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La Pietra di BISMANTOVA, DANTE e la sua venuta in LUNIGIANA di Rino Barbieri La Pietra di Bismantova e la cittadina di Castelnuovo ne’ Monti Tutti conosciamo questo passo del Canto IV del Purgatorio ove Dante cita la Pietra di Bismantova, montagna dell’Appennino reggiano sita nel comune di Castelnuovo Monti (RE) che si eleva a forma di panettone roccioso fin a metri 1047 sul l.m. Secondo alcuni studiosi il Divino Poeta avrebbe incontrato e visitato il massiccio roccioso mentre si recava da Padova alla Lunigiana nell’anno 1306 e ne avrebbe tratto ispirazione per concepire il Purgatorio a gradoni. Basta leggere tutto il canto IV per immaginare il Poeta che sale davvero su questo balzo roccioso che nella sommità è quasi pianeggiante quando dice: “ Ma se a te piace, volontier saprei quanto avemo ad andar; ché 'l poggio sale più che salir non posson li occhi miei». Ed elli a me: «Questa montagna è tale, che sempre al cominciar di sotto è grave; e quant'om più va sù, e men fa male.” Insomma pare proprio di vederlo il poeta guardare la parete verticale che sale in alto più di quanto possono fare i suoi occhi e vederlo poi camminare nella sommità pianeggiante dove il cammino è meno faticoso. Maggiore aperta molte volte impruna con una forcatella di sue spine l'uom de la villa quando l'uva imbruna, che non era la calla onde saline lo duca mio, e io appresso, soli, come da noi la schiera si partìne. Vassi in Sanleo e discendesi in Noli, montasi su in Bismantova 'n Cacume con esso i piè; ma qui convien ch'om voli; E ancora in questi versi, dell’uomo con la forca che “impruna” cioè mette i rovi nelle recinzioni dei vigneti affinché gli animali non vadano a mangiare l’uva “ imbrunita” cioè quasi matura, sembra proprio di vedere una scena agreste del contadino di Lunigiana i cui piccoli appezzamenti di terreno, specialmente se vignati, sono separati gli uni agli altri da fitte siepi di rovi spinosi e pruni. (Concetto questo del legame con la Lunigiana, in cui il Poeta è vissuto da esule ospite dei Malaspina, messo in bella evidenza dallo studioso della Divina Commedia Livio Galanti di Mulazzo). Ma certamente non è lo scopo mio fare il critico della Divina Commedia, non avendone titoli e competenza, voglio solo con questa mia portare a un più largo pubblico uno studio dello scomparso concittadino e amico Prof. Loris Jacopo Bononi, che ha cercato di portare testimonianze del passaggio di Dante da Reggio Emilia alla Lunigiana attraverso quello che è oggi chiamato Passo del Cerreto. Studio che il prof. Bononi mi ha rimesso tramite email in data 19 novembre 2006 e che nello stesso anno era finito in questa pubblicazione: Il cui testo è leggibile via internet scaricando questa pagina Pdf: http://www.iislsezionelunense.it/il-nostro-dante-e-il-dante-di-tutti.html (Email ricevuta Dal Prof. Loris Jacopo Bononi in data 19/11/2006) Alla cortese attenzione del signor Rino Barbieri Caro Rino, ho letto attentamente il tuo ms. “Agnino. Il paese dai 18 campanili…”, e ho molto apprezzato il passo che riguarda Dante e la sua venuta in Lunigiana (come si crede) nel 1306. Il tuo brano lo troverai inserito in queste pagine che ti invio e che fanno parte della mia (lunga) conferenza tenuta recentemente a Sarzana. Tanti cordiali saluti Loris Jacopo Bononi Dove, e per quanto tempo, l’esule Dante abbia trovato asilo in uno o più “…paesi…” malaspiniani di Lunigiana - lo si è già detto - non si conosce su base documentaria, e accenna al solo ‘dove’ la tradizione orale che a Mulazzo identifica in un antico edificio la casa che sarebbe stata abitata dal Poeta durante il suo soggiorno ospite di Franceschino Malaspina di Mulazzo. E neppure