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Lo Spirito della missione. Ripensare l'orizzonte iniziatico della pastorale. Introduzione Il titolo di questa riflessione è volutamente ambiguo. Esso riprende una espressione analoga proposta da B. De Marchi1 in un saggio recente che a nostro parere riassume bene la complessa ma illuminante prospettiva della missione nella luce dello Spirito di Dio nel mondo2. Scopo è mostrare l’opportunità di ripensare l’agire pastorale e catechetico nella prospettiva pneumatica ovvero nella prospettiva del sostegno ecclesiale ai dinamismi spirituali della persona come risposta all’agire di Dio nella storia3. Questa prospettiva sembra utile per riflettere ancora sulla pastorale di iniziazione cristiana, uno dei cardini del rinnovamento missionario della pastorale; rinnovamento che sembra tardi a dare i suoi frutti perché a nostro avviso ci si è troppo velocemente lasciati attrarre dalla prospettiva catecumenale senza avere sufficientemente riflettuto sulla prospettiva iniziatica o, come sempre più sembra emergere, la prospettiva generativa. Ma non sarà possibile utilizzare pienamente la categoria generativa se in un primo momento non viene separata dalla responsabilità ecclesiale per ricomprenderla – appunto - dentro la missione dello Spirito. Cioè in una prospettiva mistica4. Tuttavia per recuperare la dimensione mistica della salvezza è necessario andare oltre la comprensione del rapporto natura-Grazia come è stato compreso a partire dal primato liturgico-sacramentale centrato sul Mistero Pasquale. Se il Mistero Pasquale venisse ricompreso oltre la prospettiva tridentina e se si pensasse come attestazione simbolica (rituale) della missione trinitaria, allora avremmo una prospettiva iniziatica che non si limita ad assicurare in modo oggettivo ed esteriore il processo di trasformazione interiore ma sarebbe incentrata sulla progressione spirituale o mistica della risposta di fede. Prospettiva dell'oggettivo che a livello di pedagogia cristiana rimane il problema fondamentale della crisi pastorale. D’altra parte è intuito da tutti che se non si risolve la questione iniziatica non potremo avere comunità adulte, soggetto della missione locale e testimoni autentiche del Vangelo. Per raggiungere questa finalità dovremo innanzitutto disambiguare la comprensione della crisi iniziatica del XX secolo e delle proposte pastorali avanzate (1); ricomprendere il compito missionario della Chiesa nella prospettiva pneumatica (2); riconsiderare il compito iniziatico in questa prospettiva (3) e contribuire ad un nuovo rapporto tra iniziazione, liturgia e mistica (4). 1. Iniziazioni sempre più difficili Ci confermiamo nell’opinione già altre volte dichiarata che i grandi sforzi di rinnovamento missionario della pastorale iniziatica siano bloccati da una insufficiente interpretazione delle difficoltà che il cristianesimo e le religioni soffrono nel nostro tempo. Sono interpretazioni che risentono di due limiti epistemologici. Il primo è quello di operare analisi pastorali facendo leva quasi solo su una descrizione sociologica che comporta quasi sempre una interpretazione di natura quantitativa. 1 B. De MARCHI, The Holy Spirit, Artist of God's Kingdom Spirit and Mission, in Urbaniana University Journal 67 (2014) 1, 93-138. 2 Citazione indiretta di un’opera molto contestata ma alla lunga decisiva di K. RAHNER: Geist in Welt: zur Metaphysik der endlichen Erkenntnis bei Thomas von Aquin, Rauch, Innsbruck 1939 (tr. it. 1989); testo ripresentato in forma più divulgativa in K. RAHNER, Uditori della Parola, Borla, Roma 1977 [1941]; testo che terremo molto presente in questa riflessione. 3 Crediamo di sviluppare ulteriormente le riflessioni già apparse su questa rivista: L. MEDDI, Catechesi missionaria. Analisi di una definizione in Europa, in Catechesi 87 (2018) 1, 29-41. 4 V. M. FERNÁNDEZ, La forza salvifica della mistica. Liberazione spirituale per tutti, San Paolo, Cinisello Balsamo 2018. 1 In secondo luogo o in conseguenza di essa, le interpretazioni soffrono dell’implicito principio che nel ripensamento pastorale si debba innanzitutto salvare il ruolo sociale della Chiesa, pensato come indispensabile per il processo salvifico. Questa preoccupazione ha portato a non comprendere, e spesso a osteggiare, le interpretazioni teologiche proposte dal Vaticano II che, sebbene a volte solo accennate nei testi, possono offrire prospettive innovative pur nel dialogo profondo con la Tradizione. Inoltre ha portato a marginalizzare una acquisizione preziosa dei pionieri del ripensamento catechetico; quella che collega gli esiti iniziatici con l’insieme degli studi sugli processi culturali messi in atto dalla persona e dai gruppi umani per realizzare qualsiasi apprendimento trasformativo. La volontà di parte della Chiesa di non cedere ad alcuni aspetti della cultura moderna che potessero mettere in ombra il suo ruolo di mediazione ha portato ad esaltare l’interpretazione liturgico-sacramentale della pastorale missionaria. Scelta che non permette una adeguata descrizione dei processi iniziatici con la conseguenza di non poter gestire adeguatamente l’accompagnamento iniziatico, che è il vero compito o mediazione ecclesiale. La difficoltà iniziatica in occidente tra abbandoni e non accettazioni La crisi della Chiesa vissuta nella seconda modernità, quella generata dalla rapida diffusione della cultura critica propria dell’Illuminismo, ha causato uno schema interpretativo di non facile superamento, nonostante le prospettive offerte dal Vaticano II. La crisi viene infatti interpretata come conseguenza di una perdita di controllo dei processi culturali. La pastorale vive tale incomprensibile tradimento secondo quattro reazioni: l’opposizione violenta, la rinuncia o passività, le diverse forme di riconquista, un supplemento di ardore missionario. Strategie che sono unite, a diverso modo, dalla inconscia decisione di non accettare la prospettiva dialogica con la cultura proposta da Paolo VI e da Vaticano II per non venire a patti con i traditori e non