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  • È quasi certo che sono nato, è incerto invece se una volta dovrò morire, come i miei simili, oppure fare degna e onor... moreedit
È il discorso tenuto a Banzi il 13 aprile 2019 in occasione della presentazione della «Relazione bantina di Arcasio Ricci  (1634)», di cui vd. in questa Academia.edu il manifesto.
Firenze, Pagnini, 2018
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«Il ponte», LXXIV, n° 6 (nov.-dic. 2018)
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«La piê», LXXXVII, n° 6 (nov.-dic. 2018), pp. 270-271.
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«Bollettino dell'Accademia degli Euteleti della Città di San Miniato al Tedesco», LXXXI (2014), pp. 71-95.
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Sta in: Concordi lumine maior. Scritti per Ottavio Banti, a cura di Stefano Bruni. Pisa, Edizioni ETS, 2014.
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Estratto da «Maia», n. s., XX (1968), pp. 89-136, 206-223.
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«Il ponte», LXX, n° 3 (marzo 2014), pp. 67-78
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È la terza edizione, riveduta, corretta e ampliata dell'articolo apparso in «Campi immaginabili», 52-53 (2015), pp. 368-452.
«Il Grandevetro», XLI, n° 232 (2017), p. 37.
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Versi ritrovati di Corilla Olimpica per Alessio Orlow e Caterina di Russia, in Studi per Gian Paolo Marchi, a cura di R. BETTAZZOLI, F. FORNER, P. PELLEGRINI, C. VIOLA, premessa di N. ERBANI, Pisa, ETS, 2011, pp. 393-408
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L'epigrafe per i caduti di Banzi, incisa e diffusa come anonima, composta da me e inaugurata il 25 aprile 2004. Anche il testo circola con gravi deformazioni. Ecco la lezione corretta: IN QUESTO LUOGO DENSO DI STORIA E DI ANTICA... more
L'epigrafe per i caduti di Banzi, incisa e diffusa come anonima, composta da me e inaugurata il 25 aprile 2004. Anche il testo circola con gravi deformazioni. Ecco la lezione corretta:

IN QUESTO LUOGO DENSO DI STORIA
E DI ANTICA SACERTA' CULTUALE
ORA PER ALLEGRIA DI BAMBINI SONORO
COL CUORE DALLA PARTE DELLE VITTIME
DI TUTTE LE INGIUSTIZIE PERPETRATE DALL' UOMO
AFFRATELLATI A COLORO CHE DEDICANO LA VITA
AL SOGNO DI UN MONDO SENZA GUERRE
MEMORI DEL VERSO DEL POETA
«I' VO GRIDANDO PACE PACE PACE»
I CITTADINI PIETOSI POSERO
NEL GIORNO DELLA LIBERAZIONE
XXV APR. MMIV
Research Interests:
«Il Grandevetro», XLI, n° 231 (primavera 2017), p. 39

Il 'pretaccio' è don Giuseppe De Luca
Research Interests:
«Il Grandevetro», XLI, n° 231 (primavera 2017), p. 9.

Jolanda.
Rebecca, l'ebrea.
Margherita Pusterla.
La datta di Petrarca.
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«Bollettino della Accademia degli Euteleti della Città di San Miniato», LXXXIV (2017), pp. 9-27.
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«dalla parte del torto», XXI, n° 81 (estate 2018), p. 13.
Research Interests:
«Il Grandevetro», XLII, n° 236 (estate 2018), p. 38
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Presentazione del libro "Il segno" di Carmine Pietrapertosa a Genzano di Lucania l'11 agosto 2020, seguita dalla discussione.
