View metadata, citation and similar papers at core.ac.uk
brought to you by
CORE
ISSN 1826-3534
provided by Institutional Research Information System University of Turin
NUMERO SPECIALE 4/2019
Le Anchor Institutions
nella società liquida:
strumenti giuridici per
una sperimentazione in Italia
a cura di Mario E. Comba
ISSN 1826-3534
Numero speciale / Special Issue 4/2019
Ricerca svolta dal Centro Studi Legislativi grazie ad un contributo della Compagnia San Paolo
Tutti i contributi sono stati sottoposti a peer review.
2
federalismi.it - ISSN 1826-3534
|numero speciale. 4/2019
Sommario
INTRODUZIONE
Introduzione, di Anna Maria Poggi e Mario E. Comba ............................................................................ 5
CAPITOLO I
Nuove forme di cooperazione pubblico-privato per lo sviluppo locale: modelli europei a
confronto, di Mario E. Comba .................................................................................................................. 7
CAPITOLO II
Anchor Institutions e diritto degli appalti e dei contratti pubblici, di Roberto Caranta e Natalia
Spataru ....................................................................................................................................................... 10
CAPITOLO III
Le Università come Anchor Institutions: le opportunità dell’autonomia funzionale differenziata,
di Giuseppe Valditara................................................................................................................................. 31
CAPITOLO IV
La domanda pubblica come leva per l’innovazione: le potenzialità degli appalti innovativi per le
Anchor Institutions, di Mario E. Comba ............................................................................................... 46
NOTIZIE SUGLI AUTORI .................................................................................................................................... 66
3
federalismi.it - ISSN 1826-3534
|numero speciale. 4/2019
4
federalismi.it - ISSN 1826-3534
|numero speciale. 4/2019
Le Anchor Institutions nella società liquida:
strumenti giuridici per una sperimentazione in
Italia. Un’introduzione.
di Anna Maria Poggi
e Mario Eugenio Comba
Professore ordinario di Istituzioni di diritto pubblico
Università degli Studi di Torino
Professore ordinario di Diritto pubblico comparato
Università degli Studi di Torino
Nel gennaio 2017 si è svolto a Torino, presso la sede della compagnia di S. Paolo, un seminario tenuto
da Ted Howard, direttore di “Democracy collaborative”, un Think Tank basato negli Stati Uniti dove è
impegnato a diffondere la cultura delle Anchor Institutions. Tra i temi emersi durante la discussione,
quello che forse ha attirato la maggiore attenzione aveva una chiara colorazione comparatistica: ci si è
cioè posti il problema se il modello statunitense delle Anchor Institutions fosse esportabile in Europa,
dove le regole in materia di appalti pubblici e di pubblico impiego sono particolarmente rigide, e
soprattutto in Europa continentale, dove la normativa amministrativa in generale vincola gli enti locali,
gli ospedali e le Università (che costituiscono – come si vedrà – i principali elementi di Anchor
Institutions) a seguire procedimenti rigidi e difficilmente modellabili a favore delle realtà economiche e
sociali locali.
Da qui la decisione della Compagnia di approfondire il tema con il Centro Studi Legislativi, il quale aveva
appena terminato una ricerca che si poneva come ideale anticipazione della presente, in quanto avente
per oggetto le forme di collaborazione pubblico-privato in materia culturale, in riferimento al caso di
studio costituito dal Polo del Novecento e culminata nel maggio 2017, con un seminario tenuto presso il
Dipartimento di Giurisprudenza dal Prof. Carlo Colombo, dell’Università di Tilburg, proprio
sull’innovativa esperienza olandese di governance locale coinvolgente sia attori privati che pubblici.
Anche in quel caso, peraltro senza evocare il riferimento alle Anchor Institutions, si era ragionato in
termini di cooperazione orizzontale per favorire lo sviluppo locale, con particolare riferimento
all’innovazione, in un contesto giuridico-istituzionale più simile a quello italiano rispetto a quello
statunitense e dunque più facilmente esportabile. È stato in particolare illustrato il caso del Brainport
Eindhoven, il quale rappresenta un caso emblematico di tale sperimentazione. Derivato dall’antico
sistema decisionale basato sul consenso tra i vari attori che caratterizzano storicamente la società olandese
(anche detto ‘polder model’), Brainport Eindhoven presenta una serie di caratteri organizzativi peculiari che
gli hanno permesso di diventare un vero a proprio volano per lo sviluppo economico della regione attorno
alla città di Eindhoven. Attraverso una complessa organizzazione giuridica, è stato creato un sistema
5
federalismi.it - ISSN 1826-3534
|numero speciale. 4/2019
grazie al quale le imprese locali collaborano con le istituzioni pubbliche e le autorità accademiche per
sviluppare una strategia condivisa circa l’innovazione economica e tecnologica dell’intero territorio
regionale.
Il clima è dunque sembrato maturo per affrontare il tema delle Anchor Institutions, con specifico
riferimento alla realtà europea continentale ed italiana in particolare.
La prima sezione della ricerca ha fornito un ampio quadro comparatistico, con una rassegna della
letteratura anglosassone e tedesca in materia di Anchor Institutions ed un approfondimento sulla
normativa europea in materia di appalti riservati, che rappresenta uno dei pochi casi in cui è consentito
derogare ai rigidi principi di concorrenza e par condicio.
La seconda sezione, contenuta nella presente pubblicazione, punta decisamente su temi più operativi: la
compatibilità in termini generali tra Anchor Institutions e la disciplina degli appalti pubblici, il ruolo delle
Università come Anchor Institutions nel contesto istituzionale italiano ed infine il ricorso alla leva della
domanda pubblica per stimolare l’innovazione, attraverso gli appalti innovativi.
La ricchezza dei temi trattati ed i numerosi spunti problematici emergeranno dalla lettura delle relazioni.
Qui preme segnalare come sono soprattutto gli ultimi due aspetti – il ruolo delle Università e la domanda
pubblica per l’innovazione – ad aver fornito gli stimoli necessari per la prosecuzione della ricerca, che
tenterà infatti di coniugare i temi dell’autonomia universitaria con il trasferimento tecnologico e la
domanda pubblica di innovazione.
Si tratta certamente di un sfida molto ambiziosa, che tocca argomenti i quali richiedono le più diverse
competenze (giuridiche, economiche, tecnologiche) e necessitano di un’opera di mediazione assai delicata
e faticosa. Ma il fatto stesso che la ricerca si alimenti di sempre nuove e sfidanti problematiche dimostra
la lungimiranza della scelta effettuata ormai quasi tre anni fa, quando si decise di affrontare il tema delle
Anchor Institutions.
6
federalismi.it - ISSN 1826-3534
|numero speciale. 4/2019
Nuove forme di cooperazione pubblico-privato
per lo sviluppo locale: modelli europei a confronto
di Mario E. Comba
Professore ordinario di Diritto pubblico comparato
Università degli Studi di Torino
In seguito alla prima fase della ricerca sulle Anchor Institutions, nella quale si è effettuata un’analisi
comparatistica ad ampio raggio, si è ritenuto di sviluppare alcuni specifici spunti che promettevano di
essere particolarmente interessanti e fecondi.
In primo luogo si è ritenuto importante approfondire l’analisi dettagliata degli esperimenti di
collaborazione orizzontale pubblico-privato a livello locale sviluppatisi in altri Stati europei, scegliendo
alcuni casi già menzionati nelle relazioni della fase 1 ed estendendo però l’analisi anche all’interessante
caso olandese del Brainport Eindhowen. L’esercizio comparatistico non è stato ovviamente fine a se
stesso, ma dovrebbe essere finalizzato all’utilizzo di esperienze straniere per individuare modelli di
collaborazione pubblico/privato di tipo istituzionale che siano adattabili a situazioni concrete e vicine al
territorio di riferimento. L’esito di tale ricerca, svolta dal Prof. Roberto Caranta, ha restituito alcune
considerazioni interessanti e per certi aspetti controintuitive. Si è infatti rilevato che gli strumenti giuridici
utilizzati dagli attori degli esperimenti in UK e nello stesso caso di Brainport Eindhowen non sono
sempre in linea con la normativa europea, anche se non risulta comunque ad oggi alcun intervento
giurisprudenziale nei loro confronti. Tale risultato induce a riflettere circa la necessità di introdurre alcune
modifiche alla normativa europea per consentire la sperimentazione di Anchor Institutions di particolare
valore per il territorio oppure, forse più realisticamente, circa la prevalenza del principio di effettività su
quello di legalità.
Nella relazione del Prof. Caranta è anche emersa la particolare rilevanza dell’interazione tra le due
classiche forme di Anchor Institutions, riconosciute come tali dalla letteratura internazionale: Università ed
Ospedali (Eds & Meds), spesso messe in collegamento grazie all’intermediazione delle fondazioni private
con solide basi territoriali.
Proprio in tal senso ha preso le mosse la seconda relazione, predisposta dal prof. Giuseppe Valditara,
circa le nuove forme di organizzazione e di gestione che possono assumere le Università grazie
all’attuazione dell’articolo 2 comma 1 L. 240/2010 il quale pare finalmente essere sul punto di attuazione
ad opera del MIUR. In particolare, la relazione Valditara dimostra come già nei lavori dell’Assemblea
costituente non fosse esclusa – ma anzi, affermata con forza – la titolarità in capo alle Università di una
7
federalismi.it - ISSN 1826-3534
|numero speciale. 4/2019
autonomia funzionale, comprensiva anche dello stato giuridico dei professori e dei ricercatori. Ora tale
autonomia funzionale, prevista dall’articolo 1 comma 2 della legge Gelmini ma ad oggi non ancora attuata,
potrebbe comprender anche lo svolgimento della terza missione e dunque proprio quella interrelazione
con il territorio che è caratteristica delle Anchor Institution. La relazione Valditara fornisce anche una
preziosa anticipazione circa un possibile modello di decreto attuativo dell’articolo 1 comma 2 legge
Gelmini che, se attuato, consentirebbe di liberare molte potenzialità finora inespresse delle Università
virtuose che potrebbero riversarsi sul territorio di riferimento.
In questa dialettica tra Università ed Ospedali, mediata dagli enti di governo territoriale – che potrebbe
costituire un approfondimento nella prossima fase della ricerca - i modelli europei ci mostrano che spesso
il ruolo delle fondazioni private territorialmente radicate può fare la differenza sia dal punto di vista
economico-finanziario sia, soprattutto, dal punto di vista della progettualità e della innovazione
istituzionale.
Il principale quadro normativo di riferimento per l’analisi di questi rapporti istituzionali tra Ospedali,
Università e Fondazioni private dovrebbe essere la normativa europea e nazionale in materia di contratti
pubblici, comprensiva non solo della disciplina sugli appalti pubblici, ma anche di tutte le forme di
collaborazione pubblico-privato tra le quali il project finance e, più in generale, le concessioni. Proprio in
riferimento a queste forme di collaborazione pubblico-privato nel settore sanitario, ovviamente la ricerca
e l’innovazione tecnologica assumono un ruolo preponderante e anche in questo caso si propone un
approccio innovativo. Sul punto, la relazione da me svolta ha esaminato le tecniche giuridiche e gestionali
per il ricorso agli appalti innovativi, nelle forme dell’appalto pre-commerciale e del partenariato per
l’innovazione, che pure non hanno ancora trovato attuazione diffusa in Italia, mentre in altri paesi europei
sono più spesso utilizzati, come strumento alternativo e più efficiente rispetto al classico contributo
pubblico alla ricerca. Essi infatti fanno leva sulla domanda pubblica, che deve comunque essere
soddisfatta e che con un limitato incremento di costo può essere soddisfatta in termini innovativi. Anche
in questo caso il ricorso alla comparazione può essere molto utile per analizzare le modalità
procedimentali più efficienti, soprattutto se inserite in soluzioni istituzionali di collaborazione UniversitàOspedale-fondazione privata a radicamento territoriale come sopra tratteggiata. Proprio in riferimento
all’attività di ricerca universitaria, se combinato con la domanda di innovazione proveniente dalla pubblica
amministrazione, suggerisce di coniugare le due esigenze immaginando forme di collaborazione pubblicopubblico nell’ambito dell’innovazione tecnologica. I risultati di questa seconda parte del primo anno di
ricerca, se da una parte confermano la correttezza dell’impostazione iniziale circa l’analisi delle Anchor
Institutions in ambito comparatistico ed italiano, dall’altra aprono scenari molto interessanti per la
prosecuzione della ricerca stessa, che potrebbe a questo punto entrare in una fase più sperimentale ed
8
federalismi.it - ISSN 1826-3534
|numero speciale. 4/2019
operativa, anche in considerazione dell’imminente attivazione dell’autonomia funzionale universitaria
prevista dall’articolo 1 comma 2 della legge Gelmini.
9
federalismi.it - ISSN 1826-3534
|numero speciale. 4/2019
Anchor Institutions e diritto degli appalti
e dei contratti pubblici
di Roberto Caranta
e Natalia Spataru
Professore ordinario di Diritto amministrativo
Università degli Studi di Torino
Dottoressa magistrale in European Legal
Studies – Università degli Studi di Torino
Sommario: 1. Introduzione. 2. Il diritto europeo dei contratti pubblici. 3. Alcuni esempi di Anchor
Institutions e diritto europeo dei contratti pubblici. 4. La sfera del possibile secondo il diritto dell’Unione
europea dei contratti pubblici (con cenni al diritto italiano). 5. Conclusioni
1. Introduzione
Sulla base dei risultati della prima fase della ricerca, la presente relazione intende individuare gli strumenti
giuridici per consentire ad enti pubblici ed altre istituzioni di operare come anchor rispetto allo sviluppo
locale nel rispetto del diritto dell’Unione europea in materia di appalti e più in generale di contratti
pubblici.
Allo scopo si illustrerà dapprima la disciplina europea in materia di appalti e più in generale di contratti
pubblici nei suoi aspetti generali, anche con riflessioni comparatistiche rispetto al diverso modello
statunitense (2). Si approfondiranno taluni esempi di anchor institutions già illustrati nella prima fase della
ricerca, ma con specifico riferimento alla disciplina in discorso (3). Infine, si analizzeranno gli istituti e le
procedure che possono consentire di coinvolgere gli operatori economici locali e di contribuire allo
sviluppo del territorio di riferimento (4). Chiuderanno la relazione brevi conclusioni (5).
2. Il diritto europeo dei contratti pubblici
Il diritto dell’Unione europea dei contratti pubblici riguarda potenzialmente tutti i contratti pubblici,
ovvero i contratti stipulati da un’amministrazione aggiudicatrice (lo Stato, gli altri enti pubblici territoriali,
gli organismi di diritto pubblico e le imprese pubbliche), perché presentino un interesse transfrontaliero,
ovvero, in ragione del loro valore, dell’oggetto del contratto e/o della vicinanza al confine del luogo di
esecuzione del contratto possano attirare l’attenzione di un operatore economico stabilito in uno Stato
membro dell’Unione diverso da quello di appartenenza dell’amministrazione aggiudicatrice.
Il diritto dell’Unione europea dei contratti pubblici è costituito innanzitutto dai principi di non
discriminazione, trasparenza e concorrenza desumibili, secondo la giurisprudenza della Corte di giustizia
dell’Unione, dallo stesso Trattato sul funzionamento dell’UE. Tali principi si applicano appunto a tutti i
contratti pubblici che presentino un interesse transfrontaliero. Tali principi corrispondono all’idea che ila
10
federalismi.it - ISSN 1826-3534
|numero speciale. 4/2019
partecipazione alle procedure per l’affidamento dei contratti pubblici debbono essere aperte a tutti gli
operatori economici attivi nel mercato interno europeo, senza preferenze per le imprese nazionali o
peggio locali.
Da questo punto di vista, il diritto dell’Unione europea si discosta significativamente da quello degli Stati
uniti d’America. Oltre oceano, infatti, la disciplina federale sugli appalti si applica esclusivamente ai
contratti stipulati dall’esecutivo federale. I singoli Stati sono totalmente liberi di disciplinare la materia.
Inoltre, nel momento in cui acquistano tramite appalti, le amministrazioni degli Stati sono considerate
alla stregua di un qualsiasi acquirente privato, e quindi possono decidere di preferire prodotti locali (e lo
fanno regolarmente, ad esempio per quanto riguarda l’acquisto di prodotti agricoli per la ristorazione
collettiva).
È chiaro che la disciplina statunitense, a differenza di quella dell’Unione europea, legittima esplicite scelte
di favore per imprese facenti parte del tessuto economico-sociale locale da parte di anchor institutions.
Infatti, la divisione di poteri e competenze in materia di appalti in Germania è simile a quella statunitense
in base alla garanzia costituzionale di auto-amministrazione (Selbstverwaltung) di cui all’art. 28 della
Grundgesetz. Altri enti, come le Università, godono di analoga garanzia. Tuttavia i Länder sono, al pari dello
Stato centrale e di ogni amministrazione aggiudicatrice, vincolati dal diritto dell’Unione europea ad
integrare i loro appalti nel mercato interno comune a tutta l’Unione.
I principi di non discriminazione, trasparenza e concorrenza che reggono il diritto UE dei contratti
pubblici sono storicamente specificati, per i contratti superiori a determinate soglie (circa EUR 5 milioni
per concessioni di lavori e di servizi ed appalti di lavori e circa EUR 200.000 per gli appalti di forniture e
servizi) da direttive – il diritto secondario – le quali dettano dettagliate regole procedurali per
l’affidamento dei contratti stessi. Specifiche direttive disciplinano la tutela giurisdizionale, ma non
rivestono interesse in questa sede.
Due direttive, la 2014/24/UE e la 2014/25/UE, hanno sostituito le direttive 2004/18/CE per gli appalti
nei settori ordinari e 2004/17/CE per gli appalti nei settori speciali. Inoltre una specifica direttiva, la
2014/23/UE è dedicata a disciplinare le concessioni di lavori e di servizi. In Italia le direttive sono state
attuate dal d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50, il Codice dei contratti pubblici, più volte, e anche recentemente,
modificato.
Le nuove direttive, pur inserendosi nel solco di una normativa tradizionalmente deputata a rafforzare il
mercato interno, hanno valorizzato il ruolo fondamentale degli appalti nella strategia Europa 2020 quali
strumenti basati sul mercato necessari alla realizzazione di una crescita intelligente, sostenibile e inclusiva
11
federalismi.it - ISSN 1826-3534
|numero speciale. 2/2019
garantendo contemporaneamente l’uso più efficiente possibile dei finanziamenti pubblici1. In effetti, la
normativa del 2004 meritava di essere rivista e aggiornata in modo da accrescere l’efficienza della spesa
pubblica, facilitando in particolare la partecipazione delle piccole e medie imprese (PMI) agli appalti
pubblici e permettendo ai committenti di farne un miglior uso per sostenere il conseguimento di obiettivi
condivisi a valenza sociale2.
In questa sede l’attenzione si concentrerà sulla Direttiva 2014/24/UE, di maggiore rilevanza per le
amministrazioni aggiudicatrici tradizionali, nonché sulla Direttiva 2014/23/UE, applicabile a molte delle
forme di public-private partnership – PPP3.
La Direttiva 2014/24/UE porta una disciplina molto dettagliata della più parte degli appalti di lavori,
servizi e forniture, con le eccezioni di cui agli artt. 7 e seguenti.
Tra le novità più significative della Direttiva 2012/24/UE vi sono quelle in materia di procedure di
aggiudicazione. Una vera e propria rivoluzione copernicana pare l’affievolirsi dell’ostilità del diritto
dell’Unione europea nei confronti delle negoziazioni e quindi della procedura negoziata purché proceduta
da un bando, procedure sinora ammessa nei settori ordinari solo in ipotesi pacificamente considerate
eccezionali4.
Si trattava di una delle più significative differenze tra l’approccio europeo e quello statunitense, e come
tale si era riflesso anche nei negoziati per la riforma del Government Procurement Agreement – GPA
dell’Organizzazione mondiale per il commercio5.
Il cambio di passo, che corrisponde alla richiesta di maggiore flessibilità proveniente da numerosi Paesi
membri, è già evidente dal considerando 42: “È indispensabile che le amministrazioni aggiudicatrici
dispongano di maggiore flessibilità nella scelta di una procedura d’appalto che prevede la negoziazione.
È probabile che un più ampio ricorso a tali procedure incrementi anche gli scambi transfrontalieri, in
quanto la valutazione ha dimostrato che gli appalti aggiudicati con procedura negoziata con previa
http://ec.europa.eu/europe2020/index_it.htm
Si veda il secondo “considerando”.
3 Si veda anche C.H. BOVIS, Highlights of the EU Procurement Reforms: The New Directive on Concessions, in Eur. Publ. Priv.
Partnership Law Rev., 2014, 1.
4 Ad es. Corte giust. CE, 8 giugno 1994 (in causa C-328/92), Commissione c. Spagna, in Racc., 1994, I-1569, punto 15
della motivazione; in dottrina S. TREUMER, Flexible procedures or Ban on Negotiations? Will More Negotiations Limit the
Access to the Procurement market?, e C.D. TVARNØ, Why the EU Public Procurement Law should contain Rules that allow
Negotiation for Public Private Partnerships in G.S. ØLYKKE, C. RISVIG HANSEN, C.D. TVARNØ (eds), EU Public
Procurement – Modernisation, Growth and Innovation, cit., 135 e 201 rispettivamente.
5 Si veda M. STEINICKE, Public procurement and the negotiated procedure – A lesson to learn from U.S. Law?, in Eur.
Competition L. Rev., 2001, 331 ss.: «in the American procurement system, the negotiations are seen as creating a base
for competition and are therefore an optimiser of competition. The competition is increased because of the
negotiations. In the European system negotiations are seen to limit, not optimise competition. The negotiated
procedure is a competitive procedure in spite of the negotiation not because of it».
1
2
12
federalismi.it - ISSN 1826-3534
|numero speciale. 2/2019
pubblicazione hanno una percentuale di successo particolarmente elevata di offerte transfrontaliere. È
opportuno che gli Stati membri abbiano la facoltà di ricorrere ad una procedura competitiva con
negoziazione o al dialogo competitivo in varie situazioni qualora non risulti che procedure aperte o
ristrette senza negoziazione possano portare a risultati di aggiudicazioni di appalti soddisfacenti. È
opportuno ricordare che il ricorso al dialogo competitivo ha registrato un incremento significativo in
termini di valore contrattuale negli anni passati. Si è rivelato utile nei casi in cui le amministrazioni
aggiudicatrici non sono in grado di definire i mezzi atti a soddisfare le loro esigenze o di valutare ciò che
il mercato può offrire in termini di soluzioni tecniche, finanziarie o giuridiche. Tale situazione può
presentarsi in particolare per i progetti innovativi, per l’esecuzione di importanti progetti di infrastruttura
di trasporti integrati, di grandi reti informatiche o di progetti che comportano un finanziamento
complesso e strutturato. Se del caso, le amministrazioni aggiudicatrici dovrebbero essere incoraggiate a
nominare un responsabile di progetto per assicurare una buona cooperazione tra gli operatori economici
e l’amministrazione aggiudicatrice durante la procedura di aggiudicazione”.
Su tale base la procedura negoziata preceduta dalla pubblicazione di un bando di gara è trasformata nella
procedura competitiva con negoziazione. Tale procedura, come il dialogo competitivo, può secondo l’art.
