RIVISTA DI ARTI, FILOLOGIA E STORIA
N A POLI
N OBI LI SSI M A
VOLUME LXXVI DELL’INTERA COLLEZIONE
SETTIMA SERIE - VOLUME V
FASCICOLO I - GENNAIO - APRILE 2019
RIVISTA DI ARTI, FILOLOGIA E STORIA
NAPO LI
NOBI LI SSI M A
VOLUME LXXVI DELL’INTERA COLLEZIONE
SETTIMA SERIE - VOLUME V
FASCICOLO I - GENNAIO - APRILE 2019
RIVISTA DI ARTI, FILOLOGIA E STORIA
NA PO L I
NO BI LISSIMA
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direzione
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Archivio Sabap Napoli: p. 79
Archivio Vincenzo Franciosi: pp. 4, 6,
7 (destra), 8-10
foto Walter Angelelli: pp. 18, 20-29, 32
(destra)
Napoli, Archivio di Stato: p. 63
Napoli, Castel Nuovo, Cappella
Palatina o di Santa Barbara - Museo
Civico: pp. 30, 31
Napoli, Museo e Real Bosco di
Capodimonte: p. 78 (in alto)
Giuseppe Panza fotografia: p. 74
Parigi, Bibliothèque numérique
patrimoniale de l’École nationale des
ponts et chaussées: pp. 62, 64-67
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della Fondazione Pagliara, articolazione
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Sommario
5
Il ‘Massimino Farnese’: un tipo policleteo
Vincenzo Franciosi
19
La pittura di età angioina a Capri e i suoi legami con la terraferma
Walter Angelelli
37
Storie e leggende di un principe e della sua cappella.
Da Raimondo di Sangro a Benedetto Croce
Rosanna Cioffi
48
Epos e commedeja. Angelica e Orlando tra i pastori napoletani
Gianluca Genovese
60
1836-1845: la prima ferrovia borbonica al cospetto dell’archeologia vesuviana
Valeria Pagnini
Note e discussioni
73
Paola Improda
Un inedito di Bernardino Pizzuto: il Compianto di Sant’Agata dei Goti
76
Nicola Cleopazzo
Recensione a S. Causa, La parola alle cose. Sentieri e scritture della natura morta
(1922-1972)
Note e discussioni
Un inedito di Bernardino Pizzuto: il Compianto di Sant’Agata
dei Goti
Paola Improda
Il pittore Bernardino Pizzuto non è molto noto alla critica1.
L’artista è menzionato come testimone nelle carte del processo intentato nel 1544-1545 da Pietro Negroni contro il medico
Girolamo Lanzalone per il mancato pagamento della perduta
tavola raffigurante la Madonna col Bambino tra i santi Girolamo, Caterina d’Alessandria e Onofrio, in origine nella chiesa di
Sant’Aniello a Caponapoli2. Dalle carte del processo appena
citato si evince che nel 1544 il pittore risiedeva a Napoli, nel
quartiere di Forcella, ed era membro della corporazione dei
pittori3. Da altre notizie d’archivio si ricava che la sua città
natale era Aversa4.
L’unica sua opera documentata è la tavola del 1532 raffigurante San Donato in cattedra (fig. 1)5, collocata in origine sull’altare della cappella intitolata al santo nella chiesa dell’Annunziata di Aversa e attualmente custodita nei depositi del locale
Museo Diocesano. Si tratta di un’opera articolata secondo
simmetrie un po’ attardate, con un gusto compositivo quasi
quattrocentesco. Al centro è raffigurato il vescovo Donato,
assiso su un trono marmoreo decorato con un bassorilievo di
ispirazione classica. Ai lati, due angeli a figura intera reggono il pastorale e un libro; in alto, tra le nubi, altri due angeli,
raffigurati a mezzo busto e in posa orante. È evidente, negli
impasti di colore morbidi e delicati, il richiamo alle opere di
Andrea Sabatini e di Giovan Filippo Criscuolo.
Tra i dipinti che sono stati attribuiti al Pizzuto su base stilistica, due gli spettano con certezza, a mio parere. Il primo è
la tavola d’altare raffigurante la Dormizione e Assunzione della
Vergine (fig. 2)6, opera dipinta per la cappella della famiglia
Merenda7, nel deambulatorio della Cattedrale di Aversa, e
ancora in loco.
