Venezia e Suez
1504 - 2012
Coordinamento generale
Villaggio Globale International
Saggio a cura di
Maria Pia Pedani
Università Ca’ Foscari Venezia
Progetto grafico
e stampa
Grafiche Tintoretto
Crediti fotografici
Trieste, Civico Museo Revoltella,
Galleria d’Arte Moderna
Venezia, Archivio di Stato, Sezione di
fotoriproduzione “su concessione del Ministero dei
Beni e le Attività Culturali”
Venezia, Autorità Portuale
Venezia, Collezione privata
Venezia, Gallerie dell’Accademia
(foto Claudio Franzini 2011)
Vienna, Lessing Photo Archive
Traduzioni
Sema Postacioglu-Banon
Un ringraziamento particolare va rivolto al
Comitato Promotore, agli organizzatori, ai curatori
Enrico Maria Dal Pozzolo, Rosella Dorigo e Maria Pia
Pedani, al comitato scientifico e ai prestatori della
mostra “Venezia e l’Egitto”.
Venezia, Palazzo Ducale
1 ottobre 2011 – 22 gennaio 2012
In copertina
Commissione all’ambasciatore
Francesco Teldi, inviato in Egitto,
con l’emendamento di proporre
al sultano il taglio dell’istmo di Suez
e lo scavo di un canale navigabile
tra il fiume Nilo e il mar Rosso
Documento cartaceo, 24 maggio 1504
Venezia, Archivio di Stato
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Venezia e Suez
1504 - 2012
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Nel 1504 il Consiglio dei Dieci - uno dei massimi organi di governo della Serenissima Repubblica di Venezia - era arrivato ad ipotizzare di suggerire al Sultano
d’Egitto il taglio dell’istmo di Suez per congiungere via mare il Mediterraneo alle
Indie. E’ chiaro perché si fosse osato pensare a tanto: si era da qualche anno
materializzato il pericolo di veder crollare i commerci delle spezie che facevano la
ricchezza di Venezia - ma anche dei mamelucchi d’Egitto - per l’apertura da parte
dei portoghesi della nuova rotta tra l’Europa e l’India via circumnavigazione dell’Africa. Non é dato sapere, invece, perché all’ultimo si decise di tirare un tratto di
penna sull’emendamento alla Commissione – le direttive impartite dal Consiglio dei
Dieci all’ambasciatore Francesco Teldi diretto in Egitto - nella parte che proponeva
al sultano il taglio dell’istmo di Suez e lo scavo di un canale navigabile tra il fiume
Nilo e il mar Rosso; il tutto da proteggere “al una et l’altra bocha” con due fortezze
che ne controllassero l’accesso, soprattutto impedendolo ai portoghesi. Paura di
urtare la sucettibilità del sultano (“azio el prefato Signor Soldan non prendesse
alcuna ombra”) con una proposta così ingerente? Timore che il controllo della
“chava” dal mar Rosso al Mediterraneo da parte dei mamelucchi potesse un giorno
ritorcersi contro i veneziani? Prevalere della tesi ottimistica che la circumnavigazione dell’Africa si sarebbe imposta sulla via delle spezie tradizionale? Preoccupazioni
più ampie legate al pericolo ottomano, da un lato, e a quello delle potenze europee
che si sarebbero coalizzate presto contro Venezia nella Lega di Cambrai, dall’altro?
Cancellato l’emendamento, il progetto ritornò nel cassetto da dove era stato più
volte estratto e riposto prima e dopo il 1504, come spiega Maria Pia Pedani nel
saggio che segue, fino alla sua definitva realizzazione nel 1869.
Con il senno di poi, l’apertura del canale di Suez nel 1504 avrebbe sicuramente
contribuito a prolungare per qualche tempo una qualche centralità mediterranea, e
il dominio veneziano, sui traffici marittimi mondiali.
Ma nulla avrebbe potuto contro la scoperta e la valorizzazione delle Americhe, delle
nuove Indie, che negli stessi anni si stava sviluppando. La centralità atlantica si
sarebbe imposta da allora e durata, possente, fino ai giorni nostri, giorni nei quali
la supremazia di questa rotta sembra incrinarsi.
