I discutibili confini dell’Europa secondo
Erodoto
Giovanni Ingarao
«Raccontare finzioni che funzionano non è facile. La
difficoltà non sta nel raccontare la storia, ma nel convincere tutti gli altri a crederci. Gran parte della storia
gira intorno a questa domanda: come si fa a convincere milioni di persone a credere a storie tanto particolari circa gli dèi, le nazioni o le società a responsabilità
limitata? Però, quando succede, ciò conferisce ai Sapiens un immenso potere, poiché fa sì che milioni di
estranei cooperino e agiscano in direzione di obiettivi
comuni. Si provi solo a immaginare quanto sarebbe
stato difficile creare stati, Chiese o sistemi giuridici, se
noi potessimo parlare soltanto delle cose che esistono
veramente, come fiumi, alberi e leoni».
Yuval Noah Harari, Da animali a dèi. Breve storia
dell’umanità, Milano, 2014, 45.
Lo storico israeliano Harari, che in un suo celebre libro ha
analizzato l’evoluzione dell’umanità, individua un elemento
fondamentale dello sviluppo nella ‘realtà immaginata’, ovvero nella capacità degli uomini di cementare il loro ordine sociale grazie ad alcune credenze comuni. A suo avviso, è stato
grazie a questo processo che grandi numeri di esseri umani,
a differenza degli altri animali, sono riusciti a cooperare con
successo, fondando comunità stabili e durature. Queste stimolanti riflessioni mi vengono spesso in mente, quando a
scuola mi capita di trattare il concetto di stato, nazione o continente, perché non è sempre semplice spiegare a dei giovani
studenti che siamo di fronte a delle definizioni sfuggenti. Se,
ad esempio, parliamo dell’Europa, è opportuno sottolineare
Giovanni Ingarao
che essa non può essere individuata in modo netto e che viene divisa dall’Asia per una convenzione culturale e per motivi storici1. L’argomento può diventare ancora più scottante
quando dallo studio del concetto geografico si passa a quello politico, con l’analisi dell’Unione Europea. Spesso mi viene
chiesto perché la Russia che è considerata in parte all’interno
dell’Europa non aderisce a questo organismo politico o perché la Turchia, che in grandissima parte è al di fuori di essa, in
passato è stata vicina a entrarvi (Accordo di Ankara del 1963).
È proprio in queste occasioni che penso alle parole di Harari:
gli uomini hanno bisogno di creare cose che non esistono per
sentirsi parte della stessa comunità.
Questo discorso vale perfettamente anche per gli antichi
Greci, un popolo battagliero, costituito da molte póleis spesso in conflitto tra loro, che non sempre hanno cooperato fra
loro, anzi. Basti pensare ad uno degli eventi più drammatici
della loro storia, la guerra del Peloponneso, che ha indebolito
moltissimo il mondo ellenico, causando morte e distruzione.
I Greci avevano creato una ‘realtà immaginata’ ricchissima,
condividendo ad esempio riti religiosi e miti, che li ha portati a
compiere grandi imprese in molti ambiti della vita umana, ma
ciò non ha evitato una sanguinosissima guerra civile. Erodoto,
che nella sua opera mostra continuamente le spinte centrifughe presenti all’interno della Grecia del quinto secolo (e non
solo), esalta la compattezza del mondo ellenico nel vittorioso
scontro con i Barbari, nelle Guerre Persiane, e fornisce anche
una definizione di Hellenikón tramite gli Ateniesi: lo stesso
sangue, la lingua, i santuari degli dèi e i sacrifici in comune, i
costumi simili (VIII, 144). Siamo di fronte ad una delle più antiche definizioni di comunità dal punto di vista identitario,
che non si differenzia molto dai moderni concetti di popolo o
nazione2. Erodoto sapeva però bene quanto questa idea fosse
Si consulti, ad esempio, l’Enciclopedia dei Ragazzi Treccani (2005) alla
voce Europa che costituisce un valido strumento per giovani studenti (https://
www.treccani.it/enciclopedia/europa_%28Enciclopedia-dei-ragazzi%29/).
