Mendel dei libri - Amok - Bruciante segreto
Di Stefan Zweig
4/5
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Edizioni integrali
Scritto durante la crisi mondiale del 1929, fosco presagio dello sfacelo a venire, Mendel dei libri è il ritratto struggente e indimenticabile di un uomo attraversato da una sublime ossessione, un’accorata, malinconica riflessione sul potere salvifico dei libri e sulla magia del ricordo.
In Amok, pubblicato nel 1922, rivive il racconto febbrile e delirante di un viaggiatore di ritorno su una nave dall’Oceano Indiano: è la scoperta non già di un esotismo affascinante ma di una «terra maledetta» dove «prima o poi tutti, in un modo o nell’altro, si beccano la loro dose di follia».
Pubblicato nel 1911 e salutato da uno straordinario successo, Bruciante segreto, in un vorticoso crescendo, tratteggia il cupo, violento passaggio dall’infanzia all’età adulta di Edgar, ragazzino irrequieto e solitario, che accoglie con gioia le offerte di amicizia di un giovane barone, credendole sincere: in realtà l’uomo finge di interessarsi a lui solo per sedurre la madre.
Stefan Zweig
(Vienna, 1881–Petrópolis, 1942) crebbe nella Vienna di fine Ottocento, ed esordì giovanissimo sulla scena letteraria. Autore di raffinata formazione culturale e artistica, scrisse novelle, romanzi, poesie, opere teatrali, saggi letterari e biografie storiche, e conobbe uno straordinario successo mondiale tra gli anni Venti e Trenta. Dopo l’ascesa al potere del nazismo, Zweig – le cui opere furono bruciate nei roghi dei libri del 1933 – dovette rifugiarsi, essendo di origine ebrea, in Inghilterra, poi a New York e infine in Brasile. Morì suicida nel febbraio del 1942. Delle sue opere la Newton Compton ha pubblicato Il mondo di ieri, Novella degli scacchi - Paura - Lettera di una sconosciuta e Mendel dei libri - Amok - Bruciante segreto.
Stefan Zweig
Im Gymnasium desinteressiert sein Pensum abarbeitend, entdeckt Stefan Zweig mit der Leidenschaft des Heranwachsenden die Künste für sich. Was mit Lesen, Theater-, Galerie- und Konzertbesuchen beginnt, mündet in profunde Kennerschaft und erste eigene Gedichte. Schon im Alter von 19 Jahren ist er Künstler mit jeder Faser seines Seins - unfertig noch, aber ein Künstler. Am 28. November 1881 geboren, wächst Stefan als jüngerer von zwei Söhnen des begüterten Textilunternehmers Moritz Zweig in Wien auf. Die Familie der Mutter ist international, bei Familientreffen wird Italienisch, Französisch, Deutsch oder Englisch gesprochen. Die jüdische Herkunft spielt dabei keine Rolle, niemand im familiären Umfeld praktiziert die Religion. Erst der gereifte Autor wird sich darüber Gedanken machen, denn auffällig viele der Intellektuellen und Künstler Wiens stammen aus großbürgerlichem, jüdischem Hause.
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Anteprima del libro
Mendel dei libri - Amok - Bruciante segreto - Stefan Zweig
405
Titolo originale: Buchmendel; Der Amokläufer; Brennendes Geheimnis
Traduzione di Silvia Montis
Prima edizione ebook: gennaio 2013
© 2013 Newton Compton editori s.r.l.
Roma, Casella postale 6214
ISBN 978-88-541-4880-2
www.newtoncompton.com
Edizione digitale a cura di geco srl
Stefan Zweig
Mendel dei libri
Amok
Bruciante segreto
Cura e traduzione di Silvia Montis
Edizioni integrali
Introduzione
Cercai di sapere se Erasmo da Rotterdam fosse
di quel partito. Ma un mercante mi rispose:
«Erasmo est homo pro se».
