a cura di
Virginia Bertone, Elisabetta Farioli, Claudio Spadoni
SilvanaEditoriale
Mostra
a cura di
Virginia Bertone, Elisabetta Farioli,
Claudio Spadoni
Coordinamento amministrativo
Silvana Barbieri
con Anna De Conciliis, Carolina Di Maria,
Paola Riccio, Mara Spaggiari
Comitato scientifico
Giorgina Bertolino, Virginia Bertone,
Alessandro Botta, Ilaria Campioli,
Elisabetta Farioli, Alessandro Gazzotti,
Claudio Spadoni
Coordinamento segreteria organizzativa
Alessandro Gazzotti
Coordinamento allestimento
Francesca Monti
Coordinamento comunicazione
Georgia Cantoni
con Chiara Ferretti, Manuela Bonventre,
Federica Fortunato
Ufficio Stampa
Studio Esseci di Sergio Campagnolo, Padova
Mario Gobbi, Comune di Reggio Emilia
Coordinamento eventi
Maria Montanari
con Filippo Franceschini
Gestione appalti
Silvia Signorelli
con Ivana Ceccardi, Rosanna Tamagnini
Progetto di allestimento
Stefano Lodesani Studio, Reggio Emilia
Progetto grafico
MZDS, Manzi e Zanotti | Design Studio, Cesena
Realizzazione contenuti multimediali
Diaviva, Reggio Emilia
Allestimento e cantieristica
Attività multiservizi, Vicenza
Falegnameria Francia, Reggio Emilia
Be.St Tende snc, Bologna
Impiantistica e illuminotecnica
Giovanni Ferrari Impianti Elettrici, Reggio Emilia
Assicurazioni
Age Assicurazione Gestione Enti Srl
Marsh
Generali Italia
Siat Assicurazioni
Trasporti
Stella All in one, Matera- Padova-Trieste
Coordinamento sicurezza e logistica
Antonio Fabbris
Restauri
Area, Torino
Centro Restauri Dottoressa Giovanna Niero,
Venezia
Doneux e Soci Restauro opere d’arte, Torino
Temporestudio, Cuneo
Chiara Davoli, Reggio Emilia
Coordinamento servizi di mostra
Marina Notari
Realizzazione grafica di mostra
Poligrafico Roggero & Tortia, Torino
Collaboratori
Federica Frattini, Piotr Mikolaj Adamowicz,
Veronica Boni, Giuseppe De Pietri,
Pasquale Fierro, Monica Maramotti,
Anna Vittoria Pede, Nunzia Urraro
Servizi di mostra e visite guidate
Cooperativa Le Macchine Celibi
Relazioni esterne e marketing
Chiara Piacentini
Audioguida
Parallelo Srl
Sezioni iconografico documentarie
Antonio Fontanesi. La vita 1818-1882
a cura di Ilaria Campioli
con Carmelo De Luca
Antonio Fontanesi. La fortuna critica
1892-1952
a cura di Alessandro Gazzotti
in collaborazione con
Giada Boselli, Federica Contini,
Giulia Iannone, Laura Manzini, Irene Trisolini
Progetto didattico
Riccardo Campanini, Giada Pellegrini,
Chiara Pelliciari
con Licia Galimberti, Francesca Poli,
Martina Danucci, Morgana Volpe,
Daniela Davoli, servizio prenotazioni
Laboratorio firmato
a cura di Barbara Nicoli
che presenta la sua mostra
“Semiotica della natura”
Progetti di inclusione
Linda Gualdi, Chiara Pelliciari
in collaborazione con Progetto Città
senza Barriere
Visite guidate
Arianna Bellettati, Manuela Bonventre,
Martina Danucci, Federica Fortunato,
Laura Manzini, Michela Rivetti, Irene
Trisolini
Catalogo
a cura di
Virginia Bertone,
Elisabetta Farioli,
Claudio Spadoni
Coordinamento
Ilaria Campioli
Saggi di
Giorgina Bertolino
Virginia Bertone
Alessandro Botta
Ilaria Campioli
Elisabetta Farioli
Massimo Mussini
Alessandro Gazzotti
Claudio Spadoni
Schede delle opere
e bibliografia di
Alice Guido
Sommario
13 Le ragioni della mostra
Virginia Bertone, Elisabetta Farioli, Claudio Spadoni
114
Numero, ordine, misura. 1922-1932.
La rilettura di Carrà
16 “La gloria rivendicata”:
la mostra retrospettiva di Antonio Fontanesi
all’Esposizione Internazionale d’Arte di Venezia del 1901
Virginia Bertone
122
Un’eredità romantica. 1952-1954.
Da Longhi ad Arcangeli
approfondimenti
30 Fontanesi e gli artisti: discussioni e polemiche
alle soglie della modernità (1892-1911)
Alessandro Botta
142
46 Affinità, letture e mostre. La riscoperta
di Fontanesi negli anni venti del Novecento
Giorgina Bertolino
Antonio Fontanesi e i dipinti per il Caffè degli Svizzeri
a Reggio Emilia
Massimo Mussini
150
Fontanesi nella collezione Ricci Oddi di Piacenza
Elisabetta Farioli
58 Tra Longhi e Arcangeli: un’eredità romantica
Claudio Spadoni
152
Antonio Fontanesi. Un esploratore del paesaggio
Ilaria Campioli
66 Fontanesi e la sua città: storia di una riappropriazione
Elisabetta Farioli
apparati
la mostra
165
Proposta per un’antologia critica
Alessandro Gazzotti
200
Schede delle opere di Antonio Fontanesi
Alice Guido
212
Bibliografia
Alice Guido
80 L’ora più buia. 1880-1882. Gli ultimi anni
84 L’alba di Fontanesi. 1901. Biennale di Venezia
104 La scienza del colore. 1892-1915.
La riscoperta dei divisionisti
11
Fontanesi e gli artisti: discussioni e polemiche
alle soglie della modernità (1892-1911)
Alessandro Botta
1. Ritratto di Vittore Grubicy
de Dragon, 1885-1895 circa.
Milano, Civico Archivio
Fotografico, Raccolta Luca
Beltrami
– Mi par che il paesaggio vada mutando, – incominciò
Quibio, – o muto io?
o mutiamo tutti?
Io non so più come si può dipingere il cielo: è molto più
difficile che una volta,
perché bisogna far intravedere qualcosa di là
(Giovanni Cena, Gli ammonitori, 1903)
“Desidero che veniate tutti a veder Fontanesi!!”
È con queste parole che Leonardo Bistolfi1, nell’aprile del 1892, invitava l’amico Vittore Grubicy (e
con lui, tutti gli artisti gravitanti nella sua cerchia) a
prendere parte all’Esposizione cinquantenaria della Promotrice di Torino: la mostra retrospettiva, organizzata per onorare la ricorrenza dell’istituzione
subalpina – attraverso i suoi artisti più rappresentativi – dedicava, nell’occasione, un’ampia sezione
proprio ad Antonio Fontanesi, scomparso in città
soltanto un decennio prima, offrendogli la massima visibilità dell’intera rassegna2.
Impegnato in prima persona nell’organizzazione
della retrospettiva, Bistolfi non era sicuramente nuovo alla figura del pittore: già nel 1883 ne
aveva modellato un busto commemorativo (cat.
1) destinato all’Accademia Albertina – presso
la quale il paesista reggiano aveva insegnato –,
30
senza mai abbandonare, da lì in poi, l’interesse
verso il recupero della sua memoria.
La mostra torinese si collocava in un momento
piuttosto delicato per gli sviluppi dell’arte italia-
na; era trascorso infatti soltanto un anno dalla
Triennale di Milano del 1891, l’esposizione che più
d’ogni altra aveva aperto il dibattito sulle nuove
possibilità di rappresentazione – sia per le tematiche da affrontare che per gli stessi procedimenti tecnici – sulla scorta delle proposte figurative
presentate nell’occasione da Gaetano Previati e
Giovanni Segantini. Tra i massimi sostenitori di
questo rinnovamento, il critico d’arte e pittore
Vittore Grubicy (che aveva conosciuto il paesista
nel lontano 1879, alla mostra postuma di Tranquillo Cremona organizzata presso il Ridotto del
Teatro alla Scala di Milano) non avrebbe infatti
mancato di sottolineare l’attualità della pittura di
Fontanesi, indicando l’autore come uno dei precursori della tecnica divisionista, in quel momento al centro delle più vive discussioni3.
L’invito di Bistolfi non sarebbe dunque caduto
nel vuoto: a pochi giorni dall’apertura della mostra, sulle pagine della rivista “Cronaca d’arte”,
Grubicy segnalava con vivo entusiasmo la retrospettiva torinese (ripromettendosi di trattare più
diffusamente l’argomento in futuro) sollecitando
soprattutto gli artisti ad accorrervi (“è una cosa
veramente splendida, che merita d’esser visitata
da ogni artista, che possa appena sobbarcarsi
alla spesetta del viaggio”)4. Quanto il proposito
di Grubicy – condiviso dallo stesso Bistolfi – potesse tramutarsi ben presto in un interesse effettivo, è dimostrato da alcuni passaggi: un giovane
Pellizza da Volpedo, in visita alla mostra retrospettiva, non sarebbe rimasto insensibile di fronte alle opere del paesista, decidendo di appuntare – a margine del catalogo in suo possesso – il
motivo del Novembre5 (cat. 23), mentre un più
maturo Angelo Morbelli ne avrebbe condiviso la
sua visita proprio con il critico milanese6; lo scapigliato Luigi Conconi, invece, approfittando del
suo viaggio a Torino, avrebbe tentato di vendere
alcune acqueforti del maestro, sfruttando la mediazione proprio di Bistolfi7.
L’ampia retrospettiva torinese, che contava oltre sessantotto opere, tra tele, fusain e incisioni,
avrebbe di fatto rappresentato una vera e propria rivelazione per il pubblico – da molti anni
a digiuno della pittura di Fontanesi – ma anche
una sorta di riabilitazione verso una figura per
lungo tempo ingiustamente osteggiata (due anni
prima di morire, nel 1880, l’artista viveva la delusione di un mancato riconoscimento alla prestigiosa Esposizione Nazionale, dove si presentava
con la prova sofferta da Le nubi [cat. 3]).
