MEDIOEVO ROMANZO E ORIENTALE
Collana diretta da A. Pioletti
Colloqui
Pubblicazione degli Atti di Colloqui,
Convegni, Seminari dedicati allo studio
dei rapporti intercorsi nel Medioevo fra
Occidente e Oriente nell’ambito della
produzione letteraria e più in generale
culturale.
Studi
Monografie relative ad autori, opere,
documenti, questioni metodologiche,
storia della critica.
Testi
Pubblicazione, in quanto edizione critica, riedizione, traduzione, antologia, di
testi che siano documento degli influssi
reciproci fra Occidente e Oriente.
ANTROPOLOGIA
e POTeRe
MODeLLI SCIeNTIFICI, FILOSOFICI
e FILOLOGICI DeLL’ACCULTURAZIONe
TRA OTTOCeNTO e NOVeCeNTO
a cura di
Giancarlo Magnano San Lio e Luigi Ingaliso
In copertina: Radici inquiete, Claudio
Falcone, 2015.
M R O
Collana fondata da Antonio Pioletti e Francesca Rizzo Nervo
diretta da Antonio Pioletti
STUDI
27
Comitato scientifico
Roberto Antonelli (Accademia Nazionale dei Lincei, Roma)
Frédéric Bauden (Université de Liège)
Siam Bhayro (University of Exeter)
Michele Bernardini (Università di Napoli “L’Orientale”)
Mario Capaldo (Accademia Nazionale dei Lincei, Roma)
Caterina Carpinato (Università Ca’ Foscari di Venezia)
Lorenzo Casini (Università di Messina)
Mirella Cassarino (Università di Catania)
Andrea Celli (University of Connecticut)
Eliana Creazzo (Università di Catania)
Carolina Cupane (Österreichische Akademie der Wissenschaften, Wien)
Luciano Formisano (Università di Bologna)
Stefanos Kaklamanis (University of Athens)
María Jesús Lacarra (Universidad de Zaragoza)
Gaetano Lalomia (Università di Catania)
Salvatore Luongo (Università di Napoli “L’Orientale”)
Maria Mavroudi (UC Berkeley)
Marco Moriggi (Università di Catania)
Stefano Rapisarda (Università di Catania)
Antropologia e potere
Modelli scientifici, filosofici e filologici
dell’acculturazione tra Otto e Novecento
a cura di
Giancarlo Magnano San Lio e Luigi Ingaliso
2021
Il volume è stato stampato grazie al contributo dell’Università degli Studi
di Catania - Dipartimento di Scienze Umanistiche - Prometeo 2016-18,
Linea 3. Progetto di ricerca AntroPo: Antropologia e potere. Modelli
scientifici, filosofici e filologici dell’acculturazione tra Otto e Novecento.
© 2021 - Rubbettino Editore Srl
88049 Soveria Mannelli - Viale Rosario Rubbettino, 10 - Tel. (0968) 6664201
www.rubbettino.it
Sommario
Premessa
Fenomeni e rappresentazioni dell’acculturazione nel mondo
moderno e contemporaneo
7
Stefania Achella
Potere ed esclusione. La pratica della soggettivazione nella
dialettica hegeliana
13
Giancarlo Magnano San Lio
Antropologia e storia: il dibattito su evoluzione, razze e culture in Germania tra Otto e Novecento
29
Ivana Randazzo
Kurt Goldstein: considerazioni sulla conservazione e l’incremento della razza umana
45
Giuseppe Cantillo
Metafisica della cifra e mistica in Karl Jaspers
63
Stefan Knauß
Öffentlichkeit als Quelle und Ereignis von Differenz. Akkulturation im Anschluss an Charles Taylor und Seyla Benhabib
79
Marica Magnano San Lio
Acculturazione e malattia mentale: Foucault e il “grande internamento”
93
Antonino Di Giovanni
Pensare al di là. Gaetano Salvemini, Luigi Sturzo e alcune
considerazioni su «acculturazione» ed «esilio»
107
Giuseppe Bentivegna
Samuel Ramos: il progetto di un’antropologia filosofica
127
6
Corrado Giarratana
Il “ser” americano nell’interpretazione di O’Gorman
Sommario
139
Fernando Ciaramitaro
La aculturación nell’America ispanica. Modelli e interpretazioni nel XXI secolo
151
Michela Catto
Le virtù degli altri. Gesuiti affascinati dalla vita secondo natura
171
Santo Burgio
Tradizione e acculturazione nella filosofia africana contemporanea
185
Gaetano Lalomia
Il Sindbad alla luce della categoria di «acculturazione»
203
Giuseppina Ferriello
Contaminazioni e specificità di ponti-diga persiani
217
Luigi Ingaliso
Non hanno i Cinesi nessuna scientia. Astronomia e matematica al tempo delle prime missioni gesuitiche in Cina
239
Katia Serena Cannata
Cultura scientifica, tecnica e politica in Europa tra Settecento e Ottocento. Termodinamica e fattori politico-sociali
257
Marta Maria Vilardo
L’acculturazione dal linguaggio
269
Fernando Ciaramitaro
La aculturación nell’America ispanica.
Modelli e interpretazioni nel XXI secolo
Using specialized bibliography, archival sources and an interview,
this essay analyzes the concept of acculturation (and transculturation)
and its multiple relationships with other conceptual definitions of the
historiography and anthropology of the twentieth and twenty-first centuries. e essay also studies the thought of Luis Mujica Bermúdez,
Héctor Pérez-Brignoli, Aníbal Quijano, and Karina Ochoa.
Acculturation; Transculturation; Cultural anthropology; Postcolonialism; Indigenous peoples of the Americas.
1. Acculturazione: origini e definizioni
Il termine acculturazione (acculturamento o trasmissione
orizzontale) è una categoria complessa che si può analizzare da
plurime angolature: la antropologia, la filosofia, la storia, la sociologia eccetera. Nel termine acculturazione la a privativa indica – chiaramente – una forma di assenza, un deficit. Tuttavia,
acculturazione si riferisce al processo di cambiamento socioculturale e psicologico che sorge per il contatto duraturo tra soggetti e gruppi che appartengono a «civiltà» o «saperi» differenti1.