perdere l’identità cattolica. Questa visione non ha permesso di comprendere in profondità il fenomeno interiore della crisi pastorale. Non si tratta di tradimento ma di non accettazione di una proposta religiosa inadatta a comprendere le nuove situazioni in cui vive la persona. La pastorale fatica a raccogliere l’interrogativo del sociologo Le Bras: perché il buon contadino cattolico delle campagne francesi diventa scristianizzato appena scende dal treno a la Gare du Lion? Interrogativo che dovrebbe far nascere il sospetto che il problema non sia tanto assicurare l'offerta, quanto comprendere meglio il processo di scelta e di interiorizzazione. Abbiamo ormai un doppio segnale che ci aiuta a capire questo complesso fenomeno contemporaneo. In primo luogo che a lungo, l’ateismo non ha prevalso, ma ha fatto nascere il fenomeno antichissimo del pluralismo religioso. L’intuizione di Dio non è morta dal cuore delle persone, si è pluralizzata e resa autonoma. Non siamo quindi in una cultura atea o nel deserto spirituale. In secondo luogo le società, mortificate dall’illusione dei poteri nascosti dentro la cultura moderna, hanno generato culture postmoderne dove il sentimento religioso è nuovamente il centro simbolico delle stesse. Ahimè, anche nella forma negativa di violenza. Dio-Patria-Famiglia torna ad essere, infatti, lo slogan tribale che sembra spiegare le cose perché semplifica ed elimina ogni contraddizione. Questa analisi della non accettazione è stata già fatta ed era entrata nel lessico della missione e della catechesi: la dissociazione, il passaggio da religione a fede, il superamento della società religiosa, la richiesta di un cristianesimo di qualità. Ma improvvisamente sparita. A nostro avviso rimaniamo dell'idea che l'oggetto di studio da approfondire sia il fenomeno della dissociazione fede e vita o fede e cultura come già avvertito dalla pastorale francese, dalla catechetica italiana e ripreso da Paolo VI in Evangelii nuntiandi 18-20. Sono analisi che hanno in comune di spostare l'attenzione da presunte mancanze di comunicazione o interruzioni di trasmissione generazionale alla comprensione del perché l'annuncio cristiano non interessi più le persone e soprattutto perché rimane ai margini della struttura psichica e motivazionale della persona. E tuttavia le scelte pastorali hanno continuato ad essere pensate in termini apologetici. Più esattamente si cercano ancora strategie socializzanti per recuperare le appartenenze perdute piuttosto che pastorali formative capaci di rendere le persone capaci di integrare la vita con il Vangelo. 2 Dalla iniziazione attività alla pastorale iniziatica La riconsiderazione della vicenda iniziatica del XX secolo passa attraverso tre parole chiave: pedagogia della fede, catecumenato, iniziazione. Per ognuna di esse possediamo ormai ampie ricostruzioni5. Più interessante invece sarebbe comprendere il rapporto tra le tre, la continuità e discontinuità e soprattutto le preferenze del magistero. Il Vaticano II ha privilegiato il tema della pedagogia della fede anche quando ha utilizzato l’espressione catecumenato e iniziazione. L’espressione catecumenato nacque proprio per dare una nuova pedagogia alla formazione cristiana più che alla IC. E fino alla prima metà degli anni ’70 viene utilizzato come sinonimo di rinnovamento formativo e include molte voci del vocabolario catechetico soprattutto francese e italiano. Con la pubblicazione di OICA 1972, invece, si assiste ad una serie di novità. Catecumenato diviene sinonimo di IC, tanto che documenti e autori usano i due termini come equivalenti. Inoltre catecumenato viene svuotato di ogni riflessione pedagogica in quanto è la IC a determinare i contenuti del catecumenato. In questo passaggio avviene lo spostamento interpretativo a cui accennavamo prima. Sarà importante notare che con molta difficoltà si troveranno studi teologici sulla natura sia della IC che sul catecumenato se non di impostazione liturgica6. Dire che questa attività pastorale deriva l’analisi della loro natura teologica dal linguaggio liturgico significa che si pensano a servizio solo del Mistero Pasquale e che identificano l’azione salvifica con esso, mentre Vaticano II ha recuperato la sacramentalità di tutta la Rivelazione divina. Documenti e autori, non approfondendo il tema della natura della IC e delle pedagogie più adatte, non potranno che mettere l’attenzione sulla difficoltà culturale, sulla necessità del recupero del momento familiare, sul carattere testimoniale della comunità e sulla integrazione catechesi-liturgia (si escluderà sempre la carità). Per cui l’analisi pastorale non sarà più centrata sulle nuove condizioni dell’iniziare ma sulle condizioni del recupero del ruolo sociale della IC. Il carattere di neo-socializzazione religiosa venne accentuato dalla progressiva “demonizzazione” del dibattito sul battesimo dei bambini, sulla marginalizzazione del dibattito sul battesimo dei bambini a tappe e, infine, sulla imposizione del ripristino dell’ordine dei sacramenti. Il tutto per circoscrivere il processo iniziatico dentro il più comodo processo socializzante e prima dei processi adolescenziali7. Di fronte al permanere evidente delle incertezze e difficoltà si è recentemente proposta una nuova interpretazione globalmente definita generativa. Quale sarebbe la distinzione tra generativo e iniziatico? Gli autori8 che stanno proponendo questo passo in avanti la indentificano nel fatto che l'accento non viene messo sulla funzione sacramentale (assicurare il contatto e l'accesso sociale alla fonte del mistero pasquale) ma sul processo interiore della persona. "Il seme caduto nella terra buona" produce molto frutto. Il seme possiede già le energie iniziatiche, esse si attivano attraverso la risposta della persona. Il seme produce frutti di vita cristiana in tempi e modalità differenti e soprattutto secondo stili di vita differenti. L'albero della iniziazione è quindi pluriforme e il compito della Chiesa consiste nel far passare (aiutare ad attivare) la linfa vitale aspettando con meraviglia i frutti cristiani che ne nasceranno. A nostro avviso, tuttavia, l'attenzione non va posta sulla ossessione dei frutti con la conseguenza di elaborare pastorali iniziatiche sempre più simili al momento della concimazione e della sarchiatura (come 5 C. CACCIATO INSILLA, L'iniziazione cristiana negli studi e nella ricerca, in ID., L'iniziazione cristiana in Italia dal Concilio Vaticano II ad oggi. Prospettiva pedagogico-catechetica, Roma, Las 2009, 147-223; W. RUSPI, Il catecumenato: un futuro per la Chiesa?, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2014; L. MEDDI, La catechesi oltre il catechismo. Saggi di catechetica fondamentale, Urbaniana University Press, Città del Vaticano 2017. 