31
2. Giuseppe Pellizza
da Volpedo, schizzo
del Novembre di Antonio
Fontanesi sul catalogo
della Esposizione
cinquantenaria
retrospettiva del 1892.
Volpedo, Studio del pittore
Pellizza da Volpedo,
biblioteca
Nonostante gli annunci, non sarebbe stato
Grubicy a trattare, in prima battuta, del “caso”
Fontanesi: con una lettera pubblicata sulle colonne della “Cronaca d’arte”8, il pittore e critico
Carlo Bozzi rimetteva al centro dell’attenzione
la presenza del pittore alla retrospettiva torinese, in quel momento già da più parti discussa9.
Apparsa nel giugno di quell’anno – e indirizzata
verosimilmente allo stesso Grubicy – la lettera
ripercorreva l’incontro con le tele di Fontanesi
all’Esposizione cinquantenaria, mostrando tutto l’entusiasmo verso un complesso figurativo
definito dall’artista come “inesauribile”. Sulla
falsariga delle sue opinioni, si poteva già leggere l’assimilazione di quel simbolismo musicale
attribuito da Grubicy all’opera di Previati che,
secondo il parere di Bozzi, poteva adattarsi benissimo anche alla stessa lettura di Fontanesi:
“il complesso delle opere di Fontanesi e qualcuna di esse isolata mi ha dato, piuttosto che
un semplice godimento intellettuale, una vera
emozione, profonda, assorbente quale nes32
sun’altra pittura o scritto seppe darmi e che
solo la musica riesce a produrre”10.
Il critico milanese avrebbe però pubblicato,
nell’agosto, due importanti articoli dedicati al
paesaggio, che trovavano il loro fondamento nel
pensiero sociologico di Jean-Marie Guyau11: due
contributi che, sottotraccia, mostravano una
riflessione ampia sul tema, costituita tenendo
forse a mente l’esempio dello stesso paesista
reggiano, seppur mai richiamato direttamente
nel testo. Più di ogni altra, alla pittura di paesaggio veniva attribuita quella capacità di “rispondere ad un’aspirazione, quasi ad un bisogno
collettivo, sociale”, in quanto fortemente connessa alle nuove esigenze della società moderna, che proprio nel ritorno alla natura vedevano
una nuova possibilità per superare la “monotonia del lavoro diviso” e la “vita febbrile” delle
grandi città12. La funzione sociale del paesaggio, poteva, secondo Grubicy, non limitarsi alla
rievocazione del sentimento provato di fronte
al dato naturale (“Il ricordo d’una splendente
mattinata sui monti, d’un delicato tramonto sul
lago, occuperà con piacevole sollievo la mente
del lavoratore durante le fatiche della settimana”)13 ma esser ridestata, con analogo effetto,
anche attraverso “l’opera magica dell’artista”
condotta sulla tela.
Il mancato impegno di Grubicy a favore del paesista reggiano spingeva Bistolfi a sollecitarlo a
una presa di posizione netta sull’argomento, soprattutto rispetto all’affinità che Fontanesi poteva in quel momento rappresentare nello sviluppo
dei suoi propositi estetici (la riflessione di Bozzi
e gli stessi articoli sul “paesaggio” sembravano
di fatto confermare questa possibilità): soltanto
nell’agosto di quell’anno, gli avrebbe infatti domandato “perché non parli di Fontanesi? È un
tributo che tu devi pagare ancora a quella grandissima memoria”14.
Oltre la Retrospettiva
Due articoli di Grubicy, pubblicati a distanza di
pochi mesi sul quotidiano romano “La Riforma”,
non sarebbero apparsi che soltanto a un anno di
distanza, tra il marzo e il giugno del 189315: nel
frattempo, Grubicy si sarebbe assicurato alcuni
suoi disegni – proprio grazie l’aiuto dell’amico
3. Leonardo Bistolfi
(da “L’Arte all’Esposizione
del 1898”, n. 23 [1898])
scultore16 – per farli figurare alla mostra della
propria collezione grafica, organizzata alla Famiglia Artistica nel mese di febbraio. In quella sorta
di “specchio” delle proprie predilezioni figurative
– che contava circa quattrocento opere, tra disegni, acquerelli e acqueforti di artisti italiani e stranieri – Fontanesi appariva accanto ai pittori della
scuola olandese Jozef Israëls e Anton Mauve, o
ancora vicino ai francesi Jean-Baptiste Camille
Corot e Jean-François Millet (riferimenti imprescindibili nella formazione del critico), secondo
un principio di raccolta che nelle intenzioni di
Grubicy voleva, più che stimolare un dibattito
sulle singole prove, suggerire un indirizzo estetico moderno17.
Pubblicato nel marzo del 1893, Un capolavoro
di Fontanesi si ricollegava immediatamente alla
retrospettiva torinese di un anno prima, offrendosi come una sorta di integrazione alla già ampia proposta della mostra: il pretesto nasceva
dall’incontro con il grande disegno Il lavoro (“un
vastissimo disegno a pastello e fusain, coperto da una lastra di vetro che misura un paio di
metri quadrati”18), appartenuto al drammaturgo piemontese Giuseppe Giacosa, ritenuto da
Grubicy come uno tra i quattro maggiori “capolavori” dell’artista, insieme alle tele dell’Aprile, Le
nubi e Novembre, presenti alla retrospettiva del
1892. Per Grubicy l’arte di Fontanesi assumeva
qui una funzione quasi mistica (che si ricollegava
sempre a quelle caratteristiche “dell’arte vera e
duratura” sostenuta nei precedenti articoli sul
paesaggio, finalizzata a produrre “una emozione
estetica collettiva, sociale”19), vissuta in quell’occasione in prima persona di fronte all’opera, ma
anche attraverso la suggestione formata sul ricordo della stessa:
nel contemplarla, ed anche ora nel rievocarla alla
mia mente, mi pare di sentirmi diventare più buono, di sentirmi elevare sopra me stesso: mi pare
che i credenti di una volta abbiano dovuto provare una dolcezza analoga, un delizioso turbamento
d’animo simile al mio, quando s’immergevano nella contemplazione mistica dell’immagine venerata
d’un santuario o dell’altare confidente familiare
delle loro speranze e delle loro pene.20
33
Il confronto con l’arte francese, spesso considerato come problematico per il pittore di Reggio, veniva nella circostanza declinato a favore
dell’artista italiano, attraverso un paragone
con l’opera grafica di Millet21. Proprio da quelle
accuse di una troppa generosa assimilazione
dei modelli stranieri, avrebbe preso le mosse
il successivo contributo L’ombra di Fontanesi,
apparso soltanto qualche mese più tardi, teso
a ribadire la profonda attualità e indipendenza
dell’artista nel clima figurativo moderno: “l’estetica di Fontanesi aveva orizzonti così ampii e
comprensivi da abbracciare senza stento tutto
quanto di nuovo e di veramente bello si è prodotto dalla sua morte ad oggi: e contesto che
qualsiasi nuovo solco si sia, dopo la sua dipartita, aperto ai nostri passi”22.
Se in quel momento il dibattito sul divisionismo
– nelle sue specificità tecniche – sembrava di
fatto ricalcare le posizioni già sostenute alcuni
anni prima (sulla scia di Grubicy, Morbelli, nel
1895, sosteneva a proposito della teoria della
“divisione del colore” come “essa fu praticata,
per intuizione, dal Cremona, dal Ranzoni, un po’
più per scienza, dal Fontanesi”)23, la necessità
di andare oltre le formule del verismo si sarebbe riproposta poco più tardi, in occasione della
Triennale di Torino, nel 1896. Grubicy, presente
alla mostra anche nelle vesti di pittore (consacrato interamente al genere del paesaggio), affrontava in due contributi una riflessione sulla
“suggestione” nell’arte (Non c’è arte vera senza
suggestione e La suggestione nelle arti figurative)24, prendendo le fila dalla conferenza La suggestione scenica di Giuseppe Giacosa, tenuta
nel maggio del 1896 al Teatro dei Filodrammatici di Milano.
Ribadendo la natura soggettiva delle arti figurative, Grubicy indicava nella suggestione un
processo intuitivo, volto a registrare la sensazione provata di fronte al motivo – piuttosto che trascriverne gli aspetti più esteriori
– in grado di coinvolgere tanto la fase creativa
dell’artista, quanto la successiva ricezione da
parte del pubblico (lo spettatore, osservando
l’opera, avrebbe così rievocato le impressioni
provate dal pittore, secondo un principio già in
34
nuce nei suoi precedenti contributi sul “paesaggio”).
Fontanesi veniva citato per esemplificare queste sue riflessioni, mostrandone alcuni possibili sviluppi, sia in presenza che in assenza del
motivo naturale. Se nel primo caso, riconosceva
nella sua pittura una profonda coesione, frutto
di un processo di sintesi – “quasi incosciente”
– dell’impressione avuta di fronte al soggetto
(“tutto quanto è contenuto nel limite della cornice forma un blocco solo, un concetto unico di
interessamento e tutto, con perfetto equilibrio,
è rigorosamente subordinato a quell’unità”)25,
in seconda istanza, l’avrebbe invece ricordato
tra quei pittori già proiettati verso la modernità, le cui opere “furono create rievocando, nella quiete dello studio, impressioni, fortemente
sentite, di determinati momenti della natura e
previamente studiate nei rispettivi ingredienti
della forma”26.
