Location via proxy:   [ UP ]  
[Report a bug]   [Manage cookies]                
Downloaded from UvA-DARE, the institutional repository of the University of Amsterdam (UvA) http://hdl.handle.net/11245/2.46469 File ID Filename Version uvapub:46469 Rietveld2.pdf unknown SOURCE (OR PART OF THE FOLLOWING SOURCE): Type PhD thesis Title Il trionfo di Orfeo : la fortuna di Orfeo in Italia da Dante a Monteverdi Author(s) L.C.J. Rietveld Faculty FGw: Instituut voor Cultuur en Geschiedenis (ICG) Year 2007 FULL BIBLIOGRAPHIC DETAILS: http://hdl.handle.net/11245/1.263136 Copyright It is not permitted to download or to forward/distribute the text or part of it without the consent of the author(s) and/or copyright holder(s), other than for strictly personal, individual use, unless the work is under an open content licence (like Creative Commons). UvA-DARE is a service provided by the library of the University of Amsterdam (http://dare.uva.nl) (pagedate: 2014-11-17) Il trionfo di Orfeo La fortuna di Orfeo in Italia da Dante a Monteverdi Laura Rietveld In copertina: Orfeo, Nozze di Pesaro, BAV, Ms.Urb.Lat. 899, fol. 64v. Disegno copertina e stampa: F&N Boekservice Amsterdam © Laura Rietveld 2007 ISBN: 978-907867501-3 Il trionfo di Orfeo La fortuna di Orfeo in Italia da Dante a Monteverdi ACADEMISCH PROEFSCHRIFT ter verkrijging van de graad van doctor aan de Universiteit van Amsterdam op gezag van de Rector Magnificus prof. mr. P.F. van der Heijden ten overstaan van een door het college voor promoties ingestelde commissie, in het openbaar te verdedigen in de Aula der Universiteit op dinsdag 13 februari 2007, te 12.00 uur door Laurentia Catharina Johanna Rietveld geboren te Amsterdam Promotor: prof. dr. R. Crespo Co-promotor dr. R.M. de Rooij Faculteit der Geesteswetenschappen ‘degno d’eterna gloria fia sol colui c’havra di sè vittoria’ (Monteverdi, L’Orfeo, atto IV) INDICE Introduzione 11 Capitolo 1. Le origini di Orfeo Il mito nell’antichità e nel primo Medioevo 31 1.0 Il mito di Orfeo 1.1 Orfeo e l’orfismo nell’antichità 1.2 Orfeo greco 1.3 Orfeo romano 1.3.1 Orfeo vs. Aristeo nelle Georgiche 1.3.2 Amante, oratore e omosessuale nelle Metamorfosi 1.3.3 Orfeo civilizzatore e Orfeo vs. Ercole 1.4 Il periodo postclassico 1.4.1 Orfeo-Cristo negli apologeti ebraici e cristiani e nella prima arte cristiana 1.4.2 Orfeo in cerca del mondo superiore nel De Consolatione 1.4.3 L’allegoria musicale di Fulgenzio 1.5 Il primo Medioevo 1.5.1 Orfeo in cerca del sommo bene nei commenti a Boezio 1.5.2 Orfeo-Cristo e virtuoso nei commenti alle Metamorfosi 1.5.3 Civilizzatore nel terzo mitografo vaticano 1.5.4 Orfeo vs. Davide e voce musicale nei trattati musicali 1.5.5 Trionfante nell’Ade nella poesia medievale 1.6 Conclusione 31 33 35 43 44 48 52 55 55 57 60 61 62 66 69 72 74 75 Capitolo 2. Il mito come topos Orfeo nel Trecento e nel primo Quattrocento (ca. 1300-1450) 2.0 Dal Medioevo al Rinascimento 2.1 La tradizione mitografica: le Genealogie deorum gentilium 2.2 Le rielaborazioni delle Metamorfosi 2.2.1 L’Ovidio Maggiore, una traduzione letterale 2.2.2 Le allegorie di Giovanni del Virgilio e Giovanni dei Bonsignori 2.3 Poeta e musicista esemplare 2.4 Civilizzatore 2.5 Amante 2.6 Orfeo in cerca del sommo bene 2.7 Poeta-teologo o filosofo 7 79 79 82 88 90 92 98 104 108 114 120 2.8 L’epicureo vs. lo stoico nel De laboribus Herculis di Coluccio Salutati 2.9 Conclusione 124 128 Capitolo 3. Poeta-teologo storico La cerchia di Marsilio Ficino a Firenze (ca. 1450-1500) 131 3.0 Ficino e il neoplatonismo fiorentino 3.1 Priscus theologus o poeta-teologo 3.2 Poeta ispirato e alter ego di Ficino 3.3 La fortuna del poeta-teologo 3.4 Conclusione 131 133 139 149 153 Capitolo 4. Figura teatrale e amante popolare La Fabula di Orfeo di Poliziano e le sue imitazioni (ca. 1475-1525) 155 4.0 Poliziano e la corte mantovana 4.1 La Fabula di Orfeo 4.1.1 Introduzione alla Fabula 4.1.2 La nuova rappresentazione del mito 4.1.3 Speculazioni sul significato 4.2 Due imitazioni teatrali: l’Orphei tragoedia e La favola di Orfeo e Aristeo 4.2.1 Le due tragedie 4.2.2 Trasformazioni tragiche del mito 4.3 Orfeo ed Euridice nei cantari cinquecenteschi 4.3.1 Il genere popolare dei cantari 4.3.2 Orfeo amante nei cantari 4.4 Il mito nei cicli pittorici 4.4.1 Orfeo alla corte dei Gonzaga 4.4.2 L’apparizione di Aristeo vs. Orfeo conciliatore 4.5 Conclusione 155 156 156 160 171 179 182 183 189 189 190 197 197 207 211 Capitolo 5. Mitografo o figura mitologica? Le opere mitografiche cinquecentesche (ca. 1475-1600) 215 5.0 La divulgazione del mito 5.1 La tradizione mitografica: da figura mitologica a mitografo 5.1.1 Le Mythologiae di Natale Conti 5.1.2 Orfeo mitografo nei trattati mitologici ed iconografici 5.2 I volgarizzamenti delle Metamorfosi 5.2.1 Allegorie medievali ed influenze umanistiche 5.2.2 Traduzioni letterali 215 217 218 221 224 225 227 8 5.2.3 Controriforma e allegoria 5.2.4 Dal testo all’immagine: le xilografie 5.2.5 La fortuna delle xilografie nell’arte 5.3 Conclusione 231 232 243 247 Capitolo 6. Topoi, reazioni ed innovazioni Orfeo alla fine del Quattrocento e nel Cinquecento (ca. 1475-1600) 249 6.0 Introduzione 6.1 Poeta eccellente vs. poeta odiato 6.2 Argonauta 6.3 Civilizzatore 6.4 Orfeo ed Euridice amanti fedeli 6.5 Fallito o trionfante? 6.6 Misogino e omosessuale 6.7 Orfeo come simbolo del potere rinnovato dei Medici 6.8 Conclusione 249 251 255 259 263 273 277 282 293 Capitolo 7. Il trionfo di Orfeo Orfeo nei primi melodrammi (1600-1607) 295 7.0. La nascita del melodramma 7.1 L’Euridice di Peri e Caccini e l’Orfeo di Monteverdi 7.2 Orfeo nei due libretti 7.3 Orfeo finalmente trionfante 7.4 Conclusione 295 298 302 314 319 Sintesi conclusiva 323 Bibliografia 333 Fonti fotografiche 361 Appendici 363 I. Elenco dei riferimenti letterari a Orfeo II. Elenco dei riferimenti a Orfeo nelle arti figurative III. Paragone della Fabula di Orfeo e le sue imitazioni (capitolo 4) IV. Paragone delle traduzioni delle Metamorfosi (capitolo 5) V. Paragone dei libretti di Rinuccini e Striggio (capitolo 7) 363 385 399 407 411 9 Summary (riassunto in inglese) 415 Samenvatting (riassunto in olandese) 425 Dankwoord (ringraziamento) 435 Indice alfabetico 439 10 INTRODUZIONE L’Orfeo di Claudio Monteverdi è oggi considerato una pietra miliare nella storia della musica. Anche se non fu il primo melodramma, l’Orfeo è spesso considerato musicalmente superiore alle poche opere del nuovo genere che lo precedettero ed è dunque visto come il primo melodramma significativo. Viene rappresentato ogni anno nei teatri di tutto il mondo, e ne esistono numerosissime registrazioni musicali. In quest’opera su libretto di Alessandro Striggio si racconta come Orfeo perda la sua amata Euridice per un morso di serpente. Orfeo scende negli Inferi per convincere Plutone con il suo canto a restituirgli la moglie. Plutone è bendisposto verso di lui, ma gli pone come condizione di non voltarsi durante il ritorno per guardare Euridice. Sopraffatto dalla paura di perdere Euridice Orfeo guarda indietro e la perde di nuovo. Apollo porta Orfeo con sé in cielo, dove potrà vedere le sembianze di Euridice nel sole e nelle stelle. L’Orfeo di Monteverdi non è l’unico melodramma che tratta del mito di Orfeo. Alcuni anni prima della rappresentazione dell’opera di Monteverdi nel 1607, Jacopo Peri e Giulio Caccini avevano già scritto la loro Euridice, basata sullo stesso mito. Dopo Monteverdi il mito di Orfeo tornerà in decine di opere.1 Perché il mito di Orfeo conosce una tale fioritura in Italia all’inizio del Seicento? In questa ricerca esamino come questo mito si sviluppa in Italia a partire delle origini della letteratura italiana fino al culmine dell’Orfeo monteverdiano del 1607. La mia ricerca si concentra dunque sullo sviluppo di Orfeo da figura stereotipata nei brevi riferimenti trecenteschi a figura centrale in molti melodrammi intorno al 1600. Seguendo questa strada verranno presi in esame alcuni autori e opere importanti, come la descrizione di Orfeo nelle Genealogie di Giovanni Boccaccio e nelle traduzioni delle Metamorfosi di Ovidio, che furono una fonte di conoscenza mitologica essenziale per generazioni di autori e pittori, il ruolo di Orfeo nella filosofia e nella vita di Marsilio Ficino, la sua presenza nella Fabula di Orfeo di Angelo Poliziano, ritenuta la prima rappresentazione teatrale secolare in volgare, la funzione simbolica di Orfeo per i Medici e per i Gonzaga. Lo scopo del presente studio non è, però, di spiegare soltanto i momenti delle grandi fioriture del mito di Orfeo alla fine del Quattrocento, con Ficino e Poliziano, e 1 Per menzionare soltanto le opere composte da italiani: Domenico Belli, Orfeo dolente (Il pianto d’Orfeo), Firenze, 1616; Stefano Landi, La morte d’Orfeo, Venezia, 1619; Luigi Rossi, Orfeo ‘tragicomedia per musica’, Parigi, 1647; Antonio Sartorio, L’Orfeo, Venezia, 1672; Antonio Draghi, La lira d’Orfeo, Laxenburg, 1683; A. Campra, Orfeo nell’Inferi, 1699; Giovanni Antonio Pollarolo, L’Aristeo, Venezia, 1700; Giovanni Alberto Ristori, I lamenti di Orfeo, Dresden, 1749; Antonio Tozzi, Orfeo ed Euridice, Monaco di Baviera, 1775; Ferdinando Bertoni, Orfeo ed Euridice, Venezia, 1776; Vittorio Trento, Orfeo negli Elisi, Verona, 1789; Gianfrancesco Malipiero, L’Orfeide (trittico), 1918-22; Vittorio Rieti, Orfeo tragedia, 1928; Alfredo Casella, La favola d’Orfeo, Venezia, 1932; Alberto Savinio, Orfeo vedovo, Roma, 1950; Roberto Lupi, La nuova Euridice, Bergamo, 1957; Adriano Lualdi, Euridikes diatheke (Il testamento di Euridice), 1962. 11 INTRODUZIONE all’inizio del Seicento con i melodrammi, ma anche quello di delineare gli aspetti diversi di Orfeo che si incontrano e si incrociano generalmente nel periodo da ca. 1300 a ca. 1600. Orfeo è infatti una figura mitologica complessa che presenta molte facce diverse e che ha vissuto varie avventure. Appunto questa complessità rende interessante una ricerca sulla sua fortuna, contrariamente a figure mitologiche ‘semplici’, come osserva giustamente W.B. Stanford.2 Quali aspetti di Orfeo sono dunque evidenziati dagli autori e dagli artisti e qual è la funzione di Orfeo nei testi letterari, nelle opere d’arte e nella musica? In altri termini, come viene rappresentato Orfeo e perché e con quale scopo è rappresentato in tal modo? Si possono distinguere alcune linee di sviluppo? La tematologia Gli studi sulla fortuna di figure mitologiche sono numerosi.3 Tali studi appartengono alla tradizione della Stoffgeschichte, o della thématologie (tematologia).4 Anche se nel passato questa tradizione di ricerca è stata fortemente criticata, Raymond Trousson l’ha difesa elencando alcuni principi metodologici necessari per lo studio della fortuna di figure 2 W.B. Stanford, ‘The Adaptability of Mythical Figures’, in: The Ulysses Theme. A Study in the Adaptability of a Traditional Hero, Basil Blackwell, Oxford, 1954, pp. 6-7. Per la stessa ragione Karl Galinsky ha studiato la figura di Ercole (The Herakles Theme. The Adaptations of the Hero in Literature from Homer to the Twentieth Century, Basil Blackwell, Oxford, 1972). Per una discussione della complessità della presenza di Ercole nella letteratura italiana del Trecento si veda: L. Rietveld, ‘Il mito e il personaggio di Ercole nell’opera di Dante, Petrarca e Boccaccio’, Incontri. Rivista europea di studi italiani 18. 2 (2003), pp. 99-113. 3 Per citare qualche esempio: R. Trousson, Le thème de Prométhée dans la littérature européenne, Genève, Librairie Droz, 1964; L. Vinge, The Narcissus Theme in Western European Literature up to the Early 19th Century, Lund, Gleerups, 1967; Galinsky, The Herakles Theme, cit.; Stanford, The Ulysses Theme, cit.; M. Beller, Philemon und Baucis in der europäischen Literatur. Stoffgeschichte und Analyse, Heidelberg, Carl Winter Universitätsverlag, 1967; Y.F.A. Giraud, La fable de Daphné. Essai sur un type de métamorphose végétale dans la littérature et dans les arts jusqu’à la fin du xviie siècle, Genève, Droz, 1968; E. Leube, Fortuna in Karthago. Die Aeneas-Dido-Mythe Vergils in den romanischen Literaturen vom 14. bis zum 16. Jahrhundert, Heidelberg, 1969. 4 Una definizione del concetto Stoffgeschichte: ‘Teildisziplin der Komparistik; die Stoff- und Motivgeschichte untersucht im diachronen und interkulturellen Vergleich die Ausprägungen, Überlieferungen und historisch bedingten Modifikationen literarischer Stoffe, Motive und Themen und bezieht dabei neben den Zeugnissen der Weltliteratur auch Gestaltungen in bildender Kunst, Musik und Alltagskultur mit ein. Da die dt. Kategorien Stoff und Motiv in der frz. und angelsächs. Literaturwissenschaft keine eindeutige Entsprechung haben und statt dessen unter den allgemeineren Bezeichnung thème bzw. theme zusammengefasst werden, haben sich dort die Begriffe Thematologie bzw. Thematics durchgesetzt.’ (Metzler-Lexikon Literatur- und Kulturtheorie. Ansätze, Personen, Grundbegriffe, a.c.d. A. Nünning, Stuttgart, 1998, p. 508). Elisabeth Frenzel descrisse la teoria e la storia della tematologia e fece una raccolta considerevole di temi e della loro fortuna (E. Frenzel, ‘Stoff- und Motivgeschichte’, in: Deutsche Philologie im Aufriss, Berlin, E. Schmidt, 1957-1960, vol. I, pp. 281-332; idem, Stoff-, Motiv- und Symbolforschung, Stuttgart, J.B. Metzlersche Verlagsbuchhandlung, 1963) 12 INTRODUZIONE mitologiche.5 Uno studio del genere non può essere un semplice elenco cronologico di opere, ma deve comprendere una ripartizione tematica interna che mostri certe linee di sviluppo. In questo modo gli studi tematologici differiscono dai dizionari mitologici, che formano, però, un punto di partenza molto utile per la tematologia. 6 Lo studio dei miti non deve limitarsi agli apici della letteratura, ma deve includere ogni espressione del mito. Così la Stoffgeschichte diventa un tipo di Geistesgeschichte. A questo punto Trousson ha introdotto una distinzione tra due gruppi di miti: mythes de situation (miti di situazione) e mythes de héros (miti di eroe).7 Nei miti di situazione il protagonista esiste solo in una determinata situazione e non ha una vita indipendente fuori di questa situazione o di questo contesto. In altre parole: la situazione crea l’eroe, e non viceversa. Nei miti dell’eroe il protagonista supera invece la situazione particolare: non è un’ immagine fissa, ma ha una grande autonomia e polivalenza, che gli danno un’indipendenza completa e un significato simbolico. Seguendo questa distinzione il mito di Orfeo appartiene ai miti di eroe.8 La distinzione di Trousson fa pensare a quella di Stanford fra eroi semplici ed eroi complessi. Gli ultimi, essendo indipendenti da una situazione particolare, possono figurare in un’opera di una certa lunghezza, ma possono anche essere comparire in qualche parola o allusione, richiedendo così una ricerca più ricca e continua, che non si limita ad alcune opere letterarie.9 Tutti questi riferimenti e allusioni riflettono il pensiero di un’epoca e vanno dunque considerati parte della Geistesgeschichte. Secondo Trousson i miti di situazione, che hanno un intreccio più esteso e che si manifestano spesso come una rappresentazione teatrale, pongono delle esigenze diverse: se ne devono studiare la costruzione dell’opera, la concezione e l’uso dei temi principali, i cambiamenti nei caratteri dei personaggi. Da questi elementi dipende il nuovo 5 R. Trousson, ‘Plaidoyer pour la Stoffgeschichte’, Revue de littérature comparée 38. 1 (1964), pp. 101-114 ; idem, Un problème de littérature comparée : les études de thèmes. Essai de méthodologie, Paris, Minard, 1965 ; idem, Thèmes et mythes. Questions de méthode, Bruxelles, Éditions de l’Université de Bruxelles, 1981. 6 J. Davidson Reid, The Oxford Guide to Classical Mythology in the Arts 1300-1990s, 2 volumi, Oxford, 1993; E.M. Moormann & W. Uitterhoeve, Van Achilles tot Zeus. De klassieke mythologie in de kunst, Maarten Muntinga b.v., Amsterdam, 1987; H. Hunger, Lexikon der griechischen und roemischen Mythologie : mit Hinweisen auf das Fortwirken antiker Stoffe und Motive in der bildenden Kunst, Literatur und Musik des Abendlandes bis zur Gegenwart, Hollinek, Wien, [1959]; E. Frenzel, Stoffe der Weltliteratur: ein Lexikon dichtungsgeschichtlicher Längsschnitte, Stuttgart, Kröner, 1998 (1a ed. 1962). 7 Trousson, ‘Plaidoyer’, cit., p. 104. La terminologia della tematologia è problematica. Nel suo articolo del 1964 Trousson parla di ‘mythes’, mentre nel libro del 1981 preferisce il termine ‘thèmes’. Altri termini suggeriti sono motivi o tipi. Il termine ‘mito’ non è ritenuto adatto a descrivere anche racconti biblici o racconti più moderni (come Don Juan) e inoltre esso ha una connotazione religiosa. In questa ricerca io preferisco, invece, di parlare del mito di Orfeo, perché è la denominazione comune (e non parlo qui di temi biblici o moderni) e anche perché in certi casi c’entrano ancora le connotazioni religiose del mito (per esempio per Ficino). 8 Trousson, ‘Plaidoyer’, cit., pp. 104-105. 9 Trousson, ‘Plaidoyer’, cit., p. 105. 13 INTRODUZIONE significato del mito trasformato.10 Tuttavia, questa distinzione tra miti di eroe e miti di situazione è artificiosa, poiché è difficile separare nettamente i due tipi di miti.11 Anche se si prendono in esame tutti i riferimenti e tutte le allusioni possibili e non solo gli apici della fortuna di un mito, ma, l’immagine di una figura mitologica non può mai essere completa. Quello che conta, però, è di poter disporre di una quantità sufficiente di significati così da non omettere sfumature interpretative importanti. La tematologia può studiare semplicemente la risurrezione di certi temi e la maniera in cui autori, epoche o letterature diversi reagiscono allo stesso tema. Essa si occupa preferibilmente anche di fonti e di influenze per mettere in evidenza l’originalità di ogni autore e di ogni epoca. Due eroi diversi possono rappresentare lo stesso concetto e sarebbe dunque anche possibile partire dal concetto invece che dall’eroe stesso. Si potrebbe per esempio partire dal concetto della musica ammaliante, che si trova anche nei miti di Anfione e di Arione. Si potrebbe, inoltre, paragonare Orfeo-Cristo a Prometeo-Cristo. Trousson propone, invece, di partire dal personaggio mitologico (l’eroe) per vedere quali aspetti diversi uno stesso personaggio può incorporare. Infatti, un personaggio mitologico non consiste quasi mai di un solo elemento. Non si può seguire la fortuna di due personaggi che simboleggiano lo stesso concetto, perché questo parallelismo esiste spesso soltanto durante un breve periodo e in alcuni testi. Per fare un esempio: Orfeo è considerato una prefigurazione di Cristo solo in alcuni testi medievali. Lo studio di un mito può avere un carattere storico (diacronico) oppure limitarsi a un’epoca specifica (sincronico).12 È necessario uno studio diacronico che parta dalle origini: bisogna conoscere la tradizione e i significati diversi che un tema ha avuto nel corso dei tempi per non incorrere in errori di prospettiva. Se non si conoscono le manifestazioni precedenti di un tema, si può ritenere originale quello che è invece il risultato di una lunga tradizione. La ricerca si deve inoltre estendere non solo nel tempo, ma anche nello spazio.13 I miti fanno infatti parte di un patrimonio europeo. Limitarsi a una sola letteratura, significherebbe trascurare la complessità del tema e trascurare lo studio di fonti e influenze. 10 Trousson, ‘Plaidoyer’, cit., p. 106. Questa difficoltà risulta già dal fatto che Trousson colloca il mito di Orfeo tra i miti di eroe, ma che fa menzione dell’Orphée di Ballanche come esempio di un mito di situazione. Anche Pierre Brunel si oppone a questa divisione: il mito è un insieme che non può essere ridotto a una situazione semplice né a un tipo (‘L’étude des mythes en littérature comparée’, in: idem, Mythocritique. Théorie et parcours, Paris, PUF, 1992, pp. 29-30). Anche Trousson stesso pone una condizione a questa distinzione: originariamente un eroe non è mai estraneo alla situazione, ma l’eroe si può liberare da questa situazione man mano che si afferma nella coscienza culturale. Secondo Trousson, si dovrebbe determinare l’interesse dominante dell’opera in questione (Thèmes et mythes, cit.). 12 Trousson, ‘Plaidoyer’, cit., p. 110; idem, Thèmes et mythes, cit., pp. 85-90. 13 Trousson, ‘Plaidoyer’, cit., p. 111; idem, Thèmes et mythes, cit., pp. 90-94. 11 14 INTRODUZIONE Infine la ricerca dovrebbe tener conto delle circostanze storiche, politiche e sociali in cui risorgono le figure mitologiche, perché gli autori e le opere non possono essere studiati a prescindere dal loro contesto storico-culturale. L’adattamento di figure mitologiche Nel suo studio sul mito di Narcisso nella letteratura europea Louise Vinge sottolinea che i cambiamenti nel mito non dipendono solo da fattori storici, politici e sociali.14 La contemporaneità non deve essere confusa con la causalità. Anche se due riferimenti a una figura mitologica appartengono allo stesso contesto storico e sociale, ci possono essere delle differenze tra i due riferimenti. Un altro fattore che, secondo Vinge, può determinare le trasformazioni di un mito è costituito dal contenuto generale dell’opera in cui si trova il riferimento mitologico e dalla relazione che il riferimento ha con l’opera completa. Non si possono inoltre trascurare le esigenze e la tradizione del genere letterario. Anche per Stanford il genere letterario è tra i fattori che possono influenzare i cambiamenti e gli adattamenti di una figura mitologica. Stanford presenta il seguente elenco di fattori: These factors will to some extent affect every creative writer when he begins to compose a new portrait of a traditional hero: the effect of the tradition, the problems of translation, the tendency to historical assimilation, the variation in moral standards, the exigencies of the chosen genre, and each author’s personal reaction to the personality of the mythical figure. Others could be added but these seem to be the main influences.15 Anche nella fortuna di Orfeo vedremo come la maniera in cui è caratterizzato l’eroe sia legata al genere letterario scelto. Nella poesia lirica Orfeo si presenta, per esempio, soprattutto come poeta-musicista e come amante. Nei trattati cinquecenteschi sulla poetica il suo potere sulla natura è un’allegoria del potere civilizzatore dell’eloquenza. Un autore deve dunque tener conto del genere, ma anche dello scopo del testo. Se una figura mitologica è adoperata come strumento di propaganda, l’autore (o l’artista) ometterà tutti gli aspetti (negativi) che non servono al suo scopo, come vedremo nel caso dell’Orfeo dei Medici. Un altro fattore che conta, secondo Stanford, è la tradizione. La fonte adoperata da un autore per la descrizione di un mito determina la sua versione del racconto. Chi conosce l’immagine di Orfeo come musicista e poeta dalle sue lezioni scolastiche di grammatica e retorica, sarà naturalmente indotto a ripetere nelle proprie opere questa immagine stereotipata. Chi, invece, conosce una versione delle Metamorfosi di Ovidio, può scegliere di soffermarsi più a lungo sul racconto amoroso di Orfeo ed Euridice. Un autore 14 15 Vinge, op.cit., pp. xi-xii. Stanford, op.cit., p. 6. 15 INTRODUZIONE che rappresenta Orfeo come Argonauta, attinge le sue informazioni da una fonte ancora diversa. Per chi, come Ficino, sa leggere il greco, si apre un mondo del tutto nuovo: Orfeo come fondatore di un movimento religioso, l’orfismo, e autore di un grande numero di testi filosofici. In terzo luogo, i cambiamenti nella percezione di una figura mitologica possono essere causati, secondo Stanford, da fattori linguistici. Tradurre dal latino oppure dal greco in italiano produce qualche volta degli spostamenti semantici più o meno grandi. Così, nelle traduzioni delle Metamorfosi il mito di Orfeo perde spesso varie sfumature. Un altro fattore è costituito dalla tendenza degli autori ad assimilare il mito alle usanze e ai costumi del loro tempo. Così nelle arti visive i vestiti dei personaggi sono spesso conformati all’ultima moda. Nel caso di Orfeo un’assimilazione del genere si vede anche nella scelta del suo strumento musicale. Orfeo è spesso raffigurato con una lira da braccio contemporanea o con un liuto, mentre secondo le fonti antiche il cantante suonava una cetra o una lira. Anche il carattere e il comportamento di una figura mitologica vengono spesso adattati alle norme contemporanee. Un fattore simile è il cambiamento della morale nei tempi. Mentre Ovidio rappresenta Orfeo come il primo omosessuale, questo aspetto sparisce completamente nel Medioevo cristiano. Poliziano è il primo a riprendere l’omosessualità di Orfeo nella Fabula di Orfeo, ma i rifacimenti successivi dell’opera omettono o cambiano spesso il passo incriminato.16 Stanford fa infine menzione della reazione personale di un autore al personaggio mitologico, cioè della sua simpatia o antipatia per la figura. A mio parere, è difficile dimostrare questo fattore in modo oggettivo. I fattori menzionati da Stanford costituiscono un’aggiunta utile al metodo di Trousson. Il fattore che manca nell’elenco di Stanford, quello del contesto storico, politico e sociale, è presente negli studi tematologici di Trousson. Il contesto storico cambiato causa degli spostamenti nelle idee sulla mitologia in generale.17 A questo fattore abbastanza generale io vorrei aggiungere quello dell’occasione precisa per cui un’opera è stata concepita. L’importanza dell’occasione conta soprattutto nel caso di rappresentazioni 16 Qui c’entra anche il fattore della tradizione: Poliziano è il primo a tornare alle fonti antiche. Si può ottenere un’idea dei cambiamenti nella percezione di figure mitologiche in generale da alcuni studi fondamentali che discutono la fortuna dell’intera mitologia greca durante il Medioevo e il Rinascimento: J. Seznec, The Survival of the Pagan Gods. The Mythological Tradition and its Place in Renaissance Humanism and Art, Princeton-Bollingen, 1995 (La survivance des dieux antiques, 1940); B. Guthmüller, Ovidio Metamorphoseos vulgare. Formen und Funktionen der Volkssprachlichen Wiedergabe klassischer Dichtung in der italienischen Renaissance, Harald Boldt Verlag, Boppard am Rhein, 1981; idem, Studien zur antiken Mythologie in der italienischen Renaissance, Acta Humaniora, VCH, Weinheim, 1986; idem, Mito, poesia, arte. Saggi sulla tradizione ovidiana nel Rinascimento, Bulzoni, Roma, 1997; L. Freedman, The Revival of the Olympian Gods in Renaissance Art, Cambridge, Cambridge University Press, 2003; M. Bull, The Mirror of the Gods. Classical Mythology in Renaissance Art, London, Penguin, 2005. 17 16 INTRODUZIONE teatrali o musicali. Nel capitolo sui primi melodrammi vedremo che un cambiamento nell’occasione per cui è rappresentato il melodramma causa dei cambiamenti notevoli nella fine del mito e nel ruolo di Orfeo. Il mito come ipotesto Nella realtà il mito prende spesso la forma del testo in cui viene descritto. Le caratteristiche e le trasformazioni di un testo influenzano dunque anche parzialmente il mito descritto nel testo. Studiando la fortuna di un mito risulta dunque utile studiare la trasformazione testuale e la relazione di un testo con l’altro. Gérard Genette distingue cinque forme di transtestualità (transtextualité), termine con cui indica tutto quello che mette un testo in relazione ad altri testi.18 Una di queste forme di transtestualità è l’ipertestualità (hypertextualité): J’entends par là toute relation unissant un texte B (que j’appellerai hypertexte) à un texte antérieur A (que j’appellerai, bien sûr, hypotexte) sur lequel il se greffe d’une manière qui n’est pas celle du commentaire. [...] Cette dérivation peut être soit de l’ordre, descriptif et intellectuel, où un métatexte [...] « parle » d’un texte [...]. Elle peut être d’un autre ordre, tel que B ne parle nullement de A, mais ne pourrait cependant exister tel quel sans A, dont il résulte au terme d’une opération que je qualifierai, provisoirement encore, de transformation, et qu’en conséquence il évoque plus au moins manifestement, sans nécessairement parler de lui ou le citer.19 Questi concetti e questa terminologia si possono in parte adoperare anche per lo studio della fortuna di un mito. Secondo Jacqueline Thibault Schaefer la notorietà e la flessibilità del mito lo rendono particolarmente adatto a formare un intertesto (intertexte).20 Una differenza importante tra un mito e un testo risiede nel fatto che nel caso di un mito non esiste un ipotesto originario, come osserva anche Ivanne Rialland: Il ne s’agit pas tant, dès lors, d’une relation intertextuelle, que d’une relation entre un texte et une nébuleuse mythique préexistant à l’écriture, puis formée de textes et d’oeuvres 18 G. Genette, Palimpsestes: la littérature au second degré, Paris, Éditions du Seuil, 1982 (traduzione italiana: Palinsesti. La letteratura al secondo grado, Torino, Einaudi, 1997). Le cinque forme di transtestualità distinte da Genette sono : intertestualità, paratestualità, metatestualità, architestualità e ipertestualità. 19 Genette, op.cit., pp. 11-12. 20 J. Thibault Schaefer, ‘Récit mythique et intertextualité’, in : Mythe et création, a.c.d. P. Cazier, Villeneuve d’Ascq, Presses universitaires de Lille, 1994, pp. 53-66. Secondo Marc Eigeldinger invece, il mito è solo uno dei campi intertestuali possibili: il campo della letteratura, il campo artistico, il campo mitico, il campo biblico e il campo della filosofia (Mythologie et intertextualité, Genève, Slatkine, 1987, pp. 15-16). Genette indica con il termine ‘intertesto’ la vera presenza di un testo in un altro per via di citazioni, allusioni ecc. I termini sono spesso intercambiabili. 17 INTRODUZIONE picturales constitués dans la mémoire culturelle en un modèle mythique dont la source textuelle est introuvable.21 Come vedremo nel capitolo 1, non esiste infatti una versione originaria del mito di Orfeo. Il ‘mito’ oppure gli elementi del mito vengono a trovarsi a un certo momento in un testo, che poi è ripreso da altri testi. Con ogni nuova versione del mito, il mito stesso si espande. L’insieme di questi testi costituisce il mito: Le mythe fonctionne ainsi comme l’intertexte, texte idéal qui peut être résumé par une phrase matricielle. Le text le réécrit par l’intermédiaire d’un interprétant, qui est la version actualisée du mythe travaillée par le texte, et ce dernier vient, à son tour, s’intégrer à la nébuleuse intertextuelle qu’unit une structure commune. [...] chaque actualisation de la réponse que constitue le mythe est à nouveau questionnée et dépassée par l’actualisation suivante, chaque auteur se reconnaissant un précurseur dans l’espace commun ouvert par le mythe, espace qui permet le dialogue, englobe hypotexte et hypertexte dont la relation transformatrice à son tour crée l’ouverture de l’espace mythique.22 I cambiamenti di un testo possono dunque contribuire in parte a cambiamenti di un mito. Le pratiche ipertestuali influiscono qualche volta sull’adattamento di figure mitologiche. Genette distingue vari tipi di pratiche ipertestuali, che differiscono tra di loro in base alla relazione di trasformazione o imitazione con l’ipotesto e nel tono ludico, satirico o serio:23 ludico satirico serio trasformazione PARODIA TRAVESTIMENTO TRASPOSIZIONE imitazione PASTICHE CARICATURA FORGERIE regime relazione La pratica ipertestuale più importante, secondo Genette, è la trasposizione, che consiste nella trasformazione dell’ipotesto in modo serio.24 Alcune delle caratteristiche della trasposizione menzionate da Genette coincidono con i fattori che determinano la trasformazione o l’adattamento di figure mitologiche elencati da Stanford. Si possono dunque paragonare i fattori di Stanford e di Genette, anche se gli autori hanno un punto di partenza diverso: Stanford parte dal mito che si trasforma in altri testi nel corso del tempo, mentre Genette parte da un testo (posteriore) che si basa su testi anteriori. Nella mia 21 I. Rialland, ‘Mythe et hypertextualité’ (www.fabula.org/atelier.php?Mythe_et_hypertextualit%26eacute%3B). Michael Riffaterre, ‘Sémiotique intertextuelle: l’interprétant’, Revue d’esthétique 1-2 (1979), pp. 133-146; citato da: Rialland, op.cit. 23 Genette, op.cit., p. 37 (ed.it. p. 33). 24 La parodia, il pastiche, il travestimento, la caricatura e la falsificazione non si trovano spesso nei testi medievali e rinascimentali su Orfeo. 22 18 INTRODUZIONE ricerca parto dal mito antico, cioè dall’ipotesto, per arrivare alle sue trasformazioni posteriori. Nei capitoli che vanno dal XL al LXXX di Palimpsestes, Genette distingue varie forme di trasposizione. Da una parte ci sono trasposizioni formali, come la trasposizione linguistica (o la traduzione), la conversione da poesia in prosa o vice versa, cambiamenti metrici o stilistici, la trasformazione quantitativa (riduzione, aumento o una combinazione di essi), o la trasformazione di un testo drammatico in un testo narrativo. Dall’altra parte Genette distingue le trasposizioni tematiche, che si estendono al significato del testo, alla diegesi (cioè al mondo spazio-temporale della narrazione), oppure all’azione stessa.25 Non tutte le trasposizioni che può subire un testo sono rilevanti per la trasformazione o l’adattamento di un mito. La maggior parte delle trasposizioni formali cambiano il testo, o la descrizione fattuale del mito, ma non l’essenza del mito o del personaggio mitologico. Contano soprattutto i cambiamenti tematici fondamentali nell’intreccio del mito e nella caratterizzazione dei personaggi (in questo caso di Orfeo). La fortuna di Orfeo Mancava fino a questo momento uno studio complessivo e sistematico della figura di Orfeo in Italia dalla fine del Medioevo al Rinascimento, un periodo tanto decisivo per la sua fortuna non solo in Italia, ma in tutti i paesi europei.26 Mancava uno studio che tenesse conto della sua fortuna in ogni aspetto della cultura italiana e che non si limitasse a una sola disciplina. Esistono alcuni studi fondamentali sulla fortuna della mitologia nel Rinascimento in generale da parte di Jean Seznec, Bodo Guthmüller, Luba Freedman e Malcolm Bull.27 Ma questi studi si limitano in genere alle principali opere d’arte e a quelle letterarie (i trattati mitologici e le traduzioni delle Metamorfosi) senza prestare particolare attenzione al mito di Orfeo. 25 Genette suddivide la trasposizione diegetica in: trasposizione omodiegetica (preservazione dell’identità dei personaggi); eterodiegetica (cambiamento dell’ambientazione dell’azione, dell’identità dei personaggi, dell’età, del sesso, della nazionalità / approssimazione temporale, geografica o sociale); transdiegetica. 26 Gli studi di August Buck e Konrat Ziegler sul mito di Orfeo nel Rinascimento sono molto concisi (A. Buck, Der Orpheus Mythos in der italienischen Renaissance, Krefeld, Scherpe, 1961; K. Ziegler, ‘Orpheus in Renaissance und Neuzeit’, in: Form und Inhalt. Kunstgeschichtliche Studien. Otto Schmitt zum 60. Geburtstag am 13. Dezember 1950 dargebracht von seinen Freunden, Stuttgart, W. Kohlhammer, 1950, pp. 239-256). Elizabeth Newby focalizza sull’uso del mito di Orfeo per spiegare il concetto dell’etica musicale e della creatività artistica (E. Affelder Newby, A Portrait of the Artist: the Legends of Orpheus and Their Use in Medieval and Renaissance Aesthetics, New York & London, Garland Publishing, Inc., 1987). 27 Cf. nota 17. 19 INTRODUZIONE Anche sulla fortuna di Orfeo nelle arti figurative del Rinascimento esistono già alcuni studi, che qualche volta prendono in esame anche la letteratura.28 Negli studi di Rosa Maria San Juan e Hannelore Semmelrath la letteratura ha, tuttavia, un ruolo ridotto, non è integrata con le arti figurative, e viene trattata in un capitolo introduttivo separato. Inoltre, non sono menzionati in questi studi altri fenomeni culturali interessanti, come l’apparizione di Orfeo in uno spettacolo in occasione delle nozze dei principi, i riferimenti a Orfeo nella filosofia o nella musica o all’orfismo. Lo studio di San Juan è molto elaborato e tratta tutte le ricorrenze principali di Orfeo nelle arti visive. Mentre il suo libro esamina i diversi materiali con cui viene raffigurato il mito di Orfeo (pannelli, affreschi, maioliche, nielli, incisioni e bronzi) e le influenze stilistiche tra gli artisti, il presente studio prenderà come punto di partenza i vari aspetti della figura di Orfeo. Gli aspetti di Orfeo presenti nell’arte verranno confrontati con quelli nella letteratura. Semmelrath discute soltanto alcune pietre miliari nella letteratura e nell’arte, senza offrire un’immagine generale di Orfeo nel Rinascimento.29 Giuseppe Scavizzi e Elisabeth Schröter hanno dedicato un solo articolo alla fortuna di Orfeo nell’arte medievale e rinascimentale. Schröter accenna anche a qualche parallelo tra l’immagine di Orfeo nella letteratura e nell’arte. Per quanto riguarda la fortuna di Orfeo nella letteratura, esistono molti articoli che trattano della sua presenza in un solo autore, come Dante, Petrarca, Ficino o Poliziano.30 28 R.M. San Juan, The legend of Orpheus in Italian Art 1400-1530, The Warburg Institute, University of London, 1983; H. Semmelrath, Der Orpheus-Mythos in der Kunst der italienischen Renaissance. Eine Studie zur Interpretationsgeschichte und zur Ikonologie, Universität zu Köln, 1994; E. Schröter, ‘Orpheus in der Kunst des Mittelalters und der Renaissance. Eine vorläufige Untersuchung’, in: C. Mundt-Espín, Blick auf Orpheus. 2500 Jahre europäischer Rezeptionsgeschichte eines antiken Mythos, Francke Verlag, Tübingen und Basel, 2003, pp. 109-157; G. Scavizzi, ‘The Myth of Orpheus in Italian Renaissance Art, 1400-1600’, in: J. Warden, Orpheus. The Metamorphoses of a Myth, University of Toronto Press, Toronto-Buffalo-London, 1982, pp. 111-162. 29 Per quanto riguarda la letteratura Semmelrath studia la fortuna di Orfeo nell’antichità e nel primo cristianesimo, nei mitografi medievali, nei commenti medievali su Ovidio, nell’Epître d’Othéa di Christine de Pisan, nel neoplatonismo ficiniano e nell’edizione delle Metamorfosi del 1497. Per quanto riguarda l’arte studia il bassorilievo di Della Robbia, le cronache figurative, la Camera degli Sposi di Mantegna, i pannelli di Del Sellaio, e i quadri di Bellini, Tiziano e Costa. 