Lo stile della scuola del Sabatini è molto riconoscibile
anche in questo dipinto. Gli angeli della pala Merenda presentano evidenti analogie con quelli che compaiono nel San
Donato in cattedra, in particolare nelle torniture morbide delle membra e nelle vaporose capigliature. Identica è la resa
del piumaggio delle ali, uguali gli attacchi delle vesti sulle
spalle. Allo stesso modo, le pieghe del panneggio sul braccio
alzato e benedicente di san Donato richiamano quelle dell’apostolo all’estrema sinistra della tavola commissionata dai
Merenda, anche se le ondulazioni della veste di quest’ultimo
sono più plastiche, facendo suppore un aggiornamento del
pittore sui modi di Marco Cardisco8. Inoltre, notevoli coincidenze si riscontrano nella tipologia e nei panneggi dei paramenti indossati da san Donato e da san Pietro. L’adozione
di stilemi cari al Cardisco è molto chiara soprattutto nella
metà inferiore del dipinto in Cattedrale, dove è raffigurata la
Dormitio Virginis: in essa le analogie con le opere mature del
maestro calabrese, quelle che più riflettono l’accesa materia
pittorica di Polidoro da Caravaggio e di Pedro Machuca, sono
stringenti9.
Trasferitosi a Napoli, il Pizzuto ebbe modo di assimilare
meglio la lezione dei suoi probabili maestri10. Nella vivace
capitale del Regno il pittore dové dipingere il polittico della
quarta cappella a destra della chiesa del Gesù delle Monache, raffigurante, nei due registri principali, la Dormizione e
Assunzione della Vergine; nella cimasa, l’Adorazione dei Magi
e la Santissima Trinità; negli scomparti laterali, quattro Santi
e l’Annunciazione11. L’impostazione delle figure e la gamma
cromatica del polittico napoletano rimandano con precisione
alle due tavole aversane, avvalorando la proposta di una datazione pressoché contemporanea, tra gli anni trenta e quaranta del Cinquecento.
In questa sede, infine, va aggiunta al catalogo del Pizzuto
una tavola che presenta tratti stilistici comuni alle tre opere sopraccitate, ovvero il Compianto su Cristo morto custodito
nella chiesa di San Francesco a Sant’Agata de’ Goti (fig. 3),
dove reca un’attribuzione a Silvestro Buono. La tavola fu realizzata per la cappella di Santa Maria della Pietà, di giuspatronato della famiglia Ruggiero12.
Nel Compianto ritornano la dolcezza delle forme e la morbidezza delle cromie derivanti dal Sabatini e dal Criscuolo.
La narrazione esprime tutta la drammaticità che il soggetto
richiede, ma essa appare contenuta e delimitata nella circolarità dinamica dei gesti e delle pose delle figure centrali. Il
confronto fra la figura di una delle pie donne del Compianto e
l’Assunta della pala Merenda (figg. 4a-b) fornisce un riscontro puntuale. L’identità della mano è evidente nei medesimi
tratti dei volti ovoidali – si noti la caratteristica forcella formata dal naso e dalle sopracciglia – e nell’analogo ricadere e
avvolgersi del velo bianco che copre il loro capo.
Nonostante le difficoltà di interpretazione causate dalla
scarsità di appigli documentari e dalla relativa esiguità del catalogo fin qui ricostruito, dalle opere appena riferite al pittore
e dal confronto stilistico fra esse e i dipinti degli altri artisti
menzionati emerge con nettezza l’impressione che il Pizzuto
abbia compiuto un percorso pittorico sempre attento alle novità apprese nella capitale, facendo tesoro della linea morbida
e del colore puro e smaltato cari al Sabatini e al suo migliore
allievo, Giovan Filippo Criscuolo, e riuscendo persino a metabolizzare l’espressionismo aspro e plastico dell’ultimo Cardisco. Tutto ciò gli ha consentito di svolgere un ruolo niente
affatto provinciale e limitato alla sola città natale.
