato presso la Biblioteca Apostolica Vaticana, è stata ricostruita una lunga tradizione a stampa che narra del ruolo dei serpenti nello svolgimento delle terapie in grotta. Le leggende che hanno come tema il serpente e la grotta sono abbastanza diffuse; molto spesso si registrano racconti relativi a un grande serpente, o a un drago, che abita la cavità. Nel Lazio il toponimo è associato a due ipogei artificiali (l’Antro del serpente del Santuario di Giunone Sospita a Lanuvio, e la cisterna romana dell’isola di Ponza, chiamata Grotta del serpente “perché piena di bisce”) e a due cavità carsiche (la Grotta dei serpenti di Sasso e la Grotta del serpente di Gaeta). Nelle mitologie più remote come nelle leggende medievali, il serpente ha la sua dimora nelle viscere della terra, laggiù custodisce luoghi sacri ed è guardiano di mitici tesori nascosti. Animale totemico, in origine ‘buono’, che dispensa cure, il serpente si trasformerà in una sua trasformazione di segno opposto, completamente negativo, nella figura del serpente-drago, l’antagonista con cui l’eroe dovrà lottare, per riparare il danno iniziale e concludere felicemente la sequenza narrativa della fiaba. Più tardi, con il Cristianesimo, il serpente sarà ormai unicamente visto quale animale malefico, che rappresenta il demonio, e al quale verrà opposta la figura dell’arcangelo Michele, un santo il cui culto andrà spesso a sostituire quello di antiche divinità pagane: Mercurio, Giove, Mitra, Diomede, Calcante e Podalirio, Vacuna oppure Esculapio. Nella iconologia cristiana del Seicento, l’azione virtuosa era raffigurata da una persona che uccide il serpente, simbolo del male: un “uomo di età virile, di bellissimo aspetto”, con il capo pieno di raggi. Nella mano destra tiene un’asta rotta, la cui punta è conficcata “nella testa di un bruttissimo e spaventevole Serpente in terra morto”, e “colla sinistra tiene un libro, e sotto a uno de’ piedi terrà una testa di morto” (COSTANTINI, p. 193). La tradizione relativa alla Grotta dei serpenti presso Sasso non riguarda tuttavia il fantastico e gigantesco serpente-drago resoci familiare dai miti, dalle leggende e dalle fiabe, ma serpenti che si pretendono “osservati in natura”, serpenti reali, e tuttavia per l’uomo benefici e benefattori, che operano nel contesto di una terapia insolita e misteriosa, giocandovi un ruolo estremamente suggestivo e particolare. Queste bisce buone risanano i malati, escono dai cunicoli e leccano il sudore, asciugando la pelle dei malati: sono il biacco (Hierophis viridiflavus), il Saettone comune (Zamenis longissimus) e soprattutto il Cervone (Elaphe quatuorlineata), quella stessa specie che è protagonista della processione di San Domenico a Cocullo. Accorrono a visitare la grotta il libertino Pierre Michon Bourdelot, l’enciclopedico Athanasius Kircher e il chirurgo Thomas Bartholin: “similmente alla rugiada o al vapore del miele gli umori insani restaura, e risolve la podagra nodosa per la quale i medici sciupano il ranno e il sapone” (BOURDELOT, 6r: 18-23). Inizia una lunga tradizione a stampa che giustifica il fenomeno e si richiama all’incubatio dell’Isola Tiberina, all’uso dell’oppio, al re dei serpenti, registrando l’invidia dei medici locali, che bruciano il sottobosco per eliminare le bisce. Più tardi prevale lo scetticismo e la tradizione popolare è ridicolizzata. La cavità fu nel lontano passato usata, in piccolo, quale sauna naturale come lo sono tuttora molte grotte italiane: è la disciplina o ambito d’interesse dell’antroterapia o speleoterapia. La monografia descrive criticamente le fonti documentarie disponibili relative al culto delle serpi salutifere attraverso i secoli. Le visite di numerosi eruditi nel Seicento testimoniano che le pratiche terapeutiche e rituali furono attive per tutto il secolo, ma alla fine del secolo si estinsero. Nella letteratura successiva, che si estende sino ai giorni nostri, si tenta una interpretazione del fenomeno in varie chiavi, alcune delle quali enfatizzano lo scetticismo e ridicolizzano la tradizione: è “una favola cui non credono” “nemmeno ‘i piu idioti del popolo’” (Giovanni Battista Rampoldi), una “ostinata pagania” che resiste caparbiamente ai “colpi reiterati della religion vera” (Francesco Orioli). Viene ad incrinarsi il complesso di credenze sulle terapie che si svolgono a Sasso; altri autori, come il domenicano Jean-Baptiste Labat, in controtendenza, difenderanno tuttavia la tradizione in una critica, aperta e feroce, rivolta alla classe dei medici corrotti. La Grotta dei serpenti tra medicina e folclore propone una chiave di lettura del fenomeno culturale all’interno di una “archeologia del sapere” in cui emergono le tensioni tra religioso e profano, e in cui si realizza l’innesto di elementi mitologici ed eruditi su un vasto tessuto di credenze popolari relative alle virtù terapeutiche del serpente e della grotta, innesto favorito da elementi suggeriti o creati dai contadini del luogo. 51 VII Convegno Federazione Speleologica del Lazio Bibliografia Sito web BOURDELOT F. M., De Spelunca et serpentibus Caeretanis. Manoscritto Barb. Lat. 259, Biblioteca Apostolica Vaticana https://sgambari.wixsite.com/grottaserpenti Scheda del libro: COSTANTINI, Iconologia del cavaliere Cesare Ripa perugino notabilmente accresciuta d’immagini, di annotazioni, e di fatti dall’abate Cesare Orlandi patrizio di Citta della Pieve accademico augusto [...], tomo primo [quinto] Titolo: La Grotta dei serpenti tra medicina e folclore Autore: Stefano Gambari Collana: archeoitinera Argomento: storia, folclore, zoologia, speleologia Dimensioni libro: 17x24 cm Pagine: 208 Lingua: italiano Prezzo: € 35,00 Anno di pubblicazione: 2017 ISBN: 9788899847012 FELICI A., E CAPPA G., 1987, Grotte santuario nel Lazio, Notiziario Speleo club Roma, n. 8. GAMBARI S., 1974, Aspetti comuni delle tradizioni plutoniche nella fiaba e nella leggenda. Notiziario del Circolo Speleologico Romano, a. XIX (1-2), pp. 23-32, Roma, CSR. GAMBARI S., 1975, La leggenda plutonica della Grotta dell’Inferniglio (Jenne): materiali e prime valutazioni critiche. Notiziario del Circolo Speleologico Romano, a. XXIII (1-2), pp. 51-74, Roma, CSR. GAMBARI S., 1977, Settanta leggende plutoniche: contributo ad un’analisi morfologica, tesi di laurea, Università La Sapienza, A.A. 1976-1977. GAMBARI S., 2015, Storia del CSR dalla fondazione al 1959, in 100 anni sottoterra: il Circolo Speleologico Romano dal 1904 al 2004, Roma, CSR. GAVINI C., VOLTAN G., 1892, Escursioni in Abruzzo. Annuario Sez. Romana del CAI, 3, 1888-91, pp. 71-116. Roma, Loescher. SEGRE A. G., 1948a, Le grotte del Lazio nel mito e nella tradizione popolare. L’urbe. Rivista di studi romani, 11(6), pp. 2-9. SEGRE A. G., 1948b, I fenomeni carsici e la speleologia del Lazio, Roma, Istituto di geografia dell’Università di Roma. TROVATO G., 2000, Culti ipogei: divinità, culti, riti, religioni e magia nelle cavità dell’Italia centrale. Notiziario del Circolo Speleologico Romano, n.s., a. XXXVIII-XLI (12-15). Roma, CSR. TROVATO G., 2015, Il Catasto speleologico del CSR: evoluzioni e memorie, in 100 anni sottoterra: il Circolo Speleologico Romano dal 1904 al 2004, pp. 403-422, Roma, CSR. 52 Speleologia del Lazio, 9 | dicembre 2018 Alla scoperta del buio: l’esplorazione della grotta per il disabile visivo FRANCESCA LICORDARI - GIAMMARIO MASCOLO Q uesto contributo si basa sul principio di cercare di avvicinare il più possibile alle attività di tutti i giorni anche le persone con disabilità. Proprio per questo scoprire tutto ciò che ci circonda e avere contatti con la natura diventa un bisogno fondamentale. La speleologia, in questo senso, si è dimostrata una disciplina molto utile. In particolare l’esplorazione delle grotte si è rivelata particolarmente attraente per le persone con disabilità visiva, che hanno potuto percepire un mondo buio, sotto un certo punto di vista già noto, in maniera completamente nuova. In questo articolo presentiamo i risultati derivati dalla nostra esperienza e dalle nostre visite, effettuate tra l’aprile 2015 e l’aprile 2016, alla Grotta dell’Arco a Bellegra e a quelle dell’Ovido e di Beatrice Cenci nei Monti Carseolani in Abruzzo. I disabili visivi si possono distinguere in primari (la perdita della vista è avvenuta prima dei 3/5 anni) e secondari (la perdita della vista è avvenuta dopo i 5 anni). La distinzione è fondamentale perché ciechi secondari possono comprendere più facilmente concetti tipicamente visivi, come i colori. In particolare chi ha perso la vista in età molto precoce non ha praticamente nessun ricordo visivo, non conosce i colori se non per i loro nomi, assume atteggiamenti e strategie comportamentali tipicamente da non vedente. Chi invece ha perso la vista in età più avanzata ricorda benissimo i concetti visivi, i colori, e assume strategie comportamentali tipiche di chi vede. Di contro i ciechi secondari tendono spesso a mettere in atto comportamenti tipici di chi usa la vista, cercando di fare affidamento sulle pochissime informazioni visive a loro disposizione. In base alla Legge 138 del 03/04/2001 “Classificazione e quantificazione delle minorazioni visive e norme in materia di accertamenti oculistici”, è possibile, invece, fare una distinzione in base al grado di cecità: 1. Ciechi totali 2. Ciechi parziali 3. Ipovedenti gravi 4. Ipovedenti medio-gravi 5. Ipovedenti lievi Ciechi totali a) coloro che sono colpiti da totale mancanza della vista in entrambi gli occhi; b) coloro che hanno la mera percezione dell’ombra e della luce o del moto della mano in entrambi gli occhi o nell’occhio migliore; c) coloro il cui residuo perimetrico binoculare è inferiore al 3 per cento. Ciechi parziali a) coloro che hanno un residuo visivo non superiore a 1/20 in entrambi gli occhi o nell’occhio migliore, anche con eventuale correzione; b) coloro il cui residuo perimetrico binoculare è inferiore al 10 per cento. Ipovedenti gravi a) coloro che hanno un residuo visivo non superiore a 1/10 in entrambi gli occhi o nell’occhio migliore, anche con eventuale correzione; b) coloro il cui residuo perimetrico binoculare è inferiore al 30 per cento. Ipovedenti medio-gravi a) coloro che hanno un residuo visivo non superiore a 2/10 in entrambi gli occhi o nell’occhio migliore, anche con eventuale correzione; b) coloro il cui residuo perimetrico binoculare è inferiore al 50 per cento. 53 VII Convegno Federazione Speleologica del Lazio Figura 1 - Preparazione del non vedente al di fuori della Grotta dell’Ovido Nell’immaginario comune la grotta ha soprattutto la caratteristica di essere un luogo privo di luce o con pochissima luce naturale. Il disabile visivo vive l’assenza di luce già nella vita quotidiana, è perciò abituato a relazionarsi con luoghi, oggetti, percorsi senza fare affidamento sui propri occhi e sugli indizi visivi. L’esperienza della grotta, quindi, è per la persona con disabilità visiva come Ipovedenti lievi a) coloro che hanno un residuo visivo non superiore a 3/10 in entrambi gli occhi o nell’occhio migliore, anche con eventuale correzione; b) coloro il cui residuo perimetrico binoculare è inferiore al 60 per cento. La grotta deve essere resa accessibile a tutti perché in qualche modo spinge la persona a un contatto diverso con l’ambiente che la circonda. Il disabile visivo ha continuamente bisogno di trovare, conoscere e applicare nuove modalità di contatto con il mondo esterno. Questo avviene perché problemi che per un vedente hanno una soluzione già collaudata, spesso per un non vedente richiedono necessariamente la ricerca di soluzioni nuove. Nasce perciò in molti che vivono questa condizione una curiosità “esplorativa” e “conoscitiva”, legata al bisogno intrinseco di conoscere e padroneggiare sempre nuovi modi e tecniche di contatto con ciò che li circonda. Al tempo stesso la grotta offre a chi guida il non vedente l’opportunità di apprendere continuamente come si possa essere di supporto alla persona con disabilità visiva in attività che a un profano potrebbero sembrare impossibili senza la vista. Figura 2 - Il non vedente sta scoprendo e toccando una parete rocciosa. Le mani si sono bagnate e sporcate a causa dell’umidità della roccia. Anche i segni lasciati sulle mani ed “eventuali macchie” fanno parte della percezione tattile 54 Speleologia del Lazio, 9 | dicembre 2018 un “viaggio noto in un luogo sconosciuto”. La percezione dell’ambiente “grotta” è determinata per chi non vede da altri fattori sensoriali rispetto a quelli utilizzati da chi vede: la prima cosa che nota un non vedente non è la diminuzione di luce. Dall’esperienza maturata nella guida di persone non vedenti all’interno di diverse grotte sono emersi alcuni elementi fondamentali che abbiamo voluto riassumere con il “principio delle tre S”: sicurezza, scoperta, sensazioni. 1 - Sicurezza La sicurezza della persona non vedente che esplora la grotta deve essere il primo punto fondamentale da tenere sempre presente, come per chiunque altro. Il lavoro su questo aspetto comincia già dalla scelta della grotta da visitare: spazi sufficientemente ampi per permettere il passaggio del non vedente e del suo accompagnatore, assenza di zone pericolanti e di ostacoli e dislivelli insuperabili per una persona non attrezzata e non formata. È importantissimo, se non addirittura obbligatorio, che chi accompagna il non vedente abbia seguito uno specifico addestramento teorico e pratico sulle tecniche di accompagnamento di base e avanzate. Sarà opportuno in alcuni casi che la grotta sia attrezzata con dispositivi di sicurezza; questi, però, dovrebbero essere progettati e realizzati in modo da non intralciare la visita della persona non vedente a tutti gli elementi della grotta stessa. A titolo di esempio la realizzazione di una passerella è certamente una misura di sicurezza tra le più efficaci, al tempo stesso, però, essa può portare il percorso di visita troppo distante dalle pareti e da elementi fondamentali per la comprensione del luogo, facendo sì che il non vedente si trovi completamente privato della possibilità di toccare (quindi conoscere direttamente) punti di interesse. Nella Grotta dell’Ovido, in Abruzzo, la passerella è fissa e presente lungo tutto il percorso. Quando gli ambienti si allargano, rimane però molto distante dalle pareti e passa, inoltre, sospesa, non consentendo di scendere al livello del suolo. Sarebbe opportuno progettare passerelle con corrimano rimovibile e, nel caso di strutture sospese, anche scale che permettano di scendere al livello del terreno originario. Anche il personale tecnico preposto dei vari enti, pertanto, potrebbe essere formato per realizzare dispositivi di sicurezza fruibili per tutti. Un vedente deve sviluppare nuovi strumenti per rendere più accessibili gli ambienti. Per garantire il buon livello di tutti e tre i parametri è indispensabile che il non vedente sia accompagnato e che ci sia un accompagnatore per ogni disabile visivo, anche se la persona ha Figura 3 - I segni di natura antropica o naturale non possono essere tralasciati nella comprensione. Nell’immagine è visibile la traccia del passaggio di un carro lasciata in epoca romana sul pavimento del decumano massimo di Ostia Antica. Il non vedente si è chinato proprio per toccare questa impronta del terreno Figura 4 - Un non vedente sta cercando di leggere un’iscrizione latina nonostante le difficoltà date dall’incisione Figura 5 - Esempio di esplorazione aptica. L’accompagnatore prende la mano del non vedente e la guida nell’esplorazione dell’oggetto 55 VII Convegno Federazione Speleologica del Lazio A tal proposito, si ricorda che le tecniche di base sono state sviluppate e perfezionate proprio per evitare espressioni a voce, che non in tutte le circostanze sono possibili e che possono far perdere tempo. Chi è principiante nel settore rischia di fornire indicazioni completamente inutili, basate su espressioni tipiche dei vedenti, ma inutilizzabili per l’orientamento dei ciechi come per esempio “guarda là”, “più avanti” e così via. Nel condurre un non vedente non bisogna avere paura di rapportarsi con lui, una guida riuscirà meglio nel suo compito tanto più sarà sicura nel suo atteggiamento, ovviamente senza dimenticare alcuni accorgimenti base. È da sfatare il luogo comune che con un cieco non si possa parlare liberamente: si possono tranquillamente utilizzare i verbi “vedere”, “guardare” e “osservare”. Anzi tali espressioni servono per integrare maggiormente la persona nelle attività e nella società. Ogni accompagnatore deve essere formato su queste tecniche di base. Una volta apprese queste tecniche, bisogna specializzarsi ulteriormente con una formazione avanzata, che necessita di un training specifico. Proprio per questo in grotta è inoltre necessario usare tecniche specifiche per segnalare le fonti di pericolo non solo a terra, ma anche sulle pareti e sul soffitto (stalattiti, spuntoni di roccia, tratti con soffitto più basso, ecc.). Figura 6 - Strettoia nella Grotta dell’Arco di Bellegra un buon livello di autonomia nella vita di tutti i giorni, poiché gli ostacoli che si presentano sono totalmente imprevisti rispetto a quelli cui si è abituati. Lo stesso discorso vale anche per l’ipovedente. Esistono tecniche di accompagnamento di base della persona disabile visiva studiate appositamente per: 1. guidare lungo il percorso; 2. segnalare eventuali ostacoli o variazioni o fonti di pericolo; 3. ridurre al minimo le indicazioni verbali. Figura 7 - Percepita la strettoia della grotta con l’udito, il non vedente si fa strada da solo aiutandosi con le mani e affrontando la strettoia nella Grotta dell’Ovido 56 Speleologia del Lazio, 9 | dicembre 2018 3 - Sensazioni Attraverso i suoi sensi residui (quelli non visivi) il disabile visivo potrà conoscere tutto ciò che lo circonda. Quando si entra in grotta, la visita guidata deve essere plurisensoriale: il tatto, l’udito, l’olfatto diventano fondamentali. Bisogna cercare di fare descrizioni semplici e lineari, facendo riferimento il più possibile alle conoscenze già acquisite. Il tatto consente di esplorare l’ambiente circostante grazie all’attenta percezione di tutto ciò che vi è intorno (Fig. 2). È ovvio che se ci sono delle peculiarità è fondamentale farle toccare, come in particolare i casi di seguito elencati: • • • • • Figura 8 - Il non vedente affronta con le cognizioni acquisite una strettoia della Grotta dell’Arco a Bellegra Segni della roccia di origine naturale oppure antropica (Fig. 3); Eventuali decorazioni o iscrizioni (Fig. 4); Percezione delle differenze di temperatura e di umidità della roccia; Sensazioni date dall’aria e dall’acqua sulla pelle e in alcuni casi dai raggi del sole; Nelle grotte con percorso obbligato, ad esempio con passerella, è fondamentale che i corrimano siano rimovibili, per consentire alla persona disabile visiva di uscire dal percorso. Nell’ambito della preparazione specifica bisogna guidare la persona in quella che viene definita esplorazione aptica, ovvero una modalità di conoscenza tramite il tatto particolarmente indicata per chi non vede, che ha bisogno di costruire una rappresentazione dell’ambiente proprio attraverso questo senso. Si incomincia con una visione d’insieme per poi scendere nei dettagli. Questo approccio deve essere effettuato con le due mani e con tutte e dieci le dita, seguendo un percorso logico. Fondamentale è l’aiuto di un operatore esperto, che può aiutare il non vedente a individuare e apprezzare i dettagli più significativi e che guida proprio materialmente le sue mani (Fig. 5). A tal proposito è giusto evidenziare come dettagli sporgenti dalle pareti, dai soffitti, dai pavimenti, quali stalattiti, stalagmiti, canne d’organo, concrezioni, siano di più facile comprensione rispetto alle incisioni. Il non vedente, per sua natura, è portato a riconoscere e a comprendere tutto ciò che è a rilievo, mentre i segni incisi risultano poco percepibili. Passano totalmente inosservati eventuali pitture e graffiti, che possono essere capiti solo tramite riproduzioni. Il secondo senso da prendere in considerazione è l’udito, che per il non vedente è anche uno strumento di orientamento. Infatti, grazie alle capacità del nostro cervello di interpretare il ritorno delle onde sonore (effetto pipistrello), 2 - Scoperta Quando si approccia alla grotta, il non vedente, come chiunque altro, sta entrando in contatto con qualcosa di “nuovo”, con caratteristiche ambientali, tattili, acustiche e di mobilità molto diverse da ciò cui è abituato. Per chi non vede è fondamentale in questi casi arrivare all’esperienza, per quanto possibile, già preparato. Per questo motivo la conoscenza per il non vedente deve incominciare fuori dalla grotta (Fig. 1). Deve conoscere, prima di entrare in grotta, quello che troverà all’interno. Un aiuto nella comprensione può essere dato dal toccare campioni di roccia, di materiali, di concrezioni, di muschi; provare se possibile la pavimentazione che troverà all’interno, muoversi in un ambiente con caratteristiche simili a una grotta naturale. Una volta all’interno, la persona dovrà essere guidata a toccare tutto quello che è possibile confrontandolo con ciò che ha visto nella fase preliminare. Il disabile visivo userà i suoi sensi com’è già abituato a fare. Dovrà essere guidato a percepire attraverso il tatto i vari materiali, ma anche a comprendere le differenze di temperatura e di umidità della roccia. 57 VII Convegno Federazione Speleologica del Lazio Figura 9 - Lucernario nella Grotta dell’Ovido si possono percepire le dimensioni dei vari ambienti, le gallerie, l’altezza dei soffitti, la maggiore o minore regolarità delle pareti, l’avvicinarsi o l’allontanarsi dall’uscita e dai passaggi da un ambiente all’altro ed eventuali ostacoli (Fig. 6). Questo senso permette anche di apprezzare i classici rumori e suoni della grotta, che la rendono un ambiente vivo, come i versi di animali, le infiltrazioni di acqua, le sorgenti o i corsi d’acqua sotterranei. Si tratta di sensazioni che vanno continuamente stimolate (Figg. 7-8). L’altro senso fondamentale per la comprensione di una grotta, che si rivela molto coinvolto, è l’olfatto. Fornisce, infatti, sensazioni sulla qualità dell’aria. Non bisogna avere paura di far sentire tutti gli odori, anche i più sgradevoli, perché fanno parte dell’ambiente. Tale senso può dare informazioni molto importanti e aumentare la suggestione del luogo perché i muschi, le muffe, la flora in genere possono essere percepiti attraverso questo canale. Anche soffi d’aria che arrivano da altri ambienti o mediante lucernai possono essere sentiti mediante l’olfatto e, quindi, dare indicazioni sulla presenza di eventuali aperture, fenditoie e lucernari (Fig. 9). Conclusioni È bene ricordare, per concludere, che la grotta può essere un’esperienza estremamente interessante e arricchente per la persona con disabilità visiva. Essa va, però, vissuta con il supporto di guide esperte e appositamente formate, che possano garantire la sicurezza, il piacere della scoperta, e la bellezza delle sensazioni che una grotta può offrire a chiunque, quindi anche ad un cieco. 58 Speleologia del Lazio, 9 | dicembre 2018 Progetto Natura Maestra MARIO TOMEI - ROBERTA ALIFORNI - STEFANO PACE T utto il mondo speleo è sempre stato consapevole della valenza formativa della nostra attività di esplorazione. Con questa convinzione molti gruppi hanno speso esperienza ed energie per la formazione di nuovi adepti all’attività esplorativa. Corsi annuali producono nuovi speleo, future energie e rinnovati entusiasmi per questa attività estrema, ma con un obiettivo predominante e quasi esclusivo, formare nuovi speleologi per scoprire nuove grotte ed incrementare e/o mantenere viva l’attività negli ambienti ipogei di qualsivoglia tipo ed origine. Il progetto ha inizio a Magliano Sabina nel maggio del 2004 con una prima uscita della 3a geometri dell’ ITCG Poggio da Catino, al Buco del Pretaro, cavità ipogea presso Montebuono (RI), supportato dal GSS, il gruppo speleologico di Magliano Sabina. Un’uscita insolita per una scuola, autorizzata per altro come viaggio d’istruzione a 40 metri di profondità. Lo sconcerto di alcuni docenti accompagnatori, misto al predominante ed euforico entusiasmo dei discenti, ha portato il sottoscritto a ripetere nel successivo anno scolastico l’esperienza. Oltre agli alunni interessati nell’uscita del 2005, fino alla Sala del Tè, si è dovuto far fronte anche all’entusiasmo dei genitori e alla loro stessa partecipazione. All’uscita di uno di essi, parlando del figlio ci si interrogava sulla miracolosa presenza in un ambiente stretto e buio di un ragazzo affetto da sempre da claustrofobia, diagnosticata dal suo neuropsichiatra di fiducia. Il progetto viene in seguito proposto al collegio dei docenti dell’IIS Aldo Moro di passo Corese (RI), ma con una formula diversa. Non si tratta più di una semplice uscita speleo fine a se stessa, ma di un campo scuola multidisciplinare didattico – formativo di 5 giorni presso il parco Naturale Regionale dei Monti Simbruini, in provincia di Roma. Ora all’attività speleo, a cui veniva data solo importanza di studio ed esplorazione del fenomeno carsico, si associavano escursioni a scopo naturalistico, botanico, ambientale e sportivo. Associare l’insegnamento delle tecniche di progressione su corda all’esplorazione delle grotte, del bosco e della montagna in un unico contesto si è rivelata una carta vincente, tanto da inserire, su richiesta del D.S. Antonio Gaeta dell’IIS Aldo Moro, tale progetto nel Piano triennale dell’Offerta Formativa dell’Istituto. Nell’affrontare le tematiche nelle esperienze sopra descritte si è subito palesato l’entusiasmo dei ragazzi e la grande voglia di partecipazione. L’esperienza riportata in classe, ad un’attenta riflessione del sottoscritto e dei consigli di classe degli studenti coinvolti, ha mostrato subito i suoi benefici effetti sugli aspetti caratteriali e psicologici dei discenti. Tali effetti sono risultati poi nel tempo di fondamentale importanza nella formazione del carattere e di una sana e motivata crescita adolescenziale e scolastica. Qui di seguito una sintesi delle problematiche adolescenziali. Figura 1 - Esplorazione alla Grotta dell’Inferniglio 59 VII Convegno Federazione Speleologica del Lazio Figura 2 - Tecniche di progressione su corda Corpo Aspetto razionale - individuale Cambia continuamente e in maniera disarmonica causando smarrimento, angoscia, insicurezza e disprezzo di se stessi. Evoluzione del pensiero e controllo delle proprie azioni. Prepotente ricerca della verità, dei propri mezzi, dei propri limiti. Quindi, con il prezioso sostegno dei gruppi speleologici GSS di Magliano Sabina (RI), GSCAI Roma e Shaka Zulu Subiaco (RM), è stato avviato dal maggio del 2013 un attento Personalità Io chi sono? Quanto valgo? Da ciò scaturisce il desiderio di costruire la propria identità, la consapevolezza delle proprie capacità, paure, desideri, motivazioni, obiettivi, risultati, soddisfazione dell’Io. Gli estremi poi non sono da sottovalutare: ipervalutazione dell’Io e sindrome del Superuomo; valutazione dell’Io e depressione con conseguente atteggiamento di chiusura, isolamento ed autolesionismo. Relazioni con gli altri e senso di appartenenza Conflitto con i genitori (… voglio fare da sola/o, ma ho tanto bisogno di te), quindi mai troppo lontani per diventare autonomi, ma vicino ai coetanei e agli amici per appartenere. Figura 3 - Lezione in loco sul carsismo 60 Speleologia del Lazio, 9 | dicembre 2018 La regione 25 è estremamente ricca in trasportatori della serotonina e viene considerata una regione di coordinamento per una vasta rete che coinvolge aree come l’ipotalamo e il tronco encefalico, regola l’appetito e il sonno; per l’amigdala e per l’insula, lobi che modulano il tono dell’umore e l’ansietà; per l’ippocampo, che gioca un ruolo importante nella formazione dei ricordi; per alcune parti della corteccia frontale ritenute collegate alla propria valutazione e ai sentimenti di autostima. Uno studio ha osservato che l’area 25 di Brodmann è metabolicamente iperattiva nel disturbo depressivo e clinicamente resistente alle terapie mediche. Praticamente l’anticamera della depressione, che nel periodo della pubertà è particolarmente sensibile ed attiva. Da una ricerca dell’equipe del dott. Gregory Bratman dell’Università di Stanford, pubblicata sulla rivista Proceedings of the National Academy of Sciences, si evince che il contatto con la natura (in tutte le sue forme ed aspetti) ha un effetto rigenerante sul cervello. Quindi: 1. Aumenta i livelli di attenzione 2. Acuisce i sensi 3. Inibisce la formulazione di pensieri negativi Figura 4 - Progressione in libera, la più richiesta Tutto dipende dalla minore attività della suddetta area quando il ragazzo vive la natura, in tutti i suoi aspetti e forme. Inoltre, la gestione delle proprie emozioni in ambienti e realtà ignote ed estreme, porta il ragazzo a vincere le proprie paure e mantenere nel tempo (grazie alla positiva attività dell’ippocampo) un ricordo positivo della sua sfida e quindi una maggiore stima di se stesso. In questo progetto sono stati curati e studiati con metodi di indagine statistiche e relazionali i seguenti ambiti caratteriali di natura soggettiva prima ed oggettiva poi: e particolareggiato studio del fenomeno in collaborazione con la dott.sa Roberta Aliforni ed altri colleghi neuropsichiatri e pedagogisti dell’età adolescenziale, da cui è derivato un progetto quadriennale denominato Natura Maestra. Lo studio ha previsto la somministrazione libera ed inconsapevole di quesiti ai partecipanti del progetto prima di partire per il campo scuola, osservazioni ed indagini in loco ed infine quesiti attitudinali a chiusura del periodo di 5 giorni, durante il quale è stata offerta agli studenti la possibilità di vivere la natura, i boschi, la montagna e gli ambienti ipogei (Grotta dell’Inferniglio e Grotta del Piccolo Inferniglio), in tutti i loro aspetti più selvaggi e reconditi. Dalla collaborazione con gli educatori e psicologi della Cooperativa Sociale la Lanterna di Diogene scaturisce una collaborazione quadriennale del progetto. L’archè della motivazione, autostima e valutazione dell’essere umano, risiede nel nostro cervello ed è stata individuata sotto il nome di area 25 di Brodmann. La parte del cervello nota come area 25 di Brodmann (sigla BA25) è un’area nella corteccia cerebrale delineata dal grande neurologo basandosi sulle sue caratteristiche citoarchitettoniche. Viene anche denominata area subgenuale. 1. 2. 3. 4. 5. Autostima Autovalutazione Profitto Senso di appartenenza Dispersione scolastica Progetto Natura Maestra: test di valutazione multidimensionale Prodotto ed elaborato dalla Dott.sa Roberta Aliforni (Psicologa); Dott. Stefano Pace (Educatore sociale) Il test di valutazione multidimensionale è un test self – report, cioè di autovalutazione, somministrato ai ragazzi che hanno partecipato attivamente ai progetti proposti dall’I.S.S. “ALDO MORO” 61 VII Convegno Federazione Speleologica del Lazio Figura 5 - Sulla vetta del Monte Piano, 2120 m s.l.m. durante gli anni scolastici 2012/2013; 2013/2014; 2014/2015; 2015/2016, in collaborazione con gli operatori del Servizio d’Integrazione Scolastica “La Lanterna di Diogene”. Il test è composto da 129 items suddivisi in quattro scale con punteggi ponderati attribuiti in funzione della difficoltà del quesito e dei tempi di risposta. • • • • La scala sulla motivazione Ciò che spinge l’essere umano a perseguire determinati scopi. La motivazione è il perché delle azioni, il fine che spinge l’Uomo ad impegnarsi per soddisfare i propri bisogni. Un bisogno innato dell’Uomo, quello di apprendere, nella quotidianità della vita da studente si salda infatti con altre motivazioni intrinseche - quindi interne, come curiosità, bisogno di sentirsi competente, bisogno di auto-realizzazione - ma anche con motivazioni estrinseche. La motivazione allo studio è legata al bisogno di conoscere ed apprendere. Tale bisogno è presente in tutti gli uomini, ma si declina per ognuno in modo diverso a seconda dell’esperienza, del contesto di vita, delle preferenze personali e delle aspirazioni. Prima dell’esperienza: 54% sono motivati e curiosi, 46% indifferenti e poco motivati. Dopo l’esperienza: 79% sono motivati e curiosi; 21% restano indifferenti e poco motivati. Scala sul senso di appartenenza al gruppo (30 items) Scala sulla motivazione allo studio (30 items) Scala sull’autostima (39 items) Scala sull’autocontrollo (30 items) I risultati sono di seguito elencati. La scala sul senso d’appartenenza al gruppo L’appartenenza ad un gruppo, di qualunque tipologia esso sia, nasce dal bisogno di affiliazione che è dato dall’esigenza di trovare supporto, condivisione e approvazione. L’adolescente ambisce a relazionarsi con i coetanei per rafforzare i processi di identificazione e differenziazione/identificazione. Prima dell’esperienza: 64% sentono appartenenza, 36% non sentono appartenenza. Dopo l’esperienza: 83% sentono appartenenza; 17% non sentono appartenenza. La scala sull’autostima Prevede items sull’amore di sé, la visione di sé e la fiducia in sé. L’amore di sé è ciò che ci consente di apprezzarci nonostante i nostri limiti e difetti. 62 Speleologia del Lazio, 9 | dicembre 2018 Figura 6 - Lezione di carsismo e botanica dentro la dolina di Pozzo della Neve a fondi di Jenne (RM) 30% poco consapevoli ed equilibrati. Una visione positiva di noi consente a ciascuno di sentirsi all’altezza nell’affrontare ciò che la vita riserva; viceversa una visione di noi troppo limitata o timorosa ci espone molto di più al disorientamento e all’insicurezza. La fiducia in sé si applica soprattutto alle nostre azioni. Essere fiduciosi significa pensare che si è capaci di agire in maniera adeguata nelle situazioni importanti, nelle situazioni nuove e nelle situazioni di difficoltà anche estrema. Prima dell’esperienza: 59% si stimano, 41% hanno poco stima di sé. Dopo l’esperienza: 83% si stimano; 17% hanno poca stime di sé. Risultato negativo > all’ 1% dei test Induzione al protagonismo, Sindrome Superuomo, Sindrome della Superdonna. del Zero dispersione scolastica Dei 62 alunni esaminati e testati nessuno ha abbandonato gli studi prima della fine degli stessi. Il 37% frequenta ad oggi gli studi universitari, il 25% svolge lavoro d’impresa, il restante 48% è occupato come dipendente in varie mansioni. Il progetto ha mostrato nel tempo una stupefacente valenza didattico – formativa, è inserito da tempo nel piano dell’offerta formativa dell’Istituto Agrario Aldo Moro di Passo Corese e richiama iscritti, con entusiasmo dei genitori affamati di spiegazioni e delucidazioni. Sarebbe auspicabile poterlo sviluppare in rete con altri istituti. Il supporto dei gruppi speleo è stato fondamentale. “Cresci nel gioco e nella conoscenza e ti rivelerai nelle tue migliori attitudini”. La scala sull’autocontrollo Fa riferimento ad items che cercano di indagare il controllo dei propri impulsi emotivi durante le situazioni nuove o di difficoltà e quanto il soggetto cerchi di prevedere le conseguenze delle proprie azioni. Prima dell’esperienza: 54% consapevoli ed equilibrati , 36% poco consapevoli ed equilibrati. Dopo l’esperienza: 70% consapevoli ed equilibrati; 63 VII Convegno Federazione Speleologica del Lazio Subgenual area 25. braininfo.rprc.washington. edu, retrieved November 18, 2006 Ringraziamenti Un ringraziamento particolare per la realizzazione del progetto va a tutto il Gruppo Speleologico Sabino in nome del Presidente Tullio Bernabei, Ambra Mazzasette, Gianni Todini, Paolo Forconi, Teresa Bellagamba, Roberto Abiuso, Andrea Colasante, Marika Fioretti, Fabrizio Toso. A tutto il GSCAI Roma in nome dell’allora Presidente Daniele Dragoni, Barbara Mancini, Michela Foffo, Alessandro Luciano, Ilaria Gioia, Luisa Stoppa, Alessandro Ponziani, Andrea Alfonsi. A tutto il Team esplorativo Shaka Zulu club Subiaco in nome del Presidente Angelo Procaccianti, Gabriele Catoni, Erminio Lauri, Livia d’Orazio, Laura de Angelis. La giunta comunale di Jenne, la cooperativa Il Rifugio di Jenne in nome del Dott. Psicologo Fulvio Lauri, l’Ente Parco Monti Simbruini. Area 25 of Brodmann-1909. braininfo.rprc. washington.edu, retrieved November 19, 2006 “Faulty Circuits”, Scientific American, April 2010 Predictors of nonresponse to cognitive behavioural therapy or venlafaxine using glucose metabolism in major depressive disorder cma.ca, May 2009. Retrieved May 23, 2009 Bibliografia Libri Korbinian Brodmann, Vergleichende Lokalisationslehre der Grosshirnrinde in ihren Prinzipien dargestellt auf Grund des Zellenbaues, Johann Ambrosius Barth Verlag, Lipsia, 1909 Korbinian Brodmann, Brodmann’s ‘Localisation in the Cerebral Cortex’, Smith-Gordon, London, UK, 1909/1994. ISBN 1-85463-028-8. English translation by Laurence Garey of the German book Garey L. J., Brodmann’s Localisation in the Cerebral Cortex, New York, Springer, 2006, ISBN 978-0387-26917-7 Articoli Lorenzo Brenna, Camminare nei boschi fa bene al cervello in “Lifegate” 2 Luglio 2015 (https:// www.lifegate.it/persone/news/camminare-neiboschi-fa-bene-al-cervello) Korbinian Brodmann, Beiträge zur histologischen Lokalisation der Grosshirnrinde: dritte Mitteilung: Die Rindenfelder der niederen Affen, in “Journal für Psychologie und Neurologie”, vol. 4, 1905, pp. 177–226 Korbinian Brodmann, Neue Ergebnisse über die vergleichende histologische Localisation der Grosshirnrinde mit besonderer Berücksichtigung des Stirnhirns, in “Anatomischer Anzeiger”, Supplement 41, 1912, pp. 157–216 64 Speleologia del Lazio, 9 | dicembre 2018 I pionieri della speleologia terracinense LOREDANA SPEZZAFERRO D esidero ardentemente ringraziare: Giovanni Mecchia, presidente dello Speleo Club Roma, perché mi ha spronato, come solo un buon amico sa fare, a scrivere per celebrare questi Uomini, tra cui mio padre, che sono stati veri pionieri della Speleologia; Angelo Del Duca che mi ha permesso di conoscere belle persone (mi riferisco a Gianni Mecchia e ad alcuni soci dello Speleo Club Roma che ho avuto il piacere di conoscere); la mia madrina Armida, Cesare e Stefania, rispettivamente moglie e figli di Sabatino Guadagnoli, che mi hanno aiutato nel reperimento di foto e notizie. Un grazie a mia madre Anna, gelosa custode di una parte del materiale, ma soprattutto delle vicende vissute dal Gruppo Speleologico Anxur. C’era una volta… con questa frase iniziano, quasi sempre, le fiabe ed io ve ne voglio raccontare una, ma una di quelle che si è trasformata in realtà. Nel lontano 1945 c’era una combriccola molto affiatata di bambini, che passavano tanto tempo insieme… e ne combinavano tante! Una passione li accomunava e li teneva uniti: il desiderio di avventura e l’amore per l’esplorazione, che spesso rasentava la totale incoscienza. Era da poco finita la II Guerra Mondiale e tanti residuati bellici, tipo bombe a mano, erano rimasti inesplosi. Ricordo perfettamente il racconto di quando mio padre, insieme a Giacomo Tramonti (per gli amici Mino), con tanta incoscienza riempirono i loro zaini di queste bombe a mano e dal Tempio di Giove Anxur, luogo dove le avevano trovate, se le caricarono a spalla e le portarono giù, sempre passando per la montagna! Ma non una volta sola… in più viaggi!!! Questi ragazzi non erano interessati a ciò che c’era sulle loro teste, erano interessati a ciò che c’era sotto i loro piedi. A loro non interessava conoscere e sapere se c’erano altri pianeti o altre forme di vita. Essi erano desiderosi di sapere cosa si celava lì sotto…avevano un’attrazione, oserei dire, quasi soprannaturale per questo misterioso e temuto Figura 1 - Franco Guadagnoli, Giorgio Silvestri, Giacomo (Mino) Tramonti, Giovanni Spezzaferro 65 VII Convegno Federazione Speleologica del Lazio piedi del Monte S. Angelo, nella proprietà privata del Prof. Decio Salvini, fecero una importantissima scoperta. Rinvennero un deposito a breccia ossifera, risalente al Paleolitico Superiore (circa 12.000 anni fa) in periodo glaciale. Iniziò una fervente attività di raccolta e catalogazione dei materiali rinvenuti. Venne informato del ritrovamento anche il Prof. Alberto Carlo Blanc (quell’Alberto Carlo Blanc che nel 1939 recuperò, al Circeo, il cranio di Grotta Guattari. Nel secondo dopoguerra iniziò, con i suoi collaboratori, un’esplorazione sistematica delle cavità del Promontorio del Circeo, studiandone ben 27 e rinvenendo al loro interno ricchi depositi paleolitici: per questo egli ritenne di coniare il termine “pontiniano”, individuando con esso l’industria litica neanderthaliana tipica di questa zona), molto amico di mio padre, che fece portare Figura 2 - Giovanni Spezzaferro (Archivio Giovanni Spezzaferro) Figura 3 - Piero Targa, Sabatino Guadagnoli e Giovanni Spezzaferro all’Inghiottitoio di Val de’ Varri (Archivio Giovanni Spezzaferro) magico mondo sotterraneo! Fu proprio questa smodata passione per il mondo ipogeo che li portò ad approfondire le loro conoscenze in materia e “ad andar per grotte”. Così, nel 1955 decisero di dare vita al “Gruppo Speleologico Anxur” grazie anche al prezioso aiuto del Circolo Speleologico Romano. Stilarono ed approvarono un Regolamento e iniziarono a “costruire” il materiale per le esplorazioni. Ritengo doveroso elencare tutti gli appartenenti al “Gruppo Speleologico Anxur”: Giovanni Spezzaferro, Giacomo Tramonti, Sabatino Guadagnoli, Franco Guadagnoli, Piero Targa, Luciano Maiello, Eolo Avelli, Paolo Tramonti, Carlo Tramonti, Guido Libotte, Alessandro Spezzaferro. Gli Speleologi del Gruppo Anxur vennero alla ribalta nel 1957, quando esplorarono un inghiottitoio chiamato “Zi’ Checca” in località Campo Soriano a Terracina. Nel 1958, Giovanni Spezzaferro, Giorgio Silvestri e Piero Targa, durante una serie di ricognizioni ai Figura 4 - Esplorazione Chiavica di Zi’ Checca (-110m), Loc. Campo Soriano - Giugno 1957. Suggestiva inquadratura del pozzo mentre scende Giorgio Silvestri. Giacomo Tramonti àncora la scala per evitarne l’ondeggiamento (Archivio Giovanni Spezzaferro) 66 Speleologia del Lazio, 9 | dicembre 2018 tutti i reperti presso il Museo Preistorico Etnografico Luigi Pigorini di Roma. Subito dopo questo importante ritrovamento, durante una serie di esplorazioni nel territorio di Prossedi (Valle dell’Amaseno), rinvennero in una voragine molto profonda, denominata “Chiavica della Cutardella”, gli scheletri di alcuni soldati marocchini che erano stati catturati e buttati lì dentro. Di tale ritrovamento ne parla Virginio Reali nel suo libro “Vicende di Guerra”. Grazie a questo significativo ritrovamento lo Speleo Club Roma, su richiesta del Gruppo, nel 1963 organizzò il V Congresso degli Speleologi dell’Italia Centrale proprio a Terracina, riscuotendo un enorme successo. Iniziò un periodo denso di impegni per alcuni “Speleologi” del Gruppo. Ricordo benissimo che mio padre veniva invitato spesso all’Università “La Sapienza” di Roma per tenere lezioni e partecipare a convegni e conferenze. Qualche scuola media della Provincia, timidamente e senza tanto rumore, invitò a “raccontare” com’era fatto il “mondo di sotto” e cosa poteva celarsi in quell’oscurità! Nell’ottobre del 1967 compirono un’altra spettacolare impresa, con l’importante ausilio dello Speleo Club Roma. Finalmente riescirono ad esplorare la cavità più profonda del Lazio, l’Abisso della Ciauchella (-296m). Già nel 1962 e 1963 i “ragazzi” del Gruppo Speleologico Anxur avevano tentato la discesa ma, a causa della carenza di Figura 5 - 25-26 giugno 1957 il Gruppo Speleologico Anxur raggiunge il fondo della Chiavica di Zi’ Checca (-110m). In alto da sinistra: Eolo Savelli, Giorgio Silvestri, Piero Targa, Riccardo Asfogo; in basso: Franco Guadagnoli, Alberto Legge e Giacomo Tramonti (Foto Giovanni Spezzaferro) Figura 6 - Scavo archeologico del Riparo Salvini. Da sinistra in piedi: Giacomo Tramonti, Giovanni Spezzaferro, Franco Guadagnoli, Gigino Cerilli, Paolo Tramonti, Sabatino Guadagnoli; da sinistra seduti: Alberto Legge, Luciano Maiello, Piero Targa (Archivio Giovanni Spezzaferro) 67 VII Convegno Federazione Speleologica del Lazio Figura 7 - Chiavica della Cutardella. Recupero resti di un soldato marocchino gettato nel pozzo (Foto Giovanni Spezzaferro) Figura 9 - Gli amici storici (2014) (Archivio Giovanni Spezzaferro) Dobbiamo attendere il 1977, quando un gruppetto di ragazzi giovanissimi si incontrò con mio padre e chiese di poter entrare a far parte del Gruppo Speleologico che oramai, possiamo dirlo, non era più attivo! Infervorati da queste nuove leve, i vecchi membri cercarono di ricompattare il Gruppo e ripartire. Quasi tutti i sabati e quasi tutte le domeniche erano fuori ad istruire questi “giovani” aspiranti speleologi, insegnando loro anche come costruire da soli le “attrezzature” necessarie: le famose “scalette” fatte con cavi di acciaio e pezzi di bastoni ricavati dai manici delle ramazze. Nel 1985 il Gruppo ebbe un’altra battuta di arresto in quanto le nuove leve presero strade diverse: chi entrò nelle forze armate, chi andò a studiare e chi a lavorare fuori. Nel frattempo, qualcuno dei vecchi speleologi aveva lasciato il Gruppo, qualcun’altro aveva cambiato città, qualcun’altro purtroppo ci aveva lasciato per sempre. Bisogna arrivare al 1996/1997 per ritrovare mio padre, Giacomo Tramonti, Franco Guadagnoli e Alberto Legge (questi quattro non si erano mai persi di vista…ricordo che si incontravano a casa nostra tutti i venerdì sera perché si organizzavano per le uscite domenicali armati di macchina fotografica), animati da nuovo entusiasmo per un altro gruppo di ragazzi da istruire, pronti a mettere di nuovo mano alle loro speciali “attrezzature”. Il 1998 fu un anno pieno di impegni per i quattro “ragazzi” del Gruppo Speleologico Anxur, ma purtroppo sarà anche l’ultimo per quanto riguarda lo “scendere in grotta”. Dal 2000 in poi andranno sempre in giro, tutte le domeniche, ma armati di radio ricetrasmittenti e macchine fotografiche, dimentichi, ma non nostalgici, del favoloso mondo ipogeo! Alla data di oggi, di tutti questi “ragazzi” ne è rimasto uno solo, Franco Guadagnoli. Uno ad uno sono andati via ad esplorare l’infinito e l’eternità, ma sono certa che anche lì hanno trovato la loro “grotta”. Figura 8 - Anni ‘80. Le nuove generazioni del Gruppo Speleologico Anxur (Foto Giovanni Spezzaferro) materiale idoneo, si erano dovuti fermare una prima volta a circa -80m e la seconda volta a -120m. C’è da dire che questo abisso era annoverato tra le cavità più importanti del mondo. Sempre nel 1967 il Gruppo, nella persona di Luciano Maiello, partecipò insieme ad altri 12 Speleologi ad una spedizione molto importante, organizzata dallo Speleo Club Roma, precisamente alla discesa in quello che all’epoca era definito l’Abisso più profondo al mondo, l’Abisso Gouffre Berger in Francia, con il quale l’Italia eguaglia il record mondiale di profondità in grotta. Quell’abisso resterà per lungo tempo la grotta più profonda del mondo e sfaterà la barriera mito-psicologica dei “meno 1.000”, un chilometro nel cuore della Terra. Nel 1968 si dotarono anche di uno Statuto e parteciparono a vari concorsi indetti da altri Gruppi Speleologici, ma questo anno segna il passo. Purtroppo, come in tutte le fiabe, non sempre le cose vanno per il verso giusto. Infatti, la prematura scomparsa di Giorgio Silvestri e le vicissitudini che la vita fa affrontare ad ognuno di loro, rallentarono molto l’attività del Gruppo. Era iniziata la parabola discendente che portò il Gruppo a fare sempre meno uscite. 