26 della nuova direttiva essere usata in una serie di circostanze, e precisamente: quando le esigenze
dell'amministrazione aggiudicatrice non possono essere soddisfatte senza l’adozione di soluzioni
immediatamente disponibili; quando implicano progettazione o soluzioni innovative; quando l’appalto
non può essere aggiudicato senza preventive negoziazioni a causa di circostanze particolari in relazione
alla loro natura, complessità o impostazione finanziaria e giuridica o a causa dei rischi ad essi connessi, e
infine quando le specifiche tecniche non possono essere stabilite con sufficiente precisione
dall’amministrazione aggiudicatrice con riferimento ad una norma, una valutazione tecnica europea, una
specifica tecnica comune o un riferimento tecnico.
Il ricorso alla procedura competitiva con negoziazione o al dialogo competitivo è altresì possibile per
quanto riguarda lavori, forniture o servizi per i quali, in risposta a una procedura aperta o ristretta, sono
presentate soltanto offerte irregolari o inaccettabili secondo la definizione oggi data dallo stesso legislatore
europeo.
Procedura competitiva con negoziazione e dialogo competitivo rimangono in teoria procedure
eccezionali, ma sono ormai legate a presupposti non molto stringenti.
Rimane invece confermata la stretta eccezionalità della procedura negoziata senza precedente
pubblicazione di un bando secondo i casi previsti dall’art. 32 della direttiva.
Infine l’art. 31 della Direttiva 2014/24/UE introduce una nuova procedura di aggiudicazione, il
partenariato per l’innovazione. Si tratta di uno degli strumenti che dovrebbero contribuire a fare degli
13
federalismi.it - ISSN 1826-3534
|numero speciale. 2/2019
appalti una leva di sviluppo, ma qualche dubbio è legittimo sul fatto che fosse necessaria, o anche solo
utile, una procedura ulteriore rispetto al dialogo competitivo.
Novità significative si segnalano anche con riferimento ai criteri di aggiudicazione. Sia dal punto di vista
terminologico che da quello della sostanza la Direttiva 2014/24/UE ha profondamente cambiato la
disciplina previgente6. Le nuove norme sono state il risultato sofferto di profonde divisioni tra le
istituzioni europee, in particolare tra il Parlamento, deciso à en finir avec il prezzo più basso, e la
Commissione, preoccupata di lasciare eccessivi margini di scelta alle amministrazioni aggiudicatrici.
L’art. 67 comma 1 della Direttiva 2014/24/UE prevede oggi un solo criterio di aggiudicazione, quello
dell’offerta economicamente più vantaggiosa. Peraltro il prezzo più basso risuscita nel comma 2, in base
al quale l’offerta economicamente più vantaggiosa è individuata alternativamente sulla base del prezzo
(più basso appunto) ovvero del costo, comprendente diversi rapporti qualità prezzo e possibilmente
misure di calcolo del costo del ciclo di vita (life-cycle costing o LCC). I criteri in questione, come a suo tempo
stabilito dalla giurisprudenza, debbono essere collegati all’oggetto dell’appalto7.
La sostanziale ostilità nei confronti del prezzo più basso si è ulteriormente trasformata nel potere
riconosciuto agli Stati membri di prevedere che le amministrazioni aggiudicatrici non possano usare solo
il prezzo o il costo come unico criterio di aggiudicazione, ovvero di limitarne l’uso a determinate categorie
di amministrazioni aggiudicatrici o a determinati tipi di appalto. Inoltre l’elemento relativo al costo può
assumere la forma di un prezzo o costo fisso sulla base del quale gli operatori economici competeranno
solo in base a criteri qualitativi.
La principale novità per quanto riguarda i criteri indicati dall’art. 67 è l’espressa menzione di criteri
soggettivi riferiti all’operatore economico quali “organizzazione, qualifiche ed esperienza del personale
incaricato di eseguire l’appalto, qualora la qualità del personale incaricato possa avere un’influenza
significativa sul livello dell’esecuzione dell’appalto”.
Il ciclo di vita copre “tutte le fasi consecutive e/o interconnesse, compresi la ricerca e lo sviluppo da
realizzare, la produzione, gli scambi e le relative condizioni, il trasporto, l’utilizzazione e la manutenzione,
della vita del prodotto o del lavoro o della prestazione del servizio, dall’acquisizione della materia prima
o dalla generazione delle risorse fino allo smaltimento, allo smantellamento e alla fine del servizio o
6 In generale, oltre ai contributi raccolti in S. TREUMER – M. COMBA, Award of Contracts in EU Procurements,
Copenhagen, DJØF, 2013, M. FRANCH – M. GRAU, Contract Award Criteria, in M. TRYBUS, R. CARANTA, G.
EDELSTAM (eds) EU Public Contract Law. Public Procurement and Beyond, cit., 125 ss.
7 Il leading case è C. giust. CE, 17 settembre 2002 (in causa C-513/99), Concordia Bus Finland, in questa Rivista, 2003,
168, con nota di M. BROCCA, Criteri ecologici nell’aggiudicazione degli appalti; in Foro amm. CdS, 2002, 1936, nota di M.
LOTTINI, Appalti comunitari: sulla ammissibilità di criteri di aggiudicazione non prettamente economici
14
federalismi.it - ISSN 1826-3534
|numero speciale. 2/2019
all’utilizzazione”8. L’art. 68 ulteriormente specifica la nozione di costi del ciclo di vita, la quale include
costi imputabili ad esternalità ambientali come quelli relativi ad emissioni di gas ad effetto serra e di altre
sostanze inquinanti, nonché altri costi legati all’attenuazione dei cambiamenti climatici purché, ed il punto
è fondamentale, “il loro valore monetario possa essere determinato e verificato”.
Particolare rilevanza assumono poi in questa sede le specifiche disposizioni dettate dalla Direttiva
2014/24/UE in relazioni ai servizi sociali e altri servizi specifici di cui all’allegato XIV. Al di là dell’obbligo
di pubblicazione di un bando o di un avviso di preinformazione secondo quanto previsto dall’art. 75, in
virtù dell’art. 76, gli Stati membri, pur dovendo garantire il pieno rispetto dei principi di trasparenza e di
parità di trattamento degli operatori economici da parte delle amministrazioni aggiudicatrici, “sono liberi
di determinare le norme procedurali applicabili fintantoché tali norme consentono alle amministrazioni
aggiudicatrici di prendere in considerazione le specificità dei servizi in questione”. Inoltre, “Gli Stati
membri assicurano che le amministrazioni aggiudicatrici possano prendere in considerazione le necessità
di garantire la qualità, la continuità, l’accessibilità, anche economica, la disponibilità e la completezza dei
servizi, le esigenze specifiche delle diverse categorie di utenti, compresi i gruppi svantaggiati e vulnerabili,
il coinvolgimento e la responsabilizzazione degli utenti e l’innovazione. Gli Stati membri possono altresì
prevedere che la scelta del prestatore di servizi avvenga sulla base dell’offerta che presenta il miglior
rapporto qualità/prezzo, tenendo conto dei criteri di qualità e sostenibilità dei servizi sociali”.
Inoltre, in base all’art. 77, gli Stati membri possono prevedere che le amministrazioni aggiudicatrici
possano riservare il diritto di partecipare alle procedure per l’aggiudicazione di appalti pubblici
esclusivamente per determinati servizi sanitari, sociali e culturali ad organizzazioni il cui obiettivo sia il
perseguimento di una missione di servizio pubblico, purché, in particolare i profitti siano reinvestiti per
conseguire l’obiettivo o redistribuiti in base a considerazioni partecipative ed inoltre le strutture di
gestione o proprietà dell’organizzazione che esegue l’appalto siano basate su principi di azionariato dei
dipendenti o partecipativi, ovvero richiedono la partecipazione attiva di dipendenti, utenti o soggetti
interessati.
Tale disposizione completa, andando molto oltre, la tradizionale possibilità di ricorrere a laboratori
protetti, pure ampliata dall’art. 20 della Direttiva 2014/24/UE.
La Direttiva 2014/23/EU, come peraltro le sue “sorelle”, si preoccupa innanzitutto di precisare agli
articoli 2 e 4 che gli Stati membri mantengono intatta sia loro libertà di organizzazione, non essendo
tenuti ad esternalizzare la fornitura di servizi, sia a monte nell’individuare quali servizi sono da
considerarsi di interesse generale (o secondo la terminologia nostrana che sarebbe tempo di rottamare,
Si rinvia a D. DRAGOS – B. NEAMTU, Sustainable Public Procurement: Life Cycle Costing (LCC) in the New EU Directive
Proposal, in Eur. Publ. Priv. Partnership Law Rev., 2013, 19.
8
15
federalismi.it - ISSN 1826-3534
|numero speciale. 2/2019
“pubblici”). La direttiva concessioni, entra in gioco una volta che un Paese membro abbia deciso per
l’outsourcing di determinate funzioni.
L’articolo 5, dedicato alle definizioni, chiarisce che l’aggiudicazione di una concessione di lavori o di
servizi comporta il trasferimento al concessionario di un rischio operativo legato alla gestione dei lavori
o dei servizi, comprendente un rischio sul lato della domanda o sul lato dell’offerta, o su entrambi; in
particolare, non può essere garantito il recupero degli investimenti effettuati o dei costi sostenuti per la
gestione dei lavori o dei servizi oggetto della concessione in quanto il rischio necessariamente si traduce
in una reale esposizione alle fluttuazioni del mercato tale per cui ogni potenziale perdita stimata subita
dal concessionario non sia puramente nominale o trascurabile.
A differenza della Direttiva 2014/24/UE, la Direttiva 2014/23/UE detta una disciplina minima della
scelta del contraente. Al di là dei consueti principi richiamati dall’art. 3, la regola maestra è quella dettata
dall’art. 31, il quale prevede la pubblicazione di un bando di gara (salvo eccezioni che riprendono quelle
generalmente previste in materia di procedura negoziata senza preventiva pubblicazione di un bando).
Regole semplificate sono dettate tra l’altro a proposito dei requisiti tecnici (art. 36), termini per la
presentazione delle offerte (art. 39), e di criteri di aggiudicazione, queste ultime prevedendo anche, sia
pur in via eccezionale, la possibilità di modificare i criteri di aggiudicazione in corso di procedura (art.
41).
Mentre le direttive del 2014 dettano nuove, parzialmente innovative e più precise regole in materia sia di
in house che di collaborazione tra amministrazioni aggiudicatrici e partenariato pubblico-pubblico, e le loro
regole sono applicabili ai partenariati pubblico-privati di tipo contrattuale, ovvero che non portano alla
creazione di un nuovo soggetto giuridico, come le società di progetto, i partenariati pubblico-privati di
tipo istituzionale9 restano soggetti ai principi desumibili dal Trattato sul funzionamento dell’Unione
europea come chiariti dalla Comunicazione interpretativa della Commissione sull’applicazione del diritto
comunitario degli appalti pubblici e delle concessioni ai partenariati pubblico-privati istituzionalizzati
(PPPI) del 5 febbraio 200810.
Si veda la Comunicazione della Commissione sui partenariati pubblico-privati e sul diritto comunitario in materia
di appalti pubblici e concessioni COM (2005) 569 def, che fa seguito al Libro Verde su analogo argomento; in
argomento A. MASSERA, Il partenariato pubblico-privato e il diritto europeo degli appalti, in Riv. it. dir. pubbl. comunitario,
2005, p. 1201.
10 COM (2007) 6661; si vedano CH.D. TVARNØ, A Critique of the Commission’s Interpretative Communication on
Institutionalised Public-Private Partnership, in Public Procurement L. Rev., 2009, NA11; R. WILLIAMS, The Commission
Interpretative Communication on the Application of Community Law on Public Procurements and Concessions to Institutionalised
Public-Private Partnership, in Public Procurement L. Rev., 2009, NA115; la comunicazione è analizzata da Cons. Stato,
Sez. VI, 16 marzo 2009, n. 1555, cit.
9
16
federalismi.it - ISSN 1826-3534
|numero speciale. 2/2019
Peraltro le scarne disposizioni procedurali di cui alla Direttiva 2014/23/EU possono trovare
applicazione, quantomeno per analogia, alla scelta del socio privato nei partenariati pubblico-privati di
tipo istituzionale.
3. Alcuni esempi di Anchor Institutions e diritto europeo dei contratti pubblici
Nella precedente relazione si è descritta l’esperienza di Preston (UK) una delle best practices in relazione
alle anchor institutions più nota e pubblicizzata. In questa sede si ritorna su tale esperienza focalizzandoci
specificamente sulla strategia seguita in materia di appalti.11
Per sintesi:
•
L’approccio parte da una decisione politica diretta a limitare il numero di appalti aggiudicati ad
imprese fuori dalla “regione” (leaked out of the local economy);
•
Segue uno studio approfondito su centinaia di contratti per individuare in quali settori il
fenomeno era più pronunciato, a suo volta seguito da uno studio per determinare in quali settori
la prestazione avrebbe potuto essere fornita da operatori economici locali;
•
Viene creato un database di operatori economici locali da invitare in sessioni informative
precedenti alla pubblicizzazione degli appalti pubblici;
•
I funzionari delle amministrazioni aggiudicatrici si incontrano regolarmente (ogni quattro mesi)
per scambiarsi best practices per massimizzare il ritorno a livello locale degli appalti pubblici;
•
In linea con il Social Value Act 2012, vengono usati criteri di aggiudicazione che si riferiscono alla
formazione professionale, all’assunzione di mano d’opera locale, alla lunghezza della supply-chain.12
Il modello è indicato come rispettoso del diritto dell’Unione europea dei contratti pubblici, indicando che
lo stesso si applica solo sopra certe soglie (il che è di per sé errato). Effettivamente peraltro con Brexit
un eventuale contrasto perderà molta rilevanza, il benchmark verosimilmente diventando il Government
Procurement Agreement – GPA dell’OMC.
Tuttavia, come si preciserà meglio nella successiva parte di questa relazione, la maggior parte delle misure
elencate, non fosse altre per come sono state attuate, sono in diretto contrasto con il principio di nondiscriminazione e talora anche con quello di trasparenza, indicando intenzionalmente una preferenza per
gli operatori locali13.
Si usano le informazioni reperibili su https://cles.org.uk/wp-content/uploads/2017/02/Community-WealthBuilding-through-AnchorInstitutions_01_02_17.pdf
12 Su tale aspetto https://www.preston.gov.uk/thecouncil/the-preston-model/preston-model/
13 Si veda, per una valutazione più giuridicamente corretta,
11
17
federalismi.it - ISSN 1826-3534
|numero speciale. 2/2019
Un altro esempio di cooperazione efficace con le anchor institutions è il piano economico strategico della
regione di Leeds (UK), che ha adottato un approccio efficace nella gestione degli appalti pubblici. Il
Strategic Economic Plan, che comprende leader politici di tutta la regione, è stato guidato dalla Leeds
City Region Enterprise Partnership (LEP) e dall'Occidente Yorkshire Combined Authority (autorità
mista) che lavora con e per conto di partner in tutta la regione della città, dove il Leeds City Region
Enterprise Partnership (LEP) ha stabilito la strategia economica generale, mentre l'autorità mista fornisce
responsabilità su base democratica locale e crea un chiaro collegamento con le autorità locali. 14
L’approccio in materia di appalti pubblici è stato composto da seguenti steps:
1. Si adotta un approccio di gestione di categoria, in cui gli acquisti correlati sono raggruppati per trarre
vantaggio da una migliore informazioni delle esigenze di acquisto e di ciò che i fornitori hanno da offrire,
e per sostenere gli acquisti all'ingrosso, ove opportuno, al fine di migliorare la qualità, il risparmio e
l'efficienza. Si adotta un intero approccio al ciclo di vita, che parte dalla valutazione delle esigenze e
dell'analisi delle opzioni, dalla preparazione e acquisizione, alla mobilitazione, alla gestione dei contatti e
all'uscita, per garantire risultati di qualità e un buon rapporto qualità-prezzo.
2. Si individua il miglior fornitore per ciascun contratto, comprese le piccole e medie imprese (PMI) e i
fornitori del terzo settore. Si considera la suddivisione degli appalti in lotti, sostenendo il pagamento
puntuale dei subappaltatori e implementando la trasparenza nei processi di approvvigionamento del
consiglio e nella pipeline degli appalti.
3. Si stabilisce un gruppo di filiera per aiutare le PMI a ottenere grandi contratti; impegnarsi con i
commissari delle infrastrutture; e costruire capacità15.
Il modello di Leeds indica l'ambizione di essere aperti e trasparenti, che riflette nel fornire contratti visibili
e informazioni di gestione costantemente aggiornate. Il Comune di Leeds attribuisce importanza alla
presentazione di processi e documentazione di gara chiari e accessibili. Apertura e trasparenza assicurano
la formazione di una relazione positiva tra il consiglio e i suoi partner di approvvigionamento. Allo stesso
modo, tali aspetti sono strettamente collegati a infondere fiducia nel pubblico riguardo all'approccio
adottato per gli appalti. Di per sé tale modello non è in contrasto con il diritto dell’Unione europea.
https://urbact.eu/sites/default/files/pages_de_procure_state_of_the_art.pdf
14 Si veda
https://www.leeds.gov.uk/East%20Leeds%20Extension/5%20%20Local%20policy%20and%20guidance/5.12%20Leeds%20City%20Region%20Strategic%20Economic%20Pl
an%202016.pdf p.17
15 Si rinvia a
https://www.leeds.gov.uk/docs/Procurement%20Strategy%20V1.0%20PUBLISH%2030.09.2013.pdf p.8
18
federalismi.it - ISSN 1826-3534
|numero speciale. 2/2019
Particolare attenzione merita il caso del Brainport di Eindhoven, nei Paesi bassi. Si tratta di una
collaborazione che, usando la struttura del DNA come metafora, è descritta come una collaborazione a
triplice elica per perseguire l’innovazione economica. Tale esempio si colloca nella peculiare situazione
olandese che unisce profonde divisioni socio-economica con una tradizione di governo consensuale delle
politiche pubbliche (il cosiddetto polder model sviluppato per gestire gli appezzamenti di terreno strappati
al mare e la fitta rete di canali necessaria per mantenerli fruibili per le attività agricole).16
Presupposto dello schema qui analizzato è l’esistenza di politiche pubbliche tese a sostenere l’innovazione
implementate attraverso schemi di finanziamento, contributi e contratti per la ricerca e l’innovazione,
normalmente gestiti tramite apposite strutture burocratiche con specifiche competenze professionali.
L’architettura istituzionale del Brainport di Eindhoven è basata su due soggetti in prima battuta regolati
dal diritto privato: una fondazione di diritto privato (Stichting Brainport) e una società di capitali che
funge da braccio operativo (Brainport Development NV).
La fondazione (Stichting Brainport) è governata da un consiglio a triplice elica (Raad van
Commissarissen) che comprende rappresentati di istituzioni pubbliche locali, accademici e componenti
espressi dalle più importanti imprese dell’area.
La fondazione è finanziata da contributi a fondo perduto e tendenzialmente senza vincolo di scopo
provenienti da istituzioni pubbliche locali che assumono la forma di contratti di diritto privato. Le somme
relative sono versate alla società operativa (Brainport Development NV).
Le strategie decise dalla fondazione sono attuate dalla società partecipata attraverso tre strumenti:
•
Contributi finanziari e partecipazione nello sviluppo di progetti innovati in partnership con
imprese locali.
•
Fornendo servizi e spazi ad imprese operanti nei settori delle nuove tecnologie in un’area
specificamente sviluppata allo scopo (Brainport area).
•
Attività di promozione delle imprese locali al di fuori della regione interessata.
Secondo i proponenti di Brainport di Eindhoven l’uso di strumenti privatistici garantisce grande
flessibilità nei rapporti tra i diversi attori consentendo la convergenza di differenti priorità ed interessi in
progetti comuni e processi decisionali più rapidi.
Al di là dell’innegabile successo in termini di creazione di innovazione tecnologica e sviluppo economico
dell’area in questione, l’operate di Brainport di Eindhoven, almeno per quanto è dato di giudicare sulla
Su tale aspetto
https://web.uniroma1.it/dip_management/sites/default/files/allegati/Brainport_CaseStudy.pdf
16
19
federalismi.it - ISSN 1826-3534
|numero speciale. 2/2019
base delle informazioni generalmente accessibili, presenta criticità dal punto di vista del diritto UE. Al di
là di possibili profili relativi alla disciplina degli aiuti di Stato, che non sono oggetto di attenzione in questa
sede, il punto fondamentale è che la scelta della forma privatistica, per giurisprudenza pacifica, non esenta
dall’applicazione della disciplina pubblicistica degli aiuti di Stato.
Ad esempio, in relazione ad appalti di una società spagnola di diritto privato ma a proprietà pubblica per
la realizzazione di strutture carcerarie, la Corte di giustizia ha avuto buon gioco nel rilevare che i bisogni
soddisfatti dalla società erano legati intrinsecamente alla tutela dell’ordine pubblico, con conseguente
applicazione della disciplina degli appalti pubblici17. Analogamente, in un caso relativo alla Fernwärme Wien,
una società interamente partecipata dalla Città di Vienna, creata per la fornitura di teleriscaldamento ad
abitazioni, uffici pubblici e privati, e imprese, utilizzando l’energia prodotta dallo smaltimento dei rifiuti,
la Corte di giustizia non solo ha ritenuto che assicurare la fornitura di riscaldamento di un agglomerato
urbano mediante un procedimento rispettoso dell’ambiente costituisca un obiettivo che rientra
innegabilmente nell’interesse generale, ma ha affermato essere «indifferente che siffatti bisogni siano
anche soddisfatti o possano esserlo da imprese private. È importante che si tratti di bisogni ai quali, per
ragioni connesse con l’interesse generale, lo Stato o una collettività territoriale scelgano in linea generale
di provvedere essi stessi o nei confronti dei quali intendano mantenere un’influenza determinante»18.
4. La sfera del possibile secondo il diritto dell’Unione europea dei contratti pubblici (con cenni
al diritto italiano)
L’analisi di best practices esistenti dimostra sia il potenziale ruolo delle anchor institutions nello sviluppo
dell’autonomia locale, sia le questioni che tali pratiche sollevano dal punto di vista del diritto, prima di
tutto dell’Unione europea, dei contratti pubblici (ed anche, ma non sono esaminate in questa sede, degli
aiuti di Stato).
Si può certamente affermare che “social purchasing involves efforts by large institutions – often called
“anchor institutions” – to actively seek supplier diversity and purchase from suppliers that deliver a social
benefit”.19 Fin qui non si pongono problemi di rispetto del diritto europeo dei contratti pubblici. I
problemi sorgono – o sorgerebbero, ma qui siamo in Canada – quando si continua nel ragionamento
affermando che “This typically involves efforts to reach out to social enterprises and local businesses.
The goal is to make government procurement more accessible to businesses and populations that typically
C. giust. CE, 16 ottobre 2003 (in causa C-283/00), Commissione c. Spagna.
C. giust. CE, 10 aprile 2008 (in causa C-393/06), Ing. Aigner, punto 40 della motivazione.
19 https://www.socialplatform.org/wpcontent/uploads/2015/10/Public_procurement_for_social_progress.pdf
p. 20
17
18
20
federalismi.it - ISSN 1826-3534
|numero speciale. 2/2019
would not have the capacity or resources to engage with formal procurement processes but may provide
equal or better value, or at least more innovative approaches, compared to larger incumbent vendors”.20
Ferma l’impossibilità di introdurre discriminazioni basate sulla nazionalità e a maggior ragione sulla
“località” del partner contrattuale, il diritto dell’Unione europea, consente alcuni margini di manovra che
le anchor institutions possono utilizzare per rispondere alla propria funzione.
