ISSN 0393-2494
ANNO XXXVIII - 2019
Fondata da ALDO
CESSARI, già diretta da GIUSEPPE PERA e da PIETRO ICHINO
Direttore responsabile
Direttore
RAFFAELE DE LUCA TAMAJO
LUIGI MONTUSCHI
Comitato scientifico
CARLO CESTER - MAURIZIO CINELLI - RICCARDO DEL PUNTA - GIUSEPPE FERRARO
EDOARDO GHERA - PIETRO ICHINO - ARTURO MARESCA - ORONZO MAZZOTTA
ROBERTO ROMEI - FRANCESCO SANTONI - RENATO SCOGNAMIGLIO - PATRIZIA TULLINI
JESÚS CRUZ VILLALÓN - MAXIMILIAN FUCHS - ANTOINE LYON CAEN - ALAN NEAL
estratto
11/20
Pubblicazione trimestrale - Poste Italiane s.p.a. - Spedizione in a.p. - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) art. 1, comma 1, DCB (VARESE)
INDICE SOMMARIO
PARTE PRIMA
DOTTRINA
GIAMPIERO PROIA, Ancora sul rapporto tra contratti collettivi di diverso livello.
Again on the relationship between collective agreements of different
level
ANNALISA DI PAOLANTONIO, Le regole del processo del lavoro fra principio di
proporzionalità ed effettività delle tutele: riflessioni sparse sul giudizio di
Cassazione. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
The rules of the employment law procedure between the principle of
proportionality and effectiveness of protections: some reflections on
the cassation judgment
FRANCESCO ROSSI, La risoluzione dei rapporti di lavoro nella liquidazione
giudiziale. Prime osservazioni sulla disciplina introdotta dal codice della
crisi d’impresa e dell’insolvenza . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
The termination of employment relationships in judicial liquidation.
First notes on the regulation introduced by the business crisis and
insolvency code
3
13
23
Agorà
MARIA TERESA CARINCI, I contratti in cui è dedotta una attività di lavoro alla
luce di Cass. 1663/2020 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
49
MARCO MARAZZA, In difesa del lavoro autonomo (dopo la legge n. 128 del 2019) .
61
ARTURO MARESCA, Brevi cenni sulle collaborazioni eterorganizzate
. . . . . .
73
ROBERTO ROMEI, I rider in Cassazione: una sentenza ancora interlocutoria .
89
II
Indice sommario
PARTE SECONDA
NOTE A SENTENZA
Rapporto di lavoro
STEFANO BELLOMO, Determinazione giudiziale della retribuzione e individuazione del contratto collettivo-parametro tra art. 36 Cost. e normativa
speciale applicabile ai soci lavoratori di cooperative . . . . . . . . . . . .
28
WANDA FALCO, Trasferimento d’azienda illegittimo: cosa accade se il cedente
non riammette il dipendente?. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
38
MAURIZIO FALSONE, Conversione dei rapporti di lavoro, reclutamento e solidarietà negli appalti delle imprese pubbliche: una terra contesa dal diritto
comune e speciale. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
68
PIETRO ICHINO, La stretta giurisprudenziale e legislativa sulle collaborazioni
continuative . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
90
ALESSANDRA INGRAO, Marchandage du travail tra appalto e distacco illeciti.
Quando il datore di lavoro è un software nella logistica 4.0. . . . . . . .
105
VALERIA NUZZO, Il divieto di controlli occulti si applica alla verifica dell’orario
di lavoro? . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
119
SAMUELE RENZI, Sull’incerto confine tra cambio di appalto e trasferimento di
azienda. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
127
ANNA ROTA, Lavoro gratuito per la PA: «un’opportunità per arricchire il
curriculum» . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
145
Pubblico impiego
ANNA TROJSI, Il romanticismo della Consulta: il coniugio non è causa di
incandidabilità nei concorsi universitari . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
158
Diritto europeo
DAVIDE DIVERIO, L’assenza dal mercato del lavoro a motivo della gravidanza
non pregiudica lo status di lavoratore (neppure) per la lavoratrice
autonoma . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
168
GAETANO GIANNÌ, Il ramo d’azienda e la cessione con finalità fraudolente . . .
185
LAURA TEBANO, I confini dei controlli difensivi e gli equilibrismi della Corte
edu . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
211
Diritto sindacale
LORENZO LAMA, Contenimento degli oneri contrattuali e diritto a trattare nelle
società a controllo pubblico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
223
Indice sommario
MARCO LOVO, Nulla la clausola del contratto individuale in deroga all’applicazione del contratto collettivo pubblico ad un ente pubblico non
economico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
III
231
PARTE TERZA
OSSERVATORIO
Legislazione in materia di lavoro
– Emergenza epidemiologica e lavoro agile (di C. DI CARLUCCIO) . . . . . .
3
– Il decreto sui «riders» (di M. CORTI e A. SARTORI) . . . . . . . . . . . . . . .
15
Legislazione previdenziale
– Nuove norme per collaboratori e riders. Il ripristino (quasi) totale della
disciplina del danno differenziale. Il contratto di espansione. La
«pallida» legge di bilancio per il 2020 (di M. CINELLI e C.A. NICOLINI) .
25
Libri ricevuti (a cura di R. DE LUCA TAMAJO e L. TEBANO) . . . . . . . . . .
55
Giurisprudenza
46
I
CASSAZIONE 23 luglio 2019, n. 19925 - NAPOLEONE Pres. - TRICOMI Est.- SANLORENZO P.M. - D.G. e altri (avv. Chiodetti) c. Anas s.p.a. (avv. Maresca) e
Ministero delle infrastrutture e dei trasporti.
Conferma A. Roma 4 maggio 2018, n. 1769.
Società a controllo pubblico - Reclutamento del personale - Art. 18, co. 2 d.l. n.
112/2008 - Principio del concorso pubblico - Applicabilità - Contratto a termine
nullo - Divieto di conversione.
Ai sensi dell’art. 18, co. 2 d.l. n. 112/2008 le società a totale partecipazione
pubblica devono procedere alle assunzioni mediante procedure selettive nel rispetto dei
principi che sottendono la regola del concorso pubblico ex art. 97 della Costituzione.
Pertanto opera anche in questo caso il principio secondo cui la regola della concorsualità imposta dal legislatore, nazionale o regionale, impedisce la conversione in
rapporto a tempo indeterminato del contratto a termine affetto da nullità. (1)
II
TRIBUNALE DI ROMA, ord., 2 agosto 2019 - LUNA Pres. - CERRONI Rel. - S.M.
(avv. Delia, Bonetti) c. Anpal Servizi s.p.a. (avv. Maresca, Bozzi).
Società a controllo pubblico - Incarichi di lavoro autonomo - Disciplina per il reclutamento dei lavoratori subordinati - Applicazione analogica - Necessità.
In difetto di specifica norma volta a regolamentare l’individuazione di collaboratori autonomi, deve ritenersi analogicamente applicabile ad una società in house
l’art. 19, d.lgs. n. 175/2016 — dettato con riguardo ai lavoratori subordinati —
essendo pur sempre necessario, per un soggetto interamente partecipato da una
pubblica amministrazione, rispettare principi essenziali per garantire il corretto
impiego di risorse pubbliche. (2)
(1-3)
La nota di M. FALSONE segue il testo delle pronunce.
R I D L, 2020, II
Giurisprudenza
47
III
CASSAZIONE 30 settembre 2019, n. 24375 - NAPOLEONE Pres. - TRIA Rel. SANLORENZO P.M. - S.M.A. (avv. Smedile) c. A.l.e.r. (avv. Manzi).
Cassa con rinvio A. Brescia 13 novembre 2015, n. 335.
Appalto - Aziende per l’edilizia residenziale pubblica - Enti pubblici economici Applicazione del codice dei contratti pubblici - Responsabilità solidale del committente ex art. 29, d.lgs. n. 276/2003 - Applicabilità.
Con riferimento ai contratti di appalto stipulati dalle Aziende per l’edilizia
residenziale pubblica, qualora dette Aziende siano state qualificate dalla legislazione
regionale di riferimento quali enti pubblici economici, dotati di personalità giuridica
e di economia imprenditoriale, patrimoniale, finanziaria e contabile, esse non sono
sottratte all’applicazione dell’art. 29, co. 2 d.lgs. n. 276/2003 in materia di responsabilità solidale del committente, anche quando, per il fatto di svolgere un servizio
pubblico di interesse generale, rientrano nella categoria degli organismi di diritto
pubblico ai sensi del codice dei contratti pubblici. (3)
I
Omissis. — RAGIONI DELLA DECISIONE. — Omissis. 4. Con il terzo motivo, ai
sensi dell’art. 360, n. 3, è dedotta la violazione e falsa applicazione dell’art. 18,
commi 1 e 2, del d.l. n. 112 del 2008, conv. dalla legge n. 133 del 2008 (in relazione
all’espletamento di una qualificata procedura selettiva da parte dei ricorrenti).
Dal contenuto precettivo dell’art. 18 del d.l. n. 112 del 2008 risultava chiara la
volontà del legislatore di limitare alle sole società a totale partecipazione pubblica
che gestiscono pubblici servizi locali l’obbligo di attenersi a criteri e modalità per
il reclutamento del personale nel rispetto dei principi di cui all’art. 35, comma 3,
del d.lgs. n. 165 del 2001; per le altre, tra cui l’Anas a partecipazione pubblica
totale o di controllo, il legislatore aveva stabilito che dovessero assumere secondo
criteri più generici di trasparenza pubblicità e imparzialità, come si evince anche
dalla sentenza Cass. n. 3621 del 2018. Richiamano, altresì, Cass., S.U. n. 7759 del
2017, e ribadiscono di essere stati scelti in base ad una selezione pubblica,
divulgata su internet e con esplicitazione dei criteri e requisiti di partecipazione,
e che nei contratti vi era espressa menzione della legge n. 133 del 2008.
5. Con il quarto motivo di ricorso è illustrata la censura di violazione e falsa
applicazione dell’art. 18, commi 1 e 2, del d.l. n. 112 del 2008, conv. dalla legge n.
133 del 2008, in relazione agli artt. 35, comma 3, e 36, comma 2, del d.lgs. n. 165
R I D L, 2020, II
48
Giurisprudenza
del 2001. Violazione dell’art. 19 del d.lgs. n. 175 del 2016 (in merito all’asserita
nullità insanabile del contratto di lavoro stipulato in violazione dell’art. 18,
comma 2, del d.l. n. 112 del 2008, e all’asserita valenza chiarificatrice e non
innovativa dell’art. 19 del d.lgs. n. 175 del 2016). Assumono i ricorrenti che la
citata pronuncia Cass., S.U., n. 7759 del 2017, esclude la fondatezza della tesi
dell’equiparazione tra società in house e pubbliche amministrazioni, non potendosi applicare alle prime gli artt. 35 e 36 del d.lgs. n. 165 del 2001. Né tali norme
possono applicarsi alle società a totale partecipazione pubblica o di controllo,
laddove l’art. 18, comma 2, del d.l. n. 112 del 2008 neppure le richiama.
Deducono, altresì, che non può condividersi l’assunto della sentenza n. 3621 del
2018 secondo cui alla violazione dell’art. 18 del d.l. n. 112 del 2008 seguirebbe la
nullità del contratto di lavoro, atteso che trattasi di regola di comportamento e
non di validità. Ciò si evince, altresì, dal d.lgs. n. 175 del 2016, che ha abrogato
alcune disposizioni dell’art. 18, e ne ha rimodulato per il futuro la disciplina,
introducendo con l’art. 19, comma 2, una diretta applicazione dell’art., 35, comma
3, del d.lgs. n. 165 del 2001.
6. I suddetti motivi di ricorso devono essere trattati congiuntamente in
ragione della loro connessione, in quanto sotto profili diversi prospettano la non
applicabilità alla fattispecie dei principi enunciati da Cass. n. 3621 del 2018, e
comunque l’intervenuta conclusione dei contratti a termine con Anas s.p.a., a
seguito di selezione conforme alla previsione di cui all’art. 18, comma 2, del d.l. n.
112 del 2008, conv. dalla legge n. 133 del 2008.
7. Gli stessi sono in parte non fondati e in parte inammissibili.
8. La Corte d’Appello, con la sentenza impugnata, ha affermato che i
contratti di somministrazione ed a termine oggetto della controversia, a prescindere dalla legittimità del termine di durata e della somministrazione, devono
ritenersi affetti da nullità insanabile ai sensi dell’art. 18 del d.l. n. 112 del 2008,
con la conseguenza che deve escludersi in radice che tra i lavoratori e Anas s.p.a.
si sia instaurato un rapporto di lavoro a tempo indeterminato, di talché bisognava
escludere anche il diritto dei reclamanti a transitare alle dipendenze del Ministero
delle infrastrutture e dei trasporti. La Corte d’Appello ha richiamato la sentenza
n. 3621 del 2018 e ha concluso che venendosi in ipotesi di nullità dei contratti,
rispetto alla quale viene in rilievo solo l’art. 2126 cod. civ., non vi era diritto
neppure ad un risarcimento o a un indennizzo, non venendo in rilievo la conversione del contratto a tempo determinato.