Non è difficile, in realtà, trovare i precedenti del
pensiero di Grubicy in alcune attestazioni anteriori, tese proprio a rivelare quanto la pittura
di Fontanesi potesse andare al di là di una mera
4. Marco Calderini
(da “Emporium”, VII, 40,
aprile 1898)
trascrizione del dato naturale, attraverso il ruolo stesso della memoria27; quanto il processo di
rielaborazione del motivo fosse al centro della
ricerca fontanesiana ben lo dimostra un ricordo che Morbelli trasmetteva al critico milanese
già nel settembre del 1892, citando un pensiero
del pittore reggiano: “Penso che avesse ragione Fontanesi, pensarvi un anno, (un dipinto),
ed eseguirlo in un giorno, cioè a mio parere,
eseguirlo nel tempo che basti a riuscire”28.
La Triennale del 1896 si sarebbe distinta anche
per un’altra tangenza con il paesista: il pittore Clemente Pugliese Levi, allievo di Fontanesi,
avrebbe deciso di destinare il premio ottenuto (di
5000 lire)29 alla pubblicazione della monografia
che Marco Calderini (anche lui discepolo fontanesiano) stava da tempo mettendo insieme, consacrata proprio alla figura del maestro reggiano.
Tra i principali sostenitori di Fontanesi all’indomani della sua morte, Calderini si era da sempre
prodigato per un recupero della sua memoria,
anche attraverso gli incarichi nel frattempo ricoperti: in particolare nel 1892, sfruttando la sua
nomina a membro della Commissione perma-
nente di belle arti, otteneva l’acquisto di un’opera
di Fontanesi da parte del Ministero dell’Istruzione pubblica, da destinare alla Galleria Nazionale
di Roma30.
Incominciata molti anni prima, la monografia
su Fontanesi doveva aver creato una serie di
aspettative negli stessi artisti, soprattutto in
quelli che da tempo cercavano una sua più
ampia riabilitazione: lo stesso Bistolfi, in una
lettera trasmessa a Grubicy nell’estate del
1896 (da qui in poi il critico sarà sempre meno
presente nel dibattito, perché assorbito dal
suo lavoro di pittore), mostrava tutte le sue
perplessità circa l’avanzamento dell’ambizioso progetto, a quanto pare ancora lontano
dall’essere concluso:
Calderini non lo vidi più. Né anche del libro su Fontanesi non ne so più nulla: e comincio seriamente
a temere che la santa idea non abbia ad attuarsi, o
abbia a prendere una forma assai diversa da quella
degna dello scopo. A scrivere un’opera così ci vorrebbe un’anima vibrante di tutti gli entusiasmi della vita e dell’arte… E frattanto nessuna fotografia è
stata fatta ancora... E poi! Non ti pare che il libro
5. Copertina del volume
di Marco Calderini, Antonio
Fontanesi. Pittore Paesista
1818-1882, 1901
dovrebbe illustrare queste illustrazioni e non viceversa come avverrà?31
Solo due anni più tardi, nel contesto dell’Esposizione Nazionale di Torino del 1898, Efisio Aitelli, tracciando un profilo di Calderini sulla rivista
dell’esposizione, svelava la genesi di questa sua
impresa, a quanto pare molto più articolata del
previsto:
Un suo lavoro critico-biografico intorno ad Antonio
Fontanesi va innanzi a passi di formica. Calderini è
scontento di quanto va man mano facendo: scrive,
distrugge, torna a studiare; promuove inchieste,
interpella discepoli, amici, ammiratori del grande
Maestro dispersi un po’ dapertutto, in Inghilterra,
nel Belgio, perfino nel lontano Giappone. Uno scrupolo doloroso lo trattiene e dal dire e dall’avventar
giudizi che non siano basati sulla realtà. Egli vuol
compiere un’opera che non sia soltanto un libro
sul Fontanesi, ma un documento [...] che entri, per
così dire, nella storia della pittura e vi rimanga, non
35
ad onore di chi l’ha dettato, ma di chi intende illustrare.32
Pubblicata nel 190133, presso l’editore Paravia, la monografia cadeva strategicamente nel
momento della grande retrospettiva fontanesiana, ordinata dallo stesso Calderini alla IV
Esposizione Internazionale d’Arte di Venezia34.
Accolta con grandissimo entusiasmo dalla critica del tempo, la mostra di Fontanesi trovava
collocazione in apertura della sezione italiana,
assumendo così un ruolo primario rispetto
l’intera esposizione, quasi a rappresentarne
i prodromi della stessa modernità35. La dettagliata monografia, da quel momento in poi,
avrebbe assunto un ruolo determinante per
la conoscenza del pittore (da sempre carente
di un profilo biografico attendibile), che si sarebbe riverberata nelle stesse riletture critiche,
apparse all’indomani della sua uscita. Sulla
scorta di questo entusiasmo – dato dalla felice
coincidenza della mostra e del volume – rimaneva però un legittimo dubbio sul futuro di Fontanesi: se per molti anni erano stati proprio gli
artisti a custodirne la memoria, la critica – per
contro – ne riconosceva soltanto ora la sua importanza, con un’immediatezza che lasciava il
sospetto di una moda passeggera più che di un
riesame profondo della sua figura. Rievocando
la mostra del 1901, Mario Morasso avrebbe infatti condannato quella tendenza pretestuosa
della critica, più attenta a recuperare i fantasmi
del passato che a occuparsi della stessa contemporaneità: “Non vi è stato critico [a Venezia] che per la sua serietà non si sia attribuito
come un dovere il delirare per Corot, il proclamare Fontanesi l’insuperabile tra i paesisti [...].
Come qualche anno fa per l’abbigliamento,
così ora per la critica pittorica, il figurino d’obbligo è quello del trenta”36.
Dopo Venezia?
Il 23 maggio del 1901, a distanza di solo un
mese dall’inaugurazione della mostra veneziana, un gruppo di allievi ed estimatori di Fontanesi si sarebbe incontrato al Circolo degli
Artisti di Torino per valutare la possibilità di ri36
proporre37, nel 1902, una grande retrospettiva
sul pittore (convinto che la città non avesse ancora tributato le giuste commemorazioni al suo
artista d’adozione): lanciata forse dallo stesso
Marco Calderini, l’iniziativa si sarebbe in quel
momento aperta a un confronto sulle caratteristiche che la stessa avrebbe dovuto avere,
non trovando, in prima battuta, una soluzione
condivisa dall’intero gruppo promotore. Qualche giorno prima, infatti, il pittore Clemente
Pugliese Levi – già al corrente della proposta –
trasmetteva le proprie impressioni a Calderini,
mostrando una certa reticenza verso l’idea di
replicare pedissequamente la mostra di Venezia (come avrebbe invece voluto un altro allievo
di Fontanesi, Giovanni Piumati), così scriveva:
In quanto all’Esposizione da farsi qui l’anno venturo, io Le dirò francamente che non approvo la
ripetizione a così breve distanza di quella così ben
riuscita di Venezia, mentre quella del disegno ed
acqueforti sarebbe stato il complemento dell’attuale e perciò di sommo interesse. Penso altresì
che a molti dei proprietari dei quadri rincrescerà
privarsene di nuovo dopo pochi mesi e potrebbe
così l’esposizione riuscire meno completa di quella
di Venezia. Se però prevale l’idea del Piumati è naturale che io non insista più sulla mia, per quanto io
sia fermamente convinto che sarebbe più opportuno.38
A distanza di poco più di una settimana, il 2
giugno, la testata torinese del “Giornale d’arte” – fondato qualche mese prima e coordinato dal critico Giovanni Cena – aveva intrapreso, autonomamente, una propria campagna
per la riabilitazione di Fontanesi, divenendo
una sorta di controparte al gruppo di allievi impegnato in quel momento a definire i caratteri
della futura mostra: partendo proprio da quel
sentimento di mancato riconoscimento che la
città di Torino – e l’intero Piemonte – avrebbe dovuto offrire al pittore (“l’Italia ha ignorato
per più di trent’anni questo gigante. La colpa è
dei piemontesi che lo hanno nascosto, dicono
tutti. È vero. L’abbiamo defraudato alla gloria,
vivo e morto”39) veniva dedicato un numero in-
6. “Giornale d’arte”,
foglio settimanale,
2 giugno 1901
7. Copertina dell’articolo
di Giovanni Cena Antonio
Fontanesi, illustrata
da Anton Maria Mucchi
su Le nubi di Antonio
Fontanesi. Cremona,
Biblioteca Statale, Fondo
Illemo Camelli
tero al paesista reggiano, che si apriva con il titolo evocativo Per Antonio Fontanesi40. Ma non
solo. La rivista si faceva promotrice, nell’occasione, di una pubblica sottoscrizione, finalizzata alla costituzione di un monumento dedicato
alla memoria del paesista: una nobile iniziativa che, già in questa prima istanza, si sarebbe
fregiata del sostengo di Giovanni Camerana, il
magistrato e poeta simbolista, erede fiduciario
dei beni di Fontanesi.
Tra le stesse pagine del “Giornale” si sarebbero
poi intraviste le azioni di quello che, da lì a poco,
sarebbe diventato un vero e proprio “comitato”:
nella terza pagina del settimanale, veniva pubblicato un elenco sintetico di proposte, ritenute
necessarie per restituire quel legittimo tributo al
pittore, per troppo tempo negato:
1° Che si collochi il suo busto sullo scalone dell’Accademia Albertina; 2° Che si accolga la sua salma
nel Famedio; 3° Che si allestisca, in occasione
della grande Esposizione dell’anno venturo, un’Esposizione completa (più tardi forse impossibile)
da cui esca intera la fisionomia del Maestro ora, a
Venezia, appena abbozzata; 4° Che gli si dedichi
una sala del Museo Civico; 5° Che gli si consacri un
pubblico monumento.41
La sottoscrizione del “Giornale d’arte” avrebbe
convogliato – da quel momento in poi – l’attenzione degli artisti, divenendo una sorta di
grande collettore in grado di tenere insieme,
nel nome di Fontanesi, fazioni e generazioni
differenti di pittori: se da un lato, la parte più
consistente di questi sarebbe stata rappresentata dai discepoli del maestro reggiano (Carlo
Stratta, Giovanni Piumati, Clemente Pugliese
Levi, Carlo Pollonera e Vittorio Bussolino), lo
stesso fronte “moderno” – che meglio si identificava con la linea portata avanti dalla rivista
– non avrebbe mancato di intervenire (Matteo
Olivero, Pellizza da Volpedo, Felice Carena e
Leonardo Bistolfi), così come lo stesso Vittorio
Avondo, allora direttore del Museo Civico cittadino. Dalla città di Reggio Emilia invece, sarebbe arrivato il sostegno del pittore Augusto
37
8. Anton Maria Mucchi
nel 1905. Berlino, collezione
famiglia Mucchi
Mussini (attivo anche come collaboratore della
rivista)42 e, poco dopo, quello più ufficiale dello
stesso Municipio.