Nelle pagine che seguono si segnaleranno alcune possibilità in tal senso, allo stesso tempo segnalando le
criticità di talune opzioni, trattando separatamente delle varie fasi del processo di scelta del contraente.
Infatti, “Ways of maximizing benefit for city economies in socio-economic and environmental terms
across Europe, can be built in at each of the parts of the process by municipalities and anchor
institutions”21.
Il partenariato pubblico-pubblico e la creazione (o il rafforzamento) della massa critica di intervento
L’art. 12 della Direttiva 2014/24/EU regola l’in house providing e le altre forme di collaborazione tra
amministrazioni aggiudicatrici. In particolare il comma 4 prevede che un contratto concluso
esclusivamente tra due o più amministrazioni aggiudicatrici non rientri nell’ambito di applicazione della
direttiva quando stabilisca o realizzi una cooperazione tra le amministrazioni aggiudicatrici partecipanti,
finalizzata a garantire che i servizi pubblici che esse sono tenute a svolgere siano prestati nell’ottica di
conseguire gli obiettivi che esse hanno in comune, l’attuazione di tale cooperazione è retta esclusivamente
da considerazioni inerenti all’interesse pubblico e le amministrazioni coinvolte svolgono sul mercato
aperto meno del 20% delle attività interessate dalla cooperazione.
Tali forme di cooperazione non escludono l’applicazione delle regole pubblicistiche per la scelta del
contraente, ma possono consentire un coordinamento delle politiche di acquisto. Inoltre, se una delle
amministrazioni partecipanti all’accordo è una delle centrali di committenza riconosciute nel nostro
ordinamento, l’accordo può prevedere il trasferimento ad essa delle competenze in materia di appalti
giusta l’art. 37, comma 4, della Direttiva 2014/24/UE, a norma del quale “Le amministrazioni
aggiudicatrici, senza applicare le procedure di cui alla presente direttiva, possono aggiudicare a una
centrale di committenza un appalto pubblico di servizi per la fornitura di attività di centralizzazione delle
committenze. Tali appalti pubblici di servizi possono altresì includere la fornitura di attività di
committenza ausiliarie”.
https://ccednet-rcdec.ca/sites/ccednetrcdec.ca/files/delivering_benefit__achieving_community_benefits_in_ontario.pdf
21 https://urbact.eu/sites/default/files/pages_de_procure_state_of_the_art.pdf
20
21
federalismi.it - ISSN 1826-3534
|numero speciale. 2/2019
Tale scelta può effettivamente portare alla centralizzazione di determinate funzioni di acquisto,
aumentando i potenziali effetti di anchor nella misura in cui gli appalti così aggregati non abbiano l’effetto
di escludere la partecipazione di PMI potenzialmente anche locali.
D’altra parte, per altri appalti, la scelta potrebbe piuttosto essere di parcellizzare gli appalti. Infatti, le
amministrazioni aggiudicatrici “can seek to ensure that service design and commissioning is reflective of
community need, by engaging and consulting communities upon the design of services. This is emerging
in the concept of co-production, where institutions and residents design services collaboratively, and
where communities can have responsibility for small elements of budgets. This ensures that procurement
is reflective of the needs and wants of communities, thus bringing benefits for local people”.22
In altri termini, senza violare il divieto di suddivisione artificiosa degli appalti, possono aggiudicarsi
contratti di modesto valore che, oltre ad essere sotto le soglie previste dal diritto europeo, non presentano
interesse transfrontaliero. Peraltro la normativa italiana va nell’opposta direzione dell’aggregazione della
committenza di cui si è detto.
La definizione dell’oggetto del contratto e delle specifiche tecniche e le condizioni d’esecuzione del
contratto come volano indiretto per l’economia locale
L’art. 18, comma 1, della Direttiva 2014/24/UE, ricordati i già richiamati principi generali del diritto
europeo dei contratti pubblici, ed in primis quello di non discriminazione precisa poi che “La concezione
della procedura di appalto non ha l’intento di escludere quest’ultimo dall’ambito di applicazione della
presente direttiva né di limitare artificialmente la concorrenza. Si ritiene che la concorrenza sia limitata
artificialmente laddove la concezione della procedura d’appalto sia effettuata con l’intento di favorire o
svantaggiare indebitamente taluni operatori economici”.
Alla luce della disposizione è di immediata evidenza l’illegittimità di scelte dichiaratamente orientate a
favorire operatori economici locali come nel caso di Preston, peraltro ideato ed attuato prima dell’entrata
in vigore della nuova direttiva (ma la regola avrebbe potuto dedursi in via interpretativa già dai principi
generali più volte richiamati).
Fermo quanto appena detto, le amministrazioni aggiudicatrici possono legittimamente introdurre (nella
definizione del contratto e nelle specifiche tecniche o ancora nelle condizioni di esecuzione del contratto)
misure, corrispondenti all’interesse pubblico, che possono aver l’effetto indiretto di favorire economici
locali.
22
Ancora https://urbact.eu/sites/default/files/pages_de_procure_state_of_the_art.pdf
22
federalismi.it - ISSN 1826-3534
|numero speciale. 2/2019
Un esempio è rappresentato dalle clauses d’insertion molto usate in Francia negli appalti richiedenti
manodopera poco specializzata23.
Sostanzialmente l’aggiudicatario si impegna ad assumere, per l’esecuzione del contratto, disoccupati di
lunga durata o persone appartenenti ad altre categorie svantaggiate individuati dai servizi pubblici di
collocamento e ad attuare programmi di formazione professionale tali da consentire, in parallelo con
l’esecuzione della prestazione principale dedotta nel contratto, a questi lavoratori di acquisire competenze
e specializzazioni richieste sul mercato.
Simile clausole avvantaggiano l’economia locale riducendo la disoccupazione, creando salari che
verosimilmente verranno spesi in loco, ed elevando le capacità professionali di fasce della popolazione
locale. Fermo che anche un operatore economico stabilito altrove potrebbe aver interesse ad ottenere
l’aggiudicazione del contratto assumendo la relativa manodopera, è verosimile che gli operatori economici
locali possano avere maggiore interesse a fornire attività di formazione a persone che potrebbe comunque
impiegare anche in contratti successivi24.
Naturalmente, obblighi di formazione possono essere imposti indipendentemente dalla richiesta di
assunzioni in loco. Gli effetti per l’economia di riferimento saranno tuttavia meno pronunciati.
Più in generale è possibile inserire specifiche tecniche e condizioni di esecuzione del contratto quando
questo corrisponda a legittimi interessi curati dall’amministrazione aggiudicatrice e diversi dalla pura
promozione dello sviluppo economico locale. Negli appalti di costruzione si può sicuramente pretendere
l’impiego di materiali, quali legno o pietra, tradizionali della comunità. Qualora vi siano poi materiali
specifici, come un tipo di legname, si può pretendere il suo impiego. In ogni caso è probabile un ritorno
economico sul territorio.
Analogamente, per quanto riguarda i servizi alla persona, si può richiedere che il contraente utilizzi
personale a conoscenza di peculiarità locali, come ad esempio il dialetto o le abitudini delle fasce di
popolazione coinvolte. Di converso non pare legittima la pretesa di richiedere la conoscenza della lingua
locale a tutti i lavoratori impegnati sui cantieri per la costruzione di opere pubbliche. E infatti in Francia
le cosiddette clauses Molière sono state ritenute illegittime dagli stessi giudici amministrativi francesi25.
Appalti riservati
Direction des affaires juridiques, Guide sur les aspects sociaux de la commande publique, 2018, p. 9 ; si veda
anche https://mef-cotentin.com/wp-content/uploads/2018/06/Bilan-clause-2017.pdf.
24 Si veda anche https://urbact.eu/sites/default/files/pages_de_procure_state_of_the_art.pdf: “Apprenticeships,
labour and social clauses They can enable benefit by stipulating in tender documentation the requirement for
contractors to add value for communities beyond service delivery. In construction projects, this could include a
requirement to create apprenticeships for every euro 1 million spent, or a desire to create jobs for those who are
unemployed. In more service focused activities, it could include wider social benefits such as community work”.
25 TA Lyon, 13 dicembre 2017, n°1704697.
23
23
federalismi.it - ISSN 1826-3534
|numero speciale. 2/2019
Come più volte ricordato, il diritto del mercato interno dell’Unione europea, ed in specie la disciplina di
appalti e contratti pubblici, è retta dal principio di non-discriminazione, il che esclude in linea generale la
possibilità di set aside a favore di particolari categorie di imprese come è nel caso ad esempio degli appalti
anche federali negli Stati uniti d’America.
Peraltro, come accennato, è la stessa Direttiva 2014/24/UE a prevedere delle eccezioni. In particolare
l’art. 20 della direttiva a indicare la possibilità per gli Stati membri di “riservare il diritto di partecipazione
alle procedure di appalto a laboratori protetti e ad operatori economici il cui scopo principale sia
l’integrazione sociale e professionale delle persone con disabilità o svantaggiate o possono riservarne
l’esecuzione nel contesto di programmi di lavoro protetti quando almeno il 30 % dei lavoratori dei
suddetti laboratori, operatori economici o programmi sia composto da lavoratori con disabilità o da
lavoratori svantaggiati”26.
La previsione è stata recepita dall’art. 112 del Codice dei contratti pubblici, i cui primi 2 commi
dispongono “1. Fatte salve le disposizioni vigenti in materia di cooperative sociali e di imprese sociali, le
stazioni appaltanti possono riservare il diritto di partecipazione alle procedure di appalto e a quelle di
concessione o possono riservarne l’esecuzione ad operatori economici e a cooperative sociali e loro
consorzi il cui scopo principale sia l’integrazione sociale e professionale delle persone con disabilità o
svantaggiate o possono riservarne l’esecuzione nel contesto di programmi di lavoro protetti quando
almeno il 30 per cento dei lavoratori dei suddetti operatori economici sia composto da lavoratori con
disabilità o da lavoratori svantaggiati. 2. Ai sensi del presente articolo si considerano soggetti con disabilità
quelli di cui all’articolo 1 della legge 12 marzo 1999, n. 68, le persone svantaggiate, quelle previste
dall’articolo 4 della legge 8 novembre 1991, n. 381, gli ex degenti di ospedali psichiatrici, anche giudiziari,
i soggetti in trattamento psichiatrico, i tossicodipendenti, gli alcolisti, i minori in età lavorativa in situazioni
di difficoltà familiare, le persone detenute o internate negli istituti penitenziari, i condannati e gli internati
ammessi alle misure alternative alla detenzione e al lavoro all’esterno ai sensi dell’articolo 21 della legge
26 luglio 1975, n. 354 e successive modificazioni”.
La disposizione combina il dettato europeo con la peculiare tradizione italiana in materia di cooperative
sociali27.
Si veda anche Regolamento (UE) N. 651/2014 della Commissione del 17 giugno 2014 che dichiara alcune
categorie di aiuti compatibili con il mercato interno in applicazione degli articoli 107 e 108 del trattato art 2
27 R. Caranta, S. Richetto, Sustainable Procurements in Italy: Of Light and Some Shadows, in R. CARANTA and M. TRYBUS
(edds.) The Law of Green and Social Procurements in Europe, Copenhagen, DJØF, 2010, 143-164.
26
24
federalismi.it - ISSN 1826-3534
|numero speciale. 2/2019
Più in generale, come già ricordato, in base all’art. 77 della Direttiva 2014/24/UE, gli Stati membri
possono prevedere che le amministrazioni aggiudicatrici possano riservare il diritto di partecipare alle
procedure per l’aggiudicazione di appalti pubblici esclusivamente per determinati servizi sanitari, sociali
e culturali ad organizzazioni no-profit.
La previsione è stata recepita dall’art. 143 del Codice dei contratti pubblici a norma del quale “Le stazioni
appaltanti possono riservare alle organizzazioni di cui al comma 2 il diritto di partecipare alle procedure
per l'aggiudicazione di appalti pubblici esclusivamente per i servizi sanitari, sociali e culturali”.
Sicuramente le possibilità ora ricordate operano una limitazione della partecipazione alle gare in base a
criteri diversi dalla localizzazione dell’operatore economico. Tuttavia di fatto molte delle organizzazioni
in questione operano su base prettamente locale.
Misure per le PMI
In base al diritto dell’Unione europea non è invece possibile riservare la partecipazione alle gare a PMI.
Tale partecipazione può peraltro essere facilitata per esempio dividendo in contratto in lotti, operazione
tanto più necessaria in quanto si siano attuate forme di aggregazione e centralizzazione degli acquisti.
In tal senso già il considerando 78 della direttiva indica che “È opportuno che gli appalti pubblici siano
adeguati alle necessità delle PMI. Le amministrazioni aggiudicatrici dovrebbero essere incoraggiate ad
avvalersi del Codice europeo di buone pratiche, di cui al documento di lavoro dei servizi della
Commissione del 25 giugno 2008, dal titolo «Codice europeo di buone pratiche per facilitare l’accesso
delle PMI agli appalti pubblici», che fornisce orientamenti sul modo in cui dette amministrazioni possono
applicare la normativa sugli appalti pubblici in modo tale da agevolare la partecipazione delle PMI. A tal
fine e per rafforzare la concorrenza, le amministrazioni aggiudicatrici dovrebbero in particolare essere
incoraggiate a suddividere in lotti i grandi appalti. Tale suddivisione potrebbe essere effettuata su base
quantitativa, facendo in modo che l’entità dei singoli appalti corrisponda meglio alla capacità delle PMI,
o su base qualitativa, in conformità alle varie categorie e specializzazioni presenti, per adattare meglio il
contenuto dei singoli appalti ai settori specializzati delle PMI o in conformità alle diverse fasi successive
del progetto”.
Il dovere di suddividere il contratto in lotti salve motivate esigenze per procedere diversamente è ripreso
all’art. 46 della direttiva, che ha seguito i modello del Code des marchés publics francese del 2006. La
disposizione è stata attuata dall’art. 51, comma 1, del Codice dei contratti pubblici, in virtù del quale “1.
Nel rispetto della disciplina comunitaria in materia di appalti pubblici, sia nei settori ordinari che nei
settori speciali, al fine di favorire l'accesso delle microimprese, piccole e medie imprese, le stazioni
appaltanti suddividono gli appalti in lotti funzionali di cui all’articolo 3, comma 1, lettera qq), ovvero in
25
federalismi.it - ISSN 1826-3534
|numero speciale. 2/2019
lotti prestazionali di cui all'articolo 3, comma 1, lettera ggggg) in conformità alle categorie o
specializzazioni nel settore dei lavori, servizi e forniture”.28
Altre misure incluse, sulla base di best practices a livello internazionale, nella direttiva per incoraggiare la
partecipazione della PMI alle gare d’appalto includono l’alleggerimento degli oneri documentali e la
limitazione dei requisiti di partecipazione29.
Ancora una volta tali disposizioni non favoriscono specificamente PMI locali, ma esse possono trarne
particolare beneficio.
Certo la decisione della V sezione del Consiglio di Stato n. 2044 del 3 aprile 2018, ha giudicato che il
principio della suddivisione in lotti non sia assoluto né inderogabile, in quanto è la stessa norma a
prevedere la possibilità che le stazioni appaltanti motivino la diversa determinazione nel bando di gara,
nella lettera di invito o nella relazione unica. Si è precisato che il principio può essere derogato con una
determinazione adeguatamente motivata, la quale è espressione, oltre che dell’adeguatezza dell’istruttoria,
in ordine alla decisione di frazionare o meno un appalto di grosse dimensioni in lotti30.
Spetta alle anchor institutions e a maggior ragione alle centrali di committenza assumersi il surcroît de travail
che tali possibilità portano con sé. Lo stesso vale con riferimento ad altri istituti che facilitano la
partecipazione di PMI alle gare come il subappalto e l’avvalimento31.
Market engagement
Più in generale occorre sviluppare forme proattive di diffusione delle informazioni circa le opportunità
di concorrere ad appalti pubblici per le PMI e più ingenerale per quegli operatori del terzo settore e delle
imprese comunitarie che possono non essere abituate ad accedere alle informazioni stesse attraverso i
canali istituzionali. Così anchor institutions e non solo possono “develop a range of online activities which
raise awareness amongst the local business base, SMEs, and social economy organizations, of upcoming
28 Articolo 3 comma 1 lettera qq “«lotto funzionale», uno specifico oggetto di appalto da aggiudicare anche con
separata ed autonoma procedura, ovvero parti di un lavoro o servizio generale la cui progettazione e realizzazione
sia tale da assicurarne funzionalità, fruibilità e fattibilità indipendentemente dalla realizzazione delle altre parti”;
lettera ggggg “«lotto prestazionale», uno specifico oggetto di appalto da aggiudicare anche con separata ed
autonoma procedura, definito su base qualitativa, in conformità alle varie categorie e specializzazioni presenti o in
conformità alle diverse fasi successive del progetto;”.
29 http://www.sigmaweb.org/publications/Public-Procurement-Policy-Brief-33-200117.pdf: per esempio nel
Regno unito “The Government has made changes to assist SMEs in bidding for public sector contracts. These
changes include:
1. requiring that all economic operators in the public sector supply chain be paid within 30 days;
2. purchasing in a simpler and quicker way, e.g. by abolishing pre-qualification questionnaires for low-value
public sector contracts;
3. requiring all contracting authorities to publish information about contract opportunities and contract
awards on a national database.
30
31
https://www.codiceappalti.it/DLGS_50_2016/Art__51__Suddivisione_in_lotti/8425
Si veda ancora http://www.sigmaweb.org/publications/Public-Procurement-Policy-Brief-37-200117.pdf
26
federalismi.it - ISSN 1826-3534
|numero speciale. 2/2019
tender opportunities. These can include online portals which provide alerts to relevant contract
opportunities, and a means of uploading tender documents and guides that explain to small organizations
what is expected in the tender process and how to complete procurement documentation. They can also
develop portals specifically for sub-contracting opportunities”32.
Tra queste forme si possono considerare anche le consultazioni preliminari di mercato oggi disciplinate
dall’art. 40 della Direttiva 2014/24/UE. In base a tale disposizione, “Prima dell’avvio di una procedura
di appalto, le amministrazioni aggiudicatrici possono svolgere consultazioni di mercato ai fini della
preparazione dell’appalto e per informare gli operatori economici degli appalti da essi programmati e dei
requisiti relativi a questi ultimi. A tal fine, le amministrazioni aggiudicatrici possono ad esempio sollecitare
o accettare consulenze da parte di esperti o autorità indipendenti o di partecipanti al mercato. Tali
consulenze possono essere utilizzate nella pianificazione e nello svolgimento della procedura di appalto,
a condizione che non abbiano l’effetto di falsare la concorrenza e non comportino una violazione dei
principi di non discriminazione e di trasparenza”.
E’ chiaro che l’esperienza di Preston, rivolgendosi esclusivamente agli imprenditori locali, si è svolta in
contrasto con l’art. 4033. Le consultazioni vanno invece pubblicizzate in modo idoneo, per esempio sul
sito web dell’amministrazione interessata e su siti frequentati dagli operatori del settore. Il che non esclude
che parallelamente si possano intraprendere altre iniziative di comunicazione più mirata, per esempio ad
associazioni di imprenditori locali o camere di commercio o specifiche mailing lists34.
Che poi solo operatori economici locali decidano di partecipare agli eventuali incontri è una possibilità
che non comporta di per sé violazione del diritto UE.
Procedure di aggiudicazione ed innovazione
https://urbact.eu/sites/default/files/pages_de_procure_state_of_the_art.pdf
Lo stesso giudizio vale per il suggerimento secondo il quale “Working with local business to test markets
Procurement teams can work with economic development teams to identify local businesses, particularly SMEs,
who might be suitable to bid for certain contract opportunities. Targeted market testing could be focused on
businesses in specific sectors or based in particular parts of the city. They can follow up market testing with targeted
capacity building. They can also engage with potential suppliers before formally putting a service out to tender
through holding meetings and events. These enable institutions to detail their specifications in relation to a
particular contract and to inform suppliers of what is expected of them in the tendering process, including any
requirements around economic, social and environmental benefit. They also provide the opportunity to informally
develop
suppliers’
skills
in
tendering”:
https://urbact.eu/sites/default/files/pages_de_procure_state_of_the_art.pdf ; le attività di formazione, le quali,
pena violazione del principio di non-discriminazione, non possono essere rivolte alla preparazione alla
partecipazione ad un appalto specifico, vanno comunque valutate alla luce della disciplina degli aiuti di Stato.
34 Si veda https://urbact.eu/sites/default/files/pages_de_procure_state_of_the_art.pdf: “Engagement work with
business networks They can make local businesses, particularly SMEs, aware of procurement opportunities
through developing relationships with business representative bodies such as Chambers of Commerce and small
business organizations. These organizations can also provide advice and guidance to their members about bidding
for procurement opportunities, and also assist in developing capacity and capability”.
32
33
27
federalismi.it - ISSN 1826-3534
|numero speciale. 2/2019
Gli appalti possono senz’altro essere utilizzati per favorire l’innovazione, anzi questa è una delle
considerazioni strategiche indicate come prioritarie dalle istituzioni europee.
Il problema è come operare in linea con le disposizioni in materia di contratti pubblici (e, ancora una
volta, di aiuti di Stato, ma quest’ultimo profilo non sarà indagato in questa sede).
L’art. 14 della Direttiva 2014/24/UE prevede che siano sottoposti alla disciplina in materia di contratti
pubblici gli appalti relativi a servizi di ricerca e sviluppo solo nella misura in cui i risultati appartengano
“esclusivamente all’amministrazione aggiudicatrice perché li usi nell’esercizio della sua attività” e la
prestazione del servizio sia “interamente retribuita dall’amministrazione aggiudicatrice”.
Peraltro il considerando 47 indica che “la Commissione del 14 dicembre 2007 intitolata «Appalti precommerciali: promuovere l’innovazione per garantire servizi pubblici sostenibili e di elevata qualità in
Europa», riguardante gli appalti dei servizi di R&S che non rientrano nell’ambito di applicazione della
presente direttiva, riporta una serie modelli di aggiudicazione di appalti”.
La necessaria inferenza è che procedure di aggiudicazione non discriminatorie, trasparenti e così via
vanno applicate anche al di fuori dell’area di applicazione della direttiva. Inoltre, mentre questi modelli
“continuerebbero ad essere disponibili”, la direttiva, allo scopo di “contribuire ad agevolare gli appalti
pubblici nel settore dell’innovazione e aiutare gli Stati membri nel raggiungimento degli obiettivi
dell’Unione in questo ambito” ha introdotto, all’art. 31, una nuova modalità di finanziamento della ricerca
ed acquisto dei relativi prodotti, il partenariato per l’innovazione35.
Senza entrare nel dettaglio, preme qui sottolineare che il comma 6 dell’art. 31 precisa che “Nel selezionare
i candidati, le amministrazioni aggiudicatrici applicano in particolare i criteri relativi alle capacità dei
candidati nel settore della ricerca e dello sviluppo e nella messa a punto e attuazione di soluzioni
innovative”.