2
Rimando in proposito ad un mio contributo che sta per essere pubblicato
in «Klio», 104, 1(2022): Tò HellenikÓn, lo stesso sangue e la stessa lingua (VIII,
1
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sfuggente e lo dimostra nell’opera, citando i continui tentennamenti degli alleati greci a combattere insieme e i numerosi
tradimenti di coloro che passarono allo schieramento nemico.
Ciò nonostante, esalta la grande impresa degli antenati che, a
differenza dei suoi contemporanei, sempre divisi e pronti allo
scontro, sono riusciti a collaborare per un obiettivo comune.
Lo storico sembra in tal modo volerci dire che la Grecità è un
concetto molto fragile ma è servito a ottenere grandi risultati.
Ma torniamo alla definizione d’Europa di cui si parlava all’inizio. Esiste per Erodoto una netta separazione tra questa e gli altri continenti? Nelle Storie, come vedremo, sono piuttosto i Persiani a sostenere questa teoria, per giustificare la sottomissione
delle grandi e antiche comunità greche presenti in Asia Minore.
Lo storico di Alicarnasso sembra invece scettico, mettendo in
discussione i confini, l’origine e il nome stesso dell’Europa, così
come quelli di Libia (Africa) e Asia. Oggi, in un’epoca in cui si
discute tanto di vantaggi e svantaggi dell’Unione Europea, serve probabilmente tornare indietro di alcuni secoli e guardare in
faccia la realtà. Forse l’Europa non esiste, così come per molti
Greci non esisteva l’Hellenikón, ma piuttosto un mondo di comunità perennemente in contrasto tra loro. Eppure, secondo
quanto racconta Erodoto, tale idea riuscì a cementare la fragile
identità dei Greci, almeno per un periodo della loro complessa
storia. Riusciranno i moderni europei a capire che, proprio perché l’Europa non esiste, essa va costruita per affrontare insieme
e senza divisioni le grandi sfide del futuro per il nostro pianeta?
***
Gli antichi Greci associavano il termine Europa a due differenti immagini3. Da una parte c’era il racconto mitico, attestato
ad esempio nel Catalogo delle donne di Esiodo, che narrava le
144). Erodoto e la costruzione dell’identità greca, 2021.
3
Molto utile lo sguardo d’insieme sull’argomento proposto da F. Grotto,
«Un continente porterà il tuo nome»: il destino di Europa, fanciulla rapita,
Treccani (2019) (https://www.treccani.it/magazine/agenda/articoli/pensieropolitico/un_continente_portera_il_tuo_nome.html).
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gesta erotiche di Zeus che per conquistare la bella figlia del re
di Tiro si trasformò in toro, la fece salire sul suo dorso, la rapì e la
portò a Creta dove si unì a lei4. Dall’altra il concetto geografico
di territorio, dai limiti piuttosto indefiniti, secondo una definizione che vige ancora oggi. A quanto lo stesso Erodoto racconta
(sebbene nutra qualche perplessità al riguardo), ai suoi tempi
era già comune la tradizione, secondo la quale il nome del continente sarebbe derivato da quello della donna. Questa stessa
informazione troviamo ad esempio più avanti nel tempo nell’epillio del poeta siracusano Mosco che nel II secolo a. C. dedicò
una sua opera proprio ad Europa5. Tra i riferimenti più antichi al
luogo geografico, ricordiamo ad esempio l’Inno ad Apollo, dove
sembra indicare la parte continentale dell’Ellade, separata dal
Peloponneso e dalle isole; o ancora la quarta Nemea di Pindaro
dove si parla dell’Europa come terraferma6. Nell’Iliade e nell’Odissea, così come in Esiodo, invece, non si fa alcun riferimento
all’Europa, come entità geografica. Oggi gli studiosi di etimologia s’interrogano ancora sull’argomento e Chantraine a ragione
si chiede se non sia il caso di ricondurre il termine all’aggettivo
eurýs, “largo”, “esteso”, in riferimento all’ampiezza del territorio7.
