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View metadata, citation and similar papers at core.ac.uk brought to you by CORE ISSN 1826-3534 provided by Institutional Research Information System University of Turin NUMERO SPECIALE 4/2019 Le Anchor Institutions nella società liquida: strumenti giuridici per una sperimentazione in Italia a cura di Mario E. Comba ISSN 1826-3534 Numero speciale / Special Issue 4/2019 Ricerca svolta dal Centro Studi Legislativi grazie ad un contributo della Compagnia San Paolo Tutti i contributi sono stati sottoposti a peer review. 2 federalismi.it - ISSN 1826-3534 |numero speciale. 4/2019 Sommario INTRODUZIONE  Introduzione, di Anna Maria Poggi e Mario E. Comba ............................................................................ 5 CAPITOLO I  Nuove forme di cooperazione pubblico-privato per lo sviluppo locale: modelli europei a confronto, di Mario E. Comba .................................................................................................................. 7 CAPITOLO II  Anchor Institutions e diritto degli appalti e dei contratti pubblici, di Roberto Caranta e Natalia Spataru ....................................................................................................................................................... 10 CAPITOLO III  Le Università come Anchor Institutions: le opportunità dell’autonomia funzionale differenziata, di Giuseppe Valditara................................................................................................................................. 31 CAPITOLO IV  La domanda pubblica come leva per l’innovazione: le potenzialità degli appalti innovativi per le Anchor Institutions, di Mario E. Comba ............................................................................................... 46 NOTIZIE SUGLI AUTORI .................................................................................................................................... 66 3 federalismi.it - ISSN 1826-3534 |numero speciale. 4/2019 4 federalismi.it - ISSN 1826-3534 |numero speciale. 4/2019 Le Anchor Institutions nella società liquida: strumenti giuridici per una sperimentazione in Italia. Un’introduzione. di Anna Maria Poggi e Mario Eugenio Comba Professore ordinario di Istituzioni di diritto pubblico Università degli Studi di Torino Professore ordinario di Diritto pubblico comparato Università degli Studi di Torino Nel gennaio 2017 si è svolto a Torino, presso la sede della compagnia di S. Paolo, un seminario tenuto da Ted Howard, direttore di “Democracy collaborative”, un Think Tank basato negli Stati Uniti dove è impegnato a diffondere la cultura delle Anchor Institutions. Tra i temi emersi durante la discussione, quello che forse ha attirato la maggiore attenzione aveva una chiara colorazione comparatistica: ci si è cioè posti il problema se il modello statunitense delle Anchor Institutions fosse esportabile in Europa, dove le regole in materia di appalti pubblici e di pubblico impiego sono particolarmente rigide, e soprattutto in Europa continentale, dove la normativa amministrativa in generale vincola gli enti locali, gli ospedali e le Università (che costituiscono – come si vedrà – i principali elementi di Anchor Institutions) a seguire procedimenti rigidi e difficilmente modellabili a favore delle realtà economiche e sociali locali. Da qui la decisione della Compagnia di approfondire il tema con il Centro Studi Legislativi, il quale aveva appena terminato una ricerca che si poneva come ideale anticipazione della presente, in quanto avente per oggetto le forme di collaborazione pubblico-privato in materia culturale, in riferimento al caso di studio costituito dal Polo del Novecento e culminata nel maggio 2017, con un seminario tenuto presso il Dipartimento di Giurisprudenza dal Prof. Carlo Colombo, dell’Università di Tilburg, proprio sull’innovativa esperienza olandese di governance locale coinvolgente sia attori privati che pubblici. Anche in quel caso, peraltro senza evocare il riferimento alle Anchor Institutions, si era ragionato in termini di cooperazione orizzontale per favorire lo sviluppo locale, con particolare riferimento all’innovazione, in un contesto giuridico-istituzionale più simile a quello italiano rispetto a quello statunitense e dunque più facilmente esportabile. È stato in particolare illustrato il caso del Brainport Eindhoven, il quale rappresenta un caso emblematico di tale sperimentazione. Derivato dall’antico sistema decisionale basato sul consenso tra i vari attori che caratterizzano storicamente la società olandese (anche detto ‘polder model’), Brainport Eindhoven presenta una serie di caratteri organizzativi peculiari che gli hanno permesso di diventare un vero a proprio volano per lo sviluppo economico della regione attorno alla città di Eindhoven. Attraverso una complessa organizzazione giuridica, è stato creato un sistema 5 federalismi.it - ISSN 1826-3534 |numero speciale. 4/2019 grazie al quale le imprese locali collaborano con le istituzioni pubbliche e le autorità accademiche per sviluppare una strategia condivisa circa l’innovazione economica e tecnologica dell’intero territorio regionale. Il clima è dunque sembrato maturo per affrontare il tema delle Anchor Institutions, con specifico riferimento alla realtà europea continentale ed italiana in particolare. La prima sezione della ricerca ha fornito un ampio quadro comparatistico, con una rassegna della letteratura anglosassone e tedesca in materia di Anchor Institutions ed un approfondimento sulla normativa europea in materia di appalti riservati, che rappresenta uno dei pochi casi in cui è consentito derogare ai rigidi principi di concorrenza e par condicio. La seconda sezione, contenuta nella presente pubblicazione, punta decisamente su temi più operativi: la compatibilità in termini generali tra Anchor Institutions e la disciplina degli appalti pubblici, il ruolo delle Università come Anchor Institutions nel contesto istituzionale italiano ed infine il ricorso alla leva della domanda pubblica per stimolare l’innovazione, attraverso gli appalti innovativi. La ricchezza dei temi trattati ed i numerosi spunti problematici emergeranno dalla lettura delle relazioni. Qui preme segnalare come sono soprattutto gli ultimi due aspetti – il ruolo delle Università e la domanda pubblica per l’innovazione – ad aver fornito gli stimoli necessari per la prosecuzione della ricerca, che tenterà infatti di coniugare i temi dell’autonomia universitaria con il trasferimento tecnologico e la domanda pubblica di innovazione. Si tratta certamente di un sfida molto ambiziosa, che tocca argomenti i quali richiedono le più diverse competenze (giuridiche, economiche, tecnologiche) e necessitano di un’opera di mediazione assai delicata e faticosa. Ma il fatto stesso che la ricerca si alimenti di sempre nuove e sfidanti problematiche dimostra la lungimiranza della scelta effettuata ormai quasi tre anni fa, quando si decise di affrontare il tema delle Anchor Institutions. 6 federalismi.it - ISSN 1826-3534 |numero speciale. 4/2019 Nuove forme di cooperazione pubblico-privato per lo sviluppo locale: modelli europei a confronto di Mario E. Comba Professore ordinario di Diritto pubblico comparato Università degli Studi di Torino In seguito alla prima fase della ricerca sulle Anchor Institutions, nella quale si è effettuata un’analisi comparatistica ad ampio raggio, si è ritenuto di sviluppare alcuni specifici spunti che promettevano di essere particolarmente interessanti e fecondi. In primo luogo si è ritenuto importante approfondire l’analisi dettagliata degli esperimenti di collaborazione orizzontale pubblico-privato a livello locale sviluppatisi in altri Stati europei, scegliendo alcuni casi già menzionati nelle relazioni della fase 1 ed estendendo però l’analisi anche all’interessante caso olandese del Brainport Eindhowen. L’esercizio comparatistico non è stato ovviamente fine a se stesso, ma dovrebbe essere finalizzato all’utilizzo di esperienze straniere per individuare modelli di collaborazione pubblico/privato di tipo istituzionale che siano adattabili a situazioni concrete e vicine al territorio di riferimento. L’esito di tale ricerca, svolta dal Prof. Roberto Caranta, ha restituito alcune considerazioni interessanti e per certi aspetti controintuitive. Si è infatti rilevato che gli strumenti giuridici utilizzati dagli attori degli esperimenti in UK e nello stesso caso di Brainport Eindhowen non sono sempre in linea con la normativa europea, anche se non risulta comunque ad oggi alcun intervento giurisprudenziale nei loro confronti. Tale risultato induce a riflettere circa la necessità di introdurre alcune modifiche alla normativa europea per consentire la sperimentazione di Anchor Institutions di particolare valore per il territorio oppure, forse più realisticamente, circa la prevalenza del principio di effettività su quello di legalità. Nella relazione del Prof. Caranta è anche emersa la particolare rilevanza dell’interazione tra le due classiche forme di Anchor Institutions, riconosciute come tali dalla letteratura internazionale: Università ed Ospedali (Eds & Meds), spesso messe in collegamento grazie all’intermediazione delle fondazioni private con solide basi territoriali. Proprio in tal senso ha preso le mosse la seconda relazione, predisposta dal prof. Giuseppe Valditara, circa le nuove forme di organizzazione e di gestione che possono assumere le Università grazie all’attuazione dell’articolo 2 comma 1 L. 240/2010 il quale pare finalmente essere sul punto di attuazione ad opera del MIUR. In particolare, la relazione Valditara dimostra come già nei lavori dell’Assemblea costituente non fosse esclusa – ma anzi, affermata con forza – la titolarità in capo alle Università di una 7 federalismi.it - ISSN 1826-3534 |numero speciale. 4/2019 autonomia funzionale, comprensiva anche dello stato giuridico dei professori e dei ricercatori. Ora tale autonomia funzionale, prevista dall’articolo 1 comma 2 della legge Gelmini ma ad oggi non ancora attuata, potrebbe comprender anche lo svolgimento della terza missione e dunque proprio quella interrelazione con il territorio che è caratteristica delle Anchor Institution. La relazione Valditara fornisce anche una preziosa anticipazione circa un possibile modello di decreto attuativo dell’articolo 1 comma 2 legge Gelmini che, se attuato, consentirebbe di liberare molte potenzialità finora inespresse delle Università virtuose che potrebbero riversarsi sul territorio di riferimento. In questa dialettica tra Università ed Ospedali, mediata dagli enti di governo territoriale – che potrebbe costituire un approfondimento nella prossima fase della ricerca - i modelli europei ci mostrano che spesso il ruolo delle fondazioni private territorialmente radicate può fare la differenza sia dal punto di vista economico-finanziario sia, soprattutto, dal punto di vista della progettualità e della innovazione istituzionale. Il principale quadro normativo di riferimento per l’analisi di questi rapporti istituzionali tra Ospedali, Università e Fondazioni private dovrebbe essere la normativa europea e nazionale in materia di contratti pubblici, comprensiva non solo della disciplina sugli appalti pubblici, ma anche di tutte le forme di collaborazione pubblico-privato tra le quali il project finance e, più in generale, le concessioni. Proprio in riferimento a queste forme di collaborazione pubblico-privato nel settore sanitario, ovviamente la ricerca e l’innovazione tecnologica assumono un ruolo preponderante e anche in questo caso si propone un approccio innovativo. Sul punto, la relazione da me svolta ha esaminato le tecniche giuridiche e gestionali per il ricorso agli appalti innovativi, nelle forme dell’appalto pre-commerciale e del partenariato per l’innovazione, che pure non hanno ancora trovato attuazione diffusa in Italia, mentre in altri paesi europei sono più spesso utilizzati, come strumento alternativo e più efficiente rispetto al classico contributo pubblico alla ricerca. Essi infatti fanno leva sulla domanda pubblica, che deve comunque essere soddisfatta e che con un limitato incremento di costo può essere soddisfatta in termini innovativi. Anche in questo caso il ricorso alla comparazione può essere molto utile per analizzare le modalità procedimentali più efficienti, soprattutto se inserite in soluzioni istituzionali di collaborazione UniversitàOspedale-fondazione privata a radicamento territoriale come sopra tratteggiata. Proprio in riferimento all’attività di ricerca universitaria, se combinato con la domanda di innovazione proveniente dalla pubblica amministrazione, suggerisce di coniugare le due esigenze immaginando forme di collaborazione pubblicopubblico nell’ambito dell’innovazione tecnologica. I risultati di questa seconda parte del primo anno di ricerca, se da una parte confermano la correttezza dell’impostazione iniziale circa l’analisi delle Anchor Institutions in ambito comparatistico ed italiano, dall’altra aprono scenari molto interessanti per la prosecuzione della ricerca stessa, che potrebbe a questo punto entrare in una fase più sperimentale ed 8 federalismi.it - ISSN 1826-3534 |numero speciale. 4/2019 operativa, anche in considerazione dell’imminente attivazione dell’autonomia funzionale universitaria prevista dall’articolo 1 comma 2 della legge Gelmini. 9 federalismi.it - ISSN 1826-3534 |numero speciale. 4/2019 Anchor Institutions e diritto degli appalti e dei contratti pubblici di Roberto Caranta e Natalia Spataru Professore ordinario di Diritto amministrativo Università degli Studi di Torino Dottoressa magistrale in European Legal Studies – Università degli Studi di Torino Sommario: 1. Introduzione. 2. Il diritto europeo dei contratti pubblici. 3. Alcuni esempi di Anchor Institutions e diritto europeo dei contratti pubblici. 4. La sfera del possibile secondo il diritto dell’Unione europea dei contratti pubblici (con cenni al diritto italiano). 5. Conclusioni 1. Introduzione Sulla base dei risultati della prima fase della ricerca, la presente relazione intende individuare gli strumenti giuridici per consentire ad enti pubblici ed altre istituzioni di operare come anchor rispetto allo sviluppo locale nel rispetto del diritto dell’Unione europea in materia di appalti e più in generale di contratti pubblici. Allo scopo si illustrerà dapprima la disciplina europea in materia di appalti e più in generale di contratti pubblici nei suoi aspetti generali, anche con riflessioni comparatistiche rispetto al diverso modello statunitense (2). Si approfondiranno taluni esempi di anchor institutions già illustrati nella prima fase della ricerca, ma con specifico riferimento alla disciplina in discorso (3). Infine, si analizzeranno gli istituti e le procedure che possono consentire di coinvolgere gli operatori economici locali e di contribuire allo sviluppo del territorio di riferimento (4). Chiuderanno la relazione brevi conclusioni (5). 2. Il diritto europeo dei contratti pubblici Il diritto dell’Unione europea dei contratti pubblici riguarda potenzialmente tutti i contratti pubblici, ovvero i contratti stipulati da un’amministrazione aggiudicatrice (lo Stato, gli altri enti pubblici territoriali, gli organismi di diritto pubblico e le imprese pubbliche), perché presentino un interesse transfrontaliero, ovvero, in ragione del loro valore, dell’oggetto del contratto e/o della vicinanza al confine del luogo di esecuzione del contratto possano attirare l’attenzione di un operatore economico stabilito in uno Stato membro dell’Unione diverso da quello di appartenenza dell’amministrazione aggiudicatrice. Il diritto dell’Unione europea dei contratti pubblici è costituito innanzitutto dai principi di non discriminazione, trasparenza e concorrenza desumibili, secondo la giurisprudenza della Corte di giustizia dell’Unione, dallo stesso Trattato sul funzionamento dell’UE. Tali principi si applicano appunto a tutti i contratti pubblici che presentino un interesse transfrontaliero. Tali principi corrispondono all’idea che ila 10 federalismi.it - ISSN 1826-3534 |numero speciale. 4/2019 partecipazione alle procedure per l’affidamento dei contratti pubblici debbono essere aperte a tutti gli operatori economici attivi nel mercato interno europeo, senza preferenze per le imprese nazionali o peggio locali. Da questo punto di vista, il diritto dell’Unione europea si discosta significativamente da quello degli Stati uniti d’America. Oltre oceano, infatti, la disciplina federale sugli appalti si applica esclusivamente ai contratti stipulati dall’esecutivo federale. I singoli Stati sono totalmente liberi di disciplinare la materia. Inoltre, nel momento in cui acquistano tramite appalti, le amministrazioni degli Stati sono considerate alla stregua di un qualsiasi acquirente privato, e quindi possono decidere di preferire prodotti locali (e lo fanno regolarmente, ad esempio per quanto riguarda l’acquisto di prodotti agricoli per la ristorazione collettiva). È chiaro che la disciplina statunitense, a differenza di quella dell’Unione europea, legittima esplicite scelte di favore per imprese facenti parte del tessuto economico-sociale locale da parte di anchor institutions. Infatti, la divisione di poteri e competenze in materia di appalti in Germania è simile a quella statunitense in base alla garanzia costituzionale di auto-amministrazione (Selbstverwaltung) di cui all’art. 28 della Grundgesetz. Altri enti, come le Università, godono di analoga garanzia. Tuttavia i Länder sono, al pari dello Stato centrale e di ogni amministrazione aggiudicatrice, vincolati dal diritto dell’Unione europea ad integrare i loro appalti nel mercato interno comune a tutta l’Unione. I principi di non discriminazione, trasparenza e concorrenza che reggono il diritto UE dei contratti pubblici sono storicamente specificati, per i contratti superiori a determinate soglie (circa EUR 5 milioni per concessioni di lavori e di servizi ed appalti di lavori e circa EUR 200.000 per gli appalti di forniture e servizi) da direttive – il diritto secondario – le quali dettano dettagliate regole procedurali per l’affidamento dei contratti stessi. Specifiche direttive disciplinano la tutela giurisdizionale, ma non rivestono interesse in questa sede. Due direttive, la 2014/24/UE e la 2014/25/UE, hanno sostituito le direttive 2004/18/CE per gli appalti nei settori ordinari e 2004/17/CE per gli appalti nei settori speciali. Inoltre una specifica direttiva, la 2014/23/UE è dedicata a disciplinare le concessioni di lavori e di servizi. In Italia le direttive sono state attuate dal d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50, il Codice dei contratti pubblici, più volte, e anche recentemente, modificato. Le nuove direttive, pur inserendosi nel solco di una normativa tradizionalmente deputata a rafforzare il mercato interno, hanno valorizzato il ruolo fondamentale degli appalti nella strategia Europa 2020 quali strumenti basati sul mercato necessari alla realizzazione di una crescita intelligente, sostenibile e inclusiva 11 federalismi.it - ISSN 1826-3534 |numero speciale. 2/2019 garantendo contemporaneamente l’uso più efficiente possibile dei finanziamenti pubblici1. In effetti, la normativa del 2004 meritava di essere rivista e aggiornata in modo da accrescere l’efficienza della spesa pubblica, facilitando in particolare la partecipazione delle piccole e medie imprese (PMI) agli appalti pubblici e permettendo ai committenti di farne un miglior uso per sostenere il conseguimento di obiettivi condivisi a valenza sociale2. In questa sede l’attenzione si concentrerà sulla Direttiva 2014/24/UE, di maggiore rilevanza per le amministrazioni aggiudicatrici tradizionali, nonché sulla Direttiva 2014/23/UE, applicabile a molte delle forme di public-private partnership – PPP3. La Direttiva 2014/24/UE porta una disciplina molto dettagliata della più parte degli appalti di lavori, servizi e forniture, con le eccezioni di cui agli artt. 7 e seguenti. Tra le novità più significative della Direttiva 2012/24/UE vi sono quelle in materia di procedure di aggiudicazione. Una vera e propria rivoluzione copernicana pare l’affievolirsi dell’ostilità del diritto dell’Unione europea nei confronti delle negoziazioni e quindi della procedura negoziata purché proceduta da un bando, procedure sinora ammessa nei settori ordinari solo in ipotesi pacificamente considerate eccezionali4. Si trattava di una delle più significative differenze tra l’approccio europeo e quello statunitense, e come tale si era riflesso anche nei negoziati per la riforma del Government Procurement Agreement – GPA dell’Organizzazione mondiale per il commercio5. Il cambio di passo, che corrisponde alla richiesta di maggiore flessibilità proveniente da numerosi Paesi membri, è già evidente dal considerando 42: “È indispensabile che le amministrazioni aggiudicatrici dispongano di maggiore flessibilità nella scelta di una procedura d’appalto che prevede la negoziazione. È probabile che un più ampio ricorso a tali procedure incrementi anche gli scambi transfrontalieri, in quanto la valutazione ha dimostrato che gli appalti aggiudicati con procedura negoziata con previa http://ec.europa.eu/europe2020/index_it.htm Si veda il secondo “considerando”. 3 Si veda anche C.H. BOVIS, Highlights of the EU Procurement Reforms: The New Directive on Concessions, in Eur. Publ. Priv. Partnership Law Rev., 2014, 1. 4 Ad es. Corte giust. CE, 8 giugno 1994 (in causa C-328/92), Commissione c. Spagna, in Racc., 1994, I-1569, punto 15 della motivazione; in dottrina S. TREUMER, Flexible procedures or Ban on Negotiations? Will More Negotiations Limit the Access to the Procurement market?, e C.D. TVARNØ, Why the EU Public Procurement Law should contain Rules that allow Negotiation for Public Private Partnerships in G.S. ØLYKKE, C. RISVIG HANSEN, C.D. TVARNØ (eds), EU Public Procurement – Modernisation, Growth and Innovation, cit., 135 e 201 rispettivamente. 5 Si veda M. STEINICKE, Public procurement and the negotiated procedure – A lesson to learn from U.S. Law?, in Eur. Competition L. Rev., 2001, 331 ss.: «in the American procurement system, the negotiations are seen as creating a base for competition and are therefore an optimiser of competition. The competition is increased because of the negotiations. In the European system negotiations are seen to limit, not optimise competition. The negotiated procedure is a competitive procedure in spite of the negotiation not because of it». 1 2 12 federalismi.it - ISSN 1826-3534 |numero speciale. 