L’affermarsi sempre più massiccio delle economie dei Paesi dell’Estremo oriente,
Cina e India su tutti, non solo come “manifatture del mondo”, ma anche come mercati di consumo in espansione, ha aumentato progressivamente la rilevanza della
relazione commerciale fra l’Europa e l’Estremo oriente e della rotta che dall’Estremo oriente raggiunge il Mediterraneo via Suez, che oggi è di poco seconda solo
alla rotta transpacifica Asia-America.
È l’alba di una nuova rivoluzione economica mondiale quella che stiamo vivendo,
una rivoluzione già in atto come testimoniano i traffici containerizzati attraverso
Suez che nel 2010 sono arrivati a sfiorare i 37 milioni di Teu, recuperando ampiamente la flessione del 2008-2009 dovuta alla crisi economica globale.
In questo contesto Venezia può tornare ad essere ciò che è stata per secoli: una
delle più importanti porte commerciali e culturali dell’Europa verso l’Asia.
Un’opportunità che può essere colta solo se Venezia saprà attingere, con lungimiranza e coraggio, al suo retaggio storico fatto di innovazione tecnologica e visione
strategica, quel retaggio che l’ha resa dominatrice dei mari. Perché non basta la
localizzazione geografica migliore – qualsiasi merce in ingresso da Suez e diretta
in Europa può arrivare prima a Monaco di Baviera se passa per Venezia e l’Alto
Adriatico rispetto a qualsiasi altro porto europeo – a comportare un automatico
vantaggio competitivo.
Se quindi Venezia oggi vuole inverare il rinnovato vantaggio geografico di cui gode
– riconosciuto peraltro anche in sede europea con l’inserimento del porto di Venezia fra i porti cui collegare prioritariamente la rete transeuropea di trasporto –
deve dare corpo ad una visione strategica che renda conveniente ed attrattivo per
le navi in ingresso da Suez sbarcare le proprie merci nel Nord Adriatico, in quel
multiporto naturale costituito dagli “scali” di Ravenna, Venezia, Trieste, Koper (Capodistria) e Rijeka (Fiume) oggi riuniti nel NAPA (North Adriatic Port Association).
È per dar corpo a questa strategia, per fare la sua parte nella costruzione del multiporto del Nord Adriatico, che il Porto di Venezia ha quasi terminato di riportare la
profondità dei canali di navigazione interni lagunari a meno 12 metri, migliorando
l’accessibilità nautica entro i limiti stabiliti di compatibilità con l’equilibrio lagunare.
Sta realizzando un terminal per le Autostrade del Mare, operativo a partire dal
2013, dedicato ai traghetti in arrivo dal Mediterraneo ed ha acquisito un’area di
oltre 90 ettari – un’area ex industriale a Marghera in corso di bonifica per la sua
riconversione - dove sorgerà un nuovo terminal container con connesse attività
logistiche. Ed è per accogliere le grandi portacontainer in ingresso da Suez con
pescaggio superiore ai 12 metri che il Porto di Venezia sta progettando una piattaforma portuale d’altura localizzata al largo della bocca di Malamocco con fondale naturale a 20 metri da collegare ai terminali a terra di Marghera, ma anche
di Chioggia e Porto Levante: tutte infrastrutture a servizio dei traffici che fioriranno
nel Mediterraneo - e l’Egitto non sarà un protagonista secondario - e di quelli tra
l’Europa e l’oltre Suez.
Suez che ritorna ad incrociare i suoi destini con quelli del porto che ha fatto grande
la Serenissima.
Paolo Costa
Presidente dell’Autorità Portuale di Venezia
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Venezia è uno dei porti leader nell’Adriatico per la movimentazione di container. Le nuove linee di collegamento con il Medio
Oriente e l’Estremo Oriente, insieme al nuovo terminal container e alla piattaforma in acque profonde, ne rafforzeranno
ancor più l’importanza.
Tra i progetti di riconversione e bonifica delle aree industriali dismesse del porto commerciale rientra il nuovo terminal delle
Autostrade del Mare – operativo dal 2013 – che, con 2 darsene, 4 banchine ed un’annessa piattaforma logistica, servirà i
traghetti che dal Mediterraneo trasportano merci, camion, auto e passeggeri
Il canale di Suez è uno strumento necessario per consentire a Venezia di svolgere il ruolo di porta per lo scambio di merci
fra Europa e Far East
La piattaforma d’altura al largo del Porto di Venezia consentirà l’ormeggio delle navi di maggiori dimensioni, e porterà
benefici economici e ambientali
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Maria Pia Pedani
VENEZIA E SUEZ
Nell’agosto del 1499 giunse a Venezia dall’Egitto la mirabolante nuova che ad
Aden e a Calicut erano giunte tre caravelle con le insegne del re di Portogallo.