Fr. 89 [140 M W] Scolio all’Iliade: «Zeus, vista Europa, figlia di Fenice,
intenta in un prato con delle fanciulle a raccogliere fiori, se ne innamorò
e, là sceso, si trasformò in toro e dalla bocca mandava odore di zafferano;
ingannata così Europa, la fece salire in groppa e, trasportatala a Creta, si
unì a lei. Poi la accasò presso Asteriore, re dei Cretesi […]» (traduzione di C.
Cassanmagnago, Esiodo. Tutte le opere e i frammenti, Bompiani, Milano
2009). Ottime indicazioni sul viaggio mitico d’Europa in Erodoto e non solo
in A. Corcella (a cura di), Erodoto, Le Storie. Libro IV. La Scizia e la Libia,
Fondazione Lorenzo Valla, Arnoldo Mondadori editore, Milano 1993, p. 269 n.
18.
5
Mosco, II, 15.
6
Inno Omerico ad Apollo, 247-252: Τελφοῦσ᾽, ἐνθάδε δὴ φρονέω περικαλλέα νηὸν
ἀνθρώπων τεῦξαι χρηστήριον, οἵτε μοι αἰεὶ ἐνθάδ᾽ ἀγινήσουσι τεληέσσας ἑκατόμβας,
ἠμὲν ὅσοι Πελοπόννησον πίειραν ἔχουσιν ἠδ᾽ ὅσοι Εὐρώπην τε καὶ ἀμφιρύτας κατὰ
νήσους, χρησόμενοι. Pindaro, Nemee, 4, 70: ἀπότρεπε αὖτις Εὐρώπαν ποτὶ χέρσον
ἔντεα ναός.
7
P. Chantraine, Dictionnaire étymologique de la langue grecque,
Klincksieck, Paris 1968-1980, s.v. Europe. Sull’etimologia di Europa si
vedano in particolare B. W. W. Dombrowski, Der Name Europas auf seinen
griechischen und altsyrischen Hintergrund, Hakkert, Amsterdam 1984; C.
4
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Le Storie di Erodoto non sono solo la prima opera pervenutaci in cui il termine viene utilizzato diffusamente per indicare il continente, ma anche quella in cui esso assume una
valenza che va oltre la definizione prettamente geografica
per diventare concetto astratto8. È soprattutto la contrapposizione con l’Asia a balzare agli occhi, fin dall’inizio dell’opera,
nella celebre sezione sui ratti di donna, in cui vengono riferite
le opinioni dei lógioi persiani sull’inizio della guerra. Nel quarto capitolo del primo libro si legge che, a loro avviso, i Greci,
e non i Barbari, sono responsabili della contrapposizione tra
Oriente e Occidente, perché per primi, con l’antica guerra di
Troia, hanno portato la guerra in Asia9. Di fronte a questo evidente anacronismo, visto che la guerra di Troia è avvenuta
quando ancora non c’era traccia del regno persiano, Erodoto
sente la necessità di aggiungere un chiarimento: i Persiani
considerano di loro proprietà l’Asia e i popoli che vi abitano,
mentre pensano che l’Europa e il mondo greco siano a parte10. L’interpretazione persiana, tutta volta a sminuire i ratti di
donne, verrà sconfessata per diversi motivi da Erodoto che
rifiuta l’origine mitica del conflitto per concentrarsi piuttosto
sui più recenti eventi politici e strategici legati all’espansione
dell’impero persiano in occidente. L’idea che tutto ciò che è
in Asia appartenga ai Persiani cozza inevitabilmente con la
presenza secolare dei Greci in Asia Minore che è all’origine
delle guerre persiane.