6 PP. CASPANI, La pertinenza teologica della nozione di iniziazione cristiana, Glossa, Milano 1999; ID., "Iniziazione cristiana" e "catecumenato" semplicemente sinonimi?, in La Scuola Cattolica 127 (1999) 2/3, 261-312. 7 G. ANGELINI, I problemi dell'iniziazione cristiana in prospettiva di teologia pratica, in La Scuola Cattolica 107 (1979) 3, 181-224; ID., I problemi teorici della iniziazione cristiana in prospettiva teologico-pratica, in AA. VV., Iniziazione cristiana e immagine di Chiesa, Elledici, Torino 1982, 21-82. 8 Cf. PH. BACQ-CH. THEOBALD (sous la direction de), Une nouvelle chance pour l'Evangile : vers une pastorale d'engendrement, Lumen Vitae-Novalis-Ed. de l'Atelier, Bruxelles-Montréal-Paris 2005; M.-A. DE MATTEO- F.X. AMHERDT, S'ouvrir à la fécondité de l'esprit - Fondements d'une pastorale d'engendrement, Sant'Augustine, 2009. 3 se il seme o la linfa avessero qualche difetto). Anche! L'attenzione va posta su come i singoli rami, uniti al tronco, lasciano passare la linfa vitale perché è sicuramente vero che possono esserci delle strozzature. La pastorale iniziatica per questo dovrebbe spostare l'accento dalla comunicazione sacramentale (nuova verbalizzazione della precedente amministrazione sacramentale) allo sviluppo della competenza spirituale della persona, la sola capace di permettere la conoscenza e interiorizzazione della proposta divina. Questo è il senso di generativo; un significato, tuttavia, che si presta a molte preoccupazioni per cui presso molte operatori e riflessioni si preferisce interpretarlo come equivalente di iniziatico, magari reinterpretando il generativo con la teologia patristica9. Infatti l'equivoco si trova proprio nel ruolo della Chiesa, se solo essa possiede il carattere generativo o se esso appartiene all'azione missionaria della Trinità. Per rispondere a questo interrogativo si deve entrare nella riflessione missiologica. 2. Dio continuamente inizia Anche la questione iniziatica va ripensata alla luce di Vaticano II e delle sue prospettive. Se è vero che Vaticano II non possiede una approfondita teologia della iniziazione cristiana, è però vero che possiede una rinnovata teologia della missione come teologia dei processi salvifici. Forse si può riassumere questa visione in alcune semplici affermazioni. Il processo salvifico appartiene a Dio, la sua volontà salvifica è dinamica e da Lui realizzata nel corso della storia. Il suo contenuto è Dio-Trinità stesso, è di natura interiore alla persona (illuminazione e desiderio), ha come scopo l'abilitazione della persona a vivere secondo la sapienza di Dio, avviene come interazione tra dono e accoglienza (fede) della persona, necessita di una qualche forma di mediazione-sacramentalità comunicativa, le forme comunicative-sacramentali sono molteplici e tutte riassunte e ricapitolate nel Mistero Pasquale di Cristo, la Chiesa ha il compito di mediazione (catalizzazione?) di tutte queste forme sacramentali. La missione è di Dio Quando venivano redatti i documenti conciliari erano emerse già almeno tre considerazioni sulla crisi missionaria. Tutte e tre mettevano in evidenza il non interesse verso la proposta cristiana10. La prima riguardava il disinteresse dei paesi occidentali verso il pensiero cristiano nella organizzazione della società moderna; il secondo era il disinteresse dei nuovi popoli emergenti desiderosi di emancipazione e decolonizzazione; il terzo era il permanere nel disinteresse al cristianesimo da parte di antiche culture e religioni. Il non interesse sembrava contraddire l'entusiasmo missionario del congresso di Edimburgo del 1910 e della cattolica Maximum illud (1919). I testi del Vaticano II rispondono a tali situazioni non seguendo più la strategia di potere antimodernista ma facendo una lettura profonda dei mutamenti in corso; una lettura che porta il concilio ad una ricomprensione della strategia ecclesiale. Si vuole sottolineare che l'ateismo nelle sue diverse espressioni (rifiuto o indifferenza) e dimensioni (teorico e pratico) va messo in relazione anche con il ritardo della Chiesa e dei credenti a verificare sia la loro testimonianza, sia la loro presentazione (comunicazione) della fede, sia soprattutto il valore teologico della cultura. Il Vaticano II inizia modificando la prospettiva tradizionale per cui la missione è azione ecclesiale per la amministrazione della salvezza sacramentale. Sacramentum concilium 6 ricorda questa prospettiva ma operando un ampliamento. Infatti presenta la salvezza non limitandola alla questione redentiva ma a tutto il significato del Mistero Pasquale; la liturgia va compresa come celebrazione che attualizza la Passione, la Morte, la Risurrezione, l'Ascensione e la Pentecoste di Gesù Cristo. La liturgia attualizza i suoi Misteri. È 9 K. DELAHAYE, Per un rinnovamento della pastorale. La comunità, madre dei credenti negli scritti dei Padri della Chiesa primitiva, Ecumenica Editrice, Cassano (Bari) 1974 [1958]; cf. CONFÉRENCE DES ÉVÊQUES DE FRANCE, Texte national pour l’orientation de la catéchèse en France et principes d’organisation, Bayard Éditions Fleurus-Mame Les Éditions du Cerf, Paris 2006; si colloca in posizione mediana M. SEMERARO, Per una pastorale generativa, in COMMISSIONE EPISCOPALE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE, L’ANNUNCIO E LA CATECHESI, Seminario "Evangelii gaudium. Annuncio e catechesi". Roma, 22-23 marzo 2017, 23 marzo 2017 (testo fotocopiato). 