ALMA MATER STUDIORUM – UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI BOLOGNA
SCUOLA DI LINGUE E LETTERATURE, TRADUZIONE E INTERPRETAZIONE
Corso di studio in Letterature moderne, comparate e postcoloniali
LE INFLUENZE DELLA CULTURA TEDESCA NELLA LETTERATURA
ITALIANA DEL SECONDO DOPOGUERRA: UN CONFRONTO
CRITICO TRA GRUPPE 47 E GRUPPO 63
Prova finale in Letteratura Tedesca
Relatore:
Presentata da:
Prof.ssa Paola Maria Filippi
Marco Paciocco
Correlatore:
Dott.ssa Monica Marsigli
Sessione III
Anno accademico 2013/2014
INTRODUZIONE
p. 1
CAPITOLO I
1. IL CAMPO EDITORIALE ITALIANO E LA LETTERATURA
TEDESCA CONTEMPORANEA (1955-1968)
p. 3
1.1. L’ATTIVITÀ DELLA CASA EDITRICE EINAUDI
p. 4
1.1.1. A PARTIRE DAL 1954: CESARE CASES IN EINAUDI
p. 7
1.2. L’EDITORIA «GIOVANE»: ENRICO FILIPPINI PER
FELTRINELLI
p. 10
1.2.1. LA STRATEGIA EDITORIALE DI FILIPPINI
p. 13
1.2.2. LE TRADUZIONI DI ENRICO FILIPPINI
P. 16
1.3. UNO SCONTRO SIMBOLICO: FILIPPINI CONTRO CASES
p. 19
1.4. «GULLIVER»: «LA RIVISTA MAI NATA CHE VOLEVA
CAMBIARE L’EUROPA»
p. 26
CAPITOLO II
2. L’ESPERIMENTO DEL GRUPPO 63
p. 33
2.1. LA NASCITA DEL GRUPPO 63
p. 33
2.2. GLI INCONTRI DEL GRUPPO 63
p. 39
2.3. “FARE LETTERATURA”: LA PRODUZIONE DELLA
NEOAVANGUARDIA
p. 44
CAPITOLO III
3. IL GRUPPO 47
p. 51
3.1. LE LETTERATURA TEDESCA POSTBELLICA: LA NASCITA
DELLA GRUPPE 47
p. 51
3.1.1. DA «DER RUF» AL GRUPPO 47
p. 53
3.1.2. DOPO L’INCONTRO SUL BANNWALDSEE
p. 58
3.2. LA SECONDA GENERAZIONE DI SCRITTORI: GLI SVILUPPI
DEL GRUPPO
3.2.1. IL DECLINO DEL GRUPPO 47
p. 62
p. 71
3.3. LA RICEZIONE DEL MODELLO “GRUPPE 47”: UN CONFRONTO
CON IL GRUPPO 63
p. 73
CAPITOLO IV
4. IL CASO ESEMPLARE: CONGETTURE SU JAKOB E
CAPRICCIO ITALIANO
4.1. IL ROMANZO SULLE DUE GERMANIE: CONGETTURE SU JAKOB
p. 81
p. 82
4.2. IL ROMANZO D’AVANGUARDIA: CAPRICCIO ITALIANO DI
EDOARDO SANGUINETI
p. 89
4.3. LA RICEZIONE TRA CONGETTURE DI JOHNSON E CAPRICCIO DI
SANGUINETI
p. 96
CONCLUSIONE
p. 102
BIBLIOGRAFIA
p. 105
INTRODUZIONE
Nel secondo dopoguerra la letteratura europea si trova a dover fare i conti con
la guerra appena conclusasi e la fine dei regimi totalitari che caratterizzarono la storia
delle nazioni nei decenni precedenti. In Italia la letteratura neorealista assume a
partire dal 1945 una posizione di primo piano: i romanzi politicamente impegnati, le
storie della resistenza e dell’esperienza della guerra saranno alcuni degli elementi
principali che formano quello che potremmo definire il “gusto neorealista” che
dominerà per oltre un decennio. La grande sferzata si avrà, a partire dal 1963, con
l’esperienza del Gruppo 63. Tuttavia è importante precisare che una fase di
cambiamento si avverte già qualche anno prima con diversi esperimenti, non solo
letterari ma anche editoriali: il percorso del mio lavoro partirà appunto dal verificare
quali sono stati i mutamenti all’interno del campo editoriale focalizzando
l’attenzione sulle case editrici di Einaudi e di Feltrinelli che hanno in quest’ottica un
ruolo fondamentale. Questa analisi verrà portata avanti sul versante della
germanistica, ovvero cosa o come viene importato e recepito dalla Germania in
Italia.
Il discorso partirà con l’inquadrare l’attività nel dopoguerra della casa editrice
Einaudi, già presente nel campo editoriale da alcuni decenni, che permetterà in
particolar modo di contestualizzare la situazione della cultura italiana, ma anche
della ricezione della letteratura tedescofona mediata dal germanista Cesare Cases.
L’attenzione si sposterà quindi sulla fervente attività di quegli anni in casa Feltrinelli
portata avanti invece dall’editor e consulente per la germanistica Enrico Filippini. La
sua figura viene presa in questo lavoro come chiave per quel che riguarda il
passaggio, non certo immediato, tra neorealismo e neoavanguardia. La sua attività si
concentra sulla ricezione di un nuovo tipo di letteratura tedesca, soprattutto a partire
dagli anni ’58-’59: Filippini è una figura poliedrica all’interno della casa editrice e la
sua attività è appunto simbolica non solo per la Feltrinelli stessa ma anche per il fatto
che impone una nuova strada fatta di sperimentazione e innovazione che va a
coinvolgere anche l’attività di altre case editrici, in particolar modo Einaudi e proprio
1
Cesare Cases, suo collega e simbolico rivale. L’interesse si rivolgerà anche al
confronto tra le due figure di Cesare Cases ed Enrico Filippini che, in maniera molto
interessante, con il lavoro di ricezione della cultura tedesca, portano avanti tra la fine
degli anni Cinquanta e la fine degli anni Sessanta due diverse concezioni di
letteratura.
Tuttavia l’attività di Cases e Filippini non sarà l’unico punto di contatto tra
letteratura tedesca e italiana in quegli anni infatti ho deciso di prendere in esame un
interessante esperimento portato avanti in quello stesso periodo: l’ambizioso progetto
della rivista «Gulliver», una rivista di stampo internazionale che vedeva coinvolti
Italia, Germania e Francia, ma che non riuscì mai a vedere la propria realizzazione.
Questo progetto ma anche il suo fallimento esemplifica bene, a mio avviso, il
complicato rapporto di forze all’interno non solo del campo editoriale, ma anche del
campo letterario in quel periodo.
La parte centrale del lavoro si concentrerà quindi sul piano letterario vero e
proprio: in primo luogo analizzando la nascita e l’attività del Gruppo 63, il gruppo
culturale italiano di neoavanguardia. Il gruppo italiano dichiara nel suo stesso atto di
nascita di prendere a modello l’esperienza tedesca del Gruppo 47, la cui ricezione in
Italia era stata veicolata in modo particolare appunto da Filippini. Pertanto sarà
necessario un passo indietro per inquadrare e analizzare le istanze del Gruppo 47,
lavoro necessario inoltre per poter confrontare i due gruppi e verificare di fatto quali
siano state le analogie ma in particolar modo le differenze.
Per terminare il lavoro ho scelto di portare l’analisi tra i due gruppi sul piano
pratico dei testi, ponendo a confronto due romanzi: rispettivamente uno italiano,
Capriccio italiano di Edoardo Sanguineti, e uno tedesco, Congetture su Jakob di
Uwe Johnson. La scelta è dettata ovviamente dalla posizione ben precisa in cui si
collocano in questo contesto. Entrambi, prima Johnson, poi Sanguineti,
rappresentano l’inizio, o comunque il primo esempio, di rivoluzione dal punto di
vista narrativo, proponendo una novità che aprirà poi la strada alla produzione
successiva. Johnson in particolar modo non sarà solamente decisivo per la nuova
generazione di scrittori tedeschi del Gruppo 47, ma anche la traduzione delle
Congetture in Italia non lascerà indifferenti gli autori della nascente neoavanguardia.
2
CAPITOLO I - IL CAMPO EDITORIALE
ITALIANO E LA LETTERATURA TEDESCA
CONTEMPORANEA (1955-1968)
La fine della seconda guerra mondiale produce uno sconquassamento del
tessuto sociale, economico e politico, del quale non può non risentirne anche la
letteratura. C’è infatti il bisogno di reagire ad una tabula rasa prodotta non soltanto,
in termini reali, dai bombardamenti che hanno ridotto in macerie le città di tutta
Europa, ma causata, anche in termini individuali, da quasi un decennio di guerra e
brutalità appena trascorso. In prima battuta la risposta necessaria è stata la reazione
impegnata del Neorealismo, lo smascheramento del silenzio inevitabile in una guerra
così cruda e finora imposto dai regimi. A seguito della ripresa sociale, politica e
soprattutto economica nel decennio successivo, c’è la possibilità oltre che il bisogno,
da parte della “classe intellettuale” italiana di muoversi liberamente in un ampio,
anche se talvolta intricato, sistema di forze tra intellettuali, movimenti culturali,
editori, gruppi ed esperimenti letterari che creano una fitta rete di connessioni in
Europa. Tutto questo viene infatti favorito, oltre che da una ripresa economica e
quindi dalla maggiore possibilità di stampare e di pubblicare, anche dal mutamento
che l’industria culturale subisce, avviando quella trasformazione per cui ogni libro
sarà considerato più che un vezzo artistico, un prodotto di consumo.
Due le date simboliche: quella del 1955, la nascita della casa editrice
Feltrinelli, grande scossa nel panorama italiano, e quella del 1968, la fine della
collaborazione di Enrico Filippini con questa. Un periodo di grandi mutamenti, non
solo nella produzione letteraria italiana, ma anche in quel sistema di forze per cui, da
adesso, sono anche gli editori, e i loro consulenti, a poter decidere, con le loro
strategie e scelte di pubblicazione, il movimento delle pedine all’interno del campo
letterario. Niente viene lasciato da parte e così anche le traduzioni degli stranieri
hanno una loro funzione nell’accreditare le nuove proposte e nel creare una base
dalla quale modellare nuove idee e nuovi percorsi.
3
1.1. L’attività della casa editrice Einaudi
Nei primi anni Cinquanta Einaudi è già diventata una prestigiosa casa editrice
di cultura e annotava tra i propri collaboratori grandi intellettuali che avevano
trasformato la casa in una vera e propria fucina di attività letteraria. Nata nel 1933
con un progetto prettamente saggistico, si apre alla narrativa italiana e straniera con
la collana “Narratori stranieri tradotti” nel 1938 e nel 1941 con “Narratori
contemporanei”. La politica letteraria di Einaudi è caratterizzata dalla fitta rete di
consulenti e letterati-editori che vi collabora, Cesare Pavese ad esempio è il direttore
editoriale di “Narratori contemporanei”, collana inaugurata dal romanzo dell’autore
stesso Paesi tuoi. Tale politica si contraddistingue anche per necessità di rinnovare
“la letteratura pura” fino a quel momento in Italia ritenuta intoccabile1: Einaudi non
può infatti ancora competere con la più vecchia Mondadori ma la strada che può
percorrere è di investire sul rinnovamento della cultura e della letteratura. Il fattore
interno decisivo per questa svolta è il passaggio di Elio Vittorini nel 1943 a Einaudi,
il quale con la collaborazione della casa editrice e del PCI progetta la rivista «Il
Politecnico» che nasce nel 1945 a Milano. Vittorini è da subito, e così rimane negli
anni a seguire, animato da un grande spirito di innovazione e dalla curiosità di
scoprire cosa può esserci di nuovo; proprio per questo «Il Politecnico» prende
origine dalla necessità di rompere con il passato, individuando e definendo il ruolo
dell’intellettuale in quella che sarebbe dovuta essere una “nuova cultura” dell’Italia
democratica postbellica. Sebbene non fosse nelle intenzioni di Vittorini porre la
rivista come guida della scuola narrativa neorealista, all’interno de «Il Politecnico»
persiste il “gusto neorealista” dell’impegno politico e della denuncia delle realtà
sociali. Il Neorealismo diventa a partire da quegli anni, se non l’unico modo di fare
letteratura, sicuramente il più legittimo. Per più di un decennio a seguire infatti, le
forme di scrittura del neorealismo come la letteratura descrittiva, documentaria e
politicamente impegnata vengono a creare un paradigma realistico, a tal punto
1
Boschetti, Anna: La genesi delle poetiche e dei canoni. Esempi italiani 1945-1970, in «Allegoria»,
2007/57, p. 48.
4
radicato nei progetti editoriali e nelle aspettative di critici e lettori da costituire un
rinnovato canone poetico. Cito un esempio riportato da Michele Sisto:
Anche libri scritti, se non con un intento espressamente antirealistico,
senz’altro con un occhio alle avanguardie storiche, vengono recepiti come
espressione di una koinè letteraria internazionale di marca realista. Cito
solo il caso de La morte a Roma di Wolfgang Koeppen: il romanzo, uscito
nel 1954, si rifà alla tecnica del montaggio di Alfred Döblin e
all’espressionismo in voga tra le due guerre, ma in Italia viene presentato,
da Einaudi nel 1959, come qualcosa di vicino a La pelle di Malaparte o a
Ragazzi di vita di Pasolini.2
Questo sta a significare come non si possa dunque prescindere dalle tendenze
letterarie ed editoriali nazionali per meglio comprendere cosa avviene e in che
direzione si muovano le scelte in campo internazionale e quindi della letteratura
tradotta. Dopo la seconda guerra mondiale è Einaudi la vera novità: grazie all’attività
de «Il Politecnico» e all’affermazione in ambito nazionale di nuovi autori come
Cassola, Bazzani, Viganò, Fortini e Calvino che diventeranno caratterizzanti tanto
per la casa editrice quanto per la stagione del “nuovo realismo”, aveva attratto nella
sua sfera di influenza le migliori personalità della nuova generazione letteraria
italiana, conquistando oltre che prestigio anche un ruolo di direzione culturale.
In campo internazionale Einaudi spinge verso nuovi autori e nuove traduzioni
in modo che tuttavia costituiscano un insieme coerente con l’idea di letteratura
proposta dalla casa. La sfida che la nuova guida einaudiana propone ai più vecchi e
affermati concorrenti è chiara: la casa Einaudi investe sia su autori tedeschi
contemporanei, sia sul riposizionamento in collane con un ben preciso orientamento
politico, di autori già consacrati da altre case editrici, al fine di ottenere, oltre ad un
capitale simbolico, quella che per usare le parole di Michele Sisto definirei una
Sisto, Michele (2009): «Una grande sintesi di movimento»: Enrico Filippini e l’importazione della
nuova letteratura tedesca in Italia (1959-1969) in Enrico Filippini, le neoavanguardie, il tedesco,
Quaderno del «Bollettino Storico della Svizzera Italiana» , nota 5, p. 4.
2
5
«letteratura tedesca Einaudi»3, una letteratura tedesca tradotta distinta da quella che
gli altri editori proponevano in Italia.
In un primissimo momento Einaudi si era dedicata alla traduzione dei classici,
inaugurando la collana “Narratori stranieri tradotti” con I dolori del giovane Werther
(1938) e annoverando tra i propri titoli autori come Hoffmann, Novalis, Grillparzer,
Kleist ed Eichendorff: una strategia necessaria per valorizzare, con discreta rapidità,
il proprio catalogo. Solamente dopo la seconda guerra mondiale la casa editrice
torinese comincia a misurarsi sul campo della letteratura tedesca del Novecento alla
quale dedica due collane, “I Coralli” e “I Supercoralli”, rispettivamente nate nel 1947
e 1948. I primi tradotti sono necessariamente autori già mondadoriani, scegliendo
però opere maggiormente impegnate come avviene nel caso di Kafka con America
(1947) ma anche Addio al Reno di Döblin (1949), di Fallada (Ognuno muore solo,
1950), di Anna Seghers della quale vengono pubblicati diversi romanzi come La
rivolta dei pescatori di Santa Barbara (1949), I sette della miniera (1950) e I morti
non invecchiano (1952).
In quei primi anni Cinquanta furono due le scelte davvero decisive nel
cambio di rotta della “letteratura tedesca Einaudi”, ovvero la pubblicazione
dell’opera drammaturgica brechtiana e de L’uomo senza qualità di Robert Musil,
un’operazione audace anche dal punto di vista della traduzione che strizzava l’occhio
al gigante Mondadori, al lavoro sulle traduzioni dei grandi capisaldi del romanzo
modernista europeo. Mondadori aveva rifiutato per motivi politici l’acquisto delle
opere teatrali di Brecht, Einaudi apre così le porte all’opera del tedesco e ne acquista
i diritti nel 1948 e nel giro di circa dieci anni pubblica i quattro volumi del Teatro
(1951-1961) e numerosi altri singoli drammi.4 La scelta di acquistare i diritti di
traduzione di Der Mann ohne Eingenschaften di Musil dopo la sua ripubblicazione in
Germania nel 1951 per Rowohlt rappresenta per l’Einaudi la possibilità di avere tra
le mani «un’opera che potrebbe costituire in Italia un grande avvenimento
3
Sisto, Michele (a cura di) (2013): Scegliendo e scartando. Pareri di lettura, Aragno Editore, Torino,
p. XXIX.
4
Per approfondimento cfr. Ivi, pp. XXXII-XXXIII.
6
letterario»5 paragonabile alla traduzione completa della proustiana Ricerca del tempo
perduto, già terminata nel 1951. Nonostante le complesse quasi duemila pagine del
romanzo e il rischio che il testo non trovi un pubblico tale da ripagare l’investimento
per la sua traduzione, Einaudi azzarda con l’acquisto dei diritti e sei anni più tardi,
nel 1957, l’Uomo senza qualità arriva in libreria.
Tra il 1952 e il 1955 la casa continua a tradurre un gran numero di autori
tedeschi come Thomas Mann (I Buddenbrook, 1952; Cane e padrone e altri racconti,
1953 e La morte a Venezia, 1954) e Heinrich Mann (Il suddito, 1955) e ancora
Fallada, Feuchtwanger, Schnitzler e Broch6: è quindi per questo che Einaudi nel
dopoguerra impone un cambio di rotta in fatto di letteratura tradotta, ravvivando
l’interesse letterario per l’aerea mitteleuropea e tedesca e portando il mercato
editoriale a seguire quella stessa rotta.
1.1.1. A partire dal 1954: Cesare Cases in Einaudi
Al fine di analizzare le dinamiche della casa Einaudi è doverosa una
distinzione prima e dopo la collaborazione di Cesare Cases con questa. L’ingresso di
Cases in Einaudi avviene già nel 1952 in qualità di traduttore quando gli viene
commissionata la cura di una raccolta di saggi del filosofo Lukács (che verrà
pubblicata l’anno successivo con il titolo Il marxismo e la critica letteraria). A
lavoro non ancora terminato, riceve già l’oneroso e delicato compito di tradurre i
Minima moralia di Theodor Adorno confermando così la sua posizione di traduttore.
Ben presto ai vertici di Einaudi ci si rende conto che le competenze del
giovane collaboratore possono essere impiegate per rinnovare la linea editoriale
einaudiana nel campo della letteratura tedesca contemporanea che fino a quel
5
Munari, Roberto (a cura di) (2011): I verbali del mercoledì. Riunioni editoriali Einaudi 1943-1952,
Einaudi, Torino, p. 283.
6
Ganni, Enrico: Deutsche Autoren in Einaudi Verlag, in «Jahrbuch der Deutschen Akademie für
Sprache und Dichtung», 2002, pp. 46-48.
7
momento appare ancora incerta: nel 1954 inizia così la sua carriera come consulente
editoriale per la germanistica per la casa torinese. I pareri, o schede, di lettura di
Cases diventano sempre più richiesti, il suo stile diretto e pungente, spesso ironico,
diventa caratteristico della sua attività: Cases, che ha ben chiara la situazione
generale italiana al finire degli anni Cinquanta, è consapevole che tradurre, o non
tradurre, un libro significa prendere una posizione pro o contro una certa idea di
letteratura e di cultura. Che fosse chiara in Einaudi, e condivisa ovviamente da
Cases, l’idea per cui “fare un libro” significa “non farne” molti altri, lo si nota dal
fatto che la maggior parte delle sue schede di lettura sono negative. 7 Questo lavoro
«rispecchia, anzi, le condizioni reali del transfer da un sistema letterario all’altro: che
un’opera venga tradotta non è la regola ma l’eccezione»8, un lavoro quindi di scelte e
di (numerosi) scarti che riuscì tuttavia a costruire per la Einaudi, tra gli anni
Cinquanta e Sessanta, un corpus di letteratura tedesca, il quale, oltre a dimostrarsi il
risultato di “eccezioni” accuratamente calcolate, non ha avuto e non avrà eguali né
per qualità né per quantità.9
Durante i primi anni di attività, vicino ad un’idea di cultura principalmente
marxista-gramsciana, Cases è orientato ad una prospettiva di produzione letteraria
“nazional-popolare”, tesa a superare la separazione tra letteratura ‘alta’ e ‘bassa’ e
una conseguente diseguaglianza sociale tra intellettuali e non. Per tutti gli anni
Cinquanta tende a prediligere romanzi che non interessino semplicemente i critici e i
letterati, ma che possano conquistare il pubblico più ampio e che costituiscano uno
strumento di conoscenza e confronto culturale. Proprio per questo motivo, come
suggerisce l’analisi di Michele Sisto, la maggior parte dei libri valutati positivamente
sono riconducibili a forme del romanzo di tipo tardo ottocentesco e del realismo
“popolare”: tra i più di venti titoli giudicati positivi senza riserva da Cesare Cases ne
vengono pubblicati meno della metà. Tenendo conto del mercato e del percorso
editoriale di quel momento il valore di un libro non può definirsi intrinseco, ma
7
Per approfondimento cfr. Sisto, Michele (a cura di) (2013): Scegliendo e scartando. Pareri di
lettura, Aragno Editore, Torino.
8
Ivi, p. XXVI
9
Cfr. Ibidem.
8
piuttosto relativo, dato che questo è dovuto tanto agli orientamenti letterari (e
politici) dell’editore quanto alla “contemporaneità” dello stile in cui questo è scritto.
Il difficile lavoro di Cases deve quindi tener conto anche della distribuzione delle
opere all’interno delle collane einaudiane, il che motiva diverse scelte in senso
negativo, come il caso delle Scure di Wandsbek:
È una questione che dipende soprattutto, mi pare, dall’indirizzo che si
vuole dare ai Supercoralli. Così come sono ora un libro così volutamente e
pesantemente realistico non vi rientrerebbe, […] per quanto io l’abbia letto
tutto d’un fiato e con piacere.10
Inoltre le scelte dell’editore Giorgio Einaudi, sempre vincolanti ai fini della
pubblicazione, sono dirette verso quello che, per usare la terminologia delle “regole
dell’arte” di Pierre Bordieu, viene definito il «polo di produzione ristretta», ovvero
un tipo produzione letteraria, orientata non tanto al mercato quanto al riconoscimento
da parte degli “addetti ai lavori”.11 Non meno importante risulta considerare il veloce
cambiamento, che approfondiremo nei paragrafi seguenti, del campo editoriale sul
finire degli anni Cinquanta; un certo tipo di forme letterarie fino a quel momento
considerate attuali, vengono in breve tempo superate e screditate come vecchie,
prima ancora che il libro potesse andare in stampa.
Tra gli anni 1959 e 1963 si assiste anche dal punto di vista economico ad una
profonda mutazione: un boom che avviò una trasformazione anche nell’editoria
incrementando molto velocemente la produzione libraria. Proprio a partire da quegli
anni si manifesta con maggiore evidenza l’importante lavoro critico ed editoriale di
Cases, che prenderà in parte strade nuove e alternative, animato per altro dalla
concorrenza di Feltrinelli e dalla vivace attività di Filippini.
10
Ivi, Parere su Arnold Zweig, Das Beil von Wandsbek, p. XLIV.
Cfr. Bordieu, Pierre (2006): Le regole dell’arte. Genesi e struttura del campo letterario, Il
Saggiatore, Milano, p. 202.
11
9
1.2. L’editoria «giovane»: Enrico Filippini per
Feltrinelli
La casa editrice Feltrinelli viene fondata nel 1955 a Milano da Giangiacomo
Feltrinelli. Con un capitale economico molto alto dovuto alla grande disponibilità
economica della famiglia dell’editore, si poneva sicuramente in una posizione di
partenza privilegiata ma con un capitale simbolico ancora tutto da conquistare.
Nei primi anni di vita, il lavoro della Feltrinelli è prossimo a quello di
Einaudi, con un’esplicita connotazione politica e una disposizione alla ricerca
letteraria. La prima collana di narrativa, “Biblioteca di letteratura”, viene affidata a
Bassani e si muove nel campo del Neorealismo tanto da arrivare, nel 1958, alla
consacrazione con la pubblicazione del best seller Il Gattopardo. Nel 1959 si assiste
ad una riorganizzazione all’interno di Feltrinelli: in questo stesso anno infatti viene
licenziato Bassani e la collana da lui diretta viene riorganizzata in “I Narratori di
Feltrinelli” che va a piazzarsi sul mercato accanto alla “Medusa” mondadoriana e a
“I Supercoralli” di Einaudi. L’inaugurazione de “Le Comete” è invece la prima
stoccata alla concorrenza: la nuova collana, sebbene sul modello de “I Coralli” e
orientata verso l’esplorazione della letteratura contemporanea, presenta dei tratti più
marcatamente di ricerca e di innovazione. La collana che pubblica «libri che escono
come tanti numeri monografici di una rivista di attualità letteraria; ogni numero una
scoperta, una puntata in profondità nella terra incognita della letteratura di domani»12
avrà, sulla spinta del recente boom dell’industria culturale, un successo tale da
portare anche Mondadori e Einaudi a progettare collane come “Nuovi scrittori
stranieri” e “La ricerca letteraria” per sostenere la concorrenza.
Se consideriamo il campo della letteratura tradotta, in particolar modo la
ricezione di quella tedescofona, si avverte la vera novità nel 1958 con l’assunzione di
Enrico Filippini come consulente ed editor per l’ambito tedesco. Le prime traduzioni
da lui curate sono le opere di Dürrenmatt (La visita della vecchia signora e La
Cit. da Cesana, Roberta: “Le Comete” Feltrinelli (1959-1967): «una collana come rivista di
letteratura internazionale», in Braida, L., Cadioli, A. (a cura di) (2007): Testi, forme e usi del libro.
Teorie e pratiche di cultura editoriale, Sylvestre Bonnard, Milano, pp. 219-244.
12
10
promessa nel 1959) e di Max Frisch (Homo Faber nel 1960) che tuttavia non
dimostrano ancora l’innovazione che Filippini si proponeva di imporre. La situazione
è destinata presto a cambiare: anche in casa Feltrinelli arriva l’eco tedesca prodotta
della Fiera del libro di Francoforte del 1959 in cui vengono presentati il Tamburo di
latta di Günter Grass e Congetture su Jakob di Uwe Johnson. È proprio quest’ultimo
la vera scoperta “filippiniana”: l’editor traduce personalmente il testo con grande
entusiasmo, verificando il lessico specifico usato nel romanzo e stabilendo una
corrispondenza diretta con l’autore per spiegazioni e chiarimenti; la pubblicazione
del romanzo in Italia avviene nel 1961 per la collana “Comete” senza passare
inosservata, tanto da suscitare l’interesse sia dei giornalisti sia degli intellettuali.
Tuttavia il motivo non è letterario come auspicato da Filippini ma piuttosto politico:
in un articolo apparso sulla «Abend-Zeitung» di Monaco l’autore viene accusato di
aver difeso e giustificato la costruzione del muro di Berlino durante la presentazione
del suo libro a Milano. La smentita di Filippini è inutile, anche per la stampa italiana
Uwe Johnson diventa lo «scrittore delle due Germanie», pressoché inutile è anche la
pubblicazione da parte di Filippini di una Guida alle Congetture su Jakob tesa a
chiarire le novità stilistiche del nuovo romanzo che incontra la resistenza del grande
pubblico13.
Per capire meglio la traiettoria innovativa che Filippini intende percorrere è
interessante osservare come, attorno alle sue scelte editoriali, si venga a creare un
caso che coinvolge non solo direttamente la casa Feltrinelli ma in generale il campo
culturale ed editoriale italiano. Singolare è l’esempio de Il tamburo di latta di Günter
Grass che sin dal suo arrivo in libreria nel 1962 tra i “Narratori” di Feltrinelli sembra
voler gridare allo scandalo: viene presentato come «il romanzo più clamoroso della
giovane letteratura tedesca, best-seller assoluto nel dopoguerra in Germania, il
romanzo straniero più venduto in Francia. […] Il nazismo visto con gli occhi di un
nano erotomane»14. Prima di arrivare in casa Feltrinelli, Il tamburo non riceve
commenti positivi da nessun editore: Bompiani, che inizialmente ne aveva acquistato
13
Cfr. Sisto, Michele: Mutamenti del campo letterario italiano 1956-1968: Feltrinelli, Einaudi e la
letteratura tedesca contemporanea, in «Allegoria», 2007/55, pp. 88-89.
14
La citazione è riportata nella fascetta della prima edizione del romanzo, Feltrinelli, 1962.
11
i diritti, abbandona il progetto per la difficoltà di traduzione, Cases lo considera
«noioso» e «illeggibile» ma ancora più duro è il parere che Lavinia Mazzucchetti
scrive già nel ’59 per la Mondadori:
Mi pare di non correr pericoli sconsigliando comunque la Mondadori da
ogni idea di acquisto. Se poi l’avvenire lo dichiarerà un gran libro alla cui
intelligenza io son negata, tanto peggio. Un successo di cassetta non
diventerà mai. È noioso, disgustante, supertedesco, barocco, superfluo.
[…] Non disperiamoci se un altro editore con consulenti meno preistorici
della sottoscritta abbocca e fa tradurre e stampare le almeno 700 pagine di
questo romanzo.15
La critica di destra saluta il romanzo con non meno disprezzo, definendolo «il
simbolo dell’avanguardia terribile» che prende «a calci le istituzioni, le mamme, le
nonne» per «conquistare un posto nell’olimpo degli immortali e un conto in banca»16
e neanche da parte di Elio Vittorini arriva alcun parere positivo: per lui il romanzo è
da «scartare tranquillamente» e lo definisce un «tentativo riuscito a metà»17. Una
volta pubblicato dalla Feltrinelli, il romanzo di Grass è tuttavia per il pubblico
italiano un discreto successo, uno dei più venduti tra gli stranieri di Feltrinelli. Anche
la critica concede, dopo la pubblicazione, maggior credito al Tamburo di latta, fatto
sintomatico del cambiamento nella struttura del campo letterario italiano: per
«l’Unità» è «la prima e azzeccata visione romanzesca, fra comica e amara, della
Germania nazista»18. Una nuova rivoluzione in campo letterario si sta avviando,
guidata dall’attività di Filippini e dalla nuova avanguardia italiana, che non può che
apprezzare le novità formali di Grass, prima incomprese e disprezzate dalla critica e
dagli editori, tanto che Renato Barilli in una recensione puramente letteraria
dell’opera apprezzerà il «nanismo trascendentale» del nano Oskar e la novità dal
15
Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori, Milano, Archivio Lavinia Mazzucchetti, b. 28, fasc. 138,
c. 163.
16
Il giudizio riportato è tratto da Orsera, G.: Dove finiscono gli ideali, in «Il Borghese», 31.1.1963.
17
Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori, Milano, Archivio Lavinia Mazzucchetti, b. 28, fasc. 138,
c. 165
18
Rago, M.: Un tamburo di latta contro Hitler, in «l’Unità», 23.1.1963.
