Location via proxy:   [ UP ]  
[Report a bug]   [Manage cookies]                
COMBATTIMENTO - INGRATE “Musicam nobis esse coniunctam, mores vel honestare, vel evertere” (“La musica è collegata a noi, o abbellisce o sconvolge i costumi”) . Questa frase tratta dal De Institutione Musica (500-507 d.C ca.) di Severino Boezio, opera molto importante per lo sviluppo del pensiero musicale medievale e rinascimentale, esprime bene ciò che per Monteverdi potesse significare la musica e l’essere compositore. E non è di certo un caso che la citi nella prefazione ai suoi Madrigali guerrieri et amorosi […] Libro ottavo pubblicato per la prima volta a Venezia nel 1638, il libro che contiene entrambe le composizioni in programma. Questo testo, intitolato Monteverdi a chi legge, è tra gli scritti teorici più estesi che il cremonese ha lasciato ai posteri ed espone in maniera piuttosto chiara quali fossero i suoi interessi, le sue ambizioni e le sue idee innovative. Uno dei punti fondamentali è la descrizione degli affetti legati all’animo umano – «ira, temperanza, et umiltà o supplicatione» – e del loro legame con i tre generi musicali – «concitato, molle et temperato» – individuati a partire dai trattati greci, grande fonte di ispirazione e modello ideale per Monteverdi. A partire dall’enunciazione di questi aspetti abbiamo la possibilità di comprendere meglio il significato dei brani che compongono la raccolta; da questo punto di vista, il Combattimento di Tancredi e Clorinda e Il Ballo delle Ingrate incarnano affetti esattamente opposti, essendo il primo legato espressamente al sentimento bellicoso, all’ira, alla morte propri dello stile ‘concitato’ e il secondo al sentimento di compassione e ‘supplicazione’ caratteristici dello stile ‘molle’. Proprio per questo motivo, Monteverdi li tratta con linguaggio espressivo molto differente tra loro ed utilizzando non poche innovazioni stilistiche. Il Ballo delle Ingrate venne eseguito per la prima volta il 4 giugno 1608 durante le feste per l’ingresso ufficiale dell’infanta Margherita di Savoia a Mantova, in seguito al matrimonio con Francesco IV Gonzaga. Furono festeggiamenti estremamente sfarzosi con balli, giostre, battaglie navali e rappresentazioni teatrali con cui la famiglia Gonzaga poteva dare sfoggio della propria potenza economica e politica, da quel momento anche sul Monferrato. Ciò che compare all’interno dei Madrigali guerrieri et amorosi del 1638 è l’adattamento compiuto da Monteverdi in occasione dell’incoronazione di Ferdinando III d’Asburgo (dedicatario dell’opera) a Vienna, avvenuta nel 1636, ed è l’unica partitura che abbiamo modo di eseguire ed ascoltare oggi. Restano tuttavia alcune testimonianze coeve, come la descrizione all’interno del Compendio di Federico Follino, cronachista e corago alla corte di Vincenzo I Gonzaga, che riporta molti dettagli degli eventi spettacolari avvenuti durante le feste del 1608. La trama dell’azione è piuttosto semplice: all’interno del Ballo delle Ingrate agiscono quattro personaggi cantanti (Amore, Venere, Plutone e una Ingrata) oltre al gruppo dei danzatori. La scena si apre sulla bocca dell’Ade: Amore e Venere, giunti lì dopo che gli strali d’Amore non si rivelavano più efficaci, chiedono a Plutone di mostrare alle donne le sofferenze che sarebbero state riservate alle Ingrate, ovvero quelle che non avevano ceduto alle lusinghe amorose dei loro corteggiatori. Gli spiriti delle Ingrate escono dunque per un breve ballo alla fine del quale vengono nuovamente condotti negli Inferi, scortati da Plutone. Solo un’Ingrata si protrae sul palco più a lungo per cantare il suo Lamento finale («Ahi troppo, ahi troppo è duro») in cui, in un momento di grande patetismo, esorta le donne a cedere all’amore dei loro spasimanti. La sinfonia di apertura presenta degli aspetti interessanti: nella versione del 1638 non ne è riportata alcuna, rimanendo quindi a discrezione dell’esecutore o di chi sia preposto alla direzione. Le testimonianze del 1608 parlano invece di un gran fracasso di tamburi che, con un ‘effetto sorpresa’ calavano immediatamente il pubblico nella scena, visto che arrivava da un momento di danza collettiva. Le sostanziali innovazioni che Monteverdi apporta all’interno del Ballo delle Ingrate riguardano specialmente l’aspetto coreutico. Fino a quel momento i balli erano caratterizzati da coreografie di tipo geometrico, simmetriche, in cui ogni figura aveva una propria simbologia. In questo caso, invece, Monteverdi ha in mente qualcosa di totalmente differente. In primo luogo, erano previste in scena sedici anime Ingrate: quindici rimanevano in platea per danzare mentre una era collocata sulla scena per cantare il Lamento finale. A questa si aggiungevano poi altre quattro anime Ingrate per cantare il refrain «Apprendete pietà». In questo modo, essendo le ballerine in numero dispari, la possibilità di eseguire un ballo perfettamente simmetrico doveva venire a mancare, rompendo così la convenzione con il ballo coevo. Un altro punto di distacco riguarda invece il contatto fisico presente all’interno della coreografia, allontanandosi dalla regola per cui l’unico contatto ammesso tra i ballerini era quello delle mani: «[…]e giunte su ‘l piano del