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Luciano Meddi La pratica dei segni dei\per i tempi, cuore della pastorale missionaria? Il XX secolo ha operato una grande revisione della teologia pastorale che è passata da una prospettiva di cristianità centrata sui compiti del pastore per la amministrazione della Grazia, ad una prospettiva missionaria centrata sulla responsabilità dell’intero popolo di Dio verso il Vangelo e la animazione cristiana della società. Problemi simili hanno caratterizzato la riforma del processo missionario che si è trovato di fronte alla necessità di dare risposta alla resistenza e quindi al valore delle grandi culture e religioni, alla progressiva scristianizzazione in atto nei paesi europei, alla difficoltà di rendere significativa la proposta cristiana, alla incapacità di raggiungere l’obiettivo integrazione fede-cultura. Queste reinterpretazioni, tuttavia, portavano con sé diverse problematiche forse non previste. Gli autori hanno facilmente dato definizioni dei nuovi compiti della teologia pastorale, ma sono rimasti incerti di fronte al cuore epistemologico1 della disciplina: come avviene il giudizio o discernimento pastorale? Quando una azione pastorale è missionaria? Il tema della criteriologia pastorale e del suo fondamento si collega, in modo davvero imprevisto, con la ricerca del ruolo missionario della teologia dei segni dei tempi (=SdT). È, questa, una ricerca “carsica” nel senso che appare e scompare nella riflessione e nei documenti della Chiesa, e nelle riflessioni teologiche. L’espressione ricorre spesso nei diversi anniversari del Vaticano II ed oggi appare nuovamente come una categoria decisiva2. Ma dopo tanti studi (soprattutto di area linguistica spagnola) essa sembra rimanere una espressione ambigua3. Segno, forse, della ambiguità interpretativa che si porta dentro. Per descrivere la dimensione pastorale dell’impianto sotteso alla categoria segni dei tempi senza cadere in approssimazioni o semplificazioni spirituali mi sembrano utili due indicazioni di metodo. La prima e più semplice è fare tesoro di Novo Millennio Ineunte (= NMI, 2001), il documento che più di tutti riconosce l’intero impianto dell’espressione come neppure il Vaticano II ne aveva coscienza. La seconda è quella di operare una lettura semplice dei testi più significativi (Gaudium et spes = GS, nn. 4.11.44). Semplice non significa semplicistica. Semplice significa una lettura che si concentra sul testo finale e quindi ecclesiale ma compreso con le esplicitazioni e i dibattiti successivi e non solo con le preoccupazioni o precomprensioni pur legittime degli estensori e degli stessi Padri sinodali. Quindi una lettura di vera receptio. Probabilmente è questo il senso di costituzione pastorale4. Per raggiungere questo obiettivo seguo la strada di: 1. ricordare il permanere delle difficoltà epistemologiche della teologia pastorale; 2. individuare il punto teologico decisivo della espressione nei testi conciliari; 3. comprendere perché i maggiori documenti della Chiesa universale abbiano 1 Cf. P. ZUPPA, Prospettive incompiute di teologia pastorale, in Rivista di Scienze Religiose 26 (2012) 1, 81-89. Una ricostruzione significativa si trova in G. TRENTIN - L. BORDIGNON (edd.), Teologia pastorale in Europa. Panoramica e approfondimenti, Padova, Messaggero 2002. 2 È una delle categorie chiavi della ricerca della Federazione Internazionale delle Università Cattoliche (FIUC): M. LAMBERIGTS - G. ROUTHIER - P.R. FERREIRA OLIVEIRA - CH. THEOBALD - D. BOSSCHAERT (edd.), La posta in gioco. Memoria del Concilio e futuro della Chiesa nella riflessione di teologi dei cinque continenti, Bologna, Dehoniane 2016, 47-71; J. COMBLIN, I segni dei tempi, in Concilium 41 (2005) 586-601; CH. THEOBALD, Il Concilio Vaticano II di fronte all’ignoto. L’avventura di un discernimento collegiale dei “segni dei tempi”, in Concilium 48 (2012) 440-449. G. Ruggieri ha dedicato all’argomento puntuali aggiornamenti: Fede e storia, in G. ALBERIGO - .P. JOSSUA (edd.), Il Vaticano II e la Chiesa, Brescia, Paideia 1985, pp. 127-158, e soprattutto Problemi aperti: i rapporti Chiesa-mondo, in Concilium 22 (1986) 994-1002; Per una ermeneutica del Vaticano II, in Cocilium 35 (1999) 18-34, fino al suo prezioso La teologia dei "segni dei tempi": acquisizioni e compiti, in ASSOCIAZIONE TEOLOGICA ITALIANA - G. CANOBBIO (edd.), Teologia e storia: l'eredità del' 900, Cinisello B., San Paolo 2002, pp. 38-41. 3 G. ROUTHIER, «Les signes du temps». Fortune et infortune d'une expression du Concile Vatican II, in Transversalités, (2011/2012) 118, 77-102; M. FAGGIOLI, Reading the Signs of the Times through a Hermeneutics of Recognition: Gaudium et Spes and its Meaning for a Learning Church, in Horizons 43 (2016) 332-350. 4 K. RAHNER, La problematica teologica di una costituzione pastorale, in E. GIAMMANCHERI (ed.), La Chiesa nel mondo contemporaneo. Commento alla costituzione “Gaudium et spes”, Brescia, Queriniana 1966, pp. 61-83. 1 usato solo una versione riduttiva di SdT (quasi mai GS 11 e 44); 4. ed infine esprimere la tesi che mi interessa: i SdT esprimono in forma sintetica un nuovo paradigma ed una nuova narrazione del compito missionario e pastorale. 1. Necessità di una rinnovata criteriologia pastorale Quale è il senso teologico-pastorale della parola criterio o discernimento pastorale? 5 Ad una prima vista il termine rimanda a una immediatezza operativa. Ma a ben guardare la frase rinvia ad una considerazione più profonda che mette in gioco l’essere stesso della vita ecclesiale e della teologia che ne riflette in profondità la natura. Perché una comunità cristiana nel suo agire dovrebbe porsi la questione dei criteri? Non è sufficiente ripetere e riproporre l’annuncio e i modi di vivere il Vangelo ad ogni generazione e agire perché tali modi/modelli vengano accolti e interiorizzati? Il criterio pastorale non è quello stabilito una volta per sempre dalla impostazione paolina del rapporto tra indicativo e imperativo? Si è soliti riconoscere che la svolta nel cammino di riconsiderazione della metodologia sia avvenuta con K. Rahner. Più incisiva sembra essere la ricerca di P.M. Zulehner 6 almeno a partire dalle citazioni che questo autore ha saputo conquistare7. Ma forse è proprio qui il limite delle loro opere: come determinare e valutare le singole scelte che devono essere fatte? La ripresa contemporanea del termine criterio-discernimento lascia intendere che le comunità cristiane prendono lentamente coscienza che il momento pratico del loro agire ha bisogno di una riflessione più profonda. Una ricerca della criteriologia dell’agire pastorale lascia intendere che la vita delle comunità necessita non solo di una esortazione ma di una comprensione continuamente nuova della fede. In questo senso criterio, prima di essere una questione metodologica, rimanda al tema della inculturazione della fede con tutto l’insieme della sua problematica. Tale interpretazione avviene nel collegamento tra la fede e la sua tradizione, e il contesto della comunità: contesto storico, sociale, culturale, religioso. Il contesto chiede non solo nuove esortazioni, ma soprattutto nuove incarnazioni del messaggio. In verità l’esigenza di criteri per una inculturazione-incarnazione del messaggio è richiesto, più in profondità, dall’esigenza della fede di farsi storia e storia di salvezza in un tempo e in un luogo8. Non è mio compito in questa riflessione mostrare tutti i passaggi del metodo pastorale come questione. Questo mi consente di offrire subito una direzione di soluzione appunto attraverso il recupero adeguato della teologia e metodologia dei segni dei tempi. 