Epistolae obscurorum virorum,1515
Scrivere sulle valigie, su un treno in corsa, rannicchiati su un predellino in una notte di novembre, nelle orecchie il vento e il fischio della locomotiva. Scrivere in mezzo all’oceano, a bordo di un piroscafo, cullati dal beccheggio della prua che ara le onde come un vomere scuro, inondati dal fiume di luce che si riversa dal cielo dei mari del Sud. La scrittura di Stefan Zweig è anzitutto questo: un movimento. Non nel senso che Zweig fu uno scrittore di viaggio – benché egli sia stato, questo sì, un grande viaggiatore, per passione, per scelta e, verso la fine della sua vita, persino per necessità. Il viaggio nel suo caso si consuma nelle parole, quasi che quel costante essere in transito, quella perenne vibrazione dei sensi si siano trasmessi dalla penna alla pagina. La tessitura narrativa di Zweig – il modo in cui cuce e imbastisce le sue storie, in cui spiega i periodi sulla carta – ha un movimento sinuoso, sensuale, mai prevedibile. Eppure, la sua è una scrittura lucida, cristallina, impietosa, simile a un bisturi sapiente che seziona l’epidermide delle cose.
Tendendo l’orecchio a Freud, si potrebbe pensare che questo processo di dissezionamento proceda in maniera sistematica dalla superficie verso il profondo, scandagliando i confini dell’inconscio. La faccenda in realtà è un po’ più complessa. Perché Zweig – che di Freud fu un grande ammiratore e persino intimo amico – sapeva bene che la superficie stessa è per sua natura scabrosa e accidentata, e che una verità al cento per cento, a conti fatti, non esiste. Che le pulsioni del sottosuolo – le più segrete, le più inconfessabili – hanno un legame continuo, intimo e ineludibile, persino con la più inossidabile delle apparenze, perforandone il manto notturno come un tizzone ardente. Il movimento della scrittura di Zweig gioca più su un piano orizzontale: dal di fuori verso l’interno. È un rito di passaggio, un battesimo di fuoco.
Nella premessa al suo memoir autobiografico Il mondo di ieri. Ricordi di un europeo – scritto nel 1941 nell’esilio brasiliano, ormai bandito da un’Austria e da una Germania naziste che l’avevano ripudiato in quanto ebreo e scrittore –, Zweig racconta di avere l’impressione di «non aver vissuto una sola esistenza, ma tante, del tutto diverse l’una dall’altra». Se l’uomo ebbe molte vite, è indubbio che altrettante ne ebbe lo scrittore – e furono tutte vite parallele. È un autore instancabile, prolifico e soprattutto duttile: nato nella Vienna di fine Ottocento e formatosi alla severa scuola dello Jung Wien, si sperimenta nei generi più disparati: dalla poesia alle prime prove narrative – non immuni da un certo estetismo –, passando per le opere teatrali, la stesura di libretti operistici per Richard Strauss, fino ad approdare alle biografie storiche e letterarie e a una sconfinata produzione novellistica. Una produzione molto variegata, eclettica, forse diseguale per qualità e incisività (discorso che si potrebbe fare per molti scrittori) e tuttavia legata da una cifra comune, una linea melodica che in qualche modo accompagna tutti i suoi personaggi: un movimento, appunto. Nella postfazione a una delle raccolte di novelle ¹, Rüdiger Görner sintetizza questo passaggio con una bella espressione: i personaggi di Zweig vengono sempre colti in un momento fatale, critico, quasi borderline. Sono figure «an die Schwelle», cioè sulla soglia
: non ancora dentro la verità – o una verità – della propria esistenza, eppure posti in qualche modo di fronte a un interrogativo irrinunciabile del proprio destino, a una paura antica, dissepolta e fumante, che è anche lo specchio più profondo della loro natura.