si conosce il tragitto lungo il quale Dante sia giunto in Lunigiana. L’ipotesi della via Romea o Francigena risultando consunta e, nel caso di Dante, assolutamente priva di riscontri. Risulterebbe, invece, circostanziata da certi riscontri, ancorché non espliciti, la venuta di Dante in Lunigiana attraverso la strada che da Reggio Emilia conduce a Fivizzano, e oltre. La roccia di Bismantova ricordata da Dante (Purgatorio, IV), potrebbe, intanto, suggerire questa ipotesi. Un sostenitore autorevole del tragitto di Dante sul passo del Cerreto è il Bassermann: “…strada maestra che da Reggio, Mantova e Verona conduce in Lunigiana … Qui può anche ricordarsi che sulla medesima via sorge Bismantova, dinnanzi a cui Dante è certamente passato…” (Bassermann, A.: Orme di Dante in Italia. Opera tradotta sulla 2° edizione tedesca da E. Gorra. Bologna, Nicola Zanichelli, 1902 p. 641) Bassermann evidentemente non conosceva l’esistenza, altrimenti ne avrebbe fatta menzione, di una tradizione che ancora oggi afferma decisamente il soggiorno di Dante nella casa torre dei signori Muzzini a Burano nei pressi di Castelnuovo ne’ Monti. “…Natalizia Brigida Montruccoli, coniugata con Daniele Muzzini di Battista dal 1884, raccontava alla nipote Luciana che un tempo una lapide nella torre ricordava il soggiorno di Dante Alighieri, ospite del luogo. E’ inevitabile collegare la notizia con il verso su Bismantova del quarto canto del Purgatorio [“…montasi su in Bismantova e in Caccume…”]. Il grande poeta si sarebbe, dunque, fermato a Burano. Ma la lapide non c’è più. Il prezioso cimelio sarebbe stato venduto a un antiquario di passaggio. Con esso sarebbero andati perduti i due endecasillabi ‘danteschi’ che vi erano incisi. Luciana Muzzini li ricorda bene a memoria, appresi dalla nonna. Ciò farebbe supporre che la scomparsa dell’iscrizione non fosse remota rispetto al tempo in cui visse Natalizia, che con il marito abitò in un primo tempo a Burano. I versi erano i seguenti: “Fermati o passeger: contempla e mira, / ché stella di fortuna il mondo gira” Pare che ci fosse proprio ‘stella’, non ‘ruota’. Il senso dei versi, comunque sia, risulta un po’ ambiguo: allude all’ascesa, o alla decadenza della famiglia? Oppure la contemplazione dovrebbe essere rivolta a uno splendore presente, che il potere della sorte potrebbe distruggere? (Maria Teresa Cagni Di Stefano: Frascaro e Virola. Una comunità contadina. Comune di Castelnuovo ne’ Monti. Assessorato alla Cultura, s. n. a., pp. 306, 307) “…Le fonti (Benvenuto da Imola) e gli studi (Leone Tondelli) dicono che proprio nei mesi di settembre e ottobre 1306, Dante fu a Reggio [Emilia] ospite di Guido da Castello (il semplice lombardo), della nobile famiglia dei Roberti; i documenti, d’altra parte, attestano la presenza di Dante in Lunigiana … il 6 ottobre 1306…” (Clementina Santi: Il viaggio di Dante da Reggio a Luni. Pieghevole. Settembre - Ottobre 2006. Comunità Montana dell’Appennino Reggiano. Settembre 2006) Ecco il testo di Benvenuto da Imola che si riferisce a Guido da Castello, e all’ospitalità da lui offerta in casa propria a Dante: “…Guido da Castel, iste fuit de Regio Lombardiae, de Robertis, quorum tria erant membra, scilicet illi de Tripoli, illi de Castello, et illi de Furno. Ideo denominat ipsum a vocabulo speciali, per quod erat notus; et ita publice vocabatur. Iste florebat in Regio tempore nostri poetae, cum civitas illa esset in magno flore et regeretur libere. Fuit autem vir prudens et rectus, sani consilii, amatus et honoratus, quia zelator erat reipublicae, et protector patriae, licet tunc alii essent potentiores in terra illa: fuit liberalis; cuius liberalitatem poeta noster expertus est semel, receptus et honoratus ab