2. Segni dei tempi nella riforma missionaria del Vaticano II. Sottolineature Sarà utile notare subito che Paolo VI utilizza l’espressione SdT per sollecitare la Chiesa al dialogo con il mondo. Usa l’espressione in stretto collegamento con aggiornamento da cui sembra affermare che derivi il significato e la metodologia (Ecclesiam suam, 1964, n. 52). È forse questa la chiave di lettura ecclesiale per la comprensione della formula conciliare? Inoltre si deve ricordare 5 L. MEDDI, Criteri e vie della missione delle comunità cristiane in un mondo che cambia, in C. SARNATARO (ed.), Annuncio del Vangelo e percorsi di Chiesa, Napoli, Pontificia Facoltà dell'Italia Meridionale - Sezione S. Tommaso D'Aquino 2005, pp. 347-381. 6 K. RAHNER, Fondamenti della teologia pastorale, Roma, Herder - Brescia, Morcelliana 1969; qui p. 9. Per la ricostruzione della definizione rahneriana cf B. SEVESO, Teologia pastorale, in G. BARBAGLIO - S. DIANICH (edd.), Nuovo Dizionario di Teologia. Supplemento 1, Alba, Paoline 1983, pp. 2081-2100; P.M. ZULEHNER, Teologia pastorale, vol. 1: Pastorale fondamentale. La Chiesa fra compito e attesa, Brescia, Queriniana, Brescia 1992, pp. 47138. 7 Si rifanno a tale impostazione anche le riflessioni degli italiani: S. LANZA, Introduzione alla teologia pastorale, vol. 1: Teologia dell'azione ecclesiale, Brescia, Queriniana 1989; M. MIDALI, Teoria/prassi, in M. MIDALI - R. TONELLI (edd.), Dizionario di Pastorale Giovanile, Torino-Leumann, Elledici 19922, pp. 1253-1264. 8 G. CANOBBIO, Uno sguardo complessivo sulla teologia del '900, in ASSOCIAZIONE TEOLOGICA ITALIANA - G. CANOBBIO (edd.), Teologia e storia: l'eredità del' 900, pp. 7-32. 2 che la comprensione della mens del Vaticano II può avvenire tenendo uniti il racconto dell’esperienza della sua celebrazione, la sua prima codificazione nei testi e lo sviluppo interpretativo continuo della sua receptio9. 2.1. L’ingresso della espressione nella riflessione magisteriale L’espressione sembra introdotta con il magistero di Giovanni XXIII10. Egli la usa già nella bolla Humanae salutis (1961, n. 4) con cui indiceva il Concilio. Nel breve testo, SdT sono i giudizi o voci ammonitrici presenti anche fuori della Chiesa che mettono in guardia sulle crisi dell’umanità nel nostro tempo; e aggiunge che questo ascolto aiuta l'esercizio della missione ecclesiale (n. 4) inteso essenzialmente come esercizio profetico. Il giudizio missionario avviene quindi anche attraverso il riconoscimento dei diversi soggetti salvifici e facendo alleanza con essi. La stessa formulazione viene poi usata in Pacem in terris (1963) dove essa sembra sintetizzare soprattutto le caratteristiche sociali del tempo (gli anni successivi alla Seconda Guerra mondiale) ma soprattutto intendendo le manifestazioni dei valori evangelici che operano all’interno dei movimenti della storia: socializzazione, promozione delle classi lavoratrici, ingresso della donna nella vita pubblica, emancipazione dei popoli colonizzati. L’espressione ritorna infatti come paragrafo ricorrente al termine dei primi quattro capitoli. La categoria è commentata teologicamente, invece, nel cap. V (Richiami pastorali) centrato sul tema della giustizia sociale che si realizza attraverso il criterio teologico della ricerca dell'ordine sociale voluto dalla creazione e che supera il disordine creato dagli uomini. Questo giudizio salvifico si realizza attraverso la lettura competente della realtà e la valutazione (non è presente ancora l’espressione discernimento) della sapienza messa da Dio nella natura (n. 77). È importante notare la dimensione fondamentalmente teologica dell’espressione: il compito trasformativo della storia (la Chiesa non solo è nella storia, ma per la storia) e la motivazione missionaria (attraverso il dialogo e l’uso degli strumenti salvifici [culturali] presenti nella vicenda umana). Come hanno osservato molti commentatori, l’espressione SdT si struttura con la teologia della storia, teologia delle realtà terrestri e con il compito pastorale del Vaticano II. Si devono dunque sottolineare i due elementi che inizialmente strutturarono l’espressione SdT: la motivazione missionaria e la qualificazione teologica. Giovanni XXIII desidera contrastare la disumanizzazione del secolo breve anche con le risorse salvifiche presenti nella cultura. I SdT non sono principalmente le caratteristiche della cultura, ma i segni salvifici già presenti in essa. Va quindi, assolutamente relativizzata la affannata ricerca dei criteri per interpretare la dimensione culturale della società. Tema che, forse, appartiene al capitolo missionario della evangelizzazione della cultura. Queste dimensioni (le caratteristiche socio-culturali; l’analisi teologica dei beni salvifici; la opportunità-necessità missionaria) sono presenti nei documenti citati ma vengono resi espliciti nei testi conciliari. 2.2. La progressiva interazione tra i testi conciliari La conversione missionaria richiesta nella convocazione del Vaticano II non venne tematizzata nei documenti preparatori. Secondo le prime rielaborazioni degli Schemi, la riforma sarebbe dovuta avvenire attraverso l’aggiornamento teologico delle fonti del messaggio e il suo adattamento (poi dialogo) con i destinatari. Questo duplice dispositivo superava decisamente l’ultima stagione del conflitto tra Chiesa e modernità. Ma la proposta fatta dai cardd. Suenens e Montini perché il Concilio si occupasse anche del mondo (ad extra, in uscita) portò il Vaticano II, con la (futura) costituzione Gaudium et spes, ad operare un secondo rifiuto o ripensamento come superamento della teologia della missione (cioè del compito della Chiesa) caratterizzata dal primato sacramentale di SC (nn. 5-6) e della prima 9 Per brevità non è possibile riportare i testi in nota, per cui mi limito alla sola citazione. Per la radici della espressione cf M.-D. CHENU Signes del temps. Réflexion théologique, in Y.-M. CONGAR - M. PEUCHMAURD (edd.), L’Église dans le monde de ce temps: constitution pastorale "Gaudium et spes", vol. 2, Paris, Cerf 1967, pp. 206-210; G. RUGGIERI, La teologia dei "segni dei tempi": acquisizioni e compiti, pp. 38-41. 10 3 redazione di LG. Questo secondo reinizio (non ufficializzato ma ugualmente significativo) emerse con lo Schema XIII-GS chiamato ad esplorare nuovi compiti che richiedevano nuove proposte metodologiche. Era una prospettiva che relativizzava la centralità della teologia della redenzione a vantaggio della teologia della incarnazione. Il cuore di questo secondo indizio sembra essere proprio la progressiva elaborazione della teologia dei SdT. L’espressione SdT si trova nel Concilio con una certa parsimonia11 e spesso senza adeguata documentazione magisteriale. Per la loro interpretazione si deve seguire la lettura olistica che si impose subito dopo la chiusura dell’assise conciliare, cioè l’intreccio tra i diversi testi. È soprattutto GS a consacrare il termine. In GS l’espressione si trova in tre contesti differenti: all’inizio della descrizione della «condizione dell’uomo contemporaneo» (GS 4); all’inizio della descrizione della «dignità della persona umana» (GS 11) e quasi alla conclusione del capitolo IV su «La missione della Chiesa nel mondo contemporaneo» che conclude la Parte prima. Segnalo, tuttavia, che GS 11 espliciterebbe meglio il suo denso significato teologico se posto come conclusione della expositio introductiva piuttosto che come introduzione alla Parte prima. La maggior parte dei primi