30 Z.G. Barański, ‘Notes on Dante and the Myth of Orpheus’, in: Dante. Mito e poesia, a.c.d. M. Picone e T. Crivelli, Firenze, Franco Cesati, 1997, pp. 133-154; J. Wilhelm, ‘Orpheus bei Dante’, in: Medium Aevum Romanicum. Festschrift für Hans Rheinfelder, a.c.d. H. Bihler e A. Noyer-Weidner, München, Hüber, 1963, pp. 397-406; M. Picone, ‘Il canto V del Purgatorio fra Orfeo e Palinuro’, L’Alighieri 40, 13 (1999), pp. 39-52; F. Brunori, ‘Il mito ovidiano di Orfeo e Euridice nel Canzoniere di Petrarca’, Romance Quarterly 44, 4 (1997), pp. 233-244; N. Gardini, ‘Un Esempio Di Imitazione Virgiliana Nel Canzoniere Petrarchesco: il Mito Di Orfeo’, Modern Language Notes 110, 1 (1995), pp. 132-144; J. Warden, ‘Orpheus and Ficino’, in: Orpheus. The Metamorphoses of a Myth, a.c.d. J. Warden, pp. 85-110; D.P. Walker, ‘Orpheus the theologian and Renaissance platonism’, Journal of the Warburg and Courtauld Institutes 16 (1953), pp. 100-120; D.P. Walker, ‘Le chant orphique de Marsile Ficin’, Musique et poésie au XVIe siècle: [colloque, tenu a] Paris, 30 juin - 4 juillet 1953, Paris, Editions du Centre National de la Recherche Scientifique, 1954, pp. 17-33; F. 20 INTRODUZIONE Questi articoli non offrono, però, un’immagine complessiva di Orfeo in quel periodo e non si occupano nemmeno dell’evoluzione del personaggio. Una raccolta di saggi che tratta della fortuna di Orfeo in vari periodi e in varie discipline è Orpheus. The Metamorphoses of a Myth (1982) curata da John Warden. Questa raccolta discute gli apici della fortuna di Orfeo in Europa dall’antichità fino al Rinascimento. La raccolta consiste di una serie di articoli di autori diversi che trattano di momenti diversi della fortuna di Orfeo (Virgilio e Ovidio, l’età cristiana, Ficino, le arti figurative nel Rinascimento italiano, i primi melodrammi e Calderón). Questi articoli non partono, però, da un metodo comune e non cercano di fornire un’immagine completa della fortuna di Orfeo. La mia ricerca, che si limita alla situazione italiana da ca. 1300 al 1607, offrirà invece un’immagine più dettagliata rispetto al libro di Warden. Contravvenendo ai principi metodologici indicati da Trousson, non tratterò però la fortuna del mito di Orfeo dalle sue origini fino a oggi in tutti i paesi europei. Mi limiterò a dare un riassunto delle manifestazioni del mito nell’antichità e nel Medioevo, per continuare le mie ricerche a partire dal 1300. I periodi precedenti sono già stati trattati elaboratamente negli studi di Charles Segal, John Warden, John Block Friedman e altri.31 La mia ricerca si conclude con i primi melodrammi del 1600 e 1607, che formano un climax in cui si combinano letteratura, musica, teatro e arti visive. La fortuna di Orfeo dal 1600 fino a oggi rimane aperta a ricerche ulteriori.32 Nonostante la desiderabilità di uno studio comparativo della presenza di Orfeo in tutti i paesi, la presente ricerca si concentra sull’Italia. La letteratura e l’arte italiana del Trecento e del Rinascimento si basano soprattutto sulle fonti antiche e medievali (che vengono discusse nel primo capitolo), e non sugli sviluppi contemporanei in Bausi, ‘Orfeo e Achille. La prefazione alla Manto di Angelo Poliziano’, Schede umanistiche. Rivista semestrale dell'Archivio Umanistico Rinascimentale Bolognese n.s. I (1992), pp. 31-59; G. Boccuto, ‘Il mito di Orfeo nei “Nutricia” di Poliziano’, in: Il mito nel Rinascimento, a.c.d. L. Rotondi Secchi Tarugi, Milano, Nuovi Orizzonti, 1993, pp. 217-240; N. Borsellino, ‘La voce e lo sguardo. Orfeo nella Fabula del Poliziano’, in: Orfeo e l’orfismo, a.c.d. A. Masaracchia, pp. 309-317; S. Carrai, ‘Poliziano e il mito di Orfeo’, in: Le metamorfosi di Orfeo, a.c.d. A.M. Babbi, Verona, Fiorini, 1999, pp. 154-167; C.M. Pyle, ‘Le thème d’Orphée dans les oeuvres latines d’Ange Politien’, Bulletin de l'Association Guillaume Budé 39 (1980), pp. 408-419; G. Costa, ‘Giovanni Pontano and the Orpheus Myth: Poetry and Magic in the Age of Humanism’, Rivista di studi italiani 4, 1 (1986), pp. 1-17; ecc. (cf. bibliografia). 31 C. Segal, Orpheus. The Myth of the Poet, Baltimore and London, The Johns Hopkins University Press, 1989; J. Warden, op.cit.; J.B. Friedman, Orpheus in the Middle Ages, Cambridge Massachusetts, Harvard University Press, 1970; idem, The Figure of Orpheus in Antiquity and the Middle Ages, Michigan State University, 1965; K. Heitmann, ‘Orpheus im Mittelalter’, Archiv für Kulturgeschichte 45 (1963), pp. 253-294; idem, ‘Typen der Deformierung antiker Mythen im Mittelalter. Am Beispiel der Orpheussage’, Romanistisches Jahrbuch 14 (1963), pp. 45-77. 32 Esistono già alcuni studi di Orfeo in periodi successivi in altri paesi: E. Kushner, Le mythe d’Orphée dans la littérature française contemporaine, Paris, Nizet, 1962; W.A. Strauss, Descent and Return: The Orphic Theme in Modern Literature, Cambridge Massachusetts, 1971; D.M. Kosinski, The Image of Orpheus in Symbolist Art and Literature, New York University, 1985. 21 INTRODUZIONE altri paesi europei (ad eccezione della Francia). Per questo motivo è possibile trattare solo la fortuna italiana di Orfeo. Verrà, però, prestata attenzione a quelle opere principali su Orfeo in altri paesi, che potrebbero aver influenzato la sua fortuna in Italia.33 Nella maggior parte dei casi tuttavia sono gli altri paesi europei che si lasciano ispirare dall’Italia e non viceversa.34 In questi paesi il mito di Orfeo fiorisce più tardi (soprattutto nel sec. XVI).35 Lo scopo della mia ricerca non è di offrire un elenco completo di tutti i riferimenti a Orfeo nel corso di tre secoli, ma di delineare in base al numero di testi più grande possibile un’immagine sufficientemente rappresentativa dei modi diversi in cui Orfeo si presenta.36 Il punto di partenza nella mia ricerca è sempre la figura di Orfeo e non discuto dunque le varie idee religiose e filosofiche che sono a lui attribuite nell’orfismo (cf. § 3.0). I rapporti tra letteratura, arte visiva e musica Come si è detto, la presente ricerca non si occupa soltanto della fortuna di Orfeo nella letteratura, ma anche nelle arti figurative e nella musica. Studiando diverse discipline si cerca di ottenere un’immagine complessiva del ruolo di Orfeo nel periodo 1300-1600. Per via della mia formazione prevalentemente letteraria e del fatto che le lacune maggiori si riscontrano nello studio dell’Orfeo letterario, l’accento cadrà, però, sulla letteratura. Inoltre, come si è già detto, esistono alcuni studi approfonditi sulla fortuna di Orfeo nelle arti figurative del Rinascimento.37 33 Le opere straniere principali sono : l’anonimo Ovide moralisé, l’Ovidius Moralizatus di Pierre Bersuire, le illutrazioni nei manoscritti di questi testi, l’anonimo Sir Orfeo, Orpheus and Eurydice di Robert Henryson. 34 Alcuni studi sulla fortuna di Orfeo in altri paesi nel secolo XVI sono : F. Joukovsky, Orphée et ses disciples dans la poésie française et néo-latine du XVIe siècle, Genève, Libraire Droz, 1970; P. Cabañas, El mito de Orfeo en la literatura española, Madrid, Consejo Superior de Investigaciones Cientificas, 1948 ; G. BräklinGersuny, Orpheus, der Logos-Träger. Eine Untersuchung zum Nachleben des antiken Mythos in der französischen Literatur des 16. Jahrhunderts, München, Wilhelm Fink, 1975; J. Wirl, Orpheus in der englischen Literatur, Wien, Braumüller, 1913; Friedman, op.cit., cap. V. 35 Cf. Bull, op.cit., p. 83: ‘In geographical terms, therefore, the spread of mythological art is uneven. Although its sources are not always Italian, it appears first in Italy.’ 36 Per raccogliere il materiale primario della mia ricerca ho usato vari metodi e strumenti. In primo luogo ho consultato alcuni manuali sulla fortuna dei miti in epoche posteriori. Cercando dei riferimenti letterari a Orfeo mi sono servita di CD-ROM con testi integrali di determinati autori, periodi o generi letterari; di siti internet con testi integrali; degli indici nelle edizioni di testi; e di riferimenti nella letteratura secondaria su Orfeo. Per trovare delle immagini mi sono basata soprattutto sugli studi già pubblicati su questo mito nell’arte rinascimentale. Ho fatto anche delle ricerche supplementari limitate alle xilografie nelle traduzioni italiane delle Metamorfosi e alle edizioni dei cantari. Nella musica Orfeo figura in particolare nelle opere di Peri, Caccini e Monteverdi. Per il resto le canzoni su Orfeo sono rare. Il Corpus Mensurabilis Musicae e lo studio di Elizabeth Newby sulla fortuna di Orfeo musicista non offrono altri esempi di quelli che ho trovato io. 37 Scavizzi, op.cit.; San Juan, op.cit.; Semmelrath, op.cit.; Schröter, op.cit. 22 INTRODUZIONE I riferimenti a Orfeo nell’arte visiva costituiscono un’aggiunta allo studio della sua rappresentazione nella letteratura. La letteratura e l’arte visiva si possono studiare e paragonare a livelli diversi. Per quanto riguarda l’arte visiva mi concentrerò soprattutto sull’iconografia di Orfeo e sulla sua funzione in una certa immagine o in un contesto particolare. Erwin Panofsky ha distinto tre livelli nello studio di un’opera d’arte in generale: la descrizione preiconografica, l’iconografia (o l’analisi iconografica) e l’iconologia (o l’interpretazione iconografica).38 Questo approccio teorico di Panofsky si sviluppò dalle idee di Aby Warburg, che non si limitò a spiegare le opere d’arte per mezzo della letteratura (ecclesiastica) e della liturgia, ma che cercò di spiegarle usando la mitologia, la scienza, la poesia, e il contesto storico, politico e sociale.39 Ormai l’approccio delle arti visive da parte di Panofsky è stato modificato alquanto, cosicché si possono distinguere tre livelli d’iconografia e un quarto livello d’iconologia:40 1. La descrizione preiconografica, cioè il riconoscimento di forme particolari (motivi), di una situazione, o di caratteristiche espressive. 2. La descrizione iconografica: il livello su cui i motivi diventano delle figure, che insieme formano un racconto (per esempio mitologico), cioè il riconoscimento dell’argomento. 3. L’interpretazione iconografica: lo stabilimento del significato più profondo dell’opera d’arte come inteso dall’artista. Questi significati profondi sono quasi sempre astratti (per esempio personificazioni o allegorie). 4. L’iconologia: la scoperta del significato più profondo dell’opera d’arte, che non è inteso esplicitamente dall’artista, ma che è determinato da fattori storico-culturali. Perché l’opera d’arte è stata fatta come è fatta? Il mio approccio di Orfeo nelle arti figurative è soprattutto iconografico. Effettivamente parto da un primo livello che riguarda la situazione raffigurata dall’opera d’arte. Se guardiamo l’esempio dell’Orfeo di Luca della Robbia sul Campanile di Firenze, vediamo un uomo che suona il liuto davanti a un pubblico di animali.41 Iconograficamente l’uomo che suona il liuto è identificato con Orfeo che incanta gli animali con la musica. Cerco poi di rintracciare la funzione precisa di Orfeo nel contesto dell’opera e nel contesto storico, 38 E. Panofsky, Iconologische Studies. Thema's uit de Oudheid in de kunst van de Renaissance, Nijmegen, SUN, 1994 (Studies in Iconology. Humanistic themes in the art of the Renaissance, 1939), pp. 7-20; idem, Meaning in the visual arts. Papers in and on Art History, Garden City, N.Y., Doubleday, 1955. 39 R. van Straten, Een inleiding in de iconografie: enige theoretische en praktische kennis, Muiderberg, Dick Coutinho, 1985, p. 18 (An introduction to iconography, transl. P. de Man, Yverdon [etc.], Gordon and Breach, 1994). In questa tradizione lavorarono poi studiosi come Fritz Saxl, E.H. Gombrich, D.P. Walker e Frances A. Yates, che cercarono di attraversare i limiti delle discipline tradizionali. 40 Van Straten, op.cit., pp. 7-14. 41 L. della Robbia, Orfeo e gli animali (Musica o Retorica). Firenze, Museo dell’Opera del Duomo (frammento del Campanile). 23 INTRODUZIONE politico e sociale. L’Orfeo di Della Robbia, per esempio, rappresenta nel contesto delle altre formelle del Campanile una personificazione della Musica o della Retorica.42 I riferimenti letterari possono essere studiati in modo analogo.43 Nella maggior parte dei riferimenti letterari è subito evidente che si tratta di Orfeo, dato che è menzionato il suo nome. Quando si tratta di un’allusione, bisogna prima identificare il personaggio o la situazione descritta con la figura mitologica di Orfeo. Nel contesto di un trattato poetico o retorico un riferimento a Orfeo e gli animali può avere il valore di un’allegoria dell’Eloquenza. Trattando il mito di Orfeo nella letteratura e nelle arti figurative, ho intenzione di indicare eventuali sviluppi paralleli di Orfeo in queste discipline. Gli elementi e le funzioni del mito di Orfeo nella letteratura e nell’arte visiva sono gli stessi, oppure ogni disciplina segue le proprie tradizioni? Trousson e Genette sono favorevoli allo studio di altre arti oltre alla letteratura. Trousson parla di un arricchimento della ricerca e cita Yves Giraud, secondo cui è una scelta arbitraria quella di trascurare le altre arti.44 L’interazione delle arti fa emergere la continuità e la complessità della tradizione ed elimina le barriere artificiali.45 Secondo Genette anche l’arte figurativa e la musica subiscono delle trasformazioni e conoscono delle pratiche iperartistiche o iperestetiche (hyperesthétiques).46 Anche nella pittura esiste la trasformazione ludica (parodia), satirica (travestimento) e seria (replica). L’imitazione è una pratica ancora più frequente nella pittura. Non vanno inserite altre arti nelle categorie dell’ipertestualità letteraria, perché i materiali e le tecniche che si trasformano e si imitano non sono uguali. Ci sono delle differenze importanti nel carattere e nei modi di trasmissione delle opere.47 Solo nella letteratura si trova per esempio il 42 Nel § 2.4 discuterò le varie opinioni sul significato dell’Orfeo di Della Robbia. L’idea della stratificazione semiotica risale ai commenti medievali a Boezio e ad altri autori che sono cruciali per la sopravvivenza del mito di Orfeo. Commenti del genere erano spesso suddivisi in tre parti: expositio ad litteram (la spiegazione delle parole), expositio ad sensum (la spiegazione del significato evidente o narrativo), expositio ad sententiam (la spiegazione del significato spirituale o filosofico) (Friedman, Orpheus in the Middle Ages, cit., p. 96). 44 Trousson, Thèmes et mythes, cit., p. 51 ; Giraud, op.cit., p. 7. 45 Non tutti gli studiosi della tematologia sono, però, d’accordo sul valore di una ricerca pluridisciplinare. Louise Vinge crede, per esempio, che la letteratura può servire all’interpretazione di opere d’arte, ma non viceversa (op.cit., p. 48). Secondo Trousson un approccio pluridisciplinare è desiderabile, ma non necessario. La sua opinione mi sembra influenzata dal fatto che lui aveva già scritto un libro sulla fortuna di Prometeo in cui trascura le altre arti. Altri studi di figure mitologiche che non si occupano soltanto della letteratura sono: H. Anton, Der Raub der Proserpina. Literarische Traditionen eines erotischen Sinnbildes und mythischen Symbols, Heidelberg, Winter, 1967; H. Dörrie, Pygmalion. Ein Impuls Ovids und seine Wirkungen bis in die Gegenwart, Opladen, Westdeutscher Verlag, 1974; idem, Die schöne Galatea. Eine Gestalt am Rande des griechischen Mythos in antiker und neuzeitlicher Sicht. München, 1968. 46 Genette, op.cit., cap. LXXIX, p. 435. 47 Genette, op.cit., cap. LXXIX, p. 443. 43 24 INTRODUZIONE problema delle lingue diverse e dunque della traduzione e soprattutto nella musica si conoscono le ripetizioni. Nello studio della fortuna di Orfeo nell’ambito musicale prenderò in esame soprattutto le parole e il libretto. Farò soltanto dei commenti sulla musica quando questi sono pertinenti alla funzione o alla caratterizzazione di Orfeo. Ripetizioni nella musica possono, per esempio, sottolineare certi aspetti testuali. Anche determinati intervalli o cambiamenti armonici possono evidenziare i sentimenti dei personaggi.48 Secondo Genette nella musica le possibilità di trasformazione sono perfino più grandi che nella pittura e nella letteratura. Un solo tono può essere trasformato, per esempio, di altezza, intensità, durata e timbro. I risultati dello studio dell’ipertestualità non possono dunque essere estrapolati semplicemente a tutte le arti. Prima di cercare delle analogie e delle convergenze occorre, secondo Genette, fare uno studio separato di ogni tipo di arte. Anche se la letteratura e l’arte visiva sono delle discipline paragonabili a certi livelli, il problema risiede nell’attestare delle influenze di una disciplina sull’altra. Si cercano dei rapporti al livello del significato oppure al livello della funzione nel contesto? E come si manifestano effettivamente queste influenze?49 Infatti, anche se è certo che un determinato testo costituisce la fonte d’ispirazione per un’immagine o viceversa, ogni giudizio resta problematico. Su questo argomento esistono vari studi: la letteratura e le arti figurative sono dei mezzi di comunicazione diversi, che possono esprimere un contenuto in modo totalmente differente. I miti si presentano come testi narrativi, che descrivono vari eventi l’uno dopo l’altro. In linea di principio un dipinto o un disegno può raffigurare un solo momento e non può mostrare il corso degli eventi. Jan de Jong e Gerlinde Huber-Rebenich distinguono alcuni modi diversi in cui gli artisti cercano di superare l’istantaneità dell’immagine.50 Qualche volta alcune scene del racconto sono raffigurate in immagini diverse, come si vede per esempio negli affreschi di Orfeo da parte di Andrea Mantegna nella Camera degli Sposi a Mantova. Qualche volta si sceglie un solo momento che è rappresentativo dell’intero racconto, come nel caso dell’Orfeo di Della Robbia. Qualche volta l’artista mostra in una sola immagine vari momenti del racconto l’uno accanto all’altro, per cui il protagonista può essere raffigurato tre volte nello stesso quadro. Un 48 Per osservazioni del genere mi baso sulla letteratura secondaria. Non ho fatto uno studio degli aspetti musicali dei melodrammi, che sono stati già discussi in molti altri luoghi. 49 Ho discusso questa problematica in un articolo sulle influenze possibili tra la Fabula di Orfeo di Poliziano e le immagini di Orfeo nella Camera degli Sposi di Mantegna (‘Orpheus bij Poliziano en Mantegna. Problemen bij het zoeken naar verbanden tussen literatuur en beeldende kunst’, Amore Romae. Bulletin voor Vrienden van het Koninklijk Nederlands Instituut in Rome, VII (2004), pp. 5-26). 50 J.L. de Jong, ‘Word Processing in the Italian Renaissance: Action and Reaction with Pen and Paintbrush’, Visual Resources 19.4 (2003), pp. 259-281; G. Huber-Rebenich, ‘Die Holzschnitte zum Ovidio Metamorphoseos vulgare in ihrem Textbezug’, in: Die Rezeption der Metamorphosen des Ovid in der Neuzeit: der antike Mythos in Text und Bild, a.c.d. H. Walter e H.-J. Horn, Berlin, Gebr. Mann Verlag, 1995, pp. 48-57. 25 INTRODUZIONE esempio si trova in un affresco di Baldassare Peruzzi nella Stanza del Fregio della Villa Farnesina a Roma. A sinistra vediamo Orfeo che incanta gli animali con la musica, nel centro Orfeo cerca di liberare Euridice dall’Inferno e a destra Orfeo è ucciso da donne con bastoni. In più, è anche possibile raffigurare vari momenti del racconto nello stesso quadro senza la raffigurazione ripetuta del protagonista. Immagini di questo tipo sono spesso difficili da interpretare.51 I pittori dovranno inoltre raffigurare dei dettagli che non sono esplicitati nel testo e per questi dettagli l’artista dovrà fare uso della propria fantasia. Mentre in un testo Orfeo può suonare semplicemente per un gruppo di ‘animali’, in un dipinto o un affresco è necessaria una scelta tra vari tipi di animali possibili. Anche per dipingere, per esempio, i vestiti e lo strumento di Orfeo l’artista deve spesso usare la sua fantasia. Per questa ragione i vestiti dei personaggi mitologici sono spesso ispirati alla moda contemporanea. La scelta di certi animali o di certi vestiti può essere casuale, ma può anche essere motivata. In un mosaico di Marcello Provenzale nella Galleria Borghese a Roma il cardinale Scipione Borghese è rappresentato come un novello Orfeo. Il drago e l’aquila a sinistra di quest’Orfeo provengono dallo stemma dei Borghese e il mantello scarlatto allude forse al cardinalato di Scipione Borghese.52 Basandosi su un determinato testo l’ artista può anche consapevolmente inserire una variazione creativa del testo. Viceversa, anche l’autore che descrive un dipinto, può interpretare il dipinto in modo molto libero. Nel Rinascimento gli artisti che volevano raffigurare un tema mitologico avevano una grande libertà artistica, come ha mostrato ancora De Jong.53 In questi casi non occorre cercare analogie esatte tra il testo e l’immagine, ma bisogna invece scoprire, per esempio, quali sono le differenze nel dipinto rispetto al testo e perché l’artista ha introdotto queste differenze. Altre discrepanze notevoli tra l’immagine e il testo si trovano ad esempio in stampe con iscrizioni oppure in emblemi, come hanno mostrato Eric Jan Sluijter e Elizabeth McGrath.54 Spesso il testo sotto l’illustrazione differisce notevolmente da quello che si vede raffigurato nell’immagine. Da questi esempi risulta che la letteratura e l’arte visiva 51 De Jong sceglie come esempio un affresco di Perino del Vaga con scene della storia romana (ca. 1520), che originariamente si trovava nel Palazzo Baldassini a Roma, ma che adesso si trova nella Galleria degli Uffizi a Firenze (op.cit., pp. 260-262). 52 Guide to the Borghese Gallery, a.c.d. K. Herrmann Fiore, Roma, Edizioni De Luca, 1997, p. 64. 53 De Jong, ‘Word Processing in the Italian Renaissance’, cit.; idem, ‘Ovidian Fantasies. Pictorial variations on the story of Mars, Venus and Vulcan’, in: Die Rezeption der Metamorphosen des Ovid in der Neuzeit: der antike Mythos in Text und Bild, a.c.d. H. Walter e H.-J. Horn, Berlin, Gebr. Mann Verlag, 1995, pp. 161-171. 54 E.J. Sluijter, De ‘Heydensche fabulen’ in de Noordnederlandse schilderkunst, circa 1590-1670. Een proeve van beschrijving en interpretatie van schilderijen met verhalende onderwerpen uit de klassieke mythologie, Rijksuniversiteit Leiden, 1986; E. McGrath, ‘Rubens’s Susanna and the elders and moralizing inscriptions on prints’, in: Wort und Bild in der niederländischen Kunst und Literatur des 16. und 17. Jahrhunderts, a.c.d. H. Vekeman e J. Müller Hofstede, Erftstadt, Lukassen, 1984, pp. 73-90. 26 INTRODUZIONE seguivano spesso tradizioni proprie nella maniera di trattare racconti o miti. L’autore o il poeta si basavano spesso su fonti letterarie, per esempio su una versione moralizzata di un mito o su un testo classico. Anche per quanto riguarda le opere d’arte visive basate su testi determinati, esse si rifacevano spesso a fonti visive precedenti ansiché a fonti testuali. Esempi sono una delle prime edizioni stampate della Fabula di Orfeo di Poliziano e le edizioni illustrate delle Metamorfosi. Nonostante tutti questi limiti, un approccio pluridisciplinare potrà offrire, pur senza dimostrare chiaramente delle influenze reciproche, un’interessante visione d’insieme della fortuna di Orfeo e della posizione della mitologia nella cultura italiana dal 1300 al 1600. I risultati positivi di uno studio della fortuna dell’antichità classica in ogni aspetto della cultura europea sono già stati confermati dalla tradizione di ricerca che si è svolta al Warburg Institute.55 Il mito di Orfeo da Dante a Monteverdi Il mito di Orfeo consiste di molti elementi diversi. Il mito si sviluppa gradualmente nell’Antichità, assorbe sempre nuovi elementi e introduce nuove svolte. Questi elementi si trovano spesso separatamente in testi e in opere d’arte, ma qualche volta sono anche riuniti in un racconto più lungo e più svariato. Così Orfeo diventa una figura complessa con molti aspetti diversi. Questa versatilità è una caratteristica principale del suo personaggio, che rende la sua fortuna pluriforme. Scrittori, artisti e musicisti hanno spesso delle opinioni diverse su Orfeo. Queste differenze e queste visioni conflittuali sono inerenti alla figura di Orfeo. Autori e artisti che si riferiscono a Orfeo nelle loro opere, operano una selezione in tutto quello che si racconta su di lui. Da una parte questa scelta è determinata dall’ampiezza della loro conoscenza: all’interno di uno stesso genere si tende spesso a riprodurre una visione stereotipata della figura di Orfeo. Dall’altra parte alcuni autori o artisti conoscono più aspetti di Orfeo, ma sembrano limitarsi ad una scelta ben consapevole di certi aspetti che convengono al loro discorso. Orfeo è spesso considerato e rappresentato sia come una figura positiva, sia come una figura negativa. Tra gli aspetti positivi si annoverano le sue qualità poetiche e musicali e il suo potere di incantare gli animali, cioè, allegoricamente, di civilizzare gli uomini con la musica (l’eloquenza). La sua partecipazione al viaggio degli Argonauti e il suo ruolo di poeta-teologo o filosofo sono inoltre visti come aspetti positivi. Tra gli aspetti negativi di Orfeo ci sono l’amore per le cose terrene (Euridice) e lo sguardo indietro, la sua omosessualità e la morte crudele. Il tentativo di riconciliare questi due lati contrastanti forma un filo conduttore nella fortuna di Orfeo in Italia dal Trecento fino all’inizio del Settecento. 55 Cf. n. 39. 27 INTRODUZIONE I sei capitoli di questo libro seguono la fortuna di Orfeo fino al 1607 lungo un percorso cronologico. Alcuni periodi prendono più spazio o si accavallano per poter soffermare su alcuni autori importanti (Poliziano, Ficino) e qualche volta l’ordine cronologico è stato violato per poter seguire certe linee tematiche, come per esempio le imitazioni della Fabula di Orfeo e la fortuna dell’orfismo ficiniano. Distinguo i seguenti periodi: l’antichità e il primo Medioevo (capitolo introduttivo); il periodo da circa il 1300 al 1475 (capitolo 2); Ficino, Poliziano e le sue imitazioni (ca. 1450-1525) (capitoli 3 e 4); il periodo da circa il 1475 al 1600 (capitoli 5 e 6); i primi melodrammi (1600-1607) (capitolo 7). Nel capitolo introduttivo spiegherò le implicazioni del termine ‘il mito di Orfeo’. Seguerò le linee di sviluppo principali del mito dalle sue origini fino al primo Medioevo. È importante conoscere le diverse fonti classiche e medievali a cui gli autori italiani si potevano riallacciare per informarsi sul mito. La scelta della fonte (ipotesto) determina quale versione del mito è presentata. Sarà discussa anche in breve la corrente religiosa dell’orfismo, che è legata alla figura mitologica di Orfeo. La vera ricerca della fortuna di Orfeo in Italia comincerà nel secondo capitolo, in cui discuto la letteratura prima della Fabula di Poliziano. Nelle arti figurative e nella musica di questo periodo quasi non si trovano ancora i temi dell’antichità classica. Il mito di Orfeo è descritto a lungo nelle Genealogie deorum gentilium di Boccaccio e in alcune rielaborazioni delle Metamorfosi di Ovidio, che funzionarono come manuali mitologici per altri autori e artisti. Inoltre, Orfeo è menzionato in decine di opere appartenenti a generi molto diversi: poesie liriche, racconti amorosi, trattati filosofici, lettere. Questi riferimenti mostrano la diversità degli aspetti di Orfeo in Italia, ma nello stesso tempo anche il suo carattere stereotipato. Alla fine del Quattrocento Marsilio Ficino e Angelo Poliziano provocano una grande fioritura della figura di Orfeo. Questo interesse per Orfeo nasce nella cerchia dei Medici a Firenze e in quella dei Gonzaga a Mantova. Basandosi su fonti greche Ficino fa rivivere Orfeo cantante e teologo e inserisce il pensiero orfico nelle sue opere filosofiche. Nel terzo capitolo discuterò anche brevemente i filosofi intorno a Ficino e la fortuna di Orfeo nei testi filosofici del Cinquecento. Poliziano si basa invece sulle fonti latine (Virgilio e Ovidio) e sceglie Orfeo cantante e amante di Euridice come protagonista della prima rappresentazione teatrale secolare in volgare. Nel quarto capitolo saranno discusse alcune imitazioni dirette della Fabula di Orfeo, che differiscono dall’opera di Poliziano per via dei cambiamenti nel contesto storico culturale e nel genere letterario (trasformazione da dramma in narrazione). La rappresentazione letteraria di Orfeo dal 1475 circa al 1600 dimostra una grande continuità con la maniera in cui era rappresentato prima del 1475. Tuttavia, ci sono anche delle reazioni negative all’immagine già nota, da parte dei poeti anticlassicisti. A causa dell’invenzione della stampa i trattati mitologici e le traduzioni delle Metamorfosi 28 INTRODUZIONE diventano disponibili dappertutto. Si vede l’influenza di questi trattati, delle traduzioni e delle opere di Poliziano e Ficino nell’apparizione di nuovi aspetti di Orfeo in altri testi. Anche gli artisti adoperavano i trattati mitologici come fonte d’ispirazione. Per questa ragione Orfeo figura frequentemente nelle arti figurative a partire della fine del Quattrocento. Come i Gonzaga anche i Medici cominciano ad usare la figura di Orfeo per motivi di propaganda. A Firenze la Camerata fiorentina cerca di far rivivere la musica dell’antichità. Il primo melodramma di cui ci è stata trasmessa la musica, l’Euridice di Jacopo Peri, tratta del racconto amoroso di Orfeo ed Euridice. Il mito di Orfeo arriva, però, all’apice della sua fama alla corte dei Gonzaga a Mantova, dove più di cento anni prima era stata rappresentata con grande successo la Fabula di Orfeo di Poliziano: l’Orfeo di Monteverdi renderà il cantante immortale. 29 CAPITOLO 1. LE ORIGINI DI ORFEO Il mito nell’antichità e nel primo Medioevo 1.0 IL MITO DI ORFEO Il mito di Orfeo non è statico e immutabile. È impossibile descrivere la versione originale e completa del mito di Orfeo, semplicemente perché essa non esiste. Come vedremo nel paragrafo seguente il mito di Orfeo nell’antichità non è un racconto omogeneo. Esiste piuttosto un vasto repertorio di elementi che formano un insieme che si potrebbe riunire sotto l’etichetta di ‘mito di Orfeo’. Questi elementi nascono nel corso dei secoli, si trovano insieme in varie combinazioni, che a volte spariscono e che poi magari rinascono. Nell’analisi bisogna dunque concentrarsi sugli elementi di cui consiste il mito. Per rintracciare le origini del mito John Block Friedman ha cercato di ricostruirlo nell’epoca greca ed ellenistica distinguendo otto motivi nei racconti intorno alla figura di Orfeo: 56 1. La nascita: Orfeo nasce in Tracia, come figlio di Calliope, la musa dell’epica, e del dio fluviale Eagro57 o, secondo altre versioni, di Apollo. 2. Il viaggio degli Argonauti: Orfeo è invitato ad accompagnare gli Argonauti, perché canta e suona la lira. 3. La musica: Orfeo incanta la natura con la sua musica. 4. La religione: Orfeo è un sacerdote di Dioniso che più tardi diventa un ammiratore di Apollo. Le Baccanti, seguaci di Dioniso, si arrabbiano con Orfeo per aver rinnegato il loro Dio e lo ammazzano. 5. La poesia: Orfeo scrive dei canti sulla creazione della terra, dell’oceano e dei cieli. La maggior parte dei canti orfici è stata scritta dagli scrittori neoplatonici (Orphica). Le poesie cosmogoniche attribuiscono ad Orfeo delle doti profetiche. 6. La discesa nell’Ade: per riprendersi Euridice al mondo dei vivi. Nel mondo ellenistico questa storia non era molto nota e aveva spesso una fine lieta. 58 7. La morte: Orfeo viene ucciso da donne tracie per motivi sempre diversi: a.) Orfeo si era staccato dal culto di Dioniso, b.) Orfeo aveva svelato i misteri degli dei, c.) Proserpina era arrabbiata, perché la madre di Orfeo, Calliope, aveva deciso che Proserpina doveva dividere Adone con Venere, d.) Orfeo piangeva Euridice e rinunziava alle donne (questo è il motivo più comune), e.) Orfeo era il primo uomo a preferire gli uomini alle donne. 56 J.B. Friedman, Orpheus in the Middle Ages, cit., p. 5. Friedman parla invece del ‘dio del vino’ (op.cit., p. 6). 58 La storia è narrata da Virgilio e Ovidio, ma questi si basano probabilmente su una fonte alessandrina che è andata perduta. 57 31 CAPITOLO 1 8. Dopo la morte: ci sono alcune versioni su quello che succede al corpo di Orfeo dopo la morte: a.) Orfeo viene decapitato e la sua testa viene attaccata alla lira e buttata nel mare; la testa e la lira sono gettate sulla spiaggia a Lesbos e sepolte, b.) secondo Filostrato la testa viene seppellita in una grotta dove diventa un oracolo di cui Apollo è geloso, c.) le Muse raccolgono le sue membra ed elevano la sua lira al cielo dove si trasforma nell’omonima costellazione. Questi otto motivi costituiscono dunque secondo Friedman il nucleo del mito di Orfeo nell’antichità greca ed ellenistica.59 Questi elementi non si trovano mai tutti insieme: un autore può per esempio riferirsi solo alla musicalità di Orfeo, alla sua discesa nell’Ade o alla sua morte. Anche nei tempi posteriori che costituiscono il nucleo di questa ricerca (il tardo Medioevo, il Rinascimento) non si trova quasi mai l’intero complesso di elementi del mito, ma soltanto un aspetto del personaggio di Orfeo o una parte del racconto.60 Gli otto elementi distinti da Friedman formano dunque una base utile, a cui verranno aggiunti ancora altri elementi nel corso dell’antichità. Anche il famoso antropologo culturale Claude Lévi-Strauss conferma che non occorre cercare la versione autentica del mito in genere. Tutti i rifacimenti diversi fanno invece parte del mito nel suo insieme: [...] a problem which has been sofar one of the main obstacles to the progress of mythological studies, namely, the quest for the true version, or the earlier one. On the contrary, we define the myth as consisting of all its versions; to put it otherwise: a myth remains the same as long as it is felt as such.61 In questo capitolo cercherò dunque di delineare lo sviluppo del mito di Orfeo dal periodo arcaico, attraverso il periodo romano, fino all’epoca postclassica e il primo Medioevo. Così otterremo un’idea del complesso del mito prima delle origini della letteratura in lingua italiana. Nonostante sia interessante rintracciare gli elementi del mito di Orfeo nei tempi più antichi, questo non è lo scopo più importante di questa ricerca. Infatti, alla fine del Medioevo e all’inizio del Rinascimento non si leggevano i testi greci, per il semplice fatto che la conoscenza del greco era andata perduta. Solo dopo il Concilio di Firenze (1439) e la caduta del Bisanzio (1453) ebbe inizio la diffusione del greco in Italia. Importanti per la fortuna di Orfeo nel primo periodo esaminato (dal 1300 al 1450), ma anche nei secoli 59 Tuttavia, alcuni studiosi suppongono che Orfeo abbia le sue radici in un periodo perfino anteriore. Si vedano anche: Friedman, op.cit., p. 10; E.A. Newby, A Portrait of the Artist: the Legends of Orpheus and Their Use In Medieval and Renaissance Aesthetics, Garland Publishing, Inc., New York & London, 1987, p. 64. 61 C. Lévi-Strauss, ‘The Structural Study of Myth’ in : ‘Myth. A Symposium’, Journal of American Folklore 78, 270 (1955), p. 435. 60 32 LE ORIGINI DI ORFEO successivi, sono dunque soprattutto Virgilio e Ovidio che offrono per primi una versione elaborata del racconto amoroso di Orfeo ed Euridice: The two versions of the “career” of Orpheus in Virgil’s Fourth Georgic and in Books X and XI of Ovid’s Metamorphoses stand as the central texts on which subsequent retellings and commentaries on the legend have been based. As knowledge of the body of Greek Orphica became known to Western poets and scholars, these texts, too, were utilized often to elaborate on the basic stories found in Ovid and Virgil; but these earlier Greek texts were more recently discovered and were of considerably less importance in the development of the Orphic topos in Western literature [...]62 I testi di Virgilio e Ovidio formano anche la base della fortuna di Orfeo nella letteratura italiana. Perciò, nel paragrafo seguente sullo sviluppo del mito di Orfeo nell’antichità, presterò molta attenzione al periodo romano. Sarà discusso anche il periodo greco, perché questo periodo diventerà più importante nel corso del Rinascimento con la riscoperta del greco. Sottolineerò in particolare i cambiamenti e gli elementi nuovi che vengono aggiunti nei periodi successivi da vari autori. Naturalmente ci sarà più spazio per quegli autori che avranno un’influenza maggiore sulla letteratura italiana. Toccherò anche brevemente l’orfismo che fin dalla prima apparizione di Orfeo si unisce al personaggio mitologico. 1.1 ORFEO E L’ORFISMO NELL’ANTICHITÀ63 L’origine della figura di Orfeo non è completamente chiara. Il mito di Orfeo si sviluppò probabilmente dalle pratiche sciamanistiche nel nord della Grecia, presso i Traci. Gli sciamani avevano il potere di attraversare le frontiere tra il mondo dei vivi e quello dei morti e avevano anche un potere magico sulla natura e sugli animali, un potere che si basava in parte sugli effetti incantevoli della musica; inoltre, gli sciamani avevano doti profetiche e sapevano riprendere i morti dagli Inferi.64 Peter Dronke cita varie analogie tra 62 Newby, op.cit., p. 62. Questo paragrafo si basa su: O. Kern, Orpheus. Eine religionsgeschichtliche Untersuchung, Weidmannsche Buchhandlung, Berlin, 1920, pp. 38-50; D.P. Walker, ‘Orpheus the theologian and Renaissance platonism’, Journal of the Warburg and Courtauld Institutes 16 (1953), pp. 103-104; A. Boulanger, Orphée: rapports de l'orphisme et du christianisme, F. Rieder et Cie., Paris, 1925, pp. 9-15; M. Deufert, ‘Orpheus in der antiken Tradition’, in: W. Storch, Mythos Orpheus. Texte von Vergil bis Ingeborg Bachmann, Reclam Verlag, Leipzig, 1997, pp. 266-69; G. De Sanctis, Storia dei Greci. Dalle origini alla fine del secolo V, La nuova Italia, Firenze, 1954, pp. 306-11; Ph. Mayerson, ‘Dionysus and Orpheus: God and Man, Myth and Mystery’, in : Classical mythology in literature, art, and music, Xerox College Publ, Lexington, Mass [etc.], [1971], pp. 248-69. 64 C. Segal, Orpheus. The Myth of the Poet, The Johns Hopkins University Press, Baltimore and London, 1989, p. 159. 63 33 CAPITOLO 1 Orfeo e gli sciamani: la discesa agli Inferi, la sua arte di guaritore, l’amore per la musica e per gli animali, l’incantesimo e il potere divinatorio.65 Egli spiega poi il significato profondo della storia di Orfeo ed Euridice in connessione con le pratiche sciamanistiche: Seen in this perspective, the story of Orpheus and Eurydice is no mere sentimental Hellenistic tale of love and death. Nor is the happy ending a mere literary eccentricity. Rather it brings out a profundity which the better-known version tends to disguise - it gives a fuller clarity to the myth’s most essential, most universal trait: the intimation that the here and the beyond are not irrevocably opposed to each other, that they form one world, that the one who is endowed with a more-than-human power of vision (expressed in the figure of prophetic, quasi-divine song) or endowed with a more-than-human power of love, can know this greater whole, can pass from here to beyond and back again, and can ‘redeem’ others, giving them this same power, giving them ‘a new life’.66 Il mito di Orfeo ed Euridice ha dunque probabilmente delle radici più profonde, che sono connesse con lo sciamanismo e il viaggio da questo mondo all’aldilà. In varie culture si trovano delle tracce di simili miti archetipici. Nella cultura greca il ruolo di Orfeo come sacerdote, che conosce i misteri dell’oltretomba e che è in grado di attraversare il limite tra i due mondi è messo in rilievo soprattutto nella corrente religiosa nota con il nome di orfismo. Benché il mito di Orfeo e l’orfismo sembrino concentrarsi sullo stesso personaggio e benché alcune caratteristiche di Orfeo ritornino sia nella mitologia che nella religione, l’orfismo si sviluppa in modo completamente diverso, così che quasi non riguarda più la figura di Orfeo, ma piuttusto l’origine del mondo e la nascita di Dioniso. Inoltre, l’orfismo ha poca importanza per il periodo del tardo Medioevo e del Rinascimento in Italia. Con Marsilio Ficino (1433-1499) comincia una corrente filosofica che si ispira fortemente tra l’altro all’orfismo, ma nel contesto di questa ricerca non occorre soffermarci troppo su questo argomento. Siccome non si può trascurare l’orfismo completamente nel Rinascimento, e siccome l’orfismo è stato rilevante per l’origine del mito di Orfeo, comincerò l’esposizione della fortuna del mito di Orfeo nell’antichità con una breve descrizione delle idee e delle fonti dell’orfismo. Generalmente l’orfismo è visto come una religione coerente. Frequentemente, però, il termine ‘orfismo’ si adopera a partire del secolo VI a.C per ogni tipo di rito mistico. In realtà soltanto una parte di tutti i riti mistici appartiene all’orfismo. È difficile formarsi un’idea chiara dell’orfismo, perché è problematica la ricostruzione di tutti i riti che vi 65 P. Dronke, ‘The Return of Eurydice’, Classica et mediaevalia 23 (1962), p. 205. Dronke cita le parole di Mircea Eliade, Le Chamanisme et les techniques archaïques d’extase, Paris, 1957, pp. 195, 219, 281, 331. 66 Dronke, op.cit., pp. 205-206. 