10 In campo missiologico si veda A. M. NEBREDA, Kerygma in krisis, Prior Press, Chicago 1965; si devono tenere sempre in conto le analisi presenti in H. GODIN- Y. DANIEL, La France, Pays de mission?, in Les Editions de l'Abeille [poi Cerf], Paris 1943 [1950]; cf. K. TILMANN, Stupore ed esperienza vie a Dio, Edizioni Paoline, Roma 1973. 4 proprio il rinnovato Messale Romano che fa ampio riferimento al concetto di missione per il Mistero pasquale11. Resta tuttavia l'interrogativo se l'ampliamento deve intendersi nella pienezza della azione cristologica che – per dirla con Paolo – ci offre «sapienza, giustizia, santificazione e redenzione» (1Cr. 1,30); o si debba continuare a intenderlo come semplice declinazione del tema redentivo. Già alla sua ripresa, nella seconda sessione, il tema salvifico veniva sganciato dalla prospettiva liturgicosacramentale e riportato alla intera Storia della Salvezza. Dei verbum infatti arricchisce il tema missionario della rinnovata considerazione delle finalità della Rivelazione e quindi dell’annuncio: la sacramentalità, la dialogicità e la storicità della Paola di Dio (n.2) con l’invito pressante a limitare l’uso della interpretazione allegoria a vantaggio di quella storico-critica (n.12). Utilizzando il linguaggio paolino riaffermato da Trento, la salvezza nel suo nucleo è giustificazione frutto della diretta autocomunicazione di Dio nella storia; questa autocomunicazione trasforma la storia in storia di salvezza. Il carattere iniziatico è posto quindi alle origini della volontà salvifica di Dio: nella sua continua dinamica rivelativa nel cuore umano. Questo spostamento di accenti apriva prospettive nuove del rapporto missionario tra Chiesa e mondo ma evidentemente creava incertezza sulla tradizione missionaria riassunta nella semplicistica (ma provocante) domanda: allora perché battezzare? Questa discussione provocò il repentino ritorno indietro operato da Redemptoris missio sulla perenne validità del mandato missionario e con continui aggiustamenti tra Evangelizzazione (proprio per questo modificata in Primo annuncio) e Battesimo12. Continuando la comprensione della missione della Chiesa nel mondo, il Vaticano II elabora una terza rilettura della salvezza. In quanto giustificazione essa è una e per sempre; in quanto storica essa si presenta in forme e contenuti diversi. Questo viene affermato in AG 6 (si noti che fu il paragrafo più contesto dalla commissione di redazione e dal dibattito in Aula). Sarebbe davvero infelice pensare che queste riflessioni di Vaticano II vogliano eliminare la tradizione missiologica precedente. Esse vanno nella linea di un ripensamento inglobante istanze differenti; un ripensamento che ha come obiettivo riconoscere la crisi teologica del XX secolo e ripensare il sapére cattolico nella prospettiva dialogica capace di rendere ragione della speranza nel nostro contesto culturale. Nella logica dell’aggiornamento, quindi. Certamente si crea la necessità di una nuova sintesi nella quale tutti gli elementi della tradizione rimangono ma riposizionati in modo differente. Al centro rimane il principio irrinunciabile che la salvezza è opera di Dio, mentre la storia della salvezza viene ricompresa secondo le declinazioni della missione dello Spirito e di Cristo. La Chiesa continua ad avere un ruolo di mediazione e di sacramento, ma non è più pensabile come unica rappresentante della salvezza operata da Dio; piuttosto come esemplarità e illuminazione. Certamente si amplia, come avverrà subito nel primo post-concilio, la declinazione del termine salvezza che includerà tutta la realtà umana da trasformare e guarire secondo la sapienza di Dio e la forza dello Spirito. La lettura cristologico-trinitaria della missione Come ricordato la prima definizione di compito missionario si incontra in Sacrosanctum concilium dove il contenuto e lo scopo della missione risulta essere la comunicazione della Grazia e l’inserimento nel Mistero Pasquale (n. 6). A seguito di SC ma già con qualche variazione, LG organizza la prospettiva missionaria della Chiesa nel quadro della visione economica della Trinità (LG 2-4); questa offrirà una visione trinitaria della stessa missione e azione missionaria (AG 2-4). La prospettiva di fondo è il desiderio trinitario di ricostruire l’unità del genere umano13, espressione che evidentemente mondanizza il concetto di salvezza. Sarà proprio la visione della stretta relazione tra evangelizzazione e umanizzazione ad essere al centro della successiva riflessione missionaria fino alla Evangelii nuntiandi. La liturgia ha accolto questa prospettiva di GS nelle nuove anafore eucaristiche (V). 11 Il nuovo Prefazio per annum I riconsidera la salvezza in chiave iniziatica. L. MEDDI, La testimonianza della vita cristiana come metodologia missionaria (can. 787), in Ius Missionale X (2016) 39-89. 13 J. RATZINGER, La mission d’après les autres textes conciliaires, in J. SCHÜTTE (sur la direction de), L'activité Missionnaire de l'Église. Décret « Ad gentes », Les édition du Cerf, Paris 1967, 121-147. 12 5 Sarà Ad gentes (1965), elaborata contemporaneamente a DV e GS, a rifondare sia la teologia della missione, sia la pastorale dell’azione missionaria. AG riprende il tema della missione come compito trinitario ma rispetto a LG sottolinea in modo originale il ruolo missionario dello Spirito indipendentemente da quello di Cristo. I paragrafi teologici propri di AG (AG 2-4) da una parte confermano dall’altra ampliano l’interazione tra i due soggetti, Cristo e lo Spirito, che diventerà oggetto di approfondimento già nel prosieguo del Concilio con influenze notevoli per la pratica missionaria. La continuità si vede facilmente della descrizione della missione del Figlio (n. 3) che è presentato come redentore e mediatore tra Dio e gli uomini e poiché è Dio, in lui abita corporalmente tutta la pienezza della divinità. È in lui che le diverse forme di salvezza, le iniziative anche religiose giungono a pienezza. Questa