Era una notizia talmente fantastica da non essere creduta da quanti affollavano
il mercato di Rialto: la nuova rotta era troppo lunga e troppo pericolosa per essere percorsa e, quand’anche qualcuno vi si fosse avventurato, troppo incerto
era il ritorno per le navi cariche delle preziosissime spezie. Fino ad allora l’unica
via per trasportare queste ‘scintille d’Oriente’ era stata quella che, partendo
dall’India, attraversava l’Oceano Indiano; poi si divideva e le merci proseguivano o per il Golfo Persico, Basra, Baghdad e quindi raggiungevano a dorso
di cammello la costa siro-palestinese, oppure procedevano per il Mar Rosso,
transitavano al Cairo e quindi arrivavano al porto di Alessandria. In ogni caso
queste due ‘vie delle spezie’ giungevano alle sponde del Mediterraneo in terre
dominate dai sultani mamelucchi d’Egitto ed erano portate in Europa per lo
più da navi veneziane. Ad Alessandria i veneziani avevano due grandi palazzimagazzini, i genovesi uno soltanto, mentre catalani e marsigliesi occupavano
due casette. Caricate sulle navi di Venezia, le spezie erano trasportate dalle
coste del Levante fino all’estremità dell’Adriatico e dal mercato di Rialto riprendevano le vie di terra per giungere fino ai più sperduti castelli d’Europa. Furono
soprattutto i commerci con l’Oriente, e quello delle spezie in particolare, che
resero ricca la città e i suoi nobili mercanti.
Poco prima che arrivassero le notizie dall’India, nei primi mesi di quello stesso
1499, era scoppiata la guerra con gli ottomani per questioni di predominio
territoriale. Le galee che dovevano partire dal bacino di San Marco a primavera
per commerciare furono tutte requisite per andare a combattere: il prezzo delle
spezie, e tra queste soprattutto del pepe, andò alle stelle cosicché coloro che
non erano riusciti a vendere i loro stock prima della nuova stagione commerciale si trovarono i magazzini pieni di merci diventate rare e guadagnarono somme
incredibili. Passò un anno: la guerra si stava avviando a una rapida conclusione
e nella primavera del 1500 le navi vennero lasciate di nuovo libere per i commerci, mentre la bolla speculativa si ridimensionò fino a scomparire.
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Giulio del Moro
San Marco assiste i Magistrati della Camera all’armamento nell’arruolamento delle milizie marittime (particolare)
Venezia, Museo Storico Navale (in deposito dalle Gallerie dell’Accademia)
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Nel luglio del 1501 altre lettere arrivarono, questa volta da Ponente, dal regno
di Portogallo. Confermavano le notizie giunte dall’Egitto. Era vero! Era stata
davvero aperta una via alternativa, che raggiungeva le isole delle spezie circumnavigando l’Africa. A tale nuova, le reazioni furono diverse e contrastanti.
Alcuni dissero che non c’era da preoccuparsi, che il viaggio era troppo pericoloso e che non sarebbero arrivati nuovi concorrenti a danneggiare i commerci della Serenissima. Altri invece, come il diarista Girolamo Priuli, videro
in quella navigazione la rovina della città: i portoghesi avrebbero venduto direttamente in Europa le spezie acquistate a basso prezzo nei porti dell’India,
cosicché esse non sarebbero più arrivate numerose in Egitto come un tempo
e i veneziani, ultimi di una più lunga trafila di intermediari, non avrebbero potuto competere con i nuovi rivali.
A novembre si sparse in città la voce che il portoghese Pedro Alvares Cabral
aveva bombardato Calcutta, acquistato spezie in un porto vicino e affondato la flotta araba che stava portando quella preziosa mercanzia in Egitto. Il
prezzo del pepe ricominciò subito a correre. Negli anni seguenti i mercati di
Venezia, Alessandria e il Cairo furono sconvolti assieme al ritmo dei viaggi,
mentre la quantità delle spezie che arrivavano dall’India si assottigliava: gli
interessi di veneziani ed egiziani convergevano sempre di più.
