Archeologia Medievale in Valdera.
Un quadro d’insieme.
113
114
Archeologia Medievale in Valdera.
Un quadro d’insieme.
Antonio Alberti
La Valdera: ricerca storica e ricerca archeologica.
Questo contributo intende offrire una sintesi, basata necessariamente sull’edito,
della ricerca archeologica condotta in questi anni in Valdera attraverso le attività
di tutela della Soprintendenza Archeologica e le attività di ricerca e valorizzazione
di Valderamusei e dei Gruppi Archeologi locali.
La ricca documentazione d’archivio edita e la conservazione di molti siti di origine
medievale hanno dato la possibilità di proporre molte sintesi sull’assetto politico,
istituzionale, sociale ed economico della Valdera medievale, senza tralasciare
l’aspetto strutturale di tale organizzazione, sia per quanto riguarda la distribuzione
delle pievi e delle chiese sia per la fase di incastellamento1. Ne scaturisce un quadro
piuttosto ricco sulla storia del Medioevo in Valdera, delle famiglie preminenti tra
il X e il XII secolo, del rapporto con le diocesi di Lucca e Volterra, del ruolo della
Valdera come contado pisano nel basso Medioevo.
Prima e dopo i castelli: villaggi, curtes, castelli, fondatori e proprietari
Fino al 1622, anno dell’istituzione della diocesi di S. Miniato, la Valdera era
suddivisa tra le diocesi di Lucca e Volterra.
Il quadro degli insediamenti dei secoli centrali del Medioevo restituito dalla fonte
scritta è piuttosto esaustivo nelle forme e nella distribuzione. In Toscana gli elenchi
del X secolo relativi ai livelli dovuti dai villaggi alla pieve restituiscono un quadro
insediativo con una distribuzione piuttosto fitta di piccoli centri. Si tratta in molti
casi di curtes, di solito situate in collina, in luoghi piuttosto facilmente difendibili
anche se in quel momento non ancora difesi2. In questa fase il castello pur essendo
già piuttosto diffuso non costituisce tuttavia un elemento cardine del paesaggio, ma
si configura soltanto come una delle molteplici forme di occupazione del suolo3.
Anche in Valdera il fenomeno del cosiddetto incastellamento, che tra X e XII
secolo conta la fondazione di quarantadue insediamenti fortificati, sembra ancora
1
PESCAGLINI MONTI 1993; MORELLI 1997; ALBERTI 2005; ALBERTI 2006c, pp. 247-250.
WICKHAM 1990, p. 88.
3
AUGENTI 2000b, p. 40.
2
115
piuttosto attenuato per il X secolo, dove insieme a decine di villaggi sono attestati
solo quattro castelli, di cui due attribuibili alla prima metà del secolo (S. Gervasio
e Castello Berolfi).
Su 118 villaggi documentati tra il 933 e il 1068 nei pivieri di Sovigliana, Triana,
S. Giusto di Padule, Appiano, Aqui e S. Gervasio4, nella Valdera appartenente alla
diocesi di Lucca, solo 17 di questi saranno poi ricordati come “castrum”, nel totale
dei 25 castelli fondati nello stesso ambito territoriale tra X e XII secolo. Si tratta
del 14% degli insediamenti distribuiti in quel territorio, tutti ubicati in collina, che
si trasformano da semplici insediamenti accentrati in castelli.
Pure nell’ampia diocesi di Volterra la prima fase di incastellamento non sembra
avere un impatto dirompente sul popolamento di tipo aperto. Infatti in molte zone
della diocesi le villae ed altre forme insediative continuano ad esistere anche dopo il
successo dei castelli5. Il fenomeno tende però ad accentuarsi a partire dall’XI secolo
e soprattutto nel territorio della diocesi lucchese.
Confrontando le cappelle attestate nel 1260 nel Libellus extimi Lucane Dyocesis, cioè
l’elenco completo delle chiese della diocesi di Lucca e considerando la presenza di
una chiesa nella stessa località come indizio di continuità di insediamento, si può
constatare che solo 21 chiese nei pivieri sopra ricordati si riferiscono ad abitati
documentati a partire dal X secolo, circa il 18% del totale di villaggi attestati. Nel
piviere di S. Gervasio i centri non incastellati che ancora nel 1260 si caratterizzano
per la presenza di una chiesa di villaggio sono solo tre (Pinochio, Cercino, Salechio). Nel
caso del piviere di Triana su 24 abitati attestati fin dal 983 nel 1260 si attestano
le chiese di Castagnecclo, Valtignano e Liliano come ancora appartenenti ad un
villaggio. Nel piviere di Sovigliana delle 14 chiese dipendenti nel 1260, nove sono
localizzate in altrettanti villaggi già attestati nel 980. Nel territorio pievano di
Appiano, il confronto tra le villae di X secolo e le chiese di XIII indica invece un
inalterato assetto dell’insediamento, modificato poi dalla fondazione della terra
nuova di Ponsacco nella seconda metà del XIV secolo.
Sulla base dei documenti di X-XI secolo relativi all’infeudazione delle decime delle
pievi del territorio della diocesi di S. Martino, sono noti gli esponenti di alto rango
che avevano interessi in Valdera: gli Aldobrandeschi e in seguito gli Ardengheschi
per la pieve di Sovigliana; i Corvaia e i da Montemagno in relazione alla pieve di
Triana; i Gherardeschi per Capannoli; i Farolfi per S. Gervasio, i Cadolingi per
l’area riferibile al piviere di Aqui.
I rappresentanti di queste famiglie gestiscono le risorse agricole del territorio ancora
prima della nascita dei castelli, attraverso una rete di curtes che in alcuni casi, ma
non in tutti, saranno incastellate. Il castello quindi, come forma insediativa, non
4
5
116
PESCAGLINI MONTI 1993.
AUGENTI 2000a, p. 121.
modifica la capillare presenza sul territorio degli interessi signorili ma li trasforma
in qualcosa di nuovo. In effetti tutti i possessori di curtes attestate in Valdera saranno
in seguito promotori della fondazione di uno o più castelli: ad esempio l’abbazia di
S. Salvatore di Sesto, con corti attestate a Palaia (1020), Valli (Villa Saletta) (1020),
Lusitana (presso Pratiglione, ancora nel territorio di Palaia) (1020), Cerretello
(1020), Casanova (1020), Libbiano (1024); il vescovo di Lucca che possiede le corti di
Capannoli (844), Solaia (dagli inizi del X secolo), Camugliano (1021), Monteculaccio
(1076), S. Pietro, i Cadolingi che possiedono la curtis di Aqui (1024).
Se l’impulso iniziale alla fase di incastellamento del territorio in esame fu soprattutto
di matrice laica, la proprietà, in tutto o in parte, dei castelli passò ben presto nelle
mani dei vescovi e degli abati dei monasteri familiari. In effetti le proprietà di
famiglie aristocratiche lucchesi (come i Farolfi) e in generale toscane (per la Valdera
i Gherardeschi, gli Obertenghi e i Cadolingi, quest’ultimi con ampi possessi anche
nella diocesi di Volterra), erano assai sparse e disgregate per poter dare origine a
forti signorie rurali.
Le proprietà delle due famiglie più importanti, i Gherardeschi e i Cadolingi,
pur ben presto passate nelle mani degli abati dei rispettivi monasteri familiari
(rispettivamente S. Maria di Serena e S. Maria di Morrona) o dei vescovi di Lucca
e di Volterra, si dislocano in aree distinte con una vocazione di espansione verso il
Valdarno per i Gherardeschi e rivolta s sud, verso la Val di Cecina per i Cadolingi. I
castelli di Ricavo6 e Montecastello e quello di Capannoli paiono avere una funzione
di controllo sulla viabilità che collegava il Valdarno e la Valdera con il volterrano e
la Valdelsa. L’interesse per la zona sud-occidentale da parte dei Cadolingi potrebbe
aver mirato al controllo delle risorse minerarie. In effetti la porzione di territorio
compresa tra Montevaso, Chianni e Casciana Terme rappresenterebbe l’estremo
lembo settentrionale di quella attività estrattiva che è ormai ben conosciuta a
livello archeologico e che comprendeva l’intera fascia delle colline livornesi fino
alla Maremma. Solo l’attività di ricognizione sui siti abbandonati di Montevaso e
Rocca di Montanino possono in via preliminare, in attesa di una decisiva campagna
archeologica, confermare queste ipotesi che non trovano riferimenti nelle fonti
scritte, almeno quelle edite. Il rinvenimento nei pressi delle mura del castello di
Montanino di frammenti di crogioli e scorie ferrose è, alla luce di queste ipotesi, un
dato interessante.
Per quanto riguarda il resto dei numerosi castelli della Valdera, a prima vista
pare assente una strategia pianificata alla base della rete di insediamento di tipo
castellano. Sia nel territorio della diocesi di Lucca sia in parte in quello di Volterra
la pluralità dei soggetti impegnati nella promozione dell’incastellamento tendono
6
MORELLI 1997, p. 104.
117
innanzitutto a stabilire dei capisaldi nell’ambito dei loro possedimenti7, forse con
una concentrazione di strutture fortificate sui crinali orientale e occidentale della
valle. E’ comunque documentata una diffusione piuttosto generalizzata e casuale e
proprio questo potrebbe essere stato il fattore principale di debolezza che porterà ad
un radicamento piuttosto superficiale sul territorio e ad una precoce disgregazione
dell’assetto territoriale sviluppatosi in conseguenza dell’alto numero di castelli
fondati (Fig. 1).
1
3
2
4
5
6
7
8
9
10
11
12
13
14
15
16
17
18
20
Castello
S. Gervasio
Castello Berolfi
Montemagnifridum
Usigliano
Cumulo
Castello Geremie
Colleoli
Cevoli
Pietracassia
Perignano
Lari
Montalto
Lucagnano
Capannoli
Rustica
Collecarelli
Cerretello
Crespina
Camugliano
21
Santo Pietro
19
22
23
24
25
26
27
28
Chianni
Montevaso
Pava
Vivaia
Morrona
Laiatico
Ricavo
Forcoli
29
Montecastello
30
31
32
33
34
35
36
37
38
39
40
41
42
Alica
Soiana
Pratiglione
Ghizzano
Lavaiano
Toiano
Tampiano
Legoli
Collemontanino
Peccioli
Cedri
Orciatico
Parlascio
7
8
118
Data
930
939
986
990
1004
1014
1019
1021
1024
1034
1040
1040
1042
1051
1051
1052
1061
1064
1072
Detentore
Vescovo di Lucca
Berolfo/Perizio del fu Orso
Lamberto di Azzo
Ranieri di Teudegrimo (Farolfi)
Conti Gherardeschi
?
?
Conti di Cevoli, Pava e Montecuccheri
8
Conti Cadolingi
?
Farolfi
Farolfi
?
Conti Gherardeschi
Vescovo di Lucca
Conti Gherardeschi
Abbazia di Sesto
Ildebrando del fu Alcherio
Vescovo di Lucca
Conti di Cevoli, Pava e
1078
Montecuccheri
1086
?
fine XI sec. Conti Cadolingi
1109
Ranieri di Ildebrando
1109
Conti Cadolingi
1109
Conti Cadolingi
1109
?
1118
Conti Gherardeschi
1119
Conti Gherardeschi
Conti Gherardeschi/Monastero di
Ante 1119
Serena
Lambardi Montekkenses
1120
1120
Conti Cadolingi
1123
Conti Gherardeschi
1124
?
1131
?
1134
Cenamo del fu Rodolfo
1134
?
1139
Pannocchieschi
1152
Conti Cadolingi
1153
Vescovo di Lucca
1161
Guglielmo conte di Rainucino
1185
?
1040
?
Diocesi
Lucca
Lucca
Lucca
Lucca
Lucca
Lucca
Lucca
Lucca
Volterra
Lucca
Lucca
Lucca
Lucca
Lucca
Lucca
Lucca
Lucca
Lucca
Lucca
Piviere
S. Gervasio
S. Maria di Sovigliana
S. Gervasio
S. Gervasio
S. Maria di Bambinaia
S. Maria di Triana
S. Gervasio
S. Maria di Sovigliana
S. Maria di Triana
S. Maria di Triana
S. Maria di Triana
S. Maria di Triana
S. Giusto di Padule
S. Giusto di Padule
S. Gervasio
S. Gervasio
S. Maria di Triana
S. Maria di Sovigliana
Lucca
S. Maria di Sovigliana
Volterra
Volterra/Pisa
Volterra
Lucca
Volterra
Volterra
Lucca
Lucca
S. Giovanni a Paterno
S. Maria di Pomaia
Pieve a Pitti
S. Maria de Aquis
S. Maria di Morrona
S. Leonardo
S. Petro di Mosciano
S. Gervasio
Lucca
S. Gervasio
Lucca
Lucca
Lucca
Volterra
Lucca
Volterra
Volterra
Volterra
Lucca
Volterra
Volterra
Volterra
Lucca
S. Gervasio
S. Maria di Sovigliana
S. Maria di Bambinaia
S. Bartolomeo al Pino
S. Maria di Triana
S. Maria di Toiano
S. Maria di Toiano
S. Maria de Aquis
S. Bartolomeo al Pino
S. Bartolomeo al Pino
S. Maria de Aquis
AUGENTI 2000b, p. 118.
Per Pietracassia Augenti lo dice detenuto dai Gherardeschi nel 1028: AUGENTI 2000b, p. 114
Fig. 1: carta di distribuzione dei castelli documentati in Valdera tra X e XII secolo (tra parentesi è la data di attestazione del castello).1: S.
