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Capitolo 4 Diritti soggettivi ∗ Sommario: 1. Premessa. – 2. Diritti soggettivi e diritto positivo. – 2.1. Il posto dei diritti soggettivi nel discorso giuridico. – 3. La struttura dei diritti soggettivi. – 3.1. Posizioni giuridiche soggettive: lo schema di Hohfeld. – 3.1.1. Rapporti tra posizioni hohfeldiane. – 3.1.2. Posizioni soggettive atomiche e molecolari. – 3.2. Il contenuto dei diritti. – 4. La giustificazione dei diritti soggettivi. – 4.1. Diritti, interessi e posizioni hohfeldiane. – 5. Norme attributive di diritti soggettivi. – Riferimenti bibliografici. 1. Premessa L’espressione ‘diritto soggettivo’ veicola il senso che assume il termine ‘diritto’ in contesti come «Il proprietario ha diritto di godere e disporre delle cose in modo pieno ed esclusivo» (art. 832 cod. civ.), «tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero» (art. 21 Cost.), «tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi. La difesa è diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento» (art. 24 Cost.), e simili. Il significato più intuitivo ed immediato di diritto soggettivo, da sottoporre ad ulteriore analisi teorica, rimanda dunque, a seconda dei casi, ad una sfera protetta in cui il titolare del diritto può svolgere liberamente certe azioni, oppure a qualcosa (una condotta, un bene, uno stato di cose) che il titolare del diritto soggettivo può esigere da qualcun altro: un soggetto determinato, oppure una generalità indistinta di soggetti, oppure ancora lo Stato, e così via. In breve, un diritto soggettivo consiste in una situazione vantaggiosa o favorevole per il titolare del diritto 1: un diritto soggettivo assicura al suo titolare un certo beneficio 2, e fa sì che per godere di quel beneficio il titolare del diritto possa anche contare sulla collaborazione (volontaria o meno) di altri soggetti. ∗ Capitolo di Giorgio Pino. J. Waldron, Introduction, pp. 4-5; M. Barberis, Manuale di filosofia del diritto, p. 93; R. Guastini, La sintassi del diritto, p. 90. 2 La cui natura sarà meglio esplorata infra, §§ 3.2 e 4. 1 Diritti soggettivi 221 Prima di esaminare in maggiore dettaglio la nozione di diritto soggettivo (la cui complessità è a malapena sospettabile se ci si ferma alla definizione intuitiva e preteorica appena menzionata), due precisazioni sono subito necessarie. La prima precisazione è che mentre un diritto soggettivo è normalmente attribuito da una norma 3, tale norma non è necessariamente formulata utilizzando l’espressione ‘diritto soggettivo’ (che peraltro è espressione appartenente al linguaggio della teoria del diritto più che a quello delle fonti), e nemmeno la parola ‘diritto’ – come nel caso della prima parte dell’art. 24 Cost., citato poco sopra, dove il ‘possono’ è in effetti attributivo di un diritto (il diritto di agire in giudizio); questo perché, come vedremo tra breve, il vocabolario dei diritti soggettivi è alquanto vario, può includere termini differenti 4 e riferirsi a concetti non del tutto coincidenti 5, e inoltre perché l’esistenza di un diritto soggettivo a favore di un soggetto può anche essere desunta, a contrario, dalla statuizione di una correlativa posizione giuridica (tipicamente un obbligo, ma non solo) in capo ad altri soggetti: posizione giuridica, quest’ultima, che costituirà per così dire l’altra faccia della medaglia del diritto soggettivo. La seconda precisazione è che il linguaggio dei diritti soggettivi non è di esclusiva pertinenza del fenomeno giuridico (cioè del diritto oggettivo) 6; vi è almeno un altro imponente ambito normativo all’interno del quale il linguaggio dei diritti figura in maniera preponderante, ed è l’ambito della morale 7. La lingua italiana peraltro non distingue chiaramente tra i diritti ricadenti nell’uno e nell’altro ambito (fatta eccezione per la formula ‘diritto soggettivo’, che possiede un sostrato tecnico-giuridico) 8: dal punto di vista degli usi linguistici, è del tutto appropriato affermare che si ha un diritto, sia quando tale diritto è fondato su norme giuridiche, sia quando è fondato su principi morali. Spesso, in effetti, nei discorsi sui diritti non è chiaro che tipo di diritto si stia realmente rivendicando: se un diritto giuridico, già riconosciuto dall’ordinamento, o un diritto morale, che si vorrebbe fosse riconosciuto dall’ordinamento. Questo è particolarmente evidente nella materia dei c.d. diritti umani, ossia i 3 Vedremo in seguito che, dato un diritto soggettivo, non sempre esiste una norma esplicita che lo attribuisce; v. infra, § 5, per una più precisa formulazione di questa idea. Sulla nozione di norma cfr. G. Pino, Norma giuridica (in questo volume). 4 In effetti il linguaggio giuridico (inteso sia come discorso delle fonti sia come discorso dei giuristi) registra al riguardo una notevole varietà e incostanza terminologica. Tra i termini più frequentemente associati all’area semantica di diritto soggettivo: libertà, facoltà, potestà, diritto potestativo, diritto di agire, prerogativa, licenza, permesso, autorizzazione, privilegio, garanzia, istituto. 5 Cfr. in proposito infra, § 3.1. 6 Cfr. sul punto M. Jori, Linguaggio giuridico (in questo volume). 7 Così anche in A. Schiavello, L’obbligo di obbedire al diritto, spec. § 3.2 (in questo volume). 8 In italiano, l’espressione ‘diritti giuridici’ suona cacofonico, se non ridondante, mentre l’espressione ‘diritti morali’ è da un punto di vista linguistico del tutto appropriata (in lingua inglese, di contro, è frequente distinguere legal rights e moral rights). Ciò sembra presupporre tacitamente un pregiudizio positivista-statalista tale che i veri diritti, senza bisogno di ulteriori qualificazioni, sono solo quelli che promanano dal diritto positivo (cfr. R. Guastini, ‘Diritti’, p. 165). 222 Parte II | Concetti giuridici diritti che si ritiene spettino a tutti gli esseri umani e per il solo fatto di appartenere al genere umano, anche in mancanza di un preciso riconoscimento da parte del diritto positivo 9. In questo capitolo, dopo aver brevemente tracciato l’evoluzione storica del concetto di diritto soggettivo, si indicherà cosa vi è di specifico nei diritti soggettivi riconosciuti dal diritto positivo (§ 2), si elaborerà una analisi teorica del concetto di diritto soggettivo, e in particolare a) della struttura (§§ 3-3.1.2), b) della giustificazione sostanziale (§ 4), e c) del fondamento normativo dei diritti soggettivi (ossia, dei tipi di norme giuridiche che possono fondare l’attribuzione di un diritto) (§ 5). Si diceva poco sopra che la nozione di diritto soggettivo è una nozione insospettabilmente complessa; insospettabilmente, perché l’esprimersi in termini di diritti è, con tutta evidenza, quanto di più ovvio ed immediato vi sia nel discorso dei giuristi e dei comuni cittadini. Parte della complessità della nozione di diritto soggettivo deriva dal fatto che è una nozione ambigua, su più livelli 10. Un primo livello di ambiguità consiste nel fatto che si usa ‘diritto’ per riferirsi sia a figure soggettive complesse, sia alle singole posizioni giuridiche che compongono tali figure complesse, sia infine alle ragioni sostanziali che giustificano tali figure complesse 11. Un secondo livello di ambiguità consiste nel fatto che si usa ‘diritto’ per riferirsi a tipi di diritti alquanto eterogenei nel contenuto, nella struttura, e nel tipo di beneficio che essi assicurano al loro titolare (come suggeriscono gli esempi di diritti indicati all’inizio del capitolo). Le pagine che seguono mostreranno che non è possibile liberarsi del tutto da questa ambiguità, a causa del radicamento della parola ‘diritto’ negli usi ordinari e tecnicogiuridici; ma anche che liberarsi di questa ambiguità non è nemmeno necessario, poiché si può convivere con essa una volta che le varie dimensioni del diritto soggettivo, e i rapporti tra esse, siano state debitamente elucidate. 9 Molti diritti umani sono oggi espressamente riconosciuti dagli ordinamenti giuridici, in particolare a livello costituzionale, oppure mediante l’adesione a qualche trattato, patto o convenzione internazionale di protezione dei diritti umani come ad esempio, la Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), ratificata dall’Italia nel 1955. Dal punto di vista degli usi linguistici, i diritti umani espressamente riconosciuti da un ordinamento giuridico vengono di solito denominati diritti ‘fondamentali’ (cfr. G. Palombella, Diritti, p. 218; G. Pino, Diritti e interpretazione, cap. I). Si noti che mentre i diritti ‘umani’ sono tali ovunque, a prescindere dal loro effettivo riconoscimento giuridico-positivo, un diritto può essere ‘fondamentale’ solo relativamente ad un dato ordinamento, in quanto quell’ordinamento lo riconosca e lo tuteli in un certo modo. 10 E parte di questa complessità deriva dal fatto che spesso i discorsi sui diritti sono marcatamente, ma spesso tacitamente, ideologici: sono in altre parole pesantemente condizionati da assunzioni sostanziali su quanti e quali diritti dovremmo avere. Ovviamente questi discorsi sono della massima importanza e del massimo interesse, ma devono essere tenuti separati da una analisi teorica e concettuale su cosa sono i diritti (in questo capitolo sarà quest’ultima la prospettiva adottata). Per un tentativo, consapevole e dichiarato, di fondere la prospettiva teorica e quella normativa nell’analisi dei diritti, cfr. L. Baccelli, «Ex parte populi». 11 Questa triplice ambiguità è efficacemente notata da M. Barberis, I conflitti tra diritti tra monismo e pluralismo etico, pp. 7-13. Diritti soggettivi 223 2. Diritti soggettivi e diritto positivo Ci occuperemo qui di diritti soggettivi riconosciuti dal diritto positivo, di diritti giuridici (d’ora in avanti questa precisazione sarà omessa): un diritto è riconosciuto dal diritto positivo se esiste almeno una norma giuridica che riconosce quel diritto. Una caratteristica costante dei diritti è quella di essere situazioni soggettive tutelate o garantite 12. Ciò significa che, una volta riconosciuto dal diritto positivo, un diritto soggettivo non consiste solo in una sfera in cui il titolare del diritto può svolgere liberamente certe azioni, o in una prestazione che il titolare del diritto soggettivo può esigere (secondo l’accezione pre-teorica di diritto soggettivo sopra menzionata), ma include anche una serie di strumenti approntati specificamente dal diritto positivo al fine di tutelare, e rendere concretamente possibile, l’esercizio del diritto soggettivo 13. Riprendendo con una certa libertà una distinzione proposta da Luigi Ferrajoli, nella struttura di un diritto soggettivo si possono individuare garanzie ‘primarie’ e garanzie ‘secondarie’ 14. Le garanzie primarie sono gli obblighi o i divieti correlativi al contenuto dei vari diritti soggettivi, o più in generale la realizzazione della condotta o dello stato di cose in cui consiste l’oggetto del diritto; le garanzie secondarie sono tutte quelle forme di tutela (tipicamente, ma non esclusivamente, realizzate in sede giurisdizionale) che intervengono se il diritto è violato – cioè se la garanzia primaria è disattesa. Ecco, la dimensione tipicamente giuridica dei diritti soggettivi (il trattamento dei diritti all’interno del diritto positivo) consiste nell’associare ai diritti varie forme di garanzie secondarie; consiste cioè nel rendere i diritti ‘giustiziabili’. E ovviamente, quando si rivendica il riconoscimento giuridico di un certo diritto morale, non si chiede solo o primariamente 15 la ‘positivizzazione’ di quel diritto (cioè la sua 12 R. Guastini, La sintassi del diritto, p. 98. Cfr. L. Ferrajoli, Principia iuris, vol. 1, p. 675: «Garantire un diritto vuol dire infatti risolvere due ordini di problemi: innanzitutto il problema di chi deve soddisfarlo o non violarlo, se tutti o alcuni, se lo Stato o altri soggetti, pubblici o privati; in secondo luogo, in caso di sua mancata soddisfazione o violazione, il problema di come questa deve essere riparata o sanzionata». 14 L. Ferrajoli, Principia iuris, vol. 1, pp. 196-198, 668-701. La distinzione tracciata da Ferrajoli è più ristretta rispetto a quella qui proposta: Ferrajoli infatti include nelle garanzie primarie i soli obblighi necessari alla soddisfazione del diritto (ma, come vedremo nel § 3.1, non è detto che la soddisfazione di un diritto richieda sempre l’adempimento di un obbligo), e nelle garanzie secondarie i soli strumenti giurisdizionali di tutela dei diritti quali tipicamente le sanzioni penali, e la responsabilità risarcitoria (mentre, a parere di chi scrive, questi strumenti potrebbero essere anche di natura diversa, ad es. di tipo amministrativo); infine, come vedremo, la tutela di un diritto può richiedere l’istituzione di posizioni soggettive che non sono riconducibili alla dicotomia garanzia primaria/garanzia secondaria così come tracciata da Ferrajoli: ad esempio, le c.d. ‘nullità di protezione’ (che, nel lessico teorico qui adottato, sono delle immunità: cfr. infra, § 3.1), o forme di tutela preventive volte ad impedire ex ante che una violazione di un diritto si verifichi. 