12
punto di vista formale della posizione del narratore che ritiene necessaria per poter
arrivare a una «conoscenza autentica del mondo»19.
È quindi impensabile che questi romanzi passino inosservati agli scrittori del
Gruppo 63, fautori di un’innovazione formale contro il neorealismo di Cassola e
Bassani, di Fortini e Pasolini, ma anzi è loro interesse appropriarsi di questa nuova
letteratura come slancio per il cambiamento.
1.2.1. La strategia editoriale di Filippini
Enrico Filippini non è per Feltrinelli solo un consulente ma uno scrittore, un
editor e un traduttore, il cui lavoro è fondamentale per accreditare non solo la casa
editrice ma anche la neoavanguardia italiana. Se la nuova generazione di scrittori nel
campo letterario tedesco (come Johnson, Grass e Böll) viene respinta da Mondadori e
Einaudi con disappunto, Feltrinelli ha tutto l’interesse ad investire sui nuovi autori,
che seppur non inquadrabili come neoavanguardisti nel senso italiano del termine,
sono da considerare come fautori di una rottura in campo letterario. La strategia di
Filippini è quella di accostare nelle collane feltrinelliane le nuove traduzioni ad
autori nazionali come Arbasino e Sanguineti, vere rivoluzioni sul piano formale e
letterario in Italia: in questo modo le opere acquistano nuova vita e nuovo significato,
collocandosi in una posizione talvolta antitetica rispetto a quella occupata nel campo
letterario di origine.20 Filippini è abile nel creare connessioni, echi tra i libri che
pubblica e gli autori che sceglie, nell’arricchire articoli, antologie, interviste con
suggestioni e rimandi verso il “movimento” che ha costruito intorno agli autori di
Feltrinelli.
19
Cfr. Barilli, R.: Uomini e nani. Un «triangolo inedito», in «Il Mulino», 1963/8, pp. 778-787.
20
Cfr. Sisto, Michele: La letteratura tradotta come fattore di cambiamento, in Sisto, M., Fantappié, I.
(a cura di) (2013): Letteratura italiana e tedesca 1945-1970: Campi, polisistemi, transfer, Istituto
Italiano Studi Germanici, Roma, p. 91.
13
Più o meno consciamente [Feltrinelli] capì che il libro contava, anche
commercialmente, in quanto aveva un “prima” e un “dopo”, in quanto era
parte di un evento, di una grande sintesi di movimento, anche se questa
sintesi era puramente immaginaria.21
Così scrive a proposito di Feltrinelli alcuni anni dopo, parole che, come osserva
Sisto, fanno intuire molto su come Filippini intendesse la propria attività letteraria e
editoriale, così come dicono molto a tal proposito anche le strategie che egli adotta:
pubblicare nella collana “Le Comete” uno accanto all’altro Congetture su Jakob di
Johnson e Capriccio italiano di Sanguineti, i suoi “tedeschi” affiancati ai
“neoavanguardisti”, a sottolinearne la contiguità.22
La personalità di Enrico Filippini crea e alimenta il dibattito letterario degli
anni ’60; la sua operazione editoriale rompe con il passato più recente, crea un nuovo
presente, egli è animato da una frenetica curiosità di scoperta, portando la
concorrenza a seguire la strada da lui stesso tracciata: dà vita ad uno scontro
simbolico con Cesare Cases che vede contrapporre non solo due forti personalità
intellettuali ma due vere e proprie concezioni della letteratura differenti tra loro. Il
modo di lavorare di Filippini è infatti significativo, il suo modo di porsi era
altrettanto significativo. Era un precursore e nel suo campo un rivoluzionario, «arrivò
in casa editrice in scarpe da tennis, t-shirt e jeans» ricorda Inge Feltrinelli «una cosa
che anche a Milano era considerata vera e propria avanguardia»23, non era un
semplice consulente ma curava l’intera produzione editoriale, valutando e
selezionando gli scritti, lavorando sulle traduzioni e scegliendo personalmente la
struttura grafica e di copertina. Le sue idee e le sue proposte permisero alla casa di
arricchire notevolmente in pochi anni il proprio catalogo, con testi sia italiani che
stranieri che connotarono in modo inequivocabile il percorso già voluto dalla
Feltrinelli. Il lavoro intrapreso da Filippini, con l’intento di importare in Italia i nuovi
21
Filippini, E.: Feltrinelli Story, in «La Repubblica», 21.6.1981.
Cfr. Sisto, Michele (2009): «Una grande sintesi di movimento»: Enrico Filippini e l’importazione
della nuova letteratura tedesca in Italia (1959-1969) in Enrico Filippini, le neoavanguardie, il
tedesco, Quaderno del «Bollettino Storico della Svizzera Italiana» , pp. 13-14.
22
23
Feltrinelli, Inge: Testimonianza, in Aa.Vv. (2005): Il Gruppo 63, quarant'anni dopo: Bologna, 8-11
maggio 2003, atti del Convegno, Pendragon, Bologna, p. 16.
14
tedeschi, fu assai differente rispetto a quello svolto dalle altre case editrici, non solo
per la novità stilistica e letteraria che questi autori rappresentarono ma per il modo in
cui questo lavoro fu inteso. Ciò si esemplifica in modo significativo considerando
l’iter editoriale delle prime opere di Grass: Günter Grass presenta il primo capitolo
de Il tamburo durante una riunione della Gruppe 47 a Berlino nel 1958 e un anno più
tardi il romanzo viene pubblicato e presentato alla Fiera del libro di Francoforte. Il
libro, come abbiamo visto, fu uno scandalo e le opinioni a riguardo contrastanti ma a
detta di Filippini stesso:
[…] nel complesso il romanzo fu sentito come una colossale profanazione,
un’immensa oscenità, un Vangelo perverso che avrebbe radunato
discepoli. Il primo a parlare di questo «Vangelo» fu Paolo Milani su
L’Espresso. Era stato a Berlino, aveva conosciuto Grass, aveva colto lo
spessore linguistico ed espressivo, la freschezza d’invenzione del libro.
Purtroppo ne aveva parlato anche a Valentino Bompiani, che subito aveva
acquistato i diritti di traduzione in Italia, […]ero arrivato in ritardo.
Un ritardo, per l’idea che muoveva il lavoro Filippini, imperdonabile.
Fortunatamente non solo riuscì a mettere per primo le mani su Gatto e topo, un altro
racconto “scandaloso” di Grass, ma la pubblicazione di Bompiani de Il tamburo non
andò mai in porto per le controverse vicende di traduzione e di ricezione da parte
della critica e del pubblico che un romanzo del genere avrebbe comportato, tali da
scoraggiare l’editore; così Filippini riuscì a tradurre e pubblicare in tempi record sia
Il tamburo di latta che Gatto e topo. Nel 1962, infatti, fu pubblicato nella collana “I
Narratori di Feltrinelli” nel giro di pochissimi giorni Il tamburo con una traduzione
«imperfetta ma integra» curata dallo stesso Filippini e subito dopo la novella Gatto e
topo fu tradotta rapidamente e «le bozze di stampa approntate in quindici giorni»24.
Il 1962 è come lo definisce Sisto, «l’anno dei tedeschi», dopo Johnson e
Grass, Filippini cura per Feltrinelli un’antologia, la prima della letteratura tedesca
contemporanea comparsa in Italia nel dopoguerra. I testi selezionati da Hans Bender
per Il dissenso: 19 nuovi scrittori tedeschi vengono valutati e per la maggior parte
tradotti da Enrico Filippini che individua nella raccolta il segnale che la strada su cui
24
Filippini, Enrico: Dalla parte del nano, in «la Repubblica», 03.12.1978.
15
si sta muovendo la letteratura tedesca è quella a cui ispirarsi. Il dissenso è infatti
strutturato in due sezioni: la prima raccoglie i narratori che hanno documentato la
condizione della Germania durante e dopo la guerra, la seconda parte invece presenta
gli autori che sperimentano nuove forme di scrittura.25 L’antologia si conclude
significativamente con un brano tratto da Il terzo libro di Achim di Johnson, ormai
l’autore di riferimento per le avanguardie26. Al contrario di Cases, che considera il
quadro presentato da Filippini «un malloppo», Vittorini ne rimane stimolato e decide
di progettare un numero del Menabò dedicato alla letteratura tedesca contemporanea,
che rappresenterà una valida alternativa al percorso tracciato dall’editor di
Feltrinelli.27
1.2.2. Le traduzioni di Enrico Filippini
Sulle traduzioni di Filippini ci sarebbe ancora tanto da dire e, per farlo,
bisogna tener conto di cosa quest’attività significhi per il suo modo di procedere.
Tradurre per Filippini è un modo per velocizzare i tempi e bruciare le tappe, per aver
in pugno le tempistiche della sua “grande sintesi di movimento”, della sua
operazione di importazione della letteratura. La sua è una battaglia culturale che non
può permettersi ritardi e perdite di tempo, Filippini tiene conto dell’urgenza di far
uscire i libri, per primi, di imporre la nuova letteratura e di battere la strada da
percorrere prima che lo facciano gli altri. Egli è un avanguardista anche nel suo
lavoro di editor, non vuole seguire la scia dei suoi colleghi più anziani e più esperti e
per farlo deve correre più veloce e questa corsa il più delle volte non lascia il tempo
neanche di consultare un vocabolario. Filippini è un “militante” delle traduzioni, ma
soprattutto della letteratura: la traduzione, anche se imprecisa, è solo uno dei modi
25
Per un approfondimento cfr. Sisto, Michele: Mutamenti del campo letterario italiano 1956-1968:
Feltrinelli, Einaudi e la letteratura tedesca contemporanea, in «Allegoria», 2007/55, p. 96, nota 35.
26
Nel 1961 Das dritte Buch von Achim vince il Prix international des éditeurs Formentor
affermandosi su Tamburo di latta, Una vita violenta di Pasolini e Dans le labyrinthe di Robbe-Grillet.
27
Il numero verrà curato da Enzensberger e sarà pubblicato solo nel 1966, poco dopo la morte di
Vittorini, in «Il Menabò» n.9.
16
per introdurre un’opera, un autore o, come sarebbe più appropriato dire in questo
caso, un’idea di letteratura e facilitarne la ricezione e la comprensione.
Filippini leggeva, suggeriva, recensiva, intervistava e traduceva lui stesso la
maggior parte degli autori che sceglieva; il suo tradurre aveva un piglio geniale e
spregiudicato, che lo esponeva tuttavia facilmente ai rischi di un approccio
linguistico e filologico non certo rigoroso.28 Il suo lavoro non viene infatti sempre
apprezzato ma anzi spesso ripreso senza remora e in ambito editoriale circolano
molte critiche sulla sua qualità di traduttore. Giorgio Zampa, anch’egli collaboratore
di Feltrinelli, reputa la traduzione di Gatto e topo cattiva e dannosa per l’opera.
Scrive infatti che il testo italiano di Gatto e topo «brulica di errori», di
numerosissime «forzature sintattiche e stilistiche» e di «frasi prive di senso»29. I
commenti più severi e i toni più duri non possono che arrivare da Cesare Cases,
esperto germanista e incaricato di revisionare la delicata traduzione de L’opera
d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica di Walter Benjamin operata
proprio da Filippini. Scrivendo a Giulio Bollati, il germanista di Einaudi non
risparmia critiche e rimproveri nei confronti dello scadente lavoro:
La revisione della traduzione del Benjamin fatta da Filippini è stata un
duro lavoro e mi ha fornito un’idea poco edificante delle sue capacità e
della sua serietà di traduttore. Lo scarso impegno, sempre più visibile man
mano che si va avanti nella traduzione, può essere occasionale, ma
l’ignoranza non lo è, e la combinazione dei due elementi è disastrosa,
perché F. non ha la pazienza di cercare sul dizionario la soluzione dei
problemi più elementari. [Segue una lunga presentazioni degli errori più
clamorosi della traduzione]. F. è certamente intelligente, ma bisognerebbe
chiedergli, se non di correggere la sua ignoranza che ha radici troppo
Delle traduzioni di Enrico Filippini se n’è occupata Anna Ruchat in Ruchat, Anna (2009):
L'urgenza di tradurre un mondo, in Enrico Filippini, le neoavanguardie, il tedesco, Quaderno del
«Bollettino Storico della Svizzera Italiana», pp. 45-51.
28
Zampa, G.: Günter Grass racconta con aspri simboli l’amicizia di due ragazzi in Danzica 1939, in
«La Stampa», 22.1.1964
29
17
profonde, almeno di metterci un po’ più d’impegno e di comprarsi un
vocabolario, anche tascabile.30
Al rigoroso Cases il modo di lavorare di Filippini non va a genio e riguardo
alla richiesta di Filippini di curare personalmente la traduzione de Il dramma
barocco tedesco di Benjamin, Cases risponde al redattore einaudiano Fossati:
Su di lui [Filippini] non ho “dubbi”, come lei dice, ma solo certezze. So
cioè che è indubbiamente intelligente, ma è un analfabeta totale e
irrimediabile (soprattutto dal punto di vista linguistico, ma anche da quello
della cultura generale)[…]. Le voci che correvano su di lui mi parevano
esagerate già per il fatto che tutti gli editori gli davano del lavoro, e sempre
impegnativo. Invece è proprio così.31
Filippini è però convinto a seguire la propria strada fatta di scelte rischiose e
decise: era importante la quantità dei testi tradotti piuttosto che la qualità delle
traduzioni, che pur mantenevano un certo rispetto per l’atmosfera stilistica e il
registro linguistico dell’opera originale. I “tradotti” feltrinelliani servono a creare una
costellazione letteraria ben precisa, indirizzata appunto da Filippini e senza
possibilità di proroghe: le scadenze imposte sono rigide, le uscite dei libri sono
fissate in ordine preciso per seguire strategie di mercato e strategie “letterarie”, volte
a posizionare nelle collane gli autori in modo da creare una determinata immagine di
queste e così una precisa visione della letteratura. Quando le scadenze sono
gravemente compromesse è la dedizione di Filippini che lo coinvolge in performance
estreme e intense a permettergli di recuperare in extremis il lavoro e di non
scambiare l’ordine delle pubblicazioni. Completa e aggiusta personalmente in pochi
giorni di lavoro “matto e disperatissimo” alcune opere:
La traduttrice, che doveva consegnare tutto [Il taccuino d’oro di Doris
Lessing] entro il 30 gennaio ha avuto un crollo di nervi, così mi sono
30
Archivio Giulio Einaudi Editore, Enrico Filippini, c. 86, Lettera di Cesare Cases a Giulio Bollati,
4.1.1966, cit. in Sisto, M. (2009): «Una grande sintesi di movimento»: Enrico Filippini e
l’importazione della nuova letteratura tedesca in Italia (1959-1969), pp. 15-16.
31
Archivio Giulio Einaudi Editore, Cesare Cases, c. 981, Lettera a Paolo Fossati, 15.3.1966, cit. in
Sisto, M. (2009): «Una grande sintesi di movimento»: Enrico Filippini e l’importazione della nuova
letteratura tedesca in Italia (1959-1969), p. 16
18
ritrovato […] a rifare metà della traduzione nel giro di 60 ore passate tutte
in bianco e a colmare la lacuna di 70 pagine rimasta. Ce l’abbiamo fatta:
ieri Marasà mi ha confermato che usciamo in tempo. […] Per conto mio,
nonostante i momenti di eclisse, mi sento come una locomotiva sotto
intensa pressione, amen.32
Dal modo di lavorare di Filippini, oltre che dal suo ruolo e dalla sua
formazione personale non è infatti possibile prescindere quando si cerca di valutare
le sue traduzioni: cresciuto in Ticino, si era dedicato alla carriera di maestro, per poi
iniziare gli studi a Milano, in famiglia parlava il tedesco essendosi sposato con Ruth
Schmidhauser; le sue esperienze anche dal punto di vista linguistico (conosceva
l’italiano, il tedesco e il francese) furono molto variegate lasciandolo in un limbo in
cui sentiva e conosceva diverse lingue, senza possederne nessuna. La sua apertura, il
suo interesse verso il nuovo, la disponibilità nei confronti del diverso
caratterizzarono la sua attività di quegli anni e non solo le traduzioni non sempre
precise, che sono solamente il risultato tangibile del lavoro di Filippini.
1.3. Uno scontro simbolico: Filippini contro Cases
Le collane feltrinelliane iniziano a dettare un trend, una strada da percorrere
anche per le case editrici concorrenti. Anche negli scaffali di Einaudi e Mondadori
nascono collane di ricerca letteraria, analoghe a “Le Comete” ma è in particolar
modo Cesare Cases a lanciarsi alla scoperta di nuovi autori e a iniziare a esplorare le
più recenti tendenze letterarie in cerca di alternative possibili alla neoavanguardia
proposta da Feltrinelli. Inizia così un braccio di ferro simbolico tra i due consulenti
della germanistica di Feltrinelli e Einaudi, le case editrici più orientate verso la
letteratura tedesca.
32
Archivio Enrico Filippini, Carteggi, 2.2.86, Lettera a Giangiacomo Feltrinelli, senza data, 1964, cit.
in Fuchs, Marino: Memorie della neoavanguardia. L’archivio Enrico Filippini alla Biblioteca
Cantonale di Locarno, in Borrelli, C., Candela, E., Pupino, A. (a cura di) (2013): Memorie della
modernità. Archivi ideali e archivi reali, Edizioni ETS, Pisa, tomo II, p. 510.
19
Il loro percorso prima di quegli anni non era stato poi molto differente e le
loro traiettorie avevano diversi punti di incontro: gli studi tra la Svizzera e Milano,
l’insegnamento nella scuola superiore, la formazione filosofica comune e la carriera
divisa tra attività editoriale, letteraria e accademica. Altrettante, se non maggiori,
sono le differenze. Cases, nato a Milano nel 1920 e cresciuto con una rigida
educazione classica e laica, si adagia sui tratti e sulla quotidianità dell’intellettuale
“borghese” dimostrando un certo ironico distacco nei confronti delle contese
letterarie e politiche. Filippini, al contrario, ostenta un atteggiamento rivoluzionario,
a tratti “bohémien”: negli anni più intensi della sua attività in Feltrinelli, si muove
costantemente tra Italia, Francia e Germania, senza perdere di vista i movimenti
letterari che accendono l’Europa, entra in contatto con numerosi intellettuali e
gruppi, partecipa a diversi incontri della Gruppe 47 a Berlino così come agli incontri
del gruppo francese intorno alla rivista «Tel Quel»33. Della letteratura contemporanea
non è solo uno spettatore interessato, ma vi partecipa attentamente e, a differenza di
Cases, che ha perlopiù rapporti con il mondo accademico e filosofico tedesco,
Filippini conosce a fondo la scena letteraria: con autori come Dürrenmatt,
Enzensberger, ma soprattutto con Frisch, Grass e Wagenbach, stringe autentiche
amicizie e i contatti diventano sempre più frequenti. Porta in Italia una nuova
generazione di autori stranieri, che spesso traduce lui stesso, si fa fautore di un nuovo
gruppo letterario italiano e promotore delle lotte dell’avanguardia. Come dice
Valerio Riva «metà del catalogo Feltrinelli, fino al 1968, è roba sua »34. Avverso
all’avanguardia è invece Cases, che ben recepisce la lezione di Lukács di cui
condivide inoltre il realismo critico e socialista e le idee estetiche: il suo nome infatti,
dopo la traduzione della raccolta di saggi Il marxismo e la critica letteraria nel 1953,
è inevitabilmente legato a quello del filosofo ungherese.
33
«Tel Quel» è una rivista letteraria francese, fondata nel 1960 da Philippe Sollers e Jean-Eder Hallier
e pubblicata, fino al 1982 dalle Éditions du Seuil. La rivista vedeva intorno a sé un folto numero di
poeti, scrittori, autori e critici impegnati, in maggior parte francesi, ma erano numerose le
collaborazioni e i contatti con altri intellettuali sia italiani che tedeschi. Il gruppo era impegnato
inizialmente nell’espressione della nuova poetica d’avanguardia ma più in generale nel dibattito sulla
trasformazione e critica del concetto di letteratura. Cfr. Forest, Philipp (1995): Histoire de «Tel Quel»,
1960-1982, Éditions du Seuil, Parigi.
34
Feltrinelli, C. (1999): Senior service, Feltrinelli, Milano, p. 210.
20
Rispetto al ruolo che essi ricoprono all’interno delle rispettive case editrici vi
è un’importante differenza da dover precisare: benché entrambi siano consulenti per
la germanistica, la libertà di cui gode Filippini è di gran lunga maggiore rispetto a
quella del collega Cases. Se infatti Filippini, abbiamo visto, prende parte alle scelte
editoriali di pubblicazioni assumendo quasi una posizione di editore per quel che
riguarda la letteratura tedesca, Cesare Cases rimane un semplice, seppur esperto,
consulente. In casa Einaudi l’ultima parola spetta sempre all’editore Giulio Einaudi,
anche se i pareri di lettura e di pubblicazione scritti da Cases negli anni della sua
attività hanno un ruolo particolarmente influente.
La ricerca condotta da Cesare Cases per Einaudi con lo scopo di imporre
un’alternativa credibile al progetto di Filippini e alla traiettoria delle collane di
Feltrinelli avverrà per tentativi, tuttavia non sempre riusciti. Ci prova inizialmente
con Duell di Manfred Esser:
Per la prima volta vi raccomando caldamente un tedesco garantito giovane
(nemmeno 24 anni). Non sarà un grande scrittore e forse nemmeno uno
scrittore ma è uno che ha capito che per dire che la Germania di Bonn è un
luogo impossibile non c’è bisogno di scrivere centinaia di pagine
illeggibili. Egli ha certo imparato da Johnson e da Walser e riprende dei
motivi di entrambi, ma dice tutto in sole 130 pagine. […] Propongo di
pubblicarlo con una fascetta antifeltrinelliana: «il primo leggibile sulle due
Germania».35
Così recita il parere editoriale di Cases ed il romanzo è pronto per la stampa
nel 1963, tuttavia a libro pronto, l’opera non sembra più rientrare negli intenti della
Einaudi e il titolo viene scartato e addirittura ne viene proposto l’acquisto alla
concorrente Feltrinelli. Tuttavia tre anni più tardi un ulteriore dietro-front fa sì che
Duell venga pubblicato, nel 1966, nella collana dei “Coralli” ma ormai l’occasione è
stata mancata e il romanzo non viene recensito se non da una parte della stampa di
sinistra che condivide il pensiero di Cases e contrappone la chiarezza formale di
Esser alle astrusità di Johnson.
35
Archivio Giulio Einaudi Editore, Cesare Cases, c. 1918, cit. in Sisto, Michele: Mutamenti del
campo letterario italiano 1956-1968: Feltrinelli, Einaudi e la letteratura tedesca contemporanea, in
«Allegoria», 2007/55, p. 102.
21
Il secondo tentativo di Einaudi, nel 1965, si realizza con la nuova collana “La
ricerca letteraria” sempre improntata alla scoperta di letteratura sperimentale. La
collana presenta, con provocatorie copertine in alluminio, diversi autori tedeschi
come Arno Schmidt, Gisela Elsner, Helmut Heissenbüttel e Peter Weiss, tuttavia la
collana non risulta convincente. Non solo perché questa rappresenta piuttosto
un’esigenza da parte di Einaudi di liberare i più prestigiosi “Coralli” da esperimenti
di scrittura di discutibile valore, ma anche per la totale disomogeneità tra i testi e tra
gli autori presentati.36
La nuova strada intrapresa da Einaudi passa per Bertolt Brecht, la sua
ricezione e la sua reinterpretazione. La consacrazione di Bertolt Brecht in Italia,
ormai avviata da Einaudi già dai primi anni Cinquanta, viene portata a termine dalla
casa editrice di Torino che pubblica nel 1959 Poesie e canzoni, il III e il IV volume
del Teatro oltre che numerose prose e scritti teorici. Soprattutto in poesia c’è la
preoccupazione di ricondurre l’autore tedesco ad un immaginario contemporaneo
italiano: Franco Fortini si fa fautore di questa rielaborazione, rimaneggiandone la
poetica
e
reinterpretandone
la
posizione.
Seppur
ricca
di
forzature
e
decontestualizzazioni, questa traduzione-appropriazione permette a Fortini di
proporre Brecht come alternativa non solo al dominante ermetismo di Montale ma
soprattutto all’emergente avanguardia e al rifiuto dell’analisi sociale a favore
dell’alienazione stilistica. Brecht diventa il modello dell’autore che, partito da
posizioni sperimentali e di avanguardia, attraverso un percorso politico di stampo
marxista, arriva ad affermarsi «poeta morale del Socialismo», modello che lo stesso
Fortini riconosce come proprio.37 La “questione Brecht” non riguarda solamente il
lavoro tra le scrivanie di Einaudi: nel 1961 Franco Fortini collabora con Feltrinelli
per la traduzione di una breve antologia di poesie di Hans Magnus Enzensberger,
circa trenta, alle quali seguirà, a cura dello stesso autore, la pubblicazione, per la casa
editrice tedesca Suhrkamp, di una selezione di liriche fortiniane. Il progetto della
36
Cfr. Sisto, Michele: Mutamenti del campo letterario italiano 1956-1968: Feltrinelli, Einaudi e la
letteratura tedesca contemporanea, in «Allegoria», 2007/55, p. 103.
37
Cfr. Fortini, Franco: Introduzione, in Brecht, Bertolt (1959): Poesie e canzoni, Einaudi, Torino, pp.
VII-XX.
22
Feltrinelli incontra, però, degli intoppi e la collaborazione Fortini-Filippini, editor
incaricato per la pubblicazione di Enzensberger, non va a buon fine: Poesie per chi
non legge poesie, il volume di liriche enzensberghiane, viene così portato in stampa
nel 1964 da Filippini, senza l’introduzione prevista di Fortini che viene sostituita da
un intervento redazionale dell’editore svizzero. La poesia di Enzensberger, che viene
presentata come «unica valida erede della tradizione brechtiana», vedrà la stampa in
un volume “brechtiano” nella traduzione ma “avanguardista” nell’editing.38 La
strategia di Filippini per ricondurre l’autore non tanto a Brecht quanto piuttosto alle
posizioni del neonato Gruppo 63 è ben riuscita: il collocamento nella collana “Le
Comete” affianca Enzensberger ad autori come Johnson e Sanguineti, l’illustrazione
di copertina e le parole che accompagnano il volume39 non fanno di certo pensare ad
un accostamento alla tradizione brechtiana, il brano dello stesso autore pubblicato
sulla quarta era stato non a caso da poco tradotto sulla rivista sessantatreina «il
verri». Infine i risvolti di copertina vengono sostituiti all’ultimo con un intervento di
Filippini dove più che alla poesia, si fa cenno ai più recenti saggi, a breve in uscita
sempre per Feltrinelli, nei quali la posizione di Enzensberger è notevolmente
cambiata e Filippini non tarda ad approfittarne mostrando una somiglianza a livello
tematico con Umberto Eco, più che con Brecht.
A questo punto in Fortini non c’è più l’interesse a proseguire una
collaborazione con la Feltrinelli, che anzi rappresenta il punto di riferimento per gli
avversari neoavanguardisti, è al contrario di nuovo Einaudi a recepire il lavoro di
Fortini e a fornirgli i mezzi e gli strumenti per portarlo a termine e proporre con la
sua attività sull’opera di Brecht un’alternativa all’avanguardia feltrinelliana. Cesare
Cases si accosta così all’opera di Brecht nella stessa concezione fortiniana e fa di
essa la propria arma nella lotta tra “brechtiani” e “avanguardisti”. Così con Brecht,
che è, e rimane per tutti gli anni Sessanta, di gran lunga più popolare rispetto a
38
Cfr. Sisto, Michele: Mutamenti del campo letterario italiano 1956-1968: Feltrinelli, Einaudi e la
letteratura tedesca contemporanea, in «Allegoria», 2007/55, p. 104.
39
La copertina presenta un collage di Kurt Schwitters, artista e pittore tedesco vicino alle correnti di
avanguardia, famoso per i suoi collage e per l’“arte dei detriti”, nonché artista di riferimento per Nanni
Balestrini. Le parole riportate in copertina:«La poesia come antimerce / graffiata nei muri / stampata
sui manifesti / e tra la pubblicità dei quotidiani / una comunicazione rivolta a tutti / Il juke-box, la
tecnica, il cinema / la televisione, la politica, la Germania / Lo strip-tease della nostra civiltà.»
23
Johnson e Grass, il gruppo di Einaudi sembra aver trovato il giusto ostacolo
all’attività di Filippini. Le ultime traduzioni del drammaturgo tedesco, come Vita di
Galileo edito da Einaudi nel 1963, provocano un dibattito senza precedenti e aprono
la strada a nuove pubblicazioni. È solo dopo il Galileo che si apre in Italia la stagione
del teatro politico, quando si crea quindi lo spazio per Einaudi per nuove proposte di
traduzioni come il teatro documentario di Kipphardt (Sul caso J. Robert
Oppenheimer, 1964), i drammi storici di Dorst (Toller, 1971) e soprattutto le opere di
Peter Weiss. È proprio con Peter Weiss che si scopre l’alternativa di Einaudi a Uwe
Johnson e a Feltrinelli: Cesare Cases individua nell’autore di Congedo dai genitori e
Punto di fuga una figura che, come Brecht, ha «macinato» e superato le avanguardie
ma allo stesso tempo un autore giovane e contemporaneo.
Filippini non rimane fuori da questo gioco, o almeno ci prova. La spartizione
dei titoli tra le due case editrici è netta: se Congedo dai genitori e Punto di fuga sono
già di interesse di Cases, Filippini opta per il più sperimentale “micro romanzo”
L’ombra del corpo del cocchiere. I due volumi già acquistati da Einaudi non sono
compatibili con gli spiriti avanguardisti della Feltrinelli, tant’è che Giuliano Baioni li
recensisce su «il verri» come un regresso rispetto al primo romanzo L’ombra, dallo
stile e dalla tematica «antiquati»40, Gespräch der drei Gehenden, al contrario,
potrebbe interessare anche la casa editrice milanese. A questo proposito Filippini
scrive all’amico Guido Davico Bonino, nonché responsabile della “Ricerca
letteraria” per Einaudi:
Ora c’è questo Gespräch der drei Gehenden, di cui conosco un frammento
perché l’ho sentito leggere dall’autore a Berlino nell’autunno scorso.
Questo libretto va insieme piuttosto al nostro che non ai vostri, e io sarei
felicissimo di pubblicarlo. Voi che intenzioni avete? Conoscendo le
preferenze di Cases sono propenso a credere che sareste anche disposti a
rinunciarvi.41
40
Cfr. Baioni, G.: Peter Weiss. Punto di fuga, in «il verri», 26, 1968. «[Romanzi] che avrebbero
potuto essere stati scritti almeno quindici anni fa».
41
Archivio Giulio Einaudi Editore, Enrico Filippini, c. 86, Lettera a Guido Davico Bonino, 10.6.1963,
citato in: Sisto, M. (2007): Mutamenti del campo letterario italiano 1956-1968: Feltrinelli, Einaudi e
la letteratura tedesca contemporanea, in «Allegoria», 55, p. 105.
24
Peter Weiss è però uno degli autori di punta per Einaudi e, nonostante le idee di
Filippini, in “La ricerca letteraria” compaiono tra il 1965 e il 1969 Congedo dai
genitori, Punto di fuga e anche Colloquio dei tre viandanti e già nel 1966 Einaudi
pubblica, ammettendo l’autore nei più prestigiosi “Supercoralli”, L’istruttoria che
rappresenterà uno dei maggiori eventi teatrali degli anni Sessanta e come il Galileo
verrà messo in scena al Piccolo Teatro di Milano da Paolo Grassi, trasmesso perfino
dalla Rai. La parabola einaudiana di Weiss è destinata a crescere, così come
l’impegno politico dell’autore che produrrà opere di sempre più marcata
connotazione ideologica (Discorso sul Vietnam, Einaudi 1968 e Trotzkij in esilio,
Einaudi 1970). La presenza di Weiss nel catalogo Feltrinelli non sarà quindi che una
meteora e L’ombra del corpo del cocchiere (Feltrinelli 1968) rimarrà il suo unico
titolo nei “Narratori di Feltrinelli”.
