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Margherita e il drago

MARGHERITA E IL DRAGO -1. La martire d’Antiochia Di sante con il nome Margherita ve ne sono più di una: la vergine d’Ungheria (18 gennaio), la penitente di Cortona (22 febbraio), la vedova regina di Scozia (10 giugno), la vedova non coronata di San Severino Marche (27 agosto), Margherita Alacocque dell’Ordine della Visitazione della Beata Vergine Maria in Paray - le Monial (17 ottobre), Margherita di Città di Castello, detta la Cieca de la Metola ... Ma nessuna di esse ha a vedere con il drago, mentre un drago è la bestia raffigurata nella formella inferiore sinistra del portale meridionale del Duomo di Como insieme con la santa. Come dice inequivocamente, a chi osservi, il nome inciso nel sasso è MARGARITA. Per il che ella non può essere che la fanciulla martire d’Antiochia. Nella Legenda aurea narra pianamente Jacopo da Varàgine che la bella giovinetta fu educata alla religione cristiana dalla nutrice, contrario essendo il padre Teodosio, patriarca dei gentili d’Antiochia. Quindicenne, mentre pascolava le pecore dell’antica balia attorniata da altre ragazze, venne rapita dai servitori del prefetto Olibrio, attizzato dalla venustà di lei: se è di nobile stirpe diverrà mia moglie, altrimenti sarà la mia concubina Jacopo da Varagine, Legenda aurea, Margherita. Le citazioni dell'opera sono tratte dall'edizione di Libreria Editrice Fiorentina (traduzione dal latino di Cecilia Lisi).. Il lignaggio era aristocràtico, peraltro Margherita ebbe il torto, agli occhi del suo sequestratore, di professarsi cristiana. Così che il prefetto la imprigionò, minacciandola delle peggiori sevizie se non avesse abiurato. Avutone un secchissimo rifiuto, Olibrio la fece torturare e, di nuovo, segregare. Nella càrcere dapprima rifulse una luce mirabile. E dopo comparve il nemico contro il quale Margherita, la quale tanto aveva pregato per vederlo, stava combattendo: il drago. Il mostro si fuggì non appena la pulzella ebbe fatto il segno della croce La scena è ritratta con ingenua freschezza nella santa Margherita di Alessandro Rosi (Collezione Gianfranco Luzzetti).. Però, ancora, venne il diavolo. In foggia d’uomo. La vergine costrinse anche quello a battere in ritirata. Infine, il prefetto fece spiccare a Margherita la testa dal busto, dopo di averla sottoposta a tormenti inumani. D’acqua e di fuoco. -2. Primi cenni iconografici sul drago La disamina di alcune, fra le innnumerevoli e più rinomate, delle rappresentazioni del drago appare assai utile, se non addirittura necessaria, al conseguimento immediato di risultati preziosi. Per non eccedere nell’analisi, ad evitare l’aggravamento dell’opera di sintesi, pretermettiamo di considerare la distinzione fra draghi àpteri (senza ali) e draghi dìpteri (muniti di due ali). Nei quali il grande benefattore Nicolas Flamel, di poco posteriore al nostro Dante, volle scindere le qualità acquee da una parte e le qualità ignee dall’altra, a rimarcare la contrarietà, ma anche la complementarità delle due fiere all’interno del Caos originale. Il Mercurio comune dei Filosofi. E’ la relazione che corre fra i due draghi che s’azzuffano, peraltro dominati entrambi da un inconsueto arcangelo Michele in veste di vescovo Abondio, che puoi scoprire in una bella lastra convessa nel Museo Civico di Como. Prendiamo in esame l'animale nella sua interezza, pur senza obliare la rilevata duplice natura, che gli artisti non sembrano d’ordinario avere inteso separare, di là dalla raffigurazione della bestia con le ali o senza. La prima impressione che ne ricavi anche il meno scozzonato degli scrutatori è il senso di vitalità accesa, estrema, che il bruto esprime nel momento di essere ucciso dal santo o dall’eroe-cavaliere. Una volontà titànica di affermare la propria energia insopprimibile, financo oltre la morte. La potenza della bestia è tanta e tale che il cavaliere ha da inerpicarsi sul proprio destriere, nitrente e atterrito, e poggiare il ginocchio sul dorso della cavalcatura per poter vibrare il colpo mortale con violenza bastante. Lo testimonia Vitale da Bologna in una visione staccantesi, come per malìa, da una quinta profonda di blavo cupo e suggente Bologna, Pinacoteca nazionale.. E anche il piede di Giorgio piegato ad arco sulla staffa nella tela freschissima di Bernardo Martorell Chicago, Art Institute.. I guerrieri portavano l’effigie di quella fiera nelle loro insegne. Vedi il drago campeggiare, quasi rampante, nei vessilli dell’esercito di Massenzio, sconfitto dai militi di Costantino, adunati sotto il segno dell’aquila imperiale, nell’affresco di Piero della Francesca in san Francesco d’Arezzo. O sopra gli scudi giganteschi di alcuni sbirri nelle Storie della vita di santa Colomba, attribuite a Giovanni Baronzio Milano, Pinacoteca di Brera.. Come i Celti (e con essi i Gàlati) acconciavano le chiome in modo da simulare, nella parte mediana del capo, la criniera del cinghiale sacro a Lug, ad appropriarsi il suo valore Alle soglie del terzo millennio, certa gioventù abbrutita agghinda ancora in quella guisa la capellatura. Senza, peraltro, neppure presentirne i significati profondi. , così le coorti romane avevano cara l’imagine del drago, e i vessilliferi si appellavano dragonari. Nella celeberrima incisione di Martin Schongauer, Lucifero-drago, nel contorcersi soccombente sotto i piedi dell’arcàngelo Michele, pare assicurare attraverso i suoi occhi incandescenti: non dubitate, transmutato sopravviverò. Il drago bìpede e dìptero di Paolo Uccello Parigi, Louvre. muove verso san Giorgio (il quale lo trapassa con la lancia), con una veemenza che terrorizza il corsiero del cavaliere di Cappadocia. Nell’altra opera consimile dello stesso pintore, conservata nella National Gallery di Londra, la creatura fantàstica urla truce. La ferocia dei suoi ululati monta altissima. Le linee diagonali e spiraliformi, sparte con sapienza per la tavola, ne trasmettono e amplificano a dismisura gli effetti. Con l’ausilio della cassa di risonanza in che consiste la caverna. Mentre un impercettibile menisco argenteo, lontano lontano, dall’angolo superiore destro, controlla discreto lo scenario. Il drago afferma la sua invincibilità e la sua perpetuazione nel mondo sublunare del divenire. Nella porta centrale della cattedrale di Strasburgo Siegfried uccide un drago àptero. Che pare non avvertire neppure la lama che lo penetra. Un celebrato disegno di Leonardo riproduce un drago dìptero nell’atto di minacciare addirittura il fortìssimo leone. Perché è il Leone-Solfo l’ animale d’ordinario contrapposto al mostro. Non è traccia di pavore nella fiera che sorveglia Andromeda nell’opera di Giuseppe Cesari, detto Cavalier d’Arpino Pinacoteca di Palermo.. Essa non tradisce alcun timore verso Perseo incalzante in sella a Pegaso. Preannunzia solo contrasto accanito. Promette lotta estrema al sopraggiungente Ruggero il leviatano che scivola sulle acque, ai piedi di Angelica in ceppi sullo scoglio, come mostra J.A.D. Ingres Parigi, Louvre.. La ferocia del drago è connaturata alla sua vitalità primordiale. L’aspetto orroroso e repellente comunica il suo proteismo, l’instabilità perenne delle sue labili forme. Le squame embricate (dalle elegantissime disegnate da M.C. Escher a quelle appena incise in un semicapitello di sant’Abondio in Como), che ne ricoprono il corpo come scaglie di pietra, danno il grado di particolare cristallizzazione della Nostra Materia. Le ali membranose, per contro, ne dicono la volatilità accentuata. Poiché l’immagine non esprime, se non in modo affatto indiretto, le sensazioni olfattive, è allo scritto che dobbiamo fare ricorso per avere contezza degli effetti del drago sotto il profilo in parola. Ebbene, a titolo paradigmatico, ex pluribus, basti la memoria del mostro che soggiornava nello stagno grande come il mare, vicino a Silene, in Libia (e che sarà passato a fil di lancia da san Giorgio): quando si avvicinava alle mura della città uccideva col fiato tutti quelli in cui si imbatteva ... Non vedi che tutti muoiono per il pestifero soffio del drago Jacopo da Varagine, Legenda aurea, Giorgio.. D’altro canto la putrefazione propria alla prima fase della melanosi, senza di che la materia grezza non è preparata, potrebbe forse provocare effluvii differenti, in qualche misura graditi ai mugherini? Non dimentichiamo trattarsi di un processo di decomposizione delle sostanze organiche, consistente in un’idrolisi delle proteine accompagnata dalla transformazione degli amminoacidi in parte in prodotti gassosi dall’odore nauseante, in parte in prodotti di natura bàsica di struttura più semplice, pronti a essere utilizzati da altri organismi. A noir, così si inizia il sonetto dedicato da Arthur Rimbaud alle cinque vocali, di cui ciascuna ha un colore corrispondente a una fase dell’Opera: A, nero busto peloso di mosche rilucenti che bombano attorno a fetori atroci ... Come vedremo, l’A noir di Rimbaud corrisponde in tutto e per tutto a Melencolia I di Albrecht Durer. In primis il nero, l’umore nero, la melanconia. . -3. Altri moduli rappresentativi: la Sirena La natura anfibològica del drago è ben lumeggiata in un gradevole quadro di autore ignoto, che si trova nella chiesa parrocchiale di Castellabate Salerno., per mezzo di un geroglifico del tutto inconsueto. L’arcangelo ( = comando +  = messaggero) = capo dei messaggeri. Michele, con tanto di petaso e bilancia, mai così prossimo a Hermes, nunzio degli dèi, psicopompo e deputato alla psicostasi, calpesta sotto di sé una ... sirena. Metà donna, metà pesce. Femmina innanzitutto. Pesce nella parte inferiore, al pari di Melusina, amante del dio Lug; quindi, acquea, ctonia, lunare. Donna (con le ali) dalla cintola in su; dunque, ignea, celeste, solare. In un capitello della basilica romanica di santa Maria e san Sigismondo Rivolta d’Adda (MI). una sirena bicaudata, dal viso per nulla avvenente e dai seni maldestramente modellati sotto le ... ascelle, spalanca ... lasciva entrambe le estremità inferiori. Due serpenti congiungono le teste al disotto della matrice aperta (solo da immaginare) che lambiscono. I sessuofobi, i quali null’altro vedono se non il sesso, ovunque e sempre, di più ignorandone la valenza metafisica, vi scorgono niente meno che un sottile modo di distogliere l’uomo dalle tentazioni della carne! E tacciono imbarazzati di fronte ad altro capitello di quel delubro nel quale la figura femminile addirittura allatta due serpenti, uno per mamma. Ma non è motivo: la Sirena è + (Sole + Luna). Esattamente come l’aquila bicìpite degli Absburgo, simboleggia e il componente volatile e quello fisso della Materia. -4. (segue) Lucifero, la Bella Addormentata L’iconografia del Lucifero dell’Apocalissi giovannea non fa impiego esclusivo del drago. Sintomatica al riguardo è la pittura di Raffaello Sanzio il quale, a distanza di pochi anni, rappresentò l’angelo portatore di luce in maniera diversa, se pure nel contesto di due opere molto simili nell’impostazione e nei particolari. Nella prima, secondo il canone, come drago vìscido e scuro. Nella seconda, invece, quale angelo con le ali, precìpite a terra, vinto sotto il piede destro di Michele La prima fa parte della Collezione Andrew W. Mellon, presso la National Gallery di Washington, D.C.; la seconda si trova in Parigi, al Louvre.. Il parallelismo diviene, non molto dopo, quasi riflessione speculare nel Michele e Lucifero dipinto dal Lotto Loreto, Palazzo apostolico.. Le due creature angeliche sono disposte secondo un asse longitudinale obliquo: in alto a sinistra Michele, Lucifero a destra, in basso. Entrambi alati vengono del Cielo. Ma uno si libra in aria, l’altro cade. Il primo è armato, il secondo oppone le sole mani a sua difesa. Se Michele indossa la veste, Lucifero appare ormai ignudo. In Dosso Dossi Dresda Gemaeldegalerie. Lucifero porta ancora i vanni, se pure inani. Lo distinguono dall’androgino Michele - il quale tiene addirittura una gala leziosa fra i boccoli -, la barba, il pelame, la coda e gli artigli. Insomma, qui è un maschio, egli ormai è un relativo. Forma totalmente umana assume la Nostra Materia sub specie di Venere dormiente nell’omonimo dipinto del Giorgione Dresda Gemaeldegalerie.. Senza veste, di venustà scultoria: la Bella Addormentata (Venere è detta anche Lucifero: è l’ultimo astro a tramontare e sembra, per ciò, annunziare il nuovo giorno). Non è vita animale attorno a lei, la campagna è vuota di uomini e bestie. Solo chi ne abbia la qualificazione può conservare la sua natura differenziata accanto alla dea. La Donna Primordiale basta a sé. Come la Bella Addormentata della fiaba. Il solo Principe Azzurro può risvegliarla senza esserne travolto. Figlia del Re e della Regina, al pari del drago, anch’ella associa in sé due potenze. Ma dorme, nel più bell’appartamento del palazzo, sopra un letto tutto ricamato d’oro e d’argento. La si sarebbe presa per un angelo, tant’era bella ... Charles Perrault, I racconti di Mamma l’Oca. Le citazioni dell’òpera sono tratte dall’edizione Einaudi (traduzione di Elena Giolitti). L’appartamento è il corpo, l’angelo è la nostra Materia, che dorme nel palazzo.. Tutto quello che si trova nel castello, tranne il Re e la Regina, viene addormito per svegliarsi soltanto con la padroncina, allo scopo di servirla, quando lei ne avesse avuto bisogno. Si addormentò anche il fuoco Charles Perrault, I racconti di Mamma l’Oca.. Dopo il risveglio propiziato dal bacio del principe e il matrimonio con lui, la Bella Addormentata avrà due figli: Aurora e Sole. -5. La Gioconda e l’Orinatoio di Marcel Duchamp Sempre in effigie di donna abbiamo la Gioconda leonardesca (già di per sé andrògina), rivisitata da Marcel Duchamp con l’aggiunta di un paio di baffetti, di una mosca sotto il labbro inferiore e di una calugine di pizzettino sulla punta del mento. E con il corredo della crittografìa L.H.O.O.Q., che hai da leggere alla francese come Elle à chaud au cul, vale a dire: Ella ha caldo al culo. Con tutta evidenza l’autore aveva avuto modo di ammirare la miniatura di Jean Perréal, pittore di corte di Margherita d’Austria, conosciuta come La Natura Alchìmia a colloquio con l’alchimista (1516), nella quale l’Alchìmia siede in veste di donna alata sopra la biforcazione di un albero E’ da supporre una quercia., nel cui cavo sottostante arde un forno: il Fuoco filosofale che alimenta la Materia. Ma la donna, all’occorrenza, viene surrogata da Marcel Duchamp con l’Orinatoio o Fontana (1917) New York, Sidney Janis Gallery.. Un autentico orinale da muro, sul quale leggi R. MUTT: uno dei più grandi produttori statunitensi di idrosanitari all’epoca era certo signor Mott, la pronunzia del cui nome in inglese equivale più o meno a quella di Mutt. Con l’occhio del puer scorgerai nei contorni della sagoma quelli del bacino di una donna (quindi, anche di una cucurbita o alambicco. Pure orinalino sta per boccia utilizzata per distillazioni Ricettario fiorentino, 294: Quel vaso deve essere o un orinalino con suo antenitorio o una cucurbita.). E in basso, nel mezzo, un orifizio. Però all’interno di un piccolo tronco di tubo che aggetta, evocante il fallo. L’iniziale R letta alla alemanna è er, da pronunziare con una e che s'allarga in una a e una r che vapora sulla lingua. Se posponi la lettera R a MUTT (non è tutto circolare?), avrai in tedesco MUTTER, la Madre. Mut, la dea egizia col pene Mot è, invece, il dio cananeo dei morti il quale, non invitato alla festa di Baal, uccisore del drago Yam e nuovo Signore del mondo, invita il dio solare nell’Oltretomba, ove gli offre un pasto di fango., Mutter la Grande Madre Materia. Maschio e Femmina. Il bianco abbacinante della ceramica, così come il nero indistinto, ricorda tutto ciò che, ancora in potenza, non è manifestato. La luce bianca - insegnò Isaac Newton - racchiude in sé tutti i colori. Con provocazione dadaista Duchamp traduce il drago perfino in orinatoio. Orinatoio o Fontana precisò l’artista. Quella, forse, nella quale ebbe a specchiarsi Narciso, cui non era dato che innamorarsi di sé stesso; così come la ninfa Eco, di lui incapricciatasi, non poteva che ricevere in risposta alle sue proprie domande, le sue stesse parole capitozzate. -6. Tifone ed Echidna: la natura doppia del drago Il drago esprime le energie ctonie promananti dei visceri della terra e, insieme, le forze eteree discendenti del cielo. Terra e Cielo costituiscono la duplice natura cui partecipa l'animale. Doppio è l’arcangelo Lucifero, drago precipitato dall’alto dei cieli da Michele: E vi fu guerra in cielo: Michele con i suoi angeli ingaggiò battaglia con il dragone; e questo combatté insieme con i suoi angeli; ma non prevalsero: il loro posto non si trovò più nel cielo ... Giovanni, Apocalissi, 12, 7. Tutte le citazioni dell’Apocalissi e dell’Antico Testamento sono tratte da La Bibbia delle Edizioni Paoline. . Egli permane pur sempre un angelo, anche se caduto. Condannato a non stare né in cielo né in terra, delle cui nature prende parte: sappiamo che Lucifero aspirò a divenire simile a Dio e che l’arcangelo, vessillifero del celeste esercito, dopo averlo cacciato dal cielo assieme agli angeli ribelli lo chiuse nelle tenebre infernali fino al giorno del giudizio. Poiché non è permesso ai demoni abitare nel cielo e nella parte superiore dell’aria luogo limpido e splendente, né sulla terra dove troppo sarebbero divenuti potenti, abitano nello spazio fra la terra e il cielo e molto si dolgono per la vista del cielo che hanno perduto e soffrono insieme per la vista della terra, dove abitano gli uomini che hanno la possibilità di ascendere là donde essi sono precipitati Jacopo da Varagine, Legenda aurea, Michele. . Ladone, il drago custode del Giardino delle Esperidi, del quale pochi davvero sanno quanti siano gli orribili fratelli, nasce di Tifone ed Echidna Il nome Ladone è assonante con quello di Leto/Latona, madre di Apollo e Artemide. Leto viene del greco oblio. Mentre Latona richiama il verbo latino latere, essere