15 Tranne che in casi di riconoscimento simbolico di un diritto. Le lotte per il riconoscimento simbolico, ‘sulla carta’, di determinati diritti sono frequenti e spesso assai accese. Ma anche il ri13 224 Parte II | Concetti giuridici proclamazione in un testo giuridico), ma si chiede soprattutto che quel diritto sia protetto tramite meccanismi istituzionali tipicamente giuridici – cioè le garanzie secondarie 16. Allo stesso tempo, il fatto che il diritto appronti tipicamente garanzie secondarie ai diritti non deve far cadere nell’errore di prospettiva di considerare tali garanzie come coessenziali all’esistenza stessa del diritto (anziché alla sua tutela giuridica): talvolta infatti si parla di diritti ‘di carta’ per riferirsi a quei diritti che, pur proclamati in qualche testo giuridico, sono privi di strumenti di garanzia (secondaria) 17. Ma questo è un errore di prospettiva: l’assenza totale o parziale di garanzie secondarie di un diritto non rende quel diritto inesistente (nel senso di: non riconosciuto dall’ordinamento giuridico), ma semmai lo rende non garantito o non efficace; e ciò potrà costituire una lacuna dell’ordinamento 18, eventualmente colmabile con le usuali tecniche giuridiche come il ricorso alla analogia o ai principi generali, o con sentenze ‘additive’ da parte della Corte costituzionale, ecc. 2.1. Il posto dei diritti soggettivi nel discorso giuridico Pur esistendo alcuni significativi precedenti già nel Medio Evo 19, nella storia della cultura giuridica la figura del diritto soggettivo emerge e acquista centralità principalmente nell’età moderna, in particolare nell’ambito del giusnaturalismo razionalistico e dell’illuminismo giuridico che si sono sviluppati, fino a confluire l’uno nell’altro, rispettivamente nei secoli XVII e XVIII 20. È nell’età moderna peraltro che il diritto soggettivo acquista una valenza spiccatamente individualistica, come diritto che spetta all’essere umano in sé, come individuo (e non, ad esempio, come appartenente ad un determinato ceto) – valenza individualistica che contraddistingue ancora oggi questo concetto. In particolare, la nozione di diritto soggettivo al suo apparire evocava due idee distinte, ma tra loro strettamente collegate: per un verso, appunto, l’idea che vi fossero degli attributi che spettavano agli individui per natura, per il solo fatto di essere nati e di appartenere al genere umano: tali attributi erano i diritti fondamentali inviolabili conoscimento simbolico di un diritto è spesso prodromico alla richiesta o all’attivazione di forme di tutela assai più concrete. 16 Cfr. anche V. Denti, La giustizia civile, pp. 111 ss., per la distinzione tra ‘tutela giuridica’ e ‘tutela giurisdizionale’ dei diritti. 17 R. Guastini, ‘Diritti’, p. 168; B. Friedman, When Rights Encounter Reality: Enforcing Federal Remedies, p. 735: «Without an available and enforceable remedy, a right may be nothing more than a nice idea». 18 Cfr. E. Diciotti, Ordinamento giuridico, § 4.3 (in questo volume). 19 Cfr. in proposito B. Tierney, L’idea dei diritti naturali. 20 Per alcuni cenni storici sulla formazione e l’evoluzione del concetto di diritto soggettivo, v. R. Orestano, Azione Diritti soggettivi Persone giuridiche, spec. pp. 132-189; L. Ferrajoli, Principia iuris, vol. 1, pp. 635-638. Cfr. anche D. Ippolito, Giusnaturalismo (in questo volume). Diritti soggettivi 225 degli individui 21; era dunque l’idea di una dimensione del diritto che ineriva ai soggetti, anziché imporsi ad essi (il diritto soggettivo come diritto che ricopre, come una membrana, i soggetti di diritto). Per altro verso, vi era l’idea che il soggetto di diritto, titolare dei diritti soggettivi, fosse in un certo senso la stessa fonte del diritto oggettivo, cioè che il diritto oggettivo fosse un insieme di regole derivate razionalmente dall’esigenza di tutelare i diritti soggettivi degli individui. Tutte queste idee, maturate inizialmente in un ambito puramente filosofico (quello appunto del giusnaturalismo razionalistico) e poi lentamente penetrate – non senza resistenze e contraddizioni – anche nel discorso dei giuristi (specialmente nell’ambito dell’Illuminismo giuridico), supponevano con tutta evidenza un rapporto di priorità logica e assiologica dei diritti soggettivi rispetto al diritto oggettivo: l’esistenza e la giustificazione di quest’ultimo (così come anche del potere politico nel suo complesso) venivano concepite essenzialmente in virtù della sua funzione di tutelare i diritti soggettivi, e di renderne possibile l’esercizio. Tuttavia, dopo questi inizi estremamente promettenti, le sorti della figura del diritto soggettivo (e ovviamente dei singoli diritti fondamentali individuati dalla cultura giuridica moderna) declinarono rapidamente. Ciò è da mettere in correlazione con la rapida emersione e il successivo consolidamento, nel pensiero giuridico e politico del XIX secolo nonché nelle effettive prassi delle organizzazioni giuspolitiche europee continentali, del paradigma statualistico e del paradigma imperativistico. In base al paradigma statualistico, coessenziale alla figura dello Stato di diritto legislativo 22, l’unica fonte del diritto è lo Stato (e non qualche essenza naturale degli individui), l’unico diritto è quello prodotto dallo Stato; dunque, se gli individui hanno diritti (soggettivi), li hanno unicamente in quanto riconosciuti dallo Stato. In base al paradigma imperativistico, il diritto oggettivo è un insieme di comandi o norme imperative – norme che impongono obblighi o divieti 23. La saldatura tra paradigma statualista e paradigma imperativistico, saldatura non necessaria da un punto di vista concettuale ma effettivamente realizzatasi nel contesto culturale e istituzionale dello Stato di diritto legislativo ottocentesco 24, ha determinato un modello culturale e istituzionale centrato sulla priorità logica dell’obbligo rispetto al diritto soggettivo, e sulla soggezione del cittadino davanti al precetto giuridico statale: se diritti vi sono, questi sono stabiliti dallo Stato, e in generale sono solo il riflesso degli obblighi imposti ai cittadini dallo Stato 25. 21 Cfr. B. Celano, Stato di diritto, § 1.3 (in questo volume). Cfr. B. Celano, Stato di diritto, § 2.3. 23 Cfr. J. Austin, Delimitazione del campo della giurisprudenza, pp. 97-98. Sull’imperativismo in generale cfr. P. Chiassoni, Positivismo giuridico, § 1 (in questo volume). 24 Cfr. in proposito N. Bobbio, Il positivismo giuridico, parte II. 25 Con specifico riguardo al posto dei diritti in questo contesto ideologico e istituzionale: M. Fioravanti, Appunti di storia delle costituzioni moderne, cap. III; M. La Torre, Disavventure del diritto soggettivo, capp. I e III; P. Costa, Diritti; e, in questo volume, B. Celano, Stato di diritto. Echi della svalutazione 22 226 Parte II | Concetti giuridici Vale la pena di sottolineare che in questo modello trova origine, verosimilmente, una idea destinata ad influenzare a lungo la mentalità dei giuristi (non solo continentali), e cioè l’idea della necessaria correlatività tra diritto e obbligo 26: dove c’è un diritto c’è anche un obbligo corrispondente, e viceversa; cosicché diritto ed obbligo appaiono come due facce della stessa medaglia, o come due modi diversi di guardare alla stessa relazione giuridica. Così come una stessa strada appare in discesa se vista dall’alto e appare in salita se vista dal basso; o così come si può dire indifferentemente che Tizio è alla destra di Caio o che Caio è alla sinistra di Tizio; allo stesso modo, secondo questa idea, una stessa relazione giuridica può essere esaminata, indifferentemente, in termini di diritto o in termini di obbligo. Ora, la tesi della perfetta correlatività tra diritto e obbligo è, di per sé, una tesi meramente concettuale, una pura definizione stipulativa, che in sé è assiologicamente neutrale (non dice nulla in merito al problema se uno dei due elementi della correlazione, il diritto o l’obbligo, sia più importante dell’altro – ed è compatibile, pertanto, sia con la tesi della priorità assiologica del diritto sia con la tesi della priorità assiologica dell’obbligo) 27. Ma, una volta che la tesi della correlatività sia inserita in un orizzonte culturale di tipo fondamentalmente imperativista, o anche solo implicitamente imperativista (vale a dire in un orizzonte culturale che comunque pone in primo piano l’aspetto coercitivo del diritto, e dunque la sua funzione di obbligare e vietare), ecco che l’esito è scontato: viene prima (sia assiologicamente, sia strutturalmente) il dovere, e poi segue, per implicazione logica, il diritto. In altre parole, in questo quadro il diritto esiste solo come conseguenza dell’obbligo, come suo riflesso. Possiamo ritrovare un esempio di questa linea di argomentazione in Norberto Bobbio, un teorico del diritto che è stato a lungo debitore, pur se in maniera critica e imperativistica del ruolo del diritto soggettivo sono rintracciabili ancora, in pieno ’900, nel pensiero di H. Kelsen e di N. Bobbio (cfr. n. seguente). 26 Cfr. ad es. H. Kelsen, Teoria generale del diritto e dello Stato, pp. 75-90; N. Bobbio, Norma, p. 199 («diritto e obbligo sono concetti conversi nel senso che l’uno non può essere definito indipendentemente dall’altro, come padre e figlio, e pertanto possono essere convertiti l’uno nell’altro»); Id., L’età dei diritti, pp. xviii, 81. Sul problema della correlatività tra diritto e obbligo v. infra, §§ 3.1 e 3.1.1, e spec. n. 47 e testo corrispondente. Si noti comunque che secondo Kelsen oltre al concetto di diritto come correlativo di obbligo vi è un altro modo, e più appropriato, di parlare di diritto soggettivo: il diritto soggettivo ‘in senso tecnico’; si ha un diritto in questo senso quando il cittadino ha la possibilità di partecipare, tramite una propria istanza, al procedimento giudiziario che sfocia nell’applicazione della sanzione; esercitare un diritto, in questo senso, significa dunque poter richiedere agli organi giurisdizionali che sia applicata una sanzione (partecipando in tal modo al procedimento di formazione della norma individuale sanzionatoria); cfr. H. Kelsen, Teoria generale del diritto e dello Stato, p. 81 e, in proposito, C.S. Nino, Introduzione all’analisi del diritto, pp. 182-183; B. Celano, La teoria del diritto di Hans Kelsen, pp. 220-234. 27 L’accezione puramente definitoria, e assiologicamente neutrale, della tesi della correlatività si trova, ad esempio, in W. Hohfeld, Some Fundamental Legal Conceptions as Applied in Judicial Reasoning (infra, § 3.1), e più recentemente in M. Kramer, Rights Without Trimmings, pp. 24-27, 30. V. in proposito B. Celano, I diritti nella jurisprudence anglosassone, pp. 12 ss. Diritti soggettivi 227 autonoma, di una impostazione culturale di tipo imperativistico – cosa che peraltro non gli ha impedito, in una fase più avanzata del suo percorso intellettuale, di elaborare alcuni contributi assai acuti ed influenti in materia di diritti soggettivi, e in particolare di diritti fondamentali 28. Ebbene, subito dopo aver ribadito la tesi della perfetta correlatività tra diritto e obbligo a livello definitorio 29, Bobbio sente il bisogno di aggiungere 1) che la funzione primaria del diritto (oggettivo) è comunque quella prescrittiva, e 2) che un diritto (soggettivo) non esiste se non è stabilito anche l’obbligo corrispondente 30. Ebbene, la prima di queste affermazioni, pur essendo concettualmente compatibile con la tesi della correlatività, depone per la priorità assiologica dell’obbligo sul diritto; la seconda affermazione, invece, sconfessa frontalmente la tesi della correlatività 31 (se si accetta la tesi della correlatività tra diritto e obbligo, infatti, si deve affermare che vi è un diritto, indifferentemente, o in presenza di una norma attributiva di un diritto o di una norma impositiva di un obbligo: l’una e l’altra norma sono, a ben vedere, una stessa norma ma diversamente formulata 32). Lette congiuntamente, le due precisazioni di Bobbio finiscono dunque per sconfessare la tesi della correlatività tra diritto e obbligo, e dare invece priorità logica ed assiologica all’obbligo sul diritto. Peraltro, nella storia della cultura giuridica europea, il processo di svalutazione del diritto soggettivo insito nel paradigma statualista-imperativista è andato anche oltre. Infatti, nelle versioni più esasperate di questo modello, fatte proprie dai totalitarismi europei della prima metà del XX secolo (in particolare dal fascismo e dal nazismo), il diritto soggettivo scompare del tutto, diventa una figura da combattere sul piano ideologico e da espungere dal lessico giuridico, così come scompare l’individuo rispetto al potere appunto totalitario del popolo, e dello Stato (o del Duce, o del Führer) in cui esso si incarna 33. A partire dalla metà del XX secolo, anche in reazione agli eccessi e agli abomini compiuti dai regimi totalitari, il linguaggio dei diritti, e la figura teorica del diritto soggettivo, hanno progressivamente riacquistato centralità – e in fin dei conti una vera e propria priorità – nel discorso giuridico (oltre che in quello politico e morale) 34. Questa nuova centralità dei diritti, e in particolare dei diritti fondamentali, è stata accompagnata e resa possibile da diversi fattori, che qui non possono essere esaminati tutti in dettaglio. Dal punto di vista della filosofia e della teoria del diritto, ci possiamo comunque limitare ad indicare i seguenti, principali fattori: 28 Il riferimento è ovviamente a N. Bobbio, L’età dei diritti. Sulla versione del positivismo giuridico difesa da Bobbio, v. P. Chiassoni, Il positivismo giuridico, § 3 (in questo volume). 