I contatti e gli incontri personali tra Cases e Filippini furono decisamente rari
e del tutto episodici ma ad ogni modo, nella loro contrapposizione, espressero il
conflitto che divise il campo letterario italiano negli anni della loro attività.
Ovviamente ne furono essi stessi consapevoli, e ognuno di loro cercò di liberare la
scena da ciò di cui l’altro si fece fautore; a seguito di una polemica rinata intorno al
1977 riguardo al clima culturale italiano degli anni Cinquanta, ciascuno delineò con
precisa ironia la propria posizione: Filippini si descriveva intento a «cercare di
toglier[si] dai piedi le barbe storiciste, le cattive coscienze gattoparde, le
melensaggini umanistiche dell’idealismo marxista»42 mentre, al contrario, Cases era
determinato a «ridurre l’Italia a un prospero orticello di realismo critico e socialismo
e a un vasto cimitero di “decadenti” e di avanguardisti»43. Il «combattimento, se
c’era, era ad armi pari»44 come lo stesso Cases sostiene, infatti, nonostante il
vantaggio di alcuni anni e la maggiore esperienza, la posizione del milanese non era,
nel campo letterario, molto più solida di quella del più giovane rivale Filippini.
L’esito dello scontro era, allora, ma probabilmente ancora adesso, tutt’altro
che prevedibile: se infatti la parentesi neoavanguardista propugnata da Filippini avrà
42
Filippini, Enrico: Minima ImMoralia, in «la Repubblica», 22.11.1976.
43
Cases, Cesare (1989): Il boom di Roschellino, Einaudi, Torino, p. 165.
44
Ibidem.
25
vita breve, l’eco letteraria che il fermento culturale di quel periodo ha prodotto
suscita tutt’ora interesse, così come la figura di Cases si è ritagliata il suo posto
all’interno della storia dell’editoria e della letteratura italiana. Entrambi, facendosi
simbolo di un periodo di profondi cambiamenti sia nel campo letterario sia nelle
strutture del mercato culturale, hanno animato una battaglia a colpi di novità e
scoperte che non si ripeterà facilmente in seguito.
1.4. «Gulliver»: «la rivista mai nata che voleva
cambiare l’Europa» 45
Abbiamo finora osservato da un punto di vista prettamente editoriale le
vicende che hanno animato il campo letterario italiano nel secondo dopoguerra con
un focus particolare sull’attività della nascente Feltrinelli e sulla figura chiave di
Enrico Filippini, che si è fatto mediatore tra letteratura italiana e letteratura tedesca
contemporanea nonché fautore di nuove direzioni di sperimentazione. Tuttavia c’è da
considerare che questo periodo, tra la fine degli anni Cinquanta e la maggior parte
degli anni Sessanta, è pervaso da un’atmosfera generale, in tutta Europa, fatta di
influenze e di contatti tra un ricco gruppo di intellettuali: gli avvenimenti di carattere
soprattutto politico e sociale, che coinvolgono in maggior modo il triangolo FranciaItalia-Germania, stimolano gli intellettuali della controparte culturale a cercare gli
uni negli altri un appoggio e far confluire le loro problematiche e le loro questioni su
un piano internazionale.
A tal proposito ho trovato molto interessante prendere in esame l’episodio
della rivista «Gulliver», nata con l’intento di rinnovare la cultura internazionale, ma
che rimarrà per sempre pura utopia. «Gulliver» è stata la rivista che ha mobilitato più
intelligenze e più intellettuali, ha prodotto più discussioni, dibattiti, incontri, riunioni
ma in assoluto meno pagine. Un esperimento interessante, potremmo dire in modo
Di Stefano, Paolo: Gulliver: la rivista mai nata che voleva cambiare l’Europa, in «Il Corriere della
Sera», 12.09.2003.
45
26
riduttivo, guidato da Vittorini e Leonetti per l’Italia, Mascolo per la Francia e
Johnson prima, Enzensberger poi, per la Germania, con lo scopo di riportare la
letteratura su un piano internazionale, oltre che culturalmente, anche politicamente
rinnovato.
Negli anni in cui soprattutto in Italia covavano le spinte avanguardiste e antiengagé si muovono altrove altri tentativi di rinnovamento in termini anche
espressamente sociali. Il progetto inizia nel 1961, quando uno scambio di lettere tra
Leonetti e Vittorini circa la necessità di una rivista a carattere internazionale con
l’appoggio dei francesi e dei tedeschi si fa sempre più intenso, con l’obiettivo di
definire gli scopi e i metodi di questa impresa. Tuttavia le differenze tra i tre gruppi
sono palesi da subito: per l’Italia la rivista internazionale è necessaria e «si deve
costruire attraverso il riconoscimenti di nessi fra le culture differentemente
composte»46 e questo è l’unico elemento che può far compiere un passo avanti alle
proposte impegnate italiane; in Francia la letteratura, seppur fosse attenta ai problemi
sociali, non era direttamente legata alla situazione socio-politica, ma anzi le soluzioni
che la letteratura proponeva sembravano inclini a soluzioni irrazionalistiche,
«astratte»47 come le definisce Boehlich. La situazione della Germania è invece del
tutto diversa: la coscienza tedesca è reduce dall’esperienza del terzo Reich, dalla
censura del nazismo e da un periodo in cui l’unico linguaggio possibile era quello “di
partito” che andava cancellato e rinnovato. Si sente forte da parte degli autori
tedeschi la necessità di trasformare la letteratura in azione politica: la Germania, a
differenza degli altri paesi, ha bisogno ex novo di una rivista impegnata
politicamente attraverso la quale creare uno spazio di discussione che possa
intervenire nel contesto reale.
In questo sistema diversificato la posizione dell’Italia è sicuramente di
mediazione e infatti è lo stesso Leonetti a proporre un programma unitario. Questo
prevedeva un’unica équipe con più redattori per le diverse aree nazionali che
46
Leonetti, Francesco: Una rivista internazionale, in «Il Menabò», 1964/7.
47
Leonetti, Francesco: Rivista internazionale. Ai redattori italiani: notizia sul convegno di Zurigo 1920 gennaio ’63, in Temperini, Marta (a cura di) (2002): «Gulliver», carte Vittorini e Leonetti in
Europa nel Sessanta, Piero Manni Letteratura, Lecce, pp. 142-145.
27
avevano il compito di comunicare tra di loro sistematicamente, confrontandosi sulle
esperienze di ciascun paese, sulle varie ricerche in modo da confluire
progressivamente in un’unica comune tendenza. Non senza incidenti di percorso e
tentennamenti, il progetto sembra andare avanti e ogni gruppo trova il proprio editore
pronto a finanziare la rivista: in Italia c’è Einaudi, per la Germania Suhrkamp e in
Francia prima Gallimard e infine Julliard.
I contrasti si fanno però sempre più ingombranti e rischiano di far fallire il
progetto. Se infatti per Francia e Italia è chiara l’importanza della rubrica Cours des
choses che avrebbe il compito di trattare argomenti di attualità da un punto di vista
internazionale, per i tedeschi la rubrica sarebbe una forzatura per gli interessi del
pubblico tedesco e degli autori del gruppo, i quali sembrano voler accantonare il
fattore collettivo. È durante il 1962 che il motore costitutivo di «Gulliver» ingrana la
marcia, anche se le frenate improvvise e le deviazioni sono sempre più frequenti. Il
problema principale che emerge dalle sempre più frequenti lettere tra Vittorini e
Leonetti, ma anche tra i vari responsabili editoriali francesi e tedeschi, è
l’incongruenza nel metodo di ricerca proposto dal gruppo tedesco e da quello
francese. In una lettera a Leonetti del luglio ’62, Uwe Johnson scrive:
Ormai si è formato un gruppo di autori tedeschi comprendente le persone
seguenti:
INGEBORG BACHMANN
WALTER BOEHLICH
HANS MAGNUS ENZENSBERGER
GÜNTER GRASS
HELMUT HEISSENBUTTEL
UWE JOHNSON
MARTIN WALSER.
Questo gruppo mi ha affidato la redazione della rivista per i due primi
anni.48
48
Lettera di Uwe Johnson a Francesco Leonetti del 18.07.1962, in Temperini, Marta (a cura di)
(2002): «Gulliver», carte Vittorini e Leonetti in Europa nel Sessanta, Piero Manni Letteratura, Lecce,
pp. 83-85.
28
Oltre a presentare la formazione del gruppo, egli approva i principali punti editoriali
della rivista e propone un incontro a testi già redatti:
Saremo lieti di poter discutere con lei questo ed altri problemi in un
convegno […]. Come luogo e data di quest’incontro proponiamo Zurigo e
il 15 dicembre di quest’anno. […] Il gruppo tedesco porterà a questa
riunione i testi che prevede come la sua parte del primo numero, e anche
alcuni testi per il secondo. Se lei potesse fare lo stesso, potremmo cogliere
l’occasione per comporre il primo numero e per preparare il secondo.49
Sulla questione dei testi da presentare o meno al convegno di Zurigo c’è un lungo
tiro alla fune tra francesi e tedeschi, fino al punto di rottura che si avverte in una
lettera del novembre del ’62 inviata da Calvino a Leonetti nella quale la situazione
della rivista viene definita «molto problematica». I francesi si oppongono
fermamente all’idea di presentarsi all’incontro programmato per il mese successivo
con testi pronti, ma auspicano una discussione sui testi a livello ancora progettuale in
modo da poter confluire in un’unità di direzioni e di intenti.
La richiesta tedesca di arrivare al 15 dicembre con i testi scritti è osteggiata
vivamente dai francesi come contraria allo spirito di lavoro collettivo, ma i
tedeschi controbattono che non hanno più voglia di discutere su progetti
ma su testi pronti.50
Anche la posizione dei tedeschi è irremovibile e anzi, sono disposti a realizzare la
rivista anche in modo indipendente, a livello nazionale. In effetti la priorità del
gruppo tedesco è proprio quella: la formazione di una rivista come luogo di dibattito
interno alla Germania, dettata, come condivide Calvino, dal «bisogno urgente di una
rivista, data la situazione politica e l’assenza di organi di stampa in cui possano
esprimere le loro idee».51 Inoltre, sempre in quel momento, i francesi hanno perso
49
Ibidem.
50
Lettera di Italo Calvino a Francesco Leonetti del 09.11.1962, in Temperini, Marta (a cura di)
(2002): «Gulliver», carte Vittorini e Leonetti in Europa nel Sessanta, Piero Manni Letteratura, Lecce,
pp. 123-124.
51
Ibidem.
29
anche il proprio editore Gallimard e per Johnson e colleghi la possibilità di
continuare la collaborazione sembra diventata impensabile.
A riprendere in mano la situazione è di nuovo Leonetti che alla fine del mese
di novembre in una lettera diretta sia a Johnson, sia a Des Forêts (rispettivamente i
responsabili redazionali per i due gruppi stranieri) propone una situazione di
mediazione, ovvero presentarsi al prossimo convegno internazionale come deciso dai
tedeschi con i testi già pronti ma rinviando l’incontro di un mese, per il gennaio ’63
con l’intenzione di far partire il «Gulliver» all’inizio dell’estate. I francesi accettano
la proposta e si dicono al lavoro sui testi da presentare, così, seppur inizialmente il
gruppo tedesco si pronunci per una decisa rinuncia del progetto per via della
mancanza di un editore per la Francia, il convegno si terrà a Zurigo alla fine del mese
di gennaio e vedrà la partecipazione del gruppo al completo e con la presenza del
direttore generale di Maison Julliard, il nuovo editore francese. Da questo incontro
decisivo verrà fuori intanto il nome della rivista, «Gulliver», verrà ribadita
l’importanza della rubrica Cours des choses (it. Corso delle cose) e presentate per
essa diverse schede di discussione.52 La rubrica costituisce, anche per gli italiani, un
punto fondamentale per sviluppare in modo nuovo le posizioni già esistenti di
engagement e avrebbe inoltre portato il vero contributo collettivo alla rivista
presentando testi, da tutte e tre le parti, su uno stesso tema di attualità. La lotta per
convincere i tedeschi a partecipare con i loro testi alla rubrica sarà dura, per Johnson
infatti testi del genere, preparati per una rivista trimestrale, avrebbero perso di
attualità ancor prima di essere pubblicati e sarebbero diventati vecchi ancora prima di
aver visto la stampa. Ma Leonetti precisa a Johnson:
Gli scritti del Cours non verteranno propriamente sui fatti di attualità, ma
verteranno sulle costanti di questi fatti, sulla presentazione dei fenomeni,
52
Le schede di discussione pensate per la rubrica trattano i temi più diversi: a partire dalla legge
Merlin circa l’abolizione in Italia delle case chiuse e quindi il tema delle relazioni di sfruttamento e
corruzione, alle dinamiche relazionali sui mezzi di trasporto; dagli effetti socio-antropologici del
turismo di massa, alla situazione dell’agricoltura e il progressivo abbandono dei territori rurali. Cfr. in
Allegati: Schede di Vittorini e di Leonetti e di Calvino in Temperini, Marta (a cura di) (2002):
«Gulliver», carte Vittorini e Leonetti in Europa nel Sessanta, Piero Manni Letteratura, Lecce, pp. 200208.
30
sui problemi, sulle istituzioni culturali, sugli atteggiamenti che i fatti
rivelano.53
Tuttavia dall’incontro emergerà anche un diffuso disaccordo verso i testi proposti da
Blanchot e colleghi che verranno giudicati «astratti» dai tedeschi e inoltre «privi di
rifermenti» da Calvino, mentre Vittorini ne critica «la riflessione sulla pluralità
invece che sull’attività plurale»54.
La critica sui testi e le incongruenze di interpretazione emerse dal convegno
di Zurigo si protrarranno anche nel secondo convegno del ’63 a Parigi, a seguito del
quale Enzensberger, discusso assente dell’incontro, liquida il progetto del «Gulliver»
come impossibile e inarrivabile giudicando sbagliate le premesse di fondo. La
prospettiva auspicata da Enzensberger volge in una nuova direzione: tre riviste
indipendenti («Il Menabò» per l’Italia, «Lettres Nouvelles» per la Francia e una
ancora da formare per la Germania), ognuna con i propri redattori e le proprie
responsabilità, ma con programmi redazionali da discutere insieme in fase di
progettazione e mantenendo un’intenzione fondamentalmente internazionale verso
un giudizio comune che si formerà con l’andare del tempo: ogni autore cercherà
infatti di lavorare spontaneamente tenendo conto di tutte e tre le riviste, con
prospettive di apertura nuove.
La storia di «Gulliver» è giunta però ad un capolinea e di questo ne sono
consapevoli anche i più caparbi Vittorini e Leonetti. Sarà infatti quest’ultimo a
scrivere a Calvino riguardo all’idea di far confluire tutti gli scritti ormai raccolti in un
numero speciale de «Il Menabò» sia per non perdere il materiale che altrimenti
invecchierebbe, sia per sondare il terreno del pubblico e creare così un caso di rivista
“impossibile-possibile”. È il tentativo estremo di dar vita a questo progetto “senza
frontiere” e se ne dice infatti entusiasta sia Enzensberger («così ci resterà del
naufragio almeno un segno, come servono i rottami negli stretti per indicazione agli
53
Lettera di Francesco Leonetti a Uwe Johnson del 24.10.1962, in Temperini, Marta (a cura di)
(2002): «Gulliver», carte Vittorini e Leonetti in Europa nel Sessanta, Piero Manni Letteratura, Lecce,
pp. 98-102.
54
Leonetti, Francesco: Rivista internazionale. Ai redattori italiani: notizia sul convegno di Zurigo 1920 gennaio ’63, in Temperini, Marta (a cura di) (2002): «Gulliver», carte Vittorini e Leonetti in
Europa nel Sessanta, Piero Manni Letteratura, Lecce, pp. 142-145.
31
altri navigatori55»), sia Mascolo che raccomanda a Leonetti di spiegare nel numero
internazionale del «Menabò» quali fossero gli intenti comuni del progetto, perché per
le condizioni oggettive del progetto fossero stati accantonati, e mettere in evidenza
che la pubblicazione del “numero zero” dimostra come il lavoro finora portato avanti
non sia stata una semplice utopia, convincendo il pubblico che «una ripresa o un
rilancio dell’idea è necessaria e auspicabile»56.
L’uscita del numero 7 de «Il Menabò» nell’autunno del 1964 rappresenta
l’ultimo sforzo del gruppo di intellettuali nonché il punto di partenza, o dovremmo
dire il punto zero, dell’“esperienza Gulliver”. Il tentativo messo in piedi da una ricca
squadra di intelligenze europee si rivelò in apparenza vano, ma non bisogna
dimenticare l’importanza di dimostrare e di tentare un approccio, oltre che nuovo, del
tutto moderno e, oggi potremmo definire, ancora attuale. Si cercò di far confluire
sulle stesse pagine le problematiche letterarie ma soprattutto sociali e politiche di
un’Europa ancora attraversata da grandi differenze ma già con l’idea di individuare e
portare avanti una matrice comune. «È in corso di preparazione il più grosso e il più
nuovo strumento di cultura democratica collegato all'attività letteraria»57 così un
Leonetti trionfante presenta l’idea all’editore Einaudi ma purtroppo le specificità
nazionali, la situazione politico-sociale e il tentato compromesso, anche letterario, di
far confluire realtà ancora troppo diverse sfoceranno in un nulla, o quasi, di fatto. Tra
le righe di tutte le carte, lettere e appunti che ne rimangono si può leggere però la più
grande discussione di quegli anni sull’Europa, la società e la cultura europea.
55
Cit. in Lettera di Francesco Leonetti a Elio Vittorini, 27.07.1963, in Temperini, Marta (a cura di)
(2002): «Gulliver», carte Vittorini e Leonetti in Europa nel Sessanta, Piero Manni Letteratura, Lecce,
p. 168.
56
Lettera di Dionys Mascolo a Francesco Leonetti, 16.11.1963, in Temperini, Marta (a cura di)
(2002): «Gulliver», carte Vittorini e Leonetti in Europa nel Sessanta, Piero Manni Letteratura, Lecce,
pp. 173-175.
57
Lettera di Francesco Leonetti a Giulio Einaudi e alla Direzione Einaudi, 10.11.1961, in Temperini,
Marta (a cura di) (2002): «Gulliver», carte Vittorini e Leonetti in Europa nel Sessanta, Piero Manni
Letteratura, Lecce, pp. 44-49.
32
CAPITOLO II – L’ESPERIMENTO DEL
GRUPPO 63
La strada su cui si muove la Feltrinelli a partire dalla fine degli anni
Cinquanta, come abbiamo già visto nel capitolo precedente, è fatta di
sperimentazione e di avanguardia. Attorno alla casa editrice, la quale se ne fa
promotrice e protettrice, si forma un gruppo di intellettuali e scrittori con lo scopo di
rivoluzionare il modo di fare letteratura attraverso non tanto i contenuti, quanto lo
stile e l’uso della parola. Ciò che ne viene fuori è il Gruppo 63, fondato appunto in
quell’anno, che seppur non sia che, in termini di durata, un breve tentativo a livello
di produzione letteraria, rappresenta comunque un’idea e un punto di svolta per la
letteratura degli anni Sessanta.
2.1. La nascita del Gruppo 63
Per rispondere alla domanda come è nato il Gruppo 63 non si può far altro
che affidarsi alle parole di chi il Gruppo 63 l’ha vissuto da vicino o addirittura ne ha
fatto parte. Fortunatamente gli incontri dei reduci e dei curiosi del gruppo che ancora
oggi, a distanza di anni, hanno luogo ci permettono di ricostruire, attraverso
testimonianze dirette, le vicende del Gruppo. Inge Feltrinelli58, spettatrice e
complice, ricorda come nella primavera del 1963 nasce l’idea, attorno alla casa
editrice Feltrinelli, capitanata dall’incontenibile Filippini e da Nanni Balestrini, altro
entusiasta e promotore del Gruppo, di riunire un gruppo di intellettuali accumunati da
58
Inge Schönthal sposò Giangiacomo Feltrinelli nel 1960. Fu da subito collaboratrice presso la casa
editrice, fino a quando a partire dal 1969, ne assunse la direzione editoriale. Cfr. Mainardi, Angelo (a
cura di) (1995): Storia dell’editoria d’Europa, II: Italia, Shakeaspeare & Company - Futura, Firenze,
pp. 508-520.
33
un bisogno di innovazione: un gruppo che fosse luogo di incontro (e scontro) tra
giovani scrittori, ma soprattutto di scambio e costituisse uno scenario rivoluzionario
per scombussolare la cultura italiana. Ricorda Umberto Eco:
Un giorno Balestrini mi ha detto che era venuto il momento di ispirarsi al
Gruppo 47 tedesco, e di riunire tante persone che vivevano di una temperie
comune, per leggersi a vicenda i propri testi, ciascuno parlando male
anzitutto dell’altro, poi se avanzata tempo, degli altri, quelli che secondo
noi intendevano la letteratura come “consolazione” e non come
provocazione. Mi ricordo che Balestrini mi aveva detto: «faremo morire di
rabbia un sacco di gente».59
Per ricostruire le tappe di questo glorioso periodo è necessario fare un passo
indietro per capire da dove provenivano questi scrittori, giovani e meno giovani, più
o meno esperti, che si presentarono alla prima riunione del Gruppo 63. Il punto di
partenza è la fondazione della rivista «il verri» nel 1956 a Milano da parti di Luigi
Anceschi. Il suo progetto appariva già come una grande novità: Anceschi voleva
unire alla sua cerchia di scrittori e poeti già navigati, un nuovo gruppo di scrittori più
giovani, dei quali faceva parte anche un Umberto Eco appena laureato, la cui
esperienza si limitava a pochi articoli in riviste perlopiù clandestine. Gli altri giovani
erano Porta, Barilli, Guglielmi e l’ancora «pigro» Balestrini60, che si andavano ad
unire al Sanguineti di Laborintus, a Giuliani e a Pagliarani. All’interno del gruppo de
«il verri» si costruì un dibattito non solo animato dalla differenza generazionale e
non solo letterario, ma l’eterogeneità del gruppo permise di aprire un dibattito
polifonico su diverse tematiche. «il verri» presenta «letture classiche agli ultimi
contemporanei e letture contemporanee sui classici»61, accantonando le distinzioni di
genere; lo scambio era la base su cui si costruivano gli incontri redazionali, l’attività
della rivista rappresentava una spirale di novità e tante volte di anticipazioni di ciò
59
Eco, Umberto: Prolusione, in Aa.Vv. (2005): Il Gruppo 63, quarant'anni dopo: Bologna, 8-11
maggio 2003, atti del Convegno, Pendragon, Bologna, p. 31.
«Anceschi mi prendeva sotto braccio e mi diceva: “Eco, veda un poco che cosa si può fare per
questo ragazzo, il Balestrini. Ha ingegno ma è pigro, bisogna spingerlo a qualche attività, magari in
una casa editrice.”». Così ricorda Umberto Eco gli inizi della sua frequentazione del gruppo de «il
verri» e dei nuovi giovani autori. Cfr. Ibidem.
60
61
Ivi, p. 23.
34
che sarebbe avvenuto in campo letterario; di fronte ai primi sintomi dell’avanzante
avanguardia la rivista si dimostra interessata, così come non nega il proprio interesse
verso le nuove pubblicazioni di scrittori già affermati. Prima ancora che la rivista
passi sotto l’egida di Feltrinelli nel 1962, dal gruppo di giovani poeti de «il verri»
nasce l’antologia lirica dei Novissimi; pubblicata nel 1961, l’antologia raccoglie brani
di cinque poeti: Alfredo Giuliani, Elio Pagliarani, Nanni Balestrini, Edoardo
Sanguineti e Antonio Porta. La strada è pronta e già le poesie “per gli anni Sessanta”,
come recita il titolo della raccolta, dei Novissimi lasciano intuire tutti i sentori di una
nuova ricerca poetica:
[…] In quanto contemporanea la poesia agisce direttamente sulla vitalità
del lettore, allora ciò che conta in primo luogo è la sua efficacia linguistica.
Ciò che la poesia fa è precisamente il suo contenuto.62
Come afferma lo stesso Anceschi si può dire che, «per quel che riguarda la poesia»
«il dopoguerra finisce solo ora» e, a partire dai Novissimi e quindi dagli anni
Sessanta, si viene a costituire un nuovo capitolo, a proposito del quale è impossibile
«ignorare le esperienze e la carica vitale» che i poeti del «verri» hanno tentato di
trasportare nel linguaggio.63
Nonostante i pareri interni discordanti nell’“esperienza verri” quello che sta
imponendosi è la linea «viscerale dell’avanguardia», già promulgata da Guglielmi,
«a-ideologica, astorica e disimpegnata», cioè il grado zero della lingua e della
scrittura. Ad accompagnare la raccolta dei Novissimi si trova l’appendice Dietro la
poesia dove ogni autore propone la sua dichiarazione di poetica, con la quale si cerca
di trovare non solo una poetica comune di gruppo, ma si costruisce anche il punto di
partenza per l’esperienza avanguardista. La nuova poetica si apre su un paradosso
strutturale, ovvero il muoversi in bilico tra “opposizione” al linguaggio e “apertura”
ad esso, tra accettazione dei formalismi e superamento di questi. Per dirla con le
parole di Balestrini, il poeta novissimo sa di dover accettare il caos strutturale della
62
Giuliani, Alfredo: Introduzione, in Giuliani, A. (a cura di) (1961): I Novissimi: poesie per gli anni
Sessanta, Rusconi e Paolazzi, Milano, pp. XIII-XXXII.
63
Ibidem.
35
poesia ma allo stesso tempo la sperimentazione deve portarlo ad un superamento di
questo caos.64
Sempre Giuliani, nella nuova Prefazione dei Novissimi del 1965, definisce
l’esperienza verriana come «uno schiaffo al passato più recente e un’indicazione per
il lavoro in avvenire»65, così I Novissimi fungono da crocevia culturale tra la stagione
dell’aggiornamento
della
poesia
italiana
e
l’inaugurazione
del
capitolo
neoavanguardista. «Era un salto dalla preistoria del “moderno” alla contemporaneità
pura e semplice»66. Con la sua esperienza conclusiva, quella dei Novissimi, il gruppo
de «il verri» non può che passare il testimone al Gruppo 63.
Ricostruire il contesto di quegli anni, non solo dal punto di vista letterario ma
anche sociale, e cercare di delineare le situazioni che hanno determinato l’incontro
del 1963, non è facile, soprattutto se si considera che è il risultato di un percorso
iniziato già tempo prima. Tuttavia si possono individuare alcuni aspetti che hanno
innescato il meccanismo: in primo luogo era evidente che l’Italia, dal punto di vista
culturale, fosse racchiusa in alcuni schemi letterari e in questi vi stagnasse. La cultura
era intesa come subordinata alla politica, basti pensare che la letteratura dominante
era inglobata nel grande centro d’influenza del PCI, perciò non è difficile capire che
il Gruppo 63 si sarebbe posto in una posizione assolutamente apolitica. Di fatto gli
intellettuali del gruppo non si possono considerare apolitici, erano anzi per la
maggior parte di sinistra, tuttavia considerandolo nella sua unità, il gruppo aveva
priorità tutt’altro che politiche ed è probabilmente il primo caso nella vita italiana del
dopoguerra di rifiuto di qualsiasi gioco di partecipazione con i partiti. Gli intellettuali
della nuova generazione confluita nel gruppo di Palermo non solo avevano vissuto il
ritorno in libertà dell’Italia ancora da giovanissimi, ma ha potuto beneficiare con
questo di buoni studi e di una partecipazione intensa al mondo culturale universitario.
C’era uno scarto forte tra la generazione precedente e loro, che erano consapevoli
64
Cfr. Luti, G., Verbaro, C. (a cura di) (1995): Dal Neorealismo alla Neoavanguardia, Le Lettere,
Firenze, pp. 71-73.
65
Cfr. Giuliani, Alfredo: Introduzione, in Giuliani, A. (a cura di) (1961): I Novissimi: poesie per gli
anni Sessanta, Rusconi e Paolazzi, Milano, pp. XIII-XXXII.
66
Ibidem.
36
abbastanza per capire quale fosse il trascorso dell’Italia, ma erano giovani abbastanza
per non compromettersi:
Noi siamo stati una generazione che ha iniziato a entrare nell’età adulta
quando tutte le opportunità erano aperte, ed eravamo pronti a ogni rischio,
mentre i nostri maggiori erano ancora abituati a proteggersi l’uno con
l’altro.67
Da questi presupposti si crea la base di discussione del primo incontro a
Palermo del Gruppo 63. Enrico Filippini partecipa alcuni mesi prima a Berlino ad
una riunione della Gruppe 47 e rimane estasiato dell’idea: il modo di dialogare di
grandi autori e scrittori di talento e di scambiarsi letteratura lo convince della
necessità di creare un gruppo parallelo «con finalità di seminario letterario» insieme
a Valerio Riva e Nanni Balestrini, che a differenza di qualche anno prima aveva
recuperato il guizzo audace che Anceschi sperava. Che l’idea provenisse dal gruppo
tedesco era quindi ovvio, un po’ meno ovvio era che l’idea potesse attecchire ed
essere tradotta in Italia; questa però riuscì anche grazie ai vari gruppi che gravitavano
attorno alle riviste e che si dimostrarono entusiasti di poter partecipare dal vivo al
fermento di Palermo. L’atto di nascita del Gruppo fu una «chiamata d’urgenza»,
un’esigenza per diversi gruppi e sottogruppi di avanguardia stanchi di una letteratura
«asfissiata nel deserto neorealistico e neointimistico»68.
Per essere un’avanguardia essa aveva di fatto delle peculiarità che non si
erano ritrovate ad esempio nell’avanguardia marinettiana. Rispetto alle altre, quella
del Gruppo 63 era in fondo un’avanguardia «disciplinata»69. C’era sì una volontà di
ribellione culturale nei confronti dell’establishment e della cultura che questo
rappresentava, ma molti componenti del Gruppo, di fatto, ne facevano parte: avevano
una formazione solida e al mondo accademico partecipavano in maniera diretta, la
67
Eco, Umberto: Prolusione, in Aa.Vv. (2005): Il Gruppo 63, quarant'anni dopo: Bologna, 8-11
maggio 2003, atti del Convegno, Pendragon, Bologna, p. 33.
68
Cit. tratta da: Luti, G., Verbaro, C. (a cura di) (1995): Dal Neorealismo alla Neoavanguardia, Le
Lettere, Firenze, p. 81.
69
Colombo, Furio: Tavola rotonda: Le ragioni del Gruppo (come eravamo), in Aa.Vv. (2005): Il
Gruppo 63, quarant'anni dopo: Bologna, 8-11 maggio 2003, atti del Convegno, Pendragon, Bologna,
p. 116.