9. Va rilevato, preliminarmente, che la sentenza, in ragione del thema
decidendum del presente giudizio di legittimità come definito dalla censure prospettate, è impugnata, in relazione alle statuizioni relative ai soli contratti a
termine conclusi con la società Anas s.p.a. nel 2010, assumendosi che poiché dette
assunzioni a termine erano intervenute a seguito di selezione, dunque in conformità al precetto di cui all’art. 18, comma 2, del d.l. n. 112 del 2008, si era in
presenza di rapporti di lavoro a tempo indeterminato (costituiscono elementi
R I D L, 2020, II
Giurisprudenza
49
presupposti e consequenziali sotto un profilo logico-giuridico della prospettazione
dei ricorrenti, che emerge anche dalle vicende processuali riportate nella sentenza
di appello: la conformità dei contratti a termine all’art. 18, comma 2, del d.l. n.
112 del 2008 quanto al reclutamento, la illegittima apposizione del termine, la
conseguente trasformabilità dei rapporti di lavoro a termine in rapporti di lavoro
a tempo indeterminato, l’ulteriore legittimità del passaggio presso il Ministero).
10. Sempre in via preliminare, si richiamano i principi enunciati da questa
Corte con la sentenza n. 3621 del 2018 (fattispecie relativa alla Azienda Regionale
Sarda Trasporti, società per azioni, a partecipazione azionaria pubblica e privata,
cui è demandata la gestione di servizi pubblici, rispetto alla quale trova applicazione l’art. 18, comma 1, del d.l. n. 112 del 2008), peraltro ampiamente riportata
nella sentenza della Corte d’Appello: con l’art. 18 il legislatore nazionale, pur
mantenendo ferma la natura privatistica dei rapporti di lavoro, sottratti alla
disciplina dettata dal d.lgs. n. 165 del 2001, ha inteso estendere alle società
partecipate i vincoli procedurali imposti alle amministrazioni pubbliche nella fase
del reclutamento del personale, perché l’erogazione di servizi di interesse generale
pone l’esigenza di selezionare secondo criteri di merito e di trasparenza i soggetti
chiamati allo svolgimento dei compiti che quell’interesse perseguono; l’omesso
esperimento delle procedure concorsuali previste dal comma 1 e di quelle selettive
richiamate nel comma 2 determina la nullità del contratto ai sensi dell’art. 1418,
comma 1, cod. civ., perché la violazione attiene al momento genetico della
fattispecie negoziale e, quindi, la stessa non può essere solo fonte di responsabilità
a carico del contraente inadempiente; va esclusa la portata innovativa dell’art.
19, comma 4, del d.lgs. n. 175 del 2016 che, nel prevedere espressamente la nullità
dei contratti stipulati in violazione delle procedure di reclutamento, ha solo reso
esplicita una conseguenza già desumibile dai principi sopra richiamati in tema di
nullità virtuali.
11. Tanto premesso, rileva il Collegio che viene in rilievo l’art. 18 del d.l. n.
112 del 2008, conv. dalla legge n. 133 del 2008, come vigente ratione temporis
(atteso che i contratti a termine per cui è causa venivano stipulati nel 2010), e cioè
nel testo come modificato dal decreto-legge 1° luglio 2009, n. 78, convertito, con
modificazioni, dalla legge 3 agosto 2009, n. 102, precedente le modifiche apportate
dalla legge 27 dicembre 2013, n. 147. La suddetta disposizione al comma 1
stabilisce: «(...) le società che gestiscono servizi pubblici locali a totale partecipazione pubblica adottano, con propri provvedimenti, criteri e modalità per il
reclutamento del personale e per il conferimento degli incarichi nel rispetto dei
principi di cui al comma 3 dell’articolo 35 del decreto legislativo 30 marzo 2001,
n. 165». Al successivo comma 2, che peraltro non ha subito modificazioni nel
tempo, prevede: «Le altre società a partecipazione pubblica totale o di controllo
adottano, con propri provvedimenti, criteri e modalità per il reclutamento del
personale e per il conferimento degli incarichi nel rispetto dei principi, anche di
derivazione comunitaria, di trasparenza, pubblicità e imparzialità». L’art. 19 del
R I D L, 2020, II
50
Giurisprudenza
citato d.l. n. 78 del 2009, introduceva nell’art. 18 il comma 2-bis che al primo
periodo stabilisce: «Le disposizioni che stabiliscono, a carico delle amministrazioni
di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e
successive modificazioni, divieti o limitazioni alle assunzioni di personale si
applicano, in relazione al regime previsto per l’amministrazione controllante,
anche alle società a partecipazione pubblica locale totale o di controllo che siano
titolari di affidamenti diretti di servizi pubblici locali senza gara, ovvero che
svolgano funzioni volte a soddisfare esigenze di interesse generale aventi carattere
non industriale né commerciale, ovvero che svolgano attività nei confronti della
pubblica amministrazione a supporto di funzioni amministrative di natura pubblicistica inserite nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione
(...)». Il comma 3 dell’art. 18, che non trova applicazione nella fattispecie in
esame, sancisce «Le disposizioni di cui al presente articolo non si applicano alle
società quotate su mercati regolamentari».
12. Ai fini della corretta sussunzione della fattispecie in esame, occorre
vagliare la natura giuridica della società Anas s.p.a. In proposito possono richiamarsi gli approdi di questa Corte nonché del Consiglio di Stato. Le Sezioni Unite,
con la sentenza n. 15594 del 2014, sia pure ai fini della affermazione della
giurisdizione contabile per l’azione di responsabilità promossa nei confronti degli
organi e dei dipendenti dell’Anas s.p.a., dopo averne escluso la natura di società
in house, hanno affermato che la trasformazione dell’Anas in società per azioni
disposta dalla legge non ne ha intaccato gli essenziali connotati pubblicistici,
essendosi tradotta nella mera adozione di una formula organizzativa, corrispondente a quella della società azionaria, senza per questo incidere sulla reale natura
del soggetto. In tal senso si era già pronunciato il Consiglio di Stato con la
decisione n. 2829 del 2013, con cui statuiva che pur dopo la doppia fase di
privatizzazione dell’originaria azienda di Stato, intervenuta per effetto del d.lgs.
n. 143 del 1994 (trasformazione in ente pubblico economico) e del d.l. n. 138 del
2002, convertito nella legge n. 178 del 2002 (in particolare l’art. 7 che ha
ulteriormente trasformato l’Anas in s.p.a.), il nuovo assetto dell’Anas aveva
incidenza concreta soltanto sulla fase gestionale del nuovo soggetto. Più recentemente, Cass. n. 6264 del 2019 ha chiarito che la natura pubblica o meno
dell’Anas non può vagliarsi solo con riferimento all’art. 1, comma 2, del d.lgs. n.
165 del 2001, atteso che la giurisprudenza, sia civile che amministrativa, hanno
progressivamente e più volte ritenuto che la forma privatistica della società non
esclude, a determinate condizioni, la natura pubblica del soggetto. La citata
sentenza ha quindi, affermato che l’Azienda è società partecipata al 100% dallo
Stato, facente parte del conto economico consolidato della Pubblica Amministrazione e quindi del bilancio dello Stato e, come tale, sottostà ad un vincolo
pubblicistico nella sua organizzazione. Tale vincolo impone l’attuazione concreta
dei principi di economicità e imparzialità e la rispondenza al pubblico interesse
dell’azione amministrativa della pubblica amministrazione. Le misure adottate
R I D L, 2020, II
Giurisprudenza
51
con il d.l. n. 78 del 31 maggio 2010 sono indirizzate al contenimento e alla
razionalizzazione della spesa pubblica, intesi come espressione diretta del principio di economicità e del pubblico interesse al risparmio nella spesa pubblica del
2018.
13. Dunque l’Anas s.p.a., quale società a partecipazione pubblica totale,
rientra nell’ambito di applicazione dell’art. 18, comma 2, del d.lgs. n. 112 del 2008.
Né la stessa come già affermato da Cass. S.U. n. 15594 del 2014 costituisce società
in house, atteso che come affermato da Cass., n. 5491 del 2014, una società può
definirsi «in house», per la contemporanea presenza di tre requisiti: 1) il capitale
sociale sia integralmente detenuto da uno o più enti pubblici per l’esercizio di
pubblici servizi e lo statuto vieti la cessione delle partecipazioni a privati; 2) la
società esplichi statutariamente la propria attività prevalente in favore degli enti
partecipanti, in modo che l’eventuale attività accessoria non implichi una significativa presenza sul mercato e rivesta una valenza meramente strumentale; 3) la
gestione sia per statuto assoggettata a forme di controllo analoghe a quelle
esercitate dagli enti pubblici sui propri uffici, con modalità e intensità di comando
non riconducibili alle facoltà spettanti al socio ai sensi del codice civile.
14. Come si rileva dall’esame dell’art. 18 cit., il primo comma richiama in
modo espresso l’art. 35, terzo comma, del d.lgs. n. 165 del 2001 che prevede (nel
testo vigente ratione temporis) «Le procedure di reclutamento nelle pubbliche
amministrazioni si conformano ai seguenti principi: a) adeguata pubblicità della
selezione e modalità di svolgimento che garantiscano l’imparzialità e assicurino
economicità e celerità di espletamento, ricorrendo, ove è opportuno, all’ausilio di
sistemi automatizzati, diretti anche a realizzare forme di preselezione; b) adozione
di meccanismi oggettivi e trasparenti, idonei a verificare il possesso dei requisiti
attitudinali e professionali richiesti in relazione alla posizione da ricoprire; c)
rispetto delle pari opportunità tra lavoratrici e lavoratori; d) decentramento delle
procedure di reclutamento; e) composizione delle commissioni esclusivamente con
esperti di provata competenza nelle materie di concorso, scelti tra funzionari delle
amministrazioni, docenti ed estranei alle medesime, che non siano componenti
dell’organo di direzione politica dell’amministrazione, che non ricoprano cariche
politiche e che non siano rappresentanti sindacali o designati dalle confederazioni
ed organizzazioni sindacali o dalle associazioni professionali». Il comma 2 dell’art.
18 del d.l. n. 112 del 2008, invece si riferisce per il reclutamento del personale a
«principi, anche di derivazione comunitaria, di trasparenza, pubblicità e imparzialità». Occorre inoltre considerare che il d.lgs. n. 165 del 2001, all’art. 35, comma
1, ha precisato che l’assunzione nelle amministrazioni pubbliche avviene tramite
procedure selettive, conformi ai principi del comma 3, volte all’accertamento
della professionalità richiesta, che garantiscano in misura adeguata l’accesso
dall’esterno. Tale obbligo viene ribadito nel comma 1 dell’art. 36 del medesimo
d.lgs., secondo cui «Per le esigenze connesse con il proprio fabbisogno ordinario le
pubbliche amministrazioni assumono esclusivamente con contratti di lavoro
R I D L, 2020, II
52
Giurisprudenza
subordinato a tempo indeterminato seguendo le procedure di reclutamento previste dall’articolo 35».
15. La ratio legis della disciplina di cui all’art. 18 del d.l. n. 112 del 2008 è
posta in evidenza nel parere del Consiglio di Stato, Sezione Consultiva per gli atti
normativi, del 24 maggio 2010, n. 2415, relativo allo schema di d.p.r. che avrebbe
dovuto contenere il regolamento di attuazione dell’art. 23-bis, del d.l. 25 giugno
2008, n. 112 del 2008, conv. dalla legge n. 133 del 2008, in cui si osserva che per
le società a partecipazione pubblica che erogano servizi di interesse generale si
pone l’esigenza di adottare procedure di assunzione idonee a selezionare secondo
criteri di merito e di trasparenza i soggetti chiamati allo svolgimento dei compiti
loro affidati. In effetti, va rilevato che il rispetto dei principi pubblicistici nelle
procedure di reclutamento del personale trova ragione giustificatrice nella necessità di impedire che società soggette al controllo esclusivo dell’amministrazione
pubblica, cui viene affidato direttamente l’esercizio di importanti compiti di
interesse generale, in ragione della veste formalmente privatistica possano definire gli aspetti organizzativi delle proprie strutture in modo totalmente svincolato
dal rispetto di principi minimi essenziali dell’azione pubblica (cfr., Corte dei
Conti, Sezione regionale di controllo per la Liguria, deliberazione 9 ottobre, n.