29 Cfr. N. Bobbio, Norma, p. 199. 30 Ibidem: «l’attribuzione di un diritto ha effetto solo se esiste l’obbligo correlativo». 31 Una tesi analoga sembra sostenuta anche da L. Ferrajoli: infra, n. 46. 32 Cosa che infatti riconosce lo stesso Bobbio (cfr. Norma, p. 199). 33 Cfr. in proposito R. Orestano, Azione Diritti soggettivi Persone giuridiche, pp. 157-159; M. La Torre, La ‘lotta contro il diritto soggettivo’, spec. cap. IV. 34 Cfr. M. Barberis, Il giusnaturalismo, § 1. 228 Parte II | Concetti giuridici – il superamento del modello istituzionale dello Stato di diritto legislativo, gradualmente sostituito dal modello dello Stato costituzionale di diritto, che pone al vertice delle fonti la costituzione scritta, rigida e garantita: un documento normativo che positivizza molti diritti fondamentali della tradizione giusnaturalista, e che comunque è fraseggiato, in maniera preponderante anche se non esclusiva, in termini di diritti (e non solo di obblighi e divieti) 35; – il prendere corpo di una cultura giuridica che ha tra i suoi tratti costitutivi la volontà di riportare il discorso dei diritti in primo piano: mi riferisco in particolare ad alcune versioni del giusnaturalismo contemporaneo, e al neocostituzionalismo 36; – il superamento, in teoria del diritto, del paradigma imperativista, sostituito da approcci diversi (in particolare, da modelli normativisti 37) che hanno le risorse teoriche per configurare tipi di norme ulteriori rispetto a quelle che impongono esclusivamente obblighi e divieti, e dunque anche norme attributive di diritti (norme permissive, norme che attribuiscono poteri, ecc.) 38. È significativo dunque che, secondo una delle definizioni più felici, il nuovo clima culturale e istituzionale progressivamente maturato nel corso della seconda metà del XX secolo rappresenti «l’età dei diritti» 39: nel discorso del diritto, come nel discorso della morale e in quello della politica, la seconda metà del XX secolo ha visto la progressiva sostituzione della priorità dei diritti alla priorità dei doveri 40. 35 Cfr. B. Celano Stato di diritto, e L. Ferrajoli, Passato e futuro dello stato di diritto (entrambi in questo volume). 36 Sul giusnaturalismo contemporaneo cfr. M. Barberis, Il giusnaturalismo; sul neocostituzionalismo cfr. G. Bongiovanni, Neocostituzionalismo (entrambi in questo volume). Significativo in tal senso il titolo stesso di due tra i libri più influenti di quest’ultimo orientamento culturale: I diritti presi sul serio (di R. Dworkin), e Teoria dei diritti fondamentali (di R. Alexy). 37 Cfr. P. Chiassoni, Positivismo giuridico (in questo volume). 38 Cfr. G. Pino, Norma giuridica, § 3.2 (in questo volume). 39 Questo è il titolo del noto e già menzionato libro di N. Bobbio, L’età dei diritti. L’espressione di Bobbio è molto felice da un punto di vista descrittivo. Ma ciò non vuol dire né che, nella prassi, i diritti umani siano felicemente e pienamente tutelati in tutto il mondo; né che, nel dibattito filosofico, ci sia un coro unanime di apprezzamento per la centralità dei diritti nel discorso giuridico e politico. In particolare, la critica alla centralità dei diritti ha assunto due forme principali (ma ve ne sono anche altre). Per un verso, è stata criticata la ‘giuridicizzazione’ dei diritti fondamentali, la codificazione dei diritti fondamentali in documenti giuridici (le costituzioni scritte) passibili di applicazione giurisdizionale (da parte di corti costituzionali, e anche di giudici comuni), mentre – secondo questi critici – sarebbe meglio lasciare la gestione dei diritti al libero gioco della politica democratica. (Per questa critica v. ad es. J. Waldron, Law and Disagreement.) Per altro verso, vi è la denuncia dell’inflazione e dell’uso retorico dei diritti, che genererebbero aporie, confusioni, e in fin dei conti la banalizzazione stessa dei diritti (qualsiasi pretesa, per quanto insulsa, potrebbe aspirare a diventare un diritto fondamentale); il rimedio a questa deriva sarebbe allora il ‘minimalismo dei diritti’, una drastica riduzione del catalogo dei diritti umani: cfr. M. Ignatieff, Una ragionevole apologia dei diritti umani, spec. pp. 57, 59-60; per una discussione critica del minimalismo dei diritti si veda T. Mazzarese, Minimalismo dei diritti: pragmatismo antiretorico o liberalismo individualista? 40 Anche questa è una felice formula di N. Bobbio, Il primato dei diritti sui doveri; v. anche S. Diritti soggettivi 229 3. La struttura dei diritti soggettivi Un diritto soggettivo può essere definito come una relazione triadica, una relazione che coinvolge tre entità: un soggetto (il titolare del diritto soggettivo), un altro soggetto (su cui ricade la posizione giuridica correlativa al diritto soggettivo), e la descrizione di un atto o di uno stato di cose (il contenuto del diritto soggettivo) 41. In altre parole, un diritto soggettivo – qualunque diritto soggettivo – può essere descritto come un rapporto che A (titolare del diritto) intrattiene con B (su cui ricade la posizione giuridica corrispondente al diritto soggettivo), e il cui contenuto è C (una condotta, uno stato di cose, ecc.). Questi aspetti del diritto soggettivo saranno esaminati partitamente nel seguito di questo paragrafo. Analizzeremo innanzitutto l’aspetto della relazione tra il titolare del diritto e il titolare della situazione giuridica corrispondente (§§ 3.1-3.1.2), poi l’aspetto del contenuto dei diritti soggettivi (§ 3.2). 3.1. Posizioni giuridiche soggettive: lo schema di Hohfeld Per l’analisi della relazione tra titolare del diritto e titolare della posizione giuridica corrispondente è tuttora fondamentale la griglia concettuale elaborata, nelle prime decadi del XX secolo, dal giurista americano Wesley Newcomb Hohfeld 42. Secondo Hohfeld, i discorsi formulati in termini di diritti sono affetti da profonda ambiguità e talvolta da vera e propria confusione concettuale. Per rimediare a questi difetti, Hohfeld propone di scomporre il concetto di diritto soggettivo in alcune, distinte posizioni giuridiche elementari, esattamente definite: pretesa (claim), libertà (liberty, privilege), potere (power), immunità (immunity). Quando si parla di diritto Rodotà, Repertorio di fine secolo, pp. 26-34: «nel cuore dei sistemi politici si insedia così, fino a diventare quasi il connotato di una nuova ‘ideologia’, il tema dei diritti dell’uomo, dei diritti fondamentali» (p. 33). 41 Cfr. D. Lyons, The Correlativity of Rights and Duties, pp. 47-48; J. Finnis, Natural Law and Natural Rights, p. 199; R. Alexy, Teoria dei diritti fondamentali, pp. 213 ss. 42 W.N. Hohfeld, Some Fundamental Legal Conceptions as Applied in Judicial Reasoning; Id., Fundamental Legal Conceptions as Applied in Judicial Reasoning. I due articoli di Hohfeld sono poi stati raccolti, con alcune modifiche, in un volume che ha lo stesso titolo del secondo, Fundamental Legal Conceptions as Applied in Judicial Reasoning, e di cui esiste la traduzione italiana Concetti giuridici fondamentali. Sull’analisi hohfeldiana dei diritti soggettivi si possono utilmente consultare A. Ross, Diritto e giustizia, pp. 151-159; J. Finnis, Some Professorial Fallacies about Rights (ma solo relativamente a pretesa e libertà, e concetti correlativi); Id., Natural Law and Natural Rights, pp. 199-202; J. Feinberg, Social Philosophy, pp. 55-59; J. Waldron, Introduction, pp. 5-8; R. Alexy, Teoria dei diritti fondamentali, pp. 230-239; G. Azzoni, Interpretazioni di Hohfeld; M. Kramer, Rights Without Trimmings, spec. pp. 7-60, 101-111; B. Celano, I diritti nella jurisprudence anglosassone contemporanea, spec. pp. 7-19; W. Edmundson, An Introduction to Rights, cap. 5; G. Sartor, Fundamental Legal Concepts; G. Pino, Diritti e interpretazione, cap. 4; R. Guastini, La sintassi del diritto, pp. 92-98. 230 Parte II | Concetti giuridici soggettivo, secondo Hohfeld, ci possiamo trovare in presenza di una di queste posizioni elementari, o di una loro combinazione più o meno complessa 43. A dire il vero, nella letteratura teorico-giuridica che utilizza lo schema hohfeldiano è frequente che ciascuna delle posizioni hohfeldiane venga indistintamente definita come diritto soggettivo (di modo che un diritto soggettivo potrebbe essere, di volta in volta, o una pretesa, o una libertà, o un potere, o una immunità – o anche una loro combinazione, ovviamente) 44. Come avrò modo di chiarire, però, questa tesi non è corretta: infatti, se è vero che ogni discorso in termini di diritti soggettivi coinvolge almeno una posizione hohfeldiana, non è vero anche l’inverso: non sempre una posizione hohfeldiana costituisce di per sé un diritto soggettivo. Dopo aver individuato le singole posizioni soggettive elementari, Hohfeld individua per ciascuna di esse sia la corrispondente negazione, sia la posizione correlativa. La negazione di una posizione hohfeldiana è un’altra posizione hohfeldiana, il cui contenuto è il contraddittorio, in senso logico, della prima 45. La posizione correlativa è invece un’altra posizione hohfeldiana, che è logicamente implicata da ciascuna posizione hohfeldiana di partenza: la ‘controparte’, per così dire, che si accompagna per definizione a quella posizione. Le posizioni correlative sono il dovere, il non-diritto, la soggezione, l’incompetenza (o non-potere). Il rapporto tra ciascuna posizione hohfeldiana e la sua posizione correlativa è puramente definitorio: se c’è una pretesa allora c’è necessariamente anche un dovere, se c’è un potere allora c’è necessariamente anche una soggezione, e così via. E viceversa, in mancanza di un dovere necessariamente non c’è una pretesa, ecc. Si noti bene: trattandosi di un rapporto logico-definitorio, non è necessario che vi siano due distinte norme, una per istituire una certa posizione hohfeldiana (ad es., una pretesa), e un’altra per istituire la posizione correlativa (ad es., il dovere): in realtà è una stessa norma che stabilendo una posizione hohfeldiana, per necessità lo- 43 Per la precisione, Hohfeld sostiene che solo i diritti-pretese possano essere legittimamente chiamati ‘diritti’, mentre le altre posizioni soggettive si potrebbero chiamare diritti solo in un senso ampio e generico: cfr. W.N. Hohfeld, Some Fundamental Legal Conceptions as Applied in Judicial Reasoning, pp. 30, 36. 44 Cfr., a mero titolo di esempio, M. Barberis, Manuale di filosofia del diritto, pp. 93-96; R. Guastini, La sintassi del diritto, pp. 89-98. 45 In logica modale, un enunciato modalizzato è contraddittorio rispetto ad un altro se ne nega la modalità. Così, nel caso di enunciati deontici (enunciati che sono modalizzati secondo le modalità deontiche dell’obbligo, del divieto o del permesso), un enunciato si trasforma nel suo contraddittorio negando la relativa modalità deontica: obbligatorio/non-obbligatorio, vietato/nonvietato, permesso/non-permesso (in simboli, rispettivamente: Op/~Op; Vp/~Vp; Pp/~Pp, dove ‘p’ è un enunciato che designa una qualunque condotta o stato di cose). Pertanto il contraddittorio di ‘vietato fumare’ (Vp) è ‘non vietato fumare’ (~Vp, che a sua volta è equivalente a ‘permesso fumare’, Pp). Di contro, negando l’enunciato si ottiene ‘vietato non fumare’ (V~p), che è il contrario dell’enunciato di partenza ‘vietato fumare’, ed è a sua volta equivalente a ‘obbligatorio fumare’ (Op). Diritti soggettivi 231 gica istituisce anche il suo correlativo 46. Se si accettano le definizioni hohfeldiane, non è possibile logicamente che vi sia una certa posizione hohfeldiana e non anche il suo correlativo (per riprendere un esempio fatto poco sopra, sarebbe come dire che Tizio è a sinistra di Caio, ma Caio non è a destra di Tizio; o come cercare di applaudire con una mano sola). Così, la pretesa, o diritto in senso stretto, consiste nel fatto che qualcuno è tenuto ad un comportamento attivo, oppure ad un comportamento omissivo, nei confronti del titolare della pretesa stessa. Ciò che definisce una pretesa è dunque la presenza di un obbligo di compiere (oppure, a seconda dei casi, di non compiere) l’azione che costituisce il contenuto della pretesa. La pretesa ha perciò come correlativo il dovere, e come negazione un ‘non-diritto’ (ossia l’assenza del diritto o pretesa a qualcosa). Se Tizio ha una pretesa a che Caio faccia qualcosa, allora Caio ha il dovere (verso Tizio) di fare quella cosa. Se Tizio ha una pretesa a che Caio non faccia qualcosa, allora Caio ha un dovere (verso Tizio) di non fare quella cosa. Dunque, rispetto al diritto inteso come pretesa la tesi della correlatività tra diritto e obbligo si applica in maniera inoppugnabile; come vedremo subito, peraltro, la tesi della correlatività si applica solo rispetto ai diritti-pretese, non anche rispetto alle altre posizioni hohfeldiane – il che indebolisce (anche se non falsifica del tutto) la tesi della correlatività tra diritto e obbligo 47. Una pretesa non ha ad oggetto necessariamente solo condotte materiali: potrebbe avere ad oggetto il compimento (o la omissione) di atti giuridici, vale a dire che una pretesa può avere ad oggetto l’esercizio di un potere (la nozione di potere sarà chiarita tra breve). Es. (1): Tizio e Caio sono parti di un rapporto obbligatorio, in cui Tizio è creditore verso Caio di 100, e Caio evidentemente è debitore verso Tizio di 100. Tizio ha un diritto-pretesa di ricevere 100 da Caio, mentre Caio ha il dovere di consegnare 100 a Tizio. Es. (2): Tizio è proprietario di un fondo. Tizio ha il diritto-pretesa che terzi non entrino nel fondo senza il suo consenso; costoro hanno verso Tizio il dovere di astenersi dall’entrare nel fondo senza il suo permesso. 