37
maggior parte di loro aveva già intrapreso la loro carriera prima della formazione del
gruppo, iniziando a pubblicare o a lavorare in case editrici, in giornali o in
televisione. La rivolta del Gruppo 63 era l’espressione di una generazione che si
ribellava non dal di fuori ma dal di dentro, un fenomeno certamente nuovo rispetto a
quello delle avanguardie storiche, come commenta Eco:
Se è vero che gli avanguardisti storici erano incendiari che morivano poi
da pompieri, il Gruppo 63 è stato un movimento nato nella caserma dei
pompieri, dove poi alcuni sono finiti incendiari.70
La seconda avanguardia italiana era una fuoriuscita liberatoria dalla cultura
imprigionata nell’impegno politico e chiusa dentro gli schemi ripetitivi nei propri
confini nazionali, creando un movimento che invece cavalcava l’onda del crescente
espandersi delle comunicazioni di massa, dell’abbattersi dei confini così come delle
distanze, ponendosi in un orizzonte di eventi internazionali molto vasto. Proprio per
questo il Gruppo 63 non ebbe mai un discorso programmatico, una carta d’intenti e
nessun intellettuale del Gruppo fu firmatario di un manifesto letterario come avvenne
per le avanguardie di cinquant’anni prima: seppur creava condizioni incoraggianti
per la libera produzione di ciascuno, non aveva intenzione di progettare un’azione
collettiva, non aveva mai delineato linee di pensiero, né tantomeno espulso o ripreso
qualcuno per aver detto o non osservato qualcosa. Il gruppo inoltre non fu mai una
roccaforte di letterati chiusi in se stessi, ma si arricchì sempre di nuovi partecipanti e
il gruppo aumentava di interessati e curiosi ad ogni incontro.
Gli intellettuali del Gruppo 63 erano in fondo un gruppo, per quanto
variegato, accumunato da una vicinanza generazionale e con lo scopo di
sperimentare e di liberare la letteratura italiana da quella dilagante, a loro avviso,
apatia delle forme e dello stile.
70
Eco, Umberto: Prolusione, in Aa.Vv. (2005): Il Gruppo 63, quarant'anni dopo: Bologna, 8-11
maggio 2003, atti del Convegno, Pendragon, Bologna, p. 33.
38
2.2. Gli incontri del Gruppo 63
Gli incontri del “seminario letterario” iniziarono ad aver luogo nel 1963, per
un totale di cinque convegni con cadenza annuale fino al 1967; in questi incontri gli
intellettuali coinvolti si riunivano, discutevano dei loro scritti, leggevano le loro
opere ancora in fieri e ne discutevano. Le letture non riscuotevano mai il consenso
generale, come ricorda Umberto Eco, sia perché all’interno c’erano fratture
originarie dovute all’eterogeneità del gruppo, sia perché in fondo «le persone
convenute a Palermo erano accomunate […] da una esigenza di dialogo rissoso,
senza pietà e senza infingimenti»71. Al seguito della lettura ognuno diceva la sua, ma
non ci si dichiarava perplessi, non esistevano sfumature di grigio nelle reazioni ai
nuovi brani proposti: ci si diceva contrari e se ne esplicavano i motivi. A Palermo
iniziava a costituirsi una nuova unità letteraria basata però sull’assenza di accordo e
di indulgenza, il rispetto e la stima dovuti ad autori già affermati non contavano più,
ma chi leggeva nel e per il Gruppo 63 era uno dei tanti partecipanti nei confronti del
quale gli altri non avrebbero dimostrato riserbo: se in altri contesti questi giudizi
avrebbero determinato «la fine di un’amicizia» o perlomeno di una collaborazione,
nel Gruppo «il dissenso generava amicizia»72. Ciò era il riflesso delle necessità degli
autori che vi partecipavano e che avevano indirettamente stipulato un tacito accordo:
ogni scrittore sentiva il bisogno di sottoporre la propria ricerca alle reazioni altrui;
sempre come ricorda ironicamente Umberto Eco, «il disaccordo era lo sport
statutario»73 del Gruppo 63.
A Palermo si svolse il primo, importante e inaugurale incontro: l’atto di
nascita formale del Gruppo 63. Il carattere ufficiale, esteriore, di questo primo
incontro non è però da sottovalutare, dato che si poté creare e concretizzare un
gruppo che per la prima volta si trovò attorno ad un tavolo a discutere le proprie idee
71
Eco, Umberto: Prolusione, in Aa.Vv. (2005): Il Gruppo 63, quarant'anni dopo: Bologna, 8-11
maggio 2003, atti del Convegno, Pendragon, Bologna, p. 37.
72
Ibidem.
73
Balestrini, Nanni: Introduzione, in: Giuliani, A., Balestrini, N. (a cura di) (2002): Gruppo 63.
L’antologia, Testo e Immagine, Torino, pp. 24-25.
39
e posizioni, le quali prima avevano trovato espressione solamente su articoli di riviste
o nei diversi incontri personali tra gli intellettuali. Con queste parole di Luciano
Anceschi si introduce il dibattito:
L’interesse e il significato di queste riunioni sta nella volontà di rendersi
conto insieme del mutamento della situazione letteraria nel nostro paese.
Che un mutamento vi sia pare difficile negare, quale esso sia, come si
manifesti, e con quali motivazioni, è proprio ciò di cui qui si deve
ragionare.74
Paradossalmente questa riunione non fu promulgatrice di straordinarie novità, non
tanto perché prive di un carattere originale, ma piuttosto perché fu l’occasione per
tirare le somme di un dibattito che aveva già avuto modo di manifestarsi nel
panorama culturale italiano.
Il primo atto di vita proclamato dal gruppo in quanto tale non fu affatto un
inizio, bensì un seppur provvisorio tirare le somme. A Palermo, in effetti,
non emerse qualcosa di nuovo, bensì fu possibile fare il punto su una trama
di umori che aveva già avuto un’ampia possibilità di manifestarsi. […]
Con ciò si conferma il fatto che la nascita del Gruppo fu una novità
soltanto sul piano esteriore, come strumento pratico-utilitario di sfida […]
nei confronti di quello che si diceva l’establishment.75
Un’ulteriore particolarità dell’incontro palermitano fu il suo carattere in parte
segreto: sebbene in quella prima riunione si volesse lanciare una sfida pubblica,
questa si svolse a porte chiuse, in una stanzetta dell’albergo Zagarella e vi
parteciparono una cerchia ristretta di interessati, «in abiti rilassati»76, quasi come una
scatola chiusa nella quale non furono ammessi testimoni. L’esclusività, in parte non
intenzionale, funzionò da cassa di risonanza per l’evento propagando nel resto
74
Il dibattito in occasione del primo incontro del Gruppo a Palermo nel 1963 è riportato in Barilli, R.,
Guglielmi, A. (a cura di) (2003): Gruppo 63. Critica e teoria, Testo & Immagine, Torino, pp. 237262.
75
Barilli, Renato (2006): La neoavanguardia italiana. Dalla nascita del «verri» alla fine di
«Quindici», Manni, Lecce, p. 197.
76
Ibidem.
40
d’Italia e nei suoi centri di vita letteraria un messaggio tanto minaccioso e forte
quanto indefinito e vago.
Tutti si chiesero quali mai cose di fuoco fossero state dette tra quelle
quattro pareti, quali mai parole d’ordine fossero risuonate per fomentare la
rivolta e la distruzione.77
Quando invece già sappiamo che, per usare le parole di Umberto Eco, la
«generazione di Nettuno» della nuova avanguardia, definita dal carattere «freddo», si
distingueva dall’agitazione e dalla rivolta, da quel carattere «caldo» dei lontani
parenti dell’avanguardia storica, la «generazione di Vulcano». 78
Per gli addetti ai lavori fu però chiaro che le modalità della prima riunione
non dovevano ripetersi anche in futuro, dovendo accogliere al contrario sempre più
persone interessate a partecipare al dibattito e a farsi promotrici del cambiamento. In
particolare Nanni Balestrini, non solo grande teorico della narrativa sessantatreina, fu
il vero manager del gruppo: abile nel trovare sempre le persone giuste e i posti giusti
per i loro incontri, facendo in modo che questi non si limitassero ad una “seduta
spiritica” di avanguardia tra un ristretto gruppo di persone, fu bravo a creare
aspettative, a stuzzicare la mobilitazione mediatica e a inviare messaggi provocatori
all’establishment letterario. Con il tempo ciò regalò al gruppo una lunga lista di
avversari, ma grazie a questi gli fece guadagnare altrettanta popolarità. Nel 1964
seguì infatti l’incontro di Reggio Emilia, il cui carattere fu completamente differente
rispetto al precedente. La riunione di Reggio diventò infatti la più pubblicizzata
dell’intera storia del Gruppo così come quella che registrò la quota di presenzialismo
più alta tra i cinque incontri. Giunsero nella città emiliana numerosi “osservatori”
esterni, sia italiani come Elio Vittorini che aveva già dimostrato la sua attenzione al
Gruppo nel suo «Menabò», sia internazionali con una discreta partecipazione da
parte dei francesi di «Tel Quel» e con l’intervento dalla Germania dell’editore Klaus
Wagenbach. L’incontro reggiano segnò il punto di maggiore risonanza pubblica del
Gruppo ma ad esso seguì anche una certa delusione; questa fu dovuta principalmente
77
Ibidem.
78
Cfr. Eco, Umberto: La generazione di Nettuno, in Aa. Vv. (1964): Gruppo 63, Feltrinelli, Milano,
pp. 413-414.
41
al fatto che nel secondo incontro si ripropose lo stesso meccanismo di lettura di quei
testi, la cui problematicità formale era nota e dai quali emergevano una certa durezza
e sgradevolezza stilistica che come osserva Barilli avrebbero richiesto «interventi
umili, pazienti, di collaborazione alla scrittura piuttosto che giudizi sommari o grida
di entusiasmo»79 che accompagnarono invece le proposte dei giovani inediti. Con
questo non significa che smisero di verificarsi fenomeni di associazione o
partecipazione volontaria per essere ammessi nella compagine del Gruppo, che
tuttavia continuava a rappresentare l’unica via per guadagnarsi un certificato di
partecipazione alla ricerca letteraria.
L’anno successivo il gruppo torna a Palermo per il terzo convegno, dedicato
alla prosa e alla narrativa. Reduci dall’esperienza precedente, in questa riunione ci si
dedica a compiti più tecnici, con la realizzazione di veri e propri “laboratori” in cui
gli adepti della ricerca sperimentale si mettono al lavoro sui testi, ancora nel loro
“farsi”. Questo fu uno degli incontri più animati, non solo per via della discussione
puramente letteraria, ma anche per la ricca presenza di spettacoli teatrali e proiezioni
cinematografiche. Frutto di questo dibattito, verrà pubblicato Gruppo 63. Il romanzo
sperimentale, edito da Feltrinelli, uno dei resoconti teorici più completi usciti dalle
riunioni del gruppo. Al bis di Palermo seguiranno ancora l’incontro di La Spezia,
interamente dedicato alla lettura e alla discussione e nel quale emergeranno numerosi
nomi nuovi e l’ultimo, quello di Fano del 1967. A Fano venne concesso spazio quasi
esclusivamente ai nuovi autori e ai loro testi già emersi dall’incontro spezzino. Per
quanto riguarda invece il gruppo dei “veterani”, al suo interno nasceranno i primi
contrasti reali e si avvertirà la rottura del gruppo: verranno fuori infatti alcune
posizione marcatamente impegnate che porteranno, a partire da questo convegno,
alla nascita de «Il Quindici», una rivista politico-letteraria in cui sono coinvolti la
maggioranza degli autori del gruppo. L’intento del giornale, che avrebbe dovuto
raggiungere un ampio pubblico, non è certo “disciplinato”:
«Quindici» non ha nulla da dichiarare perché si ripromette di essere
parziale e contraddittorio. «Quindici» spera di diffondere dei dubbi e di
79
Ivi, p. 232.
42
rovinare alcune certezze: d’essere, insomma, un sano elemento di
disordine.80
Un sano elemento di disordine, come recita l’editoriale del primo numero, fu quello
che difatti si rivelò per il gruppo. A seguito della nascita del «Quindici» e
dell’incontro di Fano il Gruppo 63 smise di riunirsi; il motivo non fu soltanto la
nuova rivista, ma le posizione sempre più discordanti sul piano politico e
dell’impegno da parte degli intellettuali del gruppo oltre che l’avvicinarsi della
grande agitazione che anticipava le lotte del Sessantotto. È proprio quando inizia a
sentirsi nell’aria il giungere di un nuovo sconvolgimento che la neoavanguardia
subisce il colpo decisivo: per la prima volta dalla fine della guerra si percepisce in
Italia la possibilità di un cambiamento rivoluzionario della società, e questo
cambiamento non dipende più dalla letteratura, o almeno non da quella auspicata dal
Gruppo 63. Simboliche sono, in questo contesto assetato di impegno politico, le
dimissioni dalla Feltrinelli di Enrico Filippini, secondo il quale Giangiacomo
Feltrinelli aveva perso la sua identità di editore, vale a dire «la convinzione che
attraverso i libri e la cultura si possa influire sull’immaginario e sulla realtà del
mondo»81. Il Gruppo 63, o almeno una parte di esso, capisce che l’aver portato il
“fare letteratura” su una dimensione collettiva non basta per liberarla dalla sua
posizione angusta ma c’è bisogno di porsi come guida in questo momento di crisi,
ormai in moto all’interno degli istituti sociali e politici. L’esperimento impegnato del
«Quindici» viene quindi battuto sia sul tempo che sul campo dell’esperienza, non
solo perché questa strada tentata dalla neoavanguardia era già stata percorsa da altri
in anticipo, ma soprattutto le altre realtà coinvolte partivano da un’impostazione
esclusivamente politica.
Il Gruppo 63 cerca di uscire dalla propria crisi ormai in ritardo e ne prende
atto lo stesso Guglielmi in uno degli ultimi numeri della rivista «Quindici»:
La neoavanguardia italiana nacque come forma di contestazione.
Caratteristica preminente della contestazione è di porsi come globale. Sulla
80
Cit. Giuliani, A.: Editoriale in Quindici, 1967/1
81
Filippini, E.: Giangiacomo l’impaziente, in la Repubblica, 8.4.1979.
43
base di queste due affermazioni ci pare di poter sostenere che le incertezze
che la neoavanguardia sta vivendo sono collegate alla crisi che ha investito
quella funzione di contestazione nel cui segno l’avanguardia era nata: cioè
la crisi che ha investito la letteratura come discorso totale. […] È che il
compito [di tale contestazione] è passato in altre mani, e cioè, come è noto,
ai vari movimenti di contestazione, scoppiati così furiosamente in tutto il
mondo.82
D’altronde il movimento operario e studentesco del ‘68 poco calzava all’avanguardia
del ‘63 che sostituiva al gesto rivoluzionario e all’impeto futurista una lenta
sperimentazione, «al gesto che chiarisce tutto in un colpo solo» subentrava il gesto
«che al momento non chiarisce ancora nulla»83: si immaginava però che la direzione
fosse quella buona.
2.3. “Fare letteratura”:
neoavanguardia
la
produzione
della
È noto dunque che il percorso letterario della neoavanguardia trova il suo
punto chiave nella nascita del Gruppo 63, un gruppo con finalità «di seminario
letterario»84. Ma cosa aveva da dire questo gruppo? Cosa di fatto disse e cambiò nel
campo letterario italiano di quegli anni?
Il fare letteratura acquisisce un nuovo significato per gli scrittori del Gruppo,
il quale si può definire come passaggio, in letteratura, dalla «solitudine» alla
«collegialità»85. Lo scrivere infatti non può più essere un atto solitario, ma proprio
per via del costituirsi della società di massa, il mondo intellettuale è chiamato a
Guglielmi, A.: Dibattito per un bilancio dell’esperienza neoavanguardista, in «Quaderni di critica»,
1973/1, pp. 16-17.
82
83
Eco, Umberto: Prolusione, in Aa.Vv. (2005): Il Gruppo 63, quarant'anni dopo: Bologna, 8-11
maggio 2003, atti del Convegno, Pendragon, Bologna, p. 35.
84
Cit. Filippini, Enrico: Sì, viaggiavamo in wagon-lit…, in «La Repubblica», 7.2.1977.
85
Curi, Fausto: Per il comitato scientifico, in Aa.Vv. (2005): Il Gruppo 63, quarant'anni dopo:
Bologna, 8-11 maggio 2003, atti del Convegno, Pendragon, Bologna, p. 44.
44
rispondere a questo nuovo tipo di società con un lavoro di tipo collegiale,
partecipativo. Durante il processo stesso di creazione di un’opera, essa viene
sottoposta ad una pluralità di voci che controllano e revisionano il lavoro di un
singolo. Il progetto letterario non è più concepibile come lavoro esclusivo, perché
compartecipato da altri scrittori, teorici, artisti e intellettuali che suggeriscono,
sollecitano, rimproverano e spesso condannano il prodotto letterario: è questa infatti
la formula delle riunioni del Gruppo e dei contatti tra i loro partecipanti. A seguito
del secondo incontro di Palermo, Giancarlo Marmori notava su L’Espresso che
l’incompatibilità o complementarità delle posizioni teoriche animava una discussione
interminabile e sottile che proseguiva ovunque fosse possibile farsi sentire, «a tavola,
nei bar, sui marciapiedi. Era cominciata anzi a bordo degli aerei che dal Nord
volavano verso Palermo»86.
Il frutto a cui questa sperimentazione collettiva avrebbe dovuto portare non
erano solamente testi, liriche e romanzi che il Gruppo avrebbe dovuto pubblicare,
cosa della quale effettivamente la critica lamentava la scarsità:
Si diceva: costoro propongono delle teorie, dove sono i testi? […] Non è
che i testi non esistessero, esistevano eccome, ma c’era una novità, che
questi testi erano portatori di posizione teoriche strettamente collegate,
come non accadeva da tempo. […]L’idea di testo era completamente
diversa da quella che da parte nostra nel complesso si proponeva. Se quelli
si aspettavano delle buone liriche, più o meno pure, e se costoro si
aspettavano dei romanzi ben fatti, evidentemente erano in attesa di
qualcosa che non sarebbe mai arrivato […].87
Così spiega Sanguineti, il maggior teorico dell’avanguardia, che individua nella
produzione della neoavanguardia la necessità di colmare e denunciare «un vuoto
teorico e culturale nelle scienze umane». Di pubblicazioni seguite ai convegni e alle
discussioni del Gruppo ce ne sono state: proprio nel ‘63 l’archivio Feltrinelli si
86
Citato in Balestrini, Nanni: Introduzione, in: Giuliani, A., Balestrini, N. (a cura di) (2002): Gruppo
63. L’antologia, Testo e Immagine, Torino, p. 25.
87
Sanguineti, Edoardo: Tavola rotonda: Le ragioni del Gruppo (come eravamo), in Aa.Vv. (2005): Il
Gruppo 63, quarant'anni dopo: Bologna, 8-11 maggio 2003, atti del Convegno, Pendragon, Bologna,
pp. 85-86.
45
arricchisce di numerosi titoli, tra cui Come si agisce di Balestrini, Barcelona di
Lombardi, Lo sproloquio di Giancarlo Marmori e il grande e discusso Capriccio
italiano di Sanguineti, opera prima della neovanguardia. A seguito dell’incontro di
Palermo uscirà l’antologia fondativa, Gruppo 63. La nuova letteratura (Feltrinelli,
1964), dove oltre a un resoconto sulle posizione emerse nel convegno, saranno
contenuti numerosi altri materiali, come scritti di Anceschi, Guglielmi, Barilli, Curi,
numerosi testi di più di 34 scrittori e che verrà chiusa dai contributi dei saggisti Eco,
Gozzi e Giuliani88. Seguiranno nel 1964, dopo una lunga vicenda editoriale, Fratelli
d’Italia di Arbasino, Tristano di Balestrini, Hilarotragoedia di Manganelli e ancora
Triperuno di Sanguineti e l’importante saggio di Guglielmi Avanguardia e
sperimentalismo. La produzione saggistica rimane viva anche grazie agli incontri
successivi, con importanti pubblicazioni come Ideologia e linguaggio (Feltrinelli,
1965) di Edoardo Sanguineti, testo chiave per interpretare le posizioni di
conciliazione tra la ricerca linguistica e il contenuto ideologico della neoavanguardia;
a seguito del convegno conclusivo vengono pubblicati anche i saggi di Renato Barilli
L’azione e l’estasi e di Giorgio Manganelli La letteratura come menzogna (entrambi
Feltrinelli, 1967). Continuano così anche le pubblicazioni dei più consolidati autori
come Povera Juliet e altre poesie (Feltrinelli, 1965) di Antonio Giuliani, I rapporti
(Feltrinelli, 1965), Il serpente (Bompiani, 1966) di Luigi Malerba e ancora Il giuoco
dell’oca (Feltrinelli, 1967) di Sanguineti, ma come abbiamo visto, emersero nuovi
autori soprattutto nei due convegni conclusivi: Gianni Celati (Comiche, 1971),
Renato Pedio (Bricolages, 1966), Amelia Rosselli (Serie ospedaliera, 1969),
Sebastiano Vassalli (Disfaso e Narcisso, 1968) e Patrizia Vicinelli (famosa per la sua
poesia visiva di à, a, A, 1967).89
La lista di pubblicazioni di quegli anni pregni di sperimentazione e
innovazione sarebbe ancora molto lunga, ma basta sottolineare che i romanzi, le
liriche, oltre che ovviamente i saggi, pubblicati in quel periodo conservano un
88
Cfr. Muzzioli, Francesco (2013): Gruppo 63. Istruzioni per la lettura, Odradek edizioni, Roma, p.
217.
89
Ibidem.
46
apparato teorico molto forte ed hanno un approccio quasi meta letterario: facendo
letteratura la si teorizzava, e viceversa.
Le posizioni di fondo che la nuova letteratura assumeva erano però difficili da
interpretare, tant’è che all’interno dello stesso Gruppo costituirono argomento di
contrasti e di equivoci. Nel primo dibattito teorico in apertura del convegno del ‘63
emersero infatti due posizioni contrastanti esposte da Guglielmi e da Sanguineti. Il
primo era sostenitore di una linea viscerale per un’avanguardia «a-ideologica,
disimpegnata e astorica», al contrario Sanguineti, facendo riferimento anche a
Benjamin e alla scuola di Francoforte, rivendicava una maggiore consapevolezza
“sociale”.
Partendo dal presupposto che ogni ideologia si fosse rivelata mendace,
Angelo Guglielmi promulgò un atteggiamento di rifiuto radicale, atto ad azzerarle e a
impedire un loro imporsi. Allo scrittore la realtà deve presentarsi al suo stato più
puro, senza mediazioni e filtri, permettendogli di rovesciarne nell’opera i contenuti
più aspri e caotici.
L’unica avanguardia oggi possibile […] non contiene messaggi, né
produce significati di carattere generale. Non conosce regole (o leggi) né
come condizioni di partenza, né come condizioni di arrivo. Suo scopo è
quello di recuperare il reale nella sua intattezza: ciò che può fare […]
scoprendolo nella sua accezione più neutra, nella sua versione più
imparziale, al grado zero.90
Il compito della nuova avanguardia per Guglielmi quindi non è quello di creare
un’immagine cosmica altra ma piuttosto quello di sganciare il reale da ogni legame
con il vecchio mondo e «sospenderlo in uno spazio neutro ove le cose giacciono reali
e immobili»91.
Pur riconoscendogli il radicale e coraggioso atteggiamento di trasformare in
positivi gli argomenti critici avanzati dai nemici dell’avanguardia, la risposta alla
90
Barilli, R., Guglielmi, A. (a cura di) (2003): Gruppo 63. Critica e teoria, Testo & Immagine,
Torino, pp. 237-262.
91
Ibidem.
47
posizione di Guglielmi arriva da Sanguineti. In primo luogo egli contesta l’esistenza
di un’unica possibilità attuale di fare letteratura: in una società in cui sono presenti
una pluralità di classi devono essere presenti di conseguenza una pluralità di
condizioni estetiche possibili, e quindi di modi di fare letteratura. Tuttavia Sanguineti
identifica una possibilità di sintesi tra gli elementi di ‘ideologia’ e di ‘linguaggio’:
L’antitesi tra tradizione e avanguardia si potrebbe quindi schematizzare,
trasponendo lo schema suggerito da Giuliani, in questo modo: assunzione
dell’ideologia come elemento privilegiato, o, all’opposto, assunzione del
linguaggio come elemento privilegiato. Ora, io non credo che ciò che
caratterizza l’avanguardia sia questa assunzione privilegiata del linguaggio
contro l’ideologia, ma la ferma consapevolezza che non si dà operazione
ideologica che non sia, contemporaneamente e immediatamente,
verificabile nel linguaggio.92
Per lo scrittore la realtà di un’opera è allo stesso tempo una realtà linguistica per il
fatto che in un testo non vi è ideologia, esteticamente parlando, «se non nella forma
del linguaggio». Per chiarire meglio il concetto è da intendere quindi l’avanguardia
come la coscienza del rapporto tra intellettuale e società borghese identificata nella
coscienza del rapporto tra ideologia e linguaggio, e cioè la consapevolezza del fatto
che «ciò che è proprio dell’operazione letteraria in quanto tale è l’espressione di
un’ideologia nella forma del linguaggio». L’oggetto ultimo della ricerca
avanguardista è quello di collaborare al costituirsi di una nuova razionalità nella
forma del linguaggio, l’unica possibile per l’artista; una razionalità che seppur
riconosceva il cattivo uso dell’ideologia che finora era stato fatto, non la rifiutava in
toto, riconoscendo una sintesi necessaria tra linguaggio e ideologia, come facce di
una stessa medaglia.
Il contrasto di fondo rimase e non fu, di fatto, intenzione del Gruppo 63 farsi
portatore di una linea costitutiva precisa cosicché il dibattito rimase sempre aperto e
anzi si alimentò e si trasformò con i convegni successivi. Non è infatti facile
collegare in modo netto i singoli autori a questi orientamenti generali anche perché
molti intrecciarono nella loro esperienza varie posizioni, senza identificarsi
92
Ibidem.
48
completamente in nessuna di esse; inoltre molti si avvicinarono al Gruppo 63
mantenendo posizioni individuali (come fu il caso di Manganelli o Arbasino) così
come molti degli autori vicini al Gruppo provenivano da esperienze del tutto diverse
e rimasero dal punto di vista teorico lontani dalle tendenze prevalenti. Allo stesso
modo individuare un terreno di sperimentazione e di produzione letteraria comune a
tutto il Gruppo risulta difficile, essendo questo diversificato dalla pluralità di stili e di
poetica. Come fa notare Umberto Eco, la poetica comune del gruppo è rintracciabile
proprio in quella disposizione alla sperimentazione collegiale, alla «ricerca
collettiva»:
Dunque il gruppo esisteva, ed esisteva la poetica comune: più che un
progetto di operazione estetica era una disposizione morale, una
constatazione storica. Si constatavano i pericoli di un lavoro letterario
soltanto individuale, la necessità di una ricerca collettiva, anche là e
proprio là dove le prospettive e le soluzioni divergevano.93
Tuttavia si può tradurre la poetica del Gruppo nella concezione del linguaggio come
realtà tradotta in una dimensione testuale. Per meglio chiarire bisogna considerare il
nuovo linguaggio non più come mezzo veicolare dei significati di realtà, ma esso si
sostituisce alla realtà, diventando la realtà stessa. «Ogni ponte tra parola e cosa è
crollato» come sostiene Guglielmi, e ancora:
La lingua che ha fin qui istituito rapporti di rappresentazione con la realtà,
ponendosi nei confronti di questa in posizione frontale, di specchio in cui
essa direttamente si rifletteva, dovrà cambiare punto di vista. […] Questa è
l’operazione essenziale del nuovo sperimentalismo.94
Con ciò si apre però una contraddizione in termini, l’operazione della
neoavanguardia è infatti quella di trasformare un mezzo, come il linguaggio appunto,
considerato logoro perché portatore dei significati della quotidianità in qualcosa che
diventa essa stessa il significato; una ricerca sperimentale per superare le barriere
della comunicazione tradizionali, le convenzioni dei linguaggi letterari, così come
93
Eco, Umberto: La generazione di Nettuno, in Giuliani, A., Balestrini, N. (a cura di) (1964): Gruppo
63. La nuova letteratura, Feltrinelli, Milano, p. 6.
94
Guglielmi, Angelo: Avanguardia e sperimentalismo, in «il verri», 1963/8.
49
del realismo e dell’ermetismo. A questo proposito c’è la tendenza a complicarne le
strutture, disintegrandone la sua forma narrativa: alle forme alte e ai toni sentimentali
si preferiva la distorsione dell’espressione, l’abbassamento mediante il gioco
linguistico, il nonsense, il paradosso e il grottesco. A questo punto il linguaggio è
contemporaneamente l’ostacolo da abbattere, il morbo da risanare ma anche la posta
in gioco, la terapia; identificando totalmente testo e linguaggio, come se quest’ultimo
fosse l’elemento chiave per l’identificazione del testo.95
Il tentativo della neoavanguardia di ridare alla letteratura un proprio e
rinnovato spazio vitale si dovette tuttavia scontrare intanto, come accennato, con la
situazione generale del Sessantotto, ma anche con le contraddizioni di fondo che il
Gruppo portò avanti. Il Gruppo 63 è riuscito a realizzare il suo proposito di
modernizzazione oltre che di apertura verso un orizzonte culturale più ampio, ha
portato i suoi esponenti a posizioni di rilievo nel campo culturale italiano e ha
comunque mostrato il suo legame con la spinta di rinnovamento che percorreva la
società italiana e anzi se ne è fatto portatore, inglobando diverse realtà intellettuali;
tuttavia la sua poliedricità comportò allo stesso tempo il distanziarsi delle diversi
posizioni e la frattura del gruppo stesso.
95
Cfr. Ferroni, Giulio (2012): Storia della letteratura italiana. Il Novecento e il nuovo millennio,
Mondadori Università, Milano, vol. 4, pp. 492-493
50
CAPITOLO III – IL GRUPPO 47
Con la fine della seconda guerra mondiale l’8 maggio 1945, quando le forze
armate tedesche accettano la resa incondizionata, il popolo tedesco si trova
smembrato e stremato dal regime nazista, la Germania è annientata dalla violenta
distruzione che la guerra aveva prodotto. La seguente divisione del Paese in due
blocchi di occupazione porterà la costituzione di un blocco orientale sovietico (DDR)
e di uno, a Ovest, di tipo federale e angloamericano (BRD): la storia delle due
Germanie, anche dal punto di visto socio-culturale, prenderà strade separate. Pur
dovendo tralasciare la scena letteraria della Repubblica Democratica Tedesca (DDR),
è mio interesse in questo capitolo considerare il movimento che proprio su questo
sfondo mosse i primi passi, diventando a partire dalla fine degli anni Quaranta il
gruppo letterario tedesco la cui eco ebbe forte risonanza sia in territorio nazionale
che europeo: la Gruppe 47.
È proprio a questo gruppo, come abbiamo più volte accennato, che si ispirerà
la sua controparte italiana del Gruppo 63. Considerare la nascita, le prime fasi e gli
sviluppi del gruppo tedesco sarà quindi importante per poter individuare in cosa e in
che misura vi siano stati contatti e interferenze tra i due, soprattutto dal punto di vista
della ricezione da parte italiana degli elementi tedeschi.
3.1. Le letteratura tedesca postbellica: la nascita
della Gruppe 47
La Germania deve fare i conti, al termine della guerra nel 1945, con uno Stato
annullato da un dodicennio di feroce dittatura che aveva seminato barbarie in tutto il
mondo, facendosi portavoce del delirio hitleriano di violenza e di sterminio. Durante
gli episodi conclusivi del conflitto, il Paese aveva subito un attacco feroce e senza
51
sosta da parte delle forze nemiche, Stati Uniti e in particolare Inghilterra, che
avevano completamente raso al suolo la maggior parte delle città tedesche lasciando,
a guerra conclusa, nient’altro che un cumulo di macerie. Con la sconfitta del Reich,
inoltre, si riversarono nelle città tedesche oltre ai reduci di guerra (appena i due terzi
degli oltre 18 milioni di soldati inviati al fronte) i circa 12 milioni di profughi che
fuggivano dall’Armata Rossa che avanzava ad Est e i numerosi civili che erano
scappati durante i bombardamenti: la situazione economica, politica e sociale in cui
si ritrovarono le città dell’ex Reich fu addirittura più grave e difficile che durante il
conflitto.96
Il 5 giugno 1945, dopo appena un mese dalla fine del conflitto, la Germania
viene divisa in quattro zone di occupazione: una parte governata dall’Unione
Sovietica, una parte sotto l’influenza statunitense, una di occupazione britannica e
un’altra francese; dalla ripartizione iniziale si arriverà alla formazione di due
Germanie, ad ovest la Bundesrepublik Deutschland (Repubblica federale di
Germania, BRD) e ad est la Deutsche Demokratische Republik (Repubblica
democratica tedesca, DDR). In seguito a questa divisione non è più possibile parlare
di unità tedesca in quanto le due aree prendono direzioni sotto ogni aspetto differenti.
