ROBERTO REGOLI
I PAPI NEL RISORGIMENTO
Tra Settecento ed Ottocento si ha un movimento politico europeo
eterogeneo, che porta a distinguere il potere spirituale da quello temporale. Tale distinzione passa per l’estinzione del dominio temporale
della Chiesa, tanto nel suo centro romano, quanto nella compagine
ecclesiale cosiddetta periferica, quali i principati ecclesiastici dell’Europa centrale.
Tale processo raggiunge il suo epigono nella penisola italiana
nei continui cambiamenti geopolitici, che portano alla costituzione
del Regno d’Italia (17 marzo 1861) e alla dissoluzione dello Stato
Pontificio. Le fasi del processo partono dal 1798, per concludersi
provvisoriamente nel 1870 e poi nel 1929 (11 febbraio), tramite i Patti
Lateranensi.
Il Papato, nei suoi papi, nella sua Curia, nella sua rete diplomatica, nei laici della classe dirigente a lui legati e non solo, interviene
nel processo appena accennato, tentando di ostacolarlo e rallentarlo,
con esiti insoddisfacenti.
Si vuole qui presentare l’attitudine dei papi dell’Ottocento di
fronte al cambiamento dell’equilibrio dei rapporti tra poteri spirituale
e temporale nel mondo cattolico, in Europa e propriamente nella
penisola italiana non ancora Italia.
Qui non si vuol compiere un percorso di storia dei papi, che si lascia al genere biografico, quanto di storia del Papato, cioè storia istituzionale, di progetti politici, pastorali, di idealità evangeliche e di spinte
spirituali; è storia di uomini e della loro genialità e delle loro miserie.
* Il presente contributo elabora ed amplia la conferenza da me tenuta al
convegno I Cattolici e l’Unità d’Italia, organizzato dall’Arcidiocesi dell’Aquila, con
la collaborazione dell’Associazione Italiana dei Professori di Storia della Chiesa,
sotto l’Alto Patronato del Presidente della Repubblica Italiana, L’Aquila 13-14
ottobre 2011.
Archivio della Società romana di storia patria, vol. 136 (2013), pp. 139-165
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È una storia che vuole superare anche il rischio di una provincializzazione del rapporto tra Papato e società italiana, volendolo collocare
in un complesso internazionale di tensioni e di processi similari. Non
si può pensare all’unificazione italiana senza pensare alla simultanea
unificazione tedesca, al processo di indipendenza della Bulgaria e alle
tante rivoluzioni borghesi dell’Ottocento. Il Papato è inserito in questo contesto prima europeo e poi internazionale e si dimena nei suoi
tentativi di rapportarsi al nuovo mondo moderno, a volte inseguito
e a volte condannato. I problemi o meglio le preoccupazioni dei papi
non sono, infatti, «esclusivamente italiane», in quanto a Roma «affluiscono dal mondo cattolico informazioni, richieste, documenti di ogni
tipo, inviati dai vescovi cattolici, da altri ecclesiastici o dal servizio
diplomatico della Santa Sede» 1 o da fedeli laici, che nel caso latinoamericano aggirano il Patronato sin dai secoli precedenti. La stessa
Santa Sede tende ad allargare consapevolmente sempre più il proprio
campo d’azione. L’orizzonte del Papato ottocentesco è universale.
I limiti cronologici del Risorgimento italiano, compreso alla luce
dei similari processi europei ottocenteschi, sono qui intesi ad ampio
raggio, così che si va dall’epoca della Restaurazione, con tutte le sue
premesse concettuali politiche (idea di nazionalità), ai primi anni successivi a Roma capitale del Regno, senza voler sforare nel Novecento
e nelle ermeneutiche del lungo Risorgimento, che pur sono valide.
A livello di comprensione storica, è bene seguire la lezione di Giacomo Martina, secondo cui «la storia della Chiesa non si identifica con
la storia del Risorgimento, e spazia ben al di là dei confini italiani».2
Ciò vale pure per la storia del Papato.
Impostazione metodologica
Si vogliono impiegare i criteri che la più recente ricerca storica
applica allo studio dei pontificati del Novecento: la storia religiosa
è storia internazionale e in tale chiave va letta anche nelle questioni
1
A. RICCARDI, I papi, in M. ISNENGHI (ed.), I luoghi della memoria. Personaggi
e date dell’Italia unita, Bari 20102, pp. 404-405.
2
G. MARTINA, Pio IX, vol. II, (1851-1866), Roma 1986 (Miscellanea Historiae
Pontificiae, 51), p. IX.
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nazionali ed inoltre, stando alla storiografia italiana, la storia del
Papato deve essere compresa nel “discorso pubblico” del Papato
stesso al di là dei retroscena archivistici.3 Recentemente è stato il
belga Vincent Viaene a parlare della «convergenza tra storia religiosa
e storia internazionale».4 Pertanto qui si vogliono presentare i papi nel
Risorgimento in chiave di politica internazionale e nel loro discorso
pubblico, manifestato principalmente tramite i documenti destinati al
grande pubblico e non mediante altri testi. Questa ultima impostazione potrebbe apparire debole, soprattutto dopo il secolo d’oro della
corsa alle fonti archivistiche e dopo le reiterate richieste da parte di
certo mondo di storici per l’apertura degli Archivi Vaticani per i pontificati più recenti, ma è inevitabile per poter presentare un discorso
coerente e fluido su lungo periodo (quasi un secolo). Ciò soprattutto,
per capire la linea pontificia di fronte ai cattolici del mondo e ai cattolici italiani, che passa principalmente, per non dire esclusivamente,
mediante per l’appunto un “discorso pubblico”, che da tutti può essere
inteso e compreso e che viene volutamente impostato per divenire
fonte d’ispirazione per l’azione cattolica nella società.
A partire dalla prima crisi
Il primo impatto della Santa Sede con la corrente che vuole distinguere il potere temporale da quello spirituale lo si ha nel 1791,
quando, a seguito della Rivoluzione del 1789, il Papato perde i suoi
domini francesi (Avignone e Carpantrasso). Il successivo scontro si
ha quando avviene la prima perdita nel territorio italiano, sancita nel
3
G. MICCOLI, I dilemmi e i silenzi di Pio XII, Milano 2000, p. 4; L. CECI, La
mancata lettera di Pio XI a Mussolini, in Studi Storici, 48 (2007), pp. 819 e 836.
Miccoli ricorda il valore degli interventi svolti in forma pubblica dal Papato,
a causa della natura e delle esigenze pastorali e magisteriali, sulla stessa linea Ceci
afferma che non bisogna «perdere di vista la rilevanza e i significati del discorso
pubblico del papato» (p. 836).
4
V. VIAENE, Il KADOC di Lovanio e il quadro delle ricerche su Pio XI, in
A. GUASCO - R. PERIN (eds.), Pius XI: Keywords. International Conference Milan
2009, Zürich-Berlin 2010, p. 39. Inoltre dello stesso autore: International History,
religious History, Catholic History: perspectives for cross-fertilization (1830-1914),
in European History Quarterly, 38 (2008), pp. 578-607.
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Trattato di Tolentino (19 febbraio 1797), che ratifica la cessione delle
Legazioni. Il vero travolgimento, però, avviene nel 1798, quando il
15 febbraio viene proclamata la Repubblica a Roma. Pio VI viene
deposto quale principe temporale e deportato prima in Toscana e poi
a Valence in Francia, dove muore il 29 agosto 1799.
Questi eventi sono ricordati con fervore e partecipazione dal
successore di Pio VI, il suo concittadino e già monaco benedettino
cardinale Barnaba Chiaramonti, che prese il nome di Pio VII, che
nella sua prima enciclica, di inaugurazione del pontificato, la Diu satis (15 maggio 1800), parla di un Pio VI «ferocemente cacciato dalla
sua città a dalla sua Sede, spogliato di ogni autorità, onore e beni di
fortuna».5 Pio VII si pone a difesa del Papato nella memoria del suo
predecessore.
La Santa Sede in questa difesa è piuttosto isolata e non trova
aiuto neanche nelle potenze cattoliche in Europa. Un dato significativo: Pio VII eletto pontefice a Venezia il 14 marzo 1800 potrà giungere a Roma solo il successivo 3 luglio, a causa degli ostacoli interposti dai fidi austriaci, che fra l’altro gli vietano di passare per i territori
delle Legazioni, in quel momento sotto il controllo di Vienna, che
vuole mantenerli sotto la propria corona senza restituirli al papa.