46 Una posizione differente sembra essere sostenuta da L. Ferrajoli (Diritti fondamentali; Id., Principia iuris, vol. 1, pp. 196-197, 668-695, spec. p. 673; Id., Passato e futuro dello stato di diritto, § 3, in questo volume) che, come abbiamo visto (supra, n. 14), qualifica come ‘garanzia primaria’ di un diritto la prestazione richiesta per soddisfare il contenuto del diritto stesso (e da esso logicamente implicata); Ferrajoli afferma che, se la garanzia primaria non è imposta da alcuna norma, si determina una lacuna – e non invece l’assenza del diritto, come si dovrebbe pur concludere se tra diritto e garanzia primaria si dà un rapporto di implicazione logica (si ricordi in proposito anche la posizione di Bobbio sulla correlatività tra diritto e obbligo: supra, n. 30 e testo corrispondente); per una critica su questo punto, R. Guastini, Tre problemi di definizione. 47 La tesi della correlatività è stata oggetto di critiche più generali, come tesi riduzionistica inadatta a rendere conto della complessità dei diritti soggettivi (cfr. ad es. D. Lyons, The Correlativity of Rights and Duties; N. MacCormick, Rights in Legislation; J. Feinberg, The Nature and Value of Rights). Tali critiche sono fondate, ma solo nella misura in cui un diritto soggettivo non includa una pretesa. 232 Parte II | Concetti giuridici Es. (3): in un ordinamento in cui vige il principio di non liquet, le parti di un processo hanno il diritto-pretesa che il giudice pronunci sentenza. La libertà è la possibilità da parte del suo titolare di fare qualcosa, oppure (disgiuntamente) la possibilità di non fare qualcosa. La libertà ha come correlativo un non-diritto, e come negazione un dovere. Più precisamente, la libertà ha come correlativo un non-diritto a che non venga fatta l’azione che è oggetto della libertà, e come contraddittorio il dovere di non fare quell’azione 48. Se Tizio ha la libertà di fare X, allora (correlativo) Caio non ha il diritto di esigere che Tizio non faccia X, né (contraddittorio) Tizio ha il dovere di non fare X. Se Tizio ha la libertà di non fare X, allora (correlativo) Caio non ha il diritto di esigere che Tizio faccia X, né (contraddittorio) Tizio ha il dovere di fare X. Analogamente a quanto abbiamo visto per la pretesa, anche la libertà non ha ad oggetto necessariamente solo condotte materiali: una libertà potrebbe avere ad oggetto il compimento (o la omissione) di atti giuridici, vale a dire che una libertà può avere ad oggetto l’esercizio di un potere (nuovamente, la nozione di potere sarà chiarita tra breve). La differenza è che, nel caso della pretesa, il potere rilevante dovrà essere (obbligatoriamente) esercitato non dal titolare del diritto, ma dal soggetto su cui ricade la posizione correlativa alla pretesa; invece, nel caso della libertà il potere potrà essere (lecitamente, oppure facoltativamente 49) esercitato dal titolare del diritto. Es. (4): Tizio è proprietario di un fondo. Di conseguenza egli ha, normalmente, la libertà di entrare nel proprio fondo. Così, la libertà di Tizio di entrare nel proprio fondo ha come correlativo la mancanza di un diritto, ad es. da parte di Caio, che Tizio non entri nel fondo, e come contraddittorio un dovere da parte di Tizio di non entrare nel fondo. Es. (5): Tizio ha la libertà di manifestare il proprio pensiero, ad esempio tenendo un discorso salendo sopra un palchetto improvvisato. Ciò implica, per correlatività, che nessuno ha il diritto che egli si astenga a manifestare il proprio pensiero. Es. (6): in uno Stato laico, la libertà di religione include anche la libertà di ateismo. Di conseguenza, i cittadini di quello Stato hanno la libertà di non professare alcuna religione e, per correlatività, lo Stato non ha il diritto-pretesa che i cittadini professino una certa (o alcuna) religione. 48 Questo punto, pur chiaramente espresso da W. Hohfeld, Some Fundamental Legal Conceptions as Applied in Judicial Reasoning, pp. 32-33, è stato spesso oggetto di confusione nella letteratura sui diritti che utilizza l’impostazione hohfeldiana, in cui la libertà viene considerata equivalente all’assenza di un dovere (anziché all’assenza di un ‘dovere di non’). Se ne veda una discussione chiarificatrice in G. Williams, The Concept of Legal Liberty, pp. 1135 ss. (che però, stranamente, accusa Hohfeld di omettere questa precisazione); J. Finnis, Some Professorial Fallacies about Rights; M. Kramer, Rights Without Trimmings, p. 13. 49 La differenza tra un potere esercitato (solo) lecitamente, e un potere esercitato (anche) facoltativamente dipende dalla circostanza se la libertà in questione sia unilaterale oppure bilaterale: su ciò v. infra, § 3.1.1. Diritti soggettivi 233 Il potere è la possibilità, da parte del suo titolare, di modificare una posizione giuridica altrui, o anche la propria – è dunque una posizione giuridica ‘di secondo grado’ o un meta-diritto, perché ha ad oggetto l’istituzione, il cambiamento o l’estinzione di altre posizioni giuridiche. Il potere ha come correlativo la soggezione, e come negazione l’incapacità. Tizio ha un potere nei confronti di Caio se può alterare la situazione giuridica di Caio (estinguere un suo dovere, ad esempio, oppure crearne uno), e in tal caso Caio si trova in una situazione di soggezione nei confronti di Tizio. Un potere può incidere su qualunque tipo di posizione soggettiva: dunque un potere può creare, modificare o estinguere pretese, o doveri, o libertà; ma può anche incidere (creandoli, modificandoli o estinguendoli) su altri poteri, o su immunità. Es. (7): Tizio, datore di lavoro, a certe condizioni ha il potere di licenziare i suoi dipendenti: così facendo, egli avrà modificato la posizione giuridica dei dipendenti licenziati, e anche la propria (sia il datore di lavoro sia gli ex dipendenti non saranno più parti di un rapporto di lavoro). Es. (8): Tizio ha il potere di stipulare un contratto, in tal modo assumendo la titolarità di una serie di posizioni giuridiche soggettive collegate all’esecuzione del contratto. Es. (9): Tizio ha il potere di citare in giudizio Caio per chiedere l’adempimento di una certa prestazione; in tal modo, Tizio cambierà la posizione giuridica propria, quella di Caio (essi diverranno parti di un giudizio, con conseguente assunzione, per entrambi, di svariate ulteriori posizioni giuridiche), e anche quella del giudice adito (che avrà l’obbligo di svolgere tutta una serie di atti giuridici connessi allo svolgimento della funzione giurisdizionale, e di pronunciare sentenza). L’immunità consiste nella impossibilità, da parte di terzi, di incidere su (istituire, modificare, estinguere) una posizione soggettiva del titolare dell’immunità stessa. L’immunità può anche essere diretta verso il titolare del diritto: in questo caso qualcuno non può modificare una posizione giuridica di cui è egli stesso titolare. L’immunità ha come correlativo il ‘non-potere’ o incompetenza, e come negazione la soggezione. Se Tizio ha un’immunità, allora Caio non ha il potere di modificare la situazione giuridica di Tizio. Anche l’immunità è una posizione giuridica di secondo grado, perché riguarda (l’impossibilità di incidere su) diritti, libertà, doveri. Es. (10): un contratto non può validamente avere ad oggetto il trasferimento della proprietà di un essere umano; tutti gli esseri umani, dunque hanno una immunità rispetto all’essere ceduti in schiavitù. Es. (11): Tizio si è visto riconoscere un certo diritto da una sentenza passata in giudicato; poiché il legislatore non può modificare gli effetti di una sentenza passata in giudicato, Tizio ha una immunità nei confronti del legislatore rispetto al diritto riconosciuto in sede giudiziale. 3.1.1. Rapporti tra posizioni hohfeldiane. – Dunque, considerando le quattro posizioni di partenza e le loro posizioni correlative, abbiamo un totale di otto posizioni soggettive di base: pretesa, libertà, potere, immunità, dovere, non-diritto, soggezione, incompetenza. Solo le prime quattro, però, sono riconducibili all’area semantica 234 Parte II | Concetti giuridici della parola ‘diritto soggettivo’: le altre quattro sono invece ciò che un diritto implica come posizione correlativa. Tra le otto posizioni soggettive di base non si danno rapporti di implicazione logica, vale a dire rapporti logicamente necessari, diversi da quelli già individuati in via di definizione. Così, ad esempio: a) la pretesa di Tizio di ottenere X, che implica il dovere di Caio di eseguire X, non implica logicamente alcuna libertà di Tizio (si ricordi che nelle pretese l’unico comportamento rilevante è quello di colui su cui ricade l’obbligo corrispondente); né implica il potere di Tizio di agire in giudizio per l’esecuzione di X; né, infine, implica il potere di Tizio di esentare Caio dall’esecuzione di X. Così, Tizio può avere la pretesa che Caio non entri in un certo fondo, ma questo, di per sé, non implica che Tizio abbia anche la libertà di entrare in quel fondo, né il potere di Tizio di imporre a Caio il non ingresso nel fondo, né il potere di esonerare Caio dall’obbligo di non entrare nel fondo 50. Quella libertà e quei poteri potrebbero anche essere attribuiti a soggetti diversi da Tizio, oppure potrebbero anche non esistere – senza che ciò faccia venir meno l’esistenza della pretesa. Infine, si può avere una pretesa di non interferenza anche nei confronti di una azione che non si ha affatto la libertà di compiere: così, Tizio ha la pretesa che non gli venga impedito in maniera violenta di calpestare l’erba, anche nell’ipotesi in cui calpestare l’erba sia vietato (si ricordi che un divieto equivale alla una assenza di una libertà); su questa congiunzione tra assenza di una libertà e pretesa di non interferenza nello svolgimento dell’attività che non si ha la libertà di compiere si basano ad esempio il divieto di autotutela privata, in diritto privato, e l’eccesso di legittima difesa, in diritto penale. b) Analogamente, una libertà implica un correlativo non-diritto altrui, ma in sé considerata non implica anche una pretesa nei confronti dei terzi; in particolare, non implica logicamente una pretesa che terzi si astengano dall’interferire con l’esercizio della libertà, né tanto meno che terzi cooperino all’esercizio della libertà. (Tra libertà e pretesa di non interferenza nel comportamento oggetto della libertà ci sono, come vedremo, altri tipi di relazioni, ma non relazioni logiche o definitorie.) Un esempio può chiarire meglio questo punto. Tizio può avere la libertà di fumare; ciò equivale a dire che Caio non ha il diritto che Tizio non fumi (se Tizio fuma, non lede alcun diritto di Caio); ma allo stesso tempo Caio può avere la libertà di interferire in vario modo con la libertà di Tizio di fumare: ad esempio ha la libertà di fargli un lungo e noioso discorso sui danni che derivano dal fumare. La libertà di Tizio dunque non implica logicamente che Caio abbia un obbligo di non interferire in simili modi (e dunque non implica, da un punto di vista strettamente logico, una pretesa di non interferenza). c) Una libertà di fare non implica logicamente anche una libertà di non fare (una li50 Di diverso avviso J. Feinberg, Social Philosophy, p. 58, secondo cui la pretesa includerebbe necessariamente anche una libertà (si noti però che, per argomentare a favore di questa tesi, Feinberg utilizza come esempio di claim-right una posizione soggettiva che è, in realtà, una libertà). Diritti soggettivi 235 bertà hohfeldiana è ‘unilaterale’, non ‘bilaterale’ 51: una libertà bilaterale consiste nel permesso di fare p, e contemporaneamente nel permesso di non fare p). Dire che un comportamento è oggetto di una libertà unilaterale significa dunque che compiere quel comportamento è lecito (non è oggetto di un divieto), ma non significa