Il punto di partenza per entrambi i blocchi di occupazione è l’epurazione nonché la
condanna di ogni forma di ideologia nazista residua e la rieducazione dei reduci di
guerra: una vera e propria Entnazifizierung (denazificazione). Tuttavia questa
operazione viene intrapresa in modo differente: se il blocco orientale ha tutto
l’interesse a farsi simbolo di una repubblica antifascista, nel blocco occidentale il
processo viene presto trascurato e affidato alla coscienza del singolo97, tant’è che
molti dei membri dell’ex partito nazionalsocialista non vennero mai identificati o
legalmente perseguiti nella Repubblica federale. Se però non è possibile addentrarsi
nell’analisi della complicata situazione politica che interessò la Germania
postbellica, è da notare come questa differenza si rifletta anche nel campo letterario.
96
Per un approfondimento sulla questione post-bellica tedesca cfr. Calzoni, Raul (2013): La
letteratura tedesca del secondo dopoguerra, Carocci, Roma, pp. 13-38.
97
A partire dal marzo 1946 a ciascun tedesco della BDR venne somministrato un
Befragungsformular, un questionario di 131 domande, con il quale autocertificare la propria
complicità o meno con il vecchio regime.
52
Quando gli intellettuali, che dopo l’ascesa di Hitler nel ‘33 avevano optato
per l’emigrazione, cercano di rientrare in Germania non sono ben accolti dai
sopravvissuti, i quali anzi criticano duramente e con diffidenza la loro scelta di
abbandonare la patria e professare da lontano l’opposizione al nazismo. È piuttosto il
governo sovietico a offrire agli intellettuali esuli la DDR come nuova patria, reintegrando tutti gli autori di ritorno dall’esilio, in una prospettiva che ben sostiene la
politica culturale della zona orientale.
Nell’Ovest, invece, una nuova generazione di scrittori cerca di riscattarsi da
oltre un decennio di silenzio e di apatia culturale; questa, intenta ad opporsi alla
generazione dei padri, riscopre una forma lontana da ogni tradizione artistica e
volutamente poco letteraria. È questo il clima di partenza per l’esperienza della
Gruppe 47 che vede nella fine della guerra un punto zero da cui poter ripartire.
3.1.1. Da «Der Ruf» al Gruppo 47
La storia del Gruppo 47 inizia a migliaia di chilometri di distanza dalla
Germania, in un campo di prigionia sulla costa atlantica degli Stati Uniti. Ideata per i
soldati tedeschi come mezzo di rieducazione ai valori americani di libertà e
democrazia, nasce, nel campo di reclusione per prigionieri di guerra di Fort Kearney,
la rivista «Der Ruf. Zeitung der deutschen Kriegsgefangenen in USA»98 stampata a
partire dal marzo 1945. Tra i collaboratori della rivista si notano diversi tra quelli che
nei decenni successivi faranno parte della scena letteraria tedesca, in particolar modo
Hans Werner Richter e Alfred Andersch. Entrambi condivisero l’esperienza del
fronte prima, e della prigionia americana poi, pur recependo in maniera differente le
misure di democratizzazione degli americani; così descrive Richter l’incontro e
l’inizio della collaborazione con il collega Andersch:
98
[Il richiamo. Rivista dei prigionieri di guerra tedeschi negli USA.]
53
Aus unserer ersten Begegnung in München […] ist eine kritische
Freundschaft entstanden. Das erleichtert die Zusammenarbeit. Es gibt
Gegensätze. Andersch will die Umerziehungspolitik der Amerikaner
unterstützen, mehr oder weniger, mit Vorbehalten natürlich, ich wünsche
härteste Kritik, klare Distanz zu den Besatzungsmächten und Ausnutzung
alle demokratischen Rechte. Aber von vornherein ergibt sich eine fast
ideale Zusammenarbeit.99
Al loro ritorno in Germania sono quindi concordi circa la necessità di riproporre
l’esperimento della rivista come mezzo per dar voce alla nuova generazione che
doveva risollevarsi dall’esperienza della guerra. Ottengono così la licenza per la
pubblicazione a Monaco nell’agosto 1946 di una rivista quindicinale dal titolo «Der
Ruf. Unabhängige Blätter der jungen Generation»100. L’intento delle “pagine
indipendenti della nuova generazione”, seppur non dichiaratamente anti-americano, è
senza dubbio molto critico: si cerca la rinascita di una nuova Germania, neutrale e
libera, al di fuori dei blocchi, del capitalismo statunitense e dello stalinismo
sovietico. Sebbene «Der Ruf» costituisca prevalentemente una piattaforma sociale e
politica, presenta dei tratti anche spiccatamente letterari: per Gustav René Hocke,
collaboratore di «Der Ruf» già dai tempi della sua versione americana, la lingua
letteraria deve muoversi nella direzione di un nuovo realismo, lontana dalla
“calligrafia”, dalla scrittura artificiosa asservita al nazismo. Così come l’arte di
regime, Hocke critica il linguaggio «manieristico e simbolistico»101 della innere
Emigration, la cui “introversione” nei confronti dell’arte non è più adatta al periodo
post bellico.
Der Blick wird schärfer. […] Man sieht die Dinge, wie sie sind, und
bezeichnet offen und ohne Arabesken, was man am Rande der Wege und
99
Cfr. Richter, Hans Werner (1979): Hans Werner Richter und die Gruppe 47, Langen Müller,
München, p. 53.
100
[Il grido di richiamo. Pagine indipendenti della nuova generazione.]
101
Hocke, Gustav René: Deutsche Kalligraphie oder Glanz und Elend der modernen Literatur, in
«Der Ruf», 15.11.1946.
54
Ruinen findet. […] In Trümmern entdeckt man die ersten neuen Gesetze
der soziologischen und psychologischen Wirklichkeit von heute.102
È questa la base da cui muove il discorso letterario all’interno del gruppo del «Ruf»,
il cui percorso deve però fermarsi bruscamente e prendere altre strade quando
nell’aprile 1947 gli americani fanno chiudere la rivista. Hans Werner Richter, che si
fa portavoce di questa nuova generazione, è in particolar modo intenzionato a
mantenere uniti ad ogni costo tutti coloro i quali avevano costruito intorno alla rivista
monacense un nuovo corso per la cultura tedesca: organizza così un incontro presso
Altenbeuern, nell’estate dello stesso anno, al quale invita tutti i collaboratori e gli
interessati che gravitavano intorno alla rivista «Der Ruf». Inaugura il convegno lo
scrittore Rudolf Alexander Schröder (1878), personalità letteraria molto lontana dalla
maggioranza di quelli che si erano radunati intorno all’attività di Richter, e il cui
intervento dal titolo Il mestiere del poeta nel tempo poco aveva a che fare con il
motto di quell’incontro «Ruf der Jugend» (Il richiamo della gioventù).103 La
riunione, come ricorda lo stesso Richter in seguito, non aveva portato al costituirsi di
un gruppo compatto che fosse nuovo sia per direzione sia per identità:
Die meisten waren unzufrieden mit dem Verlauf der Tagung. Nein, das
was sie gehört hatten, war nicht das, was sie sich unter Literatur
vorstellten, einer neuen Literatur, einer Literatur der Gegenwart. Nur mir
gefällt etwas. Es geht mir nicht aus dem Kopf: dieses Lesen und
Kritisieren und Wiederlesen und Wiederkritisieren. Gewiss, es war hier
nicht vorgegeben.104
Tuttavia si era aperta una strada che indicava in quale direzione muoversi e come:
„Wir müssten den Ruf wiederhaben” meinte Richter. Aber den konnten
wir nicht wiederbekommen. „Wir müssen eine neue Zeitschrift gründen“
sagte Richter. „Eine literarische Zeitschrift, in der wir unsere Arbeiten
vorlegen, in der wir diskutieren können“, fuhr Richter fort. […] „So was
102
Ibidem.
103
Cfr. Böttiger, Helmut (2012): Die Gruppe 47: als die deutsche Literatur Geschichte schrieb,
Deutsche Verlags-Anstalt, München, p. 51.
104
Richter, Hans Werner: Bruchstücke der Erinnerung, in «Literaturamagazin 7: Nachkriegsliteratur»,
1977, p. 137.
55
sollte man öfter machen. Manuskripte vorlesen, diskutieren – da kommt
was dabei heraus. Nur die richtigen Leute müssen zusammenkommen –
das hier ist zu gemischt“.105
Al fine di progettare e discutere una nuova rivista di stampo letterario, Hans
Werner Richter propone un nuovo incontro il 6 e il 7 settembre sul Bannwaldsee.
«Der Skorpion», così avrebbe dovuto chiamarsi la rivista che però non ottenne mai la
licenza di pubblicazione, diventa tuttavia l’occasione per una lunga serie di incontri
di un nuovo gruppo di scrittori, di poeti e di intellettuali: una nuova generazione
accomunata, più che dalla vicinanza anagrafica, dalla necessità di creare qualcosa di
nuovo in campo culturale.
I partecipanti a questa riunione sono: Wolfgang Bächer, Heinz e Maria
Friedrich, Walter Maria Guggenheimer, Walter Kolbenhoff, Friedrich Minssen, Hans
Werner e Toni Richter, Wolfdietrich Schnurre, Ilse Schneider-Lengyel, Nicolaus
Somart, Heinz Ulrich, Franz Wischnewski e Freia von Wuelisch; il gruppo di appena
quindici persone era accorso da tutta la Germania, dalle più variegate esperienze,
poco consapevoli di quello che sarebbe realmente accaduto in quell’occasione.
Dal racconto di Heinz Friedrich di questo incontro106 emerge un’atmosfera
quasi “boccaccesca”: una fuga da quella “peste” prodotta dal dodicennio nazista, che
aveva imbavagliato un intero popolo, il quale ora ha voglia di scrivere, leggere e
discutere. In questo clima cominciano le tanto attese letture e discussioni, inaugurate
dalla lettura della poesia Das Begräbnis di Wolfdietrich Schnurre:
Nach der ersten Lesung – es ist Wolfdietrich Schnurre – sage ich: „Ja, bitte
zur Kritik. Was habt Ihr dazu zu sagen?“ Und nun beginnt etwas, was
keiner in dieser Form erwartet hätte: der Ton der kritischen Äußerungen ist
rauh, die Sätze kurz, knapp, unmissverständlich.107
105
Cfr. Richter, Hans Werner (a cura di) (1962): Almanach der Gruppe 47, 1947-1962, Rowohlt,
Reinbeck, p. 19.
106
Cfr. Bignami, Marta (2008): Introduzione, in Bignami, Marta (a cura di): Antologia del Gruppo 47.
Autori tedeschi dal 1947 al 1967, Aracne, Roma, pp. 11-12
107
Cfr. Richter, Hans Werner (1979): Hans Werner Richter und die Gruppe 47, Langen Müller,
München, p. 84.
56
In maniera quasi del tutto spontanea, quello che emerse dalla prima lettura fu
l’importanza che la critica in tale contesto assume. I testi sottoposti all’uditorio del
Bannwaldsee vengono attaccati senza timore: ogni parola letta viene soppesata, ogni
frase passata al vaglio, analizzata, sviscerata. Si rifiutano le parole «antiquate e
obsolete» e le espressioni utilizzate durante il nazismo: il regime aveva infatti portato
a quella che Richter definisce «die große Sprachabnutzung»108, il logorio di una
lingua asservita al potere e stereotipata. Per l’autore del dopoguerra il linguaggio ha
perso ogni significato, egli sente il bisogno di recuperarne il suo aspetto nudo e
crudo, spogliato di ogni ornamento:
Verworfen werden die großen Worte, die nichts besagen und nach Ansicht
der Kritisierenden ihren Inhalt verloren haben: Herz, Schmerz, Lust, Leid.
Was Bestand hat vor den Ohren der Teilnehmer sind die knappen
Aussagesätze.109
L’incontro si concluse con la lettura di tutti i brani che gli accorsi alla
riunione avevano deciso di presentare, con la consapevolezza che l’esperimento si
sarebbe dovuto ripetere e con la medesima modalità. È necessario precisare che con
l’incontro di Bannwaldsee non si firmò nessuna carta d’intenti, tanto meno si prestò
alcun giuramento dichiarando la propria appartenenza al gruppo; il ristretto gruppo
che vi accorse era ravvivato in particolar modo dalle giovani anime che lo
componevano. Hans Werner Richter, come un moderno mecenate, diede ospitalità
anche ai giovanissimi, privi di qualsiasi esperienza letteraria, ai quali occorreva
innanzitutto una base e un luogo dopo poter esprimersi e diventare loro stessi autori:
così il percorso del gruppo iniziò non come attività letteraria ma come possibilità di
rendersi, dal punto di vista letterario, riconoscibili.110
108
Ibidem.
109
Ibidem.
110
Tavola rotonda 50 Jahre Gruppe 47 - Die Gruppe 47 und der Literaturbetrieb, Literarisches
Colloquium Berlin, 07.03.1997. «Der Literaturbetrieb begann so nicht als Literaturbetrieb, sondern als
Möglichkeit sich literarisch bemerkbar machen zu können»
57
3.1.2. Dopo l’incontro sul Bannwaldsee
Appena due mesi dopo l’inaugurale incontro sul Bannwaldsee ha luogo la
seconda riunione di quello che ha preso il nome di Gruppe 47. Al termine del primo
convegno fu Hans Georg Brennen a proporne il nome, ispirato alla spagnola
Generación del 98, un movimento culturale nato dopo la guerra ispano-americana
del 1898 fortemente orientato alla riflessione sui problemi della cultura e della
società del paese. In effetti la definizione di ‘gruppo’ ben calzava a quello che non
poteva definirsi in alcun modo come una società, tantomeno come un movimento
letterario.
Prima ancora di specificare chi ne fece parte, cosa produsse e quali furono le
sue caratteristiche, mi sembra opportuno premettere cosa sia stato realmente la
Gruppe 47 e quale sia stata la sua entità. Fin dal principio i partecipanti rifiutano
qualsiasi definizione di organizzazione o associazione, non vi è alcuno statuto
tantomeno una quota di partecipazione, nessun presidente, nessun socio. Il Gruppo
47 è piuttosto un Freundkreis, una cerchia di amici, o come preferiva definirlo Hans
Magnus Enzensberger, una Clique111, una cricca, con i suoi contrasti e rivalità, al cui
interno non vi è alcuna programmaticità. Tra la “giovane generazione” che si
incontrava nel Gruppo 47 non tutti erano giovani: c’era chi nel 1947 aveva già
superato i trent’anni e chi invece ne aveva appena venticinque; “giovane” descrive
più il loro percorso culturale. Bisogna immaginare che quelli che nel 1945 sono
appena ventenni, come Friedrich Heinz stesso ricorda, si ritrovano «sputati nella
storia del mondo»112: l’unica esperienza vissuta era stata quella della guerra, in cui
avevano combattuto per qualcosa in cui alla fine non credevano più e in cui erano
stati scaraventati senza cognizione di causa. Dal punto di vista culturale non hanno
nessun riferimento e la fine del conflitto rappresenta per loro un vero “punto zero”,
una Stunde Null. Seppur l’esistenza di un effettivo Nullpunkt nella storia tedesca con
il ’45 sia ancora dibattuta, sicuramente l’esperienza comune della guerra e del
111
Cfr. Enzensberger, Hans Magnus: Die Clique, in Richter, Hans Werner (a cura di) (1962):
Almanach der Gruppe 47, 1947-1962, Rowohlt, Reinbeck.
112
Tavola rotonda 50 Jahre Gruppe 47 - Die Gruppe 47 und der Literaturbetrieb, Literarisches
Colloquium Berlin, 07.03.1997.
58
nazismo costituiscono il collante per riunire tutte le diverse anime e personalità del
Gruppo 47.113
Sul concetto di Nullpunkt, se ci limitiamo a considerarlo all’interno della
Gruppe 47, emerge la posizione di Alfred Andersch nel discorso Die deutsche
Literatur in die Entscheidung, tenuto durante la sua prima partecipazione al gruppo
nella seconda riunione. Tale discorso, per il suo carattere programmatico, costituisce
una rara eccezione nella storia della Gruppe 47; sebbene Richter abbia sempre
evitato fin dal principio qualsiasi dibattito di carattere teorico, per Andersch nasce la
necessità di legittimare l’esistenza del gruppo individuandone un comune
denominatore da cui partire per creare un percorso unitario: la consapevolezza di
vivere un’ora zero per la storia della Germania e di un necessario nuovo inizio.
L’uomo post ‘45 si sente nella condizione di dover ripartire, anche dal punto di vista
storico, liquidando ogni presa di coscienza o responsabilità morale verso il passato e
trovandosi catapultato in un nuovo presente in cui ricominciare. Inizialmente, infatti,
la generazione del Gruppo 47 è figlia dell’idea del Nullpunkt che dal punto di vista
letterario si traduce in una totale assenza di riferimenti e modelli da seguire, quindi
nella necessità di una completa ricostruzione del canone letterario, le cui fondamenta
non sono più rintracciabili.
Il concetto di Kahlschlag, coniato da Wolfgang Weyrach nel 1949, ben
descrive la scrittura dei giovani autori del Gruppo 47. La letteratura del presente dà
«un taglio netto alla boscaglia»114, lasciando una tabula rasa su cui l’autore deve
riscrivere «una sorta di ABC delle frasi e delle parole»115. La lingua diventa quindi
semplice, priva di fronzoli, essa descrive cose e avvenimenti quotidiani. Si rifiuta
l’utilizzo di metafore e di simboli perché la scrittura ha il solo scopo di rappresentare
113
Cfr. Böttiger, Helmut (2012): Die Gruppe 47: als die deutsche Literatur Geschichte schrieb,
Deutsche Verlags-Anstalt, München, p. 70.
114
Cfr. Weyrauch, Wolfgang (1949): Tausend Gramm. Sammlung neuer deutscher Geschichten,
Rowohlt, Reinbeck.
115
Citato in Dallapiazza, M., Santi, C. (a cura di) (2001): Storia della letteratura tedesca. Il
Novecento, vol. III, Edizioni Laterza, Roma-Bari, pp. 190-191.
59
i fatti: anche se questi appartengono al passato, come quelli relativi all’esperienza
della guerra, sono privi di qualsiasi interpretazione o implicazione morale.116
Non è possibile riscontrare una completa uniformità nella produzione degli
autori del gruppo, c’è tuttavia la ricerca di uno stile nuovo, essenziale e conciso, a
tratti colloquiale e frammentario; l’Ich dell’autore viene sostituito dall’impersonale
man che fa riferimento alla situazione comune vissuta dalla massa, gli orrori della
guerra e del dopoguerra vengono rievocati in uno stile crudo e realista, limitandosi al
piano esteriore dell’esperienza.117 Nei primi anni, l’idea di canone letterario non
esiste all’interno del gruppo, se non in maniera del tutto plurale, ognuno porta con sé
gli scritti e le letture che ritiene più opportuni; quello che invece esiste all’interno del
Gruppo 47 è la pratica della critica delle opere lette. Sono i criteri con cui si valutano
e si criticano gli scritti inediti che tendono a spianare i differenti punti di vista e le
diverse concezioni estetiche dei vari membri, portando con il tempo ad una sorta di
omogeneità. Questo si attua anche attraverso quella serie di fattori che possono
incidere positivamente sul giudizio espresso da parte dell’uditorio sull’opera. Ad
esempio, generi letterari come la prosa breve, le short stories di ispirazione
americana e la poesia, sono preferiti per via dei brevi tempi di lettura a disposizione.
Il fenomeno si accentua maggiormente quando, già nei primi anni Cinquanta,
redattori di testate giornalistiche e case editrici in cerca di nuovi talenti inizieranno a
prender parte alle riunioni in maniera sempre più attiva; i giovani artisti, interessati
così a fare una buona impressione al fine di ottenere una pubblicazione, compongono
brani appositamente per l’evento mettendo in risalto quei tratti stilistici ormai
divenuti paradigmatici. Proprio a partire da quegli anni, il Gruppo 47 diviene
un’istituzione letteraria e dà origine a un processo di selezione delle opere che
diventano canoniche per quel periodo della letteratura tedesca e per alcuni decenni a
seguire.
Un’importante legittimazione la si ottiene quando viene istituito il premio
annuale della Gruppo 47. Inizialmente gli incontri si svolgono due volte l’anno, Hans
116
Ibidem.
117
Cfr. Bignami, Marta (2008): Introduzione, in Bignami, Marta (a cura di): Antologia del Gruppo 47.
Autori tedeschi dal 1947 al 1967, Aracne, Roma, pp. 14-15.
60
Werner Richter, capo spirituale del gruppo, organizzava le riunioni invitando i
partecipanti con una cartolina in cui indicava data e luogo dell’incontro. Si tenevano
perlopiù in posti appartati, locande, conventi abbandonati o luoghi diroccati, il più
delle volte duri da raggiungere soprattutto per le difficoltà del periodo: gli invitati
arrivavano spesso in treno nelle città più vicine, poi dovevano seguire sentieri
impervi a piedi o con mezzi di fortuna, con i loro manoscritti sotto braccio, per
raggiungere il luogo dell’incontro in cui ci si tratteneva per l’intero fine settimana
animati dalle discussioni e dalle letture. Tuttavia gli scarsi mezzi di cui si disponeva
e la crescita costante del Gruppo, imposero presto la necessità di trovare dei
finanziatori.
Richter si mise alla ricerca, cercando di rafforzare i suoi rapporti con
importanti editori che invitava alle riunioni del gruppo. Nel 1950 vi è però la vera
svolta quando, grazie alla sua amicizia con l’autore Franz Joseph Schneider,
impiegato presso l’agenzia pubblicitaria americana McCann Company, può
concretizzare l’idea di un premio letterario interno alla Gruppe 47. La mediazione di
Schneider permette infatti di ottenere il finanziamento cosicché nella riunione del
1950 viene assegnato per la prima volta il premio del Gruppo 47 a Günter Eich.118
Un premio letterario produsse un effetto nell’opinione pubblica molto più forte di
quanto potesse fare una semplice riunione di scrittori, perlopiù sconosciuti. La
premiazione di Günter Eich, autore già conosciuto al pubblico per le sue poesie,
conferì al gruppo un prestigio enorme e fu il modo per legittimare definitivamente
l’attività letteraria del Gruppo.
118
Cfr. Böttiger, Helmut (2012): Die Gruppe 47: als die deutsche Literatur Geschichte schrieb,
Deutsche Verlags-Anstalt, München, p. 107-109.
61
3.2 La seconda generazione di scrittori: gli sviluppi
del Gruppo
Nel corso degli anni Cinquanta il Gruppo 47 consolida la sua posizione
all’interno del campo della letteratura tedesca. L’istituzione del premio, così come
l’interesse crescente da parte dell’editoria alle riunioni, aveva infatti assicurato
l’ingresso del Gruppo all’interno dell’industria letteraria, facendo dei suoi autori i
protagonisti della produzione contemporanea nella Germania occidentale. Allo
zoccolo duro di autori che partecipano agli incontri, si aggiungono di volta in volta
nuovi scrittori su invito di Hans Werner Richter; la vera novità dei primi anni
Cinquanta è la partecipazione sempre maggiore di professionisti dell’industria
culturale nonché di critici. Gli altri scrittori presenti parteciperanno, da questo
momento, sempre meno al vivo del dibattito: ad occupare la prima fila di fronte alla
“sedia elettrica” (così era ironicamente chiamata la postazione da cui venivano letti i
testi) vi è ora una schiera di critici tra cui spiccano i nomi di Walter Jens, Joachim
Kaiser, Walter Höllerer, Hans Meyer e Marcel Reich-Ranicki. Questo gruppo di
critici professionisti diventerà parte attiva degli incontri e in particolare dominerà la
discussione sui testi presentati, avanzando le proprie critiche e osservazioni e
rivestendo un ruolo importante sia per quanto riguarda l’assegnazione del premio del
Gruppo sia per l’affermazione degli autori. I loro giudizi su un autore piuttosto che
su un testo fungono da consulenza per i responsabili di testate giornalistiche e di case
editrici, con le quali gli stessi critici spesso collaborano. Con questo sistema vengono
infatti lanciati numerosi artisti emergenti sul mercato così come avviene nelle radio
le quali reclutano le penne del Gruppo nelle loro redazioni, portandole spesso alla
ribalta per il grande pubblico. La radio assume un ruolo di rilievo crescente nella
produzione letteraria promuovendo il genere dell’Hörspiel, sempre più in voga
durante gli anni Cinquanta: in un primo periodo i radiodrammi di Eich saranno per il
grande pubblico anche più famosi delle sue poesie.119
119
Cfr. Böttiger, Helmut (2012): Die Gruppe 47: als die deutsche Literatur Geschichte schrieb,
Deutsche Verlags-Anstalt, München, p. 89.
62
Le redazioni vicine al gruppo di Hans Werner Richter sono quelle della
«Welt», della «Frankfurter Allgemeine» della quale Andersch sarà stretto
collaboratore,
della
«Zeit»,
dello
«Spiegel»
ma
anche
del
NWDR
(Nordwestdeutscher Rundfunk), le quali, insieme a numerose case editrici anch’esse
interessate alle novità letterarie quarantasettine, saranno le principali finanziatrici
delle riunioni così come del premio letterario. Durante il corso degli anni Cinquanta,
con l’intervento dei media, emerge la tendenza a considerare la validità dei testi
anche dal punto di vista del loro potenziale commerciale; intorno alla Gruppe 47 si
viene così a creare una rete molto importante di contatti che rappresenta la grande
occasione per i nuovi, sconosciuti, scrittori che ne entrano a far parte.120 Basti
pensare alle numerose case editrici: al Strahlberg Verlag e al Weiss Verlag attive nei
primi anni, si aggiunsero Rowohlt, Piper, la Deutsche Verlags-Anstalt ed editori
come Fischer, Ullstein, Otto Walter e il giovane Klaus Wagenbach; questi erano
sempre più influenti nella critica dei testi, nel promuovere o bocciare quella piuttosto
che quell’altra lettura.121 Non bisogna dimenticare l’attenta politica di mercato della
casa editrice Suhrkamp tesa a favorire i giovani scrittori o più innovativi dal punto di
vista stilistico o le cui opere avessero un forte contenuto di critica sociale. In questo
modo la casa diventò verso la fine degli anni Cinquanta una fra le più attente e
sensibili alle tendenze letterarie contemporanee.122
Il crescente interesse mediatico al gruppo è dovuto anche alla trasformazione
sociale ed economica che la Germania stava vivendo agli inizi del decennio. Il boom
economico vissuto dalla Repubblica federale si rivelò contraddittorio: da una parte
l’industria culturale aveva a disposizione un capitale maggiore da investire, dall’altra
parte diminuiva il prestigio della letteratura, o sarebbe meglio dire, il ruolo
consolatorio che la letteratura dell’immediato dopoguerra aveva avuto. Pertanto la
scena culturale, nella quale entrarono in misura sempre maggiore i giornali, la radio e
120
.Ivi, p. 213.
121
Cfr. Pohl, Eckhart: Die Gruppe 47 und der Literaturbetrieb. Ein Rückblick, in Arnold, Heinz
Ludwig (a cura di) (1981): Literaturbetrieb in der Bundesrepublik Deutschland, Edition Text + Kritik,
München, pp. 36-37.
Non a caso abbiamo già accennato all’attività di Suhrkamp nel capitolo I. Le novità importate in
Italia da Feltrinelli, così come da Einaudi, erano per la maggior parte edite in Germania da Suhrkamp,
così come la casa editrice di Francoforte fu la finanziatrice del progetto «Gulliver».
122
63
successivamente anche la televisione, si trovò a prendere le distanze da tutte le
manifestazioni del miracolo economico, rifiutando la fiducia generale in quella che
Hans Meyer definisce «amena restaurazione»123 che avrebbe dovuto sanare la
Germania dal proprio passato.
Nell’autunno del 1949 viene eletto cancelliere della BRD Konrad Adenauer,
esponente della CDU (Christilich Demokratische Union), che governerà per oltre
dieci anni il paese. La sua politica conservatrice muove verso un rapido e immediato
recupero economico, garantendo un governo democratico stabile e completando
l’opera di ricostruzione della Germania. Per quanto riguarda la politica estera
vengono ricostruiti e risaldati i rapporti con l’Europa occidentale e con le potenze
della NATO, nella quale la Germania Federale entra a pieno titolo. Sono gli anni in
cui i rapporti tra le potenze di Stati Uniti e Russia si incrinano sempre di più,
generando un clima di ostilità che determinerà gli assetti mondiali per oltre mezzo
secolo. La Germania è direttamente coinvolta e sono proprio le politiche di Adenauer
a determinare il posizionamento della BRD nel blocco occidentale della guerra
fredda e inasprire, senza possibilità di ritorno, la spaccatura tra le due Germanie. A
causa della delicata posizione assunta dalla Germania federale cresce la paura di uno
scontro sul campo tra Stati Uniti e Unione Sovietica, ma soprattutto della risoluzione
del conflitto con il ricorso ad una guerra nucleare, il paventato Atomtod. In questo
clima la Germania federale si appresta al riarmo, ristabilendo il servizio di leva
obbligatorio,
Adenauer
difende
il
diritto
della
Germania
ovest
alla
Wiederbewaffnung, ponendo fine alla politica di demilitarizzazione dell’immediato
dopoguerra. Forte della crescente prosperità economica, il governo di Adenauer non
fece infatti in alcun modo i conti con la Schuldfrage, la questione della responsabilità
del popolo tedesco durante il nazismo e la guerra; la fiducia nel progresso finanziario
accelerò il processo di rimozione del recente passato da parte della Germania,
continuando ad andare avanti come se nulla fosse successo.124
123
Cit. in Dallapiazza, M., Santi, C. (a cura di) (2001): Storia della letteratura tedesca. Il Novecento,
vol. III, Edizioni Laterza, Roma-Bari, pp. 199-200.
124
Ibidem.
