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ALMA MATER STUDIORUM – UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI BOLOGNA SCUOLA DI LINGUE E LETTERATURE, TRADUZIONE E INTERPRETAZIONE Corso di studio in Letterature moderne, comparate e postcoloniali LE INFLUENZE DELLA CULTURA TEDESCA NELLA LETTERATURA ITALIANA DEL SECONDO DOPOGUERRA: UN CONFRONTO CRITICO TRA GRUPPE 47 E GRUPPO 63 Prova finale in Letteratura Tedesca Relatore: Presentata da: Prof.ssa Paola Maria Filippi Marco Paciocco Correlatore: Dott.ssa Monica Marsigli Sessione III Anno accademico 2013/2014 INTRODUZIONE p. 1 CAPITOLO I 1. IL CAMPO EDITORIALE ITALIANO E LA LETTERATURA TEDESCA CONTEMPORANEA (1955-1968) p. 3 1.1. L’ATTIVITÀ DELLA CASA EDITRICE EINAUDI p. 4 1.1.1. A PARTIRE DAL 1954: CESARE CASES IN EINAUDI p. 7 1.2. L’EDITORIA «GIOVANE»: ENRICO FILIPPINI PER FELTRINELLI p. 10 1.2.1. LA STRATEGIA EDITORIALE DI FILIPPINI p. 13 1.2.2. LE TRADUZIONI DI ENRICO FILIPPINI P. 16 1.3. UNO SCONTRO SIMBOLICO: FILIPPINI CONTRO CASES p. 19 1.4. «GULLIVER»: «LA RIVISTA MAI NATA CHE VOLEVA CAMBIARE L’EUROPA» p. 26 CAPITOLO II 2. L’ESPERIMENTO DEL GRUPPO 63 p. 33 2.1. LA NASCITA DEL GRUPPO 63 p. 33 2.2. GLI INCONTRI DEL GRUPPO 63 p. 39 2.3. “FARE LETTERATURA”: LA PRODUZIONE DELLA NEOAVANGUARDIA p. 44 CAPITOLO III 3. IL GRUPPO 47 p. 51 3.1. LE LETTERATURA TEDESCA POSTBELLICA: LA NASCITA DELLA GRUPPE 47 p. 51 3.1.1. DA «DER RUF» AL GRUPPO 47 p. 53 3.1.2. DOPO L’INCONTRO SUL BANNWALDSEE p. 58 3.2. LA SECONDA GENERAZIONE DI SCRITTORI: GLI SVILUPPI DEL GRUPPO 3.2.1. IL DECLINO DEL GRUPPO 47 p. 62 p. 71 3.3. LA RICEZIONE DEL MODELLO “GRUPPE 47”: UN CONFRONTO CON IL GRUPPO 63 p. 73 CAPITOLO IV 4. IL CASO ESEMPLARE: CONGETTURE SU JAKOB E CAPRICCIO ITALIANO 4.1. IL ROMANZO SULLE DUE GERMANIE: CONGETTURE SU JAKOB p. 81 p. 82 4.2. IL ROMANZO D’AVANGUARDIA: CAPRICCIO ITALIANO DI EDOARDO SANGUINETI p. 89 4.3. LA RICEZIONE TRA CONGETTURE DI JOHNSON E CAPRICCIO DI SANGUINETI p. 96 CONCLUSIONE p. 102 BIBLIOGRAFIA p. 105 INTRODUZIONE Nel secondo dopoguerra la letteratura europea si trova a dover fare i conti con la guerra appena conclusasi e la fine dei regimi totalitari che caratterizzarono la storia delle nazioni nei decenni precedenti. In Italia la letteratura neorealista assume a partire dal 1945 una posizione di primo piano: i romanzi politicamente impegnati, le storie della resistenza e dell’esperienza della guerra saranno alcuni degli elementi principali che formano quello che potremmo definire il “gusto neorealista” che dominerà per oltre un decennio. La grande sferzata si avrà, a partire dal 1963, con l’esperienza del Gruppo 63. Tuttavia è importante precisare che una fase di cambiamento si avverte già qualche anno prima con diversi esperimenti, non solo letterari ma anche editoriali: il percorso del mio lavoro partirà appunto dal verificare quali sono stati i mutamenti all’interno del campo editoriale focalizzando l’attenzione sulle case editrici di Einaudi e di Feltrinelli che hanno in quest’ottica un ruolo fondamentale. Questa analisi verrà portata avanti sul versante della germanistica, ovvero cosa o come viene importato e recepito dalla Germania in Italia. Il discorso partirà con l’inquadrare l’attività nel dopoguerra della casa editrice Einaudi, già presente nel campo editoriale da alcuni decenni, che permetterà in particolar modo di contestualizzare la situazione della cultura italiana, ma anche della ricezione della letteratura tedescofona mediata dal germanista Cesare Cases. L’attenzione si sposterà quindi sulla fervente attività di quegli anni in casa Feltrinelli portata avanti invece dall’editor e consulente per la germanistica Enrico Filippini. La sua figura viene presa in questo lavoro come chiave per quel che riguarda il passaggio, non certo immediato, tra neorealismo e neoavanguardia. La sua attività si concentra sulla ricezione di un nuovo tipo di letteratura tedesca, soprattutto a partire dagli anni ’58-’59: Filippini è una figura poliedrica all’interno della casa editrice e la sua attività è appunto simbolica non solo per la Feltrinelli stessa ma anche per il fatto che impone una nuova strada fatta di sperimentazione e innovazione che va a coinvolgere anche l’attività di altre case editrici, in particolar modo Einaudi e proprio 1 Cesare Cases, suo collega e simbolico rivale. L’interesse si rivolgerà anche al confronto tra le due figure di Cesare Cases ed Enrico Filippini che, in maniera molto interessante, con il lavoro di ricezione della cultura tedesca, portano avanti tra la fine degli anni Cinquanta e la fine degli anni Sessanta due diverse concezioni di letteratura. Tuttavia l’attività di Cases e Filippini non sarà l’unico punto di contatto tra letteratura tedesca e italiana in quegli anni infatti ho deciso di prendere in esame un interessante esperimento portato avanti in quello stesso periodo: l’ambizioso progetto della rivista «Gulliver», una rivista di stampo internazionale che vedeva coinvolti Italia, Germania e Francia, ma che non riuscì mai a vedere la propria realizzazione. Questo progetto ma anche il suo fallimento esemplifica bene, a mio avviso, il complicato rapporto di forze all’interno non solo del campo editoriale, ma anche del campo letterario in quel periodo. La parte centrale del lavoro si concentrerà quindi sul piano letterario vero e proprio: in primo luogo analizzando la nascita e l’attività del Gruppo 63, il gruppo culturale italiano di neoavanguardia. Il gruppo italiano dichiara nel suo stesso atto di nascita di prendere a modello l’esperienza tedesca del Gruppo 47, la cui ricezione in Italia era stata veicolata in modo particolare appunto da Filippini. Pertanto sarà necessario un passo indietro per inquadrare e analizzare le istanze del Gruppo 47, lavoro necessario inoltre per poter confrontare i due gruppi e verificare di fatto quali siano state le analogie ma in particolar modo le differenze. Per terminare il lavoro ho scelto di portare l’analisi tra i due gruppi sul piano pratico dei testi, ponendo a confronto due romanzi: rispettivamente uno italiano, Capriccio italiano di Edoardo Sanguineti, e uno tedesco, Congetture su Jakob di Uwe Johnson. La scelta è dettata ovviamente dalla posizione ben precisa in cui si collocano in questo contesto. Entrambi, prima Johnson, poi Sanguineti, rappresentano l’inizio, o comunque il primo esempio, di rivoluzione dal punto di vista narrativo, proponendo una novità che aprirà poi la strada alla produzione successiva. Johnson in particolar modo non sarà solamente decisivo per la nuova generazione di scrittori tedeschi del Gruppo 47, ma anche la traduzione delle Congetture in Italia non lascerà indifferenti gli autori della nascente neoavanguardia. 2 CAPITOLO I - IL CAMPO EDITORIALE ITALIANO E LA LETTERATURA TEDESCA CONTEMPORANEA (1955-1968) La fine della seconda guerra mondiale produce uno sconquassamento del tessuto sociale, economico e politico, del quale non può non risentirne anche la letteratura. C’è infatti il bisogno di reagire ad una tabula rasa prodotta non soltanto, in termini reali, dai bombardamenti che hanno ridotto in macerie le città di tutta Europa, ma causata, anche in termini individuali, da quasi un decennio di guerra e brutalità appena trascorso. In prima battuta la risposta necessaria è stata la reazione impegnata del Neorealismo, lo smascheramento del silenzio inevitabile in una guerra così cruda e finora imposto dai regimi. A seguito della ripresa sociale, politica e soprattutto economica nel decennio successivo, c’è la possibilità oltre che il bisogno, da parte della “classe intellettuale” italiana di muoversi liberamente in un ampio, anche se talvolta intricato, sistema di forze tra intellettuali, movimenti culturali, editori, gruppi ed esperimenti letterari che creano una fitta rete di connessioni in Europa. Tutto questo viene infatti favorito, oltre che da una ripresa economica e quindi dalla maggiore possibilità di stampare e di pubblicare, anche dal mutamento che l’industria culturale subisce, avviando quella trasformazione per cui ogni libro sarà considerato più che un vezzo artistico, un prodotto di consumo. Due le date simboliche: quella del 1955, la nascita della casa editrice Feltrinelli, grande scossa nel panorama italiano, e quella del 1968, la fine della collaborazione di Enrico Filippini con questa. Un periodo di grandi mutamenti, non solo nella produzione letteraria italiana, ma anche in quel sistema di forze per cui, da adesso, sono anche gli editori, e i loro consulenti, a poter decidere, con le loro strategie e scelte di pubblicazione, il movimento delle pedine all’interno del campo letterario. Niente viene lasciato da parte e così anche le traduzioni degli stranieri hanno una loro funzione nell’accreditare le nuove proposte e nel creare una base dalla quale modellare nuove idee e nuovi percorsi. 3 1.1. L’attività della casa editrice Einaudi Nei primi anni Cinquanta Einaudi è già diventata una prestigiosa casa editrice di cultura e annotava tra i propri collaboratori grandi intellettuali che avevano trasformato la casa in una vera e propria fucina di attività letteraria. Nata nel 1933 con un progetto prettamente saggistico, si apre alla narrativa italiana e straniera con la collana “Narratori stranieri tradotti” nel 1938 e nel 1941 con “Narratori contemporanei”. La politica letteraria di Einaudi è caratterizzata dalla fitta rete di consulenti e letterati-editori che vi collabora, Cesare Pavese ad esempio è il direttore editoriale di “Narratori contemporanei”, collana inaugurata dal romanzo dell’autore stesso Paesi tuoi. Tale politica si contraddistingue anche per necessità di rinnovare “la letteratura pura” fino a quel momento in Italia ritenuta intoccabile1: Einaudi non può infatti ancora competere con la più vecchia Mondadori ma la strada che può percorrere è di investire sul rinnovamento della cultura e della letteratura. Il fattore interno decisivo per questa svolta è il passaggio di Elio Vittorini nel 1943 a Einaudi, il quale con la collaborazione della casa editrice e del PCI progetta la rivista «Il Politecnico» che nasce nel 1945 a Milano. Vittorini è da subito, e così rimane negli anni a seguire, animato da un grande spirito di innovazione e dalla curiosità di scoprire cosa può esserci di nuovo; proprio per questo «Il Politecnico» prende origine dalla necessità di rompere con il passato, individuando e definendo il ruolo dell’intellettuale in quella che sarebbe dovuta essere una “nuova cultura” dell’Italia democratica postbellica. Sebbene non fosse nelle intenzioni di Vittorini porre la rivista come guida della scuola narrativa neorealista, all’interno de «Il Politecnico» persiste il “gusto neorealista” dell’impegno politico e della denuncia delle realtà sociali. Il Neorealismo diventa a partire da quegli anni, se non l’unico modo di fare letteratura, sicuramente il più legittimo. Per più di un decennio a seguire infatti, le forme di scrittura del neorealismo come la letteratura descrittiva, documentaria e politicamente impegnata vengono a creare un paradigma realistico, a tal punto 1 Boschetti, Anna: La genesi delle poetiche e dei canoni. Esempi italiani 1945-1970, in «Allegoria», 2007/57, p. 48. 4 radicato nei progetti editoriali e nelle aspettative di critici e lettori da costituire un rinnovato canone poetico. Cito un esempio riportato da Michele Sisto: Anche libri scritti, se non con un intento espressamente antirealistico, senz’altro con un occhio alle avanguardie storiche, vengono recepiti come espressione di una koinè letteraria internazionale di marca realista. Cito solo il caso de La morte a Roma di Wolfgang Koeppen: il romanzo, uscito nel 1954, si rifà alla tecnica del montaggio di Alfred Döblin e all’espressionismo in voga tra le due guerre, ma in Italia viene presentato, da Einaudi nel 1959, come qualcosa di vicino a La pelle di Malaparte o a Ragazzi di vita di Pasolini.2 Questo sta a significare come non si possa dunque prescindere dalle tendenze letterarie ed editoriali nazionali per meglio comprendere cosa avviene e in che direzione si muovano le scelte in campo internazionale e quindi della letteratura tradotta. Dopo la seconda guerra mondiale è Einaudi la vera novità: grazie all’attività de «Il Politecnico» e all’affermazione in ambito nazionale di nuovi autori come Cassola, Bazzani, Viganò, Fortini e Calvino che diventeranno caratterizzanti tanto per la casa editrice quanto per la stagione del “nuovo realismo”, aveva attratto nella sua sfera di influenza le migliori personalità della nuova generazione letteraria italiana, conquistando oltre che prestigio anche un ruolo di direzione culturale. In campo internazionale Einaudi spinge verso nuovi autori e nuove traduzioni in modo che tuttavia costituiscano un insieme coerente con l’idea di letteratura proposta dalla casa. La sfida che la nuova guida einaudiana propone ai più vecchi e affermati concorrenti è chiara: la casa Einaudi investe sia su autori tedeschi contemporanei, sia sul riposizionamento in collane con un ben preciso orientamento politico, di autori già consacrati da altre case editrici, al fine di ottenere, oltre ad un capitale simbolico, quella che per usare le parole di Michele Sisto definirei una Sisto, Michele (2009): «Una grande sintesi di movimento»: Enrico Filippini e l’importazione della nuova letteratura tedesca in Italia (1959-1969) in Enrico Filippini, le neoavanguardie, il tedesco, Quaderno del «Bollettino Storico della Svizzera Italiana» , nota 5, p. 4. 2 5 «letteratura tedesca Einaudi»3, una letteratura tedesca tradotta distinta da quella che gli altri editori proponevano in Italia. In un primissimo momento Einaudi si era dedicata alla traduzione dei classici, inaugurando la collana “Narratori stranieri tradotti” con I dolori del giovane Werther (1938) e annoverando tra i propri titoli autori come Hoffmann, Novalis, Grillparzer, Kleist ed Eichendorff: una strategia necessaria per valorizzare, con discreta rapidità, il proprio catalogo. Solamente dopo la seconda guerra mondiale la casa editrice torinese comincia a misurarsi sul campo della letteratura tedesca del Novecento alla quale dedica due collane, “I Coralli” e “I Supercoralli”, rispettivamente nate nel 1947 e 1948. I primi tradotti sono necessariamente autori già mondadoriani, scegliendo però opere maggiormente impegnate come avviene nel caso di Kafka con America (1947) ma anche Addio al Reno di Döblin (1949), di Fallada (Ognuno muore solo, 1950), di Anna Seghers della quale vengono pubblicati diversi romanzi come La rivolta dei pescatori di Santa Barbara (1949), I sette della miniera (1950) e I morti non invecchiano (1952). In quei primi anni Cinquanta furono due le scelte davvero decisive nel cambio di rotta della “letteratura tedesca Einaudi”, ovvero la pubblicazione dell’opera drammaturgica brechtiana e de L’uomo senza qualità di Robert Musil, un’operazione audace anche dal punto di vista della traduzione che strizzava l’occhio al gigante Mondadori, al lavoro sulle traduzioni dei grandi capisaldi del romanzo modernista europeo. Mondadori aveva rifiutato per motivi politici l’acquisto delle opere teatrali di Brecht, Einaudi apre così le porte all’opera del tedesco e ne acquista i diritti nel 1948 e nel giro di circa dieci anni pubblica i quattro volumi del Teatro (1951-1961) e numerosi altri singoli drammi.4 La scelta di acquistare i diritti di traduzione di Der Mann ohne Eingenschaften di Musil dopo la sua ripubblicazione in Germania nel 1951 per Rowohlt rappresenta per l’Einaudi la possibilità di avere tra le mani «un’opera che potrebbe costituire in Italia un grande avvenimento 3 Sisto, Michele (a cura di) (2013): Scegliendo e scartando. Pareri di lettura, Aragno Editore, Torino, p. XXIX. 4 Per approfondimento cfr. Ivi, pp. XXXII-XXXIII. 6 letterario»5 paragonabile alla traduzione completa della proustiana Ricerca del tempo perduto, già terminata nel 1951. Nonostante le complesse quasi duemila pagine del romanzo e il rischio che il testo non trovi un pubblico tale da ripagare l’investimento per la sua traduzione, Einaudi azzarda con l’acquisto dei diritti e sei anni più tardi, nel 1957, l’Uomo senza qualità arriva in libreria. Tra il 1952 e il 1955 la casa continua a tradurre un gran numero di autori tedeschi come Thomas Mann (I Buddenbrook, 1952; Cane e padrone e altri racconti, 1953 e La morte a Venezia, 1954) e Heinrich Mann (Il suddito, 1955) e ancora Fallada, Feuchtwanger, Schnitzler e Broch6: è quindi per questo che Einaudi nel dopoguerra impone un cambio di rotta in fatto di letteratura tradotta, ravvivando l’interesse letterario per l’aerea mitteleuropea e tedesca e portando il mercato editoriale a seguire quella stessa rotta. 1.1.1. A partire dal 1954: Cesare Cases in Einaudi Al fine di analizzare le dinamiche della casa Einaudi è doverosa una distinzione prima e dopo la collaborazione di Cesare Cases con questa. L’ingresso di Cases in Einaudi avviene già nel 1952 in qualità di traduttore quando gli viene commissionata la cura di una raccolta di saggi del filosofo Lukács (che verrà pubblicata l’anno successivo con il titolo Il marxismo e la critica letteraria). A lavoro non ancora terminato, riceve già l’oneroso e delicato compito di tradurre i Minima moralia di Theodor Adorno confermando così la sua posizione di traduttore. Ben presto ai vertici di Einaudi ci si rende conto che le competenze del giovane collaboratore possono essere impiegate per rinnovare la linea editoriale einaudiana nel campo della letteratura tedesca contemporanea che fino a quel 5 Munari, Roberto (a cura di) (2011): I verbali del mercoledì. Riunioni editoriali Einaudi 1943-1952, Einaudi, Torino, p. 283. 6 Ganni, Enrico: Deutsche Autoren in Einaudi Verlag, in «Jahrbuch der Deutschen Akademie für Sprache und Dichtung», 2002, pp. 46-48. 7 momento appare ancora incerta: nel 1954 inizia così la sua carriera come consulente editoriale per la germanistica per la casa torinese. I pareri, o schede, di lettura di Cases diventano sempre più richiesti, il suo stile diretto e pungente, spesso ironico, diventa caratteristico della sua attività: Cases, che ha ben chiara la situazione generale italiana al finire degli anni Cinquanta, è consapevole che tradurre, o non tradurre, un libro significa prendere una posizione pro o contro una certa idea di letteratura e di cultura. Che fosse chiara in Einaudi, e condivisa ovviamente da Cases, l’idea per cui “fare un libro” significa “non farne” molti altri, lo si nota dal fatto che la maggior parte delle sue schede di lettura sono negative. 7 Questo lavoro «rispecchia, anzi, le condizioni reali del transfer da un sistema letterario all’altro: che un’opera venga tradotta non è la regola ma l’eccezione»8, un lavoro quindi di scelte e di (numerosi) scarti che riuscì tuttavia a costruire per la Einaudi, tra gli anni Cinquanta e Sessanta, un corpus di letteratura tedesca, il quale, oltre a dimostrarsi il risultato di “eccezioni” accuratamente calcolate, non ha avuto e non avrà eguali né per qualità né per quantità.9 Durante i primi anni di attività, vicino ad un’idea di cultura principalmente marxista-gramsciana, Cases è orientato ad una prospettiva di produzione letteraria “nazional-popolare”, tesa a superare la separazione tra letteratura ‘alta’ e ‘bassa’ e una conseguente diseguaglianza sociale tra intellettuali e non. Per tutti gli anni Cinquanta tende a prediligere romanzi che non interessino semplicemente i critici e i letterati, ma che possano conquistare il pubblico più ampio e che costituiscano uno strumento di conoscenza e confronto culturale. Proprio per questo motivo, come suggerisce l’analisi di Michele Sisto, la maggior parte dei libri valutati positivamente sono riconducibili a forme del romanzo di tipo tardo ottocentesco e del realismo “popolare”: tra i più di venti titoli giudicati positivi senza riserva da Cesare Cases ne vengono pubblicati meno della metà. Tenendo conto del mercato e del percorso editoriale di quel momento il valore di un libro non può definirsi intrinseco, ma 7 Per approfondimento cfr. Sisto, Michele (a cura di) (2013): Scegliendo e scartando. Pareri di lettura, Aragno Editore, Torino. 8 Ivi, p. XXVI 9 Cfr. Ibidem. 8 piuttosto relativo, dato che questo è dovuto tanto agli orientamenti letterari (e politici) dell’editore quanto alla “contemporaneità” dello stile in cui questo è scritto. Il difficile lavoro di Cases deve quindi tener conto anche della distribuzione delle opere all’interno delle collane einaudiane, il che motiva diverse scelte in senso negativo, come il caso delle Scure di Wandsbek: È una questione che dipende soprattutto, mi pare, dall’indirizzo che si vuole dare ai Supercoralli. Così come sono ora un libro così volutamente e pesantemente realistico non vi rientrerebbe, […] per quanto io l’abbia letto tutto d’un fiato e con piacere.10 Inoltre le scelte dell’editore Giorgio Einaudi, sempre vincolanti ai fini della pubblicazione, sono dirette verso quello che, per usare la terminologia delle “regole dell’arte” di Pierre Bordieu, viene definito il «polo di produzione ristretta», ovvero un tipo produzione letteraria, orientata non tanto al mercato quanto al riconoscimento da parte degli “addetti ai lavori”.11 Non meno importante risulta considerare il veloce cambiamento, che approfondiremo nei paragrafi seguenti, del campo editoriale sul finire degli anni Cinquanta; un certo tipo di forme letterarie fino a quel momento considerate attuali, vengono in breve tempo superate e screditate come vecchie, prima ancora che il libro potesse andare in stampa. Tra gli anni 1959 e 1963 si assiste anche dal punto di vista economico ad una profonda mutazione: un boom che avviò una trasformazione anche nell’editoria incrementando molto velocemente la produzione libraria. Proprio a partire da quegli anni si manifesta con maggiore evidenza l’importante lavoro critico ed editoriale di Cases, che prenderà in parte strade nuove e alternative, animato per altro dalla concorrenza di Feltrinelli e dalla vivace attività di Filippini. 10 Ivi, Parere su Arnold Zweig, Das Beil von Wandsbek, p. XLIV. Cfr. Bordieu, Pierre (2006): Le regole dell’arte. Genesi e struttura del campo letterario, Il Saggiatore, Milano, p. 202. 11 9 1.2. L’editoria «giovane»: Enrico Filippini per Feltrinelli La casa editrice Feltrinelli viene fondata nel 1955 a Milano da Giangiacomo Feltrinelli. Con un capitale economico molto alto dovuto alla grande disponibilità economica della famiglia dell’editore, si poneva sicuramente in una posizione di partenza privilegiata ma con un capitale simbolico ancora tutto da conquistare. Nei primi anni di vita, il lavoro della Feltrinelli è prossimo a quello di Einaudi, con un’esplicita connotazione politica e una disposizione alla ricerca letteraria. La prima collana di narrativa, “Biblioteca di letteratura”, viene affidata a Bassani e si muove nel campo del Neorealismo tanto da arrivare, nel 1958, alla consacrazione con la pubblicazione del best seller Il Gattopardo. Nel 1959 si assiste ad una riorganizzazione all’interno di Feltrinelli: in questo stesso anno infatti viene licenziato Bassani e la collana da lui diretta viene riorganizzata in “I Narratori di Feltrinelli” che va a piazzarsi sul mercato accanto alla “Medusa” mondadoriana e a “I Supercoralli” di Einaudi. L’inaugurazione de “Le Comete” è invece la prima stoccata alla concorrenza: la nuova collana, sebbene sul modello de “I Coralli” e orientata verso l’esplorazione della letteratura contemporanea, presenta dei tratti più marcatamente di ricerca e di innovazione. La collana che pubblica «libri che escono come tanti numeri monografici di una rivista di attualità letteraria; ogni numero una scoperta, una puntata in profondità nella terra incognita della letteratura di domani»12 avrà, sulla spinta del recente boom dell’industria culturale, un successo tale da portare anche Mondadori e Einaudi a progettare collane come “Nuovi scrittori stranieri” e “La ricerca letteraria” per sostenere la concorrenza. Se consideriamo il campo della letteratura tradotta, in particolar modo la ricezione di quella tedescofona, si avverte la vera novità nel 1958 con l’assunzione di Enrico Filippini come consulente ed editor per l’ambito tedesco. Le prime traduzioni da lui curate sono le opere di Dürrenmatt (La visita della vecchia signora e La Cit. da Cesana, Roberta: “Le Comete” Feltrinelli (1959-1967): «una collana come rivista di letteratura internazionale», in Braida, L., Cadioli, A. (a cura di) (2007): Testi, forme e usi del libro. Teorie e pratiche di cultura editoriale, Sylvestre Bonnard, Milano, pp. 219-244. 12 10 promessa nel 1959) e di Max Frisch (Homo Faber nel 1960) che tuttavia non dimostrano ancora l’innovazione che Filippini si proponeva di imporre. La situazione è destinata presto a cambiare: anche in casa Feltrinelli arriva l’eco tedesca prodotta della Fiera del libro di Francoforte del 1959 in cui vengono presentati il Tamburo di latta di Günter Grass e Congetture su Jakob di Uwe Johnson. È proprio quest’ultimo la vera scoperta “filippiniana”: l’editor traduce personalmente il testo con grande entusiasmo, verificando il lessico specifico usato nel romanzo e stabilendo una corrispondenza diretta con l’autore per spiegazioni e chiarimenti; la pubblicazione del romanzo in Italia avviene nel 1961 per la collana “Comete” senza passare inosservata, tanto da suscitare l’interesse sia dei giornalisti sia degli intellettuali. Tuttavia il motivo non è letterario come auspicato da Filippini ma piuttosto politico: in un articolo apparso sulla «Abend-Zeitung» di Monaco l’autore viene accusato di aver difeso e giustificato la costruzione del muro di Berlino durante la presentazione del suo libro a Milano. La smentita di Filippini è inutile, anche per la stampa italiana Uwe Johnson diventa lo «scrittore delle due Germanie», pressoché inutile è anche la pubblicazione da parte di Filippini di una Guida alle Congetture su Jakob tesa a chiarire le novità stilistiche del nuovo romanzo che incontra la resistenza del grande pubblico13. Per capire meglio la traiettoria innovativa che Filippini intende percorrere è interessante osservare come, attorno alle sue scelte editoriali, si venga a creare un caso che coinvolge non solo direttamente la casa Feltrinelli ma in generale il campo culturale ed editoriale italiano. Singolare è l’esempio de Il tamburo di latta di Günter Grass che sin dal suo arrivo in libreria nel 1962 tra i “Narratori” di Feltrinelli sembra voler gridare allo scandalo: viene presentato come «il romanzo più clamoroso della giovane letteratura tedesca, best-seller assoluto nel dopoguerra in Germania, il romanzo straniero più venduto in Francia. […] Il nazismo visto con gli occhi di un nano erotomane»14. Prima di arrivare in casa Feltrinelli, Il tamburo non riceve commenti positivi da nessun editore: Bompiani, che inizialmente ne aveva acquistato 13 Cfr. Sisto, Michele: Mutamenti del campo letterario italiano 1956-1968: Feltrinelli, Einaudi e la letteratura tedesca contemporanea, in «Allegoria», 2007/55, pp. 88-89. 14 La citazione è riportata nella fascetta della prima edizione del romanzo, Feltrinelli, 1962. 11 i diritti, abbandona il progetto per la difficoltà di traduzione, Cases lo considera «noioso» e «illeggibile» ma ancora più duro è il parere che Lavinia Mazzucchetti scrive già nel ’59 per la Mondadori: Mi pare di non correr pericoli sconsigliando comunque la Mondadori da ogni idea di acquisto. Se poi l’avvenire lo dichiarerà un gran libro alla cui intelligenza io son negata, tanto peggio. Un successo di cassetta non diventerà mai. È noioso, disgustante, supertedesco, barocco, superfluo. […] Non disperiamoci se un altro editore con consulenti meno preistorici della sottoscritta abbocca e fa tradurre e stampare le almeno 700 pagine di questo romanzo.15 La critica di destra saluta il romanzo con non meno disprezzo, definendolo «il simbolo dell’avanguardia terribile» che prende «a calci le istituzioni, le mamme, le nonne» per «conquistare un posto nell’olimpo degli immortali e un conto in banca»16 e neanche da parte di Elio Vittorini arriva alcun parere positivo: per lui il romanzo è da «scartare tranquillamente» e lo definisce un «tentativo riuscito a metà»17. Una volta pubblicato dalla Feltrinelli, il romanzo di Grass è tuttavia per il pubblico italiano un discreto successo, uno dei più venduti tra gli stranieri di Feltrinelli. Anche la critica concede, dopo la pubblicazione, maggior credito al Tamburo di latta, fatto sintomatico del cambiamento nella struttura del campo letterario italiano: per «l’Unità» è «la prima e azzeccata visione romanzesca, fra comica e amara, della Germania nazista»18. Una nuova rivoluzione in campo letterario si sta avviando, guidata dall’attività di Filippini e dalla nuova avanguardia italiana, che non può che apprezzare le novità formali di Grass, prima incomprese e disprezzate dalla critica e dagli editori, tanto che Renato Barilli in una recensione puramente letteraria dell’opera apprezzerà il «nanismo trascendentale» del nano Oskar e la novità dal 15 Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori, Milano, Archivio Lavinia Mazzucchetti, b. 28, fasc. 138, c. 163. 16 Il giudizio riportato è tratto da Orsera, G.: Dove finiscono gli ideali, in «Il Borghese», 31.1.1963. 17 Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori, Milano, Archivio Lavinia Mazzucchetti, b. 28, fasc. 138, c. 165 18 Rago, M.: Un tamburo di latta contro Hitler, in «l’Unità», 23.1.1963. 12 punto di vista formale della posizione del narratore che ritiene necessaria per poter arrivare a una «conoscenza autentica del mondo»19. È quindi impensabile che questi romanzi passino inosservati agli scrittori del Gruppo 63, fautori di un’innovazione formale contro il neorealismo di Cassola e Bassani, di Fortini e Pasolini, ma anzi è loro interesse appropriarsi di questa nuova letteratura come slancio per il cambiamento. 