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Immagini di parole di Michele Bertolini bertolinimichele@fastwebnet.it Recensione: Convegno internazionale: “Al di là dei limiti della rappresentazione. Letteratura e cultura visuale”. Palermo, 24-26 settembre 2012. Nella prestigiosa sede del Grand Hotel Piazza Borsa a Palermo, dal 24 al 26 settembre si è tenuto, a cura della Facoltà di Scienze della Formazione e del Dipartimento di Studi culturali dell’Università degli Studi di Palermo, il convegno internazionale “Al di là dei limiti della rappresentazione: letteratura e cultura visuale”, che idealmente prosegue la ricerca sui rapporti fra la letteratura e le altre arti e sui dispositivi della visione, temi affrontati in altri convegni organizzati in collaborazione con l’Università degli Studi di Bologna (coordinati dalla professoressa Silvia Albertazzi) e l’Università degli Studi dell’Aquila (coordinati dal professor Massimo Fusillo). Come ricordato nell’introduzione ai lavori dal professor Michele Cometa, coordinatore del progetto, il rapporto fra testo e immagine, da diversi anni al centro di studi interdisciplinari che coinvolgono la letteratura comparata, gli studi di cultura visuale, l’estetica, la pedagogia, è stato affrontato a partire dalla sollecitazione teorica di un celebre saggio di John Hollander1. Quest’ultimo ha individuato nella categoria di notional ékphrasis (ékphrasis nozionale) lo spazio per una descrizione letteraria capace di fondare e istituire l’opera d’arte nell’atto stesso del racconto: una descrizione letteraria quindi che “inventa” un’opera d’arte pittorica, fotografica o cinematografica, traendo spunto da opere d’arte esistenti, o mescolando realtà e finzione all’interno del testo letterario. Da qui, attraverso la problematizzazione del rapporto fra notional éckphrasis e actual ékphrasis (ékphrasis mimetica), si apre lo spazio teorico per una più generale riflessione sulle relazioni fra te- 1 Cfr. J. Hollander, “The poetics of ekphrasis”, Word & Image, 4, 1988, pp. 209-219. Itinera, N. 5, 2013. Pagina 341 sto e immagine, capace di superare la pur suggestiva concezione di Mitchell sul rapporto agonale e conflittuale fra visivo e verbale2. In questa direzione, nel primo intervento curato da Liliane Louvel, Fooling the Eye: Inventing/Discovering/Uncovering images-in-texts, è stato affrontato il problema dei limiti della rappresentazione verbale, attraverso l’esempio di romanzi (Wilde, Banville, Consolo, Soldati) che inventano quadri e immagini che non esistono, assegnando al lettore la possibilità di una creazione immaginativa capace di trasformare la lettura in visione e sguardo. La lettura di un’ékphrasis si rivela in questo caso come un’esperienza liminare e maieutica, una soglia della rappresentazione che a rigore non è né un’immagine né un testo, ma una specifica esperienza iconica intermediale in cui il testo scompare per far apparire un’immagine assente. Al centro di questa riformulazione del concetto di iconotesto, che sfuma la distinzione fra ékphrasis nozionale ed ékphrasis mimetica, emerge come terzo elemento decisivo lo spazio della ricezione mentale del lettore-spettatore, che la complessa nozione di pictural, elaborata da Louvel, cerca di riassumere. La natura anfibia e intermedia dell’ékphrasis apre la strada a una progressiva e dilagante invasione del visuale nel verbale, come testimoniato dalla relazione di Alain Montandon, dedicato ai Dispositifs visuels du narratif. Attraverso alcuni esempi ricavati dalla letteratura ottocentesca (Hoffmann, Balzac, Maupassant, Poe), è possibile individuare nel dispositivo visuale quell’elemento scopico che genera la narratività del racconto, organizzando la totalità del testo sia sul piano semantico sia a livello formale. La presenza dell’immagine nel testo, dalla pittura alla fotografia (come nel caso di America di Kafka), svolge una funzione narrativa, non semplicemente documentaria, in quanto ogni rappresentazione, implicando la ripetizione e la duplicazione di una porzione della realtà, introduce una dimensione seriale, che vincola lo sguardo del lettore e costruisce il racconto. La descrizione ecfrastica non si confina tuttavia nei limiti di una pratica testuale e letteraria, ma può emergere all’incrocio di un insieme di saperi, tecniche, sguardi e codici visibili e verbali sempre connotati storicamente. 