eo in domo sua. Fuit etiam Guido pulcer inventor in rhythmo vulgari, ut pulcre apparet in quibusdam dictis eius; ideo in commendationem eius dicit: che me' si noma, idest, qui Guido melius nominatur, francescamente il semplice lombardo. Hoc exponunt aliqui, quia de curialitate sua tanta fama crevit per Franciam, quod vocabatur simplex lombardus; sed istud est vanum dicere, immo debes scire, quod gallici vocant omnes italicos lombardos, et reputant eos valde astutos; ideo bene dicit, quod proprie vocaretur gallice simplex lombardus…” “…cuius liberalitatem poeta noster expertus est semel, receptus et honoratus ab eo in domo sua…” “…ebbe modo di apprezzare la di lui liberalità il nostro poeta, una volta accolto e onorato in casa propria [da Guido da Castello]…” Jacopo della Lana, nel suo commento alla Commedia, stampata a Venezia da Vindelino da Spira nel 1471, commento erroneamente attribuito a Benvenuto da Imola scrive: “…messer Guido da Castello da Regio il quale fu padre e conseruatore dogni nobilitade et sempre vedeua ogni buona persona che passasse perquel paese. Et per prerogativa desso parlando francescamente che dice no ad ogni citramontano lombardo il simplice lombardo quasi unico in tale probitade…” (Venezia, Vindelino da Spira, 1477, c. 170) Su Benvenuto da Imola, v. Quartieri, F.: Benvenuto da Imola. Un moderno antico commentatore di Dante. Ravenna, Longo Editore, 2001 “…Guido da Castello, di quei Roberti di Reggio Emilia che erano stati già fautori della contessa Matelda, visse dal 1235 al 1315 mescolato alle gare di partito che gli costarono l’esilio, essendo stato cacciato da Reggio con la parte Ghibellina. Riparò a Verona, dove forse Dante che lo loda anche nel Convivio (IV, XVI), lo conobbe alla corte di Cangrande. Fu liberalissimo, affermano i commentatori, e l’Ottimo aggiunge: specialmente verso i Francesi, che ‘ consumate le loro facultadi, tornavano meno ad arnesi che a loro non si convenisse’; donde il nome di semplice Lombardo, alla francese, ossia in senso di italiano…” (Trucchi, E.: Esposizione della Divina Commedia di Dante Alighieri. Purgatorio. Milano, Stab. Tip. L. Toffaloni, 1936, Vol. II, p. 287. In copertina il ritratto di Dante, xilografia di F. Gamba della Spezia) La lode che Dante rivolge a Guido da Castello di Reggio gli dà occasione per asserire “…è falsissimo che questo vocabolo ‘nobile’ s’intenda ‘essere da molti nominato e conosciuto’, e dicono che viene da un verbo che sta per conoscere, cioè ‘nosco’. E questo è falsissimo, ché se ciò fosse … lo calzolaio da Parma, sarebbe più nobile che alcuno suo cittadino; e Albuino della Scala sarebbe più nobile che Guido da Castello di Reggio … E’ però falsissimo che ‘nobile’ vegna da ‘cognoscere’, ma viene da ‘non vile’; onde ‘nobile’ è quasi ‘non vile’…” (Convivio, VI, XVI, 6, 7) “…Guido da Castel [1235 - 1315] che mei si noma, / francescamente, il semplice lombardo…” (Purgatorio, XVI, 125, 126) Guido dei Roberti da Castello ebbe grande fama di uomo liberale e di mecenate nei confronti di gente meritevole d’aiuto. “…Della nobile famiglia ghibellina dei Roberti di Reggio Emilia, fu uomo giusto e coraggioso, particolarmente attento ai doveri dell’ospitalità cortese, di che Dante ebbe a lodarlo nel Convivio (IV, 16, 6) … Più tardi, Guido dei Roberti da Castello sarebbe incorso nell’ostracismo dei concittadini guelfi, e sarebbe riparato a Verona nel 1318, dove Dante può averlo conosciuto…” (Bernard Delmay: I personaggi della Divina Commedia. Classificazione e Regesto. Firenze, Olschki, 1986, p. 192) Non è da escludersi, tuttavia, che Dante abbia conosciuto il Roberti da Castello a Verona, ma se la fonte di Benvenuto da Imola può essere considerata veritiera, è a Reggio Emilia che Dante conobbe Guido, ospite in casa sua, e forse proprio o immediatamente prima o proprio nel 1306 quando Dante si accingeva a raggiungere la Lunigiana (forse) attraverso il passo del Cerreto. Ecco, allora, che l’epigrafe scolpita nella lapide ora perduta, e prima posta sulla casa torre di Burano, poteva ben testimoniare un possibile soggiorno di Dante nella casa torre stessa. Esiste, poi, una bellissima veduta del castello e del borgo di Verrucola di Fivizzano, litografia “Pubb.