nascosto.. (dal verbo ), il padre, è colui il quale manda fumo, che brucia in modo lento e nascosto. Esulcerata per l’uccisione dei suoi figli Giganti, la Madre Terra si fece ingravidare da Tartaro e generò Tifone, il mostro immenso che, dalle cosce in giù è un viluppo di serpenti e che, in luogo delle mani, lungo le braccia ha teste di serpe (ma per Plutarco Tifone altri non è che l’egizio Seth, fratello di Iside e Osiride). Il mostro alato dal capo d’asino, che dardeggia strali di fiamma dagli occhi e sputa sassi infocati dalle lerfie. Apollodoro ne scrive: Dopo che gli dèi vinsero i Giganti, Gea, ancor più incollerita, si congiunge con il Tartaro e in Cilicia dà a la luce Tifone, che aveva natura insieme di uomo e di fiera ... Apollodoro, Biblioteca, 1, 6, 3.. I particolari, poi, non sono dissìmili dalla descrizione che dà Esiodo: ... le sue braccia sono fatte per lavori di fatica e i piedi del forte dio sono instancabili; e dagli omeri spuntano cento teste di serpente, di drago tremendo, con nere lingue vibratili; e negli occhi delle teste prodigiose, sotto i cigli, splendeva un fuoco; da tutte le teste fuoco ardeva assieme allo sguardo e voci uscivano da tutte le teste terribili, che emettevano suoni di ogni tipo, ineffabili: ora infatti risonanti come agli dèi è comprensibile, ora invece voce di toro dagli alti muggiti, indomabile, superbo, ora ancora di leone dall’animo crudele, ora poi somigliante a quella dei cuccioli, meraviglia da ascoltare; ora infine fischiava e i grandi monti ne riecheggiavano Esiodo, Teogonia, 820.. La belva muove alla conquista dell’Olimpo per divenire signore dei mortali e degli immortali. E’ Nike a spronare Zeus alla reazione, esortandolo a non consentire che la vergine Atena, senza madre, divenisse invece madre, costretta a unirsi con Tifeo Cfr. Nonno di Panopoli, Le Dionisiache, 2, 209.. Nella sua perorazione la dea accenna impietosa al terrore e alla fuga degli stessi dèi: i cardini dell’universo sono sconvolti dalla violenza di Tifeo, i quattro elementi sono ormai separati. Demetra ha abbandonato i campi, Ebe ha deposto la coppa, Ares si è liberato della lancia, Hermes ha posato la bacchetta, Apollo ha lanciato lontano la lira e le frecce e se ne vola via in forma di cigno. Afrodite, la dea dell’Amore, vàgola in esilio e l’universo si isterilisce. I vincoli dell’armonia sono rotti, perché Eros atterrito ha anteposto la fuga in volo all’arco fecondo. Perfino il claudicante Efesto se ne corre come un lepre. Provo una grande pena anche per Era, anche se mi odia ... Cfr. Nonno di Panopoli, Le Dionisiache, 2, 214. . Il Padre degli dèi reagisce. Zeus, finalmente, ha la meglio su Tifone dopo avergli scagliato contro il monte Etna: ... adesso le sponde chiuse dal mare, oltre Cuma, e la Sicilia premono il suo petto lanugginoso; la colonna del cielo lo costringe e il nevoso Etna, che alimenta per tutto l’anno il gelo acuto ... Pindaro, Pitiche, 1, 34.. Il vulcano ne fa un prigione, dopo di averlo colpito nel petto e disfatto in ceneri, e disperso le sue forze in turbini di tuoni urlanti. Il mostro giace ora ridotto a un ammasso di carni schiacciato dalle radici del monte, sulla sommità del quale Efesto batte il ferro incandescente Cfr. Eschilo, Prometeo incatenato.. -7. Echidna Echidna, la madre, è invece la vipera Da = vìpera.; ma se per metà si mostra quale serpente dalla pelle picchiettata, per metà essa ha l’aspetto di una donna bellissima. Echidna nasce di Forci e Ceto: Essa [N.d.R.: Ceto, da cui scende la parola cetaceo] partorì un’altra creatura prodigiosa incredibile, non rassomigliante né agli uomini mortali né agli dèi immortali, nel cavo d’una caverna, la divina Echidna imperterrita, per metà ragazza dagli occhi guizzanti e dalle belle gote, ma per metà vipera portentosa tremenda e grande, picchiettata, vorace, sotto i recessi della sacra terra Esiodo, Teogonia, 295.. In Echidna i più ravvisano la donna-serpente che rubò a Eracle le giovenche che, a sua volta, l’eroe solare si era appropriato dopo averne ucciso il possessore, Gerione. Si dice disposta a restituire il maltolto, però a condizione che l’eroe si giaccia con lei: non appena sveglio, Eracle si mise alla ricerca delle giovenche, e attraversò tutto il paese fino alla terra detta Ilea. Lì, in una grotta, si imbatté in una donna-serpente, dalla duplice natura, che gli disse di avere gli animali e che li avrebbe resi solo se prima le si fosse unito Cfr. Erodoto, Le storie, 4, 9.. Dall’unione nacquero tre figli: Agatirso, Gelono e Scita. La madre, la quale regnava nella regione, chiese a Eracle se avrebbe dovuto mandarli a lui una volta cresciuti. Ne ebbe per risposta il modo sicuro per riconoscere l’unico figlio degno di stabilirsi in quelle lande e l’indicazione di scacciarne gli altri due dopo il fallimento della prova: la capacità di tendere l’arco e di chiudere la cintura come egli le fece vedere Cfr. Erodoto, Le storie, 4, 9.. Scita, il figlio più giovane, è quegli che saprà tendere l’arco e cingersi nella medesima guisa del padre: egli sarà il primo re de gli Sciti. Questo è quanto, secondo lo storico, tramandava di sé quella fiera schiatta. Se la madre di Scita fu Echidna, bisogna dunque trarne che la donna-serpente, fecondata da un uomo di virilità solare, non genera mostri. Se la madre di Scita fu Echidna, non può non rammentarsi che Eracle, poco prima di accoppiarsi con lei, che rosa dal desiderio lo pretese, ne aveva ucciso il figlio Orto, il cane posto a guardia della mandria di Gerione. Ecco perché la Materia Filosofica non è solo la Vergine. Ma anche la Meretrice. Artemide, Atena da una parte; dall’altra Afrodite. -8. La genia di Tifone ed Echidna: Ladone, Idra, Chimera, Scrofa di Crommione Vediamo che razza raccapricciante di esseri mostruosi Tifone ed Echidna figliarono. Ad essa [N.d.R.: Echidna] dicono che si unì in amore Tifone, terribile, tracotante e senza legge, a lei fanciulla dagli occhi lucenti; e lei ingravidata partorì figli d’animo violento Esiodo, Teogonia, 306.. Oltre al menzionato Ladone, il drago guardiano dei pomi del Giardino delle Esperidi Mette conto di rimarcare che il greco sta sia per mela sia per pecora. Dal che l’equivalenza sostanziale fra questa fatica d’Eracle e la cerca del Vello d’Oro., Echidna partorisce l’Idra di Lerna, il serpente acquatico con nove teste (delle quali una immortale) e tre braccia. Euristeo aveva ordinato di uccidere la bestia ad Eracle. Che non se ne preoccupò: Non ti sorprese fuori di senno per il terrore l’Idra di Lerna con la sua massa di teste Virgilio, Eneide, 8, 299.. Il mostro era stato nutrito da Era perché aggredisse a morte l’eroe nato dall’unione estraconiugale di Zeus e Alcmena: Per terza generò l’Idra lernea esperta nel male, che allevò orrida la dea dalle braccia bianche Era, rancorosa verso il forte Eracle Esiodo, Teogonia, 313.. Ma l’impresa dell’eroe ebbe esito felice, come le altre, anche se non venne convalidata siccome compiuta con l’ausilio di terzi. Eracle giunse in quel di Lerna con un carro condotto dall’amico Iolao. Avvistati l’Idra e il suo covo su una collina nei pressi della sorgente di Amimone, dapprima stanò l’animale scagliando strali infocati al suo indirizzo, quindi lo brancò con fermezza. Il mostro s’avvinghia a una gamba di Eracle, che con la clava gli tronca le teste sempre ricrescenti, due per ogni testa troncata. Infine, un enorme granchio viene in soccorso a l‘Idra col mordere il piede del duellante. Il quale lo uccide e, a sua volta, chiama in aiuto Iolao. L’amico accorre e incendia la selva vicina. L’eroe brucia alla radice le teste rifiorenti dell’Idra con tizzoni fùmidi e taglia quella immortale. Che interra al disotto di un masso oneroso Cfr. Apollodoro, Biblioteca, 2, 5, 2.. Ancora Echidna dà vita all’invincìbile Chimera: questa era razza divina, non di uomini, davanti leone, dietro serpente, nel mezzo capra Omero, Iliade, 6, 180.. Esiodo tramanda che essa aveva tre teste: aveva tre teste; una di leone dagli occhi di fuoco, la seconda di capra, la terza di serpente, di drago potente spirante una corrente orrenda di fuoco ardente. La uccisero Pegaso e il valoroso Bellerofonte Esiodo, Teogonia, 321.. Altra creatura prodigiosa della coppia è la scrofa di Crommione, terrore della gente dei campi, che la chiamavano Phaia: Te, grandissimo Teseo, Maratona ha ammirato per l’uccisione del toro di Creta, e se a Crommione il contadino ara senza paura della scrofa, è merito e opera tua Ovidio, Metamorfosi, 7, 433.. Per terza Teseo uccise a Crommione la scrofa chiamata Phaia dal nome della vecchia che l’aveva allevata; ma taluni dicono che la scrofa fosse nata da Echidna e Tifone Apollodoro, Epitome, 1, 1.. Sulla sua identità reale i dubbi si sprecano: non era un animale di poco conto, ma bellicoso e difficile da dominare ... Alcuni dicono che Phaia era una donna grassatrice, efferata e licenziosa, che abitava là stesso, a Crommione, che l’avevano soprannominata scrofa a cagione dei suoi costumi e del suo modo di vivere, e che infine fu abbattuta da Teseo Plutarco, Teseo, 9.. Forse non si trattava propriamente di una scrofa. Ma di una zambracca pelacani, di una troia in senso traslato. -9. (segue) Orto, Cerbero, Drago del Vello d’Oro, l’Aquila di Prometeo, Scilla, Sfinge, Leone Nemeo Oltre all’Idra di Lerna, Eracle ammazza un altro figlio della coppia: il cane bicèfalo Orto. Che sorveglia la mandria di Gerione assieme al pastore Euritione. Gerione, nato di Crisaore e dell’oceanina Calliroe, era un gigante con tre teste e tre corpi d’uomo che si univano alla vita, per dividersi di nuovo in tre dai fianchi e dalle cosce. Egli era padrone di mandrie bellissime in Erizia, in particolare di vacche dal manto rossastro. Ed Euristeo impose ad Eracle, quale decima fatica, di portargliele. Alcide viaggiò attraverso l’Europa fino a conseguire la meta. Si accampò sul monte Abante. Il cane lo sorprende e lo assale. Ne è finito a colpi di clava, così come viene sterminato il bovaro Euritione soggiunto a dar manforte a Orto Cfr. Apollodoro, Biblioteca, 2, 5, 106.. Esiodo precisa che l’eliminazione ebbe luogo in un antro buio: ... dopo di aver massacrato Orto e il mandriano Euritione dentro una stalla tenebrosa oltre l’illustre Oceano Esiodo, Teogonia, 293.. Altro cane, più celebre e temuto del primo, anch’esso discendente di Echidna, è Cerbero. Sul numero delle cui teste (cento, cinquanta ovvero tre) si disputa, prevalente essendo l’ultima tesi. Il cane d’Ade che non si sfida, tricipite, nato da Echidna tremenda Cfr. Sofocle, Le Trachinie, 1515. vigila a guardia degli Inferi: Cerbero enorme fa risonare quei regni dei latrati della sua triplice testa, mentre giace feroce all’ingresso dell’antro Virgilio, Eneide, 6, 417.. Allorché Psiche, conosciuta l’ennesima prova impostale da Afrodite (farsi consegnare da Proserpina una scatolina della sua crema di bellezza), disperata sta per privarsi della vita lanciandosi dall’alto della torre, la torre stessa le insegna la via e l’ammonisce dei mille pericoli: un cane enorme, provvisto di testa triplice e assai grossa, immane e formidabile, che latra con le fauci tonanti contro i morti, ai quali ormai nulla di male può fare, invano cercando di atterrirli, e sempre sta accucciato innanzi alla soglia e agli scuri atri di Proserpina, conserva vuota la casa di Dite Apuleio, Le metamorfosi, 6, 19.. Pure questo mostro sarà domato da Eracle (ma non prima della sua iniziazione ai Misteri di Eleusi Cfr. Apollodoro, Biblioteca, 2, 5, 12.): E’ una spelonca oscura dall’accesso tenebroso, e una via rìpida, per la quale l’eroe di Tirinto trascinò fuori con catene annodate d’acciaio Cerbero, che opponeva resistenza e storceva gli occhi di fronte al giorno ea i raggi scintillanti Ovidio, Metamorfosi, 7, 409.. Altro rinomato custode, sempre figlio dei due mostruosi genitori, è il drago al quale sono affidate le sorti del Vello d’Oro. La pelle dorata era posta in una macchia e stava nelle mascelle voraci di un drago, che per grossezza e lunghezza superava una nave da cinquanta remi, finita con colpi di ferro Pindaro, Le Pitiche, 4, 433.. Nuovi particolari della bestia li dà Ovidio: ... che fornito di cresta, tre lingue e denti a uncino, era l’orrendo custode dell’albero aureo Ovidio, Metamorfosi, 7, 150.. Gli Argonauti giungono finalmente per un sentiero al bosco sacro e incominciano a cercarvi la quercia dalla quale pendeva il Vello. Ma la loro intrusione non sfugge al guardiano: ... tuttavia il drago vigile tendeva il collo assai lungo contro gli arrivati dopo averli visti con gli occhi senza sonno; sibilava spaventosamente, e attorno risonavano le lunghe sponde del fiume e la selva immensa Apollonio Rodio, Le Argonautiche, 4, 127.. Echidna, sempre Echidna ingravidata da Tifone, dà i natali al vùlture che tormenta Prometeo prigione della pietra. L’uccello rapace sarà abbattuto da una freccia scagliata da Eracle Apollodoro, Biblioteca, 2, 5, 11.. La punizione riservata da Zeus al figlio di Iapeto è risaputa: Legò lo scaltro Prometeo con ceppi indissolùbili, con penosi legacci, che avvolse a una colonna mediana; e gli aizzò contro un’aquila dalle ampie ali, che gli mordesse il fegato immortale, che ricresceva la notte tanto quanto l’uccello dall’ampie ali aveva divorato di giorno Esiodo, Teogonia, 521.. Sul punto non si ha accordo, ma Igino se ne dice certo: l’odiosa pariglia concepì anche Scilla. Che veglia sulle Rupi Erranti, spalleggiata da Cariddi: I suoi piedi sono dodici, tutti deformi, sei i colli lunghissimi, su ciascuno di essi una testa orribile, e dentro denti in triplice fila, spessi e copiosi, pieni di morte nera Omero, Odissea, 12, 89.. Il mostro marino un tempo era una ninfa leggiadra. Tanto da avere infiammato, ma indarno, il cuore di Glauco, che se ne cruccia: Ma a che servono queste mie sembianze o essere risultato gradito agli dèi marini, a che giova essere un dio, se tu non sei toccata da queste cose? Mentre così parla, e ancor di più avrebbe detto, Scilla insensibile lo lascia. Egli s’infuria e, ràbido per il rifiuto di lei, si reca al palazzo incantato di Circe, figlia del Sole Ovidio, Metamorfosi, 13, 964.. Circe, a sua volta, s’innamora del dio marino come una pera cotta e presta gli si dichiara: ... desidero essere tua. Disprezza chi ti disprezza, ricambia chi ti ama, e darai a due donne in una sola volta quello che esse meritano Ovidio, Metamorfosi, 14, 35.. Ma l’amore di Glauco per Scilla è più forte di ogni cosa. La maga irata, non volendo fare del male all’amato, dirige le sue attenzioni alla ninfa. Inquina la caletta ove quella solea bagnarsi con filtri malefici. E margherita per ventisette volte un sortilegio. E così Scilla, dopo che si fu immersa nelle acque pollute fino a metà ventre, vide spuntare cani latranti dalle gambe e dai piedi. Echidna si unì anche al frutto del suo ventre Orto: ne vennero il leone Nemeo e la Sfinge. La Sfinge aveva viso di donna, busto, zampe e coda di leone, e ali di uccello Apollodoro, Biblioteca, 3, 5, 8.. Il leone Nemeo (come l’Idra di Lerna e per il medesimo scopo), Era, la moglie gloriosa di Zeus, lo nutrì e lo stabilì nelle alture nemee, rovina per gli uomini; così in quel luogo dimorando devastava schiere di uomini Esiodo, Teogonia, 328.. La prima si ucciderà dopo che Edipo avrà risolto l’enigma (a lei insegnato dalle Muse), che aveva invece cagionato la morte di moltissimi viaggiatori i quali non ne avevano intravvisto la soluzione: Quale essere, con una sola voce, ha talvolta due gambe, talvolta tre, talvolta quattro, ed è tanto più debole quante più ne ha? A Tiresia, l’indovino cieco che indica in Edipo l’uccisore del suo stesso padre Laio, il re di Tebe oppone incredulo potersi ascrivere a suo merito esclusivo la liberazione della città dal mostro: Chi pronunziò la parola liberatrice? Dov’era allora Tiresia con le sue arti Cfr. Sofocle, Edipo re, 537.? Il secondo, stordito con un colpo di clava e strangolato, sarà scuoiato da Eracle, che ne userà gli artigli per la altrimenti impossibile operazione. E, da allora in poi, ne indosserà la pelle come armatura. Eliano scrive citando diverso autore: Dicono invero che il leone Nemeo sia precipitato dalla luna. Per esempio, i versi di Epimenide recitano: E infatti io sono stirpe di Selene chiomata, la quale si scrollò di dosso il leone selvaggio di Nemea fremendo orribilmente e lo portò via per volere di Era eccelsa Eliano, La natura degli animali, 12, 7.. Pure Plutarco accredita la tesi della discesa dalla luna nel descrivere i tre movimenti del satellite della Terra: a suo avviso non è da meravigliarsi se una fiera venne sbalzata sul Peloponneso per la velocità dell’astro Cfr. Plutarco, Il volto della luna, 24.. L’autorevolezza delle voci dissenzienti, ma soprattutto il modo con il quale l’eroe sopprime la fiera, dopo avere vanamente scagliato i suoi strali micidiali, recano a dubitare che anche questa appartenga a pieno titolo alla genia di Tifone e Echidna. Il drago, qui, è considerato in un tempo diverso, posteriore. Non è dato di sopraffarlo con le frecce, nemmeno votando il turcasso. Occorre fissarlo con la clava. Insomma, il mostro riceve dal padre la natura celeste, ignea e sulfurea - e per ciò sputa fiamme, per ciò ripùllula nei doccioni delle cattedrali, schermo ai fulmini e agli incendi -; la madre gli trasmette la natura terrestre, umida e argentea, e per ciò convoglia le acque che piovono del cielo e trionfa nelle fontane, dalle mìnime alle monumentali. -10. La caverna La divina Echidna dal cuore violento, metà fanciulla dagli occhi splendenti e dalle belle guance, ma metà prodigioso serpente terrìbile e grande, vive in una spelonca, in basso, sotto la cava roccia. Paolo Uccello dipinge per ben due volte la bestia che fronteggia san Giorgio. Invariabilmente sulla soglia di un antro. Nel mito greco del Vello d’oro, che vede fra i protagonisti pure il drago guardiano, Giasone deve, fra l’altro, domare e aggiogare due tori per arare un campo e seminarvi denti di serpente In questa parte la fàvola presenta