anche che omettere quel comportamento sia lecito. Se il comportamento è oggetto di una libertà bilaterale (se il titolare può sia compierlo sia ometterlo) diremo che il comportamento è facoltativo. Pertanto, una libertà hohfeldiana è logicamente compatibile con un dovere, in capo al titolare della libertà, che ha il medesimo contenuto della libertà stessa: la libertà di Tizio di entrare nel fondo è logicamente compatibile con l’obbligo di Tizio di entrarvi (l’incompatibilità sorgerebbe solo se la libertà fosse bilaterale) – mentre, ovviamente, è incompatibile con l’obbligo di Tizio di non entrarvi 52. d) Un potere non è logicamente associato ad una libertà (tantomeno ad una libertà bilaterale). In altre parole, se Tizio ha il potere di incidere sulla situazione giuridica di Caio, ciò di per sé non significa che Tizio abbia anche la libertà di farlo (ossia, è logicamente possibile che abbia un dovere di non farlo). Questo è esattamente ciò che accade, ad esempio, nel caso della responsabilità civile (contrattuale o extracontrattuale): l’inadempimento o l’atto doloso o colposo di Tizio nei confronti di Caio, che sono atti compiuti in violazione di un dovere, alterano la situazione giuridica sia di Caio che di Tizio, in quanto fanno nascere nel primo un diritto al risarcimento del danno, e nel secondo un dovere correlativo. Quindi, un potere è logicamente compatibile con un dovere di non esercitarlo, cioè di non compiere gli atti che determinano la modifica di determinate posizioni giuridiche. Un potere è altresì logicamente compatibile con un dovere di esercitare il potere stesso 53 (d’altronde, come abbiamo visto sopra, § 3.1, il potere può essere l’oggetto di una pretesa, vale a dire che in tal caso il suo esercizio è dovuto). Dunque, l’esercizio di un potere può non essere affatto rimesso alla libera valutazione del suo titolare – come nel caso del poliziotto che eleva una contravvenzione in occasione di un qualche tipo di illecito, o nel caso dell’obbligatorietà dell’esercizio dell’azione penale secondo la Costituzione italiana. 3.1.2. Posizioni soggettive atomiche e molecolari. – Quanto appena detto ci porta ad un secondo ordine di osservazioni: mentre le singole posizioni hohfeldiane sono logicamente indipendenti tra loro (al di là degli specifici rapporti di contraddittorietà e correlatività già evidenziati), di fatto è assai probabile che ciò che comunemente identifichiamo come un diritto soggettivo (ad es., il diritto di proprietà, il diritto di voto, la li51 Che le libertà hohfeldiane siano unilaterali è chiaramente colto da G. Williams, The Concept of Legal Liberty, pp. 1139-1142; e H.L.A. Hart, Legal Rights, pp. 167, 173-174 (il quale comunque ritiene che, di fatto, la maggior parte delle libertà si presentino come libertà bilaterali). 52 Quelle considerate ai punti b) e c) sono forse le più evidenti divaricazioni dello schema hohfeldiano rispetto all’uso comune: nell’uso comune, infatti, la ‘libertà’ è solitamente intesa come libertà bilaterale, e la ‘libertà’ e la ‘pretesa’ sono solitamente pensate come inscindibilmente connesse. 53 Cfr. U. Scarpelli, Norma, p. 575. 236 Parte II | Concetti giuridici bertà di circolazione, ecc.) consista di un insieme composito di molteplici posizioni hohfeldiane. In altre parole, mentre le singole posizioni soggettive hohfeldiane sono posizioni soggettive ‘atomiche’ (o micro-diritti), quelli che nel linguaggio giuridico sono ordinariamente identificati come diritti soggettivi consistono in realtà di aggregati ‘molecolari’ di tali posizioni (o macro-diritti) 54. Dunque, ‘diritto soggettivo’ può essere riferito sia ad una singola posizione hohfeldiana (diritto atomico, micro-diritto), sia ad un insieme più o meno complesso di tali posizioni (diritto molecolare, macro-diritto). (Lo scopo della costruzione di Hohfeld consiste esattamente nel portare alla luce simili ambiguità). Così, possiamo parlare sia dei singoli, specifici ‘diritti’ che spettano al proprietario in virtù della sua titolarità del diritto di proprietà (il diritto di disporre del bene, di goderne in maniera esclusiva, di piantare alberi, di recintare il fondo, di percepire i frutti, ecc.), sia del diritto di proprietà complessivamente considerato (artt. 41 Cost., 833 cod. civ.). Analogamente, la libertà di manifestazione del pensiero, come solitamente interpretata, comprende quantomeno la libertà (hohfeldiana) di manifestare il proprio pensiero, la libertà di non manifestare il proprio pensiero, la pretesa che terzi non interferiscano con l’esercizio di tale libertà, e l’immunità contro determinati atti (giuridici) volti a sopprimere tale libertà. In altre parole, è molto raro che, di fatto, un diritto soggettivo si presenti come singola posizione hohfeldiana. Questo vale per ciascuna posizione hohfeldiana, ma emerge con particolare chiarezza nel caso specifico delle libertà, che Hohfeld concepisce, come abbiamo visto, come libertà unilaterali: avere una libertà unilaterale, in assenza quantomeno di una pretesa di non interferenza nei confronti dell’esercizio della condotta oggetto della libertà, è forse immaginabile, ma assai poco interessante dal punto di vista del titolare del diritto: è poco sensato che un diritto soggettivo si presenti solo così 55. Questo, comunque, non rende oziosa l’analisi hohfeldiana dei diritti, ossia la scomposizione degli aggregati molecolari di diritti in posizioni atomiche hohfeldiane, perché ogni singola posizione hohfeldiana ha come correlativo una diversa specifica posizione hohfeldiana, e pertanto questa opera di dissezione può essere utile per stabilire cosa effettivamente implichi (quali specifiche pretese, libertà, poteri, immunità, doveri, ecc.) un certo diritto inteso come aggregato molecolare, e ad esempio può portare alla luce la mancanza di qualche posizione hohfeldiana – che invece in ipotesi sarebbe opportuno includere – nella disciplina giuridica positiva di un certo diritto. 54 In tal senso, v. già W. Hohfeld, Some Fundamental Legal Conceptions as Applied in Judicial Reasoning, pp. 297, 298; cfr. inoltre J. Finnis, Natural Law and Natural Rights, p. 201; J. Waldron, Introduction, pp. 10-11; G. Postema, In Defense of ‘French Nonsense’, spec. pp. 109-114; J.J. Thomson, The Realm of Rights, pp. 55 ss. (secondo cui alcuni diritti sono cluster-rights, agglomerati di posizioni hohfeldiane); M. Barberis, I conflitti fra diritti tra monismo e pluralismo etico; Id., Etica per giuristi, cap. I (distinzione tra micro-diritti e macro-diritti); C. Wellman, Rights; L. Ferrajoli, Principia iuris, vol. 1, p. 643; vol. 2, pp. 67, 398 (secondo cui i diritti sono situazioni molecolari complesse). 55 H.L.A. Hart, Legal Rights, p. 173. Diritti soggettivi 237 In questo senso, che potremmo definire statico, la complessità di un diritto dipende dalla quantità di posizioni hohfeldiane atomiche connesse tra loro all’interno dell’aggregato molecolare e, si può aggiungere, anche dalle modalità previste dalle norme rilevanti per l’acquisto e l’estinzione del diritto stesso (che, in senso hohfeldiano, sono poteri: del titolare del diritto, o di terzi): quanto più aumentano tutti questi elementi, tanto più il diritto sarà, in questo senso, generico; il carattere generico di un diritto comunque non è necessariamente da disprezzare, perché il concetto di diritto soggettivo sarà comunque un utile strumento di presentazione, unificazione e sistematizzazione del materiale giuridico rilevante 56. Che i diritti soggettivi, intesi come aggregati molecolari, siano entità complesse e generiche deriva da due ordini di fattori, non mutuamente esclusivi. In primo luogo, se un diritto soggettivo è attribuito al fine di garantire la soddisfazione o protezione di un interesse del titolare (su questo punto infra, § 4), allora è possibile che la soddisfazione o protezione di tale interesse richieda molteplici attività concomitanti, in capo al titolare del diritto o in capo a terzi (una libertà di, una libertà di non, una pretesa, ecc.). In secondo luogo spesso, nella struttura di un macro-diritto, alcune posizioni hohfeldiane hanno una funzione strumentale e protettiva nei confronti di altre posizioni hohfeldiane: in tal modo, un fascio di posizioni hohfeldiane agisce da scudo o ‘perimetro protettivo’ nei confronti di altre posizioni hohfeldiane, le quali rappresentano il nucleo (core) del diritto in questione 57. Lo scudo o perimetro protettivo può includere ogni tipo di posizione giuridica intesa ad agevolare il godimento della posizione ‘protetta’, anche nelle maniere più indirette (ad esempio in via di prevenzione di possibili condotte impeditive): può trattarsi dunque di doveri di astensione in capo a terzi (e pertanto di pretese del titolare all’astensione altrui), di immunità (anche nei confronti dello stesso titolare del diritto: diritti indisponibili o inalienabili), di poteri di instaurare azioni giudiziarie, ecc. Così, se pensiamo ad un banalissimo diritto di credito (ad es., il diritto di ricevere una certa prestazione o una somma di denaro), il nucleo sarà la pretesa di percepire la prestazione (cui corrisponde il dovere altrui di eseguirla), ma tale pretesa sarà poi assistita da un fascio di ulteriori posizioni hohfeldiane quali: il potere del creditore di citare il debitore in giudizio, oppure di rimettergli il debito con un atto formale che estingua l’obbligo del debitore; la libertà di non esigere la prestazione; l’immunità rispetto alla possibilità che il debitore si liberi dal suo debito in modi diversi rispetto 56 Questa è la nota conclusione cui perviene A. Ross, Tû-Tû; in senso analogo anche H. Kelsen, La dottrina pura del diritto, p. 150; N. MacCormick, Rights in Legislation, p. 207. 57 L’idea del ‘perimetro protettivo’ risale quantomeno a H.L.A. Hart, Legal Rights, pp. 171173 (ma spunti in tal senso già in G. Williams, The Concept of Legal Liberty, pp. 1144, 1150); cfr. anche R. Alexy, Teoria dei diritti fondamentali, pp. 255-257; M. Kramer, Rights Without Trimmings, pp. 11-12; C. Wellman, The Proliferation of Rights, pp. 8-9 (distinzione tra il core e gli associated elements di ciascun diritto); per una discussione critica, si veda A. Spena, The Strange Case of the Protective Perimeter. 9. 238 Parte II | Concetti giuridici alla esatta esecuzione della prestazione 58; il potere di ottenere un risarcimento (contrattuale) dal debitore inadempiente; la pretesa che terzi non interferiscano illecitamente con la corretta esecuzione della prestazione da parte del debitore ed eventualmente il potere di ottenere un risarcimento (extracontrattuale) da parte di terzi che abbiano interferito con la corretta esecuzione della prestazione; e così via 59. Dunque, che i diritti si presentino come aggregati molecolari è non solo una possibilità assai ricorrente sul piano empirico, ma anche una tecnica di normazione alquanto ragionevole: mentre dal punto di vista logico le varie componenti atomiche delle posizioni molecolari sono perfettamente separabili, la loro congiunzione deriva da ragioni contingenti, anche se talvolta tanto stringenti da rasentare l’ovvietà, di opportunità sostanziale (ad esempio in virtù di considerazioni di tipo economico, politico, o morale). 3.2. Il contenuto dei diritti Abbiamo definito la struttura di un diritto soggettivo in base ad una certa relazione tra due soggetti, relazione che ha un certo contenuto (una azione, una omissione, la realizzazione di uno stato di cose) che costituisce l’oggetto del diritto. Si possono distinguere vari tipi di diritti non solo in base al diverso tipo di relazione (come abbiamo fatto fino ad ora, utilizzando lo schema hohfeldiano), ma anche con riferimento al possibile contenuto del diritto. In tal modo, possiamo distinguere tra diritti attivi e passivi; e tra diritti negativi e positivi 60. a) I diritti attivi sono i diritti che hanno come oggetto una condotta o una attività del titolare del diritto: si tratta dunque delle libertà, se la condotta rilevante è un comportamento, o dei poteri, se la condotta rilevante consiste nella produzione di atti giuridici; abbiamo già visto, inoltre, che la condotta oggetto di una libertà può essere a sua volta produttiva di effetti giuridici (cioè la libertà può avere ad oggetto l’esercizio di un potere). Il contenuto di un diritto attivo si individua dunque in base alla condotta che il titolare del diritto può compiere o omettere (se si tratta di una libertà), o in base alle posizioni giuridiche che il titolare del diritto può modificare (se si tratta di un potere). b) I diritti passivi sono invece i diritti che hanno come contenuto una condotta di 58 Ciò vuol dire, banalmente, che il debitore non ha il potere di liberarsi dal vincolo contrattuale in modi diversi dall’adempimento – ad esempio, pronunciando solennemente la frase «non intendo pagare». 59 Una panoplia di simili misure protettive è analizzata (ma con un lessico diverso da quello hohfeldiano) in G. Calabresi, D. Melamed, Property Rules, Liability Rules, and Inalienability: One View of the Cathedral; si veda anche A. Di Majo, Forme e tecniche di tutela. 