Milani, Note etimologiche su Europe in, Sordi M. (a cura di), L’Europa nel
mondo antico, Vita e Pensiero, Milano 1986, pp. 3-11.
8
Secondo Powell (A Lexicon to Herodotus, Cambridge Unversity Press,
Cambridge 1938, s.v. Europe) il termine nelle Storie va tradotto continent in
55 casi. Non dimentichiamo che Ecateo di Mileto nella sua Periegesi aveva
descritto le regioni della terra in sue libri, uno sull’Europa e uno sull’Asia. Si
veda al riguardo C. Dognini, M. Sordi, G. Urso, L’Europa nel mondo greco e
romano: geografia e valori, «Aevum», 73, 1 (Gennaio-Aprile 1999), pp. 3-19.
9
Erodoto, Storie I, 4: τὸ δὲ ἀπὸ τούτου Ἕλληνας δὴ μεγάλως αἰτίους γενέσθαι.
προτέρους γὰρ ἄρξαι στρατεύεσθαι ἐς τὴν Ἀσίην ἢ σφέας ἐς τὴν Εὐρώπην.
10
Erodoto, Storie I, 4: τὴν γὰρ Ἀσίην καὶ τὰ ἐνοικέοντα ἔθνεα βάρβαρα οἰκηιεῦνται
οἱ Πέρσαι, τὴν δὲ Εὐρώπην καὶ τὸ Ἑλληνικόν ἥγηνται κεχωρίσθαι.
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Se è vero, da una parte, che nelle Storie la differenziazione
tra i due territori è data per assodata, al contempo è bene notare che Erodoto si interroga sui confini dell’Europa e sull’origine del suo nome senza trovare una risposta. Non è certo un
caso che ci troviamo nel quarto libro, dove viene affrontata la
disastrosa spedizione di Dario in occidente contro gli Sciti. Il
re persiano, che come il suo successore Serse, soggioga il Bosforo con un ponte di barche per unire i due continenti, Asia
ed Europa, riesce a salvarsi miracolosamente soltanto grazie
all’aiuto dei tiranni ionii che invece di abbandonare il re al suo
destino si dimostrano dei servi molto fedeli11. Il tentativo dei
sovrani persiani di unire ciò che la natura ha diviso, la hýbris
di chi non conosce limiti rischia di rivelarsi estremamente pericolosa. Questa occasione spinge lo storico ad interrogarsi
sulla geografia dell’Europa in una sezione molto significativa
che va analizzata attentamente:
IV, 42: «Mi meraviglio quindi di coloro che hanno separato
e diviso la terra in Libia, Asia ed Europa: le differenze tra di esse
non sono piccole...»
IV, 45: «Nessuno invece sa chiaramente se l’Europa sia circondata da acque, né verso levante né verso Borea; si sa però
che in lunghezza si estende lungo entrambe le altre. Né riesco a capire perché a una terra, che è unica, si diano tre denominazioni diverse, prese da nomi di donne, e le siano stati
dati come confini il Nilo, il fiume egiziano, e il Fasi, fiume della Colchide (alcuni invece dicono il Tanai, fiume della Meotide, e i tragitti cimmeri); non riesco neppure a sapere i nomi
di coloro che segnarono i confini e da dove abbiano preso
le denominazioni … Quanto all’Europa, nessuno degli uomini sa se sia circondata da acque, né da dove prese questo
nome, né è noto chi a essa lo impose, a meno di non sostenere che la regione lo ebbe da Europa di Tiro: prima dunque ne
sarebbe stata priva, come le altre. E’ noto però che Europa di
Tiro proveniva dall’Asia e che non giunse nella terra che ora
i Greci chiamano Europa, ma solo dalla Fenicia a Creta e da
11
III, 134: ἐγὼ γὰρ βεβούλευμαι ζεύξας γέφυραν ἐκ τῆσδε τῆς ἠπείρου ἐς τὴν ἑτέρην ἤπειρον
ἐπὶ Σκύθας στρατεύεσθαι.