34 LE ORIGINI DI ORFEO appartengono. I pochi documenti che parlano esplicitamente dell’orfismo si possono così suddividere: 1. I frammenti di testi orfici che sono stati trasmessi in scrittori posteriori (di diversi periodi). Questi frammenti descrivono la dottrina orfica o citano le poesie orfiche (soprattutto la teogonia rapsodica). Soprattutto i Padri della Chiesa fanno spesso menzione delle idee di Orfeo per mostrare che l’intera filosofia greca si basava su Mosè. 2. Le formule in versi su lamine d’oro (‘Orphicae lamellae’), che sono state scoperte nelle tombe italiche e cretesi (sec. IV a.C-sec. III d.C.).67 Le lamine si trovavano sul petto o nella bocca dei morti e incise di frammenti in esametri che offrono dei consigli per la vita nell’aldilà. Secondo alcuni studiosi dalle lamine italiche risulta una connessione tra l’orfismo e i Pitagorici.68 3. Due papiri egiziani (sec. III-I a.C.) 4. Le poesie con le idee orfiche che sono state conservate interamente: a.) Gli Inni orfici (sec. II d.C.): questi non parlano di una teologia orfica, ma contengono certi precetti orfici.69 Ci sono 87 inni per il culto orfico, dedicati a Museo, che venerano gli dei orfici: in primo luogo Dioniso, e poi Crono, Rea, Eros, il Sole, la Luna, Tyche, Themis, Dike, la Morte (Thanatos) e la Natura (Physis). b.) L’Argonautica orfica (sec. IV d.C.): un’epopea di 1376 esametri basata sulle Argonautiche di Apollonio Rodio, in cui Orfeo racconta il viaggio degli Argonauti dal suo punto di vista.70 Orfeo ha un ruolo diverso dagli altri eroi: deve incitare i rematori con il suo canto ed è in grado di addormentare il drago e di vincere la seduzione del canto delle Sirene. c.) I Litica (prima metà del sec. II): poesie sul potere magico delle pietre (774 esametri).71 Secondo la cosmogonia o teogonia degli orfici, all’inizio di tutto c’è un uovo cosmico da cui nasce Eros, il creatore del cielo, della terra e degli dei. Eros, che viene anche chiamato Protogonos (“primogenito”) o Phanes (“luminoso”), produce Urano e Gea, il cielo e la terra, da cui nascono in seguito Crono, Rea e gli altri Titani.72 A partire da Urano e Gea 67 I testi e le traduzioni italiane delle lamine si possono trovare in: Le lamine d’oro orfiche. Istruzioni per il viaggio oltremondano degli iniziati greci, a.c.d. Giovanni Pugliese Carratelli, Adelphi Edizioni, Milano, 2001. 68 Alcuni studiosi negano il legame tra le lamine d’oro e l’orfismo (Der Neue Pauly, s.v. ‘Orphik’, p. 66). 69 Orphei hymni, a.c.d. G. Quandt, Weidmann, Berlin, 1955. 70 Les argonautiques orphiques, a.c.d. F. Vian, Paris, Les Belles Lettres, 1987. 71 Secondo Karl Ziegler il libro dei Litica fu attribuito a Orfeo da Tzetzes, con cui invece non a niente a che fare (K. Ziegler, ‘Orphische Dichtung’, in: Der kleine Pauly, p. 358). 72 La cosmogonia menzionata è una versione semplificata della cosomogonia secondo la Rapsodia. Esistono anche altre versioni: quelle secondo Atenagora, Gerolamo ed Ellanico, Aristofane e il papiro di Derveni (cf. gli schemi in: S. Jacquemard & J. Brosse, Orphée ou l'initiation mystique, Paris, Bayard Éditions, 1998, p. 171; R. Sorel, Orphée et l’orphisme, Paris, Presses Universitaires de France, 1995, pp. 40-59. Che la teogonia orfica fosse già nota nel secolo V a.C. è anche suggerito da una parodia negli Uccelli di Aristofane (Uccelli, 690702). 35 CAPITOLO 1 la teogonia degli orfici è uguale a quella di Esiodo. Eros o Amore ha dunque una funzione cruciale nella creazione del mondo. Perciò anche Ficino, che ravviverà il pensiero orfico nel Quattrocento, assegnerà una posizione centrale all’Amore nella sua filosofia di cui testimonia ad esempio il suo El libro dell’Amore. Secondo i canti orfici Zeus, dopo due generazioni di sovrani, divora Eros-Phanes, assorbendo così tutto il potere creativo, e creando tutte le cose di nuovo. In questa maniera Zeus diventa l’inizio, il mezzo e la fine di tutto. Anche queste idee sull’essenza di Giove torneranno spesso nelle opere di Ficino e degli altri neoplatonici quattro-cinquecenteschi. A un certo momento Zeus procrea Dioniso o Zagreo, che viene divorato dai Titani. La dea Atena salva il cuore di Dioniso, e Zeus inghiottisce il cuore e gli dà una nuova vita. Zeus vince e riduce in cenere i Titani con il suo fulmine. Dalle loro membra incenerite nasce il genere umano, che consiste di una parte titanica (il corpo) e di una parte dionisiaca con natura divina (l’anima).73 L’uomo può salvare la parte dionisiaca e domare la parte titanica tramite la cura della prima. Lo scopo della religione orfica è di liberare l’essere divino dentro di noi, che ripercorre un ciclo in cui passa dalla vita alla morte dopo di che viene reincarnato (in un altro uomo o animale), fino al momento in cui l’essere divino interrompe questo ciclo liberandosi dalla parte titanica.74 La teogonia orfica continua dunque con la nascita di Dioniso e si lega così al culto dionisiaco. L’aspetto nuovo di questo legame risiede nel fatto che in questo modo viene stabilita una relazione tra la teogonia e l’antropogonia, cioè la nascita del genere umano. Per gli orfici è importante che l’uomo conosca le sue origini e che sia conscio della sua parte peccaminosa, la quale deve essere vinta tramite una vita devota. Per la liberazione dell’anima devono essere eseguiti alcuni riti orfici. Erodoto parla per esempio del divieto di portare dei vestiti di lana nei santuari o di seppellire i morti vestiti di lana e di mangiare uova e fagioli.75 Un altro fattore importante è l’astinenza dalla carne. Anche in Euripide si trovano simili precetti.76 Anche se l’orfismo è inseparabile dalla figura di Orfeo, in quanto fondatore di questa corrente religiosa che porta il suo nome, la dottrina e i riti precisi dell’orfismo non si intrecciano con il mito stesso. La figura mitologica e il culto possono e devono essere studiati piuttosto come due oggetti di ricerca separati. Da qui in avanti mi limiterò dunque a discutere la fortuna del personaggio mitologico di Orfeo a partire dal periodo greco. 73 Qui si intravvede uno stretto legame con l’idea pitagorica del corpo (soma) come tomba (sèma) dell’anima (Kern, op.cit., pp. 40-50). 74 Secondo Platone l’anima di Orfeo avrebbe scelto di reincarnarsi in un cigno (Repubblica, 10, 620a). 75 Erodoto, Storie, II, 81. 76 Euripide, Cretesi, fr. 3, riportato da Porfirio, De abst., 4, 19 (citato da: Le lamine d’oro orfiche, cit., pp. 8990). 36 LE ORIGINI DI ORFEO 1.2 ORFEO GRECO77 Nella letteratura greca arcaica e classica troviamo solo degli scarsi riferimenti a Orfeo. Scrittori importanti come Omero, Sofocle, Erodoto, Tucidide, Senofonte, Teocrito o Callimaco non fanno nessun riferimento all’eroe.78 La prima menzione del nome di Orfeo nella letteratura si trova in IBICO (sec. VI a.C.).79 A parte la formula Ὀνομακλυτὸν Ὀρφήν (“Orfeo dal nome famoso”) non segue nessuna spiegazione. Tuttavia, queste due parole mostrano che nel sesto secolo a.C. Orfeo era già una figura molto nota. La prima vera attestazione di Orfeo si trova alcuni decenni prima su una METOPA del tesoro dei Sicioni a Delfi (ill. 1.1).80 Sono rappresentati due cavalieri (i Dioscuri), una nave (l’Argo) e due musicisti (Orfeo, riconoscibile dal nome ‘Orphas’, e secondo alcuni Filammone). La metopa raffigura il viaggio degli Argonauti. 1.1 Anonimo, Orfeo e gli Argonauti, sec. VI a.C. 77 Questo paragrafo si basa su: I.M. Linforth, The Arts of Orpheus, University of California Press, Berkeley and Los Angeles, 1941; H. Semmelrath, Der Orpheus-Mythos in der Kunst der italienischen Renaissance. Eine Studie zur Interpretationsgeschichte und zur Ikonologie, Philosophische Fakultät, Universität zu Köln, 1994, pp. 4-8; M. Desport, L'incantation virgilienne. Essai sur les mythes du poète enchanteur et leur influence dans l'oeuvre de Virgile, Faculté des Lettres, Université de Paris, 1952, pp. 274-304; F. Graf, ‘Orpheus: A Poet Among Men’, in: J. Bremmer, Interpretations of Greek Mythology, Croom Helm, London and Sydney, 1987, pp. 80-106; Jacquemard & Brosse, op.cit., pp. 23-36, 65-121; E. Robbins, ‘Famous Orpheus’, in: J. Warden, Orpheus. The Metamorphoses of a Myth, University of Toronto Press, Toronto-Buffalo-London, 1982, pp. 518; Kern, op.cit., pp. 1-37; Segal, op.cit., pp. 14-20; F.M. Schoeller, Darstellungen des Orpheus in der Antike, Philosophische Fakultät, Albert-Ludwigs-Universität, Freiburg, 1969, passim. 78 Orfeo manca per esempio nel riferimento al viaggio degli Argonauti in Omero, Odissea, XII, 60. 79 Ibico di Regio, Fr. 10A Bergk. 80 La metopa si trova a Delfi, Mus. 1323.1323a.1210. 37 CAPITOLO 1 Orfeo è rappresentato con una barba. Sui vasi dipinti troviamo la prima immagine di Orfeo con una barba solo 70 o 80 anni più tardi; si tratta di una scodella beotica. Gradualmente Orfeo perde la sua barba. Questo sviluppo non è tipico della figura di Orfeo, ma segue il ringiovanimento generale degli dei e degli eroi nel periodo greco classico. Spesso la capigliatura di Orfeo rassomiglia fortemente a quella di Apollo, il che è rafforzato talvolta da una corona intorno alla testa. Nelle Bassaridi di ESCHILO (ca. 525-456 a.C.), di cui sono stati trasmessi solo alcuni frammenti, Orfeo ha un ruolo importante.81 Le Bassaridi costituiscono la seconda parte della tetralogia Licurgia, che descrive il conflitto tra il culto di Apollo e il nuovo culto di Dioniso. Eschilo stesso era un ammiratore di Apollo e mostra per primo il carattere apollineo di Orfeo.82 Nella prima parte della tetralogia Eschilo descrive lo scontro tra Apollo e Dioniso, mentre nella seconda parte, le Bassaridi, il conflitto giunge a una soluzione. Alla fine dell’opera Orfeo è ucciso dalle donne tracie, e questa è la prima volta che nella letteratura viene menzionata la morte di Orfeo. Le membra del corpo di Orfeo vengono disperse e la sua testa è buttata nell’Ebro e arriva infine a Lesbos. La testa di Orfeo non finisce di cantare e viene messa in un santuario dove pronuncia degli oracoli. La lira di Orfeo è sollevata al cielo e diventa la costellazione della Lira. Anche in altre tragedie di Eschilo ci sono delle allusioni a Orfeo.83 EURIPIDE (ca. 480-406 a.C.) nella tragedia Alcesti è il primo a descrivere la discesa di Orfeo nell’Ade e la funzione del suo canto nel mondo dei morti.84 Admeto non dice letteralmente che Orfeo succede nella sua impresa, ma questo risulta dalla logica delle sue parole.85 εἰ δ’ Ὀρφέως μοι γλῶσσα καὶ μέλος παρῆν, ὥστ’ ἢ Κόρην Δήμητρος ἢ κείνης πόσιν ὕμνοισι κηλήσαντά σ’ ἐξ Ἅιδου λαβεῖν, κατῆλθον ἂν, καί μ’ οὔθ’ ὁ Πλούτωνος κύων οὔθ’ οὑπὶ κώπῃ ψυχοπομπὸς ἂν Χάρων ἔσχον, πρὶν ἐς φῶς σὸν καταστῆσαι βίον. (Euripide, Alcesti, 357-362)86 81 I frammenti ci sono stati trasmessi attraverso Ps. Eratostene, Catasterismi, 24. Kern, op.cit., pp. 7-8. 83 Eschilo, Agamennone, 1629-1630. 84 Euripide, Alcesti, 357-362. Non è possibile determinare con certezza se il bassorilievo di Orfeo, Euridice e Ermes, di cui si parlerà dopo, sia più antico. 85 Dronke, op.cit., p. 201. 86 ‘Se avessi la lingua e il canto di Orfeo, e potessi incantare con la mia voce la figlia di Demetra e il suo sposo, così da poterti strappare all’Ade, scenderei, sì, agli inferi, né il cane di Plutone né Caronte, condottiero delle anime, curvo sul remo, mi protrebbero trattenere dal riprenderti alla luce della vita.’ (trad. M. Di Simone, Amore e morte in uno sguardo. Il mito di Orfeo e Euridice tra passato e presente, Libri Liberi, Firenze, 2003, p. 8). 82 38 LE ORIGINI DI ORFEO La morte della sposa forse non è il motivo originario per la discesa nell’Ade. Può darsi che la donna che Orfeo cerca di liberare dall’Ade fosse originariamente una specie di regina degli Inferi, che doveva essere ripresa dall’Ade come nel mito di Peritoo e Teseo.87 Il salvamento di Euridice è usata da Euripide come un controesempio della salvazione di Alcesti da parte di Ercole. Orfeo figura spesso nelle opere di Euripide.88 L’autore menziona tutte le sue caratteristiche: il potere dell’incantesimo (che muove gli alberi e gli animali), il canto accompagnato dalla cetra e i suoi riti. Gli altri poeti greci parlano solo raramente di Orfeo e non lo considerano un personaggio molto importante. Dal 480 al 440 a.C. la morte di Orfeo era un motivo prediletto sui VASI (ill. 1.2). Tra le immagini si possono distinguere due tipi principali: il cosiddetto pittore di Brygos raffigurò per primo la scena di Orfeo che fugge dalle donne tracie;89 negli anni ’70 del quarto secolo nacque il tipo del cosiddetto pittore di Pistoxenos, in cui si vedeva come Orfeo veniva ucciso dalle donne. Quest’ultimo tipo ebbe più successo sui vasi attici e rimase popolare fino agli anni ’40 del quinto secolo. Nel resto del quarto secolo e nel periodo ellenistico e romano scompare il motivo dell’uccisione. Nel Quattrocento Mantegna riprenderà il motivo dai vasi antichi. 1.2 Anonimo, La morte di Orfeo 87 Kern, op.cit., p. 13. Teseo e Peritoo discesero nell’Ade cercando di liberare Persefone, un’impresa che Peritoo doveva pagare con la sua vita, mentre Teseo rimaneva imprigionato nell’Ade fino al momento della sua liberazione da parte di Ercole. 88 Euripide, Ifigenia in Aulide, 1211-1214; Baccanti, 560-564; Ciclope, 646; Reso, 943. 89 Le donne sono riconoscibili come tracie da un tatuaggio sulle braccia. I loro mariti avrebbero tatuato le donne per punirle per l’uccisione di Orfeo (Fanocle, in Stobeo, Egl., 4, 20, 47). 39 CAPITOLO 1 Sorprende che solo intorno alla metà del quinto secolo Orfeo sia stato raffigurato per la prima volta come un uomo tracio, mentre nella letteratura era stato visto da sempre come tracio. Egli porta infatti un berretto appuntito di pelliccia di volpe (alopekis) sui capelli lunghi e sciolti, degli stivali alti, un chitone lungo e ricamato, e un mantello tracio. Prima Orfeo era sempre stato rappresentato come un greco: con la veste lunga di un citaredo o con una veste che lasciava scoperta la parte superiore del corpo. Fin dalla metà del quinto secolo venne anche rappresentato spesso dai pittori attici un Orfeo che cantava, circondato dai Traci e qualche volta dai Satiri. In queste immagini Orfeo stesso non è sempre vestito alla tracia. Talvolta i vasi mostrano anche delle donne che accorrono per uccidere Orfeo. Si dice spesso che questi vasi siano stati ispirati dalle Bassaridi di Eschilo.90 Dello stesso periodo esistono anche dei vasi che raffigurano Orfeo nell’atto di lasciare Dioniso in favore di Apollo.91 Molto famoso è un BASSORILIEVO ATTICO (440-420 a.C.), che è stato trasmesso in diverse copie romane (ill. 1.3).92 Il significato della scena rappresentata è molto discusso. La combinazione di Orfeo, Euridice ed Ermes può indicare il momento in cui Ermes consegna Euridice a Orfeo, dopo che Orfeo ha persuaso gli dei degli Inferi a restituirgliela. Può rappresentare invece anche il momento della (prima o seconda) perdita di Euridice, in cui Ermes richiede la donna all’Ade. 1.3 Anonimo, Ermes, Euridice e Orfeo, 440-420 a.C. 90 C. Heyman & A. Provoost, ‘De antieke Orpheusvoorstellingen’, in: A. Provoost, Orpheus. Ontstaan, groei en nawerking van een antieke mythe in de literatuur, beeldende kunsten, muziek en film, Acco, Leuven, 1974, p. 39. 91 Segal, op.cit., p. 157. 92 Napoli, Museo Archeologico Nazionale; Paris, Musée du Louvre; Roma, Museo Palatino, inv. 37339; ecc. 40 LE ORIGINI DI ORFEO Il rilievo non è tuttavia una prova sicura che il fallimento della discesa negli Inferi fosse già noto nel quinto secolo.93 Il motivo di Orfeo ed Euridice che ritornano al mondo non è ripreso poi prima del primo secolo a.C. Da quel momento la coppia di Orfeo ed Euridice è spesso rappresentata senza Ermes. Nelle Odi di PINDARO (ca. 518-ca. 440 a.C.) Apollo è menzionato come padre di Orfeo, ma ciò significa probabilmente soltanto che Orfeo ha imparato la sua arte da Apollo.94 Comunque, in un’altra poesia di Pindaro figura di nuovo Eagro come il padre di Orfeo.95 Pindaro è anche il primo a raccontare dettagliatamente il viaggio degli Argonauti a cui Orfeo partecipava nella funzione di citaredo.96 L’immagine di Orfeo che ci offre PLATONE (ca. 429-347 a.C.) è alquanto negativa. Nello Ione e nel Protagora la magia delle parole di Orfeo è ritenuta persuasiva, ma tramite questa magia non si può raggiungere la verità.97 In tal modo Orfeo viene visto come una specie di precursore dei sofisti. Nel Symposion la fine del racconto è ambivalente.98 Quando Orfeo scende nell’Ade per riprendersi la sposa con il canto, gli dei infernali gli danno un fantasma invece della vera Euridice. La ragione è la supposizione degli dei che Orfeo sia un vigliacco, perché non è disposto a morire per sua moglie come Alcesti fu disposta a morire per suo marito: Ὀρφέα δὲ τὸν Οἰάγρου ἀτελῆ ἀπέπεμψαν ἐξ Ἅιδου, φάσμα δείξαντες τῆς γυναικὸς ἐφ’ἣν ἧκεν, αὐτὴν δὲ οὐ δόντες, ὅτι μαλθακίζεσθαι ἐδόκει, ἅτε ὢν κιθαρῳδός, καὶ οὐ τολμᾶν ἕνεκα τοῦ ἔρωτος ἀποθνῄσκειν ὥσπερ Ἄλκηστις, ἀλλὰ διαμηχανᾶσθαι ζῶν εἰσιέναι εἰς Ἅιδου. τοιγάρτοι διὰ ταῦτα δίκην αὐτῷ ἐπέθεσαν, καὶ ἐποίησαν τὸν θάνατον αὐτοῦ ὑπὸ γυναικῶν γενέσθαι, [...] (Platone, Symposium, 179d)99 Questa versione del mito secondo Platone sembra un caso isolato, che dà un’interpretazione nuova al mito noto. Dronke suppone che fino a quel momento Orfeo fosse riuscito a riprendersi Euridice.100 Originariamente il mito conosceva probabilmente 93 Secondo Kern (op.cit., p. 13) è piuttosto improbabile, perché Orfeo era noto come istruttore saggio dell’umanità e come fondatore di riti santi. 94 Pindaro, P. 4, 313. 95 Pindaro, Fr. 139, 9. Kern, op.cit., pp. 7-8. 96 Pindaro, P. 4, 176f. La prima fonte letteraria per questa partecipazione al viaggio è Simonide, 27. 97 Platone, Ione, 533c; 536b; Protagora, 316d. 98 Platone, Symposium, 179d. 99 ‘Orfeo, invece, il figlio di Eagro, lo rimandarono a mani vuote dall’Ade, dopo avergli mostrato un fantasma della donna per la quale era venuto, ma senza restituirgli lei in persona, dal momento che si era dimostrato imbelle, citaredo qual era, e non aveva osato morire per amore al pari di Alcesti, quanto piuttosto aveva cercato di escogitare il modo per scendere vivo all’Ade. Per questa ragione lo punirono, facendolo morire per mano di donne.’ (trad. F. Ferrari, citata da Di Simone). 100 Dronke, op.cit., p. 202. 41 CAPITOLO 1 un esito felice. Questa variante del mito rimarrà sempre presente sullo sfondo e riacquisterà una posizione centrale nel melodramma di Jacopo Peri (cap. 7). Nel quarto e terzo secolo a.C. il motivo di Orfeo che da vivo discende negli Inferi è rappresentato spesso sui cosiddetti VASI INFERNALI dell’Italia meridionale, di cui sette sono stati conservati (ill. 1.4).101 Secondo Schoeller l’importanza crescente dei riti orfici sfocia nella scelta della figura di Orfeo per il culto dei morti. Sui vasi si vede Orfeo che suona la cetra per Ade e Persefone, che sono seduti nel loro palazzo, indicato da colonne ioniche. Spesso Orfeo è solo, ma lo incontriamo anche qualche volta nella presenza di Euridice. Il fatto che Orfeo sia rappresentato da solo sembra indicare che si vuole dipingerlo come il fondatore della religione orfica e che i vasi sono stati fabbricati per committenti orfici.102 1.4 Anonimo, Orfeo nell’Ade, IV-III sec. A.C. (Napoli) L’abito tracio che Orfeo porta spesso a partire del quinto secolo, cambia in una lunga veste orientale con molti adornamenti e un berretto frigio (con la punta curva). Secondo Antonia Alessio Cavaretta nell’iconografia della figura di Orfeo sono da distinguere due varianti principali, quella greca e quella frigia: 101 Napoli, Museo Archeologico Nazionale, 3222; SA 709; SA 11; München, Staatliche Antikensammlung, 849. 102 Schoeller, op.cit., pp. 43-45. 42 LE ORIGINI DI ORFEO Nella prima Orfeo poteva apparire sia vestito di chitone, sia nudo secondo il canone dei personaggi eroici, o coperto semplicemente da un mantello, che gli cingeva la parte inferiore del corpo lasciando scoperto il busto; di solito presentava una lunga capigliatura talora incoronata d'alloro. Nella seconda indossava una tunica manicata, il berretto frigio e spesso un ampio mantello. Esisteva anche un tipo iconografico intermedio in cui Orfeo, abbigliato alla greca, aveva in testa il berretto frigio.103 Il tipo greco è più antico, ma il tipo frigio diventerà quello più importante nel periodo ellenistico e nella pittura cristiana.104 Nelle Argonautiche di APOLLONIO RODIO (ca. 295-235 a.C.) il ruolo di Orfeo è molto ridotto.105 Orfeo è invitato a partecipare al viaggio degli Argonauti per raccogliere il vello d’oro, in parte per la magia del suo canto, in parte per il suo ruolo sacerdotale. Orfeo riconcilia le dispute tra gli Argonauti e supera il canto delle Sirene, ma non è indispensabile. Nel primo libro ha un ruolo piuttosto grande, che diminuisce però nel seguito. All’inizio del terzo secolo deve essere nata l’unione di Orfeo, Ercole e le Muse, trasmessa su un DIPINTO MURALE POMPEIANO, il quale contiene l’unica immagine conservata di Orfeo che canta i lavori di Ercole, dopo che questi aveva liberato la Tracia dalle cavalle di Diomede.106 1.3 ORFEO ROMANO107 Il mito di Orfeo, così come è giunto ai tempi moderni, deriva in gran parte dalle Georgiche di Virgilio e dalle Metamorfosi di Ovidio. Queste due versioni sono essenziali anche nel quadro di questa ricerca: siccome i letterati medievali non furono in grado di leggere il greco fino alla caduta di Bisanzio e all’immigrazione di molti studiosi greci che seguì, Virgilio e Ovidio rimasero per molto tempo le fonti principali per la conoscenza del mito di Orfeo nell’Occidente. Conviene dunque soffermarci prima sul mito come rappresentato da Virgilio, il suo contesto e il suo significato, per poi discutere la storia di Orfeo in Ovidio e anche le somiglianze e le differenze più notevoli fra queste versioni latine. 103 A. F. G. Alessio Cavaretta, ‘Diffusione diacronica dell'iconografia di Orfeo in ambiente occidentale’, in: A. Masaracchia, Orfeo e l'orfismo. Atti del Seminario Nazionale (Roma-Perugia 1985-1991), Gruppo Editoriale Internazionale, Roma, 1993, p. 400. 104 Alessio Cavaretta, op.cit., pp. 400-401. 105 Apollonio Rodio, Argonautiche, 1, 23-34; 493b-494; 512-515; 540-541a; 1134; 4, 903b-909. 106 Anonimo, Orfeo che suona per le Muse e per Eracle, affresco, Pompei, Reg. IX, 1, 22. 107 Questo paragrafo si basa su Segal, op.cit. e altri. 43 CAPITOLO 1 1.3.1 Orfeo vs. Aristeo nelle Georgiche La nota storia di Orfeo ed Euridice è raccontata per la prima volta nelle Georgiche di VIRGILIO (70-19 a.C.). Virgilio la inserisce alla fine del libro IV, che tratta della civiltà delle api e che conclude anche l’opera intera.108 Il mito di Orfeo ed Euridice è collocato nel contesto di un racconto sul pastore Aristeo, le cui api muoiono tutte. Per conoscere la ragione della morte delle sue api la madre di Aristeo, la ninfa Cirene, manda suo figlio dal dio marino Proteo, che subisce continue metamorfosi. Dopo che Aristeo è riuscito a catturare il dio, questi gli racconta che Aristeo viene punito per aver cercato di rapire Euridice. Durante l’inseguimento Euridice era stata morsa da un serpente ed era morta. Di conseguenza Aristeo è costretto a pacificare le anime di Orfeo ed Euridice, sacrificando a loro quattro tori e quattro vacche, dalle cui carcasse nasceranno delle nuove api. Virgilio è probabilmente il primo a creare un legame tra la storia di Aristeo e quella di Orfeo ed Euridice, anche se il racconto di Aristeo esisteva già come racconto autonomo.109 Il mito di Orfeo raccontato da Virgilio, comincia dunque con l’inseguimento di Euridice da parte di Aristeo, durante il quale Euridice viene morsa da un serpente velenoso e muore. Tutti rimpiangono la sua sorte: un coro di Driadi, le montagne, i fiumi e specialmente Orfeo, che decide di discendere nell’Ade, cercando di intenerire gli dei degli Inferi. Virgilio non cita le parole dell’orazione di Orfeo, ma descrive invece ampiamente gli effetti del suo canto sugli abitanti dell’Ade: gli spiriti commossi vengono dal fondo dell’Ade e si radunano, le Eumenidi rimangono sbalordite, Cerbero è quasi impietrito e la ruota di Issione si ferma. Virgilio non menziona la reazione di Ade e la sua decisione di far ritornare Euridice, ma descrive subito il ritorno di Euridice, che segue Orfeo, come l’aveva prescritto Proserpina (‘pone sequens, namque hanc dederat Proserpina legem’). In seguito Virgilio descrive come Orfeo guarda indietro, perdendo così per sempre sua sposa: cum subita incautum dementia cepit amantem, ignoscenda quidem, scirent si ignoscere manes: restitit, Eurydicenque suam iam luce sub ipsa immemor heu! victusque animi respexit. Ibi omnis effusus labor atque immitis rupta tyranni foedera, terque fragor stagnis auditus Avernis. 108 Secondo Servio Virgilio avrebbe originariamente concluso il libro IV con un elogio del poeta latino Gallo, che egli ammirava molto. Dopo che Gallo aveva perso le grazie di Augusto e si era suicidato (nel 26 a.C.), Virgilio avrebbe sostituito questa parte con la storia di Aristeo e Orfeo. Tuttavia, esistono dei dubbi sulla correttezza di questa affermazione. 109 C’è stata molta discussione sul rapporto tra le api, Aristeo e Orfeo. Secondo alcuni la civiltà delle api era per Virgilio una rappresentazione della civiltà umana. Anche in quel tempo Orfeo era già visto come l’uomo civilizzatore (si veda Orazio). (H.L.W. Nelson, ‘Orpheus en Eurydice. De interpretatie van een Vergiliaanse mythe’, Lampas 18 (1985), p. 302; Segal, op.cit., p. 36-42). 44 LE ORIGINI DI ORFEO (Virgilio, Georgiche, IV, 488-493)110 Virgilio è il primo a parlare del divieto implicito di guardare indietro e della seconda perdita di Euridice. Il fatto che Virgilio accenni solo implicitamente al divieto, potrebbe indicare che il racconto fosse conosciuto in quel periodo. Alcuni studiosi pensano dunque che Virgilio stesso non abbia inventato questa versione del mito, ma che essa si basi sulla poesia di un poeta ellenistico sconosciuto che è andata perduta. Non ci sono, però, delle prove concrete dell’esistenza di una tale poesia e forse Virgilio ha creato sia il legame con il mito di Aristeo che l’esito negativo. Nel frammento citato qui sopra colpisce il riferimento al motivo del gesto di guardare indietro: dementia prese possesso di Orfeo, un giudizio piuttosto negativo, che viene tuttavia alquanto attenuato dal verso immediatamente successivo: ‘ignoscenda quidem, scirent si ignoscere manes’. Tuttavia, Euridice reagisce violentemente all’errore di Orfeo e parla di un furor, che ha rovinato sia lei che lui. Euridice sembra rimproverargli la sua seconda morte. È l’unica volta nella descrizione virgiliana del mito di Orfeo ed Euridice che un personaggio si esprime in discorso diretto: illa ‘quis et me’ inquit ‘miseram et te perdidit, Orpheu, quis tantus furor? en iterum crudelia retro fata vocant, conditque natantia lumina somnus. iamque vale: feror ingenti circumdata nocte invalidasque tibi tendens, heu non tua, palmas.’ (Virgilio, Georgiche, IV, 494-498)111 Dopo queste parole Euridice svanisce, mentre Orfeo cerca invano di toccarla, ma il passatore non gli permette più di attraversare il fiume. Orfeo disperato rimane indietro e ritorna in Tracia, dove canta per sette mesi sulla riva dello Strimone. Il suo canto addomestica le tigri e commuove le querce. Virgilio paragona l’Orfeo triste all’usignolo (Filomela), i cui figli sono stati rapiti da un aratore. 110 ‘quando un’improvvisa follia colse l’innamorato imprudente (cosa da perdonarsi, se i Mani sapessero perdonare): si arrestò e ormai presso la luce, dimentico – ahimé – e vinto nell’animo dalla passione, gettò uno sguardo indietro alla sua Euridice. Lì tutta la sua fatica andò distrutta e furono infranti i patti fissati dal signore spietato, e per tre volte si udì un fragore sopra gli stagni d’Averno.’ (trad. A. Barchiesi, Milano, Arnoldo Mondadori Editore, 1980). 111 ‘E lei: “Cosa ha perduto me stessa, infelice, e te, Orfeo, quale pazzia così grande? Ecco, una seconda volta il destino crudele mi richiama indietro e il sonno chiude i miei occhi smarriti. E ora addio: sono trascinata avvolta da una notte immensa e tendo verso di te – ahi, non più tua, le mani senza forza”’ (trad. Barchiesi, op.cit.). 45 CAPITOLO 1 Orfeo rinunzia a tutte le donne e si ritira in luoghi freddi, dove continua a rimpiangere Euridice e viene lacerato dalle donne tracie. La morte di Orfeo è descritta brevissimamente da Virgilio in tre versi: [...] spretae Ciconum quo munere matres inter sacra deum nocturnique orgia Bacchi discerptum latos iuvenem sparsere per agros. (Virgilio, Georgiche, IV, 520-522)112 La testa di Orfeo cade nell’aqua dell’Ebro, mentre la bocca continua a chiamare Euridice e le rive rispondono alla sua voce. Così finisce il mito di Orfeo ed Euridice nelle Georgiche. Gli elementi nuovi più notevoli sono, come detto sopra, l’apparizione di Aristeo come persecutore di Euridice, il divieto di guardare indietro e la sua inosservanza, la seconda perdita di Euridice. Nell’Eneide appare invece un’altra immagine di Orfeo: Enea incontra Orfeo che suona la lira nei Campi Elisi, vestito come un sacerdote o profeta: nec non Threicius longa cum veste sacerdos obloquitur numeris septem discrimina vocum, iamque eadem digitis, iam pectine pulsat eburno. (Virgilio, Eneide, VI, 645-647)113 Da una parte Virgilio sottolinea che Orfeo è un sacerdote, ma con il suo canto nell’Ade accompagna anche le ombre danzanti. Orfeo ha un posto onorevole fra le ombre felici, che durante la loro vita compirono delle gesta gloriose: i fondatori di Troia, coloro che diedero la loro vita per la patria, dei sacerdoti e dei profeti e coloro che si dedicarono alle arti.114 Anche Museo, circondato da un gruppo di ombre, si trova fra loro. Già prima nel sesto libro Enea aveva riferito a Orfeo: per ottenere accesso agli Inferi, Enea fa un elenco per la Sibilla di coloro che lo hanno preceduto. Prima di Teseo e di Ercole, fa menzione di Orfeo, che fidandosi della cetra discese nell’Ade per riprendersi la sposa: quin, ut te supplex peterem et tua limina adirem, idem orans mandata dabat. gnatique patrisque, 112 ‘per questa fedeltà le donne dei Cíconi, da lui respinte, durante i riti divini e le feste notturne di Bacco sbranarono il giovane e ne sparsero i resti per l’ampia campagna.’ (trad. Barchiesi, op.cit.). 113 ‘E il Tracio sacerdote in lunga veste per sette elice varietà di toni dolci suon dalla cetra, or con le lievi dita toccando, or con l’eburneo plettro l’armoniose corde.’ (trad. E. Pratellesi, Firenze, Le Monnier, 1930, vv. 1102-1106). 114 Eneide, VI, 660-64. 46 LE ORIGINI DI ORFEO alma, precor, miserere (potes namque omnia, nec te nequiquam lucis Hecate praefecit Auernis), si potuit manis accersere coniugis Orpheus Threicia fretus cithara fidibusque canoris si fratrem Pollux alterna morte redemit itque reditque uiam totiens. quid Thesea, magnum quid memorem Alciden? et mi genus ab Ioue summo.’ (Virgilio, Eneide, VI, 115-123)115 Questo passo sarà ripetuto spesso nei volgarizzamenti italiani trecenteschi dell’Eneide, ma anche in altre opere letterarie italiane, come nelle Elegie di Naldo Naldi (cap. 3). Anche nelle Bucoliche si trovano alcuni riferimenti a Orfeo. Nella terza egloga Dameta racconta di avere un bicchiere che rappresenta Orfeo perseguitato dagli alberi.116 Nella quarta egloga il poeta esprime la speranza che il suo canto non sarà inferiore a quello di Orfeo e di Lino, anche se loro vengono aiutati da uno dei genitori (Orfeo è aiutato da Calliope e Lino da Apollo). Questo motivo tornerà spesso nella poesia lirica del Trecento. Il poeta spera persino di superare Pan.117 Nella sesta egloga Orfeo è associato alla Tracia.118 Il canto del Sileno sulla nascita del cosmo può essere considerato inoltre un’allusione ai canti cosmogonici di Orfeo. L’ultimo riferimento, nell’egloga VIII, parla di nuovo di Orfeo che canta nelle selve e lo paragona ad Arione, che sapeva affascinare i delfini con la sua musica.119 Benché nell’opera di Virgilio si trovino dunque diversi aspetti della figura di Orfeo, la storia d’amore di Orfeo ed Euridice è la più importante. In questa storia predomina di nuovo il canto. Se manca una vittoria totale dell’amore sulla morte, tuttavia il canto è vittorioso. Durante la discesa nell’Ade Orfeo riottiene la sua sposa con il canto, e anche durante il lutto e dopo la propria morte il canto continua a esercitare il suo potere.120 Amare e soprattutto cantare sono dunque per Virgilio le attività principali della figura di Orfeo. Nel Trecento e nei secoli successivi le Georgiche non riceveranno tanta attenzione quanto le Metamorfosi, che saranno considerate un trattato mitologico. La descrizione del 115 ‘Anzi ei medesmo mi fea più volte, col pregar, comando di qua recarmi supplice alle soglie del tuo gran tempio. Miserere adunque e del figlio e del padre, chè potere hai di farlo, se vuoi, nè ai sacri boschi d’Averno te propose Ecate indarno. Se nel suono fidando della lira dalle canore fila il Tracio Orfeo poteo la sposa richiamare in vita; se a redimere pur valse Polluce il fratello da morte, alla sua volta morendo alternamente e ricalcando tante mai fiate la medesma via.’ (trad. Pratellesi, cit., vv. 199-214). 116 Egloghe, III, 44-46. 117 Egloghe, IV, 55-59. 118 Egloghe, VI, 30. 119 Egloghe, VIII, 55-56. 120 Desport, op.cit.; Segal, op.cit., p. 22; 25-26. 47 CAPITOLO 1 mito di Orfeo dell’Eneide sarà meglio conosciuta di quella delle Georgiche, dato che il primo testo fu ammirato di più dagli umanisti.121 1.3.2 Amante, oratore e omosessuale nelle Metamorfosi122 OVIDIO (43 a.C.- ca. 17 d.C.) narra ampiamente di Orfeo nei libri X e XI delle Metamorfosi. Nel libro X l’autore descrive la morte di Euridice, la seguente discesa di Orfeo nell’Ade e la seconda perdita di Euridice (X, 1-85). Seguono poi varie canzoni d’amore di Orfeo. Nel libro XI Ovidio descrive l’uccisione di Orfeo dalle mani delle Menadi e la sua riunione con Euridice nell’Ade (XI, 1-66). Nonostante numerose corrispondenze tra la versione virgiliana e quella ovidiana, sono presenti anche delle differenze notevoli: Aristeo ha un ruolo importante nelle Georgiche, ma non figura affatto nelle Metamorfosi. Ovidio invece racconta la storia di Orfeo nel contesto del matrimonio di Ifide e Iante: il loro matrimonio felice viene contrastato con quello di Orfeo ed Euridice. Mentre Euridice si diverte in un prato con le sue amiche (le Naiadi), viene morsa da un serpente e muore. Dopo averla rimpianta Orfeo decide di discendere nell’Ade per convincere gli dei a ridarle la vita. Mentre Virgilio dette molta attenzione al lutto di Orfeo e descrisse come anche le Driadi e il resto della natura rimpiangevano la morte di Euridice, Ovidio descrive il lutto in poco più di un verso: ‘quam satis ad superas postquam Rhodopeius auras / deflevit vates [...]’. Contrariamente a Virgilio, Ovidio riporta letteralmente l’orazione che Orfeo rivolge agli dei infernali: Orfeo spiega di non essere venuto per guardare il mondo sotterraneo né per catturare Cerbero, ma per trovare la sua sposa. Benché lui abbia cercato di accettare la morte di lei, l’amore si è rivelato più forte. Anche i signori degli inferi dovrebbero ricordarsi secondo Orfeo del proprio amore. Una volta Euridice dovrà comunque ritornare al mondo dei morti, ma fino a quel momento Orfeo la chiede in prestito. Se questo favore gli è negato, anche lui vuole morire. Dopo la lunga orazione, Ovidio descrive ampiamente anche l’effetto ammaliante del canto di Orfeo sui morti. Ai personaggi menzionati da Virgilio, Ovidio ne aggiunge ancora alcuni altri: Tantalo non cerca più di bere l’acqua fuggente, gli avvoltoi non rodono più il fegato di Tizio, le Belidi fanno riposare le loro urne e Sisifo si mette a sedere sulla sua pietra. Le Eumenidi piangono e i signori degli Inferi non possono negare a Orfeo la sua richiesta. Orfeo ottiene il permesso di andare a riprendersi Euridice, ma soltanto a condizione che non guardi indietro prima di uscire dall’Ade: hanc simul et legem Rhodopeius accipit heros, ne flectat retro sua lumina, donec Avernas 121 V. Zabughin, Vergilio nel Rinascimento italiano da Dante a Torquato Tasso, vol. I, Bologna, Nicola Zanichelli, [1923], p. 231. 122 Il paragrafo si basa su Segal, op.cit., pp. 54-94 et al. 48 LE ORIGINI DI ORFEO exierit valles; aut inrita dona futura. (Ovidio, Metamorfosi, X, 50-52)123 Il divieto di guardare indietro è menzionato dunque esplicitamente. Ovidio descrive poi brevemente la ripida salita, ma quando gli amanti hanno quasi raggiunto la luce, Orfeo non riesce più a controllarsi: guarda indietro e perde Euridice per la seconda volta. Mentre l’Euridice di Virgilio criticava duramente l’errore del marito, l’Euridice di Ovidio non gli rimprovera niente, ma fa sentire solo un ‘vale’: hic, ne deficeret, metuens avidusque videndi flexit amans oculos; et protinus illa relapsa est, bracchiaque intendens prendique et prendere certans nil nisi cedentes infelix arripit auras. iamque iterum moriens non est de coniuge quicquam questa suo: quid enim nisi se queretur amatam? supremumque “vale,” quod iam vix auribus ille acciperet, dixit revolutaque rursus eodem est. (Ovidio, Metamorfosi, X, 56-63)124 Molti commentatori vedono l’osservazione ‘quid enim nisi se queretur amatam?’ come un diretto riferimento a Virgilio. Secondo Ovidio non c’è, però, niente da rimproverare a Orfeo, perché l’amore lo costrinse a guardare Euridice. La dementia, che nel racconto di Virgilio era la causa dell’errore di Orfeo, è sostituita perciò con le parole ‘ne deficeret, metuens avidusque videndi’: Orfeo aveva paura che Euridice non fosse in grado di seguirlo e ardeva dal desiderio di rivederla. Anche nel testo di Ovidio gli innamorati cercano di abbracciarsi un’ultima volta (qui è Euridice a prendere l’iniziativa), ma ogni tentativo è inutile. Orfeo rimane indietro sbalordito e cerca di nuovo di attraversare lo Stige, ma senza successo. Per sette giorni Orfeo piange sulla riva dello Stige, dopo di che sale sulle montagne della Tracia dove continua a lamentarsi per tre anni. Rinunzia alle donne e inizia perfino a coltivare amori omosessuali e pederastici: ille etiam Thracum populis fuit auctor amorem in teneros transferre mares citraque iuventam 123 ‘La ricevette Orfeo assieme a una condizione, di non volgere indietro gli occhi finché non fosse uscito dalle valli d’Averno, o il dono sarebbe vano.’ (trad. Guido Paduano, Einaudi, Torino, 2000). 124 ‘e qui Orfeo, per amore, temendo che non gli venisse a mancare ed avido di vederla, volse indietro gli occhi, ed ella subito scivolò indietro e, tendendo le braccia e cercando di afferrarla ed esserne afferrato, non prese altro che aria cedevole. Morendo ormai per la seconda volta, non si lagnò del suo sposo (di cosa avrebbe potuto lagnarsi altro che d’essere amata?) e disse l’ultimo addio, che appena giunse alle orecchie di lui, e di nuovo precipitò indietro. (trad. Paduano, op.cit.). 49 CAPITOLO 1 aetatis breve ver et primos carpere flores. (Ovidio, Metamorfosi, X, 83-85)125 L’amore di Orfeo per ragazzi giovani è un elemento nuovo che Ovidio aggiunge alla versione di Virgilio.126 Con questa descrizione dell’omosessualità di Orfeo finisce la prima parte del racconto ovidiano. Il racconto viene interrotto da una serie di canzoni che occupano il resto del libro X. Orfeo comincia a cantare e diversi tipi di alberi (più di 25) si raccolgono intorno a lui come pubblico; anche gli altri animali e gli uccelli vengono ad ascoltarlo. Nei canti, che trattano dei miti di Ciparisso, Giacinto, Pigmalione, Mirra, Venere e Adone, Atalanta e altri, l’amore occupa un posto importante. All’inizio del libro XI Ovidio riprende il discorso su Orfeo raccontando la lacerazione di Orfeo da parte delle Menadi. Mentre Virgilio quasi trascurava questa lacerazione, Ovidio descrive nei dettagli (in più di 40 versi) l’assalto da parte delle donne, che fanno piovere su di lui una grandine di sassi e di aste. Tutte queste armi sarebbero state vinte, però, dal canto magico di Orfeo e si sarebbero stese per terra in pace, se le Baccanti con le loro grida e i loro strumenti non avessero smorzato il suono della cetra di Orfeo. Prima le donne dilaniano tutti gli animali che stanno ascoltando il canto di Orfeo, dopo di che si gettano addosso al cantante stesso con i loro tirsi, con rami ed infine con attrezzi agricoli. Così Orfeo muore, e tutta la natura (gli animali, gli alberi, i fiumi e le ninfe) piange la sua morte. Questo lutto per Orfeo fa da pendant al lutto per la morte di Euridice descritto da Virgilio. La testa e la lira vengono trasportate nell’Ebro, mentre la lira continua a suonare e la testa continua a cantare. Anche nel testo di Ovidio le rive rispondono al canto. Quando la testa e la lira vengono gettate sulla spiaggia di Lesbo, Apollo salva la testa di Orfeo da un serpente che cerca di mangiarla. Alla fine l’ombra di Orfeo e quella di Euridice sono riunite nell’Ade, dove possono per sempre guardarsi senza pericolo. Per punizione Bacco trasforma le Baccanti in alberi. Newby ha schematizzato le analogie e le differenze tra le versioni di Virgilio e Ovidio.127 Lo schema qui sotto si basa sullo schema di Newby, con alcune aggiunte e omissioni: 125 ‘Fu lui che insegnò ai Traci a indirizzare l’amore sui teneri maschi, e a cogliere i primi fiori della breve primavera di vita prima della giovinezza.’ (trad. Paduano, op.cit.). 126 Questo elemento esisteva già nell’opera del poeta Fanocle (sec. III a.C.), dove Orfeo si innamora del ragazzo Calai, il figlio del vento Borea. L’episodio di Fanocle è stato trasmesso in Stobeo, Egloghe, 4, 20, 47. 127 Newby, op.cit., pp. 65-66. 50 LE ORIGINI DI ORFEO Elementi narrativi Virgilio Ovidio Virgilio e Ovidio 1. L’amore di Aristeo per Euridice • 2. La morte di Euridice per via di un morso di serpente 3. La natura rimpiange la morte di Euridice • • 4. La discesa di Orfeo nell’Ade • 5. L’orazione di Orfeo per far ritornare Euridice 6. L’effetto ammaliante della sua musica nel mondo dei morti • • 7. La seconda morte di Euridice • 8. La seconda orazione senza risultato • 9. L’effetto ammaliante del lamento di Orfeo sulla natura • 10. Orfeo non prova più amore (Virg.) / Orfeo rinunzia alle donne (Ov.) • 11. Orfeo si abbandona all’amore per giovani ragazzi • 12. I canti amorosi di Orfeo • 13. Lo smembramento di Orfeo • 14. La natura rimpiange la morte di Orfeo • 15. La testa cantante (e la lira) galleggiano sull’acqua dell’Ebro 16. Apollo salva la testa trasportata a Lesbo da un serpente, che vuole assalirla 17. Orfeo ed Euridice sono riuniti dopo la morte 128 • • • Questo schema offre la possibilità di paragonare i tratti principali dei racconti, anche se naturalmente ci sono ancora più differenze nei dettagli. I racconti differiscono negli accenti e nell’atmosfera generale. Su questo punto le opinioni degli studiosi discordano spesso. Alcuni riassumono semplicemente il contenuto del racconto ovidiano, mentre altri considerano il racconto ovidiano una versione ironica del mito raccontato nelle Georgiche.129 Soprattutto sull’orazione di Orfeo di fronte ai signori dell’Ade c’è molta discussione: Anderson accusa Orfeo di una retorica senza emozioni,130 mentre Primmer 128 Un paragone ancora più ampio della versione virgiliana e quella ovidiana si trova in W.S. Anderson, ‘The Orpheus of Virgil and Ovid: flebile nescio quid’, in Warden, op.cit., pp. 37-39. 129 Segal, op.cit., p. 25. 130 Anderson, op.cit., p. 40. 51 CAPITOLO 1 loda la sua retorica, che per l’emozione si trasforma gradualmente in canto.131 Le interpretazioni moderne escono fuori dal campo di interesse della presente ricerca, la quale intende seguire la fortuna di Orfeo dal Trecento al Seicento. 1.3.3 Orfeo civilizzatore e Orfeo vs. Ercole132 Nell’Arte poetica di ORAZIO (65-8 a.C.) troviamo un’interpretazione allegorica del mito di Orfeo. Orfeo è rappresentato come un sacerdote in grado di interpretare i segni degli dei. Così Orfeo riesce a civilizzare le bestie, che simboleggiano gli uomini rozzi. Non si parla esplicitamente della forza del canto di Orfeo, ma il confronto con Anfione sembra indicare la musica come la fonte del potere di Orfeo. La scelta degli animali (tigri e leoni) sottolinea la necessità della civilizzazione. silvestres homines sacer interpresque deorum caedibus et victu foedo deterruit Orpheus, dictus ob hoc lenire tigris rabidosque leones; dictus et Amphion, Thebanae conditor urbis, saxa movere sono testudinis et prece blanda ducere quo vellet. (Orazio, Arte Poetica, 391-396)133 Questa allegoria della musica o poesia che civilizza gli uomini è la prima interpretazione allegorica esplicita di Orfeo, che lo presenta come un personaggio molto positivo. La stessa allegoria tornerà spesso dall’inizio del Trecento (nel Convivio di Dante) fino alla fine del Cinquecento (nei trattati poetici). Anche per gli umanisti, che sottolineano come gli uomini si distinguono dalle bestie per la parola, questa interpretazione allegorica era molto congeniale. Orfeo ha un ruolo importante nelle tragedie di SENECA (sec. I d.C.). Nel resto dell’opera di Seneca ci sono solo alcuni riferimenti che parlano di Orfeo come l’uomo con cui comincia la poesia. Nelle tragedie di Seneca, Orfeo è un poeta-salvatore e un eroe civilizzatore. Seneca non si sofferma sulla morte crudele di Orfeo come fanno Virgilio e Ovidio, ma segue principalmente due correnti nella tradizione precedente: Orfeo è il poeta 131 A. Primmer, ‘Das Lied des Orpheus in Ovids ‘Metamorphosen’’, in: H. Seidler, Sprachkunst. Beiträge zur Literaturwissenschaft 10 (1979), p. 129-35. 132 Questo paragrafo si basa su Segal, op.cit.; E. De Laet, ‘De nawerking van Vergilius’ Orpheusverhaal in de Latijnse letterkunde: Ovidius – Seneca – Culex. Poging tot thematische en literair-vergelijkend interpretatie’, in: Orpheus. Ontstaan, groei en nawerking van een antieke mythe, cit., pp. 89-105; et al. 133 ‘Orfeo, un uomo sacro e interprete degli dei, dissuase gli uomini selvaggi dagli omicidi e dalla vita empia, e per questo si dice che lui calmava le tigri e i leoni furiosi; e si dice che anche Anfione, il fondatore della città di Tebe, moveva i sassi con il suono della testuggine e li menava dove voleva con preghiera soave.’ 52 LE ORIGINI DI ORFEO che conosce i misteri della natura, ma è anche la vittima dell’amore: una figura tragica che si lamenta e muore per la sua passione. Nell’Ercole furioso Seneca paragona la discesa di Orfeo nell’Ade a quella di Ercole.134 Sono messe in evidenza le differenze tra i due personaggi: Orfeo riesce nella sua missione attraverso il canto, mentre Ercole vince l’Ade con la violenza, ma rimane un eroe stoico. Alla fine della tragedia Ercole sofferente è costretto a cambiare la sua forza fisica in intelligenza spirituale e in perseveranza. Orfeo funziona come modello per questo cambiamento. Anche nell’Ercole Oeteo, in cui Orfeo è il poeta-studioso che canta le leggi dell’universo, Seneca paragona la discesa nell’Ade di Ercole esplicitamente a quella di Orfeo.135 L’elevazione di Ercole alle stelle contrasta con il fallimento di Orfeo. Nella letteratura italiana il paragone tra Ercole e Orfeo tornerà nel De laboribus Herculis di Coluccio Salutati. In questo testo Ercole sarà l’esempio positivo dell’eroe stoico, mentre Orfeo rappresenterà l’epicureo che è condannato per il suo desiderio di piaceri carnali. Nel periodo romano diventano molto popolari le rappresentazioni di Orfeo tra gli animali, rarissime nell’arte greca. La maggior parte delle immagini con questo motivo si trova sui MOSAICI, (ill. 1.5-6) ma il motivo si trova anche su un dipinto murale, su dieci bassorilievi di sarcofagi e su alcuni acroteri.136 Schoeller suppone che il successo di questo tema sui sarcofagi sia legato anche all’interesse crescente per il culto di Orfeo, come per i soprannominati vasi infernali apuli.137 Tuttavia, incontriamo Orfeo e gli animali soprattutto sui mosaici romani (almeno 50 esemplari). Nel disegno originario Orfeo è raffigurato al centro su una roccia; gli animali attirati dalla musica si trovano a destra e a sinistra, e sopra la testa di Orfeo gli uccelli sono seduti sui rami di un albero o arrivano in volo. Gli alberi accanto a Orfeo rappresentano gli arbusti e gli alberi che si sono raccolti intorno a lui. Orfeo è rappresentato spesso con una gamba volta a sinistra, a cui si appoggia la lira. La mano destra, in cui tiene un plettro, si muove nella direzione della lira. Il tema di Orfeo e degli animali doveva probabilmente la propria popolarità nell’età romana al fatto che offriva agli artisti la possibilità di raffigurare molti animali diversi, cosa che lo rendeva anche un soggetto molto adatto ai grandi mosaici.138 134 Seneca, Ercole furioso, 569-589. Seneca, Ercole Oeteo, 1031-1089. 136 Alcuni di questi mosaici si trovano in Italia: Palermo, Museo Nazionale; Roma, Convento di S. Anselmo. Il dipinto murale si trova a: Pompei, Casa di Orfeo. 137 Schoeller, op.cit., pp. 43-45. 138 Schoeller, op.cit., p. 34. 135 53 CAPITOLO 1 1.5 Anonimo, Orfeo e gli animali, sec. III / 1.6 Anonimo, Orfeo e gli animali, 325-350139 Anche la scelta dei motivi del mito mostra come essi servissero alla decorazione e al divertimento; venne utilizzato sempre meno il lato tragico del mito. Il motivo di Orfeo e degli animali diventerà di nuovo popolare nell’arte figurativa del Quattrocento e soprattutto del Cinquecento. Come nella letteratura di quel periodo, il motivo simboleggerà probabilmente la civilizzazione dell’umanità da parte dell’eloquenza. Nelle Fabulae, una raccolta di 277 miti e leggende del bibliotecario di Augusto CAIO GIULIO IGINO (64 a.C–17 d.C.), Orfeo è menzionato soltanto nel contesto degli Argonauti. Nell’Astronomia di Igino, invece, un intero capitolo è dedicato alla lira che Orfeo ricevette in dono da Mercurio e che alla fine fu elevata al cielo.140 La descrizione si basa su Eratostene. 139 Anonimo, Orfeo e gli animali, mosaico, sec. III. Palermo, Museo Archeologico Regionale; Anonimo, Orfeo e gli animali, mosaico, 3,1 x 3,1 m, 325-350. Shahba (Siria), Museo Shahba. 140 Igino, De astronomia libri quattuor, II, VII ‘Lyra’. 54 LE ORIGINI DI ORFEO 1.4 IL PERIODO POSTCLASSICO141 1.4.1 Orfeo-Cristo negli apologeti ebraici e cristiani e nella prima arte cristiana142 A metà del terzo secolo a.C. fu ‘scoperto’ il cosiddetto testamento di Orfeo, la DIATHEKE.143 La scoperta del testamento, in cui Orfeo era visto come allievo di Mosè e come seguace del monoteismo, fu una mossa strategica degli apologeti ebraici di Alessandria in Egitto. Secondo questi apologeti il giovane Orfeo avrebbe viaggiato in Egitto, dove avrebbe ricevuto un’educazione filosofica da Mosè stesso. Benché Orfeo venerasse molti dei durante la sua vita, alla fine si sarebbe convertito al monoteismo, dando al suo allievo Museo il consiglio di abiurare il culto degli dei pagani e di credere esclusivamente al Dio di Mosè. Il testamento è indirizzato a un pubblico greco e vuole attestare che la civiltà ebraica è più antica di quella greca. Indica anche i rapporti tra le due civiltà e mostra che Zeus e il Dio ebraico sono la stessa persona. Le parole di Orfeo servirono anche agli scrittori cristiani nel periodo delle origini della chiesa. Anche i cristiani poterono valorizzare la loro religione ricollegandola a una tradizione antica. I primi a riferirsi a Orfeo furono Taziano e Teofilo (sec. II), soprattutto per sottolineare l’antichità e la superiorità della religione cristiana.144 CLEMENTE ALESSANDRINO (ca. 150-prima di 215), uno studioso greco che si convertì al cristianesimo, si interessò ancora di più al testamento di Orfeo. Siccome non voleva abbandonare completamente la filosofia greca, cercava di metterla al servizio della chiesa: nella sua opera Orfeo diventò una specie di teologo, non così importante come fu Platone nella storia che precedette la teologia cristiana, ma discendente anche lui da Mosè. La stessa idea del poeta-teologo tornerà nelle opere di Boccaccio, Salutati, Petrarca e soprattutto Ficino. Essi utilizzeranno la figura di Orfeo con uno scopo opposto: quello di riconciliare la filosofia greca con il cristianesimo ormai affermatosi. Nel Protreptico Clemente paragona Orfeo a Cristo.145 La sua opinione su Orfeo è molto negativa: Orfeo sarebbe un imbroglione, il cui potere di commuovere i sassi e gli alberi è un inganno. Clemente oppone il canto di Orfeo, che persuade gli uomini ad adorare gli idoli, al nuovo canto di Cristo, che dà pace e salva gli uomini dalle tentazioni della carne. L’unica somiglianza tra Orfeo e Cristo è dunque il fatto che ambedue sono 141 Questo paragrafo si basa su: K. Heitmann, ‘Orpheus im Mittelalter’, Archiv für Kulturgeschichte 45 (1963), passim; Friedman, op.cit., cap. 2-4; Newby, op.cit., pp. 73-114. 142 Questo paragrafo si basa su: Friedman, op.cit., pp. 13-37 (cap. II: ‘Moses’ Pupil : The Orpheus Who Came out of Egypt’); p. 38-85 (cap. III: ‘Orpheus-Christus in the Art of Late Antiquity’); Heitmann, ‘Orpheus im Mittelalter’, cit., p. 285. 143 Il testo del testamento si trova in: Eusebio, Praeparatio Evangelica, vol. II, libro XIII, 12, pp. 259-60 (ed. Gifford); Clemente Alessandrino, Stromata, V, XIV, 123; Pseudo-Giustino, De Mon. 2 e Coh. Ad Gent. 15. 144 Taziano, Ad Gr., XL, XLI, ANF (The Ante-Nicene Fathers), p. 81; Teofilo, Ad Autol. II, 30, ANF, p. 106; III, 17, ANF, p. 116. 145 Clemente Alessandrino, Protreptico, I, ANF, pp. 171-172. 55 CAPITOLO 1 ammirati per il loro canto. L’influenza di Clemente nell’Occidente medievale non era, però, molto grande, perché la sua opera era scritta in greco. Un altro apologeta cristiano, EUSEBIO (ca. 263-339), è influenzato direttamente da Clemente, ma non critica Orfeo tanto esplicitamente.146 Neanche Eusebio crede alla storicità degli atti di Orfeo. Clemente ed Eusebio sono le fonti più importanti per la convinzione dei Padri della Chiesa che il mito pagano di Orfeo sia una prefigurazione della vita di Cristo. Questa idea si diffonde nei secoli IV e V e poi durante il Medioevo. Fino al tardo Medioevo si trova il paragone tra Orfeo e Cristo negli Inferi L’Orfeo cantante fu l’unica figura mitologica dell’arte antica ad essere trasmessa nella prima arte cristiana. A partire dal secondo secolo lo incontriamo nelle CATACOMBE CRISTIANE, dove figura come simbolo di Cristo.147 Il cantante appare per la prima volta nella catacomba di Callisto (seconda metà del sec. II) suonando la lira per due pecore (ill. 1.7). Orfeo è paragonato a Cristo il Buon Pastore. Anche in altre catacombe Orfeo è rappresentato seduto in un vestito frigio e mentre suona la lira tra vari gruppi di animali. Il cantante è di nuovo raffigurato nel mezzo della scena ed è rappresentato spesso come più grande degli animali o separato da essi.148 Benché questa immagine sia molta diffusa nell’iconografia del tempo dei Padri della Chiesa, non la si vede quasi mai nella letteratura di questo periodo. 1.7 Anonimo, Orfeo e gli animali, catacomba 146 Eusebio, Panegirico di Costantino, 14, PNF (The Post-Nicene Fathers), p. 603. Si tratta di sei delle novanta rappresentazioni all’incirca del Buon Pastore nelle catacombe: Catacomba di Callisto (sec. III), Catacomba di Domitilla (sec. II), Catacomba dei Ss. Pietro e Marcellino (sec. III), Catacomba di Priscilla, Catacomba dei due lauri (sec. IV). 148 Forma un’eccezione una gemma, che rappresenta la crocefissione con le parole ‘Orpheos Bakkikos’. La testa di Orfeo è circondata da sette stelle, che simboleggiano il regno celeste, dove il possessore della gemma sperava di recarsi dopo la morte. Alle gemme erano attribuite dei poteri magici (Friedman, op.cit., p. 61). Jacquemard aggiunge che questa è l’unica rappresentazione di Cristo alla croce di questo periodo. Cristo è raffigurato chiaramente, ma nello stesso tempo smentito, per non mettere a rischio quello che portava la gemma (op.cit., p. 138). 147 56 LE ORIGINI DI ORFEO In prima istanza Orfeo rappresentò semplicemente Cristo nel ruolo del Buon Pastore. Per questa ragione Orfeo venne, come nei mosaici romani, circondato dagli animali. Talvolta erano presenti le pecore come elementi tipicamente cristiani. Alla fine del terzo e nel quarto secolo, Orfeo ricevette gli attributi di Cristo. Così nacque un vero e proprio amalgama di Orfeo e Cristo. I gruppi di animali che circondano Orfeo diventarono piuttosto stereotipati e certi animali ritornarono spesso, soprattutto le pecore, le aquile, i pavoni e le colombe.149 Allorché il cristianesimo si diffuse sempre di più, le figure pagane furono sempre più spesso sostituite con figure dal Vecchio Testamento. Tuttavia, le figure pagane rimasero presenti nell’arte funeraria. Nei mosaici del sesto secolo Orfeo fu rappresentato ancora in relazione con la vita dopo la morte, anche se questa vita era situata sempre di più nel cielo e non nell’Ade. Quando l’imperatore Costantino nel secolo IV riconobbe il cristianesimo come religione lecita, Orfeo diventò meno importante come figura apologetica. Teodoreto e Agostino furono piuttosto negativi su Orfeo, perché non avevano più bisogno di lui come rappresentante del monoteismo. 1.4.2 Orfeo in cerca del mondo superiore nel De Consolatione150 La visione più importante su Orfeo nel Medioevo deriva dai due scrittori tardo-antichi Boezio e Fulgenzio.151 Nel De Consolatione philosophiae BOEZIO (sec. VI) si riferisce al mito di Orfeo ed Euridice da un punto di vista filosofico.152 La personificazione della Filosofia racconta a Boezio la storia di Orfeo. Nel passo precedente la Filosofia aveva dimostrato che l’uomo può soltanto raggiungere il sommo bene quando la sua anima ha espiato a sufficienza. Quando vuole ritornare a Dio o all’intelligenza a cui apparteneva originariamente, la mente (la parte superiore dell’anima) è impedita dai desideri terreni (la parte inferiore). La storia di Orfeo che segue è incorniciata da commenti filosofici, che trasformano l’intero passo in una specie di parabola: felix, qui potuit boni fontem visere lucidum felix, qui potuit gravis terrae solvere vincula. (Boezio, De Consolatione, III, m. 12, 1-4)153 149 Altre possibili somiglianze tra Orfeo e Cristo, come la discesa agli Inferi, non si trovano mai nella prima arte cristiana. (Dronke, op.cit., p. 208). 150 Questo paragrafo si basa su: Friedman, op.cit., pp. 89-96; Heitmann, ‘Orpheus im Mittelalter’, cit., p. 274. 151 Newby, op.cit., p. 77. 152 Boezio, De consolatione philosophiae, liber III, metrum 12. 153 ‘Felice chi poté osservare la risplendente fonte del bene, felice chi poté liberarsi dai lacci dell’inerte terra.’ (trad. O. Dallera, citata da Di Simone, op.cit.). 57 CAPITOLO 1 Questa osservazione si basa sulla filosofia di Platone: l’uomo (Orfeo) deve mirare alla fonte luminosa di tutti i beni (boni fons lucidus) e liberarsi dai legami con la terra (gravis terrae vincula). Dopo questa introduzione filosofica comincia il racconto di Orfeo ed Euridice, per il quale Boezio si basa strettamente su Virgilio, Ovidio e l’Ercole furioso di Seneca, mettendo l’accento sul fatto che il canto di Orfeo non ha nessun effetto.154 Boezio non dice come è morta Euridice, ma passa subito al canto triste con cui Orfeo commuove gli alberi e arresta i fiumi. Il cervo si distende intrepidamente accanto al leone e la lepre non ha più paura del cane. Boezio ha spostato gli effeti incantevoli del canto verso l’inizio del racconto: nei testi di Virgilio e di Ovidio l’incanto della natura non è menzionato prima della seconda perdita di Euridice. Tuttavia neanche nel racconto di Boezio il canto riesce a confortare il cantante stesso e per questo Orfeo scende nell’Ade. Come negli altri due testi il suo canto ha un effetto sconvolgente sui morti: Cerbero rimane stupito, le dee della vendetta piangono, la ruota di Issione si ferma, Tantalo non ha più sete e l’avvoltoio smette di rodere il fegato di Tizio. Infine anche il re degli Inferi si lascia convincere e restituisce a Orfeo la sua sposa, a condizione che egli non guardi indietro: tandem ‘vincimur’ arbiter umbrarum miserans ait. ‘donamus comitem viro emptam carmine coniugem; sed lex dona coherceat, ne dum Tartara liquerit fas sit lumina flectere.’ (Boezio, De Consolatione, III, m. 12, 40-46)155 Tuttavia l’amore è più forte del divieto: Orfeo guarda indietro e perde Euridice per sempre: quis legem det amantibus? maior lex amor est sibi. heu, noctis prope terminos Orpheus Eurydicen suam vidit, perdidit, occidit. (Boezio, De Consolatione, III, m. 12, 47-51)156 154 Segal, op.cit., p. 167; cf. G. O’Daly, The poetry of Boethius, London, Duckworth, 1991 (Boezio si basa sull’Ercole furioso, 569-591). 155 ‘Impietosito infine: “Siamo vinti – dice il signore delle ombre -; doniamo a lui la compagnia della sposa, che con il canto ha riscattato, ma un patto vincoli il dono: non gli sia permesso di volgere lo sguardo fintanto che non abbia lasciato il Tartaro.”’ (trad. O. Dallera). 58 LE ORIGINI DI ORFEO Con queste parole finisce improvvisamente la storia di Orfeo ed Euridice. Non segue una reazione di Euridice, non segue il lamento di Orfeo, neanche la morte di Orfeo stesso è menzionata. Boezio si limita a narrare la discesa di Orfeo nell’Ade, il suo canto per i morti e il fallimento finale del suo tentativo di riprendersi Euridice nel mondo dei vivi, concludendo il suo racconto con un’altra spiegazione allegorica e moralizzante. Contrariamente a Virgilio e a Ovidio Boezio dà un’interpretazione moralistica al mito di Orfeo negli Inferi: vos haec fabula respicit, quicumque in superum diem mentem ducere quaeritis; nam qui Tartareum in specus victus lumina flexerit, quicquid praecipuum trahit, perdit, dum videt inferos. (Boezio, De Consolatione, III, m. 12, 52-58)157 Secondo questa interpretazione del mito Euridice rappresenta il mondo terreno con tutte le sue tentazioni, mentre Orfeo che guarda indietro simboleggia l’anima non illuminata che ricade nei bisogni terreni inferiori. Accanto a questo mondo (simboleggiato dal Tartaro) Boezio colloca un altro mondo superiore, che contiene in sé il sommo bene (menzionato all’inizio del racconto). Orfeo rappresenta l’uomo che deve cercare di raggiungere questo mondo superiore. 158 L’uso allegorico del mito pagano piaceva al pubblico cristiano dei secoli VI-VIII. L’Eneide e le Metamorfosi vennero meno studiate prima dei secoli IX e XII. Intanto il De Consolatione e i suoi commenti divennero molto popolari, soprattutto nelle scuole. Siccome il De Consolatione fu una delle opere più popolari del Medioevo, l’interpretazione moralistica di Boezio del mito di Orfeo ebbe un effetto enorme sulle versioni medievali del mito. Nella letteratura italiana del Trecento e del Quattrocento (nella cerchia di Ficino) il gesto di guardare indietro sarà interpretato ancora spesso come la ricaduta nei peccati da parte dell’uomo cristiano in cerca del sommo bene (cf. §§ 2.6 e 4.1.3). 156 ‘Ma chi dà legge agli amanti? Maggior legge amor si dà! Presso al termin della notte, vide Orfeo la cara Euridice, la perdette, e sì la uccise!’ (trad. Raffaello Del Re, Edizioni dell’Ateneo & Bizzarri, Roma, 1968). 157 ‘Voi riguarda questa favola, voi che all’alta luce l’anima di elevar desiderate: giacché chi, vinto, al tartareo speco indietro gli occhi volga, quanto reca di prezioso perde, mentre guarda gl’Inferi.’ (trad. Del Re, op.cit.). 158 Si vedano: Segal, op.cit., p. 167; Newby, op.cit., pp. 77-80. 59 CAPITOLO 1 1.4.3 L’allegoria musicale di Fulgenzio159 Un’altra spiegazione allegorica del mito di Orfeo si trova nelle Mitologiae di FULGENZIO (sec. VI).160 Durante il Medioevo l’interpretazione allegorica di Fulgenzio rimase ben distinta da quella boeziana. Mentre Boezio era più moralistico, Fulgenzio si interessava piuttosto alla musica e alla retorica. In una prima fase l’opera di Fulgenzio fu d’importanza minore, ma la sua influenza aumentò a partire dal secolo XII. Nell’allegoria musicale in cui Fulgenzio fece menzione di Orfeo, non c’era molta attenzione per il mito in sé, ma piuttosto per il suo significato allegorico. La storia veniva descritta in solo tre frasi: Orpheus Euridicem amavit; quam sono citharae mulcens uxorem duxit. Hanc Aristeus pastor dum amans sequitur, illa fugiens in serpentem incidit et mortua est. Post quam maritus ad inferos descendit et legem accepit, ne eam conversus aspiceret; quam conversus et aspiciens iterum perdidit. (Fulgenzio, Mitologiae, III, x)161 Nel racconto del mito si nota l’influenza delle Georgiche di Virgilio (la figura di Aristeo). Segue immediatamente dopo una spiegazione allegorica lunghissima, basata anch’essa sulla versione di Virgilio. Haec igitur fabula artis est musicae designatio. Orpheus [enim] dicitur oreafone, id est optima vox, Euridice vero profunda diiudicatio. In omnibus igitur artibus sunt primae artes, sunt secundae; [...] in musicis prima musica, secunda apotelesmatice. [...] in musicis vero aliud est armonia ptongorum, sistematum et diastematum, aliud effectus tonorum uirtusque uerborum; vocis ergo pulchritudo delectans interna artis secreta virtutem etiam misticam uerborum attingit. Sed haec quantum ab optimis amatur sicut ab Aristeo – ariston enim Grece optimum dicitur- tanto ipsa ars communionem hominum vitat. Quae quidem serpentis ictu moritur quasi astutiae interceptu, secretis velut inferis transmigratur. Sed post hanc artem exquirendam atque elevandam vox canora descendit et quia apotelesmatica fonascica omnia praebet et modulis tantum vi secreta latentibus voluptam reddit effectus; [...] At vero si rei expositio quaeritur cur hoc fiat, vestigandae rationis captus inmoritur. Ideo ergo et ne eam respiciat prohibetur et dum videt amittit; (Fulgenzio, Mitologiae, III, x)162 159 Questo paragrafo si basa su: Friedman, op.cit., pp. 89-91; Heitmann, ‘Orpheus im Mittelalter’, cit., pp. 270272. 160 Fulgenzio, Mitologiae, liber III, 10. 161 ‘Orfeo amò Euridice; seducendola con il suono della cetra lui la prese in moglie. Quando il pastore Aristeo la insegue per amore, lei fuggente capita su un serpente e muore. Poi il marito scese agli Inferi e accettò la legge che non l’avrebbe guardata tornandosi indietro; quando si tornò e la guardò lui la perdette di nuovo.’ 162 ‘Questa favola è dunque un’allegoria dell’arte della musica. Orfeo vuol dire oreafone, cioè ottima voce, ma Euridice è il profondo giudizio. In tutte le arti ci sono dunque le prime arti, e ci sono le seconde: […] nelle arti musicali c’è prima la musica (melodia), e secondo il prodotto […] E nella musica è una cosa l’armonia delle voci, delle composizioni e degli intervalli, ma è altra cosa l’effetto dei toni e la potenza delle parole; la bellezza 60 LE ORIGINI DI ORFEO Fulgenzio fu il primo a dare un’interpretazione etimologica dei nomi dei personaggi. Il nome di Orfeo è ricondotto a ‘oraia phone’ (“la voce migliore”) e quello di Euridice a ‘eurea dike’ (“profondo giudizio”). Per mezzo di questa interpretazione etimologica dei nomi di Orfeo ed Euridice Fulgenzio li identifica con due gruppi di musicisti: Orfeo è l’optima vox, cioè la pratica della musica o l’esecuzione, mentre Euridice rappresenta la profunda diiudicatio, cioè il giudizio o la teoria del vero musicista, che sa riportare la sua conoscenza teorica e filosofica musicale dagli Inferi (l’ignoranza) al lume della scienza. L’approccio etimologico venne seguito frequentemente dai commentatori successivi, che spesso adattarono le interpretazioni dei nomi ai propri bisogni. L’immagine di Orfeo nell’opera di Fulgenzio è dunque piuttosto negativa come lo era anche nell’opera di Boezio e si può dire che Orfeo fosse visto come un musicista a metà. Per via di questa rappresentazione di Fulgenzio, Orfeo rimarrà un exemplum negativo per centinaia di anni.163 Orfeo figura anche nelle Narrationes fabularum ovidianarum (sec. VI), un trattato mitografico in prosa attribuito a LATTANZIO PLACIDO. Basandosi su Ovidio l’autore illustra le varie metamorfosi. Il mito di Orfeo è trattato nelle metamorfosi di Cerbero, Oleno e Letea (Libro X, favole 1 e 2), in quella del serpente in sasso e in quella delle Baccanti (libro XI, favole 1 e 2). Questa attenzione per le trasformazioni (invece che per la storia di Orfeo ed Euridice) sarà presente anche nella traduzione delle Metamorfosi da parte di Lorenzo Spirito (§ 5.2.2). 1.5 IL PRIMO MEDIOEVO Nei secoli IX e X vengono prodotti molti adattamenti e molte allegorie del mito di Orfeo, soprattutto nei commenti a Boezio, nei trattati mitografici e nei trattati di teoria musicale. Tutti questi testi, pur non imitando letteralmente l’allegoria di Boezio, danno tuttavia ancora spesso un’immagine negativa di Orfeo. I vari tipi di testi in cui figura Orfeo si della voce dunque che diletta i segreti interni dell’arte attinge anche alla potenza mistica delle parole. Ma questa (Euridice) è amata dagli ottimi cioè da Aristeo – perché ariston in greco vuol dire ottimo – quanto l’arte stessa evita la comunità degli uomini. Lei muore per il morso di un serpente, come dall’intercezione dell’astuzia; quasi che si trasferisce agli inferi segreti. Ma poi la voce canora discende per cercare quest’arte ed elevarla, sia perché procura tutte le cose produttive della voce, che perché con una forza segreta rende come effetto ai ritmi latenti la voluttà: […] Ma se è chiesta la spiegazione perché la cosa succede, muore la facoltà di cercare la ragione. Perciò dunque, gli è vietato di guardarla e quando la guarda la perde; (testo latino citato da Newby, op.cit., p. 81). 163 Si vedano: Newby, op.cit., pp. 80-84; Heitmann, ‘Orpheus im Mittelalter’, cit., pp. 270-71. 61 CAPITOLO 1 possono suddividere in alcuni gruppi principali: i commenti a Boezio, i trattati sulle Metamorfosi di Ovidio, le mitografie, i trattati di teoria musicale e infine la poesia.164 1.5.1 Orfeo in cerca del sommo bene nei commenti a Boezio165 I commenti medievali a Boezio (e ad altri autori) servivano per l’educazione nelle scuole ecclesiastiche ed erano probabilmente delle lezioni trascritte da studenti. Le lezioni erano spesso divise in tre parti: l’expositio ad litteram (spiegazione delle parole), l’expositio ad sensum (spiegazione del significato evidente o narrativo) e l’expositio ad sententiam (spiegazione del significato spirituale o filosofico). Questa suddivisione si ripete nelle descrizioni del mito di Orfeo dei commenti a Boezio. Nei commenti che si basano sul terzo tipo di spiegazione appare soprattutto l’allegoria etica del mito.166 Il primo commento a Boezio (ca. 904) fu quello dell’autore scolastico REMIGIO DI AUXERRE. L’autore cristianizzò l’allegoria di Boezio, usando termini come ‘carnalibus desideriis’ e ‘verae beatitudinis claritatem’. Remigio spiega che l’uomo, dopo aver trovato il sommo bene, non deve guardare indietro ai desideri carnali, come aveva fatto Orfeo: Hoc carmen est fabulosum; et ex toto beatificat illos qui exuti carnalibus desideriis erigunt se ad cernendam verae beatitudinis claritatem. Et admonet haec fabula, ut nemo aspiciat retro postquam invenit locum veri boni ubi est situm et post inventum summum bonum. Iam magnificat et felices praedicat illos qui ad eius claritatem pervenire poterunt. Quod carmen inde respicit illos qui postquam viam veritatis agnoverint et in ea profecerint rursus ad saeculi desideria revertantur sicque opus inceptum perdant, sicut Orpheus perdiderit uxorem retro aspiciens. (Remigio, Commento al De consolatione di Boezio, p. 217)167 164 La suddivisione dei testi in questo paragrafo si basa soprattutto su Friedman (op.cit., pp. 96-145), che distinque i commenti a Boezio, i commenti alle Metamorfosi e i mitografi, i quali discute poi in ordine cronologico. Questo paragrafo si basa inoltre su Semmelrath (op.cit., pp. 15-33), che distingue tra le mitografie e i commenti medievali a Ovidio, su Heitmann (‘Orpheus im Mittelalter’, cit., pp. 253-286), che parla di commenti a Ovidio, commenti e traduzioni a Boezio, repertori di miti, poesia e l’interpretazione scientifica-musicale, e su Newby (op.cit., pp. 85-114). 165 Questo paragrafo si basa su: Friedman, op.cit, pp. 96-117; Semmelrath, op.cit., pp. 19-20; Heitmann, ‘Orpheus im Mittelalter’, cit., pp. 255-256; 274-286. 166 Friedman, op.cit., pp. 96-97. 167 ‘Questo canto è favoloso; e loda completamente quelli che usciti dai desideri carnali si erigono per discernere la chiarezza della vera beatitudine. E questa favola ammonisce che nessuno guardi indietro dopo aver trovato il luogo dove è situato il vero bene e dopo aver trovato il sommo bene. Lui (Dio) magnifica e predica felici quelli che potranno giungere alla sua chiarezza. Questo canto dunque si riferisce a quelli che dopo aver riconosciuto la via della verità e aver fatto progresso in essa, si tornano ai desideri del mondo e così perdono il lavoro cominciato, così come Orfeo perdette la moglie guardando indietro.’ Il testo è citato da Friedman (op.cit., p. 99), che si riferisce all’edizione di E.T. Silk, ‘Saeculi Noni Auctoris in Boetii Consolationem Philosophiae Commentarius’, Papers and Monographs of the American Academy in Rome 9 (1935). 62 LE ORIGINI DI ORFEO Nella descrizione del mito di Orfeo la presenza di Aristeo, che non figura nel De consolatione di Boezio, mostra che Remigio ha usato per il suo commento anche le Georgiche di Virgilio oppure le Mitologie di Fulgenzio. Remigio è probabilmente il primo a inserire nell’allegoria di Boezio la figura di Aristeo, che appare più tardi anche in altri commenti a Boezio e alle Metamorfosi di Ovidio. Un altro aspetto del suo racconto che verrà ripreso dai commenti ecclesiastici successivi è il ruolo meno importante di Euridice. Questa visione del mito di Orfeo prevarrà nei secoli successivi. Qualche volta Remigio offre anche una spiegazione evemeristica di certi elementi narrativi: il fatto che Orfeo fosse in grado di dominare la natura significherebbe secondo lui che Orfeo era un teologo che civilizzò gli uomini.168 NOTKER LABEONE (sec. XI) scrisse il primo commento a Boezio in alto tedesco. Egli seguì spesso letteralmente il commento di Remigio combinando il testo latino di Boezio con i propri commenti in tedesco. Nel suo testo le parafrasi si alternano, alle citazioni latine, ai riferimenti alla Bibbia e ai proverbi tedeschi. Notker conclude la discussione del metro di Boezio con una citazione dal vangelo di Luca: Iuxta illud in euangelio. Manum ponens in aratro. et respiciens retro. non est aptus regno dei. (Notker, Commento al De consolatione di Boezio, liber III, m. 12, p. 181 (ed. Tax)169 Incontreremo il legame del mito di Orfeo ed Euridice con questa frase biblica in altri testi, ma Notker è il primo a stabilirla. A metà del XI secolo, nel commento boeziano di GUGLIELMO DI CONCHES (10801145), si presenta un piccolo ma importante cambiamento nell’interpretazione di Orfeo. Guglielmo faceva parte della Scuola di Chartres, un centro di pensiero protoumanistico, importante per la nascita dell’interesse nella filosofia greca. Nei secoli XI e XII ricomparvero molti testi di Platone e Aristotele e molti commenti antichi a questi due autori. L’interpretazione di Guglielmo si basa di conseguenza su molte fonti diverse e mette l’accento sul significato morale o allegorico del mito. Secondo Guglielmo il mito di Orfeo è un integumentum (una storia di superficie) che contiene una verità nascosta. Al testo di Boezio Guglielmo aggiunge dei dettagli da Virgilio (Aristeo) e da Fulgenzio. Benché Guglielmo si basi sull’etimologia fulgenziana dei nomi, egli li interpreta diversamente, perché crede che i miti si possano interpretare in varie maniere. 168 Nel suo commento al De Nuptiis Philologiae et Mercurii di Marziano Capella, Remigio presenta invece un’interpretazione fulgenziana del mito di Orfeo che sarà discussa nel paragrafo 1.5.4. Per una spiegazione dell’evemerismo (o dell’interpretazione storica) cf. §§ 2.0 e 2.1. 169 ‘Accanto a quello si dice nel Vangelo: Quello che mette mano all’aratro e si volge indietro, non è adatto per il regno di Dio.’ Notker si riferisce a Luca 9:62. Il testo latino è citato da: Notker Labeo, Boethius, “De Consolatione philosophiae”: Buch III, a.c.d. P.W. Tax, Tübingen, Niemeyer, 1988. 63 CAPITOLO 1 Orpheus ponitur pro quolibet sapiente et eloquente, et inde dicitur Orpheus quasi oreaphone, id est optima vox. Huius est coniunx Euridice, id est naturalis concupiscentia quae cuique coniuncta est. […] Sed haec naturalis concupiscentia merito dicitur Euridice, id est boni iudicatio, quia quod quisque iudicat bonum, sive ita sit sive non sit, id concupiscit. […] Aristeus ponitur pro virtute; ares enim virtus est. (Guglielmo di Conches, In Consolationem, III m. 12, 5, p. 199 (ed.Nauta))170 Euridice rappresenta il desiderio umano o il giudizio del bene (boni iudicatio), mentre Orfeo simboleggia sia la sapienza che l’eloquenza. Secondo Friedman Guglielmo vede nel mito di Orfeo la tragedia dell’anima: un conflitto platonico tra nous (la mente) e thumosepithumia (la passione e il desiderio),171 in cui Orfeo rappresenta la mente ed Euridice la parte concupiscente dell’anima. Euridice si smarrisce ed Aristeo (la virtù) cerca di condurla alla strada giusta, ma essa si abbandona ai desideri terrestri e muore. Orfeo non ha la forza di lasciarla:172 Sed tunc Orpheus ad inferos descendit ut uxorem extrahat cum sapiens ad cognitionem terrenorum descendit ut, viso quod nichil boni in eis est, concupiscentiam inde extrahat. Sed redditur ei uxor dum concupiscentiam inde extrahit; sed redditur ei hac lege ne respiciat quia nemo mittens manum suam ad aratrum et respiciens retro aptus est regno Dei. (Guglielmo di Conches, In Cons. III m. 12)173 Il cambiamento importante rispetto ai commenti precedenti è che Orfeo diventa superiore a Euridice. Guglielmo non colloca il mito di Orfeo in un contesto cristiano, ma conclude il racconto con la citazione dal vangelo di Luca, che forse ha ripreso dal commento di Notker. Nella cristianizzazione dell’Orfeo boeziano nel Medioevo accade spesso che 170 ‘Orfeo sta per qualsiasi uomo sapiente ed eloquente, e perciò Orfeo vuol dire oreaphone, cioè ottima voce. Lui ha per moglie Euridice, cioè la concupiscenza naturale che fa parte di ognuno. […] Ma questa concupiscenza naturale è detta Euridice con ragione, cioè giudizio del bene, perché ognuno desidera quello che giudica buono, se lo è oppure se non lo è. […] Aristeo sta per virtù, perché ares è virtù. […].’ Il testo latino è citato da: L.W. Nauta, William of Conches and the Tradition of Boethius’ Consolatio Philosophiae. An Edition of his ‘Glosae super Boetium’ and Studies of the Latin Commentary Tradition, proefschrift Rijksuniversiteit Groningen, 1999. 171 Platone, Repubblica, IV, 439-440. Bernardo Silvestre (ca. 1150) offre nel suo commento all’Eneide quasi la stessa spiegazione di Guglielmo di Conches, in quanto colloca il mito di Orfeo nel contesto del platonismo. Non si sa quale dei due commenti sia più vecchio. È importante invece che la fortuna del testo di Guglielmo è stata molto più grande. (Heitmann, ‘Orpheus im Mittelalter’, cit., p. 276). 172 Friedman, op.cit., pp. 109. 173 ‘Ma allora Orfeo discende agli Inferi per ritrarre la moglie, come l’uomo sapiente discende alla conoscenza delle cose terrene perché, dopo aver visto che non c’è niente di buono in queste cose, ritragga la concupiscenza da quel luogo. Ma gli è reddita la moglie, mentre trae la concupiscenza da lì; ma lei gli è reddita con questa legge che non guardi indietro, perché : “Nessuno che mette mano all’aratro e poi si volge indietro, è adatto per il regno di Dio.”’ 64 LE ORIGINI DI ORFEO l’autore voglia rafforzare la filosofia platonica con un verso biblico adeguato. Il verso dal vangelo di Luca è quello usato più frequentemente.174 NICHOLAS TRIVET (-1334), uno studente oxfordiano e domenicano, scrisse prima del 1307 uno dei commenti a Boezio più conosciuti del suo tempo, in cui si servì dell’opera di Guglielmo di Conches, Bernardo Silvestre, Remigio, il terzo mitografo vaticano (§ 1.5.3) e altri. Il lungo commento sarebbe diventato molto importante per l’Orpheus and Eurydice di Robert Henryson (§ 1.5.5). Secondo Friedman l’expositio ad sententiam di Trivet mostra che il mito di Orfeo subiva ancora dei cambiamenti e incorporava in sé sempre più elementi medievali.175 Dal frammento risultano subito le analogie con il commento di Guglielmo: Orpheum [sic] intellegitur pars intellectiva instructa sapientia et eloquentia. […] Iste autem per suavitatem citharae id est eloquentiae impies [sic] brutales et silvestres reduxit ad normam rationis…cuius Euridice est uxor id est pars hominis affectiva. Quam sibi copulare cupit Aristaeus qui interpretur [sic] virtus. Sed illa dum fugit per prata id est amoena praesentis vitae calcat per serpentem non ipsum conterendo. Sed seipsam que superiorem inferiori scilicet sensualitati applicando a qua mordetur dum per sensualitatem ei occasio mortis datur. (Trivet, Commentum in Consolationem, B.N.Lat. 18242, fol. 101v.)176 La sapienza e l’eloquenza sono riunite nella persona di Orfeo, mentre l’attenzione per Aristeo ed Euridice è diminuita. L’eloquenza di Orfeo è essenziale nel commento di Trivet. Secondo Friedman Trivet si basa a questo punto sui mitografi vaticani II e III, ma soprattutto sul commento di Bernardo Silvestre all’Eneide. L’attenzione per l’eloquenza anticipa l’interesse umanistico per le artes. Inoltre, il commento di Trivet è il primo commento boeziano che riprende il serpente da Virgilio e Ovidio. La combinazione simbolica della donna (Euridice) e del serpente sarebbe diventata una caratteristica importante nella rappresentazione medievale del mito di Orfeo ed Euridice. PIETRO DI PARIGI fece un commento a Boezio in francese (ca. 1309) da una prospettiva strettamente medievale, senza alcuna conoscenza del mito classico.177 La sua 174 In alcuni altri casi lo sguardo indietro è legato al verso biblico ‘canis qui revertitur ad vomitum suum’ (Prov. 26, 11, 2; Petr. 2, 22) (Heitmann, ‘Orpheus im Mittelalter’, cit., p. 283). 