Gervasio (930); 2: Castello Berolfi (939); 3: Palaia (986); 4: Usigliano (990 (AUGENTI 2000b) o prima metà XII s. (MORELLI 1997));
5: Cumulo (1004); 6: Castello Geremie (1014); 7: Colleoli (1019); 8; Cevoli (1021); 9: Pietracassia (1024); 10: Perignano (1034);
11: Lari (1040); 12: Montalto (1040); 13: Lucagnano (1042); 14: Capannoli (1051); 15: Rustica (1051); 16: Collecarelli (1052);
17: Cerretello (1061); 18: Crespina (1064); 19: Chianni (1086); 20: Camugliano (1072); 21: S. Pietro (1078); 22: Montevaso (fine
XI sec.); 23: Pava (1109); 24: Vivaia (1109); 25: Morrona (1109); 26: Laiatico (1109); 27: Ricavo (1118); 28: Forcoli (1119);
29: Montecastello (1119); 30: Alica (1120); 31: Soiana (1120); 32: Pratiglione (1123); 33: Ghizzano (1124); 34: Lavaiano (1131);
35: Toiano (1134); 36: Tampiano (1134); 37: Legoli (1139); 38: Montanino (1152); 39: Peccioli (1153); 40: Cedri (1161); 41:
Orciatico (1185); 42: Parlascio (1040).
119
Visibilità e persistenze degli insediamenti medievali.
La notevole ricchezza della documentazione d’archivio riguardante il comprensorio della Valdera ha permesso in modo piuttosto esaustivo di delineare un quadro
dell’insediamento umano che caratterizzava questo ampio territorio tra i secoli X
e XIV, fino alla conquista fiorentina che decretò la fine della politica di controllo
della vicina città di Pisa.
Se la ricerca d’archivio, la toponomastica e la buona conservazione dell’assetto
urbano dei centri storici di molte delle località che ancora compongono il tessuto
abitativo della Valdera ci restituiscono indicazioni preziose per la determinazione
della distribuzione dell’abitato medievale, rimangono ben poche tracce di strutture
precedenti alla fase basso medievale di nascita e sviluppo, anche urbanistico, dei
comuni rurali legati politicamente a Pisa.
Dei quarantadue castelli documentati tra X e XII secolo, ventidue sono localizzabili in altrettanti centri abitati (capoluoghi di comune
e frazioni) (Fig. 2), mentre di
tre se ne conosce la posizione
nei pressi di abitati che hanno
acquisito il nome dell’antico
castello (Perignano, Toiano,
Collemontanino); in altri casi
ad una villa di epoca moderna
è stato attribuito il toponimo
documentato per l’attestazione del castello medievale (Usigliano, Camugliano, Pava, Cedri). In definitiva circa
l’88% delle attestazioni documentarie trova una collocazione abbastanza precisa
sul territorio, anche se in realtà la posizione o la semplice indicazione dell’area si
basa pochissime volte sulla presenza di emergenze murarie ancora visibili o dai dati
della ricognizione di superficie. Per cinque siti esistono dubbi sulla reale identificazione del luogo, si tratta del castello Berolfi, del castello Geremie, di Rustica, di Collecarelli e di Tampiano. I castelli che conservano anche minime parti di strutture
medievali in pietra sono nove: Palaia, Alica, Toiano, Orciatico, Pietracassa, Montevaso, Collemontanino, Parlascio, Capannoli. Per Chianni sono ancora visibili
porzioni di edifici abitativi medievali in pietra del borgo. Per Pratiglione e Cumuli,
l’attività di ricognizione ha permesso la raccolta cospicua di materiali ceramici e
da costruzione che confermano la cronologia di attestazione del centro incastellato
in quel luogo.
La Tabella seguente elenca la prima e l’ultima attestazione nota di alcuni castelli
della Valdera.
120
Castello
Berolfi
Cumulo
Geremie
Pietracassa
Perignano
Montalto
Lucagnano
Capannoli
Cerretello
Crespina
Camugliano
Lavaiano
Toiano
Tampiano
Cedri
Prima attestazione
939
1004
1014
1024
1034
1040
1042
1051
1061
1064
1072
1131
1134
1134
1161
Ultima attestazione
939
1004
1014
1434
1034
1040
1209
1051
1314
1115
1345
1209
1364
1201
1284
Rocca di Montanino
Della Rocca di Montanino (Figg. 3-4), nei pressi del borgo di Collemontanino, si hanno a di9
sposizione ben poche notizie edite. La prima attestazione è piuttosto tarda e risale al 1152 .
Il Libellus extimi Lucane dyocesis del 1260 elenca tra le dipendenze della pieve di Aqui la chiesa
10
di S. Lorenzo di Montanino .
La scarsità delle fonti scritte è ampiamente colmata dalla notevole conservazione delle strutture del castello medievale, segno inequivocabile della presenza e dell’importanza di Montanino
nei secoli centrali del medioevo, fortificazione forse da attribuire ai conti Cadolingi.
La ricognizione del sito, ha permesso di documentare preliminarmente le emergenze murarie
superstiti relative al castello medievale in pietra.
Le murature conservate e la morfologia del terreno permettono, in via ipotetica, di determinare la pianta del centro incastellato, composta da un’ampia area corrispondente al cassero,
interamente cinta da mura, con i lati est e in parte sud e nord affacciati direttamente sullo
strapiombo determinato dal ripido versante scosceso della collina, e il lato ovest che doveva
con tutta probabilità collegarsi al pianoro sottostante dove si estendeva il borgo abitato entro
la seconda cerchia muraria.
Le strutture conservate sono ancora molte. Innanzitutto sono evidenti almeno tre quarti della
cinta muraria del cassero, con al centro la torre di avvistamento a pianta rettangolare, mentre
tra la vegetazione si scorgono alcuni ambienti, forse edifici di servizio.
Ad una prima analisi delle murature è possibile indicare una tecnica muraria simile per la
torre di avvistamento centrale e la prima cinta muraria, dove sono utilizzate bozze e bozzette
a profilo generalmente squadrato, con superficie irregolare, in opera a filari regolari, tenuti
con malta piuttosto friabile che si è mantenuta solo nel nucleo della struttura.
9
ALBERTI 2007.
PESCAGLINI MONTI 1981b, p. 6.
10
121
Il castello di Montevaso
Antico castello i cui resti sorgono su un poggio di gabbro a 634 m s.l.m., localizzato a circa
2,5 Km a sud-ovest di Chianni, sullo spartiacque che divide la valle dello Sterza dalle valli del
Tora e del Fine (Figg. 5-6).
Montevaso faceva parte dell’ampio patrimonio dei conti Cadolingi, i quali verso la fine dell’XI
secolo incastellarono questo loro possedimento. L’estinzione della famiglia, dopo la morte di
Ugolino III nel 1113, provocò l’inizio della lunga disputa che vide contrapporsi per il possesso
del castello il vescovo di Volterra e l’arcivescovo di Pisa. La lotta culminò con la definitiva
distruzione del castello intorno al 1150 e l’assegnazione dei beni di pertinenza all’arcivescovo
11
di Pisa .
Sulla base delle fonti scritte, e in assenza di una indagine archeologica sui resti del castello,
è possibile ipotizzare la cronologia di costruzione e distruzione del castello di Montevaso. Il
conte Uguccione I fece costruire il castello prima della sua morte avvenuta nel 1096. Lo stesso
castello fu distrutto prima della morte dell’ultimo conte, Ugolino III, avvenuta nel 1113. La
ricostruzione della fortificazione si situa tra il 1139 e il 1150, anno in cui essa fu nuovamente
distrutta. L’arcivescovo Villano dovette provvedere alla riedificazione della fortificazione se
nel 1152, in un atto di vendita stipulato con l’abate del monastero di Morrona, Montevaso è
12
di nuovo definito “castrum” .
La posizione isolata dell’insediamento che sorge sulla sommità del colle e il precoce abbandono delle strutture sono probabilmente un fattore di conservazione del deposito archeologico
conservato al di sotto degli estesi crolli.
Le sole ricognizioni sul luogo hanno permesso, con l’aiuto della documentazione aerofotogrammetrica, di determinare la consistenza delle emergenze murarie conservate. Il complesso
è costituito da due cinte murarie all’incirca circolari e concentriche. La cinta muraria interna,
che costituiva il cassero del castello, è conservata in alcuni tratti visibili, mentre nello stesso
spazio è documentabile una ampia cisterna con copertura a volta e rivestimento di intonaco
idraulico. La cinta muraria esterna, che racchiudeva l’abitato del castello, è visibile in almeno
quattro tratti distinti, perlopiù con il nucleo a vista. Gli spessi crolli di pietre presumibilmente
relative alle abitazioni che dovevano occupare la vasta area racchiusa fanno ipotizzare la conservazione di buona parte dell’abitato.
11
Per la giurisdizione dell’arciverscovo di Pisa su Montevaso si veda CECCARELLI LEMUT 1998, pp. 132133.
12
TOZZI 1994, pp. 23-26
122
Il castello di Parlascio
Del castello di Parlascio sono rare le notizie edite desumibili dalla ricerca d’archivio. Di esso
infatti non abbiamo documenti che ci indichino il periodo di fondazione della struttura forti13
ficata e neppure i detentori che lo fondarono. La prima attestazione è del 1040 .
Il piccolo borgo nato intorno all’antico castello non ha occupato lo spazio del cassero e di
buona parte dell’area entro la seconda cinta muraria, mentre solo parzialmente si è conservata la chiesa romanica dei SS. Quirico e Giuditta, in origine decorata in facciata con bacini
ceramici.
L’indagine archeologica nell’area del cassero (Figg. 7-8), ha permesso di documentare i tratti
nord e ovest della cinta muraria, con i resti di almeno due torri quadrangolari, e interventi
bassomedievali di ricostruzione o restauro della struttura. All’interno dell’area sommitale del
castello il deposito archeologico è risultato piuttosto compromesso. Con l’abbandono e la distruzione del castello lo spazio occupato dal cassero è stato utilizzato nel tempo come vigneto;
l’intervento dell’uomo in questo senso ha causato l’asportazione di buona parte del crollo dei
perimetrali, mentre l’impianto della vigna, molto profondo, ha intaccato la stratigrafia sottostante. Lo scavo condotto ancora nel 2011 nel pianoro sottostante ha invece riportato alla luce
14
in importante insediamento etrusco .
Torre Aquisana (Casciana Terme)
La corte di Aqui è attestata per la prima volta in una carta di donazione del 15 novembre1024,
con la quale Ferolfo e Ubaldo, figli del fu Teudegrimo, offrivano alla chiesa di S. Cassiano di
Carigi “ubi monasterio edificatum esse debet” beni di loro proprietà tra i quali “unam casam
et casinam dictam Carbonaria, que resta est per Andrea de Focaia et omnes terras et vineas
suas donicatas et massaricias in loco et finibus Colle Toncioli, in loco Tavernule, in loco Querciole de pertinentia de curte de Aqui”. La stessa corte è ricordata il 6 aprile 1109, quando
13
MORELLI 2006, PP. 117-125.,
Una prima campagna di scavo ha interessato il castello nel 1999; altri interventi archeologici, soprattutto
nel pianoro sottostante sono stati condotti dal prof. Bruni tra il 2002 e 2011: BRUNI, ARBEID, ASCARI RACCAGNI
14
123
Ugolino, appartenente alla famiglia dei Cadolingi, per la somma di lire 40 dette in pegno
all’abate di Morrona Gerardo la metà intera della sua parte de “Aquisiana curte” con la metà
intera della sua parte del castello di Vivaia “cum eorum districto et cum amni iure seu omnia
eorum pertinentia”, escluso il castello di S. Luce con la sua corte. La prima attestazione del
15
Comune “de Aquis” è del 1161 .
Le evidenze medievali più importanti a Casciana Terme sono relative al complesso detto
“Torre Aquisana”, costituito da una torre di avvistamento, divenuta poi torre campanaria,
e da una serie di edifici addossati costruiti in bozzette di pietra, in opera a filari regolari, che
daterebbero la struttura tra la fine dell’XI e gli inizi del XII secolo (Figg. 9-10).
La corte probabilmente di Aqui non fu mai incastellata. I conti Cadolingi, proprietari della corte stessa, preferirono incastellare alcuni centri vicini, come Vivaia e forse Montanino,
mentre riservarono ad Aqui l’esclusiva funzione di centro organizzativo e direzionale per lo
sfruttamento anche agricolo delle vaste proprietà del territorio circostante. Questo certo non
impedì la costruzione all’interno del centro abitato di strutture con valenza anche difensiva,
come poteva essere quella della torre di avvistamento di Aquisana, forse in collegamento visivo col vicino castello di Vivaia.
Il castello di Chianni
In un documento datato 26 maggio 1086 è riportato “actum suprascripto loco et finibus Clani
16
prope ipso Castello” . In questo stesso documento è ricordata anche una chiesa dedicata a S.
Michele Arcangelo. Il 29 maggio 1146 Chianni è nominato in una conferma di privilegi da
parte di papa Eugenio III all’arcivescovo pisano Villano. Con il privilegio del 28 agosto 1186
Enrico VI assegnò il castello di Chianni al vescovo di Volterra, mentre lo stesso imperatore
con il diploma del primo marzo 1191 assegnò a Teudicio, podestà di Pisa, tra gli altri anche il
castello di Chianni. La politica imperiale non fece che rinvigorire le dispute tra Pisa e Volter2011; BRUNI 2006 e in questo volume ALBERTI 2006d, pp. 97-105 e ALBERTI-BALDASSARRI-STIAFFINI 2006,
pp. 1’7-116..
15
Per una sintesi sulla corte di Aqui si veda PESACGLINI MONTI 1981b. Per un excursus sui castelli dell’area
di Casciana Terme cfr. ALBERTI 2007.
16
Per una sintesi dell’edito si veda FABBRI 1986, pp. 22-26.