Quando nel 1803 i principati ecclesiastici del Sacro Romano Impero vengono soppressi, il Papato si trova quale semplice spettatore
e deve in seguito difendere se stesso di fronte alle mire dell’imperatore dei francesi Napoleone, che vuole imporre il blocco continentale
contro la Gran Bretagna e al quale la Santa Sede si sottrae, pagandone le conseguenze. Nel 1809, al momento dell’invasione di Roma
e dello Stato Pontificio da parte delle truppe francesi, il papa non
5
PIO VII, enciclica Diu satis videmur, 15 maggio 1800, in Enchiridion delle
Encicliche, I, Benedetto XIV, Clemente XIII, Clemente XIV, Pio VI, Pio VII,
Leone XII, Pio VIII (1740-1830), Bologna 19992, p. 1127. Ricorda, inoltre, con vivo
pathos le peripezie del Sacro Collegio in occasione della prigionia del successore
di Pietro: «come eravamo preoccupati e trepidanti quando i cardinali della Santa
Chiesa Romana, cacciati anch’essi dalle loro sedi, in gran numero imprigionati,
in parte uccisi, moltissimi costretti ad attraversare il mare con un tempo orribile,
spogliati dei loro beni, poveri, i più separati fra loro da grandi distanze, senza il
permesso (poiché le strade erano controllate dal nemico) né di corrispondere fra
loro per lettera, né di andare dove volevano e dovevano» (PIO VII, enciclica Diu
satis videmur, p. 1127).
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troverà nessun difensore a sostenerlo e proteggerlo. L’unico legame
significativo è con Londra, che in quel momento non naviga in buone
acque. L’isolamento del papa è più forte rispetto al 1800. Potrà limitarsi a far affiggere per Roma poche copie della bolla di scomunica
Quum memoranda (10 giugno 1809), contro «tutti coloro che hanno
avuto a che fare con l’invasione di quest’alma città e del territorio
ecclesiastico, e con la sacrilega violazione del patrimonio della Chiesa
compiuta dalle truppe francesi».6 L’invasione è intesa quale «sacrilega», che è categoria religiosa e non politica, ma da Pio VII i due
piani vengono sovrapposti. Ancora una volta il papa difenderà la necessità di una territorialità indipendente per la Santa Sede: «E quanto
grande sia l’opportunità di questo dominio temporale e quanto esso
sia necessario per garantire al Capo supremo della Chiesa il libero
e sicuro esercizio dell’attività spirituale, la cui responsabilità gli fu affidata dal cielo per tutto il mondo, anche se altre ragioni mancassero,
lo dimostra fin troppo chiaramente ciò che sta accadendo adesso».7
Pio VII, però, non perderà solo lo Stato, ma anche la propria libertà:
la deportazione prima a Firenze, poi a Grenoble, Savona e Fontainebleau lo renderà prigioniero del più forte potere temporale dell’epoca.
Il potere spirituale del cattolicesimo sembra perdente, ma proprio in
quei frangenti si rafforzerà: nel cosiddetto Concilio di Parigi del 1811,8
i vescovi si rifiuteranno di compiere atti contrari alla comunione con il
papa.9 Il potere spirituale nella prova si rafforza nella difensiva e con
l’aureola del martirio della prigionia uscirà a testa alta nel 1814, dopo
le sconfitte napoleoniche.10 Il papa martire Pio VII può recuperare il
6
PIO VII, bolla Quum memoranda, 10 giugno 1809, in U. BELLOCCHI (ed.),
Tutte le encicliche e i principali documenti pontifici emanati dal 1740. 250 anni di
storia visti dalla Santa Sede, II, Clemente XIII (1758-1769), Clemente XIV (17691774), Pio VI (1775-1799), Pio VII (1800-1823), Città del Vaticano 1994, p. 385.
7
PIO VII, bolla Quum memoranda, p. 382.
8
E. CONSALVI, Mémoire inédit sur le concile de 1811, a cura di J.-E. B. DROCHON, Paris 1895, pp. 707-792 ; B. PLONGERON, Concile national de 1811, in J. TULARD (dir.), Dictionnaire Napoléon, Paris 1987, pp. 449-451.
9
B. PLONGERON, La crise du sacerdoce et de l’empire (1810-1813), in Revue
du Souvenir napoléonien, 470-471 (2007), pp. 129-137.
10
Cfr. A. ZAMBARBIERI, La devozione al papa, in A. FLICHE - V. MARTIN
(diretto da), Storia della Chiesa, XXII/2, La Chiesa e la società industriale, 18781922, Cisinello Balsamo 19963, pp. 9-81; B. HORAIST, La dévotion au pape et les
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proprio territorio politico, lo Stato della Chiesa. E mentre dalla Francia
viaggia verso Roma, nella sua cittadina di Cesena il 4 maggio 1814
potrà ancora manifestare la sua visione di pontefice e sovrano, che
unisce inevitabilmente e senza contraddizione i due poteri spirituale
e temporale: «Noi abbiamo versato nella Nostra prigionia lacrime di
dolore innanzitutto per la Chiesa, affidata alla Nostra cura, perché ne
conoscevamo i bisogni, senza poterle apprestare un soccorso, poi per
i popoli a Noi soggetti, perché il grido delle loro tribolazioni giungeva
perfino a Noi, senza che fosse in Nostro potere di arrecare loro un
conforto. Temperava però l’affanno acerbissimo del Nostro cuore la
viva fiducia che, placato finalmente il pietosissimo Iddio giustamente
irritato dai Nostri peccati, avrebbe alzato l’onnipotente sua destra per
infrangere l’arco nemico, e spezzare le catene che cingevano il Vicario
suo sulla terra. La nostra fiducia non è stata delusa».11 Nel Congresso
di Vienna (1814-1815), grazie anche all’alleanza con i paesi non cattolici, Pio VII, o meglio il suo segretario di Stato cardinale Consalvi, riesce a recuperare quasi integralmente il dominio territoriale pontificio.12
catholiques français sous le pontificat de Pie IX, Rome 1995, (Collection de l’École
française de Rome, 212), per la prima parte dell’Ottocento particolarmente le
pp. 3-8; R. RUSCONI, Santo Padre. La santità del papa da san Pietro a Giovanni
Paolo II, Roma 2010, pp. 317-571; J.-M. TICCHI, Le Vicaire du Christ en France:
Pie VII en voyage pour le couronnement de Napoléon Ier, in Archivum Historiae
Pontificiae, 43 (2005), pp. 139-155; J.-M. TICCHI, Les manifestations de la dévotion
au pape au cours du voyage de Pie VII à Paris, 1804-1805, in Revue d’histoire de
l’Eglise de France, 93 (2007), pp. 429-460.
11
PIO VII, enciclica Il trionfo della misericordia, 4 maggio 1814, in U. BELLOCCHI (ed.), Tutte le encicliche e i principali documenti, vol. II, p. 389.
12
Per le fonti si possono consultare: Corrispondenza inedita dei cardinali Consalvi e Pacca nel tempo del Congresso di Vienna (1814-1815), a cura di I. RINIERI,
Torino 1903; La missione Consalvi e il congresso di Vienna, a cura di A. ROVERI,
voll. I-II, Roma 1970 e 1971 (Fonti per la Storia d’Italia, 105 e 115); La missione
Consalvi e il congresso di Vienna, a cura di A. ROVERI - M. FATICA - F. CANTÙ,
vol. III, Roma 1973 (Fonti per la Storia d’Italia, 127). Tra gli studi: A. ROVERI,
La Santa Sede tra rivoluzione francese e restaurazione. Il cardinale Consalvi 18131815, Firenze 1974 (Biblioteca di Storia, 16), pp. 99-100; A. ROVERI, Consalvi al
Congresso di Vienna, in R. REGOLI (ed.), Ercole Consalvi. 250 anni dalla nascita.
Atti del Convegno di Roma 8 giugno 2007, Trieste 2008 (= Neoclassico, n. 30
a. 2006), R. REGOLI, Cardinal Consalvi and the Restitution of the Papal States, in
H. DUCHHARDT - J. WISCHMEYER (Hsg.), Der Wiener Kongress – eine Kirchenpolitische Zäsur? Gõttingen 2013, pp. 113-126.
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Il primo forte scontro di riequilibrio e distinzione tra poteri spirituale e temporale in Europa si conclude con la sconfitta dei poteri
spirituali statali periferici, quali i principati ecclesiastici del Sacro
Romano Impero, e il ridimensionamento degli ordini religiosi, mentre
permane e anzi si rafforza a livello morale il potere del Papato, che
rimane stabile nel suo territorio nell’Italia centrale e meridionale.