[licata] dal Prof. H. Topin” e stampata a Livorno, dove si legge: “Castello della Verrucola / Ove abitò Dante nella Lunigiana”, asserzione che ovviamente va letta “Castello della Verrucola nella Lunigiana, ove ebbe occasione di sostare Dante” Aveva trattato l’argomento della “…strada maestra che da Reggio … conduce in Lunigiana…” Livio Galanti, che ipotizzava la venuta di Dante, proveniente probabilmente da Bologna, affermando che ci “…starebbe anche la conoscenza diretta che egli dimostra di aver avuto della famosa pietra di Bismantova: una conoscenza che gli potrebbe aver dato il viaggio da lui compiuto seguendo la strada, anche allora molto in uso, che da Reggio, passando per Castelnuovo nei Monti, Passo del Cerreto e Fivizzano, conduceva direttamente ad Aulla donde, con pochi chilometri della via francigena, poteva raggiungere i feudi dei suoi ospiti in alta Val di Magra…” (Galanti, L.: Il soggiorno di Dante in Lunigiana. Mulazzo, Centro Dantesco della Biblioteca Comunale,, Pontremoli, Artigianelli, 1985, p. 62) Recentemente è intervenuto (ms. presso l’A.) sull’argomento Rino Barbieri: “…Il passo dell’Ospedalaccio (per la presenza di un antichissimo ricovero-ospedale per i viandanti) … nel 1306 quando Dante passò da questo passo per discendere al Castello della Verrucola Bosi e per poi raggiungere Mulazzo … Perché affermiamo che Dante è passato dall’Ospedalaccio? … Perché era la via più breve che univa Verona alla Lunigiana … E il primo nucleo abitato che avrà trovato è Sassalbo … quello stesso paese a cui diresse , per pura tradizione popolare, le presenti parole: ‘Paese che vien notte avanti sera! Gente da bastro, da bastoni, da galera.” (Barbieri, R.: Agnino. Il paese dai 18 campanili. Una comunità agricola e religiosa in Lunigiana. ms presso l’A.) “… Se certa è la data della presenza di Dante in Lunigiana, non altrettanto precise sono le circostanze che determinarono la sua venuta tra noi … Primo rifugio Verona, dove la famiglia degli Scaligeri lo accoglierà onorevolmente. Fra gli Scaligeri ed i Malaspina esistevano rapporti di parentela; frequenti erano pure i contatti di natura politica fra le due potenti famiglie ghibelline. E’ lecito quindi supporre che sulla base di questi rapporti abbia preso consistenza l’idea di un incarico di fiducia da affidare a Dante presso i Malaspina. Ai quali, d’altra parte non era certo sconosciuto il nome di Dante, non soltanto come partecipe alla vita politica di Firenze ed alla posizione che in essa egli aveva assunto, ma anche, e forse più, per la fama cui egli era già salito come autorevole esponente di quel gruppo di iniziatori di una nuova scuola poetica le cui voci erano ben note presso le corti malaspiniane e segnatamente presso quella di Franceschino di Mulazzo per la protezione da lui accordata ai poeti esuli di Provenza e di Toscana…” (Da Milano, V.: Dante in Lunigiana. Sarzana, Canale, 1966, p. 14) A proposito di ‘protezione’ accordata ai poeti esuli, interessante e stimolante risulta il lavoro di Gilda Caiti Russo: “…Scarsi sono … gli approcci al mecenatismo malaspiniano che non si esauriscano nel commento dantesco e nella celebrazione del suo mito … Ho cercato quindi altrove di accorpare i materiali utili alla