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Creta in Licia. Di tutto questo si è detto abbastanza; ci atterremo infatti a quanto di ciò è dottrina comune»12.
Erodoto, con quello spirito indagatore che lo induce a interrogarsi costantemente su fenomeni riconducibili a tutti i
possibili campi del sapere, non sembra trovare adeguata la
separazione della terra in tre diversi continenti13. Come spiega
alla fine del passo, siamo nell’ambito del nómos, di ciò che è
consolidato dall’uso e dalla tradizione, e va dunque accettato,
ma le perplessità restano14. Perché, infatti, dovremmo dare alla
terra che è una tre diversi ounómata? Come ha detto bene
W. Burkert, in uno studio sui nomi degli dèi nelle Storie, per
Erodoto «Ὀνόµατα correspond to πράγµατα, one to one...», siamo cioè di fronte ad una sorta di principio di corrispondenza
tra realtà e linguaggio15; semplificando, potremmo dire che
se qualcosa esiste ha un determinato nome e viceversa. Alcuni, invece, che Erodoto non riesce neanche a identificare e
verso i quali sembra nutrire anche qualche perplessità (come
emerge dalla duplice affermazione nel giro di pochi capitoli),
hanno fatto una divisione che per certi versi pare arbitraria.
Questo vale sia per i confini, piuttosto labili e indefiniti, sia per
le eponymías date ai tre continenti. L’utilizzo di tale termine
è molto specifico, giacché esso indica proprio il processo di
denominazione che porta un determinato elemento ad assumere un dato nome a partire da qualcos’altro16. Se nel caso
della Libia e dell’Asia, la derivazione da nomi di donne, sembra essere giustificata, anche se ci sono diverse opinioni al
riguardo, su Europa l’autore nutre dei dubbi. Perché Europa,
12
Traduzione di A. Fraschetti in Corcella (a cura di), Erodoto, Le Storie. Libro
IV. La Scizia e la Libia, cit.
13
A tale proposito si veda anche Storie, II, 16.
14
Erodoto, Storie, IV, 45: τοῖσι γὰρ νομιζομένοισι αὐτῶν χρησόμεθα.
15
W. Burkert, Herodotus on the names of the gods, in Munson (a cura di),
Herodotus and the world, Oxford University Press, Oxford, New York 2013,
pp. 198-209, qui 207 = Herodot über die Namen der Götter: Polytheismus als
historisches Problem, in «Museum Helveticum», 43 (1985), pp. 121-132.
16
Ingarao, Erodoto linguista? L’origine dei nomi degli dèi greci, in «ὅρµος Ricerche di Storia Antica», 12 (2020), 248-269, qui pp. 263-264.
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la figlia del re di Tito, che viaggiò tra l’Asia e Creta, dovrebbe
dare il nome ad un territorio che non ha nulla a che fare con le
sue peregrinazioni?17 In questo caso non è solo il principio di
corrispondenza di cui parlava Burkert a venire meno, ma siamo di fronte ad una spiegazione che manca di logica. L’Europa sfugge dunque ad una chiara determinazione, sia perché
i suoi confini sono precari e in parte sconosciuti, sia perché
non si capisce come si possa spiegare la sua etimologia. Erodoto, infine, da storico qual è, consapevole della mutevolezza
e della relatività dei fatti umani, sottolinea che l’attuale denominazione del continente da parte dei suoi conterranei è
un fatto ‘temporaneo’: sono i Greci del suo tempo a chiamare
così quel territorio18.
Le riflessioni di Erodoto sull’arbitrarietà dei confini nella
definizione dei diversi continenti non devono però farci cadere in un equivoco. Per lo storico di Alicarnasso le frontiere
esistono e vanno rispettate, anzi la violazione dei confini di
un determinato popolo con lo scopo di assoggettarlo viene
spesso messa in evidenza dall’autore, quasi a voler indicare
un fatto funesto che può comportare esiti catastrofici. Basti
pensare ad esempio ai fiumi che come ha spiegato bene D.