2 Cfr. W.J.T. Mitchell, Picture Theory, The University of Chicago Press, Chicago-London 1994. Itinera, N. 5, 2013. Pagina 342 Esemplare in questo senso risulta il caso della Gradiva di Jensen, al centro dell’intervento di apertura della seconda giornata del convegno, Ekphrastic hysteria di Alessandra Violi, che ripercorre la complessa genesi della costruzione di un’immagine esemplare dell’isteria, al di là del semplice rapporto fra testo letterario e opera d’arte, e al di là quindi della ben nota analisi freudiana. Il bassorilievo della Gradiva costituisce un caso esemplare di immagine costruita e “scolpita” non solo dal testo freudiano (e prima di esso dal racconto di Jensen), ma generata da un insieme di pratiche culturali ossessionate negli stessi anni dal tentativo di rendere presente l’evidenza del corpo malato: la fotografia archeologica, la ricerca medica e clinica, la storia dell’arte, lo sviluppo dei media tecnologici svolgono un ruolo decisivo nel processo di promozione culturale della Gradiva, nella misura in cui tale immagine intercetta le preoccupazioni fondamentali del tempo. Una vertiginosa interrogazione dei limiti della descrizione ecfrastica è stata proposta da Filippo Fimiani che, nella relazione Spazi vuoti, istruzioni per l’uso. Tra mondo dell’arte e mondo della vita, si è confrontato con Le vide di Yves Klein, spazio vuoto di un’esperienza sensibile, estesica che rinuncia volontariamente a qualsiasi dispositivo mediale esterno che possa fungere da supporto per una relazione estetica tra il fruitore e l’opera d’arte (ancora presente nei monocromi dello stesso Klein). La radicale operazione dell’artista francese sposta l’attenzione sul titolo e sulla concisa descrizione fornita dallo stesso autore: la dimensione para-operale (il contesto, la cornice, l’atmosfera) dell’arte funziona come un attivatore in grado di generare un’esperienza sensibile, corporea nel fruitore ben distinta dalla poetica modernista dello spazio vuoto o dalle declinazioni concettuali dell’arte contemporanea. Si pone qui l’enigmatica possibilità di un’esperienza estesica dell’arte che sfugge alle maglie della relazione estetica fra opera e fruitore. Un tipo particolare di descrizioni è costituito dalle immagini interiori, dalle visioni e allucinazioni prodotte dal cervello in uno stato intermedio tra il sonno e la veglia, classificate dalla psichiatria francese ottocentesca come “immagini ipnagogiche”, quali spunto e fonte di ispirazione per forme narrative specifiche nell’opera di Goethe, Hofmannstahl e Proust. L’intervento di Helmut Pfotenhauer, Die Sprache der inneren Bilder. Von Goethe bis Hof- Itinera, N. 5, 2013. Pagina 343 mannsthal und Proust, concentrandosi sul ruolo delle fantasie visive interiori nella creazione letteraria, pone alcuni interrogativi decisivi allo statuto della teoria delle immagini, nella misura in cui essa si fonda sulla distinzione fra image e picture, fra immagini interiori e immagini incarnate in un dispositivo visuale esterno. A un contesto culturale tedesco si ricollega anche l’intervento di Gabriella Catalano, Grammatica delle immagini. Iconografie goethiane da “Egmont” ai “Wanderjahre”, che muove dalla nota familiarità di Goethe verso le immagini e le opere d’arte per analizzare la loro funzione all’interno della stessa produzione goethiana. In assenza di citazioni di originali chiaramente decifrabili, l’opera letteraria e drammatica di Goethe (dalle Affinità elettive al Wilhelm Meister, da Egmont al Faust) libera una circolazione produttiva fra prototipi e variazioni, fra tipi ed esempi, dove le numerose immagini evocate, che