55/2014/SRCLIG). Ed infatti, fino al 2008 per i rapporti di lavoro con società
pubbliche, data la natura giuridica privata di entrambe le parti, trovava applicazione la disciplina privatistica, anche per quanto riguardava le procedure di
assunzione. Con il citato art. 18 il legislatore ha disciplinato le modalità di
assunzione nelle società a partecipazione pubblica, distinguendo, come si è detto,
sotto un profilo soggettivo, due casi: quello delle società che gestiscono i servizi
pubblici, a totale partecipazione pubblica (comma 1) e quello delle altre società a
partecipazione pubblica totale o di controllo (comma 2). In entrambi i casi le
società sono state sollecitate ad adottare propri regolamenti per il reclutamento
del personale, ma nel primo caso tali regolamenti dovevano essere rispettosi dei
principi di cui all’art. 35, del d.lgs. n. 165 del 2001, mentre nel secondo caso vi è
il richiamo ai principi di trasparenza, pubblicità ed imparzialità, anche di derivazione comunitaria.
16. Se sotto un profilo soggettivo vi è un chiaro distinguo, sotto un profilo
teleologico e funzionale i commi 1 e 2 presentano un fondamento comune, come
posto, peraltro, in evidenza da Cass. n. 3662 del 2019: «affermato che per le società
a totale partecipazione pubblica il previo esperimento delle procedure concorsuali
e selettive condiziona la validità del contratto di lavoro, non può che operare il
principio secondo cui anche per i soggetti esclusi dall’ambito di applicazione
dell’art. 36 del d.lgs. n. 165/2001 la regola della concorsualità imposta dal
legislatore, nazionale o regionale, impedisce la conversione in rapporto a tempo
indeterminato del contratto a termine affetto da nullità (...). Diversamente
opinando si finirebbe per eludere il divieto posto dalla norma imperativa che,
come già evidenziato, tiene conto della particolare natura delle società parteciR I D L, 2020, II
Giurisprudenza
53
pate e della necessità, avvertita dalla Corte costituzionale, di non limitare
l’attuazione dei precetti dettati dall’art. 97 Cost. ai soli soggetti formalmente
pubblici bensì di estenderne l’applicazione anche a quelli che, utilizzando risorse
pubbliche, agiscono per il perseguimento di interessi di carattere generale».
Inoltre, sia il comma 1 che il comma 2, dell’art. 18, sono norme di diritto
sostanziale, che non incidono in alcun modo sui criteri di riparto della giurisdizione in materia di assunzione dei dipendenti, che rimane devoluta, in entrambe
le fattispecie anzidette, al giudice ordinario.
17. Ulteriore elemento di assimilazione funzionale del contenuto normativo
del comma 1 e del comma 2 dell’art. 18 si rinviene nella sentenza Cass., S.U., n.
7759 del 2017. In relazione all’art. 18, con riguardo alle società in house, le Sezioni
Unite hanno chiarito che l’affermazione che le società in house costituiscono in
realtà mere articolazioni della pubblica amministrazione e quindi necessariamente ne dovrebbero rispettare le regole generali di funzionamento a cominciare
dall’obbligo costituzionale di assumere attraverso pubblici concorsi, come chiarito
nella sentenza S.U. n. 24591 del 2016, non ha una valenza generale. Proseguono
le Sezioni Unite che sarebbe illogico postulare che la scelta di quel paradigma
privatistico per la realizzazione delle finalità perseguite dalla pubblica amministrazione sia giuridicamente priva di conseguenze, ed è viceversa del tutto
naturale che quella scelta, ove non vi siano specifiche di posizioni in contrario o
ragioni ostative di sistema, comporti l’applicazione del regime giuridico proprio
dello strumento societario adoperato». Dunque, il procedimento di reclutamento
previsto dall’art. 18 del d.l. n. 112 del 2008, conv. dalla legge n. 133 del 2008, non
è equiparabile a quello del concorso pubblico in quanto la stessa Corte costituzionale (sentenza n. 167 del 2013, punto 3 del Considerato in diritto), ha escluso
la possibilità di passaggio alle dipendenze della P.A. di personale assunto da
società partecipate nel rispetto dell’art. 18 del d.l. n. 112 del 2008, proprio in
quanto questo non garantisce il pieno rispetto delle procedure concorsuali, ma
solo dei principi. Lo stesso risultato interpretativo è stabilito dalla sentenza 227
del 2013, dove la procedura dell’art. 18, viene indicata come “paraconcorsuale”.
Pertanto, affermano le Sezioni Unite, il procedimento di cui all’art. 18, del d.l. n.
112 del 2008, non coincide con quello concorsuale di cui all’art. 35 d.lgs. n. 165 del
2001: si tratta dunque di un procedimento “intermedio”, che rispetta i principi del
concorso pubblico ma non l’intera disciplina da esso imposta ed in particolare il
d.p.r. n. 487 del 1994.
18. Quanto sin qui illustrato, consente da un lato di non ravvisare nell’espletamento di un pubblico concorso, come disciplinato dal d.p.r. n. 487 del
1994, il discrimine tra primo e secondo comma dell’art. 18, dall’altro, di rilevare
che nonostante il mancato riferimento all’art. 35, il comma 2 dell’art. 18 del d.l.
n. 112 del 2008, nel richiamare i principi, anche di derivazione comunitaria, di
trasparenza, pubblicità e imparzialità rispetto al reclutamento del personale,
richiede alle società di applicare i principi di buon andamento e imparzialità che
R I D L, 2020, II
54
Giurisprudenza
in ragione dell’art. 97 Cost. comunque, sottendono non solo le procedure concorsuali ma anche le procedure selettive (cfr., Cass., ord. n. 25728 del 2018). Di
conseguenza (cfr., Corte cost., sentenza n. 293 del 2009, punto 3.1. del Considerato
in diritto), non qualsiasi procedura selettiva, diretta all’accertamento della professionalità dei candidati, può dirsi di per sé compatibile con i principi che
sottendono la regola del concorso pubblico, e che valgono, si osserva, anche per le
procedure selettive, al cui espletamento è funzionale la previsione dell’art. 18,
comma 2, del d.l. n. 112 del 2008, conv. dalla legge n. 133 del 2008. Quest’ultimi
non sono rispettato, in particolare, quando «le selezioni siano caratterizzate da
arbitrarie forme di restrizione dei soggetti legittimati a parteciparvi» (cfr., sentenza n. 194 del 2002). La natura comparativa e aperta della procedura è,
pertanto, elemento essenziale del concorso pubblico; procedure selettive riservate,
che escludano o riducano irragionevolmente la possibilità di accesso dall’esterno,
violano il «carattere pubblico» del concorso (cfr., sentenza n. 34 del 2004). Più
recentemente, la Corte costituzionale, con la sentenza n. 37 del 2015 ha affermato
che la circostanza che l’amministrazione (ma si osserva anche la società a
partecipazione pubblica attesa la riferibilità anche a quest’ultima dei principi di
cui all’art. 97 Cost.) renda conoscibili, anche mediante pubblicazione di apposito
avviso sul sito istituzionale, il numero e la tipologia dei posti che si rendono
disponibili nella dotazione organica e i criteri di scelta, non dà luogo ad una
procedura aperta e pubblica, conformemente a quanto richiesto dagli artt. 3, 51
e 97 Cost., come, deve osservarsi, nella specie richiede l’art. 18, comma 2.
Pertanto, va affermato il seguente principio di diritto: «Ai sensi dell’art. 18,
comma 2, del decreto-legge n. 112 del 2008, convertito, con modificazioni, dalla
legge n. 133 del 2008, che prevede “Le altre società a partecipazione pubblica
totale o di controllo adottano, con propri provvedimenti, criteri e modalità per il
reclutamento del personale e per il conferimento degli incarichi nel rispetto dei
principi, anche di derivazione comunitaria, di trasparenza, pubblicità e imparzialità”, le società a totale partecipazione pubblica devono procedere alle assunzioni mediante procedure selettive nel rispetto dei principi che sottendono la
regola del concorso pubblico ex art. 97 della Costituzione».
19. L’art. 18, commi 1 e 2, del d.l. n. 112 del 2008, non dispongono circa le
conseguenze dell’inosservanza delle prescrizioni relative al reclutamento del personale. Questa Corte ha affermato con la sentenza n. 3621 del 2018, richiamata
dalla Corte d’Appello, il principio, al quale si intende dare continuità, che non può
dubitarsi del carattere imperativo della disposizione in esame, e che pertanto
l’omesso esperimento delle procedure previste sia dal comma 1 che dal comma 2,
disposizioni entrambe espressione dei principi di cui all’art. 97 Cost., determina la
nullità del contratto, ai sensi dell’art. 1418, comma 1, cod. civ. perché la violazione attiene al momento genetico della fattispecie negoziale e, quindi, la stessa
non può essere solo fonte di responsabilità a carico del contraente inadempiente.
Quanto all’art. 19, comma 2, del d.lgs. n. 175 del 2016 (Tusp), va rilevato come lo
R I D L, 2020, II
Giurisprudenza
55
stesso riprende i commi 1 e 2 dell’art. 18, del d.l. n. 112 del 2008, che sono stati
abrogati, mentre rimane in vigore il comma 2-bis sul contenimento delle spese di
personale, in relazione ad aziende speciali ed istituzioni. Nel rimodulare la
disciplina dell’art. 18 del d.l. n. 112 del 2008, il Tusp innanzi tutto accorpa le
ipotesi dell’art. 18, commi 1 e 2, del d.l. n. 112 del 2008 e prevede per entrambe
le ipotesi che i regolamenti interni sul reclutamento del personale si debbano
adeguare ai principi, anche di derivazione europea, di trasparenza, pubblicità e
imparzialità, nonché ai principi di cui all’art. 35, comma 3, del Tupi. L’art. 19
Tusp prevede inoltre che, in mancanza di un provvedimento interno trova diretta
applicazione il suddetto art. 35, comma 3, supplendo così alla omessa indicazione,
da parte dell’art. 18, del d.l. n. 112 del 2008, delle conseguenze derivanti dalla
mancata emanazione del provvedimento sul reclutamento del personale. Come
già affermato nella sentenza n. 3621 del 2018, va esclusa la portata innovativa
dell’art. 19, comma 4, del d.lgs. n. 175 del 2016 che, nel prevedere espressamente
la nullità dei contratti stipulati in violazione delle procedure di reclutamento, ha
solo reso esplicita una conseguenza già desumibile dai principi sopra richiamati in
tema di nullità virtuali. In merito, è utile nuovamente evidenziare che sugli effetti
del mancato rispetto degli obblighi imposti dall’art. 18 del d.l. n. 112 del 2008 la
giurisprudenza di merito aveva espresso orientamenti opposti, sicché la nuova
normativa assume anche una valenza chiarificatrice della disciplina previgente.
20. Una volta affermato che per le società a totale partecipazione pubblica
il previo esperimento di procedure selettive nel rispetto dei principi di cui all’art.
18, comma 2, del d.l. n. 112 del 2008, riferibili all’art. 97 Cost., condiziona la
validità del contratto di lavoro, non può che operare il principio secondo cui anche
per i soggetti esclusi dall’ambito di applicazione dell’art. 36 del d.lgs. n. 165 del
2001 la regola della concorsualità imposta dal legislatore, nazionale o regionale,
impedisce la conversione in rapporto a tempo indeterminato del contratto a
termine affetto da nullità. — Omissis.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. — Omissis.
II
Omissis. — L’odierno reclamante censura il provvedimento emesso dal
Tribunale di Roma, Sezione Lavoro, n. 21021/2019 R.G. del 18/06/2019 con il
quale, rilevato che S.M. aveva proposto istanza ex art. 669 sexies c.p.c. per la
partecipazione al concorso per titoli ed esami di navigator, a quella data in corso
in varie sedi a livello provinciale fino al 20/06/2019, e ritenuto che il provvediR I D L, 2020, II
56
Giurisprudenza
mento reso inaudita altera parte esaurisse tutta l’utilità del ricorso e che sullo
stesso non fosse possibile provvedere, essendo le prove già in corso, dichiarava non
luogo a provvedere sulla istanza cautelare.
1. Reclamando il provvedimento, S.M. ha premesso di avere presentato
domanda di partecipazione al concorso per il reclutamento di n. 3.000 cd.
navigator, da assumersi per facilitare l’incontro fra i beneficiari del Reddito di
cittadinanza, i Centri per l’impiego ed i datori di lavoro, esercitando la propria
opzione per la Provincia di Lecco. Ha, tuttavia, censurato l’articolo 6 dell’Avviso
di selezione, il quale dispone che «sono ammessi alla selezione i candidati in
possesso dei requisiti di ammissibilità richiesti dall’art. 3 del presente Avviso,
secondo un rapporto di 1 a 20 tra posizioni ricercate e candidature pervenute su
base provinciale, in ragione del miglior voto di laurea», in quanto comportante
un’illegittima discriminazione nei requisiti di accesso, su base provinciale. Ritenuta l’illegittimità dell’articolo 6 citato, l’odierno reclamante ha adito il 12/6/2019
il Tribunale di Roma con ricorso ex art. 700 c.p.c. e contestuale istanza ex art. 669
sexies c.p.c., domandando una pronuncia, eventualmente inaudita altera parte,
che gli consentisse la partecipazione alle prove programmate nei giorni immediatamente successivi, precisando che non si trattava di tre prove diverse, da
svolgersi su tre giornate, bensì di un’unica prova, consistente nella somministrazione di un test a risposta multipla, suddivisa, per l’elevato numero di candidati,
su tre date.