68 Speleologia del Lazio, 9 | dicembre 2018 Ipogei e draghi nelle tradizioni religiose e nel folklore del Lazio ROBERTO LIBERA U rappresentazione del Male, la manifestazione di Satana. Progressivamente il serpente subì, nell’immaginario e nella iconografia, delle trasformazioni anatomiche: fu dotato di ali e dalla sua bocca usciva un fiato velenoso o, addirittura, delle fiamme. Questo aspetto del drago ha origine nelle tradizioni orali e figurative del Medioevo, il corpo ricorda quella di un serpente, ma, diversamente da quest’ultimo, la presenza di ali, dalla foggia simile a quella dei pipistrelli, lo rendono capace di volare. Di volta in volta, nel corso dei millenni, il serpente ha incarnato significati simbolici contrapposti. Nelle civiltà del Mediterraneo questo animale è presente in contesti figurativi e, presumibilmente, n drago non è una fantasia oziosa. Quali che possano essere le sue origini, nella realtà o nell’invenzione, nella leggenda il drago è una potente creazione dell’immaginazione, più ricca di significato che il suo tumulo d’oro (J. R. R. Tolkien) I draghi hanno un corpo serpentiforme, perché sono essi stessi, in origine, dei serpenti, poi trasformati in qualcosa di diverso da un progressivo processo iconografico e culturale. A confermarne l’origine sono la parola latina draco e quella greca δράϰων, entrambe, derivate dal sanscrito dragh-ayami (= allungare), significavano “serpente”. Il Cristianesimo lo trasformò in una Figura 1 – Mundus subterraneus di Athanasius Kircher, Amsterdam, 1678 69 VII Convegno Federazione Speleologica del Lazio rituali, fin dai tempi più antichi. A Creta la Signora dei Serpenti è una dea. La sua immagine si ritrova spesso riprodotta in statuette di maiolica, di altezze variabili tra i 29,5 cm e i 38,5 cm. Alcune rappresentazioni della dea sono state rinvenute nella camera sotterranea del tesoro nel santuario centrale del palazzo di Cnosso. La divinità minoica indossa un abito a falde ricadenti, bloccato sui fianchi da un elemento che sembrerebbe realizzato in stoffa più pesante. Un corpetto stretto, che comprime e lascia scoperti i seni, cinge anche la parte superiore delle braccia. Le sue mani stringono e mostrano due serpenti. La Dea dei serpenti è vista come la Dea Madre cretese, venerata almeno dal 3000 a.C. fino al 1200 a.C. legata alla fertilità e alla vita, ma anche alla morte. Sono state trovate statue di divinità femminile serpenti, ma anche statue di divinità femminili con altri simboli, ad esempio la Dea dei Papaveri e la Dea della Morte. Alcune teorie sostengono che si tratti di figure divine differenti, altre, invece, che la divinità fosse unica, la Dea Madre, invocata con diversi nomi e attributi, a seconda della funzione; identificata dagli antichi greci con Potnia theron (Signora degli animali). In Egitto, l’ureo era una decorazione a forma di serpente, posta, in origine, ai lati del disco solare e successivamente sul copricapo dei sovrani egizi. L’ureo era la rappresentazione del serpente cobra, sacro alla dea Uadjet, venerata nel 19º distretto del Basso Egitto, divinità protettrice del sovrano. Insieme alla barba posticcia l’ureo era uno dei simboli esteriori della regalità e rappresentava anche la potenza del faraone. Posto sulla fronte del re, svolgeva il suo compito di protettore, sputando fiamme contro i nemici. Al contrario, nel suo viaggio celeste Ra, il dio sole, doveva affrontare due volte al giorno un grave pericolo: Apophis, il serpente primordiale, il caos. Le sue spire circondavano il mondo lungo la linea dell’orizzonte, posizione giusta per i suoi attacchi al sole nel momento in cui si avvicinava all’orizzonte. Il sole rispondeva agli attacchi di Apophis, dalle cui ferite colava il sangue che colorava di rosso il cielo dell’alba e del tramonto. Apophis, incarnazione del Nemico Divino, simbolo dei poteri dell’oscurità, a volte veniva identificato con Seth, nemico degli dei. Tra gli israeliti, nell’Antico Testamento, il serpente si presenta nella veste negativa del tentatore: Dio ha detto: ‘Non ne dovete mangiare e non lo dovete toccare, altrimenti morirete’. Ma il serpente disse alla donna: “Non morirete affatto! Anzi, Dio sa che quando voi ne mangiaste, si aprirebbero i vostri occhi e diventereste come Dio, conoscendo il bene e il male”. Allora la donna vide che l’albero era buono da mangiare, gradito agli occhi e desiderabile per acquistare saggezza; prese del suo frutto e ne mangiò, poi ne diede anche al marito, che era con lei, e anch’egli ne mangiò. Allora si aprirono gli occhi di tutti e due e si accorsero di essere nudi; intrecciarono foglie di fico e se ne fecero cinture. [Genesi 3:1-719]. Tuttavia, nel capitolo dei Numeri, assume una funzione positiva; il serpente di bronzo utilizzato da Mosè, su indicazione di Dio, salverà gli Israeliti: Poi gli Israeliti partirono dal monte Or, andarono verso il mar Rosso per fare il giro del paese di Edom; durante il viaggio il popolo si perse d’animo. Il popolo parlò contro Dio e contro Mosè, e disse: “Perché ci avete fatti salire fuori d’Egitto per farci morire in questo deserto? Poiché qui non c’è né pane né acqua, e siamo nauseati di questo cibo tanto leggero”. Allora il Signore mandò tra il popolo dei serpenti velenosi i quali mordevano la gente, e gran numero d’Israeliti morirono. Il popolo venne da Mosè e disse: “Abbiamo peccato, perché abbiamo parlato contro il Signore e contro di te; prega il Signore che allontani da noi questi serpenti”. E Mosè pregò per il popolo. Il Signore disse a Mosè: “Forgiati un serpente velenoso e mettilo sopra un’asta: chiunque sarà morso, se lo guarderà, resterà in vita”. [Numeri 21:4-8]. In realtà, già in precedenza Mosè utilizzò un serpente per convincere il Faraone che le sue parole venivano da Dio. Infatti utilizzò il bastone di Aronne trasformandolo in serpente. I maghi del Faraone furono invitati a ripetere l’incantesimo, ma, a prova della superiorità del dio di Mosè, il serpente di quest’ultimo divorò i serpenti dei maghi del Faraone [Esodo 8 – 12]. Negli anni seguenti il serpente diventò un idolo al quale gli ebrei tributarono un culto e, dopo i tentativi falliti dei sacerdoti, dei re e dei profeti, solo re Ezechia di Giuda (716 a.C. – 687 a.C.) riuscì a distruggere tutti gli idoli, compreso il Nehustan, il serpente di Mosè [Re 18:4]. Nel primo Cristianesimo, tra le numerose sette gnostiche del II secolo, gli Ofiti, detti anche Naasseni, veneravano specificatamente il Serpente. Quest’ultimo era ritenuto colui che aveva donato agli uomini la conoscenza del Bene e del Male; mentre il dio del vecchio testamento, che aveva creato il mondo, era considerato dagli Il serpente era la più astuta di tutte le bestie selvatiche fatte dal Signore Dio. Egli disse alla donna: “È vero che Dio ha detto: Non dovete mangiare di nessun albero del giardino?”. Rispose la donna al serpente: “Dei frutti degli alberi del giardino noi possiamo mangiare, ma del frutto dell’albero che sta in mezzo al giardino 70 Speleologia del Lazio, 9 | dicembre 2018 gnostici inferiore al serpente vero Dio supremo. Secondo gli Ofiti, il serpente era stato mandato da Sophia (la Sapienza) per convincere gli uomini a mangiare il frutto proibito della Conoscenza per rendersi conto di livelli divini ben superiori a quelli del loro Creatore. Il Serpente era colui che dava la Gnosis, la conoscenza illuminata del Bene e del Male; era il serpente l’elemento positivo al quale rendere culto e rivolgersi come via per la Salvezza. Nell’antica Grecia troviamo Cecrope che, secondo il mito greco, fu il primo re di Atene. Nato dal suolo stesso dell’Attica era rappresentato con un corpo da uomo terminante in una coda di serpente. Secondo altre tradizioni, il fondatore di Atene sarebbe stato Eretteo, al quale Cecrope sarebbe succeduto. In ogni caso, tutte le versioni concordano nel ritenere Cecrope figlio della Madre Terra. A lui si attribuiscono le innovazioni nel campo della cultura, come l’abolizione dei sacrifici cruenti, il principio della monogamia, l’invenzione della scrittura e l’uso di seppellire i morti. Fu un re pacifico: votò a favore di Atena nella disputa fra la dea e Poseidone per chi avrebbe dato il dono più utile e, di conseguenza, il proprio nome alla futura città di Atene. La dea donò l’ulivo e Poseidone il cavallo. La tomba di Cecrope sembra sia da collocarsi, secondo il mito, sull’acropoli di Atene, nei pressi dell’Eretteo. Sempre in Grecia troviamo Asclepio, secondo Esiodo figlio di Apollo e di Arsinoe, oppure di Apollo e Coronide per Pindaro. Si diceva che egli fosse stato istruito nella medicina da Chirone, o che avesse ereditato tale proprietà dal padre Apollo. Venerato come il dio della medicina, delle guarigioni e dei serpenti, il suo potere di riportare in vita i morti lo rendeva anche un dio invocato dai negromanti. Il suo culto aveva il centro a Epidauro. Arriviamo sul suolo italico, nel mondo etrusco. Nel 1985 venne individuata una tomba, sotto la strada che oggi porta all’ingresso della necropoli di Monterozzi a Tarquinia, risalente alla seconda metà del V secolo a.C. (430-400 a.C. circa). L’ambiente è a doppio spiovente e la decorazione dipinta si presenta come un grande fregio figurato continuo su tutte le pareti. Sulla parete sinistra è rappresentato il defunto nel suo viaggio verso l’oltretomba. Il soggetto è dipinto in piedi su una biga tirata da una coppia di cavalli, è seguito da due danzatori e preceduto da un personaggio, che impugna un ramo frondoso, e da due musici. Davanti al corteo un coppiere nudo, accanto a una tavola imbandita, introduce la scena di banchetto dipinta sulla parete di fondo. Le coppie dei convitati sono quattro, sdraiati sulle klinai, tutti di sesso maschile tranne la coppia centrale, costituita dal proprietario del sepolcro e da sua moglie, ritratti mentre si scambiano una carezza affettuosa. Sulla parete di destra è rappresentata una scena ambientata nell’aldilà. A sinistra di essa compare l’immagine di Caronte (Charun), che traghetta le anime governando con un lungo remo la sua barchetta rossa sulle acque azzurre dell’Acheronte. Qui non viene rappresentato sotto le caratteristiche sembianze del demone etrusco, raffigurato nei sepolcri di età più recente, armato di un pesante martello per conficcare il chiodo a compimento del destino di ciascun mortale, ma come il Caronte greco. Appena giunti sulle sponde dell’Ade si notano due defunti: una donna ammantata e un giovane. Costoro avanzano nell’aldilà accolti da tre personaggi: una donna non identificata (forse una parente morta in precedenza) anticipata da un demone dalle carni azzurre e seguita da un giovane demone alato che la afferra alla vita. Chiudono la scena altre due figure infernali: un demone blu dal volto grottesco, con serpenti barbati avvolti alle braccia, e un ultimo essere mostruoso, alato, dall’incarnato nerastro e dalla bocca sanguinolenta che si avventa con le braccia protese e le mani artigliate verso i nuovi arrivati. Nell’antica Roma il serpente rappresentava un’importante manifestazione della sostanza spirituale di un individuo, il Genio. La festa del Genio è il compleanno dell’individuo, il dies natalis. Era ritenuto uno spirito buono, una specie di “angelo custode” che si manifesta al momento della nascita della persona e che l’avrebbe accompagnata nel corso di tutta la sua esistenza. A ben vedere, troviamo un altro precursore dei draghi medievali ancora nella Roma antica, eredità di un culto appartenuto ai padri Latini. Nell’antica Lanuvio, città del Latium vetus, a sud di Roma, oltre al famoso culto dedicato alla dea Giunone Sospita, esisteva un rituale il cui oggetto di devozione era un drago, un enorme serpente. Nelle monete di L. Procilius dell’80 a.C. e di L. Roscius Fabatus del 64 a.C. è raffigurato il sacro draco; in particolare, nel rovescio dei denari di Roscius si scorge una fanciulla che offre il cibo ad un grosso serpente. Properzio ed Eliano narrano che il rito, dedicato al serpente sacro, si svolgeva nell’oscurità di una grotta immersa in un bosco sacro, in cui giovani vergini, bendate, offrivano delle focacce al rettile; quando l’animale accettava il cibo allora era assicurato un anno fecondo e prospero; se, viceversa, rifiutava di mangiare, le fanciulle erano ritenute responsabili e punite, perché il comportamento del serpente era considerato prova indiscussa della mancata purezza delle ragazze. Scriveva Properzio: «Lanuvio d’un antico drago è sotto la tutela, qui, dove per sosta sì rara l’ora non va persa, per 71 VII Convegno Federazione Speleologica del Lazio a un animale prediletto dagli dèi. Altrimenti i cibi restano intatti, perché esso conosce in anticipo e indovina la loro impurità. La focaccia della giovinetta deflorata viene allora sminuzzata dalle formiche per renderne facile il trasporto; successivamente le formiche la portano fuori del bosco e ripuliscono così il luogo. Gli abitanti, venuti a conoscenza dell’accaduto, indagano sulle giovinette che hanno preso parte alla cerimonia e quella che ha disonorato la sua verginità viene punita secondo la legge». Dopo la fine dei culti tradizionali romani e la loro proibizione, da parte degli imperatori cristiani, a Lanuvio sopravviveva ancora il rituale dedicato al serpente o drago sacro, come testimonia lo Pseudo-Prospero D’Aquitania: «Presso la città di Roma fu una spelonca, nella quale un dragone di grandezza meravigliosa, formato meccanicamente, portando in bocca una spada, cogli occhi scintillanti per le gemme, spaventevole e terribile appariva. A questo vergini ornate di fiori, consacrate ogni anno, in tal maniera gli si davano in sacrificio, che non consapevoli della cosa, portando doni, toccando un gradino della scala da cui con tutta quell’arte del diavolo pendeva il meccanismo, il colpo della spada si scaricava, onde si spargesse il sangue innocente. E questo fu in tal modo distrutto da un monaco ben conosciuto pel suo merito da Stilicone: tastando questo monaco col bastone in mano ciascun gradino, come toccando quello si accorse della frode diabolica, lo saltò; e scendendo tagliò in pezzi il dragone, mostrando ivi numi che si fanno colle mani». Figura 2 – Anonimo umbro sec. XII, San Michele Arcangelo combatte contro il drago. Collegiata di S. Maria Assunta, Lugnano in Teverina (Umbria, Italia) dove la sacra discesa per una cieca voragine si perde e la vergine in onore al serpente digiuno penetra, (da un tal cammino guardati!) quando l’annuale pasto reclama e dalle profondità della terra sibili lancia. Impallidiscono le fanciulle ad una tale cerimonia giù inviate, quando dell’angue alla bocca temeraria la mano vien affidata. Quello il cibo a lui dalla vergine accostato afferra; i canestri fra le virginee mani tremano. Se le giovinette son caste agli abbracci dei genitori tornano e i contadini gridano “Fertile l’annata sarà”. Qui Cinzia da tosati cavallucci portata fu: di ciò fu causa Giunone, ma Venere ancor più». Anche a Roma, ancora pagana, troviamo la presenza di un grosso serpente o drago, associato al culto dedicato ad Ecate, nel cui santuario, l’Hecatesium, erano presenti iniziati chiamati drákontes/dracones (serpenti) e drákainai/ dracaenae (serpentesse). Alcune fonti (Paolino da Pella, gli Actus Silvestri) ci informano che una volta al mese le dracaenae romane si recavano nel tempio di Hecate per «nutrire il serpente» (gli Actus Silvestri, in particolare, ci informano che al tempio romano della dea, situato sotto quello di Vesta, si accedeva attraverso una scala di 365 scalini e che all’interno si trovava un enorme serpente, poi ucciso dai Cristiani. Con la fine del mondo classico, l’immaginario riguardante il serpente subisce dei cambiamenti. Il Cristianesimo lo trasforma in una rappresentazione del Male, nella manifestazione di Satana. L’animale subirà le trasformazioni anatomiche che lo renderanno capace di volare e sarà dotato del potere del fiato venefico e infiammato. È, ormai, avvenuta la dissociazione Raccontava Eliano: «A Lavinio (Qui c’è un errore dell’autore che scrive Lavinio e non Lanuvio n.d.L.) vi è un bosco sacro, grande e folto, e nei pressi sorge un tempio dedicato a Era protettrice dell’Argolide. Nel bosco vi è una tana vasta e profonda, dove dimora un mostruoso serpente. In determinati giorni dell’anno entrano nel bosco delle giovinette ancora vergini, che recano nelle mani una focaccia e hanno gli occhi bendati. Le conduce direttamente alla tana di quel mostro uno spirito divino; esse avanzano passo passo, senza inciampare, come se avessero gli occhi scoperti. Se sono veramente illibate, il serpente accetta le loro offerte di cibo, poiché le ritiene pure e adatte 72 Speleologia del Lazio, 9 | dicembre 2018 completa tra i due termini “serpente” e “drago”. Se nell’antichità classica essi venivano usati per indicare lo stesso soggetto, a partire dall’Alto Medioevo le due parole saranno associate a due esseri con delle similitudini, ma diversi. Il drago non è più un grosso serpente, è altro, enorme e mostruoso animale personificazione del Diavolo. Se il comune serpente abita fessure nel terreno o nella roccia, il drago vive in enormi caverne o pericolose paludi. Racconta una leggenda dell’Alto Medio Evo che nella Mala Grotta si fosse rifugiato un “immanentissime draco”, come indicato anche dai toponimi di Dragona e Dragoncello. Per scacciare il drago anche dalla grotta, dato che il suo fiato mefitico e solfureo dava fastidio agli abitanti del luogo, fu organizzata una spedizione guidata dai baroni Anguillara. Il drago venne infine ucciso ma il cattivo odore rimase nel territorio, da Mala Grotta alla Caldara vicino Bracciano, a ricordare l’antica presenza del mostro. Nella chiesa di Santa Cristina a Bolsena, un quadro del 1500, dedicato a San Giorgio, mostra il santo nell’atto di infilzare il drago con santa Cristina alle sue spalle che prega in ginocchio sotto l’ultimo monte della catena dei Volsini, il monte Landro. La vicenda è tratta dalla Legenda Aurea scritta, tra il 1260 e il 1298, dal vescovo di Genova Jacopo da Varagine. In Sabina, nell’eremo di San Michele Arcangelo (comune di Pozzaglia Sabina, località Montorio in Valle) si trova una piccola chiesa rupestre costruita all’interno di una grotta, nella quale, secondo la tradizione, il santo guerriero avrebbe ucciso il drago. A Poggio Catino, un paese sui monti Sabini in provincia di Rieti, ha origine la leggenda riferita al miracolo di San Silvestro. Sarebbe stato proprio questo papa a liberare il paese da un drago che viveva in una caverna, alla quale si accedeva percorrendo 365 scalini. Forte del successo di Poggio Catino, papa Silvestro si prodigò in un miracolo simile a Roma. Un’antica leggenda, tratta dagli Actus Silvestri, racconta che nel IV secolo dopo Cristo, in una caverna sul Palatino, viveva un terribile drago che con il suo alito mefitico era in grado di uccidere tutti quelli che capitavano in quel luogo. Il pontefice Silvestro, forte della sua esperienza a Poggio Catino, decise di intervenire e si recò nella grotta del mostro con una croce. Alla vista del simbolo cristiano il drago divenne mansueto. Il papa lo mise al guinzaglio e lo portò al cospetto dei fedeli, che lo uccisero. Persino i sacerdoti pagani, folgorati dall’avvenimento, si convertirono al cristianesimo. Il drago, in definitiva, può essere considerato un esempio di trasformazione culturale di un elemento che, pur se reale come serpente di grosse dimensioni, si presenta, sin dalla remota antichità, come fortemente caratterizzato da un valore simbolico che sovrasta la realtà naturale. Tuttavia, se nelle civiltà passate il serpente era portatore di un dualismo simbolico, a volte positivo e vivificante, altre negativo e mortificante, con il Cristianesimo la trasformazione “anatomica” del serpente, in un mostro fantastico, determina la unidirezionalità del simbolo: il drago è una manifestazione diabolica, in cui si manifesta soltanto l’aspetto negativo e malvagio. La grotta diventa, allora, il luogo ideale per ospitare un animale di tali dimensioni che, come il Male che rappresenta, cerca l’oscurità e l’isolamento per poter meglio attentare alla vita, spirituale e fisica, dell’uomo. Un’ultima considerazione è dedicata ad alcune peculiarità che riguardano il drago e i luoghi in cui vive: il mostro ha il potere di lanciare fiamme o avvelenare l’umanità con il suo alito mefitico e sulfureo, abita grotte o paludi maleodoranti. Caratteristiche, queste, che potrebbero aprire una strada a studi di geomitologia, per vedere se i luoghi in cui si credeva dimorassero questi animali fantastici sono aree in cui si è manifestata o si manifesta tuttora una qualche attività vulcanica minore. Bibliografia La Sacra Bibbia, ed. 2008, Testo a cura della Conferenza Episcopale Italiana. PROPERZIO, Elegiae, IV, 8. V. 3 ss. ELIANO, ПEPI ZΩΩN IΔIOTHTOΣ, XI, 16. 1998, traduzione di Francesco Maspero, Milano. PSEUDO-PROSPERO D’AQUITANIA, De promissionibus et praedictionibus Dei, pars III, cap.XXXVIII, n. 43, col. 835. Traduzione di Oreste Raggi, Roma, 1879. GIOVANNI PINI a cura di, 2017, Panarion, Morcelliana, Brescia. JACOBI A VORAGINE, 1850, Legenda aurea. Vulgo historia Lombardica dicta ad optimorum librorum fidem, 2ª ed. Lipsia, Librariae Arnoldianae. J. R. R. TOLKIEN, 1936, Beowulf: mostri e critici, British Academy. MARIO TOSI, 2004, Dizionario enciclopedico delle Divinità dell’Antico Egitto, Torino. GIOVANNI BECATTI, 1995, L’arte dell’età classica, Sansoni, Firenze. 73 VII Convegno Federazione Speleologica del Lazio L. BRUIT ZAIDMAN – P. SCHMITT PANTEL,1992, La religione greca, Laterza, Roma-Bari. S. STEINGRÄBER, 2006, Affreschi etruschi. Dal periodo geometrico all’ellenismo, Arsenale Editrice, San Giovanni Lupatoto. TESSA CANELLA, 2006, Gli Actus Silvestri. Genesi di una leggenda su Costantino imperatore, Spoleto. Sitografia SABINA ONLINE <http://www.sabina.it/luoghi/grottasm.html> <http://www.sabina.it/comuni/montsgiov.html> SPECCHIO ROMANO <http://www.specchioromano.it/fondamentali/ Lespigolature/2009/SETTEMBRE/La%20 leggenda%20del%20drago%20vinto%20da%20 San%20Silvestro.htm> 74 Speleologia del Lazio, 9 | dicembre 2018 Ritrovato un documento inedito del 1932: “Cavità naturali esistenti nella Provincia di Roma” GIOVANNI MECCHIA - MARIA PIRO N el 2016 è stato rinvenuto, nell’Archivio storico della ex Provincia di Roma (oggi Città metropolitana di Roma Capitale), un documento dattiloscritto datato 1 settembre 1932 (Fig. 1), dal titolo “Cavità naturali esistenti nella Provincia di Roma”. Il documento, che riporta in prima pagina un titolo più esteso (“Elenco di cavità naturali, grotte, pozzi esistenti nella Provincia di Roma”) è firmato dall’allora ingegnere capo dell’Ufficio Tecnico Vittorio Ferrari, anche se probabilmente è stato redatto dai suoi collaboratori. Una copia del dattiloscritto è stata consegnata al Servizio Geologico e Difesa del Suolo della Città metropolitana di Roma Capitale. L’ufficio ha capito subito l’importanza del documento; il ritrovamento è stato presentato, dopo aver effettuato delle ricerche storiche, con un poster al Congresso Nazionale dei Geologi Italiani che si è svolto a Napoli il 28-30 aprile 2016 (Argentieri et al.,2016). Gli autori di questo testo hanno avuto la possibilità di visionare il documento, di poterne trarre notizie e informazioni e di pubblicarne i risultati. L’ingegnere Vittorio Ferrari, capo dell’Ufficio Tecnico Provinciale, è stato autore di relazioni e pubblicazioni concernenti lavori stradali, competenza fondamentale della Provincia fin dalla sua istituzione, e ha presentato anche una memoria nel IX Congresso Internazionale della Strada (Lisbona 1951). Il dattiloscritto in oggetto riguarda un aspetto non strettamente legato al lavoro corrente dell’ufficio da lui diretto, ma rivolto piuttosto ad una maggiore conoscenza del territorio. L’intento dei redattori era riportare un elenco delle cavità conosciute all’epoca nel territorio provinciale; oltre alle grotte naturali sono segnalate anche doline e depressioni carsiche, cavità artificiali di interesse archeologico, antiche cave probabilmente in sotterraneo e sorgenti minerali o termali. L’elenco contiene i nomi e a volte le descrizioni delle cavità, riportati però in modo disomogeneo: alcune descritte metro per metro, altre con brevi cenni, altre solo elencate. Al documento è allegata una carta, nella quale sono evidenziati con colori diversi i comuni nei quali sono segnalate le cavità, con una legenda che li classifica in ordine di importanza per il numero di cavità elencate. La base topografica utilizzata è la carta stradale della Provincia di Roma del 1931, in scala 1:200.000. L’importanza del documento consiste nel fatto che si tratterebbe, per quanto è attualmente noto, del primo elenco conosciuto di grotte del Lazio, precedente alla pubblicazione di Aldo Giacomo Segre, “I fenomeni carsici e la speleologia nel Lazio” (1948), finora considerato il primo catalogo delle grotte della regione. Il territorio di riferimento è la Provincia di Roma, che nella sua originaria estensione, dopo la sua istituzione nel 1870, comprendeva gran parte dell’attuale Lazio; nel 1927 con l’istituzione delle nuove Province di Frosinone, di Rieti e di Viterbo il territorio era stato fortemente ridotto, ma comprendeva comunque le attuali province di Roma e Latina. 75 VII Convegno Federazione Speleologica del Lazio Figura 1 - Stralci del documento: copertina, intestazione della prima pagina e firma in calce Nel documento sono elencate in totale 144 “cavità”: 97 sono grotte naturali, 8 sono doline, 29 sono cavità artificiali e 10 sono sorgenti. Per alcune grotte che erano conosciute anche al di fuori dell’ambito speleologico ed esplorate nei primi anni del ‘900 (ad esempio la Grotta dell’Arco a Bellegra, denominata Grotte in località Colle delle Grotte, o il Pertuso ad Affile o il Catauso a Sonnino) le informazioni e le descrizioni, sebbene sintetiche, sembrano riprese da relazioni di esplorazioni del Circolo Speleologico Romano, anche se non hanno corrispondenza con quanto riportato nei “Bollettini” del C.S.R. del 1925 e 1926. In alcuni casi le cavità sono descritte metro per metro, come ad esempio la “Grotta di Frateteria”, esplorata nel 1949 dal C.S.R. e catastata come “Grotta di Frate Alessio” nel comune di Arsoli (Fig. 2). Al contrario, per altri comuni sono state semplicemente elencate, senza fornirne la descrizione. Per esempio per Carpineto Romano sono stati elencati quelli che vengono chiamati “OSI”, tra i quali si possono identificare quello in località Rava Bianca (esplorato nel 1955 dal C.S.R.), il Cerasolo (Abisso Consolini, esplorato nel 1961 dallo S.C.R.) ed altri (Fig. 3). È stato quindi analizzato l’elenco per verificare se le 97 grotte naturali elencate fossero riconoscibili nel Catasto delle Grotte del Lazio della FSL. Siamo riusciti per ora a riconoscere 42 grotte naturali e 7 doline. Il problema è che nell’elenco molte grotte sono chiamate con nomi diversi da quelli speleologici oppure i dati a disposizione sono troppo pochi per identificarle: in alcuni casi abbiamo solo il nome o solo la località, che non sempre è indicata nelle tavolette IGM. Restano comunque 55 grotte ancora da riconoscere o da esplorare e catastare. Ci stiamo attivando per andarle a cercare. È interessante notare che molte delle cavità elencate sono state esplorate dagli speleologi e catastate solo anni, o addirittura decenni, dopo la redazione dell’elenco. Altre, come detto, non sono ancora in catasto o addirittura si trovano in comuni dove attualmente non sono conosciute grotte o ne sono conosciute pochissime (ad esempio i Comuni di Artena, Capena, Castelforte...). Nella figura 4 viene riportato un esempio dell’elaborazione eseguita. Dopo aver letto il documento ci siamo chiesti per quale fine l’Ufficio Tecnico della Provincia di Roma lo abbia redatto e come abbia reperito le informazioni. Non è chiaro se ci sia stato un evento che ha indotto l’Ente a promuovere questo studio. Abbiamo ipotizzato alcuni eventi, quali notizie su incidenti occorsi a speleologi, piene eccezionali con le acque risalenti dagli inghiottitoi che all’esterno formano laghi, come si è verificato più volte nel Lago di Canterno o nella piana di Pastena, oppure la discesa nel 1925 della grotta allora più profonda del mondo (la Spluga della Preta, ribattezzata “Abisso Mussolini”), che all’epoca 76 Speleologia del Lazio, 9 | dicembre 2018 Figura 2 - Descrizione della grotta di Frate Alessio Figura 3 - Descrizione delle cavità nel comune di Carpineto Romano Bibliografia: aveva suscitato una vasta eco sulla stampa. Relativamente alle modalità di raccolta delle informazioni, che, per quanto già detto, non sembrano provenire dal mondo speleologico, non sembra probabile che l’Ufficio Tecnico abbia mandato personale nei Comuni a raccogliere informazioni. Avanziamo l’ipotesi che la Provincia abbia mandato una circolare ai Comuni e abbia inserito nel documento le risposte ottenute. Si spiegherebbe così perché i dati sono disomogenei e perché non sono citati Comuni con grotte conosciute, come i Meri del Soratte a Sant’Oreste, note da sempre ed esplorate a partire dal 1920. Abbiamo chiesto aiuto al Comune di Carpineto Romano per cercare di rintracciare l’eventuale corrispondenza tra Comune e Provincia, per ora senza successo. Si ringraziano comunque per il loro impegno il Presidente della Compagnia dei Lepini Quirino Briganti, il sindaco Matteo Battisti, il direttore del Museo Italo Campagna e Leo Gavillucci che ha fisicamente effettuato le ricerche nell’archivio storico comunale. Si ringrazia inoltre il dott. Alessio Argentieri, dirigente del Servizio Geologico e Difesa del Suolo della Città metropolitana di Roma Capitale, per aver dato il consenso allo studio del documento. La ricerca continua... Argentieri A., De Nardo V., Occhigrossi B.C., Piro M., Rotella G., 2016, 1932: A historical database of natural and anthropogenic cavities in the Province of Rome - Rendiconti Online della Società Geologica Italiana, supplemento 1 al vol. 40/2016. AA.VV., La nascita della Provincia di Roma - sito istituzionale della Città metropolitana di Roma Capitale - http://www.provincia.roma.it/ istituzionale/storia-e-territorio. Circolo Speleologico Romano, 1925, Bollettino speleologico n. 1. Aprile 1925. Circolo Speleologico Romano, 1926, Bollettino speleologico n. 2. Aprile 1926. Ferrari V., 1932, Cavità naturali, grotte, pozzi, ecc. esistenti nella Provincia di Roma, Provincia di Roma, Ufficio Tecnico. Opera dattiloscritta - Archivio storico della Biblioteca Provinciale di Roma. Segre A. G., 1948, I fenomeni carsici e la speleologia nel Lazio. Pubblicazioni dell’Istituto di Geografia dell’Università di Roma. 77 VII Convegno Federazione Speleologica del Lazio Comune Nome grotta Località 1 Artena Catauso 2 Artena 3 Artena Fondo Prece 4 Artena Puzzariga 5 Artena Pomario Naturale 6 Artena Piano Civita Artificiale 7 Artena Colle Botte Artificiale 8 Artena Valle Raina Artificiale 9 Artena Pizzicheria Artificiale 10 Arsoli La Chiavica Cisterna Naturale 11 Arsoli Grotta di Frateteria Le Selve Naturale La 351 12 Anticoli Corrado Recchicciola Naturale 13 Anticoli Corrado Fonte Cardinale Naturale 14 Affile N° cat. 15 Bellegra 16 Bellegra Naturale La 133 Grotta del Catauso Dolina La 128 Dolina di Valle S. Croce Maddalena Dolina La 129 Brece dell’Asinaro Dolina La 127 La Pozzariga La 98 Pozzo di Arsoli ? Grotta di Frate Alessio Naturale La 42 Il Pertuso Colle delle Grotte Naturale La 5 Grotta dell’Arco Corra o Conra 17 Carpineto Romano Casal del Pozzo Naturale Naturale 18 Carpineto Romano Fosso del Cuculo Naturale 19 Carpineto Romano Orticara Naturale 20 Carpineto Romano Colle Mortale Naturale 21 Carpineto Romano Cerasolo Naturale La 310 22 Carpineto Romano Faggeto Naturale 23 Carpineto Romano Giulianello Naturale 24 Carpineto Romano Faggeto (prato oaso) Naturale 25 Carpineto Romano Capreo Naturale 26 Carpineto Romano Rava Bianca 27 Carpineto Romano Attuale denominazione Porta Maggiore Pertuso Pertuso Tipo La 536 Ouso Due Bocche ed etc altre Naturale La 240 Capreo (Valle dell’Oaso) Abisso Consolini Ouso I della Rava Bianca Naturale 28 Carpineto Romano Valle dell’Altare Naturale La 382 29 Carpineto Romano Carpinetto Naturale 30 Carpineto Romano Isola Naturale La 24 Ovuso dell’Isola 31 Carpineto Romano Formale Naturale La 39 Grotta del Formale 32 Carpineto Romano Pratelle Naturale Ouso di Valle Jatare 33 Carpineto Romano Casale Scarano Naturale La 524 ? Ouso del Formale ? 34 Carpineto Romano Naturale Ciroletto 35 Canale Monterano Zolfatara Artificiale 36 Canale Monterano Biscione Artificiale 78 Speleologia del Lazio, 9 | dicembre 2018 37 Canale Monterano Grotte Etrusche Biscione Artificiale 38 Canale Monterano Grotte Comuni Rovine di Monterano Artificiale 39 Canale Monterano Grotte Termali di Stigliano 40 Canale Monterano Cava di gesso attivo Artificiale Monte Angiano Artificiale Vallangela Naturale La 172 Grotta di Vallangiola o Vallefosca Le Saure Naturale La 171 Inghiottitoio di Campodimele 41 Campodimele 42 Campodimele 43 Campodimele 44 Castel Gandolfo 45 Castel Gandolfo 46 Cerreto Laziale Pozzo’i Pietra Monte Fossicchi Naturale 47 Castelforte Mofeta Bagni di Suio Bagni di Suio Naturale 48 Castelforte Grotta Bancone Bagni di Suio Naturale 49 Castelforte Grotta Gazzetta Bosco Caselle Naturale 50 Castelforte Fossa dei Vecchi Forcella Naturale 51 Castelforte Grotta della Polvere Bosco di S. Antuono Naturale 52 Castelforte Mofeta Valloni Sujo Naturale 53 Castelforte Grotta Ciara Proprietà dei frat. Naturale Tribaldi 54 Castelforte Grotta Annelli Campomaggiore Naturale 55 Castelforte Fossa Panella 56 Cianca Costa delle FesNaturale tole Contrada Mele Artificiale Proprietà di Rossi Artificiale Pietro Arole Naturale Castel S. Pietro Contrada Leprara Dolina 57 Castel S. Pietro Contrada Solara Naturale 58 Civitavecchia (S. Marinella) 59 Civitavecchia (S. Grotta artificiale Località Monteroni Artificiale Marinella) 60 Cineto Romano Cunicolo La 95 Pozzo di Cerreto La 93 Fossa Leprara o Luprara La 51 Pozzo di Cineto Località Monteroni Artificiale in vicinanza dell’abitato Figura 4 - Esempio di elaborazione dei risultati 79 Naturale VII Convegno Federazione Speleologica del Lazio Laboratorio didattico “Spelunca Docet” - disegno di un alunno della classe I B (secondaria di primo grado) dell’Istituto Comprensivo “San Vittorino - Corcolle” 80 Speleologia del Lazio, 9 | dicembre 2018 Sentire la grotta emozioni, memorie ed esperienze di non speleologi MARIO FEDERICO ROLFO - KATIA FRANCESCA ACHINO - MAURIZIO GATTA - LETIZIA SILVESTRI L ’attività di ricerca svolta dall’insegnamento di Paletnologia dell’Università di Roma Tor Vergata si è concentrata, nel corso degli ultimi anni, nello studio sistematico degli aspetti geo-paleontologici e delle più recenti metodologie di studio archeologico del sito di Mora Cavorso. La grotta, localizzata a 715 m s.l.m. nell’Alta Valle dell’Aniene, è parte del comune di Jenne (Subiaco). La sua scoperta si deve al gruppo speleologico Shaka Zulu di Subiaco nel 2001, in quell’occasione fu eseguito anche il rilievo integrale della grotta, ad opera dei coniugi Alberta Felici e Giulio Cappa (Fig. 1). Lo studio, caratterizzato da una spiccata multidisciplinarità, ha permesso di ottenere importanti risultati riassunti, tra l’altro, nel precedente contributo (ROLFO et al., 2015). Tra le ricerche intraprese, particolare rilevanza ha assunto lo studio etnografico portato avanti dagli autori nel recente passato (ACHINO et al., 2012), grazie al quale è stato possibile ricostruire l’utilizzo della grotta nei tempi storici fino all’epoca recente, dopo le frequentazioni d’età pre- e proto-storica. La ricerca si è incentrata sulla raccolta delle testimonianze dirette di coloro che frequentarono la grotta come rifugio durante la Seconda Guerra Mondiale e nell’immediato dopoguerra. Tale indagine ha permesso, da un lato, di chiarire alcune caratteristiche stratigrafiche del deposito archeologico identificate nel corso delle attività di scavo (ACHINO et al., 2012); dall’altro ha fornito dati relativi alle sensazioni personali provate durante il soggiorno in grotta, dal primo accesso fino all’ultima sporadica visita. A partire dalla campagna 2016 si è deciso di integrare queste “sensazioni” della grotta con le più recenti percezioni da parte di coloro che hanno svolto attività di ricerca e scavo. Pertanto, per arricchire il campione preso in esame, ci si è avvalsi del contributo di studenti italiani e stranieri che hanno partecipato alle attività archeologiche presso la grotta. La raccolta di questi dati permetterà, in accordo con la teoria dell’«archeologia dei sensi» (SKEATES, 2010; HAMILAKIS, 2014), di ricostruire lo stato d’animo più diffuso degli attuali fruitori / utilizzatori della cavità. L’insieme Figura 1 - Pianta generale della grotta Mora Cavorso 81 VII Convegno Federazione Speleologica del Lazio di questi dati consentirà inoltre di elaborare un ipotetico tentativo di ricostruzione delle sensazioni provate da coloro che frequentarono la grotta Mora Cavorso in un lontano passato. 