1.2.1. La strategia editoriale di Filippini Enrico Filippini non è per Feltrinelli solo un consulente ma uno scrittore, un editor e un traduttore, il cui lavoro è fondamentale per accreditare non solo la casa editrice ma anche la neoavanguardia italiana. Se la nuova generazione di scrittori nel campo letterario tedesco (come Johnson, Grass e Böll) viene respinta da Mondadori e Einaudi con disappunto, Feltrinelli ha tutto l’interesse ad investire sui nuovi autori, che seppur non inquadrabili come neoavanguardisti nel senso italiano del termine, sono da considerare come fautori di una rottura in campo letterario. La strategia di Filippini è quella di accostare nelle collane feltrinelliane le nuove traduzioni ad autori nazionali come Arbasino e Sanguineti, vere rivoluzioni sul piano formale e letterario in Italia: in questo modo le opere acquistano nuova vita e nuovo significato, collocandosi in una posizione talvolta antitetica rispetto a quella occupata nel campo letterario di origine.20 Filippini è abile nel creare connessioni, echi tra i libri che pubblica e gli autori che sceglie, nell’arricchire articoli, antologie, interviste con suggestioni e rimandi verso il “movimento” che ha costruito intorno agli autori di Feltrinelli. 19 Cfr. Barilli, R.: Uomini e nani. Un «triangolo inedito», in «Il Mulino», 1963/8, pp. 778-787. 20 Cfr. Sisto, Michele: La letteratura tradotta come fattore di cambiamento, in Sisto, M., Fantappié, I. (a cura di) (2013): Letteratura italiana e tedesca 1945-1970: Campi, polisistemi, transfer, Istituto Italiano Studi Germanici, Roma, p. 91. 13 Più o meno consciamente [Feltrinelli] capì che il libro contava, anche commercialmente, in quanto aveva un “prima” e un “dopo”, in quanto era parte di un evento, di una grande sintesi di movimento, anche se questa sintesi era puramente immaginaria.21 Così scrive a proposito di Feltrinelli alcuni anni dopo, parole che, come osserva Sisto, fanno intuire molto su come Filippini intendesse la propria attività letteraria e editoriale, così come dicono molto a tal proposito anche le strategie che egli adotta: pubblicare nella collana “Le Comete” uno accanto all’altro Congetture su Jakob di Johnson e Capriccio italiano di Sanguineti, i suoi “tedeschi” affiancati ai “neoavanguardisti”, a sottolinearne la contiguità.22 La personalità di Enrico Filippini crea e alimenta il dibattito letterario degli anni ’60; la sua operazione editoriale rompe con il passato più recente, crea un nuovo presente, egli è animato da una frenetica curiosità di scoperta, portando la concorrenza a seguire la strada da lui stesso tracciata: dà vita ad uno scontro simbolico con Cesare Cases che vede contrapporre non solo due forti personalità intellettuali ma due vere e proprie concezioni della letteratura differenti tra loro. Il modo di lavorare di Filippini è infatti significativo, il suo modo di porsi era altrettanto significativo. Era un precursore e nel suo campo un rivoluzionario, «arrivò in casa editrice in scarpe da tennis, t-shirt e jeans» ricorda Inge Feltrinelli «una cosa che anche a Milano era considerata vera e propria avanguardia»23, non era un semplice consulente ma curava l’intera produzione editoriale, valutando e selezionando gli scritti, lavorando sulle traduzioni e scegliendo personalmente la struttura grafica e di copertina. Le sue idee e le sue proposte permisero alla casa di arricchire notevolmente in pochi anni il proprio catalogo, con testi sia italiani che stranieri che connotarono in modo inequivocabile il percorso già voluto dalla Feltrinelli. Il lavoro intrapreso da Filippini, con l’intento di importare in Italia i nuovi 21 Filippini, E.: Feltrinelli Story, in «La Repubblica», 21.6.1981. Cfr. Sisto, Michele (2009): «Una grande sintesi di movimento»: Enrico Filippini e l’importazione della nuova letteratura tedesca in Italia (1959-1969) in Enrico Filippini, le neoavanguardie, il tedesco, Quaderno del «Bollettino Storico della Svizzera Italiana» , pp. 13-14. 22 23 Feltrinelli, Inge: Testimonianza, in Aa.Vv. (2005): Il Gruppo 63, quarant'anni dopo: Bologna, 8-11 maggio 2003, atti del Convegno, Pendragon, Bologna, p. 16. 14 tedeschi, fu assai differente rispetto a quello svolto dalle altre case editrici, non solo per la novità stilistica e letteraria che questi autori rappresentarono ma per il modo in cui questo lavoro fu inteso. Ciò si esemplifica in modo significativo considerando l’iter editoriale delle prime opere di Grass: Günter Grass presenta il primo capitolo de Il tamburo durante una riunione della Gruppe 47 a Berlino nel 1958 e un anno più tardi il romanzo viene pubblicato e presentato alla Fiera del libro di Francoforte. Il libro, come abbiamo visto, fu uno scandalo e le opinioni a riguardo contrastanti ma a detta di Filippini stesso: […] nel complesso il romanzo fu sentito come una colossale profanazione, un’immensa oscenità, un Vangelo perverso che avrebbe radunato discepoli. Il primo a parlare di questo «Vangelo» fu Paolo Milani su L’Espresso. Era stato a Berlino, aveva conosciuto Grass, aveva colto lo spessore linguistico ed espressivo, la freschezza d’invenzione del libro. Purtroppo ne aveva parlato anche a Valentino Bompiani, che subito aveva acquistato i diritti di traduzione in Italia, […]ero arrivato in ritardo. Un ritardo, per l’idea che muoveva il lavoro Filippini, imperdonabile. Fortunatamente non solo riuscì a mettere per primo le mani su Gatto e topo, un altro racconto “scandaloso” di Grass, ma la pubblicazione di Bompiani de Il tamburo non andò mai in porto per le controverse vicende di traduzione e di ricezione da parte della critica e del pubblico che un romanzo del genere avrebbe comportato, tali da scoraggiare l’editore; così Filippini riuscì a tradurre e pubblicare in tempi record sia Il tamburo di latta che Gatto e topo. Nel 1962, infatti, fu pubblicato nella collana “I Narratori di Feltrinelli” nel giro di pochissimi giorni Il tamburo con una traduzione «imperfetta ma integra» curata dallo stesso Filippini e subito dopo la novella Gatto e topo fu tradotta rapidamente e «le bozze di stampa approntate in quindici giorni»24. Il 1962 è come lo definisce Sisto, «l’anno dei tedeschi», dopo Johnson e Grass, Filippini cura per Feltrinelli un’antologia, la prima della letteratura tedesca contemporanea comparsa in Italia nel dopoguerra. I testi selezionati da Hans Bender per Il dissenso: 19 nuovi scrittori tedeschi vengono valutati e per la maggior parte tradotti da Enrico Filippini che individua nella raccolta il segnale che la strada su cui 24 Filippini, Enrico: Dalla parte del nano, in «la Repubblica», 03.12.1978. 15 si sta muovendo la letteratura tedesca è quella a cui ispirarsi. Il dissenso è infatti strutturato in due sezioni: la prima raccoglie i narratori che hanno documentato la condizione della Germania durante e dopo la guerra, la seconda parte invece presenta gli autori che sperimentano nuove forme di scrittura.25 L’antologia si conclude significativamente con un brano tratto da Il terzo libro di Achim di Johnson, ormai l’autore di riferimento per le avanguardie26. Al contrario di Cases, che considera il quadro presentato da Filippini «un malloppo», Vittorini ne rimane stimolato e decide di progettare un numero del Menabò dedicato alla letteratura tedesca contemporanea, che rappresenterà una valida alternativa al percorso tracciato dall’editor di Feltrinelli.27 1.2.2. Le traduzioni di Enrico Filippini Sulle traduzioni di Filippini ci sarebbe ancora tanto da dire e, per farlo, bisogna tener conto di cosa quest’attività significhi per il suo modo di procedere. Tradurre per Filippini è un modo per velocizzare i tempi e bruciare le tappe, per aver in pugno le tempistiche della sua “grande sintesi di movimento”, della sua operazione di importazione della letteratura. La sua è una battaglia culturale che non può permettersi ritardi e perdite di tempo, Filippini tiene conto dell’urgenza di far uscire i libri, per primi, di imporre la nuova letteratura e di battere la strada da percorrere prima che lo facciano gli altri. Egli è un avanguardista anche nel suo lavoro di editor, non vuole seguire la scia dei suoi colleghi più anziani e più esperti e per farlo deve correre più veloce e questa corsa il più delle volte non lascia il tempo neanche di consultare un vocabolario. Filippini è un “militante” delle traduzioni, ma soprattutto della letteratura: la traduzione, anche se imprecisa, è solo uno dei modi 25 Per un approfondimento cfr. Sisto, Michele: Mutamenti del campo letterario italiano 1956-1968: Feltrinelli, Einaudi e la letteratura tedesca contemporanea, in «Allegoria», 2007/55, p. 96, nota 35. 26 Nel 1961 Das dritte Buch von Achim vince il Prix international des éditeurs Formentor affermandosi su Tamburo di latta, Una vita violenta di Pasolini e Dans le labyrinthe di Robbe-Grillet. 27 Il numero verrà curato da Enzensberger e sarà pubblicato solo nel 1966, poco dopo la morte di Vittorini, in «Il Menabò» n.9. 16 per introdurre un’opera, un autore o, come sarebbe più appropriato dire in questo caso, un’idea di letteratura e facilitarne la ricezione e la comprensione. Filippini leggeva, suggeriva, recensiva, intervistava e traduceva lui stesso la maggior parte degli autori che sceglieva; il suo tradurre aveva un piglio geniale e spregiudicato, che lo esponeva tuttavia facilmente ai rischi di un approccio linguistico e filologico non certo rigoroso.28 Il suo lavoro non viene infatti sempre apprezzato ma anzi spesso ripreso senza remora e in ambito editoriale circolano molte critiche sulla sua qualità di traduttore. Giorgio Zampa, anch’egli collaboratore di Feltrinelli, reputa la traduzione di Gatto e topo cattiva e dannosa per l’opera. Scrive infatti che il testo italiano di Gatto e topo «brulica di errori», di numerosissime «forzature sintattiche e stilistiche» e di «frasi prive di senso»29. I commenti più severi e i toni più duri non possono che arrivare da Cesare Cases, esperto germanista e incaricato di revisionare la delicata traduzione de L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica di Walter Benjamin operata proprio da Filippini. Scrivendo a Giulio Bollati, il germanista di Einaudi non risparmia critiche e rimproveri nei confronti dello scadente lavoro: La revisione della traduzione del Benjamin fatta da Filippini è stata un duro lavoro e mi ha fornito un’idea poco edificante delle sue capacità e della sua serietà di traduttore. Lo scarso impegno, sempre più visibile man mano che si va avanti nella traduzione, può essere occasionale, ma l’ignoranza non lo è, e la combinazione dei due elementi è disastrosa, perché F. non ha la pazienza di cercare sul dizionario la soluzione dei problemi più elementari. [Segue una lunga presentazioni degli errori più clamorosi della traduzione]. F. è certamente intelligente, ma bisognerebbe chiedergli, se non di correggere la sua ignoranza che ha radici troppo Delle traduzioni di Enrico Filippini se n’è occupata Anna Ruchat in Ruchat, Anna (2009): L'urgenza di tradurre un mondo, in Enrico Filippini, le neoavanguardie, il tedesco, Quaderno del «Bollettino Storico della Svizzera Italiana», pp. 45-51. 28 Zampa, G.: Günter Grass racconta con aspri simboli l’amicizia di due ragazzi in Danzica 1939, in «La Stampa», 22.1.1964 29 17 profonde, almeno di metterci un po’ più d’impegno e di comprarsi un vocabolario, anche tascabile.30 Al rigoroso Cases il modo di lavorare di Filippini non va a genio e riguardo alla richiesta di Filippini di curare personalmente la traduzione de Il dramma barocco tedesco di Benjamin, Cases risponde al redattore einaudiano Fossati: Su di lui [Filippini] non ho “dubbi”, come lei dice, ma solo certezze. So cioè che è indubbiamente intelligente, ma è un analfabeta totale e irrimediabile (soprattutto dal punto di vista linguistico, ma anche da quello della cultura generale)[…]. Le voci che correvano su di lui mi parevano esagerate già per il fatto che tutti gli editori gli davano del lavoro, e sempre impegnativo. Invece è proprio così.31 Filippini è però convinto a seguire la propria strada fatta di scelte rischiose e decise: era importante la quantità dei testi tradotti piuttosto che la qualità delle traduzioni, che pur mantenevano un certo rispetto per l’atmosfera stilistica e il registro linguistico dell’opera originale. I “tradotti” feltrinelliani servono a creare una costellazione letteraria ben precisa, indirizzata appunto da Filippini e senza possibilità di proroghe: le scadenze imposte sono rigide, le uscite dei libri sono fissate in ordine preciso per seguire strategie di mercato e strategie “letterarie”, volte a posizionare nelle collane gli autori in modo da creare una determinata immagine di queste e così una precisa visione della letteratura. Quando le scadenze sono gravemente compromesse è la dedizione di Filippini che lo coinvolge in performance estreme e intense a permettergli di recuperare in extremis il lavoro e di non scambiare l’ordine delle pubblicazioni. Completa e aggiusta personalmente in pochi giorni di lavoro “matto e disperatissimo” alcune opere: La traduttrice, che doveva consegnare tutto [Il taccuino d’oro di Doris Lessing] entro il 30 gennaio ha avuto un crollo di nervi, così mi sono 30 Archivio Giulio Einaudi Editore, Enrico Filippini, c. 86, Lettera di Cesare Cases a Giulio Bollati, 4.1.1966, cit. in Sisto, M. (2009): «Una grande sintesi di movimento»: Enrico Filippini e l’importazione della nuova letteratura tedesca in Italia (1959-1969), pp. 15-16. 31 Archivio Giulio Einaudi Editore, Cesare Cases, c. 981, Lettera a Paolo Fossati, 15.3.1966, cit. in Sisto, M. (2009): «Una grande sintesi di movimento»: Enrico Filippini e l’importazione della nuova letteratura tedesca in Italia (1959-1969), p. 16 18 ritrovato […] a rifare metà della traduzione nel giro di 60 ore passate tutte in bianco e a colmare la lacuna di 70 pagine rimasta. Ce l’abbiamo fatta: ieri Marasà mi ha confermato che usciamo in tempo. […] Per conto mio, nonostante i momenti di eclisse, mi sento come una locomotiva sotto intensa pressione, amen.32 Dal modo di lavorare di Filippini, oltre che dal suo ruolo e dalla sua formazione personale non è infatti possibile prescindere quando si cerca di valutare le sue traduzioni: cresciuto in Ticino, si era dedicato alla carriera di maestro, per poi iniziare gli studi a Milano, in famiglia parlava il tedesco essendosi sposato con Ruth Schmidhauser; le sue esperienze anche dal punto di vista linguistico (conosceva l’italiano, il tedesco e il francese) furono molto variegate lasciandolo in un limbo in cui sentiva e conosceva diverse lingue, senza possederne nessuna. La sua apertura, il suo interesse verso il nuovo, la disponibilità nei confronti del diverso caratterizzarono la sua attività di quegli anni e non solo le traduzioni non sempre precise, che sono solamente il risultato tangibile del lavoro di Filippini. 1.3. Uno scontro simbolico: Filippini contro Cases Le collane feltrinelliane iniziano a dettare un trend, una strada da percorrere anche per le case editrici concorrenti. Anche negli scaffali di Einaudi e Mondadori nascono collane di ricerca letteraria, analoghe a “Le Comete” ma è in particolar modo Cesare Cases a lanciarsi alla scoperta di nuovi autori e a iniziare a esplorare le più recenti tendenze letterarie in cerca di alternative possibili alla neoavanguardia proposta da Feltrinelli. Inizia così un braccio di ferro simbolico tra i due consulenti della germanistica di Feltrinelli e Einaudi, le case editrici più orientate verso la letteratura tedesca. 32 Archivio Enrico Filippini, Carteggi, 2.2.86, Lettera a Giangiacomo Feltrinelli, senza data, 1964, cit. in Fuchs, Marino: Memorie della neoavanguardia. L’archivio Enrico Filippini alla Biblioteca Cantonale di Locarno, in Borrelli, C., Candela, E., Pupino, A. (a cura di) (2013): Memorie della modernità. Archivi ideali e archivi reali, Edizioni ETS, Pisa, tomo II, p. 510. 19 Il loro percorso prima di quegli anni non era stato poi molto differente e le loro traiettorie avevano diversi punti di incontro: gli studi tra la Svizzera e Milano, l’insegnamento nella scuola superiore, la formazione filosofica comune e la carriera divisa tra attività editoriale, letteraria e accademica. Altrettante, se non maggiori, sono le differenze. Cases, nato a Milano nel 1920 e cresciuto con una rigida educazione classica e laica, si adagia sui tratti e sulla quotidianità dell’intellettuale “borghese” dimostrando un certo ironico distacco nei confronti delle contese letterarie e politiche. Filippini, al contrario, ostenta un atteggiamento rivoluzionario, a tratti “bohémien”: negli anni più intensi della sua attività in Feltrinelli, si muove costantemente tra Italia, Francia e Germania, senza perdere di vista i movimenti letterari che accendono l’Europa, entra in contatto con numerosi intellettuali e gruppi, partecipa a diversi incontri della Gruppe 47 a Berlino così come agli incontri del gruppo francese intorno alla rivista «Tel Quel»33. Della letteratura contemporanea non è solo uno spettatore interessato, ma vi partecipa attentamente e, a differenza di Cases, che ha perlopiù rapporti con il mondo accademico e filosofico tedesco, Filippini conosce a fondo la scena letteraria: con autori come Dürrenmatt, Enzensberger, ma soprattutto con Frisch, Grass e Wagenbach, stringe autentiche amicizie e i contatti diventano sempre più frequenti. Porta in Italia una nuova generazione di autori stranieri, che spesso traduce lui stesso, si fa fautore di un nuovo gruppo letterario italiano e promotore delle lotte dell’avanguardia. Come dice Valerio Riva «metà del catalogo Feltrinelli, fino al 1968, è roba sua »34. Avverso all’avanguardia è invece Cases, che ben recepisce la lezione di Lukács di cui condivide inoltre il realismo critico e socialista e le idee estetiche: il suo nome infatti, dopo la traduzione della raccolta di saggi Il marxismo e la critica letteraria nel 1953, è inevitabilmente legato a quello del filosofo ungherese. 33 «Tel Quel» è una rivista letteraria francese, fondata nel 1960 da Philippe Sollers e Jean-Eder Hallier e pubblicata, fino al 1982 dalle Éditions du Seuil. La rivista vedeva intorno a sé un folto numero di poeti, scrittori, autori e critici impegnati, in maggior parte francesi, ma erano numerose le collaborazioni e i contatti con altri intellettuali sia italiani che tedeschi. Il gruppo era impegnato inizialmente nell’espressione della nuova poetica d’avanguardia ma più in generale nel dibattito sulla trasformazione e critica del concetto di letteratura. Cfr. Forest, Philipp (1995): Histoire de «Tel Quel», 1960-1982, Éditions du Seuil, Parigi. 34 Feltrinelli, C. (1999): Senior service, Feltrinelli, Milano, p. 210. 20 Rispetto al ruolo che essi ricoprono all’interno delle rispettive case editrici vi è un’importante differenza da dover precisare: benché entrambi siano consulenti per la germanistica, la libertà di cui gode Filippini è di gran lunga maggiore rispetto a quella del collega Cases. Se infatti Filippini, abbiamo visto, prende parte alle scelte editoriali di pubblicazioni assumendo quasi una posizione di editore per quel che riguarda la letteratura tedesca, Cesare Cases rimane un semplice, seppur esperto, consulente. In casa Einaudi l’ultima parola spetta sempre all’editore Giulio Einaudi, anche se i pareri di lettura e di pubblicazione scritti da Cases negli anni della sua attività hanno un ruolo particolarmente influente. La ricerca condotta da Cesare Cases per Einaudi con lo scopo di imporre un’alternativa credibile al progetto di Filippini e alla traiettoria delle collane di Feltrinelli avverrà per tentativi, tuttavia non sempre riusciti. Ci prova inizialmente con Duell di Manfred Esser: Per la prima volta vi raccomando caldamente un tedesco garantito giovane (nemmeno 24 anni). Non sarà un grande scrittore e forse nemmeno uno scrittore ma è uno che ha capito che per dire che la Germania di Bonn è un luogo impossibile non c’è bisogno di scrivere centinaia di pagine illeggibili. Egli ha certo imparato da Johnson e da Walser e riprende dei motivi di entrambi, ma dice tutto in sole 130 pagine. […] Propongo di pubblicarlo con una fascetta antifeltrinelliana: «il primo leggibile sulle due Germania».35 Così recita il parere editoriale di Cases ed il romanzo è pronto per la stampa nel 1963, tuttavia a libro pronto, l’opera non sembra più rientrare negli intenti della Einaudi e il titolo viene scartato e addirittura ne viene proposto l’acquisto alla concorrente Feltrinelli. Tuttavia tre anni più tardi un ulteriore dietro-front fa sì che Duell venga pubblicato, nel 1966, nella collana dei “Coralli” ma ormai l’occasione è stata mancata e il romanzo non viene recensito se non da una parte della stampa di sinistra che condivide il pensiero di Cases e contrappone la chiarezza formale di Esser alle astrusità di Johnson. 35 Archivio Giulio Einaudi Editore, Cesare Cases, c. 1918, cit. in Sisto, Michele: Mutamenti del campo letterario italiano 1956-1968: Feltrinelli, Einaudi e la letteratura tedesca contemporanea, in «Allegoria», 2007/55, p. 102. 21 Il secondo tentativo di Einaudi, nel 1965, si realizza con la nuova collana “La ricerca letteraria” sempre improntata alla scoperta di letteratura sperimentale. La collana presenta, con provocatorie copertine in alluminio, diversi autori tedeschi come Arno Schmidt, Gisela Elsner, Helmut Heissenbüttel e Peter Weiss, tuttavia la collana non risulta convincente. Non solo perché questa rappresenta piuttosto un’esigenza da parte di Einaudi di liberare i più prestigiosi “Coralli” da esperimenti di scrittura di discutibile valore, ma anche per la totale disomogeneità tra i testi e tra gli autori presentati.36 La nuova strada intrapresa da Einaudi passa per Bertolt Brecht, la sua ricezione e la sua reinterpretazione. La consacrazione di Bertolt Brecht in Italia, ormai avviata da Einaudi già dai primi anni Cinquanta, viene portata a termine dalla casa editrice di Torino che pubblica nel 1959 Poesie e canzoni, il III e il IV volume del Teatro oltre che numerose prose e scritti teorici. Soprattutto in poesia c’è la preoccupazione di ricondurre l’autore tedesco ad un immaginario contemporaneo italiano: Franco Fortini si fa fautore di questa rielaborazione, rimaneggiandone la poetica e reinterpretandone la posizione. Seppur ricca di forzature e decontestualizzazioni, questa traduzione-appropriazione permette a Fortini di proporre Brecht come alternativa non solo al dominante ermetismo di Montale ma soprattutto all’emergente avanguardia e al rifiuto dell’analisi sociale a favore dell’alienazione stilistica. Brecht diventa il modello dell’autore che, partito da posizioni sperimentali e di avanguardia, attraverso un percorso politico di stampo marxista, arriva ad affermarsi «poeta morale del Socialismo», modello che lo stesso Fortini riconosce come proprio.37 La “questione Brecht” non riguarda solamente il lavoro tra le scrivanie di Einaudi: nel 1961 Franco Fortini collabora con Feltrinelli per la traduzione di una breve antologia di poesie di Hans Magnus Enzensberger, circa trenta, alle quali seguirà, a cura dello stesso autore, la pubblicazione, per la casa editrice tedesca Suhrkamp, di una selezione di liriche fortiniane. Il progetto della 36 Cfr. Sisto, Michele: Mutamenti del campo letterario italiano 1956-1968: Feltrinelli, Einaudi e la letteratura tedesca contemporanea, in «Allegoria», 2007/55, p. 103. 37 Cfr. Fortini, Franco: Introduzione, in Brecht, Bertolt (1959): Poesie e canzoni, Einaudi, Torino, pp. VII-XX. 22 Feltrinelli incontra, però, degli intoppi e la collaborazione Fortini-Filippini, editor incaricato per la pubblicazione di Enzensberger, non va a buon fine: Poesie per chi non legge poesie, il volume di liriche enzensberghiane, viene così portato in stampa nel 1964 da Filippini, senza l’introduzione prevista di Fortini che viene sostituita da un intervento redazionale dell’editore svizzero. La poesia di Enzensberger, che viene presentata come «unica valida erede della tradizione brechtiana», vedrà la stampa in un volume “brechtiano” nella traduzione ma “avanguardista” nell’editing.38 La strategia di Filippini per ricondurre l’autore non tanto a Brecht quanto piuttosto alle posizioni del neonato Gruppo 63 è ben riuscita: il collocamento nella collana “Le Comete” affianca Enzensberger ad autori come Johnson e Sanguineti, l’illustrazione di copertina e le parole che accompagnano il volume39 non fanno di certo pensare ad un accostamento alla tradizione brechtiana, il brano dello stesso autore pubblicato sulla quarta era stato non a caso da poco tradotto sulla rivista sessantatreina «il verri». Infine i risvolti di copertina vengono sostituiti all’ultimo con un intervento di Filippini dove più che alla poesia, si fa cenno ai più recenti saggi, a breve in uscita sempre per Feltrinelli, nei quali la posizione di Enzensberger è notevolmente cambiata e Filippini non tarda ad approfittarne mostrando una somiglianza a livello tematico con Umberto Eco, più che con Brecht. A questo punto in Fortini non c’è più l’interesse a proseguire una collaborazione con la Feltrinelli, che anzi rappresenta il punto di riferimento per gli avversari neoavanguardisti, è al contrario di nuovo Einaudi a recepire il lavoro di Fortini e a fornirgli i mezzi e gli strumenti per portarlo a termine e proporre con la sua attività sull’opera di Brecht un’alternativa all’avanguardia feltrinelliana. Cesare Cases si accosta così all’opera di Brecht nella stessa concezione fortiniana e fa di essa la propria arma nella lotta tra “brechtiani” e “avanguardisti”. Così con Brecht, che è, e rimane per tutti gli anni Sessanta, di gran lunga più popolare rispetto a 38 Cfr. Sisto, Michele: Mutamenti del campo letterario italiano 1956-1968: Feltrinelli, Einaudi e la letteratura tedesca contemporanea, in «Allegoria», 2007/55, p. 104. 39 La copertina presenta un collage di Kurt Schwitters, artista e pittore tedesco vicino alle correnti di avanguardia, famoso per i suoi collage e per l’“arte dei detriti”, nonché artista di riferimento per Nanni Balestrini. Le parole riportate in copertina:«La poesia come antimerce / graffiata nei muri / stampata sui manifesti / e tra la pubblicità dei quotidiani / una comunicazione rivolta a tutti / Il juke-box, la tecnica, il cinema / la televisione, la politica, la Germania / Lo strip-tease della nostra civiltà.» 23 Johnson e Grass, il gruppo di Einaudi sembra aver trovato il giusto ostacolo all’attività di Filippini. Le ultime traduzioni del drammaturgo tedesco, come Vita di Galileo edito da Einaudi nel 1963, provocano un dibattito senza precedenti e aprono la strada a nuove pubblicazioni. È solo dopo il Galileo che si apre in Italia la stagione del teatro politico, quando si crea quindi lo spazio per Einaudi per nuove proposte di traduzioni come il teatro documentario di Kipphardt (Sul caso J. Robert Oppenheimer, 1964), i drammi storici di Dorst (Toller, 1971) e soprattutto le opere di Peter Weiss. È proprio con Peter Weiss che si scopre l’alternativa di Einaudi a Uwe Johnson e a Feltrinelli: Cesare Cases individua nell’autore di Congedo dai genitori e Punto di fuga una figura che, come Brecht, ha «macinato» e superato le avanguardie ma allo stesso tempo un autore giovane e contemporaneo. Filippini non rimane fuori da questo gioco, o almeno ci prova. La spartizione dei titoli tra le due case editrici è netta: se Congedo dai genitori e Punto di fuga sono già di interesse di Cases, Filippini opta per il più sperimentale “micro romanzo” L’ombra del corpo del cocchiere. I due volumi già acquistati da Einaudi non sono compatibili con gli spiriti avanguardisti della Feltrinelli, tant’è che Giuliano Baioni li recensisce su «il verri» come un regresso rispetto al primo romanzo L’ombra, dallo stile e dalla tematica «antiquati»40, Gespräch der drei Gehenden, al contrario, potrebbe interessare anche la casa editrice milanese. A questo proposito Filippini scrive all’amico Guido Davico Bonino, nonché responsabile della “Ricerca letteraria” per Einaudi: Ora c’è questo Gespräch der drei Gehenden, di cui conosco un frammento perché l’ho sentito leggere dall’autore a Berlino nell’autunno scorso. Questo libretto va insieme piuttosto al nostro che non ai vostri, e io sarei felicissimo di pubblicarlo. Voi che intenzioni avete? Conoscendo le preferenze di Cases sono propenso a credere che sareste anche disposti a rinunciarvi.41 40 Cfr. Baioni, G.: Peter Weiss. Punto di fuga, in «il verri», 26, 1968. «[Romanzi] che avrebbero potuto essere stati scritti almeno quindici anni fa». 41 Archivio Giulio Einaudi Editore, Enrico Filippini, c. 86, Lettera a Guido Davico Bonino, 10.6.1963, citato in: Sisto, M. (2007): Mutamenti del campo letterario italiano 1956-1968: Feltrinelli, Einaudi e la letteratura tedesca contemporanea, in «Allegoria», 55, p. 105. 24 Peter Weiss è però uno degli autori di punta per Einaudi e, nonostante le idee di Filippini, in “La ricerca letteraria” compaiono tra il 1965 e il 1969 Congedo dai genitori, Punto di fuga e anche Colloquio dei tre viandanti e già nel 1966 Einaudi pubblica, ammettendo l’autore nei più prestigiosi “Supercoralli”, L’istruttoria che rappresenterà uno dei maggiori eventi teatrali degli anni Sessanta e come il Galileo verrà messo in scena al Piccolo Teatro di Milano da Paolo Grassi, trasmesso perfino dalla Rai. La parabola einaudiana di Weiss è destinata a crescere, così come l’impegno politico dell’autore che produrrà opere di sempre più marcata connotazione ideologica (Discorso sul Vietnam, Einaudi 1968 e Trotzkij in esilio, Einaudi 1970). La presenza di Weiss nel catalogo Feltrinelli non sarà quindi che una meteora e L’ombra del corpo del cocchiere (Feltrinelli 1968) rimarrà il suo unico titolo nei “Narratori di Feltrinelli”. I contatti e gli incontri personali tra Cases e Filippini furono decisamente rari e del tutto episodici ma ad ogni modo, nella loro contrapposizione, espressero il conflitto che divise il campo letterario italiano negli anni della loro attività. Ovviamente ne furono essi stessi consapevoli, e ognuno di loro cercò di liberare la scena da ciò di cui l’altro si fece fautore; a seguito di una polemica rinata intorno al 1977 riguardo al clima culturale italiano degli anni Cinquanta, ciascuno delineò con precisa ironia la propria posizione: Filippini si descriveva intento a «cercare di toglier[si] dai piedi le barbe storiciste, le cattive coscienze gattoparde, le melensaggini umanistiche dell’idealismo marxista»42 mentre, al contrario, Cases era determinato a «ridurre l’Italia a un prospero orticello di realismo critico e socialismo e a un vasto cimitero di “decadenti” e di avanguardisti»43. Il «combattimento, se c’era, era ad armi pari»44 come lo stesso Cases sostiene, infatti, nonostante il vantaggio di alcuni anni e la maggiore esperienza, la posizione del milanese non era, nel campo letterario, molto più solida di quella del più giovane rivale Filippini. L’esito dello scontro era, allora, ma probabilmente ancora adesso, tutt’altro che prevedibile: se infatti la parentesi neoavanguardista propugnata da Filippini avrà 42 Filippini, Enrico: Minima ImMoralia, in «la Repubblica», 22.11.1976. 