definizione del mecenatismo malaspiniano nell’edizione critica dei 36 testi trobadorici che presentano allusioni o dediche ai Malaspina…” (Caiti Russo, G.: La corte malaspiniana e i suoi cantori: dal mito dantesco alla storia di uno spazio ‘cortese’. In: Pier Delle Vigne in Catene. Da Borgo San Donnino alla Lunigiana Medievale. Itinerario alla ricerca dell’identità storica, economica e culturale di un territorio. Atti del Convegno itinerante., 2006. Sarzana, Grafiche Lunensi, 2006, p. 67. L’A. si riferisce al suo: Les trobadours et la cour des Malaspina. Università Paul-Valéry Montpellier III, Lo gat ros, Montpellier 2005) Anche Nunzio Vaccalluzzo aveva espresso una valutazione simile a quella sopra ricordata di Vincenzo Da Milano: “…Perduta … la speranza di rientrare in patria, l’Esule bussò alla porta de’ potenti per cercarvi una onorata ospitalità; e il ‘primo rifugio’ fu Verona, alla Corte degli Scaligeri, la cui ‘cortesia’ sarà contraccambiata dal Poeta con generosità da Grande a Grande … [ma] dovrà parer duro a lui, ex Priore d’un Comune repubblicano, viver la vita di Corte … e quella vita di Corte celebrerà in versi non meno generosi anche in onore de’ marchesi Malaspina di Lunigiana, antico ospizio di poeti e secondo rifugio dell’Esule, che per legittimo patrocinio si fa tra’ Malspina e il vescovo di Luni miglior paciaro che non fossero i messi papali a Firenze…” (Vaccaluzzo, N.: Dante Esule. Catania, Studio Editoriale Moderno, 1922, pp. 37, 38) La questione, in fine, dell’incarico dato a Dante dai Malaspina resta ancora oggi irrisolta. Dante si trovava in Lunigiana, e la Lunigiana aveva già ospitato altri esuli fiorentini. Dante era ospite dei Malaspina, e la ‘cortesia’ delle Corti Malaspiniane era ben nota fin dai tempi di Alberto, poeta provenzale di non trascurabile rilievo. Dante stesso dà una sua straordinaria testimonianza della “…fama che la vostra casa onora…” In Val di Magra, “…li vostri paesi…” (‘palesi’ in tutta Europa) erano i tanti feudi Malaspiniani, e in particolare, per Dante, Villafranca, Mulazzo, Giovagallo. Livio Galanti avrebbe tanto desiderato che gli studiosi delle incognite di Dante in Lunigiana convenissero con lui che esisteva un terzo documento il quale a pieno titolo sarebbe potuto essere aggiunto ai due di Sarzana, benché non costituisse una diretta testimonianza come quelli. “…Intendo riferirmi alla nota, che nel suo commento all’opera paterna, il figlio Pietro ha lasciato circa la predizione che l’anima espiante di Corrado Malaspina fa al Poeta nella memorabile chiusa del canto VIII del Purgatorio. … L’importanza storica di questo commento è sempre stata riconosciuta da tutti gli esegeti della Commedia, tanto che il Filelfo dichiarava che non si può rettamente commentarla senza aver consultato quanto ne ha scritto il figlio Pietro, il quale era sempre col padre e ne era meglio informato…” Pietro Alighieri “A proposito della predizione fatta da Corrado al padre aveva scritto: ‘…Inde pronosticatur Dantem exulare, et divenire ad standum cum certis de domo sua praedicta, et habere magnum honorem ab eis. Et sic quod auditum judicabat auctor, erat expertus de facto in sua persona: et ita fuit…’ … Il fatto che [il figlio di Dante] non ci fornisca dettagli in merito dipende dal carattere stesso di Pietro che, come autorevolmente dice il Vallone … ‘I momenti che possono riguardare la biografia del padre sono sempre lineari, asciutti, appuntati senza nessun segno esterno di partecipazione o d’imbarazzo…’ .., (Vallone, A.: Storia della critica dantesca dal XIV al XX secolo. Milano, Vallardi, 1981, pp. 95, 98) Pietro, come si vede, non si dilunga in particolari, ma tiene a farci sapere che quanto asserisce corrisponde