2001) per varie grotte neolitiche e protostoriche italiane ed infine da Hamilakis (2014) per le strutture funerarie ipogeiche dell’età del Bronzo cretese. Martin Roe (2000) ha inoltre sottolineato l’importanza del tatto e del suono in grotta, mentre Betts e Whitehouse hanno registrato le emozioni provate entrando nelle cavità studiate cercando delle affinità (o differenze) rispetto a quanto provato ipoteticamente dai frequentatori preistorici di quei luoghi. Tradizionalmente, infatti, l’archeologia si è concentrata sull’aspetto visivo dei reperti e dei contesti di rinvenimento. È anche per questa ragione che nel corso dei secoli tale disciplina si è focalizzata sugli oggetti di maggior pregio estetico (sempre inteso come visuale) fino a poter quasi essere assimilata, a volte, alla storia dell’arte. Fortunatamente, a partire dal lavoro di Howard Morphy del 1992 (CLASSEN - HOWES, 2006; EDWARDS et al., 2006; FINNEGAN, 2002) è stato possibile iniziare a riconoscere la “bellezza” come effetto delle proprietà fisiche degli oggetti su tutti i sensi, aiutando a creare una concezione più variegata delle qualità multisensoriali degli artefatti. Una maggiore attenzione alla multi-sensorialità della vita umana passata ha cominciato a manifestarsi a seguito dell’emergenza, all’inizio del ventesimo secolo, di una riflessione in altri campi, quali l’estetica, l’antropologia, l’architettura, la storia dell’arte, gli studi nella comunicazione, la storia, la geografia, gli studi letterari e culturali, la museologia, la filosofia, la psicologia e la sociologia (HOWES, 2006, pp. 114-5; SKEATES, 2010). Inoltre, l’affermazione del capitalismo e dei piaceri materiali ad esso collegati ha costituito un ulteriore impulso alla presa di coscienza dell’importanza di tutti i sensi nella vita quotidiana non solo dell’uomo del presente, ma anche di quello studiato dagli archeologi. Secondo Robin Skeates (2010), l’archeologia dei sensi deve riguardare non solo il modo in cui uno studioso ricostruisce il passato e l’attenzione alla ricostruzione di quella che poteva essere la sensorialità di chi visse precedentemente, ma anche la descrizione e divulgazione di tali ricostruzioni al pubblico. I passaggi che permettono l’applicazione di un’archeologia dei sensi sono: 2. Materiali e metodi 2.1 Materiali Il campione si compone di 9 studenti italiani e 3 studenti stranieri di Archeologia o Scienze dei Beni Culturali, di età compresa tra i 20 ed i 30 anni, privi di precedente esperienza e/o formazione speleologica. Il questionario che è stato loro sottoposto consta di tre domande: a) Come descriveresti ciò che hai provato entrando nella grotta per la prima volta, tenendo in considerazione l’aspetto naturalistico di quest’ultima? b) Come descriveresti ciò che hai provato entrando nella grotta per la prima volta, tenendo in considerazione l’esperienza di scavo svoltasi in quest’ultima? c) Come descriveresti ciò che hai provato raggiungendo le sale più interne della grotta, tenendo in considerazione l’aspetto speleologico di quest’ultima? Le interviste sono state videoregistrate nel corso dell’ultima campagna di scavo con l’ausilio di una videocamera e attrezzatura di registrazione audio, con lo scopo di avere a disposizione le risposte ottenute in vista dell’elaborazione di un futuro documentario volto a presentare al grande pubblico la grotta, le sue potenzialità e l’attività di ricerca ivi svolta. 2.2 Metodi. Cos’è l’archeologia dei sensi: definizione, nascita, evoluzione, limiti e futuri sviluppi L’archeologia dei sensi si può considerare una metodologia transdisciplinare, più che una subdisciplina dell’archeologia. Si tratta, infatti, di un approccio che prende in considerazione tutti i sensi (compresi quelli meno tradizionali, come ad esempio la propriocezione o cinestesia - ovvero la consapevolezza della propria fisicità e dei propri movimenti nello spazio) nel processo interpretativo portato avanti dall’archeologo. Nell’ambito del mondo sotterraneo, l’archeologia dei sensi è stata applicata solo a partire dall’inizio del nuovo millennio da Skeates (2010), in relazione agli ipogei preistorici maltesi, da Betts (2003) per Grotta Sant’Angelo (TE), da Whitehouse (1992; 1) L’inventario, che cataloga tutti gli aspetti sensoriali relativi ad ogni elemento che compone un contesto archeologico. 2) La riflessività, ovvero la presa di coscienza dell’impossibilità di un distacco completo dall’oggetto (o soggetto) studiato e del contributo soggettivo alla costruzione di significati, prodotto nel processo di ricerca (si veda ad esempio CLIFFORD - MARCUS, 1986). 82 Speleologia del Lazio, 9 | dicembre 2018 Figura 2 - Il sentiero naturalistico che si percorre per raggiungere la grotta 3) La sperimentazione, ovvero l’osservazione e studio degli effetti provocati sui sensi dalle ricostruzioni archeologiche, così come la registrazione delle proprie e altrui sensazioni (cfr. TILLEY, 1994; 2004), non dimenticandone la soggettività (si veda ad esempio BRÜCK, 1998; 2005; INGOLD, 2005; HAMILTON et al., 2006). 4) La descrizione densa, un concetto antropologico Geertziano (1973) che si traduce in archeologia nell’approccio contestuale, un’analisi approfondita di quante più prospettive ed evidenze materiali possibili per incrementare l’attendibilità delle conclusioni interpretative prodotte. 5) La scrittura (o altri mezzi di espressione artistica) creativa, un espediente che permette di oltrepassare il livello descrittivo dello studio dei contesti archeologici, creando rappresentazioni artistiche basate su dati rigorosi ma integrati da una componente libera dai confini della ricostruzione scientifica in senso stretto. percezioni umane siano culturalmente definiti e non atavici, di conseguenza fortemente legati alla memoria individuale e collettiva. Pur aggiungendo un ulteriore elemento di relativismo storico-culturale ad un già complesso processo interpretativo, questa volontà di riconsiderare la disciplina dell’archeologia riconoscendola come “indisciplinata” non può non destare degli spunti di riflessione. Nel suo provocatorio lavoro, infine, lo studioso ribadisce come l’esperienza sensoriale travalichi la dimensione temporale ricreandosi di volta in volta in modo diverso nel corso delle sempre nuove interazioni tra soggetto e oggetto, o meglio – eliminando la componente passiva del secondo elemento – tra i due soggetti. Tanto influente è, nella sua visione, la multi-temporalità e la sensorialità dell’archeologia, che tale termine potrebbe essere persino privato del prefisso “archeo-” dato l’imprescindibile legame tra passato e presente rappresentato da ogni studio archeologico. Una conclusione tanto estrema, lungi dal dover essere condivisa nella sua totalità, non può che stimolare una crescente consapevolezza dell’importanza dei sensi nella pratica archeologica e nella divulgazione dei risultati da essa derivati, come si propone infatti di fare questo lavoro, tra i primi elaborati da un’equipe italiana in Italia. Secondo Hamilakis (2014), l’archeologia e i sensi devono andare di pari passo. Per lo studioso, i sensi riguardano la natura e lo stato dell’essere, sono infiniti, e l’archeologia li può indagare solo se riesce a superare la classica definizione dei cinque sensi aristotelici. Hamilakis sostiene, inoltre, che i sensi e le 83 VII Convegno Federazione Speleologica del Lazio Figura 3 - L’antegrotta “abitazione”: in particolare l’antegrotta (Fig. 3), più ampia rispetto all’immaginario collettivo, suggerisce un senso di protezione, paragonabile al salone di una casa. 3. Risultati Le risposte alle interviste hanno fornito interessanti risultati, riassunti come segue: 1) Aspetto naturalistico della grotta 2) Attività archeologica portata a termine nella grotta Il percorso che precede la grotta e le caratteristiche naturalistiche interne di quest’ultima suscitano negli intervistati principalmente emozione e fascino. Raggiungendo Mora Cavorso ci si immerge sempre di più nella natura, un’isola di pace nella cui formazione l’uomo ha avuto poco a che fare. In qualche modo nel momento stesso in cui ci si avvicina alla grotta si ripercorrono i percorsi battuti nel passato dai nostri antenati, intraprendendo una sorta di viaggio nel passato (Fig. 2). Alcuni degli intervistati hanno sottolineato il carattere “personale e peculiare” che la grotta assume: la contraddistingue un odore caratteristico, corrispondente al profumo dell’ambiente umido e degli animali che vi abitano. Nel caso specifico inoltre si nota l’assenza del rumore tipico delle gocce sulla superficie, conseguenti alla forte presenza di stillicidio che, invece, in questa grotta risulta del tutto assente. Nella sua interezza Mora Cavorso è stata percepita da alcuni intervistati (soprattutto da coloro che hanno ripetuto l’esperienza di scavo nel corso degli ultimi anni) come una sorta di Per quanto concerne l’attività di scavo svoltasi presso la grotta gli intervistati hanno sottolineato la maggiore complessità che questo tipo di contesto presenta rispetto ai siti archeologici all’aperto (Fig. 4). Ciò nonostante alcuni di essi hanno espresso la loro predilezione per lo scavo in grotta che assicura, grazie al microclima interno, un ambiente di lavoro piacevole e rilassante anche in estate. Questa attività viene nel complesso considerata come altamente positiva e fortemente consigliabile; il contatto diretto con la grotta, attraverso il suo scavo, permette di riportare alla luce tracce del passato finora sconosciute e protette nelle sue profondità. Gli intervistati (la totalità dei quali non ha avuto esperienze pregresse in grotta) descrivono uno stato di iniziale euforia mescolato a timidezza nell’approcciarsi ad un contesto ed una pratica del tutto sconosciute; inoltre, alcuni di loro tendono a definire la ricerca archeologica in questo contesto come una sfida, alla luce delle difficoltà maggiori 84 Speleologia del Lazio, 9 | dicembre 2018 Figura 4 - Lo scavo lungo il condotto che porta alle sale interne che la grotta presenta. Tra di esse sottolineano in particolar modo i limitati spazi a disposizione, la presenza di cunicoli stretti e la scarsità di luce naturale; tali condizioni impongono un maggiore dispendio di energie e di tempo (Fig. 5). Per queste stesse ragioni alcuni degli intervistati si chiedono cosa, se non ragioni rituali, possano aver portato i nostri antenati a depositare i corpi dei propri cari defunti proprio in questi antri oscuri, creando un legame profondo ed eterno tra i corpi terreni e la natura. Secondo alcuni questa scelta potrebbe essere dovuta al senso di pace, sicurezza e protezione che la grotta infonde. come familiare. Molti degli intervistati sostengono inoltre che la grotta sia esteticamente più bella al suo interno e che, una volta percorsi diverse volte, i suoi cunicoli suscitino una sensazione di meraviglia. Nel corso della visita nella grotta, una volta raggiunte le sale interne, si è sperimentata l’esperienza di spegnere le luci. Il buio perfetto così raggiunto trasmette alla maggioranza degli intervistati forti emozioni (come isolamento, sacralità e piacevole solitudine) e spesso un senso di serenità. Coloro che hanno praticato l’attività di scavo nei diversi saggi nel corso degli anni paragonano l’ingresso in grotta ad un percorso di crescita professionale: questo ha permesso loro di scavare nei diversi contesti, dall’esterno all’interno, affrontando di volta in volta le difficoltà di svolgere queste attività in contesti sempre più ristretti e bui. L’ingresso in grotta viene inoltre paragonato ad un parto al contrario: procedendo nei cunicoli angusti si passa da un ambiente ampio e familiare ad uno ristretto e poco illuminato. Superati però questi ostacoli, che impongono di strisciare lungo stretti ambienti nei quali si sperimenta una ristretta mobilità, si raggiungono scenari completamente inattesi e di un’inimmaginabile bellezza: le sale interne presentano una straordinaria ricchezza di concrezioni, stalattiti e stalagmiti ed, in alcuni periodi dell’anno, è anche possibile osservare un piccolo laghetto. Quando si raggiungono queste 3) Aspetto speleologico rappresentato dalla grotta La conformazione della grotta, caratterizzata nelle sale più interne da camere buie raggiungibili attraverso cunicoli angusti, ha comportato per alcuni degli intervistati, soprattutto durante la prima visita, un senso di insicurezza e paura. Mentre l’antegrotta, grazie alla sua grandezza, infonde un senso di accoglienza e protezione, a mano a mano che si procede lungo lo scivolo naturale che precede la sala C, ed entrando sempre più in profondità, si diffonde un senso di preoccupazione. Tuttavia, nella maggior parte dei casi, tale sensazione è stata sostituita da un senso di maggiore tranquillità con il ripetersi delle visite: questo ambiente è infatti attualmente descritto 85 VII Convegno Federazione Speleologica del Lazio Figura 5 - Lo scavo lungo il condotto che porta alle sale interne sale si viene avvolti dall’oscurità più impenetrabile e dal silenzio più totale. Queste due condizioni permettono di sperimentare diverse sensazioni: il tempo sembra innanzi tutto fermarsi e se ne perde la cognizione; stare in questo ambiente per più di 10 minuti permette agli intervistati di sentirsi parte della grotta stessa, sembra quasi di potersi fondere con la roccia sulla quale si è poggiati. Questa sensazione di appartenenza viene descritta come molto bella e profonda. Nel buio è stato inoltre effettuato, nel corso di una visita all’interno della grotta, un secondo esperimento: uno degli intervistati si è esibito in un breve canto. L’ottima acustica e l’eco che si ottiene ha trasmesso ai presenti un senso di pace e piacevolezza. Un’intervistata ha sottolineato di aver immaginato di cantare una canzone triste, che ben si associa con il buio che la circondava, passando per alcuni dei cunicoli più stretti e bui della grotta. elementi della grotta (non solo i cinque sensi tradizionali ma anche, ad esempio, la propriocezione) e ad un approccio contestuale (che ha preso in considerazione il paesaggio circostante e la grotta stessa nei suoi variegati settori, ma anche il grado di esperienza e il tipo di attività degli intervistati) venisse unita la sperimentazione. Questa si è manifestata non solo per mezzo del semplice attraversamento del percorso, ma anche con gli esperimenti del canto e dello spegnimento delle luci. Il tutto è stato costantemente corredato da una consapevole riflessività da parte degli studenti, i quali pur registrando con attenzione le loro emozioni sono rimasti ben consci della più che probabile diversità del proprio “sentire la grotta” rispetto all’uomo – o meglio, gli uomini – del passato. L’aspetto della creatività, sottolineato da Skeates (2010) per quanto riguarda l’importanza della divulgazione, sarà invece affrontato con la creazione di un documentario attualmente in corso di realizzazione. Tra le sensazioni personali più ricorrenti si possono indicare il senso di benessere e tranquillità che l’antegrotta suscita sin dalla sua prima frequentazione; tali sentimenti sono 4. Discussione L’applicazione integrata delle metodologie sopra descritte ha fatto sì che all’accurato inventario della sensorialità legata ai vari 86 Speleologia del Lazio, 9 | dicembre 2018 tenere presente che in epoca antica si aveva un differente rapporto con la morte, quando ha assunto una “rilevanza sociale totale” (MAUSS, 1923-24), arrivando a coinvolgere tutti gli aspetti delle società antiche. Al contrario, a partire dal secolo scorso, sulla concezione riduttivista dell’essere umano la morte è stata spesso nascosta, instaurando in molte occasioni un rapporto problematico nella società contemporanea (FAVOLE, 2006). È ipotizzabile, ad esempio, che il senso di sicurezza dato dalla presenza di luci elettriche di emergenza e tessuti rinforzati, dalla mancanza di un contatto diretto con i propri defunti e dalla forte fatica fisica derivante dal loro trasporto crei un forte divario con la sensorialità vissuta nella preistoria. Questa, infatti, poteva essere maggiormente influenzata dalla paura dello spegnimento delle torce con conseguente possibilità di smarrimento (che avrebbe fatto vivere diversamente il buio assoluto della grotta), dalla difficoltà di respirazione derivante dal fumo delle torce, dal dolore del contatto più diretto con le acuminate stalagmiti del pavimento, dallo sforzo derivante dal dover trasportare corpi morti, dal disgusto per l’odore dei cadaveri in putrefazione precedentemente deposti e dalla forte emozione provocata dal dover entrare nuovamente a contatto con essi (Fig. 6). Resta comunque valida l’ipotesi che la grotta fosse utilizzata proprio come luogo sepolcrale a causa del suo isolamento dal mondo terreno e della sua accogliente e quieta conformazione assimilabile al ventre materno della terra - un vero e proprio “parto al contrario” - quindi, con ritorno finale al luogo della nascita. Figura 6 - Reperti umani preistorici nella sala interna detta “sala superiore” sperimentati nelle sale interne soprattutto dopo i primi ingressi, che si caratterizzano invece per un maggior senso di paura e timore, mescolato ad un senso di emozione e stupore. Il silenzio ed il buio sembrano riempire il vuoto delle sale, donando un senso di completezza, pace ed appartenenza all’ambiente naturale circostante. Un’esperienza questa che viene calorosamente consigliata da tutti gli intervistati non solo agli addetti ai lavori ma soprattutto a chi, vivendo in città, non ha idea di cosa rappresenti lo spettacolo naturale delle grotte. L’ingresso al loro interno permette di lasciarsi alle spalle il nostro mondo e la nostra vita quotidiana per dare spazio ad un ambiente estraneo, di totale pace e serenità che può “portare indietro nel tempo”. È evidente che tale “viaggio nel tempo” non può né deve convincere che gli studenti abbiano provato sensazioni simili a quelle sperimentate dai passati frequentatori della grotta. Se è vero quanto afferma Hamilakis (2014), infatti, le sensazioni hanno natura culturale oltre che istintiva e non è possibile creare un’equazione diretta tra epoche e tipologie di frequentazione diverse: funerario-cultuali in antico, ludico-lavorative quelle contemporanee (anche se, per lo stesso motivo, non è corretto neanche escludere che tali affinità possano talvolta incidentalmente verificarsi). Bisogna 5. Conclusioni Questo tipo di studio, focalizzato sulle sensazioni provate da studenti intervistati nel corso della frequentazione di una singola grotta richiede, per ottenere risultati conclusivi, l’ampliamento del campione ad ampio raggio; in prospettiva futura, gli autori considerano la possibilità di implementare il numero delle grotte che gli intervistati dovranno valutare e le relative sensazioni ivi provate. Questo confronto avvalorerà le conclusioni presentate in questo studio preliminare, dimostrando, come prevedibile, che ogni cavità nella sua unicità possa fornire sensazioni differenti. Nello stesso modo, in passato queste stesse grotte sono state utilizzate con modalità e scopi distinti, probabilmente grazie alla diversa percezione che l’uomo aveva di ciascuna di esse in antico. 87 VII Convegno Federazione Speleologica del Lazio 6. Bibliografia Phenomenology in Practice. EJA, 9/1, pp. 31-71. Howes D., 2006, Charting the Sensorial Revolution, “Senses and Society”, 1/1, pp. 113128. Achino K.F., Rolfo M.F., Silvestri L., Proietti D., 2012, Oral sources and Archaeological data: the study case of Mora Cavorso Cave (Jenne), in F. Lugli, A. Stoppiello, A. e S. Biagetti (a cura di) Proceedings of the V Ethnoarchaeological meeting ‘Ethnoarcheology: Current research and field methods’, Rome 13th-14th May 2010 (Poster), Oxford: BAR International Series 472, pp. 293-297. Ingold T., 2005, Landscape Lives but Archaeology Turns to Stone, NAR, 38/2, pp. 122129. Mauss M., 1923-24, Essai sur le don, “Année Sociologique”, II serie, 1. Betts E., 2003, The Sacred Landscape of Picenum (900-100 BC), in J. B. Wilkins - E. Herring (a cura di), Inhabiting Symbols. London: Accordia Research Institute, pp. 101-20. Morphy H., 1992, From Dull to Brilliant, in J. Coote - A. Sheldon (a cura di), “Anthropology, Art and Aesthetics”. Oxford: Clarendon Press, pp. 182-208. Brück J., 1998, In the Footsteps of the Ancestors. ARC, 15/1, pp. 23-36. Roe M., 2000, The Brighter the Light the Darker the Shadows, Capra, 2. http://capra.group.shef. ac.uk/2/roe.html Brück J., 2005, Experiencing the Past? AD, 12/1, pp. 45-72. Rolfo M. F., Achino K. F., Cappa E., Fusco I., Silvestri L., 2015, La Grotta Mora Cavorso a Jenne: dalle indagini speleologiche alla ricostruzione archeologica, in L. Alessandri (a cura di), “Attraverso il vuoto. Atti del VI Convegno Federazione Speleologica del Lazio”, (Genzano di Roma, 7-8 dicembre 2013), Roma, (Speleologia del Lazio, 8), pp. 112-125. Classen C. - Howes D., 2006, The Museum as Sensescape, in Edwards et al. (a cura di), pp. 199-222. Clifford J. - Marcus G. E. (a cura di), 1986, Writing Culture. Berkeley, CA: University of California Press. Skeates R., 2010, An archaeology of the senses: prehistoric Malta. Oxford University Press. Edmonds M., 2006, Who Said Romance was Dead?, JMC, 11/1-2, pp. 167-188. Tilley C., 1994, A Phenomenology of Landscape. Oxford: Berg. Edwards E., Gosden C., Phillips R. B. (a cura di), 2006, Sensible Objects. Oxford: Berg. Tilley C., 2004, The Materiality of Stone. Oxford: Berg. Favole A., 2006, La nuda morte e le culture del morire. Una riflessione antropologica, in F. Martini (a cura di), “La cultura del morire nelle società preistoriche e protostoriche italiane. Dal Paleolitico all’età del Rame”, Firenze, pp. 19-25. Whitehouse R., 1992, Underground Religion. London: Accordia Research Centre. Whitehouse R., 2001, A Tale of Two Caves, in P. F. Biehl - F. Bertemes (a cura di), “The Archaeology of Cult and Religion”, Budapest: Archaeolingua, pp. 161-167. Finnegan R., 2002, Communicating. London: Routledge. Hamilakis Y., 2002, The Past as Oral History, in Y. Hamilakis (a cura di), “Thinking through the body. Archaeologies of corporeality”, New York, pp. 121-136. Hamilakis Y., 2014, Archaeology and the senses: human experience, memory, and affect, Cambridge University Press. Hamilton S., Whitehouse R., Brown K., Combs P., Herring E., Seager-Thomas M., 2006, 88 Speleologia del Lazio, 9 | dicembre 2018 Grotta Pila Elementi di geologia e nuovi dati sull’utilizzo antropico in epoca protostorica MARIA PIRO - GIOVANNI MECCHIA - CRISTIANO RANIERI I rilievi della Sabina Orientale costituiscono una catena con andamento complessivamente meridiano, che si estende in sinistra idrografica del Fiume Tevere, separata verso Ovest dai contigui Monti Lucretili tramite l’incisione valliva del Torrente Licenza; si tratta di un complesso sistema di rilievi che giungono a Nord fino in prossimità di Terni e a Sud toccano le sponde dell’Aniene. Sono caratterizzati da strutture a pieghe, con asse NW-SE o N-S, vergenti verso l’Adriatico; in affioramento si trovano in netta prevalenza la formazione marnoso-argillosa di Guadagnolo, le “marne e brecciole” e i calcari della Scaglia, tipici della Successione Sabina. Nei calcari dei Monti Sabini Orientali sono conosciute una cinquantina di grotte (comprendendo quelle della media valle dell’Aniene). La cavità più estesa di tutto il gruppo montuoso è la Grotta Grande di Muro Pizzo (sviluppo 380 m) che, come la Grotta Pila, si apre nei calcari della Scaglia dell’Eocene-Cretacico. L’unità è costituita da calcari detritici biancastri a macroforaminiferi con frequenti intercalazioni di brecce e puddinghe poligeniche e con livelli marnosi e selciferi. Verso l’alto si passa alle marne e calcari marnosi della formazione del “Bisciaro”, di età oligocenica. La Grotta Pila si trova sul versante occidentale della catena, in una zona geologicamente complessa con vari assi di anticlinali parallele orientate N-S, dislocate da faglie orientate E-W, una delle quali, ben visibile nella carta geologica, condiziona l’andamento del Fosso Vignale, lungo il versante sinistro del quale si apre la cavità. La grotta ha uno sviluppo di 74 m. Dal largo portale d’ingresso che si apre alla base di una parete si accede ad una breve galleria che si allarga in un vasto salone ad andamento suborizzontale, probabilmente di interstrato, con diametro di circa 50 m e con alcune diramazioni laterali, apparentemente frammentato in vari ambienti da colonne concrezionali e accumuli di massi. Il pavimento è in leggera salita (dislivello positivo di circa 2 m) e la volta è sempre alta almeno 2-3 m. Sul fondo della cavità si notano vari punti di ristagno e assorbimento delle acque. Sul soffitto si notano canali di volta e concrezioni mammellonari, che fanno pensare a fasi di temporanea sommersione e di riempimento della cavità. Probabili fasi di riempimento ed erosione sono indicate anche dalla presenza di pavimenti concrezionati sospesi rispetto all’attuale piano di calpestio. Da notare ovunque la deviazione dell’asse di accrescimento di molte colonne stalattitiche, un aspetto che potrebbe essere oggetto di successivi studi. Le ricerche archeologiche Di notevole importanza sono i reperti paletnologici rinvenuti all’interno della Grotta Pila che venne indagata per la prima volta nel 1949 da A. G. Segre e A. M. Radmilli. Nel Bollettino di Paletnologia Italiana del 1959 il Radmilli scrive: “La caverna ampia consta di un ambiente interno ed un altro esterno, separati da una grande frana di grossi blocchi, 89 VII Convegno Federazione Speleologica del Lazio Figura 1, Planimetria e sezione della Grotta Pila, Rilievo L. Lanzi, disegno F. Consolini 90 Speleologia del Lazio, 9 | dicembre 2018 Figura 2 - Grotta Pila, 22 gennaio 1950, foto storica. Archivio Circolo Speleologico Romano cementati e coperti da una grossa stalagmite” (Radmilli 1951-52). Nell’ambiente interno lo studioso recuperò “abbondanti frammenti fittili di civiltà enea e della fase di transizione dalla stessa civiltà enea a quella del ferro” sottolineando la presenza di tombe di inumati e resti di scheletri. Venne eseguito un saggio di scavo che restituì “industria litica associata a frammenti di vasellame fittile ed oggetti litici riferibili ad un orizzonte culturale affine a quello degli strati basali delle Cavernette Falische e della Grotta Polesine”. Attualmente i materiali sono conservati con la seguente indicazione di scavo: “I taglio – 14 gennaio 1950 e II taglio – 22 gennaio 1950”. Si tratta di una settantina di frammenti fittili ed un centinaio di frammenti di industria litica, conservati nei magazzini del Museo Pigorini e purtroppo mai pubblicati. Radmilli, evidenziando l’importanza dei resti paletnologici presenti nella grotta, sottolineava la necessità di intraprendere scavi sistematici quanto prima. A proseguire gli studi fu G. Filippi che, a seguito di un sopralluogo effettuato all’interno della grotta nel 1979, recuperava un frammento ceramico “che per fattura e foggia ci riporta a forme di età neolitica o tutt’al più all’Eneolitico” (Filippi 1979). A partire dal 1996 il Gruppo Speleo Archeologico Vespertilio, in collaborazione con la Soprintendenza, ha effettuato diversi sopralluoghi all’interno della cavità, al fine di poter acquisire ulteriori dati riguardo lo sfruttamento antropico avvenuto nella Grotta Pila in epoca protostorica. Le ricerche sono state effettuate principalmente negli ambienti interni della cavità. Sono stati recuperati numerosi frammenti fittili in alcune zone della grotta dove si evidenzia per altro un’intensa attività di saggi clandestini che hanno alterato la stratigrafia del sito. Di notevole importanza risultano i materiali recuperati in un anfratto stalagmitico che fanno riferimento con ogni probabilità al corredo di una sepoltura eneolitica. Si tratta di alcuni resti osteologici associati ad una punta di freccia in selce e frammenti di una scodella con sopraelevazione dell’orlo con decorazione radiale incisa. La scodella, restaurata e disegnata da Giovanni Carboni, trova riscontro 91 VII Convegno Federazione Speleologica del Lazio Figura 3 - In alto: sala principale (foto C. Ranieri). In basso: zona della cavità dove sono stati recuperati materiali ceramici della cultura Laterza 92 Speleologia del Lazio, 9 | dicembre 2018 “protoappenninici” in Apulia, Origini, I, pp. 195-300. Filippi G. 1979, Primo contributo alla conoscenza del territorio sabino nell’età preistorica e protostorica. Quaderni del Centro di Studio per l’Archeologia Etrusco-Italica, 3, p. 111. Filippi G., Pacciarelli M. 1991, Materiali protostorici della Sabina Tiberina. L’età del bronzo e la prima età del ferro tra il Farfa ed il Nera, Quaderni del Museo Archeologico di Magliano Sabina, Magliano Sabina. Figura 4 - Scodella con sopraelevazione dell’orlo con decorazione radiale incisa Radmilli A. M. 1951, Attività del Museo Nazionale Preistorico ed Etnografico L. Pigorini – anni 1946-1951 in BPI n.s. VIII parte IV, pp.7475. con quella presente nel corredo della tomba 14 dell’abitato eneolitico di Osteria del Curato-via Cinquefrondi (AA.VV., 2017). I caratteri tipologici del materiale ceramico, attualmente in studio da parte di Cristiano Ranieri e Giorgio Filippi, e della punta di freccia in selce si inseriscono nell’ambito culturale della facies di Laterza, documentata ampiamente sul versante tirrenico del Lazio meridionale e della Campania. Materiale ceramico è stato recuperato in altre zone della grotta la cui attribuzione culturale, seppure riconducibile ad un orizzonte cronologico eneolitico, risulta di difficile attribuzione. Non si può quindi escludere che oltre alla facies Laterza ci possa essere una sovrapposizione di altre culture, come nel già citato sito di Osteria del Curato, come ad esempio le facies di Rinaldone ed Ortucchio. Presenti anche alcuni frammenti ceramici riconducibili alla media età del Bronzo, in particolare ciotole e scodelle. Grotta Pila, come altre cavità presenti in Sabina (Filippi, Pacciarelli, 1991), deve essere stata quindi utilizzata come luogo di culto e/o sepoltura anche dalle comunità appenniniche. Le ricerche hanno quindi confermato che lo sfruttamento antropico della grotta copre un ampio spazio cronologico, dal paleolitico superiore all’età del Bronzo. Ranieri C. 2015, Nuove scoperte paletnologiche dalle grotte del Costone di Battifratta a Poggio Nativo, Speleologia del Lazio, 8, Attraverso il vuoto. Atti del VI Convegno della Federazione Speleologica del Lazio, pp. 30-33, Roma. Segre A. G. 1948, I fenomeni carsici e la speleologia del Lazio, Roma. Bibliografia AA.VV. 2007, L’abitato eneolitico di Osteria del Curato-via Cinquefrondi: nuovi dati delle facies archeologiche di Laterza e Ortucchio nel territorio di Roma. Atti della XL riunione scientifica: strategie di insediamento fra Lazio e Campania in età preistorica e protostorica, pp. 477-508. Biancofiore F. 1967, La necropoli eneolitica di Laterza, origini e sviluppo dei gruppi 93 VII Convegno Federazione Speleologica del Lazio Laboratorio didattico “Spelunca Docet” - disegno di un alunno della classe I B (secondaria di primo grado) dell’Istituto Comprensivo “San Vittorino - Corcolle” 94 Speleologia del Lazio, 9 | dicembre 2018 Monti Aurunci Orientali Le grotte e la loro interazione con l’uomo PAOLO DALMIGLIO - PATRIZIA MARINO Geografia del territorio 84 milioni di anni fa, le cavità individuabili sugli Aurunci Orientali si aprono, invece, nei più recenti calcari organogeni “a Briozoi e Litotamni” del Miocene Inferiore, databili tra 23 e 15 milioni di anni fa. Queste rocce sono il risultato della sedimentazione di invertebrati marini coloniali, i Bryozoa o Ectoprocta, e di alghe rosse calcaree, i Lithothamnia. In alcune aree vi sono anche abbondanti resti fossili di Pectinidae, una famiglia di molluschi bivalvi. Lo spessore dello strato così caratterizzato è mediamente di 50 metri e nella zona di Coreno Ausonio si trova uno degli esempi più estesi e rappresentativi in Italia di questa unità geologica, la cui estrazione, non a caso, a partire dagli anni Cinquanta del XX secolo ha costituito la primaria attività economica locale e lo è tuttora (cfr. fig. 1), vantando anche I Monti Aurunci sono l’estrema propaggine montuosa del Lazio verso la Campania, costituendo, da nord a sud, la parte più meridionale del sistema antiappenninico dopo i Lepini e gli Ausoni, tutti affacciati sulla Valle del Sacco - Liri. Gli Aurunci Orientali sono separati dal settore occidentale del massiccio dalla Valle dell’Ausente, torrente tributario del Garigliano, fiume che circoscrive ad est questi rilievi e traccia il confine con la Campania. La quota di massima elevazione della zona considerata è quella di Monte Maio, con 940 m s.l.m. Mentre le grotte del comparto occidentale degli Aurunci si sono generate all’interno di formazioni carbonatiche del Cretaceo Superiore, risalenti a Figura 1 - Cava di calcare, il cosiddetto Perlato Royal Coreno, in località Piedi di Serra (foto P. Dalmiglio) 95 VII Convegno Federazione Speleologica del Lazio Figura 2 - Carta di distribuzione degli ingressi delle grotte censite a Catasto nel comprensorio dei Monti Aurunci Orientali. I punti neri contrassegnano le cavità trattate nel presente lavoro. 1) Grotta Focone; 2, 3 e 4) Grotte I, II e III di Rio Candrella; 5) Grotta da Tonto; 6) Grotta della Cava di Piedi di Serra; 7) Grotta dell’Arnale Piccolo; 8) Pozzo Arnale Piccolo; 9) Arnale di Coreno; 10) Antro di Monte Maio; 11) Grotta fessa di Monte Maio; 12) Grotta della Pipa; 13) Grotta Pimpinelli; 14) Pozzo le Cese; 15) Grotta di Costa dell’Annunziata. Fuori carta, verso est, si colloca il Labirinto di San Lorenzo nel territorio comunale di SS. Cosma e Damiano. la classificazione del pregiato marchio commerciale Perlato Royal Coreno. Le cave hanno una ripercussione sia positiva sia negativa sulle grotte presenti e in secondo luogo sulla possibilità di effettuare ricerche speleologiche: talvolta infatti l’attività estrattiva intercetta e mette in luce nuovi ingressi, come nel caso della Grotta della Cava di Piedi di Serra; tuttavia il progressivo avanzamento del fronte di cava può provocare la parziale o totale distruzione delle cavità. Inoltre si segnalano casi in cui i detriti movimentati durante le operazioni di scavo obliterano gli accessi, come nel caso di seguito illustrato di Grotta Focone. Un altro tratto peculiare degli Aurunci Orientali è la presenza di alcune sorgenti termali di acque oligominerali, concentrate nella zona di Suio e Castelforte: fenomeno di vulcanismo secondario riferibile alla presenza del vicino Vulcano di Roccamonfina in provincia di Caserta, attivo tra 630.000 e 50.000 anni fa. Storia delle ricerche speleologiche Le grotte dei Monti Aurunci Orientali sono state indagate innanzitutto dal Circolo Speleologico Romano tra il 1970 e il 1975, attività che ha portato alla registrazione di otto cavità nel Catasto delle Grotte e delle Aree Carsiche del Lazio, tuttavia mai oggetto di pubblicazione: Grotta dell’Arnale Piccolo (687 La), Pozzo Arnale Piccolo (693 La), Grotta Focone (846 La), Grotta I di Rio Candrella (847 La), Grotta II di Rio Candrella (848 La), Grotta III di Rio Candrella (849 La), Grotta Da Tonto (870 La) e Grotta dell’Arnale (871 La). Altre tre nuove grotte sono state rese note dai Bollettini “La Ciauca”, frutto dell’impegno dello Speleo Club Trivio Maranola (S.C.Tri.Ma.): la Ciauca del Gallo, della profondità di 15 metri, esplorata il 29 luglio del 1979 ad Ausonia, di cui conosciamo solo il rilievo pubblicato nel 96 Speleologia del Lazio, 9 | dicembre 2018 te agli speleologi e prive di qualsivoglia forma di documentazione. Finora è stato quindi possibile rintracciarne tre, ovvero: la Grotta Fessa di Monte Maio (2012 La); la Grotta Pimpinelli (2005 La) e il Pozzo le Cese (1115 La); a queste se ne sono aggiunte altre tre del tutto nuove: la Grotta della Pipa (1922 La), la Grotta della Cava di Piedi di Serra (2120 La) e la Grotta di Costa dell’Annunziata (2006 La). A seguire si procederà, in prima battuta, alla presentazione delle grotte esplorate ex novo; in seconda battuta all’illustrazione di quelle che, sebbene già conosciute, sono state oggetto di aggiornamenti a livello documentario o hanno richiesto analisi e studi ulteriori, tra queste spiccano per importanza la Grotta Focone (846 La), la Grotta da Tonto (870 La) e la Grotta dell’Arnale (871 La). 1982 (Ciauca n. 4, anno III, 1982); la Grotta della Polvere, a Suio alto, esplorata il 5 agosto del 1979, di cui non si ha neanche una precisa riproduzione topografica (Ciauca n. 1, 1979, pp. 19-21) e il Labirinto di San Lorenzo (1338 La) a SS. Cosma e Damiano, esplorato nel mese di marzo 1980 (Ciauca n. 2, 1980, p. 20) e nel mese di dicembre 1982 (Ciauca n. 4, anno III, 1982, notizia desunta dal paragrafo “Calendario delle esplorazioni ‘82”), quindi pubblicata nel 2003 (Mecchia et alii 2003, pp. 280-281). Anche il Circolo Speleologico Esperiano ha frequentato questo territorio, visitando probabilmente per la prima volta le zone iniziali della Grotta Pimpinelli (2005 La), senza lasciare però documentazioni al riguardo. Al 1994 risale uno studio di Brunamonte, Prestininzi e Romagnoli del Gruppo Nazionale per la Difesa dai Terremoti presso l’E.N.E.A. e dell’Università degli Studi di Roma “La Sapienza”, sulla geomorfologia e i caratteri geotecnici dei depositi di terre rosse nelle aree carsiche degli Aurunci Orientali (Brunamonte et alii 1994). In una carta geomorfologica allegata a questo lavoro risultano posizionati dodici ingressi di cavità, di cui una sola già nota in ambito speleologico: la già menzionata Grotta dell’Arnale. E’ proprio a partire da questa pubblicazione che il Gruppo Grotte Castelli Romani ha dato avvio alle ultime ricerche nella zona, nell’intento di individuare e verificare la presenza e la natura delle grotte segnalate nella carta citata, ma sconosciu- Grotta Fessa di Monte Maio (2012 La) Comune: Coreno Ausonio (FR). Località: versante sud-ovest di Monte Maio, poco sotto la cima. Coordinate UTM WGS’84: 4578295- 399919 Quota s.l.m.: 890m. Speleometrie: dislivello -42m; sviluppo planimetrico 40m. Esplorazioni: Gruppo Grotte Castelli Romani 8-3-2014. L’ingresso di questa grotta (n. 11 nella carta di distribuzione di fig. 2), collocato poco sotto la cima di Monte Maio, fa parte molto probabilmente di quelli segnalati, assieme ad altri due non identificati, nella carta allegata al lavoro di Brunamonte et alii del 1994. Si presenta come un foro di dimensioni contenute, in parte ostruito da blocchi di frana e percorso nella stagione fredda da una violenta corrente d’aria in uscita. L’intera cavità è impostata lungo una diaclasi verticale con andamento planimetrico lievemente serpeggiante, complessivamente orientata est-ovest. La discontinuità tettonica genitrice restringe progressivamente la sua luce sia verso est che verso ovest; alla stessa maniera avvicina le pareti contrapposte con l’aumentare della profondità, tanto che, raggiunta la quota di -42m rispetto all’ingresso, diventa impercorribile. Frane sospese caratterizzano pavimento e soffitto di ogni porzione della grotta, come d’altra parte accade sistematicamente in altre cavità con analoga origine tettonica. Non sono stati osservati scorrimenti d’acqua significativi e il concrezionamento è assente. La percorrenza umana all’interno di questa grotta deve tenere conto costantemente del pericolo derivante dalle frane, non sempre stabili. Figura 3 - Grotta Fessa di Monte Maio, frattura con scivolo detritico alla base del P. 7 (Foto M. G. Lobba) 97 VII Convegno Federazione Speleologica del Lazio L’ingresso immette su una prima verticale di 6m; segue uno scivolo detritico e una seconda verticale profonda 7m; dalla sua base se si procede in direzione ovest, si deve superare un restringimento alla quota di calpestio per affacciarsi su un salto di 9m, all’interno di un ambiente molto franoso e decisamente pericoloso; sceso su corda il dislivello è possibile avanzare oltre scavalcando una sorta di sella ed entrare così in un ambiente dalle caratteristiche analoghe al precedente. Per raggiungere la 98 Speleologia del Lazio, 9 | dicembre 2018 Figura 4 - Grotta Pimpinelli, ambiente alla base della prima verticale (foto P. Dalmiglio) zona più profonda è necessario tornare alla base del P.7 e procedere verso est scendendo lungo un ripido scivolo detritico (fig. 3); un passaggio assai delicato sotto una frana pensile consente di guadagnare la partenza in strettoia di una verticale profonda 24m e impostata per intero lungo la frattura genitrice. Si scende su corda, non senza difficoltà a causa degli spazi decisamente ristretti, per atterrare su un pavimento detritico alla profondità di 42 metri dall’ingresso; da qui non si può fare altro che constatare l’impossibilità a procedere oltre. Sebbene sia questo il secondo punto più profondo raggiunto nell’esplorazione delle cavità dei Monti Aurunci Orientali, la Grotta fessa di Monte Maio non presenta particolari motivi di interesse e soprattutto non lascia speranza in merito a suoi possibili ulteriori sviluppi. L’ingresso della Grotta Pimpinelli (n. 13 nella carta di distribuzione di fig. 2) è conosciuto da sempre dagli abitanti del posto; fonti orali indirette ci hanno informato che nel pozzo iniziale sarebbe precipitato negli anni successivi la seconda guerra mondiale un bambino, ritrovato ormai morto solo alcuni giorni dopo. L’imbocco di questa grotta è segnalato quasi certamente nella carta allegata alla ricerca di Brunamonte et alii del 1994. A causa della fittissima vegetazione è stato possibile per noi rintracciarne il piccolo ingresso solo grazie alle precise indicazioni di un anziano abitante della vicina frazione di Pimpinelli. La grotta, di un certo interesse speleologico, è stata esplorata nei mesi invernali a cavallo tra il 2014 e il 2015. Alcune scritte tracciate a nero fumo e ritrovate negli ambienti concrezionati alla base del primo pozzo, testimoniano una prima esplorazione ad opera di alcuni soci del Circolo Speleologico Esperiano negli anni ’80 del secolo scorso; durante queste prime visite, tuttavia, non fu visto il cunicolo sospeso a 4 metri d’altezza lungo la parete ovest dell’ambiente posto alla base del pozzo d’ingresso, e quindi non furono raggiunti gli articolati e profondi sviluppi delle zone più occidentali della grotta, scoperti ed esplorati ex novo dal GGCR nel 2014-2015. La cavità si presenta assai articolata e ad oggi rag- Grotta Pimpinelli (2005 La) Comune: Castelnuovo Parano (FR). Località: Pimpinelli, 90m ad ovest della chiesuola dell’omonima frazione. Coordinate UTM WGS’84: 395245- 4581351 Quota s.l.m.: 325m. Speleometrie: dislivello -50m; sviluppo planimetrico 93m; sviluppo spaziale 155m. Esplorazioni: Circolo Speleologico Esperiano 1980, G. G. Castelli Romani 2014-2015. 