Scorrendo l'elenco dei sottoscrittori (più ampio
rispetto a quello menzionato), balzava sicuramente all’occhio l’assenza di Marco Calderini,
l’artista che in quel momento poteva essere
considerato – più di ogni altro – come l’erede
spirituale di Fontanesi, alla luce soprattutto dei
suoi recenti successi veneziani e del consenso
ottenuto con la monografia. Nonostante i tentativi di contatto compiuti sia da parte di Giovanni
Cena che di Anton Maria Mucchi, pittore trentenne di origine emiliana (tra i principali animatori dello stesso comitato)43, Calderini avrebbe
deciso di rimanerne al di fuori, creando un certo scompiglio nel clima generale dell’iniziativa,
generando ben presto una serie di inevitabili incomprensioni. Soltanto nell’agosto, infatti, l’ormai anziano Francesco Magnani – che di Fontanesi era stato amico – cadeva nel malinteso
del suo ruolo, immaginandolo in prima linea a
difendere le ragioni del comitato di Torino
[scriveva a Calderini] ritenevo che lei fosse l’inizia-
siamo dispiaciuti per una parte, ma apprezziamo
tore o uno dei proponenti la sottoscrizione per un
le Sue giuste e buone ragioni.47
monumento ad Antonio Fontanesi; e in tale ipotesi
inviai a lei L. 20 quale tenue contributo. Ma dalla
sua lettera, apprendo che le cose procedettero diversamente, e mi duole assai il sentire come il Giornale d’Arte che ha aperto la sottoscrizione osteggi
la diffusione del suo bellissimo Libro.44
Il distacco di Calderini dal gruppo torinese – non
privo di accenni tendenziosi, verosimilmente ingiustificati – si sarebbe ben presto tramutato in
un sostegno positivo al costituendo comitato di
Reggio Emilia45, iniziativa che trovava nella gestione intelligente del pittore Augusto Mussini
una condizione di pacifica convivenza con i paralleli intendimenti subalpini46:
Organizzata dagli allievi di Fontanesi (oltre a Calderini, ricorrono nell’organizzazione i nomi di
Pugliese Levi e Stratta) la mostra del 1902 si sarebbe aperta nel mese di aprile, nel contesto della più ampia rassegna Quadriennale48, abbandonando di fatto quell’ambizione – come forse era
stato inizialmente ipotizzato – di apparire come
esposizione autonoma. Si trattava di una raccolta dal carattere intimo, ben lontana dai fasti veneziani, composta perlopiù da disegni, incisioni
e bozzetti, messa insieme attraverso i generosi
prestiti di artisti e discepoli del maestro:
Non era certamente questa sala così ricca e così
gloriosa come quella consacrata al Fontanesi a
38
Noi non intendiamo intralciare l’opera iniziata da
Venezia. Quella era la reggia per il principe dei
altri a Torino; ma accettiamo gratissimi il valido aiu-
paesisti italiani: questa era appena una piccola ed
to morale che Ella porta alla nostra iniziativa. [...]
affettuosa nicchia nella quale, fratellanza d’amici
Constatammo già, ed è noto ormai a noi tutti il Suo
e cuore di discepoli, avevan voluto collocare l’im-
disaccordo coi colleghi del Comitato di Torino; ne
magine ideale del trapassato.49
Nonostante la repentina chiusura del “Giornale
d’arte”, nel luglio del 1901 (una sorta di sconfitta del fronte moderno, a vantaggio della frangia
più tradizionalista capeggiata da Calderini),
le iniziative del comitato torinese si sarebbero protratte ancora nel tempo, mostrando una
fermezza di intenti ben lontana dall’esaurirsi nel
breve periodo: proprio in occasione della mostra del 1902, il comitato torinese avrebbe ristampato l’articolo che Giovanni Cena dedicava
l’anno precedente a Fontanesi, rilegandolo con
una copertina creata appositamente da Anton
Maria Mucchi, elaborata sul motivo fontanesiano delle Nubi50.
A partire da questi anni, sarebbe stato proprio
Mucchi a prendere in mano le redini del comitato
(dopo il definitivo trasferimento di Cena a Roma,
impegnato come redattore della rivista “Nuova
Antologia”), aprendo a forme di sostentamento e
promozione che andavano al di là della semplice
sottoscrizione: nel febbraio del 1903 una notizia
apparsa su “La Stampa” avrebbe, oltre che fatto
il punto sulle attività già svolte dal comitato, annunciato la decisione di inaugurare una serie di
conferenze, dedicate alla memoria del pittore51.
Se le iniziative prospettate dal comitato si sarebbero man mano risolte con un esito positivo, o quasi52, la questione del monumento a
Fontanesi (di fatto il pretesto che aveva attivato
l’iniziativa della sottoscrizione) restava invece
inesorabilmente aperta. Soltanto nel 1908 si sarebbe tornati a ripensare in che modo destinare
in soldi raccolti, custoditi sino a quel momento
dal pittore Pugliese Levi53. In una serie di scambi
epistolari, oramai limitati ai soli Mucchi e Pugliese Levi, si sarebbe ben presto compreso come
l’ipotesi iniziale – quella di erigere un ricordo in
città – non fosse più percorribile e si imponesse, quindi, la necessità di trovare una possibile
quanto degna alternativa. La scelta sarebbe ben
presto ricaduta su Reggio Emilia, ritenuta una
località più idonea e aperta a questa eventualità, non segnata dalle divisioni artistiche che la
città di Torino aveva in quegli anni vissuto (nel
dicembre del 1911, Pugliese Levi comunicava a
Mucchi: “Credo io pure che l’offerta a Reggio sarebbe più gradita che a Torino, dove la sottoscri-
zione venne contrastata perché non promossa
dagli allievi”54).
Le vecchie tensioni e i vecchi sodalizi si sarebbero rinnovati proprio in questo momento. Il comitato di Reggio, memore dei contatti instaurati
sin dall’inizio del secolo con Calderini, gli avrebbe
chiesto un ragguaglio sull’effettiva esistenza del
comitato torinese e un parere sull’affidabilità del
pittore Mucchi; a margine del telegramma ricevuto il 5 maggio 1912, Calderini avrebbe annotato le succinte linee della sua risposta: “Ignoro
esistenza Comitato citatomi | Signor M.[ucchi]
molto sospetto – assicurarsi gratuità positiva”55.
Una nuova casa per Antonio
La difficoltà oggettiva nel poter osservare le
opere di Fontanesi, oltre le temporanee occasioni di Venezia e Torino, si mostrava come un
problema reale per chi, come gli artisti e gli appassionati, cercavano nel maestro una fonte di
ispirazione o semplicemente un confronto con
la sua pittura. Già da molti anni il Museo di Torino offriva la possibilità di fruire dal vivo due tra le
maggiori opere del paesista reggiano (L’Aprile e
La quiete [cat. 9]), imponendosi, in Italia, come
una delle poche istituzioni pubbliche – accessibili – in grado di farlo. Al di là dell’indiscutibile
qualità delle tele, era stato l’ordinamento della
sala – e in particolare il posizionamento delle
stesse – ad aver aperto nel tempo alcuni legittimi dubbi. Dopo le impressioni date all’inizio del
secolo da osservatori avveduti come Giovanni
Cena e Ardengo Soffici56, nel 1905 un visitatore d’eccezione come il critico Ricciotto Canudo
– estraneo ai dibattiti cittadini –, rimetteva al
centro il problema, tuonando dalla tribuna del
settimanale socialista “Il Campo” come la collocazione delle opere di Fontanesi fosse “una delle
più spaventevoli disarmonie imposte da uomini
ignari”, e come gli stessi dipinti si trovassero
“confusi in una grande sala, in mezzo e accanto a molti dipingitori vacui, a qualche Calderini
appena sopportabile, a qualche Grosso brutale,
melodrammatico e insopportabile”57.
Come alternativa all’ipotesi museale, il critico
suggeriva di “rendere agli Artisti le due tele”, proponendo collocarle in un vero e proprio taberna39
colo, costituito appositamente alla memoria del
pittore (un principio non così dissimile da quello
di Carlo Bozzi, che alla retrospettiva del 1892
avrebbe sognato “di espropriare per ragione di
utilità pubblica tutti quei felici possessori [...] e di
conservare quella sala come un santuario dell’arte nuova”58); nell’attesa di ottenere una soluzione all’altezza del valore dell’artista, la proposta di
Canudo si faceva nell’immediato più drammatica e drastica: “coprire con un fittissimo velo nero
le due tele” del museo59.
Dopo la morte di Giovanni Camerana – avvenuta il 2 luglio 1905 – il museo avrebbe ricevuto un
lascito di oltre seicento opere fontanesiane60, ma
la situazione non sarebbe di certo migliorata,
se non addirittura peggiorata: fittamente riunite all’interno di una sala dedicata, le opere non
seguivano un ordinamento organico – come le
stesse volontà di Camerana avevano indicato61
– ma un criterio imprecisato, confuso, che più
che lodi raccoglieva soltanto disapprovazioni.
Le critiche avanzate sui giornali e le voci contrariate che si alzavano dalla stessa municipalità62,
avrebbero costretto l’allora direttore del Museo
Civico, Vittorio Avondo, ad apporre un cartello in
sala, recante l’esplicita avvertenza: “collocamento provvisorio”63.