commentatori mise l’accento sul ruolo che ebbe la decisione di andare oltre lo Schema I elaborato a Lovanio12 per dare seguito alla descrizione degli adnexa, cioè elaborare una concreta proposta di lettura dei segni dei tempi (Schema II o proposta di Ariccia). Questo può spiegare perchè GS 4 sia stato fagocitato dalla frettolosa interpretazione sociologica che ha portato alla metodologia delle sfide pastorali. Ancora oggi SdT e GS 4 coincidono! In verità il testo13 possiede un impianto teologico-pastorale notevole in quanto studia come si realizza il compito della Chiesa. Tale compito si realizza attraverso una lettura (dei fenomeni umani) ma con lo scopo di rispondere agli interrogativi di senso, cioè di salvezza, di cui l’umanità ha bisogno14. La volontà di trasformazione, l’esplicitazione della potenza umana, l’uso della libertà, l’interdipendenza e lo scambio delle idee non impediscono il Vangelo, ma ne favoriscono la diffusione e la realizzazione. Il testo accoglieva l’impostazione della teologia delle realtà terrestri e apriva ad una esplicitazione della teologia del mondo e favoriva una teologia missionaria in contesto. I SdT sono le vie della missione ecclesiale. Le interpretazioni (successive) di SdT come analisi dei mali del mondo da combattere con la dottrina cattolica, non sono rispettose del cuore del GS 4. Se la prima interpretazione si concentrò su GS 4, a mio avviso, invece, si deve studiare l’inserimento nella prima parte (la parte teologica; cf i cc. I-IV) del tema pneumatico. Utilizzando il grande lavoro di F.G. Hellín15 si comprende subito che i temi teologici più innovativi di GS 11 e 44 furono inseriti proprio nel testo di Ariccia. L’impianto teologico della espressione SdT è chiarissimo infatti in GS 11 perché scioglie almeno uno dei nodi: SdT indica innanzitutto i signa Dei ovvero gli strumenti dell’agire salvifico della Trinità16. Un aspetto decisivo della missione della Chiesa è discernere i segni dell’azione salvifica di Dio (Dio-Trinità in azione) più che discutere sulle caratteristiche del tempo. Gli autori presentano diverse liste di luoghi espliciti e indiretti, tra cui: UR 4; DH 15; PO 9.18; l’elenco varia secondo il progredire della interpretazione della espressione. Vedi la ricostruzione del «vocabolario del Concilio» in M.-D. CHENU, Signes del temps. Réflexion théologique, pp. 206-210. 12 Per la ricostruzione della elaborazione del testo: R. TUCCI, Introduzione storico-dottrinale alla Costituzione pastorale «Gaudium et spes», in La costituzione pastorale sulla Chiesa nel mondo contemporaneo. Introduzione storicodottrinale. Testo latino e traduzione italiana. Esposizione e commento, Torino-Leumann, Elledici 1966, pp. 15-134. 13 C. RIVA, La condizione dell'uomo nel mondo contemporaneo, in La costituzione pastorale sulla Chiesa nel mondo contemporaneo, pp. 393-418; qui pp. 394-395. 14 Cf GS 9-10 e parte del c. I. Simile impostazione si trova in Ad gentes soprattutto nei nn. 6 e 10. 15 Constitutio pastoralis de Ecclesia in mundo huius temporis, Concilii Vaticani II. Synopsis in ordinem redigens schemata relationibus necnon patrum orationes atque animadversiones, Città del Vaticano, Libreria Editrice Vaticana 2003, pp. 72-73; 344-351. 16 Signa è una espressione più volte usata da Dei Verbum che interpreta il contenuto della espressione gestis verbisque. Alcuni padri volevano limitarne il senso ai sacramenti, mentre la direzione del Concilio confermò l’impianto di teologia della creazione e della storia. Cf L. MEDDI, Gestis verbisque: fortuna di una formula, in Parole di Vita 60 (2015) 5, 3035. 11 4 Un approfondimento merita l’affermazione di Dio. Certamente indica un insieme di azioni che si riferiscono a Dio (genitivo oggettivo), ma indica anche che Dio è soggetto o autore dei segni. In tal caso – ed è questo il significato da sottolineare – essi si riferiscono alla rinnovata teologia della missione (cf LG 1-5.13.16-17 e AG 1-4) che mette in evidenza che il processo o disegno salvifico si declina secondo le missioni trinitarie: quella del Padre, del Figlio e dello Spirito. Non a caso tutto il paragrafo è nell’orizzonte dello «Spirito del Signore che riempie l'universo». SdT fa riferimento proprio alle diverse manifestazioni dello Spirito che agisce nel mondo in sinergia ma non in dipendenza dalla missione del Figlio. Questa teologia illumina anche il ruolo del soggetto ecclesiale. La Chiesa ha una missione da svolgere (si dirà lo shalom o actio Dei) ma non ne possiede tutte le energie perché parte di esse sono nel mondo e suo compito è riconoscerle e accoglierle. In questo senso GS 11 indica la missione come servizio ai segni nei i tempi ovvero le presenze di Dio nella storia17. Il processo di discernimento è definito nei diversi testi con rischiarare, svelare, giudicare, ricondurli alla sorgente, purificare e viene sostenuto da un altro paragrafo: il 44. È in questo contesto che GS chiarifica meglio in che senso anche il mondo è soggetto salvifico. Ciò che in precedenza era definito SdT ora viene chiamato «i vari linguaggi del nostro tempo», cioè le varie scienze sviluppatesi soprattutto nella modernità e contro le quali a più riprese la Chiesa aveva manifestato timore, arrivando al culmine di questo atteggiamenti timoroso nella stagione dell’ antimodernismo. La Chiesa ha bisogno di questi sapéri «perché la verità rivelata sia capita sempre più a fondo, sia meglio compresa e possa venir presentata in forma più adatta», dunque per motivi missionari. Ma non si metta l’accento solo sul tema della migliore comunicazione, perché GS 44 afferma che le scienze (antropologiche) sono necessarie innanzitutto per meglio comprendere e utilizzare i beni salvifici (Scrittura, tradizione e liturgia) che la Chiesa stessa già possiede. Questo vale soprattutto per il tema della Nuova Evangelizzazione. Indubbiamente ci troviamo davanti a due campi semantici. Il primo è legato a GS 4 ed è centrato sul desiderio di dare risposta alle speranze e angosce del mondo contemporaneo, tema principale della costituzione. La pastorale e la missione sono realtà teologiche quando rispondono ai desideri di salvezza; il compimento della storia, infatti, è compito della Chiesa. La Chiesa svolge questa missione rispondendo alle attese e aspirazioni (espressione del bisogno di salvezza) cioè ascoltandole e utilizzandole per esprimere la volontà di Dio (pastorale profetica o rivelativa). La missione sarà: evangelizzare le speranze umane perché si scopra l’amore di Dio per l’umanità. Ma è necessario soprattutto sottolineare il secondo campo semantico risultante dall’inserimento di GS 11 e 44 (dopo Ariccia). Questi testi mettono in evidenza che la missione di evangelizzare i SdT – cioè le attese di trasformazione salvifica del mondo – avviene rispondendo agli impulsi dello Spirito e facendo attenzione all’aiuto che la Chiesa riceve dal mondo contemporaneo. La teologia dei SdT si riferisce propriamente alla missione dello Spirito che suscita segni messianici nei tempi cioè nella storia (cf Sap. 7,27). In questo contesto decisamente teologico i SdT esprimono non solo le vie missionarie, ma soprattutto le forme della presenza salvifica di Dio. Infine i SdT sono i linguaggi che permettono alla Rivelazione e alla Tradizione di essere approfondite e ricomprese in una cultura. 