175 Friedman, op.cit., pp. 110. 176 ‘Orfeo è interpretato come la parte intellettuale (dell’uomo) che è istrutta nella sapienza e nell’eloquenza; […] Lui infatti con la soavità della cetra cioè dell’eloquenza ridusse gli uomini empi, brutali e selvaggi alla norma della ragione…lui ha per moglie Euridice cioè la parte affettiva dell’uomo. Con lei voleva copulare Aristeo che è interpretato come virtù. Ma lei, mentre fugge per i prati cioè per le cose amene della vita presente, calpesta un serpente, non sconfiggendo esso, ma se stessa, unendosi come un superiore a un inferiore cioè alla sensualità per cui è morsa, mentre la sensualità le dà l’occasione della sua morte.’ Il testo latino è citato da: Friedman, Orpheus in the Middle Ages, cit. 177 Pietro di Parigi, ‘Commento al De Consolatione’, in: A. Thomas, ‘Notice sur le manuscrit Latin 4788 du Vatican, contenant une traduction française, avec commentaire par Maître Pierre de Paris de la Consolatio 65 CAPITOLO 1 visione sugli dei antichi deriva dalle idee medievali sul soprannaturale. Euridice viene uccisa da Orfeo perché provoca ira; alla fine Orfeo riconquista Euridice, ma rimarrà cieco per sempre. Il fine relativamente lieto non è un’eccezione nel Medioevo e si ritrova anche in altri testi latini e volgari (§ 1.5.5). Il commento di Pietro contiene poi molti dettagli medievali: così Orfeo suona per esempio il violino invece della lira. Attraverso i commenti medievali a Boezio continua dunque l’interpretazione negativa di Orfeo come l’uomo in cerca di Dio che non seppe staccarsi dai piaceri terreni. L’opera di Boezio sarà tradotta in italiano nel Trecento. 1.5.2 Orfeo virtuoso e Orfeo-Cristo nei commenti alle Metamorfosi178 A partire del secolo XII i commenti alle Metamorfosi di Ovidio sono le fonti più importanti per la conoscenza del mito di Orfeo. Ancora più che nei commenti a Boezio si tende all’allegoria, il che era necessario per rendere le Metamorfosi accessibili ai lettori cristiani. Nell’introduzione alle Allegoriae super Ovidii Metamorphosin (ca. 1125) ARNOLFO D’ORLÉANS esprime la sua intenzione di spiegare tutti i miti ‘modo moraliter, aut historice, aut allegorice’. Nell’interpretazione dei miti Arnolfo si basa sui racconti simbolici cristiani, un modo di interpretare che continuerà per tutto il Rinascimento. Secondo Semmelrath la tradizione delle opere influenzate dall’esegesi biblica è caratterizzata da una crescente distanza dalla fonte originaria.179 Nelle Allegorie di Arnolfo Orfeo rappresenta l’uomo più saggio e musicale del mondo. La descrizione di Arnolfo rassomiglia a quella dei mitografi vaticani II e III (§ 1.5.3). Arnolfo si sofferma soprattutto sul contrasto tra virtù e vizio: Sed in cantando, i. etiam inter vicia de viciis et virtutibus disputando, secum uxorem suam i. diiudicationem qua prius vicia tenendo pocius diiudicaverat, ab inferis et a viciis que inferiora sunt virtutibus erigit ad virtutes. Sed quia ratio aspexit ad vicia, uxorem item suam i. adiudicationem ad vicia relapsam amisit. (Arnolfo d’Orléans, Allegoriae, X, 1)180 Dopo la seconda perdita di Euridice, Orfeo cerca ancora di scendere nell’Ade, ma per fortuna l’ingresso è impedito da Cerbero. Come in altri testi gli animali addomesticati dalla Philosophiae de Boèce’, Notices et extraits des manuscrits de la Bibliothèque Nationale et autres bibliothèques 41 (1923), pp. 69-70. 178 Questo paragrafo si basa su: Friedman, op.cit., pp. 117-132; Semmelrath, op.cit., pp. 26-33; Heitmann, ‘Orpheus im Mittelalter’, cit., pp. 254; 277-278; 285-286. 179 Semmelrath, op.cit., p. 26. 180 ‘Ma cantando, cioè disputando tra i vizi sui vizi e sulle virtù, lui innalza con sé alle virtù sua moglie, cioè il suo giudizio che anche se aveva prima mantenuto i vizi ora aveva giudicato meglio, dagli Inferi e dai vizi che sono inferiori alle virtù. Ma siccome la ragione guardò ai vizi, anche lui perdette la moglie, cioè il suo giudizio che era ricaduto nei vizi.’ Il testo latino è citato da: F. Ghisalberti, Arnolfo d’Orléans, un cultore di Ovidio nel secolo XII, Milano, 1932, con appendice: Arnulphus Aurelianensis Allegoriae super Ovidii Metamorphosin. La traduzione si basa su: Friedman, Orpheus in the Middle Ages, cit., p. 119. 66 LE ORIGINI DI ORFEO musica (la predica) sono paragonati agli uomini selvaggi. A proposito del racconto sull’uccisione di Orfeo da parte delle Baccanti Arnolfo divaga sulla debolezza delle donne in generale. GIOVANNI DI GARLANDIA scrisse gli Integumenta Ovidii (ca. 1234), un trattato in versi, in cui l’Orfeo ovidiano è ridotto ad alcuni brevi abbozzi allegorici: pratum delicie, coniunx caro, vipera virtus, vir ratio, Stix est terra, loquela lira. (Giovanni di Garlandia, Integumenta, p. 67 (ed. Ghisalberti))181 Per via della sua brevità il commento non differisce molto dagli altri commenti a Boezio e alle Metamorfosi. Interessante è l’identificazione del serpente con la virtù, forse causata da uno scambio di Aristeo per il serpente. Dopo i commenti di Arnolfo d’Orléans e di Giovanni di Garlandia la tradizione esegetica di Ovidio continua nel commento di Giovanni del Virgilio, che verrà discusso nel capitolo sulla fortuna di Orfeo in Italia nel Trecento (cap. 2). Altri famosi commenti sulle Metamorfosi sono l’anonimo Ovide Moralisé e il commento di Pierre Bersuire (Petrus Berchorius). Benché essi appartengano al Trecento, verranno trattati brevemente nel presente paragrafo per via della grande influenza che essi hanno avuto sulla letteratura posteriore e perché seguono la tradizione medievale dei commenti ovidiani. L’anonimo OVIDE MORALISÉ (fine sec. XIII/inizio sec. XIV) contiene una parafrasi francese del racconto ovidiano di Orfeo nella quale quasi ogni dettaglio del racconto è cristianizzato. L’opera esprime l’idea tradizionale in cui Aristeo simboleggia la Virtù. L’autore suggerisce che il serpente rappresenti il diavolo e per la prima volta Euridice è identificata con Eva. Secondo Friedman si può vedere nell’Ovide moralisé il concetto medievale del matrimonio in cui l’uomo domina la moglie. Euridice è rappresentata in modo negativo come un’allegoria della sensualità e come una sposa ostinata.182 La decisione di Orfeo di ritornare da lei è fortemente criticata. Poi, il commento diventa più positivo: il ritorno dall’Ade simboleggia l’opera dei profeti e dei predicatori; le sette corde della lira raffigurano le sette virtù, mentre Orfeo è identificato con Cristo: Si com je dis en l’autre livre Orpheüs denote à delivre Jhesu Christ, parole devine, Le douctour de bone doctrine, 181 ‘Il prato è la delizia, la moglie è la carne, la vipera è la virtù, l’uomo è la ragione, lo Stige è la terra, la lira è il parlare.’ Il testo latino è citato da: Iohannes de Garlandia, Integumenta Ovidii. Poemetto inedito del secolo XIII, a.c.d. F. Ghisalberti, Messina-Milano, Principato, 1933. 182 Friedman, Orpheus in the Middle Ages, cit., p. 125. 67 CAPITOLO 1 Qui par sa predicacion Avoit de mainte nacion La gent atraite et convertie, (Ovide moralisé, XI, vv. 177-183) Anche nella scena in cui Orfeo discende agli Inferi il suo katabasis è considerato come l’anticipazione del trionfo di Cristo nell’inferno. La Metamorphosis Ovidiana o l’Ovidius moralizatus di PIETRO BERCORIO (PIERRE BERSUIRE) (fine sec. XIII-1362) originariamente costituisce il libro XV del suo Reductorium Morale (1325-1337), un’opera enciclopedica di consultazione per teologi e predicatori, in cui si trovano delle spiegazioni allegoriche della mitologia, della natura e della Bibbia. La prima versione dell’opera nacque alla corte papale di Avignone, dove Bercorio dimorava con Petrarca ed altri scrittori. Alcune fonti usate da Bercorio sono: Rabano Mauro, il terzo mitografo, Remigio e l’Ovide Moralisé. Secondo Friedman Bercorio presenta forse l’interpretazione cristiana più inventiva del mito di Orfeo.183 L’autore offre alcune spiegazioni possibili del mito che contengono qualche volta delle contraddizioni. Prima assimila Orfeo a Cristo: Dic allegorice quod Orpheus, filius [s]olis, est Christus, filius dei patris, qui a principio Euridicem .i. animam humanam per caritatem & amorem duxit ipsamque per specialem prerogativam a principio sibi coniunxit. Verumtamen serpens, diabolus, ipsam novam nuptam .i. de novo creatam, dum flores colligeret .i. de pomo vetito appeteret, per temptationem momordit, & per peccatum occidit, & finaliter ad infernum transmisit. Quod videns Orpheus Christus in infernum personaliter voluit descendere & sic uxorem suam .i. humanam naturam rehabuit, ipsamque de regno tenebrarum ereptam ad superos secum duxit, dicens illud Canticorum .ii. « Surge, propera amica mea & veni. »184 (Bersuire, Metamorphosis Ovidiana, moraliter explanata, Paris, 1509, fol. LXXIIIv.) Bercorio proietta tutta la storia del cristianesimo nel mito di Orfeo ed Euridice ed è dunque costretto a concludere il racconto con un lieto fine. Bercorio rappresenta Orfeo come un peccatore ed Euridice come la sua anima, e presta molta attenzione all’interesse di Orfeo per i temporalia, il che in quel periodo era 183 Friedman, Orpheus in the Middle Ages, cit., p. 127. ‘Spiega allegoricamente che Orfeo, il figlio del sole, è Cristo, il figlio di Dio padre, che fin dall’inizio guidò Euridice, cioè l’anima umana, per carità e per amore, e la congiunse con sé fin dall’inizio per una prerogativa speciale. Tuttavia un serpente, il diavolo, morse per tentazione la stessa nuova sposa, cioè creata di nuovo, mentre stava cogliendo fiori, cioè mentre stava bramando il pomo vietato, e la uccise per peccato, e infine la trasferì all’inferno. Allorché Orfeo-Cristo vide questo, volle scendere in persona nell’inferno e così riebbe la moglie, cioè la natura umana, e dopo averla rapita dal regno delle tenebre la condusse con sé al mondo, dicendo questa frase dal Cantico dei Cantici 2:10, “Alzati, amica mia, mia bella, e vieni!”’ (testo latino citato da Friedman, Orpheus in the Middle Ages, cit., pp. 127-128). 184 68 LE ORIGINI DI ORFEO quasi la ragione comune per la rovina di Euridice o di Orfeo (come vedremo nelle opere filosofiche di Petrarca), ma presenta il mito in un contesto ancora più cristiano del solito. Bercorio non si interessa tanto al mito originale, quanto al messaggio che esso può dare ai lettori cristiani. Oltre che a Cristo e al peccatore, Orfeo viene anche paragonato a Davide (non nominato esplicitamente), ai primi predicatori della fede cristiana e ai martiri. Il commento di Bercorio dunque non è un commento vero e proprio, ma piuttosto un’antologia di vari commenti. Contrariamente ai commenti a Boezio i commenti alle Metamorfosi sono molto positivi su Orfeo e lo vedono come una prefigurazione di Cristo. L’Ovide moralisé, l’Ovidius moralizatus e opere successive come l’Epithre d’Othea di Cristina di Pisan conoscevano una ricca tradizione manoscritta illustrata, in cui Orfeo ottenne un aspetto cortese-medievale (ill. 1.8-9). Queste immagini influenzarono anche le immagini nelle edizioni stampate delle Metamorfosi di Bernard Salomon (che furono riprodotte dopo nelle edizioni di Gabriello Symeoni, cfr. § 5.2.3) e Virgil Solis.185 1.8-1.9 Anonimo francese, Le nozze di Orfeo ed Euridice/La morte di Orfeo, sec. XV186 1.5.3 Civilizzatore nel terzo mitografo vaticano187 Oltre ai commenti soprannominati a Boezio e alle Metamorfosi di Ovidio, vanno menzionati i manuali mitografici e le enciclopedie, da cui gli autori e i poeti potevano attingere informazioni mitologiche per le loro opere. Importantissimi per la trasmissione 185 L. Calzona, ‘Tradizione allegorico-cristiana’, su: http://www.italica.rai.it/rinascimento. Anonimo francese, Le nozze di Orfeo ed Euridice/La morte di Orfeo, in: Bersuire, Ovidius Moralisatus, sec. XV, Paris, Bibliothèque Nationale, Richelieu MS. Français 137, fol. 132v e 147r. 187 Questo paragrafo si basa su: Semmelrath, op.cit., pp. 17-19; Heitmann, ‘Orpheus im Mittelalter’, cit., pp. 257-258. 186 69 CAPITOLO 1 della conoscenza dei miti classici nel Medioevo furono soprattutto tre compendi mitologici, conosciuti come i mitografi vaticani. Il primo mitografo (sec. V-VIII) racconta il mito di Orfeo con pochissime parole, caratteristica che secondo Semmelrath si spiega con la regressione dell’educazione dopo la caduta dell’impero romano.188 Il secondo mitografo (dopo 636), che si basa, così come il primo, su Fulgenzio e sui commenti tardo-antichi, è più dettagliato. Nessuno dei due compendi contiene delle spiegazioni allegoriche. Il terzo testo mitografico (che è identificato spesso con il Liber ymaginum deorum di Alberico, pseudonimo di Alexander Neckam, sec. XII) è visto come il compendio mitologico più importante del Medioevo. Era usato come libro scolastico. I miti vi sono spiegati in modo storico, filosofico naturale e morale. L’opera, che nel Trecento era noto come Poetarius o Scintillarium poetarum, costituì una base mitologica essenziale per i trattati mitologici di Boccaccio e Coluccio Salutati e per l’opera di Petrarca. Orfeo è qui messo in rapporto con la filosofia, con la teologia e con la retorica: Fuit autem Orpheus […] vir maximus tam ingenii claritudine quam eloquentiae suavitate praefulgens. Sacerdos dictus est, quia et theologus fuit, et orgia primus instituit. Ipse etiam homines irrationabiliter viventes rhetorica dulcedine ex feris et immanibus mites reddidit et mansuetos […] Unde et bestias quaslibet, volucres et fluvios, saxa et arbores dicitur movisse. (Terzo mitografo (Alberico), Scintilliarum poetarum)189 Quest’immagine di Orfeo che civilizza gli uomini con l’eloquenza e solleva lo spirito umano anticipa l’Orfeo del tardo Medioevo e del Rinascimento. Segue un’allegoria che si basa su quella di Fulgenzio e sulle etimologie di Orfeo, Euridice e Aristeo. È notevole che Euridice si smarrisce scegliendo la strada sinistra invece di quella destra. Questo elemento proveniente da Remigio simboleggia il contrasto tra il bene e il male. Qui ritroviamo il concetto famoso del bivio che tramite Isodoro di Siviglia deriva da Prodico. Una versione ridotta e alquanto alterata del terzo mitografo vaticano si trova nell’anonimo DE DEORUM IMAGINIBUS LIBELLUS (sec. XIV) (ma nel Cinquecento attribuito allo stesso Alberico). Contrariamente al mitografo vaticano, su cui il Libellus si basa (attraverso Petrarca e Bercorio), esso descrive soprattutto la maniera in cui gli artisti rappresentavano gli dei e i semidei antichi. In questo modo il libro colma il divario tra le Immagini di Filostrato e Delle imagini degli dei di Cartari (§ 5.1.2).190 L’autore segue il testo 188 Semmelrath, op.cit., p. 18. ‘Orfeo fu [...] un uomo grandissimo notevole sia per la chiarezza dell’ingegno che per la soavità dell’eloquenza. È chiamato un sacerdote, perché fu anche teologo e instaurò per primo le feste dionisiache. Lui stesso trasformò perfino con la dolcezza della retorica gli uomini che vivevano in modo irrazionale da feroci e rozzi in miti e mansueti [...] Onde si dice che lui commoveva anche qualsiasi bestia, gli uccelli e i fiumi, i sassi e gli alberi.’ 190 Allen, Mysteriously Meant, cit., p. 213. 189 70 LE ORIGINI DI ORFEO di Bercorio descrivendo il personaggio mitologico e la sua rappresentazione, senza offrire spiegazioni allegoriche e simboliche del mito. Orfeo è descritto nel capitolo XVIII: Orpheus fuit vir magnus ingenio et eloquio prefulgens, vir eruditissimus philosofie et artium disciplina. Qui homines irrationabiliter viventes ex feris et immanibus fecit mites et mansuetos et moribus composuit. Unde et bestias quaslibet et volucros et fluvios et saxa et arbores cythare sono dicitur movisse. Qui et Euridicen nimpham eodem mulcens sono in coniugem habuit, quam a serpente percussam et occisam descendens ad inferos cythare sono dulcissimo a Plutone pacato dicitur redemisse, ea lege, ne eam conversus aspiceret, donec ultimum limen inferni excederet. Quam legem ut preteriit, uxorem retentam amisit. Iste igitur in numero deorum consecratus taliter pingebatur. Erat homo in habitu philosofico cytharam manu pulsans. Ante eum erant diversa animalia ferocia, que pedes eius lingebant, scilicet lupi, leones, ursi, serpentes avesque diverse circa eum volitantes, montes et arbores sibi flectentes vertices suas. Qui et uxorem se sequentem conversus aspicere videbatur, sed eam inferi retinebant. (De deorum imaginibus libellus, cap. XVIII ‘Orpheus’)191 La descrizione è anche illustrata con un disegno, in cui si manifestano i dettagli iconografici menzionati nel testo (ill. 1.10).192 Il Libellus fissò per sempre le immagini delle figure mitologiche, e dunque anche di Orfeo.193 Questo spiega la presenza di Orfeo e degli animali in tante xilografie (per esempio nelle traduzioni delle Metamorfosi (§ 5.1.3) e in un’edizione di Poliziano (§ 4.1.2)), mentre il ruolo degli animali nel testo è relativamente ridotto. 191 ‘Orfeo fu un grande uomo eccellente nell’ingegno e nell’eloquenza, un uomo eruditissimo nella disciplina della filosofia e delle arti. Egli rese gli uomini che vivevano irrazionalmente da feroci e crudeli miti e mansueti, e li radunò con costumi. Per questo si dice che lui moveva qualsiasi animale, uccelli, fiumi, sassi e alberi al suono della cetra. Lui ebbe anche per moglie la ninfa Euridice seducendola con lo stesso suono. Si dice che lui, dopo che lei fu morsa ed uccisa da un serpente, scendendo agli inferi la riebbe da Plutone, che aveva placato con un suono dolcissimo, a questa condizione che non l’avrebbe guardata volgendosi, prima di aver passato l’ultimo confine dell’inferno. Quando trascurò questa condizione, perdette la moglie trattenuta. Perciò lui è dipinto consacrato nel numero degli dei in questo modo. Era un uomo in un abito filosofico che suonava la cetra con la mano. Di fronte a lui c’erano diversi animali feroci, che gli leccavano i piedi, cioè lupi, leoni, orsi, serpenti e diversi uccelli che volavano intorno a lui, monti e alberi che piegavano a lui le cime. Lui sembrava anche guardare volgendosi la moglie che lo seguiva, ma gli inferi la ritennero.’ Il testo latino è citato da: H. Liebeschütz, Fulgentius metaforalis. Ein Beitrag zur Geschichte der antiken Mythologie im Mittelalter, Leipzig-Berlin, Teubner, 1926, p. 123. 192 Anonimo, Orfeo e gli animali / Orfeo ed Euridice, in: De deorum imaginibus libellus, Roma, Biblioteca Apostolica Vaticana, Reg.Lat. 1290, fol. 5r. 193 Seznec, op.cit., p. 179. 71 CAPITOLO 1 1.10 Anonimo italiano, Orfeo e gli animali, in De deorum imaginibus libellus, ca. 1400 1.5.4 Orfeo vs. Davide e voce musicale nei trattati musicali194 I trattati sulla teoria musicale formano un gruppo di testi importanti per la fortuna di Orfeo. Nella Musica Disciplina di AURELIANO DI RÉOME (sec. X) Orfeo non è rappresentato in chiave allegorica, bensì come un personaggio leggendario che non disponeva di doti musicali straordinarie.195 A lui viene contrapposto invece il personaggio biblico di Davide che secondo Aureliano suonando si lasciava ispirare da Dio e che perciò era il vero Orfeo.196 Nel De harmonica institutione REGINO DI PRÜM (†915) adopera l’allegoria fulgenziana di Orfeo.197 L’autore riproduce quasi letteralmente dal trattato di Aureliano il racconto su Davide e Saulo per mostrare che la musica cristiana è superiore a quella pagana. Regino adopera il mito, però, come insegnamento per superare le restrizioni di Orfeo e per poter diventare un vero musicista. L’anonima MUSICA ENCHIRIADIS (sec. X) tratta della classificazione dei modi musicali religiosi, del canto della liturgia e del sistema di notazione. Nell’ultimo capitolo è narrato il mito di Orfeo ed Euridice come allegoria dell’importanza di capire i principi 194 Questo paragrafo si basa su: Newby, op.cit., pp. 85-97; Friedman, op.cit., pp. 100-102 ; Heitmann, ‘Orpheus im Mittelalter’, cit., pp. 270-271. 195 Aureliano di Réome, Musica Disciplina, ‘De laude musicae disciplinae’, p. 66 (ed. L. Gushee, Corpus Scriptores de Musica, 21, American Institute of Musicology, 1975. 196 Per altri testi e immagini in cui Orfeo è paragonato a Davide, cf. Friedman, op.cit., pp. 148-155. 197 Regino di Prüm, De harmonica institutione, a.c.d. ed. M. Gerbert, in: Scriptores Ecclesiastici de Musica Sacra Potissimum, 1784; reprint Hildesheim, Georg Olms, 1963, vol. I. pp. 230-247). 72 LE ORIGINI DI ORFEO teorici della musica.198 Il trattato descrive come si può diventare un buon compositore. L’autore anonimo non denigra Orfeo, ma lo adopera per mostrare i limiti della conoscenza umana.199 L’interpretazione musicale di REMIGIO DI AUXERRE nel suo commento a Marziano Capella (§ 1.5.1) fu meno influente di quella nel suo commento a Boezio. Remigio spiega che è necessaria l’unità della voce musicale (vox musica) e dei principi che ne sono alla base (ratio). Inoltre, Orfeo ed Euridice simboleggiano l’eloquentia e la sapientia, che devono formare anch’esse un’unità. L’associazione di questi due concetti provenienti dalla retorica ciceroniana con Orfeo ed Euridice continuerà fino al tardo Medioevo:200 Euridice interpretatur profunda inventio. Ipsa ars musica in suis profundissimis rationibus Euridice dicitur, cuius quasi maritus Orpheus dicitur, id est ΩΡΙΟC ΦΩΝΗ id est pulchra vox. Qui maritus si aliqua neglegentia artis virtutem perdiderit velut in quendam infernum profundae disciplinae descendit, de qua iterum artis regulas iuxta quas musicae voces disponuntur reducit. Sed dum voces corporeas et transitorias profundae artis inventioni comparat, fugit iterum in profunditatem disciplinae ipsa inventio quoniam in vocibus apparere non potest, ac per hoc tristis remanet Orpheus, vocem musicam absque ratione retinens. (Remigio, Comm. in Mart.Cap. IX, 480.19)201 In questo caso Euridice (la sapienza o il profondo giudizio) incolpa Orfeo (l’eloquenza o la bella voce). Euridice sembra quindi superiore a Orfeo, il che non corrisponde alle idee espresse nel commento di Remigio a Boezio. La visione di Remigio nel commento a Marziano Capella diventerà popolare solo nei romanzi tardomedievali. Dopo il secolo X Orfeo non fu più importante nei trattati musicali, perché il loro carattere divenne piuttosto pratico. 198 Musica enchiriadis, a.c.d. M. Gerbert, in: Scriptores Ecclesiastici de Musica Sacra Potissimum, 1784; reprint Hildesheim, Georg Olms, 1963, vol. I., pp. 152-212. 199 Newby, op.cit., p. 95. 200 I concetti sapientia ed eloquentia si trovano per esempio nei commenti a Boezio di Guglielmo di Conches e di Nicholas Trivet. 201 ‘Euridice è interpretata come profonda invenzione. L’arte musicale stessa nella sua natura più profonda è chiamata Euridice, il cui marito è chiamato Orfeo, cioè orios phone cioè bella voce. Questo marito, se per alcuna negligenza dell’arte ha perso la sua virtù, discende in un certo inferno di studio profondo, da cui riproduce di nuovo le regole dell’arte secondo le quali sono disposte le voci della musica. Ma quando l’invenzione paragona le voci corporali e transitorie all’invenzione profonda dell’arte, fugge di nuovo nella profondità dello studio, perché non può apparire in voci, e perciò Orfeo rimane triste, tenendo la voce musicale senza la ragione.’ Il testo latino è citato da: Remigii Autissidorensis commentum in Martianum Capellam, a.c.d. C.E. Lutz, Leiden, Brill, 1962-65, p. 310. 73 CAPITOLO 1 1.5.5 Trionfante nell’Ade nella poesia medievale202 Nel secolo XI si trovano tre poesie latine su Orfeo il cui contenuto differisce dai racconti nominati: il cantante riesce a riprendersi Euridice viva dagli inferi. Come hanno mostrato Jacques Heurgon e Maurice Bowra, la versione del mito in cui Orfeo trionfa sull’Ade è quella più antica.203 La fine lieta arcaica era molto idonea alla metamorfosi cristiana di Orfeo in una prefigurazione di Cristo, che non poteva fallire.204 Le tre poesie nacquero da esercizi scolastici intesi a migliorare le tecniche retoriche degli studenti (dal sec. XI al sec. XV). Il mito di Orfeo era un tema gradito per questi esercizi. Tra le poesie scritte nell’ambito scolastico su Orfeo ci sono tra gli altri: un passo di più di 500 versi nel poema Liber quid suum virtutis di Teodoro di Saint-Trond (†1107), la poesia Carmine leniti tenet Orpheus antra Cocyti di Gualtiero, e un’allusione a Orfeo in una poesia di Goffredo di Reims, che si chiama Il dialogo con Calliope.205 Queste poesie rappresentano Orfeo come eroe amante. Anche autori più professionali descrivevano Orfeo come amante cortese. In questi romanzi Orfeo è un menestrello medievale con una caratterizzazione psicologica, la quale si manifesta in molti monologhi e dialoghi. Forse la rappresentazione di Orfeo come menestrello fu influenzata dall’usanza di poeti e cantanti professionali a partire del periodo carolingio di chiamarsi dei novelli Orfei.206 Vedremo che questa tradizione continuerà in Italia nel Trecento e molto dopo (cap. 2 e 5). Nella qualità di menestrello Orfeo era molto adatto ai romanzi medievali: entrava nei castelli e mostrava il suo potere musicale. Le convenzioni del romanzo furono trasmesse al racconto di Orfeo: per amore l’eroe comincia un viaggio avventuroso in cui subisce molte prove e incontra dei personaggi sovrannaturali. Viaggiando canta e piange spesso il suo amore. Questi romanzi medievali influenzeranno forse i cantari italiani sullo stesso argomento che emergeranno alla fine del Quattrocento (§ 4.3). Orfeo non ottenne soltanto degli ideali e dei costumi medievali, ma anche dei vestiti e un domicilio medievali. Secondo Friedman gli effetti delle convenzioni romanzesche si vedevano non solo nei romanzi stessi, ma anche nella poesia lirica, negli 202 Questo paragrafo si basa su: Dronke, op.cit., passim; Friedman, op.cit., pp. 146-210; Heitmann, ‘Orpheus im Mittelalter’, cit., pp. 259-261. 203 J. Heurgon, ‘Orphée et Eurydice avant Virgile’, Mélanges d’archéologie et d’histoire XLIX (1932), pp. 6ff ; M. Bowra, ‘Orpheus and Eurydice’, The Classical Quarterly II (1952), pp. 113ff. 204 Dronke, op.cit., p. 206. 205 Teodoro di Saint-Trond, Liber quid suum virtutis (prima noto come De nummo), in: F.W. Otto, Commentarii critici in codices Bibliothecae Academicae Gissensis Graecos et Latinos, Giessen, 1842, pp. 163f, vv. 1009-1024 (parzialmente in Dronke, op.cit., p. 199); Gualtiero, Carmine leniti tenet Orpheus antra Cocyti, in : M. Delbouille, ‘Un mystérieux ami de Marbode : le ‘Redoutable Poète’, Gautier’, Le Moyen Age 6 (1951), p. 229; Goffredo di Reims, Dialogo con Calliope, in: A. Boutemy, ‘Trois oeuvres inédits de Godefroid de Reims’, Revue du Moyen Age Latin 3 (1947), p. 357. 206 Friedman cita Sedulio Scotto e Baudri di Bourgueil (sec. XI) (op.cit., p. 158). 74 LE ORIGINI DI ORFEO esercizi di retorica e nelle illustrazioni di manoscritti in cui Orfeo porta vestiti tre o quattrocenteschi e suona uno strumento medievale nei pressi di un castello. Queste poesie e questi romanzi influenzarono alcune opere tardomedievali inglesi che collocano il mito di Orfeo nella tradizione dell’amore cortese: l’anonimo SIR ORFEO in inglese (ca. 1325) e Orpheus and Eurydice dell’autore scozzese ROBERT HENRYSON (ca. 1430-ca. 1500). Nella prima opera il mito di Orfeo ed Euridice è stato trasformato nel racconto del Re Orfeo e della regina Heurodis, che sono separati ma che alla fine vengono riuniti. Il risultato è un racconto completamente nuovo che non ha influenzato la fortuna di Orfeo in Italia. Nel testo di Henryson si trova, secondo Friedman, quasi un bilancio della tradizione romanza (in cui Orfeo era un eroe) e della tradizione etica (in cui Orfeo era un esempio morale per i commentatori e mitografi).207 1.6 CONCLUSIONE Ricapitolando si può concludere che l’origine del mito di Orfeo non è completamente chiara: secondo alcuni il mito si sviluppa dallo sciamanismo attraverso l’orfismo, ma secondo altri lo sviluppo si svolge in direzione opposta. Si può constatare comunque che già nel secolo VI a.C. Orfeo godeva di una certa fama. Nelle versioni più antiche del mito Orfeo figura come cantante (metopa, Bassaridi). È menzionata la sua partecipazione al viaggio degli Argonauti; e la sua terribile uccisione da parte delle donne tracie è rappresentata nella tragedia (Bassaridi) e su molti vasi. Euripide è il primo a descrivere la discesa di Orfeo nell’Ade da dove riprende la sua sposa (Alcesti). In questo periodo il mito aveva probabilmente una fine lieta. Il famoso bassorilievo che raffigura Orfeo, Euridice ed Ermes non prova con certezza il fallimento della discesa. Platone presenta un racconto diverso, in cui Orfeo ottiene un fantasma invece della sposa. Nei secoli IV e III a.C. Orfeo figura spesso sui cosiddetti vasi infernali dell’Italia meridionale. Virgilio è il primo a raccontare il mito nella versione che è rimasta famosa fino ai nostri tempi. Egli aggiunge il personaggio di Aristeo, e anche il divieto di guardare indietro e il fallimento finale della discesa sembrano essere stati creati da Virgilio (ma potrebbero derivare anche da una fonte ellenistica sconosciuta). Virgilio combina molti elementi diversi del mito di Orfeo in un racconto coerente. Il racconto di Ovidio rassomiglia in grandi linee a quello virgiliano, ma Ovidio mette l’accento piuttosto sull’orazione di Orfeo di fronte agli dei infernali. Inoltre, Ovidio aggiunge l’aspetto dell’omosessualità. Orazio interpreta Orfeo cantante allegoricamente come il civilizzatore dell’umanità. Nel periodo 207 Friedman, op.cit., pp. 194-195. 75 CAPITOLO 1 romano le immagini di Orfeo che canta tra gli animali sono molto popolari, specialmente nei mosaici. La scoperta del cosiddetto Testamento di Orfeo era molto gradita agli scrittori ebrei e agli apologeti cristiani dei secoli II-V. Essi vedono delle analogie tra Orfeo monoteista e Cristo. A partire del secolo II anche nelle catacombe cristiane ci si serve di Orfeo come simbolo di Cristo nel ruolo del Buon Pastore. Quando nel secolo IV si instaura il cristianesimo come religione statale dell’impero romano, il ruolo apologetico di Orfeo diventa meno necessario. Cruciali per lo sviluppo del mito di Orfeo nel Medioevo sono gli scrittori tardoantichi Boezio e Fulgenzio. Boezio dà al mito un’interpretazione allegorica e morale, che si basa sulla filosofia di Platone. Fulgenzio inserisce il mito invece in un’allegoria musicale. Le fonti medievali in cui si trova il mito di Orfeo si possono suddividere in alcuni gruppi: i commenti a Boezio, i commenti alle Metamorfosi (a partire del sec. XII) e altre fonti come le mitografie, i trattati sulla musica e la poesia. Il mito antico vi è spesso allegorizzato o moralizzato e l’interpretazione è chiaramente cristiana. Allegorie frequenti di Orfeo (oraia-phonos) sono: sapientia, eloquentia, optima vox. Euridice (eurea-dike) rappresenta spesso: la profunda inventio, la boni iudicatio e la naturalis concupiscentia; infine Euridice è anche identificata con Eva. Se Aristeo fa parte dell’allegoria, egli rappresenta quasi sempre la virtù. Tra i vari motivi del mito di Orfeo distinti da Friedman menzionati nel primo paragrafo, è possibile affermare che il tema di Orfeo cantante, che incanta la natura con la musica, è sempre rimasto quello più usato. La partecipazione di Orfeo al viaggio degli Argonauti si trova solo nelle fonti più antiche, in Apollonio Rodio e nelle Argonautiche orfiche, per poi scomparire. Anche Orfeo come sacerdote di Dioniso, che diventa un seguace di Apollo, si trova solo nel primo periodo greco. Il poeta Orfeo, che scrive delle poesie cosmogoniche per cui gode della reputazione di avere doti profetiche, ha influenzato soprattutto i circoli orfici. Fuori di questi circoli Orfeo è menzionato invece anche come sacerdote o profeta (per esempio nell’Eneide). La morte di Orfeo, per cui esistono nel periodo greco motivi diversi, è popolare sui vasi dipinti, ma continua anche a far parte del racconto nel periodo romano. A partire da Virgilio e Ovidio l’accento cade sulla storia d’amore di Orfeo ed Euridice e sulla discesa di Orfeo nell’Ade. La discesa è la parte più centrale del mito durante il Medioevo, dato che si presta bene alle interpretazioni morali e cristiane. Come abbiamo visto gli elementi del mito di Orfeo non si trovano quasi mai tutti insieme in un solo testo oppure in un’opera d’arte. La musica ammaliante è un aspetto che si lascia combinare facilmente con altri motivi, per cui fa quasi sempre parte dei riferimenti a Orfeo. La partecipazione al viaggio degli Argonauti si trova soprattutto separato dagli altri temi, mentre la storia d’amore di Orfeo ed Euridice e la morte di Orfeo sono spesso narrate nello stesso momento. Anche nella discussione del Trecento e del Rinascimento 76 LE ORIGINI DI ORFEO vedremo che alcune parti del mito sono spesso legate tra loro, mentre altre scompaiono o rifioriscono invece in un dato periodo. Cercheremo di rintracciare le ragioni alla base di questi cambiamenti. 77 CAPITOLO 2. IL MITO COME TOPOS Orfeo nel Trecento e nel Quattrocento (ca. 1300-1475) 2.0 DAL MEDIOEVO AL RINASCIMENTO All’inizio del Trecento, quando Dante Alighieri (1265-1321) scrisse la sua Commedia, la società italiana era ancora medievale.208 La fede cristiana era fondamentale nella vita quotidiana e nelle espressioni culturali ed artistiche. Questa centralità del cristianesimo si vede anche nelle opere di Dante. Come sostiene Augustin Renaudet, Dante ‘non crede che fra l’antichità eroica dei tempi greco-romani e le generazioni illuminate e redente dal Cristo si apra un abisso; e che una brusca e tragica rottura separi la fine del mondo antico e la nascita del mondo moderno’.209 Dante vede il mondo antico e quello contemporaneo come contigui, senza fare una distinzione tra i diversi periodi. La Divina Commedia offre tante prove della sua concezione sincretica del mondo: figure mitologiche vengono poste sullo stesso piano di personaggi biblici e uomini contemporanei. Nelle opere dantesche minori personaggi mitologici e personaggi biblici compaiono spesso come esempi paralleli. Nonostante l’importanza di Dante per la letteratura italiana la sua importanza per la fortuna del mito di Orfeo sembra a prima vista minima. L’autore accenna soltanto due volte al mitico cantore: una volta nel Convivio (II, I, 4) e l’altra volta nell’Inferno (IV, 140).210 Con Francesco Petrarca (1304-1374) ebbe inizio un cambiamento nella cultura italiana, che sarebbe stato decisivo per tutto il continente europeo. Petrarca e il suo contemporaneo ed amico Giovanni Boccaccio (1313-1375) furono i precursori dell’umanesimo che avrebbe provocato anche un cambiamento importante nella ricezione e nell’uso dei miti antichi. Jean Seznec ha mostrato che il Rinascimento non comportò una rinascita delle figure mitologiche dopo il lungo periodo di assenza nel Medioevo, ma che nel Rinascimento si assistette piuttosto ad un ritorno delle figure mitologiche nelle loro sembianze antiche.211 Durante il Medioevo, infatti, le figure mitologiche sopravvivessero in 208 Già nella letteratura italiana del Duecento si trovano dei riferimenti al mito di Orfeo. Siccome si tratta di alcuni riferimenti sparsi di autori non molto importanti o ignoti, questo capitolo tratterà della fortuna di Orfeo a partire dall’inizio del Trecento. Per riferimenti duecenteschi cf.: Anonimo, Le Miracole de Roma (1255), 55; Anonimo, Mare amoroso (1270-80), 152; Ristoro d’Arezzo, Composizioni del mondo (1282), … (In quest’ultimo testo si parla di una figura con il nome di Artefio, che ha però molte caratteristiche di Orfeo, cfr. H.D. Austin, ‘Artephius-Orpheus’, Speculum 12, 2 (1937), pp. 252-254). 209 A. Renaudet, Dante humaniste, Paris, Les Belles Lettres, 1952 (Citato in italiano da E. Garin, ‘Le favole antiche’, La rassegna della letteratura italiana 4, serie VII (1953), p. 6). 210 Poi ci sono alcuni riferimenti indiretti al mito nel Purgatorio e nella Vita Nuova, come vedremo nel § 2.6. 211 Seznec, op.cit., passim. 79 CAPITOLO 2 forme molto diverse rispetto alla loro forma antica ‘originaria’. Seznec distingue quattro cosiddette tradizioni nel modo in cui furono interpretati i personaggi mitologici.212 Nella prima tradizione, quella storica o evemeristica, gli dei pagani vennero visti come uomini reali che furono innalzati allo stato divino dai contemporanei.213 Nella tradizione fisica gli dei sono elementi cosmici. La terza tradizione è quella morale o allegorica: le figure pagane vi sono interpretate in maniera allegorica. Infine c’è la tradizione enciclopedica, che combina alcune delle altre tradizioni. Prenderò in esame per prima cosa le Genealogie deorum gentilium di Boccaccio. Quest’opera mitografica, che discute ogni particolare del mito di Orfeo, non sembra tuttavia aver esercitato grande influenza sui riferimenti a Orfeo sparsi nei testi letterari del Trecento e del primo Quattrocento. Vedremo però nel § 2.7 che le Genealogie furono una fonte principale per il De laboribus Herculis di Salutati. Nelle Genealogie Orfeo è il protagonista del capitolo intitolato De Orpheo Apollinis filio VIIIIo. Boccaccio dimostra di avere una grande conoscenza di tutti i dettagli del mito, contrariamente all’immagine lacunosa e limitativa che emerge dalle altre opere letterarie di questo periodo. Nell’opera ricorrono le varie tradizioni proposte da Seznec (soprattutto la tradizione allegoricomorale e la tradizione storica). Nel Trecento poi non si arresta la tradizione delle rielaborazioni delle Metamorfosi ovidiane, che risale al Medioevo. Anche questi rifacimenti delle Metamorfosi potevano essere letti come manuali mitografici. Il professore bolognese Giovanni del Virgilio scrive una parafrasi latina delle Metamorfosi e Giovanni dei Bonsignori la traduce in volgare alla fine del Trecento.214 La mancanza di influenza sulla maggior parte dei testi tre- e quattrocenteschi vale anche per le rielaborazioni delle Metamorfosi, che verranno discusse nel secondo paragrafo. Tuttavia, Bodo Guthmüller ha accennato all’importanza di questi testi per la letteratura (e l’arte) del Rinascimento, dopo la loro diffusione in forma stampata intorno al 1500. Nel quinto capitolo tornerò sulle edizioni stampate di queste opere.215 Nelle opere degli scrittori trecenteschi si trovano numerosi riferimenti brevi alla figura di Orfeo. Tali riferimenti confermano sempre la stessa immagine. Nella letteratura 212 Queste quattro tradizioni si basano su tre modi di interpretazione già esistenti nell’antichità (Seznec, op.cit., p. 4). 213 Le origini del concetto ‘evemerismo’ sono discusse da: J.D. Cook, ‘Euhemerism: A Mediaeval Interpretation of Classical Paganism’, Speculum 2 (1927), pp. 396-410. 214 Giovanni dei Bonsignori, Ovidio Methamorphoseos vulgare, 1375-77; Giovanni del Virgilio, Allegorie librorum Ovidii Metamorphoseos prosaice ac metrice compilate, 1322-23. Anche l’Eneide di Virgilio fu spesso tradotta in volgare o rielaborata in qualche maniera. In quest’opera ci sono anche alcuni brevi riferimenti a Orfeo (§ 1.3.1). Siccome l’Eneide non aveva una funzione importante come manuale mitologico, non sarà discussa in questo capitolo. Le Georgiche non erano molto note in questo periodo, il che restringe anche la conoscenza della versione virgiliana del mito di Orfeo (cf. V. Zabughin, Vergilio nel Rinascimento italiano da Dante a Torquato Tasso, vol. I, Bologna, Nicola Zanichelli, 1923). 