possono essere interpretate come copie di originali assenti, interagiscono dinamicamente con le diverse esigenze narrative di volta in volta presenti. In opposizione al modello morfologico goethiano, che trova una feconda applicazione anche nella sua opera letteraria e che pensa la variazione come una manifestazione della vita delle forme culturali, il testo teatrale novecentesco di Heiner Müller, Bildbeschreibung, si presenta come un gesto iconoclasta che interpreta la “descrizione dell’immagine”, richiamata dal titolo della pièce, come una continua sovrapposizione di immagini sfuggenti, incompiute, che finiscono per cancellare il loro oggetto. L’intervento di Francesco Fiorentino, L’immagine è un pretesto: “Bildbeschreibung” di Heiner Müller, si è concentrato sull’analisi di questo testo teatrale che cerca di smontare la retorica dell’ékphrasis, liberando le implicazioni politiche implicite nel rapporto fra visibile e verbale. L’ultima giornata del convegno si è aperta con la relazione di Fernando Hernández, Researching on images, researching with words. Revealing which remains invisible in visual culture pedagogies, che ha affrontato il problema delle implicazioni pedagogiche delle pratiche della visualità occidentale. Attraverso l’esempio della rappresentazione dell’infanzia come età dell’innocenza fra Ottocento e Novecento, l’intervento ha evidenziato la cen- Itinera, N. 5, 2013. Pagina 344 tralità delle immagini, non solo artistiche, nella produzione di un immaginario sociale e culturale condiviso e nella costruzione dell’identità soggettiva. Le immagini funzionano in questo senso come spazi di risonanza e di vibrazioni fra il visibile e l’immaginario, come prassi che generano modi di agire sociali e culturali, modellando la soggettività dei fruitori: proprio per questo la questione della libertà e della consapevolezza degli osservatori di fronte alle immagini della cultura visuale dominante si pone al centro della riflessione pedagogica e di ogni politica delle immagini. La relazione di Andrea Pinotti, La leggenda del pittore cinese. A partire da Benjamin, ha affrontato la questione della soglia di confine fra realtà e rappresentazione partendo dall’immagine leggendaria del pittore cinese che scompare nel quadro da lui dipinto, ricorrente in due passi dell’opera di Walter Benjamin, ma citata anche negli scritti di Bloch, Adorno, Kracauer, Balázs. L’opposta valutazione che l’autore tedesco assegna a questo momento topico della fruizione estetica, come positiva identificazione del soggetto con la rappresentazione o come modello negativo di una ricezione puramente contemplativa, auratica e borghese, apre la strada a un’interrogazione sulla tensione dialettica fra empatia e distanza nell’éckphrasis e sul ruolo delle diverse modalità sensoriali (ottiche, tattili) coinvolte nella percezione dell’arte contemporanea. Il convegno si è concluso con la relazione di Vittoria Borsò, Tra parole in movimento e immagini in azione. L’evento della visualità in Honoré de Balzac e Charles Baudelaire, che ha toccato un ulteriore aspetto della capacità dell’immagine, in quanto sapere “eccedente”, di porsi al di là della rappresentazione. Il capolavoro sconosciuto di Balzac e Il pittore della vita moderna di Baudelaire costituiscono due testi decisivi della prima modernità che interrogano la pittura nella sua volontà di catturare la vita nella sua immediatezza e intensità, al di là della separazione fra soggetto e mondo e di ogni rassicurante mìmesis naturalistica. Il problema dell’éckphrasis si rivela come uno degli orizzonti critici più stimolanti per la riflessione teorica contemporanea sulle arti, sia che venga considerato come archivio visivo interno alla letteratura sia che sia interpretato come dimensione contestuale inseparabile dalle arti visive o come spa- Itinera, N. 5, 2013. Pagina 345 zio intermedio fra il visibile e il verbale e momento di superamento dei limiti della rappresentazione. Itinera, N. 5, 2013. Pagina 346