Ancora una volta l’elemento “locale” non può essere discriminante. Anche da questo punto di vista
l’esperienza di Brainport Eindhoven, prevedente forme di collaborazione per l’innovazione con
imprenditori locali rette da contratti di diritto privato, non pare in linea con l’attuale disciplina di diritto
europeo.
Il che, ancora una volta, non esclude legittimi meccanismi per accentuare la ricaduta positiva sul territorio.
Una simile procedura potrebbe essere lanciata legittimamente partendo da un partenariato pubblicopubblico caratterizzato dalla partecipazione di istituzioni di ricerca locali, che potrebbero beneficiare, o
co-beneficiare, dei diritti di proprietà intellettuale previsti eventualmente a favore della parte pubblica.
Butler, Innovation in Public Procurement: Towards the “Innovation Union”, in: Lichère, Caranta, Treumer (eds.):
Modernising Public Procurement: The New Directive, 2014, p. 337 ff; Cerqueira Gomez, The innovative innovation
partnership under the 2014 Public Procurement Directive, PPLR 2014, p. 211.
35
28
federalismi.it - ISSN 1826-3534
|numero speciale. 2/2019
Nel caso si decida di instaurare il partenariato per l’innovazione con un solo partner, i documenti di gara
potranno prevedere la costituzione di una società in comune, secondo il modello del partenariato
pubblico-privato di tipo istituzionale. Gli stessi documenti potranno liberamente fissare la sede della
società e delle sue attività di ricerca, con conseguenti retombées sul territorio locale.
Criteri di aggiudicazione e possibili effetti sull’economia locale
Elementi come l’assunzione di disoccupati di lunga durata o altre persone in condizioni specifiche oppure
l’uso di materie prime tradizionali possono essere considerati anche come criteri di aggiudicazione36.
Più in generale, le amministrazioni aggiudicatrici “can also consider social and environmental criteria in
procurement strategy and in the associated tender documents and decision. This can be done by
assigning, for example, ten percent of the decision to the extent to which potential suppliers detail that
they will address social and environmental issues”37.
Inoltre, con un’evoluzione significativa rispetto al passato, l’art. 67, comma 2, lettera f) della Direttiva
prevede oggi che possano essere considerati tra i criteri di aggiudicazione “organizzazione, qualifiche ed
esperienza del personale incaricato di eseguire l’appalto, qualora la qualità del personale incaricato possa
avere un’influenza significativa sul livello dell’esecuzione dell’appalto”. In relazione ai contratti relativi a
servizi alla persona una simile disposizione può consentire di tener conto della specifica conoscenza della
realtà locale da parte dei concorrenti.
5. Conclusioni
Come risulta dalle pagine che precedono, non sono in linea con il diritto dell’Unione europea scelte in
materia di contratti pubblici che esplicitamente favoriscano gli operatori economici locali. Talune pretese
best practices come minimo non sono in linea con lo stato presente di tale diritto.
Tuttavia numerose scelte, analizzate nel paragrafo che precede, possono portare a tale risultato, e più
specificamente a rafforzare le chances di PMI, imprese sociali ed imprese innovative, spesso anche se
non necessariamente locali e in ogni caso con ricadute positive sul territorio di riferimento dell’anchor
institution. In base all’analisi condotta nelle pagine che precedono, si ritiene in particolare che una anchor
institution potrebbe utilmente seguire una, o entrambe, delle seguenti strategie:
•
Puntare sul rafforzamento dell’economia sociale, notoriamente maggiormente resiliente rispetto
al for profit ed ancor di più rispetto alla grande impresa globalizzata; in tal senso, previa un’analisi
36
37
Si veda anche http://www.sigmaweb.org/publications/Public-Procurement-Policy-Brief-14-200117.pdf
https://urbact.eu/sites/default/files/pages_de_procure_state_of_the_art.pdf
29
federalismi.it - ISSN 1826-3534
|numero speciale. 2/2019
accurata della realtà socio-economica locale e della struttura e delle capacità del terzo settore
nell’area di riferimento, dovrebbe sistematicamente, ogni qual volta possibile, preferire appalti
riservati secondo quanto previsto dagli artt. 112 e 147 del Codice dei contratti pubblici.
Consultazioni preliminari di mercato non-discriminatorie dal punto di vista degli inviti ad
operatori del terzo settore dovrebbero essere usate, soprattutto nella prima fase di attuazione
della strategia.
Mirare a rafforzare la base di ricerca locale. A tal fine dovrebbe innanzitutto raggiunta una sufficiente
massa critica di spesa con il ricorso a partenariati pubblici-pubblici e all’uso di centrali di committenza.
Le sinergie così create dovrebbero portare ad una serie di partenariati per l’innovazione fortemente
radicati sul territorio.
30
federalismi.it - ISSN 1826-3534
|numero speciale. 2/2019
Le Università come Anchor Institutions:
le opportunità dell’autonomia funzionale
differenziata*
di Giuseppe Valditara
Professore ordinario di Diritto romano e diritti dell’antichità
Università degli Studi di Torino
1. La legge 240/2010 ribadisce all'art. 1 comma 2 il principio di autonomia universitaria in piena
conformità con quanto stabilito dall'art. 33 comma 6 della Costituzione che recita: "Le istituzioni di alta
cultura, università ed accademie, hanno il diritto di darsi ordinamenti autonomi nei limiti stabiliti dalle
leggi dello Stato".
Conseguentemente, la legge 240 prevede che "Sulla base di accordi di programma con il Ministero
dell'istruzione, dell'università e della ricerca, di seguito denominato «Ministero», le università che hanno
conseguito la stabilità e sostenibilità del bilancio, nonché risultati di elevato livello nel campo della
didattica e della ricerca, possono sperimentare propri modelli funzionali e organizzativi, ivi comprese
modalità di composizione e costituzione degli organi di governo e forme sostenibili di organizzazione
della didattica e della ricerca su base policentrica, diverse da quelle indicate nell' articolo 2. Il Ministero,
con decreto di natura non regolamentare, definisce i criteri per l'ammissione alla sperimentazione e le
modalità di verifica periodica dei risultati conseguiti".
A differenza di quanto stabilito, per esempio, nell'art. 29 della Costituzione per cui "La Repubblica
riconosce i diritti della famiglia come società naturale", in cui cioè vi è la semplice presa d'atto di diritti
preesistenti, qui si ha l’attribuzione di un diritto che consiste nella facoltà di darsi ordinamenti autonomi,
peraltro riservando alla legge la definizione di limiti alla suddetta autonomia.
L'autonomia riguarda dunque propri ordinamenti interni. Trattandosi di autonomia si presuppone
pertanto un potere normativo differenziato, che implica cioè la possibilità di regole diverse per ogni
singolo ateneo.
L'art. 1.2 della legge 240, rispetta pienamente il dettato costituzionale posto che attribuisce una autonomia
che riguarda gli ordinamenti interni delle singole università, circoscrivendo tale facoltà al rispetto di precisi
AVVERTENZA: Per un errore, nella prima versione del presente articolo, pubblicata il 27 settembre 2019, è¨stata
inserita una bozza di decreto diversa da quella originale proposta dall’Autore, e ora correttamente riportata nel
testo.
*
31
federalismi.it - ISSN 1826-3534
|numero speciale. 4/2019
limiti. Un primo limite è certamente la previsione del previo accordo di programma con il Ministero che
può graduare l'autonomia in relazione alle necessità e potenzialità del singolo ateneo. Un preciso limite è
inoltre costituito dalla "stabilità e sostenibilità di bilancio", "nonché risultati di elevato livello nel campo
della didattica e della ricerca". Un ulteriore limite, di carattere operativo, consiste nel riferimento a "propri
modelli funzionali ed organizzativi". La ulteriore autonomia concessa trova dunque il limite nei modelli
funzionali ed organizzativi, vale a dire nel funzionamento della istituzione universitaria e nella sua
organizzazione interna.
La dizione è sufficientemente ampia e generica, ben potendo comprendere anche i rapporti dell'ateneo
con coloro che sono l'anima del funzionamento di quell'ateneo, vale a dire il personale che consente
all'ateneo di svolgere le proprie funzioni, vale a dire l'attività didattica e di ricerca. Si vedrà più avanti
come nel concetto di autonomia funzionale per i Costituenti rientrava anche la definizione dello stato
giuridico dei docenti.
2. Per comprendere la portata dell'art. 33.6 Cost. e la eventuale congruenza dell'art. 1.2 legge 240/2010,
occorre riandare al dibattito in sede di Costituente.
Già il 30 luglio 1946, in seno alla seconda Sottocommissione della Commissione per la Costituzione,
Attilio Piccioni chiariva come "per le università e gli istituti superiori si affaccia un concetto di autonomia"
distinto rispetto a quello previsto per gli enti territoriali. Per il Costituente democristiano "Non si è fatto
un guadagno" sottoponendo le università all'ordinamento unitario dello Stato: nei paesi liberi e
democratici le università trovano, nella loro autonomia, un motivo serio e profondo per servire al più
ampio sviluppo della scienza. Allo Stato devono rimanere solo le funzioni ispettive ed un controllo
attraverso l'esame di Stato, il quale ultimo, in un regime libero, rappresenta una garanzia per gli scopi
generali che lo Stato deve salvaguardare". Insomma per Piccioni, lo Stato avrebbe dovuto conservare
esclusivamente funzioni ispettive e di controllo dei risultati raggiunti, attraverso un esame abilitante
all'esercizio delle professioni.
Il 18 ottobre 1946 la prima Sottocommissione della Commissione per la Costituzione inizia la discussione
sui principî dei rapporti sociali (culturali). Nella seduta del 18 aprile 1947 Colonnetti giunge ad affermare:
"Non si esaurisce qui il problema della scuola — non si esaurisce se non si ha il coraggio di affermare
un'altra libertà: quella della scuola stessa, della stessa scuola di Stato, a darsi i suoi ordinamenti. E qui
l'argomento assume un particolare rilievo se si guarda all'Università ed agli Istituti di alta cultura, la cui
attuale decadenza, da tutti sentita, è in gran parte dovuta all'avvenuta soppressione di ogni autonomia, di
ogni libertà.
32
federalismi.it - ISSN 1826-3534
|numero speciale. 4/2019
L'Università è oggi soffocata dalle masse dei giovani che si affollano alle sue porte senza possedere
attitudini e nemmeno aspirazioni alla preparazione scientifica o ad una reale elevazione morale e sociale,
spinti soltanto dal proposito di conquistarsi in qualunque modo un titolo che apra la via ad uffici lucrosi.
L'Università non si salva se non attraverso un radicale rinnovamento dei suoi ordinamenti, capace di
attuare una severa selezione ed un orientamento dei giovani. Tali nuovi ordinamenti dovranno essere così
variamente articolati e differenziati da preparare i giovani meritevoli e capaci, perché forniti delle
necessarie attitudini e perché orientati, avviandoli mediante una specifica formazione verso le singole
attività professionali o verso le più alte mete della cultura. Ad un tale risultato non si arriverà mai se non
si metteranno in gioco le libere iniziative attraverso una completa autonomia di governo didattico ed
economico dei singoli Istituti; autonomia che sola può permettere agli Istituti stessi di darsi un particolare
e ben determinato carattere nella costituzione stessa del corpo insegnante e nella libera adozione di quegli
ordinamenti che, caso per caso, più si confanno al raggiungimento dei fini che i singoli istituti si
propongono, adeguando al programma i mezzi di cui essi dispongono.
L'autonomia, se reale e completa, varrà a fissare le responsabilità dei corpi insegnanti e a restituire
all'insegnamento superiore quel prestigio che esso ha ormai perduto.
Allo Stato resterà il diritto di disciplinare l'esercizio delle professioni attraverso il conferimento dei relativi
diplomi di abilitazione. E nell'esercizio di questo suo diritto avrà sempre modo di operare quel controllo
che deve garantire ogni cittadino e stimolare le Università nell'esplicazione delle loro libere attività.
Se questa Assemblea avrà il coraggio di affermare il principio dell'autonomia degli Istituti di alta cultura,
essa potrà ben dire di aver con ciò posta una pietra basilare dell'edificio nuovo nel quale si matureranno
i futuri destini e le future grandezze d'Italia".
Riaffiora dunque un potere di intervento statuale limitato al controllo dei risultati, essenzialmente
attraverso gli esami di abilitazione all'esercizio delle professioni.
La riflessione è peraltro qui molto più articolata. Intanto l'autonomia universitaria è concepita come
strumento per superare la decadenza del sistema universitario. L'autonomia riguarda gli ordinamenti
universitari, presuppone una "varia articolazione e differenziazione", deve essere "completa" e riguardare
il "governo didattico ed economico", dunque sembrerebbe autonomia nella organizzazione della didattica
e persino nella amministrazione e nell'uso delle risorse. Nell'intervento di Della Seta del 21 aprile 1947 si
affermano due concetti fondamentali: l'autonomia universitaria "è garanzia di libertà per l'alto
insegnamento", tuttavia "deve essere un'autonomia ben altrimenti disciplinata, se non si vuole, in nome
della libertà delle singole Facoltà, sanzionare degli arbitrî, specie nel campo dei concorsi universitari che
molte volte risentono di indebite pressioni e inframmettenze. E non parliamo di certe cattedre conferite
ad uomini di cosiddetta chiarissima fama, per le quali, non rare volte, salvando tutte le forme, si giunge a
33
federalismi.it - ISSN 1826-3534
|numero speciale. 4/2019
sanzionare il privilegio e l'arbitrio". L'autonomia deve incontrare dunque dei limiti costituiti da norme di
carattere generale in particolare laddove si tratti di reclutamento. Sempre nella seduta del 21 aprile
Codignola esprimeva la preoccupazione che l'autonomia degli istituti potendosi estendere al
disciplinamento dell'insegnamento universitario potesse per atenei di carattere "ecclesiastico" il
pretendere "giuramenti antimodernisti" vincolando le coscienze dei professori ovvero affermare principi
contrari alla libertà della ricerca. Codignola peraltro attesta la presenza in commissione di un orientamento
che avrebbe chiesto "l'assoluta indipendenza dell'insegnamento e dell'organizzazione universitaria dallo
Stato".
Il 22 aprile 1947 Rivera si espresse decisamente per una forte autonomia degli atenei: "Passiamo ora a
dire due parole sulle Università. Le Università non sono state mai così dipendenti e così a disposizione
della burocrazia e dei ministeri, come da quando si è detto che esse sono autonome. È una fatalità, ma
l'autonomia è andata proprio sfumando da quando essa è stata proclamata.
C'è poi una uniformità che dà luogo a gravi inconvenienti. Tutte le Università ci si presentano nei loro
ordinamenti parallele ed eguali, giacché le Facoltà hanno programmi identici in tutte le Università. Ciò
contrariamente alla tradizione del nostro Paese, in cui persino certe scuole medie apparivano specializzate,
così come era per le scuole nautiche e le scuole di agricoltura, per esempio, specializzate per l'enologia o
per altre branche, tutto oggi raso in una uniformità desolante".
L'autonomia dunque nella visione di questo autorevole Costituente presuppone innanzitutto il potere di
darsi ordinamenti differenti così da non risultare le singole università quanto agli ordinamenti vigenti al
loro interno "parallele ed eguali". Ma l'autonomia è anche uno strumento potente per contrastare "il più
grave inconveniente che noi ritroviamo nelle Università" vale a dire "questa burocrazia onnipotente, che
decide tutto, giacché i Ministri passano, ma la burocrazia resta e non si muove foglia che Roma non
voglia!". E ancora: "Ora noi chiediamo che le Università diventino veramente autonome, che cioè questa
autonomia non sia una burla, che cioè il Governo, lo Stato — ho sentito parlare dello Stato qui dentro
con una grande devozione e questo mi ha fatto paura — che cioè lo Stato dia i fondi, ma che poi le
Università possano governarsi da sé".
Dunque l'autonomia viene intesa essenzialmente come autogoverno. Con esiti di grande rilievo ed
estensione: "se noi riusciremo a riportare le Università nostre alle antiche tradizioni di indipendenza e di
autonomia, faremo cosa veramente saggia. Una volta le Università si governavano da sé e si strappavano
i docenti al suon di fiorini. A Perugia c'era un grande giurista, al quale fu offerta dallo Studio bolognese
una somma di fiorini d'oro veramente notevole: immediatamente Perugia corse ai ripari, per tenerselo,
offrendo altrettanto, e, poiché la prudenza non è mai troppa, incaricò anche gli studenti di sorvegliare
questo prezioso personaggio, perché non le sfuggisse. Questo episodio rivela quale è il lievito maggiore
34
federalismi.it - ISSN 1826-3534
|numero speciale. 4/2019
perché si possa dagli studiosi meglio operare, e produrre: lo stimolo della concorrenza. Ma si devono
anche avere le spalle sicure, si deve esser certi cioè che domani, mutando Governo, non si soffrano
affronti e scapiti, come noi abbiamo sofferto durante il periodo fascista. Questo bisogna assicurare. Io
non dico che debba tornare un governo fascista, ma può venire un governo di partito, di qualunque
partito. Togliamo il sospetto che la politica possa, in questo o in altro modo, interferire in mezzo agli
uomini di studio: diamo a costoro l'autorità vera, la persuasione, cioè, che essi sono superiori, al di sopra
e fuori della politica; altrimenti la politica, come è successo recentemente, sacrifica alcuni dei nostri
migliori".
Autonomia significa dunque, fra l'altro, che gli atenei possono farsi concorrenza fra di loro, arrivando
persino ad offrire condizioni retributive differenziate, e maggiormente competitive, strappandosi l'un
l'altro i docenti più bravi. L'autonomia deve consistere anche nel poter pagare in modo differenziato i
docenti, a seconda del merito e dell'interesse che quella università abbia per loro.
L'autonomia infine come antidoto verso l'invadenza della politica. Ecco allora che dice: "diamo ai docenti
universitari l'autorità vera".
Al termine della discussione e in un contesto in cui l'autonomia universitaria veniva vissuta come
autogoverno, possibilità per ogni università di darsi ordinamenti propri e differenziati, persino possibilità
di definire gli stipendi dei docenti per poter essere più competitive l'un verso l'altra, ecco che si presentano
nella seduta del 24 aprile 1947 i primi emendamenti, quello a firma di Rivera, Montemartini, Gortani,
Ermini, Firrao, Caso recitava: Aggiungere dopo il primo comma: "Le istituzioni di alta cultura, Accademie
ed Università, sono politicamente indipendenti e funzionalmente autonome". Compaiono le stesse
espressioni riprese dal legislatore del 2010: l'autonomia, quella autonomia che avrebbe dovuto portare
persino allo stabilire in proprio gli stipendi dei professori, è di natura funzionale, riguarda cioè appunto
il funzionamento del singolo ateneo. È dunque in questo senso che va inteso anche oggi "autonomia
funzionale". L'emendamento dell'onorevole Colonnetti è più generico: Dopo il primo comma, aggiungere
il seguente: «Le istituzioni di alta cultura, Università ed Accademie, sono autonome». Nel suo intervento
Colonnetti peraltro riprende il tema della autonomia funzionale.
Ritorna il riferimento alla autonomia funzionale nell'emendamento presentato dagli onorevoli Martino
Gaetano, Labriola, Della Seta, Caronia, Lucifero, Corbino
Aggiungere dopo il primo comma: «La legge garantisce l'autonomia funzionale delle Università dello Stato
e l'inamovibilità dei professori universitari di ruolo».
L'onorevole Martino Gaetano, non svolge però l'emendamento affermando testualmente: "Ritengo non
sia necessario svolgere questo emendamento, perché, per quanto riguarda la necessità dell'autonomia
funzionale delle Università, basta riferirsi a quanto è stato detto dall'onorevole Colonnetti".
35
federalismi.it - ISSN 1826-3534
|numero speciale. 4/2019
Il 28 aprile 1947 viene presentato a nome del gruppo democristiano, e precisamente da Dossetti, Gronchi,
Moro, Monterisi, Di Fausto, Franceschini, Bianchini Laura, Foresi, Caronia, Guerrieri Filippo, Bertola, il
seguente emendamento:
Sostituire l'art. 27 col seguente: [..............] "Alle istituzioni di alta cultura, università e accademie, è
riconosciuto il diritto di darsi autonomi ordinamenti".
Sempre nella seduta del 28 aprile 1947 Rivera, Colonnetti, Martino concordano nel ritenere assorbiti i
loro emendamenti da quello di Dossetti. Ritengono dunque che il concetto di autonomia funzionale sia
a buon diritto contenuto in quello più ampio a prima firma Dossetti.
Il 29 aprile 1947 si apre la polemica con l'intervento a titolo personale del socialista Giua: "Viceversa,
affermando nell'ultimo comma di questo emendamento che le Università e gli istituti di alta cultura
possono darsi ordinamenti autonomi, io non nascondo la mia preoccupazione. Vi sono Stati, come la
Germania prima dell'avvento di Hitler, che hanno dato un esempio del come le Università possano
svilupparsi quando sono autonome. Ma le condizioni sociali della Germania guglielmina non sono le
condizioni attuali dell'Italia. Noi usciamo dalla dittatura fascista; sotto la dittatura fascista le Università, e
dal punto di vista dell'organizzazione interna e dal punto di vista degli insegnanti, non hanno migliorato,
anzi hanno peggiorato.
Se noi dichiariamo oggi le Università autonome, corriamo il pericolo di vedere creati in Italia tanti centri
di insegnamento, che si possono contraddire l'uno con l'altro, non solo nei programmi, ma soprattutto
dal punto di vista della ricerca sperimentale, per quei mezzi che è necessario dare ai laboratori di ricerche,
che, qualora le Università fossero assolutamente autonome, non potrebbero trovare né con le tasse degli
alunni, né con altri mezzi, per cui oggi dare alle Università la perfetta autonomia, significa porre un
problema che le Università italiane non possono risolvere, nel senso di favorire lo sviluppo delle
Università stesse.
A questo concetto dell'autonomia delle Università è legato anche l'emendamento proposto dall'onorevole
Corbino e da altri colleghi, di creare l'inamovibilità dei professori universitari. L'onorevole Corbino è un
insegnante universitario e sa che i professori universitari in Italia sono stati, anche in base alla legge Casati,
sempre inamovibili. Non so se nel periodo fascista questo principio sia stato rimosso; tuttavia credo che
non si possa addivenire subito e non si possa ritornare al principio della legge Casati unicamente perché
oggi noi abbiamo il compito di rinnovare la vita universitaria, e quindi è necessario che lo Stato controlli
anche l'attività dei professori universitari, perché la riforma universitaria per noi non è solo riforma
strutturale dell'Università, ma è anche rinnovamento degli insegnanti".
Giua dunque riconosce che l'autonomia da lui contrastata ed a cui si riferiscono gli emendamenti in
discussione, in particolare quello di Dossetti, comporta la possibilità di creare "in Italia tanti centri di
36
federalismi.it - ISSN 1826-3534
|numero speciale. 4/2019
insegnamento, che si possono contraddire l'uno con l'altro, non solo nei programmi, ma soprattutto dal
punto di vista della ricerca sperimentale". Ogni università avrebbe dunque proprie regole per disciplinare
le modalità di svolgimento della didattica e l'organizzazione della ricerca, addirittura, pare di capire, le
modalità di reperimento delle risorse.
La replica a Giua di Corbino è peraltro tranchante: "Così ragionava Bottai!"