Gli esempi sono innumerevoli. Da Edgar, giovane protagonista di Bruciante segreto, ritratto in un cupo, violento rito di passaggio dall’infanzia all’età adulta, che paga un prezzo altissimo per la perdita della propria innocenza; alla cruda e penetrante Lettera di una sconosciuta, rievocazione di un amore dolente e feroce, nutrito nel buio, la passione totale di una bambina che si scopre donna; a Paura, racconto dai ritmi serratissimi di un’adultera, ricca e viziata borghese che, perseguitata da un’inafferrabile ricattatrice, è costretta a spogliarsi poco a poco delle illusioni di un’intera esistenza; a Mendel dei libri, l’opera più struggente di Zweig, nella quale a celebrare un rito di passaggio è forse il prodigio della memoria, cui è affidato il compito più arduo: salvare un mondo (quello del primo dopoguerra) che sembra aver smarrito le proprie radici. E, infine, Amok e la splendida prova della Novella degli scacchi, due novelle ambientate – non a caso – nel non luogo
per eccellenza: una traversata per mare, in cui due uomini fanno i conti col proprio passato, in bilico tra la dannazione e la possibilità di un riscatto, di una salvezza. Potremmo continuare, e molto a lungo. Citando, ad esempio, i protagonisti di Sovvertimento dei sensi, nature impetuose celate sotto un’apparente mitezza, l’ossessione messa a nudo (per l’amore e per il gioco) in Ventiquattr’ore nella vita di una donna, o l’intenso ritratto psicologico nei tre racconti de L’amore di Erika Ewald (che procurarono all’allora giovane scrittore il lusinghiero giudizio di Hermann Hesse quale raffinato «lettore di anime»). O potremmo ricordare, infine, una delle raccolte di novelle più famose di Zweig, intitolata non a caso Momenti fatali (in originale Sternstunden der Menschheit, ovvero Ore stellari dell’umanità
), – quattordici miniature storiche in cui si tratteggiano alcuni passaggi cruciali nella storia dell’uomo: la caduta di Bisanzio, Händel ritratto nelle ore decisive della composizione del Messiah, incapace di mangiare e di dormire, e un treno piombato che, nel pieno della Grande Guerra, sfreccia attraverso le pianure della Germania, con a bordo Lenin diretto verso la Russia e la sua Rivoluzione.
È forse bene precisare, tuttavia, che non tutti i personaggi di Zweig escono vincitori
da questa personalissima lotta col dèmone. Molti di essi assaporano il gusto acre della polvere, lo smarrimento del piede che affonda nel vuoto, aggrappandovisi come a un ultimo, rovente brandello di verità.
Questo discorso vale più che mai per le biografie storiche (pubblicate negli anni irrequieti tra il 1929 e il 1938), in cui lo scrittore austriaco affinò – forse con più libertà che altrove – le sue doti di svelatore di enigmi psicologici
². Anche i personaggi su cui Zweig concentra il suo occhio di biografo sono in qualche modo figure sulla soglia
: persone non eccezionali, eroi involontari a confronto con un interrogativo epocale, sui quali si è abbattuto il pesante sigillo della Storia. Che, precisa lo scrittore, è spesso ingiusta nei confronti degli sconfitti.
Zweig non è uno storico. Ma, da consumato narratore, sa bene che il grosso del suo lavoro parte in fondo da un unico punto nevralgico: porre delle domande. E riapre i casi, presenta i dati, riallinea le prospettive. In un’epoca che reclamava eroi a suon di fanfare e rulli di tamburi, sceglie di restituire una voce agli sconfitti, veri vincitori morali. Da Maria Antonietta, donna che non era «né fuoco né ghiaccio», non particolarmente incline al bene né tantomeno votata al male, alla tragica regina Maria Stuarda, scaraventata nel cuore delle lotte di religione che segnarono il passaggio dal Medioevo all’Età moderna; da Magellano, folle o sognatore, che per primo compì il prodigioso giro della Terra, dimostrando la veridicità della teoria del «pomo terrestre», per poi morire solo e dimenticato in un’isola delle Filippine, a Castellio, forza della coscienza opposta alla brutalità della forza.