Uno stato di desolazione che si sarebbe protratto ancora nel tempo e che avrebbe portato, alcuni anni più tardi, il giornalista Ernesto
Ferrettini a dare una descrizione quanto mai
dettagliata della sala, che merita ancor oggi di
essere riletta:
ecco i dipinti, che in un palmo di superficie rac-
collocato da ‘fare specchio’ sotto qualsiasi punto
di vista lo si guardi; là è invece il dipinto che ne ha
fatto una delle sue, e s’è rivolto verso il lucernario,
come certi fiori avidi di luce, onde noi non riusciamo più a vedere se non qualche cosa di colorito e
di lucido ad un tempo, che ci dà un’idea assai esatta di ciò che volle il Fontanesi; altrove…64
La condizione della sala non avrebbe comunque
fermato l’interesse degli artisti, se non addirittura rappresentato un’occasione favorevole per
tornare a riconsiderare la pittura di Fontanesi in
maniera più completa ed estensiva: sono le stesse parole di Pellizza da Volpedo, indirizzate nel
gennaio del 1906 al pittore Luigi Onetti, a confermarlo; dopo gli entusiasmi della retrospettiva del
1892, il pittore avrebbe salutato positivamente
l’arrivo della collezione di Camerana al Museo di
Torino, come un momento propizio per tornare a
studiare da vicino la sua pittura:
maestro che ammiro ognora più quando mi faccio a
studiare le sue opere anche pel tramite delle riproduzioni. Appena potrò verrò a Torino per rivedere la
collezione Camerana e potendo ne copierò qualche
numero. È un desiderio quest’ultimo che mi tormenta e che ancora non ho potuto realizzare.65
D’altronde, l’attenzione di Pellizza verso il genere del paesaggio – e verso lo stesso Fontanesi
– si sarebbe ridestata proprio nei primi anni del
nuovo secolo, come dimostra una lettera trasmessa nel 1903 all’amico Morbelli, nella quale
Pellizza esterna – in prospettiva – le proprie intenzioni di pittore:
chiudono tesori di poesia e di luce, allineati ad un
centimetro di distanza l’uno dall’altro, senza nean-
alcuni piccoli paesaggi sono quelli che più soddi-
che quell’obolo di cornice, che si concede alla più
sfano le mie aspirazioni di pittura. In seguito sarò
povera tela; onde gli effetti si distruggono vicende-
più che altro un paesista. Fontanesi m’aiuta a tro-
volmente, e l’occhio non si concentra e non ripo-
var me stesso; che altro non sono se non un soli-
sa; studi d’un sentimento vasto e profondo, sono
tario amante della vergine natura selvaggia diffon-
sacrificati in quadratelli gialli, che vorrebbero esse-
dentesi nella luce.66
re cornici, e non sono che cose brutte e pietose a
vedersi; e il senso di nausea cresce vedendo spuntare da esse, e contorcersi come vermiciattoli, i
chiodini che tengono fisse le riquadrature alle assi
della parete; qui è un quadro sotto vetro, così bene
40
Dopo lo spostamento della salma di Fontanesi nel famedio cittadino, avvenuta nel 190367, il
Comune di Torino tornava, ancora una volta, in
soccorso del pittore defunto, decidendo di isti-
9. Leonardo Bistolfi,
Medaglione commemorativo
per Giovanni Camerana,
pubblicato nel volume Versi
di Giovanni Camerana, 1907
tuire un’apposita commissione per il riordino
della sala fontanesiana. Grazie all’iniziativa del
consigliere socialista Gustavo Balsamo Crivelli,
il 3 febbraio del 1908 gli artisti Vittorio Avondo
(che, come si è detto, ricopriva l’incarico di direttore del museo), Marco Calderini, Leonardo
Bistolfi, Clemente Pugliese Levi e Vittorio Bussolino venivano nominati membri della nascente commissione, finalizzata a rendere giustizia
al paesista reggiano ed alla stessa memoria di
Camerana68. Già nel maggio dello stesso anno, il
gruppo costituito avrebbe visto un parziale ma
significativo riassetto: oltre all’uscita di Pugliese
Levi, trasferitosi in quel tempo stabilmente a Milano69, si sarebbero aggiunti altri quattro allievi
del maestro reggiano (Carlo Stratta, Giovanni
Piumati, Carlo Pollonera e Carlo Follini), nominati su indicazione dello stesso Calderini70.
Contrariamente alle aspettative, il riordino della
sala non si sarebbe poi concluso in tempi brevi:
una serie di rallentamenti, dovuti sia alla decisone di ampliare i locali della collezione moderna
che, verosimilmente, allo stesso decesso del direttore Avondo, avrebbe fatto slittare l’apertura
soltanto al 1911.
Se la collocazione delle pitture e dei disegni veniva sin da subito presa in carico dal gruppo di
discepoli, Leonardo Bistolfi – che altrettanto si
era speso per la memoria del pittore – veniva immediatamente estromesso dal lavoro di ordinamento, limitando la sua azione al progetto di una
targa in onore di Camerana71, da apporre nella
medesima sala.
L’azione congiunta di queste differenti personalità, seppur mossa da intenti e spiriti differenti,
avrebbe dato un degno seguito all’esortazione
espressa da Ricciotto Canudo alcuni anni prima,
quella “rendere agli Artisti” le opere del pittore.
41
1 Cartolina di L. Bistolfi a V. Grubicy, 18 aprile 1892 (MART,
Archivio del ’900, Fondo Vittore Grubicy, Gru.I.1.1.115).
2 Catalogo Esposizione Cinquantenaria Retrospettiva, catalogo della mostra (Torino, aprile-luglio 1892), G.B. Paravia, Torino 1892, pp. 37-41, 52-53, 55. Rispetto agli altri
artisti, la presenza delle opere di Fontanesi risulta essere
la più cospicua dell’intera esposizione.
3 Circa la messa in pratica della teoria della divisione dei
colori Grubicy sosteneva: “Si è gridato che la cosa è vecchia, che poi fu già praticata una ventina d’anni fa da Carcano; che poi Ranzoni, Cremona, Fontanesi, Monticelli ed
altri, senza contare gli antichi, l’applicarono nei loro quadri” (V. Grubicy, Prima Esposizione Triennale Brera 1891.
Tendenze evolutive delle arti plastiche, estratto dal fasc. IX
del “Pensiero Italiano”, Milano 1891, ora in Vittore Grubicy
de Dragon. Scritti d’arte, a cura di I. Schiaffini, Documenti
del MART, n. 11, Edizioni Egon, Rovereto 2009, pp. 90).
Sulla rivista “Cronaca d’arte” avrebbe ancora affermato
“Carcano, come Ranzoni, Fontanesi, Cremona furono appunto citati da me come i primi che fra noi applicarono
il principio di Chevreuil enunciato all’Academia di Francia
nel 1838” (V. Grubicy, Esposizione Segantini - Polemiche
artistiche - Galateo professionale pei critici - Varia, in “Cronaca d’arte”, a. I, n. 26, 14 giugno 1891, p. 217).
4 [V. Grubicy], Cronachetta, in “Cronaca d’arte”, a. II, n.
18, 24 aprile 1892, p. LXX. Qualche settimana più tardi,
recensendo per la prima volta la mostra torinese, scriveva
“lo spazio è assorbito e non mi resta più campo neppure
per parlare della retrospettiva di via della Zecca e del Divo
Fontanesi che vi domina sovrano nell’olimpica serenità
della sua arte poderosa. Ad altra volta dunque” (V. Grubicy, La duplice esposizione della Promotrice a Torino, in
“Cronaca d’arte”, a. II, n. 20, 15 maggio 1892, p. 1).
5 Cfr. A. Scotti, Pellizza da Volpedo. Catalogo Generale,
Electa, Milano 1986, pp. 12, 285-286, cat. 720.
6 “debbo dire che ad eccezione del Pusterla! tutti furono
concordi ed entusiasti del Fontanesi, parlo degli amici venuti a Torino – meno male –” (lettera di A. Morbelli a V.
Grubicy, 20 luglio 1892; MART, Archivio del ’900, Fondi
Grubicy-Benvenuti, Ben.V.4.50).
7 Nel mese di luglio, Bistolfi avrebbe comunicato a Grubicy: “Conconi mi aveva lasciato qui delle acqueforti di
Fontanesi perché tentassi un affare colla promotrice. Ma,
davvero, le finanze vennero meno al momento buono (e)
io dovetti rinunciare ad ogni speranza.” (lettera di L. Bistolfi a V. Grubicy, 6 luglio 1892; MART, Archivio del ’900,
Fondo Vittore Grubicy, Gru.I.1.1.115).
8 C. Bozzi, Per Antonio Fontanesi, in “Cronaca d’arte”, a. II,
n. 24, 12 giugno 1892, s.p. [2]. La lettera era anticipata dalla seguente premessa: “Mentre il nostro Vittore Grubicy
sta compilando il suo studio sopra il grande paesista-poeta, il fratello ideale di Tranquillo Cremona, diamo corso ad
una letterina che ci scrive l’amico Bozzi” (ibidem).
9 In particolare veniva citato il caso di Ugo De Filarte [Ferdinando Brambilla], che sul quotidiano torinese “Gazzetta
del Popolo” aveva usato toni poco elogiativi nei confronti
di Fontanesi. Cfr. U. De Filarte, Esposizione di Belle Arti
di Torino II, in “Gazzetta del Popolo”, 19-20 maggio 1892;
Idem, Esposizione di Belle Arti di Torino III, in “Gazzetta del
Popolo”, 3-4 giugno 1892.
10 Bozzi, Per Antonio Fontanesi, cit.
11 Vittore [V. Grubicy], Paesaggio, in “La Riforma”, 14
agosto 1892; [V. Grubicy], Ancora del paesaggio, in “La
Riforma”, 21 agosto 1892. Ripubblicati in Vittore Grubicy
42
de Dragon. Scritti d’arte, cit., pp. 99-108. Relativamente
all’influenza del pensiero di Guyau nella critica di Grubicy
si veda A.M. Damigella, La pittura simbolista in Italia, Einaudi, Torino 1981, in particolare pp. 98-109, e Schiaffini,
Vittore Grubicy, cit., pp. 9-44, 207-210.