Quindi, per estensione, tutti quei fenomeni di interconnessione che risultano dalla relazione tra culture 2. Questo processo
non è mai a senso unico: è sempre uno scambio a doppio binario, a two-ways process. Secondo la nota interpretazione di Robert Redfield, Ralph Linton e Melville J. Herskovits 3: anche la
Sam 2006.
Heise, Tubino e Ardito, 1992: 18.
3 Redfield, Linton e Herskovits 1936: 149-52. Si tratta del famoso saggio
Memorandum for the Study of the Acculturatium, pubblicato nella prestigiosa rivista «American Anthropologist», periodico ufficiale della American Anthropological
Association.
1
2
152
Fernando Ciaramitaro
civiltà che «dona» o pretende imporre la propria cultura viene
modificata dalle caratteristiche della cultura con cui è entrata in
contatto. Il concetto sorge, così, tra gli antropologi americani,
nella seconda metà del XIX secolo, in rapporto ai mutamenti
culturali realizzati e vissuti dagli indiani del Nuovo mondo per
il contatto con le civiltà europee, soprattutto spagnoli, portoghesi, francesi e inglesi, e si riferisce a ogni sorta di mutamento di
costumi, pratiche, credenze e rituali che abbiano origine in una
determinata cultura non per causa interna a essa bensì per l’influenza e il contatto con conoscenze estranee.
La acculturazione è anche progetto e pratica sociale che suppone un insieme di concetti che rimangono impliciti nei processi di conformazione di un gruppo o nella fondazione di una
nazione o comunità. La categoria rappresenta modelli d’azione o di relazioni sociali tra diversi gruppi umani, che – semplificando – potremmo appunto chiamare «culture». Questi gruppi possono essere politici, religiosi, etnici, economici eccetera.
Quindi, potremmo sottolineare, e generalizzare, ciò che potrebbe essere una specie di crocevia generale di progetti sociali, dove
intervengono concezioni, interessi e obiettivi di coloro che interagiscono, gli attori, in quanto partecipano allo stesso processo
di scambio, basato sulle loro pratiche concrete.
Le prime indagini sull’acculturazione, condotte, per esempio, dagli studiosi statunitensi John Wesley Powell (1834-1902)
e William John McGee (1853-1912), espongono un tendenziale etnocentrismo, del quale si prese definitivamente coscienza solo negli anni trenta del XX secolo, con un cospicuo numero di ricerche sul campo che condussero a un approfondimento
teorico. L’etnocentrismo era totalmente accertabile nel doppio
rifiuto della storia e dell’alterità: la storia non era compresa come un insieme di itinerari edificati da fatti singolari e non riconducibili a specifiche leggi, ma era vista, invece, come cammino a senso unico, con un solo fine, quello dell’evoluzione da
una forma più semplice a una più complessa4. Così si negava
l’alterità dei popoli extraeuropei, nelle loro specificità, poiché le
uniche differenze osservate erano quelle che si posizionavano su
un asse perpendicolare, come trasformazioni quantitative dell’evoluzione culturale. Si prese distanza, finalmente, dall’etno4
Cfr. la nota 5.
La aculturación nell’America ispanica
153
centrismo e si pose l’accento sul mutamento culturale nei più
variegati contesti geografici e sociali, per definire o ridefinire le
diverse condizioni di contatto che agevolarono o impedirono il
mutamento menzionato.
L’accademia ha cominciato così a classificare o standardizzare le composite situazioni e tipologie di acculturazione, in base
alle differenti incognite. Tra queste vanno ricordate le dimensioni delle associazioni o dei gruppi implicati nel processo, la loro attitudine reciproca, la posizione occupata nella gerarchia del
potere, la possibile compatibilità dei costumi e delle usanze.
Successivamente, Alfred Irving Hallowell (1892-1974) e George D. Spindler (1920-2014) hanno individuato precise relazioni fra i cambiamenti nella struttura della personalità individuale
e i mutamenti culturali. Hallowell, in particolare, ha descritto un tipo di «personalità aborigena» che non riusciva a cambiare, se non patologicamente, sotto lo stress di un processo d’acculturazione. Questa nozione di «ritardo psicologico» dell’indigeno non è dissimile dalla cosiddetta dottrina delle sopravvivenze (doctrine of survivals)5, che, in forma più sofisticata, veniva talvolta invocata nell’analisi delle relazioni funzionali tra i
cambiamenti nella terminologia di parentela, nelle regole del
matrimonio e della convivenza sociale 6.
Dalla fine degli anni quaranta del XX secolo la strumentazione concettuale e i reperti empirici delle indagini sull’acculturazione sono stati largamente utilizzati nel campo della cosiddetta antropologia applicata, mirante a indicare le tecniche del
mutamento culturale pianificato tra le popolazioni coloniali o
in via di sviluppo. Pertanto, si è provveduto a circoscrivere i di5 La dottrina delle sopravvivenze trova origine nel pensiero dell’antropologo
londinese Edward B. Tylor (1832-1917), un evoluzionista: l’umanità è concepita
come successione di gradi culturali che si susseguono da uno più semplice a uno
più complesso, sulla linea di un progresso continuo. Questo processo è unilineare
e universale, nel senso che la cultura è unica per tutta l’umanità e le diversità tra
le civiltà non sono che momenti plurimi dell’evoluzione. Tylor formulò il concetto di sopravvivenza per indicare quelle abitudini e credenze che sono residui di
uno stadio evolutivo anteriore e che persistono in una fase della società diversa da
quella in cui avevano la loro sede originaria. Le sopravvivenze sono quindi delle
tracce che aiutano lo scienziato a disegnare il cammino che la civiltà ha concretamente seguito, quasi come fossero fossili dai quali ricostruire il processo evolutivo
di qualsiasi società. Cfr. Tylor 1871; mentre, sulla dottrina delle sopravvivenze,
Margaret T. Hodgen 1931; per gli studi italiani, Gianni Giannotti 1967: 41-49.