opera di mediazione è descritta con la teologia della incarnazione di cui si sottolineano due momenti importanti: la sua kenosi ma anche la sua consacrazione per dare inizio all’anno giubilare (Lc 4, 16 ss.). AG inoltre apre il dibattito sulla pluralità dei mandati missionari del NT e il valore della missione prepasquale (n. 5); riconosce il valore dei contesti e delle culture dei gruppi umani nella individuazione dei compiti missionari (n. 6); collega la missione alle aspirazioni degli uomini (nn. 8.12.13). AG ripropone a tutta la Chiesa il processo o attività missionaria: testimonianza, dialogo, evangelizzazione, iniziazione cristiana attraverso il catecumenato, formazione della Chiesa locale (c. II). Sono tutte dimensioni del processo di risposta alla dinamica evangelizzante che ha come soggetto l'azione missionaria di Dio. La riconsiderazione pneumatica del processo missionario È proprio in AG che si rende manifesta anche una qualche discontinuità. Il Vaticano II ci ha donato infatti una iniziale riflessione sulla presenza dello Spirito nel mondo14. In LG lo Spirito è identificato con il dono pasquale che agisce solo nella e per la Chiesa (LG 4) e proprio per questo è il soggetto della formazione dei battezzati (LG 35-37). Una interpretazione molto legata al documento sulla liturgia. In AG lo Spirito è presentato come Colui che continua e universalizza la missione di Cristo, ma è vero anche che AG sviluppa in modo innovativo15 la missione propria dello Spirito e anzi riconsidera quella di Cristo nella missione dello Spirito. Il n. 4 infatti conferma che per il raggiungimento della sua missione, Cristo inviò da parte del Padre lo Spirito Santo, ma aggiunge altre due affermazioni importanti. Con la prima («indubbiamente lo Spirito Santo operava nel mondo prima ancora che Cristo fosse glorificato») apre alla considerazione di numerosi e plurali percorsi salvifici; con la seconda («per l'opera dello Spirito Santo nella vergine Maria Cristo era stato concepito, e per la discesa ancora dello Spirito Santo sul Cristo che pregava questi era stato spinto a cominciare il suo ministero») riconsiderava la azione messianica di Gesù come frutto della missione dello Spirito. Sarà soprattutto il dibattito in occasione della redazione di Gaudium et spes ad aprire prospettive16 importanti per la missione. Lo «Spirito del Signore [infatti] riempie l'universo» (GS 11); nel cuore di tutti gli uomini di buona volontà «lavora invisibilmente la grazia …perciò dobbiamo ritenere che lo Spirito Santo dia a tutti la possibilità di venire associati, nel modo che Dio conosce, al mistero pasquale» (GS 22). Compito della Chiesa è anche l’umanizzazione, responsabilità che la Chiesa svolge in collaborazione con la società perchè lo Spirito semina soluzioni salvifiche nelle culture e nelle scienze umane (La missione della Chiesa nel mondo contemporaneo; nn. 40-45). In questa prospettiva l'iniziazione ha una base spirituale universale e il catecumenato dovrebbe svilupparsi come pratica pedagogica per la crescita nella disposizione o risposta a tale lavoro invisibile della Grazia. È in forza di questa presenza missionaria che «dai tempi più antichi fino ad oggi presso i vari popoli si trova una certa sensibilità a quella forza arcana che è presente al corso delle cose e agli avvenimenti della vita 14 I testi dove si esprime maggiormente la prospettiva pneumatica integrale sembrano essere LG 13-17; NA 2; AG 13 e soprattutto GS 22.44. 15 Una ricostruzione si trova in G. CANOBBIO, «Lo “Spirito” soffia dove vuole». Dove opera lo Spirito? In La vita nello Spirito. Quaderni teologici del Seminario di Brescia, Morcelliana, Brescia 2012, 113-154. 16 G. COLZANI, Nuove prospettive per una teologia della missione, in Ad Gentes 16 (2012) 1, 25-41. Una ampia sintesi in S.B. BEVANS-R.P. SCHROEDER, Teologia per la missione oggi. Costanti nel contesto, Queriniana, Brescia 2010 [2004] soprattutto la Parte terza. 6 umana, ed anzi talvolta vi riconosce la Divinità suprema o il Padre. Questa sensibilità e questa conoscenza compenetrano la vita in un intimo senso religioso» (NA 2). La missione dello Spirito è descritta come operare, riempire, dare forza, essere presente, essere sensibilità, conoscenza interiore e intima alle persone. Lo Spirito precede17, quindi, la missione ecclesiale come agente trasformatore, nel cuore delle persone, nelle loro culture, nelle loro esperienze: è agente interiore e pubblico. Occorre riconoscere che il tema pneumatico della missione non ha avuto molta attenzione nella riflessione successiva. I motivi principali sembrano essere: il perdurare della lettura post-pasquale della salvezza; il suo allargamento sociale (liberazione integrale) la limitazione del dialogo religioso alla sola questione dottrinale. Recentemente la teologia ha ripreso la riflessione incentrandola soprattutto sul tema della vita e della ecologia; impostazione che sembra allargare il tema della salvezza integrale; come anche in Laudato sii di Papa Francesco (2015). In effetti non è molto tematizzata neppure nella teologia missionaria. Esiste infatti una vasta riflessione in ambito del dialogo religioso sulla natura e valore salvifico della religione e delle religioni ma condizionato soprattutto dalla questione della unicità redentiva di Cristo. Se invece si libera il tema pneumatico della necessità di legarlo (in forma di dipendenza) al Mistero Pasquale e lo si riconsidera nella sua pienezza, sarà allora possibile ripensare la sacramentalità della salvezza come espressione del rapporto Spirito-Cristo; questo permette di indagare meglio le risorse salvifiche che lo Spirito di Dio semina nel corso della storia, nella cultura e nelle religioni. L’AT ci offre18 alcune considerazioni. Lo Spirto è in missione cioè inizia per: mettere ordine nel caos della evoluzione della storia cioè per operare la continua umanizzazione; per illuminare la sapienza umana attraverso la coscienza e la profezia; per costruire il cuore nuovo dell’umanità senza il quale non avviene l’alleanza e l’azione di Dio nell’uomo. In