43 Cases, Cesare (1989): Il boom di Roschellino, Einaudi, Torino, p. 165. 44 Ibidem. 25 vita breve, l’eco letteraria che il fermento culturale di quel periodo ha prodotto suscita tutt’ora interesse, così come la figura di Cases si è ritagliata il suo posto all’interno della storia dell’editoria e della letteratura italiana. Entrambi, facendosi simbolo di un periodo di profondi cambiamenti sia nel campo letterario sia nelle strutture del mercato culturale, hanno animato una battaglia a colpi di novità e scoperte che non si ripeterà facilmente in seguito. 1.4. «Gulliver»: «la rivista mai nata che voleva cambiare l’Europa» 45 Abbiamo finora osservato da un punto di vista prettamente editoriale le vicende che hanno animato il campo letterario italiano nel secondo dopoguerra con un focus particolare sull’attività della nascente Feltrinelli e sulla figura chiave di Enrico Filippini, che si è fatto mediatore tra letteratura italiana e letteratura tedesca contemporanea nonché fautore di nuove direzioni di sperimentazione. Tuttavia c’è da considerare che questo periodo, tra la fine degli anni Cinquanta e la maggior parte degli anni Sessanta, è pervaso da un’atmosfera generale, in tutta Europa, fatta di influenze e di contatti tra un ricco gruppo di intellettuali: gli avvenimenti di carattere soprattutto politico e sociale, che coinvolgono in maggior modo il triangolo FranciaItalia-Germania, stimolano gli intellettuali della controparte culturale a cercare gli uni negli altri un appoggio e far confluire le loro problematiche e le loro questioni su un piano internazionale. A tal proposito ho trovato molto interessante prendere in esame l’episodio della rivista «Gulliver», nata con l’intento di rinnovare la cultura internazionale, ma che rimarrà per sempre pura utopia. «Gulliver» è stata la rivista che ha mobilitato più intelligenze e più intellettuali, ha prodotto più discussioni, dibattiti, incontri, riunioni ma in assoluto meno pagine. Un esperimento interessante, potremmo dire in modo Di Stefano, Paolo: Gulliver: la rivista mai nata che voleva cambiare l’Europa, in «Il Corriere della Sera», 12.09.2003. 45 26 riduttivo, guidato da Vittorini e Leonetti per l’Italia, Mascolo per la Francia e Johnson prima, Enzensberger poi, per la Germania, con lo scopo di riportare la letteratura su un piano internazionale, oltre che culturalmente, anche politicamente rinnovato. Negli anni in cui soprattutto in Italia covavano le spinte avanguardiste e antiengagé si muovono altrove altri tentativi di rinnovamento in termini anche espressamente sociali. Il progetto inizia nel 1961, quando uno scambio di lettere tra Leonetti e Vittorini circa la necessità di una rivista a carattere internazionale con l’appoggio dei francesi e dei tedeschi si fa sempre più intenso, con l’obiettivo di definire gli scopi e i metodi di questa impresa. Tuttavia le differenze tra i tre gruppi sono palesi da subito: per l’Italia la rivista internazionale è necessaria e «si deve costruire attraverso il riconoscimenti di nessi fra le culture differentemente composte»46 e questo è l’unico elemento che può far compiere un passo avanti alle proposte impegnate italiane; in Francia la letteratura, seppur fosse attenta ai problemi sociali, non era direttamente legata alla situazione socio-politica, ma anzi le soluzioni che la letteratura proponeva sembravano inclini a soluzioni irrazionalistiche, «astratte»47 come le definisce Boehlich. La situazione della Germania è invece del tutto diversa: la coscienza tedesca è reduce dall’esperienza del terzo Reich, dalla censura del nazismo e da un periodo in cui l’unico linguaggio possibile era quello “di partito” che andava cancellato e rinnovato. Si sente forte da parte degli autori tedeschi la necessità di trasformare la letteratura in azione politica: la Germania, a differenza degli altri paesi, ha bisogno ex novo di una rivista impegnata politicamente attraverso la quale creare uno spazio di discussione che possa intervenire nel contesto reale. In questo sistema diversificato la posizione dell’Italia è sicuramente di mediazione e infatti è lo stesso Leonetti a proporre un programma unitario. Questo prevedeva un’unica équipe con più redattori per le diverse aree nazionali che 46 Leonetti, Francesco: Una rivista internazionale, in «Il Menabò», 1964/7. 47 Leonetti, Francesco: Rivista internazionale. Ai redattori italiani: notizia sul convegno di Zurigo 1920 gennaio ’63, in Temperini, Marta (a cura di) (2002): «Gulliver», carte Vittorini e Leonetti in Europa nel Sessanta, Piero Manni Letteratura, Lecce, pp. 142-145. 27 avevano il compito di comunicare tra di loro sistematicamente, confrontandosi sulle esperienze di ciascun paese, sulle varie ricerche in modo da confluire progressivamente in un’unica comune tendenza. Non senza incidenti di percorso e tentennamenti, il progetto sembra andare avanti e ogni gruppo trova il proprio editore pronto a finanziare la rivista: in Italia c’è Einaudi, per la Germania Suhrkamp e in Francia prima Gallimard e infine Julliard. I contrasti si fanno però sempre più ingombranti e rischiano di far fallire il progetto. Se infatti per Francia e Italia è chiara l’importanza della rubrica Cours des choses che avrebbe il compito di trattare argomenti di attualità da un punto di vista internazionale, per i tedeschi la rubrica sarebbe una forzatura per gli interessi del pubblico tedesco e degli autori del gruppo, i quali sembrano voler accantonare il fattore collettivo. È durante il 1962 che il motore costitutivo di «Gulliver» ingrana la marcia, anche se le frenate improvvise e le deviazioni sono sempre più frequenti. Il problema principale che emerge dalle sempre più frequenti lettere tra Vittorini e Leonetti, ma anche tra i vari responsabili editoriali francesi e tedeschi, è l’incongruenza nel metodo di ricerca proposto dal gruppo tedesco e da quello francese. In una lettera a Leonetti del luglio ’62, Uwe Johnson scrive: Ormai si è formato un gruppo di autori tedeschi comprendente le persone seguenti: INGEBORG BACHMANN WALTER BOEHLICH HANS MAGNUS ENZENSBERGER GÜNTER GRASS HELMUT HEISSENBUTTEL UWE JOHNSON MARTIN WALSER. Questo gruppo mi ha affidato la redazione della rivista per i due primi anni.48 48 Lettera di Uwe Johnson a Francesco Leonetti del 18.07.1962, in Temperini, Marta (a cura di) (2002): «Gulliver», carte Vittorini e Leonetti in Europa nel Sessanta, Piero Manni Letteratura, Lecce, pp. 83-85. 28 Oltre a presentare la formazione del gruppo, egli approva i principali punti editoriali della rivista e propone un incontro a testi già redatti: Saremo lieti di poter discutere con lei questo ed altri problemi in un convegno […]. Come luogo e data di quest’incontro proponiamo Zurigo e il 15 dicembre di quest’anno. […] Il gruppo tedesco porterà a questa riunione i testi che prevede come la sua parte del primo numero, e anche alcuni testi per il secondo. Se lei potesse fare lo stesso, potremmo cogliere l’occasione per comporre il primo numero e per preparare il secondo.49 Sulla questione dei testi da presentare o meno al convegno di Zurigo c’è un lungo tiro alla fune tra francesi e tedeschi, fino al punto di rottura che si avverte in una lettera del novembre del ’62 inviata da Calvino a Leonetti nella quale la situazione della rivista viene definita «molto problematica». I francesi si oppongono fermamente all’idea di presentarsi all’incontro programmato per il mese successivo con testi pronti, ma auspicano una discussione sui testi a livello ancora progettuale in modo da poter confluire in un’unità di direzioni e di intenti. La richiesta tedesca di arrivare al 15 dicembre con i testi scritti è osteggiata vivamente dai francesi come contraria allo spirito di lavoro collettivo, ma i tedeschi controbattono che non hanno più voglia di discutere su progetti ma su testi pronti.50 Anche la posizione dei tedeschi è irremovibile e anzi, sono disposti a realizzare la rivista anche in modo indipendente, a livello nazionale. In effetti la priorità del gruppo tedesco è proprio quella: la formazione di una rivista come luogo di dibattito interno alla Germania, dettata, come condivide Calvino, dal «bisogno urgente di una rivista, data la situazione politica e l’assenza di organi di stampa in cui possano esprimere le loro idee».51 Inoltre, sempre in quel momento, i francesi hanno perso 49 Ibidem. 50 Lettera di Italo Calvino a Francesco Leonetti del 09.11.1962, in Temperini, Marta (a cura di) (2002): «Gulliver», carte Vittorini e Leonetti in Europa nel Sessanta, Piero Manni Letteratura, Lecce, pp. 123-124. 51 Ibidem. 29 anche il proprio editore Gallimard e per Johnson e colleghi la possibilità di continuare la collaborazione sembra diventata impensabile. A riprendere in mano la situazione è di nuovo Leonetti che alla fine del mese di novembre in una lettera diretta sia a Johnson, sia a Des Forêts (rispettivamente i responsabili redazionali per i due gruppi stranieri) propone una situazione di mediazione, ovvero presentarsi al prossimo convegno internazionale come deciso dai tedeschi con i testi già pronti ma rinviando l’incontro di un mese, per il gennaio ’63 con l’intenzione di far partire il «Gulliver» all’inizio dell’estate. I francesi accettano la proposta e si dicono al lavoro sui testi da presentare, così, seppur inizialmente il gruppo tedesco si pronunci per una decisa rinuncia del progetto per via della mancanza di un editore per la Francia, il convegno si terrà a Zurigo alla fine del mese di gennaio e vedrà la partecipazione del gruppo al completo e con la presenza del direttore generale di Maison Julliard, il nuovo editore francese. Da questo incontro decisivo verrà fuori intanto il nome della rivista, «Gulliver», verrà ribadita l’importanza della rubrica Cours des choses (it. Corso delle cose) e presentate per essa diverse schede di discussione.52 La rubrica costituisce, anche per gli italiani, un punto fondamentale per sviluppare in modo nuovo le posizioni già esistenti di engagement e avrebbe inoltre portato il vero contributo collettivo alla rivista presentando testi, da tutte e tre le parti, su uno stesso tema di attualità. La lotta per convincere i tedeschi a partecipare con i loro testi alla rubrica sarà dura, per Johnson infatti testi del genere, preparati per una rivista trimestrale, avrebbero perso di attualità ancor prima di essere pubblicati e sarebbero diventati vecchi ancora prima di aver visto la stampa. Ma Leonetti precisa a Johnson: Gli scritti del Cours non verteranno propriamente sui fatti di attualità, ma verteranno sulle costanti di questi fatti, sulla presentazione dei fenomeni, 52 Le schede di discussione pensate per la rubrica trattano i temi più diversi: a partire dalla legge Merlin circa l’abolizione in Italia delle case chiuse e quindi il tema delle relazioni di sfruttamento e corruzione, alle dinamiche relazionali sui mezzi di trasporto; dagli effetti socio-antropologici del turismo di massa, alla situazione dell’agricoltura e il progressivo abbandono dei territori rurali. Cfr. in Allegati: Schede di Vittorini e di Leonetti e di Calvino in Temperini, Marta (a cura di) (2002): «Gulliver», carte Vittorini e Leonetti in Europa nel Sessanta, Piero Manni Letteratura, Lecce, pp. 200208. 30 sui problemi, sulle istituzioni culturali, sugli atteggiamenti che i fatti rivelano.53 Tuttavia dall’incontro emergerà anche un diffuso disaccordo verso i testi proposti da Blanchot e colleghi che verranno giudicati «astratti» dai tedeschi e inoltre «privi di rifermenti» da Calvino, mentre Vittorini ne critica «la riflessione sulla pluralità invece che sull’attività plurale»54. La critica sui testi e le incongruenze di interpretazione emerse dal convegno di Zurigo si protrarranno anche nel secondo convegno del ’63 a Parigi, a seguito del quale Enzensberger, discusso assente dell’incontro, liquida il progetto del «Gulliver» come impossibile e inarrivabile giudicando sbagliate le premesse di fondo. La prospettiva auspicata da Enzensberger volge in una nuova direzione: tre riviste indipendenti («Il Menabò» per l’Italia, «Lettres Nouvelles» per la Francia e una ancora da formare per la Germania), ognuna con i propri redattori e le proprie responsabilità, ma con programmi redazionali da discutere insieme in fase di progettazione e mantenendo un’intenzione fondamentalmente internazionale verso un giudizio comune che si formerà con l’andare del tempo: ogni autore cercherà infatti di lavorare spontaneamente tenendo conto di tutte e tre le riviste, con prospettive di apertura nuove. La storia di «Gulliver» è giunta però ad un capolinea e di questo ne sono consapevoli anche i più caparbi Vittorini e Leonetti. Sarà infatti quest’ultimo a scrivere a Calvino riguardo all’idea di far confluire tutti gli scritti ormai raccolti in un numero speciale de «Il Menabò» sia per non perdere il materiale che altrimenti invecchierebbe, sia per sondare il terreno del pubblico e creare così un caso di rivista “impossibile-possibile”. È il tentativo estremo di dar vita a questo progetto “senza frontiere” e se ne dice infatti entusiasta sia Enzensberger («così ci resterà del naufragio almeno un segno, come servono i rottami negli stretti per indicazione agli 53 Lettera di Francesco Leonetti a Uwe Johnson del 24.10.1962, in Temperini, Marta (a cura di) (2002): «Gulliver», carte Vittorini e Leonetti in Europa nel Sessanta, Piero Manni Letteratura, Lecce, pp. 98-102. 54 Leonetti, Francesco: Rivista internazionale. Ai redattori italiani: notizia sul convegno di Zurigo 1920 gennaio ’63, in Temperini, Marta (a cura di) (2002): «Gulliver», carte Vittorini e Leonetti in Europa nel Sessanta, Piero Manni Letteratura, Lecce, pp. 142-145. 31 altri navigatori55»), sia Mascolo che raccomanda a Leonetti di spiegare nel numero internazionale del «Menabò» quali fossero gli intenti comuni del progetto, perché per le condizioni oggettive del progetto fossero stati accantonati, e mettere in evidenza che la pubblicazione del “numero zero” dimostra come il lavoro finora portato avanti non sia stata una semplice utopia, convincendo il pubblico che «una ripresa o un rilancio dell’idea è necessaria e auspicabile»56. L’uscita del numero 7 de «Il Menabò» nell’autunno del 1964 rappresenta l’ultimo sforzo del gruppo di intellettuali nonché il punto di partenza, o dovremmo dire il punto zero, dell’“esperienza Gulliver”. Il tentativo messo in piedi da una ricca squadra di intelligenze europee si rivelò in apparenza vano, ma non bisogna dimenticare l’importanza di dimostrare e di tentare un approccio, oltre che nuovo, del tutto moderno e, oggi potremmo definire, ancora attuale. Si cercò di far confluire sulle stesse pagine le problematiche letterarie ma soprattutto sociali e politiche di un’Europa ancora attraversata da grandi differenze ma già con l’idea di individuare e portare avanti una matrice comune. «È in corso di preparazione il più grosso e il più nuovo strumento di cultura democratica collegato all'attività letteraria»57 così un Leonetti trionfante presenta l’idea all’editore Einaudi ma purtroppo le specificità nazionali, la situazione politico-sociale e il tentato compromesso, anche letterario, di far confluire realtà ancora troppo diverse sfoceranno in un nulla, o quasi, di fatto. Tra le righe di tutte le carte, lettere e appunti che ne rimangono si può leggere però la più grande discussione di quegli anni sull’Europa, la società e la cultura europea. 55 Cit. in Lettera di Francesco Leonetti a Elio Vittorini, 27.07.1963, in Temperini, Marta (a cura di) (2002): «Gulliver», carte Vittorini e Leonetti in Europa nel Sessanta, Piero Manni Letteratura, Lecce, p. 168. 56 Lettera di Dionys Mascolo a Francesco Leonetti, 16.11.1963, in Temperini, Marta (a cura di) (2002): «Gulliver», carte Vittorini e Leonetti in Europa nel Sessanta, Piero Manni Letteratura, Lecce, pp. 173-175. 57 Lettera di Francesco Leonetti a Giulio Einaudi e alla Direzione Einaudi, 10.11.1961, in Temperini, Marta (a cura di) (2002): «Gulliver», carte Vittorini e Leonetti in Europa nel Sessanta, Piero Manni Letteratura, Lecce, pp. 44-49. 32 CAPITOLO II – L’ESPERIMENTO DEL GRUPPO 63 La strada su cui si muove la Feltrinelli a partire dalla fine degli anni Cinquanta, come abbiamo già visto nel capitolo precedente, è fatta di sperimentazione e di avanguardia. Attorno alla casa editrice, la quale se ne fa promotrice e protettrice, si forma un gruppo di intellettuali e scrittori con lo scopo di rivoluzionare il modo di fare letteratura attraverso non tanto i contenuti, quanto lo stile e l’uso della parola. Ciò che ne viene fuori è il Gruppo 63, fondato appunto in quell’anno, che seppur non sia che, in termini di durata, un breve tentativo a livello di produzione letteraria, rappresenta comunque un’idea e un punto di svolta per la letteratura degli anni Sessanta. 2.1. La nascita del Gruppo 63 Per rispondere alla domanda come è nato il Gruppo 63 non si può far altro che affidarsi alle parole di chi il Gruppo 63 l’ha vissuto da vicino o addirittura ne ha fatto parte. Fortunatamente gli incontri dei reduci e dei curiosi del gruppo che ancora oggi, a distanza di anni, hanno luogo ci permettono di ricostruire, attraverso testimonianze dirette, le vicende del Gruppo. Inge Feltrinelli58, spettatrice e complice, ricorda come nella primavera del 1963 nasce l’idea, attorno alla casa editrice Feltrinelli, capitanata dall’incontenibile Filippini e da Nanni Balestrini, altro entusiasta e promotore del Gruppo, di riunire un gruppo di intellettuali accumunati da 58 Inge Schönthal sposò Giangiacomo Feltrinelli nel 1960. Fu da subito collaboratrice presso la casa editrice, fino a quando a partire dal 1969, ne assunse la direzione editoriale. Cfr. Mainardi, Angelo (a cura di) (1995): Storia dell’editoria d’Europa, II: Italia, Shakeaspeare & Company - Futura, Firenze, pp. 508-520. 33 un bisogno di innovazione: un gruppo che fosse luogo di incontro (e scontro) tra giovani scrittori, ma soprattutto di scambio e costituisse uno scenario rivoluzionario per scombussolare la cultura italiana. Ricorda Umberto Eco: Un giorno Balestrini mi ha detto che era venuto il momento di ispirarsi al Gruppo 47 tedesco, e di riunire tante persone che vivevano di una temperie comune, per leggersi a vicenda i propri testi, ciascuno parlando male anzitutto dell’altro, poi se avanzata tempo, degli altri, quelli che secondo noi intendevano la letteratura come “consolazione” e non come provocazione. Mi ricordo che Balestrini mi aveva detto: «faremo morire di rabbia un sacco di gente».59 Per ricostruire le tappe di questo glorioso periodo è necessario fare un passo indietro per capire da dove provenivano questi scrittori, giovani e meno giovani, più o meno esperti, che si presentarono alla prima riunione del Gruppo 63. Il punto di partenza è la fondazione della rivista «il verri» nel 1956 a Milano da parti di Luigi Anceschi. Il suo progetto appariva già come una grande novità: Anceschi voleva unire alla sua cerchia di scrittori e poeti già navigati, un nuovo gruppo di scrittori più giovani, dei quali faceva parte anche un Umberto Eco appena laureato, la cui esperienza si limitava a pochi articoli in riviste perlopiù clandestine. Gli altri giovani erano Porta, Barilli, Guglielmi e l’ancora «pigro» Balestrini60, che si andavano ad unire al Sanguineti di Laborintus, a Giuliani e a Pagliarani. All’interno del gruppo de «il verri» si costruì un dibattito non solo animato dalla differenza generazionale e non solo letterario, ma l’eterogeneità del gruppo permise di aprire un dibattito polifonico su diverse tematiche. «il verri» presenta «letture classiche agli ultimi contemporanei e letture contemporanee sui classici»61, accantonando le distinzioni di genere; lo scambio era la base su cui si costruivano gli incontri redazionali, l’attività della rivista rappresentava una spirale di novità e tante volte di anticipazioni di ciò 59 Eco, Umberto: Prolusione, in Aa.Vv. (2005): Il Gruppo 63, quarant'anni dopo: Bologna, 8-11 maggio 2003, atti del Convegno, Pendragon, Bologna, p. 31. «Anceschi mi prendeva sotto braccio e mi diceva: “Eco, veda un poco che cosa si può fare per questo ragazzo, il Balestrini. Ha ingegno ma è pigro, bisogna spingerlo a qualche attività, magari in una casa editrice.”». Così ricorda Umberto Eco gli inizi della sua frequentazione del gruppo de «il verri» e dei nuovi giovani autori. Cfr. Ibidem. 60 61 Ivi, p. 23. 34 che sarebbe avvenuto in campo letterario; di fronte ai primi sintomi dell’avanzante avanguardia la rivista si dimostra interessata, così come non nega il proprio interesse verso le nuove pubblicazioni di scrittori già affermati. Prima ancora che la rivista passi sotto l’egida di Feltrinelli nel 1962, dal gruppo di giovani poeti de «il verri» nasce l’antologia lirica dei Novissimi; pubblicata nel 1961, l’antologia raccoglie brani di cinque poeti: Alfredo Giuliani, Elio Pagliarani, Nanni Balestrini, Edoardo Sanguineti e Antonio Porta. La strada è pronta e già le poesie “per gli anni Sessanta”, come recita il titolo della raccolta, dei Novissimi lasciano intuire tutti i sentori di una nuova ricerca poetica: […] In quanto contemporanea la poesia agisce direttamente sulla vitalità del lettore, allora ciò che conta in primo luogo è la sua efficacia linguistica. Ciò che la poesia fa è precisamente il suo contenuto.62 Come afferma lo stesso Anceschi si può dire che, «per quel che riguarda la poesia» «il dopoguerra finisce solo ora» e, a partire dai Novissimi e quindi dagli anni Sessanta, si viene a costituire un nuovo capitolo, a proposito del quale è impossibile «ignorare le esperienze e la carica vitale» che i poeti del «verri» hanno tentato di trasportare nel linguaggio.63 Nonostante i pareri interni discordanti nell’“esperienza verri” quello che sta imponendosi è la linea «viscerale dell’avanguardia», già promulgata da Guglielmi, «a-ideologica, astorica e disimpegnata», cioè il grado zero della lingua e della scrittura. Ad accompagnare la raccolta dei Novissimi si trova l’appendice Dietro la poesia dove ogni autore propone la sua dichiarazione di poetica, con la quale si cerca di trovare non solo una poetica comune di gruppo, ma si costruisce anche il punto di partenza per l’esperienza avanguardista. La nuova poetica si apre su un paradosso strutturale, ovvero il muoversi in bilico tra “opposizione” al linguaggio e “apertura” ad esso, tra accettazione dei formalismi e superamento di questi. Per dirla con le parole di Balestrini, il poeta novissimo sa di dover accettare il caos strutturale della 62 Giuliani, Alfredo: Introduzione, in Giuliani, A. (a cura di) (1961): I Novissimi: poesie per gli anni Sessanta, Rusconi e Paolazzi, Milano, pp. XIII-XXXII. 63 Ibidem. 35 poesia ma allo stesso tempo la sperimentazione deve portarlo ad un superamento di questo caos.64 Sempre Giuliani, nella nuova Prefazione dei Novissimi del 1965, definisce l’esperienza verriana come «uno schiaffo al passato più recente e un’indicazione per il lavoro in avvenire»65, così I Novissimi fungono da crocevia culturale tra la stagione dell’aggiornamento della poesia italiana e l’inaugurazione del capitolo neoavanguardista. «Era un salto dalla preistoria del “moderno” alla contemporaneità pura e semplice»66. Con la sua esperienza conclusiva, quella dei Novissimi, il gruppo de «il verri» non può che passare il testimone al Gruppo 63. Ricostruire il contesto di quegli anni, non solo dal punto di vista letterario ma anche sociale, e cercare di delineare le situazioni che hanno determinato l’incontro del 1963, non è facile, soprattutto se si considera che è il risultato di un percorso iniziato già tempo prima. Tuttavia si possono individuare alcuni aspetti che hanno innescato il meccanismo: in primo luogo era evidente che l’Italia, dal punto di vista culturale, fosse racchiusa in alcuni schemi letterari e in questi vi stagnasse. La cultura era intesa come subordinata alla politica, basti pensare che la letteratura dominante era inglobata nel grande centro d’influenza del PCI, perciò non è difficile capire che il Gruppo 63 si sarebbe posto in una posizione assolutamente apolitica. Di fatto gli intellettuali del gruppo non si possono considerare apolitici, erano anzi per la maggior parte di sinistra, tuttavia considerandolo nella sua unità, il gruppo aveva priorità tutt’altro che politiche ed è probabilmente il primo caso nella vita italiana del dopoguerra di rifiuto di qualsiasi gioco di partecipazione con i partiti. Gli intellettuali della nuova generazione confluita nel gruppo di Palermo non solo avevano vissuto il ritorno in libertà dell’Italia ancora da giovanissimi, ma ha potuto beneficiare con questo di buoni studi e di una partecipazione intensa al mondo culturale universitario. C’era uno scarto forte tra la generazione precedente e loro, che erano consapevoli 64 Cfr. Luti, G., Verbaro, C. (a cura di) (1995): Dal Neorealismo alla Neoavanguardia, Le Lettere, Firenze, pp. 71-73. 65 Cfr. Giuliani, Alfredo: Introduzione, in Giuliani, A. (a cura di) (1961): I Novissimi: poesie per gli anni Sessanta, Rusconi e Paolazzi, Milano, pp. XIII-XXXII. 66 Ibidem. 36 abbastanza per capire quale fosse il trascorso dell’Italia, ma erano giovani abbastanza per non compromettersi: Noi siamo stati una generazione che ha iniziato a entrare nell’età adulta quando tutte le opportunità erano aperte, ed eravamo pronti a ogni rischio, mentre i nostri maggiori erano ancora abituati a proteggersi l’uno con l’altro.67 Da questi presupposti si crea la base di discussione del primo incontro a Palermo del Gruppo 63. Enrico Filippini partecipa alcuni mesi prima a Berlino ad una riunione della Gruppe 47 e rimane estasiato dell’idea: il modo di dialogare di grandi autori e scrittori di talento e di scambiarsi letteratura lo convince della necessità di creare un gruppo parallelo «con finalità di seminario letterario» insieme a Valerio Riva e Nanni Balestrini, che a differenza di qualche anno prima aveva recuperato il guizzo audace che Anceschi sperava. Che l’idea provenisse dal gruppo tedesco era quindi ovvio, un po’ meno ovvio era che l’idea potesse attecchire ed essere tradotta in Italia; questa però riuscì anche grazie ai vari gruppi che gravitavano attorno alle riviste e che si dimostrarono entusiasti di poter partecipare dal vivo al fermento di Palermo. L’atto di nascita del Gruppo fu una «chiamata d’urgenza», un’esigenza per diversi gruppi e sottogruppi di avanguardia stanchi di una letteratura «asfissiata nel deserto neorealistico e neointimistico»68. Per essere un’avanguardia essa aveva di fatto delle peculiarità che non si erano ritrovate ad esempio nell’avanguardia marinettiana. Rispetto alle altre, quella del Gruppo 63 era in fondo un’avanguardia «disciplinata»69. C’era sì una volontà di ribellione culturale nei confronti dell’establishment e della cultura che questo rappresentava, ma molti componenti del Gruppo, di fatto, ne facevano parte: avevano una formazione solida e al mondo accademico partecipavano in maniera diretta, la 67 Eco, Umberto: Prolusione, in Aa.Vv. (2005): Il Gruppo 63, quarant'anni dopo: Bologna, 8-11 maggio 2003, atti del Convegno, Pendragon, Bologna, p. 33. 68 Cit. tratta da: Luti, G., Verbaro, C. (a cura di) (1995): Dal Neorealismo alla Neoavanguardia, Le Lettere, Firenze, p. 81. 69 Colombo, Furio: Tavola rotonda: Le ragioni del Gruppo (come eravamo), in Aa.Vv. (2005): Il Gruppo 63, quarant'anni dopo: Bologna, 8-11 maggio 2003, atti del Convegno, Pendragon, Bologna, p. 116. 37 maggior parte di loro aveva già intrapreso la loro carriera prima della formazione del gruppo, iniziando a pubblicare o a lavorare in case editrici, in giornali o in televisione. La rivolta del Gruppo 63 era l’espressione di una generazione che si ribellava non dal di fuori ma dal di dentro, un fenomeno certamente nuovo rispetto a quello delle avanguardie storiche, come commenta Eco: Se è vero che gli avanguardisti storici erano incendiari che morivano poi da pompieri, il Gruppo 63 è stato un movimento nato nella caserma dei pompieri, dove poi alcuni sono finiti incendiari.70 La seconda avanguardia italiana era una fuoriuscita liberatoria dalla cultura imprigionata nell’impegno politico e chiusa dentro gli schemi ripetitivi nei propri confini nazionali, creando un movimento che invece cavalcava l’onda del crescente espandersi delle comunicazioni di massa, dell’abbattersi dei confini così come delle distanze, ponendosi in un orizzonte di eventi internazionali molto vasto. Proprio per questo il Gruppo 63 non ebbe mai un discorso programmatico, una carta d’intenti e nessun intellettuale del Gruppo fu firmatario di un manifesto letterario come avvenne per le avanguardie di cinquant’anni prima: seppur creava condizioni incoraggianti per la libera produzione di ciascuno, non aveva intenzione di progettare un’azione collettiva, non aveva mai delineato linee di pensiero, né tantomeno espulso o ripreso qualcuno per aver detto o non osservato qualcosa. Il gruppo inoltre non fu mai una roccaforte di letterati chiusi in se stessi, ma si arricchì sempre di nuovi partecipanti e il gruppo aumentava di interessati e curiosi ad ogni incontro. Gli intellettuali del Gruppo 63 erano in fondo un gruppo, per quanto variegato, accumunato da una vicinanza generazionale e con lo scopo di sperimentare e di liberare la letteratura italiana da quella dilagante, a loro avviso, apatia delle forme e dello stile. 