2. Il Tribunale, tuttavia, considerate le prove ormai in corso, ha ritenuto di
non poter provvedere sulla istanza cautelare, emettendo il decreto inaudita altera
parte qui censurato ed omettendo, erroneamente, di fissare udienza per la comparizione delle parti.
3. Costituendosi, per la prima volta, in giudizio nel presente procedimento
di reclamo, Anpal Servizi S.p.a. ha premesso di essere una società partecipata
interamente dalla Agenzia nazionale per le politiche del lavoro, strumentale alle
attività del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, essendo incaricata,
secondo quanto previsto dal d.l. n. 4/2019, di provvedere alla selezione, mediante
procedura pubblica, delle professionalità necessarie a favorire l’avvio del Reddito
di cittadinanza. È, pertanto, in esecuzione di tale incarico che l’odierna reclamata
ha indetto uno specifico avviso di procedura selettiva pubblica, per il reclutamento delle professionalità richieste, disponendo che sarebbero stati ammessi alla
selezione i candidati «secondo un rapporto di 1 a 20 tra posizioni ricercate e
candidature pervenute su base provinciale» e «in ragione del miglior voto di
laurea» e precisando che, all’esito della selezione, le graduatorie sarebbero state
elaborate «per ogni ambito territoriale di riferimento dell’avviso».
4. L’odierno reclamante ha presentato domanda di ammissione esercitando
l’opzione per l’inserimento in graduatoria nella Provincia di Lecco e, all’esito della
applicazione dei criteri indicati nell’avviso di selezione, non è stato incluso tra i
candidati ammessi a partecipare alla prova selettiva. Nella Provincia prescelta,
R I D L, 2020, II
Giurisprudenza
57
infatti, l’Avviso di selezione ha posto a bando 12 posti, con conseguente ammissione di soli 240 candidati dei 473 che hanno presentato domanda, tra i quali non
è rientrato il reclamante, avendo egli riportato un voto di laurea pari a 100,
inferiore a quello dell’ultimo candidato ammesso.
5. Ai fini della tutela cautelare richiesta, è opportuno rammentare che i
provvedimenti d’urgenza sono volti ad evitare, in via preventiva, il pericolo che
nel periodo occorrente per l’accertamento giudiziale di un diritto, che appaia
fondato all’esito di istruzione sommaria (fumus boni iuris), questo possa subire un
pregiudizio grave ed irreparabile (periculum in mora). Entrambi questi elementi
debbono sussistere perché il Giudice possa accogliere l’istanza di parte ricorrente,
il difetto di uno solo dovendo di necessità determinare il rigetto del ricorso
d’urgenza. Nel caso in esame, ritiene il Collegio che sia carente il requisito del
fumus boni iuris del diritto fatto valere.
6. La reclamata Anpal Servizi S.p.a., infatti, è società in house del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, delegata dall’articolo 12, comma 3, d.l. n.
4/2019, come modificato dalla legge di conversione n. 26/2019, ad adottare
convenzioni con le singole amministrazioni regionali e provinciali individuate nel
previsto «Piano straordinario di potenziamento dei centri per l’impiego e delle
politiche attive del lavoro», allo scopo di assicurare l’attuazione dei livelli essenziali delle prestazioni in materia ed i connessi fabbisogni di risorse umane e
strumentali delle Regioni e delle province autonome. Al fine di garantire l’avvio
ed il funzionamento del reddito di cittadinanza nelle fasi iniziali del programma,
l’articolo 12, comma 3, citato ha previsto la autorizzazione di spesa in favore di
Anpal Servizi s.p.a., «che adegua i propri regolamenti (...) per consentire la
selezione, mediante procedura selettiva pubblica, delle professionalità necessarie
ad organizzare l’avvio del Rdc, la stipulazione di contratti, nelle forme del
conferimento di incarichi di collaborazione, con i soggetti selezionati, la formazione e l’equipaggiamento dei medesimi, nonché la gestione amministrativa e il
coordinamento delle loro attività, al fine di svolgere le azioni di assistenza tecnica
alle regioni e alle province autonome previste dal presente comma». Nella organizzazione e gestione della procedura selettiva pubblica demandatale dal legislatore, Anpal Servizi s.p.a., quale società in house del Ministero del lavoro e delle
politiche sociali, è, pertanto, vincolata al rispetto non già delle norme regolatrici
dei pubblici concorsi per il reclutamento del personale dipendente delle Pubbliche
Amministrazioni, bensì al rispetto della normativa introdotta dal d.lgs. n. 175/
2016, recante il «Testo unico in materia di società a partecipazione pubblica».
Nello specifico, Anpal Servizi s.p.a. è tenuta al rispetto delle previsioni di cui
all’articolo 19, comma 2, d.lgs. n. 175/2016, il quale prevede che «Le società a
controllo pubblico stabiliscono, con propri provvedimenti, criteri e modalità per
il reclutamento del personale nel rispetto dei principi, anche di derivazione
europea, di trasparenza, pubblicità e imparzialità e dei principi di cui all’articolo
35, comma 3, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165. In caso di mancata
R I D L, 2020, II
58
Giurisprudenza
adozione dei suddetti provvedimenti, trova diretta applicazione il suddetto
articolo 35, comma 3, del decreto legislativo n. 165 del 2001». In difetto di
specifica norma volta a regolamentare l’individuazione di collaboratori autonomi,
deve ritenersi, analogicamente, applicabile la sopra citata disposizione — che
appare dettata con riguardo ai lavoratori subordinati — essendo pur sempre
necessario, per un soggetto interamente partecipato da pubblica amministrazione, rispettare principi essenziali per garantire il corretto impiego di risorse
pubbliche.
7. Ottemperando alla prescrizione normativa, Anpal Servizi s.p.a. ha adottato il «Regolamento per il conferimento di incarichi di collaborazione ex art. 12
del decreto legge 28 gennaio 2019, n. 4, convertito con modificazioni dalla legge 28
marzo 2019, n. 26, recante disposizioni urgenti in materia di reddito di cittadinanza e di pensioni», specificamente destinato alla disciplina delle modalità di
reclutamento e selezione per il conferimento degli incarichi di collaborazione
necessari all’attuazione del programma Reddito di cittadinanza, in esecuzione
dell’articolo 12, d.l. n. 4/2019 (documento n. 1 della memoria). Esclusa, in
conseguenza, l’applicazione diretta dell’articolo 35, comma 3, d.lgs. n. 165/2001 —
prevista normativamente per l’ipotesi della mancata adozione del Regolamento
— la procedura di reclutamento del personale qui in esame doveva, pertanto,
essere stabilita nel rispetto, oltre che dei principi di trasparenza, pubblicità ed
imparzialità, anche di quelli di adeguata pubblicità, modalità di svolgimento che
garantiscano imparzialità ed assicurino economicità e celerità di espletamento,
meccanismi oggettivi e trasparenti idonei a verificare il possesso dei requisiti
attitudinali e professionali, rispetto delle pari opportunità, decentramento delle
procedure di reclutamento, adeguata composizione delle commissioni esaminatrici, nonché possibilità di richiedere il possesso del titolo di dottore di ricerca.
8. L’Avviso pubblico di selezione per la ricerca di un massimo di 3.000
posizioni di cd. navigator, distribuite secondo la ripartizione territoriale pubblicata in apposito allegato, ha previsto all’articolo 3, quali requisiti di ammissibilità, il possesso della laurea magistrale o specialistica ovvero del corrispondente
diploma di laurea, in determinate discipline, anche conseguita all’estero, o i titoli
esteri equipollenti, conseguiti in Italia (documento n. 2 della memoria). Il successivo articolo 6, qui censurato, ha stabilito che possano essere ammessi alla
selezione i candidati, purché in possesso dei requisiti di ammissibilità richiesti
dall’articolo 3, nel rapporto «di 1 a 20 tra posizioni ricercate e candidature
pervenute su base provinciale, in ragione del miglior voto di laurea». La previsione
dell’Avviso di selezione — deve innanzitutto rilevarsi — è pienamente conforme
al citato Regolamento adottato da Anpal Servizi s.p.a., nel quale, all’articolo 4, è
previsto che possano essere ammessi alla selezione «i candidati in possesso dei
requisiti di ammissibilità richiesti dall’Avviso secondo un rapporto di almeno 10
candidature pervenute per ogni posizione ricercata su base territoriale, classificati
in ragione del miglior voto di laurea» (documento n. 1 della memoria). Rispetto al
R I D L, 2020, II
Giurisprudenza
59
Regolamento, l’Avviso di selezione ha, pertanto, raddoppiato il rapporto minimo
previsto tra le posizioni ricercate e le candidature pervenute su base provinciale,
confermandone la graduatoria in ragione del miglior voto di laurea.
9. Tanto premesso, ritiene il Collegio di non dover ravvisare, nei criteri di
ammissione alla prova selettiva stabiliti dall’articolo 6 dell’Avviso di selezione
alcuna violazione né del principio di imparzialità, né del principio di necessaria
adozione di meccanismi di selezione oggettivi e trasparenti, idonei a verificare il
possesso da parte dei candidati dei requisiti attitudinali e professionali necessari
ai fini dell’espletamento dell’incarico. E’, invero, connaturata alla ratio della
pubblica selezione per titoli ed esami l’esigenza di valutare comparativamente i
candidati sulla base non solo delle espletande prove d’esame, bensì anche — ed
ancor prima — dei titoli da ciascuno posseduti, in guisa da privilegiare coloro che
ne posseggano di più qualificanti. In piena aderenza a tali principi, il criterio
selettivo adottato, nel reclutamento dei navigator, per l’ipotesi di una eccedenza
di domande su base provinciale, si configura come mero parametro “mobile”,
idoneo a consentire la loro riduzione in virtù del maggior voto di laurea conseguito, senza che sia introdotto un voto minimo di ammissione. D’altro canto, il
voto di laurea è un idoneo indice selettivo attestante un determinato livello di
preparazione dei candidati (cfr., in tal senso, Tar Lazio, sentenza n. 4782 del
2/05/2018: «(...) in quanto rispondente allo scopo di individuare in via preventiva
soggetti che assicurino un determinato grado di preparazione, come attestato dal
voto di laurea, il quale — seppur nella variabilità dei relativi corsi e del diverso
livello delle università — costituisce idoneo indice selettivo tenuto conto che,
essendo unica sul territorio nazionale l’articolazione dei voti di laurea, devono
ritenersi le votazioni tra loro comparabili fintanto che non giungano interventi
normativi che dispongano diversamente quanto a valenza dei voti rispetto alle
singole realtà universitarie»), sicché la formazione della graduatoria degli ammessi
alla prova selettiva secondo l’ordine decrescente del voto di laurea conseguito,
lungi dall’introdurre uno sbarramento ad un voto predeterminato, rappresenta un
criterio non irragionevole di preselezione dei candidati, in virtù del titolo maggiormente qualificante posseduto.
10. D’altro canto, l’articolo 35, comma 3, d.lgs. n. 165/2001 — cui le
procedure selettive pubbliche bandite dalle società a partecipazione pubblica
debbono ispirarsi, per l’espresso richiamo operato dall’articolo 19, comma 2, d.lgs.
n. 175/2016 — indica esplicitamente, tra gli altri, il principio della celerità di
espletamento e non è chi non veda che l’ammissione indiscriminata alle prove di
esame di tutti i canditati che abbiano presentato domanda comporta il rischio di
un numero di ammessi sproporzionato in rapporto al numero dei posti messi a
concorso. La loro limitazione con la previsione di un numero massimo, multiplo
dei posti banditi — qui su base provinciale — risponde alla apprezzabile esigenza
di rendere più celeri le operazioni di correzione delle prove d’esame e di formazione delle graduatorie, in un’ottica di maggiore efficienza. — Omissis.
R I D L, 2020, II
60
Giurisprudenza
16. Sulla scorta delle superiori considerazioni, ritiene il Collegio che sia
carente, nella fattispecie, il necessario requisito del fumus boni iuris del diritto
fatto valere, con conseguente rigetto del reclamo, senza necessità di scrutinio della
eventuale sussistenza dell’ulteriore requisito del periculum in mora.
17. La giustificata presentazione del reclamo a fronte della mancata fissazione dell’udienza da parte del primo giudice, la assoluta novità della questione e
la rilevata presenza di precedenti contrari, pur resi inaudita altera parte, consente
la integrale compensazione delle spese di lite.
P.Q.M.
Rigetta il reclamo. — Omissis.
III
Omissis. — 4. Con il primo motivo, come si è detto, si contesta la statuizione con la quale la Corte d’appello ha affermato che la Aler rientra tra le
Pubbliche Amministrazioni — elencate nell’art. 1, comma 2, del d.lgs. n. 165 del
2001 — alle quali non si applica l’art. 29 del d.lgs. n. 276 del 2003.