In vista di ulteriori studi, che porteranno sicuramente ad
accrescere il catalogo del pittore, resta aperta la questione dei
rapporti storicamente intercorsi fra Bernardino Pizzuto e i
pittori napoletani e regnicoli suoi contemporanei, in particolare le relazioni che effettivamente hanno determinato la
maturazione del suo linguaggio pittorico.
| 73
1. Bernardino Pizzuto, San Donato in cattedra. Aversa, Museo
Diocesano, depositi (già Aversa, chiesa dell’Annunziata).
2. Bernardino Pizzuto, Dormizione e Assunzione della Vergine. Aversa,
Cattedrale.
74 |
3. Bernardino Pizzuto, Compianto su Cristo morto. Sant’Agata de’
Goti, chiesa di San Francesco.
4. Bernardino Pizzuto: a) Dormizione e Assunzione della Vergine, part.
Aversa, Cattedrale; b) Compianto su Cristo morto, part. Sant’Agata de’
Goti, chiesa di San Francesco.
APPENDICE DOCUMENTARIA
1. Archivio Storico Comunale di Aversa (d'ora in avanti
ASCA), Platea dell’Annunziata di Aversa, parte I, anno 1528 (libro
X, P, ff. 187-88), c. 143v.
Si fe’ la cona per legato di Giovan Battista Cerbino e si
maritarono altre due figliole con Minico di Savignano, ed altra
con Filippo Cotinario d’Aversa.
2. ASCA, Platea dell’Annunziata di Aversa, parte I, anno 1532
(libro O.2, f. 121), c. 147r.
A mastro Bernardo Piczuto pittore di Napoli ducati 36 per
avere pittato la cona di San Donato, per legato d’Antonio de Siia
e Battista Corvino suo genero, della quale summa ne tenea certi
carlini depositati il reverendo Paolo Merenda, quale li restituì13.
3. ASCA, Platea dell’Annunziata di Aversa, parte III, anni 15281532, c. 167r-v.
Notizia dell’eredità di Giovan Battista Corbino.
A’ 24 luglio detto anno [1532], notaio Pietro Paolo Pacello per
pagamento del testamento ed inventario che si fece del quondam
Joan Battista Corbino.
Si venderono dalla Santa Casa più calici d’argento per fare
la cona de la ecclesia ad istanza del quondam Giovan Battista
Corbino, che avea lasciato erede la Nonciata, come appare per
testamento e legato.
La Casa [dell’Annunziata], come erede di Giovan Battista
Corbino pagò un legato a don Leo de Castellana, fol. 165 tergo,
ed a’ 16 luglio salda Luca Porto di Casale di Prencipe fol. 168.
Se declara come lo qual Joan Battista Corbino, che fe’ erede
suo la ecclesia della Nonciata, lassao in testamento ad Anna sua
sorella otto oncie in dote che s’avessero da pagare da li mastri […].
Liberati a mastro Berardino Piczuto d’Aversa, abitante in
Napoli, ducati 36 per una cona, che have fatto ad soie dispise,
quale cona tene la immagine e figura di San Donato, che è posta
in la cappella di San Donato, dentro la ecclesia della Nonciata,
quale cona lassao che se fosse fatta per mezzo di Antonio de Sija
[o de Sica], e Battista Corvino suo erede e genero, per la quale
cona lo reverendo Paolo Merenda d’Aversa ne tenea quattro
carlini in deposito, ad talché li mastri fossero tenuti e facessero
detta cona e sono depositati quando li mastri passati vendero
la casa di detto Antonio e per essere fatta detta cona sono stati
restituiti dei quattro carlini a detta ecclesia per lo detto messer
Paolo, ducati 36.
1
Un accenno al Pizzuto è stato fatto in passato da Andrea Zezza
che ha riferito al pittore un piccolo gruppo di tavole costituito da
due opere aversane, il San Donato in cattedra nella chiesa dell’Annunziata e la Dormitio Virginis nella Cattedrale, dal polittico del Gesù
delle Monache a Napoli e da altre due Dormitio Virginis, una collocata nella chiesa di Santa Maria Assunta a Fondi e l’altra venduta l’8
aprile 1987 a Londra presso Sotheby’s: A. Zezza, Ferrante Maglione e
Marco Pino: una rilettura dei documenti per l’altar maggiore dell’Annunziata di Aversa, in «Bollettino d’arte», s. VI, 1999, 108, p. 83, nota 6.