70 Eco, Umberto: Prolusione, in Aa.Vv. (2005): Il Gruppo 63, quarant'anni dopo: Bologna, 8-11 maggio 2003, atti del Convegno, Pendragon, Bologna, p. 33. 38 2.2. Gli incontri del Gruppo 63 Gli incontri del “seminario letterario” iniziarono ad aver luogo nel 1963, per un totale di cinque convegni con cadenza annuale fino al 1967; in questi incontri gli intellettuali coinvolti si riunivano, discutevano dei loro scritti, leggevano le loro opere ancora in fieri e ne discutevano. Le letture non riscuotevano mai il consenso generale, come ricorda Umberto Eco, sia perché all’interno c’erano fratture originarie dovute all’eterogeneità del gruppo, sia perché in fondo «le persone convenute a Palermo erano accomunate […] da una esigenza di dialogo rissoso, senza pietà e senza infingimenti»71. Al seguito della lettura ognuno diceva la sua, ma non ci si dichiarava perplessi, non esistevano sfumature di grigio nelle reazioni ai nuovi brani proposti: ci si diceva contrari e se ne esplicavano i motivi. A Palermo iniziava a costituirsi una nuova unità letteraria basata però sull’assenza di accordo e di indulgenza, il rispetto e la stima dovuti ad autori già affermati non contavano più, ma chi leggeva nel e per il Gruppo 63 era uno dei tanti partecipanti nei confronti del quale gli altri non avrebbero dimostrato riserbo: se in altri contesti questi giudizi avrebbero determinato «la fine di un’amicizia» o perlomeno di una collaborazione, nel Gruppo «il dissenso generava amicizia»72. Ciò era il riflesso delle necessità degli autori che vi partecipavano e che avevano indirettamente stipulato un tacito accordo: ogni scrittore sentiva il bisogno di sottoporre la propria ricerca alle reazioni altrui; sempre come ricorda ironicamente Umberto Eco, «il disaccordo era lo sport statutario»73 del Gruppo 63. A Palermo si svolse il primo, importante e inaugurale incontro: l’atto di nascita formale del Gruppo 63. Il carattere ufficiale, esteriore, di questo primo incontro non è però da sottovalutare, dato che si poté creare e concretizzare un gruppo che per la prima volta si trovò attorno ad un tavolo a discutere le proprie idee 71 Eco, Umberto: Prolusione, in Aa.Vv. (2005): Il Gruppo 63, quarant'anni dopo: Bologna, 8-11 maggio 2003, atti del Convegno, Pendragon, Bologna, p. 37. 72 Ibidem. 73 Balestrini, Nanni: Introduzione, in: Giuliani, A., Balestrini, N. (a cura di) (2002): Gruppo 63. L’antologia, Testo e Immagine, Torino, pp. 24-25. 39 e posizioni, le quali prima avevano trovato espressione solamente su articoli di riviste o nei diversi incontri personali tra gli intellettuali. Con queste parole di Luciano Anceschi si introduce il dibattito: L’interesse e il significato di queste riunioni sta nella volontà di rendersi conto insieme del mutamento della situazione letteraria nel nostro paese. Che un mutamento vi sia pare difficile negare, quale esso sia, come si manifesti, e con quali motivazioni, è proprio ciò di cui qui si deve ragionare.74 Paradossalmente questa riunione non fu promulgatrice di straordinarie novità, non tanto perché prive di un carattere originale, ma piuttosto perché fu l’occasione per tirare le somme di un dibattito che aveva già avuto modo di manifestarsi nel panorama culturale italiano. Il primo atto di vita proclamato dal gruppo in quanto tale non fu affatto un inizio, bensì un seppur provvisorio tirare le somme. A Palermo, in effetti, non emerse qualcosa di nuovo, bensì fu possibile fare il punto su una trama di umori che aveva già avuto un’ampia possibilità di manifestarsi. […] Con ciò si conferma il fatto che la nascita del Gruppo fu una novità soltanto sul piano esteriore, come strumento pratico-utilitario di sfida […] nei confronti di quello che si diceva l’establishment.75 Un’ulteriore particolarità dell’incontro palermitano fu il suo carattere in parte segreto: sebbene in quella prima riunione si volesse lanciare una sfida pubblica, questa si svolse a porte chiuse, in una stanzetta dell’albergo Zagarella e vi parteciparono una cerchia ristretta di interessati, «in abiti rilassati»76, quasi come una scatola chiusa nella quale non furono ammessi testimoni. L’esclusività, in parte non intenzionale, funzionò da cassa di risonanza per l’evento propagando nel resto 74 Il dibattito in occasione del primo incontro del Gruppo a Palermo nel 1963 è riportato in Barilli, R., Guglielmi, A. (a cura di) (2003): Gruppo 63. Critica e teoria, Testo & Immagine, Torino, pp. 237262. 75 Barilli, Renato (2006): La neoavanguardia italiana. Dalla nascita del «verri» alla fine di «Quindici», Manni, Lecce, p. 197. 76 Ibidem. 40 d’Italia e nei suoi centri di vita letteraria un messaggio tanto minaccioso e forte quanto indefinito e vago. Tutti si chiesero quali mai cose di fuoco fossero state dette tra quelle quattro pareti, quali mai parole d’ordine fossero risuonate per fomentare la rivolta e la distruzione.77 Quando invece già sappiamo che, per usare le parole di Umberto Eco, la «generazione di Nettuno» della nuova avanguardia, definita dal carattere «freddo», si distingueva dall’agitazione e dalla rivolta, da quel carattere «caldo» dei lontani parenti dell’avanguardia storica, la «generazione di Vulcano». 78 Per gli addetti ai lavori fu però chiaro che le modalità della prima riunione non dovevano ripetersi anche in futuro, dovendo accogliere al contrario sempre più persone interessate a partecipare al dibattito e a farsi promotrici del cambiamento. In particolare Nanni Balestrini, non solo grande teorico della narrativa sessantatreina, fu il vero manager del gruppo: abile nel trovare sempre le persone giuste e i posti giusti per i loro incontri, facendo in modo che questi non si limitassero ad una “seduta spiritica” di avanguardia tra un ristretto gruppo di persone, fu bravo a creare aspettative, a stuzzicare la mobilitazione mediatica e a inviare messaggi provocatori all’establishment letterario. Con il tempo ciò regalò al gruppo una lunga lista di avversari, ma grazie a questi gli fece guadagnare altrettanta popolarità. Nel 1964 seguì infatti l’incontro di Reggio Emilia, il cui carattere fu completamente differente rispetto al precedente. La riunione di Reggio diventò infatti la più pubblicizzata dell’intera storia del Gruppo così come quella che registrò la quota di presenzialismo più alta tra i cinque incontri. Giunsero nella città emiliana numerosi “osservatori” esterni, sia italiani come Elio Vittorini che aveva già dimostrato la sua attenzione al Gruppo nel suo «Menabò», sia internazionali con una discreta partecipazione da parte dei francesi di «Tel Quel» e con l’intervento dalla Germania dell’editore Klaus Wagenbach. L’incontro reggiano segnò il punto di maggiore risonanza pubblica del Gruppo ma ad esso seguì anche una certa delusione; questa fu dovuta principalmente 77 Ibidem. 78 Cfr. Eco, Umberto: La generazione di Nettuno, in Aa. Vv. (1964): Gruppo 63, Feltrinelli, Milano, pp. 413-414. 41 al fatto che nel secondo incontro si ripropose lo stesso meccanismo di lettura di quei testi, la cui problematicità formale era nota e dai quali emergevano una certa durezza e sgradevolezza stilistica che come osserva Barilli avrebbero richiesto «interventi umili, pazienti, di collaborazione alla scrittura piuttosto che giudizi sommari o grida di entusiasmo»79 che accompagnarono invece le proposte dei giovani inediti. Con questo non significa che smisero di verificarsi fenomeni di associazione o partecipazione volontaria per essere ammessi nella compagine del Gruppo, che tuttavia continuava a rappresentare l’unica via per guadagnarsi un certificato di partecipazione alla ricerca letteraria. L’anno successivo il gruppo torna a Palermo per il terzo convegno, dedicato alla prosa e alla narrativa. Reduci dall’esperienza precedente, in questa riunione ci si dedica a compiti più tecnici, con la realizzazione di veri e propri “laboratori” in cui gli adepti della ricerca sperimentale si mettono al lavoro sui testi, ancora nel loro “farsi”. Questo fu uno degli incontri più animati, non solo per via della discussione puramente letteraria, ma anche per la ricca presenza di spettacoli teatrali e proiezioni cinematografiche. Frutto di questo dibattito, verrà pubblicato Gruppo 63. Il romanzo sperimentale, edito da Feltrinelli, uno dei resoconti teorici più completi usciti dalle riunioni del gruppo. Al bis di Palermo seguiranno ancora l’incontro di La Spezia, interamente dedicato alla lettura e alla discussione e nel quale emergeranno numerosi nomi nuovi e l’ultimo, quello di Fano del 1967. A Fano venne concesso spazio quasi esclusivamente ai nuovi autori e ai loro testi già emersi dall’incontro spezzino. Per quanto riguarda invece il gruppo dei “veterani”, al suo interno nasceranno i primi contrasti reali e si avvertirà la rottura del gruppo: verranno fuori infatti alcune posizione marcatamente impegnate che porteranno, a partire da questo convegno, alla nascita de «Il Quindici», una rivista politico-letteraria in cui sono coinvolti la maggioranza degli autori del gruppo. L’intento del giornale, che avrebbe dovuto raggiungere un ampio pubblico, non è certo “disciplinato”: «Quindici» non ha nulla da dichiarare perché si ripromette di essere parziale e contraddittorio. «Quindici» spera di diffondere dei dubbi e di 79 Ivi, p. 232. 42 rovinare alcune certezze: d’essere, insomma, un sano elemento di disordine.80 Un sano elemento di disordine, come recita l’editoriale del primo numero, fu quello che difatti si rivelò per il gruppo. A seguito della nascita del «Quindici» e dell’incontro di Fano il Gruppo 63 smise di riunirsi; il motivo non fu soltanto la nuova rivista, ma le posizione sempre più discordanti sul piano politico e dell’impegno da parte degli intellettuali del gruppo oltre che l’avvicinarsi della grande agitazione che anticipava le lotte del Sessantotto. È proprio quando inizia a sentirsi nell’aria il giungere di un nuovo sconvolgimento che la neoavanguardia subisce il colpo decisivo: per la prima volta dalla fine della guerra si percepisce in Italia la possibilità di un cambiamento rivoluzionario della società, e questo cambiamento non dipende più dalla letteratura, o almeno non da quella auspicata dal Gruppo 63. Simboliche sono, in questo contesto assetato di impegno politico, le dimissioni dalla Feltrinelli di Enrico Filippini, secondo il quale Giangiacomo Feltrinelli aveva perso la sua identità di editore, vale a dire «la convinzione che attraverso i libri e la cultura si possa influire sull’immaginario e sulla realtà del mondo»81. Il Gruppo 63, o almeno una parte di esso, capisce che l’aver portato il “fare letteratura” su una dimensione collettiva non basta per liberarla dalla sua posizione angusta ma c’è bisogno di porsi come guida in questo momento di crisi, ormai in moto all’interno degli istituti sociali e politici. L’esperimento impegnato del «Quindici» viene quindi battuto sia sul tempo che sul campo dell’esperienza, non solo perché questa strada tentata dalla neoavanguardia era già stata percorsa da altri in anticipo, ma soprattutto le altre realtà coinvolte partivano da un’impostazione esclusivamente politica. Il Gruppo 63 cerca di uscire dalla propria crisi ormai in ritardo e ne prende atto lo stesso Guglielmi in uno degli ultimi numeri della rivista «Quindici»: La neoavanguardia italiana nacque come forma di contestazione. Caratteristica preminente della contestazione è di porsi come globale. Sulla 80 Cit. Giuliani, A.: Editoriale in Quindici, 1967/1 81 Filippini, E.: Giangiacomo l’impaziente, in la Repubblica, 8.4.1979. 43 base di queste due affermazioni ci pare di poter sostenere che le incertezze che la neoavanguardia sta vivendo sono collegate alla crisi che ha investito quella funzione di contestazione nel cui segno l’avanguardia era nata: cioè la crisi che ha investito la letteratura come discorso totale. […] È che il compito [di tale contestazione] è passato in altre mani, e cioè, come è noto, ai vari movimenti di contestazione, scoppiati così furiosamente in tutto il mondo.82 D’altronde il movimento operario e studentesco del ‘68 poco calzava all’avanguardia del ‘63 che sostituiva al gesto rivoluzionario e all’impeto futurista una lenta sperimentazione, «al gesto che chiarisce tutto in un colpo solo» subentrava il gesto «che al momento non chiarisce ancora nulla»83: si immaginava però che la direzione fosse quella buona. 2.3. “Fare letteratura”: neoavanguardia la produzione della È noto dunque che il percorso letterario della neoavanguardia trova il suo punto chiave nella nascita del Gruppo 63, un gruppo con finalità «di seminario letterario»84. Ma cosa aveva da dire questo gruppo? Cosa di fatto disse e cambiò nel campo letterario italiano di quegli anni? Il fare letteratura acquisisce un nuovo significato per gli scrittori del Gruppo, il quale si può definire come passaggio, in letteratura, dalla «solitudine» alla «collegialità»85. Lo scrivere infatti non può più essere un atto solitario, ma proprio per via del costituirsi della società di massa, il mondo intellettuale è chiamato a Guglielmi, A.: Dibattito per un bilancio dell’esperienza neoavanguardista, in «Quaderni di critica», 1973/1, pp. 16-17. 82 83 Eco, Umberto: Prolusione, in Aa.Vv. (2005): Il Gruppo 63, quarant'anni dopo: Bologna, 8-11 maggio 2003, atti del Convegno, Pendragon, Bologna, p. 35. 84 Cit. Filippini, Enrico: Sì, viaggiavamo in wagon-lit…, in «La Repubblica», 7.2.1977. 85 Curi, Fausto: Per il comitato scientifico, in Aa.Vv. (2005): Il Gruppo 63, quarant'anni dopo: Bologna, 8-11 maggio 2003, atti del Convegno, Pendragon, Bologna, p. 44. 44 rispondere a questo nuovo tipo di società con un lavoro di tipo collegiale, partecipativo. Durante il processo stesso di creazione di un’opera, essa viene sottoposta ad una pluralità di voci che controllano e revisionano il lavoro di un singolo. Il progetto letterario non è più concepibile come lavoro esclusivo, perché compartecipato da altri scrittori, teorici, artisti e intellettuali che suggeriscono, sollecitano, rimproverano e spesso condannano il prodotto letterario: è questa infatti la formula delle riunioni del Gruppo e dei contatti tra i loro partecipanti. A seguito del secondo incontro di Palermo, Giancarlo Marmori notava su L’Espresso che l’incompatibilità o complementarità delle posizioni teoriche animava una discussione interminabile e sottile che proseguiva ovunque fosse possibile farsi sentire, «a tavola, nei bar, sui marciapiedi. Era cominciata anzi a bordo degli aerei che dal Nord volavano verso Palermo»86. Il frutto a cui questa sperimentazione collettiva avrebbe dovuto portare non erano solamente testi, liriche e romanzi che il Gruppo avrebbe dovuto pubblicare, cosa della quale effettivamente la critica lamentava la scarsità: Si diceva: costoro propongono delle teorie, dove sono i testi? […] Non è che i testi non esistessero, esistevano eccome, ma c’era una novità, che questi testi erano portatori di posizione teoriche strettamente collegate, come non accadeva da tempo. […]L’idea di testo era completamente diversa da quella che da parte nostra nel complesso si proponeva. Se quelli si aspettavano delle buone liriche, più o meno pure, e se costoro si aspettavano dei romanzi ben fatti, evidentemente erano in attesa di qualcosa che non sarebbe mai arrivato […].87 Così spiega Sanguineti, il maggior teorico dell’avanguardia, che individua nella produzione della neoavanguardia la necessità di colmare e denunciare «un vuoto teorico e culturale nelle scienze umane». Di pubblicazioni seguite ai convegni e alle discussioni del Gruppo ce ne sono state: proprio nel ‘63 l’archivio Feltrinelli si 86 Citato in Balestrini, Nanni: Introduzione, in: Giuliani, A., Balestrini, N. (a cura di) (2002): Gruppo 63. L’antologia, Testo e Immagine, Torino, p. 25. 87 Sanguineti, Edoardo: Tavola rotonda: Le ragioni del Gruppo (come eravamo), in Aa.Vv. (2005): Il Gruppo 63, quarant'anni dopo: Bologna, 8-11 maggio 2003, atti del Convegno, Pendragon, Bologna, pp. 85-86. 45 arricchisce di numerosi titoli, tra cui Come si agisce di Balestrini, Barcelona di Lombardi, Lo sproloquio di Giancarlo Marmori e il grande e discusso Capriccio italiano di Sanguineti, opera prima della neovanguardia. A seguito dell’incontro di Palermo uscirà l’antologia fondativa, Gruppo 63. La nuova letteratura (Feltrinelli, 1964), dove oltre a un resoconto sulle posizione emerse nel convegno, saranno contenuti numerosi altri materiali, come scritti di Anceschi, Guglielmi, Barilli, Curi, numerosi testi di più di 34 scrittori e che verrà chiusa dai contributi dei saggisti Eco, Gozzi e Giuliani88. Seguiranno nel 1964, dopo una lunga vicenda editoriale, Fratelli d’Italia di Arbasino, Tristano di Balestrini, Hilarotragoedia di Manganelli e ancora Triperuno di Sanguineti e l’importante saggio di Guglielmi Avanguardia e sperimentalismo. La produzione saggistica rimane viva anche grazie agli incontri successivi, con importanti pubblicazioni come Ideologia e linguaggio (Feltrinelli, 1965) di Edoardo Sanguineti, testo chiave per interpretare le posizioni di conciliazione tra la ricerca linguistica e il contenuto ideologico della neoavanguardia; a seguito del convegno conclusivo vengono pubblicati anche i saggi di Renato Barilli L’azione e l’estasi e di Giorgio Manganelli La letteratura come menzogna (entrambi Feltrinelli, 1967). Continuano così anche le pubblicazioni dei più consolidati autori come Povera Juliet e altre poesie (Feltrinelli, 1965) di Antonio Giuliani, I rapporti (Feltrinelli, 1965), Il serpente (Bompiani, 1966) di Luigi Malerba e ancora Il giuoco dell’oca (Feltrinelli, 1967) di Sanguineti, ma come abbiamo visto, emersero nuovi autori soprattutto nei due convegni conclusivi: Gianni Celati (Comiche, 1971), Renato Pedio (Bricolages, 1966), Amelia Rosselli (Serie ospedaliera, 1969), Sebastiano Vassalli (Disfaso e Narcisso, 1968) e Patrizia Vicinelli (famosa per la sua poesia visiva di à, a, A, 1967).89 La lista di pubblicazioni di quegli anni pregni di sperimentazione e innovazione sarebbe ancora molto lunga, ma basta sottolineare che i romanzi, le liriche, oltre che ovviamente i saggi, pubblicati in quel periodo conservano un 88 Cfr. Muzzioli, Francesco (2013): Gruppo 63. Istruzioni per la lettura, Odradek edizioni, Roma, p. 217. 89 Ibidem. 46 apparato teorico molto forte ed hanno un approccio quasi meta letterario: facendo letteratura la si teorizzava, e viceversa. Le posizioni di fondo che la nuova letteratura assumeva erano però difficili da interpretare, tant’è che all’interno dello stesso Gruppo costituirono argomento di contrasti e di equivoci. Nel primo dibattito teorico in apertura del convegno del ‘63 emersero infatti due posizioni contrastanti esposte da Guglielmi e da Sanguineti. Il primo era sostenitore di una linea viscerale per un’avanguardia «a-ideologica, disimpegnata e astorica», al contrario Sanguineti, facendo riferimento anche a Benjamin e alla scuola di Francoforte, rivendicava una maggiore consapevolezza “sociale”. Partendo dal presupposto che ogni ideologia si fosse rivelata mendace, Angelo Guglielmi promulgò un atteggiamento di rifiuto radicale, atto ad azzerarle e a impedire un loro imporsi. Allo scrittore la realtà deve presentarsi al suo stato più puro, senza mediazioni e filtri, permettendogli di rovesciarne nell’opera i contenuti più aspri e caotici. L’unica avanguardia oggi possibile […] non contiene messaggi, né produce significati di carattere generale. Non conosce regole (o leggi) né come condizioni di partenza, né come condizioni di arrivo. Suo scopo è quello di recuperare il reale nella sua intattezza: ciò che può fare […] scoprendolo nella sua accezione più neutra, nella sua versione più imparziale, al grado zero.90 Il compito della nuova avanguardia per Guglielmi quindi non è quello di creare un’immagine cosmica altra ma piuttosto quello di sganciare il reale da ogni legame con il vecchio mondo e «sospenderlo in uno spazio neutro ove le cose giacciono reali e immobili»91. Pur riconoscendogli il radicale e coraggioso atteggiamento di trasformare in positivi gli argomenti critici avanzati dai nemici dell’avanguardia, la risposta alla 90 Barilli, R., Guglielmi, A. (a cura di) (2003): Gruppo 63. Critica e teoria, Testo & Immagine, Torino, pp. 237-262. 91 Ibidem. 47 posizione di Guglielmi arriva da Sanguineti. In primo luogo egli contesta l’esistenza di un’unica possibilità attuale di fare letteratura: in una società in cui sono presenti una pluralità di classi devono essere presenti di conseguenza una pluralità di condizioni estetiche possibili, e quindi di modi di fare letteratura. Tuttavia Sanguineti identifica una possibilità di sintesi tra gli elementi di ‘ideologia’ e di ‘linguaggio’: L’antitesi tra tradizione e avanguardia si potrebbe quindi schematizzare, trasponendo lo schema suggerito da Giuliani, in questo modo: assunzione dell’ideologia come elemento privilegiato, o, all’opposto, assunzione del linguaggio come elemento privilegiato. Ora, io non credo che ciò che caratterizza l’avanguardia sia questa assunzione privilegiata del linguaggio contro l’ideologia, ma la ferma consapevolezza che non si dà operazione ideologica che non sia, contemporaneamente e immediatamente, verificabile nel linguaggio.92 Per lo scrittore la realtà di un’opera è allo stesso tempo una realtà linguistica per il fatto che in un testo non vi è ideologia, esteticamente parlando, «se non nella forma del linguaggio». Per chiarire meglio il concetto è da intendere quindi l’avanguardia come la coscienza del rapporto tra intellettuale e società borghese identificata nella coscienza del rapporto tra ideologia e linguaggio, e cioè la consapevolezza del fatto che «ciò che è proprio dell’operazione letteraria in quanto tale è l’espressione di un’ideologia nella forma del linguaggio». L’oggetto ultimo della ricerca avanguardista è quello di collaborare al costituirsi di una nuova razionalità nella forma del linguaggio, l’unica possibile per l’artista; una razionalità che seppur riconosceva il cattivo uso dell’ideologia che finora era stato fatto, non la rifiutava in toto, riconoscendo una sintesi necessaria tra linguaggio e ideologia, come facce di una stessa medaglia. Il contrasto di fondo rimase e non fu, di fatto, intenzione del Gruppo 63 farsi portatore di una linea costitutiva precisa cosicché il dibattito rimase sempre aperto e anzi si alimentò e si trasformò con i convegni successivi. Non è infatti facile collegare in modo netto i singoli autori a questi orientamenti generali anche perché molti intrecciarono nella loro esperienza varie posizioni, senza identificarsi 92 Ibidem. 48 completamente in nessuna di esse; inoltre molti si avvicinarono al Gruppo 63 mantenendo posizioni individuali (come fu il caso di Manganelli o Arbasino) così come molti degli autori vicini al Gruppo provenivano da esperienze del tutto diverse e rimasero dal punto di vista teorico lontani dalle tendenze prevalenti. Allo stesso modo individuare un terreno di sperimentazione e di produzione letteraria comune a tutto il Gruppo risulta difficile, essendo questo diversificato dalla pluralità di stili e di poetica. Come fa notare Umberto Eco, la poetica comune del gruppo è rintracciabile proprio in quella disposizione alla sperimentazione collegiale, alla «ricerca collettiva»: Dunque il gruppo esisteva, ed esisteva la poetica comune: più che un progetto di operazione estetica era una disposizione morale, una constatazione storica. Si constatavano i pericoli di un lavoro letterario soltanto individuale, la necessità di una ricerca collettiva, anche là e proprio là dove le prospettive e le soluzioni divergevano.93 Tuttavia si può tradurre la poetica del Gruppo nella concezione del linguaggio come realtà tradotta in una dimensione testuale. Per meglio chiarire bisogna considerare il nuovo linguaggio non più come mezzo veicolare dei significati di realtà, ma esso si sostituisce alla realtà, diventando la realtà stessa. «Ogni ponte tra parola e cosa è crollato» come sostiene Guglielmi, e ancora: La lingua che ha fin qui istituito rapporti di rappresentazione con la realtà, ponendosi nei confronti di questa in posizione frontale, di specchio in cui essa direttamente si rifletteva, dovrà cambiare punto di vista. […] Questa è l’operazione essenziale del nuovo sperimentalismo.94 Con ciò si apre però una contraddizione in termini, l’operazione della neoavanguardia è infatti quella di trasformare un mezzo, come il linguaggio appunto, considerato logoro perché portatore dei significati della quotidianità in qualcosa che diventa essa stessa il significato; una ricerca sperimentale per superare le barriere della comunicazione tradizionali, le convenzioni dei linguaggi letterari, così come 93 Eco, Umberto: La generazione di Nettuno, in Giuliani, A., Balestrini, N. (a cura di) (1964): Gruppo 63. La nuova letteratura, Feltrinelli, Milano, p. 6. 94 Guglielmi, Angelo: Avanguardia e sperimentalismo, in «il verri», 1963/8. 49 del realismo e dell’ermetismo. A questo proposito c’è la tendenza a complicarne le strutture, disintegrandone la sua forma narrativa: alle forme alte e ai toni sentimentali si preferiva la distorsione dell’espressione, l’abbassamento mediante il gioco linguistico, il nonsense, il paradosso e il grottesco. A questo punto il linguaggio è contemporaneamente l’ostacolo da abbattere, il morbo da risanare ma anche la posta in gioco, la terapia; identificando totalmente testo e linguaggio, come se quest’ultimo fosse l’elemento chiave per l’identificazione del testo.95 Il tentativo della neoavanguardia di ridare alla letteratura un proprio e rinnovato spazio vitale si dovette tuttavia scontrare intanto, come accennato, con la situazione generale del Sessantotto, ma anche con le contraddizioni di fondo che il Gruppo portò avanti. Il Gruppo 63 è riuscito a realizzare il suo proposito di modernizzazione oltre che di apertura verso un orizzonte culturale più ampio, ha portato i suoi esponenti a posizioni di rilievo nel campo culturale italiano e ha comunque mostrato il suo legame con la spinta di rinnovamento che percorreva la società italiana e anzi se ne è fatto portatore, inglobando diverse realtà intellettuali; tuttavia la sua poliedricità comportò allo stesso tempo il distanziarsi delle diversi posizioni e la frattura del gruppo stesso. 95 Cfr. Ferroni, Giulio (2012): Storia della letteratura italiana. Il Novecento e il nuovo millennio, Mondadori Università, Milano, vol. 4, pp. 492-493 50 CAPITOLO III – IL GRUPPO 47 Con la fine della seconda guerra mondiale l’8 maggio 1945, quando le forze armate tedesche accettano la resa incondizionata, il popolo tedesco si trova smembrato e stremato dal regime nazista, la Germania è annientata dalla violenta distruzione che la guerra aveva prodotto. La seguente divisione del Paese in due blocchi di occupazione porterà la costituzione di un blocco orientale sovietico (DDR) e di uno, a Ovest, di tipo federale e angloamericano (BRD): la storia delle due Germanie, anche dal punto di visto socio-culturale, prenderà strade separate. Pur dovendo tralasciare la scena letteraria della Repubblica Democratica Tedesca (DDR), è mio interesse in questo capitolo considerare il movimento che proprio su questo sfondo mosse i primi passi, diventando a partire dalla fine degli anni Quaranta il gruppo letterario tedesco la cui eco ebbe forte risonanza sia in territorio nazionale che europeo: la Gruppe 47. È proprio a questo gruppo, come abbiamo più volte accennato, che si ispirerà la sua controparte italiana del Gruppo 63. Considerare la nascita, le prime fasi e gli sviluppi del gruppo tedesco sarà quindi importante per poter individuare in cosa e in che misura vi siano stati contatti e interferenze tra i due, soprattutto dal punto di vista della ricezione da parte italiana degli elementi tedeschi. 3.1. Le letteratura tedesca postbellica: la nascita della Gruppe 47 La Germania deve fare i conti, al termine della guerra nel 1945, con uno Stato annullato da un dodicennio di feroce dittatura che aveva seminato barbarie in tutto il mondo, facendosi portavoce del delirio hitleriano di violenza e di sterminio. Durante gli episodi conclusivi del conflitto, il Paese aveva subito un attacco feroce e senza 51 sosta da parte delle forze nemiche, Stati Uniti e in particolare Inghilterra, che avevano completamente raso al suolo la maggior parte delle città tedesche lasciando, a guerra conclusa, nient’altro che un cumulo di macerie. Con la sconfitta del Reich, inoltre, si riversarono nelle città tedesche oltre ai reduci di guerra (appena i due terzi degli oltre 18 milioni di soldati inviati al fronte) i circa 12 milioni di profughi che fuggivano dall’Armata Rossa che avanzava ad Est e i numerosi civili che erano scappati durante i bombardamenti: la situazione economica, politica e sociale in cui si ritrovarono le città dell’ex Reich fu addirittura più grave e difficile che durante il conflitto.96 Il 5 giugno 1945, dopo appena un mese dalla fine del conflitto, la Germania viene divisa in quattro zone di occupazione: una parte governata dall’Unione Sovietica, una parte sotto l’influenza statunitense, una di occupazione britannica e un’altra francese; dalla ripartizione iniziale si arriverà alla formazione di due Germanie, ad ovest la Bundesrepublik Deutschland (Repubblica federale di Germania, BRD) e ad est la Deutsche Demokratische Republik (Repubblica democratica tedesca, DDR). In seguito a questa divisione non è più possibile parlare di unità tedesca in quanto le due aree prendono direzioni sotto ogni aspetto differenti. Il punto di partenza per entrambi i blocchi di occupazione è l’epurazione nonché la condanna di ogni forma di ideologia nazista residua e la rieducazione dei reduci di guerra: una vera e propria Entnazifizierung (denazificazione). Tuttavia questa operazione viene intrapresa in modo differente: se il blocco orientale ha tutto l’interesse a farsi simbolo di una repubblica antifascista, nel blocco occidentale il processo viene presto trascurato e affidato alla coscienza del singolo97, tant’è che molti dei membri dell’ex partito nazionalsocialista non vennero mai identificati o legalmente perseguiti nella Repubblica federale. Se però non è possibile addentrarsi nell’analisi della complicata situazione politica che interessò la Germania postbellica, è da notare come questa differenza si rifletta anche nel campo letterario. 