5. Tale statuizione, nella sentenza impugnata, si basa sui seguenti argomenti: a) condivisione della tesi prospettata in appello dalla Aler, dell’inapplicabilità nei propri confronti della responsabilità solidale di cui al citato art. 29,
derivante dalla assoggettabilità dei contratti di appalto da essa conclusi al codice
degli appalti pubblici; b) fondamento di tale tesi nei principi affermati da Cass. n.
15432 del 2014, nella quale — come sostenuto dalla Aler — l’elemento determinante per la suddetta inapplicabilità non sarebbe stato considerato la natura
dell’ente (economico o meno) quanto il suo assoggettamento al codice degli
appalti pubblici, salvo restando il possibile ricorso agli specifici strumenti previsti
da tale codice a garanzia dei crediti retributivi e contributivi dei lavoratori che
possono consentire ai dipendenti di ottenere direttamente dalla pubblica amministrazione committente quanto dovuto, in corso d’opera; c) anche se la Aler è un
ente pubblico economico dotato di personalità giuridica e di autonomia, come
indicato anche dall’art. 11 della LR Lombardia n. 27 del 2009 (richiamato dal
primo giudice) è indubbio che questa natura non incida sulla qualificazione
dell’Azienda come «organismo di diritto pubblico» la cui azione contrattuale è
disciplinata dal codice degli appalti pubblici (ex art. 3, comma 26, d.lgs. n. 163 del
2006); d) infine, l’elencazione di cui all’art. 1, comma 2, del d.lgs. n. 165 del 2001
deve essere letta «in senso dinamico», il che comporta che in essa deve farsi
rientrare anche l’attuale Aler («organismo di diritto pubblico»), visto che nell’elenco figurano i vecchi Istituti autonomi di case popolari;
R I D L, 2020, II
Giurisprudenza
61
6. Tale statuizione e gli argomenti su cui essa si basa non sono condivisibili.
6.1. In primo luogo deve essere chiarito che — come si è accennato sopra
(vedi punto 1.1) — la fattispecie esaminata dall’indicata sentenza 7 luglio 2014, n.
15432 è diversa da quella di cui si discute nel presente giudizio, anche se in la
questione centrale in entrambi i casi riguarda l’ambito di applicabilità soggettiva
dell’art. 29, comma 2, del d.lgs. 10 settembre 2003, n. 276 (Attuazione delle
deleghe in materia di occupazione e mercato del lavoro, di cui alla legge 14
febbraio 2003, n. 30), disposizione che, fin dalla sua originaria versione — molte
volte modificata nel corso del tempo, ma senza intaccare il principio di base — ha
introdotto nel nostro ordinamento il principio della responsabilità solidale fra
committente e appaltatore in ordine alla corresponsione ai lavoratori dei trattamenti retributivi e dei contributi previdenziali dovuti, solidarietà che la legge
Finanziaria 2007 (legge 27 dicembre 2006, n. 296), art. 1, comma 911, ha esteso,
ai trattamenti retributivi e previdenziali dovuti ai dipendenti anche di ciascuno
degli eventuali ulteriori subappaltatori, così ulteriormente rafforzando la tutela
dei lavoratori.
6.2. Tuttavia, la questione applicativa della suddetta norma esaminata
nella sentenza n. 15432 del 2014 è del tutto diversa rispetto a quella che deve
essere esaminata nel presente giudizio.
6.3. Infatti, nel caso deciso dalla citata sentenza si trattava di stabilire se
la responsabilità solidale tra committente e appaltatore e, quindi, gli obblighi
posti in capo al committente dall’art. 29, comma 2, cit. potessero valere anche
negli appalti pubblici nei quali il ruolo di committente sia di ente da configurare
— pacificamente — come Pubblica Amministrazione, quale, in quel caso, il
Ministero della Giustizia. E tale questione è stata risolta nel senso dell’inapplicabilità, ponendosi l’accento — oltre che sull’ordinanza della Corte costituzionale n.
5 del 2013, che nella specie veniva in considerazione (mentre non interessa nel
presente giudizio) e sulla pacifica applicabilità dell’art. 1676 cod. civ. anche ai
contratti di appalto delle Pubbliche Amministrazioni — sui seguenti ulteriori
elementi: a) l’art. 9, comma 1, del d.l. 28 giugno 2013, n. 76 (convertito dalla legge
9 agosto 2013, n. 99) — non applicabile ratione temporis alla fattispecie all’epoca
esaminata, ma comunque utilizzato ai fini interpretativi — che, fra l’altro, ha
espressamente stabilito: «Le disposizioni di cui al d.lgs. 10 settembre 2003, n. 276,
art. 29, comma 2, e successive modificazioni (...) non trovano applicazione in
relazione ai contratti di appalto stipulati dalle Pubbliche Amministrazioni di cui
all’art. 1, comma 2, del d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165»; b) la non paragonabilità —
ai sensi dell’art. 3 Cost. — della situazione delle Pubbliche Amministrazioni
committenti rispetto a quella dei committenti privati, confermata dalla previsione di un’apposita e articolata disciplina per le pubbliche amministrazioni
committenti, nel cui ambito è espressamente inclusa una normativa di tutela dei
lavoratori occupati negli appalti o subappalti intercorsi con committenti pubblici,
che offre loro specifici strumenti che, se attivati nei tempi e nei modi prescritti,
R I D L, 2020, II
62
Giurisprudenza
consentono agli interessati di avere direttamente dall’Amministrazione committente il pagamento delle retribuzioni dovute dal loro datore di lavoro anche in
corso d’opera e che, al contempo, può consentire alla pubblica amministrazione
committente di applicare le opportune sanzioni (se crede) al datore di lavoro
inadempiente ed ottenere un ristoro pieno del proprio credito per le retribuzioni
corrisposte ai lavoratori; c) la finalizzazione di tale speciale normativa prevista
nell’ambito della disciplina in materia di appalti pubblici a sanzionare in modo
più efficace, rispetto agli appalti privati, il mancato pagamento delle retribuzioni
dei lavoratori essendo tale condotta considerata, dal legislatore, più grave dell’analogo comportamento posto in essere nell’ambito di un appalto privato,
perché la questione non riguarda solo i lavoratori, ma anche l’appaltatore inadempiente, nel suo rapporto con il committente pubblico; infatti, negli appalti
pubblici il disvalore dello scorretto comportamento tenuto dal datore di lavoro —
in violazione del principio di cui all’art. 36 Cost. — non ha rilievo soltanto nel
rapporto interno tra privati, ma comporta anche la lesione degli interessi pubblici
alla cui migliore perseguimento è preordinata la complessiva disciplina regolatrice
degli appalti pubblici.
6.4. Ne consegue che, nell’anzidetta sentenza, non è certamente stato
affermato il principio — riportato nella sentenza impugnata, in adesione alle
argomentazioni della Aler — secondo cui l’elemento che porta alla suddetta
inapplicabilità dell’art. 29, comma 2, cit. non è tanto la natura dell’ente —
economica o meno — quanto il suo assoggettamento al codice degli appalti
pubblici, ma anzi si è fatto riferimento alla disciplina del codice stesso per
precisare che la mancata applicabilità dell’art. 29, comma 2, cit. alle pubbliche
amministrazioni — sancita in modo espresso dal sopravvenuto art. 9, comma 1,
del d.l. 28 giugno 2013, n. 76 — non lascia senza tutele i lavoratori impiegati negli
appalti e subappalti intercorsi con committenti pubblici perché il pagamento delle
loro retribuzioni è garantito da strumenti speciali, che, se attivati nei tempi e nei
modi prescritti, possono essere molto efficaci (vedi, in tal senso: Cass. 10 ottobre
2016, n. 20327; Cass. 19 aprile 2018, n. 9741).
6.5. Neppure, nella suddetta sentenza, è stato affermato — né da essa può
desumersi — che a tutte le amministrazioni pubbliche e agli enti cui si applica il
codice dei contratti pubblici — indicati, all’epoca della pronuncia, nell’art. 3,
comma 1, lett. b), del d.p.r. 5 ottobre 2010, n. 207 e oggi nell’art. 3 del d.lgs. 18
aprile 2016, n. 50 (Codice di contratti pubblici), come modificato dal d.lgs. 19
aprile 2017, n. 56 — per tale esclusiva ragione non si applica l’art. 29, comma 2,
del d.lgs. n. 276 del 2003. Anzi nella sentenza stessa, pure attraverso il richiamo
all’art. 9, comma 1, del d.l. 28 giugno 2013, n. 76 — il cui testo è univoco — si è
considerato scontato che la suddetta inapplicabilità può riguardare esclusivamente i contratti di appalto stipulati dalle pubbliche amministrazioni di cui
all’art. 1, comma 2, del d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165. Peraltro, come si è detto, non
era questo il problema che la Corte è stata chiamata a risolvere con la suindicata
R I D L, 2020, II
Giurisprudenza
63
sentenza, visto che era ricorrente il Ministero della giustizia, la cui qualità di
pubblica amministrazione è indubitabile.
7. Nel presente giudizio, invece, la principale questione controversa riguarda proprio l’interpretazione del combinato disposto del suindicato art. 1,
comma 2, del d.lgs. n. 165 del 2001 insieme con l’art. 9, comma 1, del d.l. n. 76 del
2013 e con l’art. 29, comma 2, cit., onde stabilire se la Aler possa rientrare tra gli
enti committenti di appalti pubblici che sono sottratti all’applicazione del regime
di solidarietà previsto dall’art. 29, comma 2, pur non essendo una pubblica
amministrazione. Si tratta, quindi, di una questione per la cui soluzione è
essenziale la definizione della natura della Aler, committente dell’appalto in
oggetto, mentre dalla menzionata sentenza n. 15432 del 2014 può trarsi esclusivamente conferma del principio — oggi esplicitamente affermato dal legislatore
— secondo cui alle pubbliche amministrazioni indicate art. 1, comma 2, del d.lgs.
n. 165 del 2001 non si applica l’art. 29, comma 2, cit. Nulla altro.
8. Con riguardo a tale specifica problematica, nella sentenza oggi impugnata sono contenute due principali statuizioni: a) anche se la Aler è un ente
pubblico economico dotato di personalità giuridica e di autonomia, come indicato
anche dall’art. 11 della LR Lombardia n. 27 del 2009, è indubbio che questa
natura non incida sulla qualificazione dell’Azienda come «organismo di diritto
pubblico» la cui azione contrattuale è disciplinata dal codice degli appalti pubblici
(si cita l’art. 3, comma 26, d.lgs. n. 163 del 2006); b) l’elencazione di cui all’art. 1,
comma 2, del d.lgs. n. 165 del 2001 va letta «in senso dinamico» e ciò comporta che
in essa deve farsi rientrare anche la attuale Aler («organismo di diritto pubblico»),
visto che l’elenco ricomprende anche i vecchi Istituti autonomi di case popolari.
9. Entrambe tali affermazioni non sono condivisibili per le seguenti ragioni.
9.1. In primo luogo deve essere ricordato che, come di recente sottolineato
dalla Corte costituzionale (sentenze n. 27 e n. 254 del 2017), l’art. 29, comma 2, cit.
è una disposizione che prevede una responsabilità del committente — solidale con
quella dell’appaltatore e di eventuali subappaltatori, ma rispetto a questi ultimi
soltanto nel limite, decadenziale, di due anni dalla cessazione dell’appalto — per
i crediti ivi indicati, che è di carattere eccezionale rispetto alla disciplina ordinaria
della responsabilità civile — che esige di correlarsi alla condotta di un soggetto
determinato — e che è diretta «ad evitare il rischio che i meccanismi di decentramento, e di dissociazione fra titolarità del contratto di lavoro e utilizzazione
della prestazione, vadano a danno dei lavoratori impiegati in appalti di opere o di
servizi». Data la finalità della norma — posta a tutela di diritti fondamentali dei
lavoratori, che trovano riscontro anche in norme costituzionali, a partire dall’art.
36 Cost. — le ipotesi di non applicazione devono essere limitate e giustificate dalla
presenza di altri interessi di pari rango da tutelare — a partire da quelli di cui
all’art. 97 Cost. — per tale ragione il legislatore e la giurisprudenza hanno fatto
riferimento, come unico criterio di possibile esclusione, alle pubbliche amminiR I D L, 2020, II
64
Giurisprudenza
strazioni di cui all’art. 1, comma 2, del d.lgs. n. 165 del 2001, che stipulino
contratti di appalto.
9.2. In tale ultima disposizione tra queste amministrazioni sono compresi
anche gli Istituti autonomi case popolari (Iacp) — come rileva la Corte d’appello
— ma questo non autorizza ad effettuare una lettura «in senso dinamico» della
norma, che consenta di considerare ivi inclusa anche la attuale Aler di Milano, che
pur non essendo una pubblica amministrazione tuttavia come «organismo di
diritto pubblico» è assoggettata al Codice degli appalti pubblici. Invero, la
suddetta menzione degli Iacp nell’art. 1, comma 2, cit. risale al d.lgs. n. 29 del
1993 e il fatto che figuri anche nel testo attualmente vigente del d.lgs. n. 165 del
2001 non può certamente portare alla conclusione cui è pervenuta la Corte
d’appello, ma deve essere interpretato alla luce dell’evoluzione del settore.