3. Le vicissitudini e l’impoverimento della formula La pubblicazione degli interventi dei Padri permette di evidenziale la loro difficoltà nel cogliere il dato teologico centrale. Le discussioni in Assemblea generale della parte teologica (esposizione introduttiva e Parte prima, nn. 1-45) dello Schema 13 presero molto tempo In verità l’approfondimento pneumatico, che ritengo decisivo per la comprensione dell’espressione e il suo utilizzo pastorale e missionario, è quasi del tutto assente, fino ai nostri giorni, nel commenti degli autori. 17 5 (congregazioni 132-137)18. I numerosi interventi esprimono una generale adesione perché il testo entra in dialogo con il mondo; perché permette ai laici di testimoniare in modo adeguato; perché rivaluta il mondo. Ma si chiesero diverse modificazioni per motivi teologici (perché il documento non rispetta l'antropologia redentiva e non parla del peccato); missionari o tematici (la soluzione dei problemi del mondo non è compito della Chiesa); comunicativi (il testo appare troppo lungo, descrittivo, ripetitivo, senza una lingua-linguaggio di riferimento); ideologici (promette troppo, ma non offre soluzioni concrete); contestuali (non risponde ai diversi contesti di povertà extraeuropei). Mi convinco, tuttavia, che il disagio nascondeva o – forse – fu utilizzato per controllare la deriva incarnazionista che GS aveva impresso alla riflessione ecclesiale. Sembra infatti che il punto serio della discussione fosse l’evidente relativizzazione del tema liturgico dell’unicità del Mistero pasquale come agente trasformativo; esso passava da scopo della missione a semplice via o strumento (sacramento). Due interventi ci fanno comprendere in profondità il disagio che l’espressione aveva creato. In uno dei suoi molti interventi K. Wojtyla19 affermava «è necessario, però, sottolineare meglio il significato della salvezza operata da Cristo per mezzo della croce». Questo spiega il pratico non utilizzo dell’espressione nel suo magistero e la continua riaffermazione nei suoi documenti del principio redentivo20. Nella medesima linea si pone un secondo documento che orienterà la receptio successiva. A conclusione del Vaticano II, J. Ratzinger pubblicò alcune sue annotazioni di cui una buona parte riguardano proprio il testo di Gaudium et spes21. Nel volume, a più riprese sottolinea che «la vera questione decisiva, di cui si tratta, scende più a fondo. La si potrebbe racchiudere nella alternativa: in che rapporto stanno tra loro la redenzione tecnica e la redenzione della fede, il progresso tecnico e la speranza cristiana?»22. Si noti la mancanza del tema pmeumatico. Questo disagio divenne chiaro con la vicenda della teologia della liberazione. I vescovi latinoamericani che con la Conferenza di Medellín23 (1968) proponevano una pastorale orientata alla scoperta del piano di Dio nei segni dei tempi, con Puebla avevano già purificato il concetto teologico di SdT riportandolo alla prevalente interpretazione sociologica. Nel documento, infatti, prevaleva la visione della pratica missionaria come risposta a los desafios sociali e culturali. Ma tra i due documenti si erano sviluppate diverse teologie della liberazione24. A queste ultime interpretazioni si riferiscono due riflessioni della Congregazione per la Dottrina della Fede 25. Questi 18 G. CAPRILE (ed.), Il Concilio Vaticano II. Cronache del Concilio Vaticano II edite da "La Civiltà Cattolica". Quarto periodo 1965, vol. 5, Roma, La Civiltà Cattolica 1966, pp. 67-119; P. HUNERMANN, Le ultime settimane del Concilio, in G. ALBERIGO (ed.), Storia del Concilio Vaticano II, vol. 5, Bologna, Il Mulino 2001, pp. 371-491. 19 F.G. HELLÍN, Constitutio pastoralis de Ecclesia in mundo huius temporis, pp. 1351-1353; cf. G. CAPRILE (ed.), Il Concilio Vaticano II, vol. 5, pp. 67-119; qui p. 118. 20 Cf I. KORZENIOWSKI, I segni dei tempi nel pensiero di Giovanni Paolo II, Roma, Dehoniane 1997. Tale pratica missionaria fu decisiva per la Nuova Evangelizzazione in Europa: cf l’allocuzione di Giovanni Paolo II ai partecipanti al VI Simposio del Consiglio delle Conferenze Episcopali dell'Europa (Roma, 11.10.1985), in Insegnamenti di Giovanni Paolo II, vol VIII/2: 1985 (luglio-dicembre), Città del Vaticano, Libreria Editrice Vaticana 1985, pp. 910923; qui pp. 910-911 (n. 1). 21 Riportate nel volume J. RATZINGER, Problemi e risultati del Concilio Vaticano II, Brescia, Queriniana 1967 (cf in particolare, nella Parte seconda, La lotta per lo “schema 13”, pp. 109-139. 22 Ibid., p. 122. 23 SECUNDA CONFERENCIA GENERAL DEL EPISCOPADO LATINOAMERICANO, La Iglesia en la actual transformación en América Latina a la luz del Concilio, vol. 1: Ponencias, vol. 2: Conclusiones, Bogotá, Secretariado General del CELAM 1968. Nel Mensaje finale e in altri parti del documento si dà una interpretazione rivelativa dei SdT come processi salvifici che Dio pone in atto nella storia. A fronte del poco uso di SdT, Puebla utilizzerà molto la categoria «sfida» missionaria (circa 30 volte). Cf V.R. AZCUY, El discernimiento teológico-pastoral de los signos de los tiempos en Medellín, in Teología 49 (2012) 107, 125-150. 24 Si colloca qui il tentativo di chiarimento di C. BOFF, Segni dei tempi, Roma, Borla 1983. 25 SACRA CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE, Libertatis Nuntius. Istruzione su alcuni aspetti della "Teologia della Liberazione" (6.7.1984), al c. II, 4 e al c. X. 12 chiede un discernimento critico dei SdT. In Libertatis Conscientia, Istruzione su libertà cristiana e liberazione (22.3.1986), soprattutto nella Introduzione si esalta il principio 6 documenti non mettono in discussione la necessità di una pastorale che risponda ai segni dei tempi (cioè GS 4), ma discutono l’opportunità di realizzarla con gli strumenti della cultura (cioè GS 44) e soprattutto il loro valore salvifico, cioè che in parte essi manifestino l’agire di Dio nella storia (cioè GS 11). Questa complessa rielaborazione degli intrecci propri di GS 4.11.44 e delle difficoltà che essi suscitavano trovò una sintesi momentanea con la Relazione finale del Sinodo straordinario del 1985. Nella Parte quarta (D. La missione della Chiesa nel mondo) il primo paragrafo è dedicato a l’«importanza della costituzione “Gaudium et spes”» ma in realtà all’espressione segni dei tempi e si afferma che essi «sono in parte diversi da quelli del tempo del Concilio [… e questo] obbliga a una nuova e più profonda riflessione teologica per interpretare tali segni alla luce del Vangelo». Immediatamente dopo (2. Teologia della croce) la Relazione avverte che la relazione tra storia umana e storia della salvezza «va spiegata alla luce del mistero pasquale»26. I SdT da risorsa missionaria sono, quindi, presentati come problema. Forse è per questo che nei documenti successivi l’uso venne praticamente emarginato e si preferì il vocabolario della sfida missionaria. Redemptoris missio (1990) privilegia sicuramente questa impostazione pastorale (cf i nn. 39-40) eppure riconosce che «le altre religioni costituiscono una sfida positiva per la Chiesa: la stimolano, infatti, sia a scoprire e a riconoscere i segni della presenza del Cristo e dell'azione dello Spirito» (n. 56). Il medesimo tema è ripreso, sorprendentemente, in Dominus Jesu (2000, n. 21). Meno significativo appare l’uso in Fides et ratio (1998). Su questa linea si colloca la grande operazione per la Nuova Evangelizzazione culminata con la celebrazione del Sinodo 2012. Una riflessione tutta incentrata sul modello missionario sfida-risposta in cui i SdT non hanno un ruolo adeguato27. D’altra parte due alti esponenti di questa stagione pastorale avevano utilizzato proprio queste categorie per indicare la metodologia missionaria adeguata28. Appare sorprendente l’uso che papa Francesco fa del termine sfida relativamente a SdT. In Evangelii gaudium (2013 = EG) il termine appare molte volte (tra cui un intero paragrafo: Alcune sfide del mondo attuale [nn. 52-75]) mentre SdT è poco utilizzato e senza riferimenti significativi. Si deve tuttavia riconoscere che in EG il ruolo missionario dello Spirito è fortemente marcato (n. 132)29. Dobbiamo però riconoscere che in questo lungo sviluppo della receptio dell’espressione segni dei tempi in campo missionario e pastorale abbiamo avuto almeno due indicazioni decisamente rispettose dei diversi aspetti presenti in GS. Non meraviglia che nel primo postConcilio la migliore sintesi sia presente in Direttorio catechistico generale (1971, nn. 11.40)30. Fa invece molto pensare il fatto che in NMI, documento da molti indicato come fortemente innovativo, a volte in discontinuità con il magistero missionario di papa Wojtyla e quasi una reinterpretazione del Messaggio del Sinodo straordinario del 1985, si trovi l’unica sua formulazione completa del del valore redentivo; e in III, 51 si afferma che «è soprattutto con la forza del suo mistero pasquale che Cristo ci ha liberati». 