64
Nel contesto di nostro interesse, quello della Gruppe 47, si sviluppa
un’opposizione culturale a questo fenomeno, portando ad una politicizzazione
sempre più forte della letteratura, sebbene questa, in un primo momento, non affronti
ancora direttamente la questione della colpa così come la divisione delle due
Germanie. A tal proposito è significativo osservare come cambia, tra il 1956 e il
1957, la posizione di una figura centrale all’interno del Gruppo, Hans Werner
Richter. A partire dal 1956, Richter decide di limitare le riunioni ad un unico
appuntamento annuale anziché due come negli anni precedenti. Tale decisione era
dovuta ai suoi crescenti impegni con il Grünwalder Kreis, un gruppo politico di
sinistra fondato dallo stesso Richter nel 1956. Da quel momento infatti è crescente
per Richter la necessità di un impegno politico e la sua attività all’interno del Kreis
occupa sempre più tempo: il movimento combatteva il pericolo di una
rimilitarizzazione e di una Refaschisierung, ovvero il rischio di una politica
adenaueriana di destra radicale. Con una lettera a Walter Mannzen nel 1956 Richter
stabilisce le sue nuove priorità:
Die Gruppe 47 wird diesmal wohl zurückstehen müssen… das Politische
ist im Augenblick wichtiger als das Literarische.125
Nel 1957 la Gründungsgeneration del Gruppo, tra cui lo stesso Richter, è sempre più
coinvolta nell’attività politica tanto da portare, per la prima volta, il dibattito ad uno
scontro generazionale interno al Gruppo che esula dal discorso puramente
poetologico. Richter aveva sempre evitato qualsiasi discussione che si allontanasse
dall’aspetto concreto sui testi letti; tuttavia dalle letture dell’incontro di
Niederpöcking si acuisce in modo inevitabile lo scontro tra la vecchia e la nuova
generazione, la quale si avvicinava sempre più all’«arte delle forme»126 e si
allontanava dall’engagement. Si stava costituendo una nuova generazione di autori,
che Richter definisce i «formalisti»: provenivano dalle università ed erano più
preparati dal punto di vista teorico, al loro arrivo nel Gruppo avevano già una buona
formazione culturale, a differenza della vecchia generazione degli «autodidatti», dei
125
Cfr. Cofalla, Sabine (a cura di) (1997): Hans Werner Richter, Briefe, Hanser, Münich, p. 229.
126
Ivi, p. 175.
65
«realisti»127. Il sociologo Theo Pirker, presente alla riunione del 1957, si scaglia
duramente contro la seconda generazione della Gruppe 47, e a proposito dello
scontro verbale che ne segue racconta così Richter:
Für
sie
galten
nur
ästhetische
und
formale
Kriterien.
Die
Auseinandersetzung artete schnell in Streit aus, wurde zu einem
Wortgefecht der Emotionen und brachte die Gruppe 47 fast an der Rand
ihrer Existenz. Es blieb mir nichts anderes übrig, als aufzustehen und
Pause zu rufen.128
La Gruppe 47 festeggia il decimo anniversario con quella che fu la sua prima crisi
interna che sembrava potesse essere il capolinea del suo percorso. Tuttavia Richter
rimane convinto della necessità di tenere in vita il Gruppo e mostra ancora una volta
abilità nel saper ricompattare le diverse fazioni:
Hier kann jeder seine Meinung sagen, selbst wenn er dadurch in den
Verdacht kommen sollte, ein Banause oder ein Soziologe zu sein.129
Richter riunisce imperterrito il gruppo anche per l’anno successivo, senza
immaginare che proprio a partire dalla riunione del 1958, il Gruppo 47 raggiunge il
suo punto più alto a livello letterario, sia in campo nazionale che internazionale.
Nell’incontro di Großholzleute viene ristabilito nuovamente il premio
letterario del Gruppo 47: l’ultimo Literaturpreis era stato infatti assegnato nel 1955 a
Martin Walser mentre nei due incontri successivi non era stato individuato, anche a
causa degli screzi di cui abbiamo appena parlato, nessun autore meritevole di questa
assegnazione. Nel 1958 torna una vera e propria esigenza di premiare, a giudizio
pressoché unanime, un giovane autore, il quale presenta un capitolo del romanzo che
sta scrivendo. Il giovane autore è Günter Grass e il romanzo, il famoso Die
Blechtrommel. Günter Grass era ancora pressoché sconosciuto alla critica e al
Gruppo 47, se non per qualche poesia o breve dramma di cui veniva apprezzato il
127
Cfr. Böttiger, Helmut (2012): Die Gruppe 47: als die deutsche Literatur Geschichte schrieb,
Deutsche Verlags-Anstalt, München, p. 220.
128
Cfr. Richter, Hans Werner (1979): Hans Werner Richter und die Gruppe 47, Langen Müller,
München, p. 123.
129
Cfr. Lettau, Reinhard (1967): Die Gruppe 47, Luchterhand, München, p. 127.
66
particolare ingegno linguistico, segno di un «talento naturale»130. Lo stesso Richter
ricorda che nessuno si sarebbe aspettato molto da quella prima volta sulla “sedia
elettrica” per il giovane autore:
Und dann liest Günter Grass. Ich erwarte nichts Besonderes, nur wieder
das, was ich schon kenne: die urwüchsige Sprachbegabung eines
Naturtalents, die ihm die Kritik längst bescheinigt hat. 131
Di letture di romanzi durante le riunioni se ne erano sentite poche all’interno del
Gruppo, quindi anche per questo la decisione di leggere da un romanzo sorprese
l’uditorio, ancora di più perché tale scelta proveniva da un autore dedito alla lirica,
piuttosto che alla prosa. La schiera di critici, così come quella degli altri partecipanti,
rimane sbalordita dalla lettura di Grass: a fine lettura il gruppo è convinto del valore
del brano e dell’urgenza di assegnare il riconoscimento a Grass. Gli stessi editori,
presenti in gran numero all’incontro, suggeriscono a Richter di conferirgli il premio,
provvedendo al finanziamento di cui al momento Richter non disponeva. In
pochissime ore riesce a raccogliere una somma che mai fino a quel momento era
stata assegnata per un Literaturpreis:
Grass steht draußen in einem schmalen Gang an der Theke des Gasthofes
und jedes Mal, wenn ich an ihm vorbeikomme, sage ich: „Noch mal 500
DM mehr“, und er lacht, trinkt einen Schnaps drauf, und als ich zum
letzten Mal an ihm vorbeikomme – nun sind es fünftausend Mark – lacht
er noch immer und lacht und lacht.132
La premiazione di Günter Grass e il suo romanzo diventano anche simboli di
un cambiamento all’interno del campo letterario tedesco contemporaneo: a partire da
questo momento si può definire concluso il dopoguerra e la storia culturale della
giovane BRD apre un nuovo capitolo.
130
Cfr. Richter, Hans Werner (1979): Hans Werner Richter und die Gruppe 47, Langen Müller,
München, p. 139.
131
Ivi, p. 140.
132
Ibidem.
67
Questo nuovo capitolo non si limita al solo Grass, l’anno successivo infatti Il
tamburo di latta viene pubblicato e presentato alla Fiera del libro di Francoforte
insieme a due grandi romanzi: Billard um halbzehn del già conosciuto Böll e
Mutmaßungen über Jakob di Johnson.
Die junge Literatur kann in diesem Herbst mindestens drei Bücher
vorweisen, die es verdienen, Ereignisse genannt zu werden: Günter Grass
‚Die Blechtrommel‘, Uwe Johnson ‚Mutmassungen über Jakob‘ und
Heinrich Böll ‚Billard um halbzehn‘.133
Il 1959, l’“anno del romanzo”, rappresenta così una svolta nella produzione letteraria
del Gruppo 47: viene definito l’annus mirabilis della letteratura tedesca, lo
Schlüsseljahr nella produzione narrativa della Germania federale.134 Per la prima
volta dalla fine della guerra, in questi romanzi, c’è la volontà di dire qualcosa di
nuovo con cui prima non si era voluto fare i conti e per dirlo non si utilizzano le
stesse forme letterarie dell’immediato dopoguerra ma emergono strutture narrative
più complesse, come in Böll, un linguaggio dissacrante e non convenzionale, in
Grass, e la tecnica del montaggio in Johnson.
Non è possibile condurre ora un’analisi dettagliata soffermandosi sulle
strutture formali e stilistiche introdotte dai tre romanzi ma si può invece considerare
come, in generale, queste opere si facciano portavoce di novità tematiche,
rispecchiando il cambiamento della società tedesca degli anni Cinquanta. Congetture
su Jakob sarà il primo grande romanzo, facendo uso di un montaggio di tipo
poliziesco, a tematizzare la divisione della Germania; ma dello scritto di Johnson ce
ne occuperemo in maniera più approfondita nell’ultimo capitolo. La sfida di Grass e
di Böll, invece, è quella di raccontare e denunciare le problematiche e le
contraddizioni della società adenaueriana.
Con Biliardo alle nove e mezza Böll si pone l’intento di tematizzare il
rapporto dei tedeschi con il proprio passato; ricorrendo ad un’architettura narrativa
133
Becker, Rolf: Ein Schritt nach vorn, in «Magnum», 1959/26, p. 62.
134
Lorenz, M., Pirro, M. (a cura di) (2011): Wendejahr 1959? Die literarische Inszenierung von
Kontinuitäten und Brücken in gesellschaftlichen und kulturellen Kontexten der 1950er Jahre,
Aisthesis Verlag, Bielefeld, pp. 9-11.
68
più complessa, si distanzia dal tipico Einfachwerden della “letteratura delle macerie”
che caratterizzava la sua prima produzione. Con il susseguirsi di regressioni, ricordi,
pensieri e monologhi interiori si cerca di ricostruire tramite la storia della famiglia
Fähmel e le sue generazioni la grande Storia della Germania del Novecento: in una
trama svuotata dai grandi eventi, ricorrono simboli e personaggi con cui Böll
ripercorre la storia dell’ipocrisia borghese e conservatrice tedesca dalla società
nazista a quella postbellica e a lui contemporanea, nella quale individua una
continuità tra la Germania hitleriana e quella di Adenauer. In modo unico Böll riesce
a costruire un romanzo dotato di piena autonomia e validità dal punto di vista
estetico, grazie alle particolari tecniche stilistiche riprese della grande tradizione
narrativa contemporanea, e allo stesso tempo ad anticipare e influenzare il dibattito
politico. L’era Adenauer aveva portato avanti, dietro a un ostentato benessere
sociale, il lavoro di rimozione del passato, quello stesso passato che riemerge
frequentemente nel romanzo di Böll e che i personaggi devono ancora elaborare;
quella di Billard um halbzehn è una denuncia della persistenza nella politica della
BRD dell’ideologia nazista, la quale deve essere superata coscientemente e rifiutata
da parte del popolo tedesco e non ipocritamente rimossa.
La pubblicazione del Tamburo di latta replicò su scala internazionale il
successo che aveva riscosso all’interno del Gruppo 47, posizionandosi come uno dei
più grandi successi della letteratura tedesca del dopoguerra. Tuttavia da parte della
critica il romanzo subì una rigida stroncatura non solo a livello letterario ma
soprattutto perché fece infuriare le numerose istituzioni, i politici e i membri della
Chiesa contro cui il romanzo lanciava le sue provocazioni. Al pari di quello di Böll,
il romanzo di Grass mette a nudo, in un tono ancora più crudo e aggressivo, i
meccanismi di rimozione del passato in azione nella BRD, distruggendo così la
grande menzogna collettiva secondo cui i tedeschi non avrebbero potuto impedire in
alcun modo l’avanzata nazista e che permetteva loro di discolparsi completamente
dalle azioni del Terzo Reich, delle quali ritenevano responsabili solo i vertici del
regime. Il bersaglio della satira dell’autore è infatti proprio il mondo piccolo
borghese che durante l’avvento del nazismo vedeva nel regime una speranza per
migliorare la propria situazione economica e sociale così come ora viene vista
69
nell’ipocrisia dell’era Adenauer.135 Di questo mondo fa parte anche il personaggio
attorno al quale l’autore costruisce una sorta di Bildungsroman, il nano Oskar
Matzerath, la cui vita viene presentata dall’unico punto di vista del protagonista
stesso. L’onnisciente nano Oskar, che dalla nascita «sapeva più o meno tutto»136,
narra la propria storia dal primissimo momento della venuta al mondo. Suonando il
suo vecchio tamburo di latta, dà il ritmo a un flusso di ricordi e riesce a far parlare il
proprio passato: con ingenuità, dietro cui si nascondono cinismo e ironia, Oskar
smaschera così i vizi della società tedesca degli anni Cinquanta dedita al culto del
miracolo economico e dell’oblio del suo recente passato, ma ad esso ancora legata.
Lo sguardo spietato e distaccato del protagonista libera così la narrazione da
qualsiasi relazione con il resto del mondo e di conseguenza da ogni pericolo di
giudizio morale o politico: lo scopo del romanzo non è infatti quello di indagare i
rapporti tra nazismo e piccola borghesia così come l’opera non è concepita da Grass
come un’opera didattico-morale, ma anzi la prospettiva fortemente ironica dell’ionarrante è amorale ed esente da qualsiasi riflessione.137 Il Tamburo di latta è un
romanzo complesso, ricco di simboli ed elementi dissacranti, e ha avuto un
importante ruolo sia dal punto di vista politico sia da quello letterario nella letteratura
tedesca del dopoguerra, che anzi si può dire superata proprio con questo esperimento.
I tre protagonisti della Frankfurter Buchmesse 1959 portarono la letteratura
della Gruppe 47, alla quale erano fortemente legati, ad una svolta rispetto alla
letteratura tedesca del dopoguerra, costituendo un nuovo canone letterario da seguire
e così l’inizio della fase di maggiore popolarità del Gruppo.
135
Cfr. Dallapiazza, M., Santi, C. (a cura di) (2001): Storia della letteratura tedesca. Il Novecento,
vol. III, Edizioni Laterza, Roma-Bari, pp. 222-224.
136
Cfr. Grass, Günter (1962): Il tamburo di latta, Feltrinelli, Milano, p. 288.
137
Cfr. Dallapiazza, M., Santi, C. (a cura di) (2001): Storia della letteratura tedesca. Il Novecento,
vol. III, Edizioni Laterza, Roma-Bari, p. 224.
70
3.2.1.Il declino del Gruppo 47
Nei primissimi anni Sessanta le riunioni del gruppo vedono lievitare il
numero di partecipanti, sempre più sono i curiosi che vogliono partecipare o anche
tentare di accaparrarsi qualche contratto con radio o case editrici, sempre più
orientate alla commercializzazione dell’attività quarantasettina. Per i veterani del
Gruppo non è facile cavalcare l’onda di questo successo e ben presto emergono i
primi segni di disappunto di coloro i quali rimpiangono le prime sedute ristrette
senza flash né interviste. L’eco del gruppo si propaga in tutta Europa fino ad arrivare
addirittura negli Stati Uniti: negli anni Sessanta il gruppo ospita diversi autori e
critici stranieri interessati all’attività letteraria tedesca e vengono organizzate anche
riunioni all’estero come l’incontro svedese nel 1964 e quello memorabile presso
l’università di Princeton, Stati Uniti, nel 1966. Proprio Princeton sarà in un certo
senso il declino del Gruppo 47: il contesto sociale tedesco è cambiato rispetto a
quello che Grass, Böll o Johnson descrivevano quasi dieci anni prima. Gli anni
Sessanta si aprono con un grande evento che segnerà in modo indelebile la storia
della Germania fino alla fine del secolo: la costruzione del Muro di Berlino che
traccia una divisione ancora più netta e inconciliabile tra la BRD e la DDR. Inoltre
nel 1963 iniziano i processi su Auschwitz e gli altri crimini di guerra, nonostante lo
spirito adenaueriano avesse cercato di nascondere la necessità di una resa dei conti
con la generazione dei nazisti. Se anche la letteratura precedente e la nuova
generazione di romanzieri aveva cercato di scovare le scorie del passato nazista,
nessun autore si era davvero impegnato affinché venissero riconosciute le
responsabilità e scontate le colpe di quel periodo, tanto meno era stata considerata in
alcun modo la questione ebraica e l’orrore dell’Olocausto. Il climax politico-sociale
che attraversa la Germania e travolge il governo di Adenauer, il quale nel 1963 perde
la maggioranza e rassegna le dimissioni, culmina con le rivoluzioni del Sessantotto.
Le proteste di Berlino e Francoforte si uniscono al coro di contestazione sessantottina
di tutta Europa: nelle proteste tedesche, accanto a problemi di ordine internazionale,
come la guerra del Vietnam, o a richieste di riforme politiche e sociali, c’era la
71
questione peculiare della colpa collettiva e della Shoa.138 Questo coinvolse
ovviamente anche il campo culturale, e quindi la Gruppe 47, portando ad una
politicizzazione sempre più forte della letteratura: gli scrittori più giovani di questi
anni, consci di una lotta culturale all’orizzonte, sentivano di dover portare la loro
produzione su un piano politico più profondo.139 Proprio i più giovani percepiscono
un legame della Gruppe 47, già in quegli anni additata come elitaria e fossilizzata,
con quella scena letteraria che invece si doveva combattere. Nell’incontro di
Princeton, come già accennato apice del disappunto nei confronti del Gruppo,
emergono le contraddizioni che da tempo si percepivano nell’aria: l’incontro si
teneva proprio nel paese colpevole della guerra del Vietnam, sotto i riflettori dei
media internazionali e vedeva una partecipazione massiva di professori, scrittori,
studenti e giovani, estranei alla compagine tedesca. In questo contesto c’era da
aspettarsi un incidente diplomatico e così è stato quando il giovane Peter Handke
prese la parola per scagliarsi contro il gruppo, secondo lo scrittore completamente
svuotato nella sostanza dai suoi rigidi rituali, per criticare il dispotismo culturale
della vecchia generazione che rifiutava qualsiasi dibattito interno:
Ich bemerke, dass in der gegenwärtigen deutschen Prosa eine Art
Beschreibungsimpotenz vorherrscht. […] Es ist eine ganz, ganz
unschöpferische Periode in der deutschen Literatur doch hier angebrochen.
[…] Und [es] wird vorgegeben, hier Literatur zu machen, was eine völlig
läppische und idiotische Literatur ist. Und die Kritik – ist damit
einverstanden, weil eben ihr überkommenes Instrumentarium noch für
diese Literatur ausreicht, gerade noch hinreicht. Weil die Kritik ebenso
läppisch ist wie diese läppische Literatur.140
La risposta di Mayer all’intervento di Handke mostra in un certo senso comprensione
per i contenuti di quella protesta: gli stessi autori iniziano a rendersi conto che il
138
Nelle generazioni più giovani si sente forte il bisogno di risolvere la questione post-nazista: la
necessità per la Germania di assumersi le proprie responsabilità morali nei confronti dei crimini di
guerra e soprattutto dell’olocausto, la cui barbarie emerge dai recenti processi. Cfr. Calzoni, Raul
(2013): La letteratura tedesca del secondo dopoguerra, Carocci, Roma, pp. 28-38.
139
Cfr. Dallapiazza, M., Santi, C. (a cura di) (2001): Storia della letteratura tedesca. Il Novecento,
vol. III, Edizioni Laterza, Roma-Bari, p. 232.
140
Citato in Richter, Hans Werner (1979): Hans Werner Richter und die Gruppe 47, Langen Müller,
München, p. 392-393.
72
gruppo non ha più senso di continuare in questo modo. Hans Werner Richter nel
1967 dichiara infatti conclusa la lunga e importante esperienza della Gruppe 47: il
gruppo doveva lasciare in qualche modo lo spazio alla generazione più giovane,
portatrice di una rivoluzione sociale e letteraria, della quale gli autori del Gruppo non
potevano più farsi carico. L’incontro di Waischenfeld conclude così il ventennio del
Gruppo 47 portando a termine un intenso percorso culturale per la Germania federale
ma che lascerà il segno nell’intera esperienza letteraria del Novecento.
3.3 La ricezione del modello “Gruppe 47”: un
confronto con il Gruppo 63
Una mattina del mese di maggio o di giugno 1963, Valerio Riva, Nanni
Balestrini e io decidemmo di inventare un Gruppo con finalità di seminario
letterario. […] Durante l’inverno ero andato a Berlino a vedere i lavori del
Gruppo 47, per cui l’idea era ovvia.141
Così ricorda Enrico Filippini la fondazione del Gruppo 63 ed è ovvio quindi, come
già osservato nei capitoli precedenti, che il Gruppo 47 costituisca un modello per la
neoavanguardia italiana. Nel corso dei paragrafi precedenti ho individuato in modo
specifico gli aspetti dei singoli gruppi: in questo paragrafo verrà invece portato
avanti un confronto sulla base dei diversi fattori che hanno caratterizzato i due
gruppi, analizzando analogie ma soprattutto differenze e quindi in che misura il
gruppo tedesco abbia effettivamente costituito un modello per la controparte italiana.
In primo luogo ritengo necessario valutare la base di partenza sulla quale
entrambi i gruppi si sono costituiti e cioè il contesto nel quale essi hanno operato.
Emerge qui la prima differenza: l’arco temporale ricoperto dall’esperienza della
Gruppe 47 è di gran lunga più ampio rispetto a quello del gruppo italiano. Se si
considera il tempo trascorso dal primo incontro sul Bannwaldsee all’incontro
141
Filippini, Enrico: Sì, viaggiavamo in wagon-lit…, in «la Repubblica», 07.2.1977.
73
conclusivo si può contare esattamente un ventennio, dal 1947 al 1967; l’esperienza
italiana si colloca invece solamente negli ultimi cinque anni di questo ventennio,
appunto dal 1963 al 1967. Definirei questa differenza sostanziale: il Gruppo 63
infatti ha recepito la seconda fase della Gruppe tedesca142, la generazione di Grass e
Johnson, andandosi a collocare in un periodo quindi ben preciso sia della storia del
gruppo sia, in una prospettiva più ampia, del contesto europeo.
Se consideriamo la situazione della Germania agli inizi del Gruppo 47 è
totalmente diversa rispetto a quella in cui si svolgeva il primo incontro di Palermo. Il
Gruppo di Andersch e Richter sappiamo che si forma nell’immediato dopoguerra in
un deserto sia culturale che sociale, diversamente il gruppo italiano si forma quando
l’Italia aveva già elaborato e, in un certo senso, superato le problematiche della
guerra, anche dal punto di vista letterario con il movimento del Neorealismo. Il
Gruppo 63 nasce proprio nel pieno del boom economico, in una società, quella degli
anni Sessanta, tecnologica e opulenta che aveva reso l’Italia finalmente un paese
industriale come gli altri Stati europei più avanzati. Anche la Gruppe 47 vivrà il
boom economico della Germania ma solamente a partire dalla metà degli anni
Cinquanta143, circa dieci anni dopo le enormi difficoltà dei tempi di Bannwaldsee.
Inoltre, anche considerando in primi anni Sessanta, l’Italia si trova comunque in una
posizione privilegiata rispetto alla Germania che viveva una situazione politica
delicata: divisa in due Stati e in bilico tra i due blocchi di potenze della guerra fredda.
Quando parliamo di contesto è ovviamente necessario considerare anche la
cornice letteraria intorno alle due esperienze. L’attività del Gruppo 47 si impone
gradualmente su una letteratura, quella tedesca del dopoguerra, che è completamente
svuotata dal passato nazista e quindi non soffre (o non beneficia) di alcuna
concorrenza dal punto di vista letterario, rappresentando in modo quasi totale la
letteratura contemporanea della Repubblica federale. Anche per questo motivo il
Gruppo 47 riesce a determinare gli accenti della letteratura tedesca del dopoguerra e
di quella dei due decenni successivi. Si affermano certo altri importanti autori esterni
alla compagine del Gruppo come Wolfgang Koeppen, Arno Schmidt e Max Frisch
142
Cfr. paragrafo 1.2.
143
Cfr. paragrafo 3.2.
74
ma è anche vero che alcuni autori, che nell’immediato dopoguerra avevano riscosso
un modesto successo di pubblico, con l’affermarsi della Gruppe 47 passano
completamente in secondo piano.144 La situazione italiana è molto diversa in quanto
la neoavanguardia nasce come risposta alla staticità delle forme e dei temi della
letteratura a partire dal 1945: la produzione culturale nell’Italia del dopoguerra è
ricca di autori, scrittori e registi che si affermano nel panorama contemporaneo e che
sono, e rimarranno, del tutto estranei alle pratiche del Gruppo 63. Il Gruppo
rappresenta infatti l’opposizione alla “letteratura delle macerie” italiana, quella del
Neorealismo e dell’impegno politico, con cui la generazione del Sessantatre intende
rompere i ponti; la sua posizione nel campo letterario è quindi di compresenza con la
letteratura realista dominante, alla quale vuole contrapporre una produzione più
moderna, liberata dal peso della tradizione nazionale.145 Perciò il Gruppo 63 né si
sostituisce né tantomeno spazza via la letteratura engagé, ma semplicemente ne
rappresenta
l’alternativa.
Un’alternativa
che
in
Germania
manca
quasi
completamente, infatti gli autori tedeschi apprezzano e, in un certo senso, invidiano
la situazione letteraria variegata dell’Italia. Nel nostro paese molti autori vedono un
interessante laboratorio non solo artistico, ma anche politico146, come scrive
Enzensberger:
Gli attacchi da sinistra sono una delizia per le mie orecchie. Nella
Repubblica federale non esistono. È bello essere intrattenuti da entrambe le
parti; solo da destra alla lunga diventa noioso.147
Il Gruppo 63 vuole liberare la letteratura dall’ideologia e avvicinarla ad esperimenti
puramente formali, in una dimensione pressoché apolitica, che potremmo riassumere
Cfr. Disanto, Giulia: 1947-1967: vent’anni d’influenze. Il Gruppo 47 e la costituzione di un canone
della letteratura tradotta, in «BAIG», 2008/1, p. 82.
144
145
Cfr. Berardinelli, Alfonso (1990): Tra il libro e la vita, Feltrinelli, Milano, p. 96.
146
Cfr. paragrafo 2.1.
147
Lettera di H.M. Enzensberger a Enrico Filippini, 18.10.1964, citata in: Sisto, Michele: Mutamenti
del campo letterario italiano 1956-1968: Feltrinelli, Einaudi e la letteratura tedesca contemporanea,
in «Allegoria», 2007/55, p. 101.
75
con la formula «meno marxismo e più scienze umane»148. È una reazione di segno
opposto rispetto a quella che la Gruppe 47 aveva avuto nei confronti della società
della Repubblica federale: una risposta di tipo aperto, tollerante, innovatrice e critica
verso il conformismo e il “perbenismo” di Adenauer.
Il Gruppo di Richter abbiamo detto che non presenta un programma, né
politico né tantomeno letterario, ma c’è da dire che la Gruppe ebbe sempre una
qualificazione politica. Il termine “programma” è sicuramente una parola scomoda
quando si vuole parlare di questi gruppi, il cui unico intento programmatico è proprio
non avere un programma; tuttavia, in maniera involontaria, viene a costituirsi una
sorta di “istituzionalizzazione”, o se vogliamo alleggerire il termine, di coerenza al
loro interno. Il Gruppo 47 dal punto di vista politico è, per usare le parole di
Andersch, un «coacervo di tutte le sfumature di non-conformismo, dall’anarchia
privata fino al marxismo, dalla propensione alla democrazia di tipo anglosassone fino
al cattolicesimo di sinistra», andando a costituire per lo Stato federale una sorta di
forza antigovernativa, un’opposizione sociale e culturale che di fatto non era
rappresentata.149
La programmaticità del Gruppo 63 stava invece nell’intenzione letteraria. A
tal proposito bisogna infatti considerare due elementi e cioè l’antologia de I
Novissimi nel 1956 e la discussione del convegno inaugurale a Palermo.150 Con
l’appendice critica nell’antologia dei Novissimi, gli autori che poi diventeranno il
nucleo costitutivo del Gruppo 63 presentano gli indirizzi stilistici e formali che anni
dopo verranno presentati e discussi nell’incontro di Palermo. Il profilo di quella che
venne definita neoavanguardia era, perciò, già delineato. Questo non avrebbe potuto
verificarsi nel Gruppo 47 ai suoi esordi, dato che la letteratura tedesca, più di ogni
altra letteratura europea nel dopoguerra, era, come la definiva Alfred Andersch, «un
work in progress»151. Questo aspetto permise al Gruppo 47 di essere un grande
148
Cfr. Berardinelli, Alfonso (1990): Tra il libro e la vita, Feltrinelli, Milano, p. 96.
Andersch, A., Enzensberger, H. M., Cases, C. Dibattito sul «Gruppo 47», in «L’Europa letteraria»,
1963/20, pp. 27-37.
149
150
Cfr. paragrafi 2.1. e 2.2.
151
Ibidem.
76
cantiere letterario e di accogliere pressoché tutte le personalità che si affacciavano
alla scena culturale. Gli indirizzi che i due gruppi avrebbero preso erano chiari già
dalla traiettoria di «Der Ruf» in Germania e di «il verri» in Italia ed era da subito
evidente che sarebbero stati diversi. Senza considerare tutte le varie eccezioni del
caso, possiamo dire che «Der Ruf» e quindi il Gruppo 47 avevano un orientamento
politico-sociale e il loro focus letterario verteva sulla ricerca letteraria; al contrario, il
Gruppo 63 era dedito alla pura sperimentazione linguistica. Gli autori tedeschi si
trovano nel ‘47 in una situazione per cui le cose da dire erano più importanti di come
queste venissero dette; la difficile situazione dell’individuo e della società reduci
dalla seconda guerra mondiale doveva venire descritta nel modo più naturale
possibile e non romanzata o poetizzata. La ricerca delle forme e di nuove strutture
narrative si avvierà in Germania solamente in un secondo momento, sebbene questa
rimanga subalterna alla ricerca dei temi: l’arco temporale maggiore che la letteratura
della Gruppe 47 ricoprì permise alle diverse generazioni di autori di evolversi, di
modificare i propri temi, rispecchiando e raccontando il cambiamento della società.
Gli scrittori della neoavanguardia si pongono invece come elemento di rottura
rispetto a quegli autori già riconosciuti che preferivano il realismo dei contenuti alla
forma letteraria, il cosa al come; la ricerca della parola e la sperimentazione del
linguaggio
costituiscono
invece
il
carattere
principale
della
letteratura
neoavanguardista. Si tratta quasi di una meta-letteratura in cui gli aspetti della critica
e della letteratura si fondono, diventando una sorta di critica della letteratura: i
giovani autori, scrivendo, espongono ciò che con la letteratura intendono fare.
Questo fatto è dovuto in parte anche al background culturale degli autori del Gruppo
63: questi provenivano dall’ambiente accademico e avevano una formazione
letteraria già avviata, cosa che invece mancava nella generazione tedesca del ’47. In
questo la produzione della neoavanguardia si presenta, soprattutto a posteriori, come
una sorta di «letteratura al quadrato»152, una poesia che è soprattutto riflessione sulla
poesia, sulla sua condizione attuale e sui suoi meccanismi linguistici: una serie di
testi, che soprattutto oggi, non possono che essere letti se non in relazione al contesto
152
Cfr. Berardinelli, Alfonso (1990): Tra il libro e la vita, Feltrinelli, Milano, p. 22.
77
in cui queste opere sono nate, andando a perdere altrimenti la loro copertura, il loro
“libretto di istruzioni”.
I due gruppi sono accumunati dal carattere comunitario, dallo spirito
collegiale della nuova letteratura. In questo il Gruppo italiano ha preso a esempio la
Gruppe 47, che costituisce infatti un modello collaudato ormai da oltre un decennio e
che in Germania aveva già legittimato ben due generazioni di autori, prima quella di
Richter e Eich, poi quella di Grass e Johnson. Gli italiani adottano, a loro modo,
quello che è il modello organizzativo:
Un’organizzazione fluida ed elastica di scrittori, di operatori letterari, che
si riuniscono periodicamente per “verificare” in pubblico le loro
operazioni, le loro produzioni testuali, fuori dal riparto confortevole dei
rituali della recensione amica.153
Viene infatti ripreso il sistema degli incontri a cadenza regolare, in cui vengono
discussi i testi letti: tuttavia il sistema degli italiani è molto meno regolarizzato. Il
lettore partecipava al dibattito che seguiva, rispondeva alle critiche che gli venivano
avanzate, nel Gruppo 47 tutto questo non sarebbe stato possibile, «in Germania
c’erano delle regole molto ferree: l’autore doveva limitarsi alla sola lettura del testo,
senza ripetere né commentare»154 ricorda Inge Feltrinelli.