2
A suo tempo, Angelo Borzelli lesse le carte del processo che trascrisse in Un quadro di Pietro de Nigrone nella chiesa di S. Agnello a
Caponapoli, Napoli 1907, pp. 10-19. Da esse si apprende che durante
la contesa giudiziaria i pittori Bernardino Pizzuto, Giovan Lorenzo
Firello, Giovan Filippo Criscuolo e molti altri ancora furono ritenuti dal Lanzalone sospetti e parziali nel giudizio, per cui, al fine di
stabilire con coscienza il giusto prezzo del dipinto si decise di interpellare Giovanni da Nola e Giorgio di Arezzo (il Vasari). Nelle
carte della disputa sono presenti anche i nomi di Agostino Tesauro, Michele Curia e Leonardo Castellano. Giorgio Vasari non poté
comparire tra i testimoni, perché multato, e il suo posto fu preso da
Leonardo da Pistoia.
3
«Berardino Piczulo ad Forczella»; «Berardino Piczullo de Neapoli»,
membro «congregationis pictorum»: A. Borzelli, op. cit., pp. 13, 16, 18.
4
«Berardino Piczuto d’Aversa, abitante in Napoli»: ASCA, Platea
dell’Annunziata di Aversa, parte III, anni 1528-1532, c. 167v.
5
La commissione pittorica fu ricevuta nel 1528 e fu portata a termine nel 1532, anno in cui il pittore fu pagato 36 ducati da Battista
Corbino e in cui il sacerdote Paolo Merenda restituì i quattro carlini
di garanzia all’Annunziata: ASCA, Platea dell’Annunziata di Aversa,
parte I, anno 1528 (libro XP, ff. 187-88), c. 143v; anno 1532 (libro sign.
O.2, f. 121), c. 147r; parte III, anni 1528-1532, c. 167v. Lo storico aversano Gaetano Parente lesse nella platea il nome del Pizzuto collegato
al San Donato in cattedra, ma reputò quest’ultimo un’opera diversa da
quella citata nel documento (G. Parente, Origini e vicende ecclesiastiche della città di Aversa, Napoli, Tipografia di Gaetano Cardamone,
1857-1858, ed. anastatica cons. Aversa 1990, II, p. 74).
6
Il dipinto è quello che il Parente segnala come «Transito della
Vergine, o Assunta» e dice attribuito a Polidoro da Caravaggio (G.
Parente, op. cit., II, p. 485). Nel 1990 la tavola è stata segnalata come
Dormitio Virginis di ignoto pittore della prima metà del secolo XVI,
informato dei modi di Riccardo Quartararo, artista siciliano a cui
nel 1987 il Bologna attribuì la Dormitio Virginis proveniente dalla
chiesa dello Spirito Santo di Torre Annunziata, opera attualmente
conservata nel Museo di Capodimonte (G. Petrenga, in La Cattedrale nella Storia di Aversa 1090-1990. Nove secoli d’arte, cat. mostra,
Aversa 1990, Caserta 1990, p. 86. Sul Quartararo, cfr. P. Santucci, Su
Riccardo Quartararo: il percorso di un maestro mediterraneo nell’ambito
della civiltà aragonese, in «Dialoghi di storia dell’arte», II, 1996, pp. 3257). Il confronto con l’opera attribuita al Quartararo regge solo dal
punto di vista iconografico. Infatti, il dipinto aversano appartiene
ad una generazione successiva e risente dell’influsso della pittura
napoletana più aggiornata. Nel 1999 Zezza ha incluso la tavola aversana – col titolo di Dormitio Virginis – nel gruppo di opere da riferire
al Pizzuto (A. Zezza, op. cit., p. 83, nota 6).
7
Nell’iscrizione al vertice della cornice in stucco che contiene la
pala con la Morte e Assunzione della Vergine, si legge che l’altare fu
dedicato all’Assunta nel 1548 e Giovan Battista Merenda ne curò il
restauro due secoli dopo, nel 1787 (G. Parente, op. cit., II, p. 458).