6 Wallace 1980: 201-2.
154
Fernando Ciaramitaro
versi stadi del fenomeno dell’acculturamento, che si posizionano tra un estremo, una sorta di totale «assimilazione», a forme
di convenzionalismo o iperadattamento nei confronti della cultura aliena, a cambiamenti culturali limitati, funzionali alle necessità dello sviluppo economico e sociopolitico, sino al rifiuto
più o meno esplicito di alcuni sub-gruppi oppositori.
Da ultimo, nella antropologia e in storiografia, il concetto
di acculturazione è spesso correlato con altri: etnocentrismo (già
visto), dominazione, globalizzazione, occidentalizzazione, meticciaggio e transculturazione. Quest’ultimo termine è stato coniato, nella decade del 1940, dall’intellettuale cubano Fernando
Ortiz (1881-1969)7, come nozione più pertinente dell’acculturazione. I postulati di Ortiz furono commentati dal celebre antropologo britannico Bronisław Malinowski (1884-1942), che
accettò la parola e che ufficializzò così il suo ingresso nella nomenclatura antropologica. Tuttavia, con alcune eccezioni, la nozione di acculturazione ha continuato a essere utilizzata più frequentemente, sia in antropologia che in storiografia. Ortiz ha
rifiutato il concetto di acculturazione, sostenendo il suo carattere unidirezionale: gli individui della cultura dominata si adattano, cioè si acculturano, incorporando elementi della cultura dominante. Nella sua visione, invece, il concetto di transculturazione era necessario per incorporare il carattere «multidirezionale» dei contatti e degli «scontri culturali» e per superare irrevocabilmente la drammatica perdita culturale (la deculturazione)8.
7 Etnologo, antropologo e giornalista, ha studiato le radici storico-culturali
afro-cubane, contribuendo notevolmente a definire la cultura cubana, del passato
e del presente. Grazie alle sue ricerche, è conosciuto come il terzo scopritore di
Cuba, dopo Cristoforo Colombo e Alexander von Humboldt. Ha studiato in particolare la presenza africana nella cultura cubana e, con il concetto di transculturazione, ha dato un contributo importante all’antropologia culturale. Ha indagato e
approfondito i processi di transculturazione e formazione storica della nazionalità
cubana e ha insistito sulla «scoperta» dell’identità cubana. Tra le sue numerose
pubblicazioni, cfr. Fernando Ortiz, Contrapunteo cubano del tabaco y el azúcar
(1940); Las cuatro culturas indias de Cuba (1943); El engaño de las razas (1946). Il
primo saggio è stato tradotto in italiano da Cesco Vian, per la Rizzoli (1982).
8 Nella tradizione intellettuale anglosassone transculturazione è anche il processo di passaggio da un tipo di cultura a un altro, nell’incrocio di due o più civiltà diverse, sinonimo, quindi, di «creolizzazione», come processo di ibridazione. La
formula creata è quella di cross-cultural ed è usata nelle scienze sociali, soprattutto
in antropologia culturale e sociologia, con riferimento alla reciproca influenza che
culture diverse hanno sui comportamenti individuali e collettivi.
La aculturación nell’America ispanica
155
Ricorrendo alla bibliografia specializzata, a fonti d’archivio
e a una intervista, in questo saggio si analizza il concetto di acculturazione – e le molteplici relazioni di questo con altre definizioni speculative della storiografia e della antropologia – nella
discussione intellettuale iberoamericana del XXI secolo. Attraverso principalmente il pensiero di Luis Mujica Bermúdez, Héctor Pérez-Brignoli, Aníbal Quijano e Karina Ochoa, si cerca di
far luce su tematiche ancor’oggi poco esaminate nel panorama
italiano.
2. Acculturazione e transculturazione: interpretazioni ispanoamericane
Sono passati cinque secoli dalle prime scorrerie dei soldati
europei nella terraferma americana e dalla seguente conquista
del Messico (1519-1521). Nella America ispanica questi fatti
vengono ancor’oggi ricordati, dalle istituzioni e dalla gente comune, ridestando polemiche mai spente. Tra i tanti temi dibattuti spiccano la prospettiva indigena della conquista9, i modi in
cui le popolazioni centroamericane hanno definito o pensato gli
estranei spagnoli 10 e i complessi processi di incorporazione di
nuovi elementi culturali tramite rapporti violenti o pacifici con
gli invasori: l’assimilazione forzata, captata o fusa per semplice
mescolanza di elementi culturali diversi, che ha dato vita a una
civiltà originale. Sto parlando del fenomeno della acculturazione, questione finora presente non solo nella agenda degli studiosi ma anche in quella dei politici e dei popoli. È un leitmotiv
per le società e per le masse istruite.
19 Quella che, per esempio, Miguel León-Portilla (1926-2019) ha definito
con successo come «visione dei vinti». La Visión de los vencidos (1959) è il suo studio più famoso: fino al 2008 è stato rieditato ventinove volte e tradotto in una
dozzina di lingue. In questo breve libro, León-Portilla raccoglie vari frammenti
della visione nahuatl della conquista spagnola, dalle premonizioni di Montezuma
ai Cantos tristes (icnocuicatl ) successivi alla conquista. In italiano la prima edizione è del 1962, grazie alla traduzione di Gabriele Cabrini e Giannino Galloni (La
memoria dei vinti, Milano, Silva).
10 Cfr. l’interessante libro di Molly H. Bassett (2015). Bassett, prendendo le
mosse dalla mitostoria (mythohistory) dell’antropologo Gary Urton (1990), afferma
che il mito delle origini è una versione condivisa della storia mesoamericana che
nasce come racconto storiografico per l’incontro tra indios ed europei. I fatti non
devono essere quindi giudicati in base agli attuali parametri intellettuali, ma come
risvolto della reciprocità dei contatti tra due universi diversi, l’iberico e l’azteco.