analogie rimarchevoli con quella di Cadmo. Occorre non dimenticare, poi, che Eurinome, la dea primigenia di tutte le cose, irritata perché il serpente Ofione, con il quale aveva concepito l’Uovo universale, si vantava di essere l’autore della creazione, gli spezzò i denti con un calcio.. I tori, qui, fanno le veci del drago. Come nelle favole degli eroi solari Eracle e Teseo. Essi tengono bordone al toro sgozzato da Mitra (il dio lo tiene per le corna e lo cavalca, finché l’animale spossato entra nella grotta e vi viene finito). Giasone era nudo, simile ad Ares in parte, in parte ad Apollo dalla spada dorata. Guardando attorno sul campo incolto, vide il giogo bronzeo dei tori e presso quelli l’aratro fatto d’un solo pezzo d’acciaio durissimo ... E quelli uscirono da qualche parte da un invisibile recesso sotterraneo, dove erano le loro stalle, entrambi forti, avvolti intorno di fumo caliginoso, soffianti insieme fiamme di fuoco Apollonio Rodio, Le Argonautiche, 3, 1282.. Anche Scilla, il leviatano, si cela in una grotta: Nel mezzo dello scoglio è una caverna fosca rivolta a occidente, verso l’Erebo ... Nemmeno un uomo assai forte tirando con l’arco dalla nave ben cava colpirebbe l’antro fondo. Là dentro dimora Scilla mandando latrati orripilanti Omero, Odissea, 12, 80.. Una voragine racchiude nelle sue oscurità cieche Scilla che sporge il volto e attira i navigli sulle rocce Virgilio, Eneide, 3, 424.. Il simbolo della caverna, al pari di ogni altro, è atto a rilevare in una su piani differenti. Innanzitutto la grotta, composta da un fondo piatto e orizzontale (Terra) sul quale, ad una certa altezza, si innesta una copertura semisferica (Cielo), rappresenta il cosmo. Omero dà agile descrizione dell’antro di Itaca, sacro alle Ninfe chiamate Naiadi. All’interno sono crateri e anfore di pietra, in cui le api stipano il miele. Sono telai di roccia sui quali le ninfe intessono drappi dai colori marini, e acque perenni. La cavità ha due accessi. Uno a settentrione per gli uomini, l’altro a meridione riservato agli dèi Cfr. Omero, Odissea, 13, 102.. Si apre nell’isola patria di Odisseo il quale, appena messa fine al suo peregrinare, vi depone i preziosi doni ricevuti dai Feaci: Gli disse allora la glaucòpide dea Atena: Fatti coraggio, non ti turbino l’animo queste cose; ora riponiamo subito i tesori nel fondo dell'antro divino, perché ti si conservino; escogitiamo come si ottenga il massimo; così detto la dea entrò nella spelonca scura, frugando gli angoli riposti della spelonca; nel frattempo Odisseo trasportava tutto in fondo, l’oro e il bronzo inflessibile e gli abiti ben fatti che i Feaci gli avevano donato. E bene li depose, e davanti all’entrata Pallade Atena, la vergine figlia di Zeus egìoco, sistemò un masso Omero, Odissea, 13, 361.. Secondo uno degli Evangeli gnostici più noti la Vergine partorisce il bambino Gesù nel buio: ... l’angelo ordinò all’animale di arrestarsi e raccomandò a Maria di smontare e di addentrarsi in una galleria sotto terra, nella quale non vi fu mai luce, ma sempre oscurità, perché non riceveva il chiarore del giorno a sufficienza Libro della nascita della Beata Maria e dell’Infanzia del Salvatore, del Beato Matteo Evangelista, 13, 2.. Cinque secoli avanti Cristo, prefigurando il cinematografo, Platone chiede al suo interlocutore di immaginare degli uomini in una caverna sotterranea, nella quale essi vivano fin da bambini con catene ai piedi e al collo, così da non poter girare la testa e vedere altro che il suo fondo. Dall’ingresso, posto alle loro spalle, entra la luce promanante da un fuoco acceso su un’altura lontana. I cattivi ne percepiscono solo le ombre proiettate sulla parete del reclusorio che chiude il loro sguardo Cfr. Platone, Repubblica, 7, 514.. Pensa ancora ai mitrei, i santuari ipogei del dio Mitra, affrescati nella volta come un firmamento stellato, del quale si cala il nero corvo, messaggero del sole, latore del comando di uccidere il toro vivente nella luna. -11. La roccia sul mare Né stupisca il cielo di pietra: l’irànico conosce la medesima parola per cielo e per pietra. Non cadono di lì gli aeroliti? Eliogabalo Letteralmente cavallo del sole., di orìgine sirìaca, acclamato imperatore a quattordici anni dalla legione di Emesi, portò con sé a Roma la sua pietra nera (lapis niger) rappresentante il Sole. Che Senato e popolo furono comandati di adorare. E ne celebrò le nozze con la statua di Urania, fatta pervenire all’uopo da Cartagine. Il simulacro della dea Urania, venerata dai Cartaginesi e dai Libi, era stato innalzato da Didone, regina dei Fenici, alla fondazione della antica città di Cartagine. Dal popolo dei Fenici Urania era chiamata Signora degli astri, e identificata con la Luna Cfr. Erodiano, Avvenimenti dopo la morte di Marco, 5, 6.. La dea Cibele, la Grande Madre degli dèi, veniva venerata nella frigia Pessinunte in forma di pietra nera, che si voleva precipitata del cielo. Per la nota legge di corrispondenza fra macrocosmo e microcosmo, se rappresenta il mondo sensìbile, la caverna nel contempo simboleggia l’uomo. Il quale anche racchiude in sé il drago, la Materia prima della Grande Opera, che permea, vivificandolo, l’Universo intero. Vìsita Interiora Terrae, Rectificando Invenies Occultum Lapidem Veram Medicinam: VITRIOLUM. L’invito a discendere in noi stessi (interiora terrae) suona più che eloquente, rivelando con l’acròstico quale sia l’elemento da estrarne. Non diceva forse il Buddho che nel nostro corpo alto otto palmi sono compresi il mondo, la genesi del mondo e la via che conduce alla risoluzione del mondo Samyutta-nikayo, 1, 62.? Nella versione marina del mostro, abbiamo per lo più una giovane donna catenata allo scoglio. Almeno nelle fole degli antichi Per i babilonesi era il dio del Sole, Marduk, a combattere il drago marino Tiamat. Per gli Ebrei fu Geova a trafiggere il dragone Raab (cfr. Isaia, 51, 9; Giobbe, 9, 13 e 26, 12).. Le Nereidi, indispettite perché Cassiopea, moglie di Cefeo, si gloriava di vincerle in bellezza, reclamarono vendetta da Posidone. Il dio delle Acque inviò un rettile immondo a devastare le coste del regno di Cefeo. Avuto l’oracolo di Ammone, il re espose la figlia sulle rocce per placare la furia del drago. Ma ecco sopraggiungere in volo Perseo, vincitore della Gorgona: Lì, il crudele Ammone aveva comandato che fosse appesa Andromeda, non responsabile delle insolenze verbali della madre. Come [Perseo] la vide legata per le braccia al duro scoglio (se una brezza lieve non le avesse mosso i capelli e gli occhi non avessero stillato tepido pianto, l’avrebbe ritenuta una statua di marmo), il pronipote di Abante inconsapevole se ne infiamma, basisce e, stregato dall’immagine della bellezza vista, quasi dimenticò di agitare l’ali nell’aria Ovidio, Metamorfosi, 4, 670.. Uguale la scena nella versione greca: Vistala e innamoratosi, Perseo promise a Cefeo di eliminare il mostro se gli avesse concessa Andromeda in isposa una volta salvata Apollodoro, Biblioteca, 2, 4, 3.. Accettano il patto i genitori (chi avrebbe esitato?), e lo pregano, e in più gli promettono in dote un regno ... All’improvviso il giovane, schiacciato il suolo con i piedi, si lanciò in alto fra le nuvole. Come la sua ombra si fa visibile sulla superficie del mare, il mostro incrudelisce contro l’ombra che vede; e come l’uccello di Giove, quando avvista in un campo spoglio un serpe che offre al sole il dorso livido, lo assale da dietro e perché non si volti con la bocca crudele gli ficca le granfie avide nel collo squamoso, così lasciatosi cadere nel vuoto dopo rapido volo il discendente di Inaco s’abbatte sul dorso della fiera e nasconde il ferro fino all’elsa curva nella spalla destra di quella fremente Ovidio, Metamorfosi, 4, 704.. In quello, fra i capolavori di Tiziano, che è nomato Perseo e Andromeda Londra, Wallace Collection., ammiri l’eroe lanciarsi capofittoni sulle onde livide del mare, fra le quali si spalancano bramose le fauci dell’animale equoreo. La sagoma gentile della vergine, càndida quale luce, si torce dimenandosi nelle catene che la cattìvano. Né più né meno di Prometeo, avvinto alla rupe scizia, vertiginosa, flagellata dalle tempeste, con ceppi infrangibili di catene adamantine. Cioè di acciaio e, meglio ancora, di ferro (, da cui Adamo. Non il primo, ma quello fatto di terra rossa). Perché il Titano incarcerato è il progenitore della attuale razza umana, protagonista dell’Età del Ferro. L’ultima del ciclo prima del ritorno di Saturno e del secolo dell’Oro. Ci fu un tempo in cui gli dèi erano, ma non anche la razza degli uomini. Quando, però, venne il momento deputato alla nascita dell’uomo, gli dèi li formarono, nella terra, di terra e di fuoco, aggiungendo gli elementi che con quelli si contemperano. Subito prima di farli nascere, assegnarono a Prometeo ed al fratello Epimeteo di disitribuire con ordine le facoltà che si convenivano Cfr. Platone, Protagora, 11.. La colpa di Prometeo è di aver donato agli uomini il fuoco divino. Del che è motivo di stupore: .- sottrai i privilegi degli dèi, per farne dono ai vivi d’una sola giornata! (esclama Potere); .-Che? I vivi d’un giorno hanno il fuoco abbagliante? (domanda il Coro Eschilo, Prometeo incatenato.). Principalmente a cagione della caducità delle nostre esistenze: siamo vivi d’un giorno, vivi d’una sola giornata. Perché dare all’uomo il Fuoco se l’uomo è mortale? La reazione di Zeus fu d’ira: … il figlio valente di Iapeto lo imbrogliò sottraendo in una ferula cava il bagliore che si vede da lontano del fuoco instancabile; quindi, Zeus altitonante s’addolorò fino nel fondo dell’ animo e il cuore gli si incendiò per l’ira come vide fra gli uomini la luce lungisplendente del fuoco Esiodo, Teogonia, 565.. L’iniziato Plutarco pone sull’avviso coloro i quali opinano che l’uomo sia composto di due parti sole, segnalando che l’intelletto supera per dignità e valore l’anima, quanto questa sopravvanza il corpo. L’unione di anima e corpo produce passioni e irrazionalità, l’unione di intelletto e anima produce la ragione. Nell’assieme dei tre fattori la Terra dà il corpo, l’anima viene della Luna e l’intelletto del Sole. Ne consegue che due sono le morti incontro alle quali vanno gli uomini della nostra razza. La prima morte riduce le nostre parti da tre a due, la seconda da due a una. La prima ha luogo sulla terra, che è il regno di Demetra, la seconda sulla luna, che sta sotto il governo di Persefone. Con la prima Demetra separa anima e corpo in modo violento e rapido; con la seconda Persefone separa anima e intelletto con dolcezza e nel tempo, da cui l’epiteto di nata unica, giacché la nostra parte più nobile diviene unica nel momento in cui si separa grazie a lei Cfr. Plutarco, Il volto della luna, 28.. Tre, dunque, le parti dell’uomo. Due le separazioni. Il Fuoco rubato da Prometeo per l’uomo non muore. Hermes, tacciato di essere un servo di dèi, fallito il tentativo di conoscere dal Titano (= calce = calcio = ossa) il segreto della fine di Zeus, minaccia: il Padre sgretolerà questa rupe selvaggia con il tuono e la fòlgore e nasconderà il tuo corpo avvolgendolo in un abbraccio di pietra. Molto tempo passerà prima che te ne lìberi. Nel frattempo l’aquila si pascerà giorno per giorno del tuo fegato Cfr. Eschilo, Prometeo incatenato.. La minaccia si traduce di poi in fatto: E già appariva ai naviganti l’insenatura del Ponto, e si innalzavano i picchi impervi dei monti caucàsici lì dove, astrette le membra dai ceppi bronzei alle aspre rupi, Prometeo alimentava con il suo fegato l’aquila che sempre tornava ad avventarsi su di lui. La videro verso sera volare nei pressi delle nuvole con un sìbilo acuto, altissima sopra la nave, eppure agitò tutte le vele battendo le ali; non aveva infatti natura di uccello del cielo, ma moveva le ali come remi ben levigati; non molto tempo dopo udirono la voce gemente di Prometeo dal fegato straziato; l’aria riecheggiava dei suoi gemiti, finché videro di nuovo l'aquila carnivora scagliarsi sullo stesso bersaglio Apollonio Rodio, Le Argonautiche, 2, 1246.. Ancora una volta il ruolo di carceriere/carnefice/custode compete a un essere demonìaco figliato da Echidna e Tifeo. Solo un eroe solare potrà scatenare il divino Titano: Eracle. -12. Il cuore, il grembo La caverna è centralità, perché occupa la parte mediana della montagna. Il monte è un simbolo polare: stagliandosi dalla terra si eleva al cielo. Lo speco ne costituisce il cuore. L’Uovo del Mondo, insomma, che contiene in potenza tutto ciò che può apparire nel Mondo della manifestazione. Ma la caverna è anche il grembo, la matrice della Terra (ùtero, da cui Delfi e delfino, il mammìfero). Nella quale il seme metallico diviene embrione e si sviluppa. Si intende, secondo ritmi geologici. E’ il seno nel cui àmbito ciascun metallo, per quanto vile, si transmuterà finalmente in oro, tendendo la Natura alla perfezione. E’ la fenditura, l’accesso alla quale era da Python impedito ad Apollo. L’anagramma è forma fin troppo elaborata di gioco enigmistico per il nostro caso: il mero avvicendamento di due consonanti (P e T) vale a fare del mostruoso Typhon il serpente Python. Abbiamo visto della paurosa schiatta quanti esseri abbiano radici di sangue comuni. Ora ci imbattiamo in radici verbali pressoché identiche. Pitone è il serpente che Era, gelosa di Zeus, mette alle calcagna di Leto-Latona, ingravidata dal padre degli dèi, affinché non dia tregua alla Virgo Paritura e non le consenta di sgravarsi sotto il cielo: la Grande Madre si ribella all’atto d’imperio del Logos. Il giovanissimo dio ucciderà il serpe: Apollo, appresa l’arte divinatoria da Pan, figlio di Zeus e di Ibris, si recò a Delfi, dove allora Temi vaticinava; poiché il serpente Pitone, guardiano dell’oracolo, gli impediva di accostarsi all’apertura, dopo averlo ucciso, si impossessa dell’oracolo Apollodoro, Biblioteca, 1, 4, 1.. Ma sarà necessario un nugolo di dardi per annichilare Python: Il dio che tiene l’arco [Apollo] - fino ad allora mai lo aveva usato se non contro daini e caprioli fuggenti - l’uccise gravato di mille dardi, quasi votata la faretra, nel sangue velenoso sparso dalle nere ferite Ovidio, Metamorfosi, 1, 441.. La quercia vecchia e cava (sempre la ... quercia Non si dimentichi che Argo, il vasello degli Argonauti, fu costruito con il legno dei querci di Dodona, il bosco dell’oracolo.) è detta in greco . E è uno dei modi di contrassegnare l’utero. Al Filosofo, e solo a lui, viene dato di partecipare all’opera della Natura e di favorire il processo di crescita e realizzazione del metallo nella caverna, surrogandosi al fattore Tempo. Quando non alberghi nella spelonca, la bestia ha ricetto nello stagno infetto, nella palude insana e pestilenziale: Essa [l’Idra], cresciuta nell’acquitrino di Lerna, scendeva fino al piano e devastava gli armenti e la campagna; l’idra aveva un corpo immenso con nove teste, otto mortali e quella in mezzo immortale Apollodoro, Biblioteca, 2, 5, 2.. Vicino a questa città [Silene, in Libia] v’era uno stagno grande come il mare in cui si nascondeva un orribile drago Jacopo da Varagine, Legenda aurea, Giorgio.. Nel duello descritto a colori dal Carpaccio le lande abitate dal drago, fuori della città, sono desolate: alberi combusti e monchi, arbusti risecchi, acquitrini squallidi, terre brulle, ossa teschi e membra di corpi squartati Venezia, Scuola di san Giorgio degli Schiavoni.. Nell’affresco di sant’Anastasia del Pisanello, accanto al drago, rinvieni anche carcasse di animali Verona.. Plaghe morte: Azoth, privo di vita come dice l’etimologia (). Ma pure Aleph e Tau, l’inizio e la fine. Il tutto. Il Nostro Mercurio. E’ in scena la decomposizione. -13. La femmina Drago e femmina sono compresenti. Dove è il drago, lì è la femmina. Ahimè! Figlia mia dolcissima, io credevo che nel grembo regale tu avresti allevato i tuoi figli, e invece diverrai preda del drago, prorompe fra le lacrime il re di Silene Jacopo da Varagine, Legenda aurea, Giorgio. . Ma nei pressi passa Giorgio, il santo, e la vittima predestinata ne sarà salvata. E quando ancora non aveva raccontato tutto, l’onda risonò e s’avvicinò una belva che avanzava sull’immenso mare e sotto il petto occupava un enorme spazio di acque. La vergine [Andromeda] strilla. Il genitore funereo è presente, e accanto la madre, disperati entrambi ma a maggiore ragione la madre, e non portano con sé aiuto, ma pianti degni della situazione e lamenti, e s’avvinghiano al corpo legato di lei Ovidio, Metamorfosi, 4, 688.. Ecco Perseo, e la fanciulla sarà liberata. Il femminino, condannato a sciogliersi nel Caos e a perdere la sua polarità e la sua potenza generatrice, viene preservato nella sua differenziata possibilità dal cavaliere. Così Argo dai cento occhi è incaricato da Era, ingelosita, di custodire Io per impedirle di unirsi a Zeus: custos virginis Argus Virgilio, Eneide, 7, 791.. Dice la fatina giovane per consolare i genitori della Bella Addormentata in itinere: Rassicuratevi, o Re e Regina, vostra figlia non morirà; è pur vero che non ho abbastanza potere per disfare quel che una fata più vecchia di me ha già fatto: la Principessa si pungerà la mano con un fuso, ma invece di morirne, ella cadrà soltanto in un profondo sonno che durerà cent’anni e in capo al quale il figlio d’un re verrà a svegliarla Charles Perrault, I racconti di Mamma l’Oca.. Il maleficio del sonno senza vita non sarà sempiterno. Il bacio vivificatore del cavaliere risveglierà il femminino dall’oblìo del mare assoluto, che è la Materia prima. Il medesimo Caos primigenio in che si risolve il Drago, contenente l’universo potenziale delle attitùdini, recettivo, senza forma ma suscettibile di qualsiasi forma, ha natura passiva, femminile. E prende, pertanto, il nome della Notte, l’Abisso, l’Albero, la Matrice. Dunque, la Donna per antonomasia. Nella Madonna con il Bambino in gloria e i santi Giorgio e Michele dipinta da Dosso Dossi Modena, Galleria Estense. i due santi sembrano posare soddisfatti per una foto-ricordo con i loro