96 Per un approfondimento sulla questione post-bellica tedesca cfr. Calzoni, Raul (2013): La letteratura tedesca del secondo dopoguerra, Carocci, Roma, pp. 13-38. 97 A partire dal marzo 1946 a ciascun tedesco della BDR venne somministrato un Befragungsformular, un questionario di 131 domande, con il quale autocertificare la propria complicità o meno con il vecchio regime. 52 Quando gli intellettuali, che dopo l’ascesa di Hitler nel ‘33 avevano optato per l’emigrazione, cercano di rientrare in Germania non sono ben accolti dai sopravvissuti, i quali anzi criticano duramente e con diffidenza la loro scelta di abbandonare la patria e professare da lontano l’opposizione al nazismo. È piuttosto il governo sovietico a offrire agli intellettuali esuli la DDR come nuova patria, reintegrando tutti gli autori di ritorno dall’esilio, in una prospettiva che ben sostiene la politica culturale della zona orientale. Nell’Ovest, invece, una nuova generazione di scrittori cerca di riscattarsi da oltre un decennio di silenzio e di apatia culturale; questa, intenta ad opporsi alla generazione dei padri, riscopre una forma lontana da ogni tradizione artistica e volutamente poco letteraria. È questo il clima di partenza per l’esperienza della Gruppe 47 che vede nella fine della guerra un punto zero da cui poter ripartire. 3.1.1. Da «Der Ruf» al Gruppo 47 La storia del Gruppo 47 inizia a migliaia di chilometri di distanza dalla Germania, in un campo di prigionia sulla costa atlantica degli Stati Uniti. Ideata per i soldati tedeschi come mezzo di rieducazione ai valori americani di libertà e democrazia, nasce, nel campo di reclusione per prigionieri di guerra di Fort Kearney, la rivista «Der Ruf. Zeitung der deutschen Kriegsgefangenen in USA»98 stampata a partire dal marzo 1945. Tra i collaboratori della rivista si notano diversi tra quelli che nei decenni successivi faranno parte della scena letteraria tedesca, in particolar modo Hans Werner Richter e Alfred Andersch. Entrambi condivisero l’esperienza del fronte prima, e della prigionia americana poi, pur recependo in maniera differente le misure di democratizzazione degli americani; così descrive Richter l’incontro e l’inizio della collaborazione con il collega Andersch: 98 [Il richiamo. Rivista dei prigionieri di guerra tedeschi negli USA.] 53 Aus unserer ersten Begegnung in München […] ist eine kritische Freundschaft entstanden. Das erleichtert die Zusammenarbeit. Es gibt Gegensätze. Andersch will die Umerziehungspolitik der Amerikaner unterstützen, mehr oder weniger, mit Vorbehalten natürlich, ich wünsche härteste Kritik, klare Distanz zu den Besatzungsmächten und Ausnutzung alle demokratischen Rechte. Aber von vornherein ergibt sich eine fast ideale Zusammenarbeit.99 Al loro ritorno in Germania sono quindi concordi circa la necessità di riproporre l’esperimento della rivista come mezzo per dar voce alla nuova generazione che doveva risollevarsi dall’esperienza della guerra. Ottengono così la licenza per la pubblicazione a Monaco nell’agosto 1946 di una rivista quindicinale dal titolo «Der Ruf. Unabhängige Blätter der jungen Generation»100. L’intento delle “pagine indipendenti della nuova generazione”, seppur non dichiaratamente anti-americano, è senza dubbio molto critico: si cerca la rinascita di una nuova Germania, neutrale e libera, al di fuori dei blocchi, del capitalismo statunitense e dello stalinismo sovietico. Sebbene «Der Ruf» costituisca prevalentemente una piattaforma sociale e politica, presenta dei tratti anche spiccatamente letterari: per Gustav René Hocke, collaboratore di «Der Ruf» già dai tempi della sua versione americana, la lingua letteraria deve muoversi nella direzione di un nuovo realismo, lontana dalla “calligrafia”, dalla scrittura artificiosa asservita al nazismo. Così come l’arte di regime, Hocke critica il linguaggio «manieristico e simbolistico»101 della innere Emigration, la cui “introversione” nei confronti dell’arte non è più adatta al periodo post bellico. Der Blick wird schärfer. […] Man sieht die Dinge, wie sie sind, und bezeichnet offen und ohne Arabesken, was man am Rande der Wege und 99 Cfr. Richter, Hans Werner (1979): Hans Werner Richter und die Gruppe 47, Langen Müller, München, p. 53. 100 [Il grido di richiamo. Pagine indipendenti della nuova generazione.] 101 Hocke, Gustav René: Deutsche Kalligraphie oder Glanz und Elend der modernen Literatur, in «Der Ruf», 15.11.1946. 54 Ruinen findet. […] In Trümmern entdeckt man die ersten neuen Gesetze der soziologischen und psychologischen Wirklichkeit von heute.102 È questa la base da cui muove il discorso letterario all’interno del gruppo del «Ruf», il cui percorso deve però fermarsi bruscamente e prendere altre strade quando nell’aprile 1947 gli americani fanno chiudere la rivista. Hans Werner Richter, che si fa portavoce di questa nuova generazione, è in particolar modo intenzionato a mantenere uniti ad ogni costo tutti coloro i quali avevano costruito intorno alla rivista monacense un nuovo corso per la cultura tedesca: organizza così un incontro presso Altenbeuern, nell’estate dello stesso anno, al quale invita tutti i collaboratori e gli interessati che gravitavano intorno alla rivista «Der Ruf». Inaugura il convegno lo scrittore Rudolf Alexander Schröder (1878), personalità letteraria molto lontana dalla maggioranza di quelli che si erano radunati intorno all’attività di Richter, e il cui intervento dal titolo Il mestiere del poeta nel tempo poco aveva a che fare con il motto di quell’incontro «Ruf der Jugend» (Il richiamo della gioventù).103 La riunione, come ricorda lo stesso Richter in seguito, non aveva portato al costituirsi di un gruppo compatto che fosse nuovo sia per direzione sia per identità: Die meisten waren unzufrieden mit dem Verlauf der Tagung. Nein, das was sie gehört hatten, war nicht das, was sie sich unter Literatur vorstellten, einer neuen Literatur, einer Literatur der Gegenwart. Nur mir gefällt etwas. Es geht mir nicht aus dem Kopf: dieses Lesen und Kritisieren und Wiederlesen und Wiederkritisieren. Gewiss, es war hier nicht vorgegeben.104 Tuttavia si era aperta una strada che indicava in quale direzione muoversi e come: „Wir müssten den Ruf wiederhaben” meinte Richter. Aber den konnten wir nicht wiederbekommen. „Wir müssen eine neue Zeitschrift gründen“ sagte Richter. „Eine literarische Zeitschrift, in der wir unsere Arbeiten vorlegen, in der wir diskutieren können“, fuhr Richter fort. […] „So was 102 Ibidem. 103 Cfr. Böttiger, Helmut (2012): Die Gruppe 47: als die deutsche Literatur Geschichte schrieb, Deutsche Verlags-Anstalt, München, p. 51. 104 Richter, Hans Werner: Bruchstücke der Erinnerung, in «Literaturamagazin 7: Nachkriegsliteratur», 1977, p. 137. 55 sollte man öfter machen. Manuskripte vorlesen, diskutieren – da kommt was dabei heraus. Nur die richtigen Leute müssen zusammenkommen – das hier ist zu gemischt“.105 Al fine di progettare e discutere una nuova rivista di stampo letterario, Hans Werner Richter propone un nuovo incontro il 6 e il 7 settembre sul Bannwaldsee. «Der Skorpion», così avrebbe dovuto chiamarsi la rivista che però non ottenne mai la licenza di pubblicazione, diventa tuttavia l’occasione per una lunga serie di incontri di un nuovo gruppo di scrittori, di poeti e di intellettuali: una nuova generazione accomunata, più che dalla vicinanza anagrafica, dalla necessità di creare qualcosa di nuovo in campo culturale. I partecipanti a questa riunione sono: Wolfgang Bächer, Heinz e Maria Friedrich, Walter Maria Guggenheimer, Walter Kolbenhoff, Friedrich Minssen, Hans Werner e Toni Richter, Wolfdietrich Schnurre, Ilse Schneider-Lengyel, Nicolaus Somart, Heinz Ulrich, Franz Wischnewski e Freia von Wuelisch; il gruppo di appena quindici persone era accorso da tutta la Germania, dalle più variegate esperienze, poco consapevoli di quello che sarebbe realmente accaduto in quell’occasione. Dal racconto di Heinz Friedrich di questo incontro106 emerge un’atmosfera quasi “boccaccesca”: una fuga da quella “peste” prodotta dal dodicennio nazista, che aveva imbavagliato un intero popolo, il quale ora ha voglia di scrivere, leggere e discutere. In questo clima cominciano le tanto attese letture e discussioni, inaugurate dalla lettura della poesia Das Begräbnis di Wolfdietrich Schnurre: Nach der ersten Lesung – es ist Wolfdietrich Schnurre – sage ich: „Ja, bitte zur Kritik. Was habt Ihr dazu zu sagen?“ Und nun beginnt etwas, was keiner in dieser Form erwartet hätte: der Ton der kritischen Äußerungen ist rauh, die Sätze kurz, knapp, unmissverständlich.107 105 Cfr. Richter, Hans Werner (a cura di) (1962): Almanach der Gruppe 47, 1947-1962, Rowohlt, Reinbeck, p. 19. 106 Cfr. Bignami, Marta (2008): Introduzione, in Bignami, Marta (a cura di): Antologia del Gruppo 47. Autori tedeschi dal 1947 al 1967, Aracne, Roma, pp. 11-12 107 Cfr. Richter, Hans Werner (1979): Hans Werner Richter und die Gruppe 47, Langen Müller, München, p. 84. 56 In maniera quasi del tutto spontanea, quello che emerse dalla prima lettura fu l’importanza che la critica in tale contesto assume. I testi sottoposti all’uditorio del Bannwaldsee vengono attaccati senza timore: ogni parola letta viene soppesata, ogni frase passata al vaglio, analizzata, sviscerata. Si rifiutano le parole «antiquate e obsolete» e le espressioni utilizzate durante il nazismo: il regime aveva infatti portato a quella che Richter definisce «die große Sprachabnutzung»108, il logorio di una lingua asservita al potere e stereotipata. Per l’autore del dopoguerra il linguaggio ha perso ogni significato, egli sente il bisogno di recuperarne il suo aspetto nudo e crudo, spogliato di ogni ornamento: Verworfen werden die großen Worte, die nichts besagen und nach Ansicht der Kritisierenden ihren Inhalt verloren haben: Herz, Schmerz, Lust, Leid. Was Bestand hat vor den Ohren der Teilnehmer sind die knappen Aussagesätze.109 L’incontro si concluse con la lettura di tutti i brani che gli accorsi alla riunione avevano deciso di presentare, con la consapevolezza che l’esperimento si sarebbe dovuto ripetere e con la medesima modalità. È necessario precisare che con l’incontro di Bannwaldsee non si firmò nessuna carta d’intenti, tanto meno si prestò alcun giuramento dichiarando la propria appartenenza al gruppo; il ristretto gruppo che vi accorse era ravvivato in particolar modo dalle giovani anime che lo componevano. Hans Werner Richter, come un moderno mecenate, diede ospitalità anche ai giovanissimi, privi di qualsiasi esperienza letteraria, ai quali occorreva innanzitutto una base e un luogo dopo poter esprimersi e diventare loro stessi autori: così il percorso del gruppo iniziò non come attività letteraria ma come possibilità di rendersi, dal punto di vista letterario, riconoscibili.110 108 Ibidem. 109 Ibidem. 110 Tavola rotonda 50 Jahre Gruppe 47 - Die Gruppe 47 und der Literaturbetrieb, Literarisches Colloquium Berlin, 07.03.1997. «Der Literaturbetrieb begann so nicht als Literaturbetrieb, sondern als Möglichkeit sich literarisch bemerkbar machen zu können» 57 3.1.2. Dopo l’incontro sul Bannwaldsee Appena due mesi dopo l’inaugurale incontro sul Bannwaldsee ha luogo la seconda riunione di quello che ha preso il nome di Gruppe 47. Al termine del primo convegno fu Hans Georg Brennen a proporne il nome, ispirato alla spagnola Generación del 98, un movimento culturale nato dopo la guerra ispano-americana del 1898 fortemente orientato alla riflessione sui problemi della cultura e della società del paese. In effetti la definizione di ‘gruppo’ ben calzava a quello che non poteva definirsi in alcun modo come una società, tantomeno come un movimento letterario. Prima ancora di specificare chi ne fece parte, cosa produsse e quali furono le sue caratteristiche, mi sembra opportuno premettere cosa sia stato realmente la Gruppe 47 e quale sia stata la sua entità. Fin dal principio i partecipanti rifiutano qualsiasi definizione di organizzazione o associazione, non vi è alcuno statuto tantomeno una quota di partecipazione, nessun presidente, nessun socio. Il Gruppo 47 è piuttosto un Freundkreis, una cerchia di amici, o come preferiva definirlo Hans Magnus Enzensberger, una Clique111, una cricca, con i suoi contrasti e rivalità, al cui interno non vi è alcuna programmaticità. Tra la “giovane generazione” che si incontrava nel Gruppo 47 non tutti erano giovani: c’era chi nel 1947 aveva già superato i trent’anni e chi invece ne aveva appena venticinque; “giovane” descrive più il loro percorso culturale. Bisogna immaginare che quelli che nel 1945 sono appena ventenni, come Friedrich Heinz stesso ricorda, si ritrovano «sputati nella storia del mondo»112: l’unica esperienza vissuta era stata quella della guerra, in cui avevano combattuto per qualcosa in cui alla fine non credevano più e in cui erano stati scaraventati senza cognizione di causa. Dal punto di vista culturale non hanno nessun riferimento e la fine del conflitto rappresenta per loro un vero “punto zero”, una Stunde Null. Seppur l’esistenza di un effettivo Nullpunkt nella storia tedesca con il ’45 sia ancora dibattuta, sicuramente l’esperienza comune della guerra e del 111 Cfr. Enzensberger, Hans Magnus: Die Clique, in Richter, Hans Werner (a cura di) (1962): Almanach der Gruppe 47, 1947-1962, Rowohlt, Reinbeck. 112 Tavola rotonda 50 Jahre Gruppe 47 - Die Gruppe 47 und der Literaturbetrieb, Literarisches Colloquium Berlin, 07.03.1997. 58 nazismo costituiscono il collante per riunire tutte le diverse anime e personalità del Gruppo 47.113 Sul concetto di Nullpunkt, se ci limitiamo a considerarlo all’interno della Gruppe 47, emerge la posizione di Alfred Andersch nel discorso Die deutsche Literatur in die Entscheidung, tenuto durante la sua prima partecipazione al gruppo nella seconda riunione. Tale discorso, per il suo carattere programmatico, costituisce una rara eccezione nella storia della Gruppe 47; sebbene Richter abbia sempre evitato fin dal principio qualsiasi dibattito di carattere teorico, per Andersch nasce la necessità di legittimare l’esistenza del gruppo individuandone un comune denominatore da cui partire per creare un percorso unitario: la consapevolezza di vivere un’ora zero per la storia della Germania e di un necessario nuovo inizio. L’uomo post ‘45 si sente nella condizione di dover ripartire, anche dal punto di vista storico, liquidando ogni presa di coscienza o responsabilità morale verso il passato e trovandosi catapultato in un nuovo presente in cui ricominciare. Inizialmente, infatti, la generazione del Gruppo 47 è figlia dell’idea del Nullpunkt che dal punto di vista letterario si traduce in una totale assenza di riferimenti e modelli da seguire, quindi nella necessità di una completa ricostruzione del canone letterario, le cui fondamenta non sono più rintracciabili. Il concetto di Kahlschlag, coniato da Wolfgang Weyrach nel 1949, ben descrive la scrittura dei giovani autori del Gruppo 47. La letteratura del presente dà «un taglio netto alla boscaglia»114, lasciando una tabula rasa su cui l’autore deve riscrivere «una sorta di ABC delle frasi e delle parole»115. La lingua diventa quindi semplice, priva di fronzoli, essa descrive cose e avvenimenti quotidiani. Si rifiuta l’utilizzo di metafore e di simboli perché la scrittura ha il solo scopo di rappresentare 113 Cfr. Böttiger, Helmut (2012): Die Gruppe 47: als die deutsche Literatur Geschichte schrieb, Deutsche Verlags-Anstalt, München, p. 70. 114 Cfr. Weyrauch, Wolfgang (1949): Tausend Gramm. Sammlung neuer deutscher Geschichten, Rowohlt, Reinbeck. 115 Citato in Dallapiazza, M., Santi, C. (a cura di) (2001): Storia della letteratura tedesca. Il Novecento, vol. III, Edizioni Laterza, Roma-Bari, pp. 190-191. 59 i fatti: anche se questi appartengono al passato, come quelli relativi all’esperienza della guerra, sono privi di qualsiasi interpretazione o implicazione morale.116 Non è possibile riscontrare una completa uniformità nella produzione degli autori del gruppo, c’è tuttavia la ricerca di uno stile nuovo, essenziale e conciso, a tratti colloquiale e frammentario; l’Ich dell’autore viene sostituito dall’impersonale man che fa riferimento alla situazione comune vissuta dalla massa, gli orrori della guerra e del dopoguerra vengono rievocati in uno stile crudo e realista, limitandosi al piano esteriore dell’esperienza.117 Nei primi anni, l’idea di canone letterario non esiste all’interno del gruppo, se non in maniera del tutto plurale, ognuno porta con sé gli scritti e le letture che ritiene più opportuni; quello che invece esiste all’interno del Gruppo 47 è la pratica della critica delle opere lette. Sono i criteri con cui si valutano e si criticano gli scritti inediti che tendono a spianare i differenti punti di vista e le diverse concezioni estetiche dei vari membri, portando con il tempo ad una sorta di omogeneità. Questo si attua anche attraverso quella serie di fattori che possono incidere positivamente sul giudizio espresso da parte dell’uditorio sull’opera. Ad esempio, generi letterari come la prosa breve, le short stories di ispirazione americana e la poesia, sono preferiti per via dei brevi tempi di lettura a disposizione. Il fenomeno si accentua maggiormente quando, già nei primi anni Cinquanta, redattori di testate giornalistiche e case editrici in cerca di nuovi talenti inizieranno a prender parte alle riunioni in maniera sempre più attiva; i giovani artisti, interessati così a fare una buona impressione al fine di ottenere una pubblicazione, compongono brani appositamente per l’evento mettendo in risalto quei tratti stilistici ormai divenuti paradigmatici. Proprio a partire da quegli anni, il Gruppo 47 diviene un’istituzione letteraria e dà origine a un processo di selezione delle opere che diventano canoniche per quel periodo della letteratura tedesca e per alcuni decenni a seguire. Un’importante legittimazione la si ottiene quando viene istituito il premio annuale della Gruppo 47. Inizialmente gli incontri si svolgono due volte l’anno, Hans 116 Ibidem. 117 Cfr. Bignami, Marta (2008): Introduzione, in Bignami, Marta (a cura di): Antologia del Gruppo 47. Autori tedeschi dal 1947 al 1967, Aracne, Roma, pp. 14-15. 60 Werner Richter, capo spirituale del gruppo, organizzava le riunioni invitando i partecipanti con una cartolina in cui indicava data e luogo dell’incontro. Si tenevano perlopiù in posti appartati, locande, conventi abbandonati o luoghi diroccati, il più delle volte duri da raggiungere soprattutto per le difficoltà del periodo: gli invitati arrivavano spesso in treno nelle città più vicine, poi dovevano seguire sentieri impervi a piedi o con mezzi di fortuna, con i loro manoscritti sotto braccio, per raggiungere il luogo dell’incontro in cui ci si tratteneva per l’intero fine settimana animati dalle discussioni e dalle letture. Tuttavia gli scarsi mezzi di cui si disponeva e la crescita costante del Gruppo, imposero presto la necessità di trovare dei finanziatori. Richter si mise alla ricerca, cercando di rafforzare i suoi rapporti con importanti editori che invitava alle riunioni del gruppo. Nel 1950 vi è però la vera svolta quando, grazie alla sua amicizia con l’autore Franz Joseph Schneider, impiegato presso l’agenzia pubblicitaria americana McCann Company, può concretizzare l’idea di un premio letterario interno alla Gruppe 47. La mediazione di Schneider permette infatti di ottenere il finanziamento cosicché nella riunione del 1950 viene assegnato per la prima volta il premio del Gruppo 47 a Günter Eich.118 Un premio letterario produsse un effetto nell’opinione pubblica molto più forte di quanto potesse fare una semplice riunione di scrittori, perlopiù sconosciuti. La premiazione di Günter Eich, autore già conosciuto al pubblico per le sue poesie, conferì al gruppo un prestigio enorme e fu il modo per legittimare definitivamente l’attività letteraria del Gruppo. 118 Cfr. Böttiger, Helmut (2012): Die Gruppe 47: als die deutsche Literatur Geschichte schrieb, Deutsche Verlags-Anstalt, München, p. 107-109. 61 3.2 La seconda generazione di scrittori: gli sviluppi del Gruppo Nel corso degli anni Cinquanta il Gruppo 47 consolida la sua posizione all’interno del campo della letteratura tedesca. L’istituzione del premio, così come l’interesse crescente da parte dell’editoria alle riunioni, aveva infatti assicurato l’ingresso del Gruppo all’interno dell’industria letteraria, facendo dei suoi autori i protagonisti della produzione contemporanea nella Germania occidentale. Allo zoccolo duro di autori che partecipano agli incontri, si aggiungono di volta in volta nuovi scrittori su invito di Hans Werner Richter; la vera novità dei primi anni Cinquanta è la partecipazione sempre maggiore di professionisti dell’industria culturale nonché di critici. Gli altri scrittori presenti parteciperanno, da questo momento, sempre meno al vivo del dibattito: ad occupare la prima fila di fronte alla “sedia elettrica” (così era ironicamente chiamata la postazione da cui venivano letti i testi) vi è ora una schiera di critici tra cui spiccano i nomi di Walter Jens, Joachim Kaiser, Walter Höllerer, Hans Meyer e Marcel Reich-Ranicki. Questo gruppo di critici professionisti diventerà parte attiva degli incontri e in particolare dominerà la discussione sui testi presentati, avanzando le proprie critiche e osservazioni e rivestendo un ruolo importante sia per quanto riguarda l’assegnazione del premio del Gruppo sia per l’affermazione degli autori. I loro giudizi su un autore piuttosto che su un testo fungono da consulenza per i responsabili di testate giornalistiche e di case editrici, con le quali gli stessi critici spesso collaborano. Con questo sistema vengono infatti lanciati numerosi artisti emergenti sul mercato così come avviene nelle radio le quali reclutano le penne del Gruppo nelle loro redazioni, portandole spesso alla ribalta per il grande pubblico. La radio assume un ruolo di rilievo crescente nella produzione letteraria promuovendo il genere dell’Hörspiel, sempre più in voga durante gli anni Cinquanta: in un primo periodo i radiodrammi di Eich saranno per il grande pubblico anche più famosi delle sue poesie.119 119 Cfr. Böttiger, Helmut (2012): Die Gruppe 47: als die deutsche Literatur Geschichte schrieb, Deutsche Verlags-Anstalt, München, p. 89. 62 Le redazioni vicine al gruppo di Hans Werner Richter sono quelle della «Welt», della «Frankfurter Allgemeine» della quale Andersch sarà stretto collaboratore, della «Zeit», dello «Spiegel» ma anche del NWDR (Nordwestdeutscher Rundfunk), le quali, insieme a numerose case editrici anch’esse interessate alle novità letterarie quarantasettine, saranno le principali finanziatrici delle riunioni così come del premio letterario. Durante il corso degli anni Cinquanta, con l’intervento dei media, emerge la tendenza a considerare la validità dei testi anche dal punto di vista del loro potenziale commerciale; intorno alla Gruppe 47 si viene così a creare una rete molto importante di contatti che rappresenta la grande occasione per i nuovi, sconosciuti, scrittori che ne entrano a far parte.120 Basti pensare alle numerose case editrici: al Strahlberg Verlag e al Weiss Verlag attive nei primi anni, si aggiunsero Rowohlt, Piper, la Deutsche Verlags-Anstalt ed editori come Fischer, Ullstein, Otto Walter e il giovane Klaus Wagenbach; questi erano sempre più influenti nella critica dei testi, nel promuovere o bocciare quella piuttosto che quell’altra lettura.121 Non bisogna dimenticare l’attenta politica di mercato della casa editrice Suhrkamp tesa a favorire i giovani scrittori o più innovativi dal punto di vista stilistico o le cui opere avessero un forte contenuto di critica sociale. In questo modo la casa diventò verso la fine degli anni Cinquanta una fra le più attente e sensibili alle tendenze letterarie contemporanee.122 Il crescente interesse mediatico al gruppo è dovuto anche alla trasformazione sociale ed economica che la Germania stava vivendo agli inizi del decennio. Il boom economico vissuto dalla Repubblica federale si rivelò contraddittorio: da una parte l’industria culturale aveva a disposizione un capitale maggiore da investire, dall’altra parte diminuiva il prestigio della letteratura, o sarebbe meglio dire, il ruolo consolatorio che la letteratura dell’immediato dopoguerra aveva avuto. Pertanto la scena culturale, nella quale entrarono in misura sempre maggiore i giornali, la radio e 120 .Ivi, p. 213. 121 Cfr. Pohl, Eckhart: Die Gruppe 47 und der Literaturbetrieb. Ein Rückblick, in Arnold, Heinz Ludwig (a cura di) (1981): Literaturbetrieb in der Bundesrepublik Deutschland, Edition Text + Kritik, München, pp. 36-37. Non a caso abbiamo già accennato all’attività di Suhrkamp nel capitolo I. Le novità importate in Italia da Feltrinelli, così come da Einaudi, erano per la maggior parte edite in Germania da Suhrkamp, così come la casa editrice di Francoforte fu la finanziatrice del progetto «Gulliver». 122 63 successivamente anche la televisione, si trovò a prendere le distanze da tutte le manifestazioni del miracolo economico, rifiutando la fiducia generale in quella che Hans Meyer definisce «amena restaurazione»123 che avrebbe dovuto sanare la Germania dal proprio passato. Nell’autunno del 1949 viene eletto cancelliere della BRD Konrad Adenauer, esponente della CDU (Christilich Demokratische Union), che governerà per oltre dieci anni il paese. La sua politica conservatrice muove verso un rapido e immediato recupero economico, garantendo un governo democratico stabile e completando l’opera di ricostruzione della Germania. Per quanto riguarda la politica estera vengono ricostruiti e risaldati i rapporti con l’Europa occidentale e con le potenze della NATO, nella quale la Germania Federale entra a pieno titolo. Sono gli anni in cui i rapporti tra le potenze di Stati Uniti e Russia si incrinano sempre di più, generando un clima di ostilità che determinerà gli assetti mondiali per oltre mezzo secolo. La Germania è direttamente coinvolta e sono proprio le politiche di Adenauer a determinare il posizionamento della BRD nel blocco occidentale della guerra fredda e inasprire, senza possibilità di ritorno, la spaccatura tra le due Germanie. A causa della delicata posizione assunta dalla Germania federale cresce la paura di uno scontro sul campo tra Stati Uniti e Unione Sovietica, ma soprattutto della risoluzione del conflitto con il ricorso ad una guerra nucleare, il paventato Atomtod. In questo clima la Germania federale si appresta al riarmo, ristabilendo il servizio di leva obbligatorio, Adenauer difende il diritto della Germania ovest alla Wiederbewaffnung, ponendo fine alla politica di demilitarizzazione dell’immediato dopoguerra. Forte della crescente prosperità economica, il governo di Adenauer non fece infatti in alcun modo i conti con la Schuldfrage, la questione della responsabilità del popolo tedesco durante il nazismo e la guerra; la fiducia nel progresso finanziario accelerò il processo di rimozione del recente passato da parte della Germania, continuando ad andare avanti come se nulla fosse successo.124 123 Cit. in Dallapiazza, M., Santi, C. (a cura di) (2001): Storia della letteratura tedesca. Il Novecento, vol. III, Edizioni Laterza, Roma-Bari, pp. 199-200. 124 Ibidem. 64 Nel contesto di nostro interesse, quello della Gruppe 47, si sviluppa un’opposizione culturale a questo fenomeno, portando ad una politicizzazione sempre più forte della letteratura, sebbene questa, in un primo momento, non affronti ancora direttamente la questione della colpa così come la divisione delle due Germanie. A tal proposito è significativo osservare come cambia, tra il 1956 e il 1957, la posizione di una figura centrale all’interno del Gruppo, Hans Werner Richter. A partire dal 1956, Richter decide di limitare le riunioni ad un unico appuntamento annuale anziché due come negli anni precedenti. Tale decisione era dovuta ai suoi crescenti impegni con il Grünwalder Kreis, un gruppo politico di sinistra fondato dallo stesso Richter nel 1956. Da quel momento infatti è crescente per Richter la necessità di un impegno politico e la sua attività all’interno del Kreis occupa sempre più tempo: il movimento combatteva il pericolo di una rimilitarizzazione e di una Refaschisierung, ovvero il rischio di una politica adenaueriana di destra radicale. Con una lettera a Walter Mannzen nel 1956 Richter stabilisce le sue nuove priorità: Die Gruppe 47 wird diesmal wohl zurückstehen müssen… das Politische ist im Augenblick wichtiger als das Literarische.125 Nel 1957 la Gründungsgeneration del Gruppo, tra cui lo stesso Richter, è sempre più coinvolta nell’attività politica tanto da portare, per la prima volta, il dibattito ad uno scontro generazionale interno al Gruppo che esula dal discorso puramente poetologico. Richter aveva sempre evitato qualsiasi discussione che si allontanasse dall’aspetto concreto sui testi letti; tuttavia dalle letture dell’incontro di Niederpöcking si acuisce in modo inevitabile lo scontro tra la vecchia e la nuova generazione, la quale si avvicinava sempre più all’«arte delle forme»126 e si allontanava dall’engagement. Si stava costituendo una nuova generazione di autori, che Richter definisce i «formalisti»: provenivano dalle università ed erano più preparati dal punto di vista teorico, al loro arrivo nel Gruppo avevano già una buona formazione culturale, a differenza della vecchia generazione degli «autodidatti», dei 125 Cfr. Cofalla, Sabine (a cura di) (1997): Hans Werner Richter, Briefe, Hanser, Münich, p. 229. 