Il Papato non si attiverà significativamente e combattivamente per
recuperare all’esistenza i principati ecclesiastici, ma si limiterà a puntuali interventi all’interno del Congresso di Vienna e ad una protesta
formale alla fine di esso.13 La commistione tra spirituale e temporale,
o meglio la sovrapposizione in una unica autorità, non attraversa più
ormai l’Europa, ma si limita alla Penisola italiana, pur mantenendo
inevitabili riflessi continentali. A causa delle sofferenze sotto Bonaparte e dello sconvolgimento di molte rivoluzioni, il Papato «diviene
una volta ancora, per i fedeli, centro di affezione e guida spirituale».14
13
Nel 1800, nella parte finale del testo delle istruzioni per mons. Spina, rappresentante a Parigi della Santa per le trattative di un concordato tra la Santa
Sede e la Francia, sono spese alcune parole per le Chiese in Germania per cui si
deve evitare la secolarizzazione, se il ministro francese apre l’argomento. Come si
vede la Santa Sede gioca senza impegno quella partita sin dall’inizio del pontificato di Pio VII. Cfr. Istruzioni particolari per Giuseppe Spina, [Roma, 13 ottobre
1800], in Documents sur la négociation du Concordat et les autres rapports de la
France avec le Saint-Siège en 1800-1801, a cura di A. BOULAY DE LA MEURTHE,
vol. III, Paris 1893, pp. 614-627. La minuta con le correzioni del segretario di
Stato Consalvi: in Segreteria di Stato, Sezione per i Rapporti con gli Stati, Archivio Storico (S.RR.SS.), Congregazione degli Affari Ecclesiastici Straordinari
(AA.EE.SS.), Francia, 1801, pos. 44, fasc. 23, ff. 49r-68r. Nelle istruzioni date nel
1814 in occasione del riordino europeo postnapoleonico a mons. Della Genga
e poi al cardinale Consalvi non si fa menzione degli affari ecclesiastici di Germania: Istruzioni per mons. Annibale Della Genga, Cesena, 7 maggio 1814, in
La missione Consalvi e il congresso di Vienna, I, 19-27; Istruzioni per il cardinale
Consalvi, 20 maggio 1814, in La missione Consalvi e il congresso di Vienna, vol. I,
28-31. Riferimenti alla protesta finale per i principati ecclesiastici tedeschi si trovano nel dispaccio del cardinale Ercole Consalvi al cardinale Bartolomeo Pacca,
Vienna, 12 giugno 1815, in La missione Consalvi e il congresso di Vienna, vol. III,
633. Fino ad ora gli studiosi non hanno trovato gli originali dei dispacci consalviani
relativi alle questioni ecclesiastiche germaniche, pubblicati da E. RUCK, Die römische Kurie und die deutsche Kirchenfrage auf dem Wiener Kongress, Basel 1917:
cfr. La missione Consalvi e il congresso di Vienna, vol. III, p. 497, n. 1.
14
M. CHAPPIN, Il Papato del medioevo, della Riforma e del post-Riforma, in
Il Vescovo di Roma nella Chiesa Universale. Corso breve di Ecumenismo, vol. VIII,
Roma 1987, p. 48.
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L’Europa politica del 1815 affermando il principio di legittimità
necessita di una garanzia, che è quella divina, cioè di un diritto divino,
inalienabile e imprescrittibile. Si pensi alla consacrazione di Carlo X
a Reims nel 1825. Allo stesso tempo, però, il mondo politico non
può ignorare l’eredità rivoluzionaria e dunque nella stessa Francia si
ha una costituzione octroyée. Lo spirituale è distinto dal temporale,
ma come già avvenne nel 1804 a Notre-Dame con l’incoronazione di
Napoleone, il temporale ha bisogno dello spirituale e se può lo strumentalizza.15 Il potere spirituale in tal senso non è meno casto: se può,
si serve del politico per i propri fini religiosi. La prima Restaurazione,
checché se ne dica, è però la lontananza del Papato dalle strumentalizzazioni: esso non vorrà mai entrare nella Santa Alleanza e tenterà
di limitare l’ingerenza austriaca in Italia,16 fatto quest’ultimo non
adeguatamente riconosciuto nella storiografia risorgimentale. Il Papato
dell’epoca comincia ad allargare i suoi orizzonti. Se nella fedeltà al
principio paolino della provenienza del potere politico da Dio («non
c’è autorità se non da Dio», Rom 13,1), la Santa Sede sposa una linea
legittimista pura (si pensi ai documenti Etsi longissimo di Pio VII del
30 gennaio 1816 e Etsi iam diu di Leone XII del 25 settembre 1824)
a favore di Ferdinando VII di Spagna contro le rivoluzioni latinoamericane o a favore dello zar contro l’insurrezione polacca (enciclica
Cum primum ad aures di Gregorio XVI del 9 giugno 1832), allo stesso
tempo inizia un ripensamento secondo il bene spirituale. Si pensi alla
lettera che nel settembre 1822 Pio VII inviò a mons. Rafael Lasso
de la Vega, vescovo della Grande Colombia, nella quale lascia la posizione regalista e legittimista e si mostra realista, andando incontro
alle esigenze della Indipendenza. Nuova posizione certamente anche
motivata dal cambiamento politico a Madrid, in cui la Restaurazione
cede il passo al regime liberale, che si mostra illiberale con la Chiesa.17
15
Cfr. F. BOUTHILLON, Ceci n’est pas un sacre, in Commentaire, 133 (2011),
pp. 129-134.
16
S. FURLANI, La S. Sede ed il Congresso di Verona, in Nuova Rivista Storica,
39 (1955), pp. 465-491 e 40 (1956), pp. 14-47; A. TAMBORRA, I Congressi della
Santa Alleanza di Lubiana e di Verona e la politica della Santa Sede (1821-1822),
in Archivio Storico Italiano, 118 (1960), pp. 191-209.
17
P. DE LETURIA, Relaciones entre la Santa Sede e Hispanoamérica, 1493-1835,
vol. III, Caracas-Romae 1960 (Analecta Gregoriana, 103); R. REGOLI, La «Congre-
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Si pensi inoltre alla costituzione apostolica Sollicitudo Ecclesiarum
(agosto 1831) di Gregorio XVI, in cui si dichiara che la Santa Sede
è pronta per il bene religioso a dialogare con chiunque detenga di
fatto il potere nei singoli Stati, al di là della questione della legittimità,
secondo una prassi che ha un illustre precedente nella ratifica della
convenzione tra Francia e Santa Sede nel 1801.
Il Papato legittimista tende a riconoscere le nuove forme politiche. Cambiamento di teologia politica? No, semplice adattamento
pragmatico ai tempi. Siamo di fronte a ciò che Fabrice Bouthillon
ha definito “consalvismo”,18 a partire dal nome del celebre segretario
di Stato di Pio VII, cardinale Ercole Consalvi (1757-1824). Il termine è impiegato per indicare una certa diplomazia pontificia, quella
del realismo (Realpolitik), che vede futuri prosecutori nei cardinali
Rampolla, Della Chiesa, Gasparri, Pacelli e Casaroli, ed è anche
utilizzato per denominare quella visione delle relazioni Stato-Chiesa
che privilegia il rapporto diretto tra centro (Santa Sede) e governi
statuali, oltrepassando le istanze intermedie (episcopato nazionale), al
fine di trovare soluzioni a problematiche aperte, anche sacrificando
appoggi precedentemente dati (come la Vandea o l’Action française,
per citare due esempi tra loro lontani nel tempo). Si tratta, altresì, di
una tendenza politica del Papato, per cui si favorisce la restaurazione
dell’Alleanza tra Chiesa e Stato, concedendo un certo riconoscimento
allo Stato per riceverne altrettanto.
In questo contesto, i papi e la loro Curia tendono a mantenere il
controllo dell’Italia centrale, non accettando il discorso di ingerenza
negli affari interni di altri Stati. Questa politica internazionale è infatti
criterio e giustificazione per impedire agli altri Governi di intervenire nelle questioni interne allo Stato Pontificio. Allo stesso tempo
e senza contraddizione il Papato non ostacola i liberali spagnoli, non
sostenendo la Santa Alleanza con i suoi eserciti contro il governo
costituzionale di Madrid degli anni 1820-1822, e appoggia la legittimità zarista, chiedendo ai polacchi di essere sottomessi all’acattolico
zar. Sebbene vada detto che nelle segrete stanze i vertici della Curia
gación Especial para los Asuntos Eclesiásticos de España» durante el trienio liberal,
in Anuario de Historia de la Iglesia, 19 (2010), pp. 141-166.
18
F. BOUTHILLON, La naissance de la Mardité. Une théologie politique à l’âge
totalitaire: Pie XI (1922-1939), Strasbourg 2001.
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erano nettamente contrari ai liberali e guardavano con simpatia ai
cattolici polacchi.
La politica papale, nel suo discorso pubblico, vuole mantenere
stabile la situazione acquisita in Italia, nonostante i nuovi princípi
liberali e il crescente spirito di nazionalità.
Nella sua prima enciclica Ubi primum (5 maggio 1824), Leone XII
ammonì: «non può mai succedere infatti, che si rendano a Cesare le
cose di Cesare, se non si rendono a Dio le cose di Dio»,19 o meglio
– potremmo noi dire – alla Chiesa. Il suo successore, Pio VIII nella
sua unica enciclica Traditi Humilitati Nostrae (24 maggio 1829) riuscì
soltanto ad affermare la rilevanza del magistero pontificio, condannando lo spirito critico del tempo.20
Gregorio XVI, non appena eletto papa nel 1831, dovette immediatamente confrontarsi con i moti rivoluzionari all’interno e ai confini
dello Stato Pontificio, chiedendo aiuto all’Austria a dispetto della
Francia. Il gradimento verso l’imperatore di Vienna venne espresso
nell’enciclica Quel Dio (5 aprile 1831), nella quale l’azione dell’imperatore viene apprezzata per aver difeso e restituito la pienezza
del potere al papa, «acciocché l’essere egli principe il rendesse più
libero nell’esercizio della spirituale sua autorità».21 Con papa Cappellari, originario di Belluno, allora sotto la corona di Vienna, vi è un
cambiamento della politica italiana del Papato, per cui ci si appoggia
all’Austria, non contrastandola nel suo disegno egemonico nella Penisola. Non va dimenticato uno scritto papale, l’enciclica del 12 luglio
1831 Le armi valorose,22 in cui viene giustificato l’uso delle armi per
ristabilire la pace nei territori pontifici.