9.3. Tale evoluzione ha comportato che — in attuazione degli artt. 13 e 93
del d.p.r. 24 luglio 1977, n. 616 e secondo i principi stabiliti dalla legge 8 giugno
1990, n. 142, per quanto di competenza — a partire dalla seconda metà degli anni
’90 sono state emanate dalle Regioni specifiche normative, che, riformando il
settore dell’edilizia residenziale pubblica, hanno determinato prevalentemente la
trasformazione degli enti pubblici preesistenti in enti economici con l’istituzione
di una molteplicità di enti riformati, cui sono state attribuite svariate denominazioni (Aziende, Agenzie etc.) e molteplici configurazioni, tutte dirette a porre in
risalto il nuovo ruolo imprenditoriale loro attribuito (vedi, sul punto: Cass. 6
febbraio 2014, n. 2756 per una ricognizione dell’assetto costituzionale della
complessa materia della «edilizia residenziale pubblica», in cui si inserisce l’attività svolta dagli Iacp e dagli altri enti o strutture che li hanno sostituiti, come
l’Azienda attualmente ricorrente; vedi anche: Cass. 4 marzo 2016, n. 4275; Cass.
25 febbraio 2019, n. 5429). Il descritto processo evolutivo, peraltro, è stato
caratterizzato anche dalla persistenza, in alcune Regioni o Comuni, di enti che
hanno mantenuto la denominazione di Iacp e sono configurati come enti pubblici
non economici strumentali rispetto alla Regione di appartenenza che ne esercita
la vigilanza e il controllo (ad esempio in Campania solo con la LR 18 gennaio 2016,
n. 1 è stata disposta l’istituzione dell’Acer - Agenzia Campana per l’Edilizia
Residenziale, disciplinando il contestuale riordino degli Iacp, destinati ad essere
incorporati nella neo istituita Agenzia e anche in altre Regioni e/o Comuni
persistono enti denominati Iacp). Inoltre, va tenuto presente che da sempre la
materia dell’edilizia residenziale pubblica è caratterizzata dall’intrecciarsi di
competenze dell’apparato statale e delle amministrazioni regionali, al precipuo
scopo di evitare squilibri e disparità nel godimento del diritto alla casa da parte
delle categorie sociali disagiate (Corte cost. sentenza n. 166 del 2008). Questo, in
particolare, si manifesta anche nella gestione del patrimonio immobiliare di
edilizia residenziale pubblica di proprietà degli Istituti autonomi per le case
popolari o degli altri enti che a questi sono stati sostituiti ad opera della
legislazione regionale (Corte cost. sentenze n. 94 del 2007 e n. 121 del 2010). Tale
R I D L, 2020, II
Giurisprudenza
65
peculiare situazione ha dato luogo a notevoli difficoltà per stabilire quanto, nei
nuovi enti, sia rimasto pubblico e quanto invece sia privato. E un indicatore
considerato utile per valutare la «oscillazione» verso il privato — secondo Federcasa (vedi il relativo sito “internet” ufficiale, consultabile in questa sede Cass. 2
dicembre 2011, n. 25813 e Cass. 29 dicembre 2009, n. 27630) — è costituito dalla
«possibilità per gli enti pubblici economici di partecipare o costituire società per
l’esercizio dei compiti istituzionali o per altre attività imprenditoriali nel settore»
(vedi Cass. n. 2756 del 2014 cit.).
9.4. Ovviamente l’indicata «commistione» tra pubblico e privato si rinviene
anche per la Aler di Milano, attuale contro ricorrente. Infatti, l’art. 11 della LR
della Lombardia 4 dicembre 2009, n. 27 (Testo unico delle leggi regionali in
materia di edilizia residenziale pubblica) — che ha abrogato la LR 10 giugno 1996,
n. 13 — dopo aver precisato che le Aler lombarde «sono enti pubblici di natura
economica, dotati di personalità giuridica, di autonomia imprenditoriale e organizzativa, patrimoniale e contabile e di proprio statuto approvato dalla Regione»,
aggiunge che, «le Aler per l’esercizio delle funzioni di verifica e controllo dei
requisiti di accesso, permanenza e pagamento dei canoni di edilizia residenziale
pubblica sono equiparate agli enti pubblici, anche ai fini della disciplina del
trattamento dei dati». Inoltre, il successivo art. 12 delinea la particolare fisionomia delle Aler come operatori economici «speciali» in quanto: a) al comma 1
attribuisce alle Aler «il compito di soddisfare il fabbisogno di edilizia residenziale
pubblica, nel quadro della programmazione regionale, provinciale e comunale,
anche mediante la realizzazione di attività imprenditoriali, purché prevalentemente finalizzate a tale funzione sociale»; b) e al comma 2 prevede che: «le Aler
possono partecipare, previa autorizzazione della Giunta regionale, con altri soggetti pubblici e privati, consorzi di imprese ed associazioni, a società o ad altri enti
che abbiano come oggetto attività inerenti all’edilizia, nel rispetto dell’ordinamento vigente. L’autorizzazione regionale determina i limiti delle attività, le
modalità di rendicontazione della stessa e gli indirizzi di reimpiego nell’ambito
delle finalità istituzionali dell’ente», così dimostrando la presenza dell’elemento
considerato da Federcasa come indicativo della “oscillazione” verso il privato. Si
tratta però di una “oscillazione” che resta caratterizzata da profili pubblicistici in
considerazione delle suddette finalità delle attività delle Aler, che comportano, in
linea generale, la sottoposizione degli organi e degli atti delle Aziende alla
vigilanza e al controllo della Giunta regionale (art. 24 LR n. 27 del 2009 cit.).
9.5. Viceversa, per quel che concerne il rapporto con i propri dipendenti,
per la Aler di cui si tratta — così come per tutte le Aziende del settore cui è stata
attribuita analoga configurazione — si è affermata la natura propriamente
privatistica del rapporto, in quanto parallelamente alle anzidette trasformazioni
degli enti, il loro personale dipendente è passato dal Comparto di contrattazione
collettiva delle Regioni e Autonomie locali a quello degli Enti pubblici economici
del settore dell’edilizia, cioè a quello dei Dipendenti delle aziende per l’edilizia
R I D L, 2020, II
66
Giurisprudenza
residenziale pubblica aderenti a Federcasa (vedi, per le Aler lombarde, art. 25 LR
n. 27 del 2009 cit.).
9.6. Le delineate caratteristiche dimostrano con tutta evidenza che la Aler
di cui si tratta — al pari degli enti del settore aventi analoga configurazione —
non può certamente essere esclusa dall’applicazione dell’art. 29, comma 2, d.lgs.
n. 276 del 2003, per molteplici ragioni: a) la suddetta esclusione riguarda soltanto
le pubbliche amministrazioni e certamente la Aler — come anche la Corte
d’appello sembra riconoscere — non può essere così qualificata, ai sensi dell’artt.
1, comma 2, del d.lgs. n. 165 del 2003; b) la menzione degli Istituti autonomi case
popolari nell’ambito del suddetto art. 1, comma 2, non può essere riferita agli enti
del settore dell’edilizia residenziale pubblica che hanno abbandonato la configurazione squisitamente pubblicistica e si sono trasformati in enti economici di vario
tipo cui sono state attribuite svariate denominazioni (Aziende, Agenzie etc.); c)
diversamente da quanto affermato dalla Corte territoriale, il fatto che alle Aler si
applichi il Codice degli appalti pubblici, nella loro qualità di «organismi di diritto
pubblico», conferma che ad essi debba applicarsi anche l’art. 29, comma 2, cit.; d)
infatti, la qualificazione delle Aziende come enti pubblici economici dotati di
personalità giuridica e di autonomia, diversamente da quanto afferma la Corte
territoriale, insieme con le finalità pubblicistiche della relativa attività contrattuale, è determinante per la qualificazione delle Aziende come «organismi di
diritto pubblico», ai fini dell’applicazione del codice degli appalti ed anche dell’art.
29, comma 2, d.lgs. n. 276 del 2003.
9.7. A tale ultimo riguardo va ricordato che la figura degli «organismi di
diritto pubblico» è stata creata in ambito UE per dare risposta al fenomeno degli
«smembramenti amministrativi» — sul tipo di quello verificatosi nel settore
nazionale dell’edilizia residenziale pubblica — avutisi a partire dagli anni ’90,
caratterizzato dalla ampia e disorganica privatizzazione degli enti, da un lato, e
dalla stessa ibridazione dei modelli di organizzazione amministrativa, dall’altro
lato, con il conseguente prodursi di una situazione di incertezza, nella quale non
sempre risultava chiaro quale dovesse essere il regime da applicare a determinati
operatori del mercato. A fronte del dilagare di apparati amministrativi di natura
ibrida ed incerta, non riconducibili ai tradizionali schemi dell’organizzazione
amministrativa italiana, la giurisprudenza della Corte di Giustizia UE — a partire
dalla nota sentenza della 15 gennaio 1998, Mannesmann, C-44/96 — ha individuato nell’organismo di diritto pubblico la figura che poteva risolvere tali problematiche e garantire che i principi europei e le regole dell’evidenza pubblica non
fossero elusi (vedi, fra le tante: CGUE 10 novembre 1998, BFI Holding, C-360/96;
CGUE 10 maggio 2001, Agorà c. Ente Autonomo Fiera Internazionale di Milano,
C-223/99).
9.8. Sulla base dell’indicata giurisprudenza della Corte di Giustizia, la
disciplina degli organismi di diritto pubblico ha poi trovato la propria naturale
sedes materiae dapprima nelle direttive n. 17 e 18 del 2004 (recepite sul piano
R I D L, 2020, II
Giurisprudenza
67
nazionale con il d.lgs. n. 163 del 2006) e più di recente nelle direttive 2014/23/UE,
2014/24/UE e 2014/25/UE del 26 febbraio 2014, il cui contenuto è stato pressoché
fedelmente riprodotto nel vigente art. 3 del d.lgs. 2016, n. 50 (Codice degli appalti
pubblici). In base a tale ultima disposizione, si intendono per: «d) «organismi di
diritto pubblico», qualsiasi organismo, anche in forma societaria, il cui elenco non
tassativo è contenuto nell’allegato IV: 1) istituito per soddisfare specificatamente
esigenze di interesse generale, aventi carattere non industriale o commerciale; 2)
dotato di personalità giuridica; 3) la cui attività sia finanziata in modo maggioritario dallo Stato, dagli enti pubblici territoriali o da altri organismi di diritto
pubblico oppure la cui gestione sia soggetta al controllo di questi ultimi oppure il
cui organo d’amministrazione, di direzione o di vigilanza sia costituito da membri
dei quali più della metà è designata dallo Stato, dagli enti pubblici territoriali o
da altri organismi di diritto pubblico».
9.9. Come costantemente affermato dalla giurisprudenza nazionale dei
Giudici amministrativi e di questa Corte possono essere considerati organismi di
diritto pubblico anche enti soggettivamente connotati dalla forma privatistica, in
quanto la mera forma non può, di per sé, essere idonea ad escludere la sostanziale
ed oggettiva natura pubblicistica di un ente, ai suddetti fini (vedi, fra le prime:
C.d.S., sez. VI, sentenza 20 maggio 1995, n. 498). Di conseguenza, è stato
precisato che le Aziende per l’edilizia residenziale pubblica, qualificate dalla
legislazione regionale di riferimento quali enti pubblici economici strumentali
della Regione, dotati di personalità giuridica e di economia imprenditoriale,
patrimoniale, finanziaria e contabile — come, nella specie, la Aler di Milano — si
configurano comunque come «organismi di diritto pubblico», poiché svolgono un
servizio pubblico di interesse generale (vedi: Cass. SU 21 dicembre 1999, n. 916 e
Cass. 20 giugno 2017, n. 15196), ferma restando la natura privatistica del rapporto
con i propri dipendenti. La natura di ente pubblico economico acquisita dagli enti
comporta che essi possono ricorrere a strumenti di diritto privato per il raggiungimento delle finalità istituzionali cui sono preposti, ma anche che, quali «organismi di diritto pubblico», essi sono assoggettati alla disciplina prevista dal Codice
dei contratti pubblici, con ciò che ne consegue (Cass. 20 giugno 2017, n. 15196 e
Cass. 2 dicembre 2016, n. 24640).
9.10. Ne deriva che la pacifica ricomprensione della Aler controricorrente
tra gli «organismi di diritto pubblico» di cui si è detto conferma ulteriormente la
loro non assimilabilità alle pubbliche amministrazioni, da nessun punto di vista,
e, tanto meno, al fine della non applicabilità nei loro confronti dell’art. 29, comma
2, del d.lgs. n. 276 del 2003, posto a presidio di diritti fondamentali dei lavoratori
impiegati — come l’attuale ricorrente — negli appalti pubblici (nello stesso senso,
da ultimo: Cass. SU 8 luglio 2019, n. 18270).