126 Ivi, p. 175. 65 «realisti»127. Il sociologo Theo Pirker, presente alla riunione del 1957, si scaglia duramente contro la seconda generazione della Gruppe 47, e a proposito dello scontro verbale che ne segue racconta così Richter: Für sie galten nur ästhetische und formale Kriterien. Die Auseinandersetzung artete schnell in Streit aus, wurde zu einem Wortgefecht der Emotionen und brachte die Gruppe 47 fast an der Rand ihrer Existenz. Es blieb mir nichts anderes übrig, als aufzustehen und Pause zu rufen.128 La Gruppe 47 festeggia il decimo anniversario con quella che fu la sua prima crisi interna che sembrava potesse essere il capolinea del suo percorso. Tuttavia Richter rimane convinto della necessità di tenere in vita il Gruppo e mostra ancora una volta abilità nel saper ricompattare le diverse fazioni: Hier kann jeder seine Meinung sagen, selbst wenn er dadurch in den Verdacht kommen sollte, ein Banause oder ein Soziologe zu sein.129 Richter riunisce imperterrito il gruppo anche per l’anno successivo, senza immaginare che proprio a partire dalla riunione del 1958, il Gruppo 47 raggiunge il suo punto più alto a livello letterario, sia in campo nazionale che internazionale. Nell’incontro di Großholzleute viene ristabilito nuovamente il premio letterario del Gruppo 47: l’ultimo Literaturpreis era stato infatti assegnato nel 1955 a Martin Walser mentre nei due incontri successivi non era stato individuato, anche a causa degli screzi di cui abbiamo appena parlato, nessun autore meritevole di questa assegnazione. Nel 1958 torna una vera e propria esigenza di premiare, a giudizio pressoché unanime, un giovane autore, il quale presenta un capitolo del romanzo che sta scrivendo. Il giovane autore è Günter Grass e il romanzo, il famoso Die Blechtrommel. Günter Grass era ancora pressoché sconosciuto alla critica e al Gruppo 47, se non per qualche poesia o breve dramma di cui veniva apprezzato il 127 Cfr. Böttiger, Helmut (2012): Die Gruppe 47: als die deutsche Literatur Geschichte schrieb, Deutsche Verlags-Anstalt, München, p. 220. 128 Cfr. Richter, Hans Werner (1979): Hans Werner Richter und die Gruppe 47, Langen Müller, München, p. 123. 129 Cfr. Lettau, Reinhard (1967): Die Gruppe 47, Luchterhand, München, p. 127. 66 particolare ingegno linguistico, segno di un «talento naturale»130. Lo stesso Richter ricorda che nessuno si sarebbe aspettato molto da quella prima volta sulla “sedia elettrica” per il giovane autore: Und dann liest Günter Grass. Ich erwarte nichts Besonderes, nur wieder das, was ich schon kenne: die urwüchsige Sprachbegabung eines Naturtalents, die ihm die Kritik längst bescheinigt hat. 131 Di letture di romanzi durante le riunioni se ne erano sentite poche all’interno del Gruppo, quindi anche per questo la decisione di leggere da un romanzo sorprese l’uditorio, ancora di più perché tale scelta proveniva da un autore dedito alla lirica, piuttosto che alla prosa. La schiera di critici, così come quella degli altri partecipanti, rimane sbalordita dalla lettura di Grass: a fine lettura il gruppo è convinto del valore del brano e dell’urgenza di assegnare il riconoscimento a Grass. Gli stessi editori, presenti in gran numero all’incontro, suggeriscono a Richter di conferirgli il premio, provvedendo al finanziamento di cui al momento Richter non disponeva. In pochissime ore riesce a raccogliere una somma che mai fino a quel momento era stata assegnata per un Literaturpreis: Grass steht draußen in einem schmalen Gang an der Theke des Gasthofes und jedes Mal, wenn ich an ihm vorbeikomme, sage ich: „Noch mal 500 DM mehr“, und er lacht, trinkt einen Schnaps drauf, und als ich zum letzten Mal an ihm vorbeikomme – nun sind es fünftausend Mark – lacht er noch immer und lacht und lacht.132 La premiazione di Günter Grass e il suo romanzo diventano anche simboli di un cambiamento all’interno del campo letterario tedesco contemporaneo: a partire da questo momento si può definire concluso il dopoguerra e la storia culturale della giovane BRD apre un nuovo capitolo. 130 Cfr. Richter, Hans Werner (1979): Hans Werner Richter und die Gruppe 47, Langen Müller, München, p. 139. 131 Ivi, p. 140. 132 Ibidem. 67 Questo nuovo capitolo non si limita al solo Grass, l’anno successivo infatti Il tamburo di latta viene pubblicato e presentato alla Fiera del libro di Francoforte insieme a due grandi romanzi: Billard um halbzehn del già conosciuto Böll e Mutmaßungen über Jakob di Johnson. Die junge Literatur kann in diesem Herbst mindestens drei Bücher vorweisen, die es verdienen, Ereignisse genannt zu werden: Günter Grass ‚Die Blechtrommel‘, Uwe Johnson ‚Mutmassungen über Jakob‘ und Heinrich Böll ‚Billard um halbzehn‘.133 Il 1959, l’“anno del romanzo”, rappresenta così una svolta nella produzione letteraria del Gruppo 47: viene definito l’annus mirabilis della letteratura tedesca, lo Schlüsseljahr nella produzione narrativa della Germania federale.134 Per la prima volta dalla fine della guerra, in questi romanzi, c’è la volontà di dire qualcosa di nuovo con cui prima non si era voluto fare i conti e per dirlo non si utilizzano le stesse forme letterarie dell’immediato dopoguerra ma emergono strutture narrative più complesse, come in Böll, un linguaggio dissacrante e non convenzionale, in Grass, e la tecnica del montaggio in Johnson. Non è possibile condurre ora un’analisi dettagliata soffermandosi sulle strutture formali e stilistiche introdotte dai tre romanzi ma si può invece considerare come, in generale, queste opere si facciano portavoce di novità tematiche, rispecchiando il cambiamento della società tedesca degli anni Cinquanta. Congetture su Jakob sarà il primo grande romanzo, facendo uso di un montaggio di tipo poliziesco, a tematizzare la divisione della Germania; ma dello scritto di Johnson ce ne occuperemo in maniera più approfondita nell’ultimo capitolo. La sfida di Grass e di Böll, invece, è quella di raccontare e denunciare le problematiche e le contraddizioni della società adenaueriana. Con Biliardo alle nove e mezza Böll si pone l’intento di tematizzare il rapporto dei tedeschi con il proprio passato; ricorrendo ad un’architettura narrativa 133 Becker, Rolf: Ein Schritt nach vorn, in «Magnum», 1959/26, p. 62. 134 Lorenz, M., Pirro, M. (a cura di) (2011): Wendejahr 1959? Die literarische Inszenierung von Kontinuitäten und Brücken in gesellschaftlichen und kulturellen Kontexten der 1950er Jahre, Aisthesis Verlag, Bielefeld, pp. 9-11. 68 più complessa, si distanzia dal tipico Einfachwerden della “letteratura delle macerie” che caratterizzava la sua prima produzione. Con il susseguirsi di regressioni, ricordi, pensieri e monologhi interiori si cerca di ricostruire tramite la storia della famiglia Fähmel e le sue generazioni la grande Storia della Germania del Novecento: in una trama svuotata dai grandi eventi, ricorrono simboli e personaggi con cui Böll ripercorre la storia dell’ipocrisia borghese e conservatrice tedesca dalla società nazista a quella postbellica e a lui contemporanea, nella quale individua una continuità tra la Germania hitleriana e quella di Adenauer. In modo unico Böll riesce a costruire un romanzo dotato di piena autonomia e validità dal punto di vista estetico, grazie alle particolari tecniche stilistiche riprese della grande tradizione narrativa contemporanea, e allo stesso tempo ad anticipare e influenzare il dibattito politico. L’era Adenauer aveva portato avanti, dietro a un ostentato benessere sociale, il lavoro di rimozione del passato, quello stesso passato che riemerge frequentemente nel romanzo di Böll e che i personaggi devono ancora elaborare; quella di Billard um halbzehn è una denuncia della persistenza nella politica della BRD dell’ideologia nazista, la quale deve essere superata coscientemente e rifiutata da parte del popolo tedesco e non ipocritamente rimossa. La pubblicazione del Tamburo di latta replicò su scala internazionale il successo che aveva riscosso all’interno del Gruppo 47, posizionandosi come uno dei più grandi successi della letteratura tedesca del dopoguerra. Tuttavia da parte della critica il romanzo subì una rigida stroncatura non solo a livello letterario ma soprattutto perché fece infuriare le numerose istituzioni, i politici e i membri della Chiesa contro cui il romanzo lanciava le sue provocazioni. Al pari di quello di Böll, il romanzo di Grass mette a nudo, in un tono ancora più crudo e aggressivo, i meccanismi di rimozione del passato in azione nella BRD, distruggendo così la grande menzogna collettiva secondo cui i tedeschi non avrebbero potuto impedire in alcun modo l’avanzata nazista e che permetteva loro di discolparsi completamente dalle azioni del Terzo Reich, delle quali ritenevano responsabili solo i vertici del regime. Il bersaglio della satira dell’autore è infatti proprio il mondo piccolo borghese che durante l’avvento del nazismo vedeva nel regime una speranza per migliorare la propria situazione economica e sociale così come ora viene vista 69 nell’ipocrisia dell’era Adenauer.135 Di questo mondo fa parte anche il personaggio attorno al quale l’autore costruisce una sorta di Bildungsroman, il nano Oskar Matzerath, la cui vita viene presentata dall’unico punto di vista del protagonista stesso. L’onnisciente nano Oskar, che dalla nascita «sapeva più o meno tutto»136, narra la propria storia dal primissimo momento della venuta al mondo. Suonando il suo vecchio tamburo di latta, dà il ritmo a un flusso di ricordi e riesce a far parlare il proprio passato: con ingenuità, dietro cui si nascondono cinismo e ironia, Oskar smaschera così i vizi della società tedesca degli anni Cinquanta dedita al culto del miracolo economico e dell’oblio del suo recente passato, ma ad esso ancora legata. Lo sguardo spietato e distaccato del protagonista libera così la narrazione da qualsiasi relazione con il resto del mondo e di conseguenza da ogni pericolo di giudizio morale o politico: lo scopo del romanzo non è infatti quello di indagare i rapporti tra nazismo e piccola borghesia così come l’opera non è concepita da Grass come un’opera didattico-morale, ma anzi la prospettiva fortemente ironica dell’ionarrante è amorale ed esente da qualsiasi riflessione.137 Il Tamburo di latta è un romanzo complesso, ricco di simboli ed elementi dissacranti, e ha avuto un importante ruolo sia dal punto di vista politico sia da quello letterario nella letteratura tedesca del dopoguerra, che anzi si può dire superata proprio con questo esperimento. I tre protagonisti della Frankfurter Buchmesse 1959 portarono la letteratura della Gruppe 47, alla quale erano fortemente legati, ad una svolta rispetto alla letteratura tedesca del dopoguerra, costituendo un nuovo canone letterario da seguire e così l’inizio della fase di maggiore popolarità del Gruppo. 135 Cfr. Dallapiazza, M., Santi, C. (a cura di) (2001): Storia della letteratura tedesca. Il Novecento, vol. III, Edizioni Laterza, Roma-Bari, pp. 222-224. 136 Cfr. Grass, Günter (1962): Il tamburo di latta, Feltrinelli, Milano, p. 288. 137 Cfr. Dallapiazza, M., Santi, C. (a cura di) (2001): Storia della letteratura tedesca. Il Novecento, vol. III, Edizioni Laterza, Roma-Bari, p. 224. 70 3.2.1.Il declino del Gruppo 47 Nei primissimi anni Sessanta le riunioni del gruppo vedono lievitare il numero di partecipanti, sempre più sono i curiosi che vogliono partecipare o anche tentare di accaparrarsi qualche contratto con radio o case editrici, sempre più orientate alla commercializzazione dell’attività quarantasettina. Per i veterani del Gruppo non è facile cavalcare l’onda di questo successo e ben presto emergono i primi segni di disappunto di coloro i quali rimpiangono le prime sedute ristrette senza flash né interviste. L’eco del gruppo si propaga in tutta Europa fino ad arrivare addirittura negli Stati Uniti: negli anni Sessanta il gruppo ospita diversi autori e critici stranieri interessati all’attività letteraria tedesca e vengono organizzate anche riunioni all’estero come l’incontro svedese nel 1964 e quello memorabile presso l’università di Princeton, Stati Uniti, nel 1966. Proprio Princeton sarà in un certo senso il declino del Gruppo 47: il contesto sociale tedesco è cambiato rispetto a quello che Grass, Böll o Johnson descrivevano quasi dieci anni prima. Gli anni Sessanta si aprono con un grande evento che segnerà in modo indelebile la storia della Germania fino alla fine del secolo: la costruzione del Muro di Berlino che traccia una divisione ancora più netta e inconciliabile tra la BRD e la DDR. Inoltre nel 1963 iniziano i processi su Auschwitz e gli altri crimini di guerra, nonostante lo spirito adenaueriano avesse cercato di nascondere la necessità di una resa dei conti con la generazione dei nazisti. Se anche la letteratura precedente e la nuova generazione di romanzieri aveva cercato di scovare le scorie del passato nazista, nessun autore si era davvero impegnato affinché venissero riconosciute le responsabilità e scontate le colpe di quel periodo, tanto meno era stata considerata in alcun modo la questione ebraica e l’orrore dell’Olocausto. Il climax politico-sociale che attraversa la Germania e travolge il governo di Adenauer, il quale nel 1963 perde la maggioranza e rassegna le dimissioni, culmina con le rivoluzioni del Sessantotto. Le proteste di Berlino e Francoforte si uniscono al coro di contestazione sessantottina di tutta Europa: nelle proteste tedesche, accanto a problemi di ordine internazionale, come la guerra del Vietnam, o a richieste di riforme politiche e sociali, c’era la 71 questione peculiare della colpa collettiva e della Shoa.138 Questo coinvolse ovviamente anche il campo culturale, e quindi la Gruppe 47, portando ad una politicizzazione sempre più forte della letteratura: gli scrittori più giovani di questi anni, consci di una lotta culturale all’orizzonte, sentivano di dover portare la loro produzione su un piano politico più profondo.139 Proprio i più giovani percepiscono un legame della Gruppe 47, già in quegli anni additata come elitaria e fossilizzata, con quella scena letteraria che invece si doveva combattere. Nell’incontro di Princeton, come già accennato apice del disappunto nei confronti del Gruppo, emergono le contraddizioni che da tempo si percepivano nell’aria: l’incontro si teneva proprio nel paese colpevole della guerra del Vietnam, sotto i riflettori dei media internazionali e vedeva una partecipazione massiva di professori, scrittori, studenti e giovani, estranei alla compagine tedesca. In questo contesto c’era da aspettarsi un incidente diplomatico e così è stato quando il giovane Peter Handke prese la parola per scagliarsi contro il gruppo, secondo lo scrittore completamente svuotato nella sostanza dai suoi rigidi rituali, per criticare il dispotismo culturale della vecchia generazione che rifiutava qualsiasi dibattito interno: Ich bemerke, dass in der gegenwärtigen deutschen Prosa eine Art Beschreibungsimpotenz vorherrscht. […] Es ist eine ganz, ganz unschöpferische Periode in der deutschen Literatur doch hier angebrochen. […] Und [es] wird vorgegeben, hier Literatur zu machen, was eine völlig läppische und idiotische Literatur ist. Und die Kritik – ist damit einverstanden, weil eben ihr überkommenes Instrumentarium noch für diese Literatur ausreicht, gerade noch hinreicht. Weil die Kritik ebenso läppisch ist wie diese läppische Literatur.140 La risposta di Mayer all’intervento di Handke mostra in un certo senso comprensione per i contenuti di quella protesta: gli stessi autori iniziano a rendersi conto che il 138 Nelle generazioni più giovani si sente forte il bisogno di risolvere la questione post-nazista: la necessità per la Germania di assumersi le proprie responsabilità morali nei confronti dei crimini di guerra e soprattutto dell’olocausto, la cui barbarie emerge dai recenti processi. Cfr. Calzoni, Raul (2013): La letteratura tedesca del secondo dopoguerra, Carocci, Roma, pp. 28-38. 139 Cfr. Dallapiazza, M., Santi, C. (a cura di) (2001): Storia della letteratura tedesca. Il Novecento, vol. III, Edizioni Laterza, Roma-Bari, p. 232. 140 Citato in Richter, Hans Werner (1979): Hans Werner Richter und die Gruppe 47, Langen Müller, München, p. 392-393. 72 gruppo non ha più senso di continuare in questo modo. Hans Werner Richter nel 1967 dichiara infatti conclusa la lunga e importante esperienza della Gruppe 47: il gruppo doveva lasciare in qualche modo lo spazio alla generazione più giovane, portatrice di una rivoluzione sociale e letteraria, della quale gli autori del Gruppo non potevano più farsi carico. L’incontro di Waischenfeld conclude così il ventennio del Gruppo 47 portando a termine un intenso percorso culturale per la Germania federale ma che lascerà il segno nell’intera esperienza letteraria del Novecento. 3.3 La ricezione del modello “Gruppe 47”: un confronto con il Gruppo 63 Una mattina del mese di maggio o di giugno 1963, Valerio Riva, Nanni Balestrini e io decidemmo di inventare un Gruppo con finalità di seminario letterario. […] Durante l’inverno ero andato a Berlino a vedere i lavori del Gruppo 47, per cui l’idea era ovvia.141 Così ricorda Enrico Filippini la fondazione del Gruppo 63 ed è ovvio quindi, come già osservato nei capitoli precedenti, che il Gruppo 47 costituisca un modello per la neoavanguardia italiana. Nel corso dei paragrafi precedenti ho individuato in modo specifico gli aspetti dei singoli gruppi: in questo paragrafo verrà invece portato avanti un confronto sulla base dei diversi fattori che hanno caratterizzato i due gruppi, analizzando analogie ma soprattutto differenze e quindi in che misura il gruppo tedesco abbia effettivamente costituito un modello per la controparte italiana. In primo luogo ritengo necessario valutare la base di partenza sulla quale entrambi i gruppi si sono costituiti e cioè il contesto nel quale essi hanno operato. Emerge qui la prima differenza: l’arco temporale ricoperto dall’esperienza della Gruppe 47 è di gran lunga più ampio rispetto a quello del gruppo italiano. Se si considera il tempo trascorso dal primo incontro sul Bannwaldsee all’incontro 141 Filippini, Enrico: Sì, viaggiavamo in wagon-lit…, in «la Repubblica», 07.2.1977. 73 conclusivo si può contare esattamente un ventennio, dal 1947 al 1967; l’esperienza italiana si colloca invece solamente negli ultimi cinque anni di questo ventennio, appunto dal 1963 al 1967. Definirei questa differenza sostanziale: il Gruppo 63 infatti ha recepito la seconda fase della Gruppe tedesca142, la generazione di Grass e Johnson, andandosi a collocare in un periodo quindi ben preciso sia della storia del gruppo sia, in una prospettiva più ampia, del contesto europeo. Se consideriamo la situazione della Germania agli inizi del Gruppo 47 è totalmente diversa rispetto a quella in cui si svolgeva il primo incontro di Palermo. Il Gruppo di Andersch e Richter sappiamo che si forma nell’immediato dopoguerra in un deserto sia culturale che sociale, diversamente il gruppo italiano si forma quando l’Italia aveva già elaborato e, in un certo senso, superato le problematiche della guerra, anche dal punto di vista letterario con il movimento del Neorealismo. Il Gruppo 63 nasce proprio nel pieno del boom economico, in una società, quella degli anni Sessanta, tecnologica e opulenta che aveva reso l’Italia finalmente un paese industriale come gli altri Stati europei più avanzati. Anche la Gruppe 47 vivrà il boom economico della Germania ma solamente a partire dalla metà degli anni Cinquanta143, circa dieci anni dopo le enormi difficoltà dei tempi di Bannwaldsee. Inoltre, anche considerando in primi anni Sessanta, l’Italia si trova comunque in una posizione privilegiata rispetto alla Germania che viveva una situazione politica delicata: divisa in due Stati e in bilico tra i due blocchi di potenze della guerra fredda. Quando parliamo di contesto è ovviamente necessario considerare anche la cornice letteraria intorno alle due esperienze. L’attività del Gruppo 47 si impone gradualmente su una letteratura, quella tedesca del dopoguerra, che è completamente svuotata dal passato nazista e quindi non soffre (o non beneficia) di alcuna concorrenza dal punto di vista letterario, rappresentando in modo quasi totale la letteratura contemporanea della Repubblica federale. Anche per questo motivo il Gruppo 47 riesce a determinare gli accenti della letteratura tedesca del dopoguerra e di quella dei due decenni successivi. Si affermano certo altri importanti autori esterni alla compagine del Gruppo come Wolfgang Koeppen, Arno Schmidt e Max Frisch 142 Cfr. paragrafo 1.2. 143 Cfr. paragrafo 3.2. 74 ma è anche vero che alcuni autori, che nell’immediato dopoguerra avevano riscosso un modesto successo di pubblico, con l’affermarsi della Gruppe 47 passano completamente in secondo piano.144 La situazione italiana è molto diversa in quanto la neoavanguardia nasce come risposta alla staticità delle forme e dei temi della letteratura a partire dal 1945: la produzione culturale nell’Italia del dopoguerra è ricca di autori, scrittori e registi che si affermano nel panorama contemporaneo e che sono, e rimarranno, del tutto estranei alle pratiche del Gruppo 63. Il Gruppo rappresenta infatti l’opposizione alla “letteratura delle macerie” italiana, quella del Neorealismo e dell’impegno politico, con cui la generazione del Sessantatre intende rompere i ponti; la sua posizione nel campo letterario è quindi di compresenza con la letteratura realista dominante, alla quale vuole contrapporre una produzione più moderna, liberata dal peso della tradizione nazionale.145 Perciò il Gruppo 63 né si sostituisce né tantomeno spazza via la letteratura engagé, ma semplicemente ne rappresenta l’alternativa. Un’alternativa che in Germania manca quasi completamente, infatti gli autori tedeschi apprezzano e, in un certo senso, invidiano la situazione letteraria variegata dell’Italia. Nel nostro paese molti autori vedono un interessante laboratorio non solo artistico, ma anche politico146, come scrive Enzensberger: Gli attacchi da sinistra sono una delizia per le mie orecchie. Nella Repubblica federale non esistono. È bello essere intrattenuti da entrambe le parti; solo da destra alla lunga diventa noioso.147 Il Gruppo 63 vuole liberare la letteratura dall’ideologia e avvicinarla ad esperimenti puramente formali, in una dimensione pressoché apolitica, che potremmo riassumere Cfr. Disanto, Giulia: 1947-1967: vent’anni d’influenze. Il Gruppo 47 e la costituzione di un canone della letteratura tradotta, in «BAIG», 2008/1, p. 82. 144 145 Cfr. Berardinelli, Alfonso (1990): Tra il libro e la vita, Feltrinelli, Milano, p. 96. 146 Cfr. paragrafo 2.1. 147 Lettera di H.M. Enzensberger a Enrico Filippini, 18.10.1964, citata in: Sisto, Michele: Mutamenti del campo letterario italiano 1956-1968: Feltrinelli, Einaudi e la letteratura tedesca contemporanea, in «Allegoria», 2007/55, p. 101. 75 con la formula «meno marxismo e più scienze umane»148. È una reazione di segno opposto rispetto a quella che la Gruppe 47 aveva avuto nei confronti della società della Repubblica federale: una risposta di tipo aperto, tollerante, innovatrice e critica verso il conformismo e il “perbenismo” di Adenauer. Il Gruppo di Richter abbiamo detto che non presenta un programma, né politico né tantomeno letterario, ma c’è da dire che la Gruppe ebbe sempre una qualificazione politica. Il termine “programma” è sicuramente una parola scomoda quando si vuole parlare di questi gruppi, il cui unico intento programmatico è proprio non avere un programma; tuttavia, in maniera involontaria, viene a costituirsi una sorta di “istituzionalizzazione”, o se vogliamo alleggerire il termine, di coerenza al loro interno. Il Gruppo 47 dal punto di vista politico è, per usare le parole di Andersch, un «coacervo di tutte le sfumature di non-conformismo, dall’anarchia privata fino al marxismo, dalla propensione alla democrazia di tipo anglosassone fino al cattolicesimo di sinistra», andando a costituire per lo Stato federale una sorta di forza antigovernativa, un’opposizione sociale e culturale che di fatto non era rappresentata.149 La programmaticità del Gruppo 63 stava invece nell’intenzione letteraria. A tal proposito bisogna infatti considerare due elementi e cioè l’antologia de I Novissimi nel 1956 e la discussione del convegno inaugurale a Palermo.150 Con l’appendice critica nell’antologia dei Novissimi, gli autori che poi diventeranno il nucleo costitutivo del Gruppo 63 presentano gli indirizzi stilistici e formali che anni dopo verranno presentati e discussi nell’incontro di Palermo. Il profilo di quella che venne definita neoavanguardia era, perciò, già delineato. Questo non avrebbe potuto verificarsi nel Gruppo 47 ai suoi esordi, dato che la letteratura tedesca, più di ogni altra letteratura europea nel dopoguerra, era, come la definiva Alfred Andersch, «un work in progress»151. Questo aspetto permise al Gruppo 47 di essere un grande 148 Cfr. Berardinelli, Alfonso (1990): Tra il libro e la vita, Feltrinelli, Milano, p. 96. Andersch, A., Enzensberger, H. M., Cases, C. Dibattito sul «Gruppo 47», in «L’Europa letteraria», 1963/20, pp. 27-37. 149 150 Cfr. paragrafi 2.1. e 2.2. 151 Ibidem. 76 cantiere letterario e di accogliere pressoché tutte le personalità che si affacciavano alla scena culturale. Gli indirizzi che i due gruppi avrebbero preso erano chiari già dalla traiettoria di «Der Ruf» in Germania e di «il verri» in Italia ed era da subito evidente che sarebbero stati diversi. Senza considerare tutte le varie eccezioni del caso, possiamo dire che «Der Ruf» e quindi il Gruppo 47 avevano un orientamento politico-sociale e il loro focus letterario verteva sulla ricerca letteraria; al contrario, il Gruppo 63 era dedito alla pura sperimentazione linguistica. Gli autori tedeschi si trovano nel ‘47 in una situazione per cui le cose da dire erano più importanti di come queste venissero dette; la difficile situazione dell’individuo e della società reduci dalla seconda guerra mondiale doveva venire descritta nel modo più naturale possibile e non romanzata o poetizzata. La ricerca delle forme e di nuove strutture narrative si avvierà in Germania solamente in un secondo momento, sebbene questa rimanga subalterna alla ricerca dei temi: l’arco temporale maggiore che la letteratura della Gruppe 47 ricoprì permise alle diverse generazioni di autori di evolversi, di modificare i propri temi, rispecchiando e raccontando il cambiamento della società. Gli scrittori della neoavanguardia si pongono invece come elemento di rottura rispetto a quegli autori già riconosciuti che preferivano il realismo dei contenuti alla forma letteraria, il cosa al come; la ricerca della parola e la sperimentazione del linguaggio costituiscono invece il carattere principale della letteratura neoavanguardista. Si tratta quasi di una meta-letteratura in cui gli aspetti della critica e della letteratura si fondono, diventando una sorta di critica della letteratura: i giovani autori, scrivendo, espongono ciò che con la letteratura intendono fare. Questo fatto è dovuto in parte anche al background culturale degli autori del Gruppo 63: questi provenivano dall’ambiente accademico e avevano una formazione letteraria già avviata, cosa che invece mancava nella generazione tedesca del ’47. In questo la produzione della neoavanguardia si presenta, soprattutto a posteriori, come una sorta di «letteratura al quadrato»152, una poesia che è soprattutto riflessione sulla poesia, sulla sua condizione attuale e sui suoi meccanismi linguistici: una serie di testi, che soprattutto oggi, non possono che essere letti se non in relazione al contesto 152 Cfr. Berardinelli, Alfonso (1990): Tra il libro e la vita, Feltrinelli, Milano, p. 22. 77 in cui queste opere sono nate, andando a perdere altrimenti la loro copertura, il loro “libretto di istruzioni”. I due gruppi sono accumunati dal carattere comunitario, dallo spirito collegiale della nuova letteratura. In questo il Gruppo italiano ha preso a esempio la Gruppe 47, che costituisce infatti un modello collaudato ormai da oltre un decennio e che in Germania aveva già legittimato ben due generazioni di autori, prima quella di Richter e Eich, poi quella di Grass e Johnson. Gli italiani adottano, a loro modo, quello che è il modello organizzativo: Un’organizzazione fluida ed elastica di scrittori, di operatori letterari, che si riuniscono periodicamente per “verificare” in pubblico le loro operazioni, le loro produzioni testuali, fuori dal riparto confortevole dei rituali della recensione amica.153 Viene infatti ripreso il sistema degli incontri a cadenza regolare, in cui vengono discussi i testi letti: tuttavia il sistema degli italiani è molto meno regolarizzato. Il lettore partecipava al dibattito che seguiva, rispondeva alle critiche che gli venivano avanzate, nel Gruppo 47 tutto questo non sarebbe stato possibile, «in Germania c’erano delle regole molto ferree: l’autore doveva limitarsi alla sola lettura del testo, senza ripetere né commentare»154 ricorda Inge Feltrinelli. I contatti tra i due gruppi, soprattutto in direzione Germania-Italia, rimangono sempre ridotti; tra questi, l’invito a Klaus Wagenbach per partecipare al convegno reggiano del 1964 e spiegare le abitudini della Gruppe, alla quale Wagenbach partecipava. Il suo ironico resoconto di quell’esperienza mette in luce il modo singolare con cui il gruppo italiano ha ripetuto il modello quarantasettino: Also berichtete ich: Es gibt einen älteren Herrn, Hans Werner Richter, der verschickt Postkarten mit Datum und Ort, wo man sich einzufinden habe (Gemurmel). Dort angekommen lasse er die Türen schließen und sage „wir fangen jetzt an“ (vereinzeltes Gelächter). Er nehme dann auf einem von 153 Barilli, R., Guglielmi, A. (a cura di) (2003): Gruppo 63. Critica e teoria, Testo & Immagine, Torino, p. XXIX. 154 Feltrinelli, Inge: Testimonianza, in Aa.Vv. (2005): Il Gruppo 63, quarant'anni dopo: Bologna, 8-11 maggio 2003, atti del Convegno, Pendragon, Bologna, p. 18. 