12 [Grubicy], Paesaggio, cit.
13 Ibidem.
14 Lettera di L. Bistolfi a V. Grubicy, 31 agosto 1892 (MART,
Archivio del ’900, Fondo Vittore Grubicy, Gru.I.1.1.115).
15 V. Grubicy, Un capolavoro di Fontanesi - La conf. Fogazzaro alla “Famiglia artistica”, in “La Riforma”, 20 marzo 1893;
Idem, L’ombra di Fontanesi, in “La Riforma”, 19 giugno 1893.
Relativamente alla collaborazione di Grubicy con il quotidiano “La Riforma” si veda M. Vinardi, Gli scritti di Vittore
Grubicy per “La Riforma”, in Pellizza e i Grubicy. Il carteggio
di Giuseppe Pellizza da Volpedo con Vittore e Alberto Grubicy
De Dragon, a cura di A. Scotti Tosini, Fondazione Cassa di
Risparmio di Tortona, Tortona 2006, pp. 85-104.
16 Il 31 gennaio del 1893, Bistolfi scriveva: “[Vittorio] Bussolino ti manderebbe per la tua esposizione due disegni di
Fontanesi di cui uno piuttosto grande, ma incorniciato pel
timore che sia abbia a guastare. Dimmi subito se lo deve
spedire. Frattanto ne cercherò altri” (cartolina di L. Bistolfi
a V. Grubicy, 31 gennaio 1893; MART, Archivio del ’900,
Fondo Vittore Grubicy, Gru.I.1.1.115); la vicenda si sarebbe
conclusa circa un mese più tardi, pochi giorni prima dell’apertura dell’esposizione: “Ho spedito al tuo indirizzo quattro disegni di Fontanesi. Non mi fu possibile averli prima e
sarebbe troppo lungo, adesso, dirti il perché. Non fa certo
bisogno ch’io te li raccomandi caldamente” (cartolina di L.
Bistolfi a V. Grubicy, 21 febbraio 1893; MART, Archivio del
’900, Fondo Vittore Grubicy, Gru.I.1.1.115).
17 Relativamente alla mostra si veda V. Grubicy, La Famiglia Artistica, in “La Riforma”, 27 febbraio 1893; G. Beltrami, La collezione Grubicy alla Famiglia Artistica, in “Corriere della Sera”, 27 febbraio 1893.
18 Grubicy, Un capolavoro di Fontanesi, cit.
19 [Grubicy], Paesaggio, cit.
20 Grubicy, Un capolavoro di Fontanesi, cit.
21 “Li ho visti tutti i meravigliosi pastelli che il grande Millet ha creati e che rispondono appunto a quest’ordine di
idee come concezione e presentano anche dell’analogia
nei materiali adoperati per l’esecuzione: il notissimo Parc
à moutons col chiaro di luna […] mi ha rapito in estasi per
lunghe ore: ma se dovessi decidermi a scegliere fra i due
(astrazion fatta da ogni criterio di valore venale) non sono
ancora certissimo, ma credo che mi deciderei per ‘Il Lavoro’ di Fontanesi. Con questo, per chi conosce le mie predilezioni estetiche moderniste, è detto ch’io nulla potrei
dippiù in linea ammirativa” (ibidem).
Contro le accuse di plagio, Marco Calderini avrebbe dedicato alcuni paragrafi della sua monografia, tesi a ribadire
l’indipendenza della pittura fontanesiana rispetto ai modelli stranieri; cfr. M. Calderini, Antonio Fontanesi. Pittore
paesista, 1818-1882, G.B. Paravia e comp., Torino 1901 (in
particolare i paragrafi L’originalità e La Critica, pp. 229231; 261-264).
22 Grubicy, L’ombra di Fontanesi, cit.; Poco tempo dopo
l’uscita dell’articolo, Bistolfi avrebbe scritto all’amico:
“leggo sempre quelli […] [gli articoli] della Riforma che mi
mandano gentilmente. Non ti so dire quanto piacere mi
diano le tue sane e generose battaglie. E mi fa una vera
consolazione quella su Fontanesi del penultimo numero
– peccato che tu non conosca abbastanza l’ambiente no-
stro ed i nostri uomini – Comprenderesti quante delle lezioni simili alla tua avrebbero bisogno. Coraggio” (lettera
di L. Bistolfi a V. Grubicy, 27 giugno 1893; MART, Archivio
del ’900, Fondo Vittore Grubicy, Gru.I.1.1.115).
23 La dichiarazione di Morbelli, redatta sotto forma di lettera, è riportata in V. Colombo, Gli artisti Lombardi a Venezia, Fratelli Dumolard, Milano 1895, p. 78. Grubicy, nel suo
articolo Tecnica ed estetica divisionista del 1896, considera
Fontanesi come un artista appartenente alla fase “intuitiva” del divisionismo, cfr. V. Grubicy, Tecnica ed estetica divisionista, in “La Triennale”, n. 14-15, 1896, pp. 110-112, ora
in Vittore Grubicy de Dragon. Scritti d’arte, cit., pp. 174-178.
24 V. Grubicy, Non c’è arte vera senza suggestione, in “La
Triennale”, n. 8, 1896, pp. 57-59, ora in Vittore Grubicy de
Dragon. Scritti d’arte, cit., pp. 155-161; La suggestione nelle arti figurative, in “La Triennale”, n. 11, 1896, pp. 82-84,
86, ora ivi, pp. 161-168.
25 Grubicy, La suggestione nelle arti figurative, cit., p. 83.
26 Ibidem.
27 “Guardando le Nubi io sono risovvenuto delle emozioni più belle della mia vita. Erano quelle provate alla campagna, pellegrinando. Solo, col mio fardello sulle spalle
[...]. Ora soltanto risovvenendomi di questo sentimento
dinanzi ai quadri di Fontanesi, io sono riuscito […] ad apprezzare il valore, ad accorgermi cioè che giust’appunto
quell’alito semplice e grandioso dei paesisti antichi nessuno l’ha ereditato più del pittore torinese” (F. Fontana,
L’Esposizione di Belle Arti. Fontanesi II, in “Gazzetta Piemontese”, 3 giugno 1880); “Fedele alle impressioni della
natura, egli le riassume e le esprime con tutta la forza che
l’arte può dare. L’arte per bocca sua non dice soltanto
quel che del vero si vede, ma anche quello che dinnanzi al vero si sente” (C. Borghi, La prima vittoria. Ricordi
dell’Esposizione di Torino, Stab. tip. Italiano, Roma 1881,
p. 171); “Nessuno ha saputo come il Fontanesi infonder
tanta vita nel paesaggio. Anzi quella sua stessa potenza di fantasia e quella rapidità nel saltare al midollo della sensazione lo portano talvolta a sforzare la natura, a
imporre un’espressione troppo soggettiva. Non il soggettivismo retorico di tanti che abbordano la natura con
le formule bell’e fatte, e se ne sbrigano in fretta in fretta
trovando più comodo e più spiccio il ricettario: è un soggettivismo che trae la sua origine dalla natura stessa, e
non è altro che la concentrazione soverchia, nello stato
d’idea, delle sensazioni che l’artista ha provate dinanzi
al vero” (ivi, p. 174); “Certi motivi sono da lui – qualche
volta a molti anni di distanza – ripresi, accarezzati ripetutamente; si direbbe che il suo cuore non se ne possa
staccare; l’onda di poesia che da essi sgorga è inesauribile; tutto il suo essere, di una rara permeabilità alle più
sottili sensazioni, ne è come imbevuto e traboccante; e
quei motivi passano attraverso tante fasi come attraverso un processo di condensazione, di sublimazione, fino a
riposare nella perfezione della forma finale” (G. Beltrami,
Le Belle Arti a Torino. L’Esposizione retrospettiva, in “Corriere della Sera”, 14-15 maggio 1892); “La pittura del Fontanesi è tutta sintetica e simbolica ed ispirata a profonda
poesia. [...] Quand’era dinanzi al vero e lo sentiva, non si
preoccupava affatto della esecuzione, del mezzo tecnico; lavorava con tutta foga, cacciava giù i colori a tutta
pasta, raspava, oppur teneva tinte liquide trasparenti;
tutti i mezzi erano buoni pur di raggiungere l’effetto che
la natura imprimeva nell’animo suo. Non si preoccupava
che d’uno scopo solo, esprimer quanto vedeva e sentiva”
(G. Carotti, I pittori Fontanesi e Delleani. Ricordi delle due
esposizioni di Torino, in “L’Illustrazione Italiana”, n. 36, 4
settembre 1892, p. 151).
28 Lettera di A. Morbelli a V. Grubicy, 29 settembre 1892
(MART, Archivio del ’900, Fondi Grubicy-Benvenuti,
Ben.V.4.55).
29 La notizia sarebbe apparsa sulla rivista dell’esposizione “La Triennale”, cfr. Noterelle, in “La Triennale”, n. 6,
1896, p. 48; Il 26 maggio, Bistolfi scriveva a tal proposito
a Grubicy: “Saprai che [Pugliese] però ha avuto la buona
idea di dedicare le 5 mila lire del premio alla pubblicazione
di un’opera illustrata su Fontanesi che Calderini ha preparato da qualche tempo. Se tu sentissi quante bestialità
si dicono a questo proposito!...” (lettera di L. Bistolfi a V.
Grubicy, 26 maggio 1896; MART, Archivio del ’900, Fondo
Vittore Grubicy, Gru.I.1.1.115).
30 Cfr. E. Di Majo, M. Lafranconi, Galleria Nazionale d’Arte
Moderna. Le Collezioni. Il XIX secolo,Electa, Milano 2006,
cat. 4.17 (A. Fontanesi, Alla fonte, 1865 circa). L’anno successivo, sempre attraverso la mediazione di Calderini, sarebbe stata acquisita un’ulteriore opera di Fontanesi, cfr.
ivi, cat. 4.17 (A. Fontanesi, Alla fontana, 1867-1869).