60 D. Lyons, The Correlativity of Rights and Duties; J. Feinberg, Social Philosophy, pp. 59-60; N. MacCormick, Institutions of Law, pp. 123-130; L. Ferrajoli, Principia iuris, vol. 1, pp. 644-646, 649-651. Diritti soggettivi 239 un soggetto diverso dal titolare: si tratta dunque delle pretese e delle immunità. Se Tizio ha un diritto passivo, ciò non dice nulla su cosa Tizio può o non può fare: per conoscere il contenuto del diritto dobbiamo guardare invece al soggetto su cui ricade l’obbligo o l’incompetenza corrispondente. Dunque, un diritto passivo ha ad oggetto la condotta di un soggetto diverso dal titolare del diritto: nel caso della pretesa si tratterà di un comportamento, che l’esistenza della pretesa rende obbligatoria oppure vietata; nel caso delle immunità si tratterà di una condotta produttiva di effetti giuridici, effetti che l’esistenza dell’immunità vale a paralizzare, a porre nel nulla. I diritti passivi, e specialmente le pretese, possono poi distinguersi in diritti positivi e negativi. b1) I diritti positivi sono diritti (pretese) ad una azione positiva altrui 61; b2) I diritti negativi sono diritti (pretese) ad una omissione o astensione altrui 62. Essendo i diritti positivi e i diritti negativi due tipi di pretese, essi possono essere definiti anche dal punto di vista del corrispondente dovere altrui: ai diritti positivi corrispondono dunque doveri positivi, mentre ai diritti negativi corrispondono doveri negativi. In prima battuta, ciascun micro-diritto è dunque o attivo o passivo, e ciascun micro-diritto passivo è positivo o negativo. Tuttavia, se intesi come aggregati molecolari o macro-diritti, molti diritti non sono interamente e puramente attivi, passivi, positivi o negativi: la maggior parte dei diritti (intesi come aggregati molecolari) esibiscono al contempo aspetti attivi, passivi, positivi o negativi 63. Così, un tipico (macro-)diritto passivo e positivo, come il diritto di credito, includerà anche aspetti attivi (come la libertà del creditore di rimettere il debito, e il potere di citare in giudizio il debitore inadempiente), e aspetti negativi (come la pretesa che terzi non interferiscano dolosamente con l’adempimento della prestazione). E parimenti un tipico (macro-)diritto attivo come la libertà di manifestazione del pensiero includerà aspetti passivi negativi (come la pretesa di non subire censure). Quest’ultima precisazione è opportuna anche per chiarire un equivoco ricorrente nei discorsi sui diritti: e cioè l’idea che alcuni diritti non siano ‘costosi’, che la loro soddisfazione non richieda l’istituzione di costosi apparati statali, da mantenere in vita tramite il prelievo fiscale. Così, si dice talvolta mentre i c.d. diritti di libertà (ad es., le libertà civili e politiche come la libertà di religione, la libertà di costituire associazioni con fini politici, ecc.) richiederebbero solo una astensione, un obbligo di non interferenza da parte dello Stato, di contro i diritti sociali (come il diritto all’istruzione, il diritto alla salute, ecc.) non potrebbero essere soddisfatti se non tramite l’istituzione di pesanti e costosi apparati pubblici (il sistema sanitario nazionale, l’apparato della pubblica istruzione, ecc.). Ebbene, l’analisi qui svolta mostra che la netta distin61 Cfr. supra, § 3.1, gli esempi (1) e (3). Cfr. supra, § 3.1, l’esempio (2). 63 J. Waldron, Rights in Conflict, p. 214: «one and the same right may generate both negative and positive duties […] it is impossible to say definitively of a given right that it is purely negative (or purely positive) in character»; L. Ferrajoli, Principia iuris, vol. 1, pp. 325, 327. 62 240 Parte II | Concetti giuridici zione tra diritti che costano e diritti che non costano è superficiale: tutti i diritti costano, non foss’altro perché per tutti i diritti giuridici è sempre – quantomeno potenzialmente – aperta la strada della richiesta di tutela giurisdizionale, cioè la possibilità per il titolare del diritto di attivare un apparato di garanzia (secondaria 64) approntato dallo Stato. Si pensi, per fare l’esempio più eclatante, a quello che è solitamente concepito come il diritto ‘negativo’ per eccellenza, cioè il diritto di proprietà: nonostante si immagini a volte che il godimento del diritto di proprietà sia rimesso alla sola iniziativa del titolare, e che dunque il diritto di proprietà sia il meno costoso dei diritti soggettivi, ad uno sguardo meno superficiale ci si accorge che la tutela e il godimento della proprietà richiedono, oltre ai tribunali, l’esistenza di forze di polizia, di opere di urbanizzazione, di strade, ecc.: tutte cose che di solito richiedono corposi, e costosi, interventi ‘positivi’ da parte dello Stato 65. 4. La giustificazione dei diritti soggettivi Dunque un diritto è una posizione hohfeldiana (un micro-diritto), o più spesso un aggregato più o meno complicato di posizioni hohfeldiane (un macro-diritto). Ciò che ci dobbiamo chiedere adesso è che cosa unifichi un possibile aggregato di posizioni hohfeldiane: a quali condizioni siamo in grado di affermare che svariate posizioni hohfeldiane costituiscono ‘un’ diritto, anziché diversi e distinti diritti? Inoltre, mentre i discorsi in termini di diritti solitamente includono il riferimento a una o più posizioni hohfeldiane, non è vero il contrario: non è detto che una posizione hohfeldiana faccia sempre parte di un diritto. Se le cose stanno così, allora cosa fa sì che una posizione hohfeldiana (o un aggregato di tali posizioni) conti come diritto soggettivo? La risposta ad entrambi gli interrogativi sta nella ragione per l’attribuzione di un diritto, o meglio nella giustificazione sostanziale di un diritto. Più posizioni hohfeldiane confluiscono in un diritto soggettivo se sono unificate da una medesima giustificazione, e le posizioni hohfeldiane che costituiscono diritti soggettivi si distinguono dalle posizioni hohfeldiane che non costituiscono diritti soggettivi a seconda che la presenza di tali posizioni sia assistita o meno da un certo tipo di giustificazione. Da questo punto di vista, nel dibattito teorico-giuridico contemporaneo si contendono il campo due principali famiglie di teorie: la teoria del diritto soggettivo come potere di scelta, o potere della volontà, o ‘choice theory’, e la teoria del diritto soggettivo come interesse protetto, o ‘interest theory’. Si tratta di teorie che nella storia recente del pensiero giuridico hanno avuto numerose varianti e articolazioni in64 Supra, n. 14 e testo corrispondente. Si vedano in proposito S. Holmes, C. Sunstein, Il costo dei diritti; R. Bin, Diritti e fraintendimenti. 65 Diritti soggettivi 241 terne, nonché vari tentativi di mediazione e di ibridazione 66. Ridotte alle loro tesi essenziali, possono essere contrapposte nel modo seguente. Secondo la choice theory, la giustificazione per l’attribuzione di un diritto sta nell’assicurare al titolare di un diritto un ambito di scelta protetta: la possibilità, riconosciuta e garantita dal diritto oggettivo, di assumere una serie di decisioni in maniera autonoma, decisioni quali quella di esercitare o meno il diritto soggettivo, di agire o meno per la sua tutela, ecc. 67. Secondo la interest theory, la giustificazione per l’attribuzione di un diritto consiste nell’assicurare una forma di protezione e di garanzia ad un interesse del titolare; un interesse è, a sua volta, un aspetto del benessere di una persona – qualcosa che per lui ha valore. Nonostante il dibattito tra le due teorie sia ancora aperto, in questa sede si assumerà come preferibile la interest theory, principalmente in ragione della sua più ampia capacità di rendere conto di alcune intuizioni pre-teoriche sui diritti che la choice theory non è invece in grado di spiegare: notoriamente, i principali limiti della choice theory sono l’impossibilità di rendere conto in maniera chiara di diritti attribuiti a soggetti che non sono in grado di esprimere una volontà (diritti dei bambini, degli incapaci, ecc.), e la possibilità che ci siano diritti ai quali il titolare non può rinunciare (i c.d. diritti indisponibili) 68. In casi simili, però, usare il linguaggio dei diritti sembra perfettamente adeguato: non sembra affatto una forzatura dire che un bambino o un incapace hanno diritti (ad esempio ad essere curati e assistiti) 69, o che esistono diritti ai quali non si può rinunciare (ad esempio il diritto alla libertà personale, talché nessuno può volontariamente cedersi in schiavitù) e questo può essere spiegato solo riconoscendo che il senso dell’attribuzione di un diritto consiste nella protezione di un interesse, o di un aspetto del benessere del titolare (o anche di terzi). Inoltre, la interest theory è anche più completa e comprensiva rispetto alla choice theory; infatti, mentre secondo la choice theory la giustificazione di un diritto consiste, invariabilmente, nella protezione della libertà di scelta individuale (cioè, di un unico 66 Per alcune eccellenti introduzioni critiche al dibattito tra choice theory e interest theory, J. Waldron, Introduction, pp. 9-12; M. Kramer, Rights Without Trimmings, pp. 61-101; Id., On the Nature of Legal Rights, spec. pp. 495-508; J.E. Penner, The Analysis of Rights; B. Celano, I diritti nella jurisprudence anglosassone, pp. 20-41; M. Kramer, H. Steiner, Theories of Rights: Is There a Third Way? Si noti che vi sono alcune differenze tra le varianti anglosassoni di queste teorie (oggetto degli scritti appena citati), e quelle elaborate dai giuristi continentali, specialmente tedeschi, francesi e italiani; queste ultime sono analizzate con grande finezza da R. Orestano, Azione Diritti soggettivi Persone giuridiche, pp. 17-29, 130-170. 67 L’esponente contemporaneo più rappresentativo di questa corrente è H.L.A. Hart, Legal Rights (un diritto è «a legally respected choice», p. 189). Si vedano anche N. Simmonds, Rights at the Cutting Edge; H. Steiner, Working Rights. 68 D’altronde, lo stesso Hart riconosce che la choice theory non può essere considerata una teoria generale dei diritti, perché non riesce ad includere alcune situazioni in cui è perfettamente sensato parlare di diritti: cfr. H.L.A. Hart, Legal Rights, pp. 188-193. 69 I diritti dei bambini sono il noto controesempio alla choice theory avanzato da N. MacCormick, Children’s Rights: A Test-Case for Theories of Rights. 242 Parte II | Concetti giuridici tipo di interesse), la interest theory include tra le possibili giustificazioni dei diritti gli interessi più vari, alcuni dei quali possono anche consistere nella tutela dell’autonomia e libertà di scelta del titolare del diritto: il che permette alla interest theory di inglobare il nucleo di buon senso della choice theory senza dover necessariamente soffrire delle limitazioni che affliggono quest’ultima. Dunque l’attribuzione di un diritto è giustificata dalla protezione di un interesse: l’attribuzione di un diritto è il modo in cui viene assicurata protezione ad un certo interesse. Dire che esiste un diritto equivale a dire che un certo interesse è considerato sufficientemente importante per giustificare l’attribuzione a qualcuno di una serie di posizioni hohfeldiane (pretese, libertà, immunità, poteri) – e per imporre a qualcun altro le posizioni hohfeldiane correlative (doveri, non-diritti, soggezioni, nonpoteri) – idonee a promuovere, tutelare, garantire, soddisfare, rendere efficace, ecc. quell’interesse. Dunque, non ogni interesse è idoneo a generare diritti, ma solo quegli interessi considerati, nel contesto di riferimento, sufficientemente importanti da poter giustificare l’imposizione di obblighi, ecc. necessari a soddisfarlo. Gli interessi che assurgono al rango di diritti soggettivi sono interessi ‘filtrati’ e soppesati in base a considerazioni sostanziali. Il rapporto tra l’interesse sostanziale e il diritto soggettivo non è lineare; può essere invero un rapporto alquanto complicato, come mostrano le seguenti considerazioni: a) dato un certo diritto (ad esempio, un diritto formulato in una legge), può non essere chiaro quale interesse lo giustifichi: uno stesso diritto potrebbe essere, a prima vista, funzionale alla protezione di più interessi 70. Ovviamente, l’individuazione dell’interesse che si ritiene giustifichi un certo diritto ha rilevanti conseguenze per l’interpretazione della disciplina di dettaglio del diritto stesso. b) Pur avendo individuato l’interesse che giustifica un diritto, nel contesto culturale di riferimento può non esserci accordo su quale sia l’esatta delimitazione di quell’interesse (l’interesse che giustifica il diritto alla libera manifestazione del proprio pensiero include anche la possibilità di insultare?). Può inoltre essere controversa la valutazione dell’importanza di quell’interesse, rispetto a certi altri interessi concorrenti: può essere controverso, in altre parole, se un certo interesse è sufficientemente importante da fondare diritti, o se i diritti derivanti da un certo