99 VII Convegno Federazione Speleologica del Lazio giunge, con i suoi 50 metri, la massima profondità conosciuta sui Monti Aurunci Orientali. Dal punto di vista morfologico può essere suddivisa in due settori ben distinti: gli ampi e comodi sviluppi orizzontali, posti tra i 10 e i 19 metri di profondità, per intenderci la serie di gallerie e sale che vanno dal punto X del rilievo (estremità occidentale della grotta) al punto E (limite planimetrico verso oriente); e gli angusti, scomodi ed intricati approfondimenti, che raggiungono i tre fondi di -30m, -32m e -50m. Le zone orizzontali più prossime alla superficie risultano fossili, con forme a volte anche arrotondate e ben diffusi fenomeni di concrezionamento (fig. 5); quelle strette e profonde sono invece in- teressate da fenomeni di stillicidio anche intenso, roccia viva e frastagliata, spessi depositi fangosi e assenza di concrezioni. Le differenze tra i due settori di grotta sono talmente marcate da suggerire una speleogenesi polifasica: una fase più antica avrebbe visto la formazione degli ambienti ad andamento orizzontale prossimi alla superficie, impostatisi lungo una frattura orientata NO-SE (andamento anti appenninico); nella seconda fase, quella più giovane, si sarebbero formati gli stretti e tortuosi approfondimenti attivi ad andamento prevalentemente verticale, condizionati nella loro geometria da una famiglia di fratture tra loro parallele, ad andamento NE-SO (appenninico). 100 Speleologia del Lazio, 9 | dicembre 2018 Figura 5 - Grotta Pimpinelli, ambienti riccamente concrezionati lungo il tratto orizzontale fossile (foto P. Dalmiglio) Pozzo le Cese (2115 La) Comune: Castelnuovo Parano (FR). Località: Spatuli Lago, 240m ad est della frazione “Casali”. Coordinate UTM WGS’84: 396165- 4581401 Quota s.l.m.: 339m. Speleometrie: dislivello -28m; sviluppo planimetrico 10m. Esplorazioni: Gruppo Grotte Castelli Romani 7-1-2017. Pozzo già segnalato nella carta allegata al lavoro di Brunamonte et alii del 1994 (n. 14 nella carta di distribuzione di fig. 2); ritrovato da noi solo grazie alla guida fino all’ingresso di un abitante della vicina frazione Casali. L’imbocco, stretto e richiuso con blocchi di roccia per ragioni di sicurezza, immette sulla sottostante verticale di 22m; la base è costituita da un ambiente cilindrico del diametro di circa 3 metri, ingombro di rifiuti di vario genere gettati dall’alto; l’accumulo di immondizie è tale da precludere la possibilità di sondare una prosecuzione verso il basso solo intravista, attraverso la quale sembra incanalarsi l’acqua raccolta dalla verticale soprastante; sulla parete nord-est si apre, sospeso a 2m d’altezza, un cunicolo che sbuca su Figura 6 - Grotta Pimpinelli, ordigno bellico visibile alla base del pozzo d’ingresso (foto P. Dalmiglio) Nell’immediato dopoguerra il pozzo d’ingresso fu utilizzato per sbarazzarsi di ordigni bellici inesplosi, che furono gettati al suo interno e che, dopo oltre 70 anni, si conservano ancora in buono stato (fig. 6) sul pavimento detritico alla base della verticale: una tetra presenza, tutt’altro che rassicurante, una testimonianza tangibile degli orrori di una guerra che in queste zone ha lasciato dietro di sé ferite profonde. 101 VII Convegno Federazione Speleologica del Lazio un fuso parallelo; da qui si scendono due dislivelli di 4 metri separati da un terrazzo franoso; la grotta chiude in fessure impraticabili. L’intera cavità risulta essere impostata lungo una frattura con orientamento 30° rispetto al nord magnetico. Durante la nostra esplorazione è stata percepita una leggera corrente d’aria in entrata. Grotta della Pipa (1922 La) Comune: Vallemaio (FR). Località: Vallaurea. Coordinate UTM WGS’84: 401276- 4578519 Quota s.l.m.: 672m. Speleometrie: dislivello -3m; sviluppo planimetrico 26m. Esplorazioni: Gruppo Grotte Castelli Romani 23-12-2012. Nel corso di una battuta di ricognizione è stata scoperta questa piccola grotta (n. 12 nella carta di distribuzione di fig. 2), rappresentata da un primo saltino di 2m che immette in un basso cunicolo orizzontale con alcune brevi diramazioni per uno sviluppo complessivo di 26 metri. La grotta è di scarso interesse speleologico ma di notevole rilevanza per la storia che è stata in grado di raccontarci. All’interno di una sorta di bassa macera a secco di forma circolare si apre lo stretto imbocco verticale di questa cavità, trovato al momento della scoperta richiuso da blocchi di roccia incastrati gli uni sugli altri. Muretti come quello che circoscrive l’ingresso si trovano un po’ ovunque in zona e sono da interpretare come i resti di trincee realizzate durante l’ultimo conflitto mondiale. Nel nostro caso il soldato di turno poteva trovare un riparo ben più sicuro intrufolandosi all’interno della grotta, dove è stata rinvenuta, a 7 metri dall’ingresso (punto X 102 Speleologia del Lazio, 9 | dicembre 2018 del rilievo), in corrispondenza di un piccolo slargo, una pipa di ceramica, tipologicamente affine ad altri esemplari databili tra il 1930 e il 1940. Sembrerebbe che tali oggetti fossero particolarmente diffusi tra le truppe marocchine. E’ altamente probabile che un soldato, trovato scampo all’interno della grotta, si sia concesso un attimo di riposo e abbia cercato di allentare la tensione fumando del tabacco con quella piccola pipa in ceramica; possiamo immaginare che l’abbia poi dimenticata, oppure che l’avesse poggiata là dove noi l’abbiamo rinvenuta, pensando di poterla riutilizzare in un secondo momento… un secondo momento che la guerra non gli concesse. La grotta in questione (n. 6 nella carta di distribuzione di fig. 2) è stata intercettata dalla cava aperta nell’omonima località, probabilmente in un momento successivo ai primi anni ’70 del secolo scorso; non si spiegherebbe altrimenti la sua assenza tra quelle censite tra il 1970 e il 1975 dal Circolo Speleologico Romano, soprattutto in considerazione dell’esplorazione in quegli anni della vicinissima Grotta da Tonto. La cavità si risolve in un unico grande ambiente d’interstrato, dunque basso e largo, che verso nord-ovest sale progressivamente fino a bloccarsi su una frana che occlude il possibile ingresso originario; verso sud-est un troncone di galleria, intercettato dalla cava moderna (fig. 8), presenta invece le forme arrotondate tipiche di una speleogenesi ipogenica (per questo tipo di processo carsico si veda oltre il paragrafo dedicato alla Grotta Focone). Tutta la zona più interna della grotta conserva un abbondante e a tratti scenografico concrezionamento (fig. 7). L’attività estrattiva dovette essere fortemente condizionata dalla presenza di questi vuoti ipogei che sicuramente ne provocarono l’arresto, almeno su questo fronte. Grotta della Cava di Piedi di Serra (2120 La) Comune: Coreno Ausonio (FR). Località: all’interno di una cava posta tra il Rio Candrella e Colle Vallicelle. Coordinate UTM WGS’84: 397268- 4576678 Quota s.l.m.: 271m. Speleometrie: dislivello -2m / +4m; sviluppo planimetrico 38m. Esplorazioni: Gruppo Grotte Castelli Romani 14-3-2017. Figura 7 - Grotta della Cava di Piedi di Serra, ambiente riccamente concrezionato nella zona più interna della grotta (foto P. Dalmiglio) 103 VII Convegno Federazione Speleologica del Lazio La grotta (n. 15 nella carta di distribuzione di fig. 2) è stata individuata grazie alla segnalazione di Clino Vallone, socio storico del Circolo Speleologico Esperiano. Si tratta di un’ampia sala, di forma sub circolare e diametro medio di 12m, in collegamento con la superficie attraverso il crollo di una parte della volta; non a caso sulla verticale dell’ampio sprofondamento d’ingresso (P.7) si trova la cima del conoide detritico, evidentemente generato dal collasso della volta e dal detrito che continua a cadere all’interno della cavità. Tre piccole diramazioni cieche si aprono Grotta di Costa dell’Annunziata (2006 La) Comune: San Giorgio a Liri (FR). Località: nell’alveo del fosso che da Colle S. Lucia scende verso nord tra le località Rialdo e Calcarelle. Coordinate UTM WGS’84: 395365- 4583315 Quota s.l.m.: 220m. Speleometrie: dislivello -13m; sviluppo planimetrico 15m. Esplorazioni: Gruppo Grotte Castelli Romani 14-3-2017. 104 Speleologia del Lazio, 9 | dicembre 2018 Grotta Focone (846 La) Comune: Coreno Ausonio (FR). Località: Selva Piana. Coordinate UTM WGS’84: 396818-4575778 Quota s.l.m.: 85m. Speleometrie: dislivello -4m; sviluppo planimetrico 110m. Esplorazioni: Circolo Speleologico Romano 1975; Circolo Speleologico Esperiano 1981, Gruppo Grotte Castelli Romani e Speleo Club Roma 2017. La cavità (n. 1 nella carta di distribuzione di fig. 2), il cui ingresso originario è in gran parte occluso da blocchi provenienti dalla cava soprastante, presenta uno sviluppo orizzontale ed una pianta ad andamento labirintico. Si distinguono due diverse famiglie di fratture, lungo le quali l’acqua ha scavato il reticolo di gallerie e cunicoli. Da un punto di vista morfologico la caratteristica comune di questi ambienti sono le cupole d’erosione sulle volte, le forme arrotondate delle pareti e i condotti con sezioni trasversali sub-circolari; si segnala anche, nelle zone più interne della cavità, l’assenza di sedimenti clastici e al contempo la presenza di depositi argillosi, a volte frammisti a concrezioni in disfacimento o in giacitura secondaria. Tutti questi elementi riconducono ad una speleogenesi ipogenica (cfr. De Waele – Piccini 2008, pp. 41-47, ivi bibliografia di riferimento), lasciando supporre quindi l’antica risalita di acque fortemente mineralizzate e altamente Figura 8 - Grotta della Cava di Piedi di Serra, la galleria d’ingresso intercettata dal taglio di cava (foto P. Dalmiglio) lungo la parete est della sala. Per questa grotta, come per altre in zona, è probabile una speleogenesi di origine ipogenica (per questo tipo di processo carsico si veda appresso il paragrafo dedicato alla Grotta Focone). 105 VII Convegno Federazione Speleologica del Lazio aggressive, che hanno corroso la roccia calcarea lungo l’orizzonte di stazionamento dell’antica falda, privilegiando le linee di frattura principali; si spiega così l’andamento planimetrico apparentemente caotico e comunque estraneo a qualsivoglia logica di scorrimento/deflusso delle acque in una direzione piuttosto che in un’altra. La presenza delle vicine sorgenti termali sulfuree di Suio (circa 7 km ad est in linea d’aria) sembra confermare la possibilità che anche su questo versante degli Aurunci Orientali vi siano stati in passato fenomeni di termalismo e conseguente formazione di cavità di natura ipogenica, come avremo modo di apprezzare anche e soprattutto trattando le ultime due grotte di questo contributo: la Grotta da Tonto e la Grotta dell’Arnale. La Grotta Focone, anche conosciuta in zona come Grotta delle Fate, è certamente la più significativa dal punto di vista dell’interazione con l’uomo: qui la frequentazione umana è stata intensa e protratta nel tempo, lasciando tracce materiali che si collocano dalla preistoria fino all’età contemporanea. In collaborazione con la Cattedra di Paletnologia dell’Università di Roma Tor Vergata è stata effettuata una raccolta di superficie dei reperti archeologici presenti, in cui si è evidenziato come l’intero contesto non sia integro e in deposizione primaria, ma al contrario piuttosto alterato e rimaneggiato nel corso delle frequentazioni più recenti, situazione che non permette affatto di desumere delle datazioni puntuali, ma solo genericamente indicative. Nell’ambito di questo lavoro si è individuata una 106 Speleologia del Lazio, 9 | dicembre 2018 vesso verso il fondo e con una lieve gola: forma di vaso comune nell’età del Bronzo Medio avanzato (1.500 – 1.350 a.C.); e che quindi suggerisce una frequentazione della grotta durante quest’epoca (fig. 11; cfr. Macchiarola 1995, p. 88, fig. 34 p. 89). Il secondo frammento è in impasto grossolano e si potrebbe ascrivere allo stesso periodo. Per quanto riguarda la litica, si tratta di un nucleo in selce, una lama in selce frammentaria con delle tracce di ritocco ed un frammento di selce, che potrebbero ipoteticamente anch’essi risalire all’età del Bronzo Medio (1.700 - 1.350 a.C.), ma per cui non si può escludere una cronologia più antica risalente fino al Paleolitico Superiore (fig. 12). Un arco temporale così ampio, riferito in via preliminare, è dovuto, come accennato, alle ripetute azioni di disturbo riscontrabili sugli strati superficiali dei depositi. Altri materiali raccolti sono dei frammenti ossei umani: degli arti superiori e inferiori, una vertebra, tre falangi, una porzione di cranio, due molari e due incisivi rinvenuti in varie zone della grotta (Sala grande, Sala del cervo, Sala del femore, Sala del lupo, il bivio) (fig. 13). Si può supporre che almeno alcuni di questi resti antropici siano coevi alla ciotola frammentaria, infatti proprio nell’età del Bronzo Medio numerosissime cavità Figura 9 - Grotta Focone, Stanza dell’istrice. Cucciolo di istrice nascosto in un anfratto laterale (foto P. Dalmiglio) fase pre-protostorica rappresentata da due frammenti vascolari e da alcuni scarti di lavorazione di industria litica provenienti dalla Sala del coccio e dal Corridoio della selce (cfr. rilievo). Il primo reperto ceramico consiste in una porzione di ciotola in impasto fine caratterizzata da una vasca con parete rientrante al di sopra del punto di massima espansione, a profilo lievemente con- Figura 10 - Grotta Focone, lungo la galleria principale nei pressi de “il bivio” (foto P. Dalmiglio). 107 VII Convegno Federazione Speleologica del Lazio Figura 11 - Grotta Focone, Reperto ceramico risalente alla media Età del Bronzo (disegno A. Cesaretti) Figura 13 - Grotta Focone, resti di ossa umane (foto A. Ferracci). Figura 12 - Grotta Focone, Industria litica proveniente da diversi settori della cavità (foto A. Ferracci). Figura 14 - Grotta Focone, Resti ossei appartenenti a Bos taurus primigenius (foto A. Ferracci). naturali dell’Italia centro meridionale sono state utilizzate primariamente per la deposizione di sepolture ad inumazione, ed in secondo luogo per scopi cultuali non funerari (Alessandri-Rolfo 2015, pp. 109-126). Dalla zona dell’ingresso, dalla Sala del cervo e dalla Sala grande sono stati recuperati dei reperti faunistici non inquadrabili cronologicamente: un palco frammentario di cervo (Cervus elaphus), resti ossei di Ursus arctos, di canide e di Bos taurus primigenius: l’uro, antenato dell’attuale bue domestico, estinto nel 1627 in Polonia, ma non più esistente in Italia almeno a partire dal XIII secolo d.C. (fig. 14). La fase arcaica (VI-IV secolo a.C.) è testimoniata da tre frammenti ceramici non diagnostici, e dunque non associabili a forme vascolari note. Una fase di epoca romana è riconoscibile nella sala di ingresso, che risulta interamente squadrata in maniera artificiale. Sulla parete nord-occidentale di questa sala è stata scavata la vasca di un sarcofago (fig. 15) su cui doveva essere alloggiato un coperchio oggi non conservato, costituito da uno o due grandi blocchi di pietra. Al di sopra del sarcofago è stata risparmiata una lesena ed un’alta risega è stata ricavata in negativo, probabilmente per alloggiarvi il coperchio, che doveva essere sostenuto da due barre metalliche, i cui incassi sono visibili sui bordi dei lati lunghi della vasca. Sul bordo del sarcofago si trova un foro cola-piombo, forse da mettere in relazione con il fissaggio del coperchio. La parte superiore del manufatto è costituita da una sorta di arcosolio con volta a sesto ribassato 108 Speleologia del Lazio, 9 | dicembre 2018 Figura 15 - Grotta Focone, struttura ad uso sepolcrale ricavata in negativo lungo la parete ovest del primo vano (foto P. Dalmiglio) impostata su piedritti verticali. Alla base della vasca del sarcofago si nota infine un foro a cui corrisponde una canaletta sul pavimento della sala. La presenza dell’arcosolio ed il foro di scolo alla sua base, solitamente praticato per il deflusso dei liquidi di putrefazione, fanno propendere per una interpretazione funeraria del monumento, ipotesi del resto non contraddetta dalle ossa umane rinvenute negli altri ambienti della grotta. Gli elementi che indicano una cronologia di epoca romana imperiale sono vari: la monumentalità della camera sepolcrale insieme all’estrema regolarità delle tracce di scavo; l’impiego di multipli del piede romano in tutte le misure del profilo del sarcofago; la conformazione del foro di fissaggio cola-piombo. Si tratta quindi probabilmente della tomba monumentale di un personaggio facoltoso appartenente all’aristocrazia locale e vissuto nei primi secoli dopo Cristo. Ad un’epoca post–romana appartengono delle trasformazioni d’uso della tomba: il primo elemento in tal senso è una sorta di sedile tagliato su un lato breve della vasca del sarcofago, in corrispondenza del quale è evidente una discontinuità nelle tracce di scavo rispetto a tutto il resto del manufatto (vedi fig. 16); il secondo indizio di trasformazione funzionale è il taglio di una canaletta ad L sul pavimento di fronte al sarcofago. Anche due segmenti di murature in laterizi sono successivi all’età romana: uno di essi si trova sul lato sinistro della tomba ad arcosolio; l’altro Figura 16 - Grotta Focone, sedile ricavato in negativo sul lato destro della vasca sepolcrale (foto P. Dalmiglio) riveste parte della volta dell’ingresso. Ulteriori segnali di questa fase d’uso più recente sono un muretto in pietre a secco posto a sbarrare l’ingresso della grotta ed una tabula lusoria (censita in Uberti 2012, pp. 94-95; 171) per il gioco del filetto incisa sul bordo del sarcofago; dei graffiti a forma di croce si trovano poi all’interno dell’arcosolio. Questo insieme di evidenze si può mettere in relazione con le memorie orali che si conservano ancora oggi riguardo ad alcune famiglie che trovarono rifugio nella cavità tra la fine del 1943 e il maggio del 1944, ossia nel periodo 109 VII Convegno Federazione Speleologica del Lazio Figura 17 - Grotta Focone, ambiente laterale denominato “Sala del cervo” (foto P. Dalmiglio). che coincise con le quattro battaglie di Cassino ed i bombardamenti che precedettero gli scontri sul campo. Proprio a questa fase di uso da parte degli sfollati si riferisce verosimilmente la muratura a secco, alzata per tamponare ed occultare l’ingresso della cavità. Pare che in questo stesso frangente storico nella grotta fosse stato installato anche un telegrafo, come riportato in Trovato 2004. L’ultimo intervento antropico risale ad anni recenti, quando, in concomitanza con l’attività della cava su questo versante del rilievo, l’originario ampio imbocco della grotta è stato obliterato con enormi massi calcarei, tanto che attualmente per accedervi si è costretti a strisciare in un piccolo budello tra i blocchi. Relativamente a questa grotta e al manufatto sepolcrale in essa contenuto, esistono astruse trattazioni on line, oltre ad alcune pubblicazioni che non possiamo fare a meno di segnalare a chi volesse dilettarsi con interpretazioni fantasiose e avulse da qualsivoglia testimonianza storica: di Salvatore M. Ruggiero, Storie dalla Val di Comino; dello stesso autore, Storie dalla Valle dell’Ausente e di Succu-Dalla Vecchia, Luoghi di Forza. Grotta da Tonto (870 La) Comune: Coreno Ausonio (FR). Località: a nord del Rio Candrella, sopra la cava di Piedi di Serra. Coordinate UTM WGS’84: 397314-4576605 Quota s.l.m.: 257m. Speleometrie: dislivello -4m; sviluppo planimetrico 98m. Esplorazioni: Circolo Speleologico Romano 1970. La grotta (n. 5 nella carta di distribuzione di fig. 2) si sviluppa al di sotto di un piccolo pianoro isolato, delimitato a sud dalla valle del Rio Candrella, ad est da quella di un suo affluente di destra, a nord e ad ovest dai tagli di una cava moderna. La cavità, a sviluppo orizzontale, si muove pochi metri sotto il piano di campagna e presenta due ingressi (1 e 2 in pianta), posizionati entrambi appena sotto il ciglio del pianoro. La planimetria mostra un andamento assai intricato, con numerosissimi diverticoli ciechi e giri in tondo; le gallerie principali sono comode e spaziose, con pavimenti piani di terra o detrito, i profili trasversali sono 110 Speleologia del Lazio, 9 | dicembre 2018 111 VII Convegno Federazione Speleologica del Lazio Figura 18 - Grotta da Tonto, la galleria principale con le tipiche forme arrotondate riconducibili ad una speleogenesi ipogenica (foto L. Forti) tondeggianti (figg. 18 e 19) e ampie zone della grotta, anche all’indomani di precipitazioni molto intense, si mantengono perfettamente asciutte. Due brevi gallerie in discesa (x ed y sul rilievo) consentono l’accesso ad un ambiente, contrassegnato in pianta dalla lettera A, che costituisce il punto più depresso della cavità, con un dislivello negativo rispetto all’ingresso di 4m; in questa zona si segnalano gli unici, e comunque poco sviluppati, fenomeni di concrezionamento. Sulla parete nord del primo vano che si incontra entrando dall’ingresso principale si apre lo stretto imbocco di una diramazione che, dopo un giro in tondo, ritorna al punto di partenza attraverso un passaggio molto stretto e non percorribile. Per le stesse ragioni già evidenziate nella descrizione della Grotta Focone, anche per questa cavità l’andamento labirintico, le caratteristiche forme arrotondate dei condotti e la natura dei depositi presenti al suo interno, sono tutti elementi riconducibili ad una speleogenesi ipogenica. Inoltre la facilità d’accesso, l’assoluta orizzontalità dei vuoti ipogei, nonché le loro dimensioni, ne fanno una cavità a misura d’uomo e un perfetto rifugio naturale; dobbiamo pertanto immaginare una sua frequentazione, sia animale che antropica, in ogni epoca storica. Figura 19 - Grotta da Tonto, caratteristico condotto con profilo trasversale a forma di otto e forme estremamente arrotondate (foto P. Dalmiglio) 112 Speleologia del Lazio, 9 | dicembre 2018 camino a sezione circolare posto a ridosso dell’angolo nord-ovest della sala; dopo 10m di dislivello positivo la cavità ha continuato a svilupparsi, sempre verso l’alto, attraverso un ripido scivolo fangoso; superato un passaggio basso è stata raggiunta infine la base di uno stretto camino che chiude con una frana pensile sul soffitto. Questa grotta rappresenta un fenomeno imponente, tanto grande da esser stato utilizzato come rifugio antiaereo da centinaia di abitanti del vicino paese di Coreno Ausonio durante la seconda guerra mondiale. Il pavimento terroso, perfettamente livellato, conserva brani di murature a secco, tracce di focolari, una macina molitoria in pietra e moltissimi frammenti di vasellame, in gran parte moderni, anche se non mancano testimonianze di epoche più antiche. In ogni caso la cavità presenta caratteristiche talmente favorevoli ad un utilizzo antropico da rendere estremamente probabile una sua frequentazione già a partire dalla preistoria; tempi e modalità di questi processi sono oggi celati entro le pieghe dei depositi archeologici accumulati sul pavimento della grande sala; un auspicabile scavo stratigrafico sarebbe in grado di recuperare il potenziale narrativo, e dunque storico, di questi depositi e dei reperti contenuti al loro interno. Grotta dell’Arnale (871 La) Comune: Coreno Ausonio (FR). Località: versante sud-ovest di Colle Arnale, 190 metri ad ovest della Masseria Ventipalombi. Coordinate UTM WGS’84: 396462-4578090 Quota s.l.m.: 205m. Speleometrie: dislivello -5m; sviluppo planimetrico 45m. Esplorazioni: Circolo Speleologico Romano 1970. Lungo le pendici sud-occidentali di Colle Arnale si trova un grande sprofondamento dalle sponde assai ripide, in particolare quella nord-ovest risulta strapiombante e alla sua base si apre lo spettacolare ingresso della Grotta dell’Arnale (n. 9 nella carta di distribuzione di fig. 2 - foto in fig. 20). Una grande china detritica scende fino al pavimento piatto e fangoso che occupa gran parte della vasta sala sotterranea (32m di larghezza per 45 di lunghezza, con il soffitto ad un’altezza media di 6/8m). La volta della sala è costituita da una bancata di calcare ricchissima di fossili di Pectinidae (molluschi bivalvi), visibili a centinaia. Nella primavera del 2017 il GGCR ha intrapreso una risalita in artificiale di un Figura 20 - Lo spettacolare ingresso della Grotta dell’Arnale (foto P. Dalmiglio) 113 VII Convegno Federazione Speleologica del Lazio Guidi 1992 = Guidi A., Recenti ritrovamenti in grotta nel Lazio: un riesame critico del problema dell’utilizzazione delle cavità naturali, in Rassegna di Archeologia X, pp. 427-437. Considerazioni conclusive I Monti Aurunci Orientali possono rappresentare un’area di un certo interesse per le ricerche speleologiche: innanzitutto in quanto finora scarsamente noti rispetto ad altre zone carsiche del Lazio; in secondo luogo perché la capillare attività estrattiva può di continuo mettere in luce ambienti ipogei altrimenti inaccessibili. Per le sue peculiarità geologiche la zona si presta all’approfondimento degli studi sui processi di formazione ipogenica delle grotte. D’altro canto cavità ad andamento orizzontale di facile accessibilità, inserite entro un contesto geografico con altitudini poco elevate, visuale sulla vallata alla base dei rilievi e vicinanza al mare, hanno sempre rappresentato dei poli di attrazione per l’uomo in ogni epoca storica. In questo risiede l’alto potenziale archeologico delle grotte, dove si colgono brani di frequentazione e attività umane dalla lontana preistoria fino alle vicissitudini delle due guerre mondiali. Macchiarola 1995 = Macchiarola I., La facies appenninica in Cocchi Genick D. (a cura di), Aspetti culturali della media età del bronzo nell’Italia centro-meridionale, Firenze, Octavo, pp. 88, 89; 441-466. Mecchia et alii 2003 = Mecchia G., Mecchia M., Piro M., Barbati M., Le Grotte del Lazio. I fenomeni carsici, elementi della geodiversità, Roma 2003. Ruggiero 2016 = Ruggiero S. M., Storie dalla Val di Comino, Lulu.com edizioni 2016, p. 93. Ruggiero = Ruggiero S. M., Storie dalla Valle dell’Ausente, Lulu.com edizioni 2016, pp. 25-39. Succu S. – Dalla Vecchia I., Luoghi di Forza, Sperling & kupfer 2016. Bibliografia Trovato 2004 = Trovato G., Culti ipogei, in “Notiziario del Circolo Speleologico Romano”, nuova serie n.12/15, anno XXXVIII-XLI, 1997/2000, pp. 38-41. Alessandri – Rolfo 2015 = Alessandri L. – Rolfo F. M., L’utilizzo delle cavità naturali nella media età del bronzo: nuovi dati dal Lazio meridionale, in “Bollettino della Unione Storia ed Arte”, n. 10 – Terza Serie – CVII dalla fondazione - Gennaio/Dicembre 2015, pp. 109-126. Uberti 2012 = Uberti M., Ludica, Sacra, Magica Triplice Cinta. (Storia, geografia e simbolismo del gioco del filetto. Con il censimento aggiornato al 2012), Ilmiolibro.it 2012. Brunamonte et alii 1994 = Brunamonte F., Prestininzi A., Romagnoli C., Geomorfologia e caratteri geotecnici dei depositi di terre rosse nelle aree carsiche degli Aurunci Orientali (Lazio meridionale, Italia), in “Geologica Romana”, 30 (1994), pp. 465-478. Cocchi Genick 1999 = Cocchi Genick D., I rituali in grotta durante l’età del bronzo, in Ferrante Rittatore Vonwiller e la Maremma, 1936-1976. Paesaggi naturali, umani, archeologici, Grotte di Castro, pp. 163-172 De Waele – Piccini 2008 = J. De Waele – L. Piccini, Speleogenesi e Morfologia dei sistemi carsici in rocce carbonatiche, in “Atti del 45° Corso CNSS-SSI di III livello - Geomorfologia carsica” (a cura di M. Parise, S. Inguscio, A. Marangella), Grottaglie (TA), 2-3-febbraio 2008. Giannetti-Belardi 1970 = Giannetti A. – Belardi A., Città scomparse della Ciociaria: contributo storico-archeologico alla conoscenza della regione, Casamari, Tip. Dell’Abbazia, 1970. 114 Speleologia del Lazio, 9 | dicembre 2018 TRASMISSIONE DATI WIRELESS NELLE ESPLORAZIONI SPELEOSUB VINCENZO BELLO L a trasmissione dati adottata dal progetto SUNRISE si basa sulla modulazione acustica di suoni che, propagandosi attraverso l’acqua, permettono la trasmissione di dati digitali. In natura la comunicazione acustica è largamente usata in quanto efficiente metodo di comunicazione subacquea: molti mammiferi acquatici, come i cetacei, possiedono complessi apparati per l’emissione di suoni e a questi si è ispirata la realizzazione dei droni. Questa tecnologia è stata già incorporata ad alcuni droni sottomarini usati per il recupero profondo e per la mappatura del fondale marino. Un drone a differenza di un ROV prende decisioni autonome e non è totalmente telecomandato da remoto; questo permette di comunicare in maniera molto efficiente sulla banda trasmissiva ottenuta dai modem acustici perché bisogna inviare comandi basilari al drone, come “Spostati su” o “Spostati giù”, e non comandare tutte le eliche e i sistemi necessari per eseguire quelle operazioni. La rete ed i protocolli di rete costruiti con il sistema acustico permettono una comunicazione a banda larga più funzionale rispetto ad una comunicazione Wi-Fi ad onde radio che viene dispersa in acqua: le onde sonore infatti si propagano nel liquido e trasportano un maggior numero di informazioni per distanze più lunghe (Fig. 1). Portare una rete dati (INTERNET underwather THINGS), che permetta il collegamento ed il controllo di droni, sensori e strutture sottomarine, è il concetto portante che ha consentito lo sviluppo di questa tecnologia. Questo sistema sta rivoluzionando il modo di comunicare e fare rete con sensori sottomarini, che comunicano e cooperano con i robot sfruttando sia la comunicazione acustica che quella ottica. È questa rete che permette ai droni di controllarsi e controllare l’ambiente circostante. Figura 1 – I droni comunicano tra loro attraverso sonar e radar, possono scandagliare i fondali e mappare le superfici 115 VII Convegno Federazione Speleologica del Lazio Figura 2 – Si può notare un’evidente connessione tra gli andamenti delle faglie e le posizioni dei sinkhole. Le analisi idrogeologiche e geochimiche di Caramanna hanno evidenziato una stretta correlazione tra l’acquifero cornicolano e quello delle sorgenti delle Acque Albule (ipotizzata anche dal Manfredini nel ‘49) Il progetto SUNRISE vede una collaborazione internazionale. Per l’Italia l’Università La Sapienza, il Center of Maritime Research and Sperimentation e la NEXT; per la Germania l’azienda ECOLOGIC e ancora l’università di Porto (Portogallo) e l’università di San Buffalo (New York State, USA). L’ambiente subacqueo è meno conosciuto dello spazio ed a certe profondità ci è completamente ignoto. Questo nuovo metodo di comunicazione può portare i robot a fornire risposte e informazioni per la ricerca scientifica, aprendo nuove frontiere e permettendo esplorazioni fino ad oggi impossibili. La costruzione di un drone speleosub presenterà dei punti cruciali da risolvere nel prossimo futuro. La comunicazione acustica presenta una capacità trasmissiva dell’ordine di alcune decine di kilobit/s, che difficilmente permetterà di avere immagini di alta qualità in tempo reale. Per questo l’uso da parte dei droni della banda di trasmissione sarà un punto cruciale per permettere un controllo remoto delle operazioni. Anche la resistenza alle alte profondità, l’autonomia e magari l’installazione di apparecchiature per il prelievo di campioni dovranno essere progettate ad hoc. Applicazione della tecnologia sunrise nelle esplorazioni dei Monti Cornicolani Il Pozzo del Merro potrebbe essere un esempio di un’esplorazione speleosub impossibile oggi, da condurre con questa nuova tecnologia nel prossimo futuro. Il Pozzo del Merro è stato per molti anni il sinkhole allagato più profondo del mondo, detentore del record mondiale. La sua esplorazione si è fermata a quota -392 m dall’interfaccia acqua-aria a causa del limite tecnico dei ROV utilizzati, costituito dal cordone ombelicale: questo trasmette informazioni, comandi ed energia al ROV, ma nel caso del Pozzo del Merro non permette di esplorare ulteriormente il fondale a causa dell’altissimo rischio di incaglio del cordone sulle asperità del Pozzo e la conseguente perdita del ROV. L’utilizzo di un drone senza cavi potrebbe portare avanti questa esplorazione. Il Pozzo del Merro è importante perché è un punto di accesso ad un’intera zona di faglie sottoposte alla corrosione endogenica. Il Pozzo del Merro è circondato da altre doline delle medesime dimensioni, tuttavia, mentre il primo è allagato e presenta una caratteristica e notevole continuità verticale, le doline secondarie risultano ostruite al fondo da depositi detritici franosi pur 116 Speleologia del Lazio, 9 | dicembre 2018 mantenendo un’analoga estensione areale. Giorgio Caramanna ha diretto le prime esplorazioni del Pozzo del Merro e per comprendere meglio la genesi di questo sinkhole ha proseguito i suoi studi dal 1999 al 2002 eseguendo rilevamenti ed analisi delle acque anche nei sinkhole che si trovano nei dintorni. Dalle analisi risulta possibile un fenomeno di erosione inversa del bedrock carbonatico, dovuto alla risalita di fluidi geotermali profondi. L’anidride solforosa, in essi contenuta, a contatto con l’acqua forma acido solfidrico che corrode e amplia le fratture e le cavità presenti nel carbonato. Questo fenomeno, maggiorato dalla presenza di una linea di faglia quale altro punto di debolezza, avrebbe portato alla formazione del sinkhole (Fig. 2). Per capire meglio l’orogenesi del sistema dei Cornicolani dobbiamo guardare gli studi sulla Dorsale Tiberina (Fig. 3). Come descritto in un articolo del prof. B. Martinis, dell’Università di Roma La Sapienza, la Dorsale Tiberina collega il complesso dei Monti Cornicolani (dove si localizza il Pozzo del Merro) al complesso del Monte Soratte e la presenza di grotte endogeniche generate dall’erosione da anidride solforosa è già ampiamente dimostrata e documentata in quest’area. Questo elemento fornisce una chiave di lettura tempora- Figura 3 - Rilievo gravimetrico dell’area dei Monti Cornicolani e del Monte Soratte (tratto da Martinis 1992) Figura 4 – Nello Sventatoio di Poggio Cesi, tra le rocce delle pareti si nota la presenza di strie di spostamento quali possibili indizi di un movimento di faglia diretta recentemente attiva 117 VII Convegno Federazione Speleologica del Lazio Figura 5 – Campione di argilla del Pozzo delle Aragoniti le per ipotizzare ciò che si potrebbe trovare nelle profondità del Pozzo del Merro. Per meglio comprendere la natura della struttura ipogea che ha generato le doline sono state prese in esame la Dolina di Fossavota, la Grotta di Fossavota, lo Sventatoio di Poggio Cesi, il Pozzo delle Aragoniti e la Grotta dell’Elefante. La Dolina di Fossavota pone il suo limite verticale a 325 m s.l.m. e presenta intorno a sé tre grotte allineate secondo le linee di faglia (cfr. Fig. 2). Secondo l’ipotesi in esame, le spinte tettoniche di tipo distensivo agenti lungo la linea di faglia diretta avrebbero facilitato la risalita dei fluidi geotermali ed il collegamento dei sinkhole con il sistema di faglie profonde è quindi avvalorato da alcuni elementi comuni quali, ad esempio, l’alta temperatura delle grotte (tutte tra i 18°C e i 22°C) (Fig. 4). Nel caso del Pozzo delle Aragoniti invece è la presenza di una particolare argilla ricca in ossidi di zolfo e di tracce di erosione da fluidi geotermali a fornire un sostegno alla teoria dell’erosione inversa. Nelle cavità delle pareti e sul fondo della grotta si è infatti depositata un’argilla carbonatica ricca di ossidi di zolfo, che le conferiscono una particolare colorazione (Fig. 5). Questi depositi testimoniano la presenza di acqua sulfurea nella grotta e la legano geneticamente al sistema di faglie. Questa argilla è stata recentemente ritrovata anche nella Grotta dell’Elefante. Proprio in questa grotta stanno venendo alla luce le tracce di erosione inversa che aprono vie di acqua tra le linee di faglia. L’esplorazione del Pozzo delle Aragoniti è ripresa quest’anno grazie alla collaborazione con il Gruppo Speleologico di Guidonia Montecelio. Lo studio di questa meravigliosa cavità ha prodotto inaspettati risvolti per la teoria secondo cui la genesi di questa grotta, del Pozzo del Merro e forse delle altre enormi doline circostanti, sia dovuta all’erosione inversa. Applicare all’esplorazione speleologica l’uso di nuovi droni capaci di oltrepassare le odierne barriere fisiche potrebbe riuscire a percorrere le vie d’acqua tra le faglie e questo permetterebbe di accedere a nuove conoscenze e di formulare nuove teorie. Nel caso portato in esame, quello del Pozzo del Merro, potremmo non solo capire la genesi e lo sviluppo di questo incredibile sistema di cavità, comprendente strutture speleologiche di dimensioni uniche, ma anche raggiungere vette di esplorazione speleologica mai raggiunte a livello mondiale. Bibliografia: Caramanna G., 2001, Idrochimica del sistema Monti Cornicolani - Piana di Tivoli, Idrogeologia, idrologia e morfologia di “sinkholes” rappresentativi della regione Lazio. La Vigna F. et al., 2013, Le risorse idriche nei travertini della piana di Tivoli-Guidonia. La modellazione numerica come strumento di gestione degli acquiferi, Rend. Online Soc. Geol. It., vol. 27. Martinis B., 1992, L’evoluzione della Dorsale Tiberina (Lazio Centrale), Acc. Lincei. Petrioli C. et al., 2014, The SUNRISE GATE: Accessing the SUNRISE federation of facilities to test solutions for the Internet of Underwater Things, Underwater Communications and Networking (UComms). 