31 Lettera di L. Bistolfi a V. Grubicy, 25 agosto 1896 (MART,
Archivio del ’900, Fondo Vittore Grubicy, Gru.I.1.1.115).
32 E. Aitelli, Marco Calderini, in “L’Arte all’Esposizione del
1898”, n. 23 [1898], p. 179.
33 M. Calderini, Antonio Fontanesi. Pittore paesista, 18181882, G.B. Paravia e comp., Torino 1901.
34 Relativamente alla mostra veneziana del 1901, si veda
lo studio di Virginia Bertone nel presente volume.
35 La sala si affacciava sul salone centrale dell’edificio;
quanto il percorso – nelle intenzioni degli stessi ordinatori
– dovesse effettivamente aprire la sezione italiana, ben lo
dimostra la relazione della visita fatta dal re, nel settembre del 1901, riportata nella “Gazzetta Ufficiale del Regno
d’Italia” (n. 232, 30 settembre 1901, pp. 4661-4662).
36 M. Morasso, L’imperialismo artistico, Fratelli Bocca,
Torino 1903, pp. 243-244.
37 La notizia veniva trasmessa, pochi giorni più tardi, dal
foglio settimanale “Giornale d’arte”; cfr. Per Antonio Fontanesi, in “Giornale d’arte”, n. 7, 26 maggio 1901, p. 3.
38 Lettera di C. Pugliese Levi a M. Calderini, 21 maggio
1901 (Archivio di Stato di Torino [in seguito ASTo], sezione Corte, Fondo Marco Calderini, mazzo 7/2, fasc. 238, n.
119).
39 Ranunculus [G. Cena], A Venezia. Impressioni di vernissage, in “Giornale d’arte”, n. 2, 28 aprile 1901, p. 3.
40 Il G. d’A., Per Antonio Fontanesi, in “Giornale d’arte”, n.
8, 2 giugno 1901, pp. 1-2.
41 Il G. d’A., Onoranze postume, ivi, p. 3.
42 Cfr. A. Mussini, Per il monumento a Fontanesi, in “Giornale d’arte”, n. 9, 9 giugno 1901, pp. 2-3; nel numero del
7 luglio viene definito dalla redazione del giornale come
“Il nostro solerte corrispondente emiliano” (Sottoscrizione per un monumento ad Antonio Fontanesi, in “Giornale
d’arte”, n. 13, 7 luglio 1901, p. 1).
43 Il 6 giugno 1901, Cena invitava il pittore a prendere parte al
nascente comitato, affermando: “Sabato, 8 giugno, alle ore
81/2 ci aduneremo al Circolo degli Artisti parecchi ammiratori
ferventi del grande Maestro [Fontanesi], allo scopo di costituire un Comitato. Non si può iniziare una impresa di tale
fatta in Torino senza che ci si rivolga a Lei che ha qui consacrato al Fontanesi un altro monumento, amoroso diligente.
Saremmo lieti e onorati se Ella volesse farne parte” (lettera di
43
G. Cena a M. Calderini, 6 giugno 1901; ASTo, sezione Corte,
Fondo Marco Calderini, mazzo 7/1, fasc. 236, n. 177). Il tentativo di coinvolgimento perpetrato da Mucchi doveva invece
riguardare la possibilità di riprodurre, sul “Giornale d’arte”,
alcuni brani della sua monografia; Calderini a tal proposito
avrebbe risposto: “Riconoscente per ogni prova di interesse
riguardo alla pubblicazione sul Fontanesi devo avvertirla che
non è più possibile agli editori, né a me consentire a che ne
siano riportati dei brani come fu fatto nella Nuova antologia
e tanto meno concedere zinchi” (biglietto di M. Calderini a
A.M. Mucchi, 20 maggio 1901; Biblioteca di Storia e Cultura
del Piemonte, Fondo A.M. Mucchi, Corrispondenza Marco
Calderini, fald. I, fasc. 10).
44 Lettera di F. Magnani a M. Calderini, 3 agosto 1901
(ASTo, sezione Corte, Fondo Marco Calderini, mazzo 7/1,
fasc. 236, n. 179 bis).
45 Relativamente alla vicende di Reggio Emilia, si veda lo
studio di Elisabetta Farioli ospitato nel presente volume.
46 “Il nostro solerte corrispondente emiliano, il pittore Augusto Mussini, ci avverte che a Reggio Emilia s’è costituito
ufficialmente un altro Comitato nell’intento di tributare grandi onoranze cittadine ad Antonio Fontanesi. Il G. d’A. è orgoglioso d’aver destato colla sua prima proposta tanto fervore
d’entusiasmo anche nella patria del nostro grande Maestro.
I due Comitati di Torino e di Reggio non si intralceranno
l’opera minimamente, perché hanno scopi affatto distinti.
Quello di Reggio intende raccogliere un plebiscito emiliano
cittadino; quello di Torino intende offrire ad Antonio Fontanesi un plebiscito nazionale allo scopo di perpetuare, con un
pubblico monumento, il nome di un grande artista italiano
che a Torino mirò, come i grandi patrioti negli anni fortunosi
del nostro patrio risorgimento, a Torino dedicò tanti anni del
suo nobile insegnamento creando una scuola che lascerà un
fulgidissima pagina nella storia dell’arte italiana; e a Torino
morì” (Sottoscrizione per un monumento ad Antonio Fontanesi, in “Giornale d’arte”, n. 13, 7 luglio 1901, p. 1).
47 Lettera di A. Mussini a M. Calderini, 8 agosto 1901
(ASTo, sezione Corte, Fondo Marco Calderini, mazzo 7/1,
fasc. 236, n. 180).
48 Cfr. Prima Esposizione Quadriennale delle Società Promotrice delle Belle Arti, catalogo della mostra (Torino,
aprile-novembre 1902), Tipografia Roux & Viarengo, Torino 1903, pp. 20-28.
49 E. Aitelli, La Mostra Fontanesiana alla Quadriennale, in
“La Quadriennale”, n. 19-20, 1902, p. 167. Aitelli avrebbe poi
messo a confronto le due mostre, evidenziando le sostanziali
differenze: “A Venezia era la sostanza lucida e corretta della
sua opera: la sostanza passata traverso lo staccio degli studi
intellettuali e tecnici pazienti e laboriosi. A Torino era quella
venuta su nella improvvisazione calda dell’anima entusiasmata: una sostanza impalpabile e divina, piena di festuche
d’oro, di ritmi e di sonorità lievi, sparpagliata così nell’aria e
lucente sotto un raggio di sole od un sorriso di consentimento e di ammirazione” (ibidem).
50 G. Cena, Antonio Fontanesi, Editore R. Streglio, Torino 1902
(già Idem, Antonio Fontanesi, in “Nuova Antologia”, vol. CLXXX,
n. 719, 1 dicembre 1901, pp. 544-557). Il 5 dicembre 1901 Giovanni Cena scriveva all’amico pittore Anton Maria Mucchi:
“Ti spedirò di questi giorni circa 200 estratti del mio articolo
Fontanesi: senza copertina. Potresti tu scombiccherargli una
copertina in litografia semplice e bella la cui idea potrebbe esserti ispirata da un quadro suo o che so io?” chiarendo, subito
più avanti “Di fronte non c’è che da metterci G. Cena - Antonio
Fontanesi [...] o dietro, o innanzi, secondo che comporta il tuo
44
disegno: Per un ricordo al Maestro - prezzo L. 0,50 o quel che
più credete – indi farlo comprare qua e là [...]. Se si potrà tirar
fuori un 60 o 70 lire, tolte le spese, sarà sempre qualcosa: esso
sarà facilmente esaurito durante l’Esposizione” (G. Cena, Lettere scelte, Edizioni “L’Impronta”, Torino 1929, p. 119).
51 “Due anni or sono, in seguito al solenne plebiscito di entusiasmo che produsse la raccolta delle opere di Antonio
Fontanesi nell’ultima Mostra Veneziana [...], un gruppo di
ammiratori si faceva promotore d’una pubblica sottoscrizione, i cui primi proventi furono fin d’allora resi noti al pubblico
sulle colonne di questo giornale. Il comitato proponeva che si
trasportasse la spoglia del grande paesista nell’erigendo Famedio del Cimitero monumentale; che si collocasse in onore
sullo scalone dell’Accademia Albertina, dove egli consegnò
dieci anni della sua geniale attività, il suo busto, opera di Leonardo Bistolfi, che era prima nascosto in una angusta sala
[...]. È noto ormai che la prima proposta fu accolta dal nostro
Consiglio comunale – dietro proposta dei consiglieri socialisti – e la seconda dalla Direzione dell’Accademia Albertina.
Ora nella speranza che un omaggio solenne, dall’un capo
all’altro d’Italia, riconfermi anche le altre auspicate onoranze,
il Comitato ha deciso di aprire un ciclo di conferenze domenicali, tenute dai più chiari letterati italiani e stranieri. Siamo
lieti di annunziare che la serie verrà inaugurata l’8 marzo p. v.
nl teatro Carignano, da Arturo Graf, con una conferenza sopra L’arte e la morale. Daremo quanto prima altre notizie coi
nomi degli altri conferenzieri stranieri che hanno assicurato
il loro appoggio per questo turno di conferenze, che verrà
chiuso da Giuseppe Giacosa, il quale ha accettato l’onorevole invito con una nobilissima lettera” (Onoranze a Fontanesi,
in “La Stampa”, 25 febbraio 1903). Una lettera di Giacosa,
conservata tra le carte di Mucchi, conferma quanto riportato dall’articolo. Il 12 gennaio 1903 il drammaturgo scriveva:
“Nessun invito poteva riuscirmi più gradito di quello che mi
viene dalla mia Torino e dal Comitato artistico per le onoranze ad Antonio Fontanesi [...] lei mi propone di aprire una serie
di conferenze: io le domando invece di poterla chiudere” (lettera di G. Giacosa a A.M. Mucchi, 12 gennaio 1903; Biblioteca
di Storia e Cultura del Piemonte, Fondo A.M. Mucchi, Corrispondenza Giuseppe Giacosa, fald. II, fasc. 26). La proposta
di tenere una conferenza veniva estesa anche al poeta Francesco Pastonchi, che si trovava però in disaccordo rispetto
all’argomento suggerito: “Ben volentieri vorrei dare l’opera
mia per la memoria di un puro artista quale il Fontanesi: ma
questo legger Dante con proiezioni non mi garba” (lettera di
F. Pastonchi a A.M. Mucchi, s.d.; Biblioteca di Storia e Cultura
del Piemonte, Fondo A.M. Mucchi, Corrispondenza Francesco Pastonchi, fald. II, fasc. 46).