pienamente a verità … Con che viene pienamente a confermarci che le lodi, che il padre fa del pregio della borsa e della spada della famiglia Malaspina di Val di Magra, sono il frutto di una sua personale esperienza: che è quanto dire che egli era stato realmente in questa regione … Ed è pertanto pienamente giustificata la sua [della frase di Pietro Alighieri] inclusione fra i documenti ufficiali che comprovano la presenza del Poeta in Val diMagra.” (Galanti, L.: Il soggiorno di Dante in Lunigiana. Pontremoli, Artigianelli, 1985, pp. 48, 50) Dante concentra la propria considerazione nei confronti della Casa Malaspina e della Lunigiana, come territorio, e come ‘popoli’, nel Canto VIII del Purgatorio. Scriveva Pompeo Giannantonio che “…L’incontro di Dante con Corrado Malaspina, riprendendo i motivi principali del trittico dei canti di Sordello, ossia le discordie e l’esilio, la presente decadenza dei prìncipi e della tradizione cavalleresca, ne accentua i valori dando enorme risalto alla figura del marchese e grande prestigio ai Malaspina … Le lodi che Dante tesse per i Malaspina sono non solo testimonianza di gratitudine per l’ospitalità, ma anche nostalgia per le tramontate virtù cavalleresche, di cui i Malaspina furono degni depositari, come i trovatori provenzali a lungo attestarono con la loro continua presenza a corte e con i loro elogi, che il fiorentino riprende e formula senza parsimonia … I Malaspina privilegiano per tradizione e per naturale inclinazione una superiore morale, che il mondo disprezza e che solo essi seguono in armonia colla fedeltà al buon tempo antico … Ai Malaspina e alla Lunigiana il poeta si volge con particolare tenerezza … Nelle corti malaspiniane, dopo le prime delusioni dell’esilio e le cocenti amarezze dell’indigenza, si riscoprì uomo e artista, non inutile alla società, né deluso delle sue passioni politiche e dei suoi disegni poetici … Le ambizioni territoriali delle città limitrofe avevano impedito alla Lunigiana la crescita e l’affermazione di un ceto urbano e nel contempo avevano soffocato l’unificazione amministrativa e politica del complesso feudale dei Malaspina. Non si inseguivano, come in altre regioni, perciò, sogni di grandezza o si tessevano intricate orditure politiche … L’incarico di concludere con il vescovo di Luni la pace attesta la considerazione in cui veniva tenuto il poeta, che doveva ripagare la generosa ospitalità e la ritrovata tranquillità con mansioni che non mortificavano la sua persona né gli ricordavano la sua precaria condizione di esule. In Corrado Dante ha sommato tutte queste virtù … La Lunigiana per Dante significò, dunque, una lieta parentesi nel doloroso esilio … una regione propizia alla meditazione … Lo stesso poeta ci offre tale chiave di lettura, quando nell’epistola Morello rammenta le meditationes assiduas, quibus tam celestia terrestria intuebar (Ep. IV, 4) e che accompagnarono la sua permanenza lunigianese … … alla Lunigiana vanno riconosciuti non solo il merito della generosa ospitalità … ma anche di aver contribuito notevolmente alla crescita e al consolidamento del poema, che nella serenità,nella storia,nei personaggi e negli uomini delle sue contrade rinvenne incentivazione e disponibilità.” (Giannantonio, P.: Dante e la Lunigiana. In: Dante e le Città dell’esilio. Atti del Convegno Internazionale di Studi. Ravenna (11-13 settembre 1987). Ravenna, Longo Editore, 1989, pp. 42, 46) Non si possono scrivere espressioni più edificanti di queste nei confronti della Lunigiana e della Casa Malaspina in Val di Magra al tempo di Dante. Ma una riflessione è opportuna: la grave conflittualità che tra il Duecento e il Trecento deprime e insanguina la Lunigiana, sembra, stando alle