Fu in questo contesto che si deve leggere l’elezione, avvenuta a Venezia il
5 dicembre 1502, di una nuova Giunta alle Speziarie che ebbe il compito di
affiancare, quando si trattava di temi relativi a questo particolare problema,
il Consiglio di Dieci, allora massimo organo di governo e di giustizia dello
stato veneto. Anche in questa occasione a tutti venne imposto il più rigoroso
riserbo. Uno dei primi atti della Giunta fu quello di scrivere all’ambasciatore
che era già in Egitto, Benedetto Sanudo, per invitarlo a informare il sultano
Qânsûh al-Ghawrî (1501-1516) delle mosse portoghesi e suggerirgli di mettersi in contatto con i sovrani dell’India per cercare di bloccare gli acquisti dei
nuovi venuti e, infine, di calmierare al Cairo e ad Alessandria il prezzo delle
spezie, per permettere ai veneziani di fare concorrenza a Lisbona.
Nel frattempo in Egitto si cominciarono a cercare aiuti per combattere questa
nuova minaccia. La flotta non esisteva poiché i sovrani mamelucchi avevano
sempre privilegiato le campagne militari a cavallo e avevano lasciato che del
mare si occupassero le popolazioni rivierasche. D’altro canto fino ad allora il
Mar Rosso, il Golfo Persico e l’Oceano Indiano erano stati solo luoghi di imprese piratesche e non di guerra navale. Ora la situazione era drasticamente
cambiata per cui si inviarono agli stati amici richieste di tecnici navali, artiglieri
e materiale strategico, tra cui il preziosissimo legno di cui l’Egitto era quasi
privo dal momento che le sue ultime foreste erano state da poco abbattute.
Si chiese a Venezia, che però tergiversò facendo solo intendere che se gente
dello Stato da Mar fosse andata volontariamente in Egitto non sarebbe stata trattenuta. I mamelucchi inviarono anche dei francescani del convento di
Monte Sion a Gerusalemme come loro ambasciatori a Roma, in Francia, in
Spagna, e anche in Portogallo, a chiedere di bloccare la nuova via, minacciando di chiudere come ritorsione la basilica del Santo Sepolcro ai pellegrini
europei. Il sultano Qânsûh al-Ghawrî chiese aiuto anche al sultano ottomano
e Bayezid II (1481-1512) inviò finalmente gli uomini e i rifornimenti necessari
per allestire una flotta nel Mar Rosso. Il sultano mamelucco però non ridusse
il prezzo del pepe, come avevano chiesto i veneziani; al contrario lo aumentò
per ottenere un utile che bilanciasse la diminuzione delle merci arrivate, pur
cercando intanto di preparare per il 1505 un’azione militare anti-portoghese
congiunta con il sovrano di Calicut, la cui città nel frattempo venne armata e
fortificata da due anonimi ingegneri italiani.
La situazione stava precipitando. I mercanti tedeschi lasciarono Venezia per
Lisbona e nel febbraio del 1504 le navi provenienti da Alessandria e da Beirut attraccarono a San Marco senza avere a bordo una sola balla di spezie.