rispettivi trofei, il drago e Lucifero, che dedicano alla Vergine e al Figlio (la composizione, se pure più elaborata, equivale alla Madonna che schiaccia il drago). In un tempo logicamente e cronologicamente posteriore, dopo la separazione fra maschile e passivo conseguita al trascendimento della Natura in confronto di sé stessa e all’abbandono dello stato di spontaneità e autofruimento (a trafittura avvenuta), la femmina accanto al drago rappresenta uno dei due poli: una relatività. E’ la Luna accennata nel dipinto di Paolo Uccello, l’astro che mira dopo che la fiera viene inchiavata. E risplende della luce riflessa del Sole. Un destino falòtico ha voluto dividere Lucina Brembate e Leonino Brembate, i due sposi ritratti da Lorenzo Lotto separatamente sì, ma perché fossero uno per l’altro. Si è notato con diligenza che il pittore cripta i prenomi della nobile coppia: Lucina mediante una sciarada costituita da una falce di luna che racchiude la sillaba CI (LU + CI + NA) Lucina è anche epiteto di Diana-Luna.; Leonino per mezzo di una zampetta di cucciolo di leone tenuta nella mano sinistra dall’aristòcrate Lucina è nell’Accademia Carrara di Bergamo. Leonino nel Kunsthistorisches Museum di Vienna.. Bisogna aggiungere che l’artista volle segnare, nella relazione fra marito e moglie, quella corrente fra Sole (Leone) e Luna. Tra Solfo e Mercurio. Che il giurista Johann Jakob Bachofen così scolpisce: La battaglia fra i sessi è la battaglia fra il sole e la luna per la priorità nel rapporto con la terra J.J. Bachofen, Mutterrecht.. Muove a stupore che taluno abbia colto vestigia di misoginìa nei versi di Esiodo, laddove il poeta racconta di Pandora-Eva, la prima donna. In questo modo dando la vista di ignorare quale fosse la situazione originaria dell’uomo prima della caduta, prima del suo assoggettamento alla legge dei gravi. O figlio di Japeto, che più vedi avanti fra tutti, tu gioisci per aver rubato il fuoco e disatteso il mio volere, ma hai danneggiato grandemente te stesso e gli uomini che saranno. Io darò a loro, in cambio del fuoco, un male di cui tutti godranno nel cuore, rallegrandosi del loro stesso male Esiodo, Le opere e i giorni, 54.. Il male, a questo punto risulta ovvio, fu escogitato da Zeus sub specie di donna. Efesto fu comandato di fare un impasto di terra e acqua, e di infondervi voce umana ed energia, e di plasmarlo con le sembianze di una dea immortale e amabile. Dispose, ancora, Zeus che Atena le insegnasse le arti e Afrodite la cospargesse di grazia, di desideri conturbanti e di quelle pene che struggono il corpo; ed Hermes le fornisse un’anima di cagna e un istinto ingannatore Cfr. Esiodo, Le opere e i giorni, 60.. Semplicemente la nascita della donna degradava l’uomo (uomo maschio e femmina) al particolare, al finito, allo spazio-tempo sotto le acque superiori: Allora il Signore Dio fece cadere un sonno profondo sull’uomo, che si addormentò, poi gli tolse una delle costole e richiuse la carne al suo posto. Il Signore Dio costruì la costola, che aveva tolto all’uomo, formandone una donna. Poi la condusse all’uomo Genesi, 2, 21.. Non altrimenti, secondo scrive Platone, gli uomini delle origini, che avevano tentato la scalata al cielo, furono tagliati in due. In quei tempi i sessi erano tre, quello maschile originato dal Sole, il femminile dalla Terra, l’andrògino dalla Luna, che partecipa del Sole e della Terra. La forma dei viventi era rotonda. La loro forza e il loro coraggio, grandissimi, li indusse a sfidare gli dèi. Dopo lungo consiglio, Zeus trovò la soluzione che avrebbe consentito da una parte la sopravvivenza degli uomini, dall’altra la dismissione della tracotanza: segare ciascuno di loro in due Cfr. Platone, Il Convito, 14.. Prometeo aveva preavvisato il fratello Epimeteo, diffidandolo dall’ accettare doni da Zeus. Ma l’ammonimento restò lettera morta Prometeo, dice il nome, è colui il quale vede prima, il preveggente, il prudente. Epimeteo, al contrario, vede dopo.. Epimeteo accolse il dono-Pandora: Accettato il regalo, se ne avvide solo quando aveva già il male. Prima, infatti, la razza umana viveva sulla terra lungi dai mali e dalla fatica gravosa e dalle malattie dolorose che danno agli uomini la morte. Infatti, i mortali diventano subito vecchi nel dolore. Ma la donna, togliendo con le mani il grande coperchio del vaso, disperse i mali, preparò agli uomini tristi affanni Esiodo, Le opere e i giorni, 89.. Per avere scalato il cielo; per aver mangiato il frutto dell’albero della scienza del bene e del male ed essersi, quindi, indiato Genesi, 3, 22: Il Signore Dio disse allora: Ecco che l’uomo è diventato come uno di noi, conoscendo il bene e il male! Ed ora ch’egli non stenda la sua mano e non prenda anche l’albero della vita, sì che ne mangi e viva in eterno!; per avere rubato il Fuoco a Zeus, l’uomo è caduto sulla terra, angelo lucìfero. Ma senza ali. Il Fuoco che reca con sé giace, però, seppellito nell’inferno del suo Caos interiore. Ha da essere liberato. La lucerna del corpo è l’occhio; se dunque il tuo occhio è chiaro, tutto il tuo corpo sarà nella luce; ma se il tuo occhio è malato, tutto il tuo corpo sarà tenebroso. Se dunque la luce che è in te è tenebra, quanto grande sarà la tenebra Matteo, 6, 22.! Ancora, è la donna ad aiutare il santo, l’eroe e il cavaliere ad avere la meglio sul drago. La principessa di Silene prega fervorosa mentre Giorgio imprende la tenzone mortale. Terrea (Paolo Uccello, Musée Jacquemart-André, Parigi). Ginocchioni, rapita (Carlo Crivelli, Isabella Gardner Museum, Boston; Madonna della Rondine, National Gallery, Londra). Pia (Raffaello, National Gallery of Art, Washington). Estàtica (Dosso Dossi, Gemaeldegalerie, Dresda). Ieràtica (Carpaccio, Venezia). Sono le pozioni e gli intrugli della maga Medea a sovvenire Giasone (il medico) nell’avventurosa cerca del Vello: l’unguento per conservare il corpo dal veleno del drago e dal fuoco dei tori, un filtro soporoso per addormentare il drago, un’acqua limpida per spegnere il fuoco dei tori. E il portentoso pantàcolo recante l’effigie del Sole e della Luna. Bagna questo filtro di buon mattino, dopo esserti denudato, ungine il corpo; sopra quel punto ci sarà una forza infinita e una grande energia, che non potresti dire uguali a quelle degli uomini, ma a quelle degli dèi immortali. Oltre alla lancia, ne siano unti lo scudo e il gladio. Lì non ti trafiggeranno le armi degli uomini nati dalla terra, né la fiamma irresistibile spirante dai tori funesti. Non resterai tale a lungo, tuttavia per tutto quel giorno sì. Non avere mai paura della prova Apollonio Rodio, Le Argonautiche, 3, 1042.. E’ Arianna-Ragno a consegnare all’eroe Teseo, venuto di Atene con sette fanciulli e con sette fanciulle Sette come Pollicino e i suoi fratelli. Sette come le figlie divorate dall‘Orco., il gomitolo di filo magico Nella fiaba di Pollicino i sassolini bianchi fanno le veci del filo.: Come scrivono e cantano i più, giunto per mare a Creta, dopo avere da Arianna innamorata ricevuto il filo e imparato come attraversare i meandri del Labirinto, Teseo finì il Minotauro e riprese la via del mare, menando seco Arianna e i giovanetti Plutarco, Teseo, 19, 1.. Da ultimo, osserva, se abbisogna altro ancora, la tempera su ... ghiaccio di Cosmè Tura Ferrara, Museo del Duomo., l’atmosfera rarefatta e di sospensione aggranchita che avvolge il trapassamento liturgico del drago da parte di Giorgio, il santo, in un’effusione di semitoni selenici. In alto, a destra, si staglia, fra le foglie rade di un albero, un frutto. La pera, consacrata alla Luna ancor prima che a Era. Il seno materno, l’utero, l’alambicco. -14. Eracle, Giona e Pinocchio Anche il mito di Esione, figlia di Laomedonte, leggendario re di Troia, si inscrive nel nòvero di quelli del drago marino. Ma offre elementi ulteriori alla nostra ricerca. Furono niente meno che Apollo e Posidone a edificare le mura di Ilio - forse si trattò di una sanzione comminata loro da Zeus, siccome rivoltosi -; ciò nonostante il sovrano non pagò poi la mercede agli eccellenti prestatori dell’opera: Io [Posidone] certo innalzai ai Troiani le mura intorno alla città, ampie e assai belle, perché l’arce fosse impenetrabile; e tu, Febo, pascolavi i buoi dagli zoccoli striscianti e dalle corna a spirale nelle convalli dell’Ida ricca di gole e selvosa. Ma quando le stagioni gioconde menarono il tempo della ricompensa, Laomedonte straordinario ci rifiutò tutta la paga con violenza, ci scacciò minaccioso. Minacciò di legarci piedi e mani di sopra, di inviarci in isole remote perché fossimo venduti; e prometteva di mozzare gli orecchi a entrambi con la spada Omero, Iliade, 21, 446.. I due dèi gabbati e risentiti, se ne vendicarono, spargendo una luttuosa pestilenza l’uno, l’altro aizzando un terribile mostro marino, che rapiva gli uomini nella piana. Giacché gli oracoli significavano che sarebbero stati liberati dalle calamità se Laomedonte avesse esposto sua figlia Esione in pasto al cetaceo, il re l’appese alle pietre, in riva al mare. Poi che la vide esposta, Eracle garantì che l’avrebbe salvata se avesse ricevuto da Laomedonte le cavalle che a lui Zeus aveva dato in premio per il ratto di Ganimede Apollodoro, Biblioteca, 2, 5, 9.. Naturalmente il mascagno re di Ilio promette, ma non tiene fede all’ impegno dopo la soppressione del drago da parte dell’eroe. Di qui la guerra, nella quale rifulgerà la gloria di Aiace: ... la gloria di Aiace Telamonìade e del padre; quello che il figlio d’Alcmena [Eracle] condusse alleato volonteroso alla guerra lieta di bronzi, sulle navi insieme con i Tirinzi, a Troia, travaglio per gli eroi, a causa dell’affronto di Laomedonte Pindaro, Le Istmiche, 6, 27.. La tenzone fra il drago e l’eroe si svolge sulla marina. Per la bisogna era stato eretto un muro dietro il quale il secondo potesse riparare quando soperchiato dal primo: ... il terrapieno elevato del divino Eracle, che fecero i Troiani e Pallade Atena, perché scampasse dal cetaceo rinculando, quando lo inseguiva dal lido alla pianura Omero, Iliade, 20, 145.. In un’esposizione secondaria del mito Licòfrone, Alessandra, 33. L’unico a seguire la lezione di Ellanico., le sorti del duello restano incerte a lungo. Il nostro viene ingozzato dal drago e sopravvive chiuso nell’ oscurità del ventre di quello per tre giorni e tre notti. Impossibile non andare con la mente alla storia di Giona, raccontata nell’omonimo libro dell’Antico Testamento. Giona rifiuta, da principio, la chiamata del Signore e si imbarca per Tarsis. Il Signore allora lanciò un forte vento sul mare e si levò una grande tempesta sicché la nave minacciava di sfasciarsi Giona, 1, 4.. Si inizia furiosa la iattura Iactare = gettare, lanciare.: i marinai scaraventano tutto quello che possono fra i flutti, ma la furia dei marosi non si placa. Infine, per accertare chi fosse il responsabile dell’accaduto, gettarono le sorti e la sorte cadde su Giona Giona, 1, 7.. Il figlio di Amittai fu, dunque, lanciato in acqua. Ove un grosso pesce lo ingurgitò. Così Giona rimase nel ventre del pesce tre giorni e tre notti Giona, 2, 1.. Il naufrago implora il Signore e il pesce lo affranca, deponendolo sulla battima: convertito. Uguale fortuna spetta a Pinocchio, il burattino creato dalla penna incantata di Carlo Lorenzini: Quel mostro marino era, né più né meno, quel gigantesco Pescecane ricordato più volte in questa storia ... Immaginatevi lo spavento del povero Pinocchio alla vista del mostro. Cercò di scansarlo, di cambiare strada, cercò di fuggire; ma quella immensa bocca spalancata gli veniva sempre incontro con la velocità di una saetta ... Ma ormai era tardi! Il mostro lo aveva raggiunto: il mostro, tirando il fiato a sé, si bevve il povero burattino come avrebbe bevuto un uovo di gallina; e lo inghiottì con tanta violenza e con tanta avidità, che Pinocchio, cascando giù in corpo al Pescecane, batté un colpo così screanzato, da restare sbalordito per un quarto d’ora Carlo Lorenzini, Le avventure di Pinocchio, 34.. Poco dopo essere uscita dal ventre del mostro insieme con il padre Geppetto, la marionetta di legno si converte in uomo: Ora immaginatevi quale fu la sua meraviglia quando, svegliandosi, si accorse che non era più un burattino di legno, ma che era diventato invece un ragazzo come tutti gli altri Carlo Lorenzini, Le avventure di Pinocchio, 36.. Anche Eracle sfuggì al ventre del drago di Troia. Ne viene fuori calvo, cessato il sobbollimento nel calore del ventre animale che lo aveva racchiuso come in una caldaia senza fiamme Giovanni, l’Evangelista, venne sobbollito dall’imperatore Domiziano in una caldaia di olio, ma ne uscì illeso (cfr. Jacopo da Varagine, Legenda aurea, S. Giovanni Evangelista). Vedi come Albrecht Durer illustri l’episodio in una delle sue magistrali silografie.. Affatto senza capelli, al pari di un ... neonato. Nato di nuovo. In altre parole convertito, la conversione essendo la trasformazione di una sostanza in un’altra. Il cambiamento di condizione. -15. Il veleno Il drago è veleno che non perdona: Eracle intinge la cùspide dei suoi dardi nel cruore atro gemente dall’Idra di Lerna per farne un’arma ferale Apollodoro, Biblioteca, 2, 5, 2.. Il sangue del drago non è come quello colato del fegato di Prometeo che, caduto a terra, genera un fiore alto quanto un cubito, simile nel colore al croco coricio e dallo stelo duplice. La cui radice, dentro la terra, pare carne tagliata di fresco; il cui succo, simile all’umore nero dei querci, Medea raccoglie in una conchiglia del Caspio per ricavarne un filtro benefico. Il croco caucàsico, i pistilli del quale producono la Polvere d’Oro. La terra nera si scosse di sotto con un muggito, mentre era tagliata la radice cresciuta del sangue del titano; e gemette lo stesso figlio di Iapeto, turbato nell’animo dal dolore Apollonio Rodio, Le Argonautiche, 3, 854.. E’ tòssico il liquore del mostro. Lo sperimentò il grande arciere Filottete - secondo attesta Servio nel commentare l’Eneide - al quale una delle frecce di Eracle, cadde sul piede Filottete ricevette in dono la faretra, l’arco e le frecce di Eracle per avere obbedito all’ordine di quegli di accendere il fuoco sotto la sua pira funebre, mentre passava per caso di lì assieme al padre Peante.. Tanto fu il fetore provocato dalla ferita - per altri autori l’eroe greco era stato morso nel piede da una vìpera -, che i compagni lo abbandonarono sull’isola di Lemno. Durante la putrefazione dell’ulcera Filottete non serviva. Ma morto Achille, l’arciere con le sue frecce tornò ad essere indispensabile per l’esercito acheo. Come dirà Eracle apparso al guerriero ferito, era destino che per la seconda volta si conquistasse Troia con le sue frecce Cfr. Sofocle, Filottete, 1740.. E Odisseo, che non si era fatto scrupolo di lasciarlo a Lemno, così non esitò a farlo stanare dall’antro a due ingressi - nel quale ormai si era rinchiuso - da Neottolemo, figlio di Achille. Per farlo partecipare all’assedio di Ilio. Anche il centauro Nesso muore avvelenato dal sangue dell’Idra di Lerna. Eracle fa ritorno alle patria mura con la sposa novella Deianira. Gli arresta il cammino la corrente rapinosa del fiume Eveno, gonfio e vorticante. La sposa è affidata a Nesso per il guado, mentre l’eroe si tuffa senz’altro nelle acque estuanti. Ma il centauro prende tutt’altra direzione e cerca di violare la bella Deianira. Eracle, già su l’altra riva, avverte i richiami della moglie insidiata. Incocca lo strale intinto nel veleno e, con un tiro calibrato, fa stramazzare a terra l’uomo-cavallo: la saetta scoccata trapassa la schiena fuggente. Il ferro adunco esciva fuori del petto; non appena fu estratto, il sangue sprillò da ambo i forami, misto all’umore del veleno Lerneo Ovidio, Metamorfosi, 9, 127.. Le stille di schiuma rabida sputate dalle fauci di Cerbero trascinato da Eracle alla luce, sulla terra, divengono acòniti, fiori assai velenosi: Eccitato dall’ira rabbiosa, riempì l’aria di tre distinti latrati insieme e cosparse i campi verdi di bava biancheggiante. Pensano che questa si sia rappresa e, trovato l’alimento del suolo ferace e fecondo, abbia acquistato la virtù di nuocere. I contadini la chiamano aconito perché nasce dalla dura viva roccia Ovidio, Metamorfosi, 7, 413.. E’ un tosco, quello di cui discorriamo, che dissolve tutto ciò che ha la pretensione di affermarsi distintamente. L’Uno è Tutto, il Tutto è Uno, non vi è spazio per differenziazioni. Il drago Ouroborus, come mostra la parola Dal greco = coda + = che inghiotte., è quello che si morde la coda, così dispiegandosi in forma di ciambella. E’ il geroglifico del principio Uno il Tutto, che viene disegnato come un cerchio: O. Il cerchio (drago-serpente) ìndica il movimento che ha in sé l’inizio e in sé ha la fine. Anche l’anno Da an, per intorno a, del latino arcaico, da cui non solo annus, ma anche anulus, anello. s'asserpola sempre su sé stesso. Per essere più chiari, sempre nei limiti del concesso, abbiamo qui icasticamente rappresentata la Pietra dei Filosofi, la Materia dell’Opera o dei Saggi, il Nostro Caos, l’Uovo. I quali racchiudono indistintamente in sé ogni potenzialità. Senza conoscere il duale. L’eterno divenire, che muore e si rinnova, il ciclo della vita e della morte. L’alfa e l’omega. Il Nostro Mare, che suona in francese come la Nostra Madre, la Nostra Signora del santo Bernardo: Mater - Matrix - Materia. Il Signore mi ha posseduta all’inizio delle sue vie. Io ero prima che egli plasmasse qualsiasi creatura. Io ero nell’eternità prima che venisse creata la terra. Gli abissi non erano ancora ed io ero già concepita. Le sorgenti non erano ancora uscite dalla terra; la pesante massa delle montagne non era stata ancora formata; ero già nata prima delle colline. Egli non aveva ancora creato né la terra, né i fiumi, né consolidato la terra mediante i due poli. Quando egli preparava i Cieli, io ero presente; quando circoscrisse gli abissi con i loro limiti e stabilì una legge inviolabile; quando stabilizzò l’aria attorno alla