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Boll900, 2020, n. 1-2 - Jansen, Jurisic e Van den Bossche, Bestia!
Monica Jansen, Srecko Jurisic, Bart Van den Bossche
Bestia! Animali e animalità nella narrativa modernista
in Italia
La presente sezione accoglie sei dei contributi presentati al convegno «Bestia! Animali e
animalità nella narrativa modernista in Italia» tenutosi all'Università di Spalato tra l'8 e il
9 luglio 2016, organizzato dal Dipartimento d'Italianistica dell'Università di Spalato e
dal Centro Studia Mediterranea dello stesso ateneo, insieme con l'Università di Utrecht
(Dipartimento di Lingua e cultura italiana), il gruppo di ricerca MDRN dell'Università di
Lovanio (KU Leuven, (<http://www.mdrn.be>), il Centre for European Modernism
Studies (<https://www.facebook.com/cemstudies/>), e l'Istituto italiano di cultura Zagabria.
A tenere insieme questi contributi è una certa idea del modernismo in Italia, e una
visione all'interno di esso dell'animale e dell'animalità. Più in particolare il terreno
comune da cui partono i vari contributi è la convinzione che le frequenti e notevolmente
variegate rappresentazioni dell'animale e dell'animalità nella narrativa tra la fine
dell'Ottocento e la metà del Novecento abbiano come posta in gioco molte delle
tematiche che costituiscono l'humus filosofico, estetico, tematico e formale
fondamentale della letteratura modernista. Un'analisi dell'animale e dell'animalità
consentirà pertanto anche di acquisire una comprensione più articolata di ciò che
costituisce l'identità eminentemente modernista di tanta letteratura del periodo.1
Fra i motivi preminenti rinvenibili nelle rappresentazioni del mondo animale spiccano
ovviamente la generale e consistente volontà di esplorare prospettive e modalità
dell'esperienza diverse da quelle convenzionali, con una conseguente critica della
visione antropocentrica del mondo e un decentramento della soggettività umana (o
perlomeno di molte delle idee preconcette sulla stessa). Sarebbe comunque erroneo
vedere nell'animalità un mero repertorio di temi e motivi che si potrà liberamente
declinare e far circolare in testi letterari di ogni specie. Ad attirare l'attenzione di
numerosi scrittori modernisti è infatti anche il potenziale specificamente creativo,
estetico, stilistico e narrativo insito nel rapporto con il mondo animale. Confrontarsi con
il mondo animale significa anche, quasi inevitabilmente, affrontare il rapporto tra essere
e linguaggio o, per essere più precisi, i modi in cui il linguaggio condiziona la stessa
possibilità di un rapporto tra essere e (auto)coscienza (e a tale proposito continuano ad
essere stimolanti le riflessioni di Jacques Derrida in L'animal que donc je suis).2 È noto
che la letteratura modernista esplora con dovizia di dettagli i molteplici risvolti di questo
intricato rapporto tra linguaggio e soggettività umana, ma nello stesso tempo sono anche
numerosi i casi in cui gli scrittori modernisti s'interrogano sui modi in cui il linguaggio
umano, nel tentativo di rapportarsi ad altre forme di vita (e segnatamente al mondo
animale), risulti anche profondamente condizionato da questa alterità (e forse anche
assillato da ciò che in questo altro continua a rimanere "altro"). Nell'interazione con il
mondo animale, il rapporto tra linguaggio e umanità - o meglio l'aporia del rapporto tra
linguaggio e umanità - finisce per essere messa in discussione e soppiantata da categorie
semiotiche e comunicative di natura più ampia (come illustra la "fenomenologia
dell'olfatto" nel racconto sveviano Argo e il suo padrone, analizzato da Inge Lanslots nel
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suo contributo a questo numero).
Si tratta di una questione che in ambito più specificamente letterario si traduce anche in
istanze metanarrative, nel senso che forme e strategie narrative vengono anche passate al
vaglio nella loro capacità di modellare e costituire esperienze e visioni, e più in
particolare di assumere automaticamente una prospettiva umana o "umanizzante".