26 Tuttavia, nel suo importante commento W. KASPER, Il futuro dalla forza del Concilio. Sinodo straordinario dei vescovi 1985. Documenti e commento, Brescia, Queriniana 1986 afferma che «la teologia della croce non esclude ma presuppone la teologia dell’incarnazione e del mistero pasquale» (p. 95); ma obiettivamente questa prospettiva nella Relazione finale è assente perché la prospettiva missionaria del documento è cristocentrica e redentiva; cf. II, A. 2: Il mistero di Dio per Gesù Cristo nello Spirito Santo; per cui la dimensione pneumatica è intesa solo ad intra della Chiesa. 27 Le Prepositiones finali citano l’espressione unicamente in apertura al n. 5 e in senso solamente sociologico; invece l’espressione sfide è usata in largo almeno 8 volte e significativamente le viene dedicato un intero paragrafo, il n. 13: Le sfide del nostro tempo. 28 Cf C. RUINI, Nuovi segni dei tempi. Le sorti della fede nell’età dei mutamenti, Milano, Mondadori 2005; R. FISICHELLA, La Nuova Evangelizzazione. Una sfida per uscire dall'indifferenza, Milano, Mondadori 2011. 29 C. ALBINI, La Evangelii Gaudium nell'orizzonte teologico del Vaticano II, in Rassegna di Teologia 55 (2014) 453480. 30 Tuttavia questa impostazione nella riedizione del 1997 verrà diminuita, nonostante l’ampio n. 108; cf. L. MEDDI, La inculturazione della fede nella nuova "catechesi missionaria". Le ambiguità del Direttorio Generale per la Catechesi (1997), in S. MAZZOLINI, Vangeli e culture. Per nuovi incontri, Città del Vaticano, Urbaniana University Press 2017, pp. 147-167. 7 senso di SdT secondo GS. Al n. 56 (testo peraltro costruito su due teologie difficilmente conciliabili) si afferma che la presentazione integrale della fede richiesta da Dominus Jesu avviene per l’azione dello Spirito presente sia nel missionario che nelle culture e religioni31. Tuttavia rimane l’impressione documentata che la teologia dei SdT sia stata sostituita con la pastorale delle sfide missionarie. 4. Segni dei tempi, segni nei tempi, segni per i tempi Evidentemente la ricostruzione presentata nel paragrafo precedente ha già un significato pastorale. Tuttavia il compito della teologia pratica è anche quello di mediare l’elaborazione dei passaggi trasformativi e abilitare la comunità cristiana al loro servizio. La pastorale ha poco utilizzato l’espressione SdT. Se non vado errato, l’espressione viene usata – almeno in contesto italiano – prevalentemente nel significato che l’agire pastorale deve rispondere alle situazioni delle concrete generazioni, quindi prevalentemente in chiave di sociologia pastorale32. L’apporto che SdT può dare alla teologia pastorale è in verità molto più ampio. L’espressione si configura come vero e proprio nuovo paradigma; ha un valore generativo o almeno possiede una capacità di riarticolazione delle azioni pastorali. 4.1. Una nuova narrazione per la pastorale missionaria Il primo aiuto che l’espressione segni dei tempi (nella prospettiva olistica presentata) offre alla teologia pastorale è il quadruplice orizzonte di cui essa è intessuta: la prospettiva contestuale, ermeneutica, la dimensione messianica e la dimensione pneumatica. Ancora di più: dagli intrecci che i testi e le interpretazioni offrono, in modo particolare la rilettura pneumatica della missione prepasquale di Gesù di Nazaret (cf AG 4), la pastorale e la sua riflessione teologica potrebbero derivare un nuovo paradigma, un tema generatore o almeno una nuova narrazione. Come affermato a conclusione della analisi dei testi (cf n. 2) la teologia dei SdT si riferisce propriamente alla missione dello Spirito che suscita segni messianici nei tempi cioè nella storia (cf Sap. 7,27). La pastorale, infatti, si costruisce come declinazione di una interpretazione fondamentale della Tradizione della fede e lo può fare proprio attraverso la lettura della storia come storia di salvezza. La narrazione pastorale è la declinazione del racconto fontale soprattutto attraverso la liturgia e la catechesi. Questo è sempre avvenuto33; in modo particolare con la pastorale tridentina che ha sottolineato come narrazione il tema della redenzione collegata con il tema del giudizio finale e la devozione popolare. Il compito futuro della Chiesa intera e della pastorale sarà cercare un accordo ecclesiale profondo tra l’interpretazione redentiva e quella messianica (e anche altre). La soluzione attuale che vede la giustapposizione tra narrazione redentiva e narrazione messianica realizzata, ad esempio, nel Messale Romano soprattutto nelle collette e nei prefazi, appare ormai insufficiente. ▀ La dimensione pneumatica 31 Nelle note 41-43 di questo brano sono richiamati i tre testi di GS: 4,11,44. Fanno eccezione D. VALENTINI, Segni dei tempi, in V. BO - C. BONICELLI - I. CASTELLANI - F. PERADOTTO (edd.), Dizionario di Pastorale della Comunità Cristiana, Assisi, Cittadella 1980, pp. 532-534; M. MIDALI, Segni dei tempi, in M. MIDALI - R. TONELLI (edd.), Dizionario di Pastorale Giovanile, pp. 977-981; S. PINTOR, I segni dei tempi nella pastorale (c. VI), in ID., L'uomo via della Chiesa. Elementi di teologia pastorale, Bologna, Dehoniane 1992, pp. 113122; C. TORCIVIA, La scelta kairologica e i segni dei tempi, in ID., La Parola edifica la comunità. Un percorso di Teologia Pastorale, Trapani, Il Pozzo di Giacobbe 2008, pp. 80-86: A. TONIOLO, Vaticano II, pastorale, segni dei tempi: problemi ermeneutici e opportunità ecclesiali, in Archivio Teologico Torinese 20 (2014) 19-34. Tuttavia, in questi testi, nella lettura teologica prevale il senso di storicizzazione dell’azione pastorale o teologia contestuale, invocando una criteriologia del discernimento che non viene adeguatamente esplicitata. 33 È questa la acquisizione maggiore della coscienza missionaria contemporanea; cf D.J. BOSCH, La trasformazione della missione. Mutamenti di paradigma in missiologia, Brescia, Queriniana 2000; ma si deve vedere anche la sua fonte ispiratrice: H. KÜNG, Teologia in cammino. Un'autobiografia spirituale, Milano, Mondadori 1987. 