Nell'intervento di Tupini si chiarisce che "La Commissione, invece, accetta — per tale materia — l'ultimo
comma dell'emendamento Dossetti-Gonella del seguente tenore: «Alle istituzioni di alta cultura,
Università e Accademie è riconosciuto il diritto di darsi autonomi ordinamenti». Con l'eventuale
accettazione di questo emendamento, che già figura nel nuovo testo, si potrà ritenere soddisfatto anche
il principio dell'inamovibilità dei professori universitari. Infatti, se le Università sono autonome, i
professori ne risulteranno liberi, e quindi, inamovibili". Dunque l'autonomia concerne anche lo stato
giuridico dei docenti universitari, proprio perché le università sono autonome, i professori sono liberi ed
hanno uno status di inamovibilità.
Nel dibattito si viene peraltro ad aggiungere il decisivo intervento del comunista Marchesi, che,
subemendando l'emendamento Dossetti, pretende di ricondurre l'autonomia universitaria nei limiti fissati
dalle leggi dello Stato. A questo punto Fabbri preannuncia il proprio voto contrario: "Se non vi è un
nuovo testo concordato, dichiaro che io voterò contro quello che, all'inizio della seduta, è stato detto
testo concordato, perché non mi appare chiaro nel suo contenuto. Infatti, mentre si parla di autonomi
ordinamenti per le istituzioni di alta cultura, di università in genere, sul che io sarei perfettamente
d'accordo, trovo che, corrispondentemente a questa caratteristica per gli istituti di alta cultura, università
e accademia, gli autonomi ordinamenti sono consentiti nei limiti della legge; invece per le scuole inferiori
si parla di garanzia di piena libertà, senza precisare di che e di che cosa, in guisa che, questa piena libertà,
garantita dalla legge, mi pare qualche cosa di più di quella consentita agli istituti superiori che hanno liberi
ordinamenti, nei limiti della legge". L'autonomia e in particolare l'autonomia funzionale non è più
"indipendente", ma subordinata ai limiti fissati dalle leggi dello Stato. Ecco dunque che con il nuovo
limite sarà sempre la legge a dettare condizioni e perimetri di ampiezza della autonomia, che potrà anche
essere totale, estendendosi a qualsivoglia materia, e naturalmente differenziata da ateneo ad ateneo, come
è del resto nella natura di un autogoverno che può darsi proprie norme, ma dovrà essere in qualche modo
"consentita" da una legge. Ed è esattamente ciò che fa l'art. 1 comma 2 della legge 240/2010.
Il Presidente Terracini concluse così la discussione sul tema dell'autonomia universitaria: "Passiamo
all'ultimo comma del testo concordato, con l'aggiunta proposta dall'onorevole Marchesi (nei limiti
consentiti dalle leggi dello Stato) e accettata dall'onorevole Dossetti e dalla Commissione:
37
federalismi.it - ISSN 1826-3534
|numero speciale. 4/2019
«Alle istituzioni di alta cultura, università e accademie, è riconosciuto il diritto di darsi autonomi
ordinamenti, nei limiti consentiti dalle leggi dello Stato».
L'emendamento viene approvato e diventerà il comma 6 dell'art. 33 della Costituzione italiana.
3. Se l'autonomia funzionale ed organizzativa riguarda dunque le norme che disciplinano il
funzionamento complessivo dell'ateneo e quelle che riguardano la sua organizzazione interna, è evidente
come l'ambito di autonomia che può essere riconosciuta, previo accordo di programma con il Ministero,
è assai ampio e certamente può riguardare anche la sottrazione dell'ateneo alle norme che disciplinano gli
acquisti pubblici, così come la possibilità di autorizzare, con il consenso dei docenti, modalità anche
temporali di ricerca e di didattica differenziati, possibilità di distinta retribuzione per attrarre risorse utili
allo sviluppo dell'ateneo, modalità di avviamento di corsi di laurea, così come la possibilità di fornire
all'esterno attività retribuita, ovvero la organizzazione della governance interna. Essendo stato
presentatore dell'emendamento che ha previsto il regime di cui all'art. 1 comma 2 posso confermare in
via di interpretazione autentica che proprio questa ampia libertà organizzativa e funzionale, coerente con
lo spirito del Costituente, stava alla base di questa che appare una riforma radicale del nostro sistema
universitario.
L'art. 1 comma 2 realizza in realtà una delegificazione potenziale, se così non fosse sarebbe una norma
senza alcuna portata innovativa. Le norme che disciplinano il funzionamento e l'organizzazione degli
atenei sono invero di natura primaria o secondaria. Quelle di natura secondaria possono già essere
modificate con fonte di pari grado senza necessità di una autorizzazione legislativa. Ogni differente
interpretazione sarebbe dunque irragionevole, considerando invece la forte portata innovativa che il
legislatore del 2010 ha voluto attribuire a questa norma che richiede fra l'altro presupposti stringenti di
efficienza per la sua applicazione.
La scansione previsa dall’articolo 1 comma 2 L. 240/2010 è chiara: il Ministero con decreto – non avente
natura regolamentare – stabilisce i criteri per l’ammissione alla sperimentazione e le modalità di verifica,
ma poi i concreti elementi di autonomia organizzativa e funzionale sono definiti dagli Accordi di
Programma stipulati da ciascuna Università – che sia in possesso dei requisiti di cui al DM – con il
Ministero stesso.
È dunque l’Accordo di Programma la fonte che stabilisce il concreto contenuto della sperimentazione
per l’autonomia e questo esalta ancora di più lo spirito del dettato costituzionale in quanto consente,
appunto, a ciascuna Università “meritevole” di negoziare i propri elementi di autonomia negoziale.
La legge prevede dunque un regime ordinario, per tutte le Università, ed un regime caratterizzato da una
maggiore autonomia, prima sperimentale e poi, dopo la verifica, definitivo, per le Università in possesso
di determinati requisiti come definiti da decreto del Ministro secondo le indicazioni dello stesso articolo
38
federalismi.it - ISSN 1826-3534
|numero speciale. 4/2019
1 comma 2. Si tratta di un modulo procedimentale già utilizzato in altri ambiti a livello costituzionale:
basti pensare alle intese con le Confessioni religiose (art. 8 Cost.), oppure alle intese per il riconoscimento
alle Regioni di ulteriori forme e condizioni di autonomia (art. 116 Cost.). Nel caso delle Università, però,
l’Accordo di Programma è esso stesso la fonte di autonomia, mentre per le Confessioni religiose e per le
Regioni le intese debbono essere recepite con legge.
3. Stanti queste premesse, si fornisce qui un modello di articolato:
VISTO il decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300, e successive modificazioni;
VISTA la legge 9 maggio 1989, n. 168, la quale prevede, all'art. 1, comma 2, che il Ministro "dà attuazione
all'indirizzo e al coordinamento nei confronti delle Università (…) nel rispetto dei principi di autonomia stabiliti dall'art.
33 della Costituzione";
VISTO l’articolo 17, comma 95, della legge 15 maggio 1997, n. 127 e successive modificazioni e
integrazioni;
VISTO il D.P.R. 27 gennaio 1998, n. 25 e in particolare l’art. 2, comma 5, lettera d);
VISTI gli artt. 1 e 2 della legge 19 ottobre 1999, n. 370;
VISTO il D.M. 22 ottobre 2004, n. 270, con il quale è stato approvato il regolamento sull’autonomia
didattica degli Atenei e i relativi decreti con i quali sono state definite le classi dei corsi di studio”;
VISTO l’art. 1-ter, commi 1 e , del decreto legge 31 gennaio 2005, n. 7, convertito dalla legge 31 marzo
2005, n. 43, in base al quale “le Università adottano programmi triennali coerenti con le linee generali di
indirizzo definite con decreto del Ministro”, i cui risultati sono valutati sulla base di appositi indicatori…;
VISTE le linee guida europee per l’assicurazione della qualità nello Spazio europeo dell’istruzione
superiore, adottate dai Ministri europei dell’istruzione superiore al Consiglio di Bergen nel maggio 2005
e successive modificazioni e integrazioni;
VISTO il decreto legge 3 ottobre 2006, n. 262, convertito dalla legge 24 novembre 2006, n. 286;
VISTO il D.P.R. 1 febbraio 2010, n. 76, concernente la struttura e il funzionamento dell’Agenzia
Nazionale di Valutazione del Sistema Universitario e della Ricerca (ANVUR);
VISTA la legge 30 dicembre 2010, n. 240;
VISTO in particolare l’articolo 1, comma 2 della legge 30 dicembre 2010, n. 240 il quale prevede che “In
attuazione delle disposizioni di cui all'articolo 33 e al titolo V della parte II della Costituzione, ciascuna università opera
ispirandosi a principi di autonomia e di responsabilità. Sulla base di accordi di programma con il Ministero dell'istruzione,
dell'università e della ricerca, di seguito denominato «Ministero», le università che hanno conseguito la stabilità e sostenibilità
del bilancio, nonché risultati di elevato livello nel campo della didattica e della ricerca, possono sperimentare propri modelli
funzionali e organizzativi, ivi comprese modalità di composizione e costituzione degli organi di governo e forme sostenibili di
organizzazione della didattica e della ricerca su base policentrica, diverse da quelle indicate nell' articolo 2. Il Ministero, con
decreto di natura non regolamentare, definisce i criteri per l'ammissione alla sperimentazione e le modalità di verifica periodica
dei risultati conseguiti”.
VISTO altresì l’art. 1, comma 4, della L. n. 240/2010, il quale prevede che “Il Ministero, nel rispetto della
liberta' di insegnamento e dell'autonomia delle universita', indica obiettivi e indirizzi strategici per il sistema e le sue
componenti e, tramite l'Agenzia nazionale di valutazione del sistema universitario e della ricerca (ANVUR) per quanto
di sua competenza, ne verifica e valuta i risultati secondo criteri di qualita', trasparenza e promozione del merito, anche
sulla base delle migliori esperienze diffuse a livello internazionale, garantendo una distribuzione delle risorse pubbliche
coerente con gli obiettivi, gli indirizzi e le attivita' svolte da ciascun ateneo, nel rispetto del principio della coesione nazionale,
nonche' con la valutazione dei risultati conseguiti”;
39
federalismi.it - ISSN 1826-3534
|numero speciale. 4/2019
VISTO il Decreto legislativo, 27 gennaio 2012, n. 19, in attuazione della delega prevista dall'articolo 5,
comma 1, lettera a), della legge 30 dicembre 2010, n. 240”; la Legge 30 dicembre 2010, n. 240 recante
“Valorizzazione dell'efficienza delle Università e conseguente introduzione di meccanismi premiali nella
distribuzione di risorse pubbliche sulla base di criteri definiti ex ante anche mediante la previsione di un
sistema di accreditamento periodico delle università”;
VISTO il Decreto legislativo 29 marzo 2012, n. 49, recante la Disciplina per la programmazione, il
monitoraggio e la valutazione delle politiche di bilancio e di reclutamento degli atenei, in attuazione della
delega prevista dall'articolo 5, comma 1, della legge 30 dicembre 2010, n. 240;
VISTO il DM 8 febbraio 2013, n. 45 concernente il Regolamento recante modalità di accreditamento
delle sedi e dei corsi di dottorato ai sensi dell’art. 19 della L. n. 240/2010;
VISTO l’articolo 60, comma 01, del decreto legge 21 giugno 2013, n. 69, convertito dalla legge 9 agosto
2013, n. 98, il quale prevede che “la quota del Fondo per il finanziamento ordinario delle università destinata alla
promozione e al sostegno dell'incremento qualitativo delle attività delle università statali e al miglioramento dell'efficacia e
dell'efficienza nell'utilizzo delle risorse, di cui all'articolo 2 del decreto-legge 10 novembre 2008, n. 180, convertito, con
modificazioni, dalla legge 9 gennaio 2009, n. 1, e successive modificazioni, … almeno tre quinti sono ripartiti tra le
università sulla base dei risultati conseguiti nella Valutazione della qualità della ricerca (VQR) e un quinto sulla base
della valutazione delle politiche di reclutamento, effettuate a cadenza quinquennale dall'Agenzia nazionale per la
valutazione dell’università e della ricerca (ANVUR)”;
VISTO il DM n. 635 del 8 agosto 2016, relativo alle linee generali d’indirizzo della programmazione 20162018, il quale trova applicazione fino all’adozione del DM con il quale saranno definite le linee generali
d’indirizzo della programmazione 2019-2021;
VISTO il DM n. 6 del 7 gennaio 2019 con il quale sono stati, da ultimo, definiti gli Indicatori per
l’accreditamento e la valutazione periodica degli Atenei;
VISTI lo Statuto del CINECA approvato con D.M. 26 marzo 2018, n. 245, pubblicato nella GU n. 83
del 10 aprile 2018, e la delibera del Consiglio direttivo dell’ANAC n. 1172 del 19 dicembre 2018, che
dispone l’iscrizione del Consorzio, nell’elenco di cui all’articolo 192, comma 1, del d.lgs. 50/2016, quale
soggetto in house del Ministero dell’istruzione dell’università e della ricerca;
RITENUTO pertanto con il presente decreto di dare attuazione a quanto previsto dall’art. 1, comma 2,
della L. n. 240/2010, indicando i criteri di ammissione alla sperimentazione di propri modelli funzionali
e organizzativi, con riferimento sia alle Istituzioni da ammettere alla sperimentazione sia agli ambiti che
saranno ammessi alla sperimentazione;
Sentita l’ANVUR;
DECRETA
Art. 1
Ambito di applicazione
1. Le disposizioni di cui al presente decreto si applicano alle Università Statali, ivi compresi gli Istituti
universitari a ordinamento speciale, e alle Università non statali legalmente riconosciute.
Art. 2
Criteri di ammissibilità
1. Per università che hanno conseguito la stabilità e sostenibilità del bilancio, nonché risultati di elevato
livello nel campo della didattica e della ricerca, si intendono le Università che rispettano i seguenti
criteri:
a) Stabilità e sostenibilità di bilancio: presentare, negli ultimi 2 esercizi finanziari, i seguenti
indicatori di bilancio.
UNIVERSITA’ STATALI:
40
federalismi.it - ISSN 1826-3534
|numero speciale. 4/2019
AMBITO
1 Sostenibilità economico-finanziaria
2 Indebitamento
3 Spese di personale
Indicatore
ISEF>1,10
IDEB<0,15
IP< 75,0%
UNIVERSITA’ NON STATALI:
AMBITO
Indicatore
1 Trasparenza del Bilancio
Invio al Ministero e Pubblicazione del bilancio sul sito dell’ateneo
2 Diritto allo Studio
Rispetto della normativa di cui al d.lgs 68/2012
3 BILANCIO
Margine Operativo > 0
b) Risultati di elevato livello nel campo della didattica: avere conseguito un punteggio superiore
a 6 nell’ultimo accreditamento periodico, oppure rispettare almeno due dei seguenti parametri:
1. Percentuale almeno del 7% di laureati (L, LM e LMCU) entro la durata normale del corso che
abbia conseguito all’estero, 12 CFU per le lauree triennali e 18 CFU per le lauree magistrali;
2. Variazione positiva rispetto all'anno accademico precedente del rapporto tra il numero degli
studenti iscritti al II anno di un corso L o LM e il numero di studenti iscritti al I anno dello stesso;
3. Percentuale di studenti del primo anno di L o LMCU con diploma di scuola secondaria superiore
conseguito fuori regione in misura non inferiore al 10%;
4. Percentuale di studenti del primo anno di L o LMCU con diploma di scuola secondaria superiore
conseguito all'estero non inferiore al 1%;
5. Percentuale di studenti del primo anno di LM laureati in altro Ateneo in misura non inferiore al
15%;
6. Percentuale di studenti soddisfatti dell’esperienza complessiva dell’università [secondo la
definizione AlmaLaurea] maggiore del 70%
7. Percentuale di punti organico utilizzati da docenti provenienti da altri Atenei reclutati nell’ultimo
biennio superiore al 30%
I dati relativi agli indicatori 1, 2, 3 e 4 sono estratti dall’Anagrafe nazionale degli studenti e sono relativi
alla media dei due anni accademici precedenti alla richiesta di ammissione. I dati relativi agli indicatori 5,
6 sono riferiti alla media dei risultati delle ultime due indagini Almalaurea precedenti alla richiesta di
ammissione, ovvero ai risultati di indagini condotte con la medesima metodologia di Almalaurea per gli
atenei che non fanno parte del Consorzio.
c) Risultati di elevato livello nel campo della ricerca: rispettare almeno due dei seguenti
parametri:
1. Avere un numero di pubblicazioni su riviste internazionali nell’ultimo biennio pari almeno
pari a 3 per il numero totale di professori e ricercatori dell’Ateneo
2. Aver attratto, nell’ultimo biennio, risorse da ricerche commissionate, trasferimento
tecnologico e progetti competitivi in percentuale superiore al 7% dell’FFO
3. Avere stanziato, nell’ultimo biennio, fondi propri in percentuale superiore all'1% dell’FFO
per il reclutamento di ricercatori e il finanziamento di assegni di ricerca e borse di dottorato;
4. Avere in servizio nell’ultimo triennio un numero di vincitori– responsabili scientifici - di
Progetti di ricerca nazionali (PON MIUR, MISE etc.) almeno pari al 5 per mille del numero
totale di professori e ricercatori dell’Ateneo.
5. Avere in servizio nell’ultimo triennio un numero di vincitori– principal investigator - di
programmi ERC o di Progetti Europei Horizon o di premi scientifici internazionali almeno
pari al 5 per mille del numero totale di professori e di ricercatori dell’Ateneo;
41
federalismi.it - ISSN 1826-3534
|numero speciale. 4/2019
6. Avere un numero di brevetti nazionali o internazionali, riconosciuti negli ultimi due anni, pari
almeno pari a un centesimo del numero di docenti.
Art. 3
Modelli funzionali e organizzativi ammessi alla sperimentazione
1. Le Università che rispettano i requisiti di cui all’articolo 2,ai sensi dell’articolo 1, comma 2, della legge
240/2010, sono ammesse a presentare richiesta al Ministero per la stipula di accordi di
programma,con verifica triennale, quadriennale o quinquennale in merito alla permanenza dei
requisiti di ammissione ai sensi dell'articolo 4 del presente decreto, relativamente alla sperimentazione
di modelli funzionali e organizzativi, ivi comprese modalità di composizione e costituzione degli
organi di governo e forme sostenibili di organizzazione della didattica e della ricerca su base
policentrica, diverse da quelle indicate nell'articolo 2 delle legge 240/2010, in particolare nei seguenti
ambiti:
A. Diverse modalità di composizione, costituzione, attribuzione delle funzioni e durata degli organi di
governo.
B. Riduzione delle numerosità minime di docenza richieste per l’attivazione di strutture dipartimentali
rispetto a quanto previsto dall’articolo 2, comma 2, lettera b) della legge 240/2010.
C. Definizione di modalità differenziate di valutazione periodica dei risultati della didattica e della
ricerca, fatto salvo il controllo da parte dell’ANVUR del rispetto delle linee guida europee per
l’assicurazione della qualità, dando comunque maggiore peso ai risultati ottenuti.
D. Istituzione e attivazione, in via sperimentale, di corsi di laurea e laurea magistrale innovativi, anche
inter-ateneo e inter-classe, previa approvazione ministeriale, (sentito il CUN e l’ANVUR secondo il
disposto del d.lgs. 19/2012, art. 8, co. 4). Tali corsi sono sottoposti a verifica dopo un ciclo completo
di corso di studi, fatti salvi, in ogni caso, i diritti degli studenti iscritti a conseguire il relativo titolo
di studio. Sono esclusi dalla sperimentazione i corsi a programmazione nazionale o che devono
rispettare direttive comunitarie.
E. Istituzione e attivazione, in via sperimentale, di nuove lauree o lauree magistrali con atenei stranieri
che, nel rispetto degli obiettivi formativi della classe, sviluppino ordinamenti didattici innovativi,
previa approvazione ministeriale, (sentiti il CUN e l’ANVUR).
F. Possibilità, per gli Istituti universitari a ordinamento speciale, di istituire corsi di laurea magistrale
per il tramite federazioni di cui all’articolo 3 della legge 240/2010.
G. Nell’ambito delle politiche di internazionalizzazione dell’Ateneo possibilità di organizzare forme di
selezione degli studenti e di organizzazione dei corsi di laurea e di dottorato, anche con atenei
stranieri, integralmente in lingua straniera, fatto comunque salvo il rispetto delle linee guida per
l'assicurazione della qualità europea.
H. Semplificazione delle procedure di accreditamento, attivazione, organizzazione e valutazione dei
corsi di dottorato innovativo, con riferimento al numero dei docenti del Collegio di dottorato,
all’obbligo di conferimento di borse di studio da parte dei partner stranieri, alla possibilità di far
parte di più di un Collegio di dottorato.
I. Definizione dei compiti didattici e di ricerca per i professori e per i ricercatori, in funzione delle
politiche di ateneo relative a ricerca, didattica, internazionalizzazione e innovazione, fatto salvo
l'assenso dei professori e dei ricercatori medesimi. Le università potranno sperimentare nuove
forme premiali per i docenti e ricercatori coinvolti nelle relative attività, in deroga a quanto disposto
dall'art. 7, co. 3, e dall'art. 9 della L 240/2010.
J. Attribuzione all’Ateneo della competenza in ordine alla gestione delle procedure di chiamata diretta
di docenti e ricercatori, previa autorizzazione ministeriale e fatta salva l'individuazione dei requisiti
per la chiamata stessa secondo il disposto dell'art. 1, co. 9, della L. 230/2005.
K. Possibilità di doppia affiliazione a tempo definito di docenti e di ricercatori italiani e stranieri già in
servizio presso un ateneo straniero.
42
federalismi.it - ISSN 1826-3534
|numero speciale. 4/2019
L. Possibilità di incentivare, anche economicamente i docenti che attraverso attività didattiche e di
ricerca di terza missione, di coordinamento di Progetti Europei e Italiani contribuiscano
all’acquisizione di commesse conto terzi ovvero di finanziamenti pubblici o privati.
M. Possibilità di prevedere, con oneri a carico del proprio bilancio, incentivi anche finanziari per i
professori e i ricercatori che si trasferiscano presso l’Ateneo dall’estero.
N. Possibilità di prevedere, con oneri a carico del proprio bilancio, contributi finanziari ai costi di
trasferimento, per un massimo di cinque anni, per i professori e i ricercatori che si trasferiscano
presso l’Ateneo da extra-Regione.
O. Possibilità di deroga rispetto a quanto previsto per le pubbliche amministrazioni rispetto ai vincoli
fra Controllata e Controllante per quanto riguarda i rapporti fra Università e Società di Diritto
Privato finalizzate alla valorizzazione della ricerca, della terza missione e della creazione d’impresa,
previa verifica della situazione di bilancio delle controllate.
Art. 4
Quadro informativo degli indicatori, presentazione e verifica periodica
1. La competente Direzione generale del Ministero provvede, avvalendosi del CINECA, a predisporre
il quadro informativo degli indicatori necessario a individuare le Università che possono essere
ammesse alla sperimentazione, a fornire le indicazioni operative per la presentazione, con modalità
telematiche, della proposta di programma triennale, quadriennale o quinquennale di sperimentazione.
2. Le proposte indicano gli ambiti oggetto di sperimentazione e gli indicatori, scelti tra gli indicatori della
programmazione triennale, prevista dall'articolo 1-ter della Legge 43 del 2005, per i quali l’Ateneo si
attende un miglioramento e i relativi target.