Durante la visita pastorale del vescovo Giorgio Manzòlo, compiuta
il 5 maggio 1584, il reverendo Fabio Merenda, sacerdote della Cattedrale, riferì che la cappella era di patronato della propria famiglia (Archivio Storico Diocesano di Aversa, d’ora in avanti ASDA,
| 75
Fondo visite pastorali, Santa Visita del Vescovo Giorgio Manzòlo, anno
1583, c. 26r). Il nome del committente della cappella compare nelle
carte della visita del vescovo Pietro Orsini (cappella del «quondam
Antonii Merendae», c. 80r) e nell’epigrafe apposta a una lapide in cui
è scolpito lo stemma del casato Merenda. Dall’iscrizione si apprende
che la lastra fu collocata nell’anno 1548 da Antonio Merenda ma fu
distrutta dal tempo; tuttavia, per non cancellare la memoria dei propri avi, il nipote Paolo si incaricò di rifarla nel 1607 (G. Parente, op.
cit., II, p. 458 vi leggeva l’anno 1608; notizie su Paolo Merenda sono
in ASCA, Platea dell’Annunziata di Aversa, parte III, anno 1658, c. 677r).
Un altro Paolo Merenda, che va identificato con quello a cui furono
dati in deposito nel 1528 i quattro carlini per la realizzazione del San
Donato in cattedra della chiesa dell’Annunziata, è sepolto in questa
cappella. La lapide terragna con l’effige del defunto fu posta in chiesa nel gennaio 1544 da Antonio Merenda. In origine la cappella era
chiusa da una cancellata lignea e disponeva di un altare marmoreo
con candelabri lignei. La messa era celebrata ogni mercoledì e sabato
della settimana nonché nelle festività della Vergine Maria (ASDA,
Santa Visita del Vescovo Giorgio Manzòlo, cit., c. 26r; Santa Visita del
Vescovo Pietro Orsini, anno 1597, c. 80r). Nella visita pastorale del vescovo Pietro Orsini, compiuta dal vicario generale monsignor Lelio
Montesperello, è specificato che la cappella Merenda aveva il titolo
«Conceptionis Beatae Mariae Virginis et Salvatoris» e durante la visita si decretò che si realizzasse una «icona decenti ac proportionata
titulo» (ASDA, Santa Visita del Vescovo Pietro Orsini, cit., anno 1597,
c. 80r-v). Per la cappella fu dunque previsto un nuovo dipinto che
raffigurasse l’Immacolata Concezione.
8
Le pieghe del panneggio sono vicine a quelle che realizzò Marco
Cardisco nelle sue opere degli anni Trenta. Si ricorderà a riguardo il
trittico di Liveri, la Dormitio Virginis di Capodimonte e la famosa pala
di Sant’Agostino alla Zecca, con la tavola centrale anch’essa conservata nel museo napoletano. Sulle opere del periodo maturo del calabrese, cfr. P. Giusti, P. Leone de Castris, Pittura del Cinquecento a Napoli:
1510-1540. Forastieri e Regnicoli, Napoli 1988, pp. 234-40; P. Leone de
Castris, Un pannello di Marco Cardisco alla Walters Art Gallery, in «Journal of the Walters Art Gallery», 47, 1989, pp. 16, 20, nota 9; Idem, Museo
e Gallerie Nazionali di Capodimonte. Dipinti dal XIII al XVI secolo. Le collezioni borboniche e post-unitarie, Napoli 1999, pp. 122-123; Pedro Machuca a
Napoli: due nuovi dipinti per il museo di Capodimonte, cat. mostra, Napoli
1992, a cura di P. Leone de Castris, Napoli 1992, pp. 13-26.
9
Nella pala Merenda ritornano le tipologie drammatiche ed
espressive degli apostoli barbuti dell’opera di medesimo soggetto
del Machuca e della Dormitio Virginis del Cardisco, tavole collocate
una accanto all’altra nel Museo di Capodimonte. Confronti persuasivi possono essere istituiti anche con le vivaci figure degli apostoli
dipinte nella predella del Trionfo di sant’Agostino del Cardisco.
10
Polidoro da Caravaggio fu a Napoli nel 1524 e poi di nuovo
dall’estate del 1527 a quella del 1528. La sua pittura espressiva e passionale e il calore devozionale delle opere di Machuca impressionarono profondamente i maggiori esponenti del primo Cinquecento
napoletano: Andrea Sabatini, Giovan Filippo Criscuolo, Agostino
Tesauro e Marco Cardisco, pittori fondamentali per la formazione
del Pizzuto. Per la figura di Polidoro da Caravaggio, si rimanda alla
monografia di P. Leone de Castris, Polidoro da Caravaggio. L’opera
completa, Napoli 2002.