IV - CONCLUSIONI 10. In sintesi, per le indicate ragioni, il primo motivo di
ricorso deve essere accolto e questo comporta l’assorbimento degli altri due
R I D L, 2020, II
Giurisprudenza
68
motivi. La sentenza impugnata deve essere, quindi, cassata in relazione al motivo
accolto, con rinvio, anche per le spese del presente giudizio di cassazione, alla
Corte d’appello di Brescia, che si atterrà, nell’ulteriore esame del merito della
controversia, a tutti i principi su affermati e quindi anche al seguente: «con
riferimento ai contratti d’appalto stipulati dalle Aziende per l’edilizia residenziale
pubblica, qualora dette Aziende siano state qualificate dalla legislazione regionale
di riferimento quali enti pubblici economici strumentali della Regione, dotati di
personalità giuridica e di economia imprenditoriale, patrimoniale, finanziaria e
contabile, esse, pur rientrando tra «organismi di diritto pubblico», ex art. 3 del
d.lgs. 2016, n. 50 (Codice degli appalti pubblici) — perché svolgono un servizio
pubblico di interesse generale — non sono sottratte all’applicazione dell’art. 29,
comma 2, del d.lgs. n. 276 del 2003 e s.m.i., in quanto in base all’art. 9, comma 1,
del d.l. 28 giugno 2013, n. 76 (convertito dalla legge 9 agosto 2013, n. 99) le
disposizioni di cui al citato art. 29, comma 2, non trovano applicazione esclusivamente in relazione ai contratti di appalto stipulati dalle pubbliche amministrazioni di cui all’art. 1, comma 2, del d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165».
P.Q.M.
La corte accoglie il primo motivo di ricorso, assorbiti gli altri. Cassa la
sentenza impugnata, in relazione al motivo accolto, e rinvia, anche per le spese del
presente giudizio di cassazione, alla Corte d’Appello di Brescia, in diversa composizione. — Omissis.
CONVERSIONE DEI RAPPORTI DI LAVORO,
RECLUTAMENTO E SOLIDARIETÀ NEGLI APPALTI
DELLE IMPRESE PUBBLICHE: UNA TERRA CONTESA
DAL DIRITTO COMUNE E SPECIALE (*)
SOMMARIO: 1. Tre casi diversi e la stessa questione preliminare: la natura del
datore di lavoro. — 2. Le società controllate da enti pubblici, fra procedure concorsuali e selettive. — 3. Le società in house e il reclutamento dei
collaboratori. — 4. Gli enti pubblici economici e la responsabilità solidale
negli appalti. — 5. Una chiosa finale.
1. Le sentenze in commento affrontano questioni diverse ma sono
accomunate dall’ambigua natura dei datori di lavoro coinvolti, che rende
(*)
Il presente contributo è stato sottoposto a referaggio anonimo a doppio cieco.
R I D L, 2020, II
Giurisprudenza
69
problematica l’individuazione della disciplina applicabile (1). Cass. 23
luglio 2019, n. 19925 tratta il caso dei lavoratori di una società controllata
dal Ministero dei trasporti che avevano domandato la trasformazione a
tempo indeterminato dei contratti a termine illegittimi stipulati nel 2010;
T. Roma 2 agosto 2019 n. 81121, invece, decide sul reclamo ad un
provvedimento cautelare che non aveva autorizzato un soggetto escluso
a partecipare alle prove selettive indette dalla società in house dell’Anpal
per l’affidamento di incarichi di collaborazione ai cd. navigator; Cass. 30
settembre 2019, n. 24375, infine, affronta il caso del lavoratore di una
società appaltatrice che aveva domandato differenze retributive facendo
valere la responsabilità solidale ex art. 29 d.lgs. n. 276/2003 di un’azienda
regionale di edilizia pubblica residenziale committente.
2. Con la prima sentenza la Cassazione riaffronta la questione della
«conversione» giudiziale dei rapporti di lavoro non standard illegittimi
(oggi disciplinata agli artt. 19 e ss. d.lgs. n. 81/2015). Da quando l’art. 18
d.l. n. 112/2008 (d.l. n. 112) ha procedimentalizzato il potere di reclutamento delle società pubbliche, infatti, la potenziale trasformazione dei
rapporti di lavoro flessibili produce di fatto l’elusione di tale disciplina. A
questo proposito — a differenza di quanto previsto per il pubblico
impiego (art. 36 d.lgs. n. 165/2001 — t.u.p.i.) — il legislatore non ha preso
posizione, nemmeno in occasione dell’ultima riforma delle società pubbliche (art. 19 d.lgs. n. 175/2016 — t.u.s.p.) (2), nonostante la questione
avesse già alimentato un noto contenzioso (3). Nel vuoto di disciplina, la
giurisprudenza ha posto l’accento, a volte, sulla forma privatistica delle
società pubbliche per valorizzare l’applicazione del diritto comune (4),
altre volte, al fine opposto, sulla provenienza pubblica del controllo
societario (5). Questa seconda opzione, già prevalente dopo l’entrata in
vigore dell’art. 18, d.l. n. 112, rimane dominante nella vigenza del t.u.s.p.,
nonostante quest’ultimo abbia statuito la regola per cui alle società
pubbliche debba applicarsi il diritto comune, salvo apposite deroghe
(1) P. TOSI, Le novelle legislative sul lavoro privato e pubblico privatizzato tra armonizzazione e diversificazione, q. Riv., 2018, I, 17.
(2) Cfr. R. ROMEI - C. SERRAPICA, La costituzione del rapporto di lavoro, in Il rapporto
di lavoro nelle società a controllo pubblico a cura di A. MARESCA - R. ROMEI, Giuffrè, 2019, 53
ss. o M. FALSONE, Commento al d.lgs. 175/2016 sulle società a partecipazione pubblica in Codice
commentato del lavoro, a cura di R. DEL PUNTA - F. SCARPELLI, Wolters Kluwer, 2020, 3147.
(3) E. RAIMONDI, Società a capitale pubblico reinternalizzazioni, tipologie flessibili di
manodopera, RGL, 2014, 4, 565.
(4) A. Catania 12 luglio 2019, n. 780, DJ.
(5) Sulla tesi per cui le società in house sarebbero mere articolazioni delle egli pubblici
partecipanti cfr., ad esempio, A. L’Aquila 2 marzo 2015, n. 304, DJ.
R I D L, 2020, II
70
Giurisprudenza
(artt. 1 e 19, t.u.s.p.). Deroghe mancanti per quanto riguarda la disciplina
della trasformazione dei rapporti flessibili illegittimi.
L’approccio pubblicistico è stato giustificato con diversi argomenti.
Innanzitutto, si è affermato che la società controllata dalla pubblica
amministrazione (p.a.) sia solo strutturalmente privata, ma mantiene, per
alcuni profili del rapporto di lavoro, la connotazione pubblica (6). Inoltre,
si è assegnata natura imperativa alle discipline speciali sul reclutamento,
sul presupposto, invero non scontato, che le stesse siano ispirate alla
regola del concorso pubblico ex art. 97 co. 4 Cost., alla stessa stregua
dell’art. 35 t.u.p.i. (7). Infine, è stato affermato che la disciplina del
reclutamento conterrebbe norme di validità e non di comportamento, tali
cioè da far sorgere non solo la responsabilità dei soggetti agenti, ma anche
l’invalidità degli atti e contratti predisposti violandone i contenuti (8). A
conferma di ciò, si è affermato che la nuova previsione della nullità dei
contratti di lavoro stipulati in violazione di tali regole (art. 19, co. 4
t.u.s.p.) non è innovativa ma conferma la natura di norma di validità già
desumibile (9).
La derivazione costituzionale e la natura imperativa della disciplina
in questione hanno comportato la formazione del principio per cui il
divieto di conversione dei rapporti di lavoro non standard illegittimi si
applica anche nei confronti delle società controllate dalla p.a. (10). Tale
principio è stato applicato non solo quando la trasformazione riguardi un
rapporto illegittimo che, a suo tempo, si era formato in mancanza di una
procedura concorsuale — come accade in caso di somministrazione di
lavoro illegittima — ma addirittura quando tale selezione vi era già stata
in virtù della medesima disciplina — come succede nell’ipotesi di illegittimità della clausola del termine apposta al contratto di lavoro subordinato. In tal caso, ad impedire l’applicazione del diritto comune non è la
regola del concorso in senso stretto — visto che i principi di imparzialità
e merito dovrebbero essere stati rispettati in sede di assunzione a tempo
determinato — quanto i principi di equilibrio di bilancio e buon andamento (11) di cui all’art. 97, co. 1-2 Cost. Questi, infatti, non ammettono
l’imprevisto aggravio a carico della p.a. dei costi conseguenti alla decisione giudiziale di trasformare il rapporto.
(6) Cass. 4 marzo 2019, n. 6264, MGC, 2019.
(7) Cass. 7 febbraio 2019, n. 3662, DJ.
(8) A. Roma 6 novembre 2019, n. 3776, DJ, contra A. Catanzaro, sez. I, 1 dicembre
2017, n. 2063, DJ.
(9) Cass. 14 febbraio 2018, n. 3621 e T. Roma 16 luglio 2019, n. 7123, DJ.
(10) Cass. 14 febbraio 2018, n. 6818, ADL, 2018, II, 1285.
(11) Cfr. M. ALTIMARI, Assunzioni e contratti a termine nelle società a partecipazione
pubblica, LD, 2018, 331 ss.; in giurisprudenza v. A. L’Aquila 7 marzo 2019, n. 135, DJ.
R I D L, 2020, II
Giurisprudenza
71
La decisione in commento si colloca nel solco esposto e si segnala per
aver aggiunto un tassello alla ricostruzione giurisprudenziale che enfatizza i profili pubblicistici della disciplina dedicata alle società controllate,
a scapito del diritto comune.
La Corte interpreta le regole in vigore nel 2010, quando si distinguevano una procedura di reclutamento per le società a totale partecipazione
pubblica che gestivano servizi pubblici locali ed una dedicata alle altre
società controllate dalla p.a. La prima rinviava al rispetto dei principi
dell’art. 35, co. 3 t.u.p.i. (art. 18, co. 1 d.l. n. 112), la seconda richiamava
più genericamente i principi di trasparenza, pubblicità e imparzialità (art.
18, co. 2 d.l. n. 112). Constatato che al datore di lavoro dovesse applicarsi
quest’ultima disciplina più elastica, la Corte riconosce la differenza fra
procedure concorsuali e procedure solamente selettive, ricordando che in
caso di internalizzazione di attività, la Corte costituzionale non ammette
l’assorbimento automatico presso la p.a. del personale assunto da società
pubbliche con procedure «para-concorsuali» (12). Tuttavia, in modo un
po’ farraginoso, arriva ad affermare che tutte queste procedure esprimono una funzione analoga e che, pertanto, sia le procedure concorsuali
che quelle selettive devono svolgersi nel rispetto dei principi che sottendono la regola del concorso pubblico (13).
In sostanza, la Corte minimizza le differenze procedimentali previste
dal legislatore in funzione della natura dei datori di lavoro, ponendo fine
ai tentativi di liberare almeno le più blande procedure selettive di
reclutamento dall’applicazione del “giogo” pubblicistico del principio del
divieto di conversione dei rapporti di lavoro flessibili. A stretto rigore, la
decisione potrebbe comportare l’applicazione alle società pubbliche del
principio della garanzia dell’adeguato accesso dall’esterno, trattandosi di
un aspetto essenziale della nozione di concorso pubblico. Ma ciò significherebbe ancora una volta applicare ad esse una norma dedicata alla p.a.
(l’art. 35, co. 1 t.u.p.i.) che il legislatore del 2008, come quello del 2016,
non ha voluto estendere. Il principio di diritto, inoltre, può influenzare
anche l’interpretazione della disciplina attualmente vigente. Se, infatti, il
rispetto dei principi che sottendono il concorso pubblico è imposto alle
procedure dell’art. 18, co. 2 d.l. 112 che non rinviava all’art. 35 t.u.p.i., a
fortiori esso vale per le procedure come quella dell’art. 19 t.u.s.p., che
(12) C. cost. 2 marzo 2018, n. 40, FI, 2018, 4, I, 1105. Lo stesso orientamento è
sposato ora dal legislatore con l’art. 19, co. 8 TUSP.
(13) Cfr. P. ALBI, La disciplina dei rapporti di lavoro nelle società a partecipazione
pubblica fra vincoli contabili e garanzie giuslavoristiche, in Il disordine dei servizi pubblici
locali. Dalla promozione del mercato ai vincoli di finanza pubblica, a cura di M. PASSALACQUA,
Giappichelli, 2015, 236.
R I D L, 2020, II
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Giurisprudenza
rinvia al co. 3 di tale ultima disposizione. Se ciò è vero, i regolamenti delle
società pubbliche che attuano l’art. 19 t.u.s.p. dovrebbero garantire un
adeguato accesso dall’esterno ben più di quanto si potrebbe supporre
dalla lettera della legge.