32 8 Seguendo l’ordine che la receptio sta elaborando, il primo orizzonte offerto da SdT da sottolineare è la dimensione pneumatica del processo salvifico. Con SdT fece il suo ingresso la nascente teologia dello Spirito (meglio della nascente missiologia dello Spirito). Non sono in grado di rispondere alla domanda chi abbia influenzato chi? Se AG è debitrice di GS o viceversa; i due documenti, infatti, viaggiarono parallelamente (insieme all’ultima formulazione di DV). L’irruzione del piccolo passaggio in AG 4 «indubbiamente lo Spirito Santo operava nel mondo prima ancora che Cristo fosse glorificato34», segnalava una apertura e una innovazione non ancora conclusa. Essa introduce un ampliamento missionario notevole. La costituzione Lumen gentium aveva già elaborato una visione di missione nel quadro della visione economica della Trinità (LG 2-4); questa offrirà una visione trinitaria della stessa missione e azione missionaria (AG 2-4). La prospettiva di fondo è il desiderio trinitario di ricostruire l’unità del genere umano35. Una prospettiva che riconosce l’esistenza di un qualche valore delle altre forme di rivelazione e vita religiosa 36 verso le quali la missione sarà ancora un annuncio ma fondamentalmente un dialogo. Da questi orientamenti derivano i paragrafi teologici propri di AG. Essi da una parte confermano, dall’altra ampliano l’interazione tra i due soggetti, Cristo e lo Spirito, che diventerà oggetto di approfondimento già nel prosieguo del Concilio con influenze notevoli per la pratica missionaria. Ma in AG 4 si rende manifesta anche una iniziale discontinuità. Infatti è vero che lo Spirito è presentato come Colui che continua e universalizza la missione di Cristo, ma è vero anche che AG sviluppa in modo innovativo la missione propria dello Spirito e anzi riconsidera quella di Cristo nella missione dello Spirito37. La teologia38 fa fatica a delineare i cambi di orizzonte che porta con sé l’affermazione che esiste una economia guidata dallo Spirito di Dio che va non solo accolta ma anche inserita nella cattolicità. Ma, come descritto, questo è il tema meno sviluppato nella receptio successiva. SdT viene a significare che lo Spirito oltre ad essere sorgente della trasformazione spirituale del battezzato (pastorale dalla liturgia), è sorgente della interpretazione salvifica (discernimento) della storia (pastorale per la liturgia)39. Questo orizzonte darebbe alla pastorale una prospettiva di apertura, interazione e comune testimonianza che andrebbe oltre le secche di una pastorale apologetica e difensiva40. ▀ La dimensione contestuale La teologia dei SdT a partire dalla innovazione dello Spirito come soggetto missionario permette una comprensione più adeguata della sempre più utilizzata teologia contestuale. Quest’ultima, tuttavia, deve scegliere tra due possibili interpretazioni. La prima si collega direttamente a GS 4 riletto nella logica di AG 6 e si sviluppa come pastorale degli ambiti e dei nuovi areopaghi41, in stretto collegamento con la pastorale delle sfide missionarie. Questa impostazione non fa fatica ad accettare la necessità di adattare la pastorale alle diverse situazioni. Si veda l’imbarazzata nota 19 che rimanda alla scarsa attenzione avuta nella stessa stagione del rinnovamento delle fonti (prima parte del xx secolo) al tema pnenumatico come soggetto missionario. 35 J. RATZINGER, La mission d’après les autres textes conciliaires, in J. SCHÜTTE (ed L'activité Missionnaire de l'Église. Décret « Ad gentes », Les édition du Cerf, Paris 1967, 121-147. 36 G. CANOBBIO, «Lo “Spirito” soffia dove vuole». Dove opera lo Spirito?, in Quaderni Teologici del Seminario di Brescia, Brescia, Morcelliana 2012, pp. 113-154. 37 Ha sottolineato questa innovazione soprattutto Y. CONGAR, Les principer doctrinaux, in J. SCHÜTTE (ed.) L'activité missionnaire de l'Église, pp. 193-194. 38 J.V. TAYLOR, Lo Spirito mediatore. Lo Spirito santo e la missione cristiana, Brescia, Queriniana 1975; G. CANOBBIO, Lo Spirito Santo e la missione, in ASSOCIAZIONE TEOLOGICA ITALIANA - G. COLZANI (ed.), Verso una nuova età dello Spirito. Filosofia - Teologia - Movimenti, Padova, Messaggero 1996, pp. 276-314; J. MOLTMANN, La fonte della vita. Lo Spirito Santo e la teologia della vita, Brescia, Queriniana 1998. Lo stesso Congar dovrà chiarire in che senso lo Spirito precede la missione del Figlio: Lo Spirito Santo nel cosmo, in Y. CONGAR, La Parola e il soffio, Roma, Borla 1985, pp. 151-159. 39 È questo il significato di culmen et fons di SC 10? 40 Cf L. MEDDI, La testimonianza della vita cristiana come metodologia missionaria (can. 787), in Ius Missionale 19 (2016) 39-89. 41 Cf RM c. IV; cf M. ZAGO, Gli ambiti della missione ad gentes, in Cristo Chiesa Missione. Commento alla "Redemptoris Missio", Roma, Urbaniana University 1992, pp. 167-185. 34 9 Una seconda interpretazione, più significativa, intende la contestualità come campo di significati e di energie e non solo come luogo. Teologicamente si riconosce che il territorio è un’espressione della storia della salvezza. Dio agisce in e per un territorio, per cui la missione deve riconoscere che il territorio è “salvificamente” già attrezzato. Va in questa prospettiva la recente teologia della città elaborata in America Latina e fatta propria da papa Francesco42. ▀ La dimensione ermeneutica L’espressione SdT offre alla teologia pastorale un terzo orizzonte: quello ermeneutico. È la presenza dello Spirito nei contesti o gruppi umani che chiede di far di interagire i due soggetti del rapporto Chiesa-Mondo (inculturazione). Ma per questo scopo essi hanno bisogno di una continua interpretazione e comprensione profonda di se stessi; a sua volta l’interpretazione ha bisogno di una ermeneutica delle radici della propria cultura. Senza questa continua ermeneutica non c’è dialogo ma solo acculturazione o conquista culturale di uno dei due soggetti. Nel post-Concilio si è sviluppata soprattutto la necessità di una costante interpretazione delle formule della fede perché esse possano rispondere alle attese dell’umanità ed essere comprese dagli uomini. Si potrebbe anzi dire che questo sia stato il compito principale della teologia sistematica 43. Anche la catechetica ha sviluppato questo tema44 ma, al contrario, ha poco approfondito il tema della catechesi profetica45. La teologia ha molto sottolineato la necessità degli aiuti delle scienze ermeneutiche per superare l’autoreferenzialità del suo discorso; ma ha poco sottolineato che questo è possibile perché lo Spirito pervade l’universo e rende ogni uomo uditore della parola46. ▀ La dimensione messianica Il quarto orizzonte, quello messianico, rimanda al tema della cristologia47. Si è sviluppato soprattutto nella riflessione missionaria sudamericana48 e recentemente è stato ripreso anche da autori europei. Tuttavia si deve segnalare la mancanza da parte di molti di una vera accoglienza di tale tema49. Con la visione messianica si mette in evidenza che la interpretazione dei segni dei tempi è possibile se accanto alla cristologia ontologica se ne assume anche la prospettiva storica. La tematica era già emersa soprattutto in chiave fondamentale e quindi missionaria con le riflessioni della nascente cristologia dal basso di K. Adam e R. Guardini. Il Vaticano II ha riconosciuto questa rinnovata prospettiva. I luoghi più significativi si trovano, forse, in DV 2, AG 4 e GS 22. Testi che cercano di riallineare la cristologia del mistero pasquale con il valore salvifico dell’azione 42 J.M. BERGOGLIO, Dio nella città, Cinisello B., San Paolo 2013; C.M. GALLI, Dio vive in città. Verso una nuova pastorale urbana, Città del Vaticano, Libreria Editrice Vaticana 2014, e il significativo J. COMBLIN, Teologia della città, Assisi, Cittadella 1971. 43 In riferimento ai SdT cf E. SCHILLEBEECKXS, Fede cristiana ed aspettative terrene, in E. GIAMMANCHERI (edd.), La Chiesa nel mondo contemporaneo, pp. 103-135. 