156
Fernando Ciaramitaro
Per l’antropologo peruviano Luis Mujica Bermúdez11 l’acculturazione è un processo sociale di incontro di due civiltà in
termini disomogenei e irregolari, dove una di esse diventa dominante mentre l’altra è dominata. La prima è dominante perché l’azione culturale invasiva è imposta con la forza e sebbene
il dominato sia vinto affronta l’azione del primo attraverso la
sottomissione incondizionata o la resistenza sociale, facendo uso
di abbondanti risorse di sussistenza12. È chiara l’influenza della
letteratura storica dei fatti legati al complesso processo della
conquista delle Americhe: l’impresa americana comportò l’interazione di razze e culture su un vasto e sconosciuto territorio e
gli emigranti europei ne costituirono la forza motrice; furono
loro ad attraversare l’Atlantico e a imporre la propria volontà e
il proprio dominio ai popoli amerindi13. Ciononostante, la
«cultura interventista» non ottiene necessariamente il dominio
totale sulla controparte, né questa perde interamente i suoi modelli culturali e, piuttosto, esercita diverse forme di resistenza,
alle volte attive, altre volte passive14.
I rapporti di acculturazione – insiste Mujica Bermúdez –
sono accompagnati da immagini degli altri e di se stessi: da un
lato l’esperienza storica mostra che la parte egemone ha creduto
di avere la prerogativa di concepirsi come «possessore di cultura» e di non riconoscere nell’altro questa stessa realtà, oltre che
11 Docente presso la Pontificia Universidad Católica del Perú (Lima), studia
l’ecologia, la cultura politica, i suoi conflitti e le forme di potere. Indaga anche i
diritti umani in relazione alla cittadinanza e allo stato, le relazioni tra culture e
l’interculturalità legate all’educazione interculturale bilingue nel mondo quechua,
la dimensione epistemologica nel mondo andino quechua e la conoscenza comune. Infine, ha analizzato l’etica in relazione alla vita politica del Perù, da un’ottica
antropologica.
12 Mujica Bermúdez 2001-2002: 2.
13 Fu la monarchia spagnola a dirigere e regolamentare la conquista, seguendo una serie di principi enunciati dalla stessa corona: le Indie occidentali appartenevano in esclusiva alla Castiglia perché il giusto diritto sul Nuovo mondo sorgeva per l’impegno a evangelizzare gli indios e, in verità, questa era l’unica giustificazione alla presenza dei suoi sudditi al di là dell’oceano. Non appena gli indigeni
avessero accettato il governo e la religione di Cristo, sarebbero diventati suoi liberi vassalli, con gli stessi privilegi dei sudditi spagnoli. Essi però, sempre, avrebbero
dovuto pagare un tributo annuale come simbolo di sottomissione. Per esempio,
sulla conquista e la evangelizzazione, cfr. Ciaramitaro 2015. Mentre per la visione
dei vinti: Wachtel 1976.
14 Mujica Bermúdez 2001-2002: 2.
La aculturación nell’America ispanica
157
confinare e circoscrivere il subalterno al mondo della natura15.
Tuttavia l’indio costituì sempre un tormento ontologico, religioso e giuridico, che angustiava i cuori più sensibili della teologia e del diritto spagnoli, e il sermone del domenicano Antonio
Montesinos (1475-1540), pronunciato nel 1511, nell’isola di
Santo Domingo, è stata la prima manifestazione di protesta e
rivendicazione contro le autorità coloniali, poiché sintetizza l’oppressione delle popolazioni indigene e chiede per loro – a testa
alta – giustizia16. Alla filippica del religioso si attribuisce il primo momento del dibattito sulla legittimità della conquista e la
colonizzazione degli spagnoli. Le sue domande retoriche segnarono la sorte della raffigurazione antropologica e giuridica degli
indigeni e attaccarono la falsa logica dei conquistadores: i nativi
non erano né selvaggi né barbari 17. Allora, se i nativi non sono
barbari – si domanda Mujica Bermúdez –, chi sono realmente
per la prospettiva dell’acculturazione? L’antropologo per rispondere ricorre alla storiografia e, in particolare, a Tzvetan Todorov 18. Gli «altri», che sono stati chiamati «indiani», hanno due
tratti principali, quello della «generosità» e della «codardia». Ciò
riflette un sentimento di superiorità che genera un «comportaIvi: 3.
«Esta voz, dijo él, que todos estáis en pecado mortal y en él vivís y morís,
por la crueldad y tiranía que usáis con estas inocentes gentes. Decid, ¿con qué derecho y con qué justicia tenéis en tan cruel y horrible servidumbre a estos indios?
¿Con qué autoridad habéis hecho tan detestables guerras a estas gentes que estaban en sus tierras mansas y pacíficas, donde tan infinitas de ellas, con muertes y
estragos nunca oídos, habéis consumido? ¿Cómo los tenéis tan opresos y fatigados, sin darles de comer ni curarlos en sus enfermedades, que de los excesivos trabajos que les dais incurren y se os mueren, y por mejor decir, los matáis, por sacar
y adquirir oro cada día? ¿Y qué cuidado tenéis de quien los doctrine, y conozcan a
su Dios y creador, sean bautizados, oigan misa, guarden las fiestas y domingos?
¿Estos, no son hombres? ¿No tienen almas racionales? ¿No estáis obligados a
amarlos como a vosotros mismos? ¿Esto no entendéis? ¿Esto no sentís? ¿Cómo estáis en tanta profundidad de sueño tan letárgico dormidos? Tened por cierto, que
en el estado en que estáis no os poder salvar?» (Las Casas 2001: 441). Gli americanisti sostengono che con la predica di Montesinos sono nati i diritti umani nel
Nuovo mondo (Fajardo Sánchez 2013: 222).
17 Questione a tutt’oggi non risolta, secondo la lettura di Mujica Bermúdez
(2001-2002: 3): «l’attualità non si libera da questa prospettiva, perché altri sono
ancora inclini a essere considerati “infedeli” o “terroristi”, il che significa che la
pratica di acculturazione continua ed è fondamentalmente etnocentrica» (la traduzione è mia).