124
ra. Nel 1285 Ranieri, vescovo volterrano, si rivolse al comune di Firenze perché provvedesse
a custodire il castello dalle pretese pisane. Nonostante ciò Chianni e Rivalto rimasero sotto il
dominio di Pisa a cui furono riconosciuti dall’imperatore Carlo IV nel 1355 e nel 1363. Per
tutto il XIV secolo i due centri rimasero in possesso dei pisani, fino al 1406 quando, caduta
Pisa in mano fiorentina, anche molti dei centri del contado subirono la stessa sorte.
Non ci sono tracce evidenti di strutture correlabili alle fortificazioni del castello medievale
di Chianni. Solo la morfologia della collina su cui sorge l’attuale borgo e l’organizzazione
urbanistica dell’abitato ci aiutano a formulare alcune ipotesi circa la planimetria del castello.
L’attuale piazza del Castello, antistante la facciata della pieve di S. Donato, per la forma, una
ellisse irregolare, e la posizione, sul poggio più elevato del paese, corrisponde a quello che
nel medioevo doveva essere il cassero del castello. Lo spazio, occupato successivamente dalle
abitazioni del borgo che fino al XIX secolo costituivano un intero quartiere al centro della
piazza, è delimitato da una serie di edifici in sequenza che i recenti restauri non consentono
più di leggere in modo corretto, ma che verosimilmente si devono a interventi di epoca post17
medievale in appoggio ai resti della cinta muraria. La pieve di S. Donato , con le sue attuali
forme seicentesche, conserva porzioni visibili di costruito di epoca medievale, confermando
la stessa ubicazione per la chiesa castellana di S. Donato attestata fin dal medioevo. L’edificio
moderno ha una pianta a navata unica, con doppie cappelle laterali, abside semicircolare
e facciata rivolta a sud, in evidente posizione favorevole alla rifunzionalizzazione dell’area
dell’attuale piazza. Le porzioni di muratura medievale, in conci di travertino e calcare, a filari regolari, sono visibili al di sotto dell’intonaco in più punti distaccato e caduto in almeno
due prospetti del perimetrale est, corrispondenti alla prima cappella interna sinistra (Fig. 11).
L’emergenza residua potrebbe corrispondere alla facciata e al perimetrale nord della chiesa
romanica, in base alla tecnica muraria costruita indicativamente entro il XII secolo, con il
portale di accesso ad arco a sesto leggermente ribassato. Nella porzione visibile del suddetto
perimetrale nord è evidente almeno una apertura. Porzioni di simile muratura sono visibili
anche alla base dell’attuale campanile, in asse verso est con le strutture prima descritte. La
preliminare lettura dell’edificio farebbe ipotizzare una fase romanica in cui la chiesa, a navata
unica, era canonicamente rivolta verso occidente, pur nel ristretto spazio ricavato entro il
castello. Nel borgo sviluppatosi sul crinale nord/ovest-sud un solo edificio conserva in parte il
paramento esterno in pietra squadrata (Fig. 12).
17
San Donato diviene pieve dal 1349, dopo il trasferimento del fonte battesimale dall’antica pieve di San
Giovanni a Paterno. Nell’area di Paterno è stato recentemente condotto uno scavo che ha riportato in luce
edifici romani e medievali: MONTAGNANI s.d.
125
Il castello di Pietracassa
La prima attestazione del castello di Pietracassa risale all’8 luglio 1028. Tra i contraenti dell’accordo riguardante molte proprietà sparse nelle diverse contee toscane ci sono i conti di
Montecuccheri, che a quella data erano quindi i proprietari di almeno uno parte del castello.
Solo più tardi dovrebbero entrare in scena i Cadolingi che, attraverso le disposizioni testamentarie di Ugolino III sappiamo essere i possessori del castello. E’ proprio con i documenti
del 1113 che l’ultimo rappresentante della famiglia comitale restituisce i beni di provenienza
ecclesiastica ai vescovi delle rispettive diocesi e quindi tra il 1113 e il 1115 il vescovo di Volter18
ra Ruggero riuscì ad ottenere quasi l’intera proprietà di Pietracassa . Lo stesso Ruggero nel
1123 fu eletto anche arcivescovo di Pisa e da quel momento si dedicò attivamente ad accrescere il patrimonio arcivescovile nel volterrano e nelle Colline Pisane. La storia successiva di
Pietracassa è un continuo rivalersi dei diritti giurisdizionali sul castello da parte del vescovo di
Volterra e della città di Pisa, sempre avallati da diplomi imperiali e bolle papali.
Ancora oggi sono visibili in alzato buona parte della cinta interna del cassero, munito di una
torre a pianta quadrata e di una eptagonale, e della cinta esterna del borgo che corre lungo
i lati sud e ovest della collina, lasciando libera la parete nord/est, caratterizzata da una forte
pendenza e quindi già difesa naturalmente. Studi recenti hanno interessato il castello dal punto di vista delle murature, con una attenta documentazione delle emergenze e la ricostruzione
19
delle strutture e delle tecniche difensive (Figg. 13-14).
La Rocca di Palaia
Poggio tufaceo al centro dell’abitato di Palaia, esso rappresenta la parte sommitale (cassero)
dello scomparso castello medievale, ricordato a partire dal 986 col nome di Montemagnifrido.
Palaia, ricordata per la prima volta nel X secolo come sede di una curtis dell’abbazia di Sesto,
fu castello privato documentato nell’XI secolo come proprietà dei fratelli Tegrimo e Ugo, figli
di Azzo; nel 1077 il castello, un tempo detto Montemagnifridum, fu donato al vescovo di Lucca.
Con il diploma di Arrigo VI, del 20 luglio 1192, e dei successivi dovuti a Ottone IV (1209),
Federico II (1220) e Carlo IV (1354), venne riconosciuta la giurisdizione religiosa del territorio
20
al vescovado lucchese e quella politica alla repubblica pisana .
18
Pietracassa è tra i castelli appartenenti al vescovo di Volterra nella bolla di Alessandro III (1171), nei
diplomi di Enrico VI (1189 e 1194), di Federico II (1220), di Carlo IV (1355); appare entro i confini del
contado pisano nei diplomi di Enrico VI (1191 e 1192), e nei privilegi di Ottone IV (1209) e Federico II
(1220 e 1221): si veda per questo CIONINI 1993-1994.
19
CIONINI 1993-1994; CIONINI 1997; DRINGOLI 1997.
20
Per una sintesi storica aggiornata su Paiaia si veda PESCAGLINI MONTI 2000, pp. 107-150. Per gli strudi
sul castello di Palaia si veda ALBERTI 2000, pp. 171-179 e ALBERTI et alii 2004.
126
Il centro storico di Palaia ha una struttura urbanistica che deriva direttamente dallo sviluppo
dell’abitato basso medievale intorno all’antico castello in pietra (Fig. 15). Nel tessuto urbano
si inserisce la chiesa medievale di S. Andrea, costruita indicativamente nella seconda metà del
XIII secolo, periodo di massima espansione per Palaia, con l’edificazione anche della pieve
21
di S. Martino , anche se una chiesa dedicata a S. Andrea è ricordata dentro il castello già a
partire dal 1077.
Del castello in pietra rimangono ben poche tracce visibili. Innanzitutto gli edifici del borgo,
almeno quelli leggibili, non presentano materiale di recupero in pietra, ma sono tutti costruiti
in laterizio, a testimonianza dell’uso prevalente del mattone nell’edilizia basso medievale. La
Rocca, ossia quel che rimane del cassero del castello, per una buona metà crollato durante
il terremoto del 1846, conserva labili tracce di strutture. Si tratta dei ruderi di una cisterna,
ancora costruita in laterizio, che in realtà potrebbe riferirsi ad un utilizzo più tardo della
parte sommitale del poggio come area per la raccolta delle acque piovane, così come si ha
22
testimonianza in altri castelli della zona , e di almeno un lacerto di muro in bozze di pietra,
con doppia risega di fondazione, visibile in sezione sul lato sud del poggio. Potrebbe trattarsi
in questo caso di un perimetrale di un edificio in buona parte crollato col cedimento della
collina (Fig. 16).
Il castello di Alica
Il castello di Alica ha la sua prima attestazione nel 1120, quando è luogo di rogazione degli
atti che relativi alla fondazione dei castelli di Montecchio, nei pressi di Calcinaia lungo l’Arno,
da parte dei fratelli Gherardo e Guido del fu Lamberto. Lo stesso castello fu ceduto nel 1154
da Erminia, figlia di Guido da Montecchio, e suo marito Pepe di Ugo dei conti Gherardeschi
23
al vescovo lucchese Gregorio .
Il recente restauro della villa rustica dei Riccardi di Firenze ha permesso di documentare le
fasi di trasformazione da palatium vescovile a residenza signorile di proprietà dei Gambacorti,
e dalla ridefinizione delle strutture in grancia di proprietà della certosa di calci, fino al defini24
tivo assetto di villa (Figg. 17-18).
21
Uno scavo nella zona absidale della pieve è stato condotto nel 2005: CIAMPOLTRINI-LEPORATTI 2006,
pp. 35-41.
22
Si veda la fase post-medievale della Rocca di Montopoli: ALBERTI-DEL CHIARO-SEVERINI-STIAFFINI 1995,
pp. 265-282.
23
MORELLI 2002, p. 15.
24
MONTEVECCHI 2010, pp. 29-58
127
Il castello di Capannoli
Il castello di Capannoli, fondato dai Gherardesca, è attestato per la prima volta nel 1054,
quando pare già in fase di superamento (illo vecchlo) e forse sostituzione col vicino castello di
Rustica.
Alla metà circa del XII secolo il castello di Capannoli (forse in riferimento a quello di Rustica)
era in buona parte nelle mani del vescovo di Lucca, mentre ancora uno dei figli di Guido III,
Ugolino, conservò la propria quota e si disse conte di Capannoli dividendo con il vescovado
lucchese la signoria sul castello. Riguardo a Pratiglione Ranieri, di Guido II, nel 1153 vendette la sua parte, un terzo del castello e del distretto, al vescovo Gregorio. Nel 1164 il possesso
è confermato alla diocesi di Lucca da Federico I; è verosimile quindi che in questo stesso periodo anche gli altri membri della famiglia, possessori di quote del castello, abbiano ceduto i
loro diritti al vescovo lucchese.
L’insediamento fortificato sarà poi abbandonato e sostituito in epoca moderna da edifici privati di tipo rurale e poi dalla settecentesca villa Pucci, successivamente acquistata e parzialmente modificata dai Baciocchi nel XIX secolo (Fig. 19).
Recenti interventi manutentivi della villa hanno permesso di documentare una porzione di
muratura in pietra, su cui poggia parte del perimetrale sud della villa, costruito con bozzette
25
in opera a filari regolari e che potrebbe rappresentare la facies originale del castello (Fig. 20).
Lavori per la piazza e risistemazione del terrazzo a prato sul lato nord dell’edificio hanno poi
permesso di raccoglie numerose ceramiche e monete cronologicamente comprese tra il XIII
e il XVI secolo.
25
128
ALBERTI et alii 2010.
Le terrenuove e la costruzione del contado pisano nel basso medioevo:
inquadramento storico e indagini architettonico-archeologiche.
A partire dal XIII secolo il paesaggio cambia. Il controllo ormai completo
dell’entroterra da parte della città di Pisa e la necessità di un presenza sempre più
capillare di propri ufficiali a difesa dell’unità del territorio, portò alla creazione di
una serie di circoscrizioni denominate Capitanie. Con questo strumento il contado
veniva suddiviso in numerosi distretti amministrativi e giudiziari, con a capo un
ufficiale pisano (Capitano): attraverso questi il governo vigilava anche contro le
possibili pretese di affermazione di diritti soprattutto dei vescovi di Lucca, e in
misura minore di Volterra, le cui diocesi si estendevano anche nell’ampia area
sottoposta alla città costiera.
In effetti caratteristica peculiare dell’organizzazione amministrativa del contado
pisano fu la mancata coincidenza tra le circoscrizioni ecclesiastiche e quelle civili,
determinata dal fatto che il contado pisano si estendeva su alcune aree dipendenti
dal vescovo di Lucca, come il comprensorio della Valdera, ad esclusione dei territori
di Peccioli, Laiatico, Terricciola e Chianni, invece entro la diocesi di Volterra.
In questo quadro di organizzazione e controllo da parte del governo della città il
fenomeno delle terrenuove è uno degli aspetti di novità che si manifesta in quello
stesso periodo. Le sedi di capitania e dei comuni rurali del territorio pisano furono
infatti sia centri preesistenti (castelli, borghi rifortificati) ma anche centri di nuova
fondazione.
Questi centri di nuova fondazione (terre nuove) nascono in luoghi strategici dal
punto di vista del controllo militare ed economico del territorio (ad esempio lungo
le viabilità principali, nei pressi di ponti e attraversamenti di fiumi), con parametri
urbanistici nuovi e con lo scopo di riorganizzare l’abitato sparso circostante. La
stessa politica seguirà Lucca, con la fondazione delle terre nuove di Castelfranco e
di S. Croce.
La nascita di un nuovo centro fortificato infatti aveva non solo motivazioni militari
e di controllo, ma anche di riorganizzazione territoriale, con la sostituzione di
tutta una serie di piccoli centri rurali con un numero minore di centri fortificati,
rappresentando un polo di attrazione per la popolazione circostante, oltre ad avere
lo scopo dichiarato di esercitare un controllo sulla viabilità.
Nel territorio pisano questo fenomeno si documenta in momenti successivi: una
precoce affermazione dei diritti vescovili, che si palesano nell’area del lago di Sesto
con la fondazione del “castello novo” di Bientina (1181); una politica programmata
del governo cittadino che si manifesta con la costruzione di terre murate nella
seconda metà del XIII secolo e nella seconda metà del Trecento, con motivazioni
e probabilmente funzioni differenti.