I contatti tra i due gruppi, soprattutto in direzione Germania-Italia, rimangono
sempre ridotti; tra questi, l’invito a Klaus Wagenbach per partecipare al convegno
reggiano del 1964 e spiegare le abitudini della Gruppe, alla quale Wagenbach
partecipava. Il suo ironico resoconto di quell’esperienza mette in luce il modo
singolare con cui il gruppo italiano ha ripetuto il modello quarantasettino:
Also berichtete ich: Es gibt einen älteren Herrn, Hans Werner Richter, der
verschickt Postkarten mit Datum und Ort, wo man sich einzufinden habe
(Gemurmel). Dort angekommen lasse er die Türen schließen und sage „wir
fangen jetzt an“ (vereinzeltes Gelächter). Er nehme dann auf einem von
153
Barilli, R., Guglielmi, A. (a cura di) (2003): Gruppo 63. Critica e teoria, Testo & Immagine,
Torino, p. XXIX.
154
Feltrinelli, Inge: Testimonianza, in Aa.Vv. (2005): Il Gruppo 63, quarant'anni dopo: Bologna, 8-11
maggio 2003, atti del Convegno, Pendragon, Bologna, p. 18.
78
zwei vornestehenden Sesseln Platz (Zwischenrufe: Nur zwei?) und bitte
einen Schriftsteller zur Lektüre in den zweiten Sessel. Nach der Lektüre,
die er auch durch eine Handbewegung unterbrechen könnte (erneute
Zwischenrufe: Diktatur!), bitte er um Kritik aus dem Saal, auf die der
Autor nicht antworten dürfe. Jetzt war es endgültig aus: allgemeines
Gelächter, Tumult.155
Durante le riunioni italiane le cose si svolgevano diversamente: le discussioni si
susseguivano e le voci si sovrapponevano, spesso si formavano piccoli gruppetti che
portavano avanti i loro argomenti e nella sala vi era un continuo andirivieni di
persone.
I rapporti tra i due gruppi, al di là dei contatti editoriali e delle amicizie
personali di Filippini con gli autori tedeschi, sono piuttosto ridotti e sono soprattutto
gli italiani a cercare nella Gruppe tedesca una legittimazione in campo
internazionale. Vengono tradotti alcuni brani, in particolare di Grass ed
Enzensberger, sulla rivista «il verri» e soprattutto Filippini spinge per far sì che
vengano tradotti alcuni brani degli autori italiani in Germania. La casa editrice
tedesca Suhrkamp pubblica nel 1964 Capriccio italiano di Sanguineti, il grande
romanzo neoavanguardista italiano, con una traduzione di Enzensberger. Sempre
Enzensberger sta traducendo per la sua rivista «Kursbuch» le poesie di Purgatorio de
l’inferno. Oltre a questi rari scambi letterari, vi sono alcune partecipazioni sporadiche
durante i primi anni Sessanta di alcuni intellettuali italiani alle Tagungen tedesche;
tuttavia l’iniziale entusiasmo dei tedeschi per il Gruppo 63 si affievolisce presto e il
loro interesse va piuttosto alla pubblicistica politica.156
Una caratteristica peculiare che riguarda entrambi i gruppi è sicuramente
l’utilizzo dei mezzi di comunicazione: in particolare radio e giornali. L’affermazione
dei due gruppi combacia con lo sviluppo dei media e con il loro impiego sempre più
massiccio anche nell’industria culturale157: è facilmente intuibile che questi mezzi
rappresentino un’occasione per poter promulgare e far conoscere i loro testi e idee,
155
Wagenbach, Klaus: Rede zum deutsch-italienischen Übersetzerpreis, 16.03.09.
156
Cfr. Sisto, Michele: Mutamenti del campo letterario italiano 1956-1968: Feltrinelli, Einaudi e la
letteratura tedesca contemporanea, in «Allegoria», 2007/55, p. 101.
157
Cfr. paragrafo 3.2.
79
ma anche semplicemente la loro attività in modo rapido ed efficace. Giornali e radio
partecipano o intervengono nelle riunioni del Gruppo 47 così come del Gruppo 63,
intervistano gli autori, facendo aumentare la risonanza della loro attività
nell’opinione pubblica. Peculiare è la diversa partecipazione delle case editrici nel
sovvenzionamento dei due gruppi. Sebbene diverse opere del Gruppo 63 vengano
edite anche da Bompiani, Scheiwiller o Garzanti, è la Feltrinelli ad avere il
monopolio sul progetto neoavanguardista, fungendo non solo da sponsor finanziario
ma anche da mentore culturale.158 Nelle riunioni tedesche intervengono invece una
pluralità
di
consulenti
editoriali
e
le
diverse
case
editrici
investono
indipendentemente in un autore piuttosto che in un altro all’interno della Gruppe: la
quasi totale mancanza di voci ad essa estranee, induce il campo editoriale a stringere
il proprio cerchio di interesse intorno agli autori del Gruppo 47. La scena tedesca è
quindi lontana da qualcosa di simile a quello che accade in Italia tra Feltrinelli e
Einaudi, le quali erano ben attente a preservare con le loro strategie i loro progetti
letterari.159
Risulta quasi scontato dire, al termine di queste brevi osservazioni
comparative, che, tra il tedesco Gruppo 47 e l’italiano Gruppo 63, le differenze sono
più numerose e più profonde rispetto alle analogie. Considerando le singole istanze
dei due gruppi, sarebbe tuttavia impensabile che il Gruppo italiano avesse potuto
replicare nelle stesse forme la Gruppe 47: abbiamo avuto modo di vedere come il
rispettivo contesto in cui questi si inseriscono sia profondamente differente. La giusta
conclusione di queste esperienze è stato però l’enorme interesse che hanno suscitato
per il loro modo di porsi nei confronti della ricerca letteraria. Sia il Gruppo 47 sia il
Gruppo 63 hanno svolto un importante lavoro, innovativo per le modalità e peculiare
per la fitta rete interna di contatti e di interferenze che hanno costruito. In due
direzioni diverse, hanno entrambi segnato un momento rilevante, più o meno lungo,
della storia culturale e, in parte politica, del proprio Paese: la letteratura compie un
passo avanti, proponendo un’alternativa alla produzione passata e un progetto
collettivo di cultura.
158
Cfr. paragrafo 2.2.
159
Cfr. paragrafo 1.3.
80
CAPITOLO IV - IL CASO ESEMPLARE:
CONGETTURE SU JAKOB E CAPRICCIO
ITALIANO
Nel capitolo conclusivo saranno oggetto di analisi i due romanzi Congetture
su Jakob e Capriccio italiano. Entrambi rappresentano rispettivamente i romanzi
chiave dell’esperienza del Gruppo 47 in Germania e del Gruppo 63 in Italia dal punto
di vista della narrativa. La scelta di prendere in considerazione queste due opere è
dovuta principalmente alla volontà di portare l’analisi e il confronto, già avviati nei
capitoli precedenti, sul piano dei testi. Tenendo in considerazione quanto già
osservato, prendere in esame e confrontare i due romanzi significa quindi
esemplificare sia gli elementi letterari dei due gruppi sia la questione riguardante le
strategie e le dinamiche editoriali affrontata nel primo capitolo.
Le Mutmaßungen di Uwe Johnson rappresentano non solo un punto di svolta
nella produzione narrativa in Germania ma, come abbiamo già accennato, la loro
traduzione produce, anche in Italia, un cambiamento per quel che riguarda
l’importazione della letteratura tedesca. Congetture su Jakob è visto in Italia, forse
ancora più che in Germania, come il grande titolo che rivoluziona la narrativa
contemporanea e rappresenterà per la neoavanguardia italiana un esempio e una
legittimazione del lavoro che si costituirà negli anni a seguire. Anche se non in modo
diretto, la novità introdotta dall’opera di Johnson porterà la narrativa italiana a
seguire le orme di un romanzo tutto nuovo, percorso inaugurato dal Capriccio
italiano di Edoardo Sanguineti.
81
4.1. Il romanzo sulle due Germanie: Congetture su
Jakob
Tra i grandi romanzi presentati alla Fiera del libro di Francoforte abbiamo già
avuto modo di menzionare l’opera prima dell’allora venticinquenne Uwe Johnson. Il
suo romanzo, Mutmaßungen über Jakob, annuncia fin da subito una grande
rivoluzione all’interno del campo letterario tedesco e in particolar modo della
Gruppe 47. L’autore stesso rappresenta un caso particolare: il giovane Uwe Johnson
è uno dei pochissimi autori della Gruppe a provenire dalla DDR. Nato nel 1934 in
Pomerania, studia Germanistica e Anglistica presso Rostock e Lipsia. Proprio nel
1959, dopo aver provato a pubblicare, senza successo, il suo romanzo nella
Repubblica democratica si trasferisce a Berlino Ovest, dove questo potrà essere
pubblicato. Nonostante la partecipazione e l’affermazione nel Gruppo 47, Uwe
Johnson non si sente di appartenere né alla DDR tantomeno alla BRD, tanto da
trasferirsi nel ‘66 a New York e successivamente in Inghilterra. Johnson sente di aver
perso la patria e questo sentimento si rispecchia nelle sue Mutmaßungen: il romanzo
era stato concepito per la DDR, tuttavia, sul piano formale, non seguiva né il
programma letterario della Germania Est né apparteneva alla scena letteraria della
Repubblica federale. La sua pubblicazione nel ‘59 nella Germania Ovest suscita un
notevole clamore, trovandosi questa di fronte ad un’opera che, per la prima volta,
affronta il tema della divisione della Germania. Come sostiene Enzensberger,
Mutmaßungen über Jakob rappresenta «la grande eccezione»:
Es ist hier das Erscheinen des ersten deutschen Romans nach dem Krieg
anzuzeigen, das heißt des ersten Romans, der weder der west- noch der
ostdeutschen,
sondern
einer
Literatur
angehört,
für
die
unsere
Verwaltungssprache die groteske Benennung „gesamtdeutsch“ bereithält.
Dieses Buch ist die große Ausnahme, welche die Kritik zwingen wird, ihre
82
unausgesprochenen Regeln endlich aufzudecken. Es hat den unschätzbaren
Vorzug, weder hierher noch dorthin zu gehören.160
Si tratta del primo romanzo pantedesco, in cui si problematizza il difficile
rapporto tra Est e Ovest e pertanto la sua anima letteraria appartiene a tutta la
Germania. Nella Germania occidentale, non solo si afferma uno scrittore dell’Est ma
per la prima volta vengono introdotti alcuni elementi della società sovietica che
finora rimanevano sconosciuti alla scena occidentale.
Tanto dal punto di vista tematico quanto dal punto di vista stilistico il
romanzo si allontana completamente dai dettami della letteratura dominante. L’opera
fa uso di un’architettura complessa per sostenere la narrazione, la quale si sviluppa in
una trama che potremmo definire tradizionale, con dei «prima» e dei «poi». 161 Il
modo in cui la trama viene presentata è però del tutto anticonvenzionale: la vicenda è
scomposta in avvenimenti che vengono riordinati in ordine sparso senza
consequenzialità. Il romanzo difatti è tutto giocato sul continuo cambio di
prospettiva, sul susseguirsi di processi mentali che vorrebbero trovare il bandolo
della matassa della storia.
Il romanzo si apre in medias res: il ferroviere Jakob Abs, il protagonista, è
morto investito da una locomotiva mentre attraversava i binari. Subito si dipana un
senso di mistero e di ambiguità:
Ma Jakob ha sempre attraversato i binari.
– Ma ha sempre attraversato il fascio di manovra e i binari di corsa, perché
dall’altra parte, a fare il giro di tutta la stazione fino al cavalcavia, per
arrivare al tram ci avrebbe messo mezz’ora in più. Ed erano sette anni che
lavorava nelle ferrovie.
– E guarda che tempo, che novembre, non ci vedi a dieci passi di distanza,
per via della nebbia, specialmente alla mattina. E infatti era mattina. E poi
era gelato. Uno fa presto a scivolare. E una carretta come un rimorchiatore
160
Cfr. Enzensberger, H. M.: Die große Ausnahme, in Riedel, Nicolai (1987): Uwe Johnsons
Frühwerk. Im Spiegel der deutschsprachigen Literaturkritik, Bouvier, Bonn, p. 79.
161
Cfr. Mayer, Hans: Uwe Johnson. Congetture su Jakob, in Baioni, G., Bevilacqua, G., Cases, C.,
Magris, C. (a cura di) (1973): Il romanzo tedesco del Novecento, Einaudi, Torino, p. 487.
83
fai già fatica a sentirlo, figurati a vederlo.
– Jakob ha lavorato sette anni nelle ferrovie, ti stavo dicendo, e ti
garantisco che un qualsiasi arnese che in qualche maniera si muovesse sui
binari lui lo sentiva eccome.162
Il romanzo si apre in modo singolare con una preposizione avversativa «ma» che
lascia da subito intendere al lettore che quello che è accaduto, rappresenta qualcosa
di inspiegabile e sospetto da cui dover far partire una ricerca. Vanno ad aggiungersi
le “congetture” che indagano sulle cause della morte di Jakob, un macchinista
esperto che difficilmente sarebbe potuto rimanere coinvolto in un incidente del
genere; già a questo punto per chi legge si insinua il dubbio se sia stata una fatalità o
un episodio architettato. Johnson catapulta così il lettore già dalla prima pagina nel
suo innovativo stile “congetturale”, facendo parlare e ragionare diversi personaggi,
attraverso le cui supposizioni vengono raccontati gli avvenimenti. Allo stesso tempo,
la pluralità dei punti vista e dei ragionamenti confondono il lettore, le cui idee circa
l’effettivo svolgimento della vicenda rimangono incerte.
Per poter ricostruire la trama del romanzo, bisogna considerare in modo
attento e mettere insieme i vari pezzi della storia, i vari discorsi, senza poter far
affidamento su un narratore onnisciente che manovra l’accaduto. Nel 1945, in
seguito all’invasione russa al termine della guerra, Frau Abs fugge, con suo figlio
Jakob, dalla Pomerania e trova rifugio presso l’ebanista Cresspahl nella cittadina di
Jerichow, nel Mecklemburgo, dove vive con la sua unica figlia Gesine. Jerichow è
una località inventata dall’autore che non è segnata in nessuna carta della Germania
ma apparterrebbe al territorio della DDR. Gesine, terminati gli studi da interprete a
Francoforte, accetta un posto come traduttrice presso il quartier generale della NATO
nella Germania Ovest. A questo punto però il signor Rohlfs, il capitano della
sicurezza di Stato, è interessato a ottenere la collaborazione di Gesine Cresspahl, in
qualità di spia al servizio della Repubblica democratica: ha così inizio l’operazione
“Colomba sul tetto”. Da questo momento si intensifica la rete di viaggi e di contatti
tra i personaggi e la ricostruzione dei fatti si fa più difficile. Cresspahl si rifiuta di
fungere da intermediario con la figlia Gesine per conto della STASI (Ministero per la
162
Johnson, Uwe (1961): Congetture su Jakob, trad. it. Enrico Filippini, Feltrinelli, Milano, p. 5.
84
Sicurezza dello Stato). Il capitano Rohlfs a questo punto è costretto a rivolgersi a
Jakob: lui e Gesine sono infatti cresciuti insieme, come fratello e sorella, e il capitano
Rohlfs può quindi contare sull’influenza di Jakob sulla giovane. Frau Abs dovrebbe
così facilitare al signor Rohlfs il contatto con il figlio, che ora è ispettore della
ferrovia imperiale in una grande città sull’Elba (mai direttamente menzionata ma
sembrerebbe essere Dresda). La donna però spaventata dalla situazione fugge a
Berlino Ovest; a questo punto Rohlfs dovrà fare un tentativo direttamente con Jakob
che promette di meditare riguardo ad una possibile collaborazione con la polizia di
Stato. Nel frattempo si innescano situazioni inaspettate: Cresspahl comunica sia a
Gesine sia a Jakob che Frau Abs è scappata in Occidente, intanto Gesine parla
telefonicamente al padre di un suo prossimo ritorno a Jerichow per fargli visita.
Improvvisamente tutti i personaggi si ritrovano a casa Cresspahl a Jerichow,
compreso il signor Rohlfs che può ora parlare con Gesine riguardo alla sua
collaborazione come informatrice per la DDR. Nella stessa occasione Jakob riesce ad
ottenere l’autorizzazione ufficiale per far visita a sua madre a Berlino Ovest: si reca
quindi ad Ovest da sua madre e da Gesine dove non rimane a lungo, nonostante
l’invito della giovane a restare; proprio la mattina del suo ritorno, mentre attraversa i
binari per recarsi in servizio, viene travolto da una locomotiva.
Nella vicenda, che ho qui cercato di sintetizzare, appaiono numerosi altri
personaggi e numerosi altri episodi, tuttavia la cosa che risulta particolarmente
interessante è come questi avvenimenti vengono raccontati.163 La trama non ha infatti
un andamento regolare e tantomeno cronologico: la morte di Jakob, forse l’unica
vera azione nel romanzo, è posta all’inizio del libro e le restanti duecentosessanta
pagine sono un susseguirsi di congetture e ipotesi che tentano di ricostruire le cause
della morte del ferroviere: dato che fin dall’inizio la natura dell’incidente viene
messa in dubbio. Più si cerca di fare chiarezza sui fatti e più emergono nuove storie e
retroscena misteriosi che infittiscono i sospetti: i personaggi non si comportano in
modo prevedibile e neanche in modo giustificabile. È esemplare il comportamento di
Cresspahl quando deve comunicare a Jakob la fuga della madre nell’Ovest:
163
Per una ricostruzione della vicenda più dettagliata cfr. Mayer, Hans: Uwe Johnson. Congetture su
Jakob, in Baioni, G., Bevilacqua, G., Cases, C., Magris, C. (a cura di) (1973): Il romanzo tedesco del
Novecento, Einaudi, Torino, pp. 488-491.
85
Cresspahl è a conoscenza della situazione, sa che il capitano Rohlfs ha cercato una
collaborazione con la signora Abs e con il figlio di lei, così come sa che le
comunicazioni sono rigidamente controllate, eppure invia un telegramma dove senza
giri di parole scrive «TUA MADRE PARTITA REPUBBLICA FEDERALE –
CRESSPAHL»164.
Tentare un riassunto della favola del romanzo, come è stato fatto sopra, è però
riduttivo e sostanzialmente fa nascere solamente dei malintesi, i quali emergono
appunto con la volontà di spiegare in modo usuale le azioni dei personaggi e le loro
motivazioni. I fatti sono inspiegabili: oltre all’esplicito telegramma di Cresspahl a
Jakob, non ci si spiega perché un’impiegata della NATO come Gesine, conscia delle
leggi che andrebbe ad infrangere, decida comunque di recarsi nuovamente a
Jerichow per far visita al padre, e tantomeno perché decida di incontrarsi in un
albergo con Jakob dove è presente anche il capitano Rohlfs. Non è chiaro però
neanche perché Rohlfs in quell’occasione non parli direttamente con Gesine ma la
lasci tornare nuovamente in Occidente.
La storia viene narrata su tre piani diversi: vi è un racconto di fondo in cui un
narratore cerca di ripercorrere i fatti della storia, fornendoci però niente di più che i
dati reperibili della vicenda, alla quale egli è estraneo. Vi sono inoltre i dialoghi, voci
dissonanti che intervengono nel romanzo senza che gli interlocutori vengano mai
identificati. Infine vi sono i monologhi di Gesine, di Jonas165 e di Rohlfs, questi
costituiscono la parte più ricca di testo e vengono evidenziati attraverso l’uso del
corsivo. La Ich-Erzählung viene relegata in un certo senso ai personaggi più colti, in
modo che riescano a dare una rappresentazione più adatta e più ampia e profonda del
mondo esterno.166
Tuttavia i tre piani non vanno a incastrarsi in una precisa struttura, ma si
intrecciano, si completano a vicenda e si interrompono, fino spesso a contraddirsi. La
164
Johnson, Uwe (1961): Congetture su Jakob, trad. it. Enrico Filippini, Feltrinelli, Milano, p. 60.
165
Jonas Blach, amico di Gesine dai tempi degli studi, è un professore universitario a Berlino Est:
rappresenta l’intellettuale marxista. Verrà arrestato da Rohlfs perché aveva partecipato a un
movimento di opposizione contro la politica dell’Unione Sovietica in Ungheria.
Renzi, Luca: Uwe Johnson: Congetture su Jakob. Un romanzo ‘giallo’ tedesco, in «Linguae»,
2007/2.
166
86
punteggiatura spesso manca, si passa da un discorso all’altro, da una prospettiva
all’altra in modo brusco: le frasi vengono spesso lasciate a metà e riprese in seguito o
talvolta interrotte e mai completate. Le Congetture su Jakob sono la lunga
ricostruzione di un fatto su cui girano tante voci, un’indagine senza investigatore in
cui ognuno dice qualcosa di cui non sempre è certo. In questo modo Mutmaßungen
über Jakob è un romanzo stratificato, dai notevoli risvolti e in cui si scopre che la
detective story è solo uno dei molteplici piani di lettura del romanzo che mano a
mano si svelano a chi lo legge.
Con questo romanzo, Johnson ha definitivamente licenziato il narratore
onnisciente che anzi in questo caso è quello che meno conosce dell’accaduto. Il
continuo susseguirsi di episodi e ragionamenti, che l’autore dispone senza continuità
né sul piano del tempo né dello spazio, dovrebbe portare alla soluzione dell’enigma
ma di fatto non giunge mai a squarciare il “velo di nebbia” che avvolge la tragica
morte di Jakob:
Der Nebel, das Geheimnis, das schlechthin Undurchdringliche der
Existenz wird bei Uwe Johnson zum Formprinzip. Daraus ergibt sich eine
vielsagende, wenn auch zuweilen irritierende […] Diskrepanz zwischen
der Schärfe des einzelnen und der Undeutlichkeit des Ganzen.167
Il romanzo è infatti costellato di “forse”, di verbi al condizionale, di “non so”
e fino all’ultimo momento di incertezze, soprattutto riguardanti la domanda
principale ovvero la causa della morte del protagonista. Un ispettore delle ferrovie
attraversa i binari e viene investito, pur conoscendo benissimo gli orari e i movimenti
dei treni. Potrebbe essere stata una fatalità, un incidente dovuto alla nebbia e al
ghiaccio ma se consideriamo che, come dice il narratore, «i grandi del paese avevano
posato gli occhi su Jakob»168 non possiamo escludere a priori la possibilità di un
omicidio. Potrebbe invece trattarsi di un suicidio, ma dato che rifiuta di rimanere con
la madre a Berlino ovest, non ritenendo la DDR un pericolo da cui fuggire, si
dovrebbe dedurre che mancasse un motivo sufficiente anche per cercare la morte sui
167
Blöcker, Günter: Roman der beiden Deutschland, in Baumgart, Reinhard (a cura di) (1970): Über
Uwe Johnson, Suhrkamp, Frankfurt am Main, p.12.
168
Ivi, p. 24.
87
binari. Spiegare questo romanzo ci costringe comunque ad avanzare delle
“congetture”, perché sono queste il fulcro attorno al quale ruota tutta l’opera, la cui
struttura e il cui finale rimangono aperti.
Quello che ci interessa principalmente non è però indagare sulla morte del
protagonista ma piuttosto analizzare, come abbiamo già accennato, le novità sia
stilistiche sia tematiche del romanzo di Johnson. L’autore affronta una tematica
finora inesplorata, il difficile argomento della divisione della Germania facendo
ricadere l’azione, ovvero la morte di Jakob, proprio nel 1956, a ridosso della crisi di
Suez e della rivolta ungherese. L’opera si basa e si sviluppa su diversi contrasti e su
personaggi e azioni antitetiche tra loro. Da una parte abbiamo lo spirito occidentale
di Gesine, collaboratrice della NATO e dall’altra abbiamo il poliziotto Rohlfs che
incarna l’ideologia sovietica della DDR: si presentano sempre due posizioni, la
rappresentazione parallela di Est e Ovest, due mondi sociali e psicologici che sono
già incomprensibili l’uno all’altro.169 Tuttavia questa dialettica di valori non viene
mai sintetizzata in una soluzione “giusta”, o comunque preferibile. Rohlfs che
sembrerebbe dover essere l’antagonista, non viene rappresentato necessariamente
come «accalappiacani»170, ma anzi è descritto come un padre di famiglia con tratti
umani e positivi, per il quale il lettore può provare empatia. Alla fine del romanzo ci
si chiede quindi chi sia l’eroe e chi l’antieroe, quale sia il polo positivo e quale il
negativo: allo stesso modo l’analisi si sposta sull’aspetto più profondamente
ideologico, ovvero ponendosi la domanda su quale sia migliore tra il metodo
orientale e quello occidentale. Non è intenzione di Johnson dare una risposta, il quale
anzi in un’intervista afferma che quando scrisse le Congetture il suo unico obiettivo
era quello di raccontare una storia che egli conosceva bene, e sicuramente, seppur
lontano dall’identificarsi con il protagonista Jakob, Johnson conosce bene
l’incompatibilità tra Germania occidentale e orientale.171 Jakob infatti è un
personaggio deluso dal governo della DDR, dal controllo della STASI e in particolar
Renzi, Luca: Uwe Johnson: Congetture su Jakob. Un romanzo ‘giallo’ tedesco, in «Linguae»,
2007/2.
169
170
Cfr. Johnson, Uwe (1961): Congetture su Jakob, trad. it. Enrico Filippini, Feltrinelli, Milano, p. 66.
171
Cfr. Filippini, Enrico: Intervista con Uwe Johnson, in «Quaderni milanesi», 1962/3, pp. 125-127.
88
modo dalla repressione sovietica di Budapest; allo stesso modo il bombardamento de
Il Cairo e la crisi di Suez lo rendono diffidente nei confronti del sistema occidentale.
Si capisce bene quindi come mai la pubblicazione nella Germania federale nel
1959 di Mutmaßungen über Jakob si identifichi con l’inizio di un profondo
cambiamento nella narrativa tedesca: la “congettura” non riguarda solo il contenuto
dell’opera ma ne investe la forma stessa e diviene il metodo stilistico generale.
Johnson dona al suo detektivischer Roman una struttura tecnicamente complessa,
caratterizzata da un metodo narrativo nuovo: il continuo cambio di prospettiva e i
monologhi ricordano l’americano Faulkner (da cui riprende anche l’utilizzo del
corsivo) così come ci sono echi dello stream of consciousness joyciano nel fluire
delle riflessioni dei personaggi, contribuendo così, tra le altre cose, a fare delle
Congetture non solo un testo universale ma estremamente moderno.
4.2. Il romanzo d’avanguardia: Capriccio italiano di
Edoardo Sanguineti
Quando nel 1963 viene inaugurato il Gruppo 63 con l’incontro di Palermo, le
basi di questa nuova letteratura erano già state gettate con la poesia dei Novissimi.
Diversamente, esperimenti nel campo della narrativa non erano ancora stati fatti ad
eccezione di qualche breve e poco rilevante racconto. In quello stesso anno, il 1963,
viene pubblicato dal “poeta novissimo” Sanguineti il suo primo romanzo. Capriccio
italiano, questo è il titolo, rappresenta il primo grande romanzo dell’avanguardia
sessantatreina. Quello di Sanguineti è il primo esperimento narrativo in cui il
linguaggio non è più solo mezzo ma vero e proprio fulcro dell’opera.172 Così
struttura, stile e contenuto sono subordinati ad esso e all’utilizzo che lo scrittore ne
fa: la parola, in questo modo, diventa l’unico appiglio a cui il lettore, così come
172
Cfr. Guglielmi, Guido: I romanzi di Sanguineti, in Aa. Vv. (1993): Edoardo Sanguineti. Opere e
introduzione critica, Anterem edizioni, Verona, p. 57.
89
l’autore, può aggrapparsi. Il “capriccio” è proprio quello linguistico, il bizzarro modo
di esprimersi di un narratore in un continuo stato di dormiveglia.
La copertina del numero 25 de “Le Comete” presenta il romanzo come il
racconto di «una crisi coniugale colta “nei sui aspetti più imbarazzanti e nascosti”,
vissuta su tutti i piani dell’esperienza»173. Si tratta infatti del racconto di una crisi
coniugale che coinvolge i due protagonisti del romanzo, tuttavia, scrive Renato
Barilli, Sanguineti:
[…] nell’affrontare questa materia familiare e quotidiana, rinuncia affatto
alle solite convenzioni, assume un’ottica del tutto diversa […]. L’ottica
‘altra’ da quella naturalistica gli è fornita soprattutto dall’onirismo.174
Il Capriccio è un romanzo onirico suddiviso in centododici capitoletti in cui il
narratore prova a tradurre in parole logiche l’assurdità dei sogni che ha vissuto. Per
capire le scene di difficile lettura del romanzo è infatti necessario tenere ben presente
la situazione grottesca del sogno; la difficoltà sia di comprensione, così come di
espressione, è data dalla natura contraddittoria delle sensazioni oniriche che non si
piegano all’utilizzo del linguaggio “normale”. Il protagonista-sognatore deve quindi
rinunciare all’espressione perché perso in una confusione di sensi e sensazioni che è
allo stesso tempo reale e irreale, umana e sovraumana.
Per comprendere i difficili meccanismi dell’opera sanguinetiana è utile partire
dall’incipit:
Spostammo le sedie verso la parete, mentre i quattro, tenebrosi,
attaccavano When I stop. Il ragazzetto storto si gettò un’altra volta sul
magnetofono. Mia moglie, adesso, era con E., in quell’angolo. Erano saliti
a bere un’aranciata al banco. Poi si erano infilati nel camerino del
direttore. Mia moglie, adesso, mi guardava. Si era tolta una calza e si stava
fasciando un polso, forse. Mi fece anche un cenno di saluto. Il direttore
stava appendendo un quadro alla parete, quando erano entrati. Quando si
erano spente le luci, mia moglie doveva bere l’aranciata. Adesso era in
L’edizione di riferimento è la prima edizione nella collana “Le Comete”, cfr. Sanguineti, Edoardo
(1963): Capriccio italiano, Feltrinelli, Milano.
173
174
Ivi, quarta di copertina.
90
quell’angolo, e beveva un caffè. Adesso E. mi voltava la schiena. C’era
nebbia e fumo nella cantina.175
Sebbene sembri di trovarsi di fronte al solito inizio in medias res, da subito siamo
certi di essere finiti in un mondo bizzarro, lontano dalla realtà. Quella nebbia e quel
fumo che riempivano la cantina, continueranno ad offuscare le scene, così come i
personaggi: per quanto questi riappaiano frequentemente, non verremo mai a saperne
molto di più. Ogni scena del Capriccio è predisposta alla ripetizione: le immagini,
infatti, per quanto bizzarre non hanno mai l’apparenza della “prima volta”, non
appaiono del tutto nuove e sconcertanti, ma lasciano intuire sempre un’aria di
familiarità.176 Queste vengono continuamente riprese e ripetute, i loro elementi
contraddetti o modificati senza alcuna connessione logica. Ogni scena si lascia infatti
travolgere dall’imprevedibilità del sogno e non si lascia spiegare dai tradizionali
meccanismi, neanche col procedere del racconto; gli avvenimenti iniziali rimarranno
misteriosi, così come tutte le altre azioni future. Ogni capitolo dichiara lo sforzo da
parte del narratore di raccontare, con la bocca ancora impastata dal sonno, ciò che ha
vissuto mentre dormiva: è proprio questa fatica a giustificare quel linguaggio
sincopato, quel lessico «depauperato e ristretto», quella sintassi «sbalordita e
deficiente».177
Già dalle prime righe si nota altrettanto chiaramente come questo scenario
necessiti di una lingua ‘altra’, una grammatica del sogno che riesca a fondere insieme
i vari piani dell’immaginazione e trascrivere il complicato universo mentale del
narratore. I piani temporali non hanno consequenzialità né senso logico: il tempo del
Capriccio è tutto basato sull’alterazione dei tempi verbali. La successione dal passato
remoto, al passato prossimo, all’imperfetto fino al presente farebbe pensare ad una
ricostruzione cronologica della vicenda, ma essa è come se si ricostruisse nella mente
del narratore al momento stesso del racconto, pertanto la cronologia è impossibile.