Fu proprio l’argomento, impiegato da Gregorio XVI e non solo,
della libertà nell’esercizio spirituale che suona in tutto il discorso
papale difensivo del potere temporale: il possesso territoriale viene
compreso quale garanzia dell’indipendenza apostolica.
19
LEONE XII, Ubi primum ad summi, 5 maggio 1824, in Enchiridion delle
Encicliche, I, p. 1169.
20
PIO VIII, Traditi Humilitati Nostrae, 24 maggio 1829, in Enchiridion delle
Encicliche, I, pp. 1184-1201.
21
GREGORIO XVI, Quel Dio, in Enchiridion delle Encicliche, II, Gregorio XVI,
Pio IX (1831-1878), Bologna 19982, p. 10.
22
GREGORIO XVI, Le armi valorose, 12 luglio 1831, in Enchiridion delle Encicliche, II, pp. 15-17.
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Sono i papi della Restaurazione a fornire l’armamentario concettuale per la ricostituzione di una società e pure di uno Stato cristiani
sul piano culturale, politico e sociale, che avrebbe ispirato nei decenni
successivi l’atteggiamento della Chiesa verso il mondo moderno.23
Se i papi nel loro discorso pubblico difendevano il potere temporale della Chiesa romana, altre voci critiche si esprimevano diversamente. E non è necessario andare nella lontana periferia ecclesiale,
quanto rimanere nel Palazzo Apostolico. Coscienza inaspettata di quegli anni fu il cardinale Bartolomeo Pacca, per ben due volte pro-segretario di Stato di Pio VII, papabile in più di un conclave, che nelle
sue Memorie, pubblicate in vita e precedenti ai moti liberali europei
del Trenta, si lasciava andare a riflessioni metastoriche sul senso del
potere temporale pontificio e sulla provvidenzialità della sua perdita:
Questa riflessione mi faceva temere, che essendo per gl’imperscrutabili
divini giudizi tolto alla Santa Sede il dominio temporale, la Providenza intenta
sempre alla conservazione della sua Chiesa andasse preparando quei cambiamenti di stati e di governi, che rendessero un’altra volta possibile [come al
tempo dell’impero romano], e senza gravi inconvenienti, che il Papa, benchè
suddito, reggesse e governasse l’intero gregge de’ fedeli.
Mi confermava in questo timore il pensiere, che dal tristo, e doloroso avvenimento della cessazione della sovranità de’ Papi poteva il Signore cavarne
altri, e non leggeri vantaggi per la sua Chiesa, pensava che la perdita del
dominio temporale e della maggior parte de’ beni ecclesiastici avrebbe fatta
cessare, o infievolire almeno quella gelosia, e quel mal talento, che si ha ora
dappertutto contro la Corte Romana, e contro il clero; che i Papi sgravati dal
pesante incarico del principato temporale, che pur troppo li obbliga a sacrificare una gran parte del tempo così prezioso in negozi secolareschi, avrebbero
potuto rivolgere tutt’i loro pensieri, e tutte le loro cure al governo spirituale
della Chiesa; che mancando alla Chiesa Romana il lustro e la pompa dell’onoreficenza, e l’incentivo dei beni temporali, sarebbero entrati nel suo clero
quelli soltanto, che bonum opus desiderant, e non avrebbero dovuto in avvenire i Papi avere nella scelta dei loro ministri e consiglieri tanti riguardi allo
splendor de’ natali, agl’impegni de’ potenti, alle raccomandazioni e nomine
de’ sovrani per cui può dirsi spesso delle promozioni romane: Multiplicasti
gentem, sed non magnificasti laetitiam; che finalmente nelle consultazioni per
Cfr. G. VERUCCI, La Chiesa cattolica in Italia dall’Unità a oggi. 1861-1998,
Bari 1999, p. 6.
23
150
Roberto Regoli
gli affari ecclesiastici tra i motivi, che si presenterebbero per prendere, o per
rigettare una risoluzione non avrebbe avuto più luogo quello del timore di
perdere lo stato temporale, motivo, che messo sulle bilance poteva farle traboccare dalla banda di una soverchia pusillanime condiscendenza. Queste, ed
altre considerazioni indebolivano, come sopra diceva, la mia speranza di veder
presto risorgere il pontificio governo, e mi fecero talvolta pensare, non essere
più sperabile, per molto tempo almeno, questo avventuroso, e tanto da noi
sospirato risorgimento.24
Il discorso pubblico del Papato, però, sarà sempre di altra natura,
cioè rivendicativo dei propri domini temporali.
«Benedite, dunque, grande Iddio, l’Italia»
Con questa premessa si apre l’epoca di Pio IX, papa liberale ed
illiberale a seconda dell’immaginario ottocentesco, a volte creato ad
arte.25 Pio IX, nonostante alcuni atti eclatanti e diversamente interpretati all’inizio del pontificato, quali la benedizione di Dio sull’Italia
(10 febbraio 1848),26 o le novità della politica in Italia con il tentativo
di una costituzione di una Lega doganale italiana,27 nel suo discorso
24
B. PACCA, Memorie storiche del ministero, de’ due viaggi in Francia e della
prigionia nel forte di S. Carlo in Fenestrelle, Pesaro 18303, pp. 12-13.
25
Cfr. G. MARTINA, Pio IX, vol. I, (1846-1850), Roma 1974 (Miscellanea
Historiae Pontificiae, 38), pp. 1-48.
26
PIO IX, proclama del 10 febbraio 1848, in L. C. FARINI, Lo Stato romano
dal 1815 al 1850, vol. I, Firenze 18533, pp. 336-338. Il passaggio più noto e citato
dalla storiografia: «Oh! perciò benedite, gran Dio, l’Italia, e conservatele sempre
questo dono preziosissimo di tutti, la Fede! Beneditela con la benedizione che
umilmente vi domanda, posta la fronte per terra, il vostro Vicario. Beneditela con
la benedizione che per lei vi domandano i Santi a cui diede la vita, la Regina dei
Santi che la protegge, gli Apostoli di cui serba le gloriose reliquie, il Vostro Figlio
Umanato, che in questa Roma mandò a risiedere il suo Rappresentante sopra la
terra» (pp. 337-338).
27
Fra le varie pubblicazioni: cfr. F. GENTILI, I preliminari della Lega doganale
e il pro-tesoriere Morichini, in Rassegna storica del Risorgimento, 1 (1914), pp. 563639; G. F. H. BERKELY - J. BERKELY, Italy in the making. June 1846 to 1 January
1848, Cambridge 1936; G. QUAZZA, Sull’origine della proposta di Pio IX per la lega
doganale (1846-1847) (contributi inediti), in Rassegna storica del Risorgimento, 40
(1953), pp. 357-370; J. ANELLI STEFANUTTI, La lega italiana promossa da Pio IX.
Il ’49 romano negli scritti editi e inediti di Mons. Corboli Bussi, Tarcento (Udine)
I papi nel Risorgimento
151
pubblico non differirà di molto da quello dei suoi predecessori. Si
pensi all’enciclica di inizio pontificato Qui pluribus (1846), scritta
dal cardinale Lambruschini, segretario di Stato di Gregorio XVI, che
conferma tutta la dottrina del predecessore.28 L’attenzione alla politica
internazionale e alle esigenze temporali del Papato, intese in funzione
dello spirituale, si manifestano appieno nell’allocuzione del 29 aprile
1848, allora pubblicamente compresa in Italia in senso antinazionale.29
Il papa non poteva non presentarsi che quale padre di tutta la cattolicità: «Noi, benché indegni, facciamo in terra le veci di Colui che
è Autore della pace e amatore della carità, e per dovere del Nostro
Supremo Apostolato, Noi con eguale paterno affetto amiamo ad abbracciamo tutti i popoli e tutte le nazioni».30 Prevale il ruolo sovrannazionale del Papato su quello puramente nazionale. Il Papato è cattolico e non italiano. Ogni equivoco precedente viene dissipato. Si ha
così una specie di papa straniero in patria. Pio IX diviene, secondo
una felice immagine di Riccardi, il simbolo dell’estraniazione del Papato alla causa nazionale.31 Inoltre, nella stessa allocuzione egli lega
indissolubilmente la territorialità all’ufficio del capo della Chiesa: il
«Civile Principato che Iddio volle dato a questa Santa Sede per la sua
dignità e per difendere il libero esercizio del Supremo Apostolato».32
L’instabilità sociale e politica di Roma, il nuovo vento politico in
Italia ed in Europa e, infine, l’abbandono dell’Urbe da parte di Pio
IX fanno precipitare gli eventi che porteranno alla proclamazione
della Repubblica Romana (9 febbraio 1849). Pio IX riuscirà, comunque, a ritornare a Roma. Per i sostenitori del Risorgimento italiano
1951; M. DI GIANFRANCESCO, Un papa federalista. Pio IX propose nel 1847 la
lega doganale tra gli Stati italiani, in Rassegna storica del Risorgimento, 96 (2009),
pp. 483-508.