2/2019 pubblicazione hanno una percentuale di successo particolarmente elevata di offerte transfrontaliere. È opportuno che gli Stati membri abbiano la facoltà di ricorrere ad una procedura competitiva con negoziazione o al dialogo competitivo in varie situazioni qualora non risulti che procedure aperte o ristrette senza negoziazione possano portare a risultati di aggiudicazioni di appalti soddisfacenti. È opportuno ricordare che il ricorso al dialogo competitivo ha registrato un incremento significativo in termini di valore contrattuale negli anni passati. Si è rivelato utile nei casi in cui le amministrazioni aggiudicatrici non sono in grado di definire i mezzi atti a soddisfare le loro esigenze o di valutare ciò che il mercato può offrire in termini di soluzioni tecniche, finanziarie o giuridiche. Tale situazione può presentarsi in particolare per i progetti innovativi, per l’esecuzione di importanti progetti di infrastruttura di trasporti integrati, di grandi reti informatiche o di progetti che comportano un finanziamento complesso e strutturato. Se del caso, le amministrazioni aggiudicatrici dovrebbero essere incoraggiate a nominare un responsabile di progetto per assicurare una buona cooperazione tra gli operatori economici e l’amministrazione aggiudicatrice durante la procedura di aggiudicazione”. Su tale base la procedura negoziata preceduta dalla pubblicazione di un bando di gara è trasformata nella procedura competitiva con negoziazione. Tale procedura, come il dialogo competitivo, può secondo l’art. 26 della nuova direttiva essere usata in una serie di circostanze, e precisamente: quando le esigenze dell'amministrazione aggiudicatrice non possono essere soddisfatte senza l’adozione di soluzioni immediatamente disponibili; quando implicano progettazione o soluzioni innovative; quando l’appalto non può essere aggiudicato senza preventive negoziazioni a causa di circostanze particolari in relazione alla loro natura, complessità o impostazione finanziaria e giuridica o a causa dei rischi ad essi connessi, e infine quando le specifiche tecniche non possono essere stabilite con sufficiente precisione dall’amministrazione aggiudicatrice con riferimento ad una norma, una valutazione tecnica europea, una specifica tecnica comune o un riferimento tecnico. Il ricorso alla procedura competitiva con negoziazione o al dialogo competitivo è altresì possibile per quanto riguarda lavori, forniture o servizi per i quali, in risposta a una procedura aperta o ristretta, sono presentate soltanto offerte irregolari o inaccettabili secondo la definizione oggi data dallo stesso legislatore europeo. Procedura competitiva con negoziazione e dialogo competitivo rimangono in teoria procedure eccezionali, ma sono ormai legate a presupposti non molto stringenti. Rimane invece confermata la stretta eccezionalità della procedura negoziata senza precedente pubblicazione di un bando secondo i casi previsti dall’art. 32 della direttiva. Infine l’art. 31 della Direttiva 2014/24/UE introduce una nuova procedura di aggiudicazione, il partenariato per l’innovazione. Si tratta di uno degli strumenti che dovrebbero contribuire a fare degli 13 federalismi.it - ISSN 1826-3534 |numero speciale. 2/2019 appalti una leva di sviluppo, ma qualche dubbio è legittimo sul fatto che fosse necessaria, o anche solo utile, una procedura ulteriore rispetto al dialogo competitivo. Novità significative si segnalano anche con riferimento ai criteri di aggiudicazione. Sia dal punto di vista terminologico che da quello della sostanza la Direttiva 2014/24/UE ha profondamente cambiato la disciplina previgente6. Le nuove norme sono state il risultato sofferto di profonde divisioni tra le istituzioni europee, in particolare tra il Parlamento, deciso à en finir avec il prezzo più basso, e la Commissione, preoccupata di lasciare eccessivi margini di scelta alle amministrazioni aggiudicatrici. L’art. 67 comma 1 della Direttiva 2014/24/UE prevede oggi un solo criterio di aggiudicazione, quello dell’offerta economicamente più vantaggiosa. Peraltro il prezzo più basso risuscita nel comma 2, in base al quale l’offerta economicamente più vantaggiosa è individuata alternativamente sulla base del prezzo (più basso appunto) ovvero del costo, comprendente diversi rapporti qualità prezzo e possibilmente misure di calcolo del costo del ciclo di vita (life-cycle costing o LCC). I criteri in questione, come a suo tempo stabilito dalla giurisprudenza, debbono essere collegati all’oggetto dell’appalto7. La sostanziale ostilità nei confronti del prezzo più basso si è ulteriormente trasformata nel potere riconosciuto agli Stati membri di prevedere che le amministrazioni aggiudicatrici non possano usare solo il prezzo o il costo come unico criterio di aggiudicazione, ovvero di limitarne l’uso a determinate categorie di amministrazioni aggiudicatrici o a determinati tipi di appalto. Inoltre l’elemento relativo al costo può assumere la forma di un prezzo o costo fisso sulla base del quale gli operatori economici competeranno solo in base a criteri qualitativi. La principale novità per quanto riguarda i criteri indicati dall’art. 67 è l’espressa menzione di criteri soggettivi riferiti all’operatore economico quali “organizzazione, qualifiche ed esperienza del personale incaricato di eseguire l’appalto, qualora la qualità del personale incaricato possa avere un’influenza significativa sul livello dell’esecuzione dell’appalto”. Il ciclo di vita copre “tutte le fasi consecutive e/o interconnesse, compresi la ricerca e lo sviluppo da realizzare, la produzione, gli scambi e le relative condizioni, il trasporto, l’utilizzazione e la manutenzione, della vita del prodotto o del lavoro o della prestazione del servizio, dall’acquisizione della materia prima o dalla generazione delle risorse fino allo smaltimento, allo smantellamento e alla fine del servizio o 6 In generale, oltre ai contributi raccolti in S. TREUMER – M. COMBA, Award of Contracts in EU Procurements, Copenhagen, DJØF, 2013, M. FRANCH – M. GRAU, Contract Award Criteria, in M. TRYBUS, R. CARANTA, G. EDELSTAM (eds) EU Public Contract Law. Public Procurement and Beyond, cit., 125 ss. 7 Il leading case è C. giust. CE, 17 settembre 2002 (in causa C-513/99), Concordia Bus Finland, in questa Rivista, 2003, 168, con nota di M. BROCCA, Criteri ecologici nell’aggiudicazione degli appalti; in Foro amm. CdS, 2002, 1936, nota di M. LOTTINI, Appalti comunitari: sulla ammissibilità di criteri di aggiudicazione non prettamente economici 14 federalismi.it - ISSN 1826-3534 |numero speciale. 2/2019 all’utilizzazione”8. L’art. 68 ulteriormente specifica la nozione di costi del ciclo di vita, la quale include costi imputabili ad esternalità ambientali come quelli relativi ad emissioni di gas ad effetto serra e di altre sostanze inquinanti, nonché altri costi legati all’attenuazione dei cambiamenti climatici purché, ed il punto è fondamentale, “il loro valore monetario possa essere determinato e verificato”. Particolare rilevanza assumono poi in questa sede le specifiche disposizioni dettate dalla Direttiva 2014/24/UE in relazioni ai servizi sociali e altri servizi specifici di cui all’allegato XIV. Al di là dell’obbligo di pubblicazione di un bando o di un avviso di preinformazione secondo quanto previsto dall’art. 75, in virtù dell’art. 76, gli Stati membri, pur dovendo garantire il pieno rispetto dei principi di trasparenza e di parità di trattamento degli operatori economici da parte delle amministrazioni aggiudicatrici, “sono liberi di determinare le norme procedurali applicabili fintantoché tali norme consentono alle amministrazioni aggiudicatrici di prendere in considerazione le specificità dei servizi in questione”. Inoltre, “Gli Stati membri assicurano che le amministrazioni aggiudicatrici possano prendere in considerazione le necessità di garantire la qualità, la continuità, l’accessibilità, anche economica, la disponibilità e la completezza dei servizi, le esigenze specifiche delle diverse categorie di utenti, compresi i gruppi svantaggiati e vulnerabili, il coinvolgimento e la responsabilizzazione degli utenti e l’innovazione. Gli Stati membri possono altresì prevedere che la scelta del prestatore di servizi avvenga sulla base dell’offerta che presenta il miglior rapporto qualità/prezzo, tenendo conto dei criteri di qualità e sostenibilità dei servizi sociali”. Inoltre, in base all’art. 77, gli Stati membri possono prevedere che le amministrazioni aggiudicatrici possano riservare il diritto di partecipare alle procedure per l’aggiudicazione di appalti pubblici esclusivamente per determinati servizi sanitari, sociali e culturali ad organizzazioni il cui obiettivo sia il perseguimento di una missione di servizio pubblico, purché, in particolare i profitti siano reinvestiti per conseguire l’obiettivo o redistribuiti in base a considerazioni partecipative ed inoltre le strutture di gestione o proprietà dell’organizzazione che esegue l’appalto siano basate su principi di azionariato dei dipendenti o partecipativi, ovvero richiedono la partecipazione attiva di dipendenti, utenti o soggetti interessati. Tale disposizione completa, andando molto oltre, la tradizionale possibilità di ricorrere a laboratori protetti, pure ampliata dall’art. 20 della Direttiva 2014/24/UE. La Direttiva 2014/23/EU, come peraltro le sue “sorelle”, si preoccupa innanzitutto di precisare agli articoli 2 e 4 che gli Stati membri mantengono intatta sia loro libertà di organizzazione, non essendo tenuti ad esternalizzare la fornitura di servizi, sia a monte nell’individuare quali servizi sono da considerarsi di interesse generale (o secondo la terminologia nostrana che sarebbe tempo di rottamare, Si rinvia a D. DRAGOS – B. NEAMTU, Sustainable Public Procurement: Life Cycle Costing (LCC) in the New EU Directive Proposal, in Eur. Publ. Priv. Partnership Law Rev., 2013, 19. 8 15 federalismi.it - ISSN 1826-3534 |numero speciale. 2/2019 “pubblici”). La direttiva concessioni, entra in gioco una volta che un Paese membro abbia deciso per l’outsourcing di determinate funzioni. L’articolo 5, dedicato alle definizioni, chiarisce che l’aggiudicazione di una concessione di lavori o di servizi comporta il trasferimento al concessionario di un rischio operativo legato alla gestione dei lavori o dei servizi, comprendente un rischio sul lato della domanda o sul lato dell’offerta, o su entrambi; in particolare, non può essere garantito il recupero degli investimenti effettuati o dei costi sostenuti per la gestione dei lavori o dei servizi oggetto della concessione in quanto il rischio necessariamente si traduce in una reale esposizione alle fluttuazioni del mercato tale per cui ogni potenziale perdita stimata subita dal concessionario non sia puramente nominale o trascurabile. A differenza della Direttiva 2014/24/UE, la Direttiva 2014/23/UE detta una disciplina minima della scelta del contraente. Al di là dei consueti principi richiamati dall’art. 3, la regola maestra è quella dettata dall’art. 31, il quale prevede la pubblicazione di un bando di gara (salvo eccezioni che riprendono quelle generalmente previste in materia di procedura negoziata senza preventiva pubblicazione di un bando). Regole semplificate sono dettate tra l’altro a proposito dei requisiti tecnici (art. 36), termini per la presentazione delle offerte (art. 39), e di criteri di aggiudicazione, queste ultime prevedendo anche, sia pur in via eccezionale, la possibilità di modificare i criteri di aggiudicazione in corso di procedura (art. 41). Mentre le direttive del 2014 dettano nuove, parzialmente innovative e più precise regole in materia sia di in house che di collaborazione tra amministrazioni aggiudicatrici e partenariato pubblico-pubblico, e le loro regole sono applicabili ai partenariati pubblico-privati di tipo contrattuale, ovvero che non portano alla creazione di un nuovo soggetto giuridico, come le società di progetto, i partenariati pubblico-privati di tipo istituzionale9 restano soggetti ai principi desumibili dal Trattato sul funzionamento dell’Unione europea come chiariti dalla Comunicazione interpretativa della Commissione sull’applicazione del diritto comunitario degli appalti pubblici e delle concessioni ai partenariati pubblico-privati istituzionalizzati (PPPI) del 5 febbraio 200810. Si veda la Comunicazione della Commissione sui partenariati pubblico-privati e sul diritto comunitario in materia di appalti pubblici e concessioni COM (2005) 569 def, che fa seguito al Libro Verde su analogo argomento; in argomento A. MASSERA, Il partenariato pubblico-privato e il diritto europeo degli appalti, in Riv. it. dir. pubbl. comunitario, 2005, p. 1201. 10 COM (2007) 6661; si vedano CH.D. TVARNØ, A Critique of the Commission’s Interpretative Communication on Institutionalised Public-Private Partnership, in Public Procurement L. Rev., 2009, NA11; R. WILLIAMS, The Commission Interpretative Communication on the Application of Community Law on Public Procurements and Concessions to Institutionalised Public-Private Partnership, in Public Procurement L. Rev., 2009, NA115; la comunicazione è analizzata da Cons. Stato, Sez. VI, 16 marzo 2009, n. 1555, cit. 9 16 federalismi.it - ISSN 1826-3534 |numero speciale. 2/2019 Peraltro le scarne disposizioni procedurali di cui alla Direttiva 2014/23/EU possono trovare applicazione, quantomeno per analogia, alla scelta del socio privato nei partenariati pubblico-privati di tipo istituzionale. 3. Alcuni esempi di Anchor Institutions e diritto europeo dei contratti pubblici Nella precedente relazione si è descritta l’esperienza di Preston (UK) una delle best practices in relazione alle anchor institutions più nota e pubblicizzata. In questa sede si ritorna su tale esperienza focalizzandoci specificamente sulla strategia seguita in materia di appalti.11 Per sintesi: • L’approccio parte da una decisione politica diretta a limitare il numero di appalti aggiudicati ad imprese fuori dalla “regione” (leaked out of the local economy); • Segue uno studio approfondito su centinaia di contratti per individuare in quali settori il fenomeno era più pronunciato, a suo volta seguito da uno studio per determinare in quali settori la prestazione avrebbe potuto essere fornita da operatori economici locali; • Viene creato un database di operatori economici locali da invitare in sessioni informative precedenti alla pubblicizzazione degli appalti pubblici; • I funzionari delle amministrazioni aggiudicatrici si incontrano regolarmente (ogni quattro mesi) per scambiarsi best practices per massimizzare il ritorno a livello locale degli appalti pubblici; • In linea con il Social Value Act 2012, vengono usati criteri di aggiudicazione che si riferiscono alla formazione professionale, all’assunzione di mano d’opera locale, alla lunghezza della supply-chain.12 Il modello è indicato come rispettoso del diritto dell’Unione europea dei contratti pubblici, indicando che lo stesso si applica solo sopra certe soglie (il che è di per sé errato). Effettivamente peraltro con Brexit un eventuale contrasto perderà molta rilevanza, il benchmark verosimilmente diventando il Government Procurement Agreement – GPA dell’OMC. Tuttavia, come si preciserà meglio nella successiva parte di questa relazione, la maggior parte delle misure elencate, non fosse altre per come sono state attuate, sono in diretto contrasto con il principio di nondiscriminazione e talora anche con quello di trasparenza, indicando intenzionalmente una preferenza per gli operatori locali13. Si usano le informazioni reperibili su https://cles.org.uk/wp-content/uploads/2017/02/Community-WealthBuilding-through-AnchorInstitutions_01_02_17.pdf 12 Su tale aspetto https://www.preston.gov.uk/thecouncil/the-preston-model/preston-model/ 13 Si veda, per una valutazione più giuridicamente corretta, 11 17 federalismi.it - ISSN 1826-3534 |numero speciale. 2/2019 Un altro esempio di cooperazione efficace con le anchor institutions è il piano economico strategico della regione di Leeds (UK), che ha adottato un approccio efficace nella gestione degli appalti pubblici. Il Strategic Economic Plan, che comprende leader politici di tutta la regione, è stato guidato dalla Leeds City Region Enterprise Partnership (LEP) e dall'Occidente Yorkshire Combined Authority (autorità mista) che lavora con e per conto di partner in tutta la regione della città, dove il Leeds City Region Enterprise Partnership (LEP) ha stabilito la strategia economica generale, mentre l'autorità mista fornisce responsabilità su base democratica locale e crea un chiaro collegamento con le autorità locali. 14 L’approccio in materia di appalti pubblici è stato composto da seguenti steps: 1. Si adotta un approccio di gestione di categoria, in cui gli acquisti correlati sono raggruppati per trarre vantaggio da una migliore informazioni delle esigenze di acquisto e di ciò che i fornitori hanno da offrire, e per sostenere gli acquisti all'ingrosso, ove opportuno, al fine di migliorare la qualità, il risparmio e l'efficienza. Si adotta un intero approccio al ciclo di vita, che parte dalla valutazione delle esigenze e dell'analisi delle opzioni, dalla preparazione e acquisizione, alla mobilitazione, alla gestione dei contatti e all'uscita, per garantire risultati di qualità e un buon rapporto qualità-prezzo. 2. Si individua il miglior fornitore per ciascun contratto, comprese le piccole e medie imprese (PMI) e i fornitori del terzo settore. Si considera la suddivisione degli appalti in lotti, sostenendo il pagamento puntuale dei subappaltatori e implementando la trasparenza nei processi di approvvigionamento del consiglio e nella pipeline degli appalti. 3. Si stabilisce un gruppo di filiera per aiutare le PMI a ottenere grandi contratti; impegnarsi con i commissari delle infrastrutture; e costruire capacità15. Il modello di Leeds indica l'ambizione di essere aperti e trasparenti, che riflette nel fornire contratti visibili e informazioni di gestione costantemente aggiornate. Il Comune di Leeds attribuisce importanza alla presentazione di processi e documentazione di gara chiari e accessibili. Apertura e trasparenza assicurano la formazione di una relazione positiva tra il consiglio e i suoi partner di approvvigionamento. Allo stesso modo, tali aspetti sono strettamente collegati a infondere fiducia nel pubblico riguardo all'approccio adottato per gli appalti. Di per sé tale modello non è in contrasto con il diritto dell’Unione europea. https://urbact.eu/sites/default/files/pages_de_procure_state_of_the_art.pdf 14 Si veda https://www.leeds.gov.uk/East%20Leeds%20Extension/5%20%20Local%20policy%20and%20guidance/5.12%20Leeds%20City%20Region%20Strategic%20Economic%20Pl an%202016.pdf p.17 15 Si rinvia a https://www.leeds.gov.uk/docs/Procurement%20Strategy%20V1.0%20PUBLISH%2030.09.2013.pdf p.8 18 federalismi.it - ISSN 1826-3534 |numero speciale. 2/2019 Particolare attenzione merita il caso del Brainport di Eindhoven, nei Paesi bassi. Si tratta di una collaborazione che, usando la struttura del DNA come metafora, è descritta come una collaborazione a triplice elica per perseguire l’innovazione economica. Tale esempio si colloca nella peculiare situazione olandese che unisce profonde divisioni socio-economica con una tradizione di governo consensuale delle politiche pubbliche (il cosiddetto polder model sviluppato per gestire gli appezzamenti di terreno strappati al mare e la fitta rete di canali necessaria per mantenerli fruibili per le attività agricole).16 Presupposto dello schema qui analizzato è l’esistenza di politiche pubbliche tese a sostenere l’innovazione implementate attraverso schemi di finanziamento, contributi e contratti per la ricerca e l’innovazione, normalmente gestiti tramite apposite strutture burocratiche con specifiche competenze professionali. L’architettura istituzionale del Brainport di Eindhoven è basata su due soggetti in prima battuta regolati dal diritto privato: una fondazione di diritto privato (Stichting Brainport) e una società di capitali che funge da braccio operativo (Brainport Development NV). La fondazione (Stichting Brainport) è governata da un consiglio a triplice elica (Raad van Commissarissen) che comprende rappresentati di istituzioni pubbliche locali, accademici e componenti espressi dalle più importanti imprese dell’area. La fondazione è finanziata da contributi a fondo perduto e tendenzialmente senza vincolo di scopo provenienti da istituzioni pubbliche locali che assumono la forma di contratti di diritto privato. Le somme relative sono versate alla società operativa (Brainport Development NV). Le strategie decise dalla fondazione sono attuate dalla società partecipata attraverso tre strumenti: • Contributi finanziari e partecipazione nello sviluppo di progetti innovati in partnership con imprese locali. • Fornendo servizi e spazi ad imprese operanti nei settori delle nuove tecnologie in un’area specificamente sviluppata allo scopo (Brainport area). • Attività di promozione delle imprese locali al di fuori della regione interessata. Secondo i proponenti di Brainport di Eindhoven l’uso di strumenti privatistici garantisce grande flessibilità nei rapporti tra i diversi attori consentendo la convergenza di differenti priorità ed interessi in progetti comuni e processi decisionali più rapidi. Al di là dell’innegabile successo in termini di creazione di innovazione tecnologica e sviluppo economico dell’area in questione, l’operate di Brainport di Eindhoven, almeno per quanto è dato di giudicare sulla Su tale aspetto https://web.uniroma1.it/dip_management/sites/default/files/allegati/Brainport_CaseStudy.pdf 16 19 federalismi.it - ISSN 1826-3534 |numero speciale. 2/2019 base delle informazioni generalmente accessibili, presenta criticità dal punto di vista del diritto UE. Al di là di possibili profili relativi alla disciplina degli aiuti di Stato, che non sono oggetto di attenzione in questa sede, il punto fondamentale è che la scelta della forma privatistica, per giurisprudenza pacifica, non esenta dall’applicazione della disciplina pubblicistica degli aiuti di Stato. Ad esempio, in relazione ad appalti di una società spagnola di diritto privato ma a proprietà pubblica per la realizzazione di strutture carcerarie, la Corte di giustizia ha avuto buon gioco nel rilevare che i bisogni soddisfatti dalla società erano legati intrinsecamente alla tutela dell’ordine pubblico, con conseguente applicazione della disciplina degli appalti pubblici17. Analogamente, in un caso relativo alla Fernwärme Wien, una società interamente partecipata dalla Città di Vienna, creata per la fornitura di teleriscaldamento ad abitazioni, uffici pubblici e privati, e imprese, utilizzando l’energia prodotta dallo smaltimento dei rifiuti, la Corte di giustizia non solo ha ritenuto che assicurare la fornitura di riscaldamento di un agglomerato urbano mediante un procedimento rispettoso dell’ambiente costituisca un obiettivo che rientra innegabilmente nell’interesse generale, ma ha affermato essere «indifferente che siffatti bisogni siano anche soddisfatti o possano esserlo da imprese private. È importante che si tratti di bisogni ai quali, per ragioni connesse con l’interesse generale, lo Stato o una collettività territoriale scelgano in linea generale di provvedere essi stessi o nei confronti dei quali intendano mantenere un’influenza determinante»18. 4. La sfera del possibile secondo il diritto dell’Unione europea dei contratti pubblici (con cenni al diritto italiano) L’analisi di best practices esistenti dimostra sia il potenziale ruolo delle anchor institutions nello sviluppo dell’autonomia locale, sia le questioni che tali pratiche sollevano dal punto di vista del diritto, prima di tutto dell’Unione europea, dei contratti pubblici (ed anche, ma non sono esaminate in questa sede, degli aiuti di Stato). Si può certamente affermare che “social purchasing involves efforts by large institutions – often called “anchor institutions” – to actively seek supplier diversity and purchase from suppliers that deliver a social benefit”.19 Fin qui non si pongono problemi di rispetto del diritto europeo dei contratti pubblici. I problemi sorgono – o sorgerebbero, ma qui siamo in Canada – quando si continua nel ragionamento affermando che “This typically involves efforts to reach out to social enterprises and local businesses. The goal is to make government procurement more accessible to businesses and populations that typically C. giust. CE, 16 ottobre 2003 (in causa C-283/00), Commissione c. Spagna. C. giust. CE, 10 aprile 2008 (in causa C-393/06), Ing. Aigner, punto 40 della motivazione. 19 https://www.socialplatform.org/wpcontent/uploads/2015/10/Public_procurement_for_social_progress.pdf p. 20 17 18 20 federalismi.it - ISSN 1826-3534 |numero speciale. 