118 Speleologia del Lazio, 9 | dicembre 2018 I corsi di speleologia nel Lazio Come abbiamo insegnato ai giovani l’arte della speleologia GIOVANNI MECCHIA - MAURIZIO MONTELEONE - FABIO BELLATRECCIA I l lavoro che vi presentiamo è nato nel 2011, quando la FSL aveva affidato a Giovanni (Gianni) Mecchia, Maurizio Monteleone e Alessandro Ponziani il compito di scrivere la bozza dell’Atto Costitutivo della Scuola della FSL. Per avere un quadro migliore i tre incaricati effettuarono una ricerca storica sui corsi di speleologia e mandarono ai gruppi federati, ed anche ad alcuni gruppi non federati, un modello da riempire con alcune informazioni e statistiche. I gruppi federati risposero tutti, chi riempendo il modulo, chi fornendo i dati per telefono, in modo poco uniforme alla domanda, ma sufficiente per avere un quadro di quanto fatto. Scritto ed approvato l’Atto Costitutivo, i dati rimasero nell’hard-disk di Gianni. Dopo alcuni anni, in vista di questo Convegno Regionale, Maria Grazia Lobba telefonò a Gianni per chiedere se era interessato a scrivere sull’argomento corsi, altrimenti avrebbe provato a farlo lei. Gianni ricontattò Maurizio ed Alessandro per sentire se erano d’accordo a presentare insieme il lavoro, ma Alessandro, pur non avendo nulla in contrario che i risultati della ricerca venissero pubblicati, non era interessato a partecipare. Fabio Bellatreccia invece si mise subito a disposizione con entusiasmo per sviluppare le statistiche. Ci si è divisi il lavoro. Gianni ha preparato la prima parte, relativa ad una storia dei corsi di speleologia. Maurizio ha riletto la sua “Proposta per la definizione di una nuova figura d’insegnante di speleologia”, approvata dalla Federazione Speleologica del Lazio, dove si propone la figura di “Maestro di speleologia” che negli intenti è un qualcosa in più di un istruttore. Fabio ha elaborato le statistiche. Una breve storia dei corsi di speleologia nel Lazio Questo capitolo non vuole essere esaustivo sull’argomento. Ho letto le pubblicazioni in bibliografia. In particolare devo ringraziare Paolo Grimandi per avermi fatto avere il testo, che tratta evidentemente dell’esperienza, vissuta in prima persona, di una pubblicazione da lui scritta sulla storia della Commissione Nazionale di Speleologia, a cui ho fatto largo riferimento, in quanto hanno partecipato attivamente due gruppi speleologici del Lazio. Nel corso di oltre un secolo di attività speleologica, i gruppi speleologici del Lazio hanno dovuto Figura 1 - Anni ‘50: Mariano Dolci si allena nella sede del CSR a via Aldrovandi - Archivio CSR 119 VII Convegno Federazione Speleologica del Lazio poi all’inizio degli anni ‘20 per far fronte alla grande mole di lavoro che si prospettava per la speleologia triestina dopo la fine della Grande Guerra (GUIDI & al., 2008). Il Gruppo Grotte Milano del CAI-SEM nel 1947 creò una “Scuola di Speleologia” presso l’Istituto Gonzaga, progetto reiterato ancora una volta nel 1952 (GUIDI & al., 2008). Costituì inoltre una sezione speleologica di ex allievi, che ha assunto successivamente il nome di Circolo Speleologico Gonzaga (GHIDINI, 1954). A differenza dei corsi tenuti a Trieste nei primi decenni del secolo, questa Scuola organizzò un corso distribuito lungo l’anno scolastico. L’insegnamento della speleologia nel Lazio risale ai primi anni del ‘900, con la nascita del Circolo Speleologico Romano (CSR), che ha praticato fino all’inizio degli anni ‘60 il coinvolgimento diretto di coloro che si affacciavano all’attività del gruppo. Dalla metà degli anni ‘50, la speleologia del Lazio vide la nascita di altri gruppi; alcuni di essi, effimeri, si sciolsero dopo due o tre anni, altri dopo decenni, alcuni esistono ancora. Fu il Gruppo Speleologico URRI, sotto la guida di Gianni Pantanella e Ignazio Schirò, ad organizzare nel 1958 il primo corso di speleologia nel Lazio (CASTELLANI, 1995). L’esempio sarà seguito dagli altri gruppi romani dell’epoca: lo Speleo Club Roma (novembre 1960) e il Circolo Speleologico Romano (dicembre 1960). Questi corsi avevano un bacino di utenza romano e spesso sfruttavano le conoscenze universitarie dei soci: ad esempio i biologi si iscrivevano ai Figura 2 - Catauso di Sonnino, 1955: Giorgio Pantanella e Ignazio Schirò, i primi istruttori – Archivio URRI gestire il proprio ricambio generazionale: il reclutamento di nuovi adepti per l’attività speleologica e come formarli per prepararli ad affrontare con sicurezza e capacità le esplorazioni del mondo ipogeo. Qualcuno si presentava in sede e chiedeva di entrare a far parte del gruppo e di poter fare attività speleologica. I soci del gruppo lo portavano in grotta per cercare di coinvolgerlo nell’attività. Dopo un periodo di prova veniva accettato come socio a seconda delle sue qualità tecniche, scientifiche e umane. Così facendo gli aspiranti soci apprendevano in modo graduale le tecniche di progressione e i rudimenti delle discipline scientifiche applicate alla pratica della speleologia e partecipavano alla vita sociale del gruppo. Questo tipo di approccio alla speleologia è ancora molto usato. I gruppi, anche se sempre alla ricerca di nuovi soci, pubblicizzavano poco la loro attività. Nel 1911 la Commissione Grotte della Società Alpina delle Giulie organizzò a Trieste il suo primo corso di speleologia, dedicato all’insegnamento della tecnica esplorativa, del rilevamento topografico e dello studio delle caverne nei suoi vari aspetti (Società Alpina delle Giulie – Commissione Grotte E. Boegan, 2004). Il corso venne riproposto e ampliato Figura 3 - Sant’Oreste, 1960: 1° corso dello SCR. Si riconoscono Ugo Intini, Paolo Colosimo, Andrea Maniscalco, Gianni Befani, Carlo Casale e Gianni Negretti in primo piano, l’autista del pullman sullo sfondo – Archivio Gianni Befani (SCR) 120 Speleologia del Lazio, 9 | dicembre 2018 confrontarsi per standardizzare l’insegnamento delle tecniche di progressione e delle materie divulgate con i corsi. Nel 1958 la Commissione Grotte E. Boegan propose alla Direzione Centrale del CAI la costituzione della Scuola Nazionale di Speleologia; ricevuto l’assenso ne organizzò i primi tre corsi (1959, 1960, 1962) (Società Alpina delle Giulie – Commissione Grotte E. Boegan, 2004). A partire dal 1965 alcuni dei principali gruppi italiani presero l’iniziativa e progettarono di creare una struttura nazionale sia nella SSI che nel CAI. Il 27-28 marzo si tenne a Bologna l’Assemblea Ordinaria della SSI. In chiusura dei lavori, “E. Saracco (GSP) e G. Pasquini (SCR) propongono che la SSI crei una Commissione specializzata per il controllo dei vari Corsi di Speleologia, tenuti dai Gruppi Speleologici, onde darne un indirizzo omogeneo” (BADINI, 1965). Per quanto riguarda l’atteggiamento che la Società avrebbe dovuto adottare nei confronti dei Corsi di Speleologia e della “Commissione Scuole”, Pietro Scotti, presidente della SSI, ritenne che si trattasse di problemi “di importanza vitale per i Gruppi Speleologici, che solo dai Gruppi Speleologici possono essere affrontati e risolti” (GRIMANDI, 2008). I gruppi di Bologna, Torino e Milano, che appartenevano al CAI, il 15 ottobre 1965 indirizzarono al Comitato Scientifico una mozione con la quale si richiedeva di organizzare il prossimo “Corso Nazionale di Speleologia del CAI” come corso di formazione di istruttori dei corsi locali. Il Comitato rispose negativamente, in quanto non era opportuno sostituire, almeno per il 1966, il Corso Nazionale ed anche perché un corso per istruttori sarebbe di incerta riuscita (Grimandi, 2008). Il 4-5 novembre 1967, i gruppi promotori di Bologna, Firenze e Roma si ritrovarono a Firenze ove era riunita l’Assemblea SSI, insieme ad altri 22 gruppi. Dopo lunga discussione, che assunse anche toni accesi, la deliberazione finale, a maggioranza, impegnò i gruppi aderenti a dare vita ad una Commissione per l’omogeneizzazione dei corsi, attraverso la definizione di un programma di minima per i corsi di I livello, l’obbligo della copertura assicurativa infortuni, il rapporto fisso istruttori-allievi, una prima serie di norme tecniche e comportamentali tese a migliorare lo standard di sicurezza e la preparazione di un unico manuale didattico (GRIMANDI, 2008). La SSI tentennava e non prendeva decisioni. Il 28 settembre 1968, in un bar di Roma, durante il X Congresso Nazionale di Speleologia, il Gruppo Grotte Milano CAI-SEM, il Gruppo Speleologico Bolognese del CAI, il Gruppo Speleologico CAI Perugia, il Gruppo Speleologico Fiorentino Figura 4 - Giorgio Pasquini – Archivio Pasquini (SCR) corsi del CSR, i geologi a quelli dello SCR. La pubblicità del corso avveniva attraverso locandine affisse o distribuite in università e scuole. I corsi erano, e tutt’ora sono, strutturati in modo da privilegiare la preparazione tecnica, pur non tralasciando le altre materie didattiche. I gruppi individuano tra i propri soci i più preparati per svolgere il ruolo di istruttori e di insegnanti di quelle discipline utili per una proficua pratica della speleologia. Alcuni gruppi organizzano in media un corso l’anno, altri lo programmano più raramente, utilizzando il sistema di inserimento diretto dell’interessato nel restante periodo. A livello di curiosità lo Speleo Club Roma durante i corsi, per raggiungere le grotte, noleggiava un pullman con autista dove salivano istruttori ed allievi. Questa pratica durò dal 1960 al 1973, quando uno dei due pullman noleggiati a Carpineto Romano, salendo verso Pian della Faggeta, slittò per il ghiaccio ed istruttori ed allievi usarono le corde per rimetterlo in carreggiata. Per alcuni anni ancora il pullman fu noleggiato solo per l’ultima uscita, che era sempre la Grotta del Mezzogiorno nelle Marche. Nello stesso periodo in tutta Italia si organizzavano corsi con le stesse modalità, ma, visto il grande divario tecnico tra i gruppi, qualcuno iniziò a pensare ad un organismo dove 121 VII Convegno Federazione Speleologica del Lazio Utili di Firenze, Giorgio Pasquini di Roma, unico INS non socio di un gruppo speleologico CAI, Francesco Salvatori e Calogero Viviani di Perugia, Mario Gherbaz, Giuseppe Guidi, Dario Marini, Tullio Tommasini e Marino Vianello di Trieste. Tra gli speleologi del Lazio che parteciparono con successo ai corsi per istruttore ricordiamo: al primo corso Antonio Mariani (1969), poi Giancarlo Guzzanti e Roberto Polverini (1973), quindi Sergio Graniero e Marco Milizia (1985) ed infine Giulio De Meo (1986) e Mauro Pappalardo (1987) (GUIDI, 2008). Nel 1972 il Gruppo Speleologico CAI Roma organizza il primo corso di una sezione del Club Alpino Italiano nella Regione (GRASSI, 1993). Nell’anno successivo anche il Gruppo Speleologico CAI Latina organizzò il suo primo corso. Uno dei primi problemi che la CNSS si trova ad affrontare fu quello di assicurare istruttori ed allievi. Fortunatamente il GS Bolognese del CAI nel 1966 aveva stipulato una polizza assicurativa (infortuni) con l’IFAC – Compagnia Veneta ed i gruppi italiani anche per i Corsi di Speleologia (250 Lire/giorno) (IFAC, 1966). Si tratta della stessa polizza rilevata in seguito dalla Lombarda e dalla Milano Assicurazioni, di cui diverrà contraente, con successivi adeguamenti, la stessa SSI. Per i corsi omologati CNSS l’assicurazione obbligatoria iniziò nel 1972 (GRIMANDI, 2008). Le omologazioni dei corsi CAI cominciarono nel 1970. Per i corsi omologati CAI non ci fu mai problema visto che istruttori, aiuti e allievi dovevano, e devono, essere iscritti al CAI che assicurava, e assicura, ogni iscritto. Naturalmente esistono anche gruppi che organizzano corsi non omologati né dalla SSI né dal CAI; molti di loro concordano polizze con assicurazioni private. Si arriva quindi al 2010 quando, su iniziativa di Andrea Bonucci e Giovanni Mecchia, la Federazione Speleologica del Lazio decide di fondare la sua Scuola di Speleologia (FSLSS). Gli obiettivi sono la standardizzazione dell’insegnamento delle tecniche di progressione e delle materie divulgate con i corsi e l’aiuto reciproco nell’organizzazione dei corsi. Purtroppo ci si è scontrati con i problemi assicurativi, ma si è lavorato sulla preparazione dei maestri. Figura 5 - Trieste 1973: il Corso Nazionale per INS. Roberto Polverini uno dei fondatori del GS CAI Roma - Dal sito Commissione Grotte Eugenio Boegan CAI, il Gruppo Speleologico Piemontese CAIUGET, il Gruppo Speleologico URRI e lo Speleo Club Roma, stanchi delle diffidenze della SSI e dei tentennamenti del CAI, ruppero gli indugi e fondarono la Commissione Nazionale Scuole di Speleologia (CNSS). Da notare che i gruppi fondatori oltre a far parte della SSI erano anche CAI, eccetto i due gruppi romani. Il giorno stesso Pasquini ne diede annuncio al Consiglio Direttivo della SSI, che prese atto e lo nominò rappresentante della Società in seno alla Commissione, mentre si riservò di approvare il Regolamento che la Commissione voleva inviare. Nel 1976, dopo 8 anni di polemiche con il CAI e all’interno della SSI, diventerà la Commissione Nazionale Scuole di Speleologia della Società Speleologica Italiana (CNSS-SSI) (GRIMANDI, 2008). Contemporaneamente anche il CAI creò una Scuola Nazionale di Speleologia, e per farla partire servivano degli Istruttori Nazionali. Nel 1969 vennero nominati per chiara fama Istruttori Nazionali di Speleologia (INS) dal Presidente del Comitato Scientifico Centrale del CAI, Carlo Balbiano d’Aramengo, Federico Calleri e Giulio Gecchele di Torino, Gianni Follis di Varese, Giulio Cappa, Pianelli, Roberto Potenza, Renato Tommasini e Tito Samoré di Milano, Claudio De Giuli, Vittorio Prelovsek e Franco Proposta per la definizione di una nuova figura d’insegnante di speleologia L’obiettivo è quello di definire un insegnante di speleologia che si proponga, all’interno e all’esterno dell’ambiente speleologico, come una figura di maggiore importanza e spessore di 122 Speleologia del Lazio, 9 | dicembre 2018 di maestro è la più antica e quella che appare nelle più svariate attività umane, dalla musica allo sport, all’artigianato, all’arte stessa, alle cerimonie. È trasversale alle categorie sociali. È quella che più ampiamente e più specificamente definisce un ruolo d’insegnante particolare: quello che non veicola solo una tecnica o più tecniche o una materia specifica, ma un’intera cultura. È la figura che si propone come esempio, come “guida” (la guida speleologica oggi tende ad essere un ruolo in competizione con quello di maestro), come modello, e lo potrebbe essere per tutte le altre realtà didattiche della speleologia. La parola maestro ci richiama alla mente quello elementare che insegna ai bambini, i primi ai quali insegnare cosa sono le grotte e che da grandi si può fare anche lo speleologo. Statistiche Con tutti questi dati a disposizione c’è parso naturale provare a fare un po’ di analisi statistiche allo scopo di studiare come si è evoluto nel tempo il modo d’insegnare la speleologia e di mettere in evidenza tendenze particolari che possano in qualche modo spiegare la situazione attuale. Prima di illustrare i principali risultati emersi dalle nostre analisi, è necessario fare una premessa importante. Come riportato in un mio vecchio libro di testo (SPIEGEL, 1976): “La statistica riguarda i metodi scientifici per raccogliere, ordinare, riassumere, presentare ed analizzare i dati…”. Quindi la statistica si basa sui dati e più questi sono completi più le analisi sono realistiche. Altrimenti vale quanto scritto da Carlo Alberto Salustri, in arte Trilussa, poeta romano vissuto a cavallo tra 1800 e 1900: Figura 6 - Richiesta di assicurazione del XVI Corso di Speleologia dello SCR quanto ne abbia avuto finora. Una figura che riduca tra gli speleologi la gerarchia e la competizione per i ruoli, che smetta di dipendere da categorie professionali e accademiche, che abbia un’identità originale e riconosciuta. Un’identità che non prescinda dal territorio dove opera, in questo caso la Regione Lazio, ma che anzi lo rappresenti. La Federazione Speleologica del Lazio ha raccolto il proposito di impegnarsi nel compito fondamentale e urgente di formare nuovi e giovani speleologi e ha istituito una propria scuola per questo. Ora non può perdere l’occasione di mirare in alto, di avere l’ambizione, attraverso l’istituzione degli insegnanti, di ridefinire anche la figura dello speleologo, attribuendogli le caratteristiche che merita, inoltre, attraverso questa nuova figura, di mirare a formare speleologi duraturi nel tempo tanto che possano assicurare l’insegnamento per le generazioni future. Forse do troppa importanza alla speleologia e, di conseguenza, allo speleologo, ma se noi stessi non diamo a questi il massimo dell’importanza, come possiamo aspettarci che gli altri, le Istituzioni, i media, quelli che vogliono fare le grotte turistiche, ce ne diano? La proposta di chiamare “maestro” l’insegnante di speleologia ha la sua origine nell’idea di una figura ben più ampia di quella di un semplice istruttore, e abbastanza ampia da raggiungere quella di docente, e trova sostegno nei più autorevoli dizionari, dove emerge che la figura “…da li conti che se fanno seconno le statistiche d’adesso risurta che te tocca un pollo all’anno: e, se nun entra nelle spese tue, t’entra ne la statistica lo stesso perch’è c’è un antro che ne magna due.” In effetti i nostri dati, sebbene apparentemente numerosi, in realtà non rappresentano bene l’intera “popolazione” dei gruppi speleologici che hanno tenuto corsi nella nostra regione. Come detto la raccolta dei dati risale al 2011 quando risposero al questionario tutti i gruppi aderenti alla FSL e anche qualche gruppo non aderente e furono fatte ricerche bibliografiche sui gruppi che avevano cessato l’attività. Ma solo da Associazione Speleologica Romana (ASR), Circolo Speleologico Romano (CSR), Gruppo Grotte Castelli Romani (GGCR), Gruppo Speleologico Grottaferrata (GSG), Speleo 123 VII Convegno Federazione Speleologica del Lazio Gruppo speleologico Speleo Club Roma (compreso CRdS) Gruppo Grotte URRI Gruppo Speleologico CAI Roma Circolo Speleologico Romano Associazione Speleologi Romani Associazione Speleologica Romana ‘86 Gruppo Speleologico Guidonia Montecelio Gruppo Speleologico Grottaferrata Gruppo Speleologico Ciociaro CAI Frosinone Associazione Speleologica Romana Gruppo Speleologico Sabino Gruppo Speleologico La Stalattite Eccentrica Gruppo Grotte Castelli Romani Gruppo Speleologico CAI Latina Roma Sotterranea Gruppo Speleologico “Le Talpe” CAI Rieti Gruppo Speleologico CAI Esperia (compreso CS Esperiano) Sotterranei di Roma Centro Romano Documentazioni e Ricerche Geonaturali Gruppo Speleologico Grottaferrata 2007 Centro Studi “Scienze Naturali e Speleologiche” TOTALI Primo Ultimo Tot 1960 2016 62 1957 1972 2009 2016 54 50 1961 2017 30 1990 2015 29 2008 20 2011 18 2006 14 2014 13 1970? 1979 11 1994 2015 8 2008 6 2015 5 1979 4 2008 2011 4 3 1982 1983? 2 2010 1969 2011 1970 2 2 2010 1 2008 Figura 7 - Numero di corsi tenuti dai vari gruppi speleo Club Roma (SCR) e Associazione Speleologi Romani (SR), per l’ASR ha risposto lo SCR e per il GSG il GGCR, abbiamo avuto i dati completi, anche se non su tutti i corsi, come il numero di allievi ed altre informazioni. Ma da allora pochi di questi gruppi hanno fornito dati relativamente al periodo dal 2011 ad oggi. Inoltre, molti dei dati forniti sono incompleti per quanto riguarda l’età anagrafica e speleologica dei direttori dei corsi, l’età anagrafica dei maestri e quella degli allievi ed infine a proposito del numero di allievi per corso. Malgrado tutto si evidenziano alcuni andamenti particolarmente significativi sui quali si possono fare delle riflessioni utili. Quanto al numero di corsi, come si vede dalla tabella 1 e dalla figura 7, appare evidente come ci sia stata, da parte di molti gruppi, un’intensa attività già a partire dagli anni ‘60. Se si prendono in considerazione le età anagrafiche dei direttori dei corsi, i dati diventano molto interessanti. Il grafico in figura 8a mostra la variazione dell’età anagrafica dei direttori con il passare degli anni. È evidente come a partire dagli anni ‘90 l’età media subisca un drastico aumento e poi si osserva un’evidente tendenza a scegliere sempre lo stesso direttore. Per quanto riguarda l’evoluzione dell’età speleologica dei direttori nel corso degli anni, rappresentata nel grafico in figura 8b, si nota che fino agli anni ‘90 oscillava tra 1 e 15-20 anni, ma dopo questa data, l’oscillazione diventa molto più ampia grazie anche ai direttori eletti ad libitum, la cui esperienza cresce ovviamente negli anni. Passando ai maestri, questa soglia degli anni ‘90 diventa ancora più evidente (Fig. 9). Anche per questo indicatore si osserva chiaramente come l’età degli istruttori prima degli anni ‘90, sebbene 309 Tabella 1 - Numero di corsi tenuti dai vari gruppi speleo operanti nel Lazio con le date del primo e dell’ultimo corso tenuto 124 Speleologia del Lazio, 9 | dicembre 2018 Figura 8 - Direttori dei corsi: a) Età dei direttori dei corsi; b) anni di esperienza. A partire dagli anni ‘90 l’età, e di conseguenza l’esperienza, cresce nettamente nel corso del tempo. Si manifesta anche la netta tendenza ad affidarsi sempre agli stessi direttori con ampie oscillazioni intorno al valor medio di circa 25 anni, si mantiene più o meno costante. Poi, alla fatidica soglia degli anni ‘90, inizia a crescere drasticamente allargando di molto la forchetta tra età massima e minima. Gli allineamenti dei simboli stanno poi ad indicare l’invecchiamento progressivo dei maestri, ovvero il fatto di un modesto ricambio generazionale. Tralasciando l’identità dell’istruttore più anziano, è interessante sapere che l’istruttore più giovane è stato James De Martino (SCR, 1977), cugino dei più noti Giovannella e Sandro De Martino: aveva solo 13 anni! Anche per quanto riguarda gli allievi si osserva lo stesso andamento sebbene quello che salta agli occhi (Fig. 10) non è tanto l’aumento dell’età media, che pure è evidente, quanto l’aumento dell’età massima a cui ci si segna ai corsi, con valori che superano il 60 anni! Una curiosità: i due corsi più numerosi sono stati organizzati dall’ASR negli anni 1972 e 1974 con 80 allievi; segue sempre l’ASR che nel 1971 ebbe “solo” 62 allievi. Non sappiamo se ci sia stata una scrematura degli allievi dopo la prima uscita, ma ci sembra probabile. C’è però un punto che più di tutti merita attenzione e che sembra essere esperienza comune di tutti coloro che organizzano corsi di speleologia: il numero veramente esiguo di allievi che dopo il corso continuano a frequentare il gruppo o più in generale ad andare in grotta. Dal grafico nella figura 11 potrebbe sembrare il contrario, ma guardando bene i valori ci si rende conto che il numero di allievi che restano “in circolazione” per almeno un anno dopo il corso, specialmente in questi ultimi anni, di rado supera le 5 unità. E comunque, se si potesse contabilizzare il numero di quelli che proseguono oltre il primo anno, di certo raramente si supererebbe l’unità. Concludiamo questa nostra analisi statistica andando a vedere quali sono state le grotte (Tab. 2) e le palestre (Tab. 3) utilizzate nei corsi con il passare degli anni. È subito evidente ed anche abbastanza comprensibile, date la comodità di accesso e le caratteristiche tecniche, che la grotta di gran lunga preferita per la didattica è l’Ouso di Pozzo Comune con ben 84 uscite a partire dagli anni ‘60. In verità, data l’incompletezza dei dati di cui abbiamo detto in precedenza, potrebbero di certo essere molte di più. Segue poi la Grotta dei Pozzi della Piana in quanto, essendo una cavità pressoché orizzontale rappresenta una palestra ideale per svolgere la prima uscita di iniziazione alla speleologia. Seguono poi, con un numero di visite variabile tra le 10 sino alle 30, grotte dalle caratteristiche più varie andando da cavità tecnicamente piuttosto semplici, come la Grotta dell’Arco, l’Ouso del Pisciarello o il Pozzo l’Arcaro, a grotte importanti, come l’Antro del Corchia, la Grotta del Chiocchio o del Mezzogiorno. Tra queste vi sono poi alcune grotte una volta molto frequentate dai corsi, ma oggi per diversi motivi non più utilizzate a questo scopo, come la Grotta di Santa Lucia per pericoli oggettivi, oppure l’Ovito di Pietrasecca e l’Inghiottitoio di Val de’ Varri a causa di problemi burocratici. Tra le palestre più utilizzate ci sono senza dubbio la cava di leucitite di Fioranello a Ciampino e il Monte Catillo a Tivoli. Invero, sebbene Fioranello abbia dalla sua la vicinanza alla città, le pareti del Catillo offrono molte più possibilità di sperimentare differenti situazioni tecniche, oltre al fatto non secondario di una migliore sicurezza della roccia. A queste poi si aggiungono numerose altre località, più o meno amene, che spesso scaturiscono dalla grande fantasia dei gruppi nel cercare soluzioni sempre diverse. Tanto per dire, sebbene non siano citate nella tabella 3, quando il tempo verge al brutto non è raro vedere bande di allievi appendersi alle volte dei famigerati tunnel del Soratte, nei pressi di Sant’Oreste. 125 VII Convegno Federazione Speleologica del Lazio Conclusioni Riassumendo, dal 1958, anno del primo corso del Gruppo Speleologico URRI, ad oggi si sono tenuti ben 309 corsi per un totale di 2524 allievi: 494 donne (33%) e 993 uomini (73%). L’età media degli allievi è di 27 anni con un’ampia forchetta compresa tra i 12 anni (!) e i 59 (!). Di questi risultano essersi iscritti ad un gruppo in 647 ovvero il 26% del totale. La discrepanza tra il numero totale di allievi ed il totale di donne e uomini è sempre legato all’incompletezza dei dati. Tra i direttori si sono succeduti 10 donne e 31 uomini con età media di 39 anni compresa tra un minimo di 20 ed un massimo di 65 anni. Quanto all’esperienza dei direttori si va da un solo anno ai 48 anni di attività accumulati al momento della carica, con un valor medio di 15 anni. Il numero di maestri impegnati nei corsi risulta molto variabile passando da 2 a 39 (!), di cui 8 donne e 32 uomini. Anche le età sono estremamente variabili andando dai 13 ai 67 anni con una media di 33. Dunque, sebbene i dati siano incompleti, lo ricordiamo ancora, e questa non è che un’analisi statistica molto elementare, un dato spicca in modo evidente: il basso numero di coloro che dopo aver fatto il corso di speleologia continuano ad andare in grotta, sia in modo indipendente sia nell’ambito di un gruppo. In effetti questa tendenza sembra essersi accentuata, come mostrano i dati, a partire degli anni ‘90. Si nota infatti, almeno stando ai dati, una mancanza di ricambio generazionale testimoniata dalle conduzioni pluriennali dei corsi da parte dallo stesso direttore e dall’invecchiamento di maestri ed allievi. Per cercare le ragioni di questi fatti non ci resta che rimandare ad un paio di illuminanti lavori del compianto Giovanni Badino (BADINO, 2000; BADINO, 2016) nei quali analizza la tendenza all’invecchiamento della popolazione dei frequentatori del mondo sotterraneo ed in particolare come l’età dei neofiti si è evoluta nel corso degli anni. Ebbene, anche le analisi di Badino mostrano che verso la metà degli anni ‘80 l’età d’iniziazione tende ad aumentare. Per spiegare l’aumento dell’età d’iniziazione, seguendo Badino, si possono chiamare in causa diverse ragioni: invecchiamento generale della popolazione, protrarsi dell’adolescenza, massificazione delle attività ludiche connessa all’aumentare dei mezzi di comunicazione; il tutto si traduce nel fatto che alla speleologia si avvicinano sempre più persone di qualsiasi età (BADINO, 2016). Per quanto concerne invece l’altissima percentuale di abbandoni dell’attività speleologica post corso, mi appoggio ancora una volta all’analisi di Badino che chiama in causa la cosiddetta “fruizione Figura 9 - Età dei maestri. Il grafico mostra le età medie, massime e minime dei maestri impegnati nei corsi durante gli anni. La dispersione risulta abbastanza ampia, ma dagli anni ‘90 c’è un netto incremento nell’età media. Inoltre, come mostrano le numerose serie continue di simboli, c’è un modesto ricambio nel corpo dei maestri Figura 10 - Età degli allievi. Il grafico mostra l’evoluzione delle età medie, massime e minime degli allievi nel corso degli anni. La dispersione risulta abbastanza ampia, ma, come sempre, dagli anni ‘90 in poi c’è un netto incremento nell’età media ed un aumento dell’età massima fino oltre i 60 anni Figura 11 - Numero di allievi iscritti ad un corso (bande rosse) rispetto a quelli che sono risultati iscritti ad un gruppo almeno per l’anno immediatamente successivo al corso (bande gialle) 126 Speleologia del Lazio, 9 | dicembre 2018 Grotte Lepini Ouso di Pozzo Comune Umbria Le Piane Carseolani Inghiottitoio di Val dei Varri Simbruini Pozzo della Creta Rossa Lepini Inghiottitoio dell’Erdigheta Marche Grotta del Mezzogiorno Carseolani Ovito di Pietrasecca Ernici Abisso degli Urli Umbria Chiocchio Aurunci Serini Lepini Pisciarello Simbruini Camposecco Lepini Gemello della Rava Ernici Grotta dell’Arco Lepini Pozzo l’Arcaro Lepini Alien 3 Ausoni Zi’ Checca Soratte Santa Lucia Toscana Antro del Corchia SCR 54 27 30 28 24 22 15 16 12 1 13 5 13 8 2 CSR* GGCR GSG 1 4 8 1 2 12 1 1 1 1 1 1 1 1 3 1 1 1 5 1 5 12 1 1 9 SR 17 6 1 3 10 10 1 1 10 8 5 1 1 1 2 3 3 4 2 4 2 2 Tot 84 48 31 30 29 27 22 21 21 19 18 17 13 12 12 11 11 9 8 Tabella 2 - Grotte utilizzate durante i corsi dai gruppi romani nel corso degli anni. * Il CSR non ha indicato il numero di volte che ha usato la grotta per i corsi. Ad ogni grotta è stato dato il valore simbolico di 1 Palestra Fioranello Monte Catillo Palestra roccia Convento Palazzolo Diaclasi di Artena Poggio Catino Santullo Soratte Ouso di Pozzo Comune Palestra roccia Esperia Sperlonga Santa Lucia Monte Morra Veroli Magliano Castelnuovo di Porto SCR 8 28 GGCR GSG 16 25 SR 1 4 8 3 3 6 2 2 4 3 3 3 2 1 1 1 1 Tabella 3 - Palestre utilizzate durante i corsi dai gruppi romani nel corso degli anni. 127 Tot 50 32 8 6 6 4 4 3 3 3 2 1 1 1 1 VII Convegno Federazione Speleologica del Lazio indiretta”, cioè quel vivere emozioni ed esperienze per interposta persona, dato dagli attuali mezzi di comunicazione e social (BADINO, 2000). In sostanza la diffusione dei mezzi di comunicazione rende la speleologia fruibile ad un pubblico sempre più vasto, il che ha effetti senza dubbio positivi, ma ha anche l’effetto deleterio di massificare e quindi ridurre un’attività complessa e ricca come la speleologia in uno dei tanti sport estremi che tanto vanno di moda proprio a partire dagli anni ‘80. Quindi molti di quelli che si avvicinano alla speleologia lo fanno spinti più da una curiosità contingente che da motivazioni profonde, cercando un’esperienza a pronta presa, ma quando si rendono conto del contrario, l’abbandono è automatico e soprattutto senza rimpianti; perché tutto sommato basta riguardare il selfie o il video di quel giorno in grotta (o di una qualunque altra grotta), per rivivere l’avventura e sentirsi uno “speleologo vero”. In sostanza, come scrive Badino: “… vedendo fare, si saziano come se facessero.”. Speleologi Italiani. - Sottoterra, Gruppo Speleologico Bolognese del CAI, anno V, n. 13, pp. 39-40. SOCIETÀ ALPINA DELLE GIULIE – COMMISSIONE GROTTE E. BOEGAN, 2004, 120 anni in grotta, Trieste. SPELEO CLUB ROMA, Relazioni attività. – Archivio dello Speleo Club Roma, inedito. SPIEGEL M. R., 1976, Statistica – Collana Schaum. Bibliografia BADINI G., 1965, Assemblea SSI a Bologna. – Sottoterra, Gruppo Speleologico Bolognese del CAI, anno IV, n. 10, pp. 2-5. BADINO G., 2000, Se Atene piange... Grotte, Gruppo Speleologico Piemontese CAI-UGET 134, pp. 27-33. BADINO G., 2016, Nascere speleo: un’analisi statistica. Speleologia, 75, pp. 50-53. CASTELLANI V., 1995, Imele, Stiffe, Cavallone … ai primordi della speleologia nell’URRI, 1955-1965. – URRI 1955-1995, numero unico del quarantennale. CIRCOLO SPELEOLOGICO ROMANO, 2015, 100 anni sottoterra. Il Circolo Speleologico Romano dal 1904 al 2004, Roma. GHIDINI G. M., 1954, Uomini, caverne e abissi, Milano. GRASSI L., 1993, 1971-1993. Nomi, date e ricordi di 22 anni di attività del GS-CAI Roma. – Ricerca di archivio di Lorenzo Grassi, inedito. GRIMANDI P., 2008, Dell’origine della specie: la CNSS. GUIDI P., SALVATORI F., SAMMATARO T. (a cura di), 2008, 50 anni di speleologia della Scuola Nazionale di Speleologia CAI 1958 – 2008. IFAC, 1966, Assicuraz. Cumulativa Infortuni 128 Speleologia del Lazio, 9 | dicembre 2018 Obiettivi e finalità della Scuola di Speleologia della F.S.L. CLAUDIO FORTUNATO - MAURIZIO MONTELEONE L a Federazione Speleologica del Lazio costituisce la propria Scuola di Speleologia nel 2012: l’Assemblea dei Delegati del 12 maggio 2012 ne approva lo statuto e di fatto rende la scuola operativa. A fronte di questo, i gruppi federati nominano i primi coordinatori che coadiuveranno il Responsabile della scuola nell’attività iniziale di avvio, che porta ai primi incontri del Coordinamento. Questo è un passo importante e ambizioso per tutta la speleologia della regione, importante e chiaramente non facile. Bisogna considerare che questa è la prima scuola di speleologia regionale all’interno di una federazione, la prima Scuola di una Federazione Speleologica in Italia. Lo sforzo iniziale è soprattutto concentrato nella stesura del regolamento e nel creare strumenti didattici per uniformare l’insegnamento delle tecniche di progressione in ambiente ipogeo. Allo stato attuale, i gruppi del Lazio sono presenti nella Scuola con un numero di 27 Coordinatori, presenza importante e in costante aumento. Ogni gruppo può nominare un massimo di 3 coordinatori. Elemento importante per la scuola è il corpo docente: questo è costituito dai “maestri di speleologia”, un termine nuovo, diverso da quello che fino ad ora era l’istruttore di speleologia. Ogni anno i presidenti dei gruppi federati comunicano alla scuola l’organigramma del proprio corpo docente con i nomi dei maestri e aiuto-maestri. Il corpo docente è per la Scuola l’elemento sul quale concentrare le proprie energie. La figura del maestro di speleologia richiede un bagaglio di esperienza più vasto in quanto necessita di una preparazione multidisciplinare. È necessario che il “maestro di speleologia” guidi l’allievo verso un percorso formativo mirato a comprendere l’ambiente ipogeo in tutti i suoi aspetti. Quindi ricerca, esplorazione, studio e documentazione: Figura 1 - Il logo della Scuola di Speleologia (grafica di Maurizio Monteleone) diventa quindi necessario formare i maestri affinché possano trasmettere tutto questo ai futuri speleologi, creando percorsi formativi adeguati e completi. La Scuola di Federazione ha anche il compito di fornire formazione tecnica ai maestri, con corsi di livello superiore e corsi di aggiornamento tecnico. Sono anche previste verifiche periodiche per il corpo docente. Oltre alla formazione del corpo docente, la scuola di speleologia intende offrire supporto didattico alle associazioni speleologiche su temi che in genere i gruppi stessi non trattano: si tratta di argomenti spesso trattati solo in sede di corsi e seminari che vengono svolti fuori della regione. Per questo è stato definito un programma annuale di attività che la scuola presenta alla Federazione affinché venga reso disponibile ai gruppi e agli speleologi interessati. Cosa importante tra i 129 VII Convegno Federazione Speleologica del Lazio compiti della Scuola è quello di promuovere, attraverso i propri docenti, la cultura per il rispetto dell’ambiente sotterraneo. Informare gli speleologi sulle problematiche inerenti la tutela delle grotte del Lazio e su quali sono le linee guida comportamentali qualora ci fossero situazioni che mettono a rischio l’ecosistema ipogeo. In tal senso, vengono organizzati degli incontri per il corpo docente e per tutti gli speleologi. Di fatto gli scopi della Scuola di Speleologia FSL indicati nello statuto sono i seguenti: • • • • • • Predisporre i programmi e scegliere i supporti didattici Diffondere e omogeneizzare le norme di sicurezza per la prevenzione degli incidenti in grotta Promuovere la cultura del rispetto dell’ambiente Coordinare le attività della scuola e dei maestri che vi operano Qualificare i propri maestri svolgendo un’adeguata attività formativa Farsi riconoscere dagli enti territoriali come un’istituzione di formazione nel campo della speleologia laziale. Il progetto Scuola di Federazione è in costante sviluppo per le idee che vengono proposte dai coordinatori riguardo le attività future di interesse collettivo. Però è importante anche il costante confronto con i gruppi federati per creare uno spirito di collaborazione, necessario ad individuare i piani di lavoro futuri utili al buon funzionamento della scuola e per dare un servizio didattico di primo livello. Inoltre, obiettivo principale, argomentare e trattare tematiche di interesse attuale nel mondo speleologico. Quindi all’avanguardia per essere unici. Commento al logo della Scuola (di Maurizio Monteleone) Quando il Coordinamento della Scuola mi ha chiesto di realizzare un logo che la rappresentasse, ne sono stato lusingato. Per la seconda volta avrei avuto l’occasione di servire la FSL. La prima quando creai il logo con il doppio pipistrello e adesso quello della Scuola, traducendo in simboli i concetti alla base della sua fondazione. Pur dubitando di riuscirci, ho comunque accettato di mettermi alla prova contando solo sull’entusiasmo, per me unico e vero propellente, e sulla certezza che la mia visione fosse quella condivisa da tutti, a partire dalla scelta di sostituire la parola Istruttore con la parola Maestro. Questa scelta a lungo dibattuta 130 ma poi unanimemente approvata, mirava ad immaginare una figura di maggior rilievo e ad adottare un termine che fa sorridere alcuni, ma che nel dizionario della lingua italiana significa guida, esempio. Una scelta coerente con quella di creare una Scuola autonoma, indipendente dalle scuole nazionali; una scuola diversa, nuova, ma con una tradizione centenaria nel tramandare l’Arte della speleologia. Quando ho capito che insegnare ad andare su corda non era insegnare ad andare in grotta, che insegnare ad andare in grotta non era insegnare la speleologia e che insegnare la speleologia significa insegnare ad amarla, allora è stato chiaro che il primo requisito del maestro doveva essere quello di saper attrarre l’allievo per potergli trasmettere la propria passione. Solo in questo caso l’allievo avrebbe dedicato la propria attenzione alla materia con il piacere di apprendere, tanto da poter un giorno superare il maestro e esserlo lui a sua volta. Tutto questo andava racchiuso in un logo, un discorso appunto per immagini. Ho cominciato con un cerchio, la figura geometrica più usata in questi casi, senza inizio e senza fine. All’interno del cerchio, bordato da una corda, simbolo di sicurezza e di tenuta, ruota una fascia circolare con le parole Federazione Speleologica del Lazio, ovvero l’unione dei gruppi speleo della nostra Regione. Unione simboleggiata anche dal cordino che, senza soluzione di continuità, compone l’acronimo FSL, formando così un nodo, un legame. A conferire poi un aspetto araldico, un’altra corona circolare formata dalla catena di moschettoni, elemento della tecnica speleologica raffigurante anch’esso l’unione e la messa in sicurezza di ciò che racchiude all’interno, ovvero il simbolo della Federazione stessa: il doppio pipistrello. All’interno di questo simbolo spiccano un libro, simbolo d’insegnamento, di apprendimento, di cultura, e un casco con la luce frontale, che rappresenta il primo strumento tecnico necessario all’esplorazione, l’unico che possa simboleggiare una speleologia che non discrimina chi va su corda da chi non ci va. La luce sul casco è accesa ad illuminare la grotta nel cui profilo campeggiano libro e casco e ad illuminare la scritta Scuola di Speleologia, come se quest’ultima risiedesse nella grotta o come se la grotta stessa fosse la Scuola o, perché no, la maestra. I colori, ispirati a quelli del logo della Federazione, ne confermano l’appartenenza: blu, giallo, bianco e il nero simbolo del buio, solo per la silhouette della grotta. Ma c’è un colore che non si vede, è il colore della passione e dell’entusiasmo che hanno ispirato la nascita della Scuola e di questo logo, e che sono il vero messaggio contenuto nel profondo. Speleologia del Lazio, 9 | dicembre 2018 L’ambiente ipogeo della Montagna di Cesi: Laboratorio di ricerca per rilievi termo-igrometrici SIMONA MENEGON - AUGUSTO ROSSI - LUCIO DI MATTEO - STEFANO LITI L a comprensione dei sistemi carsici è di fondamentale importanza per la protezione e la valorizzazione di questi ambienti. Il presente lavoro, tramite un approccio multidisciplinare, contribuisce allo studio delle possibili interconnessioni tra le cavità carsiche presenti nella parte meridionale della dorsale Martana (Montagna di Cesi, Italia centrale), una struttura idrogeologica che alimenta un acquifero regionale drenante verso le sorgenti, ad elevata portata e salinità, di Stifone. Nella parte sud-occidentale della dorsale Martana sono state individuate sette cavità, cinque delle quali si impostano nella Formazione del Calcare Massiccio. I dati termo-igrometrici raccolti a partire da novembre 2014 all’interno delle cavità, uniti a quelli provenienti dalle stazioni meteorologiche esterne, hanno permesso di identificare il momento dell’inversione del flusso d’aria che si verifica in tardo inverno/ inizio primavera e in fine estate/inizio autunno. Nonostante le complessità morfologiche delle cavità e dei modelli concettuali di flusso d’aria, le variazioni termiche osservate e le misure di flusso d’aria finora disponibili, sembrano indicare che gli ambienti sotterranei - anche se di piccole dimensioni - possono essere interconnessi con un sistema di cavità notevolmente più ampio. In conclusione, le misure in corso, associate alle caratteristiche idrogeologiche e geologico-strutturali del massiccio calcareo, risultano utili per indirizzare le future esplorazioni speleologiche nell’ottica di scoprire cavità più grandi e di comprendere meglio i percorsi di infiltrazione dell’acqua nel massiccio calcareo. È stata anche condotta una ricerca su documenti storici, in parte inediti, in cui si evidenzia come le grotte di Cesi, con il fenomeno dell’aria fredda in uscita d’estate e il flusso inverso in inverno, con le relative opere di canalizzazione dell’aria per rinfrescare le case in estate, siano state oggetto di studio degli scienziati sin dal XVI secolo, oltre che meta turistica dei viaggiatori di tutta Europa che visitavano l’Italia nel 1700 e nel 1800. Inquadramento geologico Si presentano i risultati della campagna di monitoraggio condotta da novembre 2014 a gennaio 2016 nell’area carsica situata nella parte meridionale dei Monti Martani, a ridosso dell’abitato di Cesi, presso Terni (Fig.1). Si tratta di una struttura idrogeologica che alimenta un acquifero regionale drenante verso le Sorgenti di Stifone, che hanno un’elevata portata e un’alta salinità. Il paesaggio, di grande bellezza, è tipico degli ambienti montani dell’Appennino umbro-marchigiano con forme epigee (superficiali) ed ipogee (sotterranee) che danno al territorio un alto valore naturalistico ed ambientale che si intreccia con il valore del patrimonio storico-culturale ed archeologico (Eremo di S. Erasmo, necropoli protostorica del Monte Torre Maggiore, ecc.). Dal punto di vista geologico nell’area affiorano rocce appartenenti alla Serie umbro-marchigiana (Fig. 2), una serie di rocce calcaree e calcareomarnose deposte in ambiente marino durante le ere geologiche e poi emerse grazie ai fenomeni di compressione e sollevamento. La zona si caratterizza per la presenza di numerose cavità, di dimensioni differenti, con una forte circolazione d’aria anche nelle grotte di dimensioni modeste. La zona del massiccio di Cesi è caratterizzata dalla presenza di numerose cavità conosciute, 131 VII Convegno Federazione Speleologica del Lazio strumenti sono stati collocati all’interno di alcune cavità selezionate, in modo da monitorare il comportamento sia degli ingressi alti che di quelli bassi, mentre per la temperatura esterna sono stati usati due termobarometri collocati nel punto più basso e nel punto più alto della zona interessata. I termo-igrometri sono stati posizionati all’interno delle grotte a novembre del 2014 e sono stati ritirati tra dicembre 2015 e gennaio 2016. Sono stati programmati per registrare quattro misure giornaliere ad intervalli di 6 ore. Tutte le grotte scelte per il monitoraggio sono state ritenute interessanti in quanto caratterizzate da circolazioni d’aria piuttosto intense, anche nel caso di cavità di modeste dimensioni, che è considerato un probabile indizio di un sistema di cavità più ampio. Per avere un riscontro con l’ambiente esterno, nello stesso periodo sono stati collocati due termobarometri per il monitoraggio della temperatura esterna e della pressione atmosferica. Uno strumento è stato collocato presso la cavità posta alla maggiore altitudine (Buca del Diavolo), mentre l’altro presso la cavità più bassa (Grotta Gis). Sono stati inseriti all’interno di cassettine ventilate, ad adeguata distanza dal suolo e lontane da possibili fonti di disturbo delle misure. Analogamente ai termo-igrometri anche i termobarometri sono stati programmati per registrare quattro