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Nel suo nido di gufo, piccolo ma adatto a lui e a nessuno dannoso, parla. Parla di Leopardi, della terzina di Dante, del carattere scontroso di Timpanaro, parla di altri compagni e maestri di vita e di studi, di quel Mario Fubini che si... more
Nel suo nido di gufo, piccolo ma adatto a lui e a nessuno dannoso, parla. Parla di Leopardi, della terzina di Dante, del carattere scontroso di Timpanaro, parla di altri compagni e maestri di vita e di studi, di quel Mario Fubini che si sentì offeso nella sua persona quando gli disse di non amare Foscolo. Parla del secondo volume del suo magnifico commento ai Canti di Leopardi che deve consegnare prima che si faccia sera, condisce i discorsi di aneddoti, legge ad alta voce alcuni pensieri della sua nascente Teologia abusiva, che è più severa della allegra Théologie portative del Barone d'Holbach, ma di quella non meno corrosiva e più di quella venata di autentica ricerca spirituale. Mentre parla vedo sul suo viso di fanciullo novantacinquenne spandersi la felicità. Non posso fare a meno di dirglielo. E lui, che forse di questo prima non s'era accorto, me lo spiega: «È così, perché io condivido quello che dico. E per questo mi vogliono bene». E io ricordo le signore che, accogliendo gli ospiti in casa, li coprono di parole false, che lodano mentendo la bellezza dei loro volti incartapecoriti e il cattivo gusto dei loro vestiti; e penso a quei politici che nel giro di una settimana son capaci delle più mirabili piroette e di fissare la concordia di tutti gli opposti, simili a quelli che nei romanzi di Heinrich Böll si sono dimenticati degli ideali della giovinezza e, piantati sul potere, son ridotti a leggere i discorsi scritti per loro da prezzolati ghost-writers. Sto parlando a mia volta di Luigi o Gino Blasucci, già professore di Letteratura italiana nell'Università e nella Scuola Normale di Pisa. Dicono di lui che si è occupato solo dei grandi. Per l'appunto è devoto di Dante, afferma convinto che la sua terzina è straordinaria, un sistema che non si chiude in se stesso, ma va sempre liberamente avanti e lascia il lettore sempre in attesa di quello che potrà venire. Lo affascinano i suoni dei versi leopardiani, la musica che li pervade, l'arte dell'allitterazione ed altre innervature fonetiche, come l'apertura di una serie di a o l'oscurità di una serie di o, la noncuranza della tirannica rima, il prolungamento del pensiero che, oltre la fine del verso, procede in un inesausto desiderio di orizzonti irraggiungibili. Mi chiedo se siamo in presenza di una nuova o vecchia religione della forma, che, come si diceva una volta, è tutto. No, Gino sa bene che le vere risorse tecniche della poesia sono quelle che non si sovrappongono e non condizionano il pensiero, il quale invece vive sotto, accanto, in inestricabile e ontologica simbiosi con esse. Va da sé, anche se non la sbandiera, la orgogliosa dichiarazione di Dante tramandata dall'Ottimo, che mai egli sacrificò il pensiero all'esigenza della rima. Eppure la rima la fa da padrona, oserei dire da architetto, nell'edificio di quella Commedia a cui posero mano e cielo e terra. Solo a questo prezzo, per Blasucci, la poesia riesce ad assolvere «la funzione rimarginatrice e incantatoria» nei confronti delle lacerazioni che affliggono il poeta e per suo mezzo quelle dei fruitori della sua poesia. La poesia che entra in competizione con la teologia. I teologi costruirono il loro Dio come privo di amore, se ha fatto soffrire tanto suo Figlio, e come cattivo giurista, se commina condanne eterne, quindi ingiuste. Ma forse non è proprio così. Quando attraverseranno l'ultimo vecchio ponte, e Dio li dovrà accogliere o rigettare, credete-chiede il teologo abusivo Gino-che sarà più tenero verso il democristiano Andreotti o verso l'ateo Giacomo da Recanati?