18 Cfr. i classici La conquista dell’America (1982) e Nosotros y los otros (1989).
15
16
158
Fernando Ciaramitaro
mento protezionistico» degli europei. Gli atteggiamenti di coloro che si sentono conquistatori dipendono dal modo in cui si
percepiscono gli altri e questo modo di vedere e giudicare è totalmente ambiguo. Gli indiani – spesso – sono visti come «diversi» e si collocano nella percezione dell’osservatore europeo in
termini di gerarchia: superiorità o inferiorità. Dice Todorov:
Fisicamente nudi, gli indiani […] sono anche privi di ogni proprietà culturale: sono caratterizzati, in qualche modo, dalla mancanza
di costumi, di riti, di religione […]. Già privi di lingua, gli indiani
si rivelano anche sprovvisti di leggi e di religione; e se hanno una
cultura materiale, essa non attira l’attenzione […]19.
L’atteggiamento dell’osservatore europeo nei confronti della
nuova cultura aborigena è, nella migliore delle ipotesi, quello
del collezionista di curiosità, mai accompagnato da un reale
tentativo di comprensione. Dal punto di vista della fede, di
fronte ai conquistatori, gli indiani avrebbero dovuto essere considerati uguali (davanti a Dio) ma disuguali e inferiori culturalmente e politicamente. Insomma, lo sguardo dell’invasore non
percepisce l’altro e gli impone i propri valori ed è finalmente
considerato straniero. «Strani e burrascosi percorsi di acculturazione» 20. Mujica Bermúdez crede che il rapporto con gli altri sia
stato giustificato per un approccio teleologico. La empresa 21 –
economica, politica o religiosa – possedeva l’unica cultura e doveva intraprendere la conquista, senza esitazione. Ciò significa
che i colonizzatori entravano in un campo incontaminato per
«civilizzare», cioè per fornire cultura a chi non l’aveva. Le azioni
intraprese trovavano giustificazione nella prospettiva evolutiva,
per guadagnare adepti e così assimilare o integrare il nativo al
mondo del conquistatore. Civilizzare, in questo scenario, significa – secondo Mujica Bermúdez – far ricevere agli altri ciò che
Todorov 1992: 42-43.
Mujica Bermúdez 2001-2002: 3.
21 Nella lingua castigliana medievale e rinascimentale, le crociate per la riconquista delle terre sante o i domini moreschi della penisola iberica erano generalmente denominate empresas (l’impresa, l’azione, l’iniziativa, l’intrapresa) o negocios, termini in cui si mescolano caratteristiche mercantili e religiose: quindi, il
massimo risultato dell’imperialismo cristiano fu quello di attuare contemporaneamente la «conversione» dei beni e la conversione delle anime (il negotium crucis).
Cfr. Ciaramitaro 2018: 199-200. Alain Milhou (1983: 289) ricorda che la «negoziazione» delle Indie ha, come la parola «compagnia», una doppia connotazione,
commerciale e religiosa.
19
20
La aculturación nell’America ispanica
159
è necessario, per trasformarli come i modelli originali, farli «nuovi europei» ed essere soggetti agli schemi da essi prestabiliti. Di
nuovo, gli altri sono come «cose», convertibili o trasformabili,
mentre apprendono regole e leggi della cultura conquistatrice.
Quindi, civilizzazione connota necessariamente una relazione di
sottomissione. Questa metodologia d’azione e pensiero è applicata in vari campi, basta osservare la pratica della guerra santa.
Gli altri, se non si sottomettono come previsto, devono essere
annientati, perché costituirebbero un pericolo per l’unica realtà
civile 22.
Il sociologo e storico argentino Héctor Pérez-Brignoli 23 usa
i termini acculturazione o transculturazione come sinonimi, sono «nozioni intercambiabili», sottolineando l’obbligo della definizione chiara e della specificazione che si tratta di processi di
«contatto culturale» che avvengono in più direzioni e che coinvolgono rapporti di potere e subordinazione. Insiste nel vincolo dell’acculturazione con il meticciaggio (anche meticciato, in
lingua spagnola mestizaje): la forma più tipica di acculturazione è stata l’incrocio o ibridazione di razze, fenomeno molto
complesso. Alla base c’è stato – prima – un meticciato biologico, prodotto dell’intensa mescolanza tra europei, amerindi, neri
e, in misura minore, asiatici. A questo meticciaggio biologico è
seguito uno culturale, che si è trasformato, lentamente, in una
potente ideologia sussidiaria a progetti più ampi di dominio e
trasformazione sociale 24.
Questa ambiguità ha generato numerose incomprensioni.
L’ideologia mestiza – afferma sempre Pérez-Brignoli – era una
espressione elaborata dai meticci per la loro ascesa sociale: dalla
«razza cosmica» di José Vasconcelos (1925) al processo di acculturazione attentamente studiato da Gonzalo Aguirre Beltrán
(1970), che permette di spiegare come, durante la rivoluzione
messicana, i contadini indiani si convertirono in contadini mesMujica Bermúdez 2001-2002: 4.
Pérez-Brignoli (nato in Argentina nel 1945) è stato per anni professore di
storia all’Università del Costa Rica. Professore visitante in varie università negli
Stati Uniti e in Iberoamerica, ha studiato la storia dell’America centrale, la metodologia della ricerca e la demografia storica. Per maggiori informazioni sulla traiettoria dell’accademico, cfr. il monografico a lui dedicato da Revista de Historia
(2004).
24 Seguo le linee tracciate dall’autore: Pérez-Brignoli 2017: 101-4.
22
23
160
Fernando Ciaramitaro
sicani 25. Il melting pot di razze evidentemente mascherava e tuttora maschera, come il principio di uguaglianza tra i cittadini
incorporato nelle costituzioni liberali, la disuguaglianza di classe:
ma questo non implica che l’incrocio di razze sia puro mascheramento e che manchi a volte di contenuti sovversivi. L’uguaglianza
giuridica della cittadinanza maschera, indubbiamente, le differenze
di classe, ma ciò non elimina il loro carattere rivoluzionario nelle
società cetuali e schiaviste. È proprio questa profonda ambiguità del
mestizaje che ne fa un concetto chiave per comprendere la dinamica
del contatto e dello scontro di culture nella storia latinoamericana.