78 zwei vornestehenden Sesseln Platz (Zwischenrufe: Nur zwei?) und bitte einen Schriftsteller zur Lektüre in den zweiten Sessel. Nach der Lektüre, die er auch durch eine Handbewegung unterbrechen könnte (erneute Zwischenrufe: Diktatur!), bitte er um Kritik aus dem Saal, auf die der Autor nicht antworten dürfe. Jetzt war es endgültig aus: allgemeines Gelächter, Tumult.155 Durante le riunioni italiane le cose si svolgevano diversamente: le discussioni si susseguivano e le voci si sovrapponevano, spesso si formavano piccoli gruppetti che portavano avanti i loro argomenti e nella sala vi era un continuo andirivieni di persone. I rapporti tra i due gruppi, al di là dei contatti editoriali e delle amicizie personali di Filippini con gli autori tedeschi, sono piuttosto ridotti e sono soprattutto gli italiani a cercare nella Gruppe tedesca una legittimazione in campo internazionale. Vengono tradotti alcuni brani, in particolare di Grass ed Enzensberger, sulla rivista «il verri» e soprattutto Filippini spinge per far sì che vengano tradotti alcuni brani degli autori italiani in Germania. La casa editrice tedesca Suhrkamp pubblica nel 1964 Capriccio italiano di Sanguineti, il grande romanzo neoavanguardista italiano, con una traduzione di Enzensberger. Sempre Enzensberger sta traducendo per la sua rivista «Kursbuch» le poesie di Purgatorio de l’inferno. Oltre a questi rari scambi letterari, vi sono alcune partecipazioni sporadiche durante i primi anni Sessanta di alcuni intellettuali italiani alle Tagungen tedesche; tuttavia l’iniziale entusiasmo dei tedeschi per il Gruppo 63 si affievolisce presto e il loro interesse va piuttosto alla pubblicistica politica.156 Una caratteristica peculiare che riguarda entrambi i gruppi è sicuramente l’utilizzo dei mezzi di comunicazione: in particolare radio e giornali. L’affermazione dei due gruppi combacia con lo sviluppo dei media e con il loro impiego sempre più massiccio anche nell’industria culturale157: è facilmente intuibile che questi mezzi rappresentino un’occasione per poter promulgare e far conoscere i loro testi e idee, 155 Wagenbach, Klaus: Rede zum deutsch-italienischen Übersetzerpreis, 16.03.09. 156 Cfr. Sisto, Michele: Mutamenti del campo letterario italiano 1956-1968: Feltrinelli, Einaudi e la letteratura tedesca contemporanea, in «Allegoria», 2007/55, p. 101. 157 Cfr. paragrafo 3.2. 79 ma anche semplicemente la loro attività in modo rapido ed efficace. Giornali e radio partecipano o intervengono nelle riunioni del Gruppo 47 così come del Gruppo 63, intervistano gli autori, facendo aumentare la risonanza della loro attività nell’opinione pubblica. Peculiare è la diversa partecipazione delle case editrici nel sovvenzionamento dei due gruppi. Sebbene diverse opere del Gruppo 63 vengano edite anche da Bompiani, Scheiwiller o Garzanti, è la Feltrinelli ad avere il monopolio sul progetto neoavanguardista, fungendo non solo da sponsor finanziario ma anche da mentore culturale.158 Nelle riunioni tedesche intervengono invece una pluralità di consulenti editoriali e le diverse case editrici investono indipendentemente in un autore piuttosto che in un altro all’interno della Gruppe: la quasi totale mancanza di voci ad essa estranee, induce il campo editoriale a stringere il proprio cerchio di interesse intorno agli autori del Gruppo 47. La scena tedesca è quindi lontana da qualcosa di simile a quello che accade in Italia tra Feltrinelli e Einaudi, le quali erano ben attente a preservare con le loro strategie i loro progetti letterari.159 Risulta quasi scontato dire, al termine di queste brevi osservazioni comparative, che, tra il tedesco Gruppo 47 e l’italiano Gruppo 63, le differenze sono più numerose e più profonde rispetto alle analogie. Considerando le singole istanze dei due gruppi, sarebbe tuttavia impensabile che il Gruppo italiano avesse potuto replicare nelle stesse forme la Gruppe 47: abbiamo avuto modo di vedere come il rispettivo contesto in cui questi si inseriscono sia profondamente differente. La giusta conclusione di queste esperienze è stato però l’enorme interesse che hanno suscitato per il loro modo di porsi nei confronti della ricerca letteraria. Sia il Gruppo 47 sia il Gruppo 63 hanno svolto un importante lavoro, innovativo per le modalità e peculiare per la fitta rete interna di contatti e di interferenze che hanno costruito. In due direzioni diverse, hanno entrambi segnato un momento rilevante, più o meno lungo, della storia culturale e, in parte politica, del proprio Paese: la letteratura compie un passo avanti, proponendo un’alternativa alla produzione passata e un progetto collettivo di cultura. 158 Cfr. paragrafo 2.2. 159 Cfr. paragrafo 1.3. 80 CAPITOLO IV - IL CASO ESEMPLARE: CONGETTURE SU JAKOB E CAPRICCIO ITALIANO Nel capitolo conclusivo saranno oggetto di analisi i due romanzi Congetture su Jakob e Capriccio italiano. Entrambi rappresentano rispettivamente i romanzi chiave dell’esperienza del Gruppo 47 in Germania e del Gruppo 63 in Italia dal punto di vista della narrativa. La scelta di prendere in considerazione queste due opere è dovuta principalmente alla volontà di portare l’analisi e il confronto, già avviati nei capitoli precedenti, sul piano dei testi. Tenendo in considerazione quanto già osservato, prendere in esame e confrontare i due romanzi significa quindi esemplificare sia gli elementi letterari dei due gruppi sia la questione riguardante le strategie e le dinamiche editoriali affrontata nel primo capitolo. Le Mutmaßungen di Uwe Johnson rappresentano non solo un punto di svolta nella produzione narrativa in Germania ma, come abbiamo già accennato, la loro traduzione produce, anche in Italia, un cambiamento per quel che riguarda l’importazione della letteratura tedesca. Congetture su Jakob è visto in Italia, forse ancora più che in Germania, come il grande titolo che rivoluziona la narrativa contemporanea e rappresenterà per la neoavanguardia italiana un esempio e una legittimazione del lavoro che si costituirà negli anni a seguire. Anche se non in modo diretto, la novità introdotta dall’opera di Johnson porterà la narrativa italiana a seguire le orme di un romanzo tutto nuovo, percorso inaugurato dal Capriccio italiano di Edoardo Sanguineti. 81 4.1. Il romanzo sulle due Germanie: Congetture su Jakob Tra i grandi romanzi presentati alla Fiera del libro di Francoforte abbiamo già avuto modo di menzionare l’opera prima dell’allora venticinquenne Uwe Johnson. Il suo romanzo, Mutmaßungen über Jakob, annuncia fin da subito una grande rivoluzione all’interno del campo letterario tedesco e in particolar modo della Gruppe 47. L’autore stesso rappresenta un caso particolare: il giovane Uwe Johnson è uno dei pochissimi autori della Gruppe a provenire dalla DDR. Nato nel 1934 in Pomerania, studia Germanistica e Anglistica presso Rostock e Lipsia. Proprio nel 1959, dopo aver provato a pubblicare, senza successo, il suo romanzo nella Repubblica democratica si trasferisce a Berlino Ovest, dove questo potrà essere pubblicato. Nonostante la partecipazione e l’affermazione nel Gruppo 47, Uwe Johnson non si sente di appartenere né alla DDR tantomeno alla BRD, tanto da trasferirsi nel ‘66 a New York e successivamente in Inghilterra. Johnson sente di aver perso la patria e questo sentimento si rispecchia nelle sue Mutmaßungen: il romanzo era stato concepito per la DDR, tuttavia, sul piano formale, non seguiva né il programma letterario della Germania Est né apparteneva alla scena letteraria della Repubblica federale. La sua pubblicazione nel ‘59 nella Germania Ovest suscita un notevole clamore, trovandosi questa di fronte ad un’opera che, per la prima volta, affronta il tema della divisione della Germania. Come sostiene Enzensberger, Mutmaßungen über Jakob rappresenta «la grande eccezione»: Es ist hier das Erscheinen des ersten deutschen Romans nach dem Krieg anzuzeigen, das heißt des ersten Romans, der weder der west- noch der ostdeutschen, sondern einer Literatur angehört, für die unsere Verwaltungssprache die groteske Benennung „gesamtdeutsch“ bereithält. Dieses Buch ist die große Ausnahme, welche die Kritik zwingen wird, ihre 82 unausgesprochenen Regeln endlich aufzudecken. Es hat den unschätzbaren Vorzug, weder hierher noch dorthin zu gehören.160 Si tratta del primo romanzo pantedesco, in cui si problematizza il difficile rapporto tra Est e Ovest e pertanto la sua anima letteraria appartiene a tutta la Germania. Nella Germania occidentale, non solo si afferma uno scrittore dell’Est ma per la prima volta vengono introdotti alcuni elementi della società sovietica che finora rimanevano sconosciuti alla scena occidentale. Tanto dal punto di vista tematico quanto dal punto di vista stilistico il romanzo si allontana completamente dai dettami della letteratura dominante. L’opera fa uso di un’architettura complessa per sostenere la narrazione, la quale si sviluppa in una trama che potremmo definire tradizionale, con dei «prima» e dei «poi». 161 Il modo in cui la trama viene presentata è però del tutto anticonvenzionale: la vicenda è scomposta in avvenimenti che vengono riordinati in ordine sparso senza consequenzialità. Il romanzo difatti è tutto giocato sul continuo cambio di prospettiva, sul susseguirsi di processi mentali che vorrebbero trovare il bandolo della matassa della storia. Il romanzo si apre in medias res: il ferroviere Jakob Abs, il protagonista, è morto investito da una locomotiva mentre attraversava i binari. Subito si dipana un senso di mistero e di ambiguità: Ma Jakob ha sempre attraversato i binari. – Ma ha sempre attraversato il fascio di manovra e i binari di corsa, perché dall’altra parte, a fare il giro di tutta la stazione fino al cavalcavia, per arrivare al tram ci avrebbe messo mezz’ora in più. Ed erano sette anni che lavorava nelle ferrovie. – E guarda che tempo, che novembre, non ci vedi a dieci passi di distanza, per via della nebbia, specialmente alla mattina. E infatti era mattina. E poi era gelato. Uno fa presto a scivolare. E una carretta come un rimorchiatore 160 Cfr. Enzensberger, H. M.: Die große Ausnahme, in Riedel, Nicolai (1987): Uwe Johnsons Frühwerk. Im Spiegel der deutschsprachigen Literaturkritik, Bouvier, Bonn, p. 79. 161 Cfr. Mayer, Hans: Uwe Johnson. Congetture su Jakob, in Baioni, G., Bevilacqua, G., Cases, C., Magris, C. (a cura di) (1973): Il romanzo tedesco del Novecento, Einaudi, Torino, p. 487. 83 fai già fatica a sentirlo, figurati a vederlo. – Jakob ha lavorato sette anni nelle ferrovie, ti stavo dicendo, e ti garantisco che un qualsiasi arnese che in qualche maniera si muovesse sui binari lui lo sentiva eccome.162 Il romanzo si apre in modo singolare con una preposizione avversativa «ma» che lascia da subito intendere al lettore che quello che è accaduto, rappresenta qualcosa di inspiegabile e sospetto da cui dover far partire una ricerca. Vanno ad aggiungersi le “congetture” che indagano sulle cause della morte di Jakob, un macchinista esperto che difficilmente sarebbe potuto rimanere coinvolto in un incidente del genere; già a questo punto per chi legge si insinua il dubbio se sia stata una fatalità o un episodio architettato. Johnson catapulta così il lettore già dalla prima pagina nel suo innovativo stile “congetturale”, facendo parlare e ragionare diversi personaggi, attraverso le cui supposizioni vengono raccontati gli avvenimenti. Allo stesso tempo, la pluralità dei punti vista e dei ragionamenti confondono il lettore, le cui idee circa l’effettivo svolgimento della vicenda rimangono incerte. Per poter ricostruire la trama del romanzo, bisogna considerare in modo attento e mettere insieme i vari pezzi della storia, i vari discorsi, senza poter far affidamento su un narratore onnisciente che manovra l’accaduto. Nel 1945, in seguito all’invasione russa al termine della guerra, Frau Abs fugge, con suo figlio Jakob, dalla Pomerania e trova rifugio presso l’ebanista Cresspahl nella cittadina di Jerichow, nel Mecklemburgo, dove vive con la sua unica figlia Gesine. Jerichow è una località inventata dall’autore che non è segnata in nessuna carta della Germania ma apparterrebbe al territorio della DDR. Gesine, terminati gli studi da interprete a Francoforte, accetta un posto come traduttrice presso il quartier generale della NATO nella Germania Ovest. A questo punto però il signor Rohlfs, il capitano della sicurezza di Stato, è interessato a ottenere la collaborazione di Gesine Cresspahl, in qualità di spia al servizio della Repubblica democratica: ha così inizio l’operazione “Colomba sul tetto”. Da questo momento si intensifica la rete di viaggi e di contatti tra i personaggi e la ricostruzione dei fatti si fa più difficile. Cresspahl si rifiuta di fungere da intermediario con la figlia Gesine per conto della STASI (Ministero per la 162 Johnson, Uwe (1961): Congetture su Jakob, trad. it. Enrico Filippini, Feltrinelli, Milano, p. 5. 84 Sicurezza dello Stato). Il capitano Rohlfs a questo punto è costretto a rivolgersi a Jakob: lui e Gesine sono infatti cresciuti insieme, come fratello e sorella, e il capitano Rohlfs può quindi contare sull’influenza di Jakob sulla giovane. Frau Abs dovrebbe così facilitare al signor Rohlfs il contatto con il figlio, che ora è ispettore della ferrovia imperiale in una grande città sull’Elba (mai direttamente menzionata ma sembrerebbe essere Dresda). La donna però spaventata dalla situazione fugge a Berlino Ovest; a questo punto Rohlfs dovrà fare un tentativo direttamente con Jakob che promette di meditare riguardo ad una possibile collaborazione con la polizia di Stato. Nel frattempo si innescano situazioni inaspettate: Cresspahl comunica sia a Gesine sia a Jakob che Frau Abs è scappata in Occidente, intanto Gesine parla telefonicamente al padre di un suo prossimo ritorno a Jerichow per fargli visita. Improvvisamente tutti i personaggi si ritrovano a casa Cresspahl a Jerichow, compreso il signor Rohlfs che può ora parlare con Gesine riguardo alla sua collaborazione come informatrice per la DDR. Nella stessa occasione Jakob riesce ad ottenere l’autorizzazione ufficiale per far visita a sua madre a Berlino Ovest: si reca quindi ad Ovest da sua madre e da Gesine dove non rimane a lungo, nonostante l’invito della giovane a restare; proprio la mattina del suo ritorno, mentre attraversa i binari per recarsi in servizio, viene travolto da una locomotiva. Nella vicenda, che ho qui cercato di sintetizzare, appaiono numerosi altri personaggi e numerosi altri episodi, tuttavia la cosa che risulta particolarmente interessante è come questi avvenimenti vengono raccontati.163 La trama non ha infatti un andamento regolare e tantomeno cronologico: la morte di Jakob, forse l’unica vera azione nel romanzo, è posta all’inizio del libro e le restanti duecentosessanta pagine sono un susseguirsi di congetture e ipotesi che tentano di ricostruire le cause della morte del ferroviere: dato che fin dall’inizio la natura dell’incidente viene messa in dubbio. Più si cerca di fare chiarezza sui fatti e più emergono nuove storie e retroscena misteriosi che infittiscono i sospetti: i personaggi non si comportano in modo prevedibile e neanche in modo giustificabile. È esemplare il comportamento di Cresspahl quando deve comunicare a Jakob la fuga della madre nell’Ovest: 163 Per una ricostruzione della vicenda più dettagliata cfr. Mayer, Hans: Uwe Johnson. Congetture su Jakob, in Baioni, G., Bevilacqua, G., Cases, C., Magris, C. (a cura di) (1973): Il romanzo tedesco del Novecento, Einaudi, Torino, pp. 488-491. 85 Cresspahl è a conoscenza della situazione, sa che il capitano Rohlfs ha cercato una collaborazione con la signora Abs e con il figlio di lei, così come sa che le comunicazioni sono rigidamente controllate, eppure invia un telegramma dove senza giri di parole scrive «TUA MADRE PARTITA REPUBBLICA FEDERALE – CRESSPAHL»164. Tentare un riassunto della favola del romanzo, come è stato fatto sopra, è però riduttivo e sostanzialmente fa nascere solamente dei malintesi, i quali emergono appunto con la volontà di spiegare in modo usuale le azioni dei personaggi e le loro motivazioni. I fatti sono inspiegabili: oltre all’esplicito telegramma di Cresspahl a Jakob, non ci si spiega perché un’impiegata della NATO come Gesine, conscia delle leggi che andrebbe ad infrangere, decida comunque di recarsi nuovamente a Jerichow per far visita al padre, e tantomeno perché decida di incontrarsi in un albergo con Jakob dove è presente anche il capitano Rohlfs. Non è chiaro però neanche perché Rohlfs in quell’occasione non parli direttamente con Gesine ma la lasci tornare nuovamente in Occidente. La storia viene narrata su tre piani diversi: vi è un racconto di fondo in cui un narratore cerca di ripercorrere i fatti della storia, fornendoci però niente di più che i dati reperibili della vicenda, alla quale egli è estraneo. Vi sono inoltre i dialoghi, voci dissonanti che intervengono nel romanzo senza che gli interlocutori vengano mai identificati. Infine vi sono i monologhi di Gesine, di Jonas165 e di Rohlfs, questi costituiscono la parte più ricca di testo e vengono evidenziati attraverso l’uso del corsivo. La Ich-Erzählung viene relegata in un certo senso ai personaggi più colti, in modo che riescano a dare una rappresentazione più adatta e più ampia e profonda del mondo esterno.166 Tuttavia i tre piani non vanno a incastrarsi in una precisa struttura, ma si intrecciano, si completano a vicenda e si interrompono, fino spesso a contraddirsi. La 164 Johnson, Uwe (1961): Congetture su Jakob, trad. it. Enrico Filippini, Feltrinelli, Milano, p. 60. 165 Jonas Blach, amico di Gesine dai tempi degli studi, è un professore universitario a Berlino Est: rappresenta l’intellettuale marxista. Verrà arrestato da Rohlfs perché aveva partecipato a un movimento di opposizione contro la politica dell’Unione Sovietica in Ungheria. Renzi, Luca: Uwe Johnson: Congetture su Jakob. Un romanzo ‘giallo’ tedesco, in «Linguae», 2007/2. 166 86 punteggiatura spesso manca, si passa da un discorso all’altro, da una prospettiva all’altra in modo brusco: le frasi vengono spesso lasciate a metà e riprese in seguito o talvolta interrotte e mai completate. Le Congetture su Jakob sono la lunga ricostruzione di un fatto su cui girano tante voci, un’indagine senza investigatore in cui ognuno dice qualcosa di cui non sempre è certo. In questo modo Mutmaßungen über Jakob è un romanzo stratificato, dai notevoli risvolti e in cui si scopre che la detective story è solo uno dei molteplici piani di lettura del romanzo che mano a mano si svelano a chi lo legge. Con questo romanzo, Johnson ha definitivamente licenziato il narratore onnisciente che anzi in questo caso è quello che meno conosce dell’accaduto. Il continuo susseguirsi di episodi e ragionamenti, che l’autore dispone senza continuità né sul piano del tempo né dello spazio, dovrebbe portare alla soluzione dell’enigma ma di fatto non giunge mai a squarciare il “velo di nebbia” che avvolge la tragica morte di Jakob: Der Nebel, das Geheimnis, das schlechthin Undurchdringliche der Existenz wird bei Uwe Johnson zum Formprinzip. Daraus ergibt sich eine vielsagende, wenn auch zuweilen irritierende […] Diskrepanz zwischen der Schärfe des einzelnen und der Undeutlichkeit des Ganzen.167 Il romanzo è infatti costellato di “forse”, di verbi al condizionale, di “non so” e fino all’ultimo momento di incertezze, soprattutto riguardanti la domanda principale ovvero la causa della morte del protagonista. Un ispettore delle ferrovie attraversa i binari e viene investito, pur conoscendo benissimo gli orari e i movimenti dei treni. Potrebbe essere stata una fatalità, un incidente dovuto alla nebbia e al ghiaccio ma se consideriamo che, come dice il narratore, «i grandi del paese avevano posato gli occhi su Jakob»168 non possiamo escludere a priori la possibilità di un omicidio. Potrebbe invece trattarsi di un suicidio, ma dato che rifiuta di rimanere con la madre a Berlino ovest, non ritenendo la DDR un pericolo da cui fuggire, si dovrebbe dedurre che mancasse un motivo sufficiente anche per cercare la morte sui 167 Blöcker, Günter: Roman der beiden Deutschland, in Baumgart, Reinhard (a cura di) (1970): Über Uwe Johnson, Suhrkamp, Frankfurt am Main, p.12. 168 Ivi, p. 24. 87 binari. Spiegare questo romanzo ci costringe comunque ad avanzare delle “congetture”, perché sono queste il fulcro attorno al quale ruota tutta l’opera, la cui struttura e il cui finale rimangono aperti. Quello che ci interessa principalmente non è però indagare sulla morte del protagonista ma piuttosto analizzare, come abbiamo già accennato, le novità sia stilistiche sia tematiche del romanzo di Johnson. L’autore affronta una tematica finora inesplorata, il difficile argomento della divisione della Germania facendo ricadere l’azione, ovvero la morte di Jakob, proprio nel 1956, a ridosso della crisi di Suez e della rivolta ungherese. L’opera si basa e si sviluppa su diversi contrasti e su personaggi e azioni antitetiche tra loro. Da una parte abbiamo lo spirito occidentale di Gesine, collaboratrice della NATO e dall’altra abbiamo il poliziotto Rohlfs che incarna l’ideologia sovietica della DDR: si presentano sempre due posizioni, la rappresentazione parallela di Est e Ovest, due mondi sociali e psicologici che sono già incomprensibili l’uno all’altro.169 Tuttavia questa dialettica di valori non viene mai sintetizzata in una soluzione “giusta”, o comunque preferibile. Rohlfs che sembrerebbe dover essere l’antagonista, non viene rappresentato necessariamente come «accalappiacani»170, ma anzi è descritto come un padre di famiglia con tratti umani e positivi, per il quale il lettore può provare empatia. Alla fine del romanzo ci si chiede quindi chi sia l’eroe e chi l’antieroe, quale sia il polo positivo e quale il negativo: allo stesso modo l’analisi si sposta sull’aspetto più profondamente ideologico, ovvero ponendosi la domanda su quale sia migliore tra il metodo orientale e quello occidentale. Non è intenzione di Johnson dare una risposta, il quale anzi in un’intervista afferma che quando scrisse le Congetture il suo unico obiettivo era quello di raccontare una storia che egli conosceva bene, e sicuramente, seppur lontano dall’identificarsi con il protagonista Jakob, Johnson conosce bene l’incompatibilità tra Germania occidentale e orientale.171 Jakob infatti è un personaggio deluso dal governo della DDR, dal controllo della STASI e in particolar Renzi, Luca: Uwe Johnson: Congetture su Jakob. Un romanzo ‘giallo’ tedesco, in «Linguae», 2007/2. 169 170 Cfr. Johnson, Uwe (1961): Congetture su Jakob, trad. it. Enrico Filippini, Feltrinelli, Milano, p. 66. 171 Cfr. Filippini, Enrico: Intervista con Uwe Johnson, in «Quaderni milanesi», 1962/3, pp. 125-127. 88 modo dalla repressione sovietica di Budapest; allo stesso modo il bombardamento de Il Cairo e la crisi di Suez lo rendono diffidente nei confronti del sistema occidentale. Si capisce bene quindi come mai la pubblicazione nella Germania federale nel 1959 di Mutmaßungen über Jakob si identifichi con l’inizio di un profondo cambiamento nella narrativa tedesca: la “congettura” non riguarda solo il contenuto dell’opera ma ne investe la forma stessa e diviene il metodo stilistico generale. Johnson dona al suo detektivischer Roman una struttura tecnicamente complessa, caratterizzata da un metodo narrativo nuovo: il continuo cambio di prospettiva e i monologhi ricordano l’americano Faulkner (da cui riprende anche l’utilizzo del corsivo) così come ci sono echi dello stream of consciousness joyciano nel fluire delle riflessioni dei personaggi, contribuendo così, tra le altre cose, a fare delle Congetture non solo un testo universale ma estremamente moderno. 4.2. Il romanzo d’avanguardia: Capriccio italiano di Edoardo Sanguineti Quando nel 1963 viene inaugurato il Gruppo 63 con l’incontro di Palermo, le basi di questa nuova letteratura erano già state gettate con la poesia dei Novissimi. Diversamente, esperimenti nel campo della narrativa non erano ancora stati fatti ad eccezione di qualche breve e poco rilevante racconto. In quello stesso anno, il 1963, viene pubblicato dal “poeta novissimo” Sanguineti il suo primo romanzo. Capriccio italiano, questo è il titolo, rappresenta il primo grande romanzo dell’avanguardia sessantatreina. Quello di Sanguineti è il primo esperimento narrativo in cui il linguaggio non è più solo mezzo ma vero e proprio fulcro dell’opera.172 Così struttura, stile e contenuto sono subordinati ad esso e all’utilizzo che lo scrittore ne fa: la parola, in questo modo, diventa l’unico appiglio a cui il lettore, così come 172 Cfr. Guglielmi, Guido: I romanzi di Sanguineti, in Aa. Vv. (1993): Edoardo Sanguineti. Opere e introduzione critica, Anterem edizioni, Verona, p. 57. 89 l’autore, può aggrapparsi. Il “capriccio” è proprio quello linguistico, il bizzarro modo di esprimersi di un narratore in un continuo stato di dormiveglia. La copertina del numero 25 de “Le Comete” presenta il romanzo come il racconto di «una crisi coniugale colta “nei sui aspetti più imbarazzanti e nascosti”, vissuta su tutti i piani dell’esperienza»173. Si tratta infatti del racconto di una crisi coniugale che coinvolge i due protagonisti del romanzo, tuttavia, scrive Renato Barilli, Sanguineti: […] nell’affrontare questa materia familiare e quotidiana, rinuncia affatto alle solite convenzioni, assume un’ottica del tutto diversa […]. L’ottica ‘altra’ da quella naturalistica gli è fornita soprattutto dall’onirismo.174 Il Capriccio è un romanzo onirico suddiviso in centododici capitoletti in cui il narratore prova a tradurre in parole logiche l’assurdità dei sogni che ha vissuto. Per capire le scene di difficile lettura del romanzo è infatti necessario tenere ben presente la situazione grottesca del sogno; la difficoltà sia di comprensione, così come di espressione, è data dalla natura contraddittoria delle sensazioni oniriche che non si piegano all’utilizzo del linguaggio “normale”. Il protagonista-sognatore deve quindi rinunciare all’espressione perché perso in una confusione di sensi e sensazioni che è allo stesso tempo reale e irreale, umana e sovraumana. Per comprendere i difficili meccanismi dell’opera sanguinetiana è utile partire dall’incipit: Spostammo le sedie verso la parete, mentre i quattro, tenebrosi, attaccavano When I stop. Il ragazzetto storto si gettò un’altra volta sul magnetofono. Mia moglie, adesso, era con E., in quell’angolo. Erano saliti a bere un’aranciata al banco. Poi si erano infilati nel camerino del direttore. Mia moglie, adesso, mi guardava. Si era tolta una calza e si stava fasciando un polso, forse. Mi fece anche un cenno di saluto. Il direttore stava appendendo un quadro alla parete, quando erano entrati. Quando si erano spente le luci, mia moglie doveva bere l’aranciata. Adesso era in L’edizione di riferimento è la prima edizione nella collana “Le Comete”, cfr. Sanguineti, Edoardo (1963): Capriccio italiano, Feltrinelli, Milano. 173 174 Ivi, quarta di copertina. 90 quell’angolo, e beveva un caffè. Adesso E. mi voltava la schiena. C’era nebbia e fumo nella cantina.175 Sebbene sembri di trovarsi di fronte al solito inizio in medias res, da subito siamo certi di essere finiti in un mondo bizzarro, lontano dalla realtà. Quella nebbia e quel fumo che riempivano la cantina, continueranno ad offuscare le scene, così come i personaggi: per quanto questi riappaiano frequentemente, non verremo mai a saperne molto di più. Ogni scena del Capriccio è predisposta alla ripetizione: le immagini, infatti, per quanto bizzarre non hanno mai l’apparenza della “prima volta”, non appaiono del tutto nuove e sconcertanti, ma lasciano intuire sempre un’aria di familiarità.176 Queste vengono continuamente riprese e ripetute, i loro elementi contraddetti o modificati senza alcuna connessione logica. Ogni scena si lascia infatti travolgere dall’imprevedibilità del sogno e non si lascia spiegare dai tradizionali meccanismi, neanche col procedere del racconto; gli avvenimenti iniziali rimarranno misteriosi, così come tutte le altre azioni future. Ogni capitolo dichiara lo sforzo da parte del narratore di raccontare, con la bocca ancora impastata dal sonno, ciò che ha vissuto mentre dormiva: è proprio questa fatica a giustificare quel linguaggio sincopato, quel lessico «depauperato e ristretto», quella sintassi «sbalordita e deficiente».177 Già dalle prime righe si nota altrettanto chiaramente come questo scenario necessiti di una lingua ‘altra’, una grammatica del sogno che riesca a fondere insieme i vari piani dell’immaginazione e trascrivere il complicato universo mentale del narratore. I piani temporali non hanno consequenzialità né senso logico: il tempo del Capriccio è tutto basato sull’alterazione dei tempi verbali. La successione dal passato remoto, al passato prossimo, all’imperfetto fino al presente farebbe pensare ad una ricostruzione cronologica della vicenda, ma essa è come se si ricostruisse nella mente del narratore al momento stesso del racconto, pertanto la cronologia è impossibile. Questa narrazione, dunque, necessita di una consecutio temporum nuova e originale, 175 Ivi, p. 7. 176 Cfr. Guglielmi, Guido: I romanzi di Sanguineti, in Aa. Vv. (1993): Edoardo Sanguineti. Opere e introduzione critica, Anterem edizioni, Verona, p. 55. 177 Cfr. Wlassics, Tibor: La grammatica del sogno. Lettura del Capriccio italiano di Edoardo Sanguineti, in «Alla bottega», 1972/3, p. 1. 