Scegliere un punto di vista animale (come mostrano in primis le non poche dog
narratives della letteratura europea) potrà sembrare un modo alquanto ingenuo (e
surrettiziamente "umanizzante") di esplorare una prospettiva diversa. Nello stesso tempo
- e ciò vale certamente per i casi più riusciti - può essere un modo di interrogarsi
criticamente sul rapporto tra forme simboliche e alterità e di esplorare elementi che
accomunano comunque i diversi esseri umani e non umani da una prospettiva
postumana.3
Nel mondo postdarwiniano, il rapporto tra esseri umani e animalità si associa
ovviamente a una serie di questioni anche ossessive, relative alle differenze e
somiglianze tra uomini e animali. Si tratta di interrogativi che vanno ben al di là di una
diretta e frontale critica dell'eccezionalismo umano e di una visione gerarchica e
antropocentrica sulla natura, ma che riguardano anche le ricadute dei rapporti tra diverse
specie nel mondo postdarwiniano - ricadute che riguardano l'esigenza di riconsiderare
l'interdipendenza e l'interazione tra le varie specie, nonché una serie di assillanti
interrogativi etici relativi a responsabilità e compassione.4
Particolarmente frequenti nella letteratura modernista risultano i fenomeni di "terioprimitivismo",5 che nell'analizzare l'interazione fra uomini e animali si concentrano sulla
natura istintiva dell'uomo, valorizzandola spesso anche in chiave vitalista come una
dimensione dell'identità umana repressa dalla civiltà moderna, ossessionata da criteri
tecnici e razionali e dimentica delle forze primordiali della natura. Questa lettura in
chiave postdarwiniana e postfreudiana di animalità e umanità viene poi elaborata anche
ulteriormente in termini politici ed economici, affrontando l'interazione fra uomo e
bestia anche dal punto di vista delle dinamiche di repressione, sfruttamento, violenza e
abuso.
L'arco cronologico delle opere trattate in questa sezione speciale va dagli anni Dieci del
Novecento (Svevo, Tozzi), agli anni Venti e Trenta (Svevo, Rosso di San Secondo,
Pirandello), fino agli anni Cinquanta (Manzini, Tecchi). La tematica animalesca coincide
quindi con un modernismo italiano di lunga durata, in sintonia con le indicazioni fornite
da vari studi sul modernismo italiano,6 come il recente saggio di Massimiliano Tortora in
cui lo studioso propone di non restringere il modernismo allo sperimentalismo dei primi
decenni del secolo, ma di estenderlo all'eredità ottocentesca e ad altre esperienze
dell'avanguardia europea come l'espressionismo e il surrealismo.7
I saggi qui raccolti propongono diversi approcci per affrontare l'incisività dell'animalità
nelle sue diverse forme di antropomorfica bestialità che vanno dall'elaborazione dello
sviluppo di un concetto attraverso diverse opere dello stesso autore - il percorso
sveviano proposto da Lanslots - all'analisi delle opere ad argomento animalesco di
determinati autori - i saggi di Trobia su Rosso di Secondo, di Fava Guzzetta su Manzini
e di Gialloreto su Tecchi - a una lettura tematica - il topos dell'uccellino in gabbia in
Svevo, Tozzi e Pirandello esaminato da De Seta - o comparativa - il paragone tra le
raccolte di Manzini e Tecchi posti nella prospettiva di Bestie (1917) di Federigo Tozzi.
Come già sottolineato, uno dei motivi di interesse per l'animale che precede le date
canoniche del modernismo è anche insito nella teoria darwiniana dello struggle for life
che trova in Svevo uno dei critici più acuti, come si evince dal saggio di Inge Lanslots,
La zoologia di Svevo: un percorso panoramico, che si sofferma sull'abbozzo di
conferenza intitolato L'uomo e la teoria darwiniana in cui egli scrisse:
«Io credo che l'animale più capace ad evolversi sia quello in cui una parte è
in continua lotta con l'altra per la supremazia, e l'animale, ora o nelle
generazioni future, abbia conservata la possibilità di evolversi da una parte
o dall'altra in conformità a quanto gli sarà domandato dalla società di cui
nessuno ora può prevedere i bisogni e le esigenze. Nella mia mancanza
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assoluta di uno sviluppo marcato in qualsivoglia senso io sono
quell'uomo».8
L'interpretazione sveviana dell'evoluzione darwiniana attraverso Nietzsche (e con
riferimenti vistosi al darwinismo sociale del survival of the fittest) ne fa una condizione
emblematica per la doppia faccia del modernismo, in bilico tra la progettualità
dell'animale-uomo e l'indeterminatezza della potenzialità causata da una minacciosa
mancanza di ordine.9 Vi si potrebbe aggiungere quanto sostenuto da Paolo Puppa, ossia
che «tutto il Novecento tende ad utilizzare l'animale, la bestia quale figura dell'inconscio
o come riflesso dello scontro di classe, magari celata dietro il darwiniano struggle for
life. Ma tra noi e loro può prodursi un traumatico connubio, un incrocio mostruoso
magari favorito dal riso carnevalesco».10
Se Lanslots conclude che l'uomo secondo Svevo, per quanto aspiri alla "leggerezza degli
uccelli", rimarrà chiuso nell'alterità della sua condizione "pesante", possiamo chiederci
come venga approfondita la similitudine uomo-uccello nelle opere prese in esame da
Ilaria De Seta, il cui contributo Prigionia vs libertà sub specie animalis in Svevo,
Tozzi e Pirandello si concentra su un vero e proprio motivo ricorrente nelle opere di
Svevo, Pirandello e Tozzi, quello di un uccello indeciso se scappare dalla gabbia verso
una libertà allettante ma ignota o accontentarsi di una limitata ma sicura vita in cattività.