3. Le Università ammesse alla stipula di accordi secondo quanto stabilito dal presente decreto sono
sottoposte nel corso dell’ultimo anno di vigenza dell’accordo a verifica dei risultati conseguiti con
riferimento agli indicatori di cui all’articolo 2 e al comma 2 del presente articolo. La valutazione ex
post dei risultati sarà finalizzata anche alla verifica complessiva dei risultati.
4. A seguito della verifica positiva ai sensi dei commi 2 e 3, l’Ateneo può proporre al Ministero la proroga
dell’accordo di programma esistente o proporre un diverso accordo per i successivi anni.
5. In caso di verifica finale non positiva, gli accordi di programma non possono essere prorogati e
l’ateneo è automaticamente reinserito nelle ordinarie procedure ministeriali di autorizzazione,
monitoraggio e valutazione. In tal caso per l’Ateneo non sarà possibile accedere a nuovi accordi di
programma per almeno un triennio.
6. Qualora i risultati di una delle Università ammesse alla sperimentazione prevista dal presente decreto
siano stati considerati positivi dopo la valutazione finale, anche con riferimento agli indicatori
economici-finanziari, il Ministero può disporre l’estensione della sperimentazione stessa ad altri
Atenei in condizioni analoghe, su loro richiesta.
Il presente decreto è trasmesso alla Corte dei conti per il controllo preventivo di legittimità e al
competente Ufficio Centrale di Bilancio per il controllo preventivo di regolarità contabile.
4. Un modello siffatto darebbe dunque una significativa autonomia alla gran parte degli atenei con la
possibilità di sperimentare nuove forme organizzative, che potrebbero portare per esempio ad una
gestione sul modello anglosassone dell'ateneo, con inoltre una semplificazione degli organi, una
semplificazione delle procedure interne di organizzazione e un diverso ruolo di soggetti finanziatori; una
semplificazione nella costituzione dei dipartimenti; una maggiore valorizzazione delle attività brevettuali
e di trasferimento tecnologico al fine degli scatti stipendiali; la possibilità di istituire e attivare
43
federalismi.it - ISSN 1826-3534
|numero speciale. 4/2019
direttamente, con procedure più semplici e più rapide, corsi di laurea anche innovativi e anche fra atenei
e fra classi di laurea diverse ovvero, addirittura, anche con atenei stranieri; possibilità di organizzare corsi
di laurea specificamente concepiti per studenti stranieri in lingua straniera; definizione di compiti didattici
e di ricerca in sintonia con le esigenze del ricercatore e del docente e sulla base delle esigenze organizzative
dell'ateneo, sempre fatto salvo l'assenso dei ricercatori e dei docenti medesimi; possibilità di sperimentare
nuove forme premiali a vantaggio di ricercatori e docenti; maggiore libertà nelle chiamate dirette;
possibilità di doppia affiliazione presso anche un ateneo straniero oltreché italiano di docenti italiani o
stranieri; possibilità di incentivare economicamente i docenti che attraverso attività didattiche e di ricerca
di terza missione o di coordinamento di progetti europei ed italiani contribuiscano alla acquisizione di
commesse ovvero di finanziamenti pubblici o privati; possibilità di prevedere incentivi anche economici
per professori e ricercatori che si trasferiscano dall'estero presso l'Ateneo; possibilità di prevedere
contributi finanziari ai costi di trasferimento, per un massimo di cinque anni, per docenti o ricercatori
che si trasferiscano da ateneo di altra regione; possibilità
di derogare ai vincoli posti per le
amministrazioni pubbliche fra controllata e controllante per quanto riguarda ai rapporti fra università e
società di diritto privato finalizzate alla valorizzazione della ricerca, della terza missione e della creazione
d'impresa, anche in merito alla libertà di scelta dei soci degli spin off. I requisiti per poter accedere a
questo regime derogatorio sono una stabilità finanziaria individuata in un indice di sostenibilità
economico-finanziaria pari a 1,10, dunque in presenza di un buon attivo di bilancio, una spesa per il
personale rispetto all'ammontare dell'ffo pari al 75%, con quindi ampi margini di investimento ulteriori
rispetto al pagamento degli stipendi, e un indebitamento non superiore a 0,15. Fra i risultati nel campo
della didattica richiesti per accedere alla sperimentazione si ritiene necessario possedere almeno due fra
alcuni requisiti significativi come una percentuale non marginale di laureati in corso che abbia fatto
importanti esperienze formative all'estero, un miglioramento del successo formativo fra primo e secondo
anno di corso rispetto all'anno precedente; una buona attrattività di studenti diplomatisi fuori regione;
una qualche propensione alla internazionalizzazione degli studenti iscritti; una percentuale di studenti del
primo anno di laurea magistrale laureati in altro Ateneo in misura non inferiore al 15%; un buon indice
di soddisfazione degli studenti al termine del percorso universitario secondo le definizioni di Alma laurea;
una decisa apertura dell'ateneo a chiamate esterne. Si potrebbero poi richiedere come requisiti specifici
alcuni indicatori riguardanti la ricerca, anche qui in numero minimo di due, indicatori che testimonino
per esempio un buon indice di pubblicazioni su riviste internazionali da parte dei docenti e ricercatori
dell'ateneo; una buona capacità di attrarre risorse da ricerche commissionate, trasferimento tecnologico
e progetti competitivi; l'aver stanziato una certa percentuale di fondi propri per il reclutamento di
ricercatori e il finanziamento di assegni di ricerca e borse di dottorato; l'avere in servizio un numero
44
federalismi.it - ISSN 1826-3534
|numero speciale. 4/2019
significativo di vincitori e responsabili scientifici di Progetti di ricerca nazionali ovvero internazionali;
l'avere dato vita ad una buona attività brevettuale.
Immaginare un siffatto percorso di autonomia significa consentire alle singole università di sviluppare al
massimo le proprie potenzialità. Fra gli indicatori su cui si ritiene debba mettersi maggiormente l'accento
vi è l'attività brevettuale, il trasferimento tecnologico, la internazionalizzazione e la "sprovincializzazione"
dell'ateneo con una significativa apertura alle contaminazioni dall'esterno, sia come professori, e
ricercatori, sia come studenti. Questo livello di autonomia, che dovrebbe essere accompagnato dalla
approvazione di leggi di ulteriore semplificazione del sistema come l'abolizione integrale dell'obbligo del
ricorso al Mepa o come la possibilità di seguire contemporaneamente due diversi corsi di laurea, o come
la liberalizzazione integrale delle consulenze, avrebbe certamente l'effetto di rendere l'università un
potente centro moltiplicatore dello sviluppo del territorio. Si consideri soltanto questo dato: al 2017
l'intero sistema brevettuale delle università italiane rendeva 1.900.000 euro, la sola università di Lovanio
ben 90 milioni di euro. L'università di Lovanio ha rivelato del resto una capacità di raccogliere risorse
attorno a spin off pari a circa 900 milioni di euro negli ultimi tredici anni. È evidente come l'università di
Lovanio abbia un ruolo non marginale nella crescita complessiva della realtà su cui insiste. Un percorso
di autonomia responsabile è dunque decisivo per fare di un ateneo una grande opportunità di crescita e
di sviluppo economico.
45
federalismi.it - ISSN 1826-3534
|numero speciale. 4/2019
La domanda pubblica come leva per
l’innovazione: le potenzialità degli appalti
innovativi per le Anchor Institution
di Mario E. Comba
Professore ordinario di Diritto pubblico comparato
Università degli Studi di Torino
Sommario: 1. Il ruolo dell’intervento pubblico nell’innovazione: un dibattito aperto; 2. La domanda
pubblica di innovazione: definizioni e modelli; 3. Le origini degli appalti innovativi nel diritto europeo: le
direttive appalti del 2004 e la Comunicazione della Commissione del 14 dicembre 2007; 4. Le direttive
appalti del 2014; 5. Il codice dei contratti pubblici italiano (D. Lgs. 50/2016), le (scarse) iniziative in Italia
ed il ruolo dell’AGID.
1. Il ruolo dell’intervento pubblico nell’innovazione: un dibattito aperto
Il dibattito circa il ruolo dello Stato come propulsore per l’innovazione tecnologica ha avuto negli ultimi
anni un grande sviluppo, nell’ambito delle riflessioni sul ridimensionamento dell’intervento pubblico in
economica che a sua volta denota un mutamento della forma di Stato rispetto al modello dello Stato
sociale o Welfare State sviluppatosi nelle democrazie occidentali tra la fine del XIX e l’inizio del XX
secolo.
Volendo limitare l’attenzione sul ruolo dello Stato non come erogatore di servizi e regolatore
dell’economia in generale, ma nella sua funzione di stimolare l’innovazione tecnologica, allora la
prospettiva muta non di poco: a prima vista, lo sviluppo tecnologico sembrerebbe un fenomeno che deve
esser lasciato agli imprenditori privati; anzi, è proprio ciò che caratterizza l’evoluzione creatrice del
capitalismo e che consente di distinguere tra crescita e sviluppo. Mentre la crescita consiste nell’aumento
della produttività e della ricchezza sulla base di tecniche preesistenti, lo sviluppo comporta un
procedimento di “distruzione creatrice” (Schumpeter) che è caratterizzato dall’introduzione sul mercato
di nuovi prodotti e processi produttivi. L’imprenditore capace di innovare assume una posizione di
vantaggio sul mercato e sconfigge la concorrenza, fino a che l’innovazione diventa disponibile a tutti ed
un altro imprenditore introduce un nuovo elemento che gli permette di prevalere.
La rilevanza dell’innovazione nella determinazione dello sviluppo economico è ormai pacificamente
riconosciuta, tanto che secondo alcuni autori1 l’innovazione tecnologica è la base dei “cicli lunghi”
Giorgio Sirilli, sub voce “Innovazione tecnologica” in Enciclopedia Treccani della Scienza e della Tecnica, Roma,
2008 (edizione online), par. 1.
1
46
federalismi.it - ISSN 1826-3534
|numero speciale. 4/2019
dell’economia: il telaio meccanico ha dato l’avvio alla prima rivoluzione industriale, la ferrovia è stata
centrale nel secondo ciclo di rivoluzione industriale, nella seconda metà del XIX secolo ed è poi stata
seguita dall’elettrificazione, industria chimica e motore a combustione interna che hanno caratterizzato la
terza rivoluzione industriale, tra il 1890 ed il 1930. Nei primi decenni del XX secolo la produzione di
massa e la catena di montaggio hanno avviato la quarta rivoluzione industriale, fino agli anni ’80 del secolo
scorso, quando è iniziato il quinto ciclo, con la tecnologia dell’informazione e della comunicazione.
Si comprende allora la giustificazione dell’intervento pubblico per stimolare l’innovazione tecnologica, in
quanto tale intervento conduce indirettamente ad una evoluzione economica positiva. E’ infatti un dato
comunemente acquisito che l’innovazione tecnologica richieda un intervento pubblico, ma sono
estremamente dibattute la portata e le modalità di tale intervento. Per rifarsi a due posizioni molto diverse
sostenute negli ultimi anni da due autori italiani con risonanza internazionale, vi è chi attribuisce allo Stato
una funzione fondamentale nello svolgimento dell’attività di ricerca che porta allo sviluppo tecnologico
e che i privati non sono in grado di eguagliare per mancanza di risorse, di propensione al rischio e di
capitali pazienti, tanto da parlare di “Stato innovatore”2. Vi è poi chi, al contrario, pur riconoscendo un
ruolo importante allo Stato per lo sviluppo tecnologico, ritiene che esso debba limitarsi a fornire alcune
condizioni di contesto, per favorire le imprese che intendono operare nel settore, in quanto lo Stato non
ha lo stimolo né la capacità per cogliere i possibili vantaggi e sfruttamenti economici delle invenzioni
prodotte dai suoi laboratori3.
Entrambi gli autori si pongono la missione di sfatare i miti esistenti in relazione al ruolo dello Stato e dei
privati per lo sviluppo tecnologico, secondo la solita tecnica per la quale le tesi avversarie sono esposte
in termini a volte esagerati, per essere poi tacciate di costituire semplici miti contraddetti dall’osservazione
dei fatti. Entrambi ammettono l’importante ruolo svolto dallo Stato – ed in particolare dall’apparato
militare – nell’acquisizione di alcune invenzioni che stanno alla base della moderna tecnologia, come
internet, lo schermo touch, il GPS, l’economia verde e così via, ma quando poi passano a valutare il
rapporto tra la ricerca pubblica e lo sfruttamento fattone dalle imprese private le due prospettive
diventano antinomiche. In estrema sintesi, per Mazzuccato le imprese private si sono limitate ad
appropriarsi dei vantaggi della ricerca pubblica, senza riconoscerne il merito e senza essere capaci di
produrre esse stesse risultati di tale portata, tanto che la proposta dell’autrice de “Lo stato innovatore” è
proprio quella di aumentare le risorse dedicate alla ricerca pubblica, in quanto più efficiente, riducendo
Mariana Mazzuccato, Lo Stato Innovatore, II ed. Bari, Laterza, 2018 (prima ed. The Entrepeneurial State. Debunking
Public vs. Private Sector Myths, 2013)
3 Alberto Mingardi, La verità, vi prego, sul neoliberismo, Marsilio, Venezia, 2019, in particolare pag. 212 e ss. per la
critica a Mazzuccato.
2
47
federalismi.it - ISSN 1826-3534
|numero speciale. 4/2019
di conseguenza il finanziamento alla R&S delle imprese e, comunque, riconoscendo alla ricerca pubblica
il giusto profitto in modo che possa autofinanziarsi. Per Mingardi, invece, la ricerca pubblica è
ampiamente inefficiente in quanto utilizza ingenti risorse economiche senza sapersi orientare verso scopi
concreti ed utilizzabili, tanto che i suoi risultati non hanno valore di per sé, ma solo quando le imprese
private la colgono e la sanno valorizzare attraverso la commercializzazione. Per fare un esempio, secondo
Mingardi è vero che internet nasce in ambiente militare e quindi pubblico, ma sarebbe rimasto confinato
a tale utilizzo se le imprese (e le Università private) non ne avessero intuito l’enorme potenziale
commerciale e non avessero di conseguenza adattato la tecnica del www all’uso che noi oggi conosciamo.
Come si vede, seppure da questa esposizione estremamente sintetica, si tratta di due posizioni che
differiscono per una diversa percezione degli stessi fenomeni e che, a ben vedere, hanno alcuni elementi
in comune, primo fra tutti la critica ad una eccessiva spesa pubblica per finanziare la R&S delle imprese
private. Ovviamente, tale valutazione negativa si colloca in prospettive diverse: in un caso (Mazzuccato)
si tratta di denaro che sarebbe meglio utilizzato per finanziare centri di ricerca pubblici così che la ricerca
sia svolta direttamente da strutture pubbliche anche perché non si può mai avere la certezza dell’effetto
di addizionalità cioè che le imprese private non avrebbero svolto comunque la ricerca finanziata con il
denaro pubblico. Nell’altro caso (Mingardi) il finanziamento pubblico alla R&S è visto come un tentativo
per imporre alle imprese le scelte pubbliche in materia di ricerca, mentre esse dovrebbero essere lasciate
libere di seguire le proprie strategie, di sbagliare ed imparare dagli errori propri e degli altri perché solo in
questo modo ci si può avvantaggiare della distruzione creatrice.
Il finanziamento pubblico alla R&S delle imprese private costituisce lo strumento più tipico di stimolo
della ricerca privata dal lato dell’offerta: si tratta infatti di finanziamenti pubblici destinati a invogliare le
imprese private ad offrire prodotti di ricerca innovativi sul mercato. La prospettiva cambia se l’intervento
pubblico per stimolare la ricerca delle imprese è strutturato per agire dal lato della domanda invece che
dell’offerta: in tal caso infatti esso sembra raccogliere maggiori consensi. Secondo Mazzuccato, “le
commesse pubbliche di tecnologie che richiedono innovazione sono più efficaci dei sussidi elargiti nella speranza che
l’innovazione arrivi”4 ed in effetti tale affermazione è coerente con l’impostazione sin qui seguita: il denaro
pubblico viene efficacemente utilizzato in quanto indirizzato in primo luogo a soddisfare un bisogno
pubblico, consistente nell’acquisizione di un prodotto o di un servizio innovativo ed il privato sarà pagato
solo (o in misura prevalente) se dimostra di essere in grado di soddisfare tale bisogno. Inoltre il rispetto
del principio di addizionalità è autoevidente in quanto l’impresa svolge l’attività di ricerca per ottenere la
commessa.
4
Mazzuccato, cit., p. 69; il concetto è poi ribadito a pag. 80-81.
48
federalismi.it - ISSN 1826-3534
|numero speciale. 4/2019
2. La domanda pubblica di innovazione: definizioni e modelli
Il ricorso alla domanda pubblica per stimolare la ricerca privata è stato oggetto di specifici studi già a
partire dagli anni ’70 del secolo scorso, ma i due ultimi decenni hanno visto un forte sviluppo di tale
impostazione, non tanto dal punto di vista giuridico, quanto piuttosto tra gli economisti e gli studiosi
dello sviluppo economico5. I principali settori di intervento sono quelli nei quali più forte è
tradizionalmente la spesa pubblica: trasporti, sanità, tutela dell’ambiente, sicurezza e difesa.
Prima di analizzare più nel dettaglio le caratteristiche della domanda pubblica di innovazione, appare
necessario svolgere qualche breve riflessione sulla definizione di innovazione tecnologica, in quanto
preliminare al tema di questo saggio.
L’innovazione tecnologica è in primo luogo definita come un’attività deliberata, frutto di esplicita volontà
innovativa, non casuale. Tale attività deliberata deve essere indirizzata a due specifici obiettivi: (i)
l’introduzione di nuovi prodotti e servizi nonché (ii) di nuovi metodi per produrli, distribuirli ed usarli6.
Inoltre l’innovazione tecnologica si può distinguere anche in base ai diversi gradi di novità ed in tale
prospettiva vi possono essere principalmente due tipi di innovazione: quella radicale, che comporta
l’introduzione di un prodotto o di un servizio del tutto nuovo, prima inesistente (ad esempio internet) e
quella incrementale, consistente nel miglioramento di un prodotto o di un servizio esistente, anche dal
punto di vista della significativa riduzione del costo di produzione. Le innovazioni incrementali sono
ovviamente le più numerose e consentono l’adattamento del prodotto o del servizio alle nuove esigenze
del mercato. Un prodotto o un servizio innovativo infatti, quale che sia il suo grado di innovazione, deve
essere spendibile sul mercato, tanto che il semplice prototipo non può ancora essere considerato un
prodotto innovativo.
Il processo innovativo radicale è spesso il frutto di una serie di fasi identificate in modo sequenziale, a
ciascuna delle quali corrisponde una specifica figura: la scoperta scientifica, l’invenzione, l’innovazione e
la diffusione. Secondo gli studiosi, però, l’innovazione non è solo il frutto di una ricerca scientifica e
tecnologica, ma richiede la presenza di un “sistema d’innovazione”, composto da elementi di tipo sociale,
politico, organizzativo ed istituzionale, che facilitano l’innovazione e soprattutto ne sanno cogliere e
sfruttare le potenzialità7. Da qui l’importanza dell’intervento pubblico per creare l’ambiente propizio
all’innovazione, sia pubblica che privata, intesa come politica olistica dell’innovazione tecnologica. I
Charles Edquist, Nicholas S. Vonortas, Jon Mikel Zabala-Iturriagagoitia, Introduction, in Charles Edquist, Nicholas
S. Vonortas, Jon Mikel Zabala-Iturriagagoitia, Jakob Edler (a cura di), Public Procurement for Innovation, Edward
Cheltenam-Northampton, 2015, p. 1-2.
Elgar Publishing,
6 Giorgio Sirilli, cit..
7 Edquist, cit., p. 3-5 che cita copiosa letteratura sui sistemi di innovazione
5
49
federalismi.it - ISSN 1826-3534
|numero speciale. 4/2019
riferimenti istituzionali, poi, sono particolarmente importanti per comprender la storia e l’evoluzione delle
politiche legate all’innovazione, anche attraverso la domanda pubblica, perseguite dai diversi Stati: per
fare alcuni esempi recenti, le esigenze di sicurezza negli Stati uniti e le esigenze ambientali nei Paesi del
Nord Europa hanno dato origine a due politiche dell’innovazione diversamente orientate, perché
sviluppate in ambienti diversi, ma in linea di massima perseguite con strumenti simili.
In questo contesto, la leva della domanda pubblica per favorire l’innovazione può essere definita come:
“a set of public measures to increase the demand for innovations, to improve the conditions for the uptake of innovations or
to improve the articulation of demand in order to spur innovation and the diffusion of innovation”8. Benché la letteratura
specializzata non paia avere ancora messo in evidenza tale aspetto, sembra evidente che l’approccio
olistico nell’analisi del supporto pubblico alla ricerca tramite gli appalti innovativi risulti di particolare
importanza nell’ambito del discorso sulle Anchor Institutions, le quali sono caratterizzate dallo stretto
legame con in territorio. Se infatti le A.I. hanno lo scopo di far ricadere sul territorio circostante i vantaggi
delle loro attività pubblicistiche e se, d’altra parte, lo sviluppo tecnologico richiede un contesto complesso,
un “sistema d’innovazione” che non è composto solo da tecnici e laboratori, ma anche da molti altri
elementi complessi, anch’essi radicati in uno specifico territorio, allora risulta facile concludere che le A.I.
possono costituire la sintesi più felice di tali strumenti di stimolo per l’innovazione tecnologica.
Ritornando all’impostazione tradizionale, cd. lineare, dello sviluppo tecnologico, un recente studio 9
propone la tassonomia degli strumenti utilizzabili per la promozione della domanda pubblica di
innovazione, distinguendo diversi tipi di appalti pubblici innovativi a seconda di diversi criteri utilizzati;
non si tratta di un’analisi giuridica, ma di una rassegna di strumenti di policy che pertanto differiscono per
gli obiettivi più che per gli aspetti procedurali. Elemento comune a tutti gli appalti innovativi deve essere
l’assumere ad oggetto il raggiungimento di una determinata finalità che al momento non è soddisfatta dai
prodotti presenti sul mercato, ma che può esserlo, in un tempo ragionevole, attraverso un prodotto
nuovo.
La prima ipotesi esaminata è quella dell’appalto aperto all’innovazione, che consiste nell’appalto il quale
consente agli offerenti di introdurre elementi di innovazione nell’offerta, anche se l’innovazione non è
elemento necessario, ma è favorito e consente di ottenere un punteggio più alto in sede di valutazione
dell’offerta. In termini giuridici, si può pensare all’appalto che consente varianti in sede di offerta oppure
8 Edler, Georghiou, Public procurement and innovation-resurrecting the demand side, in Research Policy, 2007, 36, p. 953. In
termini del tutto analoghi Veiko Lember, Rainer Kettel, Tarmo Kalvet, Introduction, in Veiko Lember, Rainer
Kettel, Tarmo Kalvet (a cura di), Public Procurement, Innovation and Policy, Springer Verlag, Berlin Heidelberg, 2014,
p. 2, secondo i quali l’appalto innvoativo si verifica quanto “a public agency places an order for product (goods, services or
systems) that do not yet exists, but that could probably be developed within a reasonable period of time based on additional or new
innovative work”.