2/2019 would not have the capacity or resources to engage with formal procurement processes but may provide equal or better value, or at least more innovative approaches, compared to larger incumbent vendors”.20 Ferma l’impossibilità di introdurre discriminazioni basate sulla nazionalità e a maggior ragione sulla “località” del partner contrattuale, il diritto dell’Unione europea, consente alcuni margini di manovra che le anchor institutions possono utilizzare per rispondere alla propria funzione. Nelle pagine che seguono si segnaleranno alcune possibilità in tal senso, allo stesso tempo segnalando le criticità di talune opzioni, trattando separatamente delle varie fasi del processo di scelta del contraente. Infatti, “Ways of maximizing benefit for city economies in socio-economic and environmental terms across Europe, can be built in at each of the parts of the process by municipalities and anchor institutions”21. Il partenariato pubblico-pubblico e la creazione (o il rafforzamento) della massa critica di intervento L’art. 12 della Direttiva 2014/24/EU regola l’in house providing e le altre forme di collaborazione tra amministrazioni aggiudicatrici. In particolare il comma 4 prevede che un contratto concluso esclusivamente tra due o più amministrazioni aggiudicatrici non rientri nell’ambito di applicazione della direttiva quando stabilisca o realizzi una cooperazione tra le amministrazioni aggiudicatrici partecipanti, finalizzata a garantire che i servizi pubblici che esse sono tenute a svolgere siano prestati nell’ottica di conseguire gli obiettivi che esse hanno in comune, l’attuazione di tale cooperazione è retta esclusivamente da considerazioni inerenti all’interesse pubblico e le amministrazioni coinvolte svolgono sul mercato aperto meno del 20% delle attività interessate dalla cooperazione. Tali forme di cooperazione non escludono l’applicazione delle regole pubblicistiche per la scelta del contraente, ma possono consentire un coordinamento delle politiche di acquisto. Inoltre, se una delle amministrazioni partecipanti all’accordo è una delle centrali di committenza riconosciute nel nostro ordinamento, l’accordo può prevedere il trasferimento ad essa delle competenze in materia di appalti giusta l’art. 37, comma 4, della Direttiva 2014/24/UE, a norma del quale “Le amministrazioni aggiudicatrici, senza applicare le procedure di cui alla presente direttiva, possono aggiudicare a una centrale di committenza un appalto pubblico di servizi per la fornitura di attività di centralizzazione delle committenze. Tali appalti pubblici di servizi possono altresì includere la fornitura di attività di committenza ausiliarie”. https://ccednet-rcdec.ca/sites/ccednetrcdec.ca/files/delivering_benefit__achieving_community_benefits_in_ontario.pdf 21 https://urbact.eu/sites/default/files/pages_de_procure_state_of_the_art.pdf 20 21 federalismi.it - ISSN 1826-3534 |numero speciale. 2/2019 Tale scelta può effettivamente portare alla centralizzazione di determinate funzioni di acquisto, aumentando i potenziali effetti di anchor nella misura in cui gli appalti così aggregati non abbiano l’effetto di escludere la partecipazione di PMI potenzialmente anche locali. D’altra parte, per altri appalti, la scelta potrebbe piuttosto essere di parcellizzare gli appalti. Infatti, le amministrazioni aggiudicatrici “can seek to ensure that service design and commissioning is reflective of community need, by engaging and consulting communities upon the design of services. This is emerging in the concept of co-production, where institutions and residents design services collaboratively, and where communities can have responsibility for small elements of budgets. This ensures that procurement is reflective of the needs and wants of communities, thus bringing benefits for local people”.22 In altri termini, senza violare il divieto di suddivisione artificiosa degli appalti, possono aggiudicarsi contratti di modesto valore che, oltre ad essere sotto le soglie previste dal diritto europeo, non presentano interesse transfrontaliero. Peraltro la normativa italiana va nell’opposta direzione dell’aggregazione della committenza di cui si è detto. La definizione dell’oggetto del contratto e delle specifiche tecniche e le condizioni d’esecuzione del contratto come volano indiretto per l’economia locale L’art. 18, comma 1, della Direttiva 2014/24/UE, ricordati i già richiamati principi generali del diritto europeo dei contratti pubblici, ed in primis quello di non discriminazione precisa poi che “La concezione della procedura di appalto non ha l’intento di escludere quest’ultimo dall’ambito di applicazione della presente direttiva né di limitare artificialmente la concorrenza. Si ritiene che la concorrenza sia limitata artificialmente laddove la concezione della procedura d’appalto sia effettuata con l’intento di favorire o svantaggiare indebitamente taluni operatori economici”. Alla luce della disposizione è di immediata evidenza l’illegittimità di scelte dichiaratamente orientate a favorire operatori economici locali come nel caso di Preston, peraltro ideato ed attuato prima dell’entrata in vigore della nuova direttiva (ma la regola avrebbe potuto dedursi in via interpretativa già dai principi generali più volte richiamati). Fermo quanto appena detto, le amministrazioni aggiudicatrici possono legittimamente introdurre (nella definizione del contratto e nelle specifiche tecniche o ancora nelle condizioni di esecuzione del contratto) misure, corrispondenti all’interesse pubblico, che possono aver l’effetto indiretto di favorire economici locali. 22 Ancora https://urbact.eu/sites/default/files/pages_de_procure_state_of_the_art.pdf 22 federalismi.it - ISSN 1826-3534 |numero speciale. 2/2019 Un esempio è rappresentato dalle clauses d’insertion molto usate in Francia negli appalti richiedenti manodopera poco specializzata23. Sostanzialmente l’aggiudicatario si impegna ad assumere, per l’esecuzione del contratto, disoccupati di lunga durata o persone appartenenti ad altre categorie svantaggiate individuati dai servizi pubblici di collocamento e ad attuare programmi di formazione professionale tali da consentire, in parallelo con l’esecuzione della prestazione principale dedotta nel contratto, a questi lavoratori di acquisire competenze e specializzazioni richieste sul mercato. Simile clausole avvantaggiano l’economia locale riducendo la disoccupazione, creando salari che verosimilmente verranno spesi in loco, ed elevando le capacità professionali di fasce della popolazione locale. Fermo che anche un operatore economico stabilito altrove potrebbe aver interesse ad ottenere l’aggiudicazione del contratto assumendo la relativa manodopera, è verosimile che gli operatori economici locali possano avere maggiore interesse a fornire attività di formazione a persone che potrebbe comunque impiegare anche in contratti successivi24. Naturalmente, obblighi di formazione possono essere imposti indipendentemente dalla richiesta di assunzioni in loco. Gli effetti per l’economia di riferimento saranno tuttavia meno pronunciati. Più in generale è possibile inserire specifiche tecniche e condizioni di esecuzione del contratto quando questo corrisponda a legittimi interessi curati dall’amministrazione aggiudicatrice e diversi dalla pura promozione dello sviluppo economico locale. Negli appalti di costruzione si può sicuramente pretendere l’impiego di materiali, quali legno o pietra, tradizionali della comunità. Qualora vi siano poi materiali specifici, come un tipo di legname, si può pretendere il suo impiego. In ogni caso è probabile un ritorno economico sul territorio. Analogamente, per quanto riguarda i servizi alla persona, si può richiedere che il contraente utilizzi personale a conoscenza di peculiarità locali, come ad esempio il dialetto o le abitudini delle fasce di popolazione coinvolte. Di converso non pare legittima la pretesa di richiedere la conoscenza della lingua locale a tutti i lavoratori impegnati sui cantieri per la costruzione di opere pubbliche. E infatti in Francia le cosiddette clauses Molière sono state ritenute illegittime dagli stessi giudici amministrativi francesi25. Appalti riservati Direction des affaires juridiques, Guide sur les aspects sociaux de la commande publique, 2018, p. 9 ; si veda anche https://mef-cotentin.com/wp-content/uploads/2018/06/Bilan-clause-2017.pdf. 24 Si veda anche https://urbact.eu/sites/default/files/pages_de_procure_state_of_the_art.pdf: “Apprenticeships, labour and social clauses They can enable benefit by stipulating in tender documentation the requirement for contractors to add value for communities beyond service delivery. In construction projects, this could include a requirement to create apprenticeships for every euro 1 million spent, or a desire to create jobs for those who are unemployed. In more service focused activities, it could include wider social benefits such as community work”. 25 TA Lyon, 13 dicembre 2017, n°1704697. 23 23 federalismi.it - ISSN 1826-3534 |numero speciale. 2/2019 Come più volte ricordato, il diritto del mercato interno dell’Unione europea, ed in specie la disciplina di appalti e contratti pubblici, è retta dal principio di non-discriminazione, il che esclude in linea generale la possibilità di set aside a favore di particolari categorie di imprese come è nel caso ad esempio degli appalti anche federali negli Stati uniti d’America. Peraltro, come accennato, è la stessa Direttiva 2014/24/UE a prevedere delle eccezioni. In particolare l’art. 20 della direttiva a indicare la possibilità per gli Stati membri di “riservare il diritto di partecipazione alle procedure di appalto a laboratori protetti e ad operatori economici il cui scopo principale sia l’integrazione sociale e professionale delle persone con disabilità o svantaggiate o possono riservarne l’esecuzione nel contesto di programmi di lavoro protetti quando almeno il 30 % dei lavoratori dei suddetti laboratori, operatori economici o programmi sia composto da lavoratori con disabilità o da lavoratori svantaggiati”26. La previsione è stata recepita dall’art. 112 del Codice dei contratti pubblici, i cui primi 2 commi dispongono “1. Fatte salve le disposizioni vigenti in materia di cooperative sociali e di imprese sociali, le stazioni appaltanti possono riservare il diritto di partecipazione alle procedure di appalto e a quelle di concessione o possono riservarne l’esecuzione ad operatori economici e a cooperative sociali e loro consorzi il cui scopo principale sia l’integrazione sociale e professionale delle persone con disabilità o svantaggiate o possono riservarne l’esecuzione nel contesto di programmi di lavoro protetti quando almeno il 30 per cento dei lavoratori dei suddetti operatori economici sia composto da lavoratori con disabilità o da lavoratori svantaggiati. 2. Ai sensi del presente articolo si considerano soggetti con disabilità quelli di cui all’articolo 1 della legge 12 marzo 1999, n. 68, le persone svantaggiate, quelle previste dall’articolo 4 della legge 8 novembre 1991, n. 381, gli ex degenti di ospedali psichiatrici, anche giudiziari, i soggetti in trattamento psichiatrico, i tossicodipendenti, gli alcolisti, i minori in età lavorativa in situazioni di difficoltà familiare, le persone detenute o internate negli istituti penitenziari, i condannati e gli internati ammessi alle misure alternative alla detenzione e al lavoro all’esterno ai sensi dell’articolo 21 della legge 26 luglio 1975, n. 354 e successive modificazioni”. La disposizione combina il dettato europeo con la peculiare tradizione italiana in materia di cooperative sociali27. Si veda anche Regolamento (UE) N. 651/2014 della Commissione del 17 giugno 2014 che dichiara alcune categorie di aiuti compatibili con il mercato interno in applicazione degli articoli 107 e 108 del trattato art 2 27 R. Caranta, S. Richetto, Sustainable Procurements in Italy: Of Light and Some Shadows, in R. CARANTA and M. TRYBUS (edds.) The Law of Green and Social Procurements in Europe, Copenhagen, DJØF, 2010, 143-164. 26 24 federalismi.it - ISSN 1826-3534 |numero speciale. 2/2019 Più in generale, come già ricordato, in base all’art. 77 della Direttiva 2014/24/UE, gli Stati membri possono prevedere che le amministrazioni aggiudicatrici possano riservare il diritto di partecipare alle procedure per l’aggiudicazione di appalti pubblici esclusivamente per determinati servizi sanitari, sociali e culturali ad organizzazioni no-profit. La previsione è stata recepita dall’art. 143 del Codice dei contratti pubblici a norma del quale “Le stazioni appaltanti possono riservare alle organizzazioni di cui al comma 2 il diritto di partecipare alle procedure per l'aggiudicazione di appalti pubblici esclusivamente per i servizi sanitari, sociali e culturali”. Sicuramente le possibilità ora ricordate operano una limitazione della partecipazione alle gare in base a criteri diversi dalla localizzazione dell’operatore economico. Tuttavia di fatto molte delle organizzazioni in questione operano su base prettamente locale. Misure per le PMI In base al diritto dell’Unione europea non è invece possibile riservare la partecipazione alle gare a PMI. Tale partecipazione può peraltro essere facilitata per esempio dividendo in contratto in lotti, operazione tanto più necessaria in quanto si siano attuate forme di aggregazione e centralizzazione degli acquisti. In tal senso già il considerando 78 della direttiva indica che “È opportuno che gli appalti pubblici siano adeguati alle necessità delle PMI. Le amministrazioni aggiudicatrici dovrebbero essere incoraggiate ad avvalersi del Codice europeo di buone pratiche, di cui al documento di lavoro dei servizi della Commissione del 25 giugno 2008, dal titolo «Codice europeo di buone pratiche per facilitare l’accesso delle PMI agli appalti pubblici», che fornisce orientamenti sul modo in cui dette amministrazioni possono applicare la normativa sugli appalti pubblici in modo tale da agevolare la partecipazione delle PMI. A tal fine e per rafforzare la concorrenza, le amministrazioni aggiudicatrici dovrebbero in particolare essere incoraggiate a suddividere in lotti i grandi appalti. Tale suddivisione potrebbe essere effettuata su base quantitativa, facendo in modo che l’entità dei singoli appalti corrisponda meglio alla capacità delle PMI, o su base qualitativa, in conformità alle varie categorie e specializzazioni presenti, per adattare meglio il contenuto dei singoli appalti ai settori specializzati delle PMI o in conformità alle diverse fasi successive del progetto”. Il dovere di suddividere il contratto in lotti salve motivate esigenze per procedere diversamente è ripreso all’art. 46 della direttiva, che ha seguito i modello del Code des marchés publics francese del 2006. La disposizione è stata attuata dall’art. 51, comma 1, del Codice dei contratti pubblici, in virtù del quale “1. Nel rispetto della disciplina comunitaria in materia di appalti pubblici, sia nei settori ordinari che nei settori speciali, al fine di favorire l'accesso delle microimprese, piccole e medie imprese, le stazioni appaltanti suddividono gli appalti in lotti funzionali di cui all’articolo 3, comma 1, lettera qq), ovvero in 25 federalismi.it - ISSN 1826-3534 |numero speciale. 2/2019 lotti prestazionali di cui all'articolo 3, comma 1, lettera ggggg) in conformità alle categorie o specializzazioni nel settore dei lavori, servizi e forniture”.28 Altre misure incluse, sulla base di best practices a livello internazionale, nella direttiva per incoraggiare la partecipazione della PMI alle gare d’appalto includono l’alleggerimento degli oneri documentali e la limitazione dei requisiti di partecipazione29. Ancora una volta tali disposizioni non favoriscono specificamente PMI locali, ma esse possono trarne particolare beneficio. Certo la decisione della V sezione del Consiglio di Stato n. 2044 del 3 aprile 2018, ha giudicato che il principio della suddivisione in lotti non sia assoluto né inderogabile, in quanto è la stessa norma a prevedere la possibilità che le stazioni appaltanti motivino la diversa determinazione nel bando di gara, nella lettera di invito o nella relazione unica. Si è precisato che il principio può essere derogato con una determinazione adeguatamente motivata, la quale è espressione, oltre che dell’adeguatezza dell’istruttoria, in ordine alla decisione di frazionare o meno un appalto di grosse dimensioni in lotti30. Spetta alle anchor institutions e a maggior ragione alle centrali di committenza assumersi il surcroît de travail che tali possibilità portano con sé. Lo stesso vale con riferimento ad altri istituti che facilitano la partecipazione di PMI alle gare come il subappalto e l’avvalimento31. Market engagement Più in generale occorre sviluppare forme proattive di diffusione delle informazioni circa le opportunità di concorrere ad appalti pubblici per le PMI e più ingenerale per quegli operatori del terzo settore e delle imprese comunitarie che possono non essere abituate ad accedere alle informazioni stesse attraverso i canali istituzionali. Così anchor institutions e non solo possono “develop a range of online activities which raise awareness amongst the local business base, SMEs, and social economy organizations, of upcoming 28 Articolo 3 comma 1 lettera qq “«lotto funzionale», uno specifico oggetto di appalto da aggiudicare anche con separata ed autonoma procedura, ovvero parti di un lavoro o servizio generale la cui progettazione e realizzazione sia tale da assicurarne funzionalità, fruibilità e fattibilità indipendentemente dalla realizzazione delle altre parti”; lettera ggggg “«lotto prestazionale», uno specifico oggetto di appalto da aggiudicare anche con separata ed autonoma procedura, definito su base qualitativa, in conformità alle varie categorie e specializzazioni presenti o in conformità alle diverse fasi successive del progetto;”. 29 http://www.sigmaweb.org/publications/Public-Procurement-Policy-Brief-33-200117.pdf: per esempio nel Regno unito “The Government has made changes to assist SMEs in bidding for public sector contracts. These changes include: 1. requiring that all economic operators in the public sector supply chain be paid within 30 days; 2. purchasing in a simpler and quicker way, e.g. by abolishing pre-qualification questionnaires for low-value public sector contracts; 3. requiring all contracting authorities to publish information about contract opportunities and contract awards on a national database. 30 31 https://www.codiceappalti.it/DLGS_50_2016/Art__51__Suddivisione_in_lotti/8425 Si veda ancora http://www.sigmaweb.org/publications/Public-Procurement-Policy-Brief-37-200117.pdf 26 federalismi.it - ISSN 1826-3534 |numero speciale. 2/2019 tender opportunities. These can include online portals which provide alerts to relevant contract opportunities, and a means of uploading tender documents and guides that explain to small organizations what is expected in the tender process and how to complete procurement documentation. They can also develop portals specifically for sub-contracting opportunities”32. Tra queste forme si possono considerare anche le consultazioni preliminari di mercato oggi disciplinate dall’art. 40 della Direttiva 2014/24/UE. In base a tale disposizione, “Prima dell’avvio di una procedura di appalto, le amministrazioni aggiudicatrici possono svolgere consultazioni di mercato ai fini della preparazione dell’appalto e per informare gli operatori economici degli appalti da essi programmati e dei requisiti relativi a questi ultimi. A tal fine, le amministrazioni aggiudicatrici possono ad esempio sollecitare o accettare consulenze da parte di esperti o autorità indipendenti o di partecipanti al mercato. Tali consulenze possono essere utilizzate nella pianificazione e nello svolgimento della procedura di appalto, a condizione che non abbiano l’effetto di falsare la concorrenza e non comportino una violazione dei principi di non discriminazione e di trasparenza”. E’ chiaro che l’esperienza di Preston, rivolgendosi esclusivamente agli imprenditori locali, si è svolta in contrasto con l’art. 4033. Le consultazioni vanno invece pubblicizzate in modo idoneo, per esempio sul sito web dell’amministrazione interessata e su siti frequentati dagli operatori del settore. Il che non esclude che parallelamente si possano intraprendere altre iniziative di comunicazione più mirata, per esempio ad associazioni di imprenditori locali o camere di commercio o specifiche mailing lists34. Che poi solo operatori economici locali decidano di partecipare agli eventuali incontri è una possibilità che non comporta di per sé violazione del diritto UE. Procedure di aggiudicazione ed innovazione https://urbact.eu/sites/default/files/pages_de_procure_state_of_the_art.pdf Lo stesso giudizio vale per il suggerimento secondo il quale “Working with local business to test markets Procurement teams can work with economic development teams to identify local businesses, particularly SMEs, who might be suitable to bid for certain contract opportunities. Targeted market testing could be focused on businesses in specific sectors or based in particular parts of the city. They can follow up market testing with targeted capacity building. They can also engage with potential suppliers before formally putting a service out to tender through holding meetings and events. These enable institutions to detail their specifications in relation to a particular contract and to inform suppliers of what is expected of them in the tendering process, including any requirements around economic, social and environmental benefit. They also provide the opportunity to informally develop suppliers’ skills in tendering”: https://urbact.eu/sites/default/files/pages_de_procure_state_of_the_art.pdf ; le attività di formazione, le quali, pena violazione del principio di non-discriminazione, non possono essere rivolte alla preparazione alla partecipazione ad un appalto specifico, vanno comunque valutate alla luce della disciplina degli aiuti di Stato. 34 Si veda https://urbact.eu/sites/default/files/pages_de_procure_state_of_the_art.pdf: “Engagement work with business networks They can make local businesses, particularly SMEs, aware of procurement opportunities through developing relationships with business representative bodies such as Chambers of Commerce and small business organizations. These organizations can also provide advice and guidance to their members about bidding for procurement opportunities, and also assist in developing capacity and capability”. 32 33 27 federalismi.it - ISSN 1826-3534 |numero speciale. 