215 B. Guthmüller, Ovidio Metamorphoseos vulgare, cit. 80 IL MITO COME TOPOS del primo Quattrocento l’interesse per il mito di Orfeo non accenna ad espandersi nemmeno e mancano dei capolavori dedicati interamente a questo personaggio mitologico. Continuano a predominare ancora brevi riferimenti stereotipati. Fa eccezione Coluccio Salutati, che discute dettagliatamente la discesa di Orfeo nell’Ade in alcuni capitoli del De laboribus Herculis (1400). Salutati offre un’interpretazione nuova e personale del mito di Orfeo, la quale ha però delle radici nella tradizione esegetica. Se si esclude Salutati, neanche i riferimenti quattrocenteschi a Orfeo presentano molte novità. Solo il filosofo neoplatonico Marsilio Ficino (1433-99) provocherà dei cambiamenti rilevanti nella fortuna del mito di Orfeo. Le nuove vie aperte da Ficino saranno discusse nel terzo capitolo. È interessante allargare lo sguardo e osservare la fortuna di Orfeo in tutti i campi della cultura italiana, e non solo quindi nella letteratura, ma anche nelle arti figurative e nella musica. Per quanto riguarda la posizione di Orfeo nella musica del Trecento e del primo Quattrocento le opere d’arte trovate sono poche. Esiste, però, un madrigale trecentesco di Francesco Landini in cui Orfeo ha un ruolo non molto positivo. Nelle arti figurative del Trecento e del primo Quattrocento non si trova quasi nessun’opera che raffiguri il mito di Orfeo. Ci sono delle illustrazioni nei manoscritti delle Metamorfosi di Ovidio in cui si vedono alcuni motivi del mito, ma pochissimi sono i disegni, i dipinti o le sculture che rappresentano Orfeo. Questo fatto si lascia spiegare dal fatto che l’arte italiana del Trecento si dedicava completamente a temi e personaggi cristiani, come la vergine Maria, Cristo e i Santi.216 La raffigurazione di temi e personaggi mitologici non ebbe inizio prima del Quattrocento. Anche in questo periodo, però, furono relativamente poche le opere d’arte che raffigurarono un racconto antico o un mito. Peter Burke stima che di tutte le opere d’arte del Rinascimento italiano solo il 13% venne dedicato a soggetti secolari, e che di questa percentuale le scene mitologiche formavano una parte ancora più ristretta.217 A partire dal ‘400 paragonare la fortuna letteraria di Orfeo a quella nell’arte sarà più facile, mentre in questo capitolo ci limiteremo alla letteratura, e solo sporadicamente ci sarà qualche occasione per discutere la figura di Orfeo nell’arte. Nei paragrafi dal 2.3 al 2.7 saranno discussi i vari riferimenti a Orfeo nelle opere letterarie. I riferimenti sono classificati a seconda del ruolo di Orfeo. Le funzioni principali di Orfeo sono quelle di musicista, amante, civilizzatore (un aspetto cruciale per gli umanisti), dell’uomo che cerca Dio e del poeta teologo (che diventerà la sua funzione primaria nella filosofia di Ficino). I pur brevi riferimenti ad aspetti molto diversi di Orfeo mostrano bene la tensione esistente tra la sua immagine positiva e quella negativa. 216 P. Burke, De Italiaanse Renaissance, Agon, 1988, p. 139 (The Italian Renaissance, Cambridge, Polity Press, 1986). 217 Burke, op.cit., p. 140; cf. anche p. 28. 81 CAPITOLO 2 2.1 LA TRADIZIONE MITOGRAFICA: LE GENEALOGIE DEORUM GENTILIUM A metà del Trecento (probabilmente dopo il 1347) Boccaccio cominciò a scrivere un trattato mitologico intitolato Genealogie deorum gentilium, che sarà il manuale mitologico più letto fino alla metà del Cinquecento. L’opera fu stampata per la prima volta a Venezia nel 1472 e altre dieci edizioni seguirono fino al 1532.218 Nel quinto capitolo torneremo sugli effetti che l’invenzione della stampa esercitò sulla divulgazione e sulla conoscenza dei miti. Le Genealogie sono una specie di enciclopedia in cui Boccaccio tratta l’intero corpus della mitologia antica.219 Nella dedica programmatica e nei libri XIV e XV che trattano della poesia, Boccaccio spiega il suo metodo di lettura: i miti sono spiegati in tre modi, facendo uso del ‘sensus naturalis, moralis e historicus’. Al significato allegoricomorale che abbiamo già trovato nell’opera di Bersuire, Boccaccio aggiunge dunque il senso filosofico-naturale e quello storico. Egli menziona inoltre le interpretazioni di autori antichi, paragonando criticamente varie opinioni diverse o aggiungendo una propria interpretazione. Jean Seznec ha indicato le tre tradizioni seguite da Boccaccio come quella morale, quella storica e quella filosofico-naturale, definendo ‘enciclopedica’ la sua combinazione di tradizioni.220 Il fatto che Boccaccio non fosse più tanto attaccato all’interpretazione allegorico-cristiana dei miti dimostra secondo Guthmüller il suo atteggiamento umanistico: La separazione tra interpretazione dei miti e verità sacre cristiane manifesta la consapevolezza che ha Boccaccio della distanza tra antichi e moderni; i due mondi non possono essere mischiati. Questo però non significa che lo studio della poesia antica e dei miti non sia d’alcuna utilità al lettore (prescindendo dal piacere estetico). I poeti antichi, è vero, non erano cristiani, tuttavia erano «homines fere omni dogmate erudit(i)», possedevano cioè grande «prudentia» e «mundana sapientia» che poi trasferivano nelle loro fabulae. 221 La descrizione di Orfeo nelle Genealogie è la descrizione più elaborata del Trecento. Boccaccio sembra conoscere quasi ogni aspetto e ogni dettaglio del mito antico. Secondo Hannelore Semmelrath la partecipazione al viaggio degli Argonauti e l’idea che la testa e la 218 Semmelrath, op.cit., p. 25; Guthmüller, ‘Concezioni del mito antico intorno al 1500’, in: Mito, poesia, arte, cit., p. 51. 219 Prima di Boccaccio Benzo d’Alessandria aveva scritto il suo Chronicon (ca. 1320). Questa compilazione storico-enciclopedica in 24 libri tratta anche del mito di Orfeo (cap. XXIII ‘De Orpheo musico et Museo eius discipulo’). L’opera è stata trasmessa soltanto parzialmente in un manoscritto. 220 Seznec, op.cit., pp. 122-123. 221 Guthmüller, ‘Concezioni del mito’, cit., p. 54. 82 IL MITO COME TOPOS lira di Orfeo vengono portate a riva a Lesbo, per esempio, riemergono qui per la prima volta dopo l’antichità.222 Boccaccio comincia col dare un breve riassunto del mito, menzionando come fonti Lattanzio (di cui cita la discendenza di Orfeo da Calliope e da Apollo e l’elevazione della lira al cielo), Rabano (secondo cui Mercurio consegnò la lira ad Orfeo), Virgilio (di cui Boccaccio riassume il mito così come è narrato nelle Georgiche) e Ovidio (da cui aggiunge dei particolari sulla morte di Orfeo).223 Boccaccio afferma di considerare i miti delle ‘finzioni poetiche’ e immediatamente dopo il riassunto del mito l’autore comincia ad elencare varie interpretazioni allegoriche, a partire dalla spiegazione del nome di Orfeo in chiave etimologica : Pulchre equidem et artificiose fictiones he sunt, et ut incipiamus a prima, cur Apollinis et Caliopis dicatur filius videamus. Dicitur autem Orpheus quasi aurea phones, id est bona eloquentie vox, que quidem Apollinis, id est sapientie, et Caliopis, que bonus interpretatur sonus, filia. (Boccaccio, Genealogie, libro V, XII, 4-5)224 Orfeo è interpretato come la buona voce dell’eloquenza, che nasce dalla sapienza (Apollo) e dal bel suono (Calliope). Brigitte Hege accenna al fatto che Orfeo diventa l’ideale del sapiente e dell’eloquente. Boccaccio segue in questo la tradizione di Guglielmo di Conches, di Nicolas Trevet del terzo mitografo vaticano e di Giovanni del Virgilio (§ 2.2.2).225 Dopo una spiegazione del significato e dell’effetto della lira, Boccaccio attribuisce un’interpretazione allegorica anche alle altre figure e agli altri elementi del mito di Orfeo: Hic insuper Euridicem habet in coniugem, id est naturalem concupiscentiam, qua nemo mortalium caret; hanc per prata vagantem, id est per temporalia desideria, amat Aristeus, id est virtus, que eam in laudabilia desideria trahere cupit; (Boccaccio, Genealogie, libro V, XII, 7)226 222 Semmelrath, op.cit., p. 24-25. Come vedremo dopo Boccaccio omette l’omosessualità di Orfeo come causa della sua morte. Un paragone più dettagliato tra il testo di Boccaccio e quelli di Virgilio e Ovidio si trova in: B. Hege, Boccaccios Apologie der heidnischen Dichtung in den Genealogie deorum gentilium. Buch XIV. Text, Übersetzung, Kommentar und Abhandlung, Tübingen, Stauffenburg, 1997, Appendix I, Orpheus, pp. 261-263. Hege afferma che tutti i cambiamenti insieme, come la rivalutazione di Orfeo e la degradazione di Euridice, preparino per l’allegoresi. 224 ‘Queste finzioni poetiche sono davvero belle e artificiose; e, per cominciare dalla prima, vediamo perché Orfeo sia detto figlio di Apollo e Calliope. Si dice Orfeo quasi aurea fones, cioè buona voce di eloquenza, che è figlia di Apollo, cioè della sapienza, e di Calliope, che si interpreta buon suono.’ (trad. V. Branca). L’edizione da cui si cita è: G. Boccaccio, Tutte le opere, a.c.d. V. Branca, Verona, Arnoldo Mondadori, 1964-1998. 225 Hege, op.cit., p. 264. 226 ‘Questi inoltre ha per sposa Euridice, cioè la naturale concupiscenza, dalla quale nessun uomo è esente. Mentre ella vaga per i prati, cioè nei desideri temporali, la ama Aristeo, cioè la virtù, che desidera trascinarla a lodevoli aspirazioni;’ 223 83 CAPITOLO 2 Euridice rappresenta la concupiscenza naturale che si smarrisce nei desideri temporali, dai quali la virtù vuole salvarla.227 L’autore non menziona la fonte della sua interpretazione allegorica, ma essa rassomiglia alla tradizione che deriva da Guglielmo di Conches e Bernardo Silvestre che abbiamo trattato nel primo capitolo (§ 1.5.1 e § 1.5.2). Boccaccio provoca un sottile spostamento nell’interpretazione della seconda parte della storia d’amore. L’interpretazione tradizionale dello sguardo indietro come un ritorno alle cose terrene non è messa esplicitamente in rapporto con il comportamento di Orfeo. La discesa di Orfeo deve essere vista come la contemplazione delle cose terrene da parte del saggio, per cui questi brama ancora di più il sommo bene: Cum naturalis concupiscentia ad inferos, id est circa terrena, omnino lapsa est, vir prudens eloquentia, id est demonstrationibus veris, eam conatur ad superiora, id est ad virtuosa, reducere. Que tandem aliquando restituitur, et hoc dum appetitus ad laudabiliora dirigitur; sed redditur pacto ne retro suscipiens respiciat, donec ad superos usque devenerit, id est ne iterum in concupiscentiam talium relabatur, donec cognitione veritatis et Superum bonorum intelligentia roboratus, ad damnandam scelestorum operum spurcitiem, oculos possit in concupiscentiam flectere. Quod autem ob id Orpheus ad inferos descendit, debemus accipere prudentes viros non nunquam ratione contemplationis in perituras res et hominum ignavias oculos meditationis deflectere, ut, dum que damnare debeant viderint, que appetenda sunt ferventiori desiderio concupiscant. (Boccaccio, Genealogie deorum gentilium, libro V, XII, 8-9)228 Orfeo è descritto in questo passo come un ‘vir prudens’. Se normalmente l’atto di voltarsi indietro è un’azione riprovevole, nel caso dell’uomo prudente la vista dei piaceri terreni suscita riprovazione. Boccaccio ha probabilmente bisogno di quest’immagine positiva di Orfeo, perché lo vuole adoperare nel libro XIV come modello del poeta più antico e dell’affinità tra la poesia e la teologia (cf. § 2.7). La reputazione di Orfeo è dev’essere dunque impeccabile. 227 Per una discussione del concetto ‘concupiscentia’ si veda: Hege, op.cit., pp. 265-266. ‘Quando la concupiscenza naturale è caduta del tutto agli inferi, cioè alle cose terrene, l’uomo prudente con l’eloquenza, ossia con le vere dimostrazioni, si sforza di ricondurla alle cose superiori, cioè alle virtù. Essa alla fine vi si lascia condurre, quando l’appetito si dirige verso cose più lodevoli; ma a patto che il ricevente non si volga indietro a guardare, fino a che non sia giunto alle virtù (e ciò affinché non ricada nella concupiscenza); fino a quando, rafforzato dalla conoscenza della verità e dall’intelligenza dei beni celesti, possa volgere gli occhi alla concupiscenza, ma per condannare la lordura delle azioni scellerate. Che poi Orfeo sia disceso all’inferno, dobbiamo intendere nel senso che gli uomini saggi talora volgono la meditazione, con riguardo alla contemplazione, verso le cose periture e le viltà umane; in modo che, quando abbiano visto le cose che debbono condannare, bramino con più fervente desiderio quelle che sono da cercare.’ 228 84 IL MITO COME TOPOS Boccaccio oppone inoltre a quest’interpretazione l’etimologia musicale di Fulgenzio (nelle Mitologiae). In altre opere letterarie di questo periodo non troviamo riferimenti espliciti all’etimologia del nome di Orfeo. Solo Coluccio Salutati (§ 2.8) tornerà sull’interpretazione etimologica fulgenziana. In altri riferimenti a Orfeo del Trecento e del primo Quattrocento le interpretazioni allegoriche sono più frequenti, soprattutto quelle che focalizzano sul potere ammaliante della lira di Orfeo. Anche Boccaccio, parlando del dono della lira da parte di Mercurio, attribuisce un significato allegorico al canto di Orfeo, come vedremo nel paragrafo su Orfeo civilizzatore (§ 2.4). Brigitte Hege sottolinea che, essendo la descrizione della versione di Fulgenzio molto più breve di quella precedente, per Boccaccio l’Orfeo sapiente ed eloquente è più importante dell’Orfeo musicista.229 Anche nell’allegoria di Orfeo e degli animali il potere civilizzatore di Orfeo è attribuito alla sua eloquenza. Nel Trecento Boccaccio è quasi l’unico a menzionare la morte di Orfeo e a parlare in maniera estesa della ragione della sua morte e dell’uccisione stessa.230 Secondo Hege il racconto della morte di Orfeo non era molto caro ai mitografi medievali, visto che Boezio non l’aveva menzionato nella sua versione del mito, e soprattutto perché il racconto non era adatto all’educazione morale. La lacerazione rituale e l’omofagia si trovavano solo nel contesto del demonismo.231 Boccaccio invece, dopo aver descritto la storia d’amore tra Orfeo ed Euridice che finisce con la seconda morte della ragazza, continua come segue: Quam ob causam diu flevit et celibem deducere vitam disposuit. Et ob id, ut ait Ovidius, cum multas suas nuptias postulantes reiecisset, aliisque hominibus celibem vitam ducere suaderet, mulierum incidit odium, et a celebrantibus matronis orgia Bachi secus Hebrum, rastris atque ligonibus cesus atque discerptus est; et eius caput in Hebrum proiectum cum cythara in Lesbon usque delata sunt; ubi cum serpens quidam caput devorare vellet, ab Apolline in saxum versus est. (Boccaccio, Genealogie, libro V, XII, 3)232 Per questa descrizione della morte di Orfeo Boccaccio si basa, come afferma, sull’opera di Ovidio. Ci sono infatti molte rassomiglianze tra questo frammento e il mito di Orfeo come descritto nelle Metamorfosi di Ovidio. Boccaccio sostituisce tuttavia l’episodio della pederastia di Orfeo con un’altra ragione per la sua morte: Orfeo sarebbe stato ucciso per 229 Hege, op.cit., p. 272. Un altro breve riferimento alla morte di Orfeo nell’opera di Boccaccio si trova in: De Casibus, I, XII (Conventus dolentium). 231 Hege, op.cit., p. 268. 232 ‘Perciò pianse a lungo e decise di rimanere celibe. Per questo, come dice Ovidio, dopo aver respinto molte donne che gli chiedevano le nozze e consigliando altri uomini di condurre la vita da celibi, venne in odio alle donne ; e da quelle, che celebravano le orge di Bacco lungo l’Ebro, fu ucciso e lacerato con rastrelli e zappe e il suo capo fu gettato nel fiume insieme con la cetra, e giunse a Lesbo, dove un serpente voleva divorarlo; ma fu da Apollo mutato in sasso.’ Cf. Boccaccio, Esposizioni sopra la Comedia, esp.litt. 322. 230 85 CAPITOLO 2 aver consigliato agli altri uomini di rimanere celibi. A quanto pare Boccaccio non voleva menzionare l’omosessualità di Orfeo, e perciò immaginò un’altra ragione per cui le donne cominciarono ad odiarlo. Questa versione di Boccaccio differisce dunque dalle famose versioni di Virgilio e di Ovidio. L’omissione dell’omosessualità deriva probabilmente da una morale diversa, uno dei fattori che secondo Stanford determinano l’adattamento di figure mitologiche (cf. Introduzione), ma può anche essere stata influenzata dalla voglia di rappresentare Orfeo in modo più positivo per poterlo usare nel libro XIV come strumento di propaganda. Qualche volta Boccaccio presenta una versione della morte di Orfeo ancora più straordinaria, che non ho trovato nell’opera di nessun altro autore: Sed ut ad ea veniamus, que ad Orphei videntur spectare mortem, est sciendum, ut dicit Theodontius, Orpheum primo Bachi sacra comperisse, et ea iussit apud Traces choris Menadum, id est mulierum patientium menstruum, ut illas illo tempore auferret a commixtione virorum, cum non solum abominabile sit, sed etiam perniciosum viris. Quod cum mulieres post tempus advertissent et existimassent hoc adinventum ad turpitudinem earum viris detegendam, in Orpheum coniuravere illumque nil tale suspicantem interfecere ligonibus, et in Hebrum fluvium deiecere. (Boccaccio, Genealogie, V, XII, 11-12)233 Orfeo avrebbe inventato i riti di Bacco per le donne che avevano le mestruazioni. Così non potevano avere un rapporto sessuale con gli uomini, perché le mestruazioni erano ritenute dannose per gli uomini. Le donne pensavano, però, che Orfeo volesse svelare la loro vergogna agli uomini e perciò lo uccisero. Nelle Esposizioni sopra la Comedia (1373-74) Boccaccio descrive l’uccisione di Orfeo in parole simili.234 In ambedue i casi Boccaccio dice di basarsi su un certo Teodonzio. Tuttavia, l’identità di questo autore non è chiara. Secondo Henry Jocelyn, Teodonzio aveva una grande fantasia: se la tradizione antica e medievale non gli offriva una spiegazione convincente di un mito, lui stesso andava costruendo un nuovo racconto.235 233 ‘Ma per venire a ciò che sembra riguardare la morte di Orfeo, è da sapere – come dice Teodonzio – che Orfeo per primo inventò i sacrifici di Bacco e ordinò in Tracia che fossero fatti dai cori delle Menadi, cioè dalle donne che pativano la mestruazione, per sottrarle così in quel tempo alla promiscuità con gli uomini, poiché il mestruo non solo è abbominevole, ma anche nocivo agli uomini. Le donne, dopo qualche tempo, se ne accorsero e stimarono che ciò fosse stato trovato per scoprire agli uomini le loro vergogne; perciò congiurarono contro Orfeo e, mentre egli in nessun modo lo temeva, lo uccisero con le zappe e lo gettarono nel fiume Ebro.’ 234 Boccaccio, Esposizioni, canto IV, esp. litt. 325. 235 H.D. Jocelyn, ‘The sources of Boccaccio’s Genealogiae deorum gentilium libri and the myths about early Italy’, in: L. Rotondi Secchi Tarugi, Il mito nel Rinascimento, Milano, Nuovi Orizzonti, 1993, pp. 17-20. 86 IL MITO COME TOPOS Boccaccio conclude con un elenco di altri elementi attribuiti al mito di Orfeo da vari autori. Secondo Lattanzio Orfeo avrebbe introdotto in Grecia i sacrifici di Bacco. Leonzio afferma che il capo e la cetra di Orfeo erano stati trasportati fino a Lesbo da un suo ammiratore. Boccaccio stesso dice che il serpente trasformato in sasso significa che il tempo non era in grado di corrodere il nome di Orfeo: ‘quod quidem huc usque non potuit egisse quin adhuc famosus existat cum cythara sua, cum ex poetis fere antiquior repuitetur.’236 Inoltre Orfeo avrebbe scoperto, secondo alcuni scrittori tra cui Plinio, l’arte dell’auspicio tramite altri animali che non fossero gli uccelli. Secondo altri scrittori Orfeo avrebbe inventato la cetra. Notevole è infine la menzione della partecipazione di Orfeo al viaggio degli Argonauti insieme a Giasone (che Boccaccio trovò nell’opera di Stazio e di molti altri autori). Nel capitolo su Giasone Boccaccio torna su questo viaggio, collocando anche Orfeo tra gli eroi partecipanti: Qui expeditione assumpta, fabricata est illi navis longa ab Argo in sinu Pegaso, et Argos ab autore denominata, nobiles Grecie iuvenes fere omne convocavit, inter quos Hercules fuit. Fuere preterea Orpheus, Castor, Pollux Zethus, Calays aliique plures splendidissimi genere et virtute iuvenes, quos ob nobilitatem semideos appellat Statius in Thebaide dicens: «Iam tum prima cum pube virentem Semideos inter pinus me thessala reges Duceret» etc. Qui a nomine navis Argonaute appellati sunt. (Boccaccio, Genealogie, libro XIII, XXVI, 1-2)237 Boccaccio introduce in Italia la partecipazione di Orfeo al viaggio degli Argonauti.238 Solo a metà del Quattrocento questo motivo diventerà popolare nella letteratura e soprattutto nelle arti figurative (cassoni, § 5.8). I tre modi in cui Boccaccio analizza in genere i miti non si ritrovano in egual misura rappresentati nella descrizione del mito di Orfeo. Il ‘sensus moralis’ è spesso presente: gli animali intorno a Orfeo, la morte di Euridice, la discesa nell’Ade, l’interpretazione di Fulgenzio e l’uccisione da parte delle Baccanti secondo Teodonzio. Il ‘sensus historicus’ offre delle informazioni sul personaggio storico di Orfeo. Tuttavia, è assente il ‘sensus naturalis’, che Boccaccio impiega in altre descrizioni della lira.239 236 ‘E invero finora il tempo non ha potuto far sì che egli non sia ancora famoso con la sua cetra, poiché fra i poeti è ritenuto il più antico.’ (Boccaccio, Genealogie deorum gentilium, libro V, XII, 14). 237 ‘Giasone si assunse la spedizione e gli fu costruita da Argo nel golfo di Pegaso una nave lunga che dal costruttore ebbe appunto nome Argo; poi convocò nobili, quasi tutti giovani, fra i quali ci fu Ercole. Inoltre vennero Orfeo, Castore, Polluce, Zeto, Calai e molti altri giovani splendidi per stirpe e valore, che Stazio nella Thebais chiama semidei, per la loro nobiltà, dicendo: «Già quando nel vigore della prima giovinezza la nave tessala mi portava insieme ai re, figli degli dei» ecc. Essi furono chiamati Argonauti dal nome della nave.’ 238 Altri riferimenti a Orfeo come Argonauta nel ‘300 si trovano in: Boccaccio, Esposizioni, esp.litt. 324; Anonimo, Chiose dette del falso-Boccaccio (Inferno), p. 148 (ed. OVI). 239 Hege, op.cit., p. 275. 87 CAPITOLO 2 Boccaccio offre dunque un’immagine quasi completa e relativamente equilibrata di Orfeo, ma trascura per esempio l’aspetto della sua omosessualità e spiega lo sguardo indietro come una cosa positiva. Le omissioni e i cambiamenti non sono dovuti ad una conoscenza limitata del mito di Orfeo, ma dimostrano piuttosto un modo ben consapevole di elaborare le implicazioni del mito. Boccaccio conosce la descrizione ovidiana dell’omosessualità e le interpretazioni allegoriche della discesa nell’Ade, ma le distorce, probabilmente per poter inserire meglio Orfeo nella sua difesa della poesia nel libro XIV. In altre sue opere Orfeo poeta amante sarà però condannato (§ 2.5). 2.2 LE RIELABORAZIONI DELLE METAMORFOSI Le Genealogie non costituivano l’unico compendio mitologico nel Trecento. La rassegna migliore e più completa dei miti antichi erano infatti le Metamorfosi di Ovidio. Bodo Guthmüller sostiene che la storia della fortuna della mitologia coincide in buona parte con la storia della fortuna delle Metamorfosi: Die Geschichte der Tradierung der klassischen Mythologie ist deshalb zu einem guten Teil eine Geschichte des Weiterwirkens der Metamorphosen, die in Italien wie in Frankreich, England, Spanien, Deutschland in einer gewaltigen Zahl von lateinischen Handschriften und Drucken und in zahlreichen und viel gelesenen Übersetzungen verbreitet waren.240 Contrariamente a Boccaccio, Ovidio aveva presentato i miti come racconti divertenti e affascinanti. Le Metamorfosi erano dunque più adatte come fonte d’ispirazione per scrittori e poeti.241 Anche al grande pubblico le Metamorfosi erano più accessibili dell’elenco essenziale ed enciclopedico di Boccaccio. La conoscenza mitologica necessaria si poteva ottenere in primo luogo dal testo latino delle Metamorfosi. Tuttavia, il testo ‘originale’ su cui autori e artisti si basavano era spesso molto diverso da quello che conosciamo oggi: per via di varianti testuali il significato poteva essere cambiato e le glosse in margine aggiungevano spesso un senso allegorico. Perciò Guthmüller sostiene: Es ist deshalb in jedem Fall ein unabdingbares methodisches Postulat, bei der Interpretation von Werken der Literatur, der Musik, der bildenden Kunst mit mythologischer Thematik – ebenso wie bei der Deutung von festlichen Umzügen, 240 Guthmüller, Ovidio Metamorphoseos vulgare, cit., p. 12. Guthmüller, Ovidio Metamorphoseos vulgare, cit., p. 12-13. Siccome le Georgiche di Virgilio, in cui il mito di Orfeo era anche descritto elaboratamente, non avevano la funzione di trattato mitologico e non erano molto note nel Trecento, la versione ovidiana del mito diventò più importante. 241 88 IL MITO COME TOPOS Festspielen, Triumphbögen usw., wie sie vor allem die Renaissance liebte und bei deren Gestaltung die antike Mythologie eine hervorragende Rolle spielte, - den Renaissance-Ovid (bzw. den mittelalterlichen Ovid, den Barock-Ovid) anstelle des heutigen zu konsultieren.242 Insomma, anche se un autore sembra basarsi direttamente sul testo delle Metamorfosi, come lo conosciamo oggi, dobbiamo stare attenti a deviazioni dall’originale. Benché gli scrittori si basassero qualche volta su testi latini, i riferimenti ai miti ovidiani spesso non citavano dal testo ‘originale’ di Ovidio, ma da certi testi intermedi come i volgarizzamenti. Naturalmente non solo gli umanisti, ma anche gli uomini che sapevano leggere solo il volgare dovevano avere una buona conoscenza delle Metamorfosi per poter capire tutti i riferimenti mitologici nella Divina Commedia di Dante, nella Fiammetta di Boccaccio, nelle arti figurative o nella musica.243 I volgarizzamenti e i commenti trecenteschi delle Metamorfosi non sembrano aver influenzato in modo rilevante altri testi di questo periodo. Mancano, come vedremo nei §§ 2.3 a 2.7, dei riferimenti all’omosessualità e alla morte di Orfeo. Nondimeno, i volgarizzamenti offrono una buona idea della rappresentazione di Orfeo in testi di questo tipo e formano la base di una serie di traduzioni cinquecentesche delle Metamorfosi. Le traduzioni o volgarizzamenti non erano traduzioni nel senso moderno della parola: i traduttori cambiavano o aggiungevano spesso degli elementi, creando così delle grandi divergenze rispetto all’originale. Le traduzioni di Ovidio rispecchiano bene la situazione letteraria e culturale del periodo, perché il traduttore non cambia dettagli senza che ce ne sia un motivo.244 Nei paragrafi seguenti discuterò i tre commenti/volgarizzamenti di Ovidio più noti del Trecento, cioè la traduzione letterale di Arrigo Simintendi, il commento latino di Giovanni del Virgilio, e il volgarizzamento di Giovanni dei Bonsignori.245 242 Guthmüller, Ovidio Metamorphoseos vulgare, cit., pp. 13-14. Guthmüller, Ovidio Metamorphoseos vulgare, cit., p. 11. 244 Guthmüller, Ovidio Metamorphoseos vulgare, cit., p. 22. 245 Nella seconda metà del Trecento e nel Quattrocento i volgarizzamenti delle Metamorfosi continuavano ad esistere, ma erano spesso fabbricati da autori meno importanti. In conseguenza di ciò queste traduzioni erano di un livello letterario basso; il loro scopo principale era di difondere i miti. Questo si vede ne Le Favole di Ovidi di Gerolamo da Siena (prima della metà del ‘400), che sono una parafrasi ancora più breve dell’opera di Bonsignori. Il testo è stato trasmesso in un solo manoscritto e probabilmente non ebbe dunque una grande influenza sulla percezione dei miti nel Quattrocento. Per via dell’importanza minore della traduzione di Gerolamo da Siena, non la discuterò in questo paragrafo. 243 89 CAPITOLO 2 2.2.1 L’Ovidio maggiore, una traduzione letterale L’Ovidio maggiore (prima del 1333-34) di Arrigo Simintendi è la prima traduzione delle Metamorfosi in italiano.246 Simintendi riduce l’opera poetica ad un testo in prosa, traducendo il testo dall’originale latino e non aggiungendo significati allegorici al fine di adattare il testo pagano al cristianesimo. L’autore imita lo stile di Ovidio, cercando nondimeno di chiarire e di semplificare certi particolari. Questi chiarimenti e queste semplificazioni si possono trovare anche nella descrizione del mito di Orfeo. Dopo aver riportato l’arringa di Orfeo davanti a Plutone, Simintendi traduce il passo sull’effetto del canto nell’inferno nella maniera seguente: L’anime sanza sangue piagnevano colui che dicea cotali cose, e che movea e nerbi della cetera alle parole: Tantalo non si chinò per pigliare la fugente acqua: la ruota di Ission si maravigliò: gli avoltoi non presono lo fegato di Tizio: le figliuole di Belo si cessaro dalle sipolture: tu, Sifeo, sedesti nel tuo sasso. Dicesi che le gote delle furie Eumenide, vinte per gli versi d’Orfeo, allora di prima si bagnaro di lagrime: e la moglie di Pluto non sostenne d'essere dura al pregante; nè colui, che regge le cose di sotto, non sostenne di negare. (Arrigo Simintendi, Metamorfosi d’Ovidio volgarizzate, X) Rispetto al testo di Ovidio il traduttore ha aggiunto alcuni nomi per chiarire l’identità dei personaggi mitologici menzionati. Simintendi parla per esempio esplicitamente del fegato di Tizio, delle furie Eumenidi e della moglie di Pluto. Ci sono dunque delle piccole aggiunte al testo di Ovidio per fare una concessione ad un pubblico meno familiare con la mitologia classica, ma in genere questa traduzione è piuttosto letterale.247 Una differenza notevole per quanto riguarda il contenuto tra il testo ‘originale’ di Ovidio e la traduzione si trova nelle ultime parole di Euridice a Orfeo: E l’ultima cosa disse, A dio t’accomando; la quale appena quegli potè ricevere nelli orecchi. (Arrigo Simintendi, Metamorfosi d’Ovidio volgarizzate, X) Benché Simintendi non allegorizzi i miti per conciliarli con il cristianesimo, introduce qui un elemento cristiano nelle parole di Euridice. Invece del saluto generale ‘vale’ la ragazza dice: ‘A dio t’accomando’. Inoltre le Baccanti, che da Ovidio sono descritte come ‘sacrilegae’, sono indicate da Simintendi con la parola più cristiana ‘scomunicate’. In questi 246 Guthmüller, Ovidio Metamorphoseos vulgare, cit., pp. 104-108. Quando Ovidio scrive ‘urnisque vacarunt Belides’, allude alle Danaidi che erano dannate a portare acqua a un barile senza fondo. Quando le Danaidi sentono il canto di Orfeo lasciano stare le loro urne. Simintendi traduce invece: ‘le figliuole di Belo si cessaro dalle sipolture.’ A quanto pare non conosce il mito delle Danaidi, perché interpreta la parola ‘urna’ come un’urna funeraria. Altre piccole divergenze dal testo di Ovidio sono la traduzione di Sisifo come Sifeo e della frase ‘obstrepuere sono citharae’ come ‘le cetere feceno grande suono’, il che mostra che Simintendi qualche volta non ha capito bene il latino. 247 90 IL MITO COME TOPOS casi il traduttore mostra di essere radicato in una cultura cristiana, anche se non si sforza di cristianizzare il mito. Tranne questi pochi cambiamenti del testo ovidiano, Simintendi si dimostra un traduttore fedele, descrivendo tutti i particolari del mito di Orfeo, compreso l’episodio della sua pederastia. Aggiunge soltanto alcune rubriche quando comincia una nuova sequenza del mito, come ‘E prima d’Orfeo e di Euridice sua moglie’ (all’inizio del capitolo X) o ‘Come Orfeo, per lo suo canto e per lo sonare della cetera, facea muovere gli alberi e le fiere’ (prima della descrizione dell’omosessualità). Fattori linguistici non hanno dunque cambiato l’essenza del mito e del personaggio di Orfeo. 2.1 Anonimo, La morte di Euridice, in Arrigo da Simintendi, Ovidio Maggiore, 1370-80 Esiste un manoscritto della traduzione di Simintendi con illustrazioni (ca. 1370-1380).248 Il mito di Orfeo è illustrato con due disegni. Nel primo disegno le amiche di Euridice afferrano la ragazza quando muore (ill. 2.1). A sinistra si vede la testa del serpente che l’ha morsa. L’altro disegno raffigura Orfeo con gli animali (ill. 2.2). Orfeo è rappresentato come un uomo barbuto con una lunga veste e un cappello orientale. Suona il liuto per un gruppo di uccelli a sinistra e per altri animali (feroci e addomesticati) a destra. Queste immagini trecentesche di Orfeo, che furono disegnate ancora prima dell’immagine di Orfeo e degli animali nel De deorum imaginibus libellus (cf. § 1.5.3), sono molto rare. 248 Firenze, Biblioteca Nazionale Centrale, MS Panciatichi 63, fol. 84v e fol. 86r. 91 CAPITOLO 2 2.2 Anonimo, Orfeo e gli animali, in Arrigo da Simintendi, Ovidio Maggiore, 1370-80 I disegni mostrano bene che i vestiti di Euridice e Orfeo e il suo strumento (che secondo Anna Maria Francini Ciaranfi è una mandola) si conformano alla moda del Trecento.249 L’aspetto esteriore di Orfeo si trasforma dunque per motivi di assimilazione storica. L’immagine stereotipata di Orfeo tra gli animali continuerà a manifestarsi nei manoscritti e in altre opere d’arte italiane nei secoli successivi. Anche la morte di Euridice è popolare nei manoscritti e si trasferirà alle xilografie e ad altre opere d’arte alla fine del Quattrocento. 2.2.2 Le allegorie di Giovanni del Virgilio e Giovanni dei Bonsignori Oltre ai manoscritti del testo latino delle Metamorfosi e alla traduzione quasi letterale di Arrigo Simintendi, l’opera di Ovidio si diffondeva anche attraverso i commenti scolastici e una traduzione libera, che era piuttosto una specie di parafrasi allegorica. Nel primo capitolo abbiamo discusso i commenti francesi del dodicesimo secolo alle Metamorfosi di Ovidio, come quello di Arnolfo di Orléans. Ovidio era uno degli autori più studiati nelle scuole. Questa popolarità di Ovidio giunse anche in Italia, dove l’autore latino fu accolto nel canone degli autori principali. Si tratta in questo caso soprattutto delle Metamorfosi (che erano anche indicate come ‘Ovidius maior’) e non delle opere amorose. Giovanni del Virgilio, poeta e professore di grammatica e di retorica a Bologna, scrisse due opere importanti sulle Metamorfosi: una parafrasi dei miti (che è stata trasmessa solo in forma manoscritta) e un commento allegorico.250 249 A.M. Francini Ciaranfi, ‘Appunti su antichi disegni fiorentini per le "Metamorfosi" di Ovidio’, in: Scritti di storia dell'arte in onore di Ugo Procacci, vol. I, a.c.d. M.G. Ciardi Dupré Dal Poggetto e P. Dal Poggetto, Milano, Electa, 1977, pp. 177-183. 250 Uno dei manoscritti in cui è stata trasmessa la parafrasi (o Expositio) di Del Virgilio si trova a: Roma, Biblioteca Casanatense, cod. 1369. Il commento allegorico è stato pubblicato in: F. Ghisalberti, ‘Giovanni del Virgilio espositore delle Metamorfosi’, Giornale dantesco 34, NS 4 (1931), pp. 89-93. 92 IL MITO COME TOPOS Giovanni del Virgilio congiunge nell’Allegorie librorum Ovidii Metamorphoseos prosaice ac metrice compilate (1322-23) la prosa di Arnolfo con i versi di Giovanni di Garlandia in un prosimetro: dopo ogni allegoria in prosa segue un riassunto dell’essenza in versi. Nell’introduzione al primo libro Giovanni del Virgilio spiega l’intenzione della sua versione delle Metamorfosi ovidiane: Quoniam uniuscuiusque poete finis sit mentes hominum moribus informare in omnibus, unde in principio huius libri alibi dictum est quod ethice i. morali philosophie supponitur, ideo unaqueque transmutatio in hoc libro descripta merito ad mores est penitus reducenda. (Giovanni del Virgilio, Allegorie, liber I)251 L’autore vuole ridurre ogni metamorfosi descritta nel suo libro alla sua lezione morale, e ciò facendo si dimostra dunque un seguace della tradizione allegorico-morale. Il rifacimento delle Metamorfosi di Giovanni dei Bonsignori si basa in buona parte sull’opera di Giovanni del Virgilio.252 L’autore adoperò l’Expositio delvirgiliana per le parti narrative, mentre le Allegoriae formarono la base per le sue spiegazioni allegoriche, integrate con aggiunte originali.253 Erminia Ardissino mostra che la maggior parte degli autori antichi citati è già presente nell’opera di Del Virgilio. Tuttavia, Bonsignori cita anche delle fonti non presenti nell’opera del suo predecessore.254 Nel proemio all’Ovidio metamorphosis vulgare (1375-77), che è indirizzato a Dio, Bonsignori informa il lettore sulla struttura della sua traduzione: dopo i brevi riassunti delle favole lui spiegherà allegorizzando l’intenzione di Ovidio: Rege et guberna la mano e concedi l’ingegno a le parte formare la presente composizione, sì che per me sia con laudabile e contento reposo declarato im prosa vulgare e ricolto in breve sermone le istorie e favole del libro maggiore del poeta Ovidio ditto Metamorphoseos, sotte le cui favole allegorizzando declaro sub brevità l’effetto del libro e la intenzione del prelibato autore. El quale scritto e composto sia in forma che diletto ed utilità daria alli 251 ‘Siccome è lo scopo di ogni poeta di informare le menti degli uomini in tutte le cose morali, onde all’inizio di questo libro è detto in modo diverso quello che è ritenuto etico cioè a seconda la filosofia morale, perciò ogni trasformazione descritta in questo libro va ridotta alla morale.’ Il testo latino è citato dall’edizione di Ghisalberti (op.cit.). 252 Guthmüller, Ovidio Metamorphoseos vulgare, cit., p. 74. Benché Bonsignori cominciasse a tradurre o piuttosto a parafrasare le Metamorfosi dal latino di Ovidio, alla fine del primo libro (il mito di Io) la traduzione si trasforma già in una parafrasi dell’opera di Ovidio che si basa sulla versione di Giovanni del Virgilio. 253 Giovanni Bonsignori da Città di Castello, Ovidio Metamorphoseos vulgare, a.c.d. E. Ardissino, Bologna, Commissione per i Testi di Lingua, 2001, p. XIII. 254 Ardissino, op.cit., pp. XII-XIII. 93 CAPITOLO 2 vulgari studenti ed alli ioveni li quali d’alta scienza legere con acuto e sottile pensero se dilettano in autori e poesia. (Bonsignori, Ovidio metamorphoseos vulgare, proemio, 3-4)255 Lo scopo del libro di Bonsignori è di dare ‘diletto ed utilità’ agli studenti italiani e ai giovani letterati cui piace leggere la poesia. Secondo Bonsignori ci sono quattro modi di parlare, che possono divertire gli uditori: la storia, la leggenda, la favola e la novella. Le Metamorfosi di Ovidio consistono di favole, cioè racconti impossibili, che vanno spiegate in modo allegorico.256 Leggendo delle favole poetiche divertenti se ne possono trarre utili insegnamenti, allorché si scopre il significato allegorico che vi è nascosto. Quale lezione morale o quale verità si nasconderebbe nelle Metamorfosi di Ovidio? Questo Bonsignori lo spiega poco dopo, parlando delle ragioni principali per scrivere dei libri: sotto le favole di Ovidio si trova la vera dottrina della religione cristiana. Leggendo gli errori degli uomini antichi, possiamo trovare la dottrina cristiana.257 Le allegorie vanno considerate dunque delle aggiunte importanti. Il mito stesso vi è parafrasato solo brevemente. Siccome la traduzione di Bonsignori segue quasi letteralmente il testo di Del Virgilio, tratterò le due opere insieme, partendo dalla versione italiana che ebbe un’influenza notevole in Italia fino ai primi decenni del Cinquecento.258 Nelle note al testo di Bonsignori, Ardissino elenca i passi ripresi direttamente da Ovidio, e quelli che derivano, invece, dal rifacimento latino di Del Virgilio. L’aggiunta più notevole al testo ovidiano nel decimo libro è la menzione di Aristeo come causa della morte di Euridice. La figura di Aristeo è presa dall’Expositio delvirgiliana, che conobbe la figura forse dall’Ovide moralisé.259 Oltre alle aggiunte al testo di Ovidio, Bonsigori e Del Virgilio omettono anche molti dettagli coloriti per ridurre il lungo racconto ovidiano. Come Bonsignori aveva detto nel proemio, egli non si interessava tanto all’intreccio delle favole, quanto al loro significato allegorico. Nella versione di Bonsignori la reazione di Euridice alla sua seconda morte 255 Per il testo di Bonsignori faccio uso dell’edizione critica di Ardissino, op.cit. Nell’introduzione al testo Ardissino mostra l’importanza di un’edizione critica per le grandi differenze tra la tradizione manoscritta e quella stampata (p. XVI). 256 Bonsignori, Ovidio metamorphoseos vulgare, proemio, 10. 257 Bonsignori, Ovidio metamorphoseos vulgare, proemio, 18. Anche da un’altra versione del Proemio o dell’accessus da cui cita Guthmüller risulta che l’autore non aveva l’intenzione di rendere i miti antichi accessibili al lettore, perché li considerava pericolosi senza una spiegazione allegorica: 'E ttu, lettore, alle cose che troverrai nel presente volume, non portare in quelle fede, se non pigliando li amaestramenti delle alligorie, acciò che non deviassi dal diritto propponimento, onde per questo errassi nella cattolica fede né ‘l conpositore portasse pena perpetua.’ (Bonsignori, Ovidio Metamorphoseos vulgare, Accessus, f. 13v; citato da: Guthmüller (1981), op.cit., p. 78). 