Per Svevo, il motivo dell'uccello in gabbia, presente in diverse favole, evoca una
situazione in un certo senso priva di vero e proprio esito, dal momento che ogni
alternativa può avere conseguenze tragiche, imprevedibili e a volte paradossali. Anche le
varie novelle pirandelliane in cui figura un uccello in gabbia s'imperniano su quella
paradossale "paura d'essere felice" cui allude il titolo di una delle novelle in questione.
Nell'universo di Tozzi, invece, un uccello in gabbia può risultare insopportabile al
personaggio che lo osserva in quanto gli ricorda le soffocanti costrizioni imposte dalla
società o dalla propria condizione psicologica e familiare, al punto di scatenare una
violenta reazione emotiva e addirittura un'aggressione micidiale contro l'animale. Come
viene sottolineato nel contributo di Maria Luisi Santini (dedicato in parte anche a Tozzi),
la raccolta Bestie propone la storia di un'anima attraverso le molteplici interazioni del
protagonista con il mondo animale, in quanto gli animali, nella loro capacità singolare di
evocare in modo icastico i misteri del mondo creaturale, pongono l'uomo di fronte a se
stesso, mostrandogli momenti di grande tragicità, efferata violenza e passione intensa.
Nei romanzi di Tozzi, invece, l'attenzione per queste e altre forme di 'bestialità'
nell'uomo si carica di una serie di valenze storico-culturali (filtrate anche da tradizioni
locali) legate ad esempio alla contrapposizione tra dimensione contadina e civiltà
cittadina.
L'immagine della gabbia porta alle osservazioni dell'animale come simbolo di identità
altra di Rosso di San Secondo la cui "bestiale ironia" viene analizzata da Maria Grazia
Trobia in Rosso di San Secondo: Una "bestiale" ironia. Nel racconto Ninnina e il
mondo animale (1929), raccolta nella silloge trevesiana C'era il diavolo o non c'era il
diavolo?, la fantasia dello scrittore nisseno, in odor di grottesco, si cimenta con
importanti temi legati alla riflessione sull'altro vissuto dalla coppia di coniugi Ninnina e
Tittì durante il loro viaggio nella Repubblica del Congo. Il gioco delle parti intrapreso
dalla coppia che sembra entrare in contrasto riguardo alla triade speculativa uomoanimale-bestia viene narrato da Rosso con la consueta ironia e popolando per l'occasione
il paesaggio africano persino di specie animali ormai estinte, preconizzando così per
certi versi quello che sarà la trattazione riservata al paesaggio e al rapporto uomoanimale in un'altra opera 'africana', quel flaianeo Tempo di uccidere, col notissimo
camaleonte che fuma una sigaretta e i costanti giochi oscillanti tra l'antropomorfismo e
lo zoomorfismo.