Un altro aspetto di questa profonda ambiguità è l’associazione, generalmente inconscia, tra meticcio e impuro, anch’essa ovviamente
derivata dall’etnocentrismo e dal razzismo 26.
Ma ancora una volta si ricorre al dibattito storiografico per
chiarire definizioni e concetti: nel 1965, lo storico francese Alphonse Dupront (1905-1990) coordinò una sessione generale
del congresso internazionale di scienze storiche sul tema dell’acculturazione, presentando una relazione dettagliata in cui suggeriva di incorporare la nozione nel vocabolario ordinario degli
storici 27. Tuttavia le conseguenze furono esigue.
Finalmente, conclude Pérez-Brignoli, il valore concettuale
dell’acculturazione è fondamentalmente euristico: si tratta di
un’ipotesi investigativa che viene assunta precipuamente come
«idea guida» nella ricerca dei fatti. Gli antropologi hanno fornito cataloghi dettagliati di cosa osservare e descrivere, ma questo
è stato solo il primo passo nel processo di ricerca. Il secondo,
più importante del precedente, è la considerazione del processo
descritto nel quadro dei rapporti di potere e così le nozioni di
acculturazione e transculturazione continuano a essere utilizzate
nella storiografia e nelle scienze sociali. Il concetto di transculturazione, meno diffuso di quello di acculturazione, malgrado
ciò ha acquistato nuovo brio grazie agli studi culturali e letterari
degli ultimi decenni. Questi usi vanno però affiancati alle nozioni di ibridità ed eterogeneità, sviluppate soprattutto da Anto25 Ivi: 104. In Messico il concetto di meticciato è ambiguo perché include
anche una casta sociale che acquisisce potere (cfr. Borsò 1994).
26 Ivi. La traduzione è mia.
27 Si tratta del saggio De l’acculturation, ampliato e arricchito immediatamente per l’edizione italiana a cura di Corrado Vivanti: L’acculturazione. Per un
nuovo rapporto tra ricerca storica e scienze umane (1966).
La aculturación nell’America ispanica
161
nio Cornejo Polar (2003) e Néstor García Canclini (2009). Entrambi i concetti vengono aggiunti come strumenti euristici e
descrittivi a quelli di acculturazione e transculturazione. Nelle
interpretazioni la chiave di lettura rimane costantemente la ricostruzione dei rapporti di potere e dominio 28.
Sulla colonialidad del potere 29 il sociologo Aníbal Quijano
(1930-2018)30 propone un interessante schema teorico: la distruzione delle società e delle culture precolombiane portò alla
condanna sociale delle popolazioni, alla loro subordinazione a
un modello di potere brutale. Questo modello si configura attraverso quattordici punti: 1. La società si struttura sulla base
dell’idea di razza; 2. I colonizzatori definirono la nuova identità
degli abitanti colonizzati come indios, per i quali la dominazione implicava l’espropriazione e la repressione delle identità originarie; 3. Questa nuova assegnazione di identità sociali ha generato una originale classificazione della popolazione americana: spagnoli, portoghesi, britannici, bianchi, meticci eccetera;
su questa si articolarono le diverse forme di sfruttamento e controllo del lavoro, nonché le relazioni di genere; 4. Con l’imposizione del nuovo sistema di potere, le identità delineate – con il
passar del tempo – si stabilizzarono e standardizzarono, essendo
accettate dalla maggioranza, insieme alle relazioni gerarchizzate
di disuguaglianza tra europei e non-europei e dominazione di
quelli su questi in tutti i settori (economia, cultura, politica); 5.
Pérez-Brignoli 2017: 108-9.
Sulla colonialidad del potere, cfr. Quijano (1988; 1992; 2001), Quijano e
Wallerstein (1992) e Pajuelo Teves (2002).
30 Quijano è stato professore presso l’Universidad Nacional Mayor de San
Marcos (Lima), l’Università di Binghamton (USA) e l’Universidad Nacional Autónoma de México (1974). Nel 2010 fondò la cattedra «América Latina y la colonialidad del poder», all’Università Ricardo Palma (Lima). Quijano ha affrontato
diversi temi di ricerca legati alla società e alla storia latinoamericane – in particolare quella del Perù – senza mai cadere nell’ortodossia teorica. Ha criticato costantemente le relazioni di sfruttamento socioeconomico e culturale del capitalismo, preoccupandosi per una vera democratizzazione degli stati. Ramón Pajuelo
Teves (2002) individua tre fasi tematiche nella traiettoria intellettuale del suo
pensiero. La prima sugli intensi dibattiti sulla teoria della dipendenza, durante gli
anni sessanta e settanta: Quijano è stato uno dei tanti intellettuali latinoamericani
fondatori di questa «scuola». Un secondo momento copre i temi dell’identità,
della modernità, dello stato e della democrazia, soprattutto durante gli anni ottanta. Il terzo e ultimo inizia nel decennio 1990 e include le sue riflessioni su eurocentrismo, colonialità, nazione e globalizzazione.
28
29
162
Fernando Ciaramitaro
Le popolazioni sottomesse furono rinchiuse in subculture ermetiche, in primo luogo contadine e illetterate, con scarsissime
possibilità di mobilità sociale; 6. A questi popoli venne vietata
qualsiasi forma di oggettività, in immagini, simboli ed esperienze, per mezzo di autonomi modelli d’espressione plastica e visuale; 7. Gli unici paradigmi di rappresentazione plastica ed
estetica accettati erano quelli dei dominatori; 8. Gli indigeni sono stati costretti ad abbandonare le pratiche della propria sacralità, per le minacce e le continue repressioni, o a portarle avanti
solo nella clandestinità, con tutte le possibili distorsioni del caso; 9. Sono stati costretti ad ammettere la condizione disonorevole della propria immaginazione e delle proprie credenze; 10.