terra; quando equilibrò l’acqua, rinchiuse il mare nei suoi limiti e quando impose una legge alle acque perché non superassero i confini loro assegnati; quando gettò le fondamenta della terra, io ero con lui e regolavo tutte le cose. Queste sono le parole dell’Epistola per la Santa Messa dell’Immacolata Concezione della Vergine. A Lucio, profondato nel corpaccio d’un asino, la dea Iside dice consolante: Ecco sono a te mossa dalle tue preci, o Lucio, io genitrice di tutte le cose di Natura, signora di tutti gli elementi, progenie iniziale dei secoli, la più grande dei Numi, la regina dei Mani, la prima fra i Celesti, aspetto uniforme degli dèi e delle dee, che ripartisco con un cenno il governo dei culmini luminosi del cielo, delle salubri brezze del mare, dei pianti silenzi degli Inferi; io di cui tutto il mondo venera la potenza unica se pure sotto forme svariate, con rito differente e diversi nomi Apuleio, Le metamorfosi, 11, 5.. Altro non è il senescente e macilento cane acciambellato ai piedi della donna assorta dal volto negro, la quale catalizza la luce abortita in Melecolia I di Albrecht Durer. Pure questo animale dormiente bene fa le veci del drago che si morde la coda: il Mercurio vecchio. Al di sopra del quale è collocato un putto alato, anch'esso sonnolento (come potrebbe non esserlo nella fase di nigredo-melencolia?), il Mercurio bambino, a un passo dal risveglio. Di qui bisogna muovere. Spezzando l’Uovo Filosofico con la spada. Smembrando il drago fino a scomporlo e ridurlo ai suoi quattro elementi essenziali: Terra, Acqua, Aria e Fuoco. Dal cerchio al quadrato. Il drago è una peste, un’aura malsana che desertifica ed estingue la vita. Un fuoco vampirizzante e distruttore: Chimera che spira fuoco irresistibile .. spirando terribile impeto di fuoco ardente Esiodo, Teogonia, 319.. Uno sguardo che pietrifica, come quello della Medusa. Forco e Ceto generarono Steno, Euriale e Medusa (le Gorgoni): avevano teste disseminate di squame di serpenti, denti enormi come quelli dei cignali, e mani di bronzo, e ali dorate, con le quali si levavano in volo. Transmutavano in pietre coloro che le guardavano Apollodoro, Biblioteca, 2, 4, 2.. La sola mortale, delle tre, era Medusa. E Polidette ne reclamò la testa a Perseo, sicuro in questo modo di sbarazzarsene per finalmente avere la madre di lui, Danae. L’eroe, innanzitutto, raggiunge le tre Graie, sorelle delle Gorgoni, e sottrae l’occhio e il dente che esse possedevano in comune. Che restituisce dopo aver da loro appreso la via che conduceva alle Ninfe. Quindi, sorprende le Gorgoni nel sonno. Tenendo la testa girata e lasciandosi guidare dall’immàgine della Medusa riflessa in uno scudo di bronzo, le mozza il capo. Che infila in una bisaccia. Estratta di lì, finché non consegnata ad Atena, la testa trasformerà le alghe in coralli, Polidette e i suoi amici in pietre. Il drago significa fauci abissali che ingoiano e divorano. Pensa che il Caos, , deriva dal verbo , stare aperto, spalancato  è apertura di bocca, oltre che voragine.  sbadiglio, oltre che apertura di bocca, di becco.. Immàgina la bocca vorace e immensa del cane Cerbero. Per resistergli, Psiche è invitata a tenere ben stretta una focaccia per mano nel suo viaggio negli Inferi, una da lanciare al mostro all’andata, l’altra al ritorno Apuleio, Le metamorfosi, 6, 18.. Come fa la Sibilla cumana che mena Enea all’Ade: Vedendo le teste divenire ispide di serpi, gli lancia un’offa resa soporifera con miele e piante medicinali Virgilio, Eneide, 6, 419.. Un uomo disperante con le braccia levate è nell’atto di scomparire fra le fauci del geometrico biscione visconteo. Immàgina l’os sacrum, l’Utero (), la fenditura che si apriva nel suolo di Delfo, la commettitura fra Cielo e Terra, da cui risalivano filaccicose le nebbie vaporanti nelle quali la Pizia, profetessa allucinata dalla masticatura delle foglie d’alloro, leggeva i decreti del Fato Nei dialetti dell’Italia meridionale la vulva è detta d’ordinario fessa, cioè fessura.. Immàgina la bocca senza fondo della balena di Pinocchio e del pesce che tranghiotte Giona, e della bestia equorea che pare aspettare che Perseo cada diritto diritto giù fino al suo ventre In Andròmeda e Perseo di Antonio Fretti (Vienna, Kunsthistorisches Museum), il drago è pronto a ingoiare anche la cavalcatura del figlio di Danae., e di Lucifero furente e del Maelstrom e del Mare. Non sono poche le erbe officinali che hanno nome da Artemide: fra le altre, l’Artemisia campestris, l’Artemisia abrotanum Abròtano dal greco , senza uomini, deserto. e l’Artemisia absinthium. Dall’alba dei tempi se ne conoscono le proprietà emmenagoghe e perfino abortive: la Vergine non vuole il Maschio. Ricusa la fecondazione. Oltre a quelle ipnòtiche. Generazioni di poeti e pittori maledetti francesi si bruciarono il cervello sorseggiando l’absinthe, distillato da una Artemisia (di poi tolto dal commercio). E’ nota, poi, la fine del giovane cacciatore Atteone, che sorprese per caso Artemide ignuda al bagno: … la dea lo transformò all’istante in cervo, e insinuò la follia nei cinquanta cani della sua muta i quali, per non riconoscerlo, lo sbranarono Apollodoro, Biblioteca, 3, 4, 4. Assolutamente degni di rilievo, al riguardo sono la stanza della Rocca Sanvitale, in Fontanellato (PR), affrescata dal Parmigianino. E l’affresco del di lui maestro, Correggio, nel convento di san Paolo in Parma. Oltre che l’interpretazione dell’episodio data da Giordano Bruno, prima di essere abbrustiato, nel De gli eroici furori. . Oltre a quella riservata a Tiresia, che colse invece nella sua nudità un’altra Vergine, Atena Pallade: ne fu accecato. Tiresia solo insieme con i cani, con le guance da poco ombrate dalla barba, si dirigeva verso il sacro luogo. Assetato da non dire, si avvicinò a una fonte corrente. Disgraziato! Pur non volendo, vide le cose non permesse. Atena gli parlò, ancorché incollerita: Quale demone, o figlio di Evero, condusse su la strada perigliosa te, che non porterai via gli occhi? Disse così e la notte rapì gli occhi del fanciullo Callimaco, Per il bagno di Pallade, 75. A ben vedere la reazione feroce della Vergine, siccome mirata nuda, è in entrambi i casi premiale. Tiresia, ad esempio, viene beneficato del dono della profezia. . La morte che sugge e la vita sempre risorgente levitano appaiate e s’intrecciano sulle acque, nel circolo dell’eterno divenire. E’ un bastone, è una pietra, è la fine della via ... è la vita, è il sole, è la notte, è la morte, è un lacciuolo, è un fucile Il bastone-clava e la trappola fìssano, la pedra e l’anzol (lo schioppo) spezzano, sciolgono. ... è un nodo nel legno Madeira, legno, anche in portoghese come in innumeri altre lingue, suona assai vicino a materia. ... è uno sterpo, è un chiodo, è una punta, è un punto ... è argento che brilla, è la luce del mattino ... una spina nella mano, un taglio nel piede La spina-chiodo fissa, il taglio apre e dissolve. .. è un rospo, è una rana Il maschio e la femmina. Allo stato vìscido e impuro. Come in molte fiabe. .. è un varco, è un ponte ... è o mistério profundo. Il genio insuperato di Antonio Carlos Jobim, altalenante lepido di opposto in opposto (fisso e volatile, vita e morte, giorno e notte, Giovanni e Giuseppe, progetto di casa e corpo nel letto, uccello in aria e uccello per terra ...), si libra sul Mare magnum del e risuona liquido nella risacca cosmica del solve et coagula. Il nome di questo piccolo capolavoro universale, che riduttivamente chiamiamo canzone, è Acque di Marzo. L’elemento Acqua non poteva mancare. Il riferimento, poi, a Marzo, il mese di Marte, in greco . Così vicino all’Ariete, il cui simbolo è anche quello del Solfo nativo, è quanto mai appropriato. Nell’emisfero australe in quel mese s’inizia l’autunno (acque di Marzo che chiudono l’estate). Cui segue l’Inverno-Inferno. Di qui l’auspicio: a promessa de vida no teu coracao, la promessa di vita nel tuo cuore. Se da una parte avvelena, pietrìfica, ingoia, riassorbe e dissolve, l’Utero dall’altra è la porta della rigenerazione. -16. La trafittura Figgere, dal latino figere, vale per piantare saldamente, far penetrare con forza, ficcare. Il drago, che per i Filosofi rappresenta màssime la Materia Prima in istato di putrefazione, ha da essere trafitto perché si inizi il processo. Con la spada. Con la lancia. A volte con entrambe, come nella tela di Carlo Crivelli Boston, Isabella Gardner Museum., nella quale san Giorgio si accinge a colpire con un poderoso fendente il drago già trapassato dall’asta, che giace spezzata sul suolo, mentre l’altra parte dell’arma vibra confitta nel collo della bestia. O, ancora, con le frecce. Così come, ad esempio, sono trafitti l’aquila che divora il fegato a Prometeo Heinrich Fussli disegna un drago in luogo dell’uccello (Londra, British Museum). e il guardiano dei frutti d’oro. Ma il drago, appena trafitto da Eracle, era disteso presso il tronco di un melo; solo agitava la punta della coda, giaceva senza respiro dal capo fino alla scura spina dorsale; e dove i dardi avevano contaminato il suo sangue con l’umore amaro dell’Idra lernea, le mosche si asciugàvano sopra le ferite putrescenti Apollonio Rodio, Le Argonautiche, 4, 1400.. Secondo alcuni Bellerofonte assalì la Chimera con una zagaglia dalla punta di piombo che, liquefattasi alle vampe di fuoco eruttate dal mostro, ne bruciò i vìsceri Tzetze, Scoli a Licòfrone, 15.. Ovidio definisce nere le ferite del serpente Pitone Dal greco , faccio imputridire.: vulnera nigra Ovidio, Metamorfosi, 1, 444.. Dom Antoine Joseph Pernethy, benedettino della Congregazione di san Mauro, bene rileva che l’aggettivo nero non risulta giustificato né da ragioni di metrica né dalla logica. La ferita è rossa. Nero è il colore della putrefazione. Anche Apollo, che seppellì Pitone nato del limo del diluvio sotto una selva di dardi, fu a sua volta trafitto. Accadde che Cupido, sbeffeggiato dal vincitore insuperbito del serpente, che gli rimarcava la ridicolaggine di tanto arco in mano a un gracile adolescente, giurò vendetta. Estrasse due frecce dal turcasso, una che faceva nascere l’amore, una che lo scacciava. Con la prima, che aveva la punta acuminata e d’oro, trapassò le ossa al dio fino al midollo. La seconda, invece, spuntata e con l’anima di piombo, andò a colpire Dafne, figlia del fiume Peneo. Febo, folle d’amore, inseguì la ninfa che lo rifuggiva. Finché questa, raggiunta e sul punto d’essere carpita, impetrato l’aiuto del padre, ne venne transformata in alloro, laurum Cfr. Ovidio, Metamorfosi, 1, 452. . Nell’antica Grecia era una miniera di piombo argentìfero, nomata il che è la Dafne della favola. Prepoteva in quel metallo l’elemento plumbeo, saturnino, essendo lo spirito catenato all’Ego e alla corporeità (di qui lo strale di piombo scagliato da Cupido). Però, attuatasi la conversione di Dafne da ninfa (Acqua) a pianta (Aria) - allora ella pare cedere all’amore di Apollo (Sole, Fuoco) -, l’argento è infine liberato del piombo e ignificato dal Solfo-Oro-Luce. Nella fase della putrefazione, preparandosi la Materia Prima, l’arciere Filottete, dalla mira implacabile, poteva bene rimanere confinato nell’ isoletta sacra a Efesto Non è, quindi, casuale che il primo approdo degli Argonauti abbia avuto luogo in Lemno.. Ma poi che Achille fu ucciso, i suoi dardi puntuali risultarono agli Achei irrinunziabili. Operata la sospensione del principio vitale dal corporeo, era d’uopo infine fissarlo Le armi di Eracle sono le frecce (il volatile per trafìggere i solidi, penetrare e sciogliere) e la clava (il fisso per coagulare il volatile). Questa sarà consacrata a ... Mercurio.. Fu così che il giovane Paride cadde colpito dallo strale mortale scoccato da Filottete. Il Logos feconda la Vergine: E una spada trafiggerà a te stessa l’anima Luca, 2, 35.. Nella silografia La visione dei sette candelabri del Durer esce di bocca al Padre una lunga spada affilata con la punta diretta verso il primo dei sette candelabri, quasi a dire che essa dovrà attraversare tutte le loro fiamme. Poiché crocifìggere e crucifigere sono composti di figgere e figere, la differenza fra le voci in parola sta solo nell’aggiunta croce, che specifica l’oggetto al quale si pianta saldamente: il Quaternario. Ecco perché il pio Nicolas Flamel, lontano le mille miglia da ogni volontà blasfema, che solo il pregiudizio potrebbe far scorgere, incide un serpente crocifisso nella sesta figura de Il libro delle figure geroglifiche. Che altro non significa se non il Nostro Mercurio comune preparato e fissato per l’avvio del Magistero, la conversione alchemica della pietra e la realizzazione della ... margarita. Anche se ammansito, tanto da poter essere trascinato come un cagnuolo o un perrico da falda, avvinto da un cinto mulìebre, il drago ha da essere ischidionato. La Tarasca, a la vista della croce, s’acquieta come un agnello, così che la santa lo avvince con la sua fusciacca. Lo vedi, il mostro domato, tenuto per il collo da una funicella che, nel contempo, funge da cintura, nel gruppo dei Quattro Santi del Correggio New York, Metropolitan Museum.. Ciò nonostante il drago non viene risparmiato; sarà il popolo ad ucciderlo a colpi di pietra e di lancia Jacopo da Varagine, Legenda aurea, Marta.. San Giorgio, vulnerato il mostro, esorta la principessa a non temere e ad avvolgere la cìntola alla gola della bestia. Così ella fa e il drago la segue mite come un cagnolino. Ma, non appena il re e tutta la popolazione ricevettero il battesimo .. Giorgio uccise il drago e comandò che fosse portato fuori della città con un carro tirato da quattro paia di bovi Jacopo da Varagine, Legenda aurea, Giorgio.. Carpaccio scandisce i due momenti in due teleri distinti: nel primo il santo si misura con il suo eterno avversario. Nel secondo, il serpente alato, condotto in città per la cintura-guinzaglio dalla figlia del re, sta per essere trapassato dal ferro di Giorgio. Talora il mostro, prima di essere ucciso, deve essere ridotto a l’impotenza. Con il sonno. Quando Zeus ordina a Hermes di sopprimere Argo, in un attimo il nostro Araldo ha le ali ai piedi, in mano la bacchetta sonnifera e il petaso sulla testa. Così egli discende dalla rocca paterna in terra. Lì rimuove il copricapo e depone le ali, solo il bastone è tenuto ancora ... Ovidio, Metamorfosi, 1, 671.. Infine, si finge pastore. E in tale foggia mòdula una canzone su di uno strumento fatto di canne. Argo rimane fascinato dai suoni, ma non abbassa la guardia: Quello tuttavia si sforza di vincere il molle sonno, e sebbene il sopore sia accolto da una parte dei suoi occhi, con l’altra parte veglia Ovidio, Metamorfosi, 1, 685.. E anzi chiede al dio come sia stata inventata la zampogna. Allora Mercurio incomincia a parlare, parlare, parlare, finché vide che tutti gli occhi avevano ceduto e che tutti gli sguardi erano obnubilati dal sonno. Subito smorza la voce e accresce la sonnolenza sfiorando con la bacchetta magica le palpebre languide; risolutamente lo ferisce con la spada falcata, mentre vacilla, dove il capo confina con il collo ... Ovidio, Metamorfosi, 1, 713.. I cento occhi del mostro saranno da Era, che gli aveva affidato la guardia, fissati sulle penne dell’uccello a lei sacro: il pavone. La cauda pavonis simboleggia i sette colori che ricompaiono all’Adepto dopo l’Opera al nero, come individuati dall’Alighieri: Oro e argento fine, cocco e biacca, legno lucido, sereno fresco smeraldo in l’ora che si fiacca Dante, Purgatorio, 7, 73.. Che sono giallo, argento, carminio, bianco, viola, nero e verde. I sette colori di Iride, l’arcobaleno, il ponte fra Terra e Cielo. Quando non si dà luogo all’uccisione, comunque sia, il santo-eroe si appropria le qualità del drago per attivarne le energie in senso positivo. Ciò accade quando si compie il sacrificio, che altrimenti resterebbe privo di giustificazione, come testimonia la pelle del Leone Nemeo, che Eracle indossa dopo avere scuoiato la fiera invulnerabile. A maggior ragione tanto deve avvenire qualora il mostro non venga anciso. E’ il caso dei tori aggiogati da Giasone. Della potenza dei quali egli usa come signore. Come quello del cane Cerbero, che Eracle vince, esibisce quale preda vivente a Euristeo e riconduce negli Inferi: Eracle lo trovò alle porte dell’Acheronte; allora, chiuso nella sua armatura e coperto dalla pelle di leone, gli afferrò il collo con le mani e non finì di stringere con forza la bestia finché non l’ebbe soverchiata, quantunque morsicato dalla sua coda di serpente. Così catturatolo, lo fece risalire dalla parte di Trezene .. Eracle, dopo aver fatto vedere Cerbero a Euristeo, lo accompagnò di nuovo nell’Ade Apollodoro, Biblioteca, 2, 5, 12.. E’ ancora il caso del dragone custode del Vello d’Oro, la cui uccisione non fu necessaria a Giasone per impossessarsi del tesoro: Mentre il mostro si avvolgeva, la fanciulla [Medea] si pose innanzi ai suoi occhi e con voce dolce chiamò in soccorso il Sonno, il sommo dio, che stregasse il mostro ... ed il serpente fascinato dalla malia scioglieva la lunga spina dalle spire nate del suolo, e distendeva gli anelli numerosissimi, così come quando sul mare placido si srotola un maroso nero e silenzioso e senza frastuono; tuttavia innalzava la testa spaventevole, desideroso di schiacciare tutti e due insieme nelle mascelle rovinose. Lei stessa bagnò un ramo di ginepro, appena reciso, nel miscuglio, e gli asperse il filtro puro sugli occhi, recitando incantesimi, e la fragranza del farmaco lo avviluppò e gli indusse il sonno Apollonio Rodio, Le Argonautiche, 4, 144.. -17. Il drago custode del tesoro L’associazione drago-tesoro è costante. Il primo guarda il secondo. Quando, nello scavarsi la tana, s'imbatte in una galleria sotterranea abitata dal drago, qui custodiebat thesauros abditos, la volpe prima di tutto porge sentite scuse per l’invasione involontaria; quindi, sopraffatta dalla curiosità, domanda: Quale frutto trai da questa fatica o quale premio così grande da privarti del sonno e farti vivere nelle tenebre? La