Lateiner non costituiscono soltanto un confine fisico, ma anche uno ‘morale’ 19. A tale proposito sempre illuminanti sono
le parole di D. Asheri, che allarga la prospettiva anche ad altri
tentativi di espansione narrati nell’opera:
«Espansionismo significa in primo luogo trasgressione dei
limiti naturali e riconosciuti tra popoli e stati Creso attraversa
lo Halys e invade la Cappadocia, Ciro attraversa l’Arasse e invade il paese dei Massageti. Anche in questo i due protagonisti
del primo libro anticipano chi verrà dopo di loro...Sono tutti
atti di hybris, nel senso di prevaricazione e di affronto alla natura ed alle leggi delle genti, la cui funzione è di preparare il
Altri riferimenti al mito d’Europa in Erodoto, Storie, I, 2; I, 173; IV, 147.
Erodoto, Storie, IV, 45: ἥτις νῦν ὑπὸ Ἑλλήνων Εὐρώπη καλέεται.
19
D. Lateiner, The Historical Method of Herodotus, University of Toronto
Press, Toronto, Buffalo, London 1989, p. 129.
17
18
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lettore alla catastrofe che incombe»20.
Il grande commentatore delle Storie coglie sicuramente
nel segno quando chiama in causa sia l’affronto ai nómoi degli uomini sia la violazione dei limiti naturali imposti all’uomo. Riguardo al primo punto, basti ricordare che Erodoto interpreta a modo suo il celebre detto pindarico “l’uso è re di
tutte le cose”, sottolineando la relatività dei principi e delle
consuetudini umane che però, una volta consolidati nel tempo e integrati in una determinata cultura, diventano sacri e
pretendono una rigida osservanza21.
A proposito del secondo punto, è importante sottolineare
che la trasformazione del territorio allo scopo di modificarne
i confini naturali non è vista di buon occhio nelle Storie. Basti
pensare ad esempio agli Cnidi che, quando cercano di trasformare in isola la loro penisola per sfuggire all’attacco persiano, cominciano a riportare strane ferite e vengono bloccati
dalla Pizia con parole molto nette: «Non fortificate né scavate
l’Istmo. Zeus, infatti, vi avrebbe posto un’isola, se avesse voluto»22. Non è certo un caso che alcuni sovrani espansionisti
si lancino in operazioni simili che diventano presagio delle
future sciagure. Ciro, ad esempio, nel suo delirio di onnipotenza, decide di punire il fiume Ginde perché in esso è annegato uno dei suoi sacri cavalli bianchi: il corso d’acqua viene
suddiviso in ben 360 canali in modo da diventare così debole
da poter essere attraversato persino da una donna senza bagnarsi le ginocchia (I, 189)23. L’azione di Ciro è particolarmente
grave, perché, come rileva Erodoto in un’altra parte del primo
D. Asheri (a cura di), Le Storie. Libro I. La Lidia e la Persia, Fondazione
Lorenzo Valla, Arnoldo Mondadori editore, Milano 1988, p. CIX.
21
Come spiega M. Gigante (ΝΟΜΟΣ ΒΑΣΙΛΕΥΣ, Edizioni Glaux, Napoli 1956,
p. 111) il nómos va inteso per Erodoto sub specie uniuscuiusque hominis
vel populi, giacché lo storico ha dato al nómos pindarico «un’accezione
relativistica».
22
Erodoto, Storie, I, 174: Ἰσθμὸν δὲ μὴ πυργοῦτε μηδ᾽ ὀρύσσετε· Ζεὺς γάρ κ᾽ ἔθηκε
νῆσον, εἴ κ᾽ ἐβούλετο.