La fase duecentesca è rappresentata dalla fondazione di Pontedera, che nel 1269
129
fu popolata dagli abitanti dei villaggi circostanti di Travalda, Tavella e Rapida, e
di Calcinaia che a partire dal 1286 raccolse i popoli di Trecase, Alfiano, Anghio,
Puntone (Sardina), Almezzano e Borgo Malo; nel XIV secolo Ponsacco fu invece
fondata verso il 1365 per raccogliere gli abitanti di Appiano, Petriolo, Gello e
Pegiano, e Cascina nel 137026.
La funzione principalmente militare, a controllo e difesa del confine tra il territorio
in espansione di Firenze e quello di Pisa, sembra essere una delle specifiche
funzioni delle terre nuove pisane fondate nel XIV secolo, ma anche di tutte le
rifortificazioni di antichi castelli e alla costruzione di piccoli fortilizi, in un quadro
politico completamente mutato rispetto ad un secolo prima.
Nella seconda metà del secolo la conquista fiorentina di Volterra e S. Gimignano
spostò la pressione demica in Valdera e in Valditora. Dai registri degli Anziani è
chiaro il lavorio continuo alle fortificazioni esistenti; dalla fine degli anni ’60 del XIV
secolo è indicativo l’abbandono degli insediamenti indifesi e poco protetti per aree
fortificate e meglio difendibili27. La fondazione delle terre nuove trecentesche segue
i parametri fondamentali già caratteristici delle stesse fondazioni duecentesche:
anche se in questa seconda fase la crisi demografica induce ad accentrare la scarsa
popolazione nei villaggi delle campagne in un centro maggiore dove è più facile
gestire le esigue risorse a disposizione.
Accanto a questo sforzo di riorganizzazione anche economica del contado, le
questioni militari, sempre più urgenti inducono Pisa ad attuare un programma di
forte difesa capillare dell’entroterra, soprattutto tra il fiume Cascina e il Chiecina.
Dalla metà del XIV secolo sono documentate tutta una serie di iniziative volte
alla creazione di una evidente linea di difesa con lo scopo di impedire l’avanzata
dell’esercito fiorentino ormai attestato sulla linea più interna delle colline pisane
fino a Castelfranco, terra nuova passata sotto il dominio di Firenze nel 133028, e allo
stesso tempo, si tende alla riaffermazione dell’egemonia politica della Repubblica
pisana con l’istituzione delle varie capitanie. Vengono fortificati o rifortificati i
centri di Lavaiano, Crespina, Perignano e fondato il fortilizio di Casanova, vicino
a Terricciola.
Calcinaia
La struttura del castello di Calcinaia è oggi ricostruibile attraverso l’esistente e le fonti scritte.
Dall’integrazione fra i dati d’archivio disponibili e la documentazione di scavo, insieme ad
una attenta analisi topografica del centro storico, è stato possibile ricostruire il tracciato delle
mura castellane, posizionare le torri e le porte di accesso, rintracciare la viabilità principale e
26
ALBERTI - BALDASSARRI 2004.
LEVEROTTI 1992.
28
PIRILLO 2001, nt. 12, p. 59.
27
130
il sito dell’antica pieve.
Il castello di Calcinaia, ricordato per la prima volta nel 1286, aveva una forma rettangolare,
con fortificazioni esclusivamente in laterizio, almeno a giudicare dall’analisi degli elevati e dai
29
dati raccolti con le numerose campagne di scavo . L’abitato aveva i lati brevi rivolti verso est
ed ovest, nei quali si trovavano le due principali porte di accesso al borgo: Porta d’Arno, sul
lato orientale, a poca distanza dall’antica riva sinistra del fiume, e Porta Pisana, situata sul lato
occidentale rivolto verso la città. Le due porte principali del castello erano sormontate da alte
torri, come ricorda anche la documentazione ottocentesca a proposito della demolizione della
30
Porta Pisana (Fig. 21).
Vi era un altro accesso che si apriva nella torre presso la quale è stato realizzato uno degli
interventi archeologici (detta “torre mozza”). Essa era probabilmente destinata ad una strada
secondaria che conduceva verso il vicino castello di Bientina ed ai passaggi sul suo padule.
Le torri che munivano la terra murata erano probabilmente dieci: le due principali erano
quelle poste sopra le porte di accesso; vi dovevano poi essere quattro strutture turriformi poste
agli angoli del circuito murario; esse erano di forma presumibilmente quadrangolare come
la torre attualmente detta “alla fornace”. Infine le due torri che spartivano lo spazio di ogni
lato lungo erano di forma presumibilmente rettangolare come la “torre mozza”. Le torri
così posizionate andavano a presidiare i lati esterni di sei borghi individuati all’interno della
cinta.
Della cinta muraria oggi si conserva molto poco. Il tratto più integro è quello settentrionale,
dove tuttavia sono ancora documentabili solo alcune porzioni, e dove lo scavo archeologico
ha confermato la presenza della fortificazione tra la torre “alla fornace” e la “torre mozza”.
Una breve sezione integralmente conservata si colloca nel tratto legato al prospetto orientale
della “torre mozza”. La facciavista esterna, costituita interamente in laterizio, non presenta
feritoie o punti di avvistamento. D’altronde questa parte di muro castellano, ricordata nella
documentazione seicentesca come prospiciente l’antica via Pistoiese, è quello ancora oggi
più facilmente posizionabile per la toponomastica in uso (vedi le attuali via delle mura e via
sdrucciolo delle mura (Fig. 22).
Delle mura del lato occidentale, oggi completamente scomparse, si parla ancora in un
documento della fine del Seicento che tratta dello stanziamento di fondi per inghiaiare la
strada che andava da Calcinaia a Bientina e “dalle mura del castello al podere Guidoni”.
Il tratto meridionale e orientale del castello non sono più ricostruibili neppure seguendo il
tracciato degli edifici moderni. D’altra parte lo spostamento cinquecentesco del corso dell’Arno
a sud del borgo causò notevoli problemi di regimentazione delle acque: l’ampliamento
dell’alveo del fiume portò infatti alla distruzione di una ampia porzione dell’abitato. Le torri,
e presumibilmente le mura della fortificazione, vennero demolite sul lato meridionale per
rinforzare gli argini a tenuta delle frequenti e rovinose piene.
Nella seconda metà del XIV secolo, almeno sul lato orientale del castello è documentata la
presenza di un fossato, che farebbe presupporre l’esistenza di una ulteriore struttura difensiva
31
che correva intorno alla terra murata .
29
Per una panoramica sugli interventi di studio archeologico e architettonico su Calcinaia si veda:
ALBERTI, BALDASSARRI 2004; ALBERTI-ANDREAZZOLI-BALDASSARI 2005a, pp. 139-154; ALBERTI-ANDREAZZOLIBALDASSARI 2008; ALBERTI-SORGE 2009, pp. 237-239.
30
DEL CHIARO 2004, pp. 11-24.
31
DEL CHIARO 2004, pp. 11-17.
131
Bientina.
32
Il castello di Bientina, attestato nel 1181 , a pianta irregolare, conserva per intero il
perimetrale sud ed est con tre torri angolari, quadrate; una torre pentagonale sul lato orientale
in relazione ad una delle porte di accesso risulterebbe in parte rimontata. La quarta torre
angolare del castello era posizionata nel luogo dell’attuale torre campanaria, sull’angolo nordest del borgo. I resti della torre, cosiddetta del belvedere, ancora visibili fino alla ricostruzione
dell’attuale edificio turriforme, consistevano in una struttura in laterizio con angolari in conci
di pietra. I lavori di fondazione del campanile hanno riportato in luce l’intera porzione di
fondazione della torre medievale documentando la presenza di almeno tre riseghe in bozze
33
di pietra (Figg. 23-24).
Le tecniche murarie usate nella fabbrica del castello sono diversificate in base ai materiali
34
usati . Sul lato meridionale e orientale si documenta l’adozione della pietra e del laterizio.
La torre dell’angolo sud-ovest, la Torre della Mora, si caratterizza per l’uso di tecnica mista
pietra-mattone, che trova confronti con la fabbrica della torre Upezzinghi di Calcinaia. Anche
in questo caso i due lati visibili (ovest e sud) presentano una cortina muraria in conci squadrati
fino all’altezza del primo piano (circa 2,5 m) dove inizia la muratura interamente in laterizio.
Nella torre di Bientina non esiste però la spartizione tipica delle torri adibite ad abitazione
civile, nè si documentano inserimenti di decorazioni architettoniche confrontabili con quelle
di Calcinaia; si tratta più semplicemente di una struttura di avvistamento e fortificazione del
castello.
La stessa tecnica mista si documenta nella torre d’angolo sud-est, dove però il ricorso alla
pietra è minore (Torre del Giglio). La porzione in conci è infatti ridotta all’angolo orientale
della torre. La torre d’angolo nord-ovest (Torre del Tessitori) è invece completamente costruita
in laterizio. Dalle porzioni mancanti dell’intonaco moderno si scorge almeno una feritoia sul
prospetto settentrionale.
Il ricorso alla tecnica mista, ma in maniera più strutturata, si conferma nei lati ancora visibili
del circuito murario del castello. In essi è infatti evidente la presenza di uno zoccolo in pietra,
costituito da almeno tre filari di conci ben squadrati e levigati in superficie, che costituiscono
32
Per Bientina si veda: CECCARELLI LEMUT 2005; CECCARELLI LEMUT-GARZELLA 2002.
BERNARDI 1986, TAV. XXII.
34
ANDREAZZOLI 2005a, pp. 93-106.
33
132
la base di appoggio per l’alzato in laterizio. Il perimetrale settentrionale del castello è stato
demolito intorno alla metà del ‘900, come anche i quartieri interni alla terra nuova; il tratto
occidentale rimane tracciato nei prospetti delle abitazioni prospicienti la piazza principale,
mentre la facciata della pieve di Santa Maria Assunta, nella facies settecentesca, si trova a
destra di una delle porte del castello, come indicato dal toponimo che ancora si conserva, borgo
della porta. I perimetrali sud ed est sono in buona parte conservati. In essi sono ancora visibili
alcune bocche da fuoco.
Pontedera.
Della fortificazione della terra nuova di Pontedera non rimane traccia visibile. L’unica
testimonianza ancora percepibile sta nella suddivisione regolare di strade e quartieri che
35
ancora riflette la tipica organizzazione urbana interna ai castelli di quell’epoca (Fig. 25).
La fondazione di questa terra nuova avvenne nella seconda metà del XIII secolo. A partire dal
1269 abbiamo infatti la testimonianza dell’esistenza di un castello e di una chiesa pievana a
Pontedera, la cui sorte fu però avversa; infatti in base all’accordo stipulato fra i rappresentanti
di Pisa e quelli di Firenze, in aggiunta al trattato di pace del 12 luglio 1293 fra il comune
pisano e gli alleati guelfi, fu deciso che muros et turres et fossata castri Pontis Ere sarebbero stati
36
smantellati di lì a breve .
L’espansionismo fiorentino nel basso Valdarno, e il controllo che Firenze esercitava dal
XIV secolo in centri non lontani da Pontedera (S. Croce, Montopoli), rese necessaria la
rifortificazione o la nuova edificazione di una serie di “castelli” nell’ambito di una politica di
controllo delle frontiere orientali che Pisa mise in atto a partire dalla metà del ‘300: è in quegli
anni che vengono costruite Ponsacco e Cascina e si documenta il rafforzamento delle mura
del castello di Marti. Fu così che ripreso i lavori anche nell’area di Pontedera: nel 1344 era già
stata costruita una palizzata in legno ed a partire dal 1346 si cominciò a ricostruire il castello,
37
i cui lavori si conclusero nel 1354 .
Del castello medievale, come già detto, rimane la disposizione ortogonale della viabilità
interna, con l’asse principale est-ovest (attuale Corso Matteotti) che collegava le due porte di
35
MORELLI-ANDREAZZOLI-MARSILI 2005; ANDREAZZOLI 2005b, pp. 133-137.
MORELLI 1994, p. 62.
37
MORELLI 1994, p. 73.
36
133
accesso al castello. Confrontando le piante delle terrenuove toscane si nota come anche Pontedera
rispettasse i canoni tipici dell’organizzazione urbanistica dei centri di nuova fondazione; ne è
prova la presenza della grande piazza al centro del borgo sulla quale si affacciava la chiesa del
castello e che funzionava da centro di aggregazione.
La chiesa, attualmente dedicata al SS. Crocifisso è stata fondata in quegli stessi anni ed è
anch’essa edificata in tecnica mista pietra e laterizio e arricchita da elementi in laterizio
decorato aggiunti in una fase di poco successiva.
La ricostruzione del perimetro murario, basata in prima istanza sulla documentazione scritta
e cartografica, ha trovato conferma nel dato archeologico. I lavori di pavimentazione del corso
Vittorio Emanuele e di piazza Cavour, avvenuti nel 1992, hanno permesso di riportare in luce
i livelli di rasatura della Porta Pisana, ubicati esattamente al limite occidentale dell’asse viario
38
principale della terra murata (Fig. 26). Lo scavo ha documentato una struttura quadrata di
7,5 m circa per lato. La cortina muraria visibile, relativa alla fondazione, era composta da
conci in verrucano, e trova confronti con la fondazione della Torre del Belvedere di Bientina.
Ponsacco.
Il castello di Ponsacco è menzionato per la prima volta in una pergamena del 1366 nei pressi
di quel Ponte Sacci, già documentato nel 1197 e in cui andarono a confluire i popoli di Appiano,
39
Petriolo, Gello e Pegiano . Nel 1374 gli abitanti di Ponsacco chiesero al vescovo di Lucca di
trasferire nel castello la pieve e il fonte battesimale di Appiano. Il trasferimento avvenne però
solo nel 1441.