replica è: Davvero nessuno ... ma questo dovere mi è stato imposto dal sommo Giove. Perciò non prendi nulla per te e non dai nulla a chicchessia? insiste lo scaltro cànide. Ottenendo per laconica precisazione: così piace al destino Fedro, Favole, 4, 21.. Che sia Ladone nel Giardino delle Espèridi o quello innominato posto a guardia del Vello d’Oro ovvero altro ancora che custodisca tesori ermetici, il drago si aderge contro l’eroe, il santo o il cavaliere, facendo di necessità virtù: mors tua, vita mea. Non altrimenti a guardia del Paradiso, dopo la cacciata di Adamo ed Eva, vengono posti alcuni Cherubini: Scacciò l’uomo, e dinanzi al giardino di Eden fece dimorare i cherubini e la fiamma sfolgorante per custodire l’accesso all’albero della vita Genesi, 3, 24.. L’Ego deve sbarrare la via alla trascendenza perché, se questa viene conquistata, il destino ineluttabile del mostro si chiama annichilamento. L’incorporeo, se sia contenuto in un corpo, non ha bisogno di esservi rinchiuso come una belva in una gabbia; infatti nessun corpo può rinchiuderlo e cingerlo in questo modo ... ma occorre che sia l’incorporeo stesso a dare ipòstasi a quelle forze che lo fanno allontanare dall’unità con sé stesso verso l’esterno e per mezzo delle quali scende a congiungersi con il corpo ... niente altro lo lega se non sé stesso, quindi non lo scioglie il corpo spezzato o corrotto, ma solo da sé può sciogliersi col liberarsi dalle passioni Porfirio, Sentenze, 17. . Il guardiano sulla porta che dà l’accesso a un modo d’essere superiore, personifica le sette Forze primordiali le quali, alteràtesi nel precipitare in un corpo (passaggio dal Sé all’Io), appaiono ormai impulsi, passioni, sensazioni e desideri Luca, 8, 2: C’erano con lui i Dodici e alcune donne che erano state guarite da spiriti cattivi e da infermità: Maria di Màgdala, dalla quale erano usciti sette demoni. I gradi iniziatici ai Misteri di Mitra erano sette e ciascuno di essi aveva corrispondenza con un pianeta. Presso gli Osseti Batradaz, il dio della fòlgore, nasce come un bambino di acciaio incandescente e si bagna in sette calderoni per raffreddarsi e temperarsi. . Per questo la lotta contro l’istinto di conservazione dell’Ego, bestiale e incomprimìbile, è pericolosa. Perché, in un certo senso, si risolve in uno scontro con sé stessi. Nella (apparente) soppressione di sé. Verme che non muore mai è il ricordo del passato. Una volta inoculato (o meglio innato) nell’anima per colpa del peccato, si conficca fortemente, né può più esserne staccato. Né cessa di rodere la coscienza; continua a vivere nutrendosi di essa come di un cibo che mai si consuma Bernardo, De consideratione.. Se non hai memoria di avere vissuto personalmente qualcosa di conforme, di certo avrai sorpreso qualcuno, nella fuggevole plaga che divide la veglia dal sonno, sussultare scosso da un soprassalto subitaneo. Quasi gli fosse mancata la terra di sotto ai piedi. Per aver avvertito, in qualche modo, la separazione conseguita al sonno ingrediente, l’Io animale suscita furioso una reazione incontrollabile di terrore organico. Vedi, dunque, quanto risulta arduo spezzare l’Oro inverso (l’Ego è la riflessione inversa del Sé), debellare il principio della personalità, ancorato al corporeo e alla mente. Che impedisce il passaggio ad altri stati, più profondi. Le teste dell’Idra ripùllulano ogni volta che Eracle le recide. Per ogni desiderio estirpato, per ogni pensiero vinto, ne nascono molti di nuovi. Nelle sentine della coscienza s’acquatta un animale che ti combatterà con tutte le armi con le quali tu stesso lo hai cresciuto potente. Il subconscio non dorme, anche se può sembrare così. Vìgila sempre. E aggredisce quando è il tempo. La parola drago scende dal verbo , che vale per guardare, scrutare, avere vista acuta. Non è propriamente una scolta (da ascoltare) il drago o, genericamente, una sentinella (da sentire, quindi con tutti i sensi). Ma un guardiano. Perché guarda. Ecco svelata la ragione di bestie con tre, nove, cinquanta, cento teste. Le quali non dormono mai o, quanto meno, non dormono mai tutte assieme. Argo aveva la testa contornata di cento occhi: si riposavano a due per volta, gli altri restavano vigili e in guardia. In qualsiasi modo si ponesse, egli guardava in direzione di Io; aveva avanti agli occhi Io, anche se voltato di spalle Ovidio, Metamorfosi, 1, 625.. Gli Argonauti danno l’assalto al Vello d’Oro quando gli uomini cacciatori allontanano il sonno dagli occhi e, fidenti nei cani, non dormono nella fine della notte, perché la luce dell’aurora fuggente non renda irriconoscìbili le tracce degli animali selvatici e l’odore ferino inclinando i raggi lucenti Apollonio Rodio, Le Argonautiche, 4, 109.. Ciò nonostante, essi sono immediatamente avvistati: ma già con gli occhi insonni li aveva visti il dragone. Nella lunetta soprastante la Porta della Vita del Battistero di Parma (portale sud) un drago fiammeggiante urla verso l’alto, minaccioso, in direzione di un giovane, il quale per nulla impressionato si delizia con miele d’arnia sulle rame superiori di un albero fronzuto. Due animali di media dimensione sono affaccendati a rodere le radici della pianta. A sinistra e a destra di questa, che è la scena centrale, stanno il carro del Sole e il carro della Luna. Si dice che l’autore del capolavoro, il maestro Benedetto Antelami, abbia voluto descrivere le seduzioni fallaci che nascondono all’uomo la sua dipendenza dal tempo ed il suo equilibrio precario sopra il drago infernale. Per il vero, attribuire al miele, che è l’alimento purissimo, la qualità di illècebra, pare di molto azzardoso. Semmai, qui, vale il contrario, cioè che il giovane ha vinto il drago, che per ciò rugge inferocito, e il servaggio del tempo, e si ciba di miele, risultato dell’Opera saggia e laboriosa con la quale le api rendono il polline dei fiori, nutriti dalla rugiada celeste, in prezioso liquido color dell'Oro. Egli è inerpicato non su di una pianta qualsiasi, ma sull’Albero Cosmico. Sopra l’Yggdrassill, il Frassino Universale, delle saghe scandinave. Che pone in collegamento gli Inferi con il Cielo. La scala di Giacobbe. Tu dormi. Il mostro veglia. E, quando è rimosso, si ripresenta celato in altre forme. Il drago, messo in fuga dalla vergine Margarita, si ripresenta sub specie di uomo. Nella realtà, epifanìa del diavolo. Si tratta di fenomeni differenti all’apparenza, uguali nella sostanza. La nostra pulzella non se ne lascia trarre in errore: Margherita allora lo prese per la testa, lo gettò a terra, pose il piede destro sulla cervice maledetta e disse: Demone orgoglioso, giaci ora sotto i piedi di una donna Jacopo da Varagine, Legenda aurea, Margherita.. E vive trionfatrice nella pietra, consegnata all’eternità. Drago e diavolo si equivalgono, se sia attribuita al secondo la valenza che rettamente gli compete, fatta palese dall’etimologia della parola. Il verbo greco , da cui diavolo, vale per numerose accezioni, riconducibili tutte al minimo comune denominatore costituito dall’azione del disunire. Che è l’esatto contrario del significato reso dal verbo , unisco. Il diavolo è, dunque, l’opposto del simbolo. Soltanto a queste condizioni l’equivalenza regge. Diversamente, attribuito al termine diavolo il senso depotenziato di male in chiave morale, anziché quello originario di limite ontologico, si frammette fra questo e il drago uno iato che non è. La desaturazione della parola diavolo può ascriversi alla pigrizia poco commendevole di un amanuense, che da captivus diaboli ridusse a captivus, ponendo così le premesse per chiamare cattivo chi invece è prigioniero (captivus) della disunione, quindi della dualità Perché non tradurre allora prigioniero della mela, visto che malum è anche mela, e date le speciali relazioni di questo frutto con il tempo-spazio?. Cattivo era l’Io incapace di superare i limiti a lui frapposti dal non-Io (ora cattivo è l’Io che non ottempera alle regolette proprie a questa o a quella conventicola) Il non-Io è l’oggetto contrapposto al soggetto. Obiectus sta per lanciato contro. Subiectus, che dovrebbe essere l’autore delle azioni, è niente meno che il .. sottoposto.. Se però t’imbatterai in un serpe addormito, avvoltolato alla base della spina, non t’illudere. Qui è l’energia universale, Kundalini, che ha da essere risvegliata - e non è facile -, se vuoi che ti risalga lungo la colonna, attraverso i sette chakra dischiusi. -18. Nigredo o melanosi o melancholia Nella Galleria Borghese, in Roma, è un bel dipinto del Lotto, conosciuto come Ritratto di gentiluomo. La tela (cm. 118 x 105) è ... invasa da un omone ben chiomato e barbato, che concede spazio, sopra la sua spalla destra, solo a un piccolo riquadro (finestra o dipinto). Nel quale, riesci a intravvedere san Giorgio che trapassa il drago e libera la principessa, sullo sfondo di un paesaggio finalmente colorato. Perché il resto è quasi tutto scuro. Scuro il cappello, scura la barba, scura la veste, scuri il muro retrostante e il tavolo sul quale poggia la mano destra Notano taluni che gli occhi del nostro gentiluomo sono melancònici e rappresentano l’insoddisfazione per il mancato conseguimento della perfezione agognata = nero +  = umore.. Fra il pollice inanellato (il Sé), e le altre quattro dita (fra le quali l’indice, l’Io) della mano destra, sono un minuscolo teschio e alcuni petali sfioriti. Leggiamo cosa ne scriverebbe il poeta di Recanati infilandosi i panni di quel gentiluomo: ... ed erba o foglia non si crolla al vento, e non onda incresparsi, e non cicala strider, né batter penna augello in ramo, né farfalla ronzar, né voce o moto da presso né da lunge odi né vedi. Tien quelle rive altissima quiete; ond’io quasi me stesso e il mondo obblio sedendo immoto; e già mi par che sciolte giaccian le membra mie, né spirto o senso più le commova, e lor quiete antica co’ silenzi del loco si confonda Giacomo Leopardi, La vita solitaria, 28.. La tìmida luce aperta sull’orizzonte, con i monti, gli alberi, la campagna, le strade e la città, all’apparenza estranea alla chiusa scena monotematica, pone necessari interrogativi sulla relazione temporale fra i due piani. Anche nella scena maggiore in atto è la morte. Forse, il Gentiluomo trentasettenne tratteggiato dallo stesso artista Galleria Doria, Roma. è anche più esplicito sotto il profilo considerato. Anch’egli veste di nero e domina la tela. Dietro di lui non si apre alcunché. Figurano solo, a un lato, un puttino alato che si sostiene con i piedi sui due piatti della stadera che egli medesimo impugna con ambo le mani; all’ altro, in mezzo a un serto vegetale, una targa marmorea: ANN AETATIS SVE XXXVII. Ebbene, il trentasettenne tiene una mano aperta sul petto e con l’indice e il pollice disgiunti dell’altra - in tutto si vedono sette dita - mostra che qualcosa sta accadendo nel suo interno: Signori silenzio, qui si compie un dramma. La tragedia che la voce cupa di Jim Morrison (capo storico del gruppo musicale dei Doors, le Porte, naturalmente dei Sensi) celebrava sopra le ultime note della indianeggiante canzone The end: - Father - Yes, son? - I want to kill you - Mother, I want to fuck you. Muore dentro di sé l’antiquario ritratto dal Bedoli Gerolamo Bedoli, Ritratto di antiquario, Parma, Galleria Nazionale., vestito di nero, lo sguardo perduto nel vuoto: gli occhiali sono posati sul tavolo (non servono all’introspezione), la mano destra stringe un guanto (una mano fantàsmica), la strozzatura della clessidra vaglia gli ultimi granelli di arena (la fine s’avvicina), i libri sono chiusi (qui non è più teoria per curiosi, ma pratica rischiosa), la coperta di un tomo porta impresso il disegno di un labirinto. Che nel mezzo reca la scritta EXI: esci, muori. Non è l’antiquario colui il quale si occupa di cose passate, morte? Dal colmo di una brocca, posta fra i libri, fuoriescono tre garofani: a sinistra un fiore in bocciolo, nel mezzo uno nel suo pieno vigore, a destra uno appassito. Sul vaso sono accennati tenui profili di donna che incedono nello stesso senso, ma tutte volgenti il guardo all’indietro. Nel centro dell’anfora sporge una placca con lo stigma di Giano bifronte. Una testa che guarda a occidente, una testa che guarda a oriente. A sinistra della borchia le lettere EC, a destra le lettere CE. Complessivamente ECCE, ecco. Le due sillabe, nelle quali risulta scomposta la parola, sono ciascuna palìndroma in confronto dell’altra. Sono speculari. A rifletterle è lo ianitor, che apre e chiude la porte Non può non rammentarsi, a questo punto, l’ineffabile porta di Marcel Duchamp (Porta: 11 rue Larrey), che ruotando sui cardini di novanta gradi insieme apre un vano e ne chiude un altro (apri e chiudi, solve et coagula).. Ciascuna di esse rimanda all’opposta, in un’eco senza fine. Che si allinea in un cerchio. Anche l’uomo melancònico immortalato secondo taluni da Antonio Allegri, detto il Correggio, ma più plausibilmente dall'allievo Francesco Mazzola (il Parmigianino), non esprime alcunché di differente Milano, Castello Sforzesco.. L’impianto assai sobrio della composizione vede, accanto all’usitata scurezza delle vesti e all’aria pensosa del protagonista (più lo si scruta, più ci si rafforza nel convincimento che egli non sta leggendo: le palpebre sono troppo serrate), una fitta boscaglia per fondale, nel quale corre un cèrvide. L’animale, la selva e i toni cupi dominanti, stanno a ricordare la stessa cosa. E consonanti, ancora, sono il copricapo, di una curiosa piattezza, uguale a un disco, e il libriccino semiaperto che si intermette fra il pollice e le altre dita della mano destra dell’uomo. Perché il primo ha la forma di un cerchio, e il secondo è venuto, attraverso il latino liber, dal greco , stillante, umido, tetro, nero. Ma non incomodiamo altri maghi del colore. Di Pinocchio in pancia a la balena, Collodi scrive: Quando ritornò in sé da quello sbigottimento, non sapeva raccapezzarsi, nemmeno lui, in che mondo si fosse. Intorno a sé c’era da ogni parte un gran buio: ma un buio così nero e profondo, che gli pareva di essere entrato col capo in un calamaio pieno d’inchiostro Carlo Lorenzini, Le avventure di Pinocchio, 34.. E’ il nero più nero del nero, nigrum nigrior nigro, di cui Giona fornisce altri dettagli nella invocazione lanciata dal ventre del pesce, da lui definito sceòl (inferno): Le acque mi avevano circondato fino al collo, l’abisso mi aveva avvolto; le alghe si erano attorcigliate al mio capo. Ero disceso alle radici delle montagne, in un paese sotterraneo e le sue spranghe mi avrebbero rinchiuso per sempre Giona, 2, 6.. E’ il nero della discesa nel maelstrom, al ritorno dalla quale il marinaio scampato testimonierà: I miei capelli che il giorno avanti erano neri come ala di corvo, erano diventati bianchi come li vedete ora Edgar Allan Poe, Una discesa nel maelstrom.. Sono il lucore imploso in Melencolia I di Albrecht Durer, rattenuto a forza e gelato, l’attitudine cogitabonda della Donna alata, il sembiante sonnacchioso del fanciullino, il torpore narcòtico del cane raggomitolato L’impiego della inconsueta forma Melencolia risponde alla volontà di segnalare, con i numeri dell’Opera (3, 4, 7), il risultato della stessa: LEO. Il segno I è da leggere come primo, l’avverbio latino che sta per innanzitutto: la prima fase dell’Opera.. Il sole non sfavilla, non è luce: And it’s in my heart, when we’re apart, and it stops and starts, and it’s in my heart every single day, it’s alaways in my way when I’m making hay ... Well it’s in my blood and it’s in my veins here it comes again, when I’m in the rain. In the wind and rain, when the sun doesn’t shine ... Van Morrison, Melancholia: Ed è nel mio cuore, quando siamo separati, e finisce e ricomincia, ed è nel mio cuore ogni singolo giorno, è sempre sulla mia via quando sto facendo fieno ... è nel mio sangue e nelle mie vene, èccola di nuovo, quando sono nella pioggia. Nel vento e nella pioggia, quando il sole non risplende.. La calata al fondo della vita implica l’uccisione della individualità (ascrivibile al padre fecondatore, ora rivale perché ostacolo all’incesto con la madre) e il matris ad gremium regressus. La discesa costituisce il ritorno alle tenebre degli Inferi, al Caos della Materia primordiale, all’Utero della Grande Madre per la dissoluzione. Salvìfica eccezionalmente per pochi. L’agguato è teso in tuo danno e difficilmente ne uscirai indenne. Proprio davanti all’entrata e nei primi passaggi dell’Orco il Pianto e le Inquietudini vendicatrici posero il giaciglio, e abitano i Morbi pallescenti e la triste Vecchiezza e la Paura e la Fame cattiva consigliera e l’ Indigenza dal viso deforme, e la Morte e la Pena ... Virgilio, Eneide, 6, 273.. Lì s’annidano e t’attendono il Sonno, le male Passioni, la Guerra, le Furie, la Discordia. E, ancora, Centauri e Scilla, Briareo e l’Idra di Lerna, la Chimera, le Arpie e le Gorgoni ... Li puoi osservare, immancabilmente, nella parte superiore sinistra delle ripetute versioni di Melencolia dipinte da Lucas Cranach, mentre si lanciano all’assalto Ad esempio, quella facente parte della collezione del conte di Crawford e Balcarres, o quelle che si ammirano a Colmar (Museum Interlinden) e a Copenahagen (Statens Museum for Kunst). . Ricordi che il principe Siddharta, udite celebrare le selve, volle uscire del palazzo? E che il re, padre amoroso, non potendo contrastarne il desiderio, comandò che dallo studiato percorso fosse eliminata ogni causa di turbamento, affinché non ne rimanesse vulnerata la mente tenera del figlio diletto? Il sommo re, baciato il figlio sul capo, contemplatolo a lungo con gli occhi pieni di lacrime, gli disse a voce di andare; ma per l’affetto in cuor suo lo tratteneva. Trepidava il sovrano nel guardare il principe imboccare per la prima volta la via, fuori della reggia, lontano dalle sue braccia avvolgenti e protettrici. Il giovane credette di essere rinato in cielo nel vedere la strada affollata da cittadini sobri e modesti e osannanti al suo passaggio. Ma scorse un