Non essendo riuscita a ottenere delle misure risolutive dall’Egitto, la Giunta
alle Speziarie decise, il 9 marzo 1504, di inviare due uomini capaci e accorti
al Cairo e a Lisbona. Non erano ambasciatori, ma solo persone pratiche dei
luoghi, che avrebbero potuto trattare direttamente e segretamente, senza bisogno di interpreti, e senza compromettere a livello internazionale l’immagine
della Serenissima. In Portogallo venne inviato Leonardo da Ca’ Masser, che
ebbe il compito di informarsi dei prezzi e modi d’acquisto delle spezie e sulle
difficoltà del viaggio incontrate da parte dei portoghesi. Per l’Egitto fu invece
scelto Francesco Teldi, che però ben presto si ammalò, per cui dovette essere sostituito da un altro mercante, Bernardino Giova. Che andasse l’uno o
l’altro appare ora poco rilevante, mentre particolare importanza rivestono gli
ordini dati dal Consiglio di Dieci a colui che doveva recarsi in Egitto. Il 24 maggio 1504 venne stilata una Commissione, a nome ancora di Francesco Teldi,
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Trascrizione: “…far una chava dal
mar rosso che mettesse a drectura
in questo mar de qua, come altre
volte etiam fo rasonado de far: la
qual chava se potria assegurar al
una et l’altra bocha cum do forteze
per modo che altri non potrian intrar
ne ussir, salvo quelli volesseno el
Signor Soldan. La qual cava facta, se
potria mandar quanti navilij et galie
se volesse a chazzar li portogalesi
che per alcuno modo non potrian
parer in quelli mari. Questa cava
intendemo saria cum grande segurtà
del paese del Signor Soldan et dovria
dari infinita utilitade a quello, però
volemo che non in la prima audientia
che haverai dal Signor Soldan ma
in una altra audientia cum grande
dexterità et a qualche bon proposito
rasonando dele provision necessarie
ut supra tu devi dir che molti de qui
recordano essa cava monstrando più
presto de refferir le opinion de homeni
periti in simel cose, che alcun fermo
nostro obiecto et racordo azio el
prefato Signor Soldan non prendesse
alcuna ombra.
Che fassamo tal rechiesta a nostra
particolare utilità et danno del Signor
Soldan e pericolo del stado suo,
et però te forzerai proponerla cum
tal modo che tal pro position sia
aceptada in bona parte et supra
tuto li farai intender quanti beni
succedarian dala cava predicta.”
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Commissione all’ambasciatore Francesco Teldi, inviato in Egitto, con l’emendamento di proporre al sultano il taglio
dell’istmo di Suez e lo scavo di un canale navigabile tra il fiume Nilo e il mar Rosso
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in cui si ribadiva quanto già detto due anni prima all’ambasciatore Sanudo.
Le discussioni su ciò che si doveva dire o tacere al sultano d’Egitto dovettero
essere lunghe e complesse, come testimonia la minuta della Commissione,
ancora conservata nell’archivio del Consiglio di Dieci. In particolare una frase
cancellata con un tratto di penna testimonia un pensiero e un successivo ripensamento. Teldi avrebbe dovuto suggerire al sultano lo scavo di un canale
per congiungere il Mar Rosso con il Mediterraneo e la costruzione di due fortezze poste a guardia degli sbocchi, in modo che fosse possibile controllare
e filtrare le navi che vi sarebbero transitate. L’opera poteva essere realizzata
con molta facilità e in breve tempo - si diceva nel testo - e se ne era altre volte
ragionato sopra. Gli ingegneri veneziani avevano già creato fosse e canali
artificiali per deviare il corso dei fiumi e preservare la loro laguna dall’interramento e l’impresa non doveva apparire loro assurda dal momento che, con
il trionfo del Rinascimento, a Venezia si era ritrovata la memoria di un antico
percorso acqueo che congiungeva i due mari in tempi antichissimi. Era lontana l’epoca di Marino Sanudo Torsello che, nel 1312, aveva affermato che il
congiungimento era impossibile data la differenza di livello tra i due mari che
avrebbe portato, nel caso si fosse scavato il canale, a una rapida e irreversibile inondazione di tutto l’Egitto.
Un antico canale era già stato scavato probabilmente intorno al 1897-1839
a.C., al tempo del faraone Sesostri (II o III) della XII dinastia. Secondo lo storico greco Erodoto da Alicarnasso anche Nekao II (610-594 a.C.), della XXVI
dinastia, aveva cominciato dei lavori senza però portare a termine l’opera.