40
Solo sulla base delle descrizioni lasciate dal Mariti è possibile posizionare alcune strutture del
castello oggi non più visibili: la porta Pisana, con la soprastante torre, e la porta Fiorentina,
all’imbocco dell’attuale piazza del Comune. Esse si trovavano rispettivamente sul limite ovest
e est dell’attuale corso Matteotti che corrisponde al principale asse viario interno della terra
nuova, interrotto a circa metà del percorso dalla piazza della chiesa di S. Bartolomeo. Non
esistono porzioni di strutture medievali visibili nel centro storico di Posacco.
38
MARSILI 1994, pp. 93-128; MARSILI 2005, pp. 99-144.
MORELLI 2005, pp. 107-115; LUPI-NOFERI 2004.
40
GIANNETTI 1999.
39
134
Cascina.
41
Cascina è la terra nuova del basso Valdarno meglio conservata, costruita a partire dal 1370 .
La nuova fortificazione andava ad inglobare un’ampia zona già abitata che comprendeva la
42
pieve, documentata come tale a partire dall’875, ma già esistente dal 750 , e l’area ad essa
43
adiacente corrispondente al castello vescovile attestato tra il 1071 e il 1085 .
La struttura urbanistica del centro storico attuale, ancora in parte inglobata nelle mura
trecentesche, ha mantenuto quasi intatta la simmetria regolare degli assi viari tipici della
44
“terra nova” . Si tratta di un asse mediano est-ovest (attuale via Garibaldi) e di otto trasversali
in senso Nord-Sud che suddividono l’abitato in sei fasce di isolati (Fig. 27).
A differenza dei borghi sopra ricordati, l’asse principale, quello cioè che collegava le due
porte del castello (porta Pisana e porta Fiorentina), non corrispondeva all’asse mediano del
rettangolo fortificato ma ad uno posizionato più a sud, con andamento leggermente obliquo
(attuale corso Matteotti). E’ alle estremità di questo che si apriva a est la porta Fiorentina, con
soprastante torre, e a ovest la porta Pisana, ricavata nella cortina muraria adiacente alla torre
del mastio, oggi torre dell’orologio.
Delle fortificazioni della terra murata trecentesca rimangono ampie porzioni della cinta
muraria, soprattutto nel lato nord ed est, e ben undici delle quattordici torri presenti nel
circuito murario, tutte costruite in laterizio: erano previste quattro torri angolari di forma
pentagonale, e dieci torri “rompitratta”, due sui lati corti e tre su quelli lunghi.
I tratti di mura, costruite in bozze di calcare, irregolarmente sfaldate a mazzetta, si appoggiavano
alle torri per l’intera loro altezza. Questo chiarisce, tra l’altro, i modi di costruzione dell’intera
fortificazione: prima furono costruite le torri e poi le porzioni di cinta muraria tra una torre
e l’altra (Fig. 28).
41
GARZELLA 2005, pp. 49-57.
CECCARELLI LEMUT 1994, p. 331.
43
GARZELLA 1986, pp. 78-79.
44
ALBERTI-ANDREAZZOLI-BALDASSARRI 2005, pp. 157-174.
42
135
Archeologia della produzione in Valdera
Il territorio pisano è stata da tempo oggetto di studi approfonditi riguardanti le
attività produttive e artigianali che hanno interessato quest’area dal Medioevo
all’Età Moderna. Le indagini archeologiche e architettoniche degli edifici, insieme
ad una consolidata tradizione di studi ceramologici, hanno permesso di restituire
un quadro abbastanza chiaro delle produzioni ceramiche, dell’organizzazione
non solo delle botteghe artigianali ma anche dei cantieri di costruzione degli
edifici romanici, e quindi delle fasi di estrazione e lavorazione della pietra, della
produzione e dell’uso del mattone.
Le tecniche di costruzione in pietra, l’organizzazione del cantiere e della cave hanno
avuto un una sintesi articolata sia per quanto riguarda l’edilizia urbana pisana45 sia
per le manifestazioni del romanico e pre-romanico nel territorio, e specificatamente
per l’area del Monte Pisano e del Valdarno pisano46. Più specificatamente per la
Valdera le sintesi meglio articolate riguardano le attività dei ceramisti soprattutto a
partire dal XVI secolo e la produzione dei laterizi, con l’uso del mattone decorato
ad arricchire le facciate delle chiese.
L’uso del laterizio nelle fabbriche medievali
In ambito toscano la ripresa consistente della produzione di laterizi sembra collocarsi
a Pisa tra la fine dell’XI e i primi decenni del XII secolo, come dimostrerebbero i
rialzamenti dei campanili di S. Sisto in Corte Vecchia, di S. Andrea e di S. Frediano47.
Di poco successiva, dalla seconda metà del XII secolo, è la comparsa delle prime
strutture completamente in laterizio a Lucca48, in questo caso accompagnate anche
da apparati decorativi in cotto. Ancora alla fine del XII secolo è attestata per la
la chiesa di S. Maria a S. Miniato49, la cui fabbrica, completamente in laterizio, è
arricchita da inserti decorativi in cotto e da bacini ceramici di importazione coevi
alla fondazione dell’edificio50.
La precocità delle attestazioni per la città di Pisa non ha riscontri nel territorio
circostante, dove la testimonianza di un uso consistente di laterizi si attesta per
la prima volta verso tra fine del XII secolo e gli inizi del successivo. A Calcinaia
45
REDI 1991.
Per un quadro delle attività di cava e di cantiere si veda ANDREAZZOLI 2005c, pp. 137-152, che partendo
dall’analisi delle tecniche murarie del monastero di S. Michele alla Verruca correla l’attività di estrazione
con i cantieri edilizi di XI-XII secolo di Pisa. Per quanto riguarda l’analisi della produzione degli elementi
architettonici decorati nella stessa area si veda BELCARI 2005, pp. 173-198.
47
GELICHI-PARENTI 1998, pp. 29-30.
48
Si tratta delle chiese di S. Tommaso in Pelleria e di S. Anastasio, datate con iscrizioni inserite nelle
strutture rispettivamente al 1150 e al 1167, anche se con qualche problema di interpretazione per la fase di
inserimento delle iscrizioni stesse: ALBERTI-MENNUCCI 1998, p. 35.
49
MORELLI 1997, p. 89.
50
BERTI-TONGIORGI 1981.
46
136
un edificio civile turrito (“torre Upezzinghi”), preesistente alla fondazione della
terra nuova della seconda metà del XIII secolo, si caratterizza per una tecnica
di costruzione mista, esclusivamente in conci e bozze di pietra fino all’altezza del
secondo piano, e in laterizio fino al culmine del quarto ed ultimo piano51.
Il floruit della produzione del mattone nel territorio e specificatamente in Valdera
si attesta comunque a partire dal XIII secolo. Ne sono testimonianza i grandi
interventi edilizi legati alla fondazione delle terre nuove di Pontedera e Calcinaia
(rispettivamente 1269 e 1287) per il contado pisano, e di Castelfranco per quello
lucchese (1253), le rifortificazioni e lo sviluppo urbanistico di antichi castelli, come
ad esempio Palaia e Peccioli, e la contemporanea costruzione o ricostruzione di
edifici religiosi, come è documentato nel territorio di Palaia (la pieve di S. Martino
del 1279 e le chiese di S. Andrea e di S. Lorenzo di Gello ancora nella seconda
metà del XIII secolo, la chiesa di S. Maria fondata agli inizi del XIV secolo) (Figg.
29-31).
L’uso di un apparato decorativo realizzato in laterizio, anche se trova esempi già
definiti in edifici religiosi della seconda metà del XII secolo a Lucca, si sviluppa
anch’esso a partire dal XIII secolo, a Lucca e Pisa ma anche nel basso Valdarno,
nelle aree di Montopoli e di Palaia, con limitati esempi a Pontedera e a Vicopisano,
in quest’ultimo caso solo su edifici civili (Fig. 32).
In quei territori più vicini al tracciato della via Francigena il fenomeno sembra
invece piuttosto precoce. Proprio gli edifici religiosi più prossimi al tracciato
della Francigena, tra la Valdelsa e il Valdarno, sembrano anticipatori di modi di
costruire che diverranno entro il secolo successivo patrimonio comune dell’intero
territorio. In effetti le pievi e le chiese che si collocano nel tratto della strada che
collega S. Gimignano a S. Miniato e da qui a Fucecchio e poi ad Altopascio sono
caratterizzate da un opera muraria in laterizio e in molti casi da elementi decorativi
in cotto distribuiti sulle cornici delle aperture. Le testimonianze più importanti
ancora conservate e leggibili sono la chiesa abbaziale di S. Salvatore di Fucecchio,
ricostruita nel luogo attuale nei primi decenni del XII secolo52, la pieve di Coiano,
la cui fase costruttiva in laterizio è datata alla fine del XII secolo53; la pieve di S.
Maria di Corazzano, attestata già nel IX secolo ma che sarebbe stata ricostruita
nelle forme attuali nella seconda metà del XII secolo54; il duomo di S. Maria a S.
Miniato, attestato per la prima volta nel 1195, ed infine la chiesa di S. Lucia di
51
La media armonica dei laterizi definisce un mattone lungo 30,15 cm x 12,17 di larghezza x 5,85
di spessore. Questi dati se confrontati con la curva mensiocronologica di Pisa dovrebbero collocare la
produzione di tali mattoni tra la seconda metà del XII e la prima metà del XIII secolo: ALBERTI-BALDASSARRI
2004, p. 44.
52
MALVOLTI-VANNI DESIDERI 1996, p. 91.
53
DUCCI-BADALASSI 1998, p.72.
54
DUCCI-BADALASSI 1998 , pp. 79-80.
137
Montebicchieri, anch’essa datata alla fine del XII secolo55.
Se la città di Pisa è il centro che anticipa il diffuso utilizzo del mattone nell’edilizia, la
Valdelsa, lungo il tracciato della Francigena, è l’area che introduce più diffusamente
l’uso del laterizio e delle decorazioni in cotto nel basso Valdarno56.
Probabilmente i cantieri per la costruzione di edifici religiosi erano l’occasione per
l’impianto di fornaci che localmente producevano mattoni per il fabbisogno del
cantiere stesso. Forse si trattava di fornaci che venivano impiantate al seguito delle
maestranze che attraverso la via Francigena introducevano un nuovo gusto nel
costruire e nel decorare edifici qualificati, sia religiosi sia civili. Esempi di edilizia civile
anche se poco numerosi sono comunque presenti a Lucca e Pisa, e nella nostra zona
a Vicopisano e a Calcinaia, mentre il maggior numero delle costruzioni si attesta a
partire dalla metà del XIII secolo. L’abbandono dei castelli di pietra e lo sviluppo di
molti borghi intorno alle antiche cinte murarie è storicamente e archeologicamente
documentato per numerosi centri della Valdera e del basso Valdarno. Proprio
55
56
138
MORELLI 2000.
Poli commerciali sottolineati anche in PITTALUGA-QUIROS-CASTILLO 1997, p. 461
in questa fase di aumento demografico e di riorganizzazione politica dei centri
rurali, che entrano a far parte della sfera di influenza principalmente della città di
Pisa, gli interventi edilizi tesi ad una nuova pianificazione urbanistica sono oramai
esclusivamente in laterizio. Questa svolta si ripercuote in maniera evidente nella
rete di produzione del mattone che da occasionale diviene continua e stabile, tanto
da permettere il sostentamento per l’intero anno dell’attività di fornaci e botteghe
oramai qualificate e caratterizzate da cave di approvvigionamento dell’argilla
molto diffuse sul territorio. I cantieri per la costruzione delle terre nuove pisane e
lucchesi del Valdarno, ad esempio, si basano esclusivamente sul laterizio, sia per la
cinta muraria sia per le torri ma anche per gli edifici che componevano il tessuto
urbano interno e le strade. L’impegno economico dedicato agli investimenti in
nuove costruzioni architettoniche tra XII e XIII secolo si rivela notevole non solo in
città, quindi, ma anche nel territorio, dove le comunità locali ma anche il governo
cittadino impiegano risorse che stabilizzano il mercato, dettando le regole ad una
produzione sempre più vincolata57.
La ricostruzione del sistema produttivo nella fase di marcato sviluppo del costruire
in cotto è difficilmente delineabile nelle sue forme strutturali e materiali, in
quanto quasi assenti sono le testimonianze di centri di produzione medievali
archeologicamente documentati. Il caso della fornace di Comana nei pressi di
Castelfranco di Sotto58, che è stata relazionata al cantiere per la costruzione della
terra nuova lucchese, è l’unico, per ora, contestualizzato all’interno di un sistema
di produzione impiantato per un’opera pubblica di grandi dimensioni, anche se lo
scavo non ha restituito i livelli di frequentazione esterni alla struttura.
La produzione dei laterizi
La pluriennale ricerca topografica in Valdera ha permesso di documentare
numerose persistenze di strutture produttive di laterizi, indicativamente comprese
tra il bassomedioevo e l’età moderna, che a gradi diversi sono ancora leggibili nel
territorio (Fig. 33).
Si tratta di fornaci, spesso ubicate nei pressi di edifici importanti, di solito ville
padronali, edificate per le necessità del cantiere di costruzione del palazzo, ma che
probabilmente rimangono in uso per gli usi correnti relativi alla manutenzione
delle vaste proprietà che includevano molti casolari e annessi di tipo agricolo.
L’impianto di fornaci e la produzione di laterizi in Valdera è d’altra parte facilitata dalle caratteristiche geomorfologiche del terreno, che in ambiente collinare,
57
Si veda il quadro della produzione toscana e particolarmente di quella del territorio pistoiese in QUIROS1996, pp. 41-51. Per Pisa cfr. ANDREAZZOLI 2006, pp. 65-80.