28
Cfr. A. RICCARDI, I papi cit., p. 408.
29
Cfr. R. AUBERT - R. LILL, L’avvento di Pio IX, in R. AUBERT - J. BECKMANN P. J. CORISH - R. LILL (ed.), Liberalismo e integralismo. Tra stati nazionali e diffusione missionaria 1830, in H. JEDIN (dir.), Storia della Chiesa, vol. VIII/2, Milano
19932, p. 177.
30
PIO IX, allocuzione Non semel, 29 aprile 1848, in U. BELLOCCHI (ed.), Tutte
le encicliche e i principali documenti pontifici emanati dal 1740. 250 anni di storia
visti dalla Santa Sede, IV, Pio IX (1846-1878), Città del Vaticano 1995, p. 47.
31
Cfr. RICCARDI, I papi cit., p. 408.
32
PIO IX, allocuzione Non semel, p. 48.
152
Roberto Regoli
fu evidente, soprattutto dopo il biennio 1859-1860, che il processo di
unificazione doveva passare per Roma e dunque per la privazione
del potere temporale pontificio. Precedentemente Pio IX, in un brano
dell’enciclica Nostis et Nobiscum (8 dicembre 1849), aveva voluto vedere e pubblicamente dichiarare che la presenza della Sede Apostolica
era una benedizione per l’Italia intera: «da questo stesso singolare
privilegio di ospitare la sede apostolica e dal fatto che la religione
cattolica abbia avuto più salde radici nei popoli d’Italia, derivarono
altri moltissimi e insigni benefici».33 Il Papato tenta di presentarsi in
maniera nuova, giustificando la sua esistenza con immaginati benefici
apportati ai popoli italiani (non a caso il sintagma è al plurale). Ormai
al Papato non rimane altro che la strada della parola, non avendo
eserciti o potenza diplomatica adeguata.
Tutta questa situazione di instabilità aiuta il papa a comprendere
in maniera nuova i tempi politici. A metà del XIX secolo, Pio IX matura la consapevolezza della necessità che la Chiesa stessa «assumesse
in prima persona l’iniziativa della propria difesa»34 e ciò non doveva
limitarsi al solo piano politico, ma aprirsi al coinvolgimento dei fedeli.
Il progetto conduceva alla riorganizzazione della pietà e della formazione del clero e del laicato. Pio IX tenta di ristrutturare la Chiesa
nell’opposizione a ciò che «appariva il mondo moderno, cioè lo Stato
liberale, la fine del potere temporale, la libertà religiosa, l’uguaglianza
di tutti i credenti di fronte alla legge, la massoneria, il socialismo, il
comunismo...».35
Allo stesso tempo, la Santa Sede attaccava l’indifferentismo (Mirari Vos, 1832, e Quanta cura, 1864) e difendeva l’unità tra Chiesa
e Stato, contro il separatismo. Dinanzi alle Costituzioni liberali,
la Santa Sede reagì negativamente; un’eccezione è il caso belga.36
PIO IX, enciclica Nostis et Nobiscum, 8 dicembre 1849, in Enchiridion di
tutte le encicliche, II, p. 217.
34
A. MARANI, Tra sinodi e conferenze episcopali. La definizione del ruolo
degli incontri collettivi dei vescovi fra Gregorio XVI e Pio IX, in Cristianesimo
nella Storia, 17 (1996), p. 91.
35
RICCARDI, I papi, p. 409.
36
Cfr. R. AUBERT, «La liberté comme en Belgique»: du Cardinal de Franckenberg au Cardinal Sterckx, in La tolérance civile. Colloque international organisé
à l’Université de Mons du 2 au 4 septembre 1981 à l’occasion du deuxième centenaire de l’Édit de Joseph II, a cura di R. CRAHAY, Bruxelles 1982, p. 245.
33
I papi nel Risorgimento
153
Il Papato dell’epoca diede risposte contingenti a fattori storici contingenti.37
Di fronte alle rivolte a Bologna, Ravenna, Perugia e in altre
località, il papa, nella allocuzione Ad gravissimum, del 20 giugno
1859,38 riafferma il carattere indispensabile del principato civile dei
papi «affinché esercitassero liberamente su tutta la terra l’amministrazione delle cose sante» 39 e il suo dovere di difendere la Chiesa
e i suoi possedimenti e di trasmetterli ai successori. Gli atti compiuti
a Bologna, Ravenna, Perugia e in altri luoghi sono condannati e considerati assolutamente nulli, illegittimi e sacrileghi. Essi ricevono una
risposta spirituale, perché il papa non è in grado di darne una politica:
coloro che in qualsiasi modo «osano scuotere il potere temporale del
Romano Pontefice» 40 incorrono nella scomunica maggiore. L’enciclica
Nullis certe verbis (19 gennaio 1860) e la lettera apostolica Cum catholica Ecclesia (26 marzo 1860) reclamano la restituzione dei territori
annessi, ricordando la natura provvidenziale dello Stato Pontificio.41
Ormai dal 1860 il governo statale del pontefice è limitato a Roma
e al Lazio. In questa reliquia degli Stati della Chiesa viene redatto il
famoso Sillabo (8 dicembre 1864), «coerente sviluppo delle posizioni
antiliberali sostenute sin dall’inizio»,42 che tra l’altro elenca gli errori
relativi al principato civile del Romano pontefice, opponendosi alla
discussione «intorno alla compatibilità del regno temporale col regno
37
Per la condanna del liberalismo si potrebbe applicare la chiave ermeneutica presentata dal papa Benedetto XVI, il 22 dicembre 2005, alla Curia romana:
a situazioni contingenti, risposte contingenti. Delle dichiarazioni pontificie bisogna
prendere il nocciolo, cioè i princìpi più profondi. Realmente ciò non è sempre
immediatamente comprensibile. Per la Mirari vos, ad esempio, il primo impatto
fu più drammatico della realtà significata nel testo. Infatti, la condanna non fu
sempre applicata: alcuni enunciati di princìpi e di intenti sono poi disattesi dalla
stessa Sede Apostolica e dalla Chiesa. Alla fin fine i princìpi sono due: libertà
(intesa come indipendenza) della Chiesa, primato di Dio nella coscienza.
38
PIO IX, allocuzione Ad gravissimus, 20 giugno 1859, in U. BELLOCCHI (ed.),
Tutte le encicliche e i principali documenti, IV, pp. 186-189.
39
Ibid., p. 188.
40
Ibid.
41
PIO IX, enciclica Nullis certe verbis, 19 gennaio 1860, in Enchiridion di tutte
le encicliche, II, 428-439; PIO IX, breve Cum catholica Ecclesia, 26 marzo 1860, in
U. BELLOCCHI (ed.), Tutte le encicliche e i principali documenti, IV, pp. 198-203.
42
RICCARDI, I papi cit., p. 408.
154
Roberto Regoli
spirituale» e all’affermazione che «l’abolizione del civile impero posseduto dalla Sede apostolica gioverebbe moltissimo alla libertà e alla
prosperità della Chiesa».43
La strategia difensiva del Papato, militarmente e politicamente
dipendente dai francesi, portò ad un fallimento: il 20 settembre 1870
cade il potere temporale pontificio.
Pio IX reagì in diversi modi, tra i quali, per il discorso pubblico,
va ricordata l’enciclica Respicientes ea omnia (1 novembre 1870), in
cui, seguendo una interpretazione unicamente religiosa e non ancora
politica, identifica negli «invasori piemontesi» e negli «usurpatori
subalpini» gli strumenti della «rivoluzione satanica»; scriveva ancora:
«non acconsentiamo e non acconsentiremo mai a nessuna conciliazione
che distrugga o diminuisca in qualche modo i diritti Nostri, e quindi
di Dio e della Santa Sede».44 È il tempo dei diritti di Dio. Come nel
1860, ancora una volta viene comminata la scomunica maggiore contro
tutti coloro che hanno «perpretato l’invasione, l’usurpazione e l’occupazione di qualunque provincia».45 La protesta papale continuò anche
di fronte alla legge delle guarentigie (13 maggio 1871) con l’enciclica
Ubi nos arcano (15 maggio 1871) 46 e continuò pure negli anni successivi, quando Leone XIII, nella sua prima enciclica Inscrutabili Dei
consilio (21 aprile 1878) rinnovò e confermò tutte le proteste «sia
contro l’occupazione del principato civile, sia contro la violazione dei
diritti della Chiesa romana».47
Nella seconda parte del XIX secolo, il Papato passa così da una
missione congiunta di amministrazione dello Stato Pontificio e di di43
Syllabus, in Enchiridion di tutte le encicliche, II, pp. 520-545. Il documento
citò precedenti atti di Pio IX, quali lettere apostoliche (Ad apostolicae del 22 agosto 1851 e Cum catholica Ecclesia del 26 marzo 1860) ed allocuzioni (Quibus quantisque del 20 aprile 1849, Si semper antea del 20 maggio 1850, Novos del 28 settembre 1860, Iamdudum del 18 marzo 1861, e Maxima quidem del 9 giugno 1862).