Un’opera in particolare, tuttavia, ci appare emblematica in questa prospettiva. Stefan Zweig scrisse Erasmo da Rotterdam nel 1934, pochi mesi dopo l’avvento al potere di Adolf Hitler, non esitando a presentarla, anni più tardi, come la propria «velata autobiografia». Erasmo vi viene ritratto come un uomo della conciliazione: «natura comunicativa» avversa a ogni dogma e fanatismo, convinto sostenitore del potere salvifico della ragione e del libero pensiero, della forza etica e morale della cultura e dell’umanesimo, amò il valore dell’umanità insito in ogni uomo al di sopra di ogni cosa. Il suo genio consisté nel «chiarire le ombre, sciogliere i grovigli, riannodare le fila». Ma non diversamente da Zweig, anch’egli visse un’epoca travagliata, lacerata da uno dei più violenti scoppi di psicosi nazionalistica e religiosa. E qui il destino spalancò la sua porta, ponendolo di fronte a un bivio. Da un lato vi era Lutero, uomo d’azione, propugnatore di un ritorno alla dottrina evangelica – un ritorno che egli stesso, Erasmo, aveva sostenuto e inseguito; dall’altro la Chiesa cattolica, unico baluardo a sostegno di un mondo in procinto di crollare. Schierarsi con l’uno o con l’altra, però, avrebbe significato assecondare l’eccesso, rinfocolare il fanatismo, far divampare l’incendio dell’odio. Rinunciare a servire misura e giustizia, a cercare di mescolare, a mani nude, acqua e fuoco. E qui Erasmo, colto nel pieno del suo movimento, fece, unico nel suo tempo, un gesto davvero insolito: si fermò. «Nulli concedo», disse. A nessuno voglio appartenere
.
Si aggrappò al potere del dubbio, dell’intuizione. Fu braccato, perseguitato, ridotto in miseria, tacciato di viltà. Ma continuò a fissare, come nel dipinto di Holbein, un punto al di fuori della tela. Custodendo, per le generazioni a venire, il valore più alto cui un uomo possa aspirare: quello della libertà interiore.
Chi legge potrebbe chiedersi, a questo punto, che genere d’uomo fosse, in fondo, questo Stefan Zweig. Potrebbe essere interessante ricordare che Zweig fu, tra gli anni Venti e Trenta, uno scrittore di grande successo. Diciamolo pure: di smaccato successo. Un uomo con tutti i numeri giusti. Tirature da capogiro, traduzioni in quasi cinquanta lingue, una nutrita folla di lettori (tedeschi e non) che gli rimasero fedeli persino quando le sue opere vennero bruciate nei roghi dei libri del 1933 (un’epoca inquieta in cui leggere era un atto di coraggio), innumerevoli trasposizioni teatrali e cinematografiche, contatti con gli spiriti più intensi del suo tempo, lauti guadagni. Si potrebbe anche trovare singolare il fatto che Zweig gestì molto male la sua fama, con disagio e imbarazzo: rifiutò sempre cariche e onorificenze, detestava parlare in pubblico, e rimase in fondo molto insicuro del proprio talento, tanto da cimentarsi di rado con un’opera narrativa di lungo respiro, preferendo concentrarsi unicamente su prove brevi. (Della brevitas fu infatti un convinto cantore. Un cultore della rinuncia anziché dell’accumulo, dell’editing a levare anziché a irrobustire, del dettaglio fatale nascosto in un umile aggettivo anziché esplorato in un passaggio autocompiaciuto. Distillava, tagliava, asciugava: il movimento era sempre mirato. Il racconto, un congegno a orologeria.)
Potrebbe persino essere importante ricordare – per chi volesse cimentarsi con la seria disciplina della critica letteraria e analizzarne l’opera alla ricerca di indizi rivelatori – che un giorno di febbraio del 1942 Stefan Zweig pose fine alla sua ultima vita, suicidandosi nella sua casa di Petrópolis, in Brasile, assieme alla moglie Lotte Altmann. O, sulla stessa scia, accennare al fatto che la ricezione della sua opera letteraria, a partire dal secondo dopoguerra, non fu delle più entusiaste: riscosse molte critiche, alcune anche autorevoli (Musil, Gadda, Mittner, Magris); fu giudicato a volte uno scrittore troppo «facile» e «divulgativo», e ignorato per lunghi anni dall’ambiente accademico, anche in patria, pagando forse lo scotto di un successo davvero planetario e dell’innata diffidenza nutrita verso gli scrittori di bestseller.