58
CIAMPOLTRINI-ABELA 2005, pp. 40-45. Per Castelfranco e le decorazioni della sua chiesa si veda anche
CIAMPOLTRINI-LEPORATTI 2006, pp. 27-49.
CASTILLO
139
in questa fase di aumento demografico e di riorganizzazione politica dei centri
rurali, che entrano a far parte della sfera di influenza principalmente della città di
Pisa, gli interventi edilizi tesi ad una nuova pianificazione urbanistica sono oramai
esclusivamente in laterizio. Questa svolta si ripercuote in maniera evidente nella
rete di produzione del mattone che da occasionale diviene continua e stabile, tanto
da permettere il sostentamento per l’intero anno dell’attività di fornaci e botteghe
oramai qualificate e caratterizzate da cave di approvvigionamento dell’argilla
molto diffuse sul territorio. I cantieri per la costruzione delle terre nuove pisane e
lucchesi del Valdarno, ad esempio, si basano esclusivamente sul laterizio, sia per la
cinta muraria sia per le torri ma anche per gli edifici che componevano il tessuto
urbano interno e le strade. L’impegno economico dedicato agli investimenti in
nuove costruzioni architettoniche tra XII e XIII secolo si rivela notevole non solo in
città, quindi, ma anche nel territorio, dove le comunità locali ma anche il governo
cittadino impiegano risorse che stabilizzano il mercato, dettando le regole ad una
produzione sempre più vincolata57.
La ricostruzione del sistema produttivo nella fase di marcato sviluppo del costruire
in cotto è difficilmente delineabile nelle sue forme strutturali e materiali, in
quanto quasi assenti sono le testimonianze di centri di produzione medievali
archeologicamente documentati. Il caso della fornace di Comana nei pressi di
Castelfranco di Sotto58, che è stata relazionata al cantiere per la costruzione della
terra nuova lucchese, è l’unico, per ora, contestualizzato all’interno di un sistema
di produzione impiantato per un’opera pubblica di grandi dimensioni, anche se lo
scavo non ha restituito i livelli di frequentazione esterni alla struttura.
La produzione dei laterizi
La pluriennale ricerca topografica in Valdera ha permesso di documentare
numerose persistenze di strutture produttive di laterizi, indicativamente comprese
tra il bassomedioevo e l’età moderna, che a gradi diversi sono ancora leggibili nel
territorio (Fig. 33).
Si tratta di fornaci, spesso ubicate nei pressi di edifici importanti, di solito ville
padronali, edificate per le necessità del cantiere di costruzione del palazzo, ma che
probabilmente rimangono in uso per gli usi correnti relativi alla manutenzione
delle vaste proprietà che includevano molti casolari e annessi di tipo agricolo.
L’impianto di fornaci e la produzione di laterizi in Valdera è d’altra parte facilitata dalle caratteristiche geomorfologiche del terreno, che in ambiente collinare,
57
Si veda il quadro della produzione toscana e particolarmente di quella del territorio pistoiese in QUIROS1996, pp. 41-51. Per Pisa cfr. ANDREAZZOLI 2006, pp. 65-80.
58
CIAMPOLTRINI-ABELA 2005, pp. 40-45. Per Castelfranco e le decorazioni della sua chiesa si veda anche
CIAMPOLTRINI-LEPORATTI 2006, pp. 27-49.
CASTILLO
139
prevalentemente tufaceo,
presenta molti affioramenti
naturali di banchi di argilla facilmente recuperabile
per le necessità della produzione. Il terreno tufaceo
permette inoltre di creare,
semplicemente tagliandolo,
il vano entro il quale verrà
costruita la fornace.
L’evidenza
archeologica
che suggerisce la presunta presenta nel sottosuolo di queste strutture produttive,
o dei resti di esse, è l’arrossamento del terreno, che indica un luogo in cui, in maniera circoscritta, si sono raggiunte alte temperature che hanno causato la cottura
del terreno sia esso argilloso che tufaceo. Le tracce possono essere visibili lungo i
tracciati viari minori, dove il limite della strada ha favorito il taglio del tufo naturale
creando una parete di altezza variabile entro la quale è di solito costruita almeno la
camera di combustione della fornace, mentre la camera di cottura poteva rimanere
fuori terra. E’ proprio questa tecnica di costruzione che permette alla camera di
combustione di rimanere integra anche dopo l’abbandono: di solito sono conservati gli archetti in laterizio che costituiscono il prefurnio che conduce al vano fuoco.
I resti della piccola fornace di Montacchita sono l’esempio più calzante della
visibilità archeologica di queste strutture produttive nel nostro territorio (Fig.
34). Sulla strada che collega Montacchita a Montechiari, subito sopra Forcoli, il
limite nord del tracciato è costituito da una parete di tufo naturale che disegna un
pianoro irregolare utilizzato come uliveto. Sulla parete era ben visibile la traccia
di arrossamento che comprendeva anche un archetto in laterizio di elementi per
testa in appoggio a pareti laterali che determinavano l’imboccatura della camera
di combustione (prefurnio) della fornace, la quale doveva elevarsi ben oltre la quota
del pianoro ma di cui si sono persi anche i depositi di crollo esterni. La pulizia
superficiale della parete ha permesso di documentare una zona verticalmente
delimitata e caratterizzata da un arrossamento diffuso59.
59
Tracce di arrossamenti superficiali su piani orizzontali sono poi gli indizi che hanno portato alla
localizzazione di altre due fornaci per laterizi nei dintorni della Montacchita, una sul terrazzamento a
nord-ovest del paese, segnalata dai proprietari locali durante lavori agricoli, un’altra documentata durante
i lavori di impianto dei servizi sotto il manto stradale di fronte alla chiesa di S. Maria della Neve, e forse
da collegare con il cantiere di costruzione della stessa chiesa settecentesca, e in questo caso parzialmente
scavato dall’archeologo. Depositi simili sono segnalati anche in ricognizione. Sono state infatti localizzate
strutture produttive nei pressi del Podere Inchiostro a Capannoli e a sud di Villa S. Marco a Soiana. Ancora
in Valdera segnalazioni del Gruppo Archeologico Isidoro Falchi hanno permesso di individuare una fornace
140
Gli numerosi esempi di fornaci per laterizio localizzati,
ma non scavati, presentano caratteristiche strutturali
e dimensionali simili alla fornace di Malvecchiaia e
di Marti, oltre a quella di Comana a Castelfranco di
Sotto. Differente per forma e cronologia e invece la
fornace per mattoni scavata a Lucca nella chiesa dei
SS. Giovanni e Reparata e contestualizzata nelle fasi
di cantiere dell’edificio romanico60.
La maggiore conservazione di strutture produttive
di epoca moderna e contemporanea è relazionabile
anche alla monumentalità delle strutture stesse che,
in uso in alcuni casi anche dopo il cantiere di costruzione delle ville aristocratiche di cui è ricca l’intera
Valdera, sono rimaste in molti casi integre e documentabili, mentre solo l’incuria
degli ultimi decenni e la mancanza di manutenzione delle nostre campagne ha
causato in alcuni casi il crollo parziale o l’inaccessibilità alla struttura61: si tratta
della fornace di Colleoli, di Toiano, del podere Il Torricchio, nelle vicinanze di
Montefoscoli, del podere la Fornace nei pressi di S. Gervasio e per quella di Villa
Baldovinetti a Marti; probabilmente simili, anche se con evidenze quasi del tutto
perdute, dovevano essere le fornaci di Collelungo e di Agliatone.
Le fornaci con più probabilità attribuibili alla fase basso medievale sono quelle di
Malvecchiaia e del Bastione di Marti.
La fornace di Malvecchiaia vicino a Marti
62
Della struttura , completamente interrata, si era conservata parte della camera di combustione,
per un alzato di circa 100 cm. La fornace è stata costruita all’interno di uno spazio quadrangolare
scavato nell’affioramento naturale di tipo tufaceo; i perimetrali della camera sono costituiti da
mattoni a crudo appoggiati alla parete tufacea, regolarizzati sulla superficie da una probabile
lisciatura, che il successivo uso del forno ha cotto e reso omogenea. Almeno al livello della
rasatura della struttura, tra la parete in laterizi e la parete naturale si è documentato uno spesso
strato di argilla grigia, lungo i perimetrali ovest e sud, che evidentemente era stata utilizzata
come isolante per la porzione fuori terra della struttura stessa. La camera scavata misura
300 cm di larghezza e 270 cm di lunghezza ed risulta composta da un doppio prefurnio,
conservato per una lunghezza di 110 cm, che doveva essere voltato, come testimonia l’attacco
della volta sul prefurnio sud; l’interno è spartito in due corridoi larghi tra 60 e 70 cm, con
simile a quella della Montacchita anche nell’area di Ricavo e un’altra tra Usigliano e Marti (a nord del
Podere S. Giusto). Si veda per un quadro delle evidenze ALBERTI 2006 b, pp. 153-161.
60
QUIROS CASTILLO 1998, pp. 289-298.
61
Si veda un esempio simile in QUIROS-CASTILLO 1996, p. 46.
62
ALBERTI 2006b, pp. 153-161.
141
al centro un piano rialzato largo 90 cm, costituito da un filare di mattoni ben evidente e
da una porzione in argilla cotta. Due ripiani più piccoli sono appoggiati alle pareti sud e
nord. L’interro della fornace era costituito essenzialmente dal crollo della struttura entro i
perimetrali, che risultava formato da pochi laterizi ancora interi o spezzati e da uno spesso
stato di argilla cotta. All’interno dei corridoi, a copertura del piano pavimentale, è presente
un notevole strato di carboni e cenere.
Lo scavo non ha restituito alcun materiale ceramico datante, se non un frammento di
contenitore acromo che non concorre all’attribuzione cronologica dei contesti individuati.
L’unico riferimento cronologico potevano essere in effetti solo i laterizi impiegati per la
costruzione del ripiano centrale nella fornace. Questi mattoni misurano tra i 29,8 e i 30,5 cm
di lunghezza, tra i 12,2 e i 12,6 cm di larghezza e tra i 5 e i 5,5 di spessore.
Il confronto con strutture datate sul territorio riguarda principalmente la pieve di Santa Maria
di Marti. L’analisi mensiocronologica della pieve indica una media dei valori di 29,79 cm x
63
12,47 x 5,2 ; sulla base di questo dato la struttura produttiva potrebbe ricondursi ai decenni
finale del XIV secolo (Figg. 35-36).
La fornace del Bastione di Marti
Poco distante dalla località Malvecchiaia, ai piedi del Bastione di Marti è stata indagata una
64
fornace per laterizi la quale ha avuto almeno due periodi di utilizzo : il primo (anteriore alla
fine del XIV secolo) che vide un primo impianto di fornace di tipo orizzontale, realizzata
praticando un taglio nel deposito naturale, con due bocche di areazione scavate nella parte
anteriore, in corrispondenza della camera di combustione; sulla distruzione parziale della
prima fornace se ne edificò una nuova (fine XIV-XV secolo), a fuoco intermittente e di tipo
verticale. Le pareti della precedente camera di combustione furono rivestite da mattoni e lo
spazio suddiviso in tre settori corrispondenti ad altrettante bocche. La camera di cottura,
con alzato in laterizi sia crudi che cotti in origine, aveva un piano costituito da un sistema di
archetti e muretti (Figg. 37-38).
63
64
142
FEBBRARO 2006, pp. 51-63.
BALDASSARRI-MEO-SACCO 2006, pp. 129-152.
Le decorazioni in laterizio
Il successo dell’uso del laterizio almeno dalla fine del XII secolo introduce anche
un rinnovato interesse per le decorazioni architettoniche in cotto, le quali, insieme
ai bacini ceramici, divengono gli elementi decorativi caratteristici della nostra zona
nel basso medioevo.
Pare che il percorso della via Francigena segni le tappe dell’introduzione del decorare in laterizio nel Valdarno e fino a Lucca, con esempi precoci come quello della
chiesa abbaziale di Fucecchio e tutte le fabbriche di edifici medievali in laterizio
databili entro il XII secolo che da S. Gimignano a Lucca (seguendo per l’appunto
il percorso della strada medievale) presentano a vari gradi decorazioni in laterizio
che sottolineano, incorniciandole, le aperture principali e secondarie.
In effetti per la Valdera e il Valdarno Inferiore, come per l’opera in laterizio in
quanto tale, le manifestazioni decorative in cotto subiscono uno scarto cronologico
di quasi un secolo rispetto alle evidenze documentate in Valdelsa.
Innanzitutto la distribuzione degli edifici decorati (Fig. 39), che poi sono gli stessi
costruiti in laterizio, è molto minore nel Valdarno pisano e in Valdera rispetto all’area intorno a S. Miniato e poi verso Altopascio e fino a Lucca. Persino a Pisa,
dove come abbiamo visto l’uso del mattone si anticipa in edifici religiosi di fine XI
secolo, l’introduzione della decorazione in cotto avviene probabilmente non prima
del XIII secolo. In Valdera le uniche testimonianze le abbiamo sulle chiese del
territorio di Palaia (S. Martino, S. Andrea, S. Lorenzo di Gello tutte databili entro
la seconda metà XIII secolo) e a Volterra (su nove edifici civili probabilmente di
65
XIII-XIV secolo ), mentre nel Valdarno gli unici esempi sono a Pontedera (chiesa
del SS. Crocifisso, cioè la medievale chiesa del castello di seconda metà XIII secolo) e a Vicopisano (tre edifici in via Lante), in quest’ultimo caso come per Volterra,
esclusivamente su strutture di uso abitativo. A questi, per cronologia, si affianca la
collegiata di S. Pietro e Paolo di Castelfranco di Sotto, cioè la medievale chiesa di S.