44
PIO IX, enciclica Respicientes ea omnia, 1 novembre 1870, in Enchiridion di
tutte le encicliche, II, pp. 558-579.
45
PIO IX, enciclica Respicientes ea omnia, p. 577.
46
PIO IX, enciclica Ubi nos arcano, 15 maggio 1871, in Enchiridion di tutte
le encicliche, II, pp. 580-595.
47
LEONE XIII, enciclica Inscrutabili Dei consilio, 21 aprile 1878, in Enchiridion
delle encicliche, vol. III, 12-31. Questa protesa sarà ripetuta ufficialmente più di
62 volte. Cfr. M. VIGLIONE, “Libera Chiesa in libero Stato”? il Risorgimento e i
cattolici: uno scontro epocale, Roma 2005, p. 189.
I papi nel Risorgimento
155
rezione della Chiesa ad una esclusivamente ‘cattolica’, cioè del solo
governo della Chiesa universale. Stando agli studi più recenti,48 si ha
l’immagine di un Papato ripiegato su se stesso e sempre più attento
al dato teologico e dottrinale (Sillabo e Quanta Cura, ma anche la
Pastor Aeternus del Vaticano I). Ma tale “nuova” sensibilità non va
ridotta alla motivazione politica della perdita del potere temporale.49
Nell’azione della Santa Sede, infatti, il piano teologico-dogmatico prevale normalmente su quello puramente politico.
L’«opera immortale di Dio»
L’opposizione del Papato alla nuova situazione politica è motivata
teologicamente: la salvezza delle anime, tramite l’annuncio di Gesù
Cristo, da compiersi in condizioni di libertà. Il confronto tra i poteri
spirituale e temporale, tra potere clericale e laicale passa sotto il nome
di libertas Ecclesiae. Il centro romano ritiene che questa libertà passi
proprio per la libertà politica, cioè dal politico-nazionale, condizione
per garantire tutte le altre libertà.
Il Papato leonino esprime fortemente la propria coscienza, ritenendo la Chiesa «opera immortale di Dio», chiamata innanzitutto
ad offrire «la salute delle anime e l’eterna felicità del cielo», secondo un fine spirituale, che sa offrire «vantaggi» anche «nell’ordine
temporale».50 Anche e propriamente riguardo all’Italia, il pontefice già
nel 1882 scriveva ai vescovi italiani l’enciclica Etsi nos:
Ben molti, con loro disonore ed infamia vanno spargendo che la Chiesa
è avversa e reca danno alla prosperità e ai progressi dello stato; e tengono il
romano pontificato come contrario alla felicità e grandezza del nome italiano.
Ma le accuse e le assurde calunnie di costoro vengono solennemente smentite
dalle memorie dei tempi passati. Difatti l’Italia ha obbligo massimamente alla
48
F. JANKOWIAK, La Curie romaine de Pie IX à Pie X: le gouvernement central
de l’Eglise et la fin des Etats pontificaux (1846-1914), Rome 2007 (Bibliothèque des
Écoles françaises d’Athènes et de Rome, 330).
49
Questa impostazione comunque ha avuto e ha molti rappresentanti; in ultimo: A. MELLONI, Introduzione, in Alberto MELLONI (ed.), Cristiani d’Italia. Chiese,
Società, Stato, 1861-2011, vol. I, Roma 2011, p. XXVIII.
50
LEONE XIII, enciclica Immortale Dei (1 novembre 1885), in Enchiridion
delle encicliche, III, Leone XIII (1878-1903), Bologna 19972, p. 331.
156
Roberto Regoli
Chiesa e ai Sommi Pontefici se distese presso tutte e genti la sua gloria, se
non soggiacque ai ripetuti assalti dei barbari, se respinse invitta gli impeti
enormi dei musulmani e in molte cose conservò a lungo una giusta e legittima libertà, e arricchì le città sue di tanti monumenti immortali di arti e di
scienze.51
In tal senso, nella sua prima enciclica (programmatica), Inscrutabili
Dei consilio (21 aprile 1878), Leone XIII esponeva la sua visione:
il sovvertimento dei principi offerti dalla Chiesa e la mancanza del
riconoscimento della sua autorità è la causa principale di tutti i mali.
Inoltre, il papa allarga le motivazioni di difesa del potere temporale:
«alla tutela e alla conservazione della piena libertà del potere spirituale, ma anche perché pare ad evidenza che quando si tratta del
dominio temporale della Sede Apostolica, si tratta altresì del bene
e della salvezza di tutta l’umana famiglia».52 Potere temporale in ogni
caso da recuperare e comunque rivalorizzare, così come viene espresso
nella lettera di Leone XIII al suo neosegretario di Stato, cardinale
Mariano Rampolla del Tindaro, il 15 giugno 1887, dove si afferma
che «la condizione del Capo Supremo della Chiesa, da molti anni,
per violenze ed ingiurie» era «divenuta indegna di lui ed incompatibile colla libertà dell’Apostolico Ufficio».53 Tale visione, però, non
è ovviamente condivisa dal potere governativo di allora, che porta il
Papato a rinchiudersi nel Palazzo Apostolico del Vaticano.
Il forte scontro tra modernità politica e temporalismo della Santa
Sede induce quest’ultima ad elaborare una visione della modernità
quale civiltà anticristiana,54 che viene chiaramente espressa nel Magistero papale prima di Pio IX e poi di Leone XIII, che denuncia
51
LEONE XIII, enciclica Etsi nos, 15 febbraio 1882, in Enchiridion delle encicliche, III, p. 201.
52
LEONE XIII, enciclica Inscrutabili Dei consilio, 21 aprile 1878, in Enchiridion
delle encicliche, III, p. 23.
53
Lettera Quantunque le siano di Leone XIII al cardinale Rampolla del Tindaro, segretario di Stato, 15 giugno 1887, in U. BELLOCCHI, Tutte le encicliche e i
principali documenti pontifici emanati dal 1740. 250 anni di storia visti dalla Santa
Sede, vol. V, Leone XIII (1878-1903), parte prima, (1878-1891), Città del Vaticano
1999, pp. 266-275.
54
EMILIO GENTILE, Contro Cesare. Cristianesimo e totalitarismo nell’epoca dei
fascismi, Milano 2010, p. 16.
I papi nel Risorgimento
157
la «lunga e nefandissima guerra mossa alla divina autorità della
Chiesa».55 Il Papato intese l’ostilità alla sua presenza temporale non
solo come un tentativo di privarlo «della piena libertà del potere
spirituale»,56 ma anche come un impedimento alla sua missione di
insegnamento, tanto che la risposta di Leone XIII passò per la via
culturale e filosofica, nella quale optò per il pensiero di san Tommaso
d’Aquino,57 oltrepassando il limitativo interessamento per l’educazione
dei fanciulli e degli adolescenti, così come era stato già espresso dai
suoi predecessori (a partire dalla Diu satis di Pio VII nel 1800). Nelle
dichiarazioni magisteriali dei papi di allora appare un legame forte
– intrinseco – tra la libertà e la verità annunciata dalla Chiesa, anche
alla luce dell’espressione paolina, citata da Leone XII nella sua prima
encicilica Ubi primum, secondo cui «La Chiesa è colonna e base
della verità» (Tm 3,15). L’ostilità della Chiesa verso il nuovo mondo
moderno nasce dal fatto che esso si pone in maniera indifferente
di fronte alla verità. A questa visione il Papato del secolo oppose
un’altra concezione, secondo cui ciò che «ha ragione di vero non può
derivare che da Dio» 58 e che la libertà ha un solo oggetto «il vero
e il bene» per la «perfezione dell’uomo».59 Ne risulta che «libertà vera
e desiderabile è quella che per l’individuo consiste nel non soggiacere
alla durissima schiavitù dell’errore e delle passioni».60 È evidente come
il concetto liberale di libertà non collimi affatto con una simile visione
delle cose. Non a caso fa parte della prima creazione cardinalizia di
Leone XIII il teologo e filosofo Newman, che si oppose già da anglicano alla società liberale inglese (lotta al liberalismo quale principio
antidogmatico).61 In questo contesto il confronto con l’Italia prende
nuove forme, tanto che nell’enciclica di condanna della massoneria
55
LEONE XIII, Diuturnum illud, 29 giugno 1881, in Enchiridion delle encicliche, III, p. 171.
56
LEONE XIII, Inscrutabili Dei consilio, p. 23.
57
Cfr. LEONE XIII, enciclica Aeterni Patris, 4 agosto 1879, in Enchiridion delle
encicliche, III, pp. 52-93.
58
LEONE XIII, enciclica Immortale Dei, p. 365.
59
Ibid., p. 357.
60
Ibid., p. 504.
61
N. SYKES, La vita religiosa e i rapporti fra stato e chiesa, in Storia del
Mondo Moderno, vol. X, Il culmine della potenza europea (1830-1870), a cura di
J. P. T. BURY, Milano 1970, pp. 101-104.
158
Roberto Regoli
Humanus genus (1884) si compie il «graduale spostamento delle responsabilità della situazione italiana dal governo italiano alle ‘sette’».62
Se pur inconsapevolmente, è preparato il terreno per un prossimo
riavvicinamento.