misure giornaliere. Le misure di temperatura effettuate all’interno delle grotte consentono di fare delle considerazioni sulla circolazione dell’aria nel massiccio calcareo. Va premesso che non tutte le cavità, anche quelle poste a quote simili, mostrano lo stesso andamento termico durante il periodo di osservazione: questo indica che il sistema è molto complesso, come era da attendersi, e merita sicuramente ulteriori ricerche specifiche che non possono prescindere dall’approccio messo in opera dal presente progetto. I dati acquisiti infatti, oltre ad essere i primi a disposizione su questo sistema carsico, rappresentano sicuramente un primo passo per comprendere la circolazione d’aria del sistema carsico della montagna di Cesi e per indirizzare gli studi e i monitoraggi futuri. Di seguito si farà riferimento al comportamento di due grotte poste a quote molto diverse tra loro che danno degli indizi di interconnessione, considerando anche l’assetto geologico-strutturale del massiccio calcareo. Si tratta della Grotta degli Arnolfi (grotta posta alla base del sistema carsico) e di Buca del Diavolo (grotta posta nella parte alta, in prossimità del Monte Torre Maggiore). La figura 4 mostra la temperatura dell’aria registrata all’interno e all’esterno di Figura 1 - Inquadramento geografico dell’area di Cesi molte delle quali si trovano all’interno dello stesso abitato, con accessi nelle cantine che si appoggiano direttamente alla roccia. Queste ultime sono state escluse dal presente lavoro in quanto il loro clima è influenzato inevitabilmente dalle attività antropiche. Per il monitoraggio termo-igrometrico sono state selezionate cinque grotte, le cui dimensioni variano da pochi metri a qualche centinaio di metri. Trattandosi di un primo approccio alla conoscenza della meteorologia degli ambienti ipogei si è deciso di concentrarsi, ottimizzando le risorse a disposizione, su alcune cavità selezionate sulla base dell’assetto geologicostrutturale del sistema. Queste sono tutte caratterizzate da presenza di circolazione d’aria, ma, dalle osservazioni occasionali, per le due localizzate in alto (Buca del Diavolo e Grotta della Rocchetta) è ipotizzabile un comportamento tipico degli ingressi alti (flusso in uscita in inverno, flusso in entrata in estate), mentre per le altre tre (quelle poste alla base del massiccio: Grotta degli Arnolfi, Risucchio e Grotta Gis), viceversa, è ipotizzabile un comportamento tipico degli ingressi bassi (flusso in uscita in estate e flusso in entrata in inverno). Monitoraggio I dati termo-igrometrici (Fig. 4) provenienti da 9 termo-igrometri USB con data-logger integrati, e misure occasionali del flusso d’aria con un anemometro a filo caldo (Fig. 3), sono utili per identificare il momento dell’inversione del flusso d’aria in primavera ed autunno. Gli 132 Speleologia del Lazio, 9 | dicembre 2018 Figura 2 - Mappa geologica e localizzazione delle cavità queste due grotte. Durante l’inverno/inizio primavera una grande quantità di aria fredda entra nella Grotta degli Arnolfi, ma non appena la temperatura dell’aria esterna supera quella interna, il flusso d’aria inverte e l’aria fuoriesce dalla grotta. L’aria all’interno della grotta raggiunge gradualmente una temperatura di 11.5°C. A metà novembre 2015 si registra una nuova inversione del flusso d’aria che torna ad entrare nella grotta. Al contrario, la Buca del Diavolo mostra un comportamento, in termini termici e di flusso d’aria, speculare a quello della Grotta degli Arnolfi: l’aria fuoriesce dalla cavità durante l’inverno con temperature che vanno da 11.4°C a circa 9.0°C. Al fine di capire i volumi di aria in uscita, durante i mesi estivi dalla Grotta degli Arnolfi e durante i mesi invernali dalla Buca del Diavolo, sono state effettuate delle misure saltuarie della velocità del flusso d’aria mediante il termo-anemometro acquisito nell’ambito del presente progetto. In dettaglio, le misure sono state condotte durante il mese di agosto 2015 nella Grotta degli Arnolfi e a fine febbraio 2015 a Buca del Diavolo. I volumi di aria in uscita dalla Grotta degli Arnolfi sono stati di 1.85 m3/s, mentre da Buca del Diavolo di 0.50 m3/s. Sempre durante il mese di agosto 2015 le misure di flusso d’aria sono state estese a tutte le cavità poste alla base del massiccio calcareo: complessivamente il volume d’aria in uscita durante l’estate, dalle cavità note, non è inferiore a 6 m3/s. Allo stesso tempo durante l’inverno dalle grotte alte (Buca del Diavolo e Rocchette di Cesi) fuoriesce un volume d’aria di circa 1.3 m3/s indicando che nella parte alta la fuoriuscita di aria è molto più diffusa e fortemente condizionata dalle caratteristiche litologiche e stratigrafiche delle rocce affioranti (Maiolica), dalla fitta rete di fratture e/o da altre cavità non ancora scoperte. Le ricognizioni speleologiche portate avanti nel 2014 nella parte sommitale di Torre Maggiore, intensificate durante il presente progetto, hanno permesso di esplorare con uno spirito diverso delle piccole cavità a cui in precedenza non si dava un grosso valore speleologico. Conclusioni I risultati qui ottenuti indicano che gli ambienti sotterranei - anche se di piccole dimensioni sembrano essere interconnessi, tramite fratture aperte e/o condotti, con una cavità notevolmente più ampia presente nella sottostante Formazione del Calcare Massiccio. I collegamenti ad oggi non sono accessibili da un punto di vista 133 VII Convegno Federazione Speleologica del Lazio loro ingresso, che come confermano anche ricerche recenti, ha una spiccata componente stagionale. Molte di queste fessure si trovano all’interno delle cantine delle stesse abitazioni, costruite appoggiate direttamente sulla roccia, peculiarità che ha permesso agli abitanti, almeno dal 1500, di costruire degli ingegnosi sistemi di convogliamento dell’aria per rinfrescare le case e conservare gli alimenti (Fig. 5). La più grande di queste aperture all’interno del paese è una vera propria grotta, Grotta Eolia, che si sviluppa per circa 200 m al di sotto di un palazzo. Sarebbe sufficiente questo ad accendere la fantasia degli esploratori sotterranei, ma se si aggiunge la commistione tra indizi geologici e testimonianze storiche, leggende e racconti popolari, che ruotano intorno alla convinzione che il sottosuolo di Cesi nasconda immense cavità, ancora da scoprire, si capisce come l’attenzione della comunità speleologica si sia spesso rivolta verso quest’area, con risultati però inferiori alle aspettative. Si è cercato di ricostruire la storia delle grotte di Cesi, basandosi esclusivamente su documenti d’epoca, per riscoprire la reale collocazione di questa zona nella storia della ricerca speleologica. Il quadro che ne emerge evidenzia come questo luogo sia stato in passato un luogo centrale per gli scienziati che si occupavano dei fenomeni dei venti sotterranei, nonché, proprio grazie alle grotte, una meta turistica conosciuta in Europa. La documentazione storica, tutta basata su testi originali, è stata ricercata a partire da un articolo di un nostro collega, Badino, che, studiando la storia delle osservazioni del vento ipogeo, si è imbattuto in Athanasius Kircher, tedesco gesuita del 1600, scienziato e museologo, che fondò il museo Kircheriano a Roma dove visse gran parte della sua vita, famosissimo all’epoca, che è stato in parte ripristinato negli ultimi anni, e che lasciò un opera monumentale Mundus Subterraneus del 1678. Kircher viene a Cesi a studiare i fenomeni di Cesi di cui, dice, aveva sentito grandi meraviglie. Cosa c’era di meraviglioso? Soprattutto quello che affascinava era il sistema di tubi refrigeranti costruito dagli abitanti per portare l’aria fresca dalle aperture soffianti, sia all’interno, sia all’esterno, nelle cantine per tenere al fresco i cibi ed il vino, oppure nei piani superiori delle case per rinfrescare le stanze d’estate. Questa rete è ormai quasi del tutto perduta, anche se tuttora a Cesi usano rinfrescare le case aprendo le porte delle cantine, che devono essere a tenuta stagna per la violenza dell’aria che esce d’estate Figura 3 - Dettagli dei termo-igrometri: (PCE-HT71 data logger, 101.5 x 30 mm, 25 g. range of measures: 0-100% U.r., -40/+70 ºC., resolution 0.1 % U.r., 0,1 °C.) and hot wire anemometer (ST732, air velocity: 0~40 m/s, accuracy ±0.03 m/s esplorativo o lo sono solo in parte e quindi va rimarcato che le informazioni termiche e le velocità di flusso d’aria a disposizione da sole non danno una risposta definitiva sull’interconnessione tra grotte alte e grotte poste alla base del sistema carsico. Il presente studio deve essere considerato quindi come un primo passo nella comprensione di questo sistema carsico complesso e i risultati sono utili per configurare una rete di monitoraggio della velocità del flusso d’aria in continuo sulle principali cavità. Tale monitoraggio fornirà nuove informazioni sugli ambienti sotterranei anche tramite l’analisi dei fenomeni di risonanza e delle frequenze di oscillazione del flusso d’aria (vedi per esempio, Cigna, 1968; Plummer, 1969; Badino, 2010; Faimon et al., 2012; Lang e Faimon, 2013). In conclusione, lo schema concettuale presentato e i risultati qui discussi migliorano le conoscenze del sistema carsico, il quale risulta ancora ampiamente inesplorato. L’approccio presentato ha come obiettivo finale quello di valorizzare l’intero massiccio calcareo che risulta interessante non solo dal punto di vista speleologico, ma anche geologico e storico-paesaggistico. Le grotte di Cesi nella Storia Il progetto ha compreso anche un’accurata ricerca storica su fonti originali (Menegon, 2016). È emerso infatti come per molto tempo Cesi sia stato un punto di riferimento europeo della ricerca scientifica sulle circolazioni d’aria ipogee. La zona è abitata sin da epoca preromana dalla popolazione degli Umbri, come attestato dalle varie emergenze archeologiche, caratterizzata dalla presenza di numerose cavità carsiche dalle dimensioni più svariate, che vanno dalla fessura alla vera e propria grotta. La particolarità che le accomuna è la forte circolazione d’aria al 134 Speleologia del Lazio, 9 | dicembre 2018 Figura 4 - Temperatura dell’aria all’interno e all’esterno della Grotta degli Arnolfi (a) e di Buca del Diavolo (b). Periodo 2014-2015 ed entra d’inverno. Ma tornando a Kircher, egli viene ad osservare proprio questi venti e la loro periodicità indagandoli con spirito scientifico e cercando di darne una spiegazione. Intuisce che la spiegazione del tutto doveva risiedere nella differenza di temperatura che provoca una variazione della pressione (che lui chiama rarefazione e condensazione), ma poi si perde in concetti antichi (horror vacui) non tenendo conto delle scoperte di Torricelli. Si nota però la precisione con cui va a confutare le teorie in voga all’epoca sui tali fenomeni (cataratte d’acqua, fuochi sotterranei, flusso delle maree) in quanto contrarie all’esperienza diretta (manca la periodicità e la regolarità dei venti). L’opera di Kircher farà poi da riferimento per gli scienziati per un paio di secoli. Ma a partire da questo siamo andati a ricercare chi potesse aver parlato a Kircher di Cesi, dicendone grandi meraviglie. Il legame può essere stato proprio un eminente personaggio di Cesi, il cardinale Felice Contelori, vissuto a Roma a metà del 1600, a servizio della famiglia Barberini e quindi di papa Urbano VIII, perciò frequentando gli stessi ambienti del Kircher potevano essersi conosciuti. Contelori era un letterato e qualche anno dopo la sua morte, avvenuta nel 1675, esce un libretto “Memorie Historiche della Terra di Cesi”, che riporta qualche notizia sulle grotte di Cesi e due citazioni su chi prima di lui aveva affrontato l’argomento. Una è una nota colorita su un poeta di scarsa fama attualmente vissuto a cavallo tra fine 1500 e inizio 1600, Gasparo Murtola, famoso per aver attentato alla vita del suo rivale Gianbattista Marino. Murtola scrive dei versi dedicati al fenomeno dei venti e al sistema di ventidotti, inseriti in un ambizioso poema del 1608, “Della creazione del Mondo”. L’altro è la notizia più antica che abbiamo ritrovato finora e risale al 1571, quando esce un trattato sulle terme De Thermis del medico marchigiano Andrea Bacci, che riporta in una nota il sistema di tubature per l’aria di Cesi. Dopo Kircher anche Herbinius, professore tedesco, riporta le stesse parole di Kircher per parlare di Cesi non raggiungendo risultati scientifici migliori. Dopo questo periodo iniziamo a trovare testimonianze di flussi turistici che passavano per Cesi. Il primo rintracciato è di un certo Maximilien Misson, precettore francese che nel 1687 viaggia in Italia e nel suo libro di viaggio consiglia proprio di passare a Cesi per vedere il fenomeno delle bocche soffianti e dei ventidotti. Ma è all’inizio del 1700 che abbiamo una sorta di salto di qualità: per la prima volta le testimonianze, oltre a descrivere il fenomeno visto dall’esterno, entrano proprio all’interno di una grotta descrivendone i particolari. Nel 1720 troviamo Edward Wright. Non ci sono molte notizie su questo inglese, tranne che fosse un esquire, e che dedica il suo libro ad un certo Lord Parker, cui assicura la veridicità delle sue osservazioni. Arriva a Cesi dopo essere stato, come molti, a visitare la cascata delle Marmore, anche lui ha letto Kircher e quindi si reca a Cesi, presso le Aeolian Hills, le colline di Eolo. Si fa portare da una guida all’ingresso di una caverna sopra l’abitato di Cesi, ingresso che è chiuso da un porta di legno. Hanno sentito un gran parlare 135 VII Convegno Federazione Speleologica del Lazio del gran vento che esce da questa grotta, davanti alla porta sentono un gran ruggito, ma quando la aprono vento non esce per nulla. Wright rimane sbigottito ed attribuisce all’inizio il fatto alla tendenza degli italiani ad esagerare ogni cosa, ma poi si accorge che l’aria c’è, solo che entra dentro la grotta, quindi con grande soddisfazione capisce che il fenomeno dipende dalla temperatura dell’aria, anche se lo spiega come un’antiperistalsi, (gli inglesi non viaggiavano nelle stagioni più calde). Comunque entrano dentro questo antro, ma non si spingono oltre la prima sala, anche se descrive un passaggio che dovrebbe portare più avanti. Lo portano anche a vedere un’altra grotta, che descrive più ampia della precedente e con svariati abissi. Nel 1750, un anonimo english gentlemen fa un viaggio in Europa e durante il viaggio scrive a qualcuno rimasto in patria una serie di lettere, ritenute dal destinatario tanto interessanti da meritare la pubblicazione, avvenuta in forma anonima a causa dell’indisponibilità dell’autore a dare l’autorizzazione alla pubblicazione in quanto sempre in viaggio. Il gentiluomo inglese lascia un lungo e dettagliatissimo resoconto della visita alla stessa grotta visitata dal Wright trenta anni prima. Ma il suo compagno di viaggio si spinge oltre e si inoltra anche in zone a loro dire inesplorate. Ne esce con la descrizione di sale meravigliose, piene di concrezioni, pozzi e strettoie. Ebbene di questa grotta ora non c’è traccia. Nessuna grotta attualmente conosciuta le corrisponde, né per posizione, né per morfologia, né per dimensioni. Il ‘700 è un secolo di grandi progressi scientifici, è l’epoca dell’Illuminismo, c’è fiducia nel progresso, vengono fatti tanti passi avanti nel sapere scientifico e nel pensiero filosofico, si comincia a definire il concetto di temperatura. Nel secolo precedente erano nati i primi strumenti di misura (termometri fiorentini), ma è nel ‘700 che si definiscono le prime scale, Fahrenheit, Celsius, Réaumur. Qui si colloca un altro passaggio importante a Cesi. Nel 1773 un eminente personaggio del mondo scientifico è a Cesi a misurare le temperature dell’aria che esce dalle cavità. Si tratta di uno svizzero, il ginevrino Horace Benedict de Saussure, famoso per un’opera “Voyages dans les Alpes”, con una descrizione dei suoi viaggi e delle sue osservazioni scientifiche. Abbiamo detto che nel 1773 viaggia in Italia e il 4 luglio è a Cesi per misurare, con un termometro a mercurio, nei sotterranei del Palazzo della famiglia Cesi, la temperatura dell’aria, che poi inserirà in un capitolo dei suoi Voyages dedicato alle temperature a grandi profondità. Misura cinque gradi e tre quarti della scala Réaumur, che corrispondono a circa 7 gradi Celsius: attualmente la temperatura tipica delle grotte di Cesi. Le grotte, come sapete, mantengono la temperatura costante ed hanno una temperatura tipica che dipende dal clima locale, dall’altezza e dall’umidità interna, ed è di circa 11-12°C. Il fatto che de Saussure abbia misurato una temperatura più bassa può essere dipeso, oltre ad errori di misura dovuti a strumenti non precisi e da condizioni ambientali non controllate, dal fatto che in quel periodo il clima era un po’ più freddo, e quindi le temperature medie più basse. Infatti, riferendosi al periodo che va da metà del 1300 al 1850, si parla di piccola era glaciale. Ma non tutti gli studiosi venivano da fuori. Un esponente della famiglia Pressio, importante famiglia di Cesi, lascia tra la fine del ‘700 e l’inizio dell’800 una serie di manoscritti riguardanti le grotte eoliche di Cesi. Questi manoscritti sono all’Archivio di Stato di Terni. Il vicario Pressio scrive una dissertazione sulle grotte eoliche di Cesi, per dare una risposta finale alla questione delle cause dei venti ipogei, in maniera chiara, razionale e conclusiva. Questi manoscritti sono molto interessanti per molti aspetti diversi. Giovanni Pressio è un erudito, non è uno scienziato, ma un appassionato che cerca di tenersi al passo con i progressi della scienza. Anche in una località sperduta come Cesi, nel cuore dello Stato della Chiesa, si poteva essere aggiornati sulle novità scientifiche. Pressio infatti nella sua lunga disamina dei fenomeni chiama in causa, citando le fonti, un numero incredibile di testi scientifici, sia a favore che contro le proprie idee. Anche lui fa misure di temperatura in varie grotte trovandole per la maggior parte non diverse dal solito “temperato” e cioè 10 gradi Réaumur. Il temperato è quella che veniva considerata la temperatura normale di tutti i luoghi sotterranei. Non è un concetto banale per l’epoca appurare che le grotte abbiano la stessa temperatura in estate e in inverno, e che la sensazione di freddo e di caldo dipenda solo dalla temperatura esterna. Nei manoscritti si trova anche una corrispondenza che l’autore ha tenuto con un professore di Perugia, Luigi Canali, il quale è il primo che per le grotte di Cesi ipotizza l’esistenza di ingressi superiori che spiegherebbero esattamente le circolazioni d’aria, tesi questa assolutamente rifiutata dall’autore, che nega l’esistenza di qualsivoglia apertura nelle parti alte della montagna con una circolazione inversa rispetto agli ingressi bassi. Ma la questione delle temperature non è ancora chiusa: un ternano, l’ingegner Giuseppe Riccardi, nel 1818 pubblica un 136 Speleologia del Lazio, 9 | dicembre 2018 opuscolo “Ricerche istoriche e fisiche sulla Caduta delle Marmore ed osservazioni sulle adiacenze di Terni”. L’ultimo capitolo dell’opuscolo è dedicato ai venti sotterranei cesani. Il Riccardi per prima cosa ne misura la temperatura, posizionando i termometri all’imboccatura delle due grotte di Palazzo Cesi sempre con un termometro reaumuriano. Le temperature, prese in quattro date diverse del 1817, vengono riportate in una tabella ed oscillano tra i 6 e gli 9 gradi Réaumur (tra i 7,5 e gli 11,3 gradi Celsius). Sia Canali che Riccardi fanno riferimento ad un certo Abate Professor Candelori, che pare essere stato il primo a proporre per le grotte di Cesi il modello delle circolazioni d’aria con il doppio ingresso. L’articolo dove propone questo modello, “Trattato sulle grotte Eolie”, lo abbiamo rintracciato alla sezione manoscritti della Biblioteca Nazionale di Roma, nello Zibaldone di Gioacchino Belli, una raccolta di manoscritti su svariati argomenti, autografi o raccolti dal famoso poeta romano. Ricordiamo che il Belli aveva una moglie ternana ed inoltre era amico di monsignor Vincenzo Tizzani, vescovo di Terni, che come si vedrà ha un ruolo anche nella storia delle grotte Eolie di Cesi. Quando ormai sembra perduta la memoria della grotta visitata dal gentiluomo inglese, a metà dell’800 l’interesse verso le grotte cesane viene risvegliato da una scoperta che racchiude anche un piccolo giallo. Nel 1843 arriva a Terni un nuovo vescovo, Vincenzo Tizzani, che diventerà poi un personaggio importante nella storia della Roma del Risorgimento. Rimarrà a Terni fino al 1847 e molti anni dopo in un suo libretto, “Gita al santuario di Loreto”, ricorderà un fatto avvenuto mentre era a Terni. In visita a Cesi ospite del canonico Carlo Stocchi, si fa mostrare i ventidotti con cui teneva al fresco il vino e, spinto dalla curiosità, scende in cantina, dove sente una forte corrente sotto un grosso macigno. Fatto liberare il passaggio riesce a penetrare di là, dove si ritrova in una bellissima grotta, grande, piena di stalattiti, con una voragine in mezzo. Il mistero, per così dire, sta nel fatto che monsignor Tizzani si lamenterà nel suo libretto, tanti anni dopo, che un altro si era attribuito la scoperta. Comunque sia di questa grotta se ne parla molto nei testi scientifici dell’epoca, citando il fatto che il canonico Stocchi aveva fatto dei lavori per agevolarne la visita, come nei testi di Adone Palmieri “Topographia statistica dello Stato Pontificio, ossia Breve descrizione delle città e paesi”, in Gaetano Moroni Romani “Dizionario di erudizione storico-ecclesiastica”, nel Giornale Arcadico di Scienze, Lettere ed Arti”, in Giuseppe Ponzi “Raccolta di lettere ed altri scritti intorno alla fisica ed alle matematiche” e in Guglielmo Jervis “I tesori Sotterranei d’Italia”, tutti scritti intorno alla metà del 1800. Cercando tra i documenti dell’epoca sono emerse innumerevoli citazioni di Cesi e delle sue grotte eoliche, che non vale la pena menzionare perché non aggiungono niente di nuovo e riportano in genere notizie di seconda o terza mano. Alcune però meritano di essere ricordate per cui sono state messe in evidenza. Tra coloro che hanno scritto di Cesi e delle sue grotte è sorprendente trovare il nome illustre di Immanuel Kant (Königsberg, 1724 – 1804), il grande filosofo tedesco. I suoi interessi spaziavano anche in altri campi oltre la metafisica e nel 1802 esce una sua opera scientifica, “Geografia Fisica”. Il capitolo 8 del volume IV si intitola “Antri di vento” e non potevano mancare Cesi e il monte Eolo, che Kant riprende dalle descrizioni di Kircher e dell’English Gentleman, riportando la loro spiegazione dei venti freddi in uscita d’estate e l’aria in entrata in inverno, come rottura dell’equilibrio termico tra interno ed esterno. Ma Cesi con le sue condutture dell’aria ha attirato l’attenzione anche degli architetti che ne parlano quando illustrano i sistemi per rinfrescare le abitazioni. Francesco Milizia (Oria, 1725 – 1798), teorico dell’architettura e storico dell’arte, autore dei “Principi di architettura Civile” nel 1785 afferma che “gli abitanti di Cesi sanno trarre gran profitto da questi venti col fabbricar le loro cantine alla bocca delle caverne”. Nel 1825 il Professor Francesco Orioli dell’Università di Bologna (Vallerano, 1783 – Roma 1856) pubblica un discorso, “L’arte di riparare dai calori estivi le abitazioni e le persone” e prende Cesi come esempio di luogo fortunato in quanto fornito dalla natura di aria fresca in estate. La fama di Cesi è arrivata anche negli Stati Figura 5 - Residuo di una tubatura dell’aria, rinvenuto nei pressi di un’abitazione 137 VII Convegno Federazione Speleologica del Lazio Uniti tanto che nel volume “The subterranean World” di Georg Hartwig (1813-1880), stampato a New York nel 1871, si legge: “The phenomenon of wind-grottoes is analogous to that of ice-caves, and not seldom associated with it. Here cold currents of air, increasing in violence as the dayis hotter, are found to blow from the interstices of rocks. One of the most celebrated of these italian caverns is found near Terni in Italy. The entrance is closed by anold gate, through the crevices of which the wind issues with a rustling noise, while in the grotto itself the current issufficiently strong to extinguish a torch. The proprietor of some neighbouring villas have put the phenomenon to an ingenious use. Leaden pipes, branching out from the grotto, convey on sultry summer days an agreeable coolness through masks of gypsum with wide distended mouths, which are fixed in the walls of the apartments”. Anche la famigerata guida turistica Baedeker, in un’edizione in inglese del 1875 dedicata all’Italia centrale, non manca di citare Cesi “loftily, situated, 4 3/4 M. to the N. of Terni, possesses remains of ancient polygonal walls and interesting subterranean grottoes of considerable extent, from which a current of cool air in summer, and of warm in winter issues”. considerations regarding karstic evolution of desert limestone plateaus. In: “International Geomorphology”, Part II, V. Gardner editor, John Wiley & Sons, pp. 1199-1206. Bibliografia scientifica De Freitas C. R., Littlejohn R. N., Clarkson T. S., Kristament I. S. (1982). Cave climate: assessment of airflow and ventilation. Journal of Climatology, 2, pp. 383-397. Castellani V., Dragoni W. (1986). Evidence for Karstic Mechanisms involved in the evolution of Moroccan Hamadas. International Journal of Speleology, 15, pp. 57-71. Cattuto C., Gregori L., Melelli L., Taramelli A., Troiani C. (2002). Palaeogeographic evolution of Terni Basin. Bollettino Società Geologica Italiana, 1, pp. 865-872. Choppy J. (1986). Microclimats. Phenomenes karstiques: processus climatiques. Syntheses karstiques, 4, pp. 1-67. Cigna A. A. (1971). An analytical study of air circulation in cave. International Journal of Speleology, 3(1-2), pp. 41-54. Cigna A. A., Forti P. (1986). The speleogenetic role of air flow caused by convection. 1st contribution. Int. J. of Speleology, 15, pp. 41-52. Cigna A. A. (2002). Modern trend in cave monitoring. Acta Carsologica, 31(1), pp. 35-54. Atkinson T. C., Smart P. L., Wigley T. M. L. (1983). Climate and natural radon levels in Castleguard Cave, Columbia Icefields, Alberta, Canada. Arctic and Alpine Research, 15, pp. 487-502. De Waele J., Piccini L. (2008). Speleogenesi e morfologia dei sistemi carsici in rocce carbonatiche. In: Parise M., Inguscio S. e Marangella A. (Eds.), Atti del 45° Corso CNSS-SSI di III Livello di Geomorfologia carsica, pp. 23-74. Badino G. (1995). Fisica del clima sotterraneo. Memorie dell’Istituto Italiano di Speleologia, 7, Serie II, pp. 136. Badino G. (2008). Micrometeorologia delle grotte. I° Congresso DFG, Torino, 7-8 Aprile 2008. Di Matteo L., Dragoni W., Valigi D. (2009). Update on knowledge of water resources of Amelia Mountains (Central Italy). Italian Journal of Engineering Geology and Environment, 1, pp. 83–96. Badino G. (2010). Underground meteorology - “wath’s the weather underground” Acta Carsologica, 39(3), pp. 427-448. Bögli A. (1978). Karsthydrographie physische Speläologie. Springer, Berlin. Di Matteo L., Dragoni W. (2006). Climate Change and Water Resources in Limestone and Mountain Areas: the case of Firenzuola Lake (Umbria, Italy). Proc. of 8th Conference on Limestone Hydrogeology, Neuchâtel, Switzerland, Presses universitaires de FrancheComté, pp. 83–88. und Brozzetti F., Lavecchia G. (1995). Evoluzione del campo degli sforzi e storia deformativa nell’area dei Monti Martani (Umbria). Bollettino Società Geologica Italiana, 114, pp. 155-176. Di Matteo L., Menegon S., Rossi A. (2014). L’ambiente ipogeo della montagna di Cesi (TR): Castellani V., Dragoni W. (1987). Some 138 Speleologia del Lazio, 9 | dicembre 2018 primi risultati del monitoraggio termo-igrometrico all’interno della grotta degli Arnolfi. Culture Territori Linguaggi, 4(I), pp. 117-127. 36-45. Lang M., Faimon J. (2013). Is the Helmholtz resonator a suitable model for prediction of the volumes of hidden cave spaces? In Proc. of 16th International Congress of Speleology, Edited by Michal Filippi and Pavel Bosák, V2, pp. 354-357. Di Matteo L., Menegon S., Rossi A. (2016). Understanding karst environments by thermohygrometric monitoring: preliminary results from the Cesi Mountain karst system (Central Italy). Sottomesso alla rivista Italian Journal of Groundwater in data 08.03.2016. Pflitsch A., Wiles M., Horrocks R., Piasecki J., Ringeis J. (2010). Dynamic climatologic processes of barometric cave systems using the example of Jewel cave and wind cave in South Dakota, USA. Acta Carsologica, 39, 3, 449-462. Dragoni W., Verdacchi A. (1993). First results from the monitoring system of the karstic complex “grotte di Frasassi-grotta grande del vento” (Central Apennines, Italy). Hydrogeological Processes in Karst Terrains (Proceedings of the Antalya Symposium and Field Seminar, October 1990), IAHS Publ. no. 207, 1993. Pialli G. (1976). Paleomagnetic stratigraphy of pelagic carbonate sediments. Memorie della Società Geologica Italiana, XV, 128 pp. Faimon J., Troppová D., Baldík V., Novotný R. (2012). Air circulation and its impact on microclimatic variables in the Císařská Cave (Moravian Karst, Czech Republic). Int. J. Climatol., 32, pp. 599 – 623. Plummer W. T. (1969). Infrasonic resonances in natural underground cavities. The Journal of the Acoustical Society of America, 46(5) Part I, pp. 1074-1080. Smithson P. A. (1991). Inter-Relationships Between Cave and Outside Air Temperatures. Theoretical and Applied Climatology, 44, pp. 65-73. Geiger R. (1961). Das Klima der bodennahen Luftschicht. Braunschweig, Vieweg & Sohn, 640 p. Gregori L. (2012). Terni, scheda n. 14”. In: Il “Viaggio in Italia” di J.W. Goethe e il paesaggio della geologia, (a cura di Mario Panizza e Paola Coratza), ISPRA, pp. 47-49. Trombe F. (1952). Traité de Spéléologie. Payot, Paris, pp. 276. Bibliografia parte storica ISPRA (2010). Archivio nazionale indagini del sottosuolo (L 464/1984). http://sgi.isprambiente. it/indagini/scheda_indagine.asp?Codice=168676. Vincent de Beauvais “Speculum Maius” - Venezia 1541 books.google.it Jeannin, P.-Y. (2001). Modelling flow in phreatic and epiphreatic karst conduits in the HoÅNlloch Cave (Muotathal, Switzerland). Water Resources Res., 37, 191–200. Johannes Kepler “Harmonices mundi” - lib. 4 Francoforte – 1619 books.google.it Felice Contelori “Memorie Historiche della terra di Cesi” – per Nicolò Angelo Tinaffi, Roma 1675 - books.google.it Luetscher M., Jeannin P-Y (2004). Temperature distribution in karst systems: the role of air and water fluxes. Terra Nova, 16, pp. 344–350. Lismonde B. (1981). Circulation d’air dans les réseaux souterrains à deux ouvertures. In: “Colloque de Seyssins sur le Karst”, Fédération Francaise de Spéléologie, pp. 37–53. Gasparo Murtola “Della Creazione del Mondo – Poema Sacro” – Evangelista Deuchino et Gio. Batt. Pulciani – Venezia 1608 – books.google.it Andrea Bacci “De Thermis” - Typographia Icobi Mascardi – Roma - 1622 - www.archive.org Menegon S. (2016). “Le prigioni dei venti Storia ragionata delle grotte eoliche di Cesi”, Terni, ISBN 979-12-200-1434-2 Giovanni Badino “Il vento ipogeo: una storia delle prime osservazioni” in Atti e Memorie della Commissione Grotte “E. Boegan” Vol. 46, pp. 3170, Trieste 2016 Menichetti M., Tosti S. (2008). Caratteristiche geologiche e microclimatiche della “Grotta che Fuma” nei Monti di Gubbio (233 U/PG). Memorie dell’Istituto Italiano di Speleologia, s.II(XXI), pp. Athanasius Kircher “Mundus subterraneus” Tomo I – Joannes Janssonium a Waessberge & filios - 139 VII Convegno Federazione Speleologica del Lazio Amsterdam 1678 - www.archive.org “Enciclopedia italiana e dizionario della conversazione”. Vol VII, Venezia 1844 - books. google.it Johannes Herbinius “Dissertationes admirandis mundi cataractis supra et subterraneis” -Amstelodami -1678 books.google.it Archivio Nazionale di Terni, Fondo Pressio Colonnese Graziani, cartella 6 Maximilen Misson “Voyage d’Italie” Tome IV – Paris 1743 archive.org Renzo Nobili - “Cesi nell’età moderna”, Terni Ed. Thyrus 2008 Edward Wright “Some observations made in travelling through France, Italy, &c. : in the years 1720, 1721, and 1722 “ - A. Millar in the Strand London 1764 www.archive.org P. D. Giovanni Maria della Torre , “Scienza della natura particolare” parte seconda, Napoli 1778 books.google.it English gentleman “Tour through several parts of Europe and the East” Vol. II - W. Bristow and C. Etherington, London, 1760 - www.archive.org Giornale Arcadico di Scienze, Lettere ed Arti”, Tomo XXX, Aprile Maggio e Giugno - Roma 1826 - books.google.it Joseph Jérôme Lefrançois de Lalande “Voyage d’un Français en Italie, fait dans les années 1765 et 1766”, Tome VII, Parigi 1769 books.google.it Giuseppe Ponzi in “Raccolta di lettere ed altri scritti intorno alla fisica ed alle matematiche”, Roma 1845 - books.google.it “Journal de Physique, de chimie, d’histoire naturelle et des arts’’, Tome VII, Parigi 1776 Francesco Milizia, “Principi di Architettura Civile”, Tomo secondo, Bassano 1785 - books. google.it Horace-Bénédict de Saussure “Voyage dans le Alpes”, Tome III, Luis Fauche-Sorel, Neuchatel 1796 Francesco Orioli, “L’arte di riparare dai calori estivi le abitazioni e le persone”, Napoli 1825 books.google.it Johann Jacob Volkamann “Historische-kritischen Nachrichten von Italien”, Vol. III., Caspar Fritsch, Leipzig, 1770/71 - Traduzione Franco Dominijanni - www.archive.org Georg Hartwig, “The Subterranean World” – New York 1871 - books.google.it Ant. Federico Büsching “Nuova Geografia” tradotta in lingua toscana dall’Ab. Gaudioso Jagemann”, Tomo XXIV, Venezia 1778 K. Baedeker, “Handbook for travellers; Central Italy, Roma”, Leipsic 1875 - books.google.it Immanuel Kant “Geografia Fisica” Tradotta dal tedesco”, Vol. IV, Milano 1809 Vincenzo Tizzani “Una gita al Santuario di Loreto”, Salviucci, Roma 1880 Adone Palmieri “Topographia statistica dello Stato Pontificio, ossia Breve descrizione delle città e paesi”, Tipografia Forense, Roma 1859 Giuseppe Riccardi, “Ricerche istoriche e fisiche sulla Caduta delle Marmore ed osservazioni sulle adiacenze di Terni”, Spoleto 1818 - books. google.it Gaetano Moroni Romani “Dizionario di erudizione storico-ecclesiastica” - Vol. LXIX – Venezia - 1854 Biblioteca Nazionale Centrale di Roma Vittorio Emanule II - Fondo Vitt. Em. 1258 vol.5 140 Speleologia del Lazio, 9 | dicembre 2018 il canyon del quirino riserva naturale oasi wwf guardiaregia - campochiaro matese nord-orientale, molise PIETRO CORTELLESSA - MARCO TOPANI Introduzione Inquadramento geologico e territoriale È attualmente in fase di elaborazione lo studio di uno dei paesaggi più affascinanti dell’Appennino meridionale nel versante nord orientale del massiccio del Matese, riguardante in particolare il Canyon del Quirino. Ricadente nei comuni di Guardiaregia e Campochiaro (Cb), il canyon presenta una profonda frattura alta mediamente 400 m, con uno sviluppo di circa 5 km e un dislivello di 260 m (dal Ponte Arcichiaro, sull’omonimo bacino idroelettrico, alla chiesa di S. Maria ad Nives di Guardiaregia), costituita da una struttura calcarea originatasi da sedimenti marini carbonatici del Cretacico. Lo studio ha lo scopo di censire e topografare le cavità formatesi all’interno del complesso e di verificare l’esistenza di una ipotetica connessione con i due grandi sistemi carsici del centro-sud considerati tra i più importanti d’Italia: Pozzo della Neve e Cul di Bove. Il Massiccio del Matese, ultimo contrafforte orientale dell’Appennino calcareo, è allineato all’incirca NO-SE sul confine tra il Molise e la Campania per oltre 50 km, costituendo un compatto massiccio carbonatico esteso per più di 1000 km 2 tra le province di Campobasso e Isernia nel Molise, Caserta e Benevento nella Campania. Compreso nei Fogli 161 IS; 162 CB; 172 CE; 173 BN della Carta Geologica d’Italia, è distinto in due unità stratigraficostrutturali: l’Unità del Matese Orientale e l’Unità del Matese Nord-Occidentale, derivanti la prima dalla Piattaforma Carbonatica Laziale-Abruzzese-Campana, la seconda dalla Piattaforma Carbonatica Abruzzese-Molisana. Il Settore nord-orientale del Matese, parte integrante dell’Area “Conca di Boiano – Piana di Sepino, si presenta come un’alternanza di creste e dirupi inaccessibili, profonde valli e strette gole. I rilievi più alti che si collocano sulla linea principale dello spartiacque sono rappresentati dal M. Mutria, dal M. Acerone, da La Gallinola, dal M. Miletto e dal M. Morrone, spesso caratterizzati da versanti a prevalente controllo strutturale (erosione idrica, frane). Tra i processi morfogenetici presenti in questo settore l’idrografia di superfice e quella sotterranea, responsabile di significativi fenomeni di carsismo profondo, costituiscono un elemento di primaria importanza in quanto favoriscono e sviluppano la genesi di pozzi, inghiottitoi e grotte, con la presenza di numerose doline, polje ed uvala. Figura 1 - Grotta delle Vaschette o Grotta del Pesce 141 VII Convegno Federazione Speleologica del Lazio Figura 2 - Area geografica. In verde la riserva del WWF stesso appartiene; in particolare, si può ipotizzare che la formazione della forra sia dovuta alla particolare struttura tettonica, distinta da una rete di fratture che impostano la rete idrografica; alla litologia del territorio, fatta di calcari stratificati e banchi dislocati in monoclinali; all’erosione fluviale, che ha inciso profondamente l’area in corrispondenza delle fratture, anche per aver intercettato, durante il suo approfondimento, fenomeni carsici epigei ed ipogei. In sintesi, il modellamento del Canyon sarebbe avvenuto per la convergenza tra morfogenesi fluviale e carsica. Area di lavoro Il Canyon del Quirino ricade nell’area protetta SIC-ZPS più grande della Regione Molise, denominata “La Gallinola - M. Miletto - Monti del Matese” e più precisamente all’interno della Riserva Regionale Naturale di Guardiaregia – Campochiaro, un’area, istituita nel 2010, di 3.135 ettari e considerata di notevole interesse paesistico e naturalistico, gestita dal WWF. La genesi e la storia evolutiva del Canyon si inquadrano in quelle più ampie del Matese, cui lo Figura 3 - Area con la maggior concentrazione di cavità. Cerchi gialli: fossati; triangoli blu: campi base. 142 Speleologia del Lazio, 9 | dicembre 2018 Figura 4 - Ad Ovest del Canyon: gli ingressi di Pozzo della Neve e Cul di Bove Figura 5 - Database delle sorgenti del Molise. Il fiume Quirino nasce da un gruppo sorgentizio che si inserisce nel bacino intramontano delimitato ad est, a sud e a ovest dalla linea di displuvio Montagna Vecchia – Monte Tre Confini – Monte Mutria – Passo La Crocella – Costa S. Angelo – Costa Chianetta. Le sorgenti che emergono dai terreni, in genere arenarie e marne argillose, comprendono: le Sorgenti Piscigli, la Fonte della Ratica, la Fonte Vateferrone, il Rio Vivo, Fonte La Tagliata, le Sorgenti Bricciarello (prodotte dall’erosione di Monte Mutria) e le Sorgenti di Capo Quirino considerate le più copiose. Nei pressi di Guardiaregia, il Canyon del Quirino riceve le acque del torrente Vallone Grande attraverso la spettacolare cascata di San Nicola che, con tre salti, raggiunge un’altezza di circa 100 m. 143 VII Convegno Federazione Speleologica del Lazio derivante dal crollo della volta, sia la presenza di speleotemi e di materiale terrigeno, segno di una stretta relazione con l’idrografia di superficie. Ad eccezione di alcune (Complesso Grotta dei Briganti, Camera Nera, Belvedere, Panoramico, Buco Nero, Veranda dell’Eremita, Gruppo Alpha, Sala Beta) la Grotta dell’Eremita, la Grotta del Caprone, la Grotta delle Vaschette o anche denominata la Grotta del Pesce, la Grotta di Ros e la Grotta Frittata & Cipolla sono da considerarsi al momento le più significative tra quelle osservate. Si va dalla prima, che si caratterizza per avere una struttura tipicamente ipogea, con un ingresso basso, un’ampia sala con una piccola finestra dalla quale si accede ad uno stretto cunicolo che scende per decine di metri; per arrivare poi, via via, alle altre, tutte costituite per lo più da un unico ambiente, con dimensioni che variano fino ad arrivare ai 40 m di lunghezza. All’interno di un paio di queste, inoltre, è da segnalare la presenza di blocchi calcarei che, ritraendo vagamente i profili di un caprone e di un pesce (dai quali, il nome dato rispettivamente alle due grotte), per la precisione dei suoi tratti, fa supporre che siano stati modellati dall’uomo. Storia delle esplorazioni Le osservazioni e le successive esplorazioni iniziate nel 2015, tuttora in corso, hanno evidenziato l’esistenza in parete di una serie di grotte, sgrottamenti e fratture con una prevalenza nel versante di Campochiaro rispetto a quello di Guardiaregia. Più precisamente in un settore del canyon posizionato a nord del Ponte di Arcichiaro, dove la presenza di una serie di valloni, impostati N-NE sulla gola, contribuisce alla formazione della rete idrografica del complesso carsico. Attraverso alcuni Punti Osservazione, dei veri e propri balconi (7 per la precisione) posizionati lungo il bordo superiore del canyon, si soni potuti individuare una serie di obiettivi che, una volta video-fotografati, sono stati traguardati con bussola e clinometro. Ciò ha consentito, una volta eseguita la restituzione su carta IGM, di individuare in loco i punti dai quali poter raggiungere (in molti casi sono state utilizzate delle corde) le aperture. Le cavità esplorate e rilevate sono caratterizzate prevalentemente da un andamento orizzontale: all’interno è stato possibile individuare sia depositi di materiale, Figura 6 - Gruppo Alpha. 