Pietro fondata con la terra nuova nella seconda metà del XIII secolo e la Collegiata di S. Lorenzo a S. Croce sull’Arno, anch’essa di medesimo periodo. Alla prima
65
BENASSI 2004, pp. 121-125.
143
metà del XIV secolo risale la pieve di S. Maria Novella di Marti, la pieve di S. Maria di Montefoscoli e forse il supposto ampliamento o ricostruzione della pieve di S.
Stefano di Montopoli, con decorazione che però suggerirebbero un cronologia più
antica. Sempre a Monopoli è conservata una archeggiatura decorata di un edificio
civile del borgo. A questi si aggiunge la chiesa di S. Pietro di Usigliano, ancora nel
territorio di Palaia, decorata con bacini ceramici e non con elementi in laterizio66.
Per quanto riguarda le tipologie e le tecniche di produzione sembra che il modello
di evoluzione degli apparati decorativi delineato per Lucca67 possa a grandi linee
funzionare anche per il territorio in esame. Gli edifici con una cronologia di XII
secolo presentano tutti apparati decorativi essenzialmente di tipo geometrico
(Coiano, Fucecchio, Montebicchieri), mentre in alcuni casi sono presenti decorazioni
di tipo floreale ma comunque mai in rilievo ma ad incisione o a fondo ribassato
(S. Miniato). In questi complessi le decorazioni sono esclusivamente organizzate
sulle cornici delle archeggiature dei portali e delle finestre, su elementi strutturali
leggermente curvilinei posti in opera per fascia o per foglio. Solo negli edifici di
seconda metà XIII secolo le decorazioni sono presenti anche su alcuni cunei che
compongono la ghiera dell’arco di solito in sequenza regolare rispetto ai cunei
privi di decorazione: se ne ha testimonianza a S. Martino e S. Andrea di Palaia,
a S. Pietro di Castelfranco, a S. Maria Novella di Marti. Lo schema decorativo
privo di decorazione su cunei non si ripete però per S. Lorenzo di Gello, che pure
è indicativamente collocabile entro la seconda metà del Duecento. Lo stesso si
documenta per il portalino laterale della chiesa del SS. Crocifisso di Pontedera.
In questo caso però la decorazione della cornice dell’arco è accolta su elementi
speciali posti in opera per foglio decorati con tre sequenze concentriche di stilemi
decorativi: lo zig-zag, le arcatelle cieche, la sagomatura multipla. L’associazione di
elementi decorativi su pezzi speciali trova anch’essa confronti con le produzioni
lucchesi di XIII-XIV secolo68.
La tecnica di produzione del decoro sembra quasi sempre applicata prima della
cottura del mattone, sull’elemento ancora crudo o dopo la prima fase di essiccazione.
In alcuni casi si notano infatti le tracce di linee guida della decorazione incisa, come
per i laterizi della facciata di S. Lorenzo di Gello, che documentano l’uso della
squadra e del compasso per tracciare i limiti entro i quali inserire le rappresentazioni
floreali, pur stilizzate (Figg. 40-45).
66
Il recente restauro della chiesa di Usigliano ha permesso di documentare la posizione di altri quattro
incavi per l’alloggio di altrettanti bacini ceramici sulla facciata attuale dell’edificio, che corrisponde al
prospetto absidale originale. La chiesa aveva quindi quattro bacini (due in verticale) a fianco dei due lati
dell’abside, oltre ai due noti e conservati .
67
ALBERTI-MENNUCCI 1998, pp. 35-62.
68
ALBERTI-MENNUCCI 1998, pp. 35-62.
144
145
La produzione ceramica
La produzione ceramica, forse più di quella dei laterizi, vede nel Medioevo una
forte egemonia delle botteghe cittadine, che riforniscono l’entroterra attraverso la
via dell’Arno.
Le produzioni pisane di maiolica arcaica e le stoviglie acrome per la cucina e
per la mensa sono, anche in Valdera, i fossili guida per la caratterizzazione degli
insediamenti basso medievali.
In effetti le rare testimonianze dei possibili centri produttivi sono documentati o
dalla fonte scritta o dal ritrovamento di scarti di cottura, in discariche di materiale
o in stratigrafia. Nel nostro territorio sono pochi i centri segnalati. Un documento
scritto ci ricorda la più antica attestazione di un ceramista a S. Giovanni alla Vena:
si tratta di Enrichetto di Chele, broccaio, trasferitosi a Pisa nel 1384 e morto prima
del 141069; a Cerretello di Palaia il ritrovamento di scarti di cottura di ceramiche
prive di rivestimento che sono state attribuite al XII secolo70 hanno fatto ipotizzare
la presenza in quel luogo di una bottega; un altro documento, sullo scorcio del X
secolo, ricorda un ollarius nei pressi della scomparsa pieve di Laviano, tra La Rotta
e Castel del Bosco71. E’ quindi molto probabile che le scarse attestazioni materiali
siano dovute all’effettiva rara presenza di vasai fuori dai centri cittadini.
E’ tra basso Medioevo ed Età Moderna che nel Valdarno, e in Valdera, si passa ad
una produzione diffusa sul territorio, caratterizzata, anch’essa come in città, dalla
produzione di ceramiche ingobbiate.
Lungo l’Arno sono attestate decine di centri produttivi, che Marco Milanese ha
recentemente relazionato ad un’unica “koinè linguistica”72: si tratta di un eloquente
elenco di centri produttivi inclusi tra Pisa e Montelupo Fiorentino73, lungo la Valle
dell’Arno, a cui si aggiungono adesso alcuni centri della Valdera come Gello, Palaia
e anche Volterra per i vasi rivestiti da ingobbio e variamente decorati (Fig. 46).
Un discorso diverso va affrontato per quanto riguarda le ceramiche medievali prive
di rivestimento rinvenute numerose anche in scarti di fornace a Cerretello, Stibbiolo
di Terricciola e a Parlascio di Casciana Terme74. Potrebbe in effetti trattarsi di una
produzione che si pone cronologicamente entro l’inizio del XIII secolo, ossia prima
del consolidamento del monopolio pisano, quando, tra XIII e XV secolo, anche
il territorio rientrava nel raggio di distribuzione dei manufatti ceramici prodotti
69
MILANESE 2006, p. 98.
CIAMPOLTRINI 2000, pp. 82-86; CIAMPOLTRINI-SPATARO 2006, p. 163.
71
CIAMPOLTRINI-SPATARO 2006, p. 163.
72
MILANESE 2006, p. 90.
73
S. Giovanni alla Vena, Cevoli, Lugnano, Cucigliana, Vicopisano, Calcinaia, S. Croce, Fucecchio, S.
Maria a Monte, Montopoli, Castel del Bosco, Castelfranco, Pontorme ed Empoli.
74
CIAMPOLTRINI-SPATARO 2006, pp. 163-180; CIAMPOLTRINI et alii 2003, pp. 296-298; ALBERTI-BALDASSARRISTIAFFINI 2006, pp. 107-116.
70
146
a Pisa. Si tratta, nei casi ricordati, esclusivamente di vasi ad impasto depurato,
acromi o caratterizzati da colature di ingobbio rosso o bruno. Esempio simili di
quest’ultimo tipo sono attestati anche a Pisa in contesti di X-XI secolo, mentre
non è del tutto escluso che in Valdera si assista ad un attardamento di tali prodotti;
il tipo di rinvenimento sia per Stibbiolo che per Parlascio lascia operò dubbi
sull’affidabilità del dato stratigrafico e sulle ceramiche di diversa tipologia associate,
per una circostanziata attribuzione cronologica.
Ad una sintesi ancora parziale per l’organizzazione della produzione ceramica
dei secoli centrali del Medioevo in Valdera e in generale nel territorio pisano,
si sostituisce una realtà ben più chiara a partire dal XVI secolo, quando cade il
monopolio pisano e le botteghe dei ceramisti si diffondono numerose anche fuori
dalla città.
Il ritrovamento più importante degli ultimi anni, anche per quantità di materiale, è
quello di Gello, vicino a Palaia. La fornace di Gello, di cui non è stata individuata
la bottega ma una gran massa di scarti riutilizzati da più parti nel piccolo centro
come rialzamenti di pavimenti, di strade, ecc., era attiva entro il XVII secolo. La
produzione di vasi ingobbiati era varia e comprendeva graffite a stecca, a punta,
maculate, e semplici monocrome, alcune volte dipinte.
Recentemente pubblicate, le fornaci di Volterra e di Pomarance restituiscono un
ulteriore quadro delle produzioni ingobbiate di XVI-XVII secolo75.
Le numerose campagne di ricognizione di superficie nei dintorni e sulla rocca di
Palaia hanno permesso di raccogliere un cospicuo numero di materiale ceramico
che conferma la frequentazione della zona dal Medioevo ai giorni nostri.
Sia in località Vallorsi, ampia area a bosco che si estende da Palaia verso Nord-Ovest
e dalla quale passava in antico la viabilità che dal castello conduceva a Partino, ma
anche durante l’opera di pulizia, rettifica delle sezioni esposte e documentazione
dell’esistente attuata sul poggio di Rocca, sono stati raccolti frammenti ceramici
compresi in un ampio arco cronologico che va dalla seconda metà del XIII secolo
fino al XIX.
Il nucleo più cospicuo di materiale ceramico riguarda le produzioni di ingobbiate
monocrome e ingobbiate e graffite policrome, alcune delle quali provenienti
sicuramente da botteghe locali. Infatti oltre ai numerosi esemplari di ciotole o piatti
graffiti a punta con decorazioni di tipo antropomorfo o di piatti o scodelle decorati
con la tecnica a fondo ribassato, databili indicativamente tra XVI e XVIII secolo,
sono molto interessanti i tanti frammenti di catini, piatti, scodelle solo ingobbiate
che rappresentano gli scarti di prima e seconda cottura di fornaci locali, alcuni di
essi con marchio di fabbrica inciso sul fondo76.
75
76
WENTKOWSKA 2010, pp. 111-143.
ALBERTI et alii 2004.
147
148
BIBLIOGRAFIA
ABELA E. 2006, La fornace medievale per laterizi a Comana di Castelfranco di Sotto (Pisa), in BALDASSARRI
M., CIAMPOLTRINI G. 2006, pp. 115-127.
ALBERTI A. 2000, Le testimonianze materiali del castello di Palaia, in Morelli P. (a cura di), Palaia e il
suo territorio tra Antichità e Medioevo, Pontedera, pp. 171-179.
ALBERTI A. 2005, I castelli della Valdera. Archeologia e storia degli insediamenti medievali, Pisa.
ALBERTI A. 2006a, L’edilizia ecclesiastica medievale in laterizio tra Valdera e Valdarno Inferiore, in
BALDASSARRI M., CIAMPOLTRINI G. 2006, pp. 11-25.
ALBERTI A. 2006b, La fornace per laterizi di Malvecchiaia a Marti, in BALDASSARRI M., CIAMPOLTRINI
G. 2006, pp. 153-161.
ALBERTI A. 2006c, Castelli in Valdera. Insediamenti medievali nel territorio pisano, in Francovich R.,
Valenti M. (a cura di), IV Congresso Nazionale di Archeologia Medievale, 26-30 settembre,
Abbazia di San Galgano (Chiusdino-Siena), Firenze, pp. 247-250.
ALBERTI A. 2006d, La Rocca di Parlascio e le tracce dell’incastellamento in Valdera, in BRUNI S. 2006,
pp. 97-105.
ALBERTI A. 2007, Medioevo in Valdera. Villaggi, corti, castelli nel territorio della pieve de Aquis, Pisa.
ALBERTI A., DEL CHIARO A., SEVERINI F., STIAFFINI D. 1995, Indagine archeologica a
Monopoli Valdarno (PI): le tracce dell’incastellamento medievale. Rapporto preliminare, “Archeologia
Medievale”, XXII, 1995, pp. 265-282.
ALBERTI A., MENNUCCI A. 1998, I risultati della ricerca a Lucca : verso la creazione di una cronotipologia,
in Baracchini C., Fanelli G., Parenti R., Lucca medioevale. La decorazione in laterizio, Lucca, pp. 3562.
ALBERTI A., FIRMATI M., TELLESCHI T. 2001, Percorsi archeologici dell’alta e media Valdera dalla
Preistoria al Medioevo, Peccioli.
ALBERTI A., BALDASSARRI M. (a cura di) 2004, Dal castello alla “terra murata”. Calcinaia e il suo
territorio nel Medioevo, Firenze.
ALBERTI A. et alii 2004, Dai villaggi etruschi ai castelli medievali: Palaia e il suo territorio nei secoli,
Pontedera.
ALBERTI A., ANDREAZZOLI F., BALDASSARRI M. 2005a, La terra murata di Calcinaia, in
Ceccarelli Lemut M.L., Garzella G. (a cura di), Terre nuove nel Valdarno pisano medievale, Pisa, pp.
139-154.
ALBERTI A., ANDREAZZOLI F., BALDASSARRI M. 2005b, La nuova fortificazione del castello di
Cascina, in Ceccarelli Lemut M.L., Garzella G. (a cura di), Terre nuove nel Valdarno pisano medievale,
Pisa, pp. 167-174.
ALBERTI A., BALDASSARRI M. 2006, Le “terre nuove” del Valdarno pisano: il contributo della fonte
archeologica, in Francovich R., Valenti M. (a cura di), IV Congresso Nazionale di Archeologia
Medievale, 26-30 settembre, Abbazia di San Galgano (Chiusdino-Siena), Firenze, pp. 251-256.