2/2019 Gli appalti possono senz’altro essere utilizzati per favorire l’innovazione, anzi questa è una delle considerazioni strategiche indicate come prioritarie dalle istituzioni europee. Il problema è come operare in linea con le disposizioni in materia di contratti pubblici (e, ancora una volta, di aiuti di Stato, ma quest’ultimo profilo non sarà indagato in questa sede). L’art. 14 della Direttiva 2014/24/UE prevede che siano sottoposti alla disciplina in materia di contratti pubblici gli appalti relativi a servizi di ricerca e sviluppo solo nella misura in cui i risultati appartengano “esclusivamente all’amministrazione aggiudicatrice perché li usi nell’esercizio della sua attività” e la prestazione del servizio sia “interamente retribuita dall’amministrazione aggiudicatrice”. Peraltro il considerando 47 indica che “la Commissione del 14 dicembre 2007 intitolata «Appalti precommerciali: promuovere l’innovazione per garantire servizi pubblici sostenibili e di elevata qualità in Europa», riguardante gli appalti dei servizi di R&S che non rientrano nell’ambito di applicazione della presente direttiva, riporta una serie modelli di aggiudicazione di appalti”. La necessaria inferenza è che procedure di aggiudicazione non discriminatorie, trasparenti e così via vanno applicate anche al di fuori dell’area di applicazione della direttiva. Inoltre, mentre questi modelli “continuerebbero ad essere disponibili”, la direttiva, allo scopo di “contribuire ad agevolare gli appalti pubblici nel settore dell’innovazione e aiutare gli Stati membri nel raggiungimento degli obiettivi dell’Unione in questo ambito” ha introdotto, all’art. 31, una nuova modalità di finanziamento della ricerca ed acquisto dei relativi prodotti, il partenariato per l’innovazione35. Senza entrare nel dettaglio, preme qui sottolineare che il comma 6 dell’art. 31 precisa che “Nel selezionare i candidati, le amministrazioni aggiudicatrici applicano in particolare i criteri relativi alle capacità dei candidati nel settore della ricerca e dello sviluppo e nella messa a punto e attuazione di soluzioni innovative”. Ancora una volta l’elemento “locale” non può essere discriminante. Anche da questo punto di vista l’esperienza di Brainport Eindhoven, prevedente forme di collaborazione per l’innovazione con imprenditori locali rette da contratti di diritto privato, non pare in linea con l’attuale disciplina di diritto europeo. Il che, ancora una volta, non esclude legittimi meccanismi per accentuare la ricaduta positiva sul territorio. Una simile procedura potrebbe essere lanciata legittimamente partendo da un partenariato pubblicopubblico caratterizzato dalla partecipazione di istituzioni di ricerca locali, che potrebbero beneficiare, o co-beneficiare, dei diritti di proprietà intellettuale previsti eventualmente a favore della parte pubblica. Butler, Innovation in Public Procurement: Towards the “Innovation Union”, in: Lichère, Caranta, Treumer (eds.): Modernising Public Procurement: The New Directive, 2014, p. 337 ff; Cerqueira Gomez, The innovative innovation partnership under the 2014 Public Procurement Directive, PPLR 2014, p. 211. 35 28 federalismi.it - ISSN 1826-3534 |numero speciale. 2/2019 Nel caso si decida di instaurare il partenariato per l’innovazione con un solo partner, i documenti di gara potranno prevedere la costituzione di una società in comune, secondo il modello del partenariato pubblico-privato di tipo istituzionale. Gli stessi documenti potranno liberamente fissare la sede della società e delle sue attività di ricerca, con conseguenti retombées sul territorio locale. Criteri di aggiudicazione e possibili effetti sull’economia locale Elementi come l’assunzione di disoccupati di lunga durata o altre persone in condizioni specifiche oppure l’uso di materie prime tradizionali possono essere considerati anche come criteri di aggiudicazione36. Più in generale, le amministrazioni aggiudicatrici “can also consider social and environmental criteria in procurement strategy and in the associated tender documents and decision. This can be done by assigning, for example, ten percent of the decision to the extent to which potential suppliers detail that they will address social and environmental issues”37. Inoltre, con un’evoluzione significativa rispetto al passato, l’art. 67, comma 2, lettera f) della Direttiva prevede oggi che possano essere considerati tra i criteri di aggiudicazione “organizzazione, qualifiche ed esperienza del personale incaricato di eseguire l’appalto, qualora la qualità del personale incaricato possa avere un’influenza significativa sul livello dell’esecuzione dell’appalto”. In relazione ai contratti relativi a servizi alla persona una simile disposizione può consentire di tener conto della specifica conoscenza della realtà locale da parte dei concorrenti. 5. Conclusioni Come risulta dalle pagine che precedono, non sono in linea con il diritto dell’Unione europea scelte in materia di contratti pubblici che esplicitamente favoriscano gli operatori economici locali. Talune pretese best practices come minimo non sono in linea con lo stato presente di tale diritto. Tuttavia numerose scelte, analizzate nel paragrafo che precede, possono portare a tale risultato, e più specificamente a rafforzare le chances di PMI, imprese sociali ed imprese innovative, spesso anche se non necessariamente locali e in ogni caso con ricadute positive sul territorio di riferimento dell’anchor institution. In base all’analisi condotta nelle pagine che precedono, si ritiene in particolare che una anchor institution potrebbe utilmente seguire una, o entrambe, delle seguenti strategie: • Puntare sul rafforzamento dell’economia sociale, notoriamente maggiormente resiliente rispetto al for profit ed ancor di più rispetto alla grande impresa globalizzata; in tal senso, previa un’analisi 36 37 Si veda anche http://www.sigmaweb.org/publications/Public-Procurement-Policy-Brief-14-200117.pdf https://urbact.eu/sites/default/files/pages_de_procure_state_of_the_art.pdf 29 federalismi.it - ISSN 1826-3534 |numero speciale. 2/2019 accurata della realtà socio-economica locale e della struttura e delle capacità del terzo settore nell’area di riferimento, dovrebbe sistematicamente, ogni qual volta possibile, preferire appalti riservati secondo quanto previsto dagli artt. 112 e 147 del Codice dei contratti pubblici. Consultazioni preliminari di mercato non-discriminatorie dal punto di vista degli inviti ad operatori del terzo settore dovrebbero essere usate, soprattutto nella prima fase di attuazione della strategia. Mirare a rafforzare la base di ricerca locale. A tal fine dovrebbe innanzitutto raggiunta una sufficiente massa critica di spesa con il ricorso a partenariati pubblici-pubblici e all’uso di centrali di committenza. Le sinergie così create dovrebbero portare ad una serie di partenariati per l’innovazione fortemente radicati sul territorio. 30 federalismi.it - ISSN 1826-3534 |numero speciale. 2/2019 Le Università come Anchor Institutions: le opportunità dell’autonomia funzionale differenziata* di Giuseppe Valditara Professore ordinario di Diritto romano e diritti dell’antichità Università degli Studi di Torino 1. La legge 240/2010 ribadisce all'art. 1 comma 2 il principio di autonomia universitaria in piena conformità con quanto stabilito dall'art. 33 comma 6 della Costituzione che recita: "Le istituzioni di alta cultura, università ed accademie, hanno il diritto di darsi ordinamenti autonomi nei limiti stabiliti dalle leggi dello Stato". Conseguentemente, la legge 240 prevede che "Sulla base di accordi di programma con il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, di seguito denominato «Ministero», le università che hanno conseguito la stabilità e sostenibilità del bilancio, nonché risultati di elevato livello nel campo della didattica e della ricerca, possono sperimentare propri modelli funzionali e organizzativi, ivi comprese modalità di composizione e costituzione degli organi di governo e forme sostenibili di organizzazione della didattica e della ricerca su base policentrica, diverse da quelle indicate nell' articolo 2. Il Ministero, con decreto di natura non regolamentare, definisce i criteri per l'ammissione alla sperimentazione e le modalità di verifica periodica dei risultati conseguiti". A differenza di quanto stabilito, per esempio, nell'art. 29 della Costituzione per cui "La Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale", in cui cioè vi è la semplice presa d'atto di diritti preesistenti, qui si ha l’attribuzione di un diritto che consiste nella facoltà di darsi ordinamenti autonomi, peraltro riservando alla legge la definizione di limiti alla suddetta autonomia. L'autonomia riguarda dunque propri ordinamenti interni. Trattandosi di autonomia si presuppone pertanto un potere normativo differenziato, che implica cioè la possibilità di regole diverse per ogni singolo ateneo. L'art. 1.2 della legge 240, rispetta pienamente il dettato costituzionale posto che attribuisce una autonomia che riguarda gli ordinamenti interni delle singole università, circoscrivendo tale facoltà al rispetto di precisi AVVERTENZA: Per un errore, nella prima versione del presente articolo, pubblicata il 27 settembre 2019, è¨stata inserita una bozza di decreto diversa da quella originale proposta dall’Autore, e ora correttamente riportata nel testo. * 31 federalismi.it - ISSN 1826-3534 |numero speciale. 4/2019 limiti. Un primo limite è certamente la previsione del previo accordo di programma con il Ministero che può graduare l'autonomia in relazione alle necessità e potenzialità del singolo ateneo. Un preciso limite è inoltre costituito dalla "stabilità e sostenibilità di bilancio", "nonché risultati di elevato livello nel campo della didattica e della ricerca". Un ulteriore limite, di carattere operativo, consiste nel riferimento a "propri modelli funzionali ed organizzativi". La ulteriore autonomia concessa trova dunque il limite nei modelli funzionali ed organizzativi, vale a dire nel funzionamento della istituzione universitaria e nella sua organizzazione interna. La dizione è sufficientemente ampia e generica, ben potendo comprendere anche i rapporti dell'ateneo con coloro che sono l'anima del funzionamento di quell'ateneo, vale a dire il personale che consente all'ateneo di svolgere le proprie funzioni, vale a dire l'attività didattica e di ricerca. Si vedrà più avanti come nel concetto di autonomia funzionale per i Costituenti rientrava anche la definizione dello stato giuridico dei docenti. 2. Per comprendere la portata dell'art. 33.6 Cost. e la eventuale congruenza dell'art. 1.2 legge 240/2010, occorre riandare al dibattito in sede di Costituente. Già il 30 luglio 1946, in seno alla seconda Sottocommissione della Commissione per la Costituzione, Attilio Piccioni chiariva come "per le università e gli istituti superiori si affaccia un concetto di autonomia" distinto rispetto a quello previsto per gli enti territoriali. Per il Costituente democristiano "Non si è fatto un guadagno" sottoponendo le università all'ordinamento unitario dello Stato: nei paesi liberi e democratici le università trovano, nella loro autonomia, un motivo serio e profondo per servire al più ampio sviluppo della scienza. Allo Stato devono rimanere solo le funzioni ispettive ed un controllo attraverso l'esame di Stato, il quale ultimo, in un regime libero, rappresenta una garanzia per gli scopi generali che lo Stato deve salvaguardare". Insomma per Piccioni, lo Stato avrebbe dovuto conservare esclusivamente funzioni ispettive e di controllo dei risultati raggiunti, attraverso un esame abilitante all'esercizio delle professioni. Il 18 ottobre 1946 la prima Sottocommissione della Commissione per la Costituzione inizia la discussione sui principî dei rapporti sociali (culturali). Nella seduta del 18 aprile 1947 Colonnetti giunge ad affermare: "Non si esaurisce qui il problema della scuola — non si esaurisce se non si ha il coraggio di affermare un'altra libertà: quella della scuola stessa, della stessa scuola di Stato, a darsi i suoi ordinamenti. E qui l'argomento assume un particolare rilievo se si guarda all'Università ed agli Istituti di alta cultura, la cui attuale decadenza, da tutti sentita, è in gran parte dovuta all'avvenuta soppressione di ogni autonomia, di ogni libertà. 32 federalismi.it - ISSN 1826-3534 |numero speciale. 4/2019 L'Università è oggi soffocata dalle masse dei giovani che si affollano alle sue porte senza possedere attitudini e nemmeno aspirazioni alla preparazione scientifica o ad una reale elevazione morale e sociale, spinti soltanto dal proposito di conquistarsi in qualunque modo un titolo che apra la via ad uffici lucrosi. L'Università non si salva se non attraverso un radicale rinnovamento dei suoi ordinamenti, capace di attuare una severa selezione ed un orientamento dei giovani. Tali nuovi ordinamenti dovranno essere così variamente articolati e differenziati da preparare i giovani meritevoli e capaci, perché forniti delle necessarie attitudini e perché orientati, avviandoli mediante una specifica formazione verso le singole attività professionali o verso le più alte mete della cultura. Ad un tale risultato non si arriverà mai se non si metteranno in gioco le libere iniziative attraverso una completa autonomia di governo didattico ed economico dei singoli Istituti; autonomia che sola può permettere agli Istituti stessi di darsi un particolare e ben determinato carattere nella costituzione stessa del corpo insegnante e nella libera adozione di quegli ordinamenti che, caso per caso, più si confanno al raggiungimento dei fini che i singoli istituti si propongono, adeguando al programma i mezzi di cui essi dispongono. L'autonomia, se reale e completa, varrà a fissare le responsabilità dei corpi insegnanti e a restituire all'insegnamento superiore quel prestigio che esso ha ormai perduto. Allo Stato resterà il diritto di disciplinare l'esercizio delle professioni attraverso il conferimento dei relativi diplomi di abilitazione. E nell'esercizio di questo suo diritto avrà sempre modo di operare quel controllo che deve garantire ogni cittadino e stimolare le Università nell'esplicazione delle loro libere attività. Se questa Assemblea avrà il coraggio di affermare il principio dell'autonomia degli Istituti di alta cultura, essa potrà ben dire di aver con ciò posta una pietra basilare dell'edificio nuovo nel quale si matureranno i futuri destini e le future grandezze d'Italia". Riaffiora dunque un potere di intervento statuale limitato al controllo dei risultati, essenzialmente attraverso gli esami di abilitazione all'esercizio delle professioni. La riflessione è peraltro qui molto più articolata. Intanto l'autonomia universitaria è concepita come strumento per superare la decadenza del sistema universitario. L'autonomia riguarda gli ordinamenti universitari, presuppone una "varia articolazione e differenziazione", deve essere "completa" e riguardare il "governo didattico ed economico", dunque sembrerebbe autonomia nella organizzazione della didattica e persino nella amministrazione e nell'uso delle risorse. Nell'intervento di Della Seta del 21 aprile 1947 si affermano due concetti fondamentali: l'autonomia universitaria "è garanzia di libertà per l'alto insegnamento", tuttavia "deve essere un'autonomia ben altrimenti disciplinata, se non si vuole, in nome della libertà delle singole Facoltà, sanzionare degli arbitrî, specie nel campo dei concorsi universitari che molte volte risentono di indebite pressioni e inframmettenze. E non parliamo di certe cattedre conferite ad uomini di cosiddetta chiarissima fama, per le quali, non rare volte, salvando tutte le forme, si giunge a 33 federalismi.it - ISSN 1826-3534 |numero speciale. 4/2019 sanzionare il privilegio e l'arbitrio". L'autonomia deve incontrare dunque dei limiti costituiti da norme di carattere generale in particolare laddove si tratti di reclutamento. Sempre nella seduta del 21 aprile Codignola esprimeva la preoccupazione che l'autonomia degli istituti potendosi estendere al disciplinamento dell'insegnamento universitario potesse per atenei di carattere "ecclesiastico" il pretendere "giuramenti antimodernisti" vincolando le coscienze dei professori ovvero affermare principi contrari alla libertà della ricerca. Codignola peraltro attesta la presenza in commissione di un orientamento che avrebbe chiesto "l'assoluta indipendenza dell'insegnamento e dell'organizzazione universitaria dallo Stato". Il 22 aprile 1947 Rivera si espresse decisamente per una forte autonomia degli atenei: "Passiamo ora a dire due parole sulle Università. Le Università non sono state mai così dipendenti e così a disposizione della burocrazia e dei ministeri, come da quando si è detto che esse sono autonome. È una fatalità, ma l'autonomia è andata proprio sfumando da quando essa è stata proclamata. C'è poi una uniformità che dà luogo a gravi inconvenienti. Tutte le Università ci si presentano nei loro ordinamenti parallele ed eguali, giacché le Facoltà hanno programmi identici in tutte le Università. Ciò contrariamente alla tradizione del nostro Paese, in cui persino certe scuole medie apparivano specializzate, così come era per le scuole nautiche e le scuole di agricoltura, per esempio, specializzate per l'enologia o per altre branche, tutto oggi raso in una uniformità desolante". L'autonomia dunque nella visione di questo autorevole Costituente presuppone innanzitutto il potere di darsi ordinamenti differenti così da non risultare le singole università quanto agli ordinamenti vigenti al loro interno "parallele ed eguali". Ma l'autonomia è anche uno strumento potente per contrastare "il più grave inconveniente che noi ritroviamo nelle Università" vale a dire "questa burocrazia onnipotente, che decide tutto, giacché i Ministri passano, ma la burocrazia resta e non si muove foglia che Roma non voglia!". E ancora: "Ora noi chiediamo che le Università diventino veramente autonome, che cioè questa autonomia non sia una burla, che cioè il Governo, lo Stato — ho sentito parlare dello Stato qui dentro con una grande devozione e questo mi ha fatto paura — che cioè lo Stato dia i fondi, ma che poi le Università possano governarsi da sé". Dunque l'autonomia viene intesa essenzialmente come autogoverno. Con esiti di grande rilievo ed estensione: "se noi riusciremo a riportare le Università nostre alle antiche tradizioni di indipendenza e di autonomia, faremo cosa veramente saggia. Una volta le Università si governavano da sé e si strappavano i docenti al suon di fiorini. A Perugia c'era un grande giurista, al quale fu offerta dallo Studio bolognese una somma di fiorini d'oro veramente notevole: immediatamente Perugia corse ai ripari, per tenerselo, offrendo altrettanto, e, poiché la prudenza non è mai troppa, incaricò anche gli studenti di sorvegliare questo prezioso personaggio, perché non le sfuggisse. Questo episodio rivela quale è il lievito maggiore 34 federalismi.it - ISSN 1826-3534 |numero speciale. 4/2019 perché si possa dagli studiosi meglio operare, e produrre: lo stimolo della concorrenza. Ma si devono anche avere le spalle sicure, si deve esser certi cioè che domani, mutando Governo, non si soffrano affronti e scapiti, come noi abbiamo sofferto durante il periodo fascista. Questo bisogna assicurare. Io non dico che debba tornare un governo fascista, ma può venire un governo di partito, di qualunque partito. Togliamo il sospetto che la politica possa, in questo o in altro modo, interferire in mezzo agli uomini di studio: diamo a costoro l'autorità vera, la persuasione, cioè, che essi sono superiori, al di sopra e fuori della politica; altrimenti la politica, come è successo recentemente, sacrifica alcuni dei nostri migliori". Autonomia significa dunque, fra l'altro, che gli atenei possono farsi concorrenza fra di loro, arrivando persino ad offrire condizioni retributive differenziate, e maggiormente competitive, strappandosi l'un l'altro i docenti più bravi. L'autonomia deve consistere anche nel poter pagare in modo differenziato i docenti, a seconda del merito e dell'interesse che quella università abbia per loro. L'autonomia infine come antidoto verso l'invadenza della politica. Ecco allora che dice: "diamo ai docenti universitari l'autorità vera". Al termine della discussione e in un contesto in cui l'autonomia universitaria veniva vissuta come autogoverno, possibilità per ogni università di darsi ordinamenti propri e differenziati, persino possibilità di definire gli stipendi dei docenti per poter essere più competitive l'un verso l'altra, ecco che si presentano nella seduta del 24 aprile 1947 i primi emendamenti, quello a firma di Rivera, Montemartini, Gortani, Ermini, Firrao, Caso recitava: Aggiungere dopo il primo comma: "Le istituzioni di alta cultura, Accademie ed Università, sono politicamente indipendenti e funzionalmente autonome". Compaiono le stesse espressioni riprese dal legislatore del 2010: l'autonomia, quella autonomia che avrebbe dovuto portare persino allo stabilire in proprio gli stipendi dei professori, è di natura funzionale, riguarda cioè appunto il funzionamento del singolo ateneo. È dunque in questo senso che va inteso anche oggi "autonomia funzionale". L'emendamento dell'onorevole Colonnetti è più generico: Dopo il primo comma, aggiungere il seguente: «Le istituzioni di alta cultura, Università ed Accademie, sono autonome». Nel suo intervento Colonnetti peraltro riprende il tema della autonomia funzionale. Ritorna il riferimento alla autonomia funzionale nell'emendamento presentato dagli onorevoli Martino Gaetano, Labriola, Della Seta, Caronia, Lucifero, Corbino Aggiungere dopo il primo comma: «La legge garantisce l'autonomia funzionale delle Università dello Stato e l'inamovibilità dei professori universitari di ruolo». L'onorevole Martino Gaetano, non svolge però l'emendamento affermando testualmente: "Ritengo non sia necessario svolgere questo emendamento, perché, per quanto riguarda la necessità dell'autonomia funzionale delle Università, basta riferirsi a quanto è stato detto dall'onorevole Colonnetti". 35 federalismi.it - ISSN 1826-3534 |numero speciale. 4/2019 Il 28 aprile 1947 viene presentato a nome del gruppo democristiano, e precisamente da Dossetti, Gronchi, Moro, Monterisi, Di Fausto, Franceschini, Bianchini Laura, Foresi, Caronia, Guerrieri Filippo, Bertola, il seguente emendamento: Sostituire l'art. 27 col seguente: [..............] "Alle istituzioni di alta cultura, università e accademie, è riconosciuto il diritto di darsi autonomi ordinamenti". Sempre nella seduta del 28 aprile 1947 Rivera, Colonnetti, Martino concordano nel ritenere assorbiti i loro emendamenti da quello di Dossetti. Ritengono dunque che il concetto di autonomia funzionale sia a buon diritto contenuto in quello più ampio a prima firma Dossetti. Il 29 aprile 1947 si apre la polemica con l'intervento a titolo personale del socialista Giua: "Viceversa, affermando nell'ultimo comma di questo emendamento che le Università e gli istituti di alta cultura possono darsi ordinamenti autonomi, io non nascondo la mia preoccupazione. Vi sono Stati, come la Germania prima dell'avvento di Hitler, che hanno dato un esempio del come le Università possano svilupparsi quando sono autonome. Ma le condizioni sociali della Germania guglielmina non sono le condizioni attuali dell'Italia. Noi usciamo dalla dittatura fascista; sotto la dittatura fascista le Università, e dal punto di vista dell'organizzazione interna e dal punto di vista degli insegnanti, non hanno migliorato, anzi hanno peggiorato. Se noi dichiariamo oggi le Università autonome, corriamo il pericolo di vedere creati in Italia tanti centri di insegnamento, che si possono contraddire l'uno con l'altro, non solo nei programmi, ma soprattutto dal punto di vista della ricerca sperimentale, per quei mezzi che è necessario dare ai laboratori di ricerche, che, qualora le Università fossero assolutamente autonome, non potrebbero trovare né con le tasse degli alunni, né con altri mezzi, per cui oggi dare alle Università la perfetta autonomia, significa porre un problema che le Università italiane non possono risolvere, nel senso di favorire lo sviluppo delle Università stesse. A questo concetto dell'autonomia delle Università è legato anche l'emendamento proposto dall'onorevole Corbino e da altri colleghi, di creare l'inamovibilità dei professori universitari. L'onorevole Corbino è un insegnante universitario e sa che i professori universitari in Italia sono stati, anche in base alla legge Casati, sempre inamovibili. Non so se nel periodo fascista questo principio sia stato rimosso; tuttavia credo che non si possa addivenire subito e non si possa ritornare al principio della legge Casati unicamente perché oggi noi abbiamo il compito di rinnovare la vita universitaria, e quindi è necessario che lo Stato controlli anche l'attività dei professori universitari, perché la riforma universitaria per noi non è solo riforma strutturale dell'Università, ma è anche rinnovamento degli insegnanti". Giua dunque riconosce che l'autonomia da lui contrastata ed a cui si riferiscono gli emendamenti in discussione, in particolare quello di Dossetti, comporta la possibilità di creare "in Italia tanti centri di 36 federalismi.it - ISSN 1826-3534 |numero speciale. 