Questa fu poi conclusa da Dario I (522-486 a.C.), il sovrano persiano che
arrivò fino in Egitto, e successivamente restaurata in epoca ellenistica da Tolomeo II Filadelfo (285-246 a.C.). Allora il Golfo di Suez arrivava più a nord di
oggi e il canale attraversava i Laghi Amari e poi, procedendo da est verso
ovest, raggiungeva uno dei rami del delta del Nilo. Nei secoli seguenti esso
finì variamente interrato e riaperto. L’imperatore Traiano (98-117) lo restaurò
e anche ‘Amr ibn al-‘Âs, il conquistatore arabo dell’Egitto, lo fece scavare
intorno al 640, mentre il califfo abbaside al-Mânsur lo fece insabbiare nel 767
per impedire che dei rivoltosi, asserragliati a Medina, potessero facilmente
arrivare sino a lui. Infine sembra che, intorno all’anno 1000, il califfo fatimida
al-Hâkim (996-1021) fosse riuscito a renderlo per qualche tempo nuovamente navigabile. Da questo momento in poi le fonti tacciono e si deve arrivare
alla minuta del Consiglio di Dieci di Venezia per trovare un’altra testimonianza
a riguardo. Comunque, anche se l’idea venne discussa nelle sale di Palazzo
Ducale, tuttavia di essa non se ne fece allora parola in Egitto. Rimase un
pensiero, una vaga possibilità, un progetto che non fu necessario riprendere.
Infatti ben presto le nere previsioni dei più pessimisti tra i mercanti di Rialto
non trovarono riscontro. Il commercio riprese. Il prezzo del pepe a Lisbona
non era poi tale da far concorrenza a quello veneziano e la sua qualità, dopo
mesi e mesi di viaggio in stive umide, era inoltre decisamente inferiore. Così il
traffico delle galee da mercanzia riprese e continuò anche quando una nuova
dinastia arrivò in Egitto.
Jean Pascal Sebah
Una dahabieh (barca tradizionale egiziana), 1899
Jean Pascal Sebah
Lungo il Nilo. Trasporto di otri, 1899
Nel 1517 il sultano ottomano Selîm I (1512-1520) arrivò al Cairo, ponendo
fine al regno mamelucco e diventando signore della zona siro-palestinese,
servitore delle città sante di Mecca e Medina e protettore delle vie del pellegrinaggio. Fu però sotto suo figlio Solimano I (1520-1566), conosciuto come
il Magnifico in Europa e il Legislatore in Turchia, che l’idea di una via d’acqua
diretta da tra Mediterraneo e Mar Rosso tornò in auge. Le terre d’Egitto erano
da poco tempo entrate a far parte dell’Impero e bisognava quindi riorganizzarle e dar loro dei nuovi ordinamenti. Questo compito fu affidato al giovanissimo gran visir e amico del sovrano, Pargalı Ibrâhîm pascià, che si recò in
Egitto tra il 1523 e il 1524. Come dice il suo nome, questi proveniva da Parga,
una località greca che era allora sotto il dominio di Venezia. Era dunque un
ex-suddito veneto che aveva trovato una nuova vita e una fulgida carriera
nel mondo ottomano. Pietro Bragadin, che era allora bailo a Costantinopoli,
divenne suo amico. I dispacci inviati dal bailo a Venezia parlano di incontri
nei giardini della città o nel palazzo fatto costruire da Ibrâhîm sulla Piazza
dell’Ippodromo (oggi trasformato in museo) e di scambi di opinioni e confidenze soprattutto su argomenti importanti per entrambi, come la presenza
portoghese in India. Bragadin alle volte lamentava che il Senato o il Consiglio
di Dieci non gli dessero lumi sufficienti su quanto fosse giusto dire o suggerire
su questo spinosissimo argomento, per cui egli era stato spesso costretto a
prendere decisioni senza avere le dovute direttive.
Negli anni in cui Ibrâhîm fu gran visir (1523-1536) la politica veneziana fu quella di non esporsi, ma di lasciare che dei suoi uomini, fossero questi corsari
come Giovanni Contarini, soprannominato Cazzadiavoli, o capitani e costruttori navali come Giovanni Francesco Giustinian, si trasferissero nell’impero
ottomano per sostenere la guerra che allora i turchi combattevano contro
i portoghesi. Si trattava del tacito invio di esperti navali senza che lo stato
ne fosse ufficialmente coinvolto. Proprio in questo stesso periodo rinacque
l’idea di scavare il canale di congiunzione tra i due mari. Nel 1529 il viaggiatore Alvise Roncignotto sostò presso gli scavi che venivano fatti per riaprire
l’antico canale che egli faceva risalire ai tempi dei romani. Nel suo successivo
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viaggio in quelle zone, tra il 1532 e 1533, vide circa 12.000 uomini al lavoro.
In qualche modo l’idea che era stata discussa segretamente nelle stanze del
Consiglio di Dieci nel 1504 era probabilmente passata al divano imperiale
d’Istanbul e il gran visir, forse anche perché innamorato della civiltà dell’antica
Roma, aveva deciso di attuarla.
