Nel secondo dopoguerra, nella Torino che sin dagli inizi del Novecento è stata la capitale del rivoluzionario paradigma a quattro ruote della modernità, ha origine la trasformazione produttiva della cosiddetta motorizzazione di massa...
moreNel secondo dopoguerra, nella Torino che sin dagli inizi del Novecento è stata la capitale del rivoluzionario paradigma a quattro ruote della modernità, ha origine la trasformazione produttiva della cosiddetta motorizzazione di massa italiana. In poco tempo l’automobile diviene accessibile per fasce di acquirenti sempre più ampie e, grazie ad una pratica vieppiù generalizzata, consolida un’egemonia funzionale e simbolica ancora oggi pressoché intatta.
La diffusione della motorizzazione coincide anche con una definitiva differenziazione identitaria dello stile automobilistico nazionale, contrassegnato da misurate espressioni di potenza, linee sobrie e confortevoli, e da dettagli di particolare eleganza. In tale contesto, significativamente proprio nel capoluogo piemontese, viene realizzato il Museo dell’Automobile, intitolato al collezionista di veicoli storici Carlo Biscaretti di Ruffia.
L’edificio, inaugurato alla fine del 1960, tramanda la memoria di scienziati, costruttori e campioni dei circuiti, in una visione documentaria e celebrativa dell’auto destinata a riscuotere per molti anni un indiscusso successo di pubblico. Nel 2002 i vertici dell’istituzione museale valutano la praticabilità di un progetto di ampliamento e rinnovamento dell’edificio che viene portato a termine nel 2011, sotto la regia progettuale dell’architetto Cino Zucchi.
Una nuova ala presenta all’interno uno spazio indiviso estremamente flessibile e all’esterno è definita da un sinuoso involucro in acciaio e vetro serigrafato. Tale palinsesto, dinamico e comunicativo, abbraccia il fianco e il retro dell’intero complesso, unificandone e rinnovandone profondamente l’immagine. Al piano terreno Zucchi progetta un bookshop, una caffetteria e una grande corte coperta: si tratta di nuovi spazi dedicati all’incontro e all’aggregazione delle persone che, unitamente a una nuova selezione espositiva e a un nuovo allestimento curato da François Confino, decretano la decisiva mutazione del museo da monumentale contenitore celebrativo a generatore culturale complesso.