Hanno potuto conservare parzialmente solo le reti familiari e rituali che non entravano in conflitto diretto con la nuova realtà
sociopolitica, anche se continuamente riadattate alle esigenze cangianti del modello globale della colonialidad; 11. Per la
struttura di potere configurata con queste basi, caratteristiche e
tendenze di sviluppo storico e per le sue implicazioni a lungo
termine si impiega il concetto di colonialidad del potere. Data
questa configurazione specifica di potere, il conflitto era inerente ad essa ed era reso esplicito come attributo necessario e permanente. Per questo, sebbene l’iniziale resistenza militare degli
amerindi sia stata sconfitta in pochi decenni nel corso del XVI
secolo, le ribellioni indiane, nere e meticce – cioè, già le nuove
identità e il nuovo universo intersoggettivo e culturale dei subalterni – divennero frequenti durante i secoli XVII e XVIII e
la resistenza politica e culturale si fece massiccia e diffusa. Le
guerre di emancipazione ebbero origine in queste ribellioni, anche se per ben note determinazioni storiche finirono sotto il
controllo dei dominatori; 12. A causa del «carattere coloniale
del potere» e della sua inevitabile conflittualità, si cementificò
un antagonismo storico tra europei (o bianchi) e indigeni, afroamericani e meticci. I gruppi sociali dominanti erano, di conseguenza, sempre più disposti a identificare i loro interessi con i
dominatori del mondo eurocentrico, nonostante le loro differenze reciproche e i conflitti settoriali, sottomettendo se stessi e
le loro società ai modelli di potere di quel mondo. «La colonialidad del potere implicava necessariamente, implica da allora, la
dipendenza storico-strutturale»; 13. I dominatori tendevano a
percepire le relazioni tra i «centri» del mondo coloniale capitali-
La aculturación nell’America ispanica
163
sta e le società coloniali esclusivamente a livello dei propri interessi sociali, come se queste relazioni avvenissero tra unità storicamente omogenee, nonostante la radicale eterogeneità storicostrutturale tra le società di entrambe le parti del mondo del capitalismo e all’interno di ciascuna di esse. «La colonialidad del
potere e la dipendenza storico-strutturale implicano entrambe
l’egemonia dell’eurocentrismo come prospettiva di conoscenza»;
14. Le popolazioni dominate di tutte le nuove identità d’America furono sottoposte all’egemonia dell’eurocentrismo attraverso i processi d’apprendimento e conoscenza del vecchio mondo,
soprattutto nella misura in cui alcuni di essi – le future élite autoctone – furono in grado di apprendere i testi dei dominatori.
Con il «lungo periodo» dell’età coloniale – per Quijano, epoca
non ancora terminata – le popolazioni indiane e nere sono state
intrappolate tra il modello epistemologico aborigeno e quello
eurocentrico che, inoltre, è stato «incanalato come razionalità
strumentale o tecnocratica, in particolare per i rapporti con il
mondo circostante» 31.
Anche se Quijano non utilizza le locuzioni acculturazione o
transculturazione, nella sua esposizione l’obiettivo è di lapalissiana evidenza: «le popolazioni colonizzate furono sottoposte alla più perversa esperienza di alienazione storica»32. Il riscatto
etico e culturale si rintraccia nel recupero del patrimonio originale, nell’arte e il folclore: gli indios e gli afroamericani, nonostante siano stati costretti a imitare e simulare ciò che era alieno, e a vergognarsi di ciò che era proprio, presto hanno destabilizzato tutto quello che doveva essere emulato o adorato. L’espressione artistica delle società native offre un chiaro esempio
di quel continuo rovesciamento di schemi visivi e plastici, di temi, motivi e immagini di origine straniera, per poter esprimere
in libertà una riconfigurata esperienza soggettiva, non più – ovviamente – quella che esisteva prima del contatto con gli europei, ma una già influenzata da parametri occidentali, ma sempre
«sovvertita», mutata, anche in spazio e modalità di resistenza sociopolitica33. La acculturazione e il suo processo hanno generato
una effettiva forza di opposizione e coabitazione, fatta anche da
cessioni, concessioni e accordi.
31
32
33
L’analisi di questi quattordici punti in Quijano 2001: 120-24.
Ivi: 125.
Ivi: 125-26.
164
Fernando Ciaramitaro
3. Verso una conclusione: acculturazione dell’ indio
Nel febbraio 1568, l’indio Pablo Chapoli, originario della
località di Ichcatlan34, fu portato davanti alla giustizia di Colima, città del viceregno del Messico, accusato dal sacerdote Manuel de Nava di avere realizzato numerose stregonerie, invocando il diavolo e riproducendo rituali superstiziosi. Aveva anche
insegnato ad altri naturales come invocare il demonio con un libro di incantesimi che deteneva. In un processo durato tre giorni, dopo che furono presentate tre testimonianze contro di lui –
quelle degli indios Martín Ximénez, Dioniso Flores e un tal Jácome –, Pablo fu condannato 35.
Pablo Chapoli era un curandero o sobandero e realizzava pratiche rituali di guarigione, dando massaggi e strofinando le sue
mani sul corpo del malato. Sapeva estrarre pietre e altri corpi
estranei dagli infermi, realizzando ancestrali cerimonie e facili
incantesimi. La medicina indigena è stata perseguita dalle autorità spagnole con incisività, per la sovversiva dimensione mistico-religiosa che possedeva, nonché per l’uso di metodologie distintive e primitive, come l’erboristeria indiana. Pablo confessò
al giudice che aveva appreso a curare dai suoi antenati, prima di
ricevere il battesimo. I rimedi magici che applicava appartenevano alla sua «cultura originaria» e come i suoi avi sapeva medicare e sanare. Ma dovette – molto probabilmente suo malgrado
– rinunciare all’antico oficio (lavoro) e venne punito a servire
nella parrocchia per due mesi a alle spese del processo. La sentenza dettata era lieve ma persuasiva. Venne specificato al colpevole che se fosse ricaduto nell’errore la successiva condanna sarebbe stata più grave: lavoro forzato per un anno, esilio e fustigazione.
Si è esaminato un chiaro esempio di pratica dell’acculturazione, imposta dall’ufficiale ecclesiastico al neofita. Non sappiamo se Pablo ricadde nello sbaglio, ma ragionevolmente, meditando sull’accaduto, decise di accettare la volontà più forte del
34 «Ichcatlan» significa luogo in cui il cotone è abbondante o dove viene coltivato. Cfr. Gran diccionario náhuatl. Si tratta della zona di Comala, località al
nord dell’attuale stato messicano di Colima.