11
Cfr. A. Zezza, op. cit., p. 83, nota 6.
12
Nel 1782 la pala col Compianto su Cristo morto fu sagomata nella parte superiore e ai lati per adattarla alla cornice di stucco posta
sull’altare della cappella. Cfr. Guida al Museo Diocesano di Cerreto Sannita - Telese - Sant’Agata de’ Goti, a cura di U. Dovere, Napoli 2002, p. 18.
13
Questo documento è trascritto anche da A. Zezza, op. cit., p. 86.
76 |
Recensione a S. Causa, La parola alle cose. Sentieri e scritture
della natura morta (1922-1972), Napoli, arte’m, 2018
Nicola Cleopazzo
Genesi, evoluzione e motivazioni dell’ultimo libro di Stefano Causa sono raccontate, tra le righe delle pagine iniziali,
dallo stesso autore. L’origine del volume risale al 2014 «traendo pretesto dal cinquantenario di una delle mostre di ricognizione più importanti della seconda parte del secolo scorso: La
Natura morta italiana, tenutasi in Palazzo Reale a Napoli» (p.
21) tra il 4 ottobre e il 29 novembre 1964. Poi l’idea iniziale,
raccontare storia e fortuna critica della natura morta dal primo dopoguerra a quell’evento, si è tramutata in un «doppio
focus sulle scritture della natura morta, e sull’esposizione del
1964, come il sequel di un precedente lavoro dedicato alla mostra della pittura dei tre secoli [Caravaggio tra le camicie nere. La
pittura napoletana dei tre secoli: dalla mostra del 1938 alle grandi
esposizioni del Novecento, arte’m, Napoli 2013]» (p. 10). L’analisi
bifrontale che ne è nata ha quindi gradualmente portato l’autore a ri-prendere coscienza del valore e dello status di punto
di approdo di un saggio fondamentale in materia, La natura
morta a Napoli nel Sei e nel Settecento pubblicato da Raffaello
Causa nel 1972, di cui il presente «libretto» costituisce un «auspicio alla lettura e [un] tentativo di premessa» (p. 21).
Indicazioni, queste, che fungono da viatico all’ermetico
sommario iniziale (p. 5). Il testo, stanti tali premesse, è diviso
infatti in quattro parti, l’ultima delle quali è dedicata proprio
alla ristampa, senza note e senza immagini, dello scritto di
Raffaello Causa del 1972. Una scelta che risponde al tentativo
di rivalutazione letteraria di quel saggio di stilcritica, cui gli
studi hanno continuamente attinto in questi decenni più per
scomputarne le proposte attributive che per apprezzarne il
valore formale.
Quindi, procedendo a ritroso, il terzo capitolo – La natura
morta della realtà – è incentrato su un’analisi accurata, sala per
sala, pagina per pagina (se consideriamo i relativi cataloghi)
della mostra del 1964 e delle due ridotte edizioni estere (Zurigo, Kunsthaus, dicembre 1964 - febbraio 1965; Rotterdam,
Museo Boijmans van Beuningen, marzo - aprile 1965). Mentre prima e seconda parte – La parola alle cose; Il partito preso
delle cose – scandagliano i ‘precedenti’ storiografici dell’evento espositivo del 1964, partendo dalla storica mostra della pittura italiana di Palazzo Pitti del 1922, l’altro estremo cronologico ricordato nel sottotitolo del libro.
Questi due capitoli iniziali, oltre a uno spaccato di mezzo
secolo di storia della critica italiana (e non solo) sulla natura
morta, offrono al lettore gli strumenti necessari sia per capire
su quali basi e su quali conoscenze poté fondarsi la mostra
napoletana di Palazzo Reale, sia per rintracciare, in alcune
fondamentali esperienze critiche pregresse, i germi del saggio di Causa del 1972. E si tratta, come ormai l’abituale lettore
di Stefano Causa dovrebbe aspettarsi, di un racconto multidirezionale, densissimo, capace di restituire tempi perduti e
profili umani dimenticati.
Primeggiano in queste pagine, facile intuirlo, gli storici
allievi di Roberto Longhi, da Carlo Volpe a Francesco Arcan-