vecchio lungo il cammino: Dimmi auriga, chi è quell’ individuo che si è avvicinato: ha i capelli candidi, la mano appoggiata a un bastone, gli occhi velati dalle sopracciglia, le membra tremule e ricurve! Che cos’è questo disastro? E’ la natura o è un caso? Pronto rispose il conduttore: Assassina della bellezza, rovina della forza, grembo del dolore, tomba del piacere, distruzione dei ricordi, nemica dei sensi: questa dalla quale è stato spezzato costui, si chiama vecchiezza. Subito dopo il principe notò un uomo malato: Quell’uomo dal ventre gonfio, col corpo scosso dall’ansare, con spalle e braccia cascanti e le membra emaciate e giallastre, che chiama pietosamente mamma e si appoggia ad un altro, chi è ? Il cocchiere, senza infingimenti, spiegò: O diletto, questa è la grandissima pena chiamata malattia ... comune a tutti è questa disgrazia. La gita venne fatta terminare precipitosamente dal re. Siddharta, di molto contristato, fece ritorno alla reggia. Ma trascorso qualche tempo, il giovane ebbe nuova occasione di ripercorrere le vie della città. E vide un morto che veniva trasportato. Chi è quello? Quattro uomini lo reggono, persone afflitte lo accompagnano e, benché sia pieno di ornamenti, lo piangono. L’auriga non esitò a rispondergli: Un uomo abbandonato da intelletto, sensi, soffio vitale e qualità, addormentato senza coscienza, divenuto come paglia o legno; ... per tutte le creature questo è l’atto finale; inevitabile è in questo mondo la distruzione per ciascuno, sia egli infimo, mediano o eccelso Asvaghosa, Buddhacarita, 3. Le citazioni dell’opera sono tratte dall’edizione Adelphi (a cura di Alessandro Passi).. Quegli che sarebbe diventato il Buddho, lo Svegliato, non ebbe bisogno d’altro per lasciare il padre e la madre e la moglie e gli agi tutti della vita che fino ad allora aveva vissuto. Bastò la scoperta del turbamento. -19. Il sale Bisogna sciogliere, dissolvere, slegare, scomporre, liquefare il sale che cristallizza, conchiude e imprigiona. Sopprimere l’aquila del rimorso che morde il fegato a Prometeo, il quale si spaurì del suo atto di potenza. Ti sarà mai accaduto di chiederti di dove venga l’espressione restare di sale, rimanere di sale, usata per comunicare la subitanea immobilizza- zione dopo lo stupore o l’emozione violenta? L’opinione più autorevole individua l’origine della locuzione nell’episodio della moglie di Lot, enarrato dal Genesi: Quando apparve l’alba, gli angeli fecero premura a Lot, dicendo: Su, prendi tua moglie e le tue due figliole qui presenti ed esci per non essere travolto nel castigo della città. Lot indugiava, onde gli uomini presero per mano lui, sua moglie e le sue due figlie, per un atto di misericordia del Signore verso di lui, lo fecero uscire e lo condussero fuori della città. Ora, quando li ebbero fatti uscire fuori, uno di essi disse: Fuggi! Si tratta della tua vita! Non guardare indietro e non fermarti nell’ambito della valle Genesi, 19, 15.. All’alba Lot e i familiari giungono a Zoar (il toponimo vuole dire luce). Allora il Signore fece piovere sopra Sodoma e Gomorra zolfo e fuoco, proveniente dal Signore, dal cielo. Distrusse queste città e tutta la valle con tutti gli abitanti della città e la vegetazione del suolo. Ora la moglie di Lot contemplò da dietro di lui e divenne una colonna di sale Genesi, 19, 24.. La donna fatta statua è quella figurina argentea che compare nella parte alta destra del capolavoro Lot e le sue figlie di Cranach il vecchio. Una minuscola concrezione sulla soglia di quella che le nuvole e i vapori del Solfo sembrano disegnare come una grotta fiammeggiante New York, Collezione privata. Vedi anche l’analogo Lot fugge da Sodoma con la propria famiglia, di Albrecht Durer, conservato nella National Gallery of Art di Washington.. Sorge spontaneo il collegamento con la favola di Orfeo e della moglie Euridice. E con i versi sublimi del poeta delle metamorfosi che la cantano. Sappiamo che Euridice morì per il morso di un serpe a un tallone. Lo sposo tentò la via dell’oltretomba per riconquistarla alla vita. Armato della sua lira prodigiosa, che animava i sassi, Orfeo mosse a pietà anche i signori dell’Inferno, Ade e Persefone, i quali non ebbero cuore di opporre un rifiuto. Orfeo del Ròdope prese insieme lei e l’ordine di non volgere indietro gli occhi, finché non fosse uscito dalla valle dell’Averno, pena la revoca della grazia Ovidio, Metamorfosi, 10, 50.. Si inizia la risalita alla luce, si inizia il cammino adclivis, arduus, obscurus, caligine densus opaca; il cammino per muta silentia. Il margine della superficie è quasi conquiso, ma il cantore innamorato, temendo che la moglie scomparisse, bramoso di riguardarla, si gira: e subito ella scivolò all’indietro e tendendo le braccia, nel cercare di essere afferrata e di afferrare, nulla strinse infelice se non aria fuggente Ovidio, Metamorfosi, 10, 57.. Non diversamente nelle Georgiche leggi che Orfeo, immemore, si volta verso Euridice: i patti concertati nell’abisso s’infrangono Virgilio, Georgiche, 4, 494.. Qui la mancanza di fiducia, per essere stati un tempo ingannati. Il rimpianto là, per le antiche certezze lasciate alle spalle a fronte dell’ignoto, del nuovo, del futuro. I’ve built walls, a fortress deep and mighty, that none may penetrate. I have no need of friendship; Friendship causes pain. It’s laughter and it’s loving I disdain, cantavano i menestrelli Simon & Garfunkel negli anni ’70 Il testo della canzone è di Paul Simon.: ho eretto mura, una fortezza profonda e possente, che nessuno può penetrare. Non ho bisogno di amicizia; l’amicizia provoca dolore. Sono le risa e gli affetti che io disprezzo. L’io narrante (o cantante) non vuol sentir discorrere d’amore: è una parola che ho già ascoltato, ma dorme nella mia memoria. Non disturberò il sonno di sentimenti morti. Se non avessi amato, non avrei mai pianto Paul Simon: Don’t talk of love; but I’ve heard the word before; it’s sleeping in my memory. I won’t disturb the slumber of feelings that have died. If I never loved, I never would have cried. . A proteggerlo sono i libri e la poesia. Il carapace e la sua stanza. E’ sicuro solo nel suo utero (safe within my womb). Non tocca chicchessia e non è toccato da alcuno (I touch no one and no one touches me). E nel ritornello che sublima i suoi .. legacci confessoriamente si paragona alla pietra e all’isola: I am a rock, I am an island. Perché la roccia non soffre e l’isola non piange. Bisogna sciogliere, sciogliere, sciogliere. Svolgere il filo che, come Arianna-Ragno, abbiamo intessuto tutto attorno a noi imbozzolandoci, scovare il mostro, finalmente misurarci con lui e ucciderlo. Ma un lucìgnolo, fioco fioco, deve persistere pur sempre nel labirinto, nell’oscurità, nel mare universale del divenire. Non troppo. Né manco troppo poco. Secondo l’antica scienza delle bilance. Nell’Ade si entra con un ramoscello d’oro. Le parole della Sibilla sono chiare: Nascosto in un albero fitto sta un ramo d’oro e nelle foglie e nel fusto flessibile, consacrato a Proserpina; tutta la selva lo copre e le ombre lo chiudono dalle oscure convalli. Ma a nessuno è dato di scendere nei segreti recessi della terra, se prima non abbia staccato dalla pianta l’aureo germoglio Virgilio, Eneide, 6, 134.. Enea lo configgerà infine sulla porta dei Campi Elisi. In mano all'uomo dal sembiante intenso pennellato dal ferrarese Dosso Dossi Wichita Center for the Arts, Collezione Samuel H. Kress. , che va a infoltire la nostra collezione di gentiluomini dall’ umore saturnino, stringe in mano un rametto d’alloro: laurum, l’aurum, l’oro. Abbiamo tutti letto che, nell’Inferno, Dante elegge a suo duce il poeta mantovano perché questi era un magio, e già aveva descritto il regno di Plutone. Perché non aggiungere che in latino virgilium è la piccola verga di legno, la bacchetta? E che Virgilio era un poeta laureatus? L’Alighieri incomincia il suo cammino iniziatico in una selva oscura Al riguardo è d’uopo rimarcare che, se  è a un tempo il legno, la foresta, e la materia prima, non si tratta d’un caso. (per concluderlo in una Rosa). La verga d’oro che lo scorterà per tutto il primo tratto è lo stesso Virgilio. Nome che contiene in sé la radice di verde, né più né meno delle parole vir, virga, virgo, viridis, virens . E pure virus, il veleno. Ma se il verde è il colore che introduce il bianco nella successione naturale delle fasi del Magistero, esso può rappresentare anche l’acerbità, l’ inconsistenza di risultati precoci, solo apparenti. In realtà esiziali. Cino da Pistoia, accorato per le sorti dell’Opera appena intrapresa, invoca Dante: Io c’ho provato po’ come disdice, / quando vede imbastito lo suo dardo, / ciò che promette, a morte mi do tardo, / ch’io non potrò contraffar la fenice ... Che farò, Dante? ch’Amor pur m’invita, / e d’altra parte il tremor mi disperde / che peggio de lo scur non mi sia ‘l verde. La paura del verde, della ultimazione immatura dell’Opera al nero, suona più che fondata. La risposta del Maestro puntualizza: I’ho veduto già senza radice legno dare fronde. Ma frutto no, perché ‘l contradice natura. Un tronco tagliato può generare fronde, non anche frutti. Giovane donna a cotal guisa verde talor per gli occhi sì a dentro è gita che tardi poi è stata la partita. Periglio è grande in donna sì vestita: però l’affronto de la gente verde parmi che la tua caccia non seguer de’ Dante, Rime, 95.. Il rischio si profila elevato. Se alla morte non sopravvive un barlume di personalità, comparirà il Leone verde. Facilis descensus Averno; noctes atque dies patet atri ianua Ditis; sed revocare gradum superasque evadere ad auras, hoc opus, hic labor est: la discesa all’Averno è facile; notte e giorno è aperta la porta de la nera Dite; ma cambiare direzione e tornare in alto, questa è l’opera, questa è la fatica Virgilio, Eneide, 6, 126.. Della sua iniziazione Lucio, liberato infine dalla cattività asinina Vale la pena di ricordare che anche Pinocchio fu trasformato in asino (Carlo Lorenzini, Le avventure di Pinocchio, 32), e che la principessina perseguitata dal padre, che voleva farla sposare, si camuffò sotto la pelle di questa bestia (Charles Perrault, I racconti di Mamma l’Oca, Pelle d’Asino). , conta: Arrivai al confine della morte, e calcata la soglia di Proserpina, ne feci ritorno trasportato attraverso tutti gli elementi; nel mezzo della notte vidi il Sole sfavillante di luce candida; giunsi alla presenza degli dèi inferi e degli dèi superi e li adorai da vicino. Ecco ti ho riferito cose che, anche se udite, è necessario che tuttavia le ignori Apuleio, Le metamorfosi, 11, 23.. Impossibile a chi si abbandoni senza le qualità (ormai acquisite dal nostro Lucio, futuro sacerdote di Iside) a forme di coscienza larvale non smarrirsi nei meandri mefìtici e senza ritorno dello psichismo e della medianità: Ma sedendo e mirando, interminati spazi di là da quella, e sovrumani silenzi, e profondissima quiete io nel pensier mi fingo; ove per poco il cor non si spaura. E come il vento odo stormir tra queste piante, io quello infinito silenzio a questa voce vo comparando: e mi sovvien l’eterno, e le morte stagioni, e la presente e viva, e il suon di lei. Così tra questa immensità s’annega il pensier mio: e il naufragar m’è dolce in questo mare Giacomo Leopardi, L’infinito, 4. . Quella del nostro infelice poeta non è la discesa del marinaio reduce dal Maelstrom. E’ un naufragio definitivo. Dolce, ma irremeabile. Parimenti, in senso contrario, sono affatto inutili gli sforzi - autentici vaneggiamenti - di colui il quale non sappia deporre per sempre, dietro di sé, l’Io legato alla corporeità. Il Leone rosso farà tosto riecheggiare per ogni dove il suo ruggito minaccioso e coagulante. E il Solfo permarrà impuro, avvoltolato nella lebbra del galeno. Solo due esseri, espose il Buddho, non s’atterriscono allo scoppio improvviso d’un tuono: l’elefante e l’asceta. Peraltro, se questo mantiene la sua imperturbabilità per avere superato l’ intossicazione dell’Io, quello la conserva per avere cresciuto un Io forte e potente in contrapposizione al non Io Anguttara-nikayo, 2, 46.. Che ringhioso darà battaglia senza tregua e senza risparmio di colpi. -20. Il quaternario Santa Margherita, la vergine martire di Antiochia, vince il drago facendo il segno della croce. Con la mera evocazione degli elementi elementanti che presiedono alla manifestazione. Dei quali la croce costituisce l’emblema più dràstico ed essenziale. Narra la leggenda che, dopo l’Ascensione di Gesù, gli infedeli imbarcarono Marta, la sorella Maddalena, il fratello Lazzaro e Massimino, il quale li aveva battezzati, su uno scafo senza vele e senza remi, abbando- nandoli alla sorte. Il vasello approdò miracolosamente a Marsiglia. In quei tempi, sulle rive del Ròdano, in una foresta tra Arles e Avignone, viveva un drago mezzo mammìfero e mezzo pesce, che faceva naufragare le navi e ne sterminava i passeggeri. Generato da un leviatano, serpente d’acqua, e dal terribile onaco, animale che brucia come il fuoco tutto ciò che tocca. Convinta dalle preci della popolazione, Marta affrontò il mostro: lo asperse d’acqua benedetta e gli ostense la croce. Il drago, che aveva nome Tarasca Dal greco  = confusione, agitazione., divenne mansueto quale agnello: la santa lo legò con la sua cintura. La gente, poi, l’uccise a colpi di pietra aguzza e di lancia. Da allora la località si chiama Tarascona. La santa, che vinse il Caos primigenio con la croce, traeva nome da ... Marte. Michele, sopra la porta centrale della basilica omonima in Pavia, come sopra il portale meridionale del Duomo di Julia Fidentia (il braccio destro dell’arcangelo non è più intero, ma sembrerebbe disarmato ab origine), non brandisce il gladio o la lancia marziane, bensì una croce. In alto alle cupole delle cattedrali sfòlgora la sfera (ma in pianta è una circonferenza) sormontata dalla croce. Tifone è sopraffatto dal giogo quadruplice dei venti cospiranti dai punti cardinali. Dal soffio infocato dell’Euro, dal soffio gelato di Borea, da Zèffiro primaverile e da Noto Cfr. Nonno di Panopoli, Le Dionisiache, 2, 524.. In Melencolia I di Albrecht Durer il quaternario è onnipresente. Perché quattro sono gli oggetti che vedi sull’athanor (bilancia, campana, clessidra, quadrato magico); quattro i lati dell’athanor; quattro i soggetti animati (donna alata, cane, puttino e grignàppola); quattro le cose che la donna ha su di sé (compasso, mazzo di chiavi, borsa e libro); quattro i chiodi sparpagliati sul suolo; quattro le facce visibili della pietra poliedrica destinata a convertirsi in sfera; quattro le righe e le colonne del quadrato (che ha quattro lati) magico di Giove E’ Giove (Zeus) a subentrare a Saturno (Crono). Lo segnalano il quadrato magico e l’arcobaleno ancora annerito, nel quale esploderanno i colori della coda del pavone. E’ Giove a dipingere farfalle, mentre nel cielo sfolgora l’arcobaleno, nella bella tela del Dossi (Vienna, Kunsthistorisches Museum). . Nel quale compaiono i primi sedici numeri (4 x 4), distribuiti in modo tale che la somma dei numeri di ogni riga, così come di ogni colonna, dà il risultato di 34, cioè aritmosoficamente di 3 + 4 = 7 La stessa cifra è data dalla somma dei numeri inseriti nelle diagonali, di quelli disposti ai quattro angoli e dei quattro numeri più centrali.. La cifra misteriosa dell’incarnazione, della discesa del ternario divino nel quaternario della materia. Anche nella Melanconia del Mantegna, andata perduta, ma della quale si hanno attendibili testimonianze letterarie, erano raffigurati sedici putti sonanti e danzanti: il numero delle caselle della mensula Iovis. Se non cadiamo in errore, fu Raimondo Lullo a scrivere che il drago nasce dai quattro elementi confusi. Il che non ha da essere interpretato alla lettera, ma nel senso che si tratta di una natura unica, che però possiede le proprietà di Terra, Acqua, Aria e Fuoco. E, ancora, che questo mostro non muore che attraverso la sua dissoluzione o quando il suo tossico geme dalla ferita atra. Il Fuoco (Marco, Leone) sale, ed è quindi il tratto superiore del braccio verticale della croce. L’Acqua (Matteo, Uomo) discende: viene significata dalla parte inferiore del medesimo braccio. L’Aria (Giovanni, Aquila) arresta l’ascesa del Fuoco, così come la Terra (Luca, Toro) arresta la caduta dell’Acqua: esse sono i due tratti orizzontali della croce. Disegna il simbolo della relazione fra microcosmo e macrocosmo, l’esagramma formato da due triangoli equilateri speculari che si intersecano: il triangolo con il vertice in alto è il Fuoco e quello con il vertice in basso è l’Acqua. Hai segnato il sigillo di Salomone, che si legge nel rizoma sezionato del Polygonatum odoratum. Il primo triangolo, tagliato da una linea orizzontale parallela e soprastante alla base (che è data dalla base del triangolo contrapposto), è l’Aria. La linea indica la sincope dell’ascesa del Fuoco. Il secondo triangolo, tagliato da una linea orizzontale parallela e sottostante alla base (che è data dalla base del primo triangolo), è la Terra. La linea mostra la sìncope della caduta dell’Acqua. Nulla di quanto i nostri occhi vedono è privo di Fuoco, nulla di ciò che tocchiamo è privo di Terra. Per ciò il dio fece il corpo dell’universo con fuoco e terra quando incominciò a crearlo Cfr. Platone, Timeo, 7I.. Ma servivano anche gli altri due elementi. Poiché era opportuno che il mondo fosse solido e i solidi sono legati non da una, ma da due medietà, il dio, collocate acqua ed aria tra fuoco e terra, e combinate queste cose, per quanto possibile, nella medesima proporzione, in modo che il fuoco stesse all’aria come l’aria all’acqua, e l’aria all’acqua come l’acqua alla terra ... per queste ragioni e con tali quattro elementi fu creato il corpo del mondo ... Platone, Timeo, 7.. Agli iddii da lui creati il Demiurgo commise di plasmare corpi mortali. Egli ne preparò il seme e lo somministrò agli dèi; questi, tessendo il mortale con l’immortale, generarono i viventi e, nutrendoli, li