4/2019 insegnamento, che si possono contraddire l'uno con l'altro, non solo nei programmi, ma soprattutto dal punto di vista della ricerca sperimentale". Ogni università avrebbe dunque proprie regole per disciplinare le modalità di svolgimento della didattica e l'organizzazione della ricerca, addirittura, pare di capire, le modalità di reperimento delle risorse. La replica a Giua di Corbino è peraltro tranchante: "Così ragionava Bottai!" Nell'intervento di Tupini si chiarisce che "La Commissione, invece, accetta — per tale materia — l'ultimo comma dell'emendamento Dossetti-Gonella del seguente tenore: «Alle istituzioni di alta cultura, Università e Accademie è riconosciuto il diritto di darsi autonomi ordinamenti». Con l'eventuale accettazione di questo emendamento, che già figura nel nuovo testo, si potrà ritenere soddisfatto anche il principio dell'inamovibilità dei professori universitari. Infatti, se le Università sono autonome, i professori ne risulteranno liberi, e quindi, inamovibili". Dunque l'autonomia concerne anche lo stato giuridico dei docenti universitari, proprio perché le università sono autonome, i professori sono liberi ed hanno uno status di inamovibilità. Nel dibattito si viene peraltro ad aggiungere il decisivo intervento del comunista Marchesi, che, subemendando l'emendamento Dossetti, pretende di ricondurre l'autonomia universitaria nei limiti fissati dalle leggi dello Stato. A questo punto Fabbri preannuncia il proprio voto contrario: "Se non vi è un nuovo testo concordato, dichiaro che io voterò contro quello che, all'inizio della seduta, è stato detto testo concordato, perché non mi appare chiaro nel suo contenuto. Infatti, mentre si parla di autonomi ordinamenti per le istituzioni di alta cultura, di università in genere, sul che io sarei perfettamente d'accordo, trovo che, corrispondentemente a questa caratteristica per gli istituti di alta cultura, università e accademia, gli autonomi ordinamenti sono consentiti nei limiti della legge; invece per le scuole inferiori si parla di garanzia di piena libertà, senza precisare di che e di che cosa, in guisa che, questa piena libertà, garantita dalla legge, mi pare qualche cosa di più di quella consentita agli istituti superiori che hanno liberi ordinamenti, nei limiti della legge". L'autonomia e in particolare l'autonomia funzionale non è più "indipendente", ma subordinata ai limiti fissati dalle leggi dello Stato. Ecco dunque che con il nuovo limite sarà sempre la legge a dettare condizioni e perimetri di ampiezza della autonomia, che potrà anche essere totale, estendendosi a qualsivoglia materia, e naturalmente differenziata da ateneo ad ateneo, come è del resto nella natura di un autogoverno che può darsi proprie norme, ma dovrà essere in qualche modo "consentita" da una legge. Ed è esattamente ciò che fa l'art. 1 comma 2 della legge 240/2010. Il Presidente Terracini concluse così la discussione sul tema dell'autonomia universitaria: "Passiamo all'ultimo comma del testo concordato, con l'aggiunta proposta dall'onorevole Marchesi (nei limiti consentiti dalle leggi dello Stato) e accettata dall'onorevole Dossetti e dalla Commissione: 37 federalismi.it - ISSN 1826-3534 |numero speciale. 4/2019 «Alle istituzioni di alta cultura, università e accademie, è riconosciuto il diritto di darsi autonomi ordinamenti, nei limiti consentiti dalle leggi dello Stato». L'emendamento viene approvato e diventerà il comma 6 dell'art. 33 della Costituzione italiana. 3. Se l'autonomia funzionale ed organizzativa riguarda dunque le norme che disciplinano il funzionamento complessivo dell'ateneo e quelle che riguardano la sua organizzazione interna, è evidente come l'ambito di autonomia che può essere riconosciuta, previo accordo di programma con il Ministero, è assai ampio e certamente può riguardare anche la sottrazione dell'ateneo alle norme che disciplinano gli acquisti pubblici, così come la possibilità di autorizzare, con il consenso dei docenti, modalità anche temporali di ricerca e di didattica differenziati, possibilità di distinta retribuzione per attrarre risorse utili allo sviluppo dell'ateneo, modalità di avviamento di corsi di laurea, così come la possibilità di fornire all'esterno attività retribuita, ovvero la organizzazione della governance interna. Essendo stato presentatore dell'emendamento che ha previsto il regime di cui all'art. 1 comma 2 posso confermare in via di interpretazione autentica che proprio questa ampia libertà organizzativa e funzionale, coerente con lo spirito del Costituente, stava alla base di questa che appare una riforma radicale del nostro sistema universitario. L'art. 1 comma 2 realizza in realtà una delegificazione potenziale, se così non fosse sarebbe una norma senza alcuna portata innovativa. Le norme che disciplinano il funzionamento e l'organizzazione degli atenei sono invero di natura primaria o secondaria. Quelle di natura secondaria possono già essere modificate con fonte di pari grado senza necessità di una autorizzazione legislativa. Ogni differente interpretazione sarebbe dunque irragionevole, considerando invece la forte portata innovativa che il legislatore del 2010 ha voluto attribuire a questa norma che richiede fra l'altro presupposti stringenti di efficienza per la sua applicazione. La scansione previsa dall’articolo 1 comma 2 L. 240/2010 è chiara: il Ministero con decreto – non avente natura regolamentare – stabilisce i criteri per l’ammissione alla sperimentazione e le modalità di verifica, ma poi i concreti elementi di autonomia organizzativa e funzionale sono definiti dagli Accordi di Programma stipulati da ciascuna Università – che sia in possesso dei requisiti di cui al DM – con il Ministero stesso. È dunque l’Accordo di Programma la fonte che stabilisce il concreto contenuto della sperimentazione per l’autonomia e questo esalta ancora di più lo spirito del dettato costituzionale in quanto consente, appunto, a ciascuna Università “meritevole” di negoziare i propri elementi di autonomia negoziale. La legge prevede dunque un regime ordinario, per tutte le Università, ed un regime caratterizzato da una maggiore autonomia, prima sperimentale e poi, dopo la verifica, definitivo, per le Università in possesso di determinati requisiti come definiti da decreto del Ministro secondo le indicazioni dello stesso articolo 38 federalismi.it - ISSN 1826-3534 |numero speciale. 4/2019 1 comma 2. Si tratta di un modulo procedimentale già utilizzato in altri ambiti a livello costituzionale: basti pensare alle intese con le Confessioni religiose (art. 8 Cost.), oppure alle intese per il riconoscimento alle Regioni di ulteriori forme e condizioni di autonomia (art. 116 Cost.). Nel caso delle Università, però, l’Accordo di Programma è esso stesso la fonte di autonomia, mentre per le Confessioni religiose e per le Regioni le intese debbono essere recepite con legge. 3. Stanti queste premesse, si fornisce qui un modello di articolato: VISTO il decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300, e successive modificazioni; VISTA la legge 9 maggio 1989, n. 168, la quale prevede, all'art. 1, comma 2, che il Ministro "dà attuazione all'indirizzo e al coordinamento nei confronti delle Università (…) nel rispetto dei principi di autonomia stabiliti dall'art. 33 della Costituzione"; VISTO l’articolo 17, comma 95, della legge 15 maggio 1997, n. 127 e successive modificazioni e integrazioni; VISTO il D.P.R. 27 gennaio 1998, n. 25 e in particolare l’art. 2, comma 5, lettera d); VISTI gli artt. 1 e 2 della legge 19 ottobre 1999, n. 370; VISTO il D.M. 22 ottobre 2004, n. 270, con il quale è stato approvato il regolamento sull’autonomia didattica degli Atenei e i relativi decreti con i quali sono state definite le classi dei corsi di studio”; VISTO l’art. 1-ter, commi 1 e , del decreto legge 31 gennaio 2005, n. 7, convertito dalla legge 31 marzo 2005, n. 43, in base al quale “le Università adottano programmi triennali coerenti con le linee generali di indirizzo definite con decreto del Ministro”, i cui risultati sono valutati sulla base di appositi indicatori…; VISTE le linee guida europee per l’assicurazione della qualità nello Spazio europeo dell’istruzione superiore, adottate dai Ministri europei dell’istruzione superiore al Consiglio di Bergen nel maggio 2005 e successive modificazioni e integrazioni; VISTO il decreto legge 3 ottobre 2006, n. 262, convertito dalla legge 24 novembre 2006, n. 286; VISTO il D.P.R. 1 febbraio 2010, n. 76, concernente la struttura e il funzionamento dell’Agenzia Nazionale di Valutazione del Sistema Universitario e della Ricerca (ANVUR); VISTA la legge 30 dicembre 2010, n. 240; VISTO in particolare l’articolo 1, comma 2 della legge 30 dicembre 2010, n. 240 il quale prevede che “In attuazione delle disposizioni di cui all'articolo 33 e al titolo V della parte II della Costituzione, ciascuna università opera ispirandosi a principi di autonomia e di responsabilità. Sulla base di accordi di programma con il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, di seguito denominato «Ministero», le università che hanno conseguito la stabilità e sostenibilità del bilancio, nonché risultati di elevato livello nel campo della didattica e della ricerca, possono sperimentare propri modelli funzionali e organizzativi, ivi comprese modalità di composizione e costituzione degli organi di governo e forme sostenibili di organizzazione della didattica e della ricerca su base policentrica, diverse da quelle indicate nell' articolo 2. Il Ministero, con decreto di natura non regolamentare, definisce i criteri per l'ammissione alla sperimentazione e le modalità di verifica periodica dei risultati conseguiti”. VISTO altresì l’art. 1, comma 4, della L. n. 240/2010, il quale prevede che “Il Ministero, nel rispetto della liberta' di insegnamento e dell'autonomia delle universita', indica obiettivi e indirizzi strategici per il sistema e le sue componenti e, tramite l'Agenzia nazionale di valutazione del sistema universitario e della ricerca (ANVUR) per quanto di sua competenza, ne verifica e valuta i risultati secondo criteri di qualita', trasparenza e promozione del merito, anche sulla base delle migliori esperienze diffuse a livello internazionale, garantendo una distribuzione delle risorse pubbliche coerente con gli obiettivi, gli indirizzi e le attivita' svolte da ciascun ateneo, nel rispetto del principio della coesione nazionale, nonche' con la valutazione dei risultati conseguiti”; 39 federalismi.it - ISSN 1826-3534 |numero speciale. 4/2019 VISTO il Decreto legislativo, 27 gennaio 2012, n. 19, in attuazione della delega prevista dall'articolo 5, comma 1, lettera a), della legge 30 dicembre 2010, n. 240”; la Legge 30 dicembre 2010, n. 240 recante “Valorizzazione dell'efficienza delle Università e conseguente introduzione di meccanismi premiali nella distribuzione di risorse pubbliche sulla base di criteri definiti ex ante anche mediante la previsione di un sistema di accreditamento periodico delle università”; VISTO il Decreto legislativo 29 marzo 2012, n. 49, recante la Disciplina per la programmazione, il monitoraggio e la valutazione delle politiche di bilancio e di reclutamento degli atenei, in attuazione della delega prevista dall'articolo 5, comma 1, della legge 30 dicembre 2010, n. 240; VISTO il DM 8 febbraio 2013, n. 45 concernente il Regolamento recante modalità di accreditamento delle sedi e dei corsi di dottorato ai sensi dell’art. 19 della L. n. 240/2010; VISTO l’articolo 60, comma 01, del decreto legge 21 giugno 2013, n. 69, convertito dalla legge 9 agosto 2013, n. 98, il quale prevede che “la quota del Fondo per il finanziamento ordinario delle università destinata alla promozione e al sostegno dell'incremento qualitativo delle attività delle università statali e al miglioramento dell'efficacia e dell'efficienza nell'utilizzo delle risorse, di cui all'articolo 2 del decreto-legge 10 novembre 2008, n. 180, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 gennaio 2009, n. 1, e successive modificazioni, … almeno tre quinti sono ripartiti tra le università sulla base dei risultati conseguiti nella Valutazione della qualità della ricerca (VQR) e un quinto sulla base della valutazione delle politiche di reclutamento, effettuate a cadenza quinquennale dall'Agenzia nazionale per la valutazione dell’università e della ricerca (ANVUR)”; VISTO il DM n. 635 del 8 agosto 2016, relativo alle linee generali d’indirizzo della programmazione 20162018, il quale trova applicazione fino all’adozione del DM con il quale saranno definite le linee generali d’indirizzo della programmazione 2019-2021; VISTO il DM n. 6 del 7 gennaio 2019 con il quale sono stati, da ultimo, definiti gli Indicatori per l’accreditamento e la valutazione periodica degli Atenei; VISTI lo Statuto del CINECA approvato con D.M. 26 marzo 2018, n. 245, pubblicato nella GU n. 83 del 10 aprile 2018, e la delibera del Consiglio direttivo dell’ANAC n. 1172 del 19 dicembre 2018, che dispone l’iscrizione del Consorzio, nell’elenco di cui all’articolo 192, comma 1, del d.lgs. 50/2016, quale soggetto in house del Ministero dell’istruzione dell’università e della ricerca; RITENUTO pertanto con il presente decreto di dare attuazione a quanto previsto dall’art. 1, comma 2, della L. n. 240/2010, indicando i criteri di ammissione alla sperimentazione di propri modelli funzionali e organizzativi, con riferimento sia alle Istituzioni da ammettere alla sperimentazione sia agli ambiti che saranno ammessi alla sperimentazione; Sentita l’ANVUR; DECRETA Art. 1 Ambito di applicazione 1. Le disposizioni di cui al presente decreto si applicano alle Università Statali, ivi compresi gli Istituti universitari a ordinamento speciale, e alle Università non statali legalmente riconosciute. Art. 2 Criteri di ammissibilità 1. Per università che hanno conseguito la stabilità e sostenibilità del bilancio, nonché risultati di elevato livello nel campo della didattica e della ricerca, si intendono le Università che rispettano i seguenti criteri: a) Stabilità e sostenibilità di bilancio: presentare, negli ultimi 2 esercizi finanziari, i seguenti indicatori di bilancio. UNIVERSITA’ STATALI: 40 federalismi.it - ISSN 1826-3534 |numero speciale. 4/2019 AMBITO 1 Sostenibilità economico-finanziaria 2 Indebitamento 3 Spese di personale Indicatore ISEF>1,10 IDEB<0,15 IP< 75,0% UNIVERSITA’ NON STATALI: AMBITO Indicatore 1 Trasparenza del Bilancio Invio al Ministero e Pubblicazione del bilancio sul sito dell’ateneo 2 Diritto allo Studio Rispetto della normativa di cui al d.lgs 68/2012 3 BILANCIO Margine Operativo > 0 b) Risultati di elevato livello nel campo della didattica: avere conseguito un punteggio superiore a 6 nell’ultimo accreditamento periodico, oppure rispettare almeno due dei seguenti parametri: 1. Percentuale almeno del 7% di laureati (L, LM e LMCU) entro la durata normale del corso che abbia conseguito all’estero, 12 CFU per le lauree triennali e 18 CFU per le lauree magistrali; 2. Variazione positiva rispetto all'anno accademico precedente del rapporto tra il numero degli studenti iscritti al II anno di un corso L o LM e il numero di studenti iscritti al I anno dello stesso; 3. Percentuale di studenti del primo anno di L o LMCU con diploma di scuola secondaria superiore conseguito fuori regione in misura non inferiore al 10%; 4. Percentuale di studenti del primo anno di L o LMCU con diploma di scuola secondaria superiore conseguito all'estero non inferiore al 1%; 5. Percentuale di studenti del primo anno di LM laureati in altro Ateneo in misura non inferiore al 15%; 6. Percentuale di studenti soddisfatti dell’esperienza complessiva dell’università [secondo la definizione AlmaLaurea] maggiore del 70% 7. Percentuale di punti organico utilizzati da docenti provenienti da altri Atenei reclutati nell’ultimo biennio superiore al 30% I dati relativi agli indicatori 1, 2, 3 e 4 sono estratti dall’Anagrafe nazionale degli studenti e sono relativi alla media dei due anni accademici precedenti alla richiesta di ammissione. I dati relativi agli indicatori 5, 6 sono riferiti alla media dei risultati delle ultime due indagini Almalaurea precedenti alla richiesta di ammissione, ovvero ai risultati di indagini condotte con la medesima metodologia di Almalaurea per gli atenei che non fanno parte del Consorzio. c) Risultati di elevato livello nel campo della ricerca: rispettare almeno due dei seguenti parametri: 1. Avere un numero di pubblicazioni su riviste internazionali nell’ultimo biennio pari almeno pari a 3 per il numero totale di professori e ricercatori dell’Ateneo 2. Aver attratto, nell’ultimo biennio, risorse da ricerche commissionate, trasferimento tecnologico e progetti competitivi in percentuale superiore al 7% dell’FFO 3. Avere stanziato, nell’ultimo biennio, fondi propri in percentuale superiore all'1% dell’FFO per il reclutamento di ricercatori e il finanziamento di assegni di ricerca e borse di dottorato; 4. Avere in servizio nell’ultimo triennio un numero di vincitori– responsabili scientifici - di Progetti di ricerca nazionali (PON MIUR, MISE etc.) almeno pari al 5 per mille del numero totale di professori e ricercatori dell’Ateneo. 5. Avere in servizio nell’ultimo triennio un numero di vincitori– principal investigator - di programmi ERC o di Progetti Europei Horizon o di premi scientifici internazionali almeno pari al 5 per mille del numero totale di professori e di ricercatori dell’Ateneo; 41 federalismi.it - ISSN 1826-3534 |numero speciale. 4/2019 6. Avere un numero di brevetti nazionali o internazionali, riconosciuti negli ultimi due anni, pari almeno pari a un centesimo del numero di docenti. Art. 3 Modelli funzionali e organizzativi ammessi alla sperimentazione 1. Le Università che rispettano i requisiti di cui all’articolo 2,ai sensi dell’articolo 1, comma 2, della legge 240/2010, sono ammesse a presentare richiesta al Ministero per la stipula di accordi di programma,con verifica triennale, quadriennale o quinquennale in merito alla permanenza dei requisiti di ammissione ai sensi dell'articolo 4 del presente decreto, relativamente alla sperimentazione di modelli funzionali e organizzativi, ivi comprese modalità di composizione e costituzione degli organi di governo e forme sostenibili di organizzazione della didattica e della ricerca su base policentrica, diverse da quelle indicate nell'articolo 2 delle legge 240/2010, in particolare nei seguenti ambiti: A. Diverse modalità di composizione, costituzione, attribuzione delle funzioni e durata degli organi di governo. B. Riduzione delle numerosità minime di docenza richieste per l’attivazione di strutture dipartimentali rispetto a quanto previsto dall’articolo 2, comma 2, lettera b) della legge 240/2010. C. Definizione di modalità differenziate di valutazione periodica dei risultati della didattica e della ricerca, fatto salvo il controllo da parte dell’ANVUR del rispetto delle linee guida europee per l’assicurazione della qualità, dando comunque maggiore peso ai risultati ottenuti. D. Istituzione e attivazione, in via sperimentale, di corsi di laurea e laurea magistrale innovativi, anche inter-ateneo e inter-classe, previa approvazione ministeriale, (sentito il CUN e l’ANVUR secondo il disposto del d.lgs. 19/2012, art. 8, co. 4). Tali corsi sono sottoposti a verifica dopo un ciclo completo di corso di studi, fatti salvi, in ogni caso, i diritti degli studenti iscritti a conseguire il relativo titolo di studio. Sono esclusi dalla sperimentazione i corsi a programmazione nazionale o che devono rispettare direttive comunitarie. E. Istituzione e attivazione, in via sperimentale, di nuove lauree o lauree magistrali con atenei stranieri che, nel rispetto degli obiettivi formativi della classe, sviluppino ordinamenti didattici innovativi, previa approvazione ministeriale, (sentiti il CUN e l’ANVUR). F. Possibilità, per gli Istituti universitari a ordinamento speciale, di istituire corsi di laurea magistrale per il tramite federazioni di cui all’articolo 3 della legge 240/2010. G. Nell’ambito delle politiche di internazionalizzazione dell’Ateneo possibilità di organizzare forme di selezione degli studenti e di organizzazione dei corsi di laurea e di dottorato, anche con atenei stranieri, integralmente in lingua straniera, fatto comunque salvo il rispetto delle linee guida per l'assicurazione della qualità europea. H. Semplificazione delle procedure di accreditamento, attivazione, organizzazione e valutazione dei corsi di dottorato innovativo, con riferimento al numero dei docenti del Collegio di dottorato, all’obbligo di conferimento di borse di studio da parte dei partner stranieri, alla possibilità di far parte di più di un Collegio di dottorato. I. Definizione dei compiti didattici e di ricerca per i professori e per i ricercatori, in funzione delle politiche di ateneo relative a ricerca, didattica, internazionalizzazione e innovazione, fatto salvo l'assenso dei professori e dei ricercatori medesimi. Le università potranno sperimentare nuove forme premiali per i docenti e ricercatori coinvolti nelle relative attività, in deroga a quanto disposto dall'art. 7, co. 3, e dall'art. 9 della L 240/2010. J. Attribuzione all’Ateneo della competenza in ordine alla gestione delle procedure di chiamata diretta di docenti e ricercatori, previa autorizzazione ministeriale e fatta salva l'individuazione dei requisiti per la chiamata stessa secondo il disposto dell'art. 1, co. 9, della L. 230/2005. K. Possibilità di doppia affiliazione a tempo definito di docenti e di ricercatori italiani e stranieri già in servizio presso un ateneo straniero. 42 federalismi.it - ISSN 1826-3534 |numero speciale. 4/2019 L. Possibilità di incentivare, anche economicamente i docenti che attraverso attività didattiche e di ricerca di terza missione, di coordinamento di Progetti Europei e Italiani contribuiscano all’acquisizione di commesse conto terzi ovvero di finanziamenti pubblici o privati. M. Possibilità di prevedere, con oneri a carico del proprio bilancio, incentivi anche finanziari per i professori e i ricercatori che si trasferiscano presso l’Ateneo dall’estero. N. Possibilità di prevedere, con oneri a carico del proprio bilancio, contributi finanziari ai costi di trasferimento, per un massimo di cinque anni, per i professori e i ricercatori che si trasferiscano presso l’Ateneo da extra-Regione. O. Possibilità di deroga rispetto a quanto previsto per le pubbliche amministrazioni rispetto ai vincoli fra Controllata e Controllante per quanto riguarda i rapporti fra Università e Società di Diritto Privato finalizzate alla valorizzazione della ricerca, della terza missione e della creazione d’impresa, previa verifica della situazione di bilancio delle controllate. Art. 4 Quadro informativo degli indicatori, presentazione e verifica periodica 1. La competente Direzione generale del Ministero provvede, avvalendosi del CINECA, a predisporre il quadro informativo degli indicatori necessario a individuare le Università che possono essere ammesse alla sperimentazione, a fornire le indicazioni operative per la presentazione, con modalità telematiche, della proposta di programma triennale, quadriennale o quinquennale di sperimentazione. 