149
ALBERTI A., BALDASSARRI M., STIAFFINI D. 2006, I materiali del Castello Medievale, in BRUNI
S. 2006, pp. 107-116.
ALBERTI A., ANDREAZZOLI F., BALDASSARRI M. 2008, La scoperta del castello: la torre “mozza”
di Calcinaia, Pisa.
ALBERTI A., SORGE E. 2009, Calcinaia. Piazza Carlo Alberto, “Notiziario SBAT”, 4, 2008, Firenze,
pp. 237-239.
ALBERTI A. et alii 2010, Capannoli e il suo territorio nella storia. Dagli Etruschi al Medioevo, Pisa.
ANDREAZZOLI F. 2002, L’edilizia medievale: le strutture fortificate del castello, in CECCARELLI
LEMUT M.L., GARZELLA G. 2002, pp. 93-106.
ANDREAZZOLI F. 2005a, Il castello di Bientina, in Ceccarelli Lemut M.L., Garzella G. (a cura di),
Terre nuove nel Valdarno pisano medievale, Pisa, pp. 121-131.
ANDREAZZOLI F. 2005b, La terra nuova di Pontedera, in Ceccarelli Lemut M.L., Garzella G. (a
cura di), Terre nuove nel Valdarno pisano medievale, Pisa, pp. 133-137.
ANDREAZZOLI F. 2005c, Omnes Officine sicut abbatia habere debet, in Gelichi S., Alberti A.
(a cura di), L’aratro e il Calamo. Benedettini e Cistercensi sul Monte Pisano, Pisa, pp. 137-172.
ANDREAZZOLI F. 2006, Il Podestà e i fornaciai. Impiego del laterizio e produzione legislativa nel Comune
pisano del Trecento, in BALDASSARRI M., CIAMPOLTRINI G. 2006, pp. 65-80.
AUGENTI A. 2000a, Un territorio in movimento. La diocesi di Volterra nei secoli X-XII, in Francovich R.,
Ginatempo M., Castelli. Storia e archeologia del potere nella Toscana medievale, I, Firenze, pp. 111-140.
AUGENTI A. 2000b, Dai castra tardoantichi ai castelli del secolo X: il caso della Toscana, in FRANCOVICH
R., GINATEMPO M. Castelli. Storia e archeologia del potere nella Toscana medievale, I, Firenze, pp. 25-66.
BALDASSARRI M., CIAMPOLTRINI G. 2006, I maestri dell’argilla. L’edilizia in cotto, la produzione
di laterizi e di vasellame nel Valdarno Inferiore tra Medioevo ed Età Moderna, Pisa.
BALDASSARRI M., MEO A., SACCO S. 2006, La produzione di laterizi nel castello di Marti. La
fornace del “Bastione”, in BALDASSARRI M., CIAMPOLTRINI G. 2006, pp. 129-152.
BELCARI R. 2005, Materiali lapidei ed un intonaco dipinto da San Michele alla Verruca, in Gelichi S.,
Alberti A. (a cura di), L’aratro e il Calamo. Benedettini e Cistercensi sul Monte Pisano, Pisa, pp. 173-198.
BENASSI L. 2004, I laterizi a Volterra nel Medioevo, in “Quaderno del Laboratorio Universitario
Volterrano”, VIII, 2002-2003, pp. 121-125.
BERNARDI V. 1986, Archeologia nel Bientina. Risultati e prospettive, Pontedera.
BERTI G., TONGIORGI L. 1981, I bacini ceramici medievali delle chiese di Pisa, Roma.
BRUNI S. 2006, Parlascio. Le radici antiche Di Casciana Terme, Pisa.
BRUNI S., ARBEID B., ASCARI RACCAGNI C. 2011, E’ questo un monticello … Parlascio dalla
Preistoria al Medioevo, Bientina (PI).
150
CECCARELLI LEMUT M.L. 1995, Nobiltà territoriale e comune: i conti Della Gherardesca e la città
di Pisa (secoli XI-XIII), in Bordone R., Sergi G. (a cura di), Progetti e dinamiche nella società comunale
italiana, Gisem, Napoli, pp. 23-100.
CECCARELLI LEMUT M.L. 1998, Terre pubbliche e giurisdizione signorile nel comitatus di Pisa (secoli
XI-XIII), Spicciani A., Violante C. (a cura di), La signoria rurale nel medioevo italiano, II, Pisa, pp.
87-137.
CIAMPOLTRINI G. 2000, Insediamenti medievali abbandonati nel territorio di Palaia. Cerretello e Agliati
fra ricerca archeologica di superficie e fonti documentarie, in Morelli P. (a cura di), Palaia e il suo territorio tra
Antichità e Medioevo, Pontedera, pp. 81-106.
CIAMPOLTRINI G. et alii 2003, Lucca tardo antica e altomedievale III: le mura urbiche e il pranzo di
Rixolfo, “Archeologia Medievale”, XXX, Firenze, pp. 281-298.
CIAMPOLTRINI G., ABELA E. 2005, Castelfranco di Sotto. Archeologia delle origini.
CIAMPOLTRINI G., ANDREOTTI A., SPATARO C. 2006, Una fornace per laterizi bassomedievale
a Orentano, in BALDASSARRI M., CIAMPOLTRINI G. 2006, pp. 121-127.
CIAMPOLTRINI G., LEPORATTI S. 2006, Magister Lippus e l’architettura tardoromanica del
laterizio fra Castelfranco, Marti e Palaia: fonti documentarie e indagini archeologiche. in BALDASSARRI M.,
CIAMPOLTRINI G. 2006, pp. 27-49.
CIONINI E. 1993-1994, Il castello di Montevaso e la Rocca di Pietracassa. Prime indagini topografiche e
archeologiche, tesi di Laurea, Università degli Studi di Pisa.
CIONINI E. 1994, Il castello di Montevaso. Una prima indagine archeologica, in Agostini C., Iannella
C., Tangheroni M. (a cura di), La comunità di Chianti. Momenti di storia, Pisa, pp. 1-22.
CIONINI E. 1997, Le vicende storiche di Pietracassa, in Dringoli M. 1997, pp. 37-40.
DRINGOLI M. 1997, La frontiera, la campagna, il mare. Pietracassa, Ripoli, il Volterraio: analisi e recupero
di tre strutture fortificate a difesa dell’antica Repubblica Pisana, Pisa
DEL CHIARO A. 2004, Il territorio di Montecchio e Calcianai nel Medioevo: i dati delle fonti archivistiche,
in ALBERTI A., BALDASSARRI M. 2004, pp. 11-24.
DUCCI A.M., BADALASSI L. 1998, Tesori medievali nel territorio di San Miniato, Pisa.
FABBRI L. 1986, Le comunità di Chianni e Rivalto (secoli XI-XIX), “Rassegna Volterrana”, LXILXII, pp. 15-65.
FEBBRARO M. 2006, La pieve di S. Maria Novella di Marti. Spunti interpretativi per una conoscenza
dell’architettura in laterizi nel Valdarno inferiore, in BALDASSARRI M., CIAMPOLTRINI G. 2006,
pp. 51-63.
GARZELLA G. 1986, Cascina. L’organizzazione civile ed ecclesiastica e l’insediamento, in Pasquinucci
M., Garzella G., Ceccarelli Lemut M.L., (a cura di), Cascina dall’antichità al medioevo, Pisa, pp. 69111.
GARZELLA G. 2005, Cascina, in Ceccarelli Lemut M.L., Garzella G. (a cura di), Terre nuove nel
Valdarno pisano medievale, Pisa, pp. 49-57.
151
GELICHI S., PARENTI R. 1998, I laterizi medievali decorati in Italia, in Baracchini C., Fanelli G.,
Parenti R., Lucca medioevale. La decorazione in laterizio, Lucca, pp. 15-33.
GIANNETTI G. (a cura di) 1999, Ponsacco. Il castello delle sette torri, Pontedera.
LEVEROTTI F. 1992, L’organizzazione amministrativa del contado pisano dalla fine del ‘200 alla
dominazione fiorentina: spunti di ricerca, “Bollettino Storico Pisano”, LXI, pp. 33-82.
LUPI M., NOFERI M. 2004, Terra di Ponsacco, Pontedera.
MALVOLTI A., VANNI DESIDERI A. (a cura di), 1996, La chiesa, la casa, il castello sulla via
Francigena, Pisa.
MARSILI A. 1994, Il castello di Pont’ad Era, in Morelli P. (a cura di), Pontedera. Archeologia, storia, arte,
Pisa, pp. 93-128.
MILANESE M. 2006, Da Pisa a Montelupo: aspetti e problemi della produzione ceramica del Basso
Valdarno (XV-XIX secolo), tra monolinguismo dell’ingobbio e serialità tipologica, in BALDASSARRI M.,
CIAMPOLTRINI G. 2006, pp. 89-103.
MONTAGNI F. s.d., Paternus, S. Johannis de Paterno, la Pievaccia: Scavi della Pievaccia a Chianni
(2003-2007).
MONTEVECCHI N. 2010, Alica da castello a villa: i materiali archeologici, in Ciampoltrini G. (a cura
di), Peccioli e la Valdera dal Medioevo all’Ottocento. Itinerari archeologici fra Pisa e Volterra, Pisa, pp. 29-58.
MORELLI P.. 1994, Pontedera “terra nuova” pisana, in Morelli P. (a cura di), Pontedera. Archeologia,
storia, arte, Pisa, pp. 53-92.
MORELLI P. 1997, Pievi, castelli e comunità fra Medioevo ed età moderna nei dintorni di San Miniato, in
Mazzanti R. (a cura di), Le colline di San Miniato (Pisa). La natura e la storia, Quaderni del Museo di
Storia Naturale di Livorno, 14 (1985), pp. 79-112.
MORELLI P. 2000, Montebicchieri e il suo fonte battesimale: un castello del Valdarno nel Trecento, S.
Miniato.
MORELLI P. 2002, Il castello di Alica e le sue chiese, in Morelli P. (a cura di), Alica. Un castello della
Valdera dal medioevo all’età moderna, Pisa.
MORELLI P. 2005, Ponsacco, in Ceccarelli Lemut M.L., Garzella G. (a cura di), Terre nuove nel
Valdarno pisano medievale, Pisa, pp. 107-115.
MORELLI P. 2006, Parlascio: un castello, una chiesa, un eremo, in BRUNI S. 2006, pp.
MORELLI P., ANDREAZZOLI F., MARSILI A. 2005, Le fortificazioni medievali di Pontedera,
Pontedera.
PESCAGLINI MONTI R. 1981a, I conti Cadolingi, in I ceti dirigenti in Toscana nell’età precomunale,
Atti del I Convegno del Comitato di Studi di Storia dei ceti dirigenti in Toscana, Pisa, pp. 191203.
PESCAGLINI MONTI R. 1981b, La plebs e la curtis de Aquis nei documenti medievali, “Bollettino
152
Storico Pisano”, L, pp. 1-20.
PESCAGLINI MONTI R. 1993, I pivieri di Sovigliana, Ducenta/Travalda/Appiano, Triano, Migliano/
La Leccia e Tripalle. Organizzazione civile ed ecclesiastica ed insediamento di un territorio conteso tra Pisa e Lucca
(secoli VIII-XIV), “Bollettino Storico Pisano”, LXII, pp. 119-185.
PESCAGLINI MONTI R. 1994, Dalla Valdera alla Valdisola, in Mazzanti R. (a cura di), La pianura
di Pisa e i rilievi contermini, Pisa, pp. 293-330.
PESCAGLINI MONTI R. 2000, La famiglia dei fondatori del castello di Palaia (secoli IX-XI), in Morelli
P. (a cura di), Palaia e il suo territorio tra Antichità e Medioevo, Pontedera, pp. 107-150.
PIRILLO P. 2001, L’organizzazione della difesa, in Pirillo P., Costruzione di un contado, Firenze, pp. 5482.
QUIROS CASTILLO J.A. 1996, Produzione di laterizi nella provincia di Pistoia e nella Toscana medievale
e postmedievale, “Archeologia dell’Architettura”, I, pp. 41-51.
QUIROS CASTILLO J.A. 1998, La fornace per mattone del XII secolo nella chiesa dei SS Giovanni e
Reparata, in Baracchini C., Fanelli G., Parenti R. (a cura di), Lucca medioevale. La decorazione in laterizio,
Lucca, pp. 289-298.
QUIROS CASTILLO J.A. 2006, Costruire la città medievale: i materiali prodotti in serie nella città di Pisa,
in Francovich R, Valenti M., IV Congresso di Archeologia Medievale, pp.563-569.
REDI F. 1991, Pisa com’era: archeologia, urbanistica e strutture materiali (secoli V-XIV), Napoli.
REDI F. 1994, Il territorio di Chianni nel medioevo: prime acquisizioni e indicazioni per un progetto di ricerca
archeologica, in AGOSTINI C., IANNELLA C., TANGHERONI M. (a cura di), La comunità di Chianni. Momenti
di storia, Pisa, pp. 45-49.
TOZZI C. 1994, La signoria dell’arcivescovo di Pisa su Montevaso, in Agostini C., Iannella C.,
Tangheroni M. (a cura di), La comunità di Chianti. Momenti di storia, Pisa, pp. 23-44.
WENTKOWSKA A. 2010, Pomarance e Volterra: due centri di produzione della ceramica ingobbiata e graffita.
Le famiglie committenti, in Ciampoltrini G. (a cura di), Peccioli e la Valdera dal Medioevo all’Ottocento.
Itinerari archeologici fra Pisa e Volterra, Pisa, pp. 111-144.
WICKHAM C. 1990, Documenti scritti e archeologia per la storia dell’incastellamento: l’esempio della Toscana,
in Francovich R., Milanese M. Lo scavo archeologico di Montarrenti e i problemi dell’incastellamento medievale.
Esperienze a confronto, Firenze , pp. 79-102..
153