144 Speleologia del Lazio, 9 | dicembre 2018 Figura 7 - Grotta del Caprone. Figura 8 - Buco Nero. Figura 9 - Ingresso della Grotta dell’Eremita Figura 10 - Grotta Frittata & Cipolla Figura 11 - Vista sul Canyon del Quirino 145 VII Convegno Federazione Speleologica del Lazio Conclusioni La grotta dell’Eremita Lo studio fin qui svolto oltre ad evidenziare gli aspetti morfogenetici descritti nella parte introduttiva, ha stabilito anche una relazione tra l’ambiente carsico e alcuni fenomeni di antropizzazione. La Grotta dell’Eremita (versante Campochiaro) e la Grotta di Ros, parte integrante del Complesso delle Grotte dei Briganti (versante Guardiaregia), insieme a una fitta ed intricata rete di sentieri testimoniano quanto, in epoche remote, fossero state vissute. In generale, per quanto riguarda le cavità presenti nella gola e in particolare gli ingressi di alcune di esse, rimane ancora molto da fare, considerando che accedervi risulta tecnicamente più difficile. Inoltre, sarà necessario percorrere il greto del Torrente Quirino (in parte osservato dal versante della diga di Arcichiaro) per avere una visione completa della struttura e acquisire una nuova prospettiva che aiuti ad individuare altri ingressi. La grotta presenta un ingresso alto circa 1 m e largo 4 m dal quale si accede ad un’ampia sala di circa 13x8 m alta circa 5 m, alla cui estremità (N-NO) si apre un cunicolo di ampiezza di circa 1,5 m alto 1 m che scende, su un piano inclinato, per circa 14 m con un dislivello approssimativo di 2 m. Il primo ambiente non presenta alterazioni, mentre nel cunicolo è parsa evidente una netta azione antropica dovuta alla presenza di un manufatto (muro realizzato sia con malta che a secco) edificato lungo tutto il fianco sinistro del cunicolo fino alla base. Figura 11 - Grotta dell’Eremita: rilievo e foto del cunicolo interno 146 Speleologia del Lazio, 9 | dicembre 2018 Figura 12 - Grotta del Caprone: rilievo Gruppo di lavoro Grotta del Caprone Gaetano Boldrini, Marco Topani, Pietro Cortellessa, Monica Falcinelli, Antonello Di Pardo, Pino Mazzulli, Silvia Carrozzo, Franco Catalano, Federica Cocchi, Valeria Pasqualini, Fabio Tarini, Gabriele Persia, Piero Festa (ASR) - Fabio Baranello (ASM) - Cristian Bulli, Marco Colantoni, Laura Bernardi (GSCAI) - Manuela Merlo (GSG 2007) - Camillo Tenaglia, Rosario Capparelli (SG). La cavità è costituita da un ampio salone di 18x17 m con una volta alta 4,5 metri, all’interno della quale si trova una discreta quantità di arbusti secchi e biancastri recisi nettamente alla base, ma soprattutto un blocco calcareo che, ritraendo vagamente il profilo di un caprone (da cui il nome dato alla grotta), per la precisione dei suoi tratti fa supporre che sia stato modellato dall’uomo. Ringraziamenti Per la disponibilità e cortesia mostrata si ringrazia il Dott. Nicola Merola responsabile dell’Oasi WWF Guardiaregia-Campochiaro e Michele Marinelli guardaparco della Riserva. Cartografia Carta del Parco Regionale “Matese” tav. B scala 1:25000, Regione Campania. Database delle sorgenti del Molise, Università degli studi del Molise - Regione Molise Direzione Generale 4° Servizio Geologico - Groundwater Research Centre Planimetria ZPS, Provincia di Campobasso. Cartografia, Riserva Naturale Regionale Guardiaregia-Campochiaro Oasi WWF. F 162 III NO Boiano scala 1:25000, Cartografia IGM. Figura 13 - Grotta dei Caprone: particolare di un blocco calcareo a forma di caprone 147 VII Convegno Federazione Speleologica del Lazio Figura 14 - Quadro generale dei risultati conseguiti: Gruppo Alpha, Grotta dell’Eremita, Veranda dell’Eremita, Grotta del Caprone, Belvedere, Panoramico, Camera Nera, Buco Nero, Punto Calata 90, Dolina Area 2, Varie versante Guardiaregia, Sala Gamma, Salone Beta, Grotta delle Vaschette. N.B.: PO = Punto Osservazione Bibliografia Michele Mainelli, Itinerari Paleontologici nel Matese Orientale, Ripalimosani, Arti grafiche la Regione, 1999. Michele Mainelli, Sorella Acqua, Il bacino idrografico dell’Alto Biferno Figura 15 - Apertura di una grotta lungo il Canyon del Quirino Carmen Russkopf, Caratterizzazione geologicoambientale del territorio molisano e delle unità territoriali (macro-aree) individuate, Regione Molise e Università degli Studi del Molise, Pesche (IS), 2014. Servizio Geologico D’Italia, Note Illustrative della Carta Geologica d’Italia, Foglio 162 Campobasso. F. Russo - F. Terribile, Osservazioni geomorfologiche, stratigrafiche e pedologiche sul Quaternario del Bacino di Bojano (Cb), in “Il Quaternario”, 8 (1), 1995, pp. 239-254. Campania Speleologica. Atti del III Convegno Regionale di Speleologia, (Napoli, 2-4 giugno 2017). Figura 16 - Grotta dei Briganti, vista dal versante di Campochiaro 148 Speleologia del Lazio, 9 | dicembre 2018 LA RETE REGIONALE DI MONITORAGGIO DEI CHIROTTERI NELLA REGIONE LAZIO MARCO SCALISI ALESSANDRA TOMASSINI sia la “scoperta” di nuove colonie sia il monitoraggio e il controllo di quelle già conosciute. Riassunto Le grotte rappresentano un luogo straordinario particolarmente sensibile, non solo dal punto di vista delle strutture geologiche ma anche da un punto di vista biologico. In particolare le grotte ospitano molte specie di Chirotteri, che sono tutelate da numerose norme tra cui la Direttiva 92/43/CEE “Habitat”. In questa ottica è stata istituita, nella Regione Lazio, una rete per il loro monitoraggio. La collaborazione con gli speleologi permette di integrare i vari aspetti di tutela sia geologica sia biologica, che, anche nella prospettiva della L.R. 20/99, diventa un elemento fondamentale per l’efficacia delle azioni finalizzate alla preservazione di questi delicati ambienti. Per permettere la funzionalità della Rete, l’intero territorio regionale del Lazio è stato diviso in 15 macro-aree affidate al coordinamento di altrettanti referenti territoriali. Le attività di campo sono realizzate grazie al supporto dei rilevatori afferenti alla Rete, ai quali la collaborazione del mondo speleologico può imprimere una svolta sostanziale nella raccolta dei dati. La Rete regionale di monitoraggio dei Chirotteri (CHIROnet_Lazio) opera dal 2014 e coinvolge sia soggetti interni che soggetti esterni all’amministrazione regionale (Università di Napoli Federico II, Tutela Pipistrelli-onlus, Gruppo Italiano Ricerca Chirotteri, Federazione Speleologica del Lazio). Le attività della Rete coinvolgono tutti i territori del Lazio e concentrano l’attenzione sui siti di roost, dei quali le grotte sono tipologie elettive e particolarmente importanti. L’obiettivo è quello di raccogliere dati sulle tendenze e sullo stato di conservazione dei popolamenti, in siti prescelti e con modalità che consentano la facile e standardizzata raccolta dei dati da parte di personale qualificato ma non specialista. Obiettivi Gli obiettivi della Rete sono molteplici pur vertendo ad un unico scopo, rappresentato dalla conservazione della natura. Il primo obiettivo specifico è la rendicontazione alla Commissione Europea dello stato di conservazione delle specie, per rispondere agli artt. 11 e 17 della Dir. 92/43/CEE “Habitat”. Gli obblighi derivanti da questi due articoli della direttiva sono demandati, con il DPR 357/97, alle singole regioni. In questo processo di raccolta dei dati e di monitoraggio dei popolamenti di Chirotteri, il supporto degli speleologi è necessario e fondamentale. Infatti sono gli speleologi, più di altri, a conoscere le cavità in cui sono presenti questi animali e a sostenere la conservazione di questi ambienti. L’apporto degli speleologi riguarda I dati raccolti permettono di rispondere agli obblighi di monitoraggio strictu sensu e, come immediata conseguenza, di adattare la gestione 149 VII Convegno Federazione Speleologica del Lazio Figura 1 - Immagine restituita dalla termocamera durante il conteggio diretto in fase di emergenza dei pipistrelli dalle cavità Figura 2 - Fotografia utilizzata per il conteggio delle colonie ibernanti; per quanto possibile la ripresa è effettuata in maniera azimutale rispetto alla colonia dei siti sia quando sono parte della Rete Natura 2000, come nel caso delle Zone Speciali di Conservazione (ZSC), sia nel caso in cui siano presenti habitat di specie di interesse unionale, ovvero di specie elencate nell’all. II e IV della direttiva stessa, anche al di fuori dei siti della Rete Natura 2000. Le attività di monitoraggio, in questi primi anni di funzionamento della Rete, sono state concentrate sulle specie troglofile di pipistrelli e quindi le visite hanno riguardato, quasi in via esclusiva, siti ipogei naturali e artificiali. Il disegno del monitoraggio, secondo quanto suggerito da Elzinga e collaboratori (2001), si è basato sulla semplicità dei metodi, dell’esplorazione dei luoghi e della replicabilità del controllo; queste scelte sono state fatte per permettere il monitoraggio di lungo periodo anche tramite personale non specializzato, seppur formato. L’impiego di personale non speleologo, ad esempio, ha reso necessaria la scelta, per il monitoraggio, dei soli siti sub-orizzontali facilmente visitabili, con un’unica eccezione (Pozzo Miesole). L’altro importante obiettivo è di raccogliere dati che possano essere utili a fini valutativi sia dalla parte pubblica, solitamente valutativa, che privata, solitamente progettuale o ludico-ricreativa. Metodi Dal 2014 è operativa la Rete regionale di monitoraggio dei Chirotteri, denominata CHIROnet_ Lazio, formata da 15 referenti territoriali con compiti di coordinamento delle macroaree assegnate, 3 referenti specialisti (esterni all’Amministrazione) e 71 rilevatori. La rete è quindi costituita, in via principale, come struttura istituzionale della Regione Lazio che impiega quasi totalmente personale della Regione stessa, personale in servizio presso le aree naturali protette regionali o presso gli altri enti su cui grava la tutela di specie e habitat di interesse unionale: i parchi nazionali. Il supporto degli specialisti esterni è l’elemento essenziale che garantisce il livello e la qualità dei dati raccolti e dei metodi utilizzati. L’obiettivo perseguito in questa specifica attività di monitoraggio (sensu art. 8 DPR 357/97), meglio definita nella Dir. 92/43/CEE come sorveglianza dello stato di conservazione, è di tracciare l’andamento del popolamento di chirotteri nel territorio regionale (parametro popolazione), al fine di gestire, in maniera adattativa, le specie trattate garantendone il buono stato di conservazione. Al parametro popolazione, si aggiungono anche gli altri due necessari per rispondere agli obblighi della direttiva, quello del range e dell’habitat delle specie. I metodi utilizzati per il conteggio degli animali sono differenziati in base al periodo fenologico, tenuto conto che in questa prima fase di avvio del monitoraggio sono stati controllati quasi esclusivamente le specie troglofile. Durante il periodo riproduttivo si utilizza il visual counts come suggerito, fra gli altri, da Agnelli e collaboratori (2004) durante la fase di emergenza, ovvero la fase in cui i pipistrelli fuoriescono dalle grotte al crepuscolo: nel caso della CHI- Man mano che la Rete si è strutturata e organizzata, i dati che sono stati raccolti hanno assunto le connotazioni di un monitoraggio in senso stretto, pur non tralasciando l’attività di ricerca di nuovi siti e di valutazione di quelli segnalati. 150 Speleologia del Lazio, 9 | dicembre 2018 Figura 3 - Dislocazione dei siti sottoposti a monitoraggio nel territorio regionale ROnet_Lazio si utilizza l’osservazione diretta tramite termocamera (Fig. 1) o telecamera IR. Solo dopo la fine della fase di emergenza, e con la supervisione di un mammalogo esperto di Chirotteri, sono visitati i siti ipogei per la verifica delle nascite e l’identificazione delle specie presenti. Entrare nelle cavità solo in assenza degli adulti, o almeno la maggior parte di essi, garantisce che non vi sia disturbo della colonia e quindi che non vi sia abbandono del sito, o peggio ancora, degli eventuali nuovi nati da parte delle madri. N di hibernacul nursery: swarming: stazioni a: specie specie specie visitate rilevate rilevate rilevate 2013 2014 2015 2016 2017 13 23 35 34 36 2 11 16 15 26 2 12 18 11 14 2 7 0 0 3 Tabella 1 - Visite effettuate durante il periodo di attività della CHIROnet_Lazio suddivise per anno e per tipologia di roost. Ogni roost può essere utilizzato dai pipistrelli per uno o più periodi fenologici e pertanto ogni stazione può essere stata visitata più volte nell’arco di un anno Il monitoraggio invernale viene effettuato durante il periodo più freddo dell’anno perché si presume ci sia il maggior numero possibile di individui (Kunz et al., 1996). La visita nel rifugio è attuata da pochi operatori, di norma due, che agiscono nel minor tempo possibile, riducendo al minimo il disturbo sonoro e luminoso: sono utilizzate solo luci a led, ad eccezione del lampeggiatore della fotocamera, e la tecnica prevede la fotografia della colonia principale per il successivo conteggio; le riprese sono effettuate, per quanto possibile, in maniera azimutale (Fig. 2), così da avere il minimo errore di parallasse con conseguente massima visione degli individui presenti. Gli individui sparsi e i raggruppamenti minori sono contati a vista e annotati appena terminata la visita. Risultati Dal 2013, anno di costituzione della Rete, sono state effettuate, in maniera mirata, visite negli ipogei in cui era stata rilevata, sulla base dei dati della banca dati chirotteri della Regione Lazio, una probabilità di presenza di colonie; le visite effettuate sono sintetizzate nella tabella 1. Nel 2017, la lista consolidata delle stazioni sottoposte a monitoraggio conta 36 siti (Fig. 3), ognuno monitorato per una o più fasi fenologiche. Le specie presenti nei siti sottoposti a monitoraggio sono 15, delle 24 presenti nel Lazio, e riportate in Tab. 2. 151 VII Convegno Federazione Speleologica del Lazio Figura 4 - Suddivisione del territorio regionale in macroaree; ogni macroarea ha un referente territoriale Le attività di monitoraggio sono suddivise per macroaree (Fig. 4), ognuna delle quali affidata ad un referente territoriale. Hypsugo savii Miniopterus schreibersii Myotis blythii Myotis capaccinii Myotis emarginatus Myotis myotis Myotis myotis/blythii Nyctalus leisleri Pipistrellus kuhlii Pipistrellus pipistrellus Plecotus auritus Rhinolophus euryale Rhinolophus ferrumequinum Rhinolophus hipposideros Tadarida teniotis I dati raccolti durante i primi anni di funzionamento della CHIROnet_Lazio, hanno permesso di accumulare importanti informazioni per la gestione dei siti e per la rendicontazione delle popolazioni presenti. Tutti i dati raccolti sono stati innestati all’interno di una singola banca dati, già implementata durante un precedente progetto in cui era stato fatto un punto Ø delle conoscenze sui Chirotteri nel Lazio e per il quale erano state visitate molte stazioni per l’acquisizione dei dati ultrasonori. Sebbene il picco di stazioni visitate sia stato registrato nel 2008 (Fig. 5), con l’avvio della rete di monitoraggio aumenta esponenzialmente il numero di individui contattati, ovvero censiti, dato necessario per iniziare a costruire le tendenze delle popolazioni (Fig. 6). Tutti i dati raccolti sono stati collegati, laddove possibile, con il catasto regionale delle grotte consegnato alla Regione Lazio (Fig. 7) e curato, ai sensi della L.R. 20/99, dalla Federazione Speleologica del Lazio (FSL). Tabella 2 - Lista delle specie di Chirotteri ritrovati durante le attività di monitoraggio. Il monitoraggio, ad oggi, è effettuato soprattutto nelle grotte e pertanto le specie rilevate sono soprattutto quelle troglofile La raccolta dei dati, seppur parziale, operata dalla CHIROnet_Lazio, inizia a dare una più 152 Speleologia del Lazio, 9 | dicembre 2018 Figura 5 - Numero di stazioni (punti di campionamento) riportati all’interno della banca dati suddivisi per anno; i dati possono provenire sia da bibliografia che da rilievi Figura 6 - Numero di pipistrelli contattati per anno (bibliografia o rilievi); i grandi numeri registrati negli ultimi anni sono direttamente collegati alle attività di monitoraggio Il più importante risultato della Rete è però quello di aver fatto sistema con i vari attori che intervengono sul territorio: amministrazioni centrali, aree naturali protette, ricercatori, speleologi, appassionati e semplici cittadini. Ognuno degli attori coinvolti porta un importante ed insostituibile chiara entità delle popolazioni presenti, della loro distribuzione e della concentrazione su singoli siti che ne evidenziano l’importanza (Figg. 8 e 9) e dai quali si possono trarre gli spunti opportuni per le attività di tutela dei siti, in base alla numerosità delle colonie e al tipo di roost. 153 VII Convegno Federazione Speleologica del Lazio Figura 7 - Cavità naturali presenti nel catasto delle grotte consegnato alla Regione Lazio dalla FSL Figura 8 - Distribuzione delle colonie di Chirotteri nel Lazio con la relativa numerosità 154 Speleologia del Lazio, 9 | dicembre 2018 Figura 9 - Distribuzione delle colonie di Chirotteri nel Lazio con la relativa tipologia di roost Tidermann, C. R. Pierson, E. D., Racey, P. A., 1996, Observational Techniques for Bats, in “Measuring and Monitoring Biological Diversity, Standard Methods for Mammals”, 105–114. Smithsonian Press, 1996. contributo alla conservazione delle specie, degli habitat e più in generale dei luoghi in cui si ritrovano queste specie. Il prezioso contributo degli speleologi deve essere consolidato nel più ampio scambio di informazioni ed esperienze, a tutto tondo, che permetta la conservazione delle specie e degli ambienti ipogei contemperandola con la fruizione rispettosa e sostenibile delle “grotte” stesse. Bibliografia Elzinga, C. L., Salzer, D. W., Willoughby, J. W., Gibbs, J. P., 2001. Monitoring plant and animal populations, New York. Blackwell Science. Agnelli, P., Martinoli, A., Patriarca, E., Russo, D., Scaravelli, D., & Genovesi, P., (eds), 2004. Guidelines for bat monitoring: Methods for the study and conservation of bats in “Italy. Quad. Cons. Natura”, 19bis; Min. Ambente – Ist. Naz. Fauna Selvatica. 216 pp. Kunz, T. H., Thomas, D. W., Richards, G. C. 155 VII Convegno Federazione Speleologica del Lazio Laboratorio didattico “Spelunca Docet” - disegno di un alunno della classe I B (secondaria di primo grado) dell’Istituto Comprensivo “San Vittorino - Corcolle” 156 Speleologia del Lazio, 9 | dicembre 2018 Geografia carsica dei Monti Aurunci Occidentali Un’analisi distributiva delle cavità nel territorio come possibile metodo di ricerca ANDREA CESARETTI - LUCA FORTI L o scopo del presente studio è quello di presentare un approccio di tipo geografico e sistematico dei fenomeni carsici ipogei nel territorio dei Monti Aurunci Occidentali mediante un’analisi distributiva che si è avvalsa di strumenti propri della statistica e dell’elaborazione dei dati in ambiente GIS. altrimenti erano catastate, fino al 2007, solo 67 grotte (SEGRE 1948; CIAUCHE 1979-1984; LA CIAUCA 1981-1985; MECCHIA ET ALII, 2003; MECCHIA & PIRO, 2004). Il lavoro si propone quindi come un’analisi territoriale, geografica, dell’area dei Monti Aurunci, nella fattispecie della porzione occidentale del massiccio, avvalendosi sia dei dati raccolti negli anni grazie ad una frequentazione sistematica, sia di quelli ricavati dal formidabile archivio rappresentato dal “Catasto delle Grotte e delle Aree Carsiche del Lazio”, senza il quale ogni forma di memoria legata alle grotte andrebbe inevitabilmente perduta. Queste informazioni sono state trasferite in Introduzione Un approccio di tipo geografico nella frequentazione speleologica di un territorio più o meno vasto, che si parli di un intero massiccio montuoso fino ad arrivare ad un unico versante di una singola montagna, permette senz’altro di aggiungere tasselli importanti alla conoscenza delle zone prese in esame. L’indagine ed esplorazione sistematica di tutte le grotte rinvenute su una superficie, e non solo di quelle selezionate in base alle uniche variabili di profondità ed estensione, consente infatti di ottenere grandi quantità di dati ed informazioni rilevanti sotto diversi punti di vista: per esempio storico, geografico, geologico e, non da ultimo, più propriamente speleologico. L’attività esplorativa del G.G.C.R. (Gruppo Grotte Castelli Romani) sui Monti Aurunci (G.G.C.R., 2010; G.G.C.R., 2013), ubicati nella porzione più meridionale della Catena dei Volsci (Fig.1), ha perseguito negli anni questo metodo di ricerca ottenendo come risultato il “popolamento”, speleologicamente parlando, di un territorio dove Figura 1 - Localizzazione dei Monti Aurunci 157 VII Convegno Federazione Speleologica del Lazio Figura 2 - Carta di distribuzione delle cavità attualmente note sui Monti Aurunci. Indicatori rossi: grotte catastate prima del 2007; indicatori verdi: grotte catastate tra il 2007 e il 2017 ambiente GIS (Geographical Information System, LELO, 2010A; LELO, 2010B), attraverso il quale è stata possibile, in seguito all’elaborazione di carte di distribuzione, l’estrazione di dati numerici che, in ultima istanza, sono stati oggetto di valutazione statistica. Il fine ultimo dell’analisi è certamente da un lato la ricostruzione della distribuzione delle cavità che rappresenta una buona base di partenza per studi ed osservazioni future, anche a prescindere dalla lettura interpretativa proposta in questa sede; dall’altro offrire una stima, seppur ancora a livello teorico, del potenziale speleologico del territorio. solo se i dati numerici in oggetto rappresentano un campione rilevante da un punto di vista quantitativo. Come già affermato precedentemente, l’area dei Monti Aurunci Occidentali si presta bene ad una lettura analitica di questo tipo: osservando la carta di distribuzione (Fig. 2) si noterà come le cavità attualmente note ammontano a ben 250, delle quali 163 risultano messe a catasto nei quasi dieci anni di attività del G.G.C.R. su questo massiccio. Nella zona presa in considerazione il presente lavoro propone, dunque, l’applicazione della specifica analisi statistica del χ² Test, o Goodness of Fit (BALDI, 1998), una tecnica particolarmente versatile ed efficace, non a caso abitualmente utilizzata in campi di studio anche molto diversi tra loro. Il χ² è un test di verifica di ipotesi che, su base matematica, permette di decidere se sia possibile o meno rifiutare l’ipotesi nulla, ovvero definire se la distribuzione di una popolazione di dati sia il risultato di casualità o no. L’analisi può essere di tipo non parametrico o parametrico; Analisi distributiva delle cavità sul territorio La distribuzione delle cavità all’interno di una porzione di territorio ben definita può essere determinata attraverso l’utilizzo di analisi statistiche di diverso tipo, le quali assumono valore 158 Speleologia del Lazio, 9 | dicembre 2018 Figura 3 - Carta di distribuzione delle grotte per esposizione dei versanti nello studio proposto la scelta di quest’ultima modalità ha visto l’individuazione di tre parametri strettamente legati alle caratteristiche geografiche e geomorfologiche del territorio: l’esposizione dei versanti, la loro acclività e le fasce altitudinali. Tali criteri sono andati a costituire i filtri che hanno consentito l’elaborazione di carte di distribuzione tramite l’utilizzo del software GIS, così da poter estrarre di volta in volta i dati numerici rappresentativi della distribuzione delle cavità sul territorio, infine verificata attraverso l’analisi statistica sopra descritta. evidenziato con colori differenti. Aggiungendo la distribuzione delle cavità è stato possibile estrarre il numero di grotte per ogni punto cardinale. Il dato numerico ottenuto è stato poi sistematizzato in due grafici (Fig. 4 - 5) che comparano il numero percentuale di grotte per ogni versante e le aree Distribuzione delle grotte per l’esposizione dei versanti La relazione tra le cavità e l’esposizione dei versanti dei Monti Aurunci in base ai punti cardinali è il primo parametro preso in esame. La carta estratta (Fig. 3) è il risultato dell’identificazione dell’esposizione di ogni versante di tutte le montagne dell’area in questione in base al proprio punto cardinale, il quale è stato Figura 4 - Area totale dei versanti (m2) 159 VII Convegno Federazione Speleologica del Lazio cavità per versante e le superfici complessive di questi senza concentrazioni significative su uno o più versanti in particolare. Tale risultato viene confermato anche dal χ² Test, che riconsegna infatti una distribuzione casuale delle grotte in base all’esposizione dei versanti. Interpretare questo tipo di informazioni rimane piuttosto complesso: l’ipotesi che potrebbe essere avanzata vedrebbe la sostanziale omogeneità nelle porzioni di versanti che sono stati battuti, ovvero senza predilezioni per versanti esposti in direzione di un punto cardinale specifico. Distribuzione delle grotte per l’acclività dei versanti Figura 5 - Percentuale di grotte per versante Il secondo parametro preso in esame riguarda il grado di acclività dei versanti montani: in questo caso la carta di distribuzione (Fig. 6) è stata costruita tenendo differenziati cromaticamente intervalli di 5 gradi di acclività. Il dato numerico, estratto e disposto in un grafico che incrocia totali degli stessi mantenendo, in entrambi i casi, i punti cardinali come variabile. Osservando questa seconda elaborazione si noterà fin da subito la quasi totale e diretta corrispondenza dei dati, che consiste nella proporzionalità tra la percentuale di Figura 6 - Carta di distribuzione delle grotte per acclività dei versanti 160 Speleologia del Lazio, 9 | dicembre 2018 per poi calare drasticamente, in altre parole il numero maggiore di grotte si registra sui versanti che hanno un grado medio di acclività. Non a caso anche l’applicazione del χ² Test restituisce come risultato una distribuzione non casuale dei dati. La spiegazione del basso numero di grotte per versanti con grado di acclività nullo o molto contenuto (0 – 15 gradi) è probabilmente legata a motivazioni di natura geomorfologica: le aree pianeggianti intramontane, sebbene costituiscano spesso dei bacini chiusi sospesi e, dunque, dei luoghi privilegiati per la formazione di doline ed inghiottitoi, ricevono gran parte del materiale di risulta del dilavamento dei versanti che può andare ad occludere eventuali ingressi di cavità. A queste cause di origine naturale bisogna aggiungere motivazioni antropiche: le zone vallive sono infatti quelle più favorevoli all’insediamento e allo sfruttamento della montagna per finalità agro-pastorali, attività per le quali la presenza di grotte, nella fattispecie pozzi a cielo aperto, è tradizionalmente vista come fonte di pericolo. Figura 7 - Numero di grotte percentuale per l’acclività dei versanti numero di grotte e grado di acclività dei versanti (Fig. 7), vede una situazione più articolata ed eterogenea rispetto all’analisi precedente. Fin da subito infatti è possibile notare come la curva risultante cresca in progressione fino a toccare un picco positivo per quei versanti che hanno un grado di acclività compreso tra i 30 e i 35 gradi Figura 8 - Carta di distribuzione delle grotte per fasce altimetriche 161 VII Convegno Federazione Speleologica del Lazio Distribuzione delle grotte per fasce altimetriche Il terzo ed ultimo parametro preso in considerazione è il rapporto che intercorre tra le grotte e le fasce altimetriche. In questo caso per la cartografia di riferimento è stato possibile sfruttare direttamente il DEM (Digital Elevation Model, BAIOCCHI & GIANNONE, 2010), rielaborato differenziando intervalli di 200 m, partendo da 28 m s.l.m. fino a 1533 m s.l.m. (Fig. 8). L’estrazione del dato numerico e la conseguente costruzione della curva nel grafico di riferimento mostrano risultati non troppo diversificati rispetto a quelli restituiti dall’analisi descritta appena sopra. Anche in questo caso infatti il χ² Test riconsegna una distribuzione non casuale. La curva (Fig. 9) mostra nuovamente una crescita progressiva con un picco che rappresenta i numeri maggiori di ingressi che si aprono su quote medio – alte (800 – 1400 m s.l.m.), aree di massiccio montuoso meno antropicamente sfruttate, ma più speleologicamente allettanti e rilevanti. Discorso a sé merita l’ultimo setto del grafico Figura 9 - Numero di grotte percentuale per fascia altimetrica Le cause del calo drastico dei valori per versanti con acclività superiore ai 35 gradi sono invece individuabili direttamente nella frequentazione speleologica del massiccio montuoso: ricercare ingressi di cavità tramite battute territoriali sistematiche su versanti troppo acclivi risulta essere più complesso, se non, alle volte, impossibile. Figura 10 - Carta di distribuzione della densità delle grotte 162 Speleologia del Lazio, 9 | dicembre 2018 Figura 11 - Carta di distribuzione della densità delle grotte per acclività dei versanti (1400 – 1533 m s.l.m.) che sta a rappresentare la massima elevazione topografica degli Aurunci, il Monte Petrella, la cui zona sommitale rimane una delle zone a più alta densità di grotte dell’area presa in esame, e probabilmente anche di tutto il Lazio. Isolando l’area di densità massima di grotte, che misura 1,2654 km², ovvero la fascia compresa tra la Cima del Petrella, Mt. Campetelle (SO) e Cima dello Stretto (NE) per una fascia altitudinale compresa tra 1533 m s.l.m. e i 1300 m s.l.m., risultano 19 grotte per km². La zona, pertanto, sarà sicuramente oggetto di un approfondimento specifico futuro. Come si è visto precedentemente le ipotesi che possono essere avanzate per spiegare i risultati di questa analisi sembrano essere strettamente legati a motivazioni di frequentazione antropica del massiccio, sia speleologica che non, che evidentemente hanno influenzato in maniera diretta la visibilità delle cavità sul territorio. Se si prende come vera l’interpretazione del fenomeno proposta in questa sede si può quindi desumere che le aree con maggiore quantità di cavità (es. Mt. Petrella, Mt. Altino) siano anche quelle che sono state più frequentate perché sembrano presentare quelle caratteristiche “più favorevoli” emerse dai risultati delle analisi parametriche precedentemente esposte, ovvero un’acclività media dei versanti e un’altitudine medio-alta. Con questo non si vuole escludere l’importanza che sicuramente ricoprono fattori e processi geologici, geomorfologici, speleogenetici e speleologici a riguardo, aspetti che potranno attivamente essere oggetto di specifiche analisi future. Applicando infine, attraverso il software GIS, la Kernel density estimation (HOROVÀ ET ALII Conclusioni e prospettive future L’analisi della distribuzione geografica delle grotte sul territorio mostra come l’applicazione del χ² Test abbia riconsegnato per due parametri (acclività dei versanti e fasce altitudinali) una distribuzione non casuale del dato numerico e solo in un caso (esposizione dei versanti) una casuale. 163 VII Convegno Federazione Speleologica del Lazio Figura 12 - Carta di distribuzione della densità delle grotte per fasce altimetriche 2012; SILVERMAN 1986), è stato possibile delineare le concentrazioni di grotte diverse, stimate su km², definendo porzioni di territorio con aree ad alta e bassa densità di cavità (Fig. 10). A conclusione è stato possibile realizzare un’elaborazione teorica basata sulla sottrazione, dalla carta di distribuzione della densità, delle aree “meno favorevoli”, perché più difficilmente frequentabili (Fig. 11). In questo modo sono state evidenziate solo quelle porzioni di territorio che i parametri di acclività dei versanti e fasce altitudinali indicano come potenzialmente foriere di un numero maggiore di grotte, per i motivi precedentemente esposti (Fig. 12). Mantenendo su queste due nuove carte di distribuzione le linee di margine delle aree a densità media ed alta si sono ottenute a tutti gli effetti porzioni di terreno meno frequentate e che potrebbero, almeno ipoteticamente, rappresentare un potenziale, se non uguale, quantomeno simile alle aree finora indagate sistematicamente. I risultati di questo studio teorico potranno trovare un’applicazione pratica in futuro con battute sul terreno prendendo proprio in esame le aree meno indagate, ma con caratteristiche più favorevoli per confutare o meno la validità delle ipotesi formulate. Ringraziamenti Si ringrazia per l’aiuto nelle analisi statistiche e nell’elaborazione dei dati Luca Alessandri, per i consigli e la revisione del testo Paolo Dalmiglio e Lavinia Giorgi. 164 Speleologia del Lazio, 9 | dicembre 2018 Bibliografia Lelo K., 2010a, Sistemi informativi geografici, in Munafò M. (a cura di), “Rappresentare il territorio e l’ambiente”, Acireale – Roma, pp. 265-274. Baiocchi V., Giannone B., 2010, Interpolazione, modelli digitali del terreno e modelli idrologici, in Munafò M. (a cura di), “Rappresentare il territorio e l’ambiente”, Acireale – Roma, pp. 293-303. Lelo K., 2010b, Principi di basi di dati, in Munafò M. (a cura di), “Rappresentare il territorio e l’ambiente”, Acireale – Roma, pp. 287-292. Baldi P., 1998, Calcolo delle probabilità e statistica, Milano. Mecchia G., Mecchia M., Piro M., Barbati M., 2003, Le grotte del Lazio. I fenomeni carsici, elementi della geodiversità, Roma, pp. 256-279. Ciauche n. 1, 1979, Bollettino Informativo dello Speleo Club Tri. Ma. Ciauche n. 2, 1980, Bollettino Informativo dello Speleo Club Tri. Ma. Mecchia G., Piro M., 2004, Monti Aurunci, in “Notiziario dello Speleo Club Roma”, n. 13, pp. 34-53. Ciauche n. 3, 1981, Bollettino Informativo dello Speleo Club Tri. Ma. Ciauche n. 4, 1982, Bollettino Informativo dello Speleo Club Tri. Ma. Segre A. G., 1948, I fenomeni carsici e la speleologia del Lazio, Pubblicazioni dell’Istituto di Geografia dell’Università di Roma, Roma, pp. 83-104. Ciauche n. 5, 1983, Bollettino Informativo dello Speleo Club Tri. Ma. Silverman B. W., 1986, Density Estimation for Statistics and Data Analysis, Londra, p. 48. Ciauche n. 6, 1984, Bollettino Informativo dello Speleo Club Tri. Ma. GGCR, 2010, Monti Aurunci Occidentali. Ricerche speleologiche 2007 – 2009, Castrocielo (FR). GGCR, 2013, Le Grotte dei Monti Aurunci, vol 1. Il territorio della XVII Comunità Montana, Formia. Horovà I., Koláček J., Zelinka J., 2012, Kernel Smoothing in MATLAB: Theory and Practice of Kernel Smoothing, Singapore, pp. 15-54. La Ciauca, 1981, La “Ciauca”. Voce del Circolo Speleologico Esperiano, n. 1. La Ciauca, 1982, La “Ciauca”. Voce del Circolo Speleologico Esperiano, n. 2. La Ciauca, 1982, La “Ciauca”. Voce del Circolo Speleologico Esperiano, n. 3. La Ciauca, 1982, La “Ciauca”. Voce del Circolo Speleologico Esperiano, n. 4. La Ciauca, 1983, La “Ciauca”. Voce del Circolo Speleologico Esperiano, n. 5. La Ciauca, 1985, La “Ciauca”. Voce del Circolo Speleologico Esperiano, n. 6. 165 VII Convegno Federazione Speleologica del Lazio Laboratorio didattico “Spelunca Docet” - disegno di un alunno della classe I B (secondaria di primo grado) dell’Istituto Comprensivo “San Vittorino - Corcolle” 166 Speleologia del Lazio, 9 | dicembre 2018 Chiavica, ciavica, ciauca: diversi modi per chiamare una grotta? LAVINIA GIORGI L ’articolo indaga i termini dialettali usati per definire le cavità carsiche, concentrandosi in maniera prevalente sull’esegesi dell’etimologia dei lemmi e sulla verifica dell’eventuale esistenza di relazioni tra il significato delle parole in questione e la morfologia degli ingressi delle grotte. La varietà terminologica dialettale sembra, infatti, dipendere dalla percezione degli abitanti locali di fronte all’evidenza superficiale del fenomeno carsico ipogeo. L’area presa in esame è quella della Catena dei Volsci, nel Lazio meridionale, comprendente, a partire da nord, i Monti Lepini, Ausoni e Aurunci (fig. 1): si tratta di uno spazio circoscritto, dal momento che la ricerca proposta è assolutamente sperimentale, per cui, in questa prima fase, si è scelto di concentrarsi su un areale ridotto. Tale territorio si è rivelato utile ai fini dello studio condotto perché interessante sia dal punto di vista speleologico, in quanto intensamente frequentato dagli speleologi laziali soprattutto provenienti da Roma e dintorni, sia dal punto di vista linguistico perché nella Carta dei dialetti d’Italia di G. B. Pellegrini (PELLEGRINI, 1977) l’area è attraversata dalla linea che distingue due macro-aree, quella dei dialetti mediani e quella dei dialetti meridionali (fig. 2). Ulteriore scopo di questa ricerca è stato, quindi, quello di proporre una spiegazione per la distribuzione dei sinonimi dialettali di grotta, tenendo in considerazione i tratti distintivi dei vernacoli parlati nei paesi della Catena dei Volsci, validi anche per definire i mutamenti fonetici alla base dell’evoluzione etimologica dei termini presi in esame. Questi sono stati ricavati dal “Catasto delle Grotte e delle Aree Carsiche del Lazio”, suddivisi tra italiani e dialettali e messi in relazione sulla base di attinenze linguistiche e/o semantiche (fig. 3), dal momento che, di solito, le parole del lessico dialettale hanno origine da lemmi italiani. Per questo si è dimostrata molto utile l’analisi specificamente linguistica dei vocaboli in questione, che ha permesso di risalire a ipotetici archetipi italiani, gettando luce sul possibile significato dei nomi indagati, rivelatore delle sensazioni dei locali di fronte agli ingressi delle cavità. Verranno dunque considerati singolarmente i lemmi individuati per cercare di rispondere agli obiettivi sopra esposti. Ouso L’etimologia del termine ouso è quanto mai oscura, ma una delle proposte avanzate in questo studio ha tentato di individuare la sua origine nella parola buco, su cui sarebbero intervenute massicce mutazioni fonetiche, spiegabili attraverso l’intervento di fenomeni linguistici sia propri dell’italiano in generale, sia specifici dell’area di diffusione di questa parola (fig. 4). Innanzitutto sembrerebbe essere intervenuto il raddoppiamento fonosintattico (BERRUTO & CERRUTI, 2011), fenomeno linguistico specifico di tutta l’area centro-meridionale, esclusa la Toscana, perciò coerente con la zona presa in esame in questa ricerca. Esso si manifesta attraverso l’intensificazione della pronuncia della consonante iniziale di una Figura 1 - La Catena dei Volsci (elaborazione grafica di L. Alessandri) 167 VII Convegno Federazione Speleologica del Lazio Figura 2 - La situazione dialettale del Lazio come si presenta nella Carta dei dialetti d’Italia di G. B. Pellegrini, con particolare attenzione all’area evidenziata nel Lazio meridionale, corrispondente alla Catena dei Volsci (elaborazione grafica di L. Alessandri) Figura 3 - Relazioni fonetiche e semantiche tra i nomi dialettali e non dialettali usati per definire genericamente una cavità carsica (elaborazione grafica di L. Giorgi) 168 Speleologia del Lazio, 9 | dicembre 2018 Figura 4 (in alto) - Carta di distribuzione del nome ouso sulla Catena dei Volsci; Figura 5 (in basso) - Carta di distribuzione dei nomi oviso e ovuso sulla Catena dei Volsci (elaborazione grafica di L. Alessandri) 169 VII Convegno Federazione Speleologica del Lazio parola quando questa è preceduta da un altro lemma in italiano uscente in vocale, risultante tuttavia dalla caduta di un’antica consonante finale propria del latino (SERIANNI, 1998; LOPORCARO, 1997). Si potrebbe immaginare, pertanto, un esito fonetico /lobbuco/, con geminazione, ovvero raddoppiamento, della consonante labiale sonora iniziale, /b/, del sostantivo, che, stando alla spiegazione del fenomeno succitato proposta da M. Loporcaro (LOPORCARO, 1997), manifesterebbe la derivazione dell’articolo determinativo dal pronome/aggettivo dimostrativo latino ILLE, ILLA, ILLUD, preso nel caso accusativo, quindi ILLUM, ILLAM, ILLUD. Infatti “lo” deriva da (<) (IL)LU(M), con aferesi, cioè caduta in posizione iniziale, della prima sillaba e apocope, cioè scomparsa in fine di parola, di un fonema, in questo caso la consonante nasale bilabiale, /m/. Di questa rimarrebbe il retaggio nella prima occlusiva labiale sonora di /lobbuco/, originatasi tramite assimilazione regressiva, conseguenza dell’incontro della –M del pronome/aggettivo dimostrativo con la b- di buco, cosicché il secondo fonema avrebbe condizionato il primo fino a renderlo uguale a se stesso. Tale accorpamento, o univerbazione, dell’articolo con il sostantivo avrebbe potuto generare una forma *lobbuco, non attestata, ma verosimilmente esistita nel parlato. Questa espressione sembra rivelarsi interessante anche relativamente al diverso uso nell’italiano antico, rispetto all’italiano moderno, delle due forme in cui si presenta l’articolo determinativo maschile singolare, “lo” e “il”. La scelta dell’uno o dell’altro un tempo era determinata dalla cosiddetta norma Gröber, così chiamata perché proposta dallo studioso tedesco omonimo, il quale notò che un tempo “il” si trovava dopo parole uscenti in vocale, mentre “lo” era usato in posizione iniziale e dopo parole terminanti in consonante, come dimostrerebbero espressioni ormai fisse come “per lo più” o “per lo meno” (GRÖBER, 1877). Il motivo dell’oscillazione dell’articolo risiede nell’indebolimento di “lo”, forma inizialmente generalizzata, dopo parole che terminavano in vocale, per cui si sarebbe ridotto a “’l” e, col tempo, avrebbe sviluppato una vocale d’appoggio iniziale, passando a “il”, “el” in toscano (SERIANNI, 1998). Il termine ipotizzato *lobbuco, in una fase successiva, sarebbe stato riscomposto in articolo e nome tramite l’azione del fenomeno della discrezione, ovvero la divisione di una parola in due o più elementi riconosciuti come morfologicamente indipendenti (SERIANNI, 1998; MAGNI, 2014). Tuttavia in questo caso specifico la segmentazione si è rivelata errata, avendo dato come risultato l’òbbuco, attestato nella denominazione della Risorgenza dell’Obbuco (17 La) a Falvaterra. Per ricostruire l’evoluzione etimologica da buco a ouso sembrerebbe doversi immaginare, contestualmente o successivamente a òbbuco, anche l’esistenza di una forma *òbuco, con consonante occlusiva labiale sonora scempia, ovvero non doppia, /b/. Inoltre la consonante occlusiva velare sorda, /k/, in posizione intervocalica, per effetto di un’assimilazione bidirezionale parziale tale che le due vocali adiacenti hanno