2. Le proposte indicano gli ambiti oggetto di sperimentazione e gli indicatori, scelti tra gli indicatori della programmazione triennale, prevista dall'articolo 1-ter della Legge 43 del 2005, per i quali l’Ateneo si attende un miglioramento e i relativi target. 3. Le Università ammesse alla stipula di accordi secondo quanto stabilito dal presente decreto sono sottoposte nel corso dell’ultimo anno di vigenza dell’accordo a verifica dei risultati conseguiti con riferimento agli indicatori di cui all’articolo 2 e al comma 2 del presente articolo. La valutazione ex post dei risultati sarà finalizzata anche alla verifica complessiva dei risultati. 4. A seguito della verifica positiva ai sensi dei commi 2 e 3, l’Ateneo può proporre al Ministero la proroga dell’accordo di programma esistente o proporre un diverso accordo per i successivi anni. 5. In caso di verifica finale non positiva, gli accordi di programma non possono essere prorogati e l’ateneo è automaticamente reinserito nelle ordinarie procedure ministeriali di autorizzazione, monitoraggio e valutazione. In tal caso per l’Ateneo non sarà possibile accedere a nuovi accordi di programma per almeno un triennio. 6. Qualora i risultati di una delle Università ammesse alla sperimentazione prevista dal presente decreto siano stati considerati positivi dopo la valutazione finale, anche con riferimento agli indicatori economici-finanziari, il Ministero può disporre l’estensione della sperimentazione stessa ad altri Atenei in condizioni analoghe, su loro richiesta. Il presente decreto è trasmesso alla Corte dei conti per il controllo preventivo di legittimità e al competente Ufficio Centrale di Bilancio per il controllo preventivo di regolarità contabile. 4. Un modello siffatto darebbe dunque una significativa autonomia alla gran parte degli atenei con la possibilità di sperimentare nuove forme organizzative, che potrebbero portare per esempio ad una gestione sul modello anglosassone dell'ateneo, con inoltre una semplificazione degli organi, una semplificazione delle procedure interne di organizzazione e un diverso ruolo di soggetti finanziatori; una semplificazione nella costituzione dei dipartimenti; una maggiore valorizzazione delle attività brevettuali e di trasferimento tecnologico al fine degli scatti stipendiali; la possibilità di istituire e attivare 43 federalismi.it - ISSN 1826-3534 |numero speciale. 4/2019 direttamente, con procedure più semplici e più rapide, corsi di laurea anche innovativi e anche fra atenei e fra classi di laurea diverse ovvero, addirittura, anche con atenei stranieri; possibilità di organizzare corsi di laurea specificamente concepiti per studenti stranieri in lingua straniera; definizione di compiti didattici e di ricerca in sintonia con le esigenze del ricercatore e del docente e sulla base delle esigenze organizzative dell'ateneo, sempre fatto salvo l'assenso dei ricercatori e dei docenti medesimi; possibilità di sperimentare nuove forme premiali a vantaggio di ricercatori e docenti; maggiore libertà nelle chiamate dirette; possibilità di doppia affiliazione presso anche un ateneo straniero oltreché italiano di docenti italiani o stranieri; possibilità di incentivare economicamente i docenti che attraverso attività didattiche e di ricerca di terza missione o di coordinamento di progetti europei ed italiani contribuiscano alla acquisizione di commesse ovvero di finanziamenti pubblici o privati; possibilità di prevedere incentivi anche economici per professori e ricercatori che si trasferiscano dall'estero presso l'Ateneo; possibilità di prevedere contributi finanziari ai costi di trasferimento, per un massimo di cinque anni, per docenti o ricercatori che si trasferiscano da ateneo di altra regione; possibilità di derogare ai vincoli posti per le amministrazioni pubbliche fra controllata e controllante per quanto riguarda ai rapporti fra università e società di diritto privato finalizzate alla valorizzazione della ricerca, della terza missione e della creazione d'impresa, anche in merito alla libertà di scelta dei soci degli spin off. I requisiti per poter accedere a questo regime derogatorio sono una stabilità finanziaria individuata in un indice di sostenibilità economico-finanziaria pari a 1,10, dunque in presenza di un buon attivo di bilancio, una spesa per il personale rispetto all'ammontare dell'ffo pari al 75%, con quindi ampi margini di investimento ulteriori rispetto al pagamento degli stipendi, e un indebitamento non superiore a 0,15. Fra i risultati nel campo della didattica richiesti per accedere alla sperimentazione si ritiene necessario possedere almeno due fra alcuni requisiti significativi come una percentuale non marginale di laureati in corso che abbia fatto importanti esperienze formative all'estero, un miglioramento del successo formativo fra primo e secondo anno di corso rispetto all'anno precedente; una buona attrattività di studenti diplomatisi fuori regione; una qualche propensione alla internazionalizzazione degli studenti iscritti; una percentuale di studenti del primo anno di laurea magistrale laureati in altro Ateneo in misura non inferiore al 15%; un buon indice di soddisfazione degli studenti al termine del percorso universitario secondo le definizioni di Alma laurea; una decisa apertura dell'ateneo a chiamate esterne. Si potrebbero poi richiedere come requisiti specifici alcuni indicatori riguardanti la ricerca, anche qui in numero minimo di due, indicatori che testimonino per esempio un buon indice di pubblicazioni su riviste internazionali da parte dei docenti e ricercatori dell'ateneo; una buona capacità di attrarre risorse da ricerche commissionate, trasferimento tecnologico e progetti competitivi; l'aver stanziato una certa percentuale di fondi propri per il reclutamento di ricercatori e il finanziamento di assegni di ricerca e borse di dottorato; l'avere in servizio un numero 44 federalismi.it - ISSN 1826-3534 |numero speciale. 4/2019 significativo di vincitori e responsabili scientifici di Progetti di ricerca nazionali ovvero internazionali; l'avere dato vita ad una buona attività brevettuale. Immaginare un siffatto percorso di autonomia significa consentire alle singole università di sviluppare al massimo le proprie potenzialità. Fra gli indicatori su cui si ritiene debba mettersi maggiormente l'accento vi è l'attività brevettuale, il trasferimento tecnologico, la internazionalizzazione e la "sprovincializzazione" dell'ateneo con una significativa apertura alle contaminazioni dall'esterno, sia come professori, e ricercatori, sia come studenti. Questo livello di autonomia, che dovrebbe essere accompagnato dalla approvazione di leggi di ulteriore semplificazione del sistema come l'abolizione integrale dell'obbligo del ricorso al Mepa o come la possibilità di seguire contemporaneamente due diversi corsi di laurea, o come la liberalizzazione integrale delle consulenze, avrebbe certamente l'effetto di rendere l'università un potente centro moltiplicatore dello sviluppo del territorio. Si consideri soltanto questo dato: al 2017 l'intero sistema brevettuale delle università italiane rendeva 1.900.000 euro, la sola università di Lovanio ben 90 milioni di euro. L'università di Lovanio ha rivelato del resto una capacità di raccogliere risorse attorno a spin off pari a circa 900 milioni di euro negli ultimi tredici anni. È evidente come l'università di Lovanio abbia un ruolo non marginale nella crescita complessiva della realtà su cui insiste. Un percorso di autonomia responsabile è dunque decisivo per fare di un ateneo una grande opportunità di crescita e di sviluppo economico. 45 federalismi.it - ISSN 1826-3534 |numero speciale. 4/2019 La domanda pubblica come leva per l’innovazione: le potenzialità degli appalti innovativi per le Anchor Institution di Mario E. Comba Professore ordinario di Diritto pubblico comparato Università degli Studi di Torino Sommario: 1. Il ruolo dell’intervento pubblico nell’innovazione: un dibattito aperto; 2. La domanda pubblica di innovazione: definizioni e modelli; 3. Le origini degli appalti innovativi nel diritto europeo: le direttive appalti del 2004 e la Comunicazione della Commissione del 14 dicembre 2007; 4. Le direttive appalti del 2014; 5. Il codice dei contratti pubblici italiano (D. Lgs. 50/2016), le (scarse) iniziative in Italia ed il ruolo dell’AGID. 1. Il ruolo dell’intervento pubblico nell’innovazione: un dibattito aperto Il dibattito circa il ruolo dello Stato come propulsore per l’innovazione tecnologica ha avuto negli ultimi anni un grande sviluppo, nell’ambito delle riflessioni sul ridimensionamento dell’intervento pubblico in economica che a sua volta denota un mutamento della forma di Stato rispetto al modello dello Stato sociale o Welfare State sviluppatosi nelle democrazie occidentali tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo. Volendo limitare l’attenzione sul ruolo dello Stato non come erogatore di servizi e regolatore dell’economia in generale, ma nella sua funzione di stimolare l’innovazione tecnologica, allora la prospettiva muta non di poco: a prima vista, lo sviluppo tecnologico sembrerebbe un fenomeno che deve esser lasciato agli imprenditori privati; anzi, è proprio ciò che caratterizza l’evoluzione creatrice del capitalismo e che consente di distinguere tra crescita e sviluppo. Mentre la crescita consiste nell’aumento della produttività e della ricchezza sulla base di tecniche preesistenti, lo sviluppo comporta un procedimento di “distruzione creatrice” (Schumpeter) che è caratterizzato dall’introduzione sul mercato di nuovi prodotti e processi produttivi. L’imprenditore capace di innovare assume una posizione di vantaggio sul mercato e sconfigge la concorrenza, fino a che l’innovazione diventa disponibile a tutti ed un altro imprenditore introduce un nuovo elemento che gli permette di prevalere. La rilevanza dell’innovazione nella determinazione dello sviluppo economico è ormai pacificamente riconosciuta, tanto che secondo alcuni autori1 l’innovazione tecnologica è la base dei “cicli lunghi” Giorgio Sirilli, sub voce “Innovazione tecnologica” in Enciclopedia Treccani della Scienza e della Tecnica, Roma, 2008 (edizione online), par. 1. 1 46 federalismi.it - ISSN 1826-3534 |numero speciale. 4/2019 dell’economia: il telaio meccanico ha dato l’avvio alla prima rivoluzione industriale, la ferrovia è stata centrale nel secondo ciclo di rivoluzione industriale, nella seconda metà del XIX secolo ed è poi stata seguita dall’elettrificazione, industria chimica e motore a combustione interna che hanno caratterizzato la terza rivoluzione industriale, tra il 1890 ed il 1930. Nei primi decenni del XX secolo la produzione di massa e la catena di montaggio hanno avviato la quarta rivoluzione industriale, fino agli anni ’80 del secolo scorso, quando è iniziato il quinto ciclo, con la tecnologia dell’informazione e della comunicazione. Si comprende allora la giustificazione dell’intervento pubblico per stimolare l’innovazione tecnologica, in quanto tale intervento conduce indirettamente ad una evoluzione economica positiva. E’ infatti un dato comunemente acquisito che l’innovazione tecnologica richieda un intervento pubblico, ma sono estremamente dibattute la portata e le modalità di tale intervento. Per rifarsi a due posizioni molto diverse sostenute negli ultimi anni da due autori italiani con risonanza internazionale, vi è chi attribuisce allo Stato una funzione fondamentale nello svolgimento dell’attività di ricerca che porta allo sviluppo tecnologico e che i privati non sono in grado di eguagliare per mancanza di risorse, di propensione al rischio e di capitali pazienti, tanto da parlare di “Stato innovatore”2. Vi è poi chi, al contrario, pur riconoscendo un ruolo importante allo Stato per lo sviluppo tecnologico, ritiene che esso debba limitarsi a fornire alcune condizioni di contesto, per favorire le imprese che intendono operare nel settore, in quanto lo Stato non ha lo stimolo né la capacità per cogliere i possibili vantaggi e sfruttamenti economici delle invenzioni prodotte dai suoi laboratori3. Entrambi gli autori si pongono la missione di sfatare i miti esistenti in relazione al ruolo dello Stato e dei privati per lo sviluppo tecnologico, secondo la solita tecnica per la quale le tesi avversarie sono esposte in termini a volte esagerati, per essere poi tacciate di costituire semplici miti contraddetti dall’osservazione dei fatti. Entrambi ammettono l’importante ruolo svolto dallo Stato – ed in particolare dall’apparato militare – nell’acquisizione di alcune invenzioni che stanno alla base della moderna tecnologia, come internet, lo schermo touch, il GPS, l’economia verde e così via, ma quando poi passano a valutare il rapporto tra la ricerca pubblica e lo sfruttamento fattone dalle imprese private le due prospettive diventano antinomiche. In estrema sintesi, per Mazzuccato le imprese private si sono limitate ad appropriarsi dei vantaggi della ricerca pubblica, senza riconoscerne il merito e senza essere capaci di produrre esse stesse risultati di tale portata, tanto che la proposta dell’autrice de “Lo stato innovatore” è proprio quella di aumentare le risorse dedicate alla ricerca pubblica, in quanto più efficiente, riducendo Mariana Mazzuccato, Lo Stato Innovatore, II ed. Bari, Laterza, 2018 (prima ed. The Entrepeneurial State. Debunking Public vs. Private Sector Myths, 2013) 3 Alberto Mingardi, La verità, vi prego, sul neoliberismo, Marsilio, Venezia, 2019, in particolare pag. 212 e ss. per la critica a Mazzuccato. 2 47 federalismi.it - ISSN 1826-3534 |numero speciale. 4/2019 di conseguenza il finanziamento alla R&S delle imprese e, comunque, riconoscendo alla ricerca pubblica il giusto profitto in modo che possa autofinanziarsi. Per Mingardi, invece, la ricerca pubblica è ampiamente inefficiente in quanto utilizza ingenti risorse economiche senza sapersi orientare verso scopi concreti ed utilizzabili, tanto che i suoi risultati non hanno valore di per sé, ma solo quando le imprese private la colgono e la sanno valorizzare attraverso la commercializzazione. Per fare un esempio, secondo Mingardi è vero che internet nasce in ambiente militare e quindi pubblico, ma sarebbe rimasto confinato a tale utilizzo se le imprese (e le Università private) non ne avessero intuito l’enorme potenziale commerciale e non avessero di conseguenza adattato la tecnica del www all’uso che noi oggi conosciamo. Come si vede, seppure da questa esposizione estremamente sintetica, si tratta di due posizioni che differiscono per una diversa percezione degli stessi fenomeni e che, a ben vedere, hanno alcuni elementi in comune, primo fra tutti la critica ad una eccessiva spesa pubblica per finanziare la R&S delle imprese private. Ovviamente, tale valutazione negativa si colloca in prospettive diverse: in un caso (Mazzuccato) si tratta di denaro che sarebbe meglio utilizzato per finanziare centri di ricerca pubblici così che la ricerca sia svolta direttamente da strutture pubbliche anche perché non si può mai avere la certezza dell’effetto di addizionalità cioè che le imprese private non avrebbero svolto comunque la ricerca finanziata con il denaro pubblico. Nell’altro caso (Mingardi) il finanziamento pubblico alla R&S è visto come un tentativo per imporre alle imprese le scelte pubbliche in materia di ricerca, mentre esse dovrebbero essere lasciate libere di seguire le proprie strategie, di sbagliare ed imparare dagli errori propri e degli altri perché solo in questo modo ci si può avvantaggiare della distruzione creatrice. Il finanziamento pubblico alla R&S delle imprese private costituisce lo strumento più tipico di stimolo della ricerca privata dal lato dell’offerta: si tratta infatti di finanziamenti pubblici destinati a invogliare le imprese private ad offrire prodotti di ricerca innovativi sul mercato. La prospettiva cambia se l’intervento pubblico per stimolare la ricerca delle imprese è strutturato per agire dal lato della domanda invece che dell’offerta: in tal caso infatti esso sembra raccogliere maggiori consensi. Secondo Mazzuccato, “le commesse pubbliche di tecnologie che richiedono innovazione sono più efficaci dei sussidi elargiti nella speranza che l’innovazione arrivi”4 ed in effetti tale affermazione è coerente con l’impostazione sin qui seguita: il denaro pubblico viene efficacemente utilizzato in quanto indirizzato in primo luogo a soddisfare un bisogno pubblico, consistente nell’acquisizione di un prodotto o di un servizio innovativo ed il privato sarà pagato solo (o in misura prevalente) se dimostra di essere in grado di soddisfare tale bisogno. Inoltre il rispetto del principio di addizionalità è autoevidente in quanto l’impresa svolge l’attività di ricerca per ottenere la commessa. 4 Mazzuccato, cit., p. 69; il concetto è poi ribadito a pag. 80-81. 48 federalismi.it - ISSN 1826-3534 |numero speciale. 4/2019 2. La domanda pubblica di innovazione: definizioni e modelli Il ricorso alla domanda pubblica per stimolare la ricerca privata è stato oggetto di specifici studi già a partire dagli anni ’70 del secolo scorso, ma i due ultimi decenni hanno visto un forte sviluppo di tale impostazione, non tanto dal punto di vista giuridico, quanto piuttosto tra gli economisti e gli studiosi dello sviluppo economico5. I principali settori di intervento sono quelli nei quali più forte è tradizionalmente la spesa pubblica: trasporti, sanità, tutela dell’ambiente, sicurezza e difesa. Prima di analizzare più nel dettaglio le caratteristiche della domanda pubblica di innovazione, appare necessario svolgere qualche breve riflessione sulla definizione di innovazione tecnologica, in quanto preliminare al tema di questo saggio. L’innovazione tecnologica è in primo luogo definita come un’attività deliberata, frutto di esplicita volontà innovativa, non casuale. Tale attività deliberata deve essere indirizzata a due specifici obiettivi: (i) l’introduzione di nuovi prodotti e servizi nonché (ii) di nuovi metodi per produrli, distribuirli ed usarli6. Inoltre l’innovazione tecnologica si può distinguere anche in base ai diversi gradi di novità ed in tale prospettiva vi possono essere principalmente due tipi di innovazione: quella radicale, che comporta l’introduzione di un prodotto o di un servizio del tutto nuovo, prima inesistente (ad esempio internet) e quella incrementale, consistente nel miglioramento di un prodotto o di un servizio esistente, anche dal punto di vista della significativa riduzione del costo di produzione. Le innovazioni incrementali sono ovviamente le più numerose e consentono l’adattamento del prodotto o del servizio alle nuove esigenze del mercato. Un prodotto o un servizio innovativo infatti, quale che sia il suo grado di innovazione, deve essere spendibile sul mercato, tanto che il semplice prototipo non può ancora essere considerato un prodotto innovativo. Il processo innovativo radicale è spesso il frutto di una serie di fasi identificate in modo sequenziale, a ciascuna delle quali corrisponde una specifica figura: la scoperta scientifica, l’invenzione, l’innovazione e la diffusione. Secondo gli studiosi, però, l’innovazione non è solo il frutto di una ricerca scientifica e tecnologica, ma richiede la presenza di un “sistema d’innovazione”, composto da elementi di tipo sociale, politico, organizzativo ed istituzionale, che facilitano l’innovazione e soprattutto ne sanno cogliere e sfruttare le potenzialità7. Da qui l’importanza dell’intervento pubblico per creare l’ambiente propizio all’innovazione, sia pubblica che privata, intesa come politica olistica dell’innovazione tecnologica. I Charles Edquist, Nicholas S. Vonortas, Jon Mikel Zabala-Iturriagagoitia, Introduction, in Charles Edquist, Nicholas S. Vonortas, Jon Mikel Zabala-Iturriagagoitia, Jakob Edler (a cura di), Public Procurement for Innovation, Edward Cheltenam-Northampton, 2015, p. 1-2. Elgar Publishing, 6 Giorgio Sirilli, cit.. 7 Edquist, cit., p. 3-5 che cita copiosa letteratura sui sistemi di innovazione 5 49 federalismi.it - ISSN 1826-3534 |numero speciale. 4/2019 riferimenti istituzionali, poi, sono particolarmente importanti per comprender la storia e l’evoluzione delle politiche legate all’innovazione, anche attraverso la domanda pubblica, perseguite dai diversi Stati: per fare alcuni esempi recenti, le esigenze di sicurezza negli Stati uniti e le esigenze ambientali nei Paesi del Nord Europa hanno dato origine a due politiche dell’innovazione diversamente orientate, perché sviluppate in ambienti diversi, ma in linea di massima perseguite con strumenti simili. In questo contesto, la leva della domanda pubblica per favorire l’innovazione può essere definita come: “a set of public measures to increase the demand for innovations, to improve the conditions for the uptake of innovations or to improve the articulation of demand in order to spur innovation and the diffusion of innovation”8. Benché la letteratura specializzata non paia avere ancora messo in evidenza tale aspetto, sembra evidente che l’approccio olistico nell’analisi del supporto pubblico alla ricerca tramite gli appalti innovativi risulti di particolare importanza nell’ambito del discorso sulle Anchor Institutions, le quali sono caratterizzate dallo stretto legame con in territorio. Se infatti le A.I. hanno lo scopo di far ricadere sul territorio circostante i vantaggi delle loro attività pubblicistiche e se, d’altra parte, lo sviluppo tecnologico richiede un contesto complesso, un “sistema d’innovazione” che non è composto solo da tecnici e laboratori, ma anche da molti altri elementi complessi, anch’essi radicati in uno specifico territorio, allora risulta facile concludere che le A.I. possono costituire la sintesi più felice di tali strumenti di stimolo per l’innovazione tecnologica. Ritornando all’impostazione tradizionale, cd. lineare, dello sviluppo tecnologico, un recente studio 9 propone la tassonomia degli strumenti utilizzabili per la promozione della domanda pubblica di innovazione, distinguendo diversi tipi di appalti pubblici innovativi a seconda di diversi criteri utilizzati; non si tratta di un’analisi giuridica, ma di una rassegna di strumenti di policy che pertanto differiscono per gli obiettivi più che per gli aspetti procedurali. Elemento comune a tutti gli appalti innovativi deve essere l’assumere ad oggetto il raggiungimento di una determinata finalità che al momento non è soddisfatta dai prodotti presenti sul mercato, ma che può esserlo, in un tempo ragionevole, attraverso un prodotto nuovo. La prima ipotesi esaminata è quella dell’appalto aperto all’innovazione, che consiste nell’appalto il quale consente agli offerenti di introdurre elementi di innovazione nell’offerta, anche se l’innovazione non è elemento necessario, ma è favorito e consente di ottenere un punteggio più alto in sede di valutazione dell’offerta. In termini giuridici, si può pensare all’appalto che consente varianti in sede di offerta oppure 8 Edler, Georghiou, Public procurement and innovation-resurrecting the demand side, in Research Policy, 2007, 36, p. 953. In termini del tutto analoghi Veiko Lember, Rainer Kettel, Tarmo Kalvet, Introduction, in Veiko Lember, Rainer Kettel, Tarmo Kalvet (a cura di), Public Procurement, Innovation and Policy, Springer Verlag, Berlin Heidelberg, 2014, p. 2, secondo i quali l’appalto innvoativo si verifica quanto “a public agency places an order for product (goods, services or systems) that do not yet exists, but that could probably be developed within a reasonable period of time based on additional or new innovative work”. 