91 che recuperi solo in modo paradossale la tradizionale cronometria, alterando l’uso dei “prima”, i “poi” e gli “adesso”. Un qualsiasi tentativo di analisi logica da parte del lettore risulta vano, come, ad esempio, dimostrano i verbi all’imperfetto dopo l’avverbio «adesso». Il “cronometro” del Capriccio è come un orologio in perfetto funzionamento, continuamente consultato, ricaricato, regolato – al quale però manchi una minima parte: le lancette.178 Lo stesso capriccio grammaticale, che scombussola il tempo dell’azione, si rispecchia nelle frasi sature di parole vuote, senza significato: congiunzioni, avverbi, interiezioni vengono continuamente ripetute come intercalari di un tic linguistico, una ritmicità sincopata della narrazione. La lingua diventa un conato di lingua, paratattica, semplificata nella forma ma incomprensibile nel contenuto e quindi inespressiva. Nello scenario del Capriccio tutto è possibile: tanto la sovrapposizione temporale, quanto anche l’ubiquità nello spazio. I personaggi possono trovarsi in un luogo e contemporaneamente in un altro, così come trovarsi in una condizione e nel suo opposto allo stesso momento. La percezione sensoriale nel mondo onirico è alterata e non risponde alla biologia umana: si giustifica così l’uso superfluo degli aggettivi possessivi a specificare quali siano gli occhi che guardano, le orecchie che ascoltano. Un personaggio nel mondo onirico può assistere ad una scena anche quando è assente, così come può guardare con gli occhi di qualcun altro e pensare con la mente di un altro personaggio, confondendo continuamente il punto di vista e la percezione della scena. 179 In un mondo in cui tutto e il contrario di tutto sono contemporaneamente possibili, al sognatore può essere ignoto il contenuto della propria mente, la posizione del proprio corpo, il significato delle proprie azioni. Come avviene nella scena V in cui la narrazione del sogno è veicolata da una doppia prospettiva, sia quella del sognatore sia quella della moglie, di cui il narratore ha consapevolezza. 178 Ibidem. 179 Cfr. Wlassics, Tibor: La percezione onirica, in «Prospetti», 1972/25-26, p. 58. 92 L’io narrante sa infatti cosa «pensa» la moglie, cosa voleva intendere con quei gesti pur, allo stesso tempo, non capendo. Io dovevo essere a letto e mi alzo, e arrivo nel salone tutto nudo. Mia moglie faceva grandi gesti, che volevano dire che io dovevo telefonare alla polizia. E, a quanto pare, io non capivo niente. Forse mia moglie, però, non aveva guardato dal terrazzo, ma era a letto anche lei, quando vide un uomo grosso, con una grossa bottiglia in mano, sulla porta della nostra camera e si alza, e mi sveglia, e mi dice: “Vado di là con lui”. […] Poi un uomo grosso, con una grossa bottiglia in mano, dice a mia moglie: “Guarda in cucina.” Allora mia moglie entra in cucina, e io sono lì, nudo, con una donna, e stiamo facendo qualcosa, e la donna sembra una serva, pensa mia moglie, che però non dice niente.180 In questo sforzo descrittivo, tipico della ricostruzione del sogno, emerge la pluralità di tempo e spazio nella scena, le azioni devono essere ricostruite più volte, ma nel ripeterle queste vengono modificate e percepite in maniera diversa: quel «però» capovolge la situazione e svela l’ubiquità dei personaggi. La labilità dei confini di spazio e tempo si esprime maggiormente nella grottesca scena in cui uno dei personaggi assiste al parto della madre e quindi alla propria nascita: Allora io dico a B. che quella doveva essere proprio la sua nascita, cioè di B., quella che aveva visto così, e lui dice subito che adesso se lo ricorda proprio bene, che la grossa padella era proprio tutta sporca di sangue, e sua sorella, cioè di B., ci bagnava proprio dentro il pane.181 Questo assurdo viaggio indietro nel tempo, in cui lo stesso personaggio è sia spettatore che partecipe, è soffuso di un’atmosfera stregata e sinistra che amplifica al lettore l’impossibilità della scena, della quale B. non percepisce contraddittorietà, anzi «se lo ricorda proprio bene». 180 Sanguineti, Edoardo (1963): Capriccio italiano, Feltrinelli, Milano, p. 15. 181 Ivi, p. 29. 93 Nel mondo onirico del Capriccio la percezione è spesso creazione: in questo modo si distrugge completamente il rapporto causa-effetto. La percezione-creazione può essere soggettiva: come l’analogia tra donna e gallina che diventa, nel mondo del sogno, subito identità e quindi la donna è la gallina.182 La ragazzotta, intanto, fa crò crò. “Oh,” le dico, “che fai la gallina, tu, di nuovo?” Ma poi sto zitto subito, che c’è una gallina vera, adesso, che ci esce da un buco lì nel muro.183 Questa, tuttavia, può essere anche esterna, come nel caso in cui al narratore sfugge la logica causa-effetto che è invece suggestionata dalla percezione di qualcun altro: “Il telefono”, dice mia moglie, che parla quasi nel sonno. Perché, è vero, c’è il telefono che suona…184 Egli è consapevole di quel trillo ma è solo attraverso la percezione della moglie, in questo caso, che il narratore riesce a comprenderne la causa. «L’effetto non diminuisce per mancanza di causa»185, potremmo così generalizzare, portando quindi a una comprensione “astratta” in cui le cause, i significanti della percezione, vengono “censurate” dalla legge onirica ma allo stesso tempo se ne recepiscono gli effetti. Sono quindi gli effetti, le reazioni, a suscitare interesse per l’autore: “Sai che cosa ci ho scoperto qui, a andarci in giro così di notte?” E io avevo risposto allora: “Davvero no, davvero!”186 Quella domanda ha tutta l’aria di essere una domanda retorica e quella risposta, non è quindi un’effettiva risposta ma piuttosto una reazione a qualcosa che non ci viene detto, che è totalmente omesso. Così anche nei dialoghi tra i personaggi è spesso il nocciolo della comunicazione a venir meno: 182 Cfr. Guglielmi, Guido: I romanzi di Sanguineti, in Aa. Vv. (1993): Edoardo Sanguineti. Opere e introduzione critica, Anterem edizioni, Verona, p. 55. 183 Sanguineti, Edoardo (1963): Capriccio italiano, Feltrinelli, Milano, p. 171. 184 Ivi, p. 149. 185 Cfr. Wlassics, Tibor: La percezione onirica, in «Prospetti», 1972/25-26, p. 50. 186 Sanguineti, Edoardo (1963): Capriccio italiano, Feltrinelli, Milano, p. 50. 94 Parla ma che non lo sento. Allora è come prima, che fa tanti gesti. “Perché me lo racconti?” gli dico, che quasi mi metto a piangere, adesso, ma non ho sentito mica niente, ma ho visto i gesti.187 Come in una scena cinematografica in cui l’audio è fuori sincrono, il narratore non sente quello che gli viene detto. Perciò noi, senza conoscere il contenuto del racconto, vediamo la sua risposta, cioè il pianto: l’essenziale del discorso viene soppresso per far spazio solamente alla reazione. La vicenda coniugale, che dovrebbe essere il tema centrale della trama, viene vissuta solo attraverso i significati del sogno: i conati espressivi del narratore sono l’unico modo tramite il quale poter ricostruire parzialmente la vicenda. La storia salta da un’interruzione ad un’altra, impedendoci di individuarne un prima e un poi. Questa si presenta quindi dissezionata e frammentata e i vari episodi vengono inseriti nel grande «gioco del romanzo»188: il gioco, che ritorna in diverse scene, è sempre senza regole, né strategie e completamente affidato alla casualità. Nella scena XXII alcuni personaggi partecipano a un gioco che è il vero simbolo del romanzo: Che poi il giuoco è questo, che noi dicevamo che quelle dovevano indovinare un romanzo che noi sapevamo bene, e che allora facessero pure delle domande, che così se lo potevano indovinare un po’ tutto, un po’ per volta. Che poi il romanzo non c’è mica, si capisce, che sono loro che se lo fanno con le loro domande, ma se quelle fanno una domanda che l’ultima parola finisce per a, oppure per o, oppure per u, noi si diceva sempre di no, e che se invece finiva per e, oppure per i, si diceva di sì, invece.189 Questo è Capriccio italiano in cui Sanguineti trasforma una storia in oggetto e la sottopone ad un’operazione di chirurgia formale. Come secondo le regole ripetitive del gioco, egli associa gli elementi della vicenda con procedimenti ricorsivi ma allo stesso tempo casuali. Sanguineti scrive «un romanzo della possibilità del 187 Ivi, p. 12. 188 Cfr. Guglielmi, Guido: I romanzi di Sanguineti, in Aa. Vv. (1993): Edoardo Sanguineti. Opere e introduzione critica, Anterem edizioni, Verona, p. 57. 189 Sanguineti, Edoardo (1963): Capriccio italiano, Feltrinelli, Milano, pp. 44-45. 95 romanzo»190 che cerca se stesso e che, scena dopo scena, si costruisce attraverso le narrazioni sognanti. È l’estremo tecnicismo dell’autore a conferire espressione e senso all’opera tramite un procedimento che non cerca la realtà e la causalità dei fatti ma piuttosto li subordina alla loro stessa possibilità di essere espressi a parole. La lettura del Capriccio italiano riesce a immergerci in un’atmosfera paradossale e quasi metafisica dalla quale non se ne può che uscire confusi e allucinati. Il narratore ubriaca di parole il lettore il quale, allo stesso tempo, viene sottoposto ai numerosi input di un romanzo dai significati nascosti. Questi ultimi sono da ricercare piuttosto che nella storia, rilegata invece ad un piano di lettura secondario, nel linguaggio astruso e sincopato e nelle azioni oniriche e grottesche. Di ritorno da un mondo dove tutto e il contrario di tutto sono non solo possibili ma anche simultanei, ci ritroviamo come gli stessi personaggi del libro: Ma poi pian piano, ci rimettiamo un po’ normali, e allora ci alziamo anche la testa, ma piano piano, che ci facciamo ancora come un po’ di risate, di quelle che a noi ci restano, così a scatti, ma come con gli occhi pieni di lacrime.191 4.3. La ricezione tra Congetture di Johnson e Capriccio di Sanguineti Basterebbe leggere le brevi analisi di questo capitolo o anche solo cinquanta pagine di Congetture su Jakob e poi di Capriccio italiano perché ci saltino all’occhio le differenze, tanto da sembrare impossibile trovare delle analogie. Azzardare un confronto tra i due testi sopra analizzati, potrebbe quindi sembrare un tentativo forzato di far coincidere due romanzi che hanno ben poco a che fare tra di loro. Tuttavia ritengo possa essere un utile discorso conclusivo che ci permetta di 190 Cfr. Guglielmi, Guido: I romanzi di Sanguineti, in Aa. Vv. (1993): Edoardo Sanguineti. Opere e introduzione critica, Anterem edizioni, Verona, p. 57. 191 Sanguineti, Edoardo (1963): Capriccio italiano, Feltrinelli, Milano, p. 11. 96 ripercorrere e di ampliare, tramite un caso specifico, il confronto tra i due gruppi già condotto in precedenza. Accostare i due testi non è la prima operazione che saremmo portati a fare ma piuttosto, ancora una volta, è il contesto, il campo letterario in cui queste due opere “agiscono”, a dover essere preso in considerazione. La scelta delle due opere però non è casuale ma dovuta al fatto che queste rappresentano un punto di partenza per un nuovo indirizzo nella letteratura nazionale. In un certo senso, ci si serve di Congetture su Jakob e di Capriccio italiano come emblemi dei rispettivi “seminari letterari”, stabilendo la base comune del nostro confronto. In Germania l’uscita di Mutmaßungen über Jakob non ha lasciato indifferente la critica e il pubblico tedeschi:192 Johnson affronta, da cittadino dell’est per un pubblico dell’ovest, un tema tanto scomodo quanto attuale. L’autore lascia spesso spiazzati i lettori occidentali per il modo in cui sceglie di trattare, ad esempio, la complicata tematica della Sicurezza di Stato nella DDR attraverso l’ambiguo caso del capitano Rohlfs, un personaggio in cui tuttavia non si riconosce un “nemico”. Quando invece nel 1963, agli albori dell’esperienza del Gruppo, esce Capriccio italiano di Sanguineti questo viene accolto, in un certo senso, come il grande manifesto della narrativa neoavanguardista. Il Capriccio è un romanzo che si dissocia completamente dalla narrativa neorealista e neonaturalista italiana, accantonando ogni pretesa di ideologia e di tematizzazione e facendo del linguaggio e della sperimentazione linguistica il centro nevralgico dell’opera. È d’obbligo tuttavia una precisazione: il successo che ha coinvolto l’uscita delle Mutmaßungen non è pari a quello del Capriccio. La rilevanza del romanzo johnsoniano sia nella letteratura nazionale tedesca sia in quella internazionale, è stata di gran lunga maggiore rispetto all’esperimento sanguinetiano. Il Capriccio, così come gran parte della letteratura del Gruppo 63, rimane circoscritto alla breve sperimentazione letteraria di quegli anni, perdendo oggi parte di quella sua verve avanguardista e “rivoluzionaria”. La lettura delle difficili pagine di Sanguineti oggi risulterebbe decontestualizzata se il lettore non si apprestasse a considerare lo scenario che giustificava il virtuosismo narrativo e linguistico dell’autore. A 192 Cfr. paragrafo 4.1. 97 differenza, la lettura delle Mutmaßungen risulta più immediata rispetto alla lingua convulsa di Sanguineti, sebbene sia comunque necessario tener presente il contesto dell’opera tedesca. Il successo del romanzo di Johnson è sicuramente dovuto anche alla maggiore affermazione della Gruppe 47 nel campo letterario, che ha favorito la legittimazione di un’opera sperimentale e nuova, sia nei temi sia nella struttura. I riconoscimenti letterari delle Mutmaßungen sono stati diversi, ricordiamo soprattutto il Fontane-Preis nel 1960. Il simile contesto letterario, in cui questi due romanzi nacquero, non era esente da contatti reciproci e aveva permesso che entrambe le opere venissero tradotte in Italia e in Germania. Abbiamo già avuto modo di vedere come Filippini sia la chiave di interpretazione di queste contaminazioni italo-tedesche193: la sua attività per Feltrinelli, da subito, fa infatti di Johnson l’autore da importare con maggiore interesse. È singolare il fatto che Filippini in una recensione su «il verri» riconduca la scrittura di Johnson al «gesto del distacco dal naturalismo e dalla sua formula più recente, dal neorealismo»194, proprio come era stato fatto con Sanguineti. Anche in questo caso è l’editor Filippini a farsi mediatore tra la letteratura di Sanguineti e quella di Johnson: egli vorrebbe infatti che il romanzo di Sanguineti fosse in Germania quello che Congetture ha rappresentato in Italia.195 Infatti spinge affinché Capriccio italiano venga scoperto dai tedeschi e Enzensberger ne curi la traduzione: tuttavia la pubblicazione per Suhrkamp nel 1964 delude Filippini che legge nell’adattamento tedesco una «specie di romanzo surrealista, e a volte anche peggio, simbolista». Per Filippini infatti il romanzo di Sanguineti «è l’unico romanzo importante che sia uscito in questi anni in Italia, e che abbia segnato chiaramente il cambiamento»196. Per i tedeschi l’esperimento italiano non è di minor valore: soprattutto gli inizi del Gruppo 63 vengono ben recepiti dagli intellettuali tedeschi, lo 193 Cfr. paragrafo 1.2.1. Cfr. Fuchs, Marino: Enrico Filippini e Edoardo Sanguineti: ritratto di un’amicizia, in Calligaro, S., Di Dio, A. (a cura di) (2013): Marco Praloran 1955-2011, ETS Edizioni, Pisa, p. 277. 194 195 Ivi, pp. 276-278. 196 Lettera di Enrico Filippini a Hans Magnus Enzensberger, 14.10.1964, in: Sisto, M.: Mutamenti del campo letterario italiano 1956-1968: Feltrinelli, Einaudi e la letteratura tedesca contemporanea, in «Allegoria», 2007/55, pp. 100-101 98 dimostrano anche le successive traduzioni delle opere di Sanguineti.197 La traduzione italiana di Congetture su Jakob si inquadra nel sistema di strategie editoriali che animano il contesto italiano di quegli anni198 e risponde così a delle esigenze letterario-editoriali che permettono al romanzo di acquisire una nuova accezione per il pubblico e per la critica. Uwe Johnson viene presentato ai lettori italiani come uno dei più autorevoli eredi della tradizione delle avanguardie storiche che in Germania passa per l’espressionismo, collocando così la sua opera in un altro insieme di riferimenti.199 Di certo questi riferimenti non mancano in Johnson, tanto da ritenere che «hanno posto determinati criteri»: […] Come potrebbe uno mettersi a scrivere se non conoscesse questi autori? Dopo che Döblin ha scritto l’Alexanderplatz e Thomas Mann il Dottor Faustus e Brecht il Galileo Galilei e certe poesie, e Joyce l’Ulisse, eccetera, uno non può mettersi a tavolino e scrivere come se queste opere non esistessero.200 Questa breve digressione circa le vicende editoriali dei due romanzi serve a confermare la posizione di Johnson: pioniere di una letteratura in contrasto con quella della generazione precedente. Ugualmente in l’Italia l’autore è, non solo un esempio, ma anche legittimazione della nuova traiettoria che la neoavanguardia intende percorrere. Prima di addentrarci in alcune osservazioni sui testi, dobbiamo premettere che il confronto può essere solo inteso sul piano stilistico e linguistico e non su quello tematico: i temi impegnati dell’opera di Johnson non sono compatibili con la concezione sessantatreina di letteratura, totalmente anti-engagé. Un’importante innovazione nelle Congetture è la struttura, per l’appunto, congetturale: una tecnica del montaggio “avanzata” che trascina e ordina le varie scene in un modo tale che non permette al lettore di ricostruire il caso, conservando quell’aspetto di mistero e dubbio tipico della congettura. Anche in Capriccio italiano 197 Ibidem. 198 Cfr. paragrafo 1.2.1. Cfr. Sisto, Michele (a cura di) (2009): L’invenzione del futuro. Breve storia letteraria della DDR dal dopoguerra a oggi, Libri Scheiwiller, Milano, pp. 350-351. 199 200 Cfr. Filippini, Enrico: Intervista con Uwe Johnson, in «Quaderni milanesi», 1962/3, pp. 125-127. 99 gli spezzoni non rispettano alcun ordine: in questo romanzo però il montaggio non è diretto da un “tecnico” ma dallo schiribizzo della mente sognante del narratore, dove le varie scene, che azzardando potremmo chiamare vicende, si realizzano come narrazione solo in modo casuale, quando queste si manifestano in sogno. Infatti nel romanzo di Johnson è possibile ricostruire una vicenda in un contesto storico e reale; diversamente nel Capriccio la trama è completamente rarefatta e si capisce solo poco della realtà a cui questa fa riferimento perché completamente alterata dalla proiezione nel mondo onirico. Le immagini del Capriccio sono degli spiragli su mondi altri che possiamo recuperare solo come frantumi, al contrario nella storia di Jakob possiamo scorgere nelle scene, per quanto il loro andamento sia misterioso, una realtà oggettiva contestualizzabile. Nonostante la prospettiva nelle Congetture sia intermittente, la caratterizzazione dei personaggi è tale da permetterci di identificarli e tracciare una loro fisionomia. Nel Capriccio i due protagonisti, sebbene solo nel corso dell’opera, sono gli unici personaggi ad essere chiamati con un nome: Edoardo e Luciana. La coppia del romanzo si identifica così per omonimia con l’autore e sua moglie, tuttavia questo non impedisce a Sanguineti di liquidare il realismo del racconto, spezzando ogni volontà narrativa e dando al romanzo una struttura assolutamente aperta.201 Gli altri personaggi sono infatti degli spettri a malapena identificati e identificabili, tanto che per il lettore è difficile riconoscere le loro azioni e il loro ruolo: essi rimangono nient’altro che delle lettere (i nomi dei personaggi vengono infatti ridotti alla loro iniziale) che nel testo passano quasi inosservate, rendendo le azioni quasi prive di soggetto. L’aspetto principale su cui soffermarsi quando si parla dell’opera di Sanguineti è sicuramente il linguaggio, fulcro non solo della produzione dell’autore ma di tutta la sperimentazione neoavanguardista italiana. Nel Capriccio infatti la parola perde la sua funzione espressiva, diventando tecnica: la lingua è povera e rinuncia a qualsiasi forma di comunicazione ampia ma allo stesso tempo, in un’operazione iperletteraria dell’autore, assistiamo ad una sorta di «manierismo della 201 Guglielmi, Guido: I romanzi di Sanguineti, in Aa. Vv. (1993): Edoardo Sanguineti. Opere e introduzione critica, Anterem edizioni, Verona, p. 57. 100 povertà».202 Anche il linguaggio di Johnson è privo di ogni pretesa poetica, le “congetture” sono caratterizzate dalla lingua propria e autentica del personaggio: assistiamo così all’uso del dialetto, all’esposizione tipica del parlato, a descrizioni scarne e discorsi stentati in cui chi parla cerca di ricostruire al momento la storia. Lo stesso avviene per il sognatore del Capriccio, il cui parlato è ricco di parole inadeguate, storpiate, intercalari e sbavature grammaticali, così come di espressioni dialettali o volgari. Tuttavia c’è una grande differenza tra il linguaggio di Johnson e quello di Sanguineti: i personaggi di Johnson riferiscono una realtà che spesso non si conosce, di cui non si conoscono le cause o, il più delle volte, di cui si dubita. Al contrario per i sognatori del Capriccio la realtà non esiste affatto, o meglio la realtà di cui si parla è un sogno, una non realtà che non risponde alle logiche della fisica normale. Queste brevi osservazioni hanno voluto mettere a confronto due opere che rispecchiano per alcuni aspetti la stessa atmosfera letteraria e possono presentare delle analogie. Anche se non possiamo propriamente dire che la ricezione sia diretta, o che Sanguineti nello scrivere il Capriccio italiano abbia in mente il lavoro di Johnson. Sicuramente però il lavoro del Gruppo 63, e in parte quindi anche quello di Sanguineti, trova nella Gruppe 47 un modello a cui far riferimento. Da questa si riprendono non solo la struttura interna, il modus operandi o l’idea di seminario letterario ma la neoavanguardia italiana ai suoi inizi sente soprattutto di poter far affidamento su questa letteratura tedesca contemporanea che prova con successo degli esperimenti stilistici e linguistici nuovi.203 A ragione è possibile prendere in esame le due opere scelte, le quali, nelle loro differenze, condividono però il fatto di collocarsi in due sistemi che presentano una matrice comune. La volontà di importare nel Gruppo 63 l’idea della letteratura tedesca contemporanea della Gruppe 47 è sicuramente stata colta da Sanguineti come testimoniano peraltro i suoi contatti con il mondo tedesco e la sua partecipazione alle riunioni della Gruppe.204 202 Ivi, p. 56. 203 Cfr. paragrafo 3.3. 204 Cfr. Bignami, Marta (2008): Introduzione, in Bignami, Marta (a cura di): Antologia del Gruppo 47. Autori tedeschi dal 1947 al 1967, Aracne, Roma, p. 16 101 CONCLUSIONE Quando si decide di intraprendere un lavoro che vuole mettere a confronto due letterature, o comunque due momenti più o meno circoscritti di esse, è necessario compiere delle scelte che permettano di ridurre, l’altrimenti troppo ampio, campo di ricerca. Così è stato nel mio caso, ho dovuto quindi selezionare argomenti ed elementi su cui focalizzare il mio discorso, seguendo una direzione piuttosto che un’altra. La mia intenzione è stata infatti quella di indagare i contatti e le influenze tra la letteratura italiana e la cultura tedesca nel secondo dopoguerra, in particolare tra gli anni Cinquanta e gli anni Sessanta. Per fare questo è stato necessario cercare di ricostruire il contesto di quegli anni e allo stesso tempo restringere la ricerca al solo contesto italiano e tedesco, dovendo tralasciare altre interferenze che potrebbero venir prese in considerazione. Per tirare le fila del discorso e ricostruirne il percorso credo sia quindi utile ripercorrere le scelte operate e specificarne le motivazioni. Il punto di partenza del lavoro è stato appunto quello di considerare in modo più generale cosa, in quel periodo, sia stato recepito in Italia della letteratura tedesca, soprattutto per quel che riguarda gli autori contemporanei. Per fare ciò ho ritenuto fondamentale prendere in considerazione il campo editoriale: proprio in quegli anni l’editoria assume un ruolo centrale nell’industria letteraria. Oltretutto in Italia, a partire dalla fine degli anni Cinquanta, si assiste ad un particolare fenomeno, interessante se si vuole considerare la ricezione italiana della letteratura tedesca. Prendendo in esame quindi le case editrici che in quel periodo si interessano maggiormente alla produzione di area germanofona, ho individuato in Cesare Cases prima e in Enrico Filippini poi, le principali chiavi di lettura di questa ricezione. Entrambi sono, a cavallo tra i due decenni, i consulenti per la germanistica delle case editrici in cui rispettivamente lavorano: Einaudi e Feltrinelli. Per rendere conto delle opere proposte al pubblico italiano in quegli anni, ho ritenuto imprescindibile considerare l’azione svolta in senso parallelo dai due editor: essi, seppur in modo diverso, portano avanti un lavoro di importazione di questa letteratura, concentrandosi particolarmente anche sulla letteratura contemporanea e sui nuovi 102 artisti emergenti. Perciò lo “scontro” tra Cases e Filippini, oltre ad aver animato il campo editoriale italiano di inizio anni Sessanta, ha tracciato una nuova strada, anzi due nuove strade parallele, per la ricezione della cultura tedescofona. Questi contatti non si limitano alla sola esperienza di Cases e Filippini e ho quindi voluto allargare il campo prendendo in analisi, come esempio, l’esperienza della rivista «Gulliver»: questa vede coinvolti nel progetto grandi intellettuali sia di area italiana sia di area tedesca, oltre che francese. Questo per rendere anche l’idea di come il periodo di fine anni Cinquanta, e poi tutti gli anni Sessanta, sia stato un momento di ravvivato contatto culturale tra il mondo intellettuale italiano e quello tedesco. Abbiamo detto che in Italia si vengono a delineare due percorsi paralleli, quello di Filippini e quello di Cases: nel mio caso ho scelto però di considerare il primo. Questo perché, a partire dai primissimi anni Sessanta, Filippini sarà sempre più interessato alla traduzione della letteratura tedesca contemporanea e, attraverso questa, a legittimare la nascita di un nuovo clima neoavanguardista, di cui egli stesso è partecipe. Nel 1963, spinto da Filippini e con l’appoggio di Feltrinelli, può nascere infatti il Gruppo neoavanguardista italiano. Questo particolare momento della letteratura italiana che ho deciso di prendere in esame si colloca infatti in una rete di interferenze e contatti tra Germania e Italia che è stata il punto centrale del mio lavoro. Il Gruppo 63 fin dal suo atto di nascita dichiara di ispirarsi alla Gruppe 47: questa affermazione è stata lo stimolo ad indagare su come questi contatti si siano effettivamente realizzati e come la ricezione del modello tedesco sia stata invece adattata al contesto italiano. Perciò per poter rispondere alla domanda è stato necessario inquadrare i due gruppi: prima il Gruppo 63, direttamente collegato alla figura di Filippini e come abbiamo visto alla sua attività editoriale, e successivamente il Gruppo 47 in Germania. Per il Gruppo tedesco è stato necessario considerare con maggiore attenzione il suo contesto, quando e come si colloca nel campo letterario e soprattutto i suoi sviluppi. Il 1959, passati ormai oltre dieci anni dalla sua fondazione, rappresenta un punto di svolta per la produzione della Gruppe tedesca, la quale infatti in quell’anno 103 “partorisce” tre romanzi che ne rinnovano l’attività letteraria. Ciò è la chiave che ci permette di inquadrare meglio lo scenario complessivo: è infatti proprio questa “seconda generazione” della Gruppe il momento che maggiormente viene recepito e importato da Enrico Filippini, dando così, a quel clima di innovazione già esistente in Italia, un forte slancio e un modello consolidato da imitare. Il Gruppo 47 però non ha avuto la carica avanguardista che caratterizza il Gruppo 63 italiano e molte altre sono le differenze: solo dopo aver chiarito i percorsi dei due gruppi è stato infatti possibile condurre alcune osservazioni su quali siano state le effettive analogie tra questi. Il Gruppo italiano ha recepito a suo modo le istanze della Gruppe, dovendo giustamente adattare e plasmare gli elementi tedeschi al diverso contesto italiano. L’ultimo capitolo del mio lavoro vuole considerare, ponendo come presupposto il confronto tra i due gruppi appena tracciato, se e come questo si rispecchia o meno dal punto di vista dei testi. La scelta dei testi non è stata tuttavia casuale ma ha voluto considerare i due romanzi che, in un certo senso, vengono ritenuti opere simbolo della produzione dei rispettivi gruppi: Congetture su Jakob per quanto riguarda la generazione tedesca del ‘59 e Capriccio italiano come testo della neoavanguardia italiana. I due testi sono quindi stati scelti non per le particolari analogie dal punto di vista contenutistico o stilistico, ma piuttosto perché questi rappresentano in un certo senso l’emblema e la sintesi del discorso fatto finora. Congetture su Jakob oltre ad essere il simbolo della nuova generazione della Gruppe 47, della quale ne esprime la novità sia a livello stilistico che tematico, è stato anche il segno rappresentativo dell’attività di Filippini che ha fatto di questo testo, e poi di tutta l’opera johnsoniana, il trait d’union tra letteratura tedesca e letteratura italiana, in particolare quindi tra Gruppo 47 e Gruppo 63. In conclusione trovo che, in misura ridotta, Capriccio italiano sia rispetto a Congetture su Jakob quello che il Gruppo 63 è rispetto alla Gruppe 47: qualcosa che è stato influenzato e stimolato dal modello tedesco ma allo stesso tempo ha dovuto percorrere altre strade e mutare la propria forma per adattarsi e rispondere alle esigenze dello specifico contesto letterario italiano. 104 BIBLIOGRAFIA Aa. Vv. (1964): Gruppo 63, Feltrinelli, Milano. Aa. Vv. (1993): Edoardo Sanguineti. Opere e introduzione critica, Anterem edizioni, Verona. Aa.Vv. (2005): Il Gruppo 63, quarant'anni dopo: Bologna, 8-11 maggio 2003, atti del Convegno, Pendragon, Bologna. Andersch, Alfred, Enzensberger, Hans Magnus, Cases, Cesare: Dibattito sul «Gruppo 47», in «L’Europa letteraria», 1963/20. Arnold, Heinz Ludwig (a cura di) (1981): Literaturbetrieb in der Bundesrepublik Deutschland, Edition Text + Kritik, München. Baioni, Giuliano: Peter Weiss. Punto di fuga, in «il verri», 26, 1968. 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