9 Edler, cit, p. 6-10.
50
federalismi.it - ISSN 1826-3534
|numero speciale. 4/2019
alle forme di appalto flessibile, come la negoziazione o il dialogo competitivo. Vi è poi l’ipotesi di appalto
pre-commerciale, che però – secondo la tesi dell’autore citato, che pare pienamente condivisibile – non
consiste in un vero appalto innovativo in quanto comporta l’acquisto di servizi di ricerca e sviluppo ma
non di un prodotto innovativo, né l’acquisto di un ampio numero di prodotti innovativi né tantomeno
comporta la commercializzazione di un prodotto10.
Infine vi è l’appalto innovativo in senso proprio, il quale comporta appunto la soddisfazione di
un’esigenza della pubblica amministrazione non soddisfabile con la tecnologia presente sul mercato al
momento di pubblicazione del bando. Esso può ancora distinguersi in appalto innovativo diretto o
catalitico: nel primo caso l’oggetto dell’appalto risponde ad una esigenza propria solo
dell’amministrazione che procede e che sarà l’unico acquirente, mentre il secondo presuppone che il bene
o il servizio innovativo oggetto dell’appalto possano poi essere acquistati da numerosi altri soggetti,
pubblici o privati.
Secondo un altro criterio, l’appalto innovativo può distinguersi in incrementale o
radicale, a seconda se il prodotto o il servizio richiesti comportino una innovazione incrementale o
radicale, per la cui definizione si rinvia alle pagine precedenti. Infine, l’appalto innovativo può anche
essere classificato a seconda del livello di collaborazione richiesta tra l’appaltante e l’appaltatore, ma anche
con altre istituzioni come per esempio i centri di ricerca o gli enti locali. Tale ultima qualificazione- che
si ricollega al modello olistico del “sistema d’innovazione” presenta interessanti profili nell’ambito della
ricerca sulle Anchor Institutions le quali infatti possono giocare non solo il ruolo di appaltanti, ma anche
di terzi interessati e partecipanti al procedimento dell’appalto innovativo, al fine di radicare i risultati sul
territorio di competenza.
La varietà di modelli teorici con i quali è possibile realizzare una politica dell’innovazione tramite la
domanda pubblica trova una conferma empirica nella eterogenea casistica di tali appalti descritti negli
studi in materia11, con riferimenti a Stati assai diversi tra di loro in termini di sistemi giuridici, che però
tutti perseguono i medesimi fini sopra elencati. In termini generali, si può rilevare che il ricorso agli appalti
pubblici per l’innovazione, intesi in senso atecnico, è un fenomeno che ha recentemente subito un forte
impulso in molti Stati caratterizzati da diversi sistemi giuridici ed economici, come anche da parte delle
più rilevanti istituzioni economiche internazionali12.
Pur non essendo possibile in questa sede svolgere una approfondita analisi comparatistica dei diversi
modelli con i quali vengono realizzati gli appalti per l’innovazione, ci si può comunque riferire ad una
Charles Edquist, Jon Mikel Zabala-Iturriagagoitia, Pre-commercial procurement: a demand o supply policy instrumenti in
relation to innovation? in R&S Management, 2015, p. 147-160.
11 Tra i più recenti, oltre a quello di Edler già citato, si veda anche: Veiko Lember, Rainer Kettel, Tarmo Kalvet (a
cura di), Public Procurement, Innovation and Policy, Springer Verlag, Berlin Heidelberg, 2014.
10
51
federalismi.it - ISSN 1826-3534
|numero speciale. 4/2019
ricerca svolta in tal senso13, in esito alla quale sono stati individuati tre principali modelli: quello svedese,
quello giapponese e quello statunitense. Il primo (svedese) è caratterizzato da una collaborazione di lungo
termine tra gli enti pubblici e le principali aziende private; il secondo (giapponese) da un pesante ricorso
ad appalti pubblici per l’innovazione di tipo catalitico (cioè finalizzati non alle specifiche esigenze della
stazione appaltante, ma a immettere sul mercato prodotti innovativi nell’interesse generale) ed il terzo
(statunitense) da programmi di appalti innovativi indirizzati principalmente al settore della difesa e
caratterizzati dalla particolare attenzione alla commerciabilità dei prodotti.
In realtà, il modello svedese è probabilmente sovrastimato in quanto, pur essendo stata certamente la
Svezia uno dei primi Stati ad applicare in modo intensivo la tecnica dell’appalto pubblico innovativo - ed
a produrre i più noti studi in materia - lo sviluppo di modello neo liberali a partire dagli anni 80 del secolo
scorso ha considerevolmente ridotto la spesa pubblica disponibile per tali politiche. Solo recentemente si
può assistere ad una ripresa di iniziative, comunque caratterizzate da una intensa collaborazione tra
imprese ed enti pubblici nel settore dell’innovazione14.
Il modello statunitense presenta invece caratteristiche peculiari e per certi aspetti controintuitive poiché
il governo federale ha realizzato con il tempo una rete di appalti diretti al settore militare di estrema
rilevanza economica, che è evoluto in un sistema ibrido nel quale i confini tra pubblico e privato, sicurezza
e commercio, civile e militare sono diventati assai labili. Si tratta di un fenomeno assai complesso e
difficilmente replicabile, che costituisce però un assai potente strumento di innovazione tecnologica
nazionale15.
Secondo una diversa, e più recente, ricostruzione comparatistica16, si deve innanzitutto rilevare che il
ricorso agli appalti pubblici per favorire lo sviluppo dell’innovazione è una politica che non ha ad oggi
grande sviluppo in termini quantitativi, nonostante l’ampia retorica a suo favore presente in tutti gli Stati
ed organizzazioni internazionali. Solitamente, gli strumenti di supporto allo sviluppo tecnologico dal lato
dell’offerta sono più sviluppati e comunque spesso combinati insieme a quelli dal lato della domanda
come gli appalti innovativi.
Inoltre, è difficile individuare modelli comuni agli Stati esaminati in quanto ciascuno opera nel suo
contesto politico ed istituzionale e pertanto sviluppa politiche e tecniche di legittimazione degli appalti
innovativi coerenti con la propria realtà socio-economica, che differisce da quella degli altri Stati. In un
13Edquist-Hommen,
Goverment technology procurement andinnovation theory, Report to the European Commission, 1998.
Max Rolfstam, Robert Agren, Public Procurement of Innovation in Sweden, in Veiko Lember et al, cit., p. 213-232.
15 Linda Weiss, US Technology Procurement inthe National Security Innovation System, in Veiko Lember et al, cit., p. 259 –
285. Si veda anche Nicholas S. Vonortas, Innovation and public procurement in the United States, in EdquistVonortas et al. cit., p. 147-178.
16 Vekko Lember, Rainer Kattel, Tarmo Kalvet, How Goverments Support Innovation Through Public Procurement:
Comparing Evidence from 11 Countries, in Vekko Lember et al., cit., p. 287 – 309.
14
52
federalismi.it - ISSN 1826-3534
|numero speciale. 4/2019
paio di casi, addirittura, (Estonia e Hong Kong) gli appalti pubblici sono esplicitamente finalizzati al solo
perseguimento della massima efficienza, senza obiettivi secondari.
Ciò nonostante, è possibile distinguere tra gli appalti innovativi indirizzati allo sviluppo tecnologico
industriale, quelli che invece sono finalizzati a potenziare la politica di R&S e quelli di tipo generico, cioè
strumentali al perseguimento di altre finalità pubbliche settoriali (ambiente, difesa, salute), coerenti con
le specifiche esigenze della realtà socio-economica dello Stato di riferimento.
A fronte di questa ampia letteratura comparatistica non-giuridica in materia di appalti innovativi, colpisce
l’assenza di studi giuridico-comparatistici che pure potrebbero avere ampio spazio proprio nell’esaminare
le diverse tecniche e le soluzioni legali per coniugare le esigenze di celerità e di flessibilità con i principi
di trasparenza, par condicio, concorrenza ed efficienza della Pubblica Amministrazione.
3. Le origini degli appalti innovativi nel diritto europeo: le direttive appalti del 2004 e la
Comunicazione della Commissione del 14 dicembre 2007
La politica europea a favore dell’innovazione, pur essendo presente fin dagli inizi in relazione a scopi più
ampi di tipo economico e sociale, ha avuto il suo più completo riconoscimento con la strategia di
Lisbona17 lanciata nel 2000 e fondata sulla consapevolezza del ritardo europeo nel finanziamento alla
R&S rispetto agli Stati Uniti ed al Giappone. Nel 2003 la Commissione identifica per la prima volta gli
appalti pubblici come una misura diretta per stimolare la ricerca18 e tale approccio viene sviluppato nel
rapporto della Commissione Kok19.
Si comprende allora come le Direttive 2004/18/CE e 2004/17/CE abbiano introdotto nel diritto
europeo uno strumento giuridico finalizzato ad utilizzare la domanda pubblica per sostenere lo sviluppo
tecnologico attraverso gli appalti. Si tratta dei cosiddetti “appalti pre-commerciali”, collocati al di fuori
della direttiva stessa in quanto, come spiegato dal considerando n. 23, la promozione della ricerca e della
sviluppo tecnologico, di cui all’articolo 163 del Trattato, costituisce uno dei mezzi per potenziare le basi
scientifiche e tecnologiche della Comunità e dunque il cofinanziamento dei programmi di ricerca non
deve essere oggetto della direttiva stessa, a condizione che i contratti di ricerca non siano interamente
retribuita dall’amministrazione ed utilizzata esclusivamente dalla stessa amministrazione aggiudicatrice.
L’articolo 16, comma 1, lett. f) direttiva 2004/18 esclude dall’applicazione della direttiva stessa gli appalti
Conclusioni del Consiglio euroepo di Lisbona, 23 e 24 marzo 2000. Si vedano anche le Comunicazione della
Commissione: “L’innovazione in una economia fondata sulla conoscenza”, COM (2000) 567 final e “Più ricerca per l’Europa.
Verso il 3% del PIL”, COM (2002) 499 final
18 Comunicazione della Commissione “Investire in ricerca: un piano d’azione per l’Europa”, COM (2003) 223 final.
19 Report to the European Commission from an Independent Expert Group, Raising EU R&D Intensity: Improving the Effectiveness
of Public Support Mechanism for Private Sector Research and Development: Direct Measures, 2003.
17
53
federalismi.it - ISSN 1826-3534
|numero speciale. 4/2019
per servizi di ricerca e sviluppo “diversi da quelli i cui risultati appartengono esclusivamente all’amministrazione
aggiudicatrice perché li usi nell’esercizio della sua attività, a condizione che la prestazione del servizio sia interamente
retribuita da tale amministrazione”. La direttiva ha dunque voluto incentivare il cofinanziamento della ricerca,
ritendo prevalente l’interesse alla promozione di tale attività di sviluppo tecnologico rispetto all’esigenza
di promozione della concorrenza che caratterizza la disciplina sugli appalti. Come si vede, non si tratta
ancora di una ipotesi di appalto per l’innovazione, come definito dalla letteratura internazionale riportata
nel paragrafo precedente, ma, appunto, di un modo favorire il cofinanziamento della ricerca e dunque, in
ultima analisi, ancora di uno strumento supply-side.
La Commissione europea, in una comunicazione del 2006 sulla strategia dell’innovazione per l’UE20,
afferma che: “rappresentano un’opportunità che in Europa non è stata ancora esplorata dai pubblici poteri. Negli Stati
Uniti, ad esempio, questo tipo d’appalto ha un ruolo importante nell’economia, non soltanto per quanto riguarda
l’innovazione nei settori della difesa, dello spazio e della sicurezza, ma anche in altri settori pubblici come i trasporti, la
sanità, l’energia e le telecomunicazioni”. La Comunicazione prosegue poi specificando che, quando non esiste
una soluzione commerciale sul mercato, l’appalto pre-commerciale può consentire alle amministrazioni
di adottare soluzioni innovative elaborate in funzione delle loro necessità.
Viene dunque riconosciuto in modo esplicito il riferimento al modello statunitense di finanziamento della
ricerca, il che comporta una scelta non priva di significato nell’ambito dei diversi modelli disponibili sulla
scena internazionale come riportati nel paragrafo precedente, anche se il riferimento non pare pienamente
coerente perché, appunto, l’appalto pre-commerciale costituisce più una ipotesi di (co) finanziamento
della ricerca che di appalto innovativo vero e proprio, come era allora già sviluppato negli Stati Uniti
attraverso le commesse pubbliche nel settore militare e della sicurezza.
Con la successiva comunicazione del 2007, esclusivamente dedicata agli appalti pre-commerciali,21 la
Commissione esplicita meglio la sua politica in materia di supporto all’innovazione precisando che il
campo di applicazione dell’appalto pre-commerciale è limitato alla R&S ed infatti esso può giungere fino
alla predisposizione di prototipo, ma non può arrivare allo sviluppo commerciale e la produzione di
massa. Lo scopo è di condividere il rischio della ricerca con le imprese private – ed in questo in effetti
l’appalto pre-commerciale si distingue dal semplice finanziamento della ricerca – e deve comunque essere
organizzato in modo da evitare aiuti di Stato, il che impone di rispettare i principi di trasparenza, e
concorrenza nella scelta dell’impresa con cui condividere la ricerca. Come già nella Comunicazione del
Comunicazione della Commissione COM (2006) 502 definitivo “Mettere in pratica la conoscenza: un’ampia strategia
dell’innovazione per l’UE”, del 13 settembre 2006. Gli appalti sono trattati al par. 2.6.
21 Comunicazione della Commissione COM (2007) 799 definitivo “Appalti pre-commerciali: promuovere l’innovazione per
garantire servizi pubblici sostenibili e di elevata qualità in Europa”, del 14 dicembre 2007.
20
54
federalismi.it - ISSN 1826-3534
|numero speciale. 4/2019
2006, la Commissione – prendendo atto della scarsa esperienza europea in merito - si richiama al modello
statunitense (ma cita anche il caso cinese e giapponese), rilevando che esso è in effetti prevalentemente
riferito al settore della sicurezza e dell’aerospazio, ma che anche tenendo solo conto dei settori diversi da
sicurezza ed aerospazio l’investimento in appalti innovativi è comunque pari a quattro volte quello
europeo. I settori nei quali gli appalti di R&S potrebbero intervenire sono quelli sanitario, con particolare
riferimento all’impatto dell’invecchiamento, la lotta ai cambiamenti climatici, l’efficienza energetica,
l’insegnamento di qualità e la sicurezza.
In conclusione, la Commissione auspica un intenso ricorso all’appalto di R&S da parte delle stazioni
appaltanti degli Stati membri, pur riconoscendo la necessità di un monitoraggio sugli effetti per verificare
se lo strumento sia in effetti idoneo ed efficace per il raggiungimento dello scopo prestabilito.
Il documento di lavoro allegato alla Comunicazione della Commissione22 fornisce una guida per lo
svolgimento di un appalto pre-competitivo: si tratta di una procedura alquanto complessa, basata sul
principio che, benché gli appalti precompetitivi siano sottratti all’applicazione della direttiva, essi sono
comunque soggetti al Trattato e dunque ai principi di economicità, efficacia, imparzialità, parità di
trattamento trasparenza e proporzionalità ed inoltre è necessario che non costituiscono un aiuto di Stato
illegittimo. Il documento di lavoro prevede dunque la pubblicazione di un bando, recante la descrizione
della procedura e la predefinizione dei criteri, mentre consente che non sia specificato il prezzo.
Occorre infine segnalare che le Direttive Appalti del 2004 hanno anche introdotto o riformulato alcuni
moduli procedimentali che possono essere definiti “innovation friendly” nel senso che, pur non essendo
esplicitamente pensati e costruiti per stimolare l’innovazione tecnologica, ammettono comunque che
l’innovazione possa esser persa in considerazione come elemento di valutazione. Essi sono:
-
le indagini di mercato pre-gara ed il dialogo tecnico, per i quali è necessario evitare ogni
alterazione della simmetria informativa necessaria per garantire la parità di trattamento in
fase di gara;
-
i concorsi di progettazione;
-
il dialogo competitivo;
-
la possibilità di inserire varianti in fase di presentazione dell’offerta.
4. Le direttive appalti del 2014
Esponendo la Strategia per il 2020, la Commissione ha inserito nei sette obiettivi da raggiungere quello
della “Innovation Union”, specificando l’importanza del ricorso alle politiche di supporto dell’innovazione
Commission staff working document – Accompanying document to the Communiation on Pre-commercial Procurement – example
of a possible approach for procuring R&D services applying risk-benefit sharing at market conditions, i.e. pre-commercial procurement.
22
55
federalismi.it - ISSN 1826-3534
|numero speciale. 4/2019
dal lato della domanda e facendo riferimento all’enorme potenziale degli appalti pubblici, il cui valore si
attesta intorno al 17% del PIL23. La Comunicazione lamenta ancora uno scarso ricorso a tali forme di
finanziamento dell’innovazione, nonostante le lodevoli ma isolate iniziative di alcuni Stati Membri, ed
annuncia il potenziamento degli strumenti giuridici a disposizione in materia di appalti, lanciando l’idea
di Partnerships per l’innovazione (punto 7). Sulla scia della strategia per l’Innovation Union ed in previsione
dell’emanazione delle nuove direttive sugli appalti pubblici, la Commissione ha richiesto alcuni studi ed
ha lanciato una consultazione pubblica, sulla base del Libro verde sulla modernizzazione degli appalti
pubblici24 pubblicato nel 2011. I punto 4.3 del Libro Verde affronta il tema dell’innovazione e, dopo aver
elencato gli strumenti a disposizione delle stazioni appaltanti per stimolare l’innovazione, primo fra tutti
l’appalto pre-commerciale per l’acquisto di servizi di R&S, prende atto che soltanto una quota molto
bassa di appalti mira a promuovere l’innovazione, individuando le possibili cause nella scarsa propensione
al rischio – o meglio nell’errata individuazione degli incentivi ad accettare soluzioni più rischiose – nonché
nella mancanza di adeguata formazione. Al termine del paragrafo, il libro Verde formula alcuni quesiti
per la consultazione, circa il possibile miglioramento degli strumenti esistenti (per esempio circa una
migliore tutela dei diritti di proprietà intellettuale nel dialogo competitivo) e circa la necessità di
individuare nuove procedure più idonee a stimolare lo sviluppo tecnologico.
Il risultato dell’intenso lavoro preparatorio svolto dalla Commissione in previsione dell’emanazione delle
nuove direttive appalti, che – come si è visto – ha riguardato anche il tema dell’innovazione, la direttiva
2014/24/UE25 contiene numerosi riferimenti alla strategia Europa 2020 ed agli appalti innovativi, che
sono definiti come elementi degli appalti strategici. Si potrebbe quasi dire che gli appalti innovativi
rivestono, nella direttiva 2014/24/UE, un ruolo più strategico degli altri appalti strategici, come quelli
verdi e sociali, in quanto hanno una funzione strumentale rispetto agli altri obiettivi perseguibili attraverso
l’uso strumentale degli appalti: nel considerando 47si parla infatti di eco-innovazione e di innovazione
sociale come delle due principali manifestazioni della ricerca e dell’inno azione26. La funzione strumentale
dell’innovazione rispetto agli altri obiettivi strategici degli appalti sembra però paradossalmente rimanere
Commissione europea, Comunicazione: “Iniziativa faro per l’Europa 2020: L’Unione dell’Innovazione”, COM (2010)
1161 del 6 ottobre 2010.
24 Commissione Europea, Comunicazione: “Libro verde sulla modernizzazione della politica dell’UE in materia di appalti
pubblici. Per una maggiore efficienza del mercato europeo degli appalti pubblici”, COM (2011) 15 definitivo, del 27 gennaio
2011.
25 In questo studio verrà presa a riferimento la direttiva 2014/24/UE, ma anche per le altre due direttive del
pacchetto (la 2014/23/Ue e la 2014/25/UE) si possono svolgere considerazioni simili.
26 Luke Butler, Innovation in Public Procurement: Towards the “Innovation Union”, in François Lichère, Roberto Caranta,
Steen Treumer (a cura di), Modernising Public Procurement: The New Directive, Djoef Publishing, Copenhagen, 2014, p.
337-383, 345.
23
56
federalismi.it - ISSN 1826-3534
|numero speciale. 4/2019
assorbita da questi ultimi, tanto che la direttiva si focalizza soprattutto sugli appalti verdi e sociali, forse
anche in considerazione della scarsa esperienza in materia di appalti innovativi, evitando così di indicare
gli appalti innovativi tra gli scopi principali della riforma apportata alla normativa appalti. Una apparente
contraddizione, che costituisce però un filo rosso nella lettura in controluce della disciplina sugli appalti
innovativi nella direttiva così come anche nelle norme nazionali di attuazione.
La stessa direttiva, al considerando 65, riconosce che la scarsa esperienza in materia impedisce dia vere
una chiara visione circa i possibili sviluppi nel settore degli appalti innovativi e che un processo di
apprendimento istituzionale è estremamente necessario per attivare tale politica. Sono poi numerosi i
riferimenti negli altri considerando alla politica sull’innovazione anche in relazione ad altre parti della
direttiva, così da dare l’impressione che la tensione verso l’innovazione pervada l’intera struttura della
nuova disciplina europea sugli appalti pubblici.
La direttiva fornisce peraltro una chiara definizione di innovazione all’articolo 2, comma 1, n 22 (mentre
non la fornisce invece per la Ricerca e Sviluppo, che pure costituisce l’elemento essenziale degli appalti
pre-competitivi):”L’attuazione di un prodotto, servizio o processo nuovo o significativamente migliorato, tra cui, ma non
solo, un nuovo metodo di commercializzazione o organizzativo nelle prassi commerciali, nell’organizzazione del posto di
lavoro o nelle relazioni sterne, tra l’altro allo scopo di contribuire ad affrontare le sfide per la società o a sostenere la strategia
Europa 2020 per una crescita intelligente, sostenibile e inclusiva”. Rispetto alle definizioni più comuni nella
letteratura internazionale, riportate nei paragrafi precedenti, colpisce la mancanza di riferimenti alla
immediata commercializzazione ed alla possibilità di realizzazione in tempi brevi, che però potrebbero
ritenersi inclusi nel ricorso al termine “prodotto, servizio o processo” se intesi come beni oggetto di
commercializzazione.
Le contraddizioni che traspaiono dalla lettura dei considerando si ritrovano nel contenuto della parte
normativa della direttiva, la quale disciplina all’articolo 31 il partenariato per l’innovazione e all’articolo
14 per gli appalti cd. pre-commerciali, la cui denominazione normativa è in realtà quella di appalti per
servizi di ricerca e sviluppo. Prima di analizzare nel dettaglio i due istituti, preme mettere in rilievo alcuni
aspetti critici, di carattere sistematico, derivanti dal rapporto tra di essi.
Una prima contraddizione, che è stata subito messa in evidenza dai primi commentatori, 27 riguarda la
qualificazione stessa degli appalti pre-commerciali come appalti per l’innovazione. Data la definizione di
innovazione riportata dall’articolo 2, comma 1, n. 22, è ragionevole ritenere che gli appalti precommerciali non rientrino tra gli strumenti per l’innovazione perché, come anche stabilito dalla
Comunicazione della Commissione del 2007, essi si fermano alla produzione del prototipo e non arrivano
27
Butler, cit., p. 351-353.