9 Edler, cit, p. 6-10. 50 federalismi.it - ISSN 1826-3534 |numero speciale. 4/2019 alle forme di appalto flessibile, come la negoziazione o il dialogo competitivo. Vi è poi l’ipotesi di appalto pre-commerciale, che però – secondo la tesi dell’autore citato, che pare pienamente condivisibile – non consiste in un vero appalto innovativo in quanto comporta l’acquisto di servizi di ricerca e sviluppo ma non di un prodotto innovativo, né l’acquisto di un ampio numero di prodotti innovativi né tantomeno comporta la commercializzazione di un prodotto10. Infine vi è l’appalto innovativo in senso proprio, il quale comporta appunto la soddisfazione di un’esigenza della pubblica amministrazione non soddisfabile con la tecnologia presente sul mercato al momento di pubblicazione del bando. Esso può ancora distinguersi in appalto innovativo diretto o catalitico: nel primo caso l’oggetto dell’appalto risponde ad una esigenza propria solo dell’amministrazione che procede e che sarà l’unico acquirente, mentre il secondo presuppone che il bene o il servizio innovativo oggetto dell’appalto possano poi essere acquistati da numerosi altri soggetti, pubblici o privati. Secondo un altro criterio, l’appalto innovativo può distinguersi in incrementale o radicale, a seconda se il prodotto o il servizio richiesti comportino una innovazione incrementale o radicale, per la cui definizione si rinvia alle pagine precedenti. Infine, l’appalto innovativo può anche essere classificato a seconda del livello di collaborazione richiesta tra l’appaltante e l’appaltatore, ma anche con altre istituzioni come per esempio i centri di ricerca o gli enti locali. Tale ultima qualificazione- che si ricollega al modello olistico del “sistema d’innovazione” presenta interessanti profili nell’ambito della ricerca sulle Anchor Institutions le quali infatti possono giocare non solo il ruolo di appaltanti, ma anche di terzi interessati e partecipanti al procedimento dell’appalto innovativo, al fine di radicare i risultati sul territorio di competenza. La varietà di modelli teorici con i quali è possibile realizzare una politica dell’innovazione tramite la domanda pubblica trova una conferma empirica nella eterogenea casistica di tali appalti descritti negli studi in materia11, con riferimenti a Stati assai diversi tra di loro in termini di sistemi giuridici, che però tutti perseguono i medesimi fini sopra elencati. In termini generali, si può rilevare che il ricorso agli appalti pubblici per l’innovazione, intesi in senso atecnico, è un fenomeno che ha recentemente subito un forte impulso in molti Stati caratterizzati da diversi sistemi giuridici ed economici, come anche da parte delle più rilevanti istituzioni economiche internazionali12. Pur non essendo possibile in questa sede svolgere una approfondita analisi comparatistica dei diversi modelli con i quali vengono realizzati gli appalti per l’innovazione, ci si può comunque riferire ad una Charles Edquist, Jon Mikel Zabala-Iturriagagoitia, Pre-commercial procurement: a demand o supply policy instrumenti in relation to innovation? in R&S Management, 2015, p. 147-160. 11 Tra i più recenti, oltre a quello di Edler già citato, si veda anche: Veiko Lember, Rainer Kettel, Tarmo Kalvet (a cura di), Public Procurement, Innovation and Policy, Springer Verlag, Berlin Heidelberg, 2014. 10 51 federalismi.it - ISSN 1826-3534 |numero speciale. 4/2019 ricerca svolta in tal senso13, in esito alla quale sono stati individuati tre principali modelli: quello svedese, quello giapponese e quello statunitense. Il primo (svedese) è caratterizzato da una collaborazione di lungo termine tra gli enti pubblici e le principali aziende private; il secondo (giapponese) da un pesante ricorso ad appalti pubblici per l’innovazione di tipo catalitico (cioè finalizzati non alle specifiche esigenze della stazione appaltante, ma a immettere sul mercato prodotti innovativi nell’interesse generale) ed il terzo (statunitense) da programmi di appalti innovativi indirizzati principalmente al settore della difesa e caratterizzati dalla particolare attenzione alla commerciabilità dei prodotti. In realtà, il modello svedese è probabilmente sovrastimato in quanto, pur essendo stata certamente la Svezia uno dei primi Stati ad applicare in modo intensivo la tecnica dell’appalto pubblico innovativo - ed a produrre i più noti studi in materia - lo sviluppo di modello neo liberali a partire dagli anni 80 del secolo scorso ha considerevolmente ridotto la spesa pubblica disponibile per tali politiche. Solo recentemente si può assistere ad una ripresa di iniziative, comunque caratterizzate da una intensa collaborazione tra imprese ed enti pubblici nel settore dell’innovazione14. Il modello statunitense presenta invece caratteristiche peculiari e per certi aspetti controintuitive poiché il governo federale ha realizzato con il tempo una rete di appalti diretti al settore militare di estrema rilevanza economica, che è evoluto in un sistema ibrido nel quale i confini tra pubblico e privato, sicurezza e commercio, civile e militare sono diventati assai labili. Si tratta di un fenomeno assai complesso e difficilmente replicabile, che costituisce però un assai potente strumento di innovazione tecnologica nazionale15. Secondo una diversa, e più recente, ricostruzione comparatistica16, si deve innanzitutto rilevare che il ricorso agli appalti pubblici per favorire lo sviluppo dell’innovazione è una politica che non ha ad oggi grande sviluppo in termini quantitativi, nonostante l’ampia retorica a suo favore presente in tutti gli Stati ed organizzazioni internazionali. Solitamente, gli strumenti di supporto allo sviluppo tecnologico dal lato dell’offerta sono più sviluppati e comunque spesso combinati insieme a quelli dal lato della domanda come gli appalti innovativi. Inoltre, è difficile individuare modelli comuni agli Stati esaminati in quanto ciascuno opera nel suo contesto politico ed istituzionale e pertanto sviluppa politiche e tecniche di legittimazione degli appalti innovativi coerenti con la propria realtà socio-economica, che differisce da quella degli altri Stati. In un 13Edquist-Hommen, Goverment technology procurement andinnovation theory, Report to the European Commission, 1998. Max Rolfstam, Robert Agren, Public Procurement of Innovation in Sweden, in Veiko Lember et al, cit., p. 213-232. 15 Linda Weiss, US Technology Procurement inthe National Security Innovation System, in Veiko Lember et al, cit., p. 259 – 285. Si veda anche Nicholas S. Vonortas, Innovation and public procurement in the United States, in EdquistVonortas et al. cit., p. 147-178. 16 Vekko Lember, Rainer Kattel, Tarmo Kalvet, How Goverments Support Innovation Through Public Procurement: Comparing Evidence from 11 Countries, in Vekko Lember et al., cit., p. 287 – 309. 14 52 federalismi.it - ISSN 1826-3534 |numero speciale. 4/2019 paio di casi, addirittura, (Estonia e Hong Kong) gli appalti pubblici sono esplicitamente finalizzati al solo perseguimento della massima efficienza, senza obiettivi secondari. Ciò nonostante, è possibile distinguere tra gli appalti innovativi indirizzati allo sviluppo tecnologico industriale, quelli che invece sono finalizzati a potenziare la politica di R&S e quelli di tipo generico, cioè strumentali al perseguimento di altre finalità pubbliche settoriali (ambiente, difesa, salute), coerenti con le specifiche esigenze della realtà socio-economica dello Stato di riferimento. A fronte di questa ampia letteratura comparatistica non-giuridica in materia di appalti innovativi, colpisce l’assenza di studi giuridico-comparatistici che pure potrebbero avere ampio spazio proprio nell’esaminare le diverse tecniche e le soluzioni legali per coniugare le esigenze di celerità e di flessibilità con i principi di trasparenza, par condicio, concorrenza ed efficienza della Pubblica Amministrazione. 3. Le origini degli appalti innovativi nel diritto europeo: le direttive appalti del 2004 e la Comunicazione della Commissione del 14 dicembre 2007 La politica europea a favore dell’innovazione, pur essendo presente fin dagli inizi in relazione a scopi più ampi di tipo economico e sociale, ha avuto il suo più completo riconoscimento con la strategia di Lisbona17 lanciata nel 2000 e fondata sulla consapevolezza del ritardo europeo nel finanziamento alla R&S rispetto agli Stati Uniti ed al Giappone. Nel 2003 la Commissione identifica per la prima volta gli appalti pubblici come una misura diretta per stimolare la ricerca18 e tale approccio viene sviluppato nel rapporto della Commissione Kok19. Si comprende allora come le Direttive 2004/18/CE e 2004/17/CE abbiano introdotto nel diritto europeo uno strumento giuridico finalizzato ad utilizzare la domanda pubblica per sostenere lo sviluppo tecnologico attraverso gli appalti. Si tratta dei cosiddetti “appalti pre-commerciali”, collocati al di fuori della direttiva stessa in quanto, come spiegato dal considerando n. 23, la promozione della ricerca e della sviluppo tecnologico, di cui all’articolo 163 del Trattato, costituisce uno dei mezzi per potenziare le basi scientifiche e tecnologiche della Comunità e dunque il cofinanziamento dei programmi di ricerca non deve essere oggetto della direttiva stessa, a condizione che i contratti di ricerca non siano interamente retribuita dall’amministrazione ed utilizzata esclusivamente dalla stessa amministrazione aggiudicatrice. L’articolo 16, comma 1, lett. f) direttiva 2004/18 esclude dall’applicazione della direttiva stessa gli appalti Conclusioni del Consiglio euroepo di Lisbona, 23 e 24 marzo 2000. Si vedano anche le Comunicazione della Commissione: “L’innovazione in una economia fondata sulla conoscenza”, COM (2000) 567 final e “Più ricerca per l’Europa. Verso il 3% del PIL”, COM (2002) 499 final 18 Comunicazione della Commissione “Investire in ricerca: un piano d’azione per l’Europa”, COM (2003) 223 final. 19 Report to the European Commission from an Independent Expert Group, Raising EU R&D Intensity: Improving the Effectiveness of Public Support Mechanism for Private Sector Research and Development: Direct Measures, 2003. 17 53 federalismi.it - ISSN 1826-3534 |numero speciale. 4/2019 per servizi di ricerca e sviluppo “diversi da quelli i cui risultati appartengono esclusivamente all’amministrazione aggiudicatrice perché li usi nell’esercizio della sua attività, a condizione che la prestazione del servizio sia interamente retribuita da tale amministrazione”. La direttiva ha dunque voluto incentivare il cofinanziamento della ricerca, ritendo prevalente l’interesse alla promozione di tale attività di sviluppo tecnologico rispetto all’esigenza di promozione della concorrenza che caratterizza la disciplina sugli appalti. Come si vede, non si tratta ancora di una ipotesi di appalto per l’innovazione, come definito dalla letteratura internazionale riportata nel paragrafo precedente, ma, appunto, di un modo favorire il cofinanziamento della ricerca e dunque, in ultima analisi, ancora di uno strumento supply-side. La Commissione europea, in una comunicazione del 2006 sulla strategia dell’innovazione per l’UE20, afferma che: “rappresentano un’opportunità che in Europa non è stata ancora esplorata dai pubblici poteri. Negli Stati Uniti, ad esempio, questo tipo d’appalto ha un ruolo importante nell’economia, non soltanto per quanto riguarda l’innovazione nei settori della difesa, dello spazio e della sicurezza, ma anche in altri settori pubblici come i trasporti, la sanità, l’energia e le telecomunicazioni”. La Comunicazione prosegue poi specificando che, quando non esiste una soluzione commerciale sul mercato, l’appalto pre-commerciale può consentire alle amministrazioni di adottare soluzioni innovative elaborate in funzione delle loro necessità. Viene dunque riconosciuto in modo esplicito il riferimento al modello statunitense di finanziamento della ricerca, il che comporta una scelta non priva di significato nell’ambito dei diversi modelli disponibili sulla scena internazionale come riportati nel paragrafo precedente, anche se il riferimento non pare pienamente coerente perché, appunto, l’appalto pre-commerciale costituisce più una ipotesi di (co) finanziamento della ricerca che di appalto innovativo vero e proprio, come era allora già sviluppato negli Stati Uniti attraverso le commesse pubbliche nel settore militare e della sicurezza. Con la successiva comunicazione del 2007, esclusivamente dedicata agli appalti pre-commerciali,21 la Commissione esplicita meglio la sua politica in materia di supporto all’innovazione precisando che il campo di applicazione dell’appalto pre-commerciale è limitato alla R&S ed infatti esso può giungere fino alla predisposizione di prototipo, ma non può arrivare allo sviluppo commerciale e la produzione di massa. Lo scopo è di condividere il rischio della ricerca con le imprese private – ed in questo in effetti l’appalto pre-commerciale si distingue dal semplice finanziamento della ricerca – e deve comunque essere organizzato in modo da evitare aiuti di Stato, il che impone di rispettare i principi di trasparenza, e concorrenza nella scelta dell’impresa con cui condividere la ricerca. Come già nella Comunicazione del Comunicazione della Commissione COM (2006) 502 definitivo “Mettere in pratica la conoscenza: un’ampia strategia dell’innovazione per l’UE”, del 13 settembre 2006. Gli appalti sono trattati al par. 2.6. 21 Comunicazione della Commissione COM (2007) 799 definitivo “Appalti pre-commerciali: promuovere l’innovazione per garantire servizi pubblici sostenibili e di elevata qualità in Europa”, del 14 dicembre 2007. 20 54 federalismi.it - ISSN 1826-3534 |numero speciale. 4/2019 2006, la Commissione – prendendo atto della scarsa esperienza europea in merito - si richiama al modello statunitense (ma cita anche il caso cinese e giapponese), rilevando che esso è in effetti prevalentemente riferito al settore della sicurezza e dell’aerospazio, ma che anche tenendo solo conto dei settori diversi da sicurezza ed aerospazio l’investimento in appalti innovativi è comunque pari a quattro volte quello europeo. I settori nei quali gli appalti di R&S potrebbero intervenire sono quelli sanitario, con particolare riferimento all’impatto dell’invecchiamento, la lotta ai cambiamenti climatici, l’efficienza energetica, l’insegnamento di qualità e la sicurezza. In conclusione, la Commissione auspica un intenso ricorso all’appalto di R&S da parte delle stazioni appaltanti degli Stati membri, pur riconoscendo la necessità di un monitoraggio sugli effetti per verificare se lo strumento sia in effetti idoneo ed efficace per il raggiungimento dello scopo prestabilito. Il documento di lavoro allegato alla Comunicazione della Commissione22 fornisce una guida per lo svolgimento di un appalto pre-competitivo: si tratta di una procedura alquanto complessa, basata sul principio che, benché gli appalti precompetitivi siano sottratti all’applicazione della direttiva, essi sono comunque soggetti al Trattato e dunque ai principi di economicità, efficacia, imparzialità, parità di trattamento trasparenza e proporzionalità ed inoltre è necessario che non costituiscono un aiuto di Stato illegittimo. Il documento di lavoro prevede dunque la pubblicazione di un bando, recante la descrizione della procedura e la predefinizione dei criteri, mentre consente che non sia specificato il prezzo. Occorre infine segnalare che le Direttive Appalti del 2004 hanno anche introdotto o riformulato alcuni moduli procedimentali che possono essere definiti “innovation friendly” nel senso che, pur non essendo esplicitamente pensati e costruiti per stimolare l’innovazione tecnologica, ammettono comunque che l’innovazione possa esser persa in considerazione come elemento di valutazione. Essi sono: - le indagini di mercato pre-gara ed il dialogo tecnico, per i quali è necessario evitare ogni alterazione della simmetria informativa necessaria per garantire la parità di trattamento in fase di gara; - i concorsi di progettazione; - il dialogo competitivo; - la possibilità di inserire varianti in fase di presentazione dell’offerta. 4. Le direttive appalti del 2014 Esponendo la Strategia per il 2020, la Commissione ha inserito nei sette obiettivi da raggiungere quello della “Innovation Union”, specificando l’importanza del ricorso alle politiche di supporto dell’innovazione Commission staff working document – Accompanying document to the Communiation on Pre-commercial Procurement – example of a possible approach for procuring R&D services applying risk-benefit sharing at market conditions, i.e. pre-commercial procurement. 22 55 federalismi.it - ISSN 1826-3534 |numero speciale. 4/2019 dal lato della domanda e facendo riferimento all’enorme potenziale degli appalti pubblici, il cui valore si attesta intorno al 17% del PIL23. La Comunicazione lamenta ancora uno scarso ricorso a tali forme di finanziamento dell’innovazione, nonostante le lodevoli ma isolate iniziative di alcuni Stati Membri, ed annuncia il potenziamento degli strumenti giuridici a disposizione in materia di appalti, lanciando l’idea di Partnerships per l’innovazione (punto 7). Sulla scia della strategia per l’Innovation Union ed in previsione dell’emanazione delle nuove direttive sugli appalti pubblici, la Commissione ha richiesto alcuni studi ed ha lanciato una consultazione pubblica, sulla base del Libro verde sulla modernizzazione degli appalti pubblici24 pubblicato nel 2011. I punto 4.3 del Libro Verde affronta il tema dell’innovazione e, dopo aver elencato gli strumenti a disposizione delle stazioni appaltanti per stimolare l’innovazione, primo fra tutti l’appalto pre-commerciale per l’acquisto di servizi di R&S, prende atto che soltanto una quota molto bassa di appalti mira a promuovere l’innovazione, individuando le possibili cause nella scarsa propensione al rischio – o meglio nell’errata individuazione degli incentivi ad accettare soluzioni più rischiose – nonché nella mancanza di adeguata formazione. Al termine del paragrafo, il libro Verde formula alcuni quesiti per la consultazione, circa il possibile miglioramento degli strumenti esistenti (per esempio circa una migliore tutela dei diritti di proprietà intellettuale nel dialogo competitivo) e circa la necessità di individuare nuove procedure più idonee a stimolare lo sviluppo tecnologico. Il risultato dell’intenso lavoro preparatorio svolto dalla Commissione in previsione dell’emanazione delle nuove direttive appalti, che – come si è visto – ha riguardato anche il tema dell’innovazione, la direttiva 2014/24/UE25 contiene numerosi riferimenti alla strategia Europa 2020 ed agli appalti innovativi, che sono definiti come elementi degli appalti strategici. Si potrebbe quasi dire che gli appalti innovativi rivestono, nella direttiva 2014/24/UE, un ruolo più strategico degli altri appalti strategici, come quelli verdi e sociali, in quanto hanno una funzione strumentale rispetto agli altri obiettivi perseguibili attraverso l’uso strumentale degli appalti: nel considerando 47si parla infatti di eco-innovazione e di innovazione sociale come delle due principali manifestazioni della ricerca e dell’inno azione26. La funzione strumentale dell’innovazione rispetto agli altri obiettivi strategici degli appalti sembra però paradossalmente rimanere Commissione europea, Comunicazione: “Iniziativa faro per l’Europa 2020: L’Unione dell’Innovazione”, COM (2010) 1161 del 6 ottobre 2010. 24 Commissione Europea, Comunicazione: “Libro verde sulla modernizzazione della politica dell’UE in materia di appalti pubblici. Per una maggiore efficienza del mercato europeo degli appalti pubblici”, COM (2011) 15 definitivo, del 27 gennaio 2011. 25 In questo studio verrà presa a riferimento la direttiva 2014/24/UE, ma anche per le altre due direttive del pacchetto (la 2014/23/Ue e la 2014/25/UE) si possono svolgere considerazioni simili. 26 Luke Butler, Innovation in Public Procurement: Towards the “Innovation Union”, in François Lichère, Roberto Caranta, Steen Treumer (a cura di), Modernising Public Procurement: The New Directive, Djoef Publishing, Copenhagen, 2014, p. 337-383, 345. 23 56 federalismi.it - ISSN 1826-3534 |numero speciale. 4/2019 assorbita da questi ultimi, tanto che la direttiva si focalizza soprattutto sugli appalti verdi e sociali, forse anche in considerazione della scarsa esperienza in materia di appalti innovativi, evitando così di indicare gli appalti innovativi tra gli scopi principali della riforma apportata alla normativa appalti. Una apparente contraddizione, che costituisce però un filo rosso nella lettura in controluce della disciplina sugli appalti innovativi nella direttiva così come anche nelle norme nazionali di attuazione. La stessa direttiva, al considerando 65, riconosce che la scarsa esperienza in materia impedisce dia vere una chiara visione circa i possibili sviluppi nel settore degli appalti innovativi e che un processo di apprendimento istituzionale è estremamente necessario per attivare tale politica. Sono poi numerosi i riferimenti negli altri considerando alla politica sull’innovazione anche in relazione ad altre parti della direttiva, così da dare l’impressione che la tensione verso l’innovazione pervada l’intera struttura della nuova disciplina europea sugli appalti pubblici. La direttiva fornisce peraltro una chiara definizione di innovazione all’articolo 2, comma 1, n 22 (mentre non la fornisce invece per la Ricerca e Sviluppo, che pure costituisce l’elemento essenziale degli appalti pre-competitivi):”L’attuazione di un prodotto, servizio o processo nuovo o significativamente migliorato, tra cui, ma non solo, un nuovo metodo di commercializzazione o organizzativo nelle prassi commerciali, nell’organizzazione del posto di lavoro o nelle relazioni sterne, tra l’altro allo scopo di contribuire ad affrontare le sfide per la società o a sostenere la strategia Europa 2020 per una crescita intelligente, sostenibile e inclusiva”. Rispetto alle definizioni più comuni nella letteratura internazionale, riportate nei paragrafi precedenti, colpisce la mancanza di riferimenti alla immediata commercializzazione ed alla possibilità di realizzazione in tempi brevi, che però potrebbero ritenersi inclusi nel ricorso al termine “prodotto, servizio o processo” se intesi come beni oggetto di commercializzazione. Le contraddizioni che traspaiono dalla lettura dei considerando si ritrovano nel contenuto della parte normativa della direttiva, la quale disciplina all’articolo 31 il partenariato per l’innovazione e all’articolo 14 per gli appalti cd. pre-commerciali, la cui denominazione normativa è in realtà quella di appalti per servizi di ricerca e sviluppo. Prima di analizzare nel dettaglio i due istituti, preme mettere in rilievo alcuni aspetti critici, di carattere sistematico, derivanti dal rapporto tra di essi. Una prima contraddizione, che è stata subito messa in evidenza dai primi commentatori, 27 riguarda la qualificazione stessa degli appalti pre-commerciali come appalti per l’innovazione. Data la definizione di innovazione riportata dall’articolo 2, comma 1, n. 22, è ragionevole ritenere che gli appalti precommerciali non rientrino tra gli strumenti per l’innovazione perché, come anche stabilito dalla Comunicazione della Commissione del 2007, essi si fermano alla produzione del prototipo e non arrivano 27 Butler, cit., p. 351-353. 