La tragica morte di Pargalı Ibrâhîm, giustiziato per ordine di Solimano che
temeva per il suo stesso trono, pose fine alla politica filo-veneziana fino a quel
momento in auge a Costantinopoli. Anche il progetto di creare un canale in
Egitto venne abbandonato, ma non per questo dimenticato. Fu ripreso molti
anni dopo da Sokollu Mehmed pascià, che fu gran visir tra il 1565 e il 1579.
L’impero ottomano ormai si estendeva dall’Europa all’Asia e all’Africa e la logica con cui bisognava governare era quella che oggi, con una felice espressione nata in seno alla Marina Militare Italiana, si definisce di un ‘Mediterraneo
allargato’. A est Sokollu fece innanzi tutto avviare i lavori per un canale che
unisse il Don al Volga e quindi mettesse in comunicazione il Caspio con il
Mar Nero. A sud invece fece riprendere gli scavi tra Suez e il Nilo come parte
finale di una nuova rotta turca delle spezie, alternativa a quella che arrivava
fino a Lisbona. A pochi anni dalla sua morte il progetto venne nuovamente
sospeso. Altre priorità investivano ormai un impero che stava raggiungendo
l’apice della sua estensione territoriale, ma sul cui trono sedevano ora sovrani
bambini, inetti o pazzi.
Dovevano passare ancora lunghi secoli prima che altre navi potessero salpare da Suez per raggiungere in breve tempo il Mediterraneo. Napoleone,
trovati i resti degli antichi scavi, voleva creare un nuovo collegamento diretto
tra i due mari, ma fu dissuaso da Jean-Baptiste Le Père, un ingegnere che
riteneva, come il trecentesco Marino Sanudo Torsello, che il dislivello tra i
due mari fosse tale per cui l’Egitto sarebbe stato inondato. Pochi anni dopo,
nel 1846, su ispirazione di Metternich fu fondata a Parigi la Société d’études
du canal de Suez per affrontare il problema. Ne facevano parte specialisti
francesi, inglesi e asburgici. Questi ultimi erano guidati da un esperto nato a
Fiera di Primiero, in Trentino, che oggi è Italia ma allora era Impero asburgico,
Luigi Negrelli, ingegnere capo delle ferrovie del Lombardo-Veneto. I moti che
investirono l’Europa nel 1848 arrestarono per un momento i progetti, che
però ripartirono pochi anni dopo, nel 1854, quando Ferdinand de Lesseps,
ex-diplomatico francese e cugino dell’imperatrice Eugenia de Montijo, moglie
di Napoleone III, venne incaricato dai governi egiziano e francese di occuparsene. Una nuova Commissione scientifica internazionale venne incaricata
di selezionare il progetto migliore e alla sua presidenza venne confermato il
veneziano Pietro Paleocapa, progettista di importanti interventi alle bocche
portuali della laguna veneta. Il progetto prescelto fu quello elaborato da Negrelli e il 25 aprile 1859 de Lesseps diede con un colpo di piccone avvio a
questa nuova impresa. Luigi Negrelli era però morto da pochi mesi, mentre
la cecità aveva già allontanato Paleocapa dalla vita attiva. Dieci anni dopo,
il 17 novembre 1869, il Canale venne finalmente inaugurato sulle note della
Marcia egizia di Johann Strauß jr, in quanto Giuseppe Verdi si era rifiutato di
comporre musica d’occasione.
Il Canale di Suez: un sogno, ma anche una realtà, coltivato per secoli sotto le
dinastie e i regni più diversi che fecero grande la storia egiziana. Un’idea che
venne però sognata anche molto lontano dalle sabbie del deserto, ai limiti
settentrionali dell’Adriatico, nella dorata Venezia dove gli ingegneri che avevano appreso l’arte di deviare i fiumi tra le barene e i grebani della sua laguna,
l’avevano ritenuta, già nel 1504, realizzabile.
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L’inaugurazione del Canale di Suez, 17 novembre 1869
Vienna, Technisches Museum
Alberto Rieger
Il Canale di Suez, 1864
Trieste, Museo Civico Rivoltella, Galleria d’Arte Moderna