52 La proposta di spostare la salma di Fontanesi nel famedio degli “uomini illustri” del cimitero di Torino, sarebbe stata caldeggiata dal consigliere socialista Gustavo Balsamo
Crivelli nel gennaio del 1903, e approvata dal consiglio comunale il 16 febbraio dello stesso anno. Come riportato sul
quotidiano cittadino “La Stampa” (Antonio Fontanesi onorato
dal Municipio di Torino, in “La Stampa”, 1 dicembre 1903), il
trasferimento sarebbe avvenuto il 30 novembre del 1903, al
cospetto di un folto numero di artisti e autorità comunali. Per
l’occasione, Giovanni Camerana avrebbe dettato l’epigrafe
riportata sulla lapide: “Vivrà la rivendicata sua gloria – finché splenderanno – le armonie ineffabili della luce e degli
orizzonti”. Un articolo apparso su “La Stampa” nel febbraio
del 1903 (Onoranze a Fontanesi, in “La Stampa”, 25 febbraio
1903), informava invece dell’avvenuto spostamento del busto di Fontanesi conservato presso l’Accademia Albertina
di Torino; tra le carte di Mucchi si conservano due lettere di
Giovanni Piumati (16 e 23 giugno 1901), allievo di Fontanesi
e socio onorario dell’Accademia, incaricato dal comitato di
mediare i rapporti con la medesima istituzione; cfr. Biblioteca di Storia e Cultura del Piemonte, Fondo A.M. Mucchi, Corrispondenza Giovanni Piumati, fald. II, fasc. 50.
53 Al 1° gennaio 1908, la somma raccolta risultava essere
di L. 1922,12; cfr. lettera di C. Pugliese Levi a A.M. Mucchi, 4
novembre 1908 (Biblioteca di Storia e Cultura del Piemonte,
Fondo A.M. Mucchi, Corrispondenza Clemente Pugliese Levi,
fald. II, fasc. 51).
54 Lettera di C. Pugliese Levi a A.M. Mucchi, 31 dicembre
1911 (Biblioteca di Storia e Cultura del Piemonte, Fondo A.M.
Mucchi, Corrispondenza Clemente Pugliese Levi, fald. II,
fasc. 51).
55 Telegramma di N. Campanini a M. Calderini, 5 maggio
1912 (ASTo, sezione Corte, Fondo Marco Calderini, mazzo
7/1, fasc. 236, n. 208).
56 “Fra le centinaia di quadri belli e brutti ivi contenuti, due
soli stanno a rappresentare il grande maestro. Troppo poco,
certamente, ma pur sempre un tesoro, quando si pensa che
essi sono quell’Aprile [...] e la Quiete che ora figura alla mostra
veneziana. Orbene come sono collocati questi due cimelii del
rarissimo pittore? Ciascuno si immaginerà che a tanto uomo
sia stato riserbato un posto d’onore, il centro d’una parete, la
luce e la posizione migliore. Ahimè! Disinganniamoci! L’Aprile, questo poema di luce e di sensibilità è posto di fianco, tra
una porta ed un angolo, ad angolo retto colla Quiete, nel punto
peggiore della sala, mentre nel centro della parete stanno rispettivamente, se la memoria ci soccorre, quadri di Calderini,
dell’Avondo e del Delleani! Non vogliamo certamente negare
i meriti di questi vivi, ma via, ci pare che senza far torto a nessuno, qualche maggior riguardo lo meriterebbe quel morto,
che non è poi il primo venuto” (Il G. d’A. [G. Cena], Antonio
Fontanesi ed il nostro Museo Civico, in “Giornale d’arte”, n. 5,
12 maggio 1901, pp. 2-3); “Ce fut donc avec une vive émotion
et un peu d’anxiété que je me rendis à la Galerie d’Art moderne pour y voir l’Aprile [...]. Après avoir traversé plusieurs
salles, aux murs desquelles un témoignage continu de notre
décadence m’avait poursuivi comme un châtiment infini, implacable; après avoir entendu tous les gémissements lamentabls de ces toiles et de ces statues, que seule une génération
d’épuisés avait pu créer dans un effort désespéré et que le
contact de quelques notes juvéniles ne parvenait pas à ranimer” (A. Soffici, Antonio Fontanesi peintre-paysagiste, in “La
Critique Indépendant”, giugno 1902, p. 369).
57 R. Canudo, Metafisica di Musei. (Per il Museo Civico di Torino), in “Il Campo”, n. 54, 3 dicembre 1905, p. 2.
58 Bozzi, Per Antonio Fontanesi, cit.
59 Canudo, Metafisica di Musei, cit., p. 2.
60 Relativamente alle vicende del lascito di Giovanni Camerana si veda P. Prosio, Un problema aperto: il lascito di Fontanesi, da Camerana al Museo Civico, in Antonio Fontanesi
1818-1882, a cura di R. Maggio Serra, catalogo della mostra
(Torino, Galleria Civica d'Arte Moderna, 24 giugno-2 novembre 1997), Allemandi, Torino 1997, pp. 139-144.
61 Nel suo testamento Giovanni Camerana aveva espressamente indicato “Bramo che gli studi i disegni e le stampe del
mio impareggiabile amico Comm. Ant. Fontanesi [...] appartengano al Museo Civico di Torino – purché li collochi degnamente” (riprodotto ivi, p. 141).
62 Cfr. E. Bonardi, La Collezione Fontanesiana del Camerana
al nostro Museo civico d’arte moderna, in “Gazzetta del
Popolo”, 7 dicembre 1905; E. Thovez, La sala Fontanesi al
nostro Museo Civico. Ciò che si è fatto e ciò che si deve fare, in
“La Stampa”, 21 dicembre 1905.
63 La notizia dell’apposizione del cartello è riportata in una
minuta di Vittorio Avondo del 5 febbraio 1908, indirizzata al
consigliere comunale Gustavo Balsamo Crivelli; cfr. Torino,
Archivio dei Musei Civici, “Anni 1905-06-07-08. Museo
Civico. Amministrazione. Pratica n. 6”, CAA 40.
64 E. Ferrettini, La raccolta Fontanesi al Museo civico.
Trascuranze e responsabilità, in “Gazzetta del Popolo”, 11
marzo 1908.
65 Catalogo dei manoscritti di Giuseppe Pellizza da Volpedo
provenienti dalla donazione Eredi Pellizza, introduzione e
note di A. Scotti, Comune di Tortona, Tortona 1974, p. 129.
Relativamente all’influenza di Fontanesi su Pellizza si veda
M. Vinardi, Pellizza da Volpedo e il Divisionismo, in G. Pellizza
da Volpedo, a cura di A. Enrico e F.L. Maspes, catalogo della
mostra (Milano, Gallerie Maspes, Enrico Gallerie d’Arte 12
settembre- 22 dicembre 2018), Antiga, Crocetta del Montello 2018, pp. 9-39 (in particolare il paragrafo Alcuni paesaggi
novecenteschi ispirati dalla meditazione di Fontanesi, pp. 2832).
66 Lettera di G. Pellizza da Volpedo a A. Morbelli [1903], riprodotta in T. Fiori (a cura di), Archivi del divisionismo, Officina Edizioni, Roma 1968, vol. I, p. 234.
67 Cfr. supra nota 52.
68 I primi tre (Avondo, Calderini e Bistolfi) erano già stati indicati da Camerana, come le personalità che avrebbero dovuto
seguire il trasferimento della sua collezione presso il museo
cittadino; cfr. Prosio, Un problema aperto, cit., p. 142.
69 Pugliese trasmetteva la notizia delle sue dimissioni ad Anton Maria Mucchi, ipotizzando di poter far subentrare al suo
posto l’amico pittore “Pensai poi di mandare le dimissioni da
membro del Comitato per la sala Fontanesi [...] così nominai te nella lettera al presidente Sene Chironi, appunto colla
speranza che ti chiamassero a sostituirmi, quale membro
del Comitato per il monumento, ma non so se ci penseranno,
essendo già il Comitato [per la sala] fin troppo numeroso, e
volendosi limitarlo nella cerchia degli allievi, tanto che io ero
quasi un intruso, non essendo calcolato fra gli allievi veri”
(lettera di C. Pugliese Levi a A.M. Mucchi, 4 novembre 1908;
Biblioteca di Storia e Cultura del Piemonte, Fondo A.M. Mucchi, Corrispondenza Clemente Pugliese Levi, fald. II, fasc. 51).
70 Cfr. Minuta di lettera, indirizzata da M. Calderini al sindaco
di Torino, 14 marzo 1908 (ASTo, sezione Corte, Fondo Marco Calderini, mazzo 7/1, fasc. 236, n. 191 I); minuta di lettera, indirizzata da M. Calderini al sindaco di Torino, 30 aprile
1908 (ASTo, sezione Corte, Fondo Marco Calderini, mazzo
7/1, fasc. 236, n. 191 III).
71 Cfr. Bistolfi 1859-1933. Il percorso di uno scultore simbolista, a cura di S. Berresford, catalogo della mostra (Casale
Monferrato, 5 maggio-17 giugno 1984), Piemme, Casale
Monferrato 1984, p. 287, cat. V.5.
45