modo particolare si deve riconsiderare il ruolo dello Spirito come agente e soggetto di Rivelazione : credo nello Spirito santo Signore, che dà la vita e parla per mezzo dei profeti. Questa prospettiva non è lontana dalle riflessioni di altre religioni e testi sacri e viene espressa con vocabolario simile: illuminazione, obbedienza, annullamento dell’io. Storicamente l’azione dello Spirito si ritrova nelle religioni e nelle culture. La religione sottolinea il linguaggio rituale e simbolico mettendo in evidenza soprattutto la decisione-scelta di essere sottomesso alla volontà divina o (ma è l’altra faccia del suo significato) di essere il devoto servitore della divinità. In verità troppo spesso questa libera scelta si nutre del desiderio di avere i favori divini. Nelle culture, invece, prevale il linguaggio della vera realizzazione umana che viene compresa come svuotamento della particolarità della singola persona per sviluppare in sé il principio di universalità. Principio che spesso viene espresso con la categoria linguistica Dio, altre volte senza attribuire ad esso un significato personale. 3. Iniziazione e Spirito. La dimensione spirituale della formazione cristiana La visione iniziatica del Vaticano II19 è strettamente legata alla ricerca di una nuova sintesi di teologia missionaria. Essa è comprensibile a partire da alcune scelte teologiche di fondo: la teologia come contemplazione dell’autocomunicazione di Dio; il carattere immediato di tale comunicazione; il superamento della reificazione della Grazia e il recupero del suo dinamismo storico e personale; lo stretto rapporto tra fede infusa e risposta personale. Le parole chiave di questo dinamismo sono fede donata e opzione fondamentale (fede accettata). Tutto questo processo avviene nella relazione tra la Trinità e la persona, fatta a sua immagine; mentre la Chiesa entra solo come mediazione o catalizzatore. Da questo nasce un completamento della pedagogia iniziatica cristiana che soffre ancora oggi di due estrinsecismi: quando si occupa di Rivelazione la intende solo come messaggio (scrittura e tradizione); mentre quando parla di iniziazione la deriva teologicamente solo dal Mistero Pasquale celebrato. La 17 Cf. la "sorpresa" riflessione di Y. Congar (tra gli estensori del testo) in Les principer doctrinaux, in J. SCHÜTTE (sur la direction de), L'activité Missionnaire de l'Église, 185-221 (qui 189-190). 18 DE MARCHI, The Holy Spirit. 19 Nel suo complesso la questione iniziatica si trova disegnata in quattro luoghi conciliari: GE 2.4; CD 13-14; AG 14 e il c. IV di LG dedicato ai christifideles laici. 7 pedagogia cristiana dovrà essere equilibrata tra comunicazione oggettiva (del Messaggio e della Grazia) ed abilitazione della risposta, cioè il sostegno al processo di illuminazione interiore della persona stessa. Questo è in verità il compito lasciato incompleto dalla prospettiva tridentina. Questa è la dimensione pneumatica della iniziazione che proprio per questo ha una natura formativa. La lettura spirituale della iniziazione-formazione cristiana consiste nella descrizione delle operazioni (mozioni) dello Spirito all’interno della persona e dell’evoluzione umana: si tratta di esplorare i diversi processi che costituiscono la persona umana non perché essi siano la Grazia, ma perchè la Grazia agisce attraverso di essi. La svolta catecumenale dovrebbe modellarsi su tali processi più che sulla rigida applicazione dei passaggi o fasi del percorso. Dio evangelizza-inizia attraverso la coscienza della persona. L'estrinsecismo iniziatico nasce dalla separazione tra IC e Rivelazione. Come ricordava K. Barth all’inizio del rinnovamento teologico kerygmatico, la Parola di Dio ci comunica la potenza di Dio stesso 20. Dobbiamo però a K. Rahner21 la considerazione pneumatica della autocomunicazione di Dio. L’uomo è uditore della parola già per la sua innata e costitutiva struttura di conoscenza fondata nell'orizzonte dell'Essere divino e che proprio per questo è azione spirituale. Nella creazione è infatti stato diffuso lo Spirito di Dio che abilità l’umanità a desiderare, capire, aderire, convertirsi e scegliere l’amore di Dio. DV 2 esplicita tale volontà nei termini di sacramentalità: attraverso la Rivelazione Dio comunica se stesso; ci ammette alla comunione con sé, ci fa dono della natura divina, ci trasforma cioè ci inizia. L'iniziazione va pensata quindi in stretto rapporto con il processo di rivelazione divina. Comprendiamo quindi perché AG 13 relativizza il ruolo della Chiesa nel processo di evangelizzazioneiniziazione, presentandola non come soggetto primario ma come mediatrice di processi più grandi. Questo non annulla la missione ecclesiale, ma la amplia e la restituisce alla libertà della persona. Si inizia ad evangelizzare quando si sostiene l’auto-comunicazione di Dio nella persona. Sostenere è verbo complesso ma soprattutto è verbo maiueutico. Una parte dell’evangelizzazione-azione ecclesiale ha come obiettivo la scoperta della illuminazione presente nella persona e dei “contenuti”, rappresentazioni, che la persona ha già maturato, in modo che la persona si scopra già evangelizzata cioè iniziata da Dio. Una parte dell’evangelizzazione-azione è la comprensione profonda dell’esperienza interiore che avviene attraverso il confronto delle proprie rappresentazioni con la memoria della fede di Gesù, il pieno di Spirito, che non conosciamo solo per la tradizione ecclesiale. In parte l'iniziazione è di sua natura maieutica ovvero mistica. È processo di disvelamento. Sono quindi incomplete due opposte posizioni e metodologie missionarie. È incompleta la tradizionale metodologia di predicazione oggettiva, di una verità o messaggio come se il destinatario non avesse già dentro di sé la capacità di ascolto di Dio. È incompleta la metodologia puramente immanentista che potrebbe far intendere che non ci sia bisogno di un annuncio della tradizione cristiana22. Per questo il processo pastorale di evangelizzazione-iniziazione ha una natura ermeneutica in quanto avviene attraverso percorsi di comprensione di sé e del Sé. Secondo le universali immagini mistiche è katabasi e anabasi. Di più. La Scrittura e la Tradizione prima di essere contenuti da apprendere, sono aiuti per apprendere; prima di trasmettere una conoscenza; sono criteri per conoscere la Rivelazione attuale di Dio. Lo ricorda Paolo che, pur non trasmettendo molte parole di Gesù, ci ha dato una ermeneutica profonda della esperienza di fede di Gesù il Cristo. Ci dice infatti «Ora, noi abbiamo il pensiero di Cristo»; traduzione 20 L'evangelo potenza di Dio per la salvezza: K. BARTH, L'Epistola ai Romani, Feltrinelli, Milano 1974, ad Rom. 1,6 (pp. 1114); cf. J. RATZINGER, Revelation Itself, in H. VORGRIMLER (general editor), Commentary on the Documents of Vatican II. Volume III, Burns & Oates-Herder and Herder, New York-London 1969, 170-180. 