23
G. Ingarao, Scelta e necessità. La responsabilità umana in Erodoto, Utz
Verlag, München 2020, p. 61.
20
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libro, i Persiani venerano moltissimo i fiumi (I, 138). O ancora
Serse che non solo cerca di soggiogare l’Ellesponto, ma poi
di fronte all’improvvisa tempesta che distrugge il suo ponte,
si permette addirittura di trattarlo come un suo schiavo: lo
fa frustare, gli mette dei ceppi, lo marchia e lo apostrofa con
parole gravissime (a detta dello stesso Erodoto). Il re persiano inoltre ordina di compiere uno scavo all’istmo del monte
Athos per ben tre anni, rendendo insulari alcuni territori che
prima erano continentali (VII, 22). Come sottolinea lo storico,
era un’operazione che non sorgeva effettivamente da una
qualche necessità, visto che le navi potevano essere trascinate senza nessuno sforzo via terra. Serse lo fece, memore della precedente fallimentare spedizione di Mardonio, «per fare
sfoggio di potenza e per lasciare un monumento ai posteri»24.
Il sovrano non sembra avere alcun rispetto della natura e dei
suoi limiti, come conferma peraltro il totale prosciugamento dei fiumi al passaggio dell’immenso contingente persiano
(VII, 21). Serse, che come suo padre intende porre un giogo
all’Ellesponto, pensa di formare addirittura un unico impero
che non abbia frontiere terrestri, ma sia delimitato solo dal
cielo governato da Zeus: attraversando e sottomettendo l’Europa, creerà un’unica terra senza confini25. La hýbris del sovrano che non rispetta né le leggi della natura imposte dagli dèi,
né i popoli che abitano la terra, ma pensa di potersi espandere a dismisura arrivando persino a toccare il regno degli dèi,
costerà cara al figlio di Dario. Sarà soltanto un rocambolesco
e celere ritorno in patria a salvarlo, ma la disfatta del suo esercito sarà totale. Per quanto i confini tra territori diversi siano
arbitrari e soggetti al cambiamento nello spazio e nel tempo,
essi vanno rispettati. Chi non lo fa, come Ciro, Dario e Serse,
ne paga le conseguenze sia per opera degli dèi sia per opera
degli uomini.
Erodoto, Storie, VII, 24: ἐθέλων τε δύναμιν ἀποδείκνυσθαι καὶ μνημόσυνα λιπέσθαι.
Erodoto, Storie, VII, 8γ: οὐ γὰρ δὴ χώρην γε οὐδεμίαν κατόψεται ἥλιος ὅμουρον
ἐοῦσαν τῇ ἡμετέρῃ, ἀλλὰ σφέας πάσας ἐγὼ ἅμα ὑμῖν χώρην θήσω, διὰ πάσης διεξελθὼν
τῆς Εὐρώπης.
24
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In conclusione, dopo questa rapida analisi delle concezioni erodotee sull’Europa, sulla relatività dei confini ma anche
sul loro ‘sacro’ rispetto, possiamo ancora una volta apprezzare la grande apertura mentale dello storico nell’affrontare
questioni complesse e a tratti spinose. Erodoto, definito da J.
Romm «un pioniere nello sviluppo della geografia empirica»,
mette in discussione senza nessun pregiudizio le definizioni
del tempo, per ricordare ai suoi contemporanei e ai posteri
che le concezioni umane sono arbitrarie26. È loro dovere interrogarsi sulla loro effettiva valenza, senza trasgredire le leggi imposte dagli dèi. In tal modo, Erodoto, si conferma non
soltanto pater historiae, ma soprattutto si rivela un grande
pensatore che apre la strada ad una conoscenza globale, che
vada oltre la tradizionale separazione dei saperi.
26
J. Romm, The Boundaries of Earth, in R. V. Munson (a cura di), Herodotus
and the world, Oxford University Press, Oxford, New York 2013, pp. 21-43, qui
38.
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