parole di Giannantonio, che d’un tratto non esista più in grazia del presunto protratto soggiorno di Dante, e che tale soggiorno faccia svanire ogni evidenza di lotte e di prevaricazioni come fa il sole quando evapora il ‘vapor di Val di Magra’. Il dettato poetico trae molto spesso la propria forza rappresentativa più che dall’osservazione della nudità dei fatti, dall’interpretazione subliminale o sottocorticale degli stessi. Giannantonio ci lascia intravvedere una Lunigiana dove ‘i cortili’ dei castelli malaspiniani sembrano notte e giorno risuonare di melodie trobadoriche, di giostre e tornei, i campi circostanti. Non sappiamo né dove, né quando, e neppure per quanto tempo Dante ebbe modo di soggiornare in Val di Magra. E’ vero: “…Non si inseguivano [in Lunigiana], come in altre regioni … sogni di grandezza o si tessevano intricate orditure politiche…”, ma la storia della Lunigiana malaspiniana è tessuta di continui e violenti soprusi fra consorti, e di altre miserabili occorrenze. La legge prescelta dai Malaspina impediva il diritto di primogenitura, per cui, Dante vivente, già si corrodeva la dimensione territoriale della grande Casa, che ridotta a frammenti si sminuzzava in minuscoli, impotenti, e litigiosi marchesati. Solo Spinetta ‘il Grande’ fu in grado di concepire un disegno ‘grande’, che fu cancellato in sul nascere dalla mancata adesione dei Malaspina ‘i piccoli’ Leggo, rileggo, e credo alla sincerità dell’elogio dantesco nel Canto VIII del Purgatorio. Nell’elogio ravviso (opportuni) accenti pleonastici, ma condivido umilmente le affermazioni di Pompeo Giannantonio: “…Altre località, altre genti, altri signori conoscerà il poeta nelle sue peregrinazioni, ma nessuno eguaglierà nel ricordo e nell’esaltazione la Lunigiana e i Malaspina, perché Verona e gli Scaligeri avranno per lui ‘benigno riguardo’ (Par. XVII, 74) e i Polenta furono dalla morte precoce privati di giusti elogi…” Dante aveva conosciuto di peggio delle lotte tra i Malaspina e il vescovo di Luni. Ustioni indelebili sulla sua stessa pelle, i decreti dei fiorentini nei suoi confronti. A fronte dell’infame violenza usatagli dai suoi concittadini, già una semplice, e forse rude, stretta di mano di Franceschino di Mulazzo, valeva per il Poeta più di ogni altro valore. “…L’Esule fiorentino [riassume, e chiarifica Vasco Bianchi] fu a Sarzana e a Castelnuovo; in altri luoghi di Lunigiana la sua presenza è affermata solo dalle varie tradizioni popolari, che non sempre, tuttavia, si rivelano basate sui quei ‘pubblici motivi di vero’, ad esse attribuiti dal Vico. In alcuni luoghi - Mulazzo, Giovagallo, Villafranca - le tradizioni sono verosimili; in altri - Fosdinovo, Monastero di Capo Corvo - leggendarie” (Bianchi, V.: Presenze Dantesche in Lunigiana. In: Cronaca e Storia di Val di Magra. Pontremoli, Artigianelli, 1976, p. 35) Drastica, certamente, ma serena, e soprattutto opportuna, l’affermazione di Bianchi, che mi riporta alla mente l’indirizzo rivolto al ‘Lettore’ da Filippo Trombetti di Aulla, ‘Dottore di Filosofia, e Medicina, Collegiato Genovese’, nel suo libro La Bilancia: “La verità abita in terra fra le opinioni, come il Sole in Cielo, quando è in mezzo alle nuvole. Il verisimile, ch’è il maggior nemico del vero, pure con ipocrisia di colori lo ritrae sì al vivo, che l’intelletto bene spesso abbaglia, apprendendo, che sia reale ciò, ch’è solo apparente; siccome l’occhio travede, non discernendo il parelio [alone luminoso attorno al sole] dal Sole. Quindi nasce la diversità delle opinioni ne’ Letterati, i quali, nell’inchiesta del vero, per diverse strade, come linee contrarie, tendono al medesimo centro…” (Trombetti, F.: La Bilancia. Genova, Casamara, 1682, p. 11) F I N E 20