3. Se la decisione appena analizzata interpreta estensivamente la
disciplina pubblicistica, il Tribunale di Roma va ben oltre. Il reclamo su
cui è stato chiamato a decidere il collegio lamentava l’illegittimità del
criterio del miglior voto di laurea dei candidati applicato su base provinciale, tuttavia, come anticipato, la decisione si segnala per la preliminare
analisi della natura del datore di lavoro finalizzata ad individuare la
disciplina applicabile.
Il d.l. n. 4/2019 ha incaricato la società in house dell’Anpal di
conferire ai cd. “navigator” incarichi di collaborazione per facilitare la
prima attuazione del cd. Reddito di Cittadinanza. Stando alla disciplina
speciale applicabile a tale società, gli incarichi si sarebbero potuti perfezionare senza procedura concorsuale o selettiva. L’art. 19 t.u.s.p., infatti,
innovando rispetto alla disciplina previgente, non estende tali regole ai
rapporti di lavoro autonomo. Tuttavia, il d.l. n. 4/2019 ha fissato una
disciplina singolare, imponendo di selezionare tali figure professionali con
una specifica “procedura selettiva pubblica”, senza altro specificare.
Per valutare la legittimità della procedura adottata, i giudici hanno
innanzitutto scartato l’applicazione dell’art. 35 t.u.p.i. In secondo luogo,
pur riconoscendo che l’art. 19 t.u.s.p. si riferisce solo alle assunzioni di
lavoratori subordinati, ne hanno fatto applicazione analogica al caso di
specie. Tale operazione sarebbe condivisibile se circostanziata alla singola
tornata di conferimenti di incarichi prevista dalla legge; tuttavia l’argomento speso dall’estensore per giustificare la decisione sembra avere una
valenza più generale. Si legge, infatti, che l’interpretazione analogica
sarebbe un fatto dovuto, in quanto è «necessario, per un soggetto interamente partecipato dalla p.a., rispettare principi essenziali per garantire il
corretto impiego di risorse pubbliche». In sostanza i giudici hanno nuovamente escluso la configurabilità di procedure selettive più elastiche,
“sganciate” dal principio del concorso pubblico. Tanto che all’applicazione dell’art. 19 t.u.s.p., segue una lineare applicazione dei principi di cui
all’art. 35, co. 3 t.u.p.i. Il giudice, infatti, accerta che il bando di selezione
è conforme al principio di celerità ed economicità della procedura nella
parte in cui ammette alla selezione i soggetti con il voto di laurea più alto,
su base provinciale.
Sulla questione non si rinvengono precedenti giurisprudenziali, menR I D L, 2020, II
Giurisprudenza
73
tre la dottrina esclude unanimemente che il t.u.s.p. imponga una procedura selettiva pubblica per questo tipo di incarichi (14).
La decisione peraltro è coerente con l’organizzazione della società in
house coinvolta. Risulta infatti che la stessa, prima del d.l. n. 4/2019,
avesse adottato un regolamento per il conferimento di incarichi ispirato
all’art. 19 t.u.s.p. e al regolamento aziendale per il reclutamento dei
dipendenti, senza che la legge imponesse una restrizione dei poteri di
incaricare professionisti. A tale riguardo giova precisare che lo svolgimento di procedure di reclutamento auto-imposte o, eventualmente,
concordate con i sindacati, non fanno di esse discipline pubblicistiche
ispirate all’art. 97 Cost., cui applicare necessariamente gli orientamenti
giurisprudenziali qui richiamati. In questi casi, semmai, dovrebbe parlarsi di “concorsi privati” cui applicare solo le regole privatistiche dell’offerta al pubblico e i canoni di buona fede e correttezza (15).
4. Con la terza decisione in epigrafe, la Cassazione ribalta il verdetto della Corte d’appello, sconfessando la tesi di un’azienda regionale di
edilizia pubblica residenziale che opponeva di essere una committente
non soggetta alla disciplina comune della solidarietà negli appalti, per la
sua qualità di ente pubblico.
In effetti, l’art. 1, co. 2 d.lgs. n. 276/2003 esclude l’applicazione del
d.lgs. n. 276/2003 alle «pubbliche amministrazioni e al loro personale».
Anche se alcuni avevano ritenuto che tale esclusione non valesse per l’art.
29 (16), essa è stata definitivamente sancita dall’art. 9 d.l. n. 76/2013 (17).
Ora, se sotto il profilo lavoristico gli istituti autonomi case popolari
(Iacp) sono ricompresi nell’elenco dell’art. 1, co. 2 t.u.p.i., le nuove
aziende che a partire dagli anni ‘90 in molti territori si sono sostituite ad
esse possono avere diversa natura, a seconda del nomen e della struttura
organizzativa assegnati dalle leggi regionali (18). Nella maggior parte dei
casi, come in quello di specie, essi presentano la forma di enti pubblici
(14) F. BORGOGELLI, Frammentazione organizzativa e pubbliche amministrazioni: interesse generale e tutela dei lavoratori nelle società a controllo pubblico, DLRI, 2018, 376.
(15) O. MAZZOTTA, Concorsi privati e tecniche di tutela. Quasi un inventario, DLRI,
1991, 737; G. SANTORO PASSARELLI, Concorsi privati: una fattispecie in via di assestamento,
MGL, 1989, 289.
(16) S. VARVA, La responsabilità solidale, in Tutela e sicurezza del lavoro negli appalti
privati e pubblici, a cura di M.T. CARINCI - C. CESTER - M.G. MATTAROLO - F. SCARPELLI, Utet,
2011, 388.
(17) C. COLOSIMO, Appunti sulla inarrestabile metamorfosi della responsabilità solidale
negli appalti, Lav. dir. Europa, 2017, n. 1. Per la natura confermativa della disciplina del
2013 cfr. Cass. 9 ottobre 2019, n. 25360, DJ.
(18) La gestione del patrimonio immobiliare di edilizia residenziale pubblica è di
competenza regionale ex art. 117 Cost. (C. cost. 21 marzo 2007, n. 94, punto 4.3, FI, 2009,
6, I, 1720).
R I D L, 2020, II
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Giurisprudenza
economici (e.p.e.), ovvero di enti che svolgono la loro funzione con
approccio imprenditoriale.
Il primo nodo affrontato dai giudici riguarda, quindi, la possibilità di
interpretare l’art. 1, co. 2 t.u.p.i. in «senso dinamico», ovvero ricomprendendo entro la categoria degli Iacp, anche le aziende che ne hanno assunto
le funzioni. L’ipotesi interpretativa è sconfessata dalla Corte osservando
che le riforme degli anni ’90 intendevano superare la gestione burocratica
dell’edilizia residenziale pubblica. L’assunto è condivisibile. Infatti, ciò che
accomuna gli enti soggetti al t.u.p.i. è la loro natura non imprenditoriale;
prova ne sia il fatto che l’art. 1, co. 2 t.u.p.i. fa riferimento in via residuale
alla categoria degli «enti pubblici non economici», con cui si voleva evidentemente escludere proprio gli e.p.e. Ciò, peraltro, in coerenza con l’art.
2093 c.c. che prevede l’applicazione del Libro V del c.c. alle imprese esercitate da enti pubblici (19). L’assimilazione alla p.a. delle nuove aziende di
edilizia pubblica, dunque, è ammissibile solo se altri indici prevalenti evidenzino la natura non imprenditoriale del datore di lavoro (20).
In secondo luogo, la Cassazione verifica se l’applicazione dell’art. 29
d.lgs. n. 276/2003 non sia ostacolata dall’assoggettamento della committente al codice dei contratti pubblici (al tempo dei fatti il d.lgs. n. 163/2006,
oggi sostituito dal d.lgs. n. 50/2016), in base al quale essa poteva vantare
il titolo di organismo di diritto pubblico. I giudici liquidano la prospettazione senza verificare la riconducibilità della committente a tale ulteriore
categoria. La Corte, infatti, afferma che ciò, semmai, confermerebbe la tesi
dell’applicazione dell’art. 29 d.lgs. n. 276/2003, perché la nozione di organismo di diritto pubblico, creata ai fini della disciplina dei contratti pubblici, ricomprende anche enti dalla forma privatistica.
In effetti in astratto la qualifica di e.p.e. può convivere con quella di
organismo di diritto pubblico (21), perché tali nomina non hanno una
valenza assoluta ma svolgono la funzione più limitata di rinviare ad un
particolare corpo normativo. Tuttavia, si consideri che l’organismo di
diritto pubblico non può svolgere attività «industriali o commerciali»,
ovvero quelle attività che semmai dovrebbero essere svolte da un e.p.e.,
quindi in concreto la sovrapponibilità dovrebbe verificarsi di rado (22).
(19) Cass. 31 ottobre 2016, n. 21990, DJ.
(20) Cfr. A. Torino, sez. III, 13 giugno 2019, n. 994, DJ e A. L’Aquila 19 febbraio
2016, n. 170, DJ. Sull’attuale vigenza dell’art. 2093 c.c. e sui problemi di qualificazione degli
e.p.e. cfr. M. FALSONE, I rapporti di lavoro nelle imprese esercitate da enti pubblici, Giuffrè,
2018.
(21) Cfr. Cass., sez. III, 27 giugno 2018, n. 16914, GD, 2019, 12, 73, C. Stato, sez. VI,
10 settembre 2008, n. 4326, FA CdS 2008, 9, 2461 (s.m.), Cass., S. U., 20 novembre 2003, n.
17635, FA CdS, 2003, 3590.
(22) Esclude che l’organismo di diritto pubblico possa essere qualificato anche come
e.p.e. F. PATRONI GRIFFI, Le nozioni comunitarie di amministrazione: organismo di diritto
R I D L, 2020, II
Giurisprudenza
75
Ad ogni modo, la Corte avrebbe forse potuto usare maggiore cautela sul
punto, considerando che il codice dei contratti pubblici contiene una
disciplina speciale in materia di retribuzione dei lavoratori nel contesto di
un appalto pubblico. Sia l’art. 5 del d.p.r. n. 207/2010 applicabile ratione
temporis, sia il vigente art. 30, co. 6 d.lgs. n. 50/2016, infatti, prevedono
che la stazione appaltante, constatato l’inadempimento dell’appaltatore,
paghi le retribuzioni ai lavoratori coinvolti deducendo gli importi dal
compenso dovuto per l’appalto. A tale riguardo, comunque, la giurisprudenza e la dottrina sono concordi nell’ammettere la cumulabilità delle
discipline, in virtù della loro diversità funzionale: solo l’art. 29 d.lgs. n.
276/2003, infatti, tutela effettivamente i diritti dei lavoratori, mentre
l’art. 30, co. 6 d.lgs. n. 50/2016 garantisce il corretto svolgimento dell’appalto pubblico, senza pregiudizio per le casse della stazione appaltante (23). Tale cumulabilità, in ogni caso, si verifica solo se il contratto
commerciale sia effettivamente qualificabile come appalto e non, come
evidenziato recentemente, quale concessione di servizi (24).
5. Dalla disamina delle tre decisioni, emerge un quadro complesso e
contraddittorio: alla tendenza della giurisprudenza di interpretare estensivamente la disciplina pubblicistica delle società controllate dalla
p.a. (25), si contrappone un orientamento ligio alla rigorosa applicazione
del diritto comune in capo ad enti pubblici che svolgono attività d’impresa.
I problemi posti dalla natura ibrida dei datori di lavoro, in ogni caso, paiono
destinati a non scomparire fino a che il legislatore non interverrà a ristabilire
l’ordine con uno statuto giuridico davvero autosufficiente e chiaro che
ponga fine all’attuale “stato di assedio” cui sembra soggetta l’impresa pubblica. Ciò che agli operatori si richiede, nel mentre, è di camminare su un
crinale stretto che permetta di rispettare da un lato le forme prescelte dal
legislatore — a garanzia della certezza del diritto e della divisione dei poteri
— e dall’altro la ratio della legislazione speciale.
MAURIZIO FALSONE
Ricercatore in diritto del lavoro
nell’Università Ca’ Foscari di Venezia
pubblico, impresa pubblica, società in house, Serv. pubbl. e app., 2006, 29; cfr. anche C. giust.
10 maggio 2001, C-223/99 e C-260/99, DJ.
(23) Cass. 25 febbraio 2019, n. 5420, DJ. In dottrina C.A. NICOLINI, L’imputazione
degli obblighi contributivi tra fenomeni interpositori e frammentazione delle attività produttive,
RDSS, 2019, 1.
(24) Cfr., anche per le differenze fra i due contratti Cass. 7 novembre 2019, n. 28747
e Cass. 6 novembre 2019, n. 28515, DJ.
(25) V. PINTO, Sui rapporti di lavoro alle dipendenze delle società in controllo pubblico
e delle società in house, in Le “nuove” società partecipate e in house providing. Quaderni di
Giurisprudenza Commerciale, a cura di S. FORTUNATO - F. VESSIA, Giuffrè, 2017, 226.
R I D L, 2020, II