44 Cf il molto citato M. VAN CASTER, Catéchèse des signes de notre temps, in Lumen Vitae 20 (1966) 225-267 e successivamente H. HALBFAS, Linguaggio ed esperienza nell'insegnamento della religione. Una nuova linea per la catechesi, Brescia, Morcelliana Roma, Herder 1970. 45 In questa prospettiva SdT si collega con LG 12.25; DV 8 e l’importante PO 18. Cf. L. MEDDI, L'esercizio della profezia. La catechesi nelle comunità adulte nella fede, in ID. (ed.), Diventare cristiani. La catechesi come percorso formativo, Napoli, Luciano Editore 2002, pp. 196-211. 46 Il riferimento ovvio è a K. RAHNER, Uditori della Parola, Roma, Borla 1977. 47 Il tema già presente nei commenti di M.-D. CHENU, Signes del temps. Réflexion théologique, pp. 220ss., viene ripreso da C. BOFF. Segni dei tempi, ed è ottimamente espresso in molte riflessioni di G. RUGGIERI: di lui, oltre il cit. La teologia dei "segni dei tempi": acquisizioni e compiti, cf Tempi dei segni e segni dei tempi: dalla Humanae salutis alla Gaudium et spes, in Parola Spirito e Vita 24 (2003) 47, 253-264; e da ultimo con G. FERRETTI, Criteri di discernimento ed esemplificazioni dei "segni dei tempi", in Urbaniana University Journal, 69 (2016) 2, 173-198. 48 J.L. SEGUNDO, Rivelazione, fede, segni dei tempi, in I. ELLACURIA - J. SOBRINO, Mysterium Liberationis. I concetti fondamentali della teologia della liberazione, Roma, Borla – Assisi, Cittadella 1992, pp. 378-397; F. BERRIOS - J. COSTADOAT - D. GARCÍA (edd.), Signos de estos tiempos. Interpretación teológica de nuestra epoca, Santiago, Ediciones Universidad A. Hurtado, 2008; V.R. AZCUY, Lo Spirito e i segni di questi tempi. Eredità, validità e avvenire di un discernimento teologico, in Concilium 47 (2011) 683-695. 49 E.M. METOGO, L'oblio dell'umanità di Gesù, in Concilium 42 (2006) 28-35. 10 messianica di Gesù di Nazaret. In modo particolare autori come E. Schillebeeckxs 50 hanno dedicato molte energie alla ricostruzione del significato teologico della esperienza di fede di Gesù di Nazaret. Questa ricerca si collega ma non ha le stesse finalità delle progressive ricerche sulla storia di Gesù. Nella prospettiva cristologica legata ai SdT si prende avvio dalla affermazione che Gesù è il segno per i tempi, come hanno indicato già i primi commentatori51. Più esattamente l’affermazione suona in questo senso: il segno per i tempi è stato colui che «Dio consacrò in Spirito Santo e potenza Gesù di Nazaret, il quale passò beneficando e risanando tutti coloro che stavano sotto il potere del diavolo, perché Dio era con lui» (At 10, 38). SdT sono dunque le azioni e le parole liberatrici che manifestano la potenza di Dio nella storia. L’aggettivo messianico anche se portatore di alcune ambiguità consente proprio di mettere al centro del discernimento e progettazione pastorale la prospettiva storica (o integrale) della salvezza. L’agire pastorale si configura, in questa prospettiva, come profezia, testimonianza e mediazione delle azioni messianiche con il sostegno del Mistero Pasquale e non, al suo contrario, del tema pasquale attraverso la narrazione evangelica (o dottrinale). A tale proposito risulta significativa la narrazione utilizzata dalla Preghiera eucaristica V/B che nella Intercessione e dopo l’Epiclesi fa chiedere che «tutti i membri della Chiesa sappiano riconoscere i segni dei tempi e si impegnino con coerenza al servizio del Vangelo», ottimamente commentata dalla successiva Preghiera V/C. 4.2. Segni dei tempi come processo pastorale Si affermava che la pastorale ha bisogno anche di mediare l’elaborazione dei passaggi trasformativi e abilitare la comunità cristiana al loro servizio. Anche in questo tema la teologia dei SdT offre indicazioni decisive. Dagli intrecci tra le tre interpretazioni proprie di SdT (segni dei, nei e per i tempi; cf supra) riletti con le quattro dimensioni teologiche brevemente accennate (pneumatica, contestuale, ermeneutica, messianica), nasce un modello di processo pastorale e pratiche interessanti. Soprattutto dalla interpretazione pneumatica. Le esprimo in forma schematica. ▀ SdT per l’analisi dei bisogni salvifici In diversi momenti di un corretto processo pastorale si deve fare una analisi della situazione (GS 4). Troppo spesso questa avviene al solo livello sociologico, con la conseguenza che essa serve solo a determinare la situazione ma non a comprendere le direzioni di soluzione. Non è neppure adeguata la tradizionale lettura pastorale vedere-giudicare-agire perché essa soffre dei non chiarimenti teologici già descritti e troppo spesso si limita ad una valutazione dottrinale o morale di prospettive culturali52. Troppo spesso la lettura pastorale si limita a cercare la continuità con la tradizione cristiana e non a valutarne la discontinuità. Attraverso la teologia dei SdT comprendiamo che la prima parte dell’analisi consiste nella comprensione non dei problemi ecclesiali ma dei bisogni salvifici messianici. Per realizzare questa analisi si deve riconsiderare la teologia dell’annuncio del regno di Dio e le gesta et verba di Gesù di Nazaret, perché in questo modo appare chiaro cosa manchi della speranza promessa da Dio in un contesto e a tutti gli uomini53. È davvero singolare che lo stesso autore sia diventato un punto di riferimento sia per l’interpretazione ermeneutica che messianica dei SdT; cf i suoi Intelligenza della fede: interpretazione e critica, Alba, Paoline 1975, e Gesù la storia di un vivente, Brescia, Queriniana 1976. Sarebbe, inoltre, molto utile la riflessione di questo autore sul tema della salvezza integrale. 51 J.-P. JOSSUA, Discerner les signes des temps, in Vie Spirituelle 114 (1966) 527, 546-569. 52 D. FRANKLIN PILARIO, Rivisitare il metodo "vedere - giudicare - agire", in Concilium 52 (2016) 108-120; M. MIDALI, Teologia pastorale, in Dizionario di Pastorale Giovanile, pp. 1176-1192; qui pp. 1180-1187. 53 Cf il rilancio in chiave di Nuova Evangelizzazione del c. IV: La dimensione sociale dell’evangelizzazione di Evangelii gaudium, e la continua riflessione di J.B. METZ, ad es.: Proposta di programma universale del cristianesimo nell'età della globalizzazione, in R. GIBELLINI (ed.), Prospettive teologiche per il XXI secolo, Brescia, Queriniana 2003, pp. 389-402. 50 11 ▀ SdT per il riconoscimento dei soggetti e strumenti salvifici Un secondo limite della pastorale tradizionale è che l’analisi, pur essendo sociologica, non ritiene opportuno indagare il campo delle risorse ovvero dei soggetti e strumenti salvifici in un campo (GS 11). Questo sembra essere lo specifico della inserzione dello Schema di Ariccia. Poiché lo Spirito agisce nel mondo, la comunità cristiana deve comprendere non solo i bisogni o mancanze del Regno, ma anche chi sta già servendo il desiderio o progetto di Dio. Possono essere persone o gruppi umani, o idee e proposte. Che questa analisi abbia bisogno di un discernimento è ovvio. Che questo debba essere condotto non sul criterio dottrinale ma messianico sembra ugualmente ovvio. L’insistenza di molti documenti a ricercare la differenza salvifica del cristianesimo indica in realtà la resistenza a vedere relativizzata (non annullata) la funzione mediatrice della Chiesa. Senza questa prospettiva sarà difficile risolvere il rapporto tra ministerialità ordinata e battesimale perché si fonda esattamente sulla affermazione che i signa riguardino solo la comunicazione della Grazia e che unicamente il ministero ordinato ne sia responsabile. Allo stesso modo la ritrosia a considerare le azioni missionarie dello Spirito impedisce di considerare le persone di buona volontà come mediatrici della volontà salvifica di Dio nel mondo. ▀ SdT per la mediazione salvifica In effetti il compito della