Questa narrazione, dunque, necessita di una consecutio temporum nuova e originale,
175
Ivi, p. 7.
176
Cfr. Guglielmi, Guido: I romanzi di Sanguineti, in Aa. Vv. (1993): Edoardo Sanguineti. Opere e
introduzione critica, Anterem edizioni, Verona, p. 55.
177
Cfr. Wlassics, Tibor: La grammatica del sogno. Lettura del Capriccio italiano di Edoardo
Sanguineti, in «Alla bottega», 1972/3, p. 1.
91
che recuperi solo in modo paradossale la tradizionale cronometria, alterando l’uso
dei “prima”, i “poi” e gli “adesso”. Un qualsiasi tentativo di analisi logica da parte
del lettore risulta vano, come, ad esempio, dimostrano i verbi all’imperfetto dopo
l’avverbio «adesso».
Il “cronometro” del Capriccio è come un orologio in perfetto
funzionamento, continuamente consultato, ricaricato, regolato – al quale
però manchi una minima parte: le lancette.178
Lo stesso capriccio grammaticale, che scombussola il tempo dell’azione, si
rispecchia nelle frasi sature di parole vuote, senza significato: congiunzioni, avverbi,
interiezioni vengono continuamente ripetute come intercalari di un tic linguistico,
una ritmicità sincopata della narrazione. La lingua diventa un conato di lingua,
paratattica, semplificata nella forma ma incomprensibile nel contenuto e quindi
inespressiva.
Nello scenario del Capriccio tutto è possibile: tanto la sovrapposizione
temporale, quanto anche l’ubiquità nello spazio. I personaggi possono trovarsi in un
luogo e contemporaneamente in un altro, così come trovarsi in una condizione e nel
suo opposto allo stesso momento. La percezione sensoriale nel mondo onirico è
alterata e non risponde alla biologia umana: si giustifica così l’uso superfluo degli
aggettivi possessivi a specificare quali siano gli occhi che guardano, le orecchie che
ascoltano. Un personaggio nel mondo onirico può assistere ad una scena anche
quando è assente, così come può guardare con gli occhi di qualcun altro e pensare
con la mente di un altro personaggio, confondendo continuamente il punto di vista e
la percezione della scena. 179
In un mondo in cui tutto e il contrario di tutto sono contemporaneamente
possibili, al sognatore può essere ignoto il contenuto della propria mente, la
posizione del proprio corpo, il significato delle proprie azioni. Come avviene nella
scena V in cui la narrazione del sogno è veicolata da una doppia prospettiva, sia
quella del sognatore sia quella della moglie, di cui il narratore ha consapevolezza.
178
Ibidem.
179
Cfr. Wlassics, Tibor: La percezione onirica, in «Prospetti», 1972/25-26, p. 58.
92
L’io narrante sa infatti cosa «pensa» la moglie, cosa voleva intendere con quei gesti
pur, allo stesso tempo, non capendo.
Io dovevo essere a letto e mi alzo, e arrivo nel salone tutto nudo. Mia
moglie faceva grandi gesti, che volevano dire che io dovevo telefonare alla
polizia. E, a quanto pare, io non capivo niente. Forse mia moglie, però, non
aveva guardato dal terrazzo, ma era a letto anche lei, quando vide un uomo
grosso, con una grossa bottiglia in mano, sulla porta della nostra camera e
si alza, e mi sveglia, e mi dice: “Vado di là con lui”. […] Poi un uomo
grosso, con una grossa bottiglia in mano, dice a mia moglie: “Guarda in
cucina.” Allora mia moglie entra in cucina, e io sono lì, nudo, con una
donna, e stiamo facendo qualcosa, e la donna sembra una serva, pensa mia
moglie, che però non dice niente.180
In questo sforzo descrittivo, tipico della ricostruzione del sogno, emerge la pluralità
di tempo e spazio nella scena, le azioni devono essere ricostruite più volte, ma nel
ripeterle queste vengono modificate e percepite in maniera diversa: quel «però»
capovolge la situazione e svela l’ubiquità dei personaggi.
La labilità dei confini di spazio e tempo si esprime maggiormente nella
grottesca scena in cui uno dei personaggi assiste al parto della madre e quindi alla
propria nascita:
Allora io dico a B. che quella doveva essere proprio la sua nascita, cioè di
B., quella che aveva visto così, e lui dice subito che adesso se lo ricorda
proprio bene, che la grossa padella era proprio tutta sporca di sangue, e sua
sorella, cioè di B., ci bagnava proprio dentro il pane.181
Questo assurdo viaggio indietro nel tempo, in cui lo stesso personaggio è sia
spettatore che partecipe, è soffuso di un’atmosfera stregata e sinistra che amplifica al
lettore l’impossibilità della scena, della quale B. non percepisce contraddittorietà,
anzi «se lo ricorda proprio bene».
180
Sanguineti, Edoardo (1963): Capriccio italiano, Feltrinelli, Milano, p. 15.
181
Ivi, p. 29.
93
Nel mondo onirico del Capriccio la percezione è spesso creazione: in questo
modo si distrugge completamente il rapporto causa-effetto. La percezione-creazione
può essere soggettiva: come l’analogia tra donna e gallina che diventa, nel mondo del
sogno, subito identità e quindi la donna è la gallina.182
La ragazzotta, intanto, fa crò crò. “Oh,” le dico, “che fai la gallina, tu, di
nuovo?” Ma poi sto zitto subito, che c’è una gallina vera, adesso, che ci
esce da un buco lì nel muro.183
Questa, tuttavia, può essere anche esterna, come nel caso in cui al narratore sfugge la
logica causa-effetto che è invece suggestionata dalla percezione di qualcun altro:
“Il telefono”, dice mia moglie, che parla quasi nel sonno. Perché, è vero,
c’è il telefono che suona…184
Egli è consapevole di quel trillo ma è solo attraverso la percezione della moglie, in
questo caso, che il narratore riesce a comprenderne la causa. «L’effetto non
diminuisce per mancanza di causa»185, potremmo così generalizzare, portando quindi
a una comprensione “astratta” in cui le cause, i significanti della percezione, vengono
“censurate” dalla legge onirica ma allo stesso tempo se ne recepiscono gli effetti.
Sono quindi gli effetti, le reazioni, a suscitare interesse per l’autore:
“Sai che cosa ci ho scoperto qui, a andarci in giro così di notte?” E io
avevo risposto allora: “Davvero no, davvero!”186
Quella domanda ha tutta l’aria di essere una domanda retorica e quella risposta, non è
quindi un’effettiva risposta ma piuttosto una reazione a qualcosa che non ci viene
detto, che è totalmente omesso. Così anche nei dialoghi tra i personaggi è spesso il
nocciolo della comunicazione a venir meno:
182
Cfr. Guglielmi, Guido: I romanzi di Sanguineti, in Aa. Vv. (1993): Edoardo Sanguineti. Opere e
introduzione critica, Anterem edizioni, Verona, p. 55.
183
Sanguineti, Edoardo (1963): Capriccio italiano, Feltrinelli, Milano, p. 171.
184
Ivi, p. 149.
185
Cfr. Wlassics, Tibor: La percezione onirica, in «Prospetti», 1972/25-26, p. 50.
186
Sanguineti, Edoardo (1963): Capriccio italiano, Feltrinelli, Milano, p. 50.
94
Parla ma che non lo sento. Allora è come prima, che fa tanti gesti. “Perché
me lo racconti?” gli dico, che quasi mi metto a piangere, adesso, ma non
ho sentito mica niente, ma ho visto i gesti.187
Come in una scena cinematografica in cui l’audio è fuori sincrono, il narratore non
sente quello che gli viene detto. Perciò noi, senza conoscere il contenuto del
racconto, vediamo la sua risposta, cioè il pianto: l’essenziale del discorso viene
soppresso per far spazio solamente alla reazione.
La vicenda coniugale, che dovrebbe essere il tema centrale della trama, viene
vissuta solo attraverso i significati del sogno: i conati espressivi del narratore sono
l’unico modo tramite il quale poter ricostruire parzialmente la vicenda. La storia salta
da un’interruzione ad un’altra, impedendoci di individuarne un prima e un poi.
Questa si presenta quindi dissezionata e frammentata e i vari episodi vengono inseriti
nel grande «gioco del romanzo»188: il gioco, che ritorna in diverse scene, è sempre
senza regole, né strategie e completamente affidato alla casualità. Nella scena XXII
alcuni personaggi partecipano a un gioco che è il vero simbolo del romanzo:
Che poi il giuoco è questo, che noi dicevamo che quelle dovevano
indovinare un romanzo che noi sapevamo bene, e che allora facessero pure
delle domande, che così se lo potevano indovinare un po’ tutto, un po’ per
volta. Che poi il romanzo non c’è mica, si capisce, che sono loro che se lo
fanno con le loro domande, ma se quelle fanno una domanda che l’ultima
parola finisce per a, oppure per o, oppure per u, noi si diceva sempre di no,
e che se invece finiva per e, oppure per i, si diceva di sì, invece.189
Questo è Capriccio italiano in cui Sanguineti trasforma una storia in oggetto
e la sottopone ad un’operazione di chirurgia formale. Come secondo le regole
ripetitive del gioco, egli associa gli elementi della vicenda con procedimenti ricorsivi
ma allo stesso tempo casuali. Sanguineti scrive «un romanzo della possibilità del
187
Ivi, p. 12.
188
Cfr. Guglielmi, Guido: I romanzi di Sanguineti, in Aa. Vv. (1993): Edoardo Sanguineti. Opere e
introduzione critica, Anterem edizioni, Verona, p. 57.
189
Sanguineti, Edoardo (1963): Capriccio italiano, Feltrinelli, Milano, pp. 44-45.
95
romanzo»190 che cerca se stesso e che, scena dopo scena, si costruisce attraverso le
narrazioni sognanti. È l’estremo tecnicismo dell’autore a conferire espressione e
senso all’opera tramite un procedimento che non cerca la realtà e la causalità dei fatti
ma piuttosto li subordina alla loro stessa possibilità di essere espressi a parole.
La lettura del Capriccio italiano riesce a immergerci in un’atmosfera
paradossale e quasi metafisica dalla quale non se ne può che uscire confusi e
allucinati. Il narratore ubriaca di parole il lettore il quale, allo stesso tempo, viene
sottoposto ai numerosi input di un romanzo dai significati nascosti. Questi ultimi
sono da ricercare piuttosto che nella storia, rilegata invece ad un piano di lettura
secondario, nel linguaggio astruso e sincopato e nelle azioni oniriche e grottesche. Di
ritorno da un mondo dove tutto e il contrario di tutto sono non solo possibili ma
anche simultanei, ci ritroviamo come gli stessi personaggi del libro:
Ma poi pian piano, ci rimettiamo un po’ normali, e allora ci alziamo anche
la testa, ma piano piano, che ci facciamo ancora come un po’ di risate, di
quelle che a noi ci restano, così a scatti, ma come con gli occhi pieni di
lacrime.191
4.3. La ricezione tra Congetture di Johnson e
Capriccio di Sanguineti
Basterebbe leggere le brevi analisi di questo capitolo o anche solo cinquanta
pagine di Congetture su Jakob e poi di Capriccio italiano perché ci saltino all’occhio
le differenze, tanto da sembrare impossibile trovare delle analogie. Azzardare un
confronto tra i due testi sopra analizzati, potrebbe quindi sembrare un tentativo
forzato di far coincidere due romanzi che hanno ben poco a che fare tra di loro.
Tuttavia ritengo possa essere un utile discorso conclusivo che ci permetta di
190
Cfr. Guglielmi, Guido: I romanzi di Sanguineti, in Aa. Vv. (1993): Edoardo Sanguineti. Opere e
introduzione critica, Anterem edizioni, Verona, p. 57.
191
Sanguineti, Edoardo (1963): Capriccio italiano, Feltrinelli, Milano, p. 11.
96
ripercorrere e di ampliare, tramite un caso specifico, il confronto tra i due gruppi già
condotto in precedenza. Accostare i due testi non è la prima operazione che saremmo
portati a fare ma piuttosto, ancora una volta, è il contesto, il campo letterario in cui
queste due opere “agiscono”, a dover essere preso in considerazione. La scelta delle
due opere però non è casuale ma dovuta al fatto che queste rappresentano un punto di
partenza per un nuovo indirizzo nella letteratura nazionale. In un certo senso, ci si
serve di Congetture su Jakob e di Capriccio italiano come emblemi dei rispettivi
“seminari letterari”, stabilendo la base comune del nostro confronto.
In Germania l’uscita di Mutmaßungen über Jakob non ha lasciato indifferente
la critica e il pubblico tedeschi:192 Johnson affronta, da cittadino dell’est per un
pubblico dell’ovest, un tema tanto scomodo quanto attuale. L’autore lascia spesso
spiazzati i lettori occidentali per il modo in cui sceglie di trattare, ad esempio, la
complicata tematica della Sicurezza di Stato nella DDR attraverso l’ambiguo caso
del capitano Rohlfs, un personaggio in cui tuttavia non si riconosce un “nemico”.
Quando invece nel 1963, agli albori dell’esperienza del Gruppo, esce
Capriccio italiano di Sanguineti questo viene accolto, in un certo senso, come il
grande manifesto della narrativa neoavanguardista. Il Capriccio è un romanzo che si
dissocia completamente dalla narrativa neorealista e neonaturalista italiana,
accantonando ogni pretesa di ideologia e di tematizzazione e facendo del linguaggio
e della sperimentazione linguistica il centro nevralgico dell’opera.
È d’obbligo tuttavia una precisazione: il successo che ha coinvolto l’uscita
delle Mutmaßungen non è pari a quello del Capriccio. La rilevanza del romanzo
johnsoniano sia nella letteratura nazionale tedesca sia in quella internazionale, è
stata di gran lunga maggiore rispetto all’esperimento sanguinetiano. Il Capriccio,
così come gran parte della letteratura del Gruppo 63, rimane circoscritto alla breve
sperimentazione letteraria di quegli anni, perdendo oggi parte di quella sua verve
avanguardista e “rivoluzionaria”. La lettura delle difficili pagine di Sanguineti oggi
risulterebbe decontestualizzata se il lettore non si apprestasse a considerare lo
scenario che giustificava il virtuosismo narrativo e linguistico dell’autore. A
192
Cfr. paragrafo 4.1.
97
differenza, la lettura delle Mutmaßungen risulta più immediata rispetto alla lingua
convulsa di Sanguineti, sebbene sia comunque necessario tener presente il contesto
dell’opera tedesca. Il successo del romanzo di Johnson è sicuramente dovuto anche
alla maggiore affermazione della Gruppe 47 nel campo letterario, che ha favorito la
legittimazione di un’opera sperimentale e nuova, sia nei temi sia nella struttura. I
riconoscimenti letterari delle Mutmaßungen sono stati diversi, ricordiamo soprattutto
il Fontane-Preis nel 1960.
Il simile contesto letterario, in cui questi due romanzi nacquero, non era
esente da contatti reciproci e aveva permesso che entrambe le opere venissero
tradotte in Italia e in Germania. Abbiamo già avuto modo di vedere come Filippini
sia la chiave di interpretazione di queste contaminazioni italo-tedesche193: la sua
attività per Feltrinelli, da subito, fa infatti di Johnson l’autore da importare con
maggiore interesse. È singolare il fatto che Filippini in una recensione su «il verri»
riconduca la scrittura di Johnson al «gesto del distacco dal naturalismo e dalla sua
formula più recente, dal neorealismo»194, proprio come era stato fatto con Sanguineti.
Anche in questo caso è l’editor Filippini a farsi mediatore tra la letteratura di
Sanguineti e quella di Johnson: egli vorrebbe infatti che il romanzo di Sanguineti
fosse in Germania quello che Congetture ha rappresentato in Italia.195 Infatti spinge
affinché Capriccio italiano venga scoperto dai tedeschi e Enzensberger ne curi la
traduzione: tuttavia la pubblicazione per Suhrkamp nel 1964 delude Filippini che
legge nell’adattamento tedesco una «specie di romanzo surrealista, e a volte anche
peggio, simbolista». Per Filippini infatti il romanzo di Sanguineti «è l’unico romanzo
importante che sia uscito in questi anni in Italia, e che abbia segnato chiaramente il
cambiamento»196. Per i tedeschi l’esperimento italiano non è di minor valore:
soprattutto gli inizi del Gruppo 63 vengono ben recepiti dagli intellettuali tedeschi, lo
193
Cfr. paragrafo 1.2.1.
Cfr. Fuchs, Marino: Enrico Filippini e Edoardo Sanguineti: ritratto di un’amicizia, in Calligaro,
S., Di Dio, A. (a cura di) (2013): Marco Praloran 1955-2011, ETS Edizioni, Pisa, p. 277.
194
195
Ivi, pp. 276-278.
196
Lettera di Enrico Filippini a Hans Magnus Enzensberger, 14.10.1964, in: Sisto, M.: Mutamenti del
campo letterario italiano 1956-1968: Feltrinelli, Einaudi e la letteratura tedesca contemporanea, in
«Allegoria», 2007/55, pp. 100-101
98
dimostrano anche le successive traduzioni delle opere di Sanguineti.197 La traduzione
italiana di Congetture su Jakob si inquadra nel sistema di strategie editoriali che
animano il contesto italiano di quegli anni198 e risponde così a delle esigenze
letterario-editoriali che permettono al romanzo di acquisire una nuova accezione per
il pubblico e per la critica. Uwe Johnson viene presentato ai lettori italiani come uno
dei più autorevoli eredi della tradizione delle avanguardie storiche che in Germania
passa per l’espressionismo, collocando così la sua opera in un altro insieme di
riferimenti.199 Di certo questi riferimenti non mancano in Johnson, tanto da ritenere
che «hanno posto determinati criteri»:
[…] Come potrebbe uno mettersi a scrivere se non conoscesse questi
autori? Dopo che Döblin ha scritto l’Alexanderplatz e Thomas Mann il
Dottor Faustus e Brecht il Galileo Galilei e certe poesie, e Joyce l’Ulisse,
eccetera, uno non può mettersi a tavolino e scrivere come se queste opere
non esistessero.200
Questa breve digressione circa le vicende editoriali dei due romanzi serve a
confermare la posizione di Johnson: pioniere di una letteratura in contrasto con
quella della generazione precedente. Ugualmente in l’Italia l’autore è, non solo un
esempio, ma anche legittimazione della nuova traiettoria che la neoavanguardia
intende percorrere. Prima di addentrarci in alcune osservazioni sui testi, dobbiamo
premettere che il confronto può essere solo inteso sul piano stilistico e linguistico e
non su quello tematico: i temi impegnati dell’opera di Johnson non sono compatibili
con la concezione sessantatreina di letteratura, totalmente anti-engagé.
Un’importante innovazione nelle Congetture è la struttura, per l’appunto,
congetturale: una tecnica del montaggio “avanzata” che trascina e ordina le varie
scene in un modo tale che non permette al lettore di ricostruire il caso, conservando
quell’aspetto di mistero e dubbio tipico della congettura. Anche in Capriccio italiano
197
Ibidem.
198
Cfr. paragrafo 1.2.1.
Cfr. Sisto, Michele (a cura di) (2009): L’invenzione del futuro. Breve storia letteraria della DDR
dal dopoguerra a oggi, Libri Scheiwiller, Milano, pp. 350-351.
199
200
Cfr. Filippini, Enrico: Intervista con Uwe Johnson, in «Quaderni milanesi», 1962/3, pp. 125-127.
99
gli spezzoni non rispettano alcun ordine: in questo romanzo però il montaggio non è
diretto da un “tecnico” ma dallo schiribizzo della mente sognante del narratore, dove
le varie scene, che azzardando potremmo chiamare vicende, si realizzano come
narrazione solo in modo casuale, quando queste si manifestano in sogno. Infatti nel
romanzo di Johnson è possibile ricostruire una vicenda in un contesto storico e reale;
diversamente nel Capriccio la trama è completamente rarefatta e si capisce solo poco
della realtà a cui questa fa riferimento perché completamente alterata dalla
proiezione nel mondo onirico. Le immagini del Capriccio sono degli spiragli su
mondi altri che possiamo recuperare solo come frantumi, al contrario nella storia di
Jakob possiamo scorgere nelle scene, per quanto il loro andamento sia misterioso,
una realtà oggettiva contestualizzabile.
Nonostante
la
prospettiva
nelle
Congetture
sia
intermittente,
la
caratterizzazione dei personaggi è tale da permetterci di identificarli e tracciare una
loro fisionomia. Nel Capriccio i due protagonisti, sebbene solo nel corso dell’opera,
sono gli unici personaggi ad essere chiamati con un nome: Edoardo e Luciana. La
coppia del romanzo si identifica così per omonimia con l’autore e sua moglie,
tuttavia questo non impedisce a Sanguineti di liquidare il realismo del racconto,
spezzando ogni volontà narrativa e dando al romanzo una struttura assolutamente
aperta.201 Gli altri personaggi sono infatti degli spettri a malapena identificati e
identificabili, tanto che per il lettore è difficile riconoscere le loro azioni e il loro
ruolo: essi rimangono nient’altro che delle lettere (i nomi dei personaggi vengono
infatti ridotti alla loro iniziale) che nel testo passano quasi inosservate, rendendo le
azioni quasi prive di soggetto.
L’aspetto principale su cui soffermarsi quando si parla dell’opera di
Sanguineti è sicuramente il linguaggio, fulcro non solo della produzione dell’autore
ma di tutta la sperimentazione neoavanguardista italiana. Nel Capriccio infatti la
parola perde la sua funzione espressiva, diventando tecnica: la lingua è povera e
rinuncia a qualsiasi forma di comunicazione ampia ma allo stesso tempo, in
un’operazione iperletteraria dell’autore, assistiamo ad una sorta di «manierismo della
201
Guglielmi, Guido: I romanzi di Sanguineti, in Aa. Vv. (1993): Edoardo Sanguineti. Opere e
introduzione critica, Anterem edizioni, Verona, p. 57.
100
povertà».202 Anche il linguaggio di Johnson è privo di ogni pretesa poetica, le
“congetture” sono caratterizzate dalla lingua propria e autentica del personaggio:
assistiamo così all’uso del dialetto, all’esposizione tipica del parlato, a descrizioni
scarne e discorsi stentati in cui chi parla cerca di ricostruire al momento la storia. Lo
stesso avviene per il sognatore del Capriccio, il cui parlato è ricco di parole
inadeguate, storpiate, intercalari e sbavature grammaticali, così come di espressioni
dialettali o volgari. Tuttavia c’è una grande differenza tra il linguaggio di Johnson e
quello di Sanguineti: i personaggi di Johnson riferiscono una realtà che spesso non si
conosce, di cui non si conoscono le cause o, il più delle volte, di cui si dubita. Al
contrario per i sognatori del Capriccio la realtà non esiste affatto, o meglio la realtà
di cui si parla è un sogno, una non realtà che non risponde alle logiche della fisica
normale.
Queste brevi osservazioni hanno voluto mettere a confronto due opere che
rispecchiano per alcuni aspetti la stessa atmosfera letteraria e possono presentare
delle analogie. Anche se non possiamo propriamente dire che la ricezione sia diretta,
o che Sanguineti nello scrivere il Capriccio italiano abbia in mente il lavoro di
Johnson. Sicuramente però il lavoro del Gruppo 63, e in parte quindi anche quello di
Sanguineti, trova nella Gruppe 47 un modello a cui far riferimento. Da questa si
riprendono non solo la struttura interna, il modus operandi o l’idea di seminario
letterario ma la neoavanguardia italiana ai suoi inizi sente soprattutto di poter far
affidamento su questa letteratura tedesca contemporanea che prova con successo
degli esperimenti stilistici e linguistici nuovi.203 A ragione è possibile prendere in
esame le due opere scelte, le quali, nelle loro differenze, condividono però il fatto di
collocarsi in due sistemi che presentano una matrice comune. La volontà di importare
nel Gruppo 63 l’idea della letteratura tedesca contemporanea della Gruppe 47 è
sicuramente stata colta da Sanguineti come testimoniano peraltro i suoi contatti con il
mondo tedesco e la sua partecipazione alle riunioni della Gruppe.204
202
Ivi, p. 56.
203
Cfr. paragrafo 3.3.
204
Cfr. Bignami, Marta (2008): Introduzione, in Bignami, Marta (a cura di): Antologia del Gruppo 47.
Autori tedeschi dal 1947 al 1967, Aracne, Roma, p. 16
101
CONCLUSIONE
Quando si decide di intraprendere un lavoro che vuole mettere a confronto
due letterature, o comunque due momenti più o meno circoscritti di esse, è necessario
compiere delle scelte che permettano di ridurre, l’altrimenti troppo ampio, campo di
ricerca. Così è stato nel mio caso, ho dovuto quindi selezionare argomenti ed
elementi su cui focalizzare il mio discorso, seguendo una direzione piuttosto che
un’altra.
La mia intenzione è stata infatti quella di indagare i contatti e le influenze tra
la letteratura italiana e la cultura tedesca nel secondo dopoguerra, in particolare tra
gli anni Cinquanta e gli anni Sessanta. Per fare questo è stato necessario cercare di
ricostruire il contesto di quegli anni e allo stesso tempo restringere la ricerca al solo
contesto italiano e tedesco, dovendo tralasciare altre interferenze che potrebbero
venir prese in considerazione. Per tirare le fila del discorso e ricostruirne il percorso
credo sia quindi utile ripercorrere le scelte operate e specificarne le motivazioni.
Il punto di partenza del lavoro è stato appunto quello di considerare in modo
più generale cosa, in quel periodo, sia stato recepito in Italia della letteratura tedesca,
soprattutto per quel che riguarda gli autori contemporanei. Per fare ciò ho ritenuto
fondamentale prendere in considerazione il campo editoriale: proprio in quegli anni
l’editoria assume un ruolo centrale nell’industria letteraria. Oltretutto in Italia, a
partire dalla fine degli anni Cinquanta, si assiste ad un particolare fenomeno,
interessante se si vuole considerare la ricezione italiana della letteratura tedesca.
Prendendo in esame quindi le case editrici che in quel periodo si interessano
maggiormente alla produzione di area germanofona, ho individuato in Cesare Cases
prima e in Enrico Filippini poi, le principali chiavi di lettura di questa ricezione.
Entrambi sono, a cavallo tra i due decenni, i consulenti per la germanistica delle case
editrici in cui rispettivamente lavorano: Einaudi e Feltrinelli. Per rendere conto delle
opere proposte al pubblico italiano in quegli anni, ho ritenuto imprescindibile
considerare l’azione svolta in senso parallelo dai due editor: essi, seppur in modo
diverso, portano avanti un lavoro di importazione di questa letteratura,
concentrandosi particolarmente anche sulla letteratura contemporanea e sui nuovi
102
artisti emergenti. Perciò lo “scontro” tra Cases e Filippini, oltre ad aver animato il
campo editoriale italiano di inizio anni Sessanta, ha tracciato una nuova strada, anzi
due nuove strade parallele, per la ricezione della cultura tedescofona.
Questi contatti non si limitano alla sola esperienza di Cases e Filippini e ho
quindi voluto allargare il campo prendendo in analisi, come esempio, l’esperienza
della rivista «Gulliver»: questa vede coinvolti nel progetto grandi intellettuali sia di
area italiana sia di area tedesca, oltre che francese. Questo per rendere anche l’idea di
come il periodo di fine anni Cinquanta, e poi tutti gli anni Sessanta, sia stato un
momento di ravvivato contatto culturale tra il mondo intellettuale italiano e quello
tedesco.
Abbiamo detto che in Italia si vengono a delineare due percorsi paralleli,
quello di Filippini e quello di Cases: nel mio caso ho scelto però di considerare il
primo. Questo perché, a partire dai primissimi anni Sessanta, Filippini sarà sempre
più interessato alla traduzione della letteratura tedesca contemporanea e, attraverso
questa, a legittimare la nascita di un nuovo clima neoavanguardista, di cui egli stesso
è partecipe. Nel 1963, spinto da Filippini e con l’appoggio di Feltrinelli, può nascere
infatti il Gruppo neoavanguardista italiano.
Questo particolare momento della letteratura italiana che ho deciso di
prendere in esame si colloca infatti in una rete di interferenze e contatti tra Germania
e Italia che è stata il punto centrale del mio lavoro. Il Gruppo 63 fin dal suo atto di
nascita dichiara di ispirarsi alla Gruppe 47: questa affermazione è stata lo stimolo ad
indagare su come questi contatti si siano effettivamente realizzati e come la ricezione
del modello tedesco sia stata invece adattata al contesto italiano. Perciò per poter
rispondere alla domanda è stato necessario inquadrare i due gruppi: prima il Gruppo
63, direttamente collegato alla figura di Filippini e come abbiamo visto alla sua
attività editoriale, e successivamente il Gruppo 47 in Germania.
Per il Gruppo tedesco è stato necessario considerare con maggiore attenzione
il suo contesto, quando e come si colloca nel campo letterario e soprattutto i suoi
sviluppi. Il 1959, passati ormai oltre dieci anni dalla sua fondazione, rappresenta un
punto di svolta per la produzione della Gruppe tedesca, la quale infatti in quell’anno
103
“partorisce” tre romanzi che ne rinnovano l’attività letteraria. Ciò è la chiave che ci
permette di inquadrare meglio lo scenario complessivo: è infatti proprio questa
“seconda generazione” della Gruppe il momento che maggiormente viene recepito e
importato da Enrico Filippini, dando così, a quel clima di innovazione già esistente in
Italia, un forte slancio e un modello consolidato da imitare. Il Gruppo 47 però non ha
avuto la carica avanguardista che caratterizza il Gruppo 63 italiano e molte altre sono
le differenze: solo dopo aver chiarito i percorsi dei due gruppi è stato infatti possibile
condurre alcune osservazioni su quali siano state le effettive analogie tra questi. Il
Gruppo italiano ha recepito a suo modo le istanze della Gruppe, dovendo
giustamente adattare e plasmare gli elementi tedeschi al diverso contesto italiano.
L’ultimo capitolo del mio lavoro vuole considerare, ponendo come
presupposto il confronto tra i due gruppi appena tracciato, se e come questo si
rispecchia o meno dal punto di vista dei testi. La scelta dei testi non è stata tuttavia
casuale ma ha voluto considerare i due romanzi che, in un certo senso, vengono
ritenuti opere simbolo della produzione dei rispettivi gruppi: Congetture su Jakob per
quanto riguarda la generazione tedesca del ‘59 e Capriccio italiano come testo della
neoavanguardia italiana. I due testi sono quindi stati scelti non per le particolari
analogie dal punto di vista contenutistico o stilistico, ma piuttosto perché questi
rappresentano in un certo senso l’emblema e la sintesi del discorso fatto finora.
Congetture su Jakob oltre ad essere il simbolo della nuova generazione della Gruppe
47, della quale ne esprime la novità sia a livello stilistico che tematico, è stato anche
il segno rappresentativo dell’attività di Filippini che ha fatto di questo testo, e poi di
tutta l’opera johnsoniana, il trait d’union tra letteratura tedesca e letteratura italiana,
in particolare quindi tra Gruppo 47 e Gruppo 63.
In conclusione trovo che, in misura ridotta, Capriccio italiano sia rispetto a
Congetture su Jakob quello che il Gruppo 63 è rispetto alla Gruppe 47: qualcosa che
è stato influenzato e stimolato dal modello tedesco ma allo stesso tempo ha dovuto
percorrere altre strade e mutare la propria forma per adattarsi e rispondere alle
esigenze dello specifico contesto letterario italiano.
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Tavola rotonda 50 Jahre Gruppe 47 - Die Gruppe 47 und die Politik, Literarisches
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