Tutto questo però ha poco a che fare con una vera esperienza di lettura. Che è in fondo una faccenda molto personale, unica, persino intima. Un corpo a corpo con un testo, con una scrittura, uno spazio rubato al tempo ufficiale. E con Zweig più che mai. Perché questi personaggi, questi uomini sulla soglia
ci ricordano un po’ dove dovremmo trovarci anche noi: abitano quel discrimine, quel confine silenzioso, a volte sottile come un filo, a volte terrorizzante come un baratro, che unisce e separa le cose che accadono e quelle che si scrivono. E nel leggerli si consuma, nello spazio prodigioso di una manciata d’ore, un piccolo miracolo: ci si ritrova profondamente mutati. In tedesco c’è una bella parola per descrivere questo passaggio, questo approdo alla deriva, questo sentire con la testa e con il cuore: Lebensklug, che tradotto letteralmente significa intelligenti di vita
. E quindi, in qualche modo, più saggi. Più saggi di vita, di bellezza, di paura. In una parola, di letteratura.
SILVIA MONTIS
¹ Stefan Zweig, Novellen, Nachwort von Rüdiger Görner, Zürich, Manesse Verlag, 2009, p. 540 e sgg.
² È ovviamente impossibile dare in questa sede un resoconto pieno e puntuale dell'intera opera di Stefan Zweig, per il quale rimandiamo il lettore alla più esaustiva Nota biobibliografica. Ci sembra però doveroso ricordare alcune delle acute biografie letterarie, in particolar modo la serie dedicata ai «Costruttori del mondo»: Tre maestri: Balzac, Dickens, Dostoevskij; La lotta contro il dèmone: Hölderlin, Kleist, Nietzsche e Tre poeti della propria vita: Casanova, Stendhal, Tolstoi.
Nota biobibliografica
LA VITA
1881. Stefan Zweig nasce a Vienna il 28 novembre. Il padre, Moritz Zweig, è un imprenditore ebreo che lavora nel ramo dell’industria tessile, la madre Ida, nata Brettauer e cresciuta in Italia, proviene da un’agiata famiglia di banchieri.
1891-1899. Frequenta il liceo a Vienna. Periodo di intense letture e di prime sperimentazioni letterarie, sulla scia di Hugo von Hofmannsthal e Rainer Maria Rilke. Frequenta il Café Griensteidl, ritrovo dell’avanguardia artistica viennese. Collabora con la rivista monacense «Die Gesellschaft».
1900-1904. Si iscrive alla facoltà di Filosofia a Vienna, dove si laurea nel 1904 con una tesi su Hippolyte Taine. Nel 1901 pubblica il primo volume di poesie, Corde d’argento, nel 1904 i tre racconti de L’amore di Erika Ewald. Frequenta l’ambiente letterario, conosce Schnitzler, Rilke, Bahr, Hofmannsthal, collabora con l’inserto culturale della «Neue Freie Presse», il cui caporedattore è Theodor Herzl. Nel 1902 trascorre un semestre a Berlino, dove stringerà contatti con il gruppo di artisti «Die Kommenden». Durante una vacanza in Belgio conosce il poeta Émile Verhaeren, di cui tradurrà in tedesco l’intera opera.
1904-1912. Numerosi viaggi in tutta Europa. Trascorre un anno a Parigi, dove conosce Auguste Rodin. Inizia una lunga corrispondenza con Freud. Nel 1907 viene rappresentato il suo dramma Tersite. Nel 1910 parte in India. Dall’anno successivo comincia a pubblicare con l’Insel-Verlag di Lipsia. Nel 1911 esce Bruciante segreto, poi inserito nella raccolta dedicata all’infanzia Quattro racconti di una prima esperienza.
1912-1913. Viaggio in America, Canada, Cuba e Portorico. Continua a scrivere per il teatro. Incontra per la prima volta Friderike Maria von Winternitz. A Parigi conosce Romain Rolland, un incontro decisivo per la sua vita e la sua carriera di scrittore. In Rolland vede incarnata la coscienza morale dell’Europa, l’intellettuale attivo nel proprio tempo ma sempre al di sopra della mischia
.