258 Il decimo libro di Bonsignori è suddiviso in alcuni capitoli con titoli che riassumono il contenuto del mito. Invece, Giovanni del Virgilio divise ogni libro delle Metamorfosi in una serie di ‘mutationes’. Il punto di partenza per l’allegoria è dunque sempre la trasformazione o ‘mutatio’. 259 Ovide moralisé, X, v. 27. 94 IL MITO COME TOPOS differisce alquanto dall’originale. Mentre Ovidio la rappresentava come una sposa amante, che non poteva lamentarsi del troppo amore del marito, Bonsignori la rappresenta come piuttosto indifferente: Allora Orfeo stese le braccia per pigliarla, ma perch’ella era morta non se curava del marito, elli molto l’amava e per lo dolore Orfeo quasi deventò sasso. (Bonsignori, Ovidio metamorphoseos vulgare, Libro X, Capitulo V) Questo cambiamento rispetto al testo ovidiano non è riprodotto letteralmente dall’Expositio di Del Virgilio, che parla di Euridice in maniera ancora più negativa (‘unde adhuc mortua est et conquerebatur de marito quia minus dilexerat eam’).260 Bonsignori sembra aver cercato qui di attuare un compromesso tra i suoi predecessori. Siccome la figura di Euridice è rappresentata in modo meno positivo, Orfeo diventa indirettamente più simpatico. Un’altra grande differenza tra il testo di Bonsignori e quello di Ovidio è la presenza di Cerbero, al posto di Caronte, che vieta Orfeo di rientrare nell’Ade: Essendo ritornato Orfeo nella mente, sì discese da capo nell’inferno per reavere Euridice, ed andando arrivò al fiume de Acheronte; el cane portinaio, cioè Cerbero, non lassò passare oltra; per la qual cosa Orfeo stette lì sette dì e sette notti senza avere alcuno guiderdone, ma el dolore era llui cibo e le lagrime erano beveragio. (Bonsignori, Ovidio metamorphoseos vulgare, Libro X, Capitulo VII) La figura di Cerbero figurava anche nel testo di Giovanni del Virgilio che parlava del ‘canis portitor’, interpretando il traghettatore (‘portitor’) come portiere. Qui un piccolo equivoco linguistico sembra aver causato un grande cambiamento nel mito di Orfeo. Il cane era, però, già presente nel commento a Ovidio di Arnolfo d’Orléans. Cerbero tornerà ad avere maggiore rilevanza nell’arte cinquecentesca.261 260 Nel manoscritto non si vede bene se l’autore abbia voluto scrivere ‘nimis’ oppure ‘minus’, il che provoca una grande differenza interpretativa. 261 Un piccolo cambiamento rispetto al testo ovidiano, che è probabilmente causato da problemi linguistici, si trova nel capitolo sulla morte di Orfeo (cap. 3). Ovidio dice che tutti gli animali radunati intorno a Orfeo fuggirono dalle Baccanti, le quali poi circondarono Orfeo come uccelli oppure come cani che circondano il cervo nell’arena. Bonsignori ha distorto le parole di Ovidio e quelle di Del Virgilio, cosicché nella sua versione sono gli animali a circondare Orfeo per difendere il cantante. Bonsignori, Ovidio metamorphoseos vulgare, Libro XI, Capitulo III, 2-4. Nel resto del capitolo mancano pure alcuni dettagli vivaci, come i fiumi che crescono dalle loro lacrime. Poi le parole di Bonsignori suggeriscono che furono gli animali a smembrare Orfeo, come nel testo di Del Virgilio. Tranne l’indicazione di Apollo come ‘dio delli poeti per la sapienza’ il racconto continua senza cambiamenti rispetto all’originale ovidiana. Notevole è poi l’interpretazione del monte Rodope come un’isola e l’omissione del monte Emo. 95 CAPITOLO 2 Tuttavia, le aggiunte maggiori al testo di Ovidio sono costituite dalle cosiddette allegorie, che concludono ogni sezione del mito di Orfeo. Dopo i primi cinque capitoli di Bonsignori segue la prima allegoria di Orfeo, nella quale si vede subito la dipendenza dalle Allegorie di Giovanni del Virgilio:262 Le allegorie del decimo libro sono XIIII; la prima è come Orfeo andò all’inferno. Orfeo fu de Grecia e fu savissimo uomo e bello parlatore, e perciò se dice che fu figliuolo de Apollo, dio de la sapienza. La madre sua se dice che fu Caliope, musa della eloquenza; costui tolse per moglie una donna chiamata Euridice, e tanto è a dire “euridice” quanto che “profundo e ragionevole giudizio”, perciò che profundamente e derittamente giudicava. Ma essendo questo senno ed andando per lo prato, cioè mentre che se delettava delle cose mundane, Aristeo, cioè la mente divina, sì la seguitava; allora el serpente, cioè el demonio de l’inferno, sì le diede di morso e sì la uccise. Ciò s’intende che ‘l demonio tresse Orfeo della bona via; vedendose Orfeo avere perduta la bona mente, cominciò a pregare dio umilmente, allora questa memoria li fu renduta sotto questa legge, ch’elli non se voltasse indietro, cioè che più non se lassasse tentare al demonio. Ma dice che se voltò indietro e ruppe la legge, allora li fu ritolta Euridice, cioè la memoria, onde procede el deritto giudicio. Allora Orfeo cominciò a <spregia>re le donne, cioè ogni cosa mundana li era in dispregio, e combatteano contra de lui, come se dirrà, perché dice che s’era dato ad usare con li gioveni. Ciò s’intende che ‘l cominciò virilemente ad operare onde fu morto dalle donne, cioè ch’elli fu morto dal mondo, sì come muoiono li altri nel mondo, e così trovò lo spirito de Euridice, cioè che, levato el velamento del corpo, l’anima retrova la mente, cioè allora è d’ogni cosa chiara. (Bonsignori, Ovidio metamorphoseos vulgare, Libro X, Allegoria A) Non ci sono quasi delle differenze tra l’allegoria di Bonsignori e quella di Del Virgilio. Ghisalberti sostiene che l’allegoria di Giovanni del Virgilio sia in fondo la stessa allegoria di quella nelle Allegorie super Ovidii Metamorphosin di Arnolfo di Orléans.263 Tuttavia, si vedono anche delle analogie con il commento boeziano di Guglielmo di Conches (e di Nicolas Trivet). Ardissino mostra che l’etimologia del nome di Euridice si rifa originariamente alle Mythologiae fulgenziane, mentre quella di Aristeo è delvirgiliana. L’identificazione del serpente con il diavolo si trovava anche nell’Ovide moralisé. Benché sia Del Virgilio che Bonsignori menzionino l’interpretazione negativa della discesa nell’Ade e l’omosessualità, Orfeo non è condannato per le sue azioni. Guardando indietro a Euridice Orfeo soccombe alle tentazioni, ma quando finalmente si allontana dagli inferi, lascia queste tentazioni spregiando le donne (in quanto cose terrene). La sua omosessualità è vista come comportamento virile. Così il comportamento di Orfeo è trasformato in qualcosa di positivo. Ciononostante Orfeo è ucciso dalle donne (dal mondo). Infine Orfeo ed Euridice sono riuniti nella morte, come descrive Ovidio. Solo alla 262 263 Giovanni del Virgilio, Allegorie, liber X, 1. Ghisalberti, op.cit., p. 89, n. 1. 96 IL MITO COME TOPOS fine Bonsignori fa una piccola digressione rispetto al suo modello, spiegando che quando Orfeo ritrovò lo spirito di Euridice, l’anima ritrovò la mente. Nel commento di Del Virgilio segue ancora una specie di riassunto in versi dopo l’interpretazione allegorica, che non è ripresa da Bonsignori.264 L’allegoria principale dell’undicesimo libro è per la maggior parte nuova e non segue dunque le Allegorie di Giovanni del Virgilio. Solo l’ultima parte dell’allegoria, in cui Bonsignori spiega moralmente alcuni elementi del racconto, si basa sul testo delvirgiliano. Dalla prima parte risulta come Bonsignori voglia da una parte spiegare le favole in maniera realistica (come fa a lungo nella prima allegoria di questo libro), ossia spiegare ‘la verità della istoria’:265 El presente undecimo libro ha in sé nove trasmutazioni, la prima è del serpente mutato in sasso. La verità della istoria fu questa: Orfeo fu uno grande filosofo e delettòse in canto ed in suono, cioè nell’arte musicale. Custui uno dì andò a sonare in uno monte, dove contemplava el corso d’una stella, e quando li era troppo tedio lu studio, per tranquillare tempo, sonava la cetira. E tornando elli a casa se scuntrò in donne, le quali per farlo sonare lu ‘ngannaro con mistura de molti vini, onde lu enebriaro, e così ebrio, passando el fiume Ebro, s’anegò dentro. [...] (Bonsignori, Ovidio metamorphoseos vulgare, Libro XI, Allegoria A) Secondo questa spiegazione Orfeo non era un poeta e musicista, ma un filosofo e forse un astrologo che come passatempo si divertiva con la cetra. La circostanza della morte di Orfeo descritta da Bonsignori è molto particolare: alcune donne gli diedero del vino per farlo suonare, dopodiché lui annegò ubriaco nel fiume Ebro. L’ultima parte dell’allegoria segue quella delvirgiliana. Da questa parte risulta che oltre alla verità storica Bonsignori, vuole studiare la morale nascosta nelle favole: Moralmente dovemo così intendere: per lo serpente intendo l’uomo invidioso, per Orfeo intendo l’uomo de bona fama, cui el serpente vuol divorare, cioè el capo de Orfeo, ch’è la bona fama. Ma intanto è vinto, che la bona fama sormonta all’invidioso, perciò ogni cosa ch’è vinta si pò dire convertita in sasso, perciò che remane senza sentimento. (Bonsignori, Ovidio metamorphoseos vulgare, Libro XI, Allegoria A) Come nelle altre allegorie di Bonsignori, la parte in cui è presentata la morale della favola dipende maggiormente dalle Allegorie delvirgiliane. Bonsignori aggiunge però spesso una spiegazione storica dei fatti266 e, pur impiegando l’allegoria morale, come avevano fatto Del 264 Giovanni del Virgilio, Allegorie, liber X, 1, 575-584. Notevole è l’uso del termine ‘istoria’, mentre nel proemio Bonsignori aveva spiegato di non scrivere storie, ma favole. 266 Anche Ardissino nota quest’evoluzione di Bonsignori rispetto all’opera di Del Virgilio (op.cit., p. XIV). 265 97 CAPITOLO 2 Virgilio e i commenti ovidiani precedenti, aggiunge delle spiegazioni evemeristiche.267 Anche la spiegazione allegorica della trasformazione delle donne si basa di nuovo sulle Allegorie di Giovanni del Virgilio. In questa allegoria (nella parte morale) Orfeo sta per l’uomo virtuoso ed Euridice per la profonda memoria. L’immagine complessiva di Orfeo è dunque positiva. Le aggiunte principali al mito riguardano le figure di Aristeo e di Cerbero. Nelle Allegorie si offrono sempre delle spiegazioni storiche e morali del mito, dalle quali Orfeo emerge come un uomo saggio ed eloquente o come un filosofo. La grande importanza dell’Ovidio metamorphoseos vulgare di Bonsignori risiede nella sua grande divulgazione nel Quattrocento e all’inizio del Cinquecento. Soprattutto le edizioni stampate dell’opera a partire del 1497 ebbero un grande successo. Fu l’unica traduzione di Ovidio pubblicata e diffusa ampiamente in quel periodo, finché Agostini pubblicò nel 1522 la sua nuova traduzione delle Metamorfosi. Nel capitolo 5 discuteremo l’edizione stampata di Bonsignori e le traduzioni cinquecentesche delle Metamorfosi. 2.3 POETA E MUSICISTA ESEMPLARE La dominanza del motivo della musica nei riferimenti letterari a Orfeo del Trecento e del Quattrocento non è molto sorprendente, data l’importanza della musica in ogni aspetto del mito. Già prima del suo matrimonio con Euridice Orfeo era un cantante meraviglioso; la sua musica ebbe una funzione importante nel suo viaggio con gli Argonauti e durante la discesa nell’Ade nel tentativo di far ritornare Euridice; la musica di Orfeo incantava gli animali e la natura e perfino dopo la sua morte la testa e la lira di Orfeo continuavano a cantare. Anche nella letteratura italiana tre e quattrocentesca la maggior parte dei riferimenti a Orfeo riguarda dunque il suo talento musicale. Nonostante le lunghe descrizioni del mito di Orfeo e le sue interpretazioni svariate da parte di Boccaccio, Simintendi e Bonsignori, i riferimenti a Orfeo e alla sua musica in altri autori sono molto brevi e molto simili. La figura di Orfeo è un vero topos retorico, che si adopera quando si parla di musica. Secondo Rosa Maria San Juan, la figura di Orfeo che incanta gli animali con la sua musica era un elemento fisso nelle prefazioni a trattati di poetica e di retorica.268 Questo potrebbe spiegare il fatto che tutti i riferimenti a Orfeo sono molto simili e sembrano avere soprattutto una funzione retorica. Anche John Block 267 Anche Boccaccio nelle Genealogie e Salutati nel De laboribus Herculis offrono delle spiegazioni evemeristiche di Orfeo. 268 R.M. San Juan, The legend of Orpheus in Italian Art 1400-1530, School of Combined Historical Studies, The Warburg Institute/University of London, 1983, p. 57. Secondo San Juan la maggior parte di questi testi era anonima e ripeteva sempre la stessa interpretazione. Non fa menzione, però, di nessun testo concreto. Inoltre, non è completamente chiaro di che periodo parla. 98 IL MITO COME TOPOS Friedman nota che dall’undicesimo al quindicesimo secolo gli studenti dovevano scrivere delle poesie su argomenti mitologici per esercitarsi nel metro latino e nell’uso delle figure retoriche.269 Le Eroidi e le Metamorfosi di Ovidio erano le fonti più popolari per questi compiti. Tra le poesie trasmesse alcune trattano di Orfeo (§ 1.5.5). Gran parte degli autori italiani aveva dunque conosciuto Orfeo a scuola durante le lezioni di grammatica e retorica, cosa che si rispecchia nel loro modo di trattare questa figura. Orfeo è considerato l’esempio per eccellenza del poeta-musicista e la sua musica è considerata perfetta. In molti riferimenti trecenteschi a Orfeo il suo nome potrebbe essere sostituito facilmente con la parola ‘musica’: il nome di Orfeo o il suo strumento diventano una specie di simbolo o personificazione della musica. Non c’entra tanto la presenza della figura mitologica, quanto la presenza della musica.270 Si possono distinguere alcune situazioni di base che si ritrovano in molti testi: il poeta avrebbe bisogno della cetra di Orfeo (cioè di musica o poesia sublime) per poter descrivere la bellezza di una donna; bisognerebbe avere la cetra di Orfeo per poter sedurre una donna; neanche la cetra di Orfeo (la musica) potrebbe rallegrare una persona triste. La musica di Orfeo ha dunque delle funzioni diverse: può descrivere la bellezza di una donna, ma può anche dare conforto. Questa differenza proviene forse dal fatto che anche nel mito antico Orfeo canta in occasioni diverse: prima della morte della moglie Orfeo suona la cetra senza motivo o per celebrare una festa; quando Euridice è morta, Orfeo adopera la musica come mezzo di persuasione nei confronti di Plutone e dopo la seconda morte di Euridice il cantante cerca conforto nella sua musica. Queste funzioni della musica di Orfeo le rivediamo anche nella letteratura italiana. Molto frequenti sono le descrizioni del primo tipo. Nelle sue Rime Giovanni Boccaccio dice che perfino il dolce canto di Orfeo o di Anfione non sarebbe in grado di descrivere la bellezza della donna amata. Nemmeno Boccaccio stesso riuscirà dunque a descrivere questa bellezza ‘in versi diseguali’ e ‘senza suono’: Quel dolce canto col qual già Orfeo Cerbero vinse e il nocchier d’Acheronte, o quel con ch’Anfion dal duro monte tirò li sassi al bel muro dirceo; o qual d’intorn’al fonte pegaseo cantar più bel color che già la fronte s’ornar d'alloro, con le Muse conte uomo lodando o forse alcun deo: sarebbe scarso a commendar costei, 269 270 Friedman, Orpheus in the Middle Ages, cit., p. 164. Un esempio di un tale uso della figura di Orfeo si trova in: Boccaccio, Filocolo, IV, 121, 5. 99 CAPITOLO 2 le cui bellezze assai più che mortali e i costumi e le parole sono. E io presumo in versi diseguali di disegnarle in canto senza suono! Vedete se son folli i pensier miei! (Boccaccio, Rime, parte prima, VIII) Il fatto che Orfeo accompagni le sue parole con il suono della cetra (e non ‘senza suono’) sembra attribuire un valore addizionale a queste parole. La combinazione di musica e poesia risulta il punto forte di Orfeo. Infatti, la combinazione delle funzioni di poeta e musicista è tipico di Orfeo. Elizabeth Newby sottolinea che il suo nome è solo di rado associato alla poesia puramente recitata o alla musica strumentale.271 Fin dall’antichità la musica e la poesia lirica erano spesso considerate la stessa cosa.272 La combinazione di Orfeo con un altro musicista famoso rafforza ancora la sua reputazione come musicista per eccellenza e come simbolo della musica. I poteri musicali di Orfeo ed Anfione sono menzionati come topos, quando si parla della forza della musica.273 Anche in un sonetto di Giusto de’ Conti (ca. 1390-1449) la bellezza di una donna deve essere cantata dalla cetra di Orfeo e non da una zampogna: Le sue virtù, la beltà, la maniera Son d’altri assai più degni omeri some, Et da cetra d’Orfeo, non da sampogna. (Giusto de’ Conti, Canzoniere, 203, vv. 12-14) 271 E. A. Newby, A Portrait of the Artist: the Legends of Orpheus and Their Use In Medieval and Renaissance Aesthetics, New York, Garland Publishing, Inc., 1987, p. 3. 272 D. Harrán, ‘Orpheus as Poet, Musician and Educator’, in: R. Charteris, Essays on Italian Music in the Cinquecento, Sydney, Frederick May Foundation for Italian Studies, 1990, p. 267; Newby, op.cit., p. 4. 273 La combinazione di Orfeo ed Anfione si trova frequentemente nella letteratura italiana del Trecento e del Quattrocento, ma occorreva già nell’antichità, quando Orazio si soffermò sulle qualità dei due cantanti nell’Arte poetica (§ 1.3.3). Secondo la tradizione Anfione voleva erigere un muro intorno alla città di Tebe, che aveva appena conquistato. Al suono della sua lira le pietre formarono un muro di propria volontà. Sia Orfeo che Anfione sono dunque in grado di incantare la natura inanimata con la loro musica. Un altro musicista mitico a cui Orfeo è paragonato tradizionalmente è Arione. Il mito di Arione proviene originariamente dalle Storie di Erodoto (I, 23-24). Lo scrittore greco racconta come Arione, che era il cantante e citaredo più famoso del suo tempo, faceva un viaggio per mare in Italia ed in Sicilia. Ritornando a casa l’equipaggio della nave voleva uccidere Arione per appropriarsi così delle ricchezze che lui aveva raccolto in Italia. Arione ottenne, però, il permesso di cantare un’ultima canzone. Dopo aver cantato nel modo più bello che poteva, Arione saltò nel mare ed era salvato da un delfino, che lo portò alla riva. Arione tornò alla corte di Periandro a Corinto, dove aveva vissuto per molto tempo prima del viaggio, svelando la frode dell’equipaggio al re. 100 IL MITO COME TOPOS Il contrasto tra la cetra e la zampogna simboleggia il contrasto tra la musica alta e la musica inferiore. Rincontreremo questo contrasto nella Fabula di Poliziano (cap. 4), dove Orfeo suona la lira e Aristeo la zampogna.274 La cetra di Orfeo, cioè la competenza di suonare e cantare, può anche essere una qualità necessaria per far innamorare una donna. Nella Comedia delle ninfe fiorentine di Boccaccio Ameto si compiange di non avere né il talento di Orfeo né altre caratteristiche utili per piacere alla donna amata (Lia): A me non è la forma d’Adone né le ricchezze di Mida né la cetera d’Orfeo né la milizia di Marte né la sagacità d’Atlanciade né la tirannia de’ Ciclopi; per le quali cose, o per alcuna d’esse, io possa, piacendo o per forza, nell’animo entrare a lei con sollecitudine, com’ella s’ingegna d’entrare a me con la sua bellezza. (Boccaccio, Comedia delle ninfe fiorentine, cap. V, 18) Un esempio del terzo tipo si trova nelle Rime di Simone Serdini, detto Il Saviozzo (ca. 1360-ca. 1420). In questo poema il personaggio che parla si sente così triste, che non potrebbe trovare consolazione neanche nella cetra di Orfeo o nell’eloquenza di Anfione, dunque nella musica: Miser, condotto in tal declinazione che forza non are’ di rallegrarmi d’Orfeo la cetra e l’orar d’Anfione! (Serdini, Rime, 77, 58-60) Oltre a questi tre motivi, ci sono anche altre situazioni stereotipate in cui si accenna alla figura di Orfeo. Anche queste situazioni non si trovano soltanto nel Trecento e nel primo Quattrocento, ma fino all’inizio del Seicento (e probabilmente anche dopo): Poeti cercano di uguagliare o di emulare il talento di Orfeo Alcuni poeti o musicisti emulano Orfeo o sono perfino considerati degli alter ego del cantante mitico Siccome Orfeo è considerato il sommo cantante-poeta, molti autori esprimono il desiderio di uguagliare o di emulare il suo talento. Anche questo desiderio diventa un vero topos letterario. L’esempio di Orfeo può essere evocato da poeti che dubitano delle loro doti poetiche e dicono di aver bisogno di quelle di Orfeo. Un esempio di un poeta che invoca il talento di Orfeo si trova in un frammento dell’Amorosa visione (ca. 1342) di Boccaccio: “O somma e graziosa intelligenzia che muovi il terzo cielo, o santa dea, 274 Un altro esempio di questo motivo si trova in: Serdini, Rime, 24, 19-24. 101 CAPITOLO 2 metti nel petto mio la tua potenzia; non sofferir che fugga, o Citerea, a me lo ‘ngegno all’opera presente, ma più sottile e più in me ne crea. Venga il tuo valor nella mia mente, tal che ‘l mio dir d’Orfeo risembri il suono, che mosse a racquistar la sua parente. (Boccaccio, Amorosa visione, canto II) È l’invocazione con cui comincia il secondo canto dell’Amorosa visione. Il narratore chiede l’aiuto di Venere perché essa gli dia ‘la potenzia’ e ‘lo ‘ngegno’ da scrivere quest’opera amorosa. La forza del canto di Orfeo risiede secondo Boccaccio nella presenza dell’amore nelle sue parole.275 Boccaccio tace sull’errore di Orfeo per usare il mito come un esempio della forza del canto ispirato dall’amore. L’autore non cambia dunque veramente la storia, ma ne omette quei particolari che non convengono al suo discorso. Anche nel sonetto seguente di Serdini che è indirizzato a Giovanni Colonna, l’autore esprime il desiderio che il suo stile rassomigli a quello di Orfeo, il prediletto delle Muse: Se in fama di tal sangue prezioso vaglia il mio stile ad essaltare in loro, col favor delle Muse, che prestôro suono a <l’> lira d’Orfeo tanto pietoso; io cantaro dell’atto virtuoso e de’ lustri Romani il gran lavoro che resse il mondo: or quivi era il tesoro, triunfo il nome suo, sol glorioso. (Serdini, Rime, 35, 1-8) Mentre alcuni poeti o musicisti cercano ancora di uguagliare la musicalità di Orfeo, altri vi sono (o credono di esservi) già riusciti. In questi casi Orfeo, il cantante migliore, è emulato da un uomo mortale. Questa situazione si trova ne La battaglia delle belle donne di Firenze con le vecchie (1353) di Franco Sacchetti. Si sente un canto tanto magnifico, che non può essere superato nemmeno dalla musica di Orfeo: 275 Hollander fa una distinzione fra due Orfei diversi nell’opera di Boccaccio: l’amante-poeta ed il poetateologo. Nell’Amorosa visione, nel Filocolo, nel Teseida e nella Comedia delle ninfe troviamo Orfeo quasi sempre come poeta amoroso (R. Hollander, Boccaccio's Two Venuses, New York, Columbia University Press, 1977, pp. 83-86). Cf. § 2.5 e § 2.7. 102 IL MITO COME TOPOS Qual paradiso o armonia celeste generrò mai sí dolce e vago canto; o quale dea per le verdi foreste, o ninfa in chiaro fiume fe’ mai tanto? Certo giá mai non furon pari a queste d’Orfeo le melodie, o di chi vanto si dié di Febo me’ saper sonare, quando di pelle Apollo il fe’ spogliare. (Sacchetti, La battaglia delle belle donne di Firenze con le vecchie, I, ott. 69) Il canto è più bello delle melodie di Orfeo o di Marsia, che venne scorticato da Apollo per averlo sfidato al canto. La descrizione di Sacchetti rassomiglia a quella di cui Lorenzo de’ Medici quando parla del canto di Marsilio Ficino (§ 3.2).276 In esempi di questo tipo Orfeo non viene rappresentato in maniera negativa, ma l’autore fa piuttosto un complimento a qualcuno dotato di un grande talento musicale. Il fatto che Orfeo sia la misura per gli altri sottolinea di nuovo il ruolo di Orfeo come ottimo musicista ed è così anche un complimento per il cantante mitologico. Tuttavia, in un madrigale del famoso compositore e organista Francesco Landini (ca. 1325-1397) il talento di Orfeo è minimizzato in modo ironico. Il canto di Orfeo viene emulato dal canto di un gallo: Sì dolce non sonò con lira Orfeo quando a sé trasse fiere, uccelli e boschi, d’Amor cantando, d’infante e di deo, come lo gallo mio di fuor da’ boschi con nota tale, che già ma’ udita non fu da Filomena in verdi boschi. Né più Febo cantò, quando schernita da Marsia fu suo tibia in folti boschi. dove, vincendo, lo spogliò di vita. Di Tebe avanza ‘l chiudente Anfione; effetto fa ‘l contrario del Gorgone. (Landini, Madrigali, 9, 1)277 Questo madrigale è uno degli scarsi esempi di Orfeo in un’opera musicale nel Trecento italiano. 276 Altri riferimenti paragonabili si trovano in: Boccaccio, Teseida, libro XII, 72, 2; Franco Sacchetti, Il libro delle rime, XLIV, 26. 277 Il madrigale si trova nel Codice Squarcialupi, che costituisce una delle fonti più importanti della musica polifonica secolare del Trecento. Il madrigale è stato registrato sul CD: Alla Francesca, Landini and Italian Ars Nova, Parigi, Opus 111, 1992 (per altre registrazioni si veda: Francesco Landini: Works List & Discography, a.c.d. T.M. McComb, http://www.medieval.org/emfaq/composers/landini.html). 103 CAPITOLO 2 Molti musicisti vengono descritti come novelli Orfei. Gioachino Cancellieri, organista della cattedrale di Ferrara, fu chiamato ‘alter huius aetatis Orpheus’ in una lettera del 1426.278 Guarino Veronese (ca. 1370-1460) scrive alcuni versi sullo stesso Cancellieri che, mentre Orfeo riusciva a muovere gli animali e i sassi con la sua cetra, era in grado di commuovere persino i sordi e i morti con il suo organo: Orphea quid mirum volucres et saxa ferasque humanumque genus cithara traxisse canora, cum tua mellifluos modulans manu utraque cantus alliciat surdos defunctaque corpora vita? (Guarino Veronese, Carmina, 37,1)279 L’identificazione di poeti-musicisti con la figura di Orfeo esiste dunque già nel Trecento e all’inizio del Quattrocento,280 ma diventerà ancora più comune nella cerchia di Marsilio Ficino di cui parleremo nel terzo capitolo. Nella persona di Ficino il topos del poetamusicista come novello Orfeo diventerà realità. Per riassumere, gli autori tre e quattrocenteschi (in particolare i poeti lirici) offrono un’immagine stereotipata e positiva di Orfeo nella sua qualità di poeta e musicista per eccellenza. Se il potere musicale di Orfeo è legato alla sua discesa nell’Ade, si evita ogni riferimento al fallimento di Orfeo per non compromettere la sua credibilità. 2.4 CIVILIZZATORE Spesso il motivo di Orfeo che incanta gli animali è interpretato in modo allegorico.281 Il passo più famoso in cui il potere ammaliante della musica è spiegato allegoricamente è senza dubbio quello nel Convivio (1304-7) di Dante. L’autore parla dei ‘quattro sensi’ con cui si possono spiegare le scritture: il senso letterale, il senso allegorico, il senso morale e 278 F.A. Gallo, “Orpheus christianus”, in: Musica nel castello. Trovatori, libri, oratori nelle corti italiane dal XIII al XV secolo, Bologna, Il Mulino, p. 113. 279 ‘Che cosa c’è di notevole nel fatto che Orfeo ha mosso gli uccelli, i sassi, le fiere e il genere umano con la cetra canora, se tu con ambedue le tue mani modulando dei dolci canti attira i sordi e i corpi morti.’ Il testo latino è citato da: Poeti d’Italia in latino (cf. bibliografia). 280 Gallo sostiene che l’identificazione con Orfeo non esiste ancora nel Trecento. Altri casi in cui musicisti sono chiamati novelli Orfei si trovano in: Petrarca, Seniles, XI, 5; Arrigo da Settimello, Arrighetto ovvero Trattato contro all'avversità della fortuna, p. 254; Lovato Lovati, Epistolae, 3, 6; Giovanni del Virgilio, Egloga ad Mussatum, v. 131. 281 Il motivo non è interpretato sempre in questo modo. Qualche volta Orfeo è semplicemente il riconciliatore degli animali: Anechini, De miraculis, 1, 4, 127. 104 IL MITO COME TOPOS infine il senso anagogico. Il mito di Orfeo è l’esempio del senso allegorico e in particolare dell’allegoria poetica: L’altro si chiama allegorico, e questo è quello che si nasconde sotto ‘l manto di queste favole, ed è una veritade ascosa sotto bella menzogna: sì come quando dice Ovidio che Orfeo facea colla cetera mansuete le fiere, e li arbori e le pietre a sé muovere: che vuol dire che lo savio uomo collo strumento della sua voce faccia mansuescere ed umiliare li crudeli cuori, e faccia muovere alla sua volontade coloro che [non] hanno vita di scienza e d'arte; e coloro che non hanno vita ragionevole alcuna sono quasi come pietre. E perché questo nascondimento fosse trovato per li savi, nel penultimo trattato si mosterrà. Veramente li teologi questo senso prendono altrimenti che li poeti; ma però che mia intenzione è qui lo modo delli poeti seguitare, prendo lo senso allegorico secondo che per li poeti è usato. (Dante, Convivio, II, 1, 4) Secondo Dante il mito di Orfeo che addomesticava gli animali è dunque una favola o una menzogna, in cui si può trovare una verità allegorica nascosta. Valeria Bertolucci Pizzorusso vede in queste parole un riferimento diretto a Bernardo Silvestre: ‘Integumentum est oratio sub fabulosa narratione verum claudens intellectum, ut de Orpheo’.282 Dante menziona Ovidio come fonte principale per il mito di Orfeo. Tuttavia, il fatto che Ovidio non attribuisca nessun valore allegorico esplicito al mito mostra secondo Zygmunt Barański che Ovidio era soltanto una fonte secondaria per Dante.283 La spiegazione allegorica di Orfeo e degli animali si trovava in varie fonti antiche e medievali,284 la prima delle quali era l’Arte poetica di Orazio. Per Orazio l’addomesticamento di animali diversi rappresenta l’idea di Orfeo che civilizza gli uomini. 282 Citato da: V. Bertolucci Pizzorusso, ‘Orfeo "englouti" nelle letterature romanze dei secc. XII e XIII. Prime attestazioni’, in: A.M. Babbi, Le metamorfosi di Orfeo. Convegno internazionale Verona, 28-30 maggio 1998, Verona, Fiorini, 1999, p. 141). 283 Z.G. Barański, ‘Notes on Dante and the Myth of Orpheus’, in M. Picone & T. Crivelli, Dante. Mito e poesia, Firenze, Franco Cesati, 1997, pp. 138-40. 284 Julius Wilhelm sostiene che Dante si basi su sant’Agostino e su Tommaso d’Aquino (‘Orpheus bei Dante’, in: H. Bihler & A. Noyer-Weidner, Medium Aevum Romanicum. Festschrift für Hans Rheinfelder, München, Hüber, 1963, p. 401). Secondo Barański Dante si basa probabilmente anche su vari commenti medievali, perché altrimenti non avrebbe scelto questo episodio come esempio dell’allegoria poetica. Anche Giovanni Padoan conferma che l’interpretazione allegorica della scena rassomiglia all’interpretazione comune nelle chiose di questo periodo (‘Orfeo’, in: Enciclopedia dantesca, vol. IV, Roma, Istituto della Enciclopedia italiana, 1970, p. 192). Secondo Bertolucci Pizzorusso i rappresentanti più importanti delle scuole di Chartres e di Orléans adoperavano il mito di Orfeo come illustrazione del processo allegorico (op.cit., p. ). Barański dice, però, che è noto un solo commento in cui il mito di Orfeo era adoperato in questo modo (commento a Marziano Cappella; Barański, op.cit., 140-41). Bisogna dunque guardare secondo lui alla fonte comune di questi riferimenti: l’Arte poetica di Orazio. Le parole ‘mansuescere ed umiliare li crudeli cuori’ si basano sulle Georgiche IV, 470: ‘mansuescere corda’. 105 CAPITOLO 2 Questa spiegazione del mito si vede anche nel Convivio di Dante: Orfeo che incanta gli animali, gli alberi e le pietre con la sua cetra sta per l’uomo savio che con la sua voce rende umili i cuori crudeli e addomestica coloro che non conoscono nessuna civilizzazione. Il mito di Orfeo rappresenta dunque per Dante l’allegoria della civilizzazione degli uomini.285 L’allegorizzazione di questo motivo fa parte di una tradizione antica che veniva impiegata nel Medioevo per trasformare l’‘integumentum’ o la ‘menzogna’ del mito pagano in una verità conciliabile con il pensiero cristiano. Lo stesso motivo di Orfeo civilizzatore sarà citato spesso anche nel Rinascimento, non semplicemente per svelare il significato del mito antico, ma piuttosto per sottolineare l’importanza dell’eloquenza nel processo della civilizzazione dell’umanità. Anche se Dante dice che Orfeo civilizza gli uomini con lo ‘strumento della sua voce’, la focalizzazione sulla forza dell’eloquenza è più forte nelle Genealogie di Boccaccio: Hac Orpheus movet silvas radices habentes firmissimas et infixas solo, id est obstinate opinionis homines, qui, nisi per eloquentie vires queunt a sua pertinacia removeri. Sistit flumina, id est fluxos et lascivos homines, qui, nisi validis eloquentie demonstrationibus in virile robur firmentur, in mare usque defluunt, id est in perpetuam amaritudinem. Feras mites facit, id est homines sanguinum rapacesque, quos sepissime eloquentia sapientis revocat in mansuetudinem et humanitatem. (Boccaccio, Genealogie deorum gentilium, V, XII, 6)286 Orfeo è rappresentato in questo passo come l’uomo che con la sua lira (che simboleggia l’eloquenza) civilizza l’umanità. Secondo Hannelore Semmelrath gli alberi simboleggiano gli uomini collerici, i fiumi quelli flemmatici e le fiere quelli sanguigni.287 La rappresentazione di Orfeo come uomo eloquente che con la retorica riesce a civilizzare gli uomini irrazionali si trovava anche nel terzo mitografo, che era una delle fonti delle Genealogie di Boccaccio (§ 1.5.3). Anche secondo Semmelrath Orfeo rappresenta nell’allegoria di Boccaccio ‘die spezifische Bildungsidee’ dell’umanesimo.288 August Buck dice che a partire da Boccaccio il mito di Orfeo civilizzatore accompagna lo sviluppo delle 285 Oltre a Dante anche Petrarca spiega il motivo in senso allegorico nell’Invective contra medicum, liber I. Non spiega, però, esattamente quale sarebbe questo significato. 286 ‘Con queste [doti musicali] Orfeo muove le selve che hanno radici profondissime e infisse al suolo, cioè le ostinate opinioni degli uomini, i quali non possono essere mossi dalla loro pertinacia se non con la forza dell’eloquenza. Orfeo arresta i fiumi, ossia gli uomini fiacchi e lascivi, i quali, se non siano, con valide dimostrazioni di eloquenza, confermati nella virile fortezza, defluiscono come i fiumi fino al mare, cioè nella perpetua amarezza. Orfeo ammansisce le fiere, ossia gli uomini sanguinari e rapaci, che molto spesso l’eloquenza del sapiente richiama alla mansuetudine e all’umanità.’ 287 Semmelrath, op.cit., pp. 23-24. Hege sostiene che la menzione dei fiumi mostra l’influenza di Boezio o di un commento medievale a Boezio (op.cit., p. 261). 288 Secondo San Juan Salutati attribuisce lo stesso significato allegorico alla lira di Orfeo spiegando un’altra parte del mito (op.cit., p. 53). Discuteremo l’allegoria di Salutati nel § 2.8. 106 IL MITO COME TOPOS forze creative del Rinascimento.289 Buck sottolinea inoltre la presenza del concetto di ‘humanitas’ in Boccaccio: Von Boccaccio angefangen begleitet der Mythos von Orpheus dem Kulturbegründer die Entfaltung der schöpferischen Kräfte der Renaissance. Schon Boccaccio gebraucht in Verbindung damit das Schlüsselwort der neuen Bildungsbewegung, “humanitas” [...] Die “humanitas” kommt zum Ausdruck im Zusammenleben der Menschen innerhalb der Gemeinschaft. Nel Quattro e nel Cinquecento la figura di Orfeo civilizzatore tornerà spesso nei trattati di poetica che spiegano il valore e le funzioni della poesia. Anche nelle arti figurative quattrocentesche troviamo un esempio dell’allegoria di Orfeo e gli animali (ill. 2.3). Si tratta di un bassorilievo di Luca della Robbia sul campanile del Duomo a Firenze (1437-39).290 A sinistra di Orfeo si vede un gruppo di uccelli (probabilmente delle oche) e a destra si trovano alcuni leoni e una specie di maiale o cinghiale. La composizione è un esempio tipico delle raffigurazioni di Orfeo e gli animali: il cantante sta seduto ai piedi di un albero e suona il suo strumento (che qui per motivi di assimilazione storica è diventato una specie di liuto). A destra e a sinistra si trovano varie specie di animali. 2.3 Luca della Robbia, Orfeo (Musica/Poesia), 1437-39 289 A. Buck, op.cit., p. 15. L. Della Robbia, Orfeo (Musica / Poesia / Retorica), 1437-39. Firenze, Museo dell’Opera del Duomo, Sala delle Formelle del Campanile. 290 107 CAPITOLO 2 Questa composizione esagonale di Della Robbia fa parte di una serie di bassorilievi che raffigurano alcune delle arti. Il tema complessivo di questa serie è il cammino dell’uomo verso la perfezione, partendo dalla creazione fino all’eterna salvezza.291 Le formelle sul lato nord, dove si trova Orfeo, raffigurebbero le attività intellettuali dell’uomo, che comprendono le arti liberali del Trivio e del Quadrivio. In questa serie Orfeo rappresenterebbe la Musica o la Poesia.292 Secondo altri studiosi, invece, Orfeo sarebbe il simbolo della Retorica.293 In ogni caso, Orfeo è rappresentato nel bassorilievo di Della Robbia come un civilizzatore, che istruisce gli uomini nelle arti. 2.5 AMANTE Un altro aspetto fondamentale di Orfeo nell’antichità romana era il suo amore per Euridice. Virgilio e Ovidio furono i primi a descrivere il racconto amoroso elaboratamente. Quando Euridice morì, mentre stava fuggendo da Aristeo (Virgilio) o mentre stava cogliendo fiori (Ovidio), Orfeo non si mise il cuore in pace. Discese nell’Ade per riprendersela, ma guardò indietro e la perdette di nuovo. I due aspetti del racconto amoroso che si incontrano più spesso nei testi letterari del Tre e del primo Quattrocento sono il canto di Orfeo nell’Ade e il suo sguardo indietro che gli fece perdere Euridice per sempre (§ 2.6). Nel paragrafo precedente ho già discusso alcuni riferimenti alla discesa di Orfeo nell’Ade, perché quello che conta in questi riferimenti è soprattutto il potere del canto.294 Come nei riferimenti a Orfeo cantante, anche in questi riferimenti al canto nell’Ade e all’errore di Orfeo il mito è trattato come topos. Il mito non è mai narrato elaboratamente e non vengono aggiunti elementi nuovi e personali. In alcune poesie dei Rerum vulgarium fragmenta, Francesco Petrarca paragona il suo amore per Laura a quello di Orfeo per Euridice. Nicola Gardini ha mostrato che questo paragone tra Petrarca e Laura da una parte e di Orfeo ed Euridice dall’altra si sviluppa 291 Carlo Montrésor, Il Museo dell’Opera del Duomo a Firenze, Mandragora, Firenze, 2000, p. 78. Secondo Vasari Orfeo rappresenterebbe in questo contesto la musica e molti studiosi lo seguono in quest’interpretazione (Vasari, Le vite de’ più eccellenti pittori, scultori e architetti, in: A. Chastel, Art et humanisme a Florence au temps de Laurent le Magnifique. Études sur la Renaissance et l'Humanisme platonicien, Université de Paris, 1959, p. 196 (Tubalcain rappresenterebbe la musica strumentale e Orfeo quella superiore, cioè la via dello spirito); Scavizzi, op.cit., pp. 111-13). 293 Pope-Hennessy dice che la Musica è rappresentata in questa serie di bassorilievi da Iubal (San Juan, op.cit., p. 43; Semmelrath, op.cit., p. 51). Nella Bibbia si dice che Iubal era il primo a suonare degli strumenti musicali (Gen. 4, 21). 294 Cfr. Boccaccio, Rime, parte prima, VIII; Pucci, Libro di varie storie, 29, 4 (§ 2.3.1); Boccaccio, Amorosa visione, canto II (§ 2.3.2). 292 108 IL MITO COME TOPOS gradualmente.295 In tutto il Canzoniere si trovano dei riferimenti a Virgilio e alle sue Georgiche, soprattutto per mezzo di ripetizioni di sintagmi, di frasi e di allegorie. Qualche volta, però, la ripetizione del modello si trova anche a livello semantico.296 Nella seconda parte del Canzoniere si può rintracciare una linea narrativa del mito di Orfeo ed Euridice, che comincia nella canzone 270. Petrarca supplica Amore di risuscitare Laura. In questa poesia si trovano soltanto delle allusioni indirette al mito di Orfeo: Amor, se vuo’ ch’i’ torni al giogo anticho, come par che tu mostri, un’altra prova meravigliosa et nova, per domar me, conventi vincer pria. Il mio amato tesoro in terra trova, che m’è nascosto, ond’io son sí mendico, e ‘l cor saggio pudico, ove suol albergar la vita mia; et s’egli è ver che tua potentia sia nel ciel sí grande come si ragiona, et ne l’abisso (perché qui fra noi quel che tu val’ et puoi, credo che ‘l sente ogni gentil persona), ritogli a Morte quel ch’ella n’à tolto, et ripon’ le tue insegne nel bel volto. (Petrarca, RVF, CCLXX, 1-15) La preghiera di Petrarca ad Amore ricorda quella di Orfeo negli inferi. Gardini accenna alle rassomiglianze tra i versi 14 e 15 di questa canzone e i vv. 469-70 delle Georgiche IV.297 Concordo con lui sul fatto che i due versi petrarcheschi fanno pensare all’orazione di Orfeo; non tuttavia a quella descritta brevemente nelle Georgiche, ma piuttosto a quella dettagliata di Ovidio. Gardini respinge Ovidio ingiustamente come modello d’ispirazione per via della distribuzione coerente dei riferimenti virgiliani: dato che dappertutto nel Canzoniere si trovano dei riferimenti al quarto libro delle Georgiche, Petrarca deve basarsi secondo Gardini su Virgilio anche per quanto riguarda il mito di Orfeo.298 Mentre a partire 295 N. Gardini, ‘Un esempio di imitazione virgiliana nel Canzoniere petrarchesco: il mito di Orfeo’, Modern Language Notes 110, 1 (1995), pp. 132-144. 