Teatro, fecero un balletto così bello, e così vago, con passi, con moti, e con atti hora di dolore, et ora di disperatione, e quando con gesti di misericordia, e quando di sdegno, tal’hor abbracciandosi come se havessero le lagrime per tenerezza sù gli occhi, tal’hor percotendosi gonfie di rabbia, e di furore. […]» (Follino). Per muovere ulteriormente l’affetto di compassione del pubblico verso le anime Ingrate, vennero utilizzati abiti «di foggia molto stravagante, e bella, che si stendevano infino à terra, composti di un ricco drappo, che fu tessuto apposta per tale effetto. Egli era di color berettino, misto di sottilissime fila d’argento, e d’oro con tanto di artifitio che à riguardarlo pareva cenere mischiata con ardenti faville; e si vedevano così le vesti, come i manti (che in maniera molto bizarra pendevano loro dalle spalle) ricamati di spesse fiamme conteste di seta, ed oro, tanto ben disposte che ciascheduno stimava, che ardessero: e tra dette fiamme si potevano veder con bellissim’ordine cosparsi carbonchi, rubini et altre gemme che rassimigliavano l’accese brace.» (Follino). Il Combattimento di Tancredi e Clorinda venne invece eseguito per la prima volta a palazzo Mocenigo di Venezia durante il Carnevale del 1624 e prevede un organico costituito da tre parti vocali (Clorinda, soprano; Tancredi, tenore e Testo, tenore) e quattro parti strumentali («quattro viole da brazzo, soprano, alto, tenore e basso, et contrabbasso da gamba, che continuerà con il clavicembalo»). La base letteraria è costituita dalla Gerusalemme Liberata del Tasso, con non poche licenze che riguardano specialmente la modifica dei primi due versi e «la frequente e deliberata commistione della versione della Liberata (canto XII) con quella della Conquistata (canto XV)» (Fabbri, Monteverdi). Monteverdi stesso, nella prefazione già citata, dà una spiegazione della sua scelta: Tasso era uno di quegli autori in grado di dar vita, per mezzo delle parole, alle passioni che descrive; inoltre, egli trova nella descrizione del combattimento tra Tancredi e Clorinda un terreno ideale per poter mettere in musica contrasti tra affetti contrari, essendo la vicenda commista di guerra, amore e supplica. Precisa poi che questa sua musica dovrà essere eseguita «con gesto»: nella partitura, infatti, sono presenti parecchi episodi, specialmente quelli in cui è previsto lo scontro fisico, che richiedono esplicitamente l’azione in scena affinché il testo sia davvero compiuto e pienamente comprensibile al pubblico. Per la prima volta rispetto a brani di genere analogo (come le due Lettere amorose incluse nel Concerto o il Lamento di Arianna pubblicati nel 1623) Monteverdi si avvale dell’uso di strumenti acuti (il corpo delle viole da braccio) che concertano, ovvero dialogano, con le tre voci cantanti per tutta la durata della composizione. Dalle istruzioni riportate nella partitura, parrebbe che a palazzo Mocenigo i musicisti fossero collocati in una stanza differente da quella dei «gentiluomini invitati alla veglia» in modo da poter permette di percepire meglio il testo cantato e dare un effetto di maggior stupore nel momento dell’apertura della vicenda: in medias res, con la celebre enunciazione del Testo («Tancredi, che Clorinda un uomo stima, / vol ne l’armi provarla al paragone»). Se nel Ballo delle Ingrate le innovazioni erano apportate soprattutto dal punto di vista coreutico, qui la vera fatica di Monteverdi risiede nel voler ricercare nuovi gesti vocali e strumentali che potessero esprimere ancora meglio gli affetti e le situazioni sceniche. Fin dall’inizio, per esempio, la figurazione strumentale ‘rotatoria’ e quella del moto del cavallo contribuiscono a dare l’impressione di determinazione spaziale sulle parole «Va girando colei l’alpestre cima […]», cui segue l’inizio dello scontro armato. Questo è reso ancora più evidente tramite l’uso di quello che Monteverdi chiama ‘stile concitato’, ottenuto attraverso note ribattute in quartine di sedicesimi insieme ad «oratione contenente ira et sdegno», allusivo allo sferragliare delle armi. In aggiunta a questo tremolo d’arco, abbellimento ripreso dalla musica vocale in voga già dagli anni ’10, Monteverdi inserisce per la prima volta in Italia l’uso del pizzicato («Qui si lascia l’arco, e si strappano le corde con duoi diti»). Questo particolare effetto viene utilizzato a scopo rumoristico per evidenziare il momento più scomposto del duello, quando questo degenera in rissa: «e spada oprar non giova; / dansi con pomi infeloniti e crudi […]». Dopo la condanna del Testo nei confronti dell’ignobile azione di Tancredi e l’agnizione di Clorinda da parte del cavaliere sgomento («Ahi vista! Ahi conoscenza!»), tutta l’ultima parte della composizione è invece incentrata sull’affetto opposto: quello della «preghiera e morte» di Clorinda, culminanti nei versi «S’apre il ciel: io vado in pace», con cui la composizione si conclude. Il Ballo delle Ingrate e Il Combattimento di Tancredi e Clorinda sono un tassello fondamentale per una comprensione più ampia della seconda prattica monteverdiana e proprio grazie alla incredibile sensibilità dell’autore, le opere di Monteverdi appaiono ancora oggi attuali e coinvolgenti. Giulia Vitale