57
federalismi.it - ISSN 1826-3534
|numero speciale. 4/2019
alla commercializzazione, la quale infatti non gode dell’esenzione dall’applicazione della direttiva ma è ad
essa soggetta. Il considerando 47 pare confermare tale interpretazione, là dove afferma che, pur
rimanendo sempre disponibili gli appalti pre-commerciali, la direttiva “dovrebbe anche contribuire ad agevolare
gli appalti pubblici nel settore dell’innovazione e aiutare gli Stati membri nel raggiungimento degli obiettivi dell’Unione in
questo ambito”. L’argomento è poi sviluppato nel considerando 49, il quale afferma che se l’esigenza di
sviluppare prodotti, servizi o lavori innovativi può essere soddisfatta con gli strumenti già a disposizione
con la precedente direttiva, è però necessario individuare una procedura di appalti specifica per gli appalti
che rientrano nella direttiva, e cioè per l’acquisto (e non solo lo sviluppo) di prodotti e servizi innovativi.
A tal fine viene proposto lo strumento del partenariato per l’innovazione “per lo sviluppo e il successivo acquisto
di prodotti, servizi o lavori caratterizzati da novità e innovazione, a condizione che tale prodotto o servizio possa essere
fornito o tali lavori possano essere effettuati nel rispetto dei livelli di prestazione e dei costi concordati, senza bisogno di una
procedura d’appalto distinta per l’acquisto” (sottolineatura nostra).
Il testo del considerando 49 mette allora in rilievo una seconda contraddizione: se il partenariato per
l’innovazione comprende sia lo sviluppo che l’acquisto di prodotti innovativi, esso va a sovrapporsi
all’appalto pre-commerciale, il quale si limita allo sviluppo, o meglio all’acquisto di servizi di R&S,
finalizzati allo sviluppo di un prodotto o servizio innovativo. La preesistenza dell’appalto precommerciale può forse giustificare il suo affiancamento al partenariato per l’innovazione che, in realtà,
ben potrebbe da solo soddisfare sia l’esigenza di sviluppo che quella di acquisto perché entrambe le
comprende.
La Guida redatta dalla Commissione europea sulla riforma degli appalti pubblici, alla scheda n. 9 dedicata
alla innovazione, afferma che gli appalti pubblici pre-commerciali e il partenariato per l’innovazione sono
due approcci alternativi che rispondo ad esigenze diverse, in quanto il partenariato per l’innovazione è
una procedura di gara che interessa sia la ricerca e lo sviluppo sia la commercializzazione su grande scala
di prodotti finiti ed è soggetto alla direttiva, mentre gli appalti pubblici pre-commerciali riguardano
soltanto i servizi di ricerca e sviluppo e costituiscono una esenzione che esula dal campo di applicazione
della direttiva, tanto che per il successivo acquisto di soluzioni innovative è necessario ricorrere a
procedure di gara distinte, come la procedura aperta o il dialogo competitivo.
È però stato notato che non si comprende bene quale sia la differenza, sempre che ve ne sia una, tra la
fase di ricerca e sviluppo nell’ambito del partenariato per l’innovazione e quella dell’appalto precommerciale28; e se non vi fosse differenza, realizzandosi così una completa sovrapposizione, ci si deve
allora chiedere quale sia la ratio di attivare una procedura di ricerca e sviluppo anziché il partenariato per
28
Butler, cit., 359.
58
federalismi.it - ISSN 1826-3534
|numero speciale. 4/2019
l’innovazione. La maggiore criticità della procedura di ricerca e sviluppo consiste infatti proprio fase
successiva, presupposta ma non regolamentata in modo esplicito, cioè nell’acquisto sul mercato della
soluzione innovativa emersa a seguito della ricerca: non è chiaro in che modo possa svolgersi una
procedura di gara per l’acquisto della soluzione innovativa nel rispetto della par condicio, se tale gara è stata
preceduta da una fase di ricerca e sviluppo cofinanziata ed affidata al di fuori delle procedure previste
dalla direttiva, a meno che l’impresa cofinanziatrice dello sviluppo sia esclusa dalla successiva procedura
di gara, ma in tal caso – peraltro non previsto esplicitamente dalla direttiva – potrebbe venire frustrato il
risultato stesso dell’attività di ricerca e sviluppo.
Se poi si esamina nel dettaglio la procedura per l’affidamento dei servizi di ricerca e sviluppo, emergono
altre criticità puntualmente rilevate dalla dottrina29. In primo luogo, come già rilevato, manca una
definizione di ricerca e sviluppo che stabilisca i confini oggettivi dei servizi cui si applica l’articolo 14; è
pur vero che tale definizione è invece presente nella direttiva sugli appalti militari 30 (che a sua volta non
contiene invece una definizione di innovazione), ma non pare ragionevole fare riferimento a tale
definizione data la sostanziale differenza dei contesti delle due direttive.
Ci si deve poi chiedere se l’esenzione dalla procedure di appalti per i servizi di ricerca e sviluppo sia
compatibile con gli obblighi internazionali assunti dall’Unione europea, primo fra tutti quello con il WTO
attraverso la sottoscrizione del trattato sugli appalti pubblici (GPA), che non contiene alcuna esenzione
di tal genere. Infine non si deve sottovalutare il possibile abuso dell’esenzione in oggetto, attraverso
l’espansione del concetto di ricerca sviluppo – tanto più che esso non è definito dalla direttiva- per farvi
ricomprender anche casi non propriamente rientranti in esso. La preoccupazione in tal senso è espressa
dal considerando n. 35, ma non viene poi tradotta nella parte normativa della direttiva con precise
disposizioni, come accade invece nella direttiva per gli appalti della difesa.
Il partenariato per l’innovazione, disciplinato all’articolo 31 della Direttiva 2014/24/UE, consiste in una
procedura nuova, non presente nelle precedenti direttive, appositamente disegnata per favorire
l’innovazione tecnologica attraverso la domanda pubblica. L’effettiva novità del partenariato per
l’innovazione è discussa: mentre per alcuni esso è considerato la più importante novità della direttiva31,
altri commentatori32 sottolineano che esso non conferisce un nuovo strumento alle stazioni appaltanti,
Butler, cit., p. 357-361.
Direttiva 2009/81/CE, art. 1, punto 27
31 Anca Ramona Apostol, Pre commercial procurement in support of innovation: regulatory effectiveness?, Public Procurement
law review, 2012, p. 213-225.
32 Pedro Cerqueira Gomez, Innovative Innovation Partnership under the Public Procurement Directive, Public Procurement
Law Review, 2014, p. 211-218. Sul partenariato per l’innovazione si veda anche: Marta Andrecka, Innovation
partnership inthe new public procurement regime- a shift of focus from procedural to contractual issues? Public Procurement law
29
30
59
federalismi.it - ISSN 1826-3534
|numero speciale. 4/2019
limitandosi a specificare quanto già era possibile fare con gli strumenti del dialogo competitivo e della
procedura negoziata.
Per la verità occorre segnalare che la Corte di Giustizia, in un caso deciso sotto la vigenza delle precedenti
direttive33, ha statuito l’illegittimità di una procedura seguita da una stazione appaltante francese e molto
simile all’attuale partenariato per l’innovazione, in quanto prevedeva una prima fase di selezione del
progetto di innovazione ed una seconda fase per l’attribuzione del contratto di esecuzione dei risultati
della fase precedente al medesimo vincitore.
Pur avendo la Francia sostenuto che si trattava di una procedura di dialogo competitivo, la Corte ha
ritenuto che quell’istituto non fosse applicabile in quanto esso si riferisce all’aggiudicazione di un solo
contratto, mentre nel caso in questione ne venivano aggiudicati due: uno per la ricerca dell’innovazione
e l’altro per la sua esecuzione.
Secondo la direttiva, il partenariato per l’innovazione è una procedura che può essere scelta dalla stazione
appaltante quando essa deve soddisfare un’esigenza di prodotti o servizi o lavori innovativi che non può
essere soddisfatta acquistando prodotti, servizi o lavori disponibili sul mercato. In effetti, in tali termini
l’ambito di applicazione della procedura non pare nettamente distinguibile da quello del dialogo
competitivo o della procedura negoziata, ma si può sostenere, per attribuire una specificità all’istituto
coerente con la sua collocazione e la sua denominazione, che esso sia utilizzabile tutte le volte che si pone
la necessità di svolgere una previa attività di ricerca e sviluppo, anche in considerazione del fatto che la
selezione dei candidati deve essere svolta tenendo conto della loro capacità di svolgere attività di ricerca
e sviluppo nonché di sviluppare ed implementare soluzioni innovative34 (il che pone a sua volta il
problema della distinzione rispetto al partenariato per l’innovazione, esaminato sopra).
La procedura si compone di tre fasi35:
-
la fase di selezione all’inizio della procedura e consiste nella selezione di uno o più partner
in possesso dei requisiti richiesti, tra i quali in particolare la capacità a svolgere attività di
ricerca e sviluppo;
-
la seconda fase, durante la quale il partener o i partner selezionati sviluppano la nuova
soluzione richiesta in collaborazione con l’acquirente pubblico. Tale fase può essere
review, 2015, 48-62 e Pedro Telles, Luke Butler, Public Procedure Award Procedures in Directive 2014/24/EU, in
Lichère,Caranta,Treumer, cit., p. 131-183, in particolare p. 160-180.
33 CGUE, caso C-229/08, Commissione c. Francia.
34 Come suggerito da Telles e Butler, cit., p. 162.
35 Commissione europea, Comunicazione “Orientamenti in materia di appalti per l’innovazione”, C (2018) 3051
finale, del 15 maggio 2018, p. 49-50.
60
federalismi.it - ISSN 1826-3534
|numero speciale. 4/2019
ulteriormente distinta in sub-fasi e si può anche prevedere che il numero di partner venga
ridotto nel passaggio delle sub-fasi;
-
la fase finale, detta anche fase commerciale, durante la quale viene realizzato il prodotto o il
servizio risultante dall’attività di ricerca e sviluppo svoltasi durante la seconda fase.
Uno degli aspetti più interessanti della suddivisione in più segmenti della procedura di selezione consiste
nella possibilità per la stazione appaltante di svolgere un’attività di cherry picking, cioè di individuare le parti
migliori delle diverse offerte per metterle insieme e costruire così una offerta ideale, da sottoporre poi
all’offerta finale dei partecipanti. Tuttavia, tale possibilità è comune alle altre procedure simili come il
dialogo competitivo e la procedura negoziata e ne condivide anche i limiti, consistenti nella necessità di
rispettare la par condicio ed i segreti commerciali ed industriali dei partecipanti. 36
Di particolare interesse le disposizioni sul partenariato per l’innovazione che riguardano la fase
dell’esecuzione e della risoluzione del contrato, le quali in effetti non si trovano nelle procedure simili che
sono soggette alla regolamentazione europea solo fino all’aggiudicazione.37 L’esecuzione del contratto
deve svolgersi in fasi successive, per ciascuna delle quali è previsto uno specifico obiettivo da raggiungere
e la stazione appaltante può anche decidere di terminare la procedura nel caso in cui non venga raggiunto
l’obiettivo. È anche prevista la facoltà, nel caso in cui siano stati ammessi alla procedura più operatori
economici, di formulare la fase di esecuzione per successive riduzioni del numero dei partecipanti, fino
alla individuazione di uno solo che dovrà terminare la ricerca e sviluppo e procedere con la realizzazione
del bene o del servizio. Questa previsione, se da una parte costituisce la cifra caratteristica del partenariato
per l’innovazione e consente grande flessibilità, può peraltro prestare il fianco alle critiche di chi la
considera una norma di facile contestazione alla luce del principio di par condicio il quale richiede la
previa determinazione dei criteri oggettivi per la selezione o la terminazione del contratto.38
Infine, il partenariato per l’innovazione, come peraltro anche il dialogo competitivo, pone seri problemi
di tutela della proprietà intellettuale, che non sono risolti dal dettato normativo: esso infatti si limita a
stabilire che la stazione appaltante deve stabilire le regole di protezione della proprietà intellettuale,
lasciando così ad essa l’onere di individuare il corretto bilanciamento tra le esigenze della procedura e
quelle degli operatori economici partecipanti.
Sul punto si vedano le interessanti considerazioni di Andrecka, cit., p. 56 – 58.
Telles e Butler, p. 169 – 173.
38 Telles e Butler, cit., p. 169-173.
36
37
61
federalismi.it - ISSN 1826-3534
|numero speciale. 4/2019
Il giudizio complessivo sulla nuova procedura del partenariato per l’innovazione non può che essere
provvisorio, in attesa di una verifica sul campo da parte degli operatori e di eventuali interventi
giurisprudenziali39. Fatta questa premessa, si possono certamente individuare alcuni aspetti critici: in
primo luogo, la struttura della procedura non pare particolarmente incentivante per le stazioni appaltanti
che non risulterebbero stimolate ad applicarla: a fronte di una notevole incertezza normativa ed
applicativa, esse infatti potrebbero optare per l’acquisto di beni e servizi già esistenti sul mercato. Si
possono inoltre verificare effetti anticompetitivi sotto tre diversi aspetti: da una parte l’estrema flessibilità
nella determinazione dei criteri e dei segmenti di esecuzione della procedura potrebbe consentire alle
stazioni appaltanti di introdurre specifiche tecniche tendenti a favorire imprese nazionali; dall’altra parte,
potrebbe creare situazioni di lock-in a favore dell’operatore economico vincitore della procedura e, in
terzo luogo, potrebbe attribuire al vincitore un eccessivo vantaggio sul mercato, se esso non è vincolato
alla vendita alla sola stazione appaltante, ma è autorizzato a vendere sul mercato, potendo così avvalersi
di una sovvenzione indiretta.
Infine, per quanto riguarda la struttura stessa della procedura, se essa supera le difficoltà inerenti
all’appalto precompetitivo perché unisce in un solo contratto la fase di ricerca e sviluppo e quella di
acquisto del bene o servizio, dall’altra parte impone alla stazione appaltante di avviare una procedura per
l’acquisto di un bene o servizio che potrebbe anche non venire mai in esistenza, richiedendo così in capo
alla stazione appaltante una certa propensione al rischio.
Proprio quest’ultima riflessione ha indotto alcuni autori40 a formulare un cauto ottimismo circa la
diffusione del partenariato per l’innovazione ed i suoi effetti positivi: ciò può accadere quando lo
strumento in oggetto sia attivato da stazioni appaltanti di grandi dimensioni ed in quanto tali dotate di
specifiche competenze sia tecnologiche che giuridiche, nonché di una ragionevole propensione al
rischio.41 Nel proseguire tale riflessione, si può affermare che le Anchor Institutions risulterebbero
dunque particolarmente adatte a superare le difficoltà evidenziate nell’analisi dei partenariati per
l’innovazione ed, anzi, per coglierne tutti i potenziali benefici, essendo dotate di personale con notevole
competenza nel settore e di una ragionevole propensione al rischio derivante dalle loro dimensioni.
Sul sito www.procuraplus.org/awards sono riportati gli appalti innovativi premiati dalla commissione europea
in relazione a diverse categorie ed è dunque possibile avere una prima indicazione delle iniziative in materia. Peraltro
il sito non si limita agli appalti innovativi in senso stretto – appalti precompetitivi e partenariati per l’innovazione
– ma comprende ogni forma di appalti che contenga un qualche elementi di innovazione, inclusi gli appalti con
varianti in fase di progettazione, sicché non è facile individuare quelli che interessano in questa sede.
40 Telles e Butler, cit., p. 180.
41 Il discorso dovrebbe quindi spostarsi sul tema dell’interazione tra appalti innovativi e centrali di committenza, le
quali ultime costituiscono un’altra delle principali innovazioni delle nuove direttive appalti, ma in questa sede non
può essere approfondito per carenza di spazio.
39
62
federalismi.it - ISSN 1826-3534
|numero speciale. 4/2019
Bisognerebbe però esplorare gli strumenti a disposizione delle A.I. per mantenere sul territorio gli effetti
positivi del partenariato per l’innovazione, che potrebbero andare dall’utilizzo dell’innovazione
tecnologica sul proprio territorio di riferimento (tramite accordi per l’esclusiva di utilizzo) all’attrazione
delle imprese innovative tramite l’inserimento nel contratto di forme di collaborazione in fase di
esecuzione, anche attraverso l’offerta di laboratori ed altre strutture a disposizione A.I.
5. Il codice dei contratti pubblici italiano (D. Lgs. 50/2016), le (scarse) iniziative in Italia ed il
ruolo dell’AGID
Il codice dei contratti pubblici italiano è stato approvato con D. Lgs. 50/2016 in forza della legge delega
11/2016, per l’attuazione delle direttive appalti del 2014.
In relazione agli appalti innovativi – e dunque in particolare in relazione agli appalti precompetitivi ed al
partenariato per l’innovazione – il D. Lgs. 50/2016 si limita a riportare il contenuto della direttiva: per gli
appalti pre-commerciali nell’articolo 158 e per il partenariato per l’innovazione all’articolo 65. In assenza
di giurisprudenza rilevante, ci si può dunque richiamare alle osservazioni sopra svolte in merito al testo
della Direttiva.
Appare però interessante, anche in relazione al tema dei possibili interventi da parte delle Anchor
Institutions, tentare una breve panoramica di tipo empirico sullo stato di realizzazione degli appalti
innovativi in Italia.
A tal fine la fonte migliore risulta essere il sito www.appaltinnovativi.gov, gestito dell’Agenzia per l’Italia
Digitale (AGID), il quale si propone tra l resto di fornire un censimento aggiornato degli appalti
innovativi. Poiché non esiste un obbligo di segnalazione all’AGID degli appalti innovativi e poiché, d’altra
parte, il sito intende recensire non solo gli appalti esplicitamente innovativi – servizi di ricerca e sviluppo
e partenariato per l’innovazione – ma anche le altre forme di appalto che consentono l’innovazione, come
il dialogo competitivo o gli appalti con varianti in sede di offerta, è evidente che esso non può garantire
la completezza dei dati raccolti, ma fornisce comunque alcune indicazioni significative.
Il dato che più colpisce è che dal 2012 ad oggi sono state censite 57 “sfide” per un valore complessivo di
389 milioni di €. Anche se si può notare un forte aumento delle sfide nel 2017-18 (rispettivamente 23 e
16 sfide), si tratta con tutta evidenza di un numero insignificante rispetto al potenziale di appalti innovativi
esistente in Italia. Per quanto riguarda i settori, la grande maggioranza di sfide è stata realizzata nell’ambito
della salute e qualità della vita (25), seguita dall’Agenda digitale e Smart Communities (14) e dall’energia
e ambiente (11). Se poi si esaminano gli strumenti giuridici cui si è fatto ricorso con maggiore frequenza,
si può vedere che l’appalto pre-commerciale è di gran lunga quello più utilizzato (ma non è dato sapere
63
federalismi.it - ISSN 1826-3534
|numero speciale. 4/2019
se poi esso è stato seguito da una procedura di acquisto dei beni o servizi risultanti dall’attività di ricerca
e sviluppo), mentre il partenariato per l’innovazione risulta essere stato utilizzato in pochi casi.
A fronte di questa situazione, si possono rilevare alcune iniziative istituzionali volte a stimolare la crescita
degli appalti innovativi.
Nel giugno del 2018 è stato firmato un protocollo di intesa tra Confindustria, Conferenza delle Regioni
e delle Provincie Autonome, AGID e Istituto per l’innovazione e trasparenza degli appalti e la
compatibilità ambientale ( ITACA), per la costituzione di un Comitato di coordinamento avente lo scopo
di
instaurare un rapporto di collaborazione per promuovere la conoscenza e favorire l’utilizzo
dell’appalto pre-commerciale quale strumento per l’esecuzione di attività di ricerca e sviluppo, nonché
degli altri strumenti previsti dalle direttive europee (partenariato per l’innovazione), al fine di sostenere
l’innovazione dell’offerta di mercato e mantenere e incrementare la presenza sul territorio di significative
competenze di ricerca ed innovazione industriale. Il Comitato di coordinamento, che è diventato
operativo nell’autunno 2018, ha individuato due line di intervento prioritarie consistenti
nell’organizzazione di una serie di eventi aperti alle imprese ed alle stazioni appaltanti per diffondere la
cultura dell’appalto innovativo, nonché nella predisposizione di attività di formazione, offerta sia alla
platea degli operatori in materia di appalti, sia più specificamente ai RUP operanti nelle centrali di
committenza, allo scopo di diffondere la conoscenza delle conoscenze giuridiche e gestionali necessarie
per la diffusione degli appalti innovativi.
In data 20 marzo 2019 è stato pubblicato sulla GU il decreto MISE del 31 gennaio 2019 per l’attuazione
di bandi di domanda pubblica intelligente. Tale decreto prevede lo stanziamento di 50 milioni di € “per
sostenere le imprese ed altri operatori economici, anche in collaborazione con organismi e/o centri di ricerca, nello svolgimento
delle attività inerenti allo sviluppo, alla prototipazione e alla sperimentazione di nuove soluzioni utili a soddisfare i
«fabbisogni smart» del Paese”. L’attuazione del decreto dovrà avvenire attraverso la pubblicazione di bandi
di gara “emanati in conformità al modello ed alla relativa disciplina degli appalti di innovazione e/o pre-commerciali”. A
tal fine, nel luglio 2019, il MISE ha sottoscritto una convenzione con AGID alla quale ha conferito la
funzione di stazione appaltante per l’emanazione dei bandi di cui all’articolo 2 del decreto citato.
È dunque verosimile che a breve vengano pubblicati bandi per appalti di innovazione in numero e per
importi significativi.
Un’ultima considerazione può essere svolta in relazione alla possibile interazione tra il discorso fin qui
sviluppato in merito agli appalti innovativi, da una parte, ed il patrimonio di ricerca pubblica dall’altra.
Mentre si assiste ad una accelerazione delle iniziative per stimolare la domanda pubblica di soluzioni
innovative nei confronti delle imprese private, si moltiplicano dall’altra parte le iniziative tese a valorizzare
i risultati della ricerca pubblica al fine di farla conoscere alle imprese perché ne possano trarre tutti i
64
federalismi.it - ISSN 1826-3534
|numero speciale. 4/2019
possibili vantaggi (incubatori delle Università, centri di competenza e financo iniziative di fondi di
investimento per la ricerca pubblica). Mettendo insieme questi due fenomeni, che paiono al momento
muoversi in modo autonomo e del tutto scoordinato, si potrebbe pensare ad una collaborazione
pubblico/pubblico, eventualmente anche ai sensi dell’articolo 5 comma 6 del codice dei contratti pubblici
in tema di accordi tra amministrazioni aggiudicatrici.
65
federalismi.it - ISSN 1826-3534
|numero speciale. 4/2019
Notizie sugli Autori
Roberto Caranta è Professore ordinario di Diritto amministrativo
presso l’Università degli studi di Torino;
Mario E. Comba è Professore ordinario di Diritto pubblico comparato
presso l’Università degli studi di Torino;
Anna Maria Poggi è Professore ordinario di Istituzioni di diritto
pubblico presso l’Università degli studi di Torino;
Natalia Spataru è Dottoressa magistrale in European Legal Studies;
Giuseppe Valditara è Professore ordinario di Diritto romano e diritti
delle antichità presso l’Università degli studi di Torino.
66
federalismi.it - ISSN 1826-3534
|numero speciale. 4/2019
Numero speciale / Special Issue
4/2019
23 settembre 2019
67
federalismi.it - ISSN 1826-3534
|numero speciale. 4/2019