21 Questa categoria è stata introdotta da K. Rahner per spiegare il dinamismo sacramentale della rivelazione stessa: K. RAHNER, Dio, autocomunicazione (comunicazione) di, in ID. ( a cura) Sacramentum Mundi, Morcelliana, Brescia 1975 [1967-1969], III, coll. 96-101. 22 CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE, Dominus Jesus. Circa la unicità e l'universalità di Gesù Cristo e della Chiesa, 6 agosto 2000, ricorda l’impossibilità di separare le due missioni: di Cristo e dello Spirito (c. II). 8 imperfetta di ora, noi possediamo il modo di pensare di Cristo; non la verbalizzazione del suo pensiero, ma la sua ermeneutica (noesis e non noemata) 23. La radice dell'iniziazione è quindi innanzitutto il processo di autorivelazione di Dio nel cuore della persona, e va configurata prevalentemente come percorso di scoperta di Dio in sé o mistica. Non credo siamo lontani dalla interpretazione di Agostino che aveva scoperto dentro di sé il lento cammino operato dal Maestro interiore prima ancora di incontrare la Chiesa mater et magistra. La fede come conversione (opzione o atteggiamento fondamentale) È in questa prospettiva rivelativa propria di Vaticano II che va ricompresa la natura trasformatrice della fede come risposta. Seguendo ancora il pensiero di K. Rahner la fede (autentica) va compresa frutto del processo di giustificazione, dinamismo della esistenza umana e cristiana, come conversione e risposta alla voce interiore; come espressione della libertà umana (anch’essa dono di Dio). In questa stessa linea si pone la riflessione di J. Alfaro24 che egli stesso riassume nella espressione «fede come dedizione personale dell’uomo a Dio e come accettazione del messaggio cristiano»25. Egli ricorda che il NT ha una visione unitaria delle virtù teologali: esse esprimono l'unità della risposta della persona alla proposta cristiana, risposta che coinvolge tutta l'esistenza umana cioè tutte le dimensioni del vivere. Proprio per questo sarebbe utile parlare di fede-speranza-carità come atteggiamenti fondamentali dell’esistenza cristiana. «Il termine "atteggiamento" evoca per se stesso il carattere di risposta e di relazione personale di fronte alla chiamata di Dio attraverso Cristo. L'aggettivo "fondamentali" significa che essi e solamente essi costituiscono l’autentico essere-cristiano, mentre tutte le "virtù" dell’etica cristiana non sono se non concrezioni particolari derivate dalla fede, speranza e carità» 26. È proprio la prospettiva NT a fa comprendere il carattere evolutivo della risposta di fede. «Le formule di camminare, rimanere, crescere nella fede, speranza e carità qualificano la vita cristiana come un atteggiamento mantenuto lungo l’esistenza» (ivi, 542); «La chiamata interiore dello Spirito che i concili di Orange, Trento e Vaticano I qualificano come ispirazione e illuminazione, cioè, come invito interiore alla conversione, eleva lo spirito umano al livello del dialogo col Dio-amore; è una chiamata assolutamente gratuita e soprannaturale alla comunione di vita con Cristo, alla divinizzazione. Questa chiamata appartiene all’esistenza concreta di ogni uomo, dato che attraverso l’avvenimento cristico tutta la comunità umana è effettivamente destinata alla visione di Dio ("esistenziale cristico")» (ivi, 549); «Bisogna domandarsi se il concetto di "virtù" come "qualità infusa" e "abito infuso" è necessario o è il più adatto alla comprensione teologica della fede, speranza e carità come realtà interna e permanente, dinamicamente orientata verso il Dio della Grazia, che si rivela a noi, si promette e si dà in Cristo» (ivi, 545). Ci scusiamo per queste lunghe citazioni. Esse sono motivate dal fatto che il cuore della innovazione catechetica di Evangelii gaudium consiste proprio dalla ripresa tematica della espressione habitus27. Papa Francesco la riprende – riconsiderandola – dalla poco conosciuta definizione di catechesi fatta propria da Paolo VI in Evangelii nuntiandi n. 44. Una riconsiderazione che sostituisce il vocabolario iniziatico e catecumenale (poco presente in EG) riproponendo il tema trasformativo dentro il rapporto Rivelazione Fede. È in questo contesto che – si noti bene! – egli parla di ritorno al kerygma e di accompagnamento. Ci sembra che i commenti degli autori a tale proposito siano stati molto frettolosi e quasi incapaci di comprendere questa evidente innovazione. 23 1Cor 2,16; si noti che tutto il capitolo è dedicato al rapporto sapienza e missione dello Spirito e non viene detto che si tratti dello Spirito post-pasquale. 24 J. ALFARO, Atteggiamenti fondamentali dell'esistenza cristiana, in ID., Cristologia e antropologia. Temi teologici attuali, Cittadella, Città di Castello 1973, 479-554 25 La fede come dedizione personale dell’uomo a Dio e come accettazione del messaggio cristiano, in Concilium 3 (1967) 1, 66-79. 26 ALFARO, Atteggiamenti fondamentali dell'esistenza cristiana, 553. 27 Cf. EG 171; abbiamo approfondito questa definizione in La conversione missionaria della pastorale. Contributo per la receptio di Evangelii gaudium, in Urbaniana University Journal 68 (2015) 2, 79-126; cf. 3.5.2 La catechesi nella formazione cristiana. 