interesse possano prevalere su altri diritti. c) In generale, che un interesse sia una ragione sufficiente in alcuni casi per attribuire pretese ecc., o per imporre doveri ecc., non significa che lo sia in tutti i casi: la soddisfazione di un interesse può infatti entrare in conflitto con la soddisfazione di altri interessi, con la conseguenza che occorrerà stabilire quale interesse, tra quelli rilevanti, debba avere priorità. Dunque, l’individuazione dei diritti, del loro contenu70 Ad esempio: la libertà religiosa è giustificata dall’interesse (individuale) all’autonomia e libertà di coscienza, o da quello (collettivo) alla pace sociale? La libertà di manifestazione del pensiero e la libertà religiosa sono giustificate da due interessi del tutto distinti? Sono forse due specificazioni di un unico interesse più fondamentale, all’autonomia personale? Diritti soggettivi 243 to e l’estensione del loro perimetro protettivo richiede argomentazioni sostanziali, valutazioni di importanza comparativa, bilanciamenti, ecc. d) Non esiste un solo modo in cui un interesse può essere attuato, protetto, realizzato ecc.: si possono immaginare diverse combinazioni molecolari di posizioni hohfeldiane idonee alla realizzazione di un interesse sostanziale, anche in relazione al variare delle circostanze concrete in cui si intende proteggere l’interesse rilevante. Più precisamente se, come abbiamo visto, un macro-diritto è composto da un nucleo (le posizioni hohfeldiane più direttamente funzionali alla realizzazione dell’interesse), e da un perimetro protettivo (l’insieme delle misure agevolative, rimediali ecc.), allora a seconda delle circostanze rilevanti può cambiare sia il perimetro protettivo, sia il nucleo stesso del diritto. e) Una volta introdotta una disciplina giuridica dettagliata per tutelare un certo interesse (un insieme più o meno codificato, e dunque relativamente stabile, di posizioni hohfeldiane), tale disciplina può rivelarsi variamente inadeguata rispetto alla protezione dell’interesse sottostante: può essere sotto-inclusiva (perché non tutela alcune forme di manifestazione di quell’interesse), o sovra-inclusiva (perché include istanze di tutela che, a ben vedere, non sono richieste dall’interesse sottostante). Nel primo caso (sotto-inclusività) la disciplina giuridica risulterà lacunosa, nel secondo caso (sovra-inclusività) la disciplina giuridica sarà in parte inutile – quantomeno rispetto alla realizzazione dell’interesse sottostante. Sotto-inclusività e sovra-inclusività sono difetti del tutto normali: essendo il diritto (oggettivo) formulato in maniera preponderante nella forma delle regole generali e astratte, emanate da una autorità normativa in anticipo rispetto ai casi che essa intende regolare, è pressoché inevitabile che l’autorità normativa non riesca a prevedere tutte le ipotesi in cui l’interesse sostanziale, che giustifica l’attribuzione di un diritto soggettivo, è effettivamente rilevante 71. Talvolta a questi due difetti della disciplina positiva di un diritto soggettivo si potrà ovviare in sede interpretativa: al primo difetto tramite il ricorso all’analogia, cioè estendendo la disciplina positiva del diritto soggettivo ai casi non previsti, al fine della più completa tutela dell’interesse sottostante 72; al secondo difetto rendendo talune norme defettibili, cioè disapplicandole nella misura in cui esse non siano realmente funzionali alla tutela dell’interesse sottostante 73. Ma, ovviamente, non è detto che tali rimedi interpretativi siano sempre praticabili: talvolta, la disciplina giuridica resta semplicemente insoddisfacente, sub-ottimale rispetto all’interesse sottostante. 71 V. in proposito F. Schauer, Le regole del gioco, pp. 66-70, 166-169, e, con particolare riferimento ai diritti soggettivi, Id., A Comment on the Structure of Rights. 72 Sui presupposti e i limiti del ricorso all’analogia, Cfr. E. Diciotti, Ordinamento giuridico, §§ 4.1, 4.2; V. Velluzzi, Argomenti interpretativi, § 6.2 (entrambi in questo volume). 73 Questo è ciò che accade, ad esempio, con la costruzione dogmatica dell’‘abuso del diritto’; cfr. in proposito G. Pino, L’esercizio del diritto soggettivo e i suoi limiti. Sul concetto di defettibilità, cfr. G. Pino, Norma giuridica, § 3.1 (in questo volume). 244 Parte II | Concetti giuridici 4.1. Diritti, interessi e posizioni hohfeldiane Proviamo ora ad associare il profilo dell’interesse che giustifica un diritto a quello delle posizioni hohfeldiane in cui si articola il diritto stesso. Il nucleo del diritto è di solito la posizione hohfeldiana che rappresenta il modo più diretto e immediato di realizzare, in circostanze normali, l’interesse sostanziale sotteso al diritto. Si noti che nulla vieta che il nucleo sia in realtà la congiunzione di più posizioni atomiche hohfeldiane: ad esempio, la congiunzione di una libertà di fare e di una libertà di non fare; o di una libertà di fare, di non fare e di un potere (come nel caso del diritto di voto in un ordinamento democratico 74, o della libertà contrattuale). Attorno al nucleo si disporrà solitamente una serie di ulteriori posizioni hohfeldiane che non sono necessarie alla definizione del contenuto del diritto, ma piuttosto alla sua ‘praticabilità’: ne rappresentano il ‘perimetro protettivo’, finalizzato ad assicurare l’effettivo esercizio, e protezione, del diritto, nonché ad assicurarne il coordinamento con altri diritti 75; tipicamente, tra le posizioni hohfeldiane che compongono il perimetro protettivo vi sono quelle che attivano la ‘garanzia secondaria’ di un diritto (il potere di agire in giudizio a tutela del diritto stesso). Il perimetro protettivo può includere qualunque posizione hohfeldiana (pretese, libertà, poteri, immunità). Inoltre, non è detto che tali posizioni hohfeldiane siano tutte attribuite al titolare del diritto: ad esempio, il perimetro protettivo potrebbe includere ad esempio poteri e pretese attribuite a terzi nell’interesse del titolare del diritto (come nel caso di pretese e poteri attribuiti ai genitori nell’interesse dei figli; o nel caso del potere attribuito all’ufficiale di stato civile di celebrare matrimoni che, si può ipotizzare, è finalizzato al soddisfacimento dell’interesse di chi intende sposarsi). Il rapporto tra il nucleo e gli altri elementi di un diritto è dunque di tipo giustificativo. L’interesse sostanziale, a sua volta, è ciò che giustifica e unifica un insieme molecolare di posizioni hohfeldiane (un macro-diritto), e che pertanto non rende inappropriato l’utilizzo del termine ‘diritto’ anche in questi casi. Concludendo su questo punto, sono opportune due ultime precisazioni sul rapporto tra interessi e linguaggio dei diritti. La prima precisazione è che talvolta si usa il termine ‘diritto’ per riferirsi non ad una posizione hohfeldiana (micro-diritto), né ad un aggregato di posizioni hohfeldiane (macro-diritto), ma all’interesse sottostante che giustifica l’attribuzione di una o più posizioni hohfeldiane 76. Questo può accadere o in contesti extragiuridici, per affermare alcuni diritti puramente morali in forma di vaghe aspirazioni o di generiche rivendicazioni (il diritto ‘alla felicità’), o anche in contesti giuridici a proposito di 74 Per una analisi del diritto di voto alla luce delle categorie hohfeldiane, v. ad es. J. Waldron, Votes as Powers. 75 L’idea del ‘perimetro protettivo’ è già stata introdotta supra, § 3.1.2 (in particolare n. 57 e testo corrispondente). Per la nozione di ‘garanzia secondaria’ v. supra, n. 14. 76 In questo senso, mi pare, M. Barberis, I conflitti tra diritti tra monismo e pluralismo etico, parla di ‘diritti-ragioni’, cioè diritti che sono ragioni per attribuire altri diritti. Diritti soggettivi 245 diritti formulati in maniera talmente vaga e generica da rendere quasi impossibile enucleare in maniera sensata specifiche posizioni hohfeldiane: si pensi, ad esempio al diritto al lavoro come riconosciuto dalla Costituzione italiana 77. La seconda precisazione è che l’interesse sottostante è ciò che attribuisce il valore di diritto soggettivo alle singole posizioni hohfeldiane (come si ricorderà, ho anticipato che non sempre una posizione hohfeldiana vale come diritto soggettivo): una posizione hohfeldiana conta come diritto soggettivo solo se ed in quanto finalizzata alla tutela di un interesse. Ciò emerge con maggiore chiarezza nei seguenti contesti: a) nonostante vi sia una correlatività logica tra obbligo e pretesa, non è detto che ogni obbligo sia giustificato (o sia primariamente giustificato) dalla soddisfazione di un interesse del titolare della pretesa corrispondente; si pensi al caso dell’obbligo, imposto dai genitori al figlio, di fare i compiti a casa: palesemente si tratta di un obbligo finalizzato a tutelare primariamente un interesse del figlio (quello ad istruirsi), ma non sembra corretto affermare che in tal modo i genitori hanno, nei confronti del figlio, un diritto a che egli faccia i compiti. b) In molti contesti, è inappropriato affermare che l’esercizio di un potere integri un diritto soggettivo; infatti, come abbiamo visto a suo luogo, l’esercizio di un potere è logicamente compatibile con l’obbligo di esercitarlo: si pensi al potere del giudice di pronunciare sentenza, o al potere di un ufficiale del traffico di elevare una contravvenzione 78. Non solo: come abbiamo visto un potere è anche compatibile, logicamente, con un divieto di esercitarlo; abbiamo già menzionato il caso della responsabilità civile (supra, § 3.1.1): l’inadempimento o l’atto doloso o colposo di Tizio nei confronti di Caio fanno nascere per Caio un diritto al risarcimento del danno, e per Tizio un dovere correlativo; in questo esempio, il soggetto che ‘esercita’ un potere è Tizio, ma è inappropriato dire che Tizio ha esercitato un diritto: questo potere, infatti, non tutela un suo interesse ma piuttosto un interesse di Caio. Dunque, un potere può essere in vari modi collegato o strumentale ad un diritto soggettivo, ma conta come diritto soggettivo solo se è esercitato dal titolare del diritto a tutela di un proprio interesse. c) Può accadere che una immunità non tuteli un interesse del soggetto su cui essa ricade, ma piuttosto un interesse, e dunque un diritto, di un altro soggetto. Può accadere anche che una immunità non sia finalizzata a tutelare un interesse, ma anzi ad inibirlo, a ignorarlo, a tacitarlo, a privarlo di visibilità sociale e riconoscimento pubblico. Si pensi al caso di un ordinamento giuridico che non riconosca il diritto al matrimonio per le coppie omosessuali, oppure il diritto a divorziare. In questo ordina77 Art. 4 Cost.: «La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto». 78 Nonostante in questi casi il linguaggio dei diritti sia inappropriato (perché il soggetto di cui si tratta non è titolare di un interesse nel senso rilevante), può anche darsi il caso che il giudice in effetti abbia certi diritti in senso proprio, collegati al ruolo che egli svolge: ad esempio, la pretesa di non subire interferenze illecite (minacce, tentativi di corruzione, ecc.) è funzionale alla tutela dell’interesse del giudice a svolgere serenamente il proprio lavoro, nonché all’interesse delle parti ad un giudizio equo. 246 Parte II | Concetti giuridici mento, le coppie omosessuali hanno una immunità relativamente alla possibilità di contrarre matrimonio, con correlativa mancanza del potere, in capo ai funzionari pubblici di celebrare il matrimonio; e le coppie sposate hanno una immunità rispetto allo scioglimento del matrimonio, con correlativa mancanza del potere, in capo ai funzionari pubblici (ad esempio, i giudici), di sciogliere il vincolo del matrimonio. Verosimilmente, il legislatore di questo immaginario ordinamento non ravvede un interesse rilevante a sposarsi per le coppie omosessuali, o un interesse rilevante a divorziare per le coppie sposate, e ovviamente la sussistenza di un interesse è, come abbiamo detto, cosa potenzialmente controversa. Ma sta di fatto che non si potrebbe dire in maniera sensata che tale immunità configuri un ‘diritto’ di non sposarsi per le coppie omosessuali, o un ‘diritto’ di non divorziare per le coppie sposate. 