fecero vivere e li accolsero novamente dopo morti Cfr. Platone, Timeo, 13.. Alla generazione fu provveduto per mezzo dei quattro elementi. Particelle di fuoco e di terra e d’acqua e d’aria furono prese in prestito dagli dèi, a imitazione del Padre, e assiemate in un tutto, non con quei vincoli indissolubili dai quali essi stessi erano avvinti, bensì con chiodi piccolissimi, tali da non poter essere visti Platone, Timeo, 15.. Dunque, come fu creato il macrocosmo, così è stato creato il microcosmo: E’ vero, senza menzogna, certo e verissimo: ciò che è in basso è come ciò che è in alto, e ciò che è in alto è come ciò che è in basso per fare i miracoli della cosa una Tabula smaragdina.. I quattro cavalli che trainano il carro di Mitra verso il Sole sono gli elementi elementanti. Che Maestro Benedetto Antelami bene distingue nel Battistero di Parma, laddove aggioga due cavalli al carro del Sole (Fuoco e Aria) e due tori al carro della Luna (Terra e Acqua). O, sulla facciata del Duomo di Julia Fidentia, nella quale Elia è rapito al Cielo da una biga tirata da un paio di cavalli, ciascuno dei quali riunisce in sé due elementi (nel sarcofago di Stilicone, in sant’Ambrogio Milano., al carro di Elia, altri hanno avvinto come d’ordinario quattro cavalli). Anche i Padri della Chiesa sono gli elementi elementanti: Gerolamo è l’Acqua, Ambrogio la Terra, Agostino l’Aria e Gregorio il Fuoco I dettagli della Cappella Cavalcabò nella chiesa di sant’Agostino in Cremona sono precisi. Così come li lesse anche Andrea Mainardi, detto il Chiaveghino, dipingendo il Torchio mistico posto dietro l’altare.. Dall’unione del principio virile, attivo (linea verticale, yang, Cielo, Sole), e del principio femminino, passivo (linea orizzontale, ying, Terra, Luna) ha origine la croce, il Figlio dell’Uomo: il Solfo e il Mercurio generano il Sale. E il Figlio dell’Uomo porta con sé la sua croce, come una chiocciola trascina il guscio: ... godevamo di quelle visioni perfette, semplici, calme, felici, in una luce pura, puri noi stessi e non sepolti in questa tomba che chiamiamo corpo e che trasciniamo con noi, imprigionati in esso, come ostriche nel proprio guscio Platone, Fedro, 30.. Se non sai che sia la Lingua degli Uccelli, eccoti un verso di Francesco da Barberino: Donne cosa, donne rosa. Che meglio sarebbe da leggere come non è scritto, cioè d’onne cosa donn’è rosa: d’ogni cosa è signora (domina, donna) la Rosa. Ebbene, Arìstocle (meglio noto con il nome di Platone per la latitudine delle sue spalle, altro che filosofucci rifiniti sui libri!), maestro anche nella lingua degli uccelli, nel Cràtilo semina perle nel dire intorno agli ètimi di alcune parole. Della parola corpo (soma) dice: Alcuni lo intendono come sema tomba dell’anima, in quanto v’è sepolta durante la vita terrena; e perché d’altronde l’anima per mezzo del corpo semainei, significa ciò che vuol significare, esso è giustamente denominato sema nel senso di segno. Senonché io son d’avviso che il nome glielo abbiano posto Orfeo e i suoi seguaci, in quanto l’anima vi espia que’ peccati che deve espiare, ed abbia quest’involucro, immagine d’un carcere, affinché sòzetai, si salvi; onde sia per l’anima, fino a che non abbia pagato il suo debito, appunto quello da cui prende nome, un soma, un mezzo di salvamento; e non c’è bisogno di mutarvi nulla, nemmeno una lettera Platone, Cratilo, 17.. Il Figlio dell’Uomo è confitto nella croce della Materia. E da essa deve redimersi. Con la Passione. Per la quale è deputato il cranio (òcciput, calvaria). San Gerolamo, nella silografia di Albrecht Durer, il quale tanto apprezzava gli scritti dell’abate Tritemio, insegna senza infingimenti quale sia il vas electionis Lisbona, Museu Nacional de Arte Antiga.. Così come la Melencolia del medesimo genio, che si tiene la testa fra le mani. E quella, posteriore, del nostro Antonio Fetti Venezia, Gallerie dell’Accademia.. Lì deve compiersi la reductio ad unum, l’unità del tetramorfo La riunione del pollice alle altre quattro dita., la coincidentia oppositorum. La quale reca alla fioritura della Rosa, la quintessenza, in mezzo alla croce. -21. La pietra preziosa Abramo il patriarca, ossia il primo padre, ebbe forse figli nati della pietra, secondo dice il Battista: Vedendo però molti farisei e sadducei venire al suo battesimo, disse loro: Razza di vipere! Chi vi ha suggerito di sottrarvi all’ira imminente? Fate dunque frutti degni di conversione, e non crediate di poter dire fra voi: Abbiamo Abramo per padre. Vi dico che Dio può far sorgere figli di Abramo da queste pietre Matteo, 3, 7.. La conversione di pietra in uomo è possibilità riecheggiata anche nei miti dei Greci antichi. Deucalione e Pirra, superstiti unici al diluvio universale, implorano aiuto al sacro oracolo di Temi. La dea si commosse e diede il responso: Allontanatevi dal tempio e coprite il capo e slacciate le vesti, e gettate dietro le spalle le ossa della grande madre Ovidio, Metamorfosi, 1, 381.. Il vaticinio, lungi dal sostentare i due sposi sopravvissuti alle acque, li accascia e li avvilisce. Finché Deucalione, figlio di Prometeo, azzarda: O la nostra sollecitudine è eccessiva o il responso non è empio e non ci esorta ad alcun sacrilegio. La grande madre è la terra; credo che ossa siano dette le pietre nel corpo della terra; queste siamo invitati a lanciare dietro le nostre spalle Ovidio, Metamorfosi, 1, 391.. Provare non costa nulla. E così dunque s’incamminano e velano il capo e sciolgono le vesti, e scagliano sassi sulle proprie orme, come suggerito. Le pietre - chi lo crederebbe se non ne fosse testimone la tradizione antica? - cominciarono a perdere la loro durezza e il loro rigore, ad ammollarsi poco per volta e, ammollate, a prendere forma ... Ovidio, Metamorfosi, 1, 398.. Mitra nasce della roccia nel solstizio d’inverno. Fuoriesce dalla pietra della volta celeste Un buon esemplare può essere ammirato nel Museo di Deva (Romania)., rappresentata dalla copertura degli ipogei deputati al suo culto. Fuori del mondo della manifestazione. Fuori della caverna còsmica. Perché solo così può reggere l’asse dell’Universo e governare la precessio- ne degli equinozi. La quale segna la fine dell’età del Toro, che il dio sacrifica comandato dal Sole. Il Toro muore. S’inizia l’età dell’Ariete, Aries. Di poi sarà l’Agnello ad essere sacrificato. Quindi, il Pesce o  = .Christus passus, piscis assus. Quando disse ai Giudei distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere, Gesù non si riferiva al tempio di Salomone ricostruito in quarantasei anni. Parlava del tempio del suo corpo Giovanni, 2, 19.. I discepoli se ne ricordarono dopo che Egli fu risuscitato dai morti. Paolo scrive ai Corinzi: Non sapete che siete tempio di Dio e che lo spirito di Dio abita in voi? Se uno distrugge il tempio di Dio, Dio distruggerà lui. Perché è santo il tempio di Dio, che siete voi Paolo, 1Cor., 3. ... O non sapete che il vostro corpo è santuario dello Spirito Santo che è in voi, che avete da Dio e che non appartiene a voi stessi Paolo, 1Cor., 6.? E ancora: noi siamo il tempio del Dio vivente Paolo, 2Cor., 6.. La pietra è l’uomo, è la casa di Dio. Giacobbe partì da Bersabea e si diresse verso Carran. Capitò allora in un certo luogo, dove si fermò per pernottare, perché il sole era tramontato; prese una pietra, se la pose come cuscino del suo capo e si coricò in quel luogo. E sognò di vedere una rampa che poggiava sulla terra, mentre la sua cima raggiungeva il cielo; ed ecco gli angeli di Dio salivano e scendevano per essa. Ed ecco il Signore gli stava davanti ... Allora Giacobbe si svegliò dal suo sonno e disse: Veramente c’è il Signore in questo luogo e io non lo sapevo! Ebbe paura e disse: Come è terribile questo luogo! Questa è nientemeno che la casa di Dio e la porta del cielo Genesi, 28, 10.. La pietra è una porta che può essere aperta verso il Cielo. Perché di lì è venuta. Come Benben, la pietra piramidale conservata nel centro del tempio di Eliòpoli. In cima a una colonna. S’ammolla, s’ammorbidisce la pietra con il Fuoco dell’Amore, come nella mano di Gerolamo penitente. Il grande padre, padrone delle lingue, ha con sé il Leone che liberò dalla spina infettante e che lo segue dappertutto. Nei pressi del venerabile è il galero rosso, copricapo di cardinale. La clessidra, la zucca (cucurbita), i dizionari, la scrivania, il teschio. E, ancora, se fuori dello studio, nel deserto, sono la lucertola e lo scorpione e il crocifisso. Talora appare gialliccio Gerolamo. Quasi itterico. E nel pugno stringe un sasso Vedi, ad esempio, il Girolamo penitente di Cranach il vecchio al Kunsthistorisches Museum di Vienna.. Il Fuoco dell’Amore plasma quel sasso, lo fonde, lo modella. Finché il minerale rozzamente sfaccettato, che figura nella Melencolia del Durer, diventa la sfera perfetta delle cromatiche Melencolie del suo connazionale Lucas Cranach. Il bètilo, sasso caduto dal Cielo, è Beth el, la casa di Dio. Betlemme, Beth lehem, è la casa di pane. Anche il pane, come la pietra preziosa, è il frutto dell’Opera, di un lungo martirio della materia (spiga). Come il vino costituisce la palma per l’uva martirizzata. Gesù, pieno di Spirito Santo, si allontanò dal Giordano e fu condotto dallo Spirito nel deserto dove, per quaranta giorni, fu tentato dal diavolo. Non mangiò nulla in quei giorni; ma quando furono terminati ebbe fame. Allora il diavolo gli disse: Se tu sei Figlio di Dio, di’ a questa pietra che diventi pane Luca, 4, 1.. Saturno-Crono divorava i suoi figli, edotto del fatto che sarebbe stato spodestato da uno di loro. Rea esacerbata, incinta infine di Giove, si determinò a ingannare il marito e gli diede a ingoiare una pietra in fasce al pari di un neonato Cfr. Esiodo, Teogonia, 485, e Apollodoro, Biblioteca, 1, 1, 7.. Che il figlio Zeus, il quale castrò il genitore, così come Crono aveva evirato suo padre Urano, gli fece in seguito vomitare insieme con i suoi fratelli. Elaborata, imbianchita. Giovanni, riportando quello che comunica lo Spirito alle sette ... chiese, scrive: ... al vittorioso farò mangiare la manna nascosta e gli darò un sassolino bianco, sul quale c’è scritto un nome nuovo, che nessuno conosce se non lo riceve Apocalissi, 2, 17.. La pulzella, santa e màrtire, che soggioga il drago nello stìpite sinistro della porta meridionale del Duomo di Como, si chiama Margherita. Il latino conosce il nome proprio di persona Margarita fin dai primi secoli dell’era cristiana. Esso proviene del nome comune margarita, che sta per perla, pietra preziosa. A sua volta disceso dal greco (e maschile) (perla). Ma anche i Greci non erano che mediatori, giacché essi stessi avevano primieramente conosciuto le perle nei loro traffici con le genti dell’oceano indiano. E’ dall’oriente, come il Sole, che viene la parola. Passata, ma solo nel secolo XII, a contrassegnare anche il fiore chiamato Chrysanthemum leucanthemum, che è il fiore bianco fiore d’oro (non è un caso, delle Composite). Dante Alighieri pare prediligere la parola margherita con che, nel Canto 6 del Paradiso, celebra Romeo insieme condannando l’inumano sterminio dei Catari perpetrato da Petra: E dentro a la presente margarita luce la luce di Romeo, di cui fu l’ovra grande e bella mal gradita. Ma i Provenzai che fecer contra lui non han riso Dante Alighieri, Paradiso, 6, 127.. Vergognosissima quanto la strage proditoria e dissennata in danno dei Cavalieri del Tempio: Veggio il nuovo Pilato sì crudele, che ciò nol sazia, ma sanza decreto porta nel Tempio le cupide vele. O Signor mio, quando sarò io lieto a veder la vendetta che, nascosa, fa dolce l’ira nel tuo secreto Dante Alighieri, Purgatorio, 20, 91. ? Secondo la tradizione orientale, è il lampo che colpisce l’ostrica a generare la perla. Frutto dell’unione del Fuoco e dell’Acqua. Che il Savonarola conclama in questi versi: Idio ti salvi, Croce, la quale se’ stata piena di margarite, cioè delle membra del mio Signore. Carl Gustav Jung bene spiegò di Mercurio che sta all’inizio e alla fine dell’opera; è la prima materia, il caput corvi, la nigredo; come drago divora se stesso, e come drago muore per risorgere come Lapis C.G. Jung, Psicologia e Alchìmia.. Dal cerchio al quadrato, poi di nuovo dal quadrato al cerchio. Ciò che sta sopra è come ciò che sta in basso. Lucifero e Michele in Lotto sono la medesima espressione in due fasi differenti. Lucifero diventa Michele, ritorna arcangelo Allo studioso non sfugge che nella già citata opera del Dossi, nello sfondo, dietro a Giove che dipinge farfalle, campeggia un’erba ombrellifera, e precisamente l’Angelica Arcangelica.. Il drago vinto e transformato è ora Margherita, la Pietra preziosa. Allor vedrai fuggir la notte obscura / Et ritornar lo sole lucente et bello / Con molti fiori ornato in sua figura. / Questa è la preta ... Cecco d’Ascoli,Chi solvere non sa né assottigliare, 12.. Come verseggiò Guido Guinizzelli nella Canzone Al cor gentil rempaira sempre Amore, Manifesto dei Fedeli del dio d’Amore, con le stesse parole impiegate nel gergo dei poeti mistici di Persia, Foco d’amore in gentil core s’apprende, / come vertute in petra pretiosa / che da stella valor non discende / anzi che ‘l sol la faccia gentil cosa. Guido Guinizzelli, Al cor gentil rempaia sempre amore, 11. -22. Il drago nella pietra Dal vaso di Giovanni, l’Evangelista (sempre lui), s’affaccia di tanto in tanto un dracunculus, un dragoncello. Nettissimo nella tela di Domenico Theotocòpulos, detto el Greco, che si conserva nell’omonimo museo di Toledo. Ne sono evidenti la coda eretta e attorta, le ali aperte, il lungo collo e la testa Un’opera analoga dello stesso autore si trova nel Prado di Madrid.. Per soprammercato, l’apostolo che, poco più di un bambino, come lo raffigura il Durer, posò il capo sul petto di Gesù, richiama l’attenzione dello scrutatore sulla creatura con un inequivoco gesto della mano sinistra. Nel dipinto del Fetti, invece, a pena si intravvedono riflessi vanenti di spire Antonio Fetti, san Giovanni evangelista, Mantova, Palazzo ducale.. Come in quello di Antonello da Messina, da poco ritrovato sotto le croste di una ridipintura settecentesca. Nella triade di sant’Anna del Ferdinandeum, il gruppo centrale costituito dalla Gran Madre Anna in trono con Maria e bambino, scrìmina la Chiesa romana, la petra secondo i Fedeli del dio d’Amore Petra, anagramma di ept ar = sette colli, fu anche l’ultimo nome segreto di Roma., rappresentata dai guardiani Simone-Kefa-Pietro con la chiave e Paolo con lo spadone, dai magici Boanèrghes, Figli del Tuono: Giacomo, il vincitore di Ermete, e Giovanni, l’apostolo visionario dell’Amore, dipinti al lato opposto Maestro degli Absburgo, Innsbruck, Ferdinandeum.. Giovanni mostra con il dito il frutto misconosciuto della Gnosi, che s’attorciglia sull’orlo del calice da lui sorretto. I rettili diventano addirittura cinque nell’ineffabile Agnello mistico dei Van Eyck Gand, chiesa di san Bavone.. Un Evangelista andrògino e trasfigurato, che pare scolpito a tutto tondo più che pennellato, li ostende benedicente nella sua coppa. Scendi un poco di latitudine, fino a giungere in Italia: la discrezione e la cautela si fanno massime. A Matèlica, in provincia di Macerata, nella chiesa del santo Agostino, è un quadro di autore ignoto, per alcuni versi non comune. Per semplificare: il Cristo in mezzo a un tino ricolmo di uve, schiacciato insieme con la croce - cui è confitto per le sole braccia - da un torchio azionato dal Padre, zampilla sangue dalle cinque piaghe. Il sangue si mescola al sugo dei grappoli che Egli, pressato, preme a sua volta con i piedi. Due angeli raccolgono in un calice la liquida mistura colante dalla base del tino. Sulla destra sta la Vergine, trafitta nel petto da una spada. Sulla sinistra due uomini ginocchioni. Il primo dei quali, come fatto palese dal vestimento e dal lungo bordone in forma di croce, è il Battista. L’altro tiene un vaso nella mano, alla sommità del quale puoi riconoscere, ma solo aguzzando gli occhi, il capo di un piccolo òfide. E’ Giovanni Evangelista. Nel disegno del Rebis, che illustra il Rosarium Philosophorum di Amsterdam, i serpenti nel calice sono tre. Dopo il martirio, di operazione in operazione, di fase in fase, la Materia è redenta. La vedi, infine, nella Fontana della giovinezza, affrescata sulle pareti del castello della Manta (Cuneo): vecchi, uomini e donne, vi si bagnano e ne escono ringiovaniti. Nell’opera omologa di Cranach il Vecchio Gemaeldegalerie, Berlin-Dahlem. Non suona superfluo rammentare che Cranach il vecchio siglò più di un’opera per mezzo di un draghetto stilizzato, che altro non era se non lo stemma di Federico il Saggio Elettore di Sassonia, il quale gliene aveva concesso l’uso. sono solo donne a immergersi nella vasca miracolosa. Arrivano al bordo occidentale della piscina su carri, carriole e barelle, perfino portate a braccia. Si reggono in piedi a stento. Ma spogliate e discese nell’Acqua di vita, lasciano di poi la fontana ringalluzzite e ... fanciulle. Un commentatore appunta che l’artista esegue una serie di esilaranti notazioni sulla ricerca ossessiva della giovinezza da parte delle donne, tra l’umorismo e l’ironia. Davvero divertente Dal latino divertere, allontanare.. Ridiamone anche noi. Chi sa di quali altri ameni almanaccamenti sarebbe stato capace il critico, se avesse pure scorto quel tronco morto d’albero, che butta e ricaccia al piede (come quello che vedi vicino alla Bella Addormentata del Giorgione)! Ridiàmone e portiamo il dito diritto a incrociare ortogonalmente i labbri stretti, nel gesto di Arpòcrate. Mentre la farfalla, chiamata in greco , come l’anima, liberata della crisalide, s’invola Puoi ammirare le farfalle dipinte niente meno che da Giove, mentre Mercurio zittisce la Virtù ... Alchìmia, nell’òpera del Luteri, detto Dosso Dossi, conservata in Vienna, nel Kunsthistorisches Museum.. Anche il mito, da = stare serrato o, se preferisci, da = iniziare a i misteri, è muto. O, meglio, non dice a chi non possa o non voglia udire. 1