35 Archivo Histórico del Municipio, Colima, Messico, 179, c. A-6, exp. 1, 19
febbraio 1568. Il caso è stato studiato prima da Felipe Sevilla del Río (2005: 7679) e dopo da José M. Romero de Solís (1992).
La aculturación nell’America ispanica
165
magistrato, seppur come propria strategia di sopravvivenza e di
mediazione socioculturale. Quindi, una interazione complessa
tra due modi di pensare diversi, la Weltanschauung (o cosmovisión) dell’europeo e quella dell’indio recentemente convertito al
cattolicesimo. Un difficile equilibro tra potere e dovere, tra obbligo e resistenza.
Ho chiesto alla collega Karina Ochoa36 qual è il criterio interpretativo che potrebbe chiarire questa imposizione violenta
del giusdicente sulla volontà dell’indiano nuovoispano. Ochoa:
Da un punto di vista critico, il dibattito che generiamo dalla riflessione descolonial in relazione al tema dell’acculturazione ha a che
fare con l’introduzione dell’elemento potere. Cioè, i processi di acculturazione devono essere compresi attraverso la costituzione di
modelli di dominio, il che implica che alcuni soggetti che sono subalternizzati tendono a generare un processo di perdita o rinuncia
alla propria identità. Come nel caso di Pablo Chapoli. Ad esempio,
quando Aníbal Quijano sostiene che nel processo coloniale e nella
configurazione dei modelli di potere coloniale (la «colonialità» del
potere) una nuova identità (negativa) è stata imposta agli indios e ai
neri, che sono stati privati delle loro identità ancestrali, quello che
stiamo vedendo è una dinamica di dominio. Pertanto, il processo di
acculturazione non può essere visto separatamente dalle logiche di
dominio che, per di più, si configurano storicamente. In questa visione che potremmo definire di «contestualismo radicale», i contesti
specifici di questi processi non possono essere separati dalle dinamiche di configurazione dei modelli di dominio, che sono anche modelli che regolano il sistema mondiale moderno e coloniale 37.
Quali sono le linee attuali di ricerca in America circa questi
temi? Come viene descritta l’identità indiana? E gli afroamericani? Ochoa:
Oggi le linee di ricerca in cui stanno lavorando alcuni pensatori descoloniali sono associate alla questione dei modelli di dominazione
coloniale, che coinvolgono quattro concetti chiave: colonialidad del
potere, colonialidad della conoscenza, colonialidad dell’essere e colonialidad di genere. Pertanto, i processi di acculturazione non posso36 Karina Ochoa (nata a Città del Messico, nel 1975), docente di sociologia
presso la Universidad Autónoma Metropolitana (UAM), ha dedicato larga parte
della propria attività di ricerca a temi relativi alla cultura indigena e il femminismo. La sua analisi si iscrive nelle coordinate già tracciate da José Revueltas
(1914-1976) ed Enrique Dussel.
37 Ochoa, Intervista.
166
Fernando Ciaramitaro
no essere percepiti solo associati alla perdita di identità in astratto,
ma dalle dinamiche di sopraffazione che, in particolare, si verificano
nel contesto della configurazione del sistema mondiale modernocoloniale. Ad esempio, l’identità indiana non si rappresenta come
risultato dello scontro di culture o dell’incontro di culture, ma ha a
che fare con un processo di conquista che è stato generato attraverso un atto violento che ha imposto un’identità negativa ai dominati. L’indio è un’identità negativa perché, nel processo di conquista e
colonizzazione, agli indiani è stato dato un altro nome ed essi sono
stati destinati, in questa imposizione di identità, ad abbandonare il
proprio modo di nominarsi. Ciò ha avuto diverse conseguenze: non
solo è stata loro imposta una denominazione, ma è stata anche annullata la possibilità di auto-identificarsi e auto-assegnarsi un posto
nel mondo. Pertanto, il concetto indio unifica e omogeneizza un’enorme diversità di popolazioni, culture e civiltà che esistevano in
questi territori. Definendo l’identità indiana come identità negativa
si nasconde la diversità delle esistenze precedenti. Lo stesso è accaduto con la popolazione nera e mulatta (schiavi e liberti), proveniente da varie regioni dell’Africa38.
Per concludere, come potremmo finalmente avvicinarci a
una possibile definizione dei processi di acculturazione nel
Nuovo mondo interpretati alla luce del XXI secolo? Ochoa:
I processi di acculturazione non sono né neutri né ingenui, sono
processi che passano attraverso la matrice conoscenza/potere. Nel
caso particolare di Abya Yala (le Americhe) la svolta si è verificata
con la conquista e la colonizzazione a partire dal XVI secolo, che
hanno configurato tutta una logica di potere che ha avuto un impatto sui popoli colonizzati nelle loro forme di autoidentificazione.
E ogni possibilità di autodeterminazione si è persa39.
Gli indigeni americani sono stati trattati anche come oggetti. Pensati «senza nome», ignorati o ritenuti soggetti invisibili.
Erano selvaggi, dissennati e chunchos (incivili), lo spazio della
acculturazione. Se è difficile quindi negare l’impeto imperialista
della cultura occidentale, è vero altresì che si è data resistenza,
grazie al patto esplicito o alla accettazione più o meno simulata,
come, verosimilmente, per l’indio Pablo Chapoli.
38
39
Ibidem.
Ibidem. Cfr. anche Ochoa (in stampa).
La aculturación nell’America ispanica
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Antropologia e potere.
Modelli scientifici, filosofici e
filologici dell’acculturazione tra
Otto e Novecento
a cura di
Giancarlo Magnano San Lio e Luigi Ingaliso
Contributi di:
S. Achella
G. Bentivegna
S. Burgio
K. Cannata
G. Cantillo
M. Catto
F. Ciaramitaro
A. Di Giovanni
G. Ferriello
C. Giarratana
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