Dinanzi a chi concepiva diritto e politica «comportandosi come se
Dio non esistesse»,63 ai sostenitori di un’assoluta sovranità popolare
e ai tanti liberali, il papa non si limita ad indicare gli errori presenti
nel pensiero moderno, ma invita la Chiesa a immaginare un dialogo
nel quale, ad esempio, «non si condanna alcuna delle forme di governo in uso», non si impedisce «la partecipazione (...) dei cittadini
all’andamento della pubblica cosa»,64 ma si cerca di smentire il pregiudizio che vuole la Chiesa nemica della civiltà e del bene comune.
Leone XIII scrive chiaramente: «L’autorità sovrana, per sé, non è di
necessità legata a nessuna forma di governo particolare: è in poter suo
assumere ora l’una ora l’altra, purché capaci di cooperare al benessere
e all’utilità pubblica».65 Questa partecipazione al bene pubblico sarà
la via ulteriore del cattolicesimo, che il Papato meglio comprenderà
e guiderà nel Novecento (a partire particolarmente da Pio XI). Sarà
la via che in uno Stato lontano dalla Chiesa vorrà rendere cattolica
la società, tramite diverse iniziative sociali. In tale linea si comprende
anche la necessaria difesa da parte del Papato del movimento cattolico
in Italia, quando le autorità governative tentano di reprimerlo a fine
Ottocento.66 Dopo la promulgazione dell’enciclica Rerum novarum,
è la parrocchia a combattere l’usura e a incentivare piccole attività
imprenditoriali con l’istituzione delle casse rurali, «malgrado l’opposizione o la concorrenza degli anticlericali e, nel Mezzogiorno, dei
“galantuomini”».67 Dopo l’Unità d’Italia, che comporta nel Meridione
l’abbattimento dell’asse ecclesiastico e dunque degli introiti del clero
62
S. MAROTTA, La questione romana, in A. MELLONI (ed.), Cristiani d’Italia,
vol. I, p. 649.
63
LEONE XIII, enciclica Immortale Dei, p. 353.
64
Ibid., p. 363.
65
Ibid., p. 335.
66
LEONE XIII, enciclica Spesse volte, 5 agosto 1898, in Enchiridion delle encicliche, III, pp. 1111-1119.
67
P. BORZOMATI, La parrocchia, in M. ISNENGHI (ed.), I luoghi della memoria.
Strutture ed eventi dell’Italia unita, Bari 2010, p. 73.
I papi nel Risorgimento
159
curato, la parrocchia diviene il centro della vita culturale, economica,
sociale e religiosa della comunità. In alcuni centri i giovani sono
ben formati al sociale. Ancora una volta a causa dell’abbattimento
dell’asse ecclesiastico, la cura d’anime, cioè la parrocchia, diviene
a tutti gli effetti il principale sbocco delle nuove generazioni ecclesiastiche, favorendo l’unione della Chiesa con il popolo. Successivamente
al tempo (di Pio IX) in cui è stata posta in essere tutta una operazione di subordinazione della gerarchia al Papato nel quadro dell’unità
della Chiesa (Concilio Vaticano I), per cui la Chiesa stessa tende ad
identificarsi con il Papato, le Chiese locali e i fedeli delle nazioni sono
chiamati a «convergere su Roma e a stringersi attorno al pontefice».68
Il pontificato leonino seppe unire la tradizione intransigente ad
esso precedente con un forte spirito di moderazione, che fa della
questione sociale il suo cavallo di battaglia contro il liberalismo, che
fra l’altro e non a caso guida un paese come l’Italia, che ha aperta
con la Sede Apostolica un’altra e più importante questione denominata “romana”.
Il linguaggio papale
Il discorso pubblico del Papato fin qui descritto si dispiega secondo un vocabolario, che trova continuità da Pio VII a Pio IX,
mentre è in soluzione di continuità al tempo di Leone XIII. Il Papato
utilizza continuamente un medesimo stile retorico ed ama impiegare le
medesime immagini. Siamo di fronte ad un’omogeneità formale, caratterizzata da toni forti, perentori, drammatici e pure cupi. Le voci dei
pontefici narrano di un mondo di «case, castelli, campagne, distretti,
province, regni, nazioni, già da tanti anni saccheggiati, torturati, immiseriti, rovinati».69 Così si presenta la situazione agli occhi di Pio VII, il
quale muove i primi passi del suo pontificato «in questi tristi tempi di
scompiglio».70 Il suo successore, Leone XII, nella sua prima enciclica
parla ugualmente di «questo tempo tristissimo», nel quale «furiosi
S. MAROTTA, La questione romana cit., p. 641.
PIO VII, enciclica Diu satis videmur, p. 1131. Le suggestioni di questa parte
del testo nascono dal confronto con Davide Marino e Stefano Perego.
70
PIO VII, enciclica Diu satis videmur, p. 1125.
68
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combattimenti sono sorti (...) contro la religione cattolica».71 Passano
altri dieci anni e il registro non cambia. Gregorio XVI, con ineguagliabile pathos, descrive la propria condizione in un simile contesto, nelle
prime righe dell’enciclica Mirari vos: «voi ben sapete per qual turbine
di mali e di calamità fin dai primi momenti del Nostro pontificato
fummo tosto sbalzati in un mare così tempestoso, che, se la destra
del Signore non avesse manifestato la sua potenza, avreste dovuto
per la più perversa cospirazione degli empi compiangere il nostro fatale naufragio».72 Egli denuncia quindi l’«infernale cospirazione degli
empi»,73 manifesta tutto il proprio sdegno dinanzi all’«insolenza dei
faziosi» e allo «sfrenato furore dei ribelli»,74 elenca le «innumerevoli
sciagure» 75 che ammorbano il presente e tengono in ostaggio il futuro
della società, osservando sgomento come «superba tripudia l’improbità, insolente la scienza, licenziosa la sfrontatezza»,76 fino a giungere
ad affermare, con laconica rassegnazione, che «questa è l’ora della
potestà delle tenebre».77
I pontefici parlano di una Chiesa ridotta a cittadella presa d’assedio da parte di oscure forze nemiche, «seminatori di zizzania»,
mai esplicitamente indicati nei documenti pontifici. Gli avversari del
sistema pontificio sono chiamati, propriamente nei testi politici, semplicemente «settari», confondendo tra loro carbonari, massoni ed altri
ancora.
Pio IX non differisce dai suoi predecessori, definendo il proprio
tempo quale «infelice età»78 o «la tristissima nostra età».79 Egli nutre
la percezione di una radicale coesione degli eventi e del movimento
di idee dispiegatisi a partire dalla Rivoluzione Francese. Egli si ri-
LEONE XII, enciclica Ubi primum, pp. 1155 e 1159.
GREGORIO XVI, enciclica Mirari vos, 15 Agosto 1832, in Enchiridion delle
Encicliche, II, p. 27.
73
Ibid., p. 35.
74
Ibid., p. 29.
75
Ibid., p. 33.
76
Ibid., pp. 30-31.
77
Ibid., p. 29.
78
PIO IX, enciclica Qui pluribus, 9 novembre 1846, in Enchiridion delle Encicliche, II, p. 155.
79
PIO IX, enciclica Quanta cura, 8 dicembre 1864, in Enchiridion delle Encicliche, II, p. 503.
71
72
I papi nel Risorgimento
161
chiama alla figura di Pio VII, il pontefice perseguitato e arrestato da
Napoleone, al cui esempio papa Mastai Ferretti si sofferma a lungo,
nel pronunziarsi ufficialmente sulla «sacrilega invasione»80 dello Stato
Pontificio, compiuta «quel funesto giorno che fu il 20 settembre ».81
Anche qui come nel 1809, ben 60 anni prima, ritorna la categoria del
‘sacrilegio’. Non solo con Pio IX, ma anche con i suoi predecessori, si
attua una sorta di «sacralizzazione» dello Stato della Chiesa.82
In questo scontro con la modernità politica atlantica e particolarmente italiana, il Papato compie una ermeneutica del fenomeno che
Leone XIII, non discostandosi dal pensiero già espresso dal suo predecessore nella enciclica Nostis et nobiscum (1849), fa risalire al «funesto
e deplorevole spirito di novità, suscitatosi nel secolo XVI», il quale
«prese da prima a sconvolgere la religione, passò poi naturalmente da
questa nel campo filosofico, e quindi in tutti gli ordini dello stato. Da
questa sorgente scaturirono le massime delle eccesive libertà moderne
immaginate e proclamate in mezzo ai grandi rivolgimenti del secolo
scorso (...)».83 Pio IX e Leone XIII, secondo il cliché ermeneutico del
cosiddetto pensiero intransigente, collegano protestantesimo, giacobinismo e processo unitario italiano, non dimenticandosi neanche degli
inevitabili corollari del socialismo e del comunismo.84
Il ministero apostolico di Leone XIII si apre così all’insegna della
più stretta continuità con quello dei suoi predecessori, sia nel linguaggio, sia nel contenuto, sia nel pensiero interpretativo. La sua enciclica
inaugurale esordisce, infatti, con un dettagliato elenco dei mali contemporanei, in cui trovano eco le parole dei pontefici precedenti:
fin dai primordi del Nostro pontificato Ci si presenta allo sguardo il triste
spettacolo dei mali che da ogni parte affliggono il genere umano: questo così
universale sovvertimento dei princìpi, dai quali, come da fondamento, è sor-
PIO IX, enciclica Respicientes ea omnia, p. 559.