influenzato da entrambi i lati la consonante (MAGNI, 2014), sarebbe passata ad affricata palatale sorda, /tʃ/, secondo il fenomeno della palatalizzazione (SERIANNI, 1998; BERRUTO & CERRUTI, 2011; MAGNI, 2014). L’esito sarebbe stato dunque *òbucio, da cui *òbuso con assibilazione (ZINGARELLI, 2008), cioè trasformazione in sibilante della consonante affricata palatale sorda, /tʃ/, forse attraverso il passaggio intermedio a /ʃ/, proprio del dialetto romanesco, prima di approdare a /z/, risultato giustificabile ricorrendo al processo di lenizione, ovvero indebolimento fonetico (ZINGARELLI, 2008; MAGNI, 2014), conforme alla tendenza generale di tutte le lingue alla semplificazione (BERRUTO & CERRUTI, 2011; MAGNI, 2014). A questo punto si potrebbe individuare l’azione del fenomeno del betacismo o spirantizzazione (SERIANNI, 1998; LOPORCARO, 2009) che, seppure ha conosciuto precedenti realizzazioni nella fase del passaggio dal latino alle lingue romanze, si dimostra ora distintivo dei dialetti dell’area centro-meridionale. Si tratta dell’alternanza tra /b/ e /v/ in posizione intervocalica, spiegabile evocando una consonante intermedia, la fricativa bilabiale sonora, /β/, non attestata come fonema in italiano, mentre esistente in spagnolo, che presenta da un lato il medesimo luogo di articolazione (BERRUTO & CERRUTI, 2011) dell’occlusiva bilabiale sonora, /b/, dall’altro lo stesso modo di articolazione della fricativa labio-dentale sonora, /v/. Tale fenomeno avrebbe prodotto l’esito òvuso, poco attestato solo sui Monti Lepini, perciò a nord della linea di demarcazione delle aree dei dialetti mediani e meridionali; da òvuso sarebbe potuta derivare la variante òviso, anch’essa presente solo in zona lepinica (fig. 5), forse interpretabile come risultato della volontà di dissimilare, dunque diversificare (BERRUTO & CERRUTI, 2011; MAGNI, 2014), il timbro scuro delle vocali /o/ e /u/. A quest’ultima alternativa sembra potersi 170 Speleologia del Lazio, 9 | dicembre 2018 collegare il termine ovizzo, dove è stata ampiamente rafforzata la pronuncia della fricativa dentale sonora, /z/, fino a trasformarla in affricata dentale sorda geminata /ts:/. Il nome tuttavia non sembra comparire sui Lepini, bensì sugli Ausoni, tra i comuni di Pastena e Falvaterra, rendendosi così ipoteticamente peculiare di tale zona, come sembrerebbe valere per òbbuco (fig. 6). Tornando a òvuso, da questo si sarebbe generato alla fine ouso grazie all’assimilazione bidirezionale totale della consonante fricativa labio-dentale sonora, /v/, in posizione intervocalica, che sarebbe ipoteticamente divenuta dapprima semivocale (BERRUTO & CERRUTI, 2011) /w/, poi vocale /u/ e di conseguenza assorbita dalla vocale identica che la seguiva. Osservando a questo punto la distribuzione del termine dialettale ouso e delle parole costituenti i passaggi intermedi nell’evoluzione etimologica da buco in rapporto con le attestazioni di quest’ultimo vocabolo (fig. 7), si può notare come, mentre la parola italiana sia diffusa più omogeneamente in tutta la Catena dei Volsci, i lemmi vernacolari siano concentrati esclusivamente sul massiccio dei Monti Lepini. Un simile addensamento si potrebbe forse spiegare qualora fosse possibile individuare elementi linguistici peculiari della zona in questione, per cui, avendo intrapreso una ricerca in tal senso, sembrerebbe emergere un solo fattore probabilmente distintivo, cioè la palatalizzazione della consonante velare sorda che ha determinato il passaggio da buco a bucio. Non è da escludere, tuttavia, un’altra possibile etimologia del termine indagato, alla quale si potrebbe approdare riflettendo sulla definizione di ouso e oviso, proposta da A. G. Segre in un articolo degli Atti del VII Congresso Nazionale di Speleologia (SEGRE, 1956). Egli considera i termini come sinonimi di “abisso, inghiottitoio profondo, gorgia” e, pur proponendo un’esegesi della parola ouso molto diversa rispetto a quella fornita in questa sede, accosta il lemma ad avisu, attestato in Puglia, che lascerebbe supporre un’origine da abisso. Pertanto l’avvicinamento presentato da A. G. Segre potrebbe suggerire un’eventuale etimologia di ouso da abisso. Se così fosse, l’evoluzione fonetica del vocabolo si spiegherebbe innanzitutto tenendo in considerazione il termine intermedio *aviso, non presente nel Catasto laziale, ma, come già sopra ricordato, testimoniato nella regione pugliese, nel quale bisognerebbe riconoscere una retrocessione dell’accento alla prima sillaba, *àviso, conformemente all’accentazione della parola greca originaria, ἂβυσσος. Il passaggio da abisso ad *àviso si esplica linguisticamente con l’azione del fenomeno del betacismo, precedentemente illustrato (SERIANNI, 1998; LOPORCARO, 2009), e con lo scempiamento della sibilante (fricativa dentale) in posizione intervocalica, forse per semplificare la pronuncia del fonema geminato. Si potrebbe poi immaginare un elemento *àuiso, dove la consonante fricativa labiodentale sonora intervocalica, /v/, è divenuta semivocale /w/ per effetto dell’assimilazione bidirezionale delle vocali adiacenti. Successivamente sarebbe intervenuto un altro fenomeno linguistico attestato già nel latino tardo, perciò generalizzato in tutta la lingua italiana, che consiste nella sincope, cioè caduta in posizione interna di parola (SERIANNI, 1998; BERRUTO & CERRUTI, 2011; MAGNI, 2014), della vocale postonica, ovvero del fonema vocalico che si trova nella sillaba successiva a quella accentata (SERIANNI, 1998), producendo infine l’esito auso. Facilmente sembra potersi giustificare l’evoluzione in òso, con l’intervento di un ulteriore fenomeno proprio del passaggio dal latino tardo all’italiano, cioè il monottongamento (MAGNI, 2014) del dittongo /aw/ in /ɔ/ (SERIANNI, 1998), anche se il termine esula dall’argomento dell’articolo poiché non è registrato nel “Catasto delle Grotte e delle Aree Carsiche del Lazio” per le cavità della Catena dei Volsci. Meno manifesta sembrerebbe la spiegazione della derivazione di ouso da auso, che si potrebbe comunque motivare riconoscendo l’azione dell’assimilazione regressiva prodotta dalla /u/ sulla vocale precedente, che avrebbe così scurito il suo timbro. Osservando dunque la distribuzione del termine dialettale in relazione a quella dell’etimo italiano (fig. 8), si riscontra una situazione simile a quella presentatasi accogliendo l’origine di ouso da buco, secondo la quale la parola italiana abisso è omogeneamente diffusa su tutta l’area indagata, prevalentemente dove sono presenti cavità verticali, mentre il lemma vernacolare risulta peculiare della zona lepinica. Diversamente, però, dalla proposta precedente, qualora si accettasse la derivazione di ouso da abisso, non sembrano potersi individuare fenomeni linguistici distintivi dei dialetti dell’area in questione che giustificherebbero l’addensamento delle attestazioni del lemma sui Monti Lepini, così da rendere, almeno all’avviso di chi scrive, più verosimile la prima ipotesi avanzata. 171 VII Convegno Federazione Speleologica del Lazio Figura 6 (in alto) - Carta di distribuzione dei nomi ovizzo, oviso e obbuco sulla Catena dei Volsci; Figura 7 (in basso) - Carta di distribuzione dei nomi buco, obbuco, ovuso e ouso sulla Catena dei Volsci (elaborazione grafica di L. Alessandri) 172 Speleologia del Lazio, 9 | dicembre 2018 Figura 8 - Carta di distribuzione dei nomi abisso e ouso sulla Catena dei Volsci (elaborazione grafica di L. Alessandri) sinonimo di inghiottitoio, in quanto formatosi dal probabile incontro della preposizione greca κατὰ con l’aggettivo italiano “basso”, del quale rafforzerebbe il significato. Si potrebbe, pertanto, immaginare una forma iniziale *catabasso, da cui catavasso per azione del fenomeno del betacismo (SERIANNI, 1998; LOPORCARO, 2009). A validare tale ipotesi può considerarsi interessante la morfologia degli ingressi delle cavità così denominate, come ad esempio il Catravasso Verde (484 La) (fig. 11), dall’aspetto conforme alla definizione del lemma e al suo significato etimologico. Un altro termine caratterizzato dalla presenza di κατὰ sembrerebbe essere scatrafossa (SEGRE, 1956), in quanto evoluzione dialettale di catafossa, attestato sempre nell’opera di S. Conti (CONTI, 1984). In questa sede la definizione fornita è di “luogo stretto e buio”, che ben si addice alla descrizione di una grotta, in particolare se vista dall’ingresso. L’esito finale, attestato solo nel comune di Cori (CASTELLI, 1958) (fig. 10), si spiega con la pròstesi, cioè inserimento a inizio di parola (SERIANNI, 1998; BERRUTO & CERRUTI, 2011), di una consonante sibilante sorda, /s/, e l’epentesi, ovvero aggiunta interna di un fonema in una parola (SERIANNI, 1998; BERRUTO Catauso, catravasso e scatrafossa Un composto di ouso potrebbe essere considerato il termine catauso (SEGRE, 1956), dove è stata inserita, come prefisso, la preposizione greca κατὰ, kata’, cioè “giù”, probabilmente utile a specificare il significato di buco portato da ouso, evidenziando lo sviluppo verticale della cavità immediatamente all’ingresso. Le uniche due attestazioni del vocabolo nell’area della Catena dei Volsci (Il Catauso, 30 La, a Sonnino, e Grotta del Catauso, 133 La, ad Artena), infatti, si presentano all’esterno come grandi voragini nel terreno (fig. 9), veri e propri inghiottitoi, abissi, di cui il termine catauso, quindi, sembra rappresentare un sinonimo dialettale (CASTELLI, 1958). La preposizione greca κατὰ si ravviserebbe anche in un altro lemma dialettale, catravasso, storpiatura dialettale di catavasso, concentrato a Carpineto Romano (fig. 10), con una sola attestazione a Maenza (Catravasso a Femmina Morta, 816 La). L’ipotetico termine originario catavasso è stato definito da S. Conti come una “cavità carsica con una certa ampiezza dell’imbocco da cui entra luminosità, sì da renderne visibile l’interno” (CONTI, 1984) e la sua etimologia lo farebbe apparire come altro 173 VII Convegno Federazione Speleologica del Lazio - risultato del fenomeno di dilazione, consistente in un’assimilazione che coinvolge elementi a distanza (MAGNI, 2014). Nel caso specifico il timbro della vocale finale sarebbe stato condizionato da quello della vocale tonica (tonico è termine tecnico della linguistica per indicare la presenza di accento, inteso come l’intensità di pronuncia di un elemento fonico, cfr. BERRUTO & CERRUTI, 2011); - notazione del genere neutro, la cui oscillazione con il maschile è documentata in molti dialetti mediani e alto-meridionali, anche se le vocali coinvolte sembrano prevalentemente essere –u e –o, non la –e (LOPORCARO, 2009); - riproduzione più fedele della parola francese bréche, da cui il termine italiano è stato importato, se si accetta la derivazione del lemma in questione da breccia come spaccatura (ZINGARELLI, 2008). Purtroppo appare assai complesso stabilire con certezza quale ipotesi sia da considerare la più valida. Chiavica, ciavica, ciauca Il termine chiavica è proprio della lingua italiana e definito nel Vocabolario Zingarelli come “fogna, cloaca” (ZINGARELLI, 2008), derivando dalla versione del latino tardo *CLĀVĬCA(M), sinonimica della forma classica CLOACA. La parola popolare si sarebbe evoluta in chiavica secondo alcune norme linguistiche che regolano il passaggio dal latino all’italiano, come il trattamento del nesso consonantico CL-, che nella nostra lingua diventa /kj-/. Tale fenomeno si realizza solo se il gruppo uscente con la consonante laterale, /l/, è seguito da una vocale e prende il nome di palatalizzazione, in quanto si tratta di una forma di assimilazione che avvicina il luogo di articolazione della laterale a quello della vocale successiva, come accade, per esempio, anche nel caso di CLAVEM > chiave, FLOREM > fiore o AMPLUM > ampio (SERIANNI, 1998). Relativamente al trattamento delle vocali, invece, sembra riscontrarsi un’anomalia, dal momento che l’esito atteso da CLĀVĬCA(M) sarebbe dovuto essere chiaveca, secondo il vocalismo atono dell’italiano (fig. 12), per cui si potrebbe ipotizzare l’esistenza di una forma latina con -Ī- (/i/ lunga) per spiegare la forma chiavica. Tuttavia è verosimile anche immaginare un’oscillazione tra la parola propriamente latina e l’evoluzione italiana, del resto attestata (SEGRE, 1956), che si sarebbe risolta a vantaggio del primo lemma, cosicché il toponimo chiavica risulta senz’altro Figura 9 - Ingresso del Catauso (30 La) di Sonnino (Foto di M. G. Lobba) & CERRUTI, 2011), in questo caso di una vibrante, /r/, nella seconda sillaba. Bréce La denominazione bréce potrebbe essere considerata semanticamente vicina a buco e alle sue varianti, dal momento che si può spiegare come evoluzione dialettale della parola breccia, che, in quanto definita come “apertura, spaccatura”, evocherebbe la morfologia degli ingressi delle cavità carsiche. Infatti già A. G. Segre propose come sinonimo di tale lemma inghiottitoio, non mancando però di citare anche l’ulteriore significato di “dolina” (SEGRE, 1956; CASTELLI, 1958), forma carsica superficiale che, tuttavia, vista da lontano, potrebbe lasciar immaginare, sia ai locali che agli speleologi, la presenza di una grotta. Al livello linguistico, per quanto riguarda il consonantismo si può rilevare lo scempiamento della consonante affricata palatale sorda geminata, /tʃ:/, fenomeno della cui azione non sono ben chiare le motivazioni. Relativamente al vocalismo del termine, invece, il mutamento della vocale finale potrebbe avere varie spiegazioni: 174 Speleologia del Lazio, 9 | dicembre 2018 Figura 10 - Carta di distribuzione dei nomi catauso, catravasso e scatrafossa sulla Catena dei Volsci (elaborazione grafica di L. Alessandri) maggiormente esteso rispetto a chiaveca, in realtà assente nella Catena dei Volsci, basandosi sulle attestazioni del “Catasto delle Grotte e delle Aree Carsiche del Lazio”. L’uso del termine in ambito speleologico a designare un inghiottitoio carsico (CONTI, 1984; MARINO, 2013), infatti, pare diffuso omogeneamente in tutto il Lazio, dunque anche sull’area qui presa in esame, dal momento che si tratta di una parola italiana (fig. 13). Una simile distribuzione lascia inoltre intuire come una specifica conformazione degli ingressi di alcune grotte condizioni l’immaginario di tutti coloro che vi si imbattono, trasmettendo l’idea dell’inghiottimento, dal momento che spesso tali cavità, similmente alla funzione delle fogne, drenano l’acqua che, scendendo dalle zone più alte, trascina con sé tutto ciò che incontra lungo il suo tragitto. Si potrebbe pertanto desumere che, se gli speleologi provenienti da ambienti cittadini avrebbero usato la parola italiana chiavica per denominare tali cavità, gli abitanti degli insediamenti sulla Catena dei Volsci invece, più verosimilmente, si sarebbero avvalsi di evoluzioni dialettali, quali ciavica, ciaveca, ciavoca, ciauca, con i loro derivati ciavocozza, ciaucozza e ciaucone. Il primo termine, ovvero ciavica, si spiega con l’azione della palatalizzazione della consonante occlusiva velare sorda, /k/, che si assimila alla vocale che segue, divenendo una consonante affricata palatale sorda, /tʃ/. In alcuni casi un’ulteriore trasformazione avrebbe generato il vocabolo ciauca, attraverso il passaggio intermedio e non attestato *ciauica, dove la consonante fricativa labiodentale sonora, /v/, in posizione intervocalica si sarebbe mutata in semivocale /w/ per azione dell’assimilazione bidirezionale parziale prodotta dalle vocali adiacenti. Successivamente sarebbe caduta la vocale postonica, -i-, producendo così l’esito finale ciauca. Ciaveca e ciavoca, invece, costituiscono varianti di ciavica meno attestate e deriverebbero rispettivamente da chiaveca, di cui già si è detto sopra, e *chiavoca, esito della forma alternativa del latino tardo *CLAVOCA. L’appartenenza di questi ultimi quattro nomi al vocabolario vernacolare sembra avvalorata dalla distribuzione dei termini sull’area indagata in questa ricerca, dal momento che appaiono 175 VII Convegno Federazione Speleologica del Lazio Figura 11 - Ingresso del Catravasso Verde (484 La) nel comune di Carpineto Romano (Foto di M. G. Lobba) concentrati esclusivamente sui Monti Aurunci, di contro alla dispersione di chiavica su tutta la Catena dei Volsci (fig. 14). Tale osservazione potrebbe consentire quindi di sostenere che nell’evoluzione fonetica da chiavica a ciauca siano intervenuti fenomeni specifici dei dialetti del massiccio più meridionale della zona interessata da questo studio, che, considerando la suddivisione delle macro-aree dialettali dell’Italia proposta da G. B. Pellegrini, rientrano tra quelli meridionali, distinguendosi dalle parlate dei Monti Lepini e Ausoni, inserite nella zona mediana. L’unica trasformazione che si può considerare distintiva del massiccio aurunco è la palatalizzazione ulteriore del nesso consonantico latino CL- in /tʃ-/, particolarmente attestata presso Pontecorvo (SARRO, 2005), che tuttavia non sembra trovare ulteriori riscontri neanche tra i vernacoli dell’area meridionale. Del primo lemma si può facilmente ricostruire l’etimo, individuabile nell’aggettivo latino di seconda classe GRAVIS, -E, dal cui accusativo GRAVE(M) deriva l’aggettivo italiano grave. Nel lessico speleologico tale vocabolo, che si manifesta nella variante grava, sembra aver mantenuto uno dei valori semantici del latino, corrispondente a “profondo”, dal momento che è attestato prevalentemente per designare cavità che si aprono immediatamente su una verticale, comunicando così l’idea della profondità, tanto che M. R. Castelli negli Atti dell’VIII Congresso Nazionale di Speleologia ha definito il termine come “voragine naturale piuttosto ampia e profonda” (CASTELLI, 1958). Il termine grava potrebbe spiegarsi linguisticamente come il risultato dell’intervento della dilazione, per cui la vocale tonica interna avrebbe condizionato il timbro di quella finale. Si potrebbe, tuttavia, avanzare l’ipotesi del cambiamento del genere della parola anche a causa dell’influenza del termine generico grotta, femminile, su grave, che, terminando in –e era difficilmente collocabile nelle categorie di genere della lingua italiana, le quali prevedono regolarmente il maschile singolare uscente in –o e il femminile singolare in –a, assegnando Rava Con il medesimo significato di inghiottitoio è attestato in tutta la Catena dei Volsci anche un altro termine: grave/grava (SEGRE, 1956), da cui ipoteticamente rava. 176 Speleologia del Lazio, 9 | dicembre 2018 Figura 12 - Vocalismo atono dell’italiano poi, o all’uno o all’altro, i lemmi neutri in latino (SERIANNI, 1998). Relativamente a rava, in alternativa alle due proposte etimologiche finora accettate (MARINO, 2013) che individuano l’origine del lemma rispettivamente nel latino LABES, “sasso, macigno”, (CECE, 2004) o nella radice prelatina *graba/grava (SANTORO, 1978), è stata avanzata una nuova ipotesi, secondo la quale rava deriverebbe da grave/a per azione dell’afèresi della consonante iniziale, plausibilmente per semplificare il nesso consonantico. Il legame tra i due termini sembrerebbe confermato dall’esegesi proposta da A. G. Segre negli Atti del VII Congresso Nazionale di Speleologia, secondo la quale rava alluderebbe a “dirupi, massi e rocce” similmente a grave/grava, definiti come “doline, specialmente di sprofondamento, inghiottitoi”, in accordo con quanto affermato in apertura del paragrafo (SEGRE, 1956). La vera differenza sta nella distribuzione delle tre forme, su cui bisogna però fare una precisazione di carattere metodologico: in questa sede sono da tenere in considerazione solo grava e rava, poiché le uniche due attestazioni di grave nel Catasto laziale non sembrano coerenti con il significato del termine qui esplicitato. Quindi, tralasciando l’ultimo lemma citato, è emerso che le altre due forme hanno conosciuto una diffusione alternativa: laddove è presente l’una, è assente l’altra. Infatti la forma più complessa, ma più vicina all’originaria parola latina, grava, compare solo sui Monti Ausoni e Aurunci, sostituita sui Monti Lepini dal termine più evoluto rava, con esclusiva concentrazione nel comune di Carpineto Romano, così da far considerare il lemma distintivo del dialetto carpinetano (fig. 15). gli ingressi ad andamento verticale, ma anche l’impiego di parole indicanti antri e caverne, come arnale/arnalo e arnaro (SEGRE, 1956; CASTELLI, 1958; MARINO, 2013). La loro etimologia potrebbe essere ricondotta alla parola arenario, usata per designare cave di arenaria, una “roccia detritica e sabbiosa” (ZINGARELLI, 2008), estratta anche dal sottosuolo. Questi giacimenti ipogei vennero sfruttati scavando lunghi cunicoli per il prelievo del materiale minerario, fino a portarlo a esaurimento, così da determinare il loro abbandono e la loro chiusura da parte dell’uomo. Il termine specifico per simili luoghi di estrazione è andato, pertanto, a indicare genericamente “luoghi che possono essere chiusi artificialmente dall’uomo”, se si accetta la definizione di S. Conti (CONTI, 1984). All’interno di tale enunciato si potrebbero inserire anche le grotte, oltretutto se non si trascura l’uso del termine arnaro al livello locale nei paesi della Catena dei Volsci, dove specifica luoghi impiegati dagli abitanti come ripari per loro stessi e/o per il bestiame, in quanto concedevano la possibilità dell’occlusione volontaria dell’ingresso, che assicurava protezione. Dal punto di vista linguistico arnaro deriverebbe da arenario, che a sua volta proviene dal latino tardo ARENĀRIU(M), dove il passaggio alla forma dialettale si può esplicare riconoscendo innanzitutto l’intervento della sincope della vocale intertonica (fonema vocalico della sillaba compresa tra altre due, una con accento primario, l’altra secondario) -e-, fenomeno già attestato nel latino tardo e protrattosi anche in italiano (SERIANNI, 1998). Inoltre si nota il mutamento della sillaba finale con la sincope dello /j/, che potrebbe essere chiarito ricordando il trattamento del nesso vibrante, /r/, + /j/ nel passaggio dal latino all’italiano: nel dialetto toscano il nesso -RJ- si è ridotto a -j-, estendendosi poi alla lingua italiana in generale, mentre nella maggior parte degli altri dialetti ha mantenuto solo /r/. Per esempio, quindi, il suffisso di mestiere –ARIUM in area toscana divenne –ajo, mentre nel resto d’Italia –aro, come è visibile nella coesistenza di notaio e notaro, derivanti entrambi dal latino NOTARIU(M) Arnale, arnalo, arnaro Finora sono stati esaminati solo nomi usati come sinonimi di inghiottitoio, voragine, ma le cavità carsiche possono presentarsi anche con altre morfologie già a partire dall’ingresso. Attraverso questo studio è stato possibile accertare non solo l’uso di termini specifici per 177 VII Convegno Federazione Speleologica del Lazio Figura 13 (in alto) - Carta di distribuzione del nome chiavica sulla Catena dei Volsci; Figura 14 (in basso) - Carta di distribuzione dei nomi ciaveca, ciavoca, ciavica, ciauca e chiavica sulla Catena dei Volsci (elaborazione grafica di L. Alessandri) 178 Speleologia del Lazio, 9 | dicembre 2018 (SERIANNI, 1998; LOPORCARO, 2009). Dunque è lecito riconoscere nel caso di arnaro l’influenza di tale fenomeno. L’esito arnalo si può giustificare ammettendo l’intervento della dissimilazione progressiva (BERRUTO & CERRUTI, 2011; MAGNI, 2014), consistente nel passaggio della seconda consonante vibrante alveolare, /r/, a laterale alveolare, /l/, perché condivide con la consonante originaria il luogo di articolazione. Infine la variante arnale si potrebbe dimostrare con l’opposizione, propria dei dialetti mediani e alto-meridionali, tra maschile e neoneutro, cioè un genere neutro non di derivazione latina, anche se il fenomeno si manifesta con l’antitesi tra –u e –o finali di parola nell’area mediana e, diversamente, con l’utilizzo della vocale media centrale, /ə/ (schwa), distintivo del neutro nella zona dei dialetti alto-meridionali (LOPORCARO, 2009). In realtà proprio quest’ultima soluzione potrebbe rendere accettabile la variante arnale, dove la –e finale sarebbe pronunciata /-ə/ oppure sarebbe diventata un vero e proprio fonema /-e/ perché vicino a /-ə/ come suono. Per l’ultimo termine analizzato, cioè arnale, si potrebbe avanzare una proposta esegetica alternativa, riconducendolo alla parola italiana arenale, che ad ogni modo si ricollega alla radice di arenario, in quanto entrambi i vocaboli rimandano all’“arena”, quindi a una roccia sabbiosa. Il nome arnale, dunque, in questo caso andrebbe considerato una variante di arnaro, derivante da una parola a esso corradicale, arenale, dove è intervenuto il fenomeno della sincope della vocale intertonica, già precedentemente incontrato. Da arnale si sarebbe poi originato arnalo, o per influenza del genere maschile del termine arnaro o semplicemente per regolarizzare il nome, attribuendogli il carattere non marcato, cioè regolare e consueto (MAGNI, 2014), della categoria del genere maschile proprio della lingua italiana, la vocale finale –o, per azione dell’estensione, mutamento morfologico che prevede “l’impiego di un morfema in contesti più ampi rispetto a quelli originari” (MAGNI, 2014). che ha consentito di risalire alla radice italiana o latina dei lemmi vernacolari, evidenziandone più manifestamente il valore semantico. L’interesse per quest’ultimo è mosso dal tentativo di comprendere le impressioni provate dagli abitanti del luogo di fronte agli ingressi delle grotte, attraverso le denominazioni proprio da loro attribuite, poiché il dialetto in generale è espressione di una comunità locale al livello informale (LOPORCARO, 2009). Alla luce di quanto esposto finora, dunque, si vede confermato uno degli intenti presentati all’inizio dell’articolo, cioè di verificare se la morfologia dell’accesso alle cavità sia determinante per comprendere come coloro che non praticano la ricerca speleologica percepiscano l’ambiente carsico epigeo e ipogeo. Infatti quando l’ingresso si presenta come un foro più o meno ampio nel terreno che immette direttamente su una verticale, l’idea veicolata dai nomi dialettali per evidenziare il fenomeno è prevalentemente quella della profondità: dai composti con la preposizione greca κατὰ a grava e rava, fino eventualmente a considerare anche chiavica e i suoi derivati. Quest’ultimo gruppo di vocaboli è foriero di un’ulteriore sfumatura semantica, riferendosi a veri e propri inghiottitoi, sia naturali, che purtroppo artificiali, in quanto spesso utilizzati come mondezzai dagli esseri umani, proprio perché fanno “sparire” nel buio delle loro profondità tutto ciò che vi entra. L’idea di conforto e protezione sembrerebbe invece suscitata dagli ampi ingressi di antri, caverne, ripari, ricoveri e arnari/arnali, così come da piccoli pertugi simili ai covi degli animali che popolano le montagne, per questo definiti tane, appellativo attestato solo sui Monti Aurunci, precisamente nei comuni di Campodimele, Esperia, Formia, Itri e Spigno Saturnia. Si può dire inoltre raggiunto anche l’altro obiettivo prefissatosi con questa ricerca, cioè di notare un’eventuale corrispondenza tra l’evoluzione dialettale dei nomi esaminati e la distinzione delle due macro-aree dialettali, mediana e meridionale, proposta da G. B. Pellegrini nella Carta dei dialetti d’Italia. Infatti, osservando la distribuzione dei diversi toponimi su tutta la Catena dei Volsci, sono emersi dei raggruppamenti concentrati o a nord (ouso) o a sud (ciauca, ciavica e sue varianti) della linea di demarcazione delle zone dei dialetti mediani e meridionali, i quali sembrano confermare, ancora una volta, tale suddivisione (fig. 16), seppur con poche e circoscritte eccezioni (Ouso di Scrima Piana nel comune di Castro dei Volsci sui Monti Ausoni, Pozzo Conclusioni L’analisi etimologica dei toponimi speleologici proposta in questa sede non si limita alla semplice esegesi linguistica dei termini, ma vuole fornire un eventuale contributo alla ricostruzione dei significati dei sinonimi dialettali per indicare le cavità, dal momento 179 VII Convegno Federazione Speleologica del Lazio Figura 15 - Carta di distribuzione dei nomi grave/a e rava sulla Catena dei Volsci (elaborazione grafica di L. Alessandri) Bibliografia della Ciauca nel comune di Prossedi sui Monti Lepini, Ciauca delle Porcarecce e Ciauca della Lontra nel comune di Amaseno, tra Monti Lepini e Ausoni). Uno studio distributivo di questo tipo, quindi, oltre che essere meramente descrittivo, potrebbe avere anche una qualche utilità in ambito linguistico, contribuendo alla definizione dei caratteri distintivi dei dialetti addirittura al livello comunale. Infatti l’esegesi dell’etimo dei nomi dialettali a partire dall’italiano consente, come emerge da questa ricerca, di individuare l’intervento di fenomeni linguistici, che determinano il mutamento delle parole coinvolte nello studio e che potrebbero rivelarsi peculiari di un vernacolo specifico, qualora la diffusione del termine sia alquanto circoscritta, come per esempio accade per catravasso e derivati, presenti esclusivamente nel comune di Carpineto Romano (fig. 10), oppure ciavica e le sue varianti nel comune aurunco di Esperia (fig. 14). Per concludere, quindi, lo studio presentato in questa sede vuole essere solo l’avvio di un’indagine più approfondita e rivolta a un’area geografica maggiore, che metta in relazione discipline tra loro molto diverse come la speleologia e la linguistica. Berruto G., Cerruti M., 2011, La linguistica. Un corso introduttivo, Novara. Castelli M. R., 1958, Contributo alla raccolta della terminologia generica dialettale del fenomeno carsico in Italia, in Dell’Oca S. (ed), Atti dell’VIII Congresso Nazionale di Speleologia – Tomo secondo, Como, pp. 83-123. Cece A., 2004, Toponomastica itrana e foresta aurunca, Itri. Conti S., 1984, Territorio e termini geografici dialettali nel Lazio, Roma. Marino P., 2013, Frammenti di storia e memoria. Il patrimonio toponomastico dei Monti Aurunci sud-occidentali, in GGCR, Le grotte dei Monti Aurunci, vol. 1. Il territorio della XVII Comunità Montana, Formia, pp. 263-289. Gröber G., 1877, Zeitschrift Fur Romanische Philologie, Vol. 1, Tübingen. 180 Speleologia del Lazio, 9 | dicembre 2018 Figura 16 - Carta di distribuzione dei nomi ouso e ciauca sulla Catena dei Volsci, significativa per confermare la validità della linea di demarcazione delle macro-aree dialettali dell’Italia centro-meridionale, individuate da G. B. Pellegrini (elaborazione grafica di L. Alessandri) Loporcaro M., 1997, L’origine del raddoppiamento fonosintattico. Saggio di fonologia diacronica romanza, Basel Tübingen. Speleologia, Como, pp. 122-130. Loporcaro M., 2009, Profilo linguistico dei dialetti italiani, Bari. Zingarelli N., 2008, Lo Zingarelli 2008: Vocabolario della lingua italiana, 12 ed., Bologna. Serianni L., 1998, Lezioni di grammatica storica italiana. Nuova edizione, Roma. Magni E., 2014, Linguistica storica, Bologna. Pellegrini G. B., 1977, Carta dei dialetti d’Italia. PDI 0, Pisa. Santoro C., 1978, Riflessi preistorici e storici nella terminologia geomorfologica relativa alla civiltà rupestre mediterranea, in Fonseca C. D. (ed.), Habitat, Strutture, Territorio, Galatina, pp. 65-114. Sarro F., 2005, Il dialetto di Pontecorvo. Fonologia – Morfologia – Lessico, Todi. Segre A. G., 1956, Toponomastica del fenomeno carsico nell’Appennino centrale, in Atti del VII Congresso Nazionale di 181 VII Convegno Federazione Speleologica del Lazio Immagini dal Convegno 182 Speleologia del Lazio, 9 | dicembre 2018 M AT E R I A L I D A L L A M O S T R A CAVERNICOLI dietro le quinte della speleologia ILARIA GIOIA C avernicoli è un progetto fotografico dedicato ai volti della speleologia. Nato nel 2016 su iniziativa di Ilaria Gioia, fotografa free-lance, il progetto ha lo scopo di descrivere il “dietro le quinte” del mondo sotterraneo, fatto di uomini e donne che dedicano il proprio tempo e le proprie risorse all’esplorazione del sottosuolo. È un modo insolito di guardare le grotte e di rappresentare la “componente umana” di una scienza sotterranea ancora poco conosciuta. La realizzazione del progetto segue un approccio stilistico che la fotografia di reportage classifica come “seriale”, solitamente impiegato per descrivere un fenomeno di nicchia o una minoranza di persone. La serialità implica infatti un concetto che si reitera, che si ripete uguale a se stesso pur con diverse sfumature e variabili, e che grazie all’elevato numero di fattori in gioco permette di studiare le dimensioni di un fenomeno in modo da capirne la reale portata. In questo approccio un gruppo di soggetti è ritratto seguendo sempre la stessa impostazione per creare un’idea di accumulo e sfruttare il potere moltiplicativo della ripetizione che in modo quasi ipnotico arriva a tracciare un ritratto universale tramite il contributo di ciascun partecipante al fenomeno stesso. Cavernicoli è quindi un lavoro di raccolta, che dal punto di vista estetico ricorda il catalogo, in cui l’attenzione è tutta incentrata sugli elementi che cambiano senza tuttavia entrare nella sfera personale dei soggetti ritratti, secondo le regole di un approccio descrittivo che tende ad eliminare quasi totalmente il dato emotivo. Da questo punto di vista infatti la scelta della forma “archivio” obbliga a prendere le distanze dai singoli ritratti, e l’uso della griglia, per presentare il lavoro, pone le immagini in una condizione non gerarchica, scardinando ogni Figura 1 - Pannello del progetto esposto al VII Convegno della Federazione Speleologica del Lazio possibile intenzione narrativa. Infine, come ogni buon lavoro di reportage, anche Cavernicoli risente del fattore temporale e la sua valenza espressiva potrà apprezzarsi tra qualche tempo, quando il numero dei soggetti ritratti si sarà sensibilmente esteso. Una prima edizione del progetto è stata esposta a maggio 2017 al VII Convegno della Federazione Speleologica del Lazio che si è tenuto a Roma presso la ex-Cartiera Latina sull’Appia Antica. 183 VII Convegno Federazione Speleologica del Lazio M AT E R I A L I D A L L A M O S T R A Tolosu expedition 2016 CLAUDIA PORFIDIA - FILIPPO BALDINI L fix, piastrine, corde, sacchi, mangimi, fornelli e mondi vari, partimmo per la prima tappa, Bologna, dove avremmo caricato Cracco e Roberto, per quella che si rivelò un’avventura fantastica, di quelle che si ricordano per tutta la vita. Il viaggio stesso, circa 1300 km con nebbia, frontiere, cambi guida e tutto quel che si può facilmente immaginare, fu incredibile, in tutti i sensi. Dopo 24 ore di viaggio ininterrotto e veglia, almeno per me, arrivammo a destinazione di sera tardi, montammo il campo e dormimmo poco, ma ebbe ufficialmente inizio TolosuExpedition. (Mappa Tolosu, Fig.1) Capi spedizione Romeo Uries e Fabio Bollini. Gli altri membri: Claudia Uries, Pamela Romano, io (Claudia Porfidia), SuperFil (Filippo Baldini), Matteo Turci, Bicio (Fabrizio Bandini), Cracco (Andrea Moretti, fotografo e “ chef”), Giacomo Meglioli, Roberto Scorselli. I colleghi romeni, invece: Julian Parvulescu e Miha Parvulescu. Lo scopo dell’esplorazione era il raggiungimento ed il passaggio del 5° sifone: il sopralluogo fatto prima della partenza ci faceva ben sperare nel facile superamento e nel buon fine della missione; poi trovare l’ingresso alto di questo complesso sistema ipogeo, che per anni non era mai stato possibile individuare, poichè i sifoni erano risultati non oltrepassabili. Eravamo armati di corde, cento fix, moschettoni e tutto il necessario per ogni squadra: Fil aveva un sacco speleo di squadra che pesava più di me e per scherzo il primo giorno mi disse: “ohi Clà, questo è il tuo sacco!!” Provai ad alzarlo, lo guardai perplessa, lui rise e disse rassicurandomi: “Scherzo dai!!”. Scendemmo finalmente il primo (non so che sia), lungo la cresta, che dal campo base portava all’ingresso della grotta, pronti per il fine ultimo, ma arrivati al terzo sifone ahimé dovemmo ammettere che, anche pensando di passarlo in muta stagna, non era oltrepassabile se non da esperti speleosub, forse, e che al 5° sifone non saremmo mai arrivati! Tornammo al campo bagnati e sconfortati, pensammo di lavorare tutti nella parte iniziale della grotta, magari chissà…, ’ingresso della grotta era conosciuto da tempo con il nome di Tolosu, che in dialetto locale significa “pantalone”, probabilmente dovuto alla presenza di giganti marmitte situate all’ingresso. La prima documentazione speleologica viene fatta intorno agli anni 60/70 da un gruppo di scienziati rumeni, che esplorano la grotta per circa 600 m. Negli anni successivi viene superato il 5° sifone (che negli anni seguenti, nonostante il monitoraggio, non è più stato superabile). Nel 2001, un anno di grande secca, degli esploratori locali trovarono il sifone aperto ed esplorarono la grotta in un mordi e fuggi per circa 4 km. Nel novembre 2016 una nutrita squadra di 8 italiani e 3 rumeni…. (Storia della grotta da Romeo Uries) Dopo aver ascoltato le parole di Fabio Bollini, durante la sua presentazione del Krubera al raduno speleologico del 2015, decisi di contattarlo per provare anch’io, nel mio piccolo, ad aggiungermi a qualche esplorazione. Le sue parole “non bisogna essere dei Superman per raggiungere risultati che a noi stessi sembrano impossibili” mi avevano colpito nell’anima, conoscendo i miei limiti e il mio recente approccio alla speleologia. Bollini quindi mi inviò gentilmente a due esplorazioni in progetto, Draghi volanti e Tolosu. L’idea di un’esplorazione fuori dall’Italia rafforzava ancora di più la mia curiosità e, soprattutto, non trattandosi di un abisso, potevo sicuramente farcela. Poiché non avevo mai sperimentato la mia resistenza su lunghissime risalite potevo forse dare un aiuto concreto in un complesso ipogeo descritto come orizzontale, chilometrico e con cinque sifoni ma… orizzontale. Ci organizzammo in squadre da due, già stabilite prima della partenza, io conobbi per primo Superfilcapo (Filippo Baldini): noi eravamo i più distanti dal punto di ritrovo a Padova… Da Roma raggiunsi quindi Fil ad Orvieto e carichi di bagagli, 184 Speleologia del Lazio, 9 | dicembre 2018 M AT E R I A L I D A L L A M O S T R A Figura 1 - Carta geologica generale del sistema di Tolosu 185 VII Convegno Federazione Speleologica del Lazio M AT E R I A L I D A L L A M O S T R A ormai c’eravamo e, dopo un viaggio così lungo, un senso a quella settimana sperduti tra le campagne della Romania avremmo dovuto pur darlo. Ogni squadra scelse un punto ed iniziammo le risalite varie, io facevo da sicura a Superfil e a causa della differenza di massa, peso e soprattutto esperienza, mentre mi impegnavo a seguire i suoi “comandi” pregavo che nulla accadesse al mio compagno di squadra, perché non potevo ancorarmi a terra da nessuna parte, se fosse caduto, l’ingresso alto l’avrei trovato io… ma di testa per il contraccolpo! Pur tra una risata e racconti vari, la sera al campo base nessuno aveva trovato qualcosa di veramente serio, Bicio e Matteo avevano lavorato duramente ad una risalita, c’era un buco da passare e per non farli faticare di più ci unimmo anche io e Fil. Fisicamente io ero la più piccola e passai il buco di fango, sì, una bella esperienza entrare in un posto mai esplorato, ma risultai talmente sporca di fango da dover risalire al campo per darmi una lavata... Dopo il buco finalmente c’era una saletta, ma anche questa chiudeva con un altro buco impenetrabile persino per un gatto, lo battezzammo Bificlate (Bicio, Filippo, Claudia, Teo). Eravamo molto sconfortati, seduti la sera al campo, le frontali illuminavano volti un po’ delusi: all’improvviso Fabio, che aveva aspettato l’ultimo momento, ci rivelò la bellissima scoperta. L’ultima risalita che lui e Pamela avevano fatto proseguiva! Il campo prese nuova vita e nuovo sprint, i giorni seguenti tutto il gruppo esplorò il nuovo ramo, Romeo prendeva appunti per aggiornare il rilievo e tutte le informazioni ricevute, i giorni passarono veloci. Poi venne il momento di smontare tutto, ripartimmo, il viaggio di ritorno lungo come quello d’arrivo, sembravamo più degli zombie che degli speleologi, eravamo partiti per esplorare e scoprire nuove cose ed alla fine, anche se quel 5° sifone è ancora lì da bypassare, avevamo comunque individuato nuovi ambienti ipogei, alcuni pertinenti probabimente ad un’altra grotta che si immette in quella originale. Ma soprattutto io ho conosciuto grandi speleo, non solo per la loro esperienza, la loro tecnica, la formazione, ma anche per lo spirito di gruppo, l’accoglienza, la condivisione, la semplicità dei gesti, l’allegria e gli insegnamenti che ho ricevuto. Un grazie a Superfil per la fiducia accordatami, dal cambio guida a tutto il resto come un fratello, a Fabio, a Romeo ed a tutti quanti ... alla prossima Tolosu che aspetta tutti … anche voi. Figura 2 - Il primo rilievo del sistema carsico di Tolosu Figura 2 - Claudia Porfidia e Filippo Baldini durante le esplorazioni a Tolosu 186 Speleologia del Lazio, 9 | dicembre 2018 Giunta esecutiva Presidente Maria Fierli Segretari Andrea Cesaretti Valeria Pasqualini Tesoriere Gabriele Catoni Conservatore del Catasto delle Cavità Naturali Luca Alessandri Federazione Speleologica del Lazio www.speleo.lazio.it info@speleo.lazio.it Delegato Speleo V Zona del CNSAS Flavia Geminiani delegato@soccorsospeleologicolazio.it Associazione Speleologica Romana 86 Gruppo Speleologico Ciociaro CAI Frosinone www.caifrosinone.it/speleo www.asr86.it Associazione Speleologi Romani Gruppo Speleologico Guidonia Montecelio www.speleologiromani.it www.gsgm.it Circolo Speleologico Romano Gruppo Speleologico Sabino “Paolino Cometti” www.circolospeleologicoromano.it www.gruppospeleologicosabino.it Gruppo Speleo Archeologico Vespertilio Shaka Zulu Club Subiaco www.shakazulusubiaco.net www.speleovespertilio.it Gruppo Grotte Castelli Romani Speleo Club Roma www.speleoclubroma.org www.ggcr.org Gruppo Speleologico CAI Roma Gruppo Speleologico URRI www.cairoma.it 187 VII Convegno Federazione Speleologica del Lazio Finito di stampare nel mese di aprile 2019 188