Miccini e la semiotica dell'architettura rappresentata. L'opera di Pompilio Fiore riletta alla luce della retorica della fotografia, pubblicato in "Territori" n° 17, maggio-agosto 2008. MICCINI E LA SEMIOTICA DELL'ARCHITETTURA...
moreMiccini e la semiotica dell'architettura rappresentata.
L'opera di Pompilio Fiore riletta alla luce della retorica della fotografia, pubblicato in "Territori" n° 17, maggio-agosto 2008.
MICCINI E LA SEMIOTICA DELL'ARCHITETTURA RAPPRESENTATA L'opera di Pompilio Fiore riletta alla luce della retorica della fotografia
di Giovanni Fontana
Un anno fa all'età di 82 anni moriva a Firenze Eugenio Miccini, uno dei padri della "poesia visiva", fondatore nel 1963 con poeti, pittori e musicisti del Gruppo 70, uno dei più interessanti movimenti della neo-avanguardia italiana. Per Miccini e per il suo compagno di cordata Lamberto Pignotti la poesia "lineare" non sembrava sufficiente a sviluppare in chiave sinestetica quella contaminazione tra codici espressivi diversi che era stata il terreno di battaglia delle avanguardie storiche. Ma non si trattava né di riprendere quei modelli, né di recuperarne il senso; l'esperienza nasceva dalla considerazione che ormai era in atto nella comunicazione sociale un "nuovo volgare": il cosiddetto linguaggio dei mass-media. 1 Nascevano così le prime "poesie verbo-visive" (1962) di nuova generazione, che intrecciavano parole e immagini in chiave sicuramente diversa rispetto a quella adottata più volte in passato. Si trattava di un ricalco semantico di quanto era prodotto dalla civiltà dei consumi e di quanto era dilapidato nel campo della comunicazione, cioè di un tentativo di risarcimento estetico, di un nuovo stile. Si parlò addirittura di uno "stil novo". Alle tecniche grafiche e tipografiche si preferiva il collage, il montaggio di testi e di immagini prese dai rotocalchi e dalla pubblicità. Veniva condotta sul piano poetico una battaglia per il rovesciamento dell'estetica dei media. In quell'ambito nasceva il termine Poesia visiva che rapidamente si diffondeva nel mondo e veniva adottato da numerosi artisti. In Francia diventava Poésie visuelle, nei paesi anglofoni Visual poetry. Il Gruppo 70, caratterizzato dalla grande energia profusa nella rivoluzione della creatività, provocava memorabili deragliamenti della letteratura dai binari delle categorie stilistiche, dei generi letterari, degli inquadramenti metrici, per concentrarsi sul concetto di interdisciplinarità, sui mixed media, per concepire nuove forme di comunicazione interartistica, per favorire ambiti sinestetici e performativi. Si trattava di un laboratorio che metteva in atto una sorta di guerriglia semiologica che contribuiva fortemente alla riorganizzazione dei modelli culturali, non solo nello specifico letterario, ma anche in altri ambiti. Miccini fu uno dei più attivi protagonisti della cultura italiana. Animatore di convegni di studio, di rassegne espositive, di iniziative editoriali, produsse sul piano teorico, critico e creativo numerose opere che hanno lasciato il segno nella storia delle arti del Novecento. Tra le tante attività volle collocare anche quella di insegnante. Fu docente di storia dell'arte nelle Accademie di Belle Arti di Verona e Ravenna e collaborò con il dipartimento di "Discipline Semiotiche" alla Facoltà di Architettura di Firenze. Proprio in quell'ambito, dopo una decennale esperienza didattica presso la cattedra di "Semiotica delle comunicazioni visive e dell'architettura", sulla scorta di un ciclo di lezioni sulla rappresentazione dell'oggetto architettonico, concepì "Retorica della fotografia", un saggio proposto a Palermo nel 1980 all'VIII Congresso Internazionale dell'Associazione Italiana di Studi Semiotici. Successivamente l'intervento fu pubblicato in volume 2 con una introduzione di Egidio Mucci e un dossier di immagini. Quel libro, proposto nell'originalissima chiave di indagine sulla retorica dell'immagine meccanica, si collocò significativamente tra i rari studi di analisi del linguaggio fotografico.