teologia pastorale è realizzare una mediazione salvifica. Nello schema dottrinale che declina la pastorale a partire dal primato del Mistero Pasquale, la mediazione è già stabilita, per cui essa si manifesta solo a livello pratico, cioè come organizzare, pianificare, innovare l’azione ecclesiale. In questa prospettiva, ad es., la Nuova Evangelizzazione non è questione di nuova postura della Chiesa verso il mondo, come richiesto da GS 4; ma di nuovo ardore e testimonianza per vincere le resistenze della cultura. Spesso è veramente così; ma, al contrario, spesso le resistenze nascondono punti di vista e soluzioni salvifiche non riconosciute dalla Chiesa. Nella prospettiva dei SdT, la mediazione consiste nel collegare i beni salvifici della comunità ecclesiale con i beni salvifici suscitati dallo Spirito nel mondo54. La mediazione avviene quindi a doppio livello. A livello verticale (parola, comunità dei credenti, economia sacramentale) e orizzontale (presenza dello Spirito nella coscienza, nei movimenti storici, negli uomini di buona volontà…). Mediazione pastorale quindi verrà a significare la ricerca della comune testimonianza di diverse confessioni religiose, piuttosto che richiesta di conversione, proselitismo o semplice relazione di cortesia55. ▀ SdT per il riordino delle azioni pastorali La teologia dei SdT aiuta anche un altro capitolo della teologia pastorale quello relativo alla organizzazione della attività pastorali. La varietà dei termini utilizzati ne è un segnale: compiti, azioni, dimensioni, attività…56. La terminologia era molto chiara quando la pastorale coincideva con il dovere di amministrare i segni della Grazia. Diventa più incerta quando di tratta di implementare la testimonianza ecclesiale in contesti plurali. Il Concilio offrì l’articolazione della pastorale secondo i tria munera battesimali, così pure i due direttori per i vescovi; mentre il Sinodo straordinario del 1985 e NMI preferirono l’articolazione quadripartita propria di molti autori. Tuttavia le diverse pratiche pastorali seguono anche modelli differenti o misti unendo insieme le 54 Questo spiega il disagio di alcuni nei confronti della proposta missionaria recente della CEI (2001; 2006; 2010; 2015). Sono proposte, infatti, che ripropongono la apertura al mondo. ma solo nella prospettiva “missione-spiegazione della fede cristiana” e mai nella prospettica di collaborazione alla liberazione del mondo; cf L. MEDDI, Nuova Evangelizzazione e gli «Ambiti» di Verona, in Credere Oggi 32 (2012) 191, 95-104. 55 Che questa visione missionaria non escluda la missione come annuncio e proposta-conversione della fede in Cristo è fuori discussione; si tratta di sottolineare che il Battesimo non è l’unico o principale scopo della missione. Cf S.B. BEVANS - R.P. SCHROEDER, Prophetic Dialogue. Reflections on Christian Mission Today, New York, Orbis Book 2011; Concilium 47 (2011) 1: Dalla missione al mondo alla testimonianza interreligiosa; L. MEDDI, La testimonianza della vita cristiana come metodologia missionaria. 56 L’ultimo ripensamento è stato tentato dalla scuola di Milano: AA. VV., Progetto pastorale e cura della fede, Milano, Glossa 1996; G. ANGELINI - M. VERGOTTINI (edd.), Invito alla teologia, vol. 3: La teologia e la questione pastorale, Milano, Glossa 2002. 12 azioni pastorali con le priorità pastorali, cioè la dimensione metastorica con quella storica. Questo è un segnale da seguire; tuttavia non va inteso come collegamento tra mediazione rendentiva e sfide pastorali. Proprio la teologia dei SdT e la sottolineatura della missione dello Spirito nel/dal mondo ci fa comprendere che le attività pastorali sono in verità dimensioni specifiche della mediazione ecclesiale, ma non azioni concrete. La conclusione sarebbe che il compito ecclesiale coincide con l’esercizio delle sue mediazioni e non la collaborazione per la salvezza di Dio in un tempo. Sarebbe l’introduzione nella pastorale della pratica dell’adattamento e non dell’inculturazione attraverso i linguaggi della cultura (cf GS 44). SdT aiuta la pastorale a comprendere che le sue azioni o programmazioni sono determinate dal discernimento dei bisogni e dei mezzi salvifici da implementare secondo possibilità, attività e modalità differenti tenendo in conto dell’intera tradizione ecclesiale (Scrittura, celebrazione, ministerialità, ecc.). Non è questo il significato di carismaticità della missione? Un altro aspetto da sottolineare è che questa impostazione teologica di SdT aiuta il ripensamento della formazione dei soggetti pastorali57 che può essere ripensata seguendo il chiaro PO 9.18. ▀ SdT nella ridefinizione epistemologica di pastorale Da ultimo desidero sottolineare un altro aiuto che la teologia dei SdT porta alla teologia pastorale. Esso è racchiuso nel denso n. 44 di GS che (quasi) chiude il capitolo IV dedicato alla missione della Chiesa nel mondo contemporaneo e giocato sui due versanti: ciò che si offre e ciò che si riceve per la medesima missione. Tra ciò che si riceve – ho più volte sottolineato – sono indicati i linguaggi. La comunità ecclesiale deve «ascoltare attentamente, discernere e interpretare i vari linguaggi del nostro tempo, e saperli giudicare alla luce della parola di Dio, perché la verità rivelata sia capita sempre più a fondo, sia meglio compresa e possa venir presentata in forma più adatta». Si noti che l’incipit è il medesimo del n. 11: «è dovere di tutto il popolo di Dio, soprattutto dei pastori e dei teologi, con l'aiuto dello Spirito Santo»; si noti ugualmente il duplice aiuto, quello strumentale (meglio presentare) e quello teologico (meglio comprendere). Questo testo è già stato utilizzato per sostenere la dimensione ermeneutica-interpretativa richiesta dai SdT alla missione. Ora si può sottolineare anche un altro aspetto. Questo invito aiuta a dare risposta alla configurazione epistemologica della teologia pastorale. Spesso gli autori trattano questo tema come indagine sul rapporto teoria-prassi. Tralasciando coloro che escludono un rapporto significativo tra natura teologica della teologia pastorale e scienze umane, molte riflessioni dichiarano il rapporto come necessario e costitutivo e ne indicano il modello nella relazione inter-trans disciplinare; superando quello ancillare o multidisciplinare. A volte non si trova una adeguata figura di questa relazione, ma soprattutto una adeguata fondazione teologica, per cui il Magistero ancora non l’ha fatta sua, con moltissime conseguenze. Proprio la teologia dei SdT aiuta a comprendere la dimensione pratica della teologia come riflessione propria. Il testo infatti dice «sia meglio compresa»; cioè ci invita a farci leggere e comprendere nella capacità mediatrice proprio dagli strumenti della cultura (strumento della presenza di Dio). Questo si traduce adeguatamente con trans-disciplinarietà che appunto significa reciproca interazione su un oggetto di indagine comune58. Essa ha bisogno (è dovere!) di comprendere e servire il mysterium salutis in un tempo e in un contesto anche con la parte di tale processo che la Trinità innesta nella storia accanto la storia della Chiesa. 57 AA.VV., Il primato della formazione, Glossa, Milano 1997, pp. 145-171. Cf, di L. PANDOLFI, L’alterità culturale e disciplinare. Frontiere e periferie delle Scienze Religiose, in ISTITUTO DI CATECHESI E SPIRITUALITÀ MISSIONARIA - T. LONGHITANO (edd.), Gesù è/e l'altro, Città del Vaticano, Urbaniana University Press 2015, pp. 17-46, il paragrafo: Cosa intendiamo per multidisciplinarietà, interdisciplinarietà e transdisciplinarietà?, pp. 25-29. 58 13