Ibid., p. 567: «Crediamo di non dover esitare (...) a seguire gli esempi dei
Nostri predecessori, e soprattutto di Pio VII di felice memoria, del quale bisogna
qui che esprimiamo e facciamo Nostri i sentimenti d’animo invitto da lui dimostrati
in una circostanza assolutamente simile a questa».
82
S. MAROTTA, La questione romana, p. 642.
83
LEONE XIII, enciclica Immortale Dei, p. 351.
84
Il comunismo viene definito quale «dottrina funesta e più che mai contraria
al diritto naturale»: PIO IX, enciclica Qui pluribus, p. 165.
80
81
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Roberto Regoli
retto l’ordine sociale; la pervicacia degli ingegni intolleranti di ogni legittima
soggezione; il perenne fomento alle discordie, da cui le intestine contese e le
guerre crudeli e sanguinose; il disprezzo di ogni legge di moralità e giustizia;
l’insaziabile cupidigia di beni caduchi e la noncuranza di quelli eterni (...);
la improvvida amministrazione, lo sperpero, la malversazione delle comuni
sostanze; come pure l’impudenza di coloro che con perfido inganno vogliono
essere creduti difensori della patria, della libertà e di ogni diritto; quel letale
malessere infine che serpeggia per le più riposte fibre dell’umana società, la
rende inquieta, e minaccia di travolgerla in una spaventosa catastrofe.85
Ancora una volta, dunque, aleggia sul cielo vaticano l’incombente
minaccia della catastrofe con tutta la sua semantica. Tuttavia, Leone
XIII, primo papa nato nell’Ottocento ed esattamente sotto Napoleone
I, apre a quanti sono autenticamente impegnati nella ricerca del vero
e del bene e a quanto di buono la modernità è o è stata in grado di
apportare al genere umano, senza precedenti. «Noi proclamiamo liberamente», si legge in un’enciclica scritta sette anni più tardi, «com’è
Nostro dovere, la verità: non già che ci sia sconosciuta l’indole dei
tempi che corrono, o che riteniamo doversi ripudiare gli onesti e utili
progressi dell’età moderna»; 86 e ancora: «[La Chiesa] abbraccia di gran
cuore e con giubilo i progressi che reca il tempo, purché veramente
promettano di accrescere la prosperità della vita presente (...). È
dunque vana e pura calunnia quella che si va spargendo che la chiesa
veda di malocchio le moderne costituzioni e rigetti indistintamente
i frutti maturati dall’ingegno dei contemporanei».87
È cambiamento non solo di linguaggio, ma di contenuti. L’età
«tristissima» di Pio IX assume ora un altro aspetto.
Tra corona e tiara. Conclusioni
Durante il secolo XIX (anticipato al 1798), si assistette per ben
quattro volte alla caduta del potere temporale dei papi: con le invasioni del 1798 e del 1809, con la proclamazione della Repubblica
LEONE XIII, enciclica Inscrutabili Dei consilio, pp. 13-15.
LEONE XIII, enciclica Immortale Dei, 1 novembre 1885, in Enchiridion delle
Encicliche, III, p. 367.
87
Ibid., p. 365.
85
86
I papi nel Risorgimento
163
Romana nel 1848 e con la presa di Roma il 20 settembre 1870. Quasi
tutti i pontefici (eccetto Pio VIII) hanno dovuto difendere la propria
potestà terrena, secondo un progetto e un linguaggio politici e teologici continui e coerenti, ma anche introducendo nel tempo atteggiamenti e argomenti diversi e nuovi. Mentre inizialmente prevalse il
pensiero teologico, quale la concezione paolina (Rom 13,1) della provenienza del potere politico e dunque papale da Dio, e l’attaccamento
all’ordine dell’antico regime, entra in gioco successivamente anche
la volontà di presentare il Papato quale realtà necessaria, opportuna
e benefica per tutta l’Italia.
Il percorso della difesa del potere temporale dei Papi aveva avuto
un senso esteso ben oltre i limiti del possedimento terreno di Roma,
cioè come fatto decisivo dell’atteggiamento della Chiesa di fronte
al mondo liberale. In questo confronto pubblico parlarono anche le
Congregazioni romane, massimamente l’Indice, che condannò quelle
opere che mettevano in discussione il principato del pontefice o che
comunque invitavano verso un nuovo orizzonte di riflessione, quali le
opere di Geremia Bonomelli, Roberto Ardigò, Giuseppe Cappelletti,
Carlo Maria Curci, Antonio Gavazzi, Terenzio Mamiani della Rovere,
Pietro Mongini, l’abate Tosti, ed altri.88
Il Papato in epoca risorgimentale attaccò la libertà non in maniera
tout court, bensì aggettivata. Infatti, Pio VII parla di «così grande
libertà di pensiero e di parola, di leggere e di scrivere»; 89 Gregorio XVI, invece, di «piena e smodata libertà d’opinare»; 90 Pio IX di
«una totale libertà, che non può essere limitata da alcuna autorità
sia civile sia ecclesiastica».91 Leone XIII, invece, si apre a certa “modernità”: «Intorno a dottrine opinabili si può disputare con moderazione»; 92 ed ancora: «Ove poi si ragioni di cose meramente politiche,
come sarebbe della miglior forma di governo, se si debbano ordinar
gli stati secondo questo o quel sistema, è fuor di dubbio che intorno
Cfr. M. DISSEGNA, Italiani all’Indice. Le opere messe all’Indice dei libri
proibiti dall’Unità d’Italia in poi, in A. MELLONI (ed.), Cristiani d’Italia, vol. II,
pp. 1514-1528.
89
PIO VII, enciclica Diu satis videmur, p. 1137.
90
GREGORIO XVI, enciclica Mirari vos, p. 41.
91
PIO IX, enciclica Quanta cura, p. 505.
92
LEONE XIII, enciclica Immortale Dei, p. 373.
88
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a siffatti punti si può onestamente essere di diversi pareri».93 È un
Papato in cammino, che sta affinando il proprio pensiero di fronte alla
modernità. Pensiero che si chiarisce nel suo vocabolario.
I papi si opposero alle libertà che non potevano garantire la
loro. L’opposizione allo Stato liberale fu una battaglia di libertà per
la Chiesa. L’opposizione non fu solo negativa, ma anche costruttiva.
Il Sillabo di Pio IX non può essere compreso su lungo periodo senza
la Rerum novarum di Leone XIII. Il Sillabo può dare l’impressione
che il Magistero rimanga indietro di fronte agli sviluppi storici.
In realtà, però, nella condanna dei diritti dell’uomo, già nel 1791, vi
è anche qualcosa di “profetico” suo malgrado. La prima dichiarazione
dei diritti dell’uomo, infatti, contiene i diritti civili (protezione della
casa, sicurezza giuridica, libertà di opinione) e i diritti politici (partecipazione al governo), ma è tutto a livello individuale, tanto che
in Francia vengono abolite le corporazioni e impedititi i sindacati.
Di quella libertà approfittano soprattutto il liberalismo politico ed
economico. La Chiesa stessa subisce una riduzione della sua presenza
nella società: la si vuol confinare alla sacrestia. Gli operai sono ridotti
allo sfruttamento e alla miseria. Era necessaria una correzione. Il gesto “profetico” della condanna del Sillabo ritrova una forma positiva
nell’enciclica Rerum novarum, che chiede una modifica o meglio una
integrazione dei diritti sociali ai diritti civili e politici: certezza materiale, leggi sul lavoro, assistenza sociale, diritto a formare sindacati, ecc.
Allo stesso tempo, a partire da Leone XIII, emerge un magistero
“pastorale” proteso a ricomporre la distanza fra il patrimonio cristiano
e le problematiche dei poco credenti o dei non credenti. Sviluppando
la dottrina sociale della Chiesa, la Sede di Pietro agisce sia per il benessere dei più poveri, sia per la libertà della Chiesa; questo impegno
si rafforza enormemente nel Novecento, avendo però le sue radici
nell’Ottocento.
Dai diritti di Dio si passava a parlare dei diritti degli individui.
Il Papato nel Risorgimento fu anche questo. Non fu solo Papato
italiano.
Quel movimento centenario che voleva la distinzione tra il
potere spirituale e quello temporale ottenne in poco più di mezzo
93
Ibid., p. 373.
I papi nel Risorgimento
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secolo l’estinzione del potere temporale della Chiesa in tutta Europa.
Il Papato è alla fine limitato ad un Palazzo, ma proprio per ciò il
suo orizzonte diviene il mondo intero. L’armamentario di concetti,
vocaboli e visione del mondo, che il Papato dovette crearsi nel giro
di un secolo, servì però alla lunga per riproporre il potere spirituale
in maniera nuova e più efficace. È la storia del Novecento.