9 4. Un necessario nuovo rapporto tra iniziazione, liturgia e mistica Il quadro missionario incentrato sulla Giustificazione, cioè sul rapporto autocomunicazione e risposta di fede, sembra annullare il quadro sacramento-fede. Tuttavia è un errore pensare che il modello teologico Rivelazione -fede escluda la natura sacramentale del processo salvifico. Il suo scopo è di sottolineare il carattere soggettivo (personale) e dinamico della universale volontà salvifica di Dio. È Dio che trasforma il cuore dell’uomo (aspetto soggettivo) e realizza questo desiderio in modi diversi (aspetto dinamico). Tutti questi modi partecipano inevitabilmente e misteriosamente (NA 2; GS 22) della mediazione e sacramentalità unica di Cristo e proprio per questo sono espressioni salvifiche. L’azione liturgica della Chiesa, quindi, riassume e manifesta tutta la sacramentalità della salvezza presente nel cosmo e nella storia ma non la assolutizza rendendola dono esclusivo per i cristiani. Anche per questo, lungo il XX secolo la teologia ha preferito relativizzare il linguaggio sacramentale e sottolineare il linguaggio liturgico. L’azione liturgica ritualizza, contestualizza, manifesta e attualizza il principio della sacramentalità dell’azione di Dio diffusa nel cosmo e nella storia28. Questa dottrina in qualche modo accennata in LG 1, la Chiesa quasi sacramento del desiderio di salvezza universale, viene spesso collegata alla riflessione rahneriana su Cristo sacramento originario o primordiale e la Chiesa sacramento primo (o protosacramento)29. Con due conseguenze. Anche nella pastorale l’accento non va posto sulla unicità salvifica dei sacramenti ma piuttosto sul carattere ricapitolativo degli stessi30. L’accento andrebbe posto sul carattere mistagogico dei sacramenti ovvero il carattere rituale e descrittivo (diremo mistico) dei segni sacramentali come manifestazione dei misteri di Cristo31. La liturgia attesta (ritualizza) la sacramentalità dell’autocomunicazione di Dio, mostra e annuncia lo specifico cristiano della trasformazione-iniziazione umana, ricapitola altre forme salvifiche presenti nell’umanità. Ricapitolare significa anche inserire le ritualità differenti. È questa la dinamis sacramentale. Senza questa riconsiderazione non si comprende la necessità dello stretto rapporto catechesi-liturgia; una necessità richiamata spesso in modo equivoco da documenti e autori32 perché pensata ancora nella prospettiva promessa-realizzazione. Ci sembra questo uno dei nodi strutturali della impasse iniziatica contemporanea. Contro questa prospettiva si era già pronunciato Vaticano II affermando che la liturgia è culmine e fonte e non fonte e culmine (cf. SC 10). A conclusione ci sembra opportuno riproporre, come abbiamo fatto altrove33, la necessità di un ripensamento di tutta la catechesi e del processo iniziatico-catecumenale nella chiave mistica perché il «è già stato detto che il cristiano del futuro sarà un mistico o non sarà» 34. L’espressione mistica mette sempre agitazione nella esperienza ecclesiale perché sembra eliminare il compito dei sacramenti. La mistica non desidera sostituirsi alla dimensione sacramentale della salvezza; intende spiegarla e comprenderla nella sua 28 Per il rapporto rivelazione e sacramento cf. E. SCHILLEBEECKX, I sacramenti punti di incontro con Dio, Queriniana, Brescia 1966 [1957]. 29 K. RAHNER, Chiesa e sacramenti, Morcelliana, Brescia 1973 [1963]. 30 Bisogna riconoscere che questa affermazione non compare neppure in Dominus Jesus che, appunto, si preoccupa di ricondurre tutte le espressioni salvifiche all’unicità della redenzione di Cristo; cf. cc. III e VI. 31 E. SCHILLEBEECKX, Cristo sacramento dell'incontro con Dio, Edizioni Paoline, Roma 1974 [1960]. 32 J. MOLINARIO, Initiation et mystère pascal. Ébauche de réflexion théologique et pratique, in Catéchèse 61 (2001) 165, 45-66; L.-M. RENIER, Un nouveau lien entre catéchèse et liturgie, in H. DERROITTE (sous la direction), Théologie, mission et catéchèse, Novalis-Lumen Vitae, Bruxelles 2002, 103-118. 33 L. MEDDI, La dimensione spirituale della conversione, in ID., La catechesi oltre il catechismo. Saggi di catechetica fondamentale, 107-136. 34 K. RAHNER, Elementi della spiritualità della chiesa del futuro, in ID., Sollecitudine per la Chiesa, EP, Roma 1982 [1980], 440-456 [qui 449]; si veda anche K. RAHNER, Esperienza mistica e teologia mistica, in ID., Teologia dall'esperienza dello Spirito, EP, Roma 1978 [1975], 523-536. 10 dimensione esperienziale. Mistico sottolinea meglio cosa deve fare la persona per collaborare all’azione dello Spirito; collaborazione che anch’essa è dono di Dio ma non separabile dalla libertà umana35. Sarà interessante, a tale proposito, riconsiderare e ripristinare il dimenticato impianto italiano di ES 1973 che risolve pastoralmente la riconsiderazione del rapporto evangelizzazione e sacramenti nella prospettiva catecumenale. Dove, si faccia attenzione, catecumenale non si collega alla iniziazione cristiana ma alla catechesi permanente e mistagogica cioè al processo di accompagnamento della risposta di fede ed esercizio di vita cristiana messo in opera dalle comunità cristiane (ES 82-87). LO SPIRITO DELLA MISSIONE. RIPENSARE L'ORIZZONTE INIZIATICO DELLA PASTORALE. INTRODUZIONE 1. INIZIAZIONI SEMPRE PIÙ DIFFICILI LA DIFFICOLTÀ INIZIATICA IN OCCIDENTE TRA ABBANDONI E NON ACCETTAZIONI DALLA INIZIAZIONE ATTIVITÀ ALLA PASTORALE INIZIATICA 2. DIO CONTINUAMENTE INIZIA LA MISSIONE È DI DIO LA LETTURA CRISTOLOGICO-TRINITARIA DELLA MISSIONE LA RICONSIDERAZIONE PNEUMATICA DEL PROCESSO MISSIONARIO 3. INIZIAZIONE E SPIRITO. LA DIMENSIONE SPIRITUALE DELLA FORMAZIONE CRISTIANA DIO EVANGELIZZA-INIZIA ATTRAVERSO LA COSCIENZA DELLA PERSONA. LA FEDE COME CONVERSIONE (OPZIONE O ATTEGGIAMENTO FONDAMENTALE) 4. UN NECESSARIO NUOVO RAPPORTO TRA INIZIAZIONE, LITURGIA E MISTICA M. VANNINI, Introduzione alla mistica, Morcelliana, Brescia 2000. Cf. anche S. CALABRESE, Evangelizzare tutto l’uomo. Accompagnare alla vita cristiana adulta a partire dal profondo, Roma 2018 [tesi dottorale presso la Pontificia Università Urbaniana, di prossima pubblicazione]. 35 11 12