1914-1917. Allo scoppio del conflitto, Zweig lavora come volontario presso l’Archivio di guerra. Nel 1915 viene inviato in missione sul fronte galiziano, dove assiste con i propri occhi all’orrore del conflitto. Scrive la pièce pacifista Jeremias, che verrà rappresentata nel 1918 nella neutrale Zurigo.
1917-1919. Vive a Zurigo, dove lavora per la «Neue Freie Presse». Conosce Hermann Hesse, James Joyce, Ferruccio Busoni. Intensi i contatti con Romain Rolland.
1919-1928. Si trasferisce a Salisburgo, in una piccola villa sul Kapuzinerberg. Nel 1920 sposa Friderike Maria von Winternitz. Sono anni di grandi successi: escono le novelle Lettera di una sconosciuta, Amok, Gli occhi dell’eterno fratello (1922), Paura (1925), Momenti fatali e Sovvertimento dei sensi (1927), Mendel dei libri (1929), alcune delle quali arriveranno a vendere in poco tempo fino alle 250.000 copie. A teatro viene rappresentata la sua rielaborazione del Volpone di Ben Jonson (1926).
Convinto pacifista ed europeista, Zweig lavora incessantemente a una cooperazione culturale tra le nazioni, tenendo numerose conferenze. Su questa scia pubblica la serie di biografie parallele
dedicata ai «Costruttori del mondo»: escono i volumi Tre maestri: Balzac, Dickens, Dostoevskij (1920), La lotta contro il dèmone: Hölderlin, Kleist, Nietzsche (1925) e Tre poeti della propria vita: Casanova, Stendhal, Tolstoi (1928). Nel 1928 parte in Russia per le celebrazioni del centenario della nascita di Tolstoj. Conosce Maksim Gorkij.
1929-1933. Pubblica le biografie storiche Fouché (1929) e Maria Antonietta (1932), il saggio L’anima che guarisce. Mesmer, Mary Baker-Eddy, Freud (1931). La sua pièce L’agnello dei poveri (1930) viene portata in scena nei teatri di Hannover, Lubecca, Praga e Vienna.
Con l’ascesa al potere di Adolf Hitler, la situazione cambia. Nel maggio del 1933 i libri di Zweig vengono bruciati nei roghi a Berlino. L’anno dopo, il grande decreto a «protezione della razza» ne vieta la pubblicazione e la diffusione in Germania.
1934-1935. Zweig si trasferisce a Londra in un piccolo bilocale in affitto al numero 11 di Portland Place. La moglie Friderike resta a Salisburgo. Viene dato alle stampe Erasmo da Rotterdam. Lo scrittore lavora alla biografia su Maria Stuarda, affiancato dalla segretaria Lotte Altmann. L’opera viene pubblicata nel 1935, con il titolo Maria Stuarda. Redige il libretto La donna silenziosa per l’opera omonima di Richard Strauss.
1936-1938. Viaggi in Brasile e in Argentina. Escono le biografie Castellio contro Calvino (1936) e Magellano (1938). Alla fine del 1938 Zweig e la moglie Friderike formalizzano il divorzio.
1939-1941. Una settimana dopo lo scoppio della seconda guerra mondiale, Zweig sposa Lotte Altmann. Nel 1940 entrambi ottengono la cittadinanza inglese, per poi trasferirsi a New York. Nel 1939 esce il romanzo L’impazienza del cuore.
1941. Zweig e Lotte Altmann si trasferiscono a Petrópolis, in Brasile. Lo scrittore lavora al memoir Il mondo di ieri. Ricordi di un europeo e a Novella degli scacchi, pubblicata all’inizio del 1942.
1942. Il 22 febbraio Stefan Zweig si suicida assieme alla moglie. Il mondo di ieri viene pubblicato postumo a Stoccolma nel 1944, seguito dalle biografie Amerigo (1944) e Balzac (1946).
LE OPERE
Edizioni originali
L’opera omnia di Stefan Zweig è disponibile nell’edizione dei