L'animale è sia elemento costitutivo della poetica dell'artista sia strumento d'indagine
della psiche umana, in senso realistico, ma anche decadente e cristiano. Sono queste le
prospettive adottate da Lia Fava Guzzetta nel suo contributo Animali di Gianna
Manzini, da Andrea Gialloreto nel suo Le Storie di bestie di Bonaventura Tecchi, e
da Maria Luisi Santini nel suo saggio Bestie: profili di animali in Tozzi, Manzini e
Tecchi. Come puntualizza in modo convincente Lia Fava Guzzetta, l'attaccamento di
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Gianna Manzini al mondo animale è fortemente legato alla poetica della scrittrice, e in
particolare alla sua concezione della scrittura letteraria come progressivo sconfinamento
dai limiti della realtà percepibile (o dalle idee convenzionali sul reale che la società
moderna ha fatto sue). Nella sua ricerca pionieristica di superamento delle modalità
collaudate del romanzo svolge un ruolo di primo piano la sua capacità di calarsi secondo
modalità del tutto personali nel mondo degli animali. Per Gianna Manzini, l'interazione
con il mondo animale dà l'avvio ad un percorso d'interrogazione e di chiarificazione di
nodi e stati d'animo di personaggi e narratori, ma nello stesso tempo questa autointerrogazione (che si carica anche di valenze metadiscorsive e metaletterarie) è resa
possibile da una attenta auscultazione del mondo animale nel pieno rispetto della sua
profonda diversità e autonomia. In effetti, per Gianna Manzini, il fascino del mondo
animale risiede - come viene opportunamente ricordato da Maria Luisi Santini nell'alone di mistero e di sacro che circonda gli animali, che riporta ad un edenico
«Giardino dell'Innocenza» e che conferisce ad ogni animale «una forma e un significato
splendidamente raggiunto».
Come dimostrano poi Maria Luisi Santini e Andrea Gialloreto, su posizioni
sostanzialmente simili si colloca anche Bonaventura Tecchi, secondo il quale un'attenta
osservazione del mondo animale, scevra di trasfigurazioni idealizzanti, è la maniera
indicata per arrivare alla loro autentica natura e di esplorare i misteri della realtà
creaturale e di mettere in evidenza il rapporto quasi simbiotico tra umanità e animalità.
Nelle Storie di bestie di Tecchi, il risultato è una scrittura che, forse in modo
paradossale, coniuga intelletto e fantasia, adesione al reale immediato e piglio narrativo
fiabesco. Secondo Gialloreto, il volume, tutto sommato passato sotto silenzio dalla
critica si colloca ai margini dell'opus tecchiano, vede l'illimpidirsi della prosa dello
scrittore alla stregua delle favole di Clemens Brentano a cui Tecchi aveva dedicato un
importante saggio, poi raccolto nella silloge ricciardiana Romantici tedeschi. Il rifiuto
dell'esotismo stilistico consente a Tecchi di evitare la strumentalizzazione dell'animalepersonaggio in funzione di ammonimenti morali. Il tono pontifiant di certa favolistica
lascia spazio ad animali concreti, realissimi, tracciati con la medesima cura riservata ai
personaggi umani. Gli animali vengono resi con semplicità e restando fedeli alla loro
immagine naturale mentre il loro rapporto con l'uomo viene privato di eccessive
complicazioni in favore della semplicità che qualcosa deve alla lezione del santo di
Assisi, una lezione che pure rimanda alle poetiche moderniste: la creaturalità e lo
spogliarsi di tutto sono da leggersi come l'antitesi all'accumulo caotico di conoscenze e il
soggettivismo ipertrofico degli inizi del secolo. Quella tecchiana è una proposta di
riflessione calma nell'ambito di un modernismo attardato e temperato, sincero nel suo
dividersi tra la propensione verso il nuovo e un certo attaccamento alle tradizioni.
Si può concludere che nella letteratura modernista le rappresentazioni dell'animale e
dell'animalità, pur nella notevole varietà di trame, situazioni e risvolti, vanno
invariabilmente dritte al cuore delle tante ansie ed incertezze che circondano l'identità
umana tra la fine dell'Ottocento e la metà del Novecento. Se è vero che la narrativa
modernista ricorre al mondo animale per tracciare una mappatura particolareggiata di
quesiti e assilli attivi nella cultura dell'epoca, si tratta di una mappatura per così dire
composta di sabbia mobile, che mostra fino a che punto l'uomo moderno sia un essere
profondamente aperto, chiamato a ridefinirsi in continuazione, e in particolare quanto sia
costante la necessità di riarticolare all'interno della sua stessa umanità la relazione tra
umano e animale, con tutte le dovute e doverose implicazioni morali, metafisiche,
politiche e sociali che ne derivano.
Bollettino '900 - Electronic Journal of '900 Italian Literature - © 2020
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