Della barbarie meridionale Italiani, vi esorto ad aprire ogni tanto lo Zibaldone, sì proprio l'incantevole, l'indigesto e l'infinito Zibaldone del grande poeta di Recanati. Vi troverete di tutto e di più. Oggi aprite la pagina 4289 con un... more
Della barbarie meridionale Italiani, vi esorto ad aprire ogni tanto lo Zibaldone, sì proprio l'incantevole, l'indigesto e l'infinito Zibaldone del grande poeta di Recanati. Vi troverete di tutto e di più. Oggi aprite la pagina 4289 con un pezzetto della 4290, scritta a Firenze il 18 settembre 1827. Racconta Giacomo di aver conversato con il barone Poerio, cioè con Giuseppe Poerio, un importante personaggio (aggiunge il cronista), che nel 1795 a Napoli ebbe parte nella congiura giacobina, che nel 1799 fu tra i rappresentati della Repubblica rivoluzionaria, che per questo fu imprigionato e condannato alla pena di morte poi commutata in ergastolo, che nel 1801 fu liberato e potè coprire alte cariche sotto Giuseppe Bonaparte e Gioacchino Murat, che restò miracolosamente ancora in sella con la caduta dei napoleonidi e fu deputato durante i moti del 1820-21, ma inviso agli austriaci fu confinato a Graz e poi tornò a Firenze nel 1823, da dove sarebbe stato espulso, per rientrare a Napoli dove sarebbe morto nel 1843. Fu dunque a Firenze che il poeta Leopardi, conversando con l'esimio uomo di diritto, grande avvocato, apprese che nella capitale e nelle province del Regno di Napoli viveva un «popolo semibarbaro o semicivile piuttosto», che si faceva autore di «una quantità di delitti atroci che vincono l'immaginazione» e insieme di «una quantità di azioni eroiche di virtù (spesso occasionate da quei medesimi delitti che esaltano l'anima la più fredda)». E finiva per commentare il conte Leopardi: «Certo niente o ben poco di simile nelle parti men barbare dell'Italia, e nel resto d'Europa, né per l'una né per l'altra parte». Lasciamo stare concetti qui inopportuni quali razzismo e coscienza di classe, e solo gettiamo un pensiero fuggevole a quella Italia che fu sempre casa di nobili e plebei, di belli e di brutti, di dotti e di ignoranti, di ricchi e di poveri, di santi e di diavoli. E apponiamo all'episodio un nostro post scriptum che dice: In quel mondo di barbari e incivili in cui non erano arrivati il «miglioramento sociale» e il «progresso della civiltà» (sempre Zib. 4289, ma poco prima), in quel mondo che non aveva conosciuto per sua colpa o destino le spregevoli «magnifiche sorti e progressive», ma dove non si occultavano i sentimenti e le emozioni e si poteva esprimere liberamente il dolore coi gesti e col pianto come i selvaggi, dove ci si poteva ingozzare senza vergogna di squisiti gelati e contemplare lo spettacolo mirabile e orrido della furiosa colata di lava e della indomita ginestra, entrambe infuocate, lì, lasciata la città della civiltà e del rinascimento, sarebbero andati, come in confortevole tana a chiudere in pace la loro esistenza, il patriota e il poeta.
Presentazione a Banzi, il 13 aprile 2019, ore 17, di: Michele Feo, La Relazione bantina di Arcasio Ricci (1634), «Archivio storico per la Calabria e la Lucania», LXXXIV (2018), con Nicola Vertone, Felicetta De Bonis, Vera von... more
Presentazione a Banzi, il 13 aprile 2019, ore 17, di: Michele Feo, La Relazione bantina di Arcasio Ricci (1634), «Archivio storico per la Calabria e la Lucania», LXXXIV (2018), con Nicola Vertone, Felicetta De Bonis, Vera von Falkenhausen, Sebastiano Tafaro, i Soballera (Stefano De Dominicis e Salvatore Simonetta), Michele Feo.
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Conferenza a Gravina in Puglia presso la Biblioteca Finia il 10 aprile 2019, alle ore 18.
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Pubblicato su «Il Grandevetro», XLIII, n° 240 (estate 2019), p. 38.