57 federalismi.it - ISSN 1826-3534 |numero speciale. 4/2019 alla commercializzazione, la quale infatti non gode dell’esenzione dall’applicazione della direttiva ma è ad essa soggetta. Il considerando 47 pare confermare tale interpretazione, là dove afferma che, pur rimanendo sempre disponibili gli appalti pre-commerciali, la direttiva “dovrebbe anche contribuire ad agevolare gli appalti pubblici nel settore dell’innovazione e aiutare gli Stati membri nel raggiungimento degli obiettivi dell’Unione in questo ambito”. L’argomento è poi sviluppato nel considerando 49, il quale afferma che se l’esigenza di sviluppare prodotti, servizi o lavori innovativi può essere soddisfatta con gli strumenti già a disposizione con la precedente direttiva, è però necessario individuare una procedura di appalti specifica per gli appalti che rientrano nella direttiva, e cioè per l’acquisto (e non solo lo sviluppo) di prodotti e servizi innovativi. A tal fine viene proposto lo strumento del partenariato per l’innovazione “per lo sviluppo e il successivo acquisto di prodotti, servizi o lavori caratterizzati da novità e innovazione, a condizione che tale prodotto o servizio possa essere fornito o tali lavori possano essere effettuati nel rispetto dei livelli di prestazione e dei costi concordati, senza bisogno di una procedura d’appalto distinta per l’acquisto” (sottolineatura nostra). Il testo del considerando 49 mette allora in rilievo una seconda contraddizione: se il partenariato per l’innovazione comprende sia lo sviluppo che l’acquisto di prodotti innovativi, esso va a sovrapporsi all’appalto pre-commerciale, il quale si limita allo sviluppo, o meglio all’acquisto di servizi di R&S, finalizzati allo sviluppo di un prodotto o servizio innovativo. La preesistenza dell’appalto precommerciale può forse giustificare il suo affiancamento al partenariato per l’innovazione che, in realtà, ben potrebbe da solo soddisfare sia l’esigenza di sviluppo che quella di acquisto perché entrambe le comprende. La Guida redatta dalla Commissione europea sulla riforma degli appalti pubblici, alla scheda n. 9 dedicata alla innovazione, afferma che gli appalti pubblici pre-commerciali e il partenariato per l’innovazione sono due approcci alternativi che rispondo ad esigenze diverse, in quanto il partenariato per l’innovazione è una procedura di gara che interessa sia la ricerca e lo sviluppo sia la commercializzazione su grande scala di prodotti finiti ed è soggetto alla direttiva, mentre gli appalti pubblici pre-commerciali riguardano soltanto i servizi di ricerca e sviluppo e costituiscono una esenzione che esula dal campo di applicazione della direttiva, tanto che per il successivo acquisto di soluzioni innovative è necessario ricorrere a procedure di gara distinte, come la procedura aperta o il dialogo competitivo. È però stato notato che non si comprende bene quale sia la differenza, sempre che ve ne sia una, tra la fase di ricerca e sviluppo nell’ambito del partenariato per l’innovazione e quella dell’appalto precommerciale28; e se non vi fosse differenza, realizzandosi così una completa sovrapposizione, ci si deve allora chiedere quale sia la ratio di attivare una procedura di ricerca e sviluppo anziché il partenariato per 28 Butler, cit., 359. 58 federalismi.it - ISSN 1826-3534 |numero speciale. 4/2019 l’innovazione. La maggiore criticità della procedura di ricerca e sviluppo consiste infatti proprio fase successiva, presupposta ma non regolamentata in modo esplicito, cioè nell’acquisto sul mercato della soluzione innovativa emersa a seguito della ricerca: non è chiaro in che modo possa svolgersi una procedura di gara per l’acquisto della soluzione innovativa nel rispetto della par condicio, se tale gara è stata preceduta da una fase di ricerca e sviluppo cofinanziata ed affidata al di fuori delle procedure previste dalla direttiva, a meno che l’impresa cofinanziatrice dello sviluppo sia esclusa dalla successiva procedura di gara, ma in tal caso – peraltro non previsto esplicitamente dalla direttiva – potrebbe venire frustrato il risultato stesso dell’attività di ricerca e sviluppo. Se poi si esamina nel dettaglio la procedura per l’affidamento dei servizi di ricerca e sviluppo, emergono altre criticità puntualmente rilevate dalla dottrina29. In primo luogo, come già rilevato, manca una definizione di ricerca e sviluppo che stabilisca i confini oggettivi dei servizi cui si applica l’articolo 14; è pur vero che tale definizione è invece presente nella direttiva sugli appalti militari 30 (che a sua volta non contiene invece una definizione di innovazione), ma non pare ragionevole fare riferimento a tale definizione data la sostanziale differenza dei contesti delle due direttive. Ci si deve poi chiedere se l’esenzione dalla procedure di appalti per i servizi di ricerca e sviluppo sia compatibile con gli obblighi internazionali assunti dall’Unione europea, primo fra tutti quello con il WTO attraverso la sottoscrizione del trattato sugli appalti pubblici (GPA), che non contiene alcuna esenzione di tal genere. Infine non si deve sottovalutare il possibile abuso dell’esenzione in oggetto, attraverso l’espansione del concetto di ricerca sviluppo – tanto più che esso non è definito dalla direttiva- per farvi ricomprender anche casi non propriamente rientranti in esso. La preoccupazione in tal senso è espressa dal considerando n. 35, ma non viene poi tradotta nella parte normativa della direttiva con precise disposizioni, come accade invece nella direttiva per gli appalti della difesa. Il partenariato per l’innovazione, disciplinato all’articolo 31 della Direttiva 2014/24/UE, consiste in una procedura nuova, non presente nelle precedenti direttive, appositamente disegnata per favorire l’innovazione tecnologica attraverso la domanda pubblica. L’effettiva novità del partenariato per l’innovazione è discussa: mentre per alcuni esso è considerato la più importante novità della direttiva31, altri commentatori32 sottolineano che esso non conferisce un nuovo strumento alle stazioni appaltanti, Butler, cit., p. 357-361. Direttiva 2009/81/CE, art. 1, punto 27 31 Anca Ramona Apostol, Pre commercial procurement in support of innovation: regulatory effectiveness?, Public Procurement law review, 2012, p. 213-225. 32 Pedro Cerqueira Gomez, Innovative Innovation Partnership under the Public Procurement Directive, Public Procurement Law Review, 2014, p. 211-218. Sul partenariato per l’innovazione si veda anche: Marta Andrecka, Innovation partnership inthe new public procurement regime- a shift of focus from procedural to contractual issues? Public Procurement law 29 30 59 federalismi.it - ISSN 1826-3534 |numero speciale. 4/2019 limitandosi a specificare quanto già era possibile fare con gli strumenti del dialogo competitivo e della procedura negoziata. Per la verità occorre segnalare che la Corte di Giustizia, in un caso deciso sotto la vigenza delle precedenti direttive33, ha statuito l’illegittimità di una procedura seguita da una stazione appaltante francese e molto simile all’attuale partenariato per l’innovazione, in quanto prevedeva una prima fase di selezione del progetto di innovazione ed una seconda fase per l’attribuzione del contratto di esecuzione dei risultati della fase precedente al medesimo vincitore. Pur avendo la Francia sostenuto che si trattava di una procedura di dialogo competitivo, la Corte ha ritenuto che quell’istituto non fosse applicabile in quanto esso si riferisce all’aggiudicazione di un solo contratto, mentre nel caso in questione ne venivano aggiudicati due: uno per la ricerca dell’innovazione e l’altro per la sua esecuzione. Secondo la direttiva, il partenariato per l’innovazione è una procedura che può essere scelta dalla stazione appaltante quando essa deve soddisfare un’esigenza di prodotti o servizi o lavori innovativi che non può essere soddisfatta acquistando prodotti, servizi o lavori disponibili sul mercato. In effetti, in tali termini l’ambito di applicazione della procedura non pare nettamente distinguibile da quello del dialogo competitivo o della procedura negoziata, ma si può sostenere, per attribuire una specificità all’istituto coerente con la sua collocazione e la sua denominazione, che esso sia utilizzabile tutte le volte che si pone la necessità di svolgere una previa attività di ricerca e sviluppo, anche in considerazione del fatto che la selezione dei candidati deve essere svolta tenendo conto della loro capacità di svolgere attività di ricerca e sviluppo nonché di sviluppare ed implementare soluzioni innovative34 (il che pone a sua volta il problema della distinzione rispetto al partenariato per l’innovazione, esaminato sopra). La procedura si compone di tre fasi35: - la fase di selezione all’inizio della procedura e consiste nella selezione di uno o più partner in possesso dei requisiti richiesti, tra i quali in particolare la capacità a svolgere attività di ricerca e sviluppo; - la seconda fase, durante la quale il partener o i partner selezionati sviluppano la nuova soluzione richiesta in collaborazione con l’acquirente pubblico. Tale fase può essere review, 2015, 48-62 e Pedro Telles, Luke Butler, Public Procedure Award Procedures in Directive 2014/24/EU, in Lichère,Caranta,Treumer, cit., p. 131-183, in particolare p. 160-180. 33 CGUE, caso C-229/08, Commissione c. Francia. 34 Come suggerito da Telles e Butler, cit., p. 162. 35 Commissione europea, Comunicazione “Orientamenti in materia di appalti per l’innovazione”, C (2018) 3051 finale, del 15 maggio 2018, p. 49-50. 60 federalismi.it - ISSN 1826-3534 |numero speciale. 4/2019 ulteriormente distinta in sub-fasi e si può anche prevedere che il numero di partner venga ridotto nel passaggio delle sub-fasi; - la fase finale, detta anche fase commerciale, durante la quale viene realizzato il prodotto o il servizio risultante dall’attività di ricerca e sviluppo svoltasi durante la seconda fase. Uno degli aspetti più interessanti della suddivisione in più segmenti della procedura di selezione consiste nella possibilità per la stazione appaltante di svolgere un’attività di cherry picking, cioè di individuare le parti migliori delle diverse offerte per metterle insieme e costruire così una offerta ideale, da sottoporre poi all’offerta finale dei partecipanti. Tuttavia, tale possibilità è comune alle altre procedure simili come il dialogo competitivo e la procedura negoziata e ne condivide anche i limiti, consistenti nella necessità di rispettare la par condicio ed i segreti commerciali ed industriali dei partecipanti. 36 Di particolare interesse le disposizioni sul partenariato per l’innovazione che riguardano la fase dell’esecuzione e della risoluzione del contrato, le quali in effetti non si trovano nelle procedure simili che sono soggette alla regolamentazione europea solo fino all’aggiudicazione.37 L’esecuzione del contratto deve svolgersi in fasi successive, per ciascuna delle quali è previsto uno specifico obiettivo da raggiungere e la stazione appaltante può anche decidere di terminare la procedura nel caso in cui non venga raggiunto l’obiettivo. È anche prevista la facoltà, nel caso in cui siano stati ammessi alla procedura più operatori economici, di formulare la fase di esecuzione per successive riduzioni del numero dei partecipanti, fino alla individuazione di uno solo che dovrà terminare la ricerca e sviluppo e procedere con la realizzazione del bene o del servizio. Questa previsione, se da una parte costituisce la cifra caratteristica del partenariato per l’innovazione e consente grande flessibilità, può peraltro prestare il fianco alle critiche di chi la considera una norma di facile contestazione alla luce del principio di par condicio il quale richiede la previa determinazione dei criteri oggettivi per la selezione o la terminazione del contratto.38 Infine, il partenariato per l’innovazione, come peraltro anche il dialogo competitivo, pone seri problemi di tutela della proprietà intellettuale, che non sono risolti dal dettato normativo: esso infatti si limita a stabilire che la stazione appaltante deve stabilire le regole di protezione della proprietà intellettuale, lasciando così ad essa l’onere di individuare il corretto bilanciamento tra le esigenze della procedura e quelle degli operatori economici partecipanti. Sul punto si vedano le interessanti considerazioni di Andrecka, cit., p. 56 – 58. Telles e Butler, p. 169 – 173. 38 Telles e Butler, cit., p. 169-173. 36 37 61 federalismi.it - ISSN 1826-3534 |numero speciale. 4/2019 Il giudizio complessivo sulla nuova procedura del partenariato per l’innovazione non può che essere provvisorio, in attesa di una verifica sul campo da parte degli operatori e di eventuali interventi giurisprudenziali39. Fatta questa premessa, si possono certamente individuare alcuni aspetti critici: in primo luogo, la struttura della procedura non pare particolarmente incentivante per le stazioni appaltanti che non risulterebbero stimolate ad applicarla: a fronte di una notevole incertezza normativa ed applicativa, esse infatti potrebbero optare per l’acquisto di beni e servizi già esistenti sul mercato. Si possono inoltre verificare effetti anticompetitivi sotto tre diversi aspetti: da una parte l’estrema flessibilità nella determinazione dei criteri e dei segmenti di esecuzione della procedura potrebbe consentire alle stazioni appaltanti di introdurre specifiche tecniche tendenti a favorire imprese nazionali; dall’altra parte, potrebbe creare situazioni di lock-in a favore dell’operatore economico vincitore della procedura e, in terzo luogo, potrebbe attribuire al vincitore un eccessivo vantaggio sul mercato, se esso non è vincolato alla vendita alla sola stazione appaltante, ma è autorizzato a vendere sul mercato, potendo così avvalersi di una sovvenzione indiretta. Infine, per quanto riguarda la struttura stessa della procedura, se essa supera le difficoltà inerenti all’appalto precompetitivo perché unisce in un solo contratto la fase di ricerca e sviluppo e quella di acquisto del bene o servizio, dall’altra parte impone alla stazione appaltante di avviare una procedura per l’acquisto di un bene o servizio che potrebbe anche non venire mai in esistenza, richiedendo così in capo alla stazione appaltante una certa propensione al rischio. Proprio quest’ultima riflessione ha indotto alcuni autori40 a formulare un cauto ottimismo circa la diffusione del partenariato per l’innovazione ed i suoi effetti positivi: ciò può accadere quando lo strumento in oggetto sia attivato da stazioni appaltanti di grandi dimensioni ed in quanto tali dotate di specifiche competenze sia tecnologiche che giuridiche, nonché di una ragionevole propensione al rischio.41 Nel proseguire tale riflessione, si può affermare che le Anchor Institutions risulterebbero dunque particolarmente adatte a superare le difficoltà evidenziate nell’analisi dei partenariati per l’innovazione ed, anzi, per coglierne tutti i potenziali benefici, essendo dotate di personale con notevole competenza nel settore e di una ragionevole propensione al rischio derivante dalle loro dimensioni. Sul sito www.procuraplus.org/awards sono riportati gli appalti innovativi premiati dalla commissione europea in relazione a diverse categorie ed è dunque possibile avere una prima indicazione delle iniziative in materia. Peraltro il sito non si limita agli appalti innovativi in senso stretto – appalti precompetitivi e partenariati per l’innovazione – ma comprende ogni forma di appalti che contenga un qualche elementi di innovazione, inclusi gli appalti con varianti in fase di progettazione, sicché non è facile individuare quelli che interessano in questa sede. 40 Telles e Butler, cit., p. 180. 41 Il discorso dovrebbe quindi spostarsi sul tema dell’interazione tra appalti innovativi e centrali di committenza, le quali ultime costituiscono un’altra delle principali innovazioni delle nuove direttive appalti, ma in questa sede non può essere approfondito per carenza di spazio. 39 62 federalismi.it - ISSN 1826-3534 |numero speciale. 4/2019 Bisognerebbe però esplorare gli strumenti a disposizione delle A.I. per mantenere sul territorio gli effetti positivi del partenariato per l’innovazione, che potrebbero andare dall’utilizzo dell’innovazione tecnologica sul proprio territorio di riferimento (tramite accordi per l’esclusiva di utilizzo) all’attrazione delle imprese innovative tramite l’inserimento nel contratto di forme di collaborazione in fase di esecuzione, anche attraverso l’offerta di laboratori ed altre strutture a disposizione A.I. 5. Il codice dei contratti pubblici italiano (D. Lgs. 50/2016), le (scarse) iniziative in Italia ed il ruolo dell’AGID Il codice dei contratti pubblici italiano è stato approvato con D. Lgs. 50/2016 in forza della legge delega 11/2016, per l’attuazione delle direttive appalti del 2014. In relazione agli appalti innovativi – e dunque in particolare in relazione agli appalti precompetitivi ed al partenariato per l’innovazione – il D. Lgs. 50/2016 si limita a riportare il contenuto della direttiva: per gli appalti pre-commerciali nell’articolo 158 e per il partenariato per l’innovazione all’articolo 65. In assenza di giurisprudenza rilevante, ci si può dunque richiamare alle osservazioni sopra svolte in merito al testo della Direttiva. Appare però interessante, anche in relazione al tema dei possibili interventi da parte delle Anchor Institutions, tentare una breve panoramica di tipo empirico sullo stato di realizzazione degli appalti innovativi in Italia. A tal fine la fonte migliore risulta essere il sito www.appaltinnovativi.gov, gestito dell’Agenzia per l’Italia Digitale (AGID), il quale si propone tra l resto di fornire un censimento aggiornato degli appalti innovativi. Poiché non esiste un obbligo di segnalazione all’AGID degli appalti innovativi e poiché, d’altra parte, il sito intende recensire non solo gli appalti esplicitamente innovativi – servizi di ricerca e sviluppo e partenariato per l’innovazione – ma anche le altre forme di appalto che consentono l’innovazione, come il dialogo competitivo o gli appalti con varianti in sede di offerta, è evidente che esso non può garantire la completezza dei dati raccolti, ma fornisce comunque alcune indicazioni significative. Il dato che più colpisce è che dal 2012 ad oggi sono state censite 57 “sfide” per un valore complessivo di 389 milioni di €. Anche se si può notare un forte aumento delle sfide nel 2017-18 (rispettivamente 23 e 16 sfide), si tratta con tutta evidenza di un numero insignificante rispetto al potenziale di appalti innovativi esistente in Italia. Per quanto riguarda i settori, la grande maggioranza di sfide è stata realizzata nell’ambito della salute e qualità della vita (25), seguita dall’Agenda digitale e Smart Communities (14) e dall’energia e ambiente (11). Se poi si esaminano gli strumenti giuridici cui si è fatto ricorso con maggiore frequenza, si può vedere che l’appalto pre-commerciale è di gran lunga quello più utilizzato (ma non è dato sapere 63 federalismi.it - ISSN 1826-3534 |numero speciale. 4/2019 se poi esso è stato seguito da una procedura di acquisto dei beni o servizi risultanti dall’attività di ricerca e sviluppo), mentre il partenariato per l’innovazione risulta essere stato utilizzato in pochi casi. A fronte di questa situazione, si possono rilevare alcune iniziative istituzionali volte a stimolare la crescita degli appalti innovativi. Nel giugno del 2018 è stato firmato un protocollo di intesa tra Confindustria, Conferenza delle Regioni e delle Provincie Autonome, AGID e Istituto per l’innovazione e trasparenza degli appalti e la compatibilità ambientale ( ITACA), per la costituzione di un Comitato di coordinamento avente lo scopo di instaurare un rapporto di collaborazione per promuovere la conoscenza e favorire l’utilizzo dell’appalto pre-commerciale quale strumento per l’esecuzione di attività di ricerca e sviluppo, nonché degli altri strumenti previsti dalle direttive europee (partenariato per l’innovazione), al fine di sostenere l’innovazione dell’offerta di mercato e mantenere e incrementare la presenza sul territorio di significative competenze di ricerca ed innovazione industriale. Il Comitato di coordinamento, che è diventato operativo nell’autunno 2018, ha individuato due line di intervento prioritarie consistenti nell’organizzazione di una serie di eventi aperti alle imprese ed alle stazioni appaltanti per diffondere la cultura dell’appalto innovativo, nonché nella predisposizione di attività di formazione, offerta sia alla platea degli operatori in materia di appalti, sia più specificamente ai RUP operanti nelle centrali di committenza, allo scopo di diffondere la conoscenza delle conoscenze giuridiche e gestionali necessarie per la diffusione degli appalti innovativi. In data 20 marzo 2019 è stato pubblicato sulla GU il decreto MISE del 31 gennaio 2019 per l’attuazione di bandi di domanda pubblica intelligente. Tale decreto prevede lo stanziamento di 50 milioni di € “per sostenere le imprese ed altri operatori economici, anche in collaborazione con organismi e/o centri di ricerca, nello svolgimento delle attività inerenti allo sviluppo, alla prototipazione e alla sperimentazione di nuove soluzioni utili a soddisfare i «fabbisogni smart» del Paese”. L’attuazione del decreto dovrà avvenire attraverso la pubblicazione di bandi di gara “emanati in conformità al modello ed alla relativa disciplina degli appalti di innovazione e/o pre-commerciali”. A tal fine, nel luglio 2019, il MISE ha sottoscritto una convenzione con AGID alla quale ha conferito la funzione di stazione appaltante per l’emanazione dei bandi di cui all’articolo 2 del decreto citato. È dunque verosimile che a breve vengano pubblicati bandi per appalti di innovazione in numero e per importi significativi. Un’ultima considerazione può essere svolta in relazione alla possibile interazione tra il discorso fin qui sviluppato in merito agli appalti innovativi, da una parte, ed il patrimonio di ricerca pubblica dall’altra. Mentre si assiste ad una accelerazione delle iniziative per stimolare la domanda pubblica di soluzioni innovative nei confronti delle imprese private, si moltiplicano dall’altra parte le iniziative tese a valorizzare i risultati della ricerca pubblica al fine di farla conoscere alle imprese perché ne possano trarre tutti i 64 federalismi.it - ISSN 1826-3534 |numero speciale. 4/2019 possibili vantaggi (incubatori delle Università, centri di competenza e financo iniziative di fondi di investimento per la ricerca pubblica). Mettendo insieme questi due fenomeni, che paiono al momento muoversi in modo autonomo e del tutto scoordinato, si potrebbe pensare ad una collaborazione pubblico/pubblico, eventualmente anche ai sensi dell’articolo 5 comma 6 del codice dei contratti pubblici in tema di accordi tra amministrazioni aggiudicatrici. 65 federalismi.it - ISSN 1826-3534 |numero speciale. 4/2019 Notizie sugli Autori  Roberto Caranta è Professore ordinario di Diritto amministrativo presso l’Università degli studi di Torino;  Mario E. Comba è Professore ordinario di Diritto pubblico comparato presso l’Università degli studi di Torino;  Anna Maria Poggi è Professore ordinario di Istituzioni di diritto pubblico presso l’Università degli studi di Torino;  Natalia Spataru è Dottoressa magistrale in European Legal Studies;  Giuseppe Valditara è Professore ordinario di Diritto romano e diritti delle antichità presso l’Università degli studi di Torino. 66 federalismi.it - ISSN 1826-3534 |numero speciale. 4/2019 Numero speciale / Special Issue 4/2019 23 settembre 2019 67 federalismi.it - ISSN 1826-3534 |numero speciale. 4/2019