5. Norme attributive di diritti soggettivi I diritti soggettivi sono posizioni soggettive attribuite da norme giuridiche per soddisfare o proteggere un certo interesse del titolare del diritto stesso. È possibile dunque considerare i diritti in base al tipo di norme che li attribuiscono. Potremmo parlare genericamente di norme ‘attributive’ 79, però tenendo sempre presente che si tratta necessariamente di una categoria alquanto eterogenea al proprio interno: essendo i diritti soggettivi delle entità complesse e composite, come ormai dovrebbe essere chiaro, allora anche le norme attributive di diritti soggettivi avranno una struttura variabile a seconda del tipo di diritto che esse di volta in volta istituiscono. Ovviamente, affinché una norma sia considerata attributiva di un diritto, essa deve essere interpretata come finalizzata alla protezione di un certo interesse 80, anche se nella sua formulazione testuale non figurano parole come ‘diritto’, ‘libertà’ e simili. L’individuazione delle norme attributive di diritti è dunque, banalmente, una questione di interpretazione, per decidere la quale valgono le ordinarie considerazioni relative alle condizioni di accettabilità delle operazioni interpretative e argomentative praticate dai giuristi 81. Prima di esaminare alcune questioni circa il rapporto tra i diritti e le norme che li istituiscono, vale la pena chiarire che l’esistenza di una norma attributiva di un diritto non è anche sufficiente ai fini dell’effettività del diritto stesso. Come mostra la nozione di perimetro protettivo, la realizzazione e la garanzia (secondaria) dei diritti dipendono infatti, in maniera determinante, dall’effettività di ulteriori diritti, procedure, meccanismi istituzionali (ad es., separazione dei poteri, meccanismi di scrutinio giudiziale di atti normativi, effettività dei meccanismi di esecuzione dei provvedi79 N. Bobbio, Norma, pp. 198-199. N. MacCormick, Rights in Legislation, p. 192; J. Raz, Legal Rights, pp. 267-268; M. Kramer, Rights Without Trimmings, pp. 84-91. 81 Cfr. V. Velluzzi, Argomenti interpretativi (in questo volume). 80 Diritti soggettivi 247 menti giurisdizionali, ecc.) – di modo che un diverso atteggiarsi di tali meccanismi istituzionali retroagisce fatalmente sulla consistenza del perimetro protettivo, e dunque sull’effettività, dei diritti 82. Ebbene, dal punto di vista delle norme che attribuiscono i diritti soggettivi, si possono tracciare le seguenti distinzioni. (I) Norme di condotta vs norme di competenza 83. Le varie posizioni hohfeldiane che confluiscono nel nucleo e nel perimetro protettivo di un diritto sono istituite da norme di tipo diverso. Viene in considerazione qui la distinzione tra norme di condotta, che disciplinano una condotta rendendola obbligatoria, vietata o permessa, e norme di competenza, che attribuiscono poteri e ne disciplinano l’esercizio 84: – i diritti-pretese, corrispondendo a doveri altrui di fare o di non fare, sono istituiti da norme attributive, che attribuiscono a qualcuno il diritto di ricevere qualche tipo di beneficio (ad es., una prestazione contrattuale), o il diritto di non subire qualche tipo di interferenza; oppure da norme imperative, che impongono obblighi o divieti (il titolare del diritto, ovviamente, è colui nei cui confronti qualcosa deve o non deve essere fatta). Come abbiamo visto, in questo caso vale perfettamente la correlatività tra diritto (sub specie di pretesa) e obbligo: le norme attributive sono traducibili in norme imperative e viceversa; norme attributive e norme imperative sono due facce della stessa medaglia 85; – le libertà sono attribuite da norme permissive; – poteri e immunità, essendo posizioni soggettive di secondo grado (che vertono su altre posizioni soggettive), sono attribuiti da norme di competenza, ossia da norme che stabiliscono le condizioni alle quali possono essere prodotti atti giuridici validi. In particolare, le norme che conferiscono poteri stabiliscono a quali condizioni un soggetto può validamente istituire, modificare o estinguere posizioni soggettive altrui (o eventualmente anche proprie), mentre le norme che attribuiscono immunità sono condizioni negative di validità, nel senso che, in presenza di una immunità, l’ambito del potere normativo di un soggetto viene ristretto, perché tale potere non potrà incidere sull’ambito ‘protetto’ dall’immunità stessa. Vale la pena di ricordare che normalmente un diritto soggettivo si presenta come macro-diritto, cioè come un aggregato molecolare più o meno complesso di posizioni soggettive atomiche: ovviamente questa maggiore o minore complessità è perfet82 Per una critica all’idea che i diritti fondamentali possano avere carattere auto-esecutivo, e la sottolineatura del loro rapporto con l’autorità, A. Pintore, I diritti della democrazia, pp. 103-104; B. Celano, Diritti fondamentali e poteri di determinazione nello stato costituzionale di diritto. 83 Sulle norme che conferiscono poteri cfr. G. Pino, Norma giuridica (in questo volume). 84 Per questa distinzione cfr. G. Pino, Norma giuridica e R. Guastini, Fonti del diritto (entrambi in questo volume). 85 Pertanto, non c’è nessuna differenza tra la norma attributiva che dice «il creditore ha diritto di ricevere la prestazione entro il giorno X», e la norma imperativa che dice «il debitore deve adempiere la prestazione entro il giorno X». 248 Parte II | Concetti giuridici tamente riflessa nella norma o nell’insieme di norme che attribuiscono il diritto. Di conseguenza, un singolo diritto soggettivo, inteso come macro-diritto, potrà essere istituito dal concorrere di più norme di tipo diverso tra quelle viste qui sopra. (II) Regole vs principi. Un diritto può essere riconosciuto da una o più regole, oppure da un principio. La differenza tra questi due tipi di diritti è analoga, e parassitaria, rispetto alla differenza tra regole e principi 86: e di quest’ultima eredita l’incertezza e il carattere relazionale e graduale. In particolare, i diritti basati su regole sono diritti ascritti da norme tendenzialmente precise, che connettono conseguenze giuridiche esattamente determinate a certe fattispecie. Di contro, un diritto attribuito da (basato su) un principio è un diritto la cui fisionomia non è precisamente determinata: può essere attuato in molti modi diversi (il principio è norma generica) e non specificati esaustivamente in anticipo (il principio è norma indeterminata). Per applicare un diritto basato su principi sarà necessario esperire un’operazione di concretizzazione, magari mediata da passaggi intermedi in cui da un diritto molto generico e indeterminato si passa all’elaborazione di un altro diritto meno generico e indeterminato, e infine ad un diritto esattamente specificato (nel quale, cioè, è stabilito chiaramente il tipo di condotta che costituisce oggetto del diritto, e sono individuati i soggetti su cui ricadono le posizioni hohfeldiane correlative) 87. La differenza tra diritti attribuiti da regole e diritti attribuiti da principi è non solo quantitativa (il rispettivo grado di genericità e di indeterminatezza), ma anche di tipo argomentativo: i diritti basati su regole sono idonei ad essere immediatamente applicati con operazioni di tipo sussuntivo, mentre i diritti basati su principi saranno soggetti ad operazioni di bilanciamento, e di specificazione (concretizzazione); inoltre, i diritti basati su principi saranno idonei a fondare, a giustificare a loro volta ulteriori diritti, basati su principi più specifici o su regole (gli uni e le altre giustificati dal principio/diritto iniziale). (III) Norme esplicite vs norme implicite. Se un diritto è attribuito da una norma esplicita (una norma ricavata dall’interpretazione di una precisa disposizione), allora avremo un diritto esplicito; se un diritto è attribuito da una norma implicita (una norma frutto di operazioni interpretative e argomentative dei giuristi che non si presentano come attribuzione di significato ad una precisa disposizione), allora avremo un diritto implicito 88. Si possono costruire diritti impliciti in almeno due modi diversi 89. Il primo modo consiste nel ricavare un diritto implicito per analogia, a partire da 86 Cfr. G. Pino, Norma giuridica, § 3.2 (in questo volume). Una possibile ricostruzione del processo di concretizzazione di un diritto è in M. Kramer, Rights Without Trimmings, pp. 46-47 (ma senza impiegare il lessico regole/principi). 88 Sulla nozione di norma implicita cfr. G. Pino, Norma giuridica, § 2.2 (in questo volume). 89 Mi riferisco alla elaborazione di diritti soggettivi impliciti in generale. Per quanto riguarda l’elaborazione di diritti fondamentali impliciti vi sono alcune peculiarità che non è necessario approfondire in questa sede; v. in proposito G. Pino, Diritti e interpretazione, cap. IV. 87 Diritti soggettivi 249 alcuni diritti espliciti, oppure ricorrendo a principi generali o costituzionali, che vengono ‘concretizzati’ ricavando diritti impliciti più specifici 90. Il secondo modo consiste nell’argomentare l’esistenza di un diritto implicito a partire dall’assenza di una certa norma ‘privativa’ di un diritto. Questo deriva dal fatto che alcune posizioni hohfeldiane, e segnatamente le libertà e le immunità, possono essere ascritte non solo da precise norme attributive (della libertà o della immunità), ma anche dalla mancanza di norme, per così dire, privative della libertà o dell’immunità in questione 91. (Una norma ‘privativa’ di una libertà è, ovviamente, una norma che rende vietato un certo comportamento 92; una norma privativa di una immunità è una norma di competenza che attribuisce un certo potere.) Cosicché, in mancanza di una norma che qualifica un certo comportamento come vietato, il comportamento in questione si qualifica come libero. E in mancanza di una norma che attribuisce un certo potere, si realizza una situazione di immunità, determinata dalla impossibilità che venga esercitato quel potere (determinata, cioè, da una corrispondente situazione di non-potere). (IV) Norme costituzionali, legislative, giurisprudenziali, contrattuali. Quest’ultima distinzione riguarda, ovviamente, il tipo di fonte da cui è ricavata la norma attributiva di un diritto: ad esempio, la costituzione, la legge, un orientamento giurisprudenziale, un contratto (ad esempio, un contratto collettivo). Nell’ordinamento italiano, peraltro, diritti soggettivi possono essere attribuiti anche da norme comunitarie (regolamenti e direttive), e da certi documenti internazionali (ad esempio, la CEDU). La distinzione rileva principalmente perché la diversa fonte del diritto soggettivo determina alcune differenze di struttura e di regime. Si noti bene: si tratta di differenze tendenziali, non sempre necessarie ed indefettibili; ma ciononostante di differenze sufficientemente ricorrenti da risultare significative per una indagine teorica. Così, i diritti attribuiti da norme ricavate dalle fonti progressivamente più ‘elevate’ nella gerarchia delle fonti dell’ordinamento hanno di solito, tendenzialmente, le seguenti caratteristiche: a) sono considerati diritti fondamentali; b) sono diritti più generici, ampi e indeterminati rispetto ai diritti ricavati dalle fonti progressivamente inferiori (i quali ultimi saranno invece più precisi, più dettagliati); in altre parole, sono macro-diritti, insiemi molecolari di assai numerose e cangianti situazioni soggettive atomiche. Ciò è quanto dire che i diritti di rango costituzionale sono di solito attribuiti da principi, mentre quelli legislativi sono di solito attribuiti da regole (la legge specifica, concretizza i principi costituzionali); c) sono diritti assistiti quantomeno da una peculiare forma di immunità, che consiste nel fatto che il diritto in questione non può essere cancellato, abrogato, da nor90 Questo è il modo in cui hanno trovato ingresso originariamente nell’ordinamento italiano alcuni diritti della personalità, come ad esempio il diritto alla riservatezza e il diritto all’identità personale. Cfr. in proposito G. Pino, Il diritto all’identità personale. 91 Cfr. in proposito R. Guastini, La sintassi del diritto, pp. 92-95. 92 Ciò segue dalla definizione di libertà come assenza di un divieto, cfr. supra, § 3.1. 250 Parte II | Concetti giuridici me ricavate dalle fonti di grado inferiore (un diritto costituzionale non può essere abrogato da una legge; un diritto legislativo non può essere, normalmente, derogato da un contratto, ecc.); d) hanno una platea di titolari potenzialmente più ampia rispetto agli altri diritti; spesso, i titolari dei diritti costituzionali sono ‘tutti i cittadini’, o ‘tutti’; di contro, i diritti di fonte legislativa sono talvolta maggiormente differenziati quanto ai loro titolari (i diritti dei lavoratori, i diritti dei consumatori, i diritti dei pazienti, i diritti dei cacciatori, i diritti dei giornalisti, i diritti degli imputati, ecc.), e i diritti di fonte contrattuale riguardano solo le parti del contratto. Infine, mentre i diritti costituzionali, legislativi e contrattuali sono diritti espliciti (ricavati dall’interpretazione di disposizioni appartenenti alle fonti del diritto), i diritti giurisprudenziali sono diritti impliciti, ricavati dagli interpreti tramite varie tecniche argomentative diverse dall’interpretazione letterale e in assenza di una precisa disposizione che possa essere interpretata come attributiva di quel diritto 93. Riferimenti bibliografici Alexy R., Teoria dei diritti fondamentali (1994), Il Mulino, Bologna, 2012. Austin J., Delimitazione del campo della giurisprudenza (1832), Il Mulino, Bologna, 1995. Azzoni G., Interpretazioni di Hohfeld, in «Materiali per una storia della cultura giuridica», XXIV, 2, 1994, pp. 443-488. Baccelli L., «Ex parte populi». Per una teoria impura dei diritti, in «Ragion Pratica», 28, 2008, pp. 337-364. 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