La recherche trouve son origine dans le questionnement, avance par le philologue classique Scevola Mariotti, sur le bien fonde d'une possible interpretation d'un passage des Epigrammata Bobiensia comme temoignage de l'usage,... more
La recherche trouve son origine dans le questionnement, avance par le philologue classique Scevola Mariotti, sur le bien fonde d'une possible interpretation d'un passage des Epigrammata Bobiensia comme temoignage de l'usage, atteste pour l'âge de la basse antiquite, qui voulait que la grande mere de la mariee reste pres du couple pour proteger l'epouse des eventuels exces du mari. A cet egard ont ete realises plusieurs entretiens dans des villages des Pouilles et Lucanie, lors de deux differents voyages d'etude. De cette etude est ressortie la certitude de l'existence de la coutume de surveiller les epoux lors de la premiere nuit de mariage, pour les proteger des blagues des amis, et notamment des affronts ou mepris des mal intentionnes. Mais aucune trace n'a ete relevee sur le fait que les protecteurs soient de preference des femmes. La coutume est bien attestee par des temoins âges, parfois decrite avec abondance de details. Des evenements de vie vecue ont ete racontes, parfois melanges avec des elements issus de superstitions et actions magiques. En conclusion, une obscure histoire de sang a ete reconstituee.
... Per Sebastiano Timpanaro. Autores: Silvia Rizzo, Vincenzo Fera, Michele Feo; Localización: La Rassegna della letteratura italiana, ISSN 0033-9423, Vol. 100, Nº 1, 1996 , págs. 110-122. Fundación Dialnet. Acceso de usuarios... more
... Per Sebastiano Timpanaro. Autores: Silvia Rizzo, Vincenzo Fera, Michele Feo; Localización: La Rassegna della letteratura italiana, ISSN 0033-9423, Vol. 100, Nº 1, 1996 , págs. 110-122. Fundación Dialnet. Acceso de usuarios registrados. ...
Cosa leggeva la Madonna? Un interrogativo non comune, una questione fuori dall’ordinario. A porsi questo singolare quesito è il professor Michele Feo, già ordinario di Filologia medievale e umanistica presso l’Università di Firenze,... more
Cosa leggeva la Madonna? Un interrogativo non comune, una questione fuori dall’ordinario. A porsi questo singolare quesito è il professor Michele Feo, già ordinario di Filologia medievale e umanistica presso l’Università di Firenze, esperto conoscitore di Petrarca. Non intendo qui menzionare il grande amore di Feo per il libro solo per un «dovere» biografico, ma perché sento la domanda che dà il titolo al suo quasi romanzo per immagini molto vicina alla tensione dell’autore dei "Rerum vulgarium fragmenta": avere libri, interrogarsi su di essi, decifrarli,
non riuscire a frenare la sete di conoscenza.
Andrea Bisi è esanime sul lettino della sala di emodinamica del Policlinico dove lavora. Prima di spegnersi, la sua mente ha un sussulto e inizia a vagare in un mondo tragico e immaginifico. Poi d'improvviso, sotto le scosse del... more
Andrea Bisi è esanime sul lettino della sala di emodinamica del Policlinico dove lavora.
Prima di spegnersi, la sua mente ha un sussulto e inizia a vagare in un mondo tragico e immaginifico.
Poi d'improvviso, sotto le scosse del defibrillatore, ritorna in vita. Sconvolto da ciò che gli è accaduto, precipita in una profonda crisi esistenziale e cerca rifugio nella memoria: ritrova la madre brutalizzata da un padrone violento; rivede il suo mentore, il professor Neri; la storia di passione tra la principessa Maria Spinelli e il compositore Giovanbattista Pergolesi; Boulos Yazigi, arcivescovo ortodosso di Aleppo, e Fadia, la bellissima novizia cattolica della quale si è innamorato.
Nel tentativo di recuperare l'amore e il suo equilibrio, ritorna in una Siria distrutta dalla guerra.
Non troverà i suoi amici, uccisi dai terroristi dell'ISIS.
Ma riuscirà a trovare Fadia?
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