296 Gardini, op.cit., pp. 137-38. 297 ‘Taenarias etiam fauces, alta ostia Ditis, / et caligantem nigra formidine lucum / ingressus manesque adiit regemque tremendum / nesciaque humanis precibus mansuescere corda.’ (Georgiche IV, 467-70) (Gardini, op.cit., p. 138). 298 Gardini, op.cit., p. 139. 109 CAPITOLO 2 del sesto sonetto il poeta si era paragonato ad Apollo, nella canzone 270 cominciano secondo Gardini a manifestarsi le analogie tra Petrarca e Orfeo. Il momento supremo dell’analogia tra la coppia Petrarca-Laura e la coppia OrfeoEuridice si trova nella canzone 323.299 Petrarca era già stato assimilato a Orfeo, ma ora anche Laura si trasforma in Euridice: Alfin vid’io per entro i fiori et l’erba pensosa ir sí leggiadra et bella donna, che mai nol penso ch’i’ non arda et treme: humile in sé, ma ‘ncontra Amor superba; et avea indosso sí candida gonna, sí texta, ch’oro et neve parea inseme; ma le parti supreme eran avolte d’una nebbia oscura: punta poi nel tallon d’un picciol angue, come fior colto langue, lieta si dipartio, nonché secura. Ahi, nulla, altro che pianto, al mondo dura! (Petrarca, RVF, CCCXXIII) La morte di Laura è identica a quella di Euridice: è morsa da un serpente. Naturalmente questa è un’invenzione puramente letteraria; in realtà Laura morì nel 1348 di peste nera. Per Petrarca l’idea della similitudine è dunque più importante della situazione reale. Questo passo fa pensare a quello nell’Elegia di Madonna Fiammetta (1343-44) di Boccaccio, in cui Fiammetta sogna di esser morsa da un serpente: E così ornata levatami, quale Proserpina allora che Pluto la rapì alla madre, cotale m’andava per la nuova primavera cantando; poi, forse stanca, tra la più folta erba a giacere postami, mi posava. Ma non altramenti il tenero piè d’Erudice trafisse il nascoso animale, che me sopra l’erbe distesa una nascosa serpe, venendo tra quelle, parve che sotto la sinistra mammella mi trafiggesse; il cui morso, nella prima entrata degli aguti denti, pareva che mi cocesse; ma poi asicurata, quasi di peggio temendo, mi parea mettere nel mio seno la fredda serpe, imaginando lei dovere, col beneficio del caldo del proprio petto, rendere a me più benigna. (Boccaccio, Elegia di Madonna Fiammetta, cap. I, 3, 3) Diversamente da quello che succede a Euridice, Fiammetta è morsa nel petto. Quando il serpente è sazio del sangue, l’animale se ne va. La donna sente come il veleno cerca una via al suo cuore e aspetta la morte, ma, quando il dolore diventa troppo forte, lei si sveglia. 299 Gardini, op.cit., p. 141. 110 IL MITO COME TOPOS Come spiega Katherine Heinrichs, il sogno di Fiammetta è un sogno premonitore.300 Fiammetta sta per avventurarsi in un amore illecito con Panfilo. La similitudine con Proserpina ed Euridice risiede nel fatto che anche Fiammetta scenderà fra poco nell’Ade, cioè l’inferno della vita irrazionale in questo mondo.301 Fiammetta considera se stessa un exemplum, che deve dissuadere le altre giovani donne dalla passione. Euridice non è un esempio da seguire. Mentre nella canzone 323 Petrarca non ammetteva ancora esplicitamente le somiglianze tra Laura ed Euridice, nella poesia 332 troviamo infine un paragone esplicito: Or avess’io un sí pietoso stile che Laura mia potesse tôrre a Morte, come Euridice Orpheo sua senza rime, ch’i’ viverei anchor piú che mai lieto! S’esser non pò, qualchuna d’este notti chiuda omai queste due fonti di pianto. (Petrarca, RVF, CCCXXXII, 49-54) In questa poesia Orfeo non è soltanto rappresentato come amante, ma anche come cantante esemplare (cfr. § 2.3). Tutti i riferimenti alla storia d’amore di Orfeo ed Euridice in rapporto al proprio amore per Laura si trovano nella seconda parte del Canzoniere. Questa parte contiene soprattutto delle poesie che sono state scritte dopo la morte di Laura. Si noti di nuovo che per poter adoperare il motivo in questo luogo Petrarca omette discretamente la fine tragica del mito. L’amore di Orfeo e la sua discesa nell’Ade si trovano anche in un’altra opera di Petrarca, i Trionfi.302 Petrarca vede nel trionfo dell’Amore dei personaggi stimati della storia pagana, che sono incatenati come il bestiame di Cupido. Gli eroi sono stati cambiati in prigionieri le cui anime sono legate alla terra.303 Secondo Heinrichs gli amanti classici sono moralizzati da Petrarca (e da Dante nella Commedia) come exempla di un comportamento vanitoso e distruttivo. Petrarca non venera l’Amore, ma riconosce il suo potere. Anche Boccaccio incontra Orfeo nell’Amorosa visione nel trionfo dell’Amore, dove il poeta antico si trova in compagnia di molti altri amanti. L’accento non è messo tanto sulla funzione di Orfeo come musicista, quanto sul suo ruolo come amante. Orfeo si trova accanto a Euridice e implora da Amore di prestargli Euridice ‘lunga stagion con gioia’: 300 K. Heinrichs, The Myths of Love. Classical Lovers in Medieval Literature, University Park/London, The Pennsylvania State University Press, 1990, p. 156. 301 Heinrichs, op.cit., p. 157. 302 Petrarca, Trionfi, Triumphus cupidinis, 4, 13. 303 Heinrichs, op.cit., p. 74. 111 CAPITOLO 2 Poi rimirando ad altro ivi presente, vidi colui che il dolente regno sonando visitò sì dolcemente: Orfeo dico, che col suo ingegno fece le misere ombre riposare, con la dolcezza del cavato legno. Sonando ancora quivi il vidi stare con Erudice sua, e mi parea che il vedessi sonando cantare, sollazandosi, versi, e sì dicea: “Amore, a questa gioia mi conduce la fiamma tua che nel cor mi si crea. Amor, de’ savi graziosa luce, tu se’ colui che ‘ngentilisci i cori, tu se’ colui che ‘n noi valore induce. Per te si fugano angosce e dolori, per te ogni allegrezza ed ogni festa surge e riposa dove tu dimori. O spegnitor d’ogni cosa molesta, o dolce luce mia, questa Erudice lunga stagion con gioia la mi presta! Sempre mi chiamerò per te felice, per te giocondo, per te amadore starò come fa pianta per radice”. A veder quel mi s’allegrava il core, e ‘mmaginando quelle parolette, a me, non che a lui, crescea valore. (Boccaccio, Amorosa visione, XXIII, vv. 4-30) Sia nella canzone 270 di Petrarca che nel passo di Boccaccio l’amante rivolge una supplica ad Amore, che fa pensare alla supplica di Orfeo di fronte a Plutone. La figura dell’amante sembra descritta con molta simpatia, ma per quanto riguarda Petrarca l’amore di Orfeo è descritto in maniera positiva solo nel Canzoniere. Nelle altre sue opere Petrarca è più critico su questo amore, come vedremo nel paragrafo seguente.304 L’incongruenza tra le 304 L’amore di Orfeo è anche condannato nell’Africa, VI, 54-56. Quando Sofonisba discende nell’Ade, incontra Orfeo nella pianura degli amanti. Orfeo si trova in compagnia di quelli che sono accusati di ‘malesuadus amor’ (Heinrichs, op.cit., p. 75; San Juan, The Legend of Orpheus, cit., p. 81). Orfeo è condannato da Petrarca come ‘spoliator Averni’. Inoltre, Petrarca ridicolizza l’amore di Orfeo nel Remedium contra fortuna e nel Secretum, dove Agostino deride gli amanti che sempre piangono e sospirano. L’unico remedio è fuggire dall’amore carnale (Heinrichs, op.cit., pp. 76-77). 112 IL MITO COME TOPOS diverse descrizioni dell’amore di Orfeo ed Euridice nelle opere di Petrarca sembra spiegarsi con il conflitto di Petrarca tra i doveri religiosi e il suo attaccamento alle cose terrene come l’amore per Laura. Per questo motivo Petrarca paragona qualche volta il proprio amore a quello di Orfeo, e in altri casi lo condanna. Il comportamento amoroso di Orfeo è condannato anche implicitamente nel Filocolo (1336-1338) di Boccaccio. Mentre Caleon difende l’amore carnale, Fiammetta difende quello onesto. Caleon menziona Orfeo come esempio supremo della difesa del proprio amore (senza menzionare la fine tragica).305 La regina non dubita che l’amore abbia dato ogni dolcezza al canto di Orfeo, perché l’amore sempre riempie le lingue di dolcezza e di lusinghe. Ma le lusinghe appartengono all’uomo vile o infimo, per cui Orfeo è indirettamente accusato di viltà.306 Questo è l’unico luogo nelle opere boccacciane che raccontano di Orfeo poeta-amante (Filocolo, Teseida, Comedia delle ninfe e Amorosa visione), in cui Orfeo è attaccato apertamente, ed è l’unica volta che Orfeo è invocato da parte di qualcuno che non è innamorato lui stesso.307 Hollander sottolinea che sia in questo passo che nell’Amorosa visione (nel trionfo dell’Amore) il mito conosce un esito felice, in cui gli amanti sono riuniti. Hollander indica quest’omissione come una caratteristica comune di personaggi che vogliono vedere Orfeo come un esempio positivo dell’amore.308 Questo fenomeno l’incontreremo in dimensioni maggiori nel primo melodramma, l’Euridice di Peri (cap. 7), dove il contesto è distorto, o Orfeo poeta-amante è trattato di nuovo in modo ironico.309 Nei Trionfi di Petrarca e nell’Amorosa visione di Boccaccio alla fine l’amore non trionfa. Nei Trionfi l’Amore è superato dalla Castità, dalla Morte, dall’Onore, dal Tempo e dall’Eternità. L’Amorosa visione finisce con un trionfo rovesciato della Fortuna. Boccaccio sottolinea che non si deve bramare uno dei quattro tipi di trionfi (Sapienza, Gloria, Richezza, Amore), ma cercare di raggiungere, invece, il vero bene.310 Questo messaggio si riallaccia all’immagine di Orfeo in cerca del sommo bene che Petrarca e altri autori trecenteschi propongono. Heinrichs sostiene che la carrateristica principale dell’uso di amanti classici come Orfeo ed Euridice da parte dei poeti medievali è forse l’estrema convenzionalità. Le figure non sono sempre adoperate nello stesso modo, ma la variazione dei modi è ridotta e ben 305 Boccaccio, Filocolo, Libro IV, 45, 7. Boccaccio, Filocolo, Libro IV, 46, 11. 307 Hollander, op.cit., p. 83-86. 308 Hollander, op.cit., p. 83-86. Altri esempi nell’opera di Boccaccio sono: Teseida, Libro VIII, 103, 5; Comedìa, Cap. II, 1-9. 309 Hollander, op.cit., p. 83-86. 310 Lo stesso atteggiamento dualistico di Petrarca e Boccaccio si vede nei confronti di Ercole, cfr. Rietveld, ‘Il mito e il personaggio di Ercole’, cit., pp. 105-108. 306 113 CAPITOLO 2 delineata.311 La lode e la critica delle donne costituivano due lati di un topos retorico, in cui gli amanti classici erano usati come exempla. Così gli studenti si esercitavano nella retorica. Nel Medioevo questo topos era una suddivisione delle prediche contro la sopravvalutazione dei temporalia in generale.312 2.6 ORFEO IN CERCA DEL SOMMO BENE Dopo la supplica di Orfeo, Plutone gli concede di riprendere Euridice al mondo dei vivi. Plutone gli vieta, però, di guardare indietro prima di aver raggiunto la luce. Come abbiamo visto nel primo capitolo questo divieto di guardare indietro e la violazione di questo divieto da parte di Orfeo si trovano per la prima volta nelle Georgiche di Virgilio. Dopo Virgilio l’errore di Orfeo ritorna spesso nella letteratura. Soprattutto nel Medioevo questa parte del mito di Orfeo ed Euridice era molto adatta ad interpretazioni allegoriche e cristiane. Anche nella letteratura italiana del Trecento si trovano ancora delle interpretazioni allegorico-cristiane del mito. Nonostante la sua rappresentazione positiva di Orfeo amante nel Canzoniere, Petrarca critica il suo errore nel Secretum: Quam minima sunt interdum que animum emergentem in summas miserias reimpellunt! Consprecta in alterius tergo pupura ambitionem renovat; visus nummorum acervulus avaritiam integrat; spectata corporis species luxuriam incendit; levis oculorum flexus amorem dormitanten excitat. He nimirum pestes facile in animas, propter vestram dementiam, veniunt; at postquam semel iter didicerunt, multo facilius revertuntur. Que cum ita sint, non tantum locus pestifer relinquendus, sed quicquid in preteritas curas animum retorquet, summa tibi diligentia fugiendum est; ne forte cum Orpheo ab inferis rediens retroque respiciens recuperatam perdas Euridicem. Hec nostri consilii summa est. (Petrarca, Secretum, III, 9, 13)313 L’anima non deve tornare indietro ai vizi terreni come l’ambizione, l’avarizia e la lussuria, se non vuole ricadere nella miseria. Petrarca afferma nelle Seniles che una persona 311 Heinrichs, op.cit., p. 81. Heinrichs, op.cit., p. 81. 313 ‘Quanto son piccole talvolta le cause che risospingono al colmo dell’infelicità un animo che ne stava emergendo! Il mantello di porpora visto sulle spalle di un altro risveglia l’ambizione; la vista di un mucchietto di monete riacutizza l’avarizia; contemplare la bellezza di un corpo riaccende la lussuria; un lieve volger di occhi ridesta l’amore assopito. Questi mali raggiungono facilmente gli animi per via della vostra follia, è chiaro; ma una volta imparata la strada, ritornano molto più facilmente. Così stando le cose, devi non soltanto lasciare le località malsane, ma evitare con la massima cura tutto ciò che risospinge l’animo ai pensieri del passato: che a volte, uscendo con Orfeo dall’Inferno e guardandoti indietro, tu non abbia a perdere la riconquistata Euridice. Questa è la somma dei miei consigli.’. 312 114 IL MITO COME TOPOS conosciuta da molti non deve rovinarsi la reputazione.314 Una volta che si è cominciato a fare o essere qualcuno, si deve continuare a farlo. Il mito di Orfeo e in particolare la violazione della legge infernale da parte del cantante è vista come un esempio dell’affermazione che non si deve deviare dalla strada scelta. Per mostrare la verità della sua affermazione Petrarca non menziona solo il mito di Orfeo, ma anche due esempi biblici. Il riferimento al vangelo di Luca si trovava spesso nei commenti medievali a Boezio a partire da Notker Labeone (§ 1.5.1). Anche l’umanista e cancelliere fiorentino Coluccio Salutati (1331-1406) si riferisce nel De seculo et religione (1381) a vari racconti biblici. Si rivolge a un suo amico che ha dedicato la sua vita a Dio: (3) O te felicem, mi Ieronime, si corrumpentis mundi non revertaris ad vomitum, si, postquam ad aratrum manum posuisti, te non converteris retro, si salutem anime tue, imo [sic] ipsam animam, in dei obedientia continebis, si eam inter hec terrena respicere non optabis. (4) Hactenus enim ipsa in terrenarum rerum inferno demersa tam dulci modulatione, sicut de Orpheo fabule referunt, hoc est illa eterni dei et divine eternitatis armonia secundum quam misterio sacri baptismatis et ordinis carathere clericalis demumque funiculo religionis deum flectimus, apud inferos cecinisti quod ipsam inferorum duricia superata dono recipere meruisti, lege tam accepta quod, donec eam ab inferis extraxeris, illam apud inferos respicere non deberes. (5) Si enim ipsam, ut de illo summo poeta non incongrue fictum est, aliquando apud inferos aspicere voles, tam carum donum amittes, forte frustra cunctis tue vite temporibus concenturus. [...] (7) Semel deo consecratus es. Sacrilegium erit si te iterum converteris ad terrena. (Salutati, De seculo et religione, cap. VI, p. 110)315 Salutati adopera il mito per mostrare che l’uomo cristiano non deve tornare alle cose terrene, ma che deve seguire la strada diretta a Dio. Illustra il suo racconto non solo con il 314 Petrarca, Seniles, IX, 1. Anche nelle Seniles XV, 3 Petrarca è molto negativo sull’amore di Orfeo ed Euridice. L’autore scrive a un amico che lui stesso e l’amico non hanno bisogno di una donna, perché l’unico vantaggio di una donna è che essa è in grado di trasmettere il tuo nome attraverso la riproduzione. Petrarca preferisce, però, trasmettere il suo nome attraverso il proprio talento, scrivendo dei libri. 315 ‘(3) O te felice, mio Geronimo, se non ti volgi al vomito del mondo che si sta corrompendo, se, dopo aver messo mano all’aratro, non tornerai indietro, se manterrai la salute dell’anima tua, pure l’anima stessa, per ubbidienza a dio, se non desidererai che essa guardi indietro fra queste cose terrene. (4) Quando essa era sommersa fino a tal punto nell’inferno delle cose terrene, tu con modulazione tanto dolce, come le favole dicono su Orfeo, cioè con quell’armonia del dio eterno e dell’eternità divina, secondo la quale noi con il mistero del sacro battesimo e con il carattere dell’ordine clericale e perfino con il filo della religione ci volgiamo a Dio, hai cantato negli Inferi, che dopo aver superato la crudeltà degli Inferi ti sei meritato di ricerverla in dono, dopo aver così accettata la legge, che non la dovesti guardare negli Inferi, finché l’avevi estratta dagli Inferi. (5) Perché, se, come è stato inventato non senza ragione su quel sommo poeta, vorrai vederla mai negli Inferi, perderai un dono tanto caro, che forse canterai invano in tutti i tempi della tua vita. [...] (7) Una volta ti sei consacrato a dio. Sarà un sacrilegio convertirti di nuovo alle cose terrene.’ 115 CAPITOLO 2 mito di Orfeo, ma fa riferimento anche al vangelo di Luca. Poi cita un’altra frase biblica: ‘sicut canis qui revertitur ad vomitum suum sic inprudens qui iterat stultitiam suam’.316 L’uomo imprudente che torna agli errori commessi prima è abominevole come il cane che torna al proprio vomito. Il topos dello sguardo indietro e delle sue conseguenze negative si trova anche fuori del contesto del mito di Orfeo ed Euridice. Nel sonetto 273 Petrarca allude al mito parlando del divieto di guardare indietro: Che fai? che pensi? che pur dietro guardi nel tempo, che tornar non pote omai? (Petrarca, RVF, CCLXXIII, 1-2) Questa idea dell’errore del voltarsi e del guardare indietro torna alcune volte nelle opere di Petrarca. Anche nelle opere di Dante si trovano vari esempi del topos degli effetti dello sguardo indietro. Già nel primo canto dell’Inferno è ripetuto continuamente il movimento del tornare indietro.317 Secondo Paola Rigo, l’allusione a Orfeo in questo canto sembra quasi inevitabile.318 Nel suo commento alla Commedia, Pietro Alighieri, il figlio di Dante, nota la ricorrenza del tema e lo lega anche al racconto della moglie di Lot e a Luca 9:62.319 Pietro rimanda anche ad un altro esempio nel nono canto del Purgatorio, dove un angelo apre la porta del Purgatorio, ma ammonisce gli spiriti di non guardare indietro: […] « Intrate; ma facciovi accorti che di fuor torna chi ‘n dietro si guata». (Dante, Purgatorio, IX, 131-32) Secondo Ettore Paratore quest’ammonizione è un’allusione al mito di Orfeo descritto da Virgilio nelle Georgiche.320 Altri commenti indicano secondo lui soltanto l’influenza di Ovidio, di Boezio e del vangelo di Luca, ma non delle Georgiche. Paratore mostra, però, che 316 Proverbia (Biblia Vulgata), 26, 11: ‘Lo stolto che ricade nella sua follia, è come il cane che torna al suo vomito.’ 317 P. Rigo, Memoria classica e memoria biblica in Dante, Firenze, Leo S. Olschki, 1994, pp. 57-60. 318 Rigo, op.cit., pp. 57-60. 319 Petri Allegherii super Dantis ipsius genitoris comoediam commentarius, a.c.d. V. Nannucci, Firenze, 1845, pp. 14f. 320 E. Paratore, ‘Il l. IV delle Georgiche e il c. IX del Purgatorio’, in: Miscellanea di studi in onore di Aurelio Roncaglia a cinquant’anni dalla sua laurea, vol. III, Modena, Mucchi, 1989, pp. 959-963; A. Limentani, ‘Casella, Palinuro e Orfeo. “Modello narrativo” e “rimozione della fonte”’, in: La parola ritrovata. Fonte e analisi letteraria, a.c.d. C. di Girolamo e I. Paccagnella, Palermo, Sellerio, 1982, p. 92. 116 IL MITO COME TOPOS tra il testo di Dante e quello di Virgilio si trovano delle somiglianze notevoli.321 All’inizio del decimo canto Dante ripete l’idea di non poter guardare alla porta che si chiude dietro di lui: Poi fummo dentro al soglio della porta Che il malo amor dell’anime disusa, perché fa parer dritta la via torta, sonando la senti’ esser richiusa; e s’io avessi gli occhi volti ad essa, qual fora stata al fallo degna scusa? (Dante, Purgatorio, X, 1-6) Anche nel commento a questo passo Pietro Alighieri indica le possibili allusioni all’episodio biblico di Lot e al mito di Orfeo ed Euridice.322 Discendendo nell’Ade Dante ripete l’impresa di famosi predecessori come Enea, Paolo e Orfeo. Secondo Alberto Limentani una ripresa parziale del mito di Orfeo potrebbe anche essere presente nell’episodio di Casella nel canto II del Purgatorio.323 Dante chiede al suo amico e musicista Casella, che è appena arrivato nel purgatorio, di cantargli una canzone per consolare la sua anima. Quando Casella esaudisce il desiderio di Dante, il poeta e tutte le anime presenti dimenticano le loro occupazioni e sono soltanto attenti alle sue note.324 Questo passo ricorda l’effetto del canto di Orfeo nell’Ade, come descritto da Virgilio e Ovidio. Nel Purgatorio l’incanto è, però, interrotto bruscamente dall’arrivo di Catone.325 Secondo Rigo, contrariamente alla discesa di Orfeo nell’Ade, nella discesa di Dante le sue parole non offrono un alleggerimento delle pene a nessuno. L’inferno dantesco costituisce la sconfitta della parola, che nell’aldilà cristiano non è in grado di ‘mansuescere corda’.326 Il potere del canto è ricordato nell’episodio di Casella, ma è subito respinto dall’intervento di Catone. Sia nel primo canto dell’Inferno che nell’episodio di Casella ci potrebbe essere una polemica silenziosa di Dante contro la figura di Orfeo che tradizionalmente simboleggia l’eloquenza, la poesia e la musica, e che nell’aldilà cristiano è 321 Esempi della similitudine tra il testo di Dante e quello di Virgilio sono: il fatto che la descrizione dantesca del Tartaro rassomiglia molto a quella nelle Georgiche, l’uso delle parole ‘porta sacrata’ e ‘tuono/suono’ (cf. ‘fragor’, Georg. IV, 493). (Paratore, op.cit., pp. 962-963). 322 ‘Quod colligi potest figurative quantum ad moralitatem in Eurydice uxore Orphei, quae retrogressa est ad inferos propter respectionem retro talem. Anagogice, seu spiritualiter, colligi potest in uxore Loth [...]’ (Pietro Alighieri, op.cit., pp. 366-67; citato da Limentani, op.cit, p. 92). 323 Limentani, op.cit., p. 94. 324 Dante, Purgatorio, I, 112-119. 325 Limentani, op.cit., pp. 91-93. 326 Cfr. le analogie tra Virgilio, Georgiche, IV, 470 e Dante, Convivio, II, I, 4. 117 CAPITOLO 2 inefficace o perfino colpevole. Quando nell’episodio di Casella si rivela l’incanto della musica di Orfeo, la figura mitologica è discussa di nuovo con l’autorità della Bibbia e respinta definitivamente. I poeti e i musicisti antichi si allontanano con lui.327 Anche nel canto V del Purgatorio Dante è rimproverato da Virgilio per essersi fermato ed aver parlato con anime che aveva già interpellato prima.328 Dante deve sempre guardare in avanti verso Beatrice, e non indietro. Contano soltanto gli incontri che servono a preparare l’ultimo incontro con Beatrice. Secondo Michelangelo Picone Dante finge di non conoscere le anime che l’interpellano dopo (tra cui Iacopo del Cassero e Buonconte da Montefeltro), come aveva esitato a riconoscere Casella e Belacqua. Questo disinteresse finto è causato dal bisogno di distanziarsi dalle preoccupazioni terrene: la cultura razionalistica (Casella), la vita spensierata e bohémienne (Belacqua), la politica (Iacopo del Cassero) e la vita militare (Buonconte).329 Quando alla fine del Purgatorio Virgilio lascia Dante, il linguaggio ricorda il dolore di Orfeo per Euridice.330 Secondo David Brumble la perdita di Virgilio deve essere intesa come la perdita dei legami terreni.331 Anche se apparentemente Dante non si riferisce quasi mai al mito di Orfeo nella Divina Commedia, ci sono dunque delle allusioni implicite in vari momenti dell’Inferno e del Purgatorio. Come Orfeo, Dante non può voltarsi indietro nel suo viaggio dall’inferno al paradiso. Il poeta deve staccarsi dalle cose terrene e indirizzarsi alla vita spirituale. Già nella Vita Nuova (1292-1293) Dante aveva introdotto, secondo Paola Rigo, delle analogie tra il proprio amore e quello di Orfeo.332 Si potrebbe dire che anche Dante prima di ritrovare Beatrice e il suo stile nuovo, deve morire così come Orfeo viene ucciso nelle Metamorfosi.333 Il riferimento a Orfeo è ancora più chiaro nel passo in cui la voce di Dante parla quasi da sé lungo un ‘rivo chiaro molto’ e dopo molte sconfitte, come la lingua di Orfeo nell’acqua dell’Ebro.334 Inoltre, la ripetizione del nome di Euridice nelle Georgiche si vede anche nella continuata menzione del nome di Beatrice.335 Secondo Rigo il mito sembra fornire la base del racconto dantesco, anche nei momenti in cui Dante nega ed emula il mito: mentre nelle Georgiche Orfeo perdette Euridice perché era immemor, Dante invece ricorda.336 327 Rigo, op.cit., p. 94. M. Picone, ‘Il canto V del Purgatorio fra Orfeo e Palinuro’, L’Alighieri 40, 13 (1999), pp. 39-52. 329 Picone, op.cit., pp. 42-43. 330 Dante Alighieri, Purgatorio, XXVII, 109-142. 331 D.H. Brumble, Classical Myths and Legends in the Middle Ages and the Renaissance. A Dictionary of Allegorical Meanings, London-Chicago, Fitzroy Dearborn, 1998, p. 250. 332 Rigo, op.cit., pp. 30-32. 333 Dante Alighieri, Vita Nuova, XV, 5. 334 Dante Alighieri, Vita Nuova, XIX, 1. 335 Dante Alighieri, Vita Nuova, XXVII, 4; XXXII, 6; XXXIV, 3 & 10; XLI, 7. 336 Rigo, op.cit., p. 32. 328 118 IL MITO COME TOPOS Anche Margherita de Bonfils Templer sostiene che Dante, rielaborando la figura della ‘donna gentile’ della Vita Nuova nel Convivio (1304-1308), si sarebbe ispirato alla descrizione del mito di Orfeo da parte di Boezio.337 Nel Medioevo il De Consolatione di Boezio era considerato un capolavoro, il che risulta dall’abbondanza dei commenti (cfr. § 1.5.1). Nel commento principale di Guglielmo di Conches, il mito di Orfeo ed Euridice fu considerato un integumentum che conteneva una verità nascosta. Orfeo rappresenta la mente ed Euridice la parte concupiscente dell’anima. Fuggendo dalla virtù (Aristeo) la concupiscenza naturale si abbandona ai desideri terrestri. Orfeo non è in grado di lasciarla indietro e di sottrarre la sua concupiscenza al mondo temporale. Nella transizione dalla donna gentile della Vita Nuova alla donna gentile del Convivio, Dante mostra la sua conoscenza di Boezio. Beatrice muore alla fine della Vita Nuova. Il dolore di Orfeo dopo essersi volto indietro e aver perduto Euridice per la seconda volta si riflette nel dolore di Dante alla fine della Vita Nuova, quando il poeta ‘volge indietro i suoi occhi verso i confini della notte’.338 Nel Convivio si crea un nuovo amore. Dante deve lasciare l’amore sensibile (l’amore per Beatrice), per raggiungere l’amore intellettuale, che sostituisce la Filosofia boeziana. Non si focalizza più su Beatrice, ma sull’amore intellettuale, per liberarsi dalla donna amata. Il canto di Orfeo ed Euridice nel De Consolatione di Boezio rispecchia le fatiche di Dante.339 Beatrice non è ancora la Beatrice della Commedia, ma è temporaneamente messa tra parentesi come amore sensibile.340 L’interpretazione allegorica dello sguardo di Orfeo si trova dunque non solo nelle opere di Petrarca e di Salutati, ma già implicitamente anche nell’Inferno, nel Purgatorio, nella Vita Nuova e nel Convivio di Dante. Quest’interpretazione che fu cruciale nei commenti medievali a Boezio per riconciliare il mito con il pensiero cristiano, è dunque ancora molto autorevole negli autori italiani trecenteschi. Sia Dante che Petrarca guardano indietro al loro amore terreno e lo condannano come un errore. Nel Paradiso dantesco possiamo trovare, secondo Rigo, un ultimo riferimento al mito di Orfeo. Le parole ‘Se mai continga che ‘l poema sacro [...] vinca la crudeltà’ (Paradiso, XXV, 1-4) ricordano la descrizione del potere di Orfeo nel Convivio: ‘mansuescere e umiliare li crudeli cordi’. Dante spera che la voce del suo poema possa vincere la crudeltà del suo esilio, affinché lui possa tornare nella patria. Rigo spiega che la poesia non muore come Euridice, ma sopravvive nel passaggio dal tempo all’eterno: 337 M. de Bonfils Templer, ‘La donna gentile del Convivio e il boeziano mito d’Orfeo’, Dante Studies 101 (1983), p. 123. 338 Bonfils Templer, op.cit., p. 137. 339 Bonfils Templer, op.cit., pp. 129-131. 340 Bonfils Templer, op.cit., p. 132. 119 CAPITOLO 2 Ripreso e superato nella Vita Nuova, ripetuto all’inizio dell’Inferno, allontanato sulla soglia del Purgatorio, il mito di Orfeo si ripropone come nascosta memoria che informa l’intera opera del poeta fiorentino. Ed è una memoria che discute rovescia rinnova. Se la parola poetica, la poesia, è per Dante quel vincolo che congiunge il sensibile al sovrasensibile, l’intelligibile all’inintelligibile; se è quel “nodo” in cui convergono e si esprimono trapassando l’una nell’altra vicendevolmente esistenza ed essenza, fisica e metafisica, allora la poesia, diversamente dall’Euridice di Orfeo, non si dissolve varcando la soglia tra il tempo e l’eterno, ma in questo transito, come Beatrice, vive e si manifesta.341 Anche se il comportamento di Orfeo nell’Ade è condannato come un ritorno ai piaceri terreni, il suo potere poetico è sempre visto come un aspetto positivo, come nel Convivio. Orfeo è anche stimato nel suo ruolo di poeta e teologo nell’Inferno e nelle opere di altri autori trecenteschi. 2.7 POETA-TEOLOGO O FILOSOFO La rappresentazione corrente di Orfeo nel Trecento e all’inizio del Quattrocento è quella del cantante meraviglioso che si innamora di Euridice e che riesce a sottrarla all’Ade per mezzo della sua musica, ma che purtroppo si volge indietro. Benché Orfeo poeta o cantante sia visto come un esempio positivo, il suo comportamento come amante è criticato. La figura mitologica di Orfeo suscita dunque delle reazioni diverse. Oltre ai tanti riferimenti diversi a Orfeo cantante o amante mitologico, si trova anche qualche indizio di un altro lato di Orfeo, o di un altro Orfeo: il poeta-teologo. Nella funzione di poeta-teologo Orfeo viene quasi sempre paragonato a Lino e a Museo, considerati i primi teologi in varie fonti antiche e medievali. Naturalmente anche Boccaccio, che sembra conoscere ogni particolare del mito di Orfeo, menziona Orfeo poeta-teologo. Nel quattordicesimo libro delle Genealogie in cui Boccaccio difende la poesia e in particolare nell’ottavo capitolo sull’origine della poesia, l’autore accenna a Museo, Lino e Orfeo come i primi teologi.342 Secondo Boccaccio alcuni autori attribuiscono l’invenzione della poesia a Mosè, mentre altri invece l’attribuiscono ai Babilonesi. Boccaccio stesso pensa che l’arte della poesia sia nata in Grecia, come affermano Leonzio e Petrarca. Secondo Boccaccio gli uomini, dopo aver cominciato a credere in Dio, vollero in seguito onorare Dio con sacrifici. Vennero eletti degli uomini saggi come sacerdoti, per celebrare i sacrifici. Per poter parlare alla divinità i sacerdoti inventarono poi la poesia. Orfeo è considerato uno dei primi sacerdoti. Boccaccio omette esplicitamente in questo luogo il fatto che alla poesia, inventata dai sacerdoti, venne 341 342 Rigo, op.cit., p. 162. Boccaccio, Genealogie, libro XIV, VIII (Qua in parte orbis prius effulserit poesis), 6; 8-11. 120 IL MITO COME TOPOS aggiunto il canto.343 Anche nelle Esposizioni sopra la Comedia (1373-74) Boccaccio rappresenta Orfeo come poeta-teologo o sacerdote: E quegli, che prima trovarono appo i Greci questo, furono Museo, Lino e Orfeo. E, perché ne’ lo versi parlavano delle cose divine, furono appellati non solamente “poeti”, ma “teologi”; e per le opere di costoro dice Aristotile che i primi che teologizarono furono i poeti. E, se bene si riguarderà alli loro stili, essi non sono dal modo del parlare differenti da’ profeti, ne’ quali leggiamo, sotto velamento di parole nella prima aparenza fabulose, l’opere ammirabili della divina potenza. (Boccaccio, Esposizioni, canto I, esp. litt. 75) Sia nelle Esposizioni che nelle Genealogie Boccaccio indica dunque Orfeo, Museo e Lino come i primi teologi. Nelle Genealogie Boccaccio cita l’affermazione di Paolo Perugino che l’invenzione della poesia era molto più recente, perché Orfeo sarebbe stato un contemporaneo di Laomedonte, re di Troia. Secondo Leonzio si poteva risolvere questa discrepanza assumendo l’esistenza di più Orfei: l’Orfeo greco fu uno dei primi sacerdoti, mentre quello tracio inventò le feste di Bacco. Boccaccio sembra fare sua la teoria di Leonzio: Attamen ad hec respondebat Leontius arbitrari a doctis Grecis plures fuisse Orpheos atque Museos, verum illum veterem Museo veteri atque Lyno contemporaneum grecum fuisse, ubi trax iunior predicatur. Sane quoniam iunior hic Bachi orgia adinvenit et Menadum nocturnos cetus, et multa circa veterum sacra innovavit, et plurimum oratione valuit, ex quibus apud coevos ingentis extimationis fuit, a posteris primus creditus est Orpheus. (Boccaccio, Genealogie, libro XIV, VIII, 9-10)344 Boccaccio pensa che già prima dei poeti pagani ci fosse Mosè, che scrisse la maggior parte del Pentateuco in versi esametrici.345 Così si può collocare Boccaccio nella tradizione che comincia con gli apologeti cristiani, tra cui si trova anche Eusebio, citato da Boccaccio come fonte. Secondo Rose Marie San Juan, il passo citato dalle Geneologie è la prova più esplicita della doppia concezione di Orfeo nell’opera di Boccaccio: Orfeo poeta-teologo e Orfeo amante di Euridice.346 Robert Hollander ha mostrato che questa bipartizione di Orfeo è presente in tutta l’opera di Boccaccio: 343 Boccaccio, Genealogie, libro XIV, VIII, 7. ‘A questi argomenti però rispondeva Leonzio che i dotti Greci ritenevano esserci stati più Orfei e Musei, ma che quello Orfeo antico, che fu contemporaneo al vecchio Museo e a Lino, fu greco, mentre quello più recente è detto tracio. Ma poiché quest’ultimo inventò le orge di Bacco e i notturni convegni delle Menadi e molte cose innovò nei sacrifici degli antichi e molto valse nell’orazione, per i quali meriti fu molto stimato tra i contemporanei, fu creduto dai posteri essere stato il primo Orfeo.’ 345 Boccaccio, Genealogie, libro XIV, VIII, 11. 346 San Juan, The Legend of Orpheus, cit., p. 48. 344 121 CAPITOLO 2 Boccaccio’s Orpheus is a complex figure, usually represented in one of two guises, either as the lover-poet or as the theological poet. In Boccaccio’s many allusions to him he will own either of these two identities, but not both of them together. As the lover-poet he uses the instrument of his art to the end of all-too-human sexual endeavor. As the poeta-theologus (a concept which plays such an important part in the fourteenth-century argument about the relationship of poetry to truth) he stands for higher moral principles.347 I due aspetti del personaggio di Orfeo non si trovano dunque mai insieme nello stesso riferimento. Nelle opere letterarie di Boccaccio, che trattano spesso dell’amore, troviamo l’immagine di Orfeo poeta-amante. Nella sua opera mitografica e nel commento all’Inferno di Dante incontriamo anche un Orfeo poeta-teologo. La duplice immagine di Orfeo si vede chiaramente anche nel commento a Inferno IV.348 Boccaccio distingue tra le ‘finzioni dei poeti’ e l’immagine storica di Orfeo. Stima la figura storica, ma critica spesso la figura mitologica che peraltro è solo una finzione. Mai prima la differenza fu esplicitata talmente. Vediamo i due lati di Orfeo anche nell’Amorosa visione (ca. 1342). Da una parte Orfeo è rappresentato come poeta-amante nel trionfo dell’Amore (§ 2.5), dall’altra parte Orfeo figura come poeta-teologo nel quarto canto dell’Amorosa visione. Orfeo è rappresentato nel trionfo della Sapienza:349 Diascoride ancor v’era ed Orfeo, Abempece e Temistio, e poi un poco Essiodo almo e Timoteo. (Boccaccio, Amorosa visione, IV, 70-72) La posizione nell’Amorosa visione indica le due funzioni diverse di Orfeo. Boccaccio accenna a Orfeo amante nel trionfo dell’Amore, e a Orfeo sapiente o poeta-teologo nel trionfo della Sapienza. Abbiamo già visto nelle opere di Petrarca che il luogo dove Orfeo si trova, o piuttosto il tipo di opera o genere letterario in cui si trova è decisivo per la sua caratterizzazione. La tradizione di Orfeo, Museo e Lino come poeti-teologi sembra dunque 347 Hollander, op.cit., p. 83. Boccaccio, Esposizioni, Inferno IV, 323; 326 (Hollander, op.cit., p. 83). 349 Esistono due redazioni alquanto diverse dell’Amorosa visione. Ho citato la versione A. La versione B, in cui spicca la presenza di Lino, contiene una lista un po’ diversa: Orfeo, Arione, Essiodo, Lino e Timoteo. In ambedue i casi Orfeo rappresenta, però, secondo Hollander il poeta-teologo, il che risulta dalla presenza di Esiodo (Hollander, op.cit., p. 214, n. 98). 348 122 IL MITO COME TOPOS da distinguere nettamente dalla tradizione di Orfeo come cantante straordinario che discese nell’inferno e che viene paragonato ad Anfione ed Arione.350 Hollander accenna alle rassomiglianze tra il passo nell’Amorosa visione e la descrizione di Orfeo da parte di Dante nel quarto canto dell’Inferno.351 Dante e Virgilio stanno guardando un gruppo di spiriti magni, che si possono dividere in due categorie: gli eroi o uomini d’azione e gli uomini dello spirito. Nell’ultimo gruppo si trovano i tre grandi filosofi Aristotele, Socrate e Platone, i sette presocratici, il medico Dioscuride, altri sei filosofi e il gruppo di Orfeo, Tullio (Cicerone), Lino o Livio e Seneca:352 [...] e vidi Orfeo, Tulio e Lino e Seneca morale; (Dante, Inferno, IV, vv. 140-141) Orfeo è considerato una figura storica, come gli scrittori latini e Lino. Fa parte degli uomini spirituali o della ‘filosofica famiglia’.353 Anche se Dante allude spesso allo sguardo indietro di Orfeo amante (cfr. § 2.6), anche lui riconosce dunque la figura storica e gli attribuisce un ruolo molto più positivo. Né Boccaccio nell’Amorosa visione né Dante nell’Inferno parlano esplicitamente di Orfeo come poeta-teologo, ma lo collocano tra gli uomini sapienti. Si tratta comunque in essenza della stessa figura. Anche Petrarca conosce Orfeo come poeta-teologo, benché la maggior parte dei suoi riferimenti a Orfeo riguardi il musicista eccellente o l’amante esemplare. Petrarca ottiene la sua informazione su Orfeo teologo da Agostino e da Aristotele, come mostra nell’Invective contra medicum: Primos nempe theologos apud gentes fuisse poetas et philosophorum maximi testantur, et sanctorum confirmat autoritas, et ipsum, si nescis, poete nomen indicat. In quibus maxime nobilitatus Orpheus, cuius decimoctavo civitatis eterne libro Augustinus meminit. 350 Non si può dire semplicemente che ogni volta che si parla di Orfeo in combinazione con Lino e con Museo si tratta di Orfeo come poeta-teologo e che in combinazione con Anfione o Arione si tratta di Orfeo come cantante-amante. Si veda per esempio: Boccaccio, Teseida, libro XII, 72. 351 Hollander, op.cit., p. 86. 352 Wilhelm, op.cit., p. 398-399 (‘Wenn die Lesart Livio richtig sein sollte – in den neueren kommentierten Ausgaben der Divina Commedia überwiegt die Lesart Lino -, meint Dante den Reichtum an allgemeinen Erkenntnissen, die in die Geschichtsbücher des von Dante hochgeschätzten Historikers eingestreut sind. Sollte dafürf Lino zu lesen sein, was ich für wahrscheinlicher halte, würden Orfeo und Lino zusammengehören und als Griechen den beiden Römern die Waage halten. Aus dieser Zusammenstellung ist zu schließen, daß Dante den Orpheus und den Linos als geschichtliche Gestalten und als Geistergrößen und Weise der griechischen Antike betrachtet, ähnlich wie Cicero und Seneca der römischen.’). 353 Barański, op.cit., pp. 133-134. 123 CAPITOLO 2 (Petrarca, Invective contra medium, libro III, p. )354 San Juan afferma che il De Civitate Dei di Agostino e la Metafisica di Aristotele erano le fonti più citate dai primi umanisti in rapporto al concetto del poeta-teologo.355 Agostino fa menzione dei tre poeti-teologi Lino, Museo e Orfeo, ma Petrarca e Boccaccio preferiscono Orfeo ai due altri poeti, come mostra anche San Juan. Dopo Boccaccio e Petrarca, anche Coluccio Salutati presenta Orfeo come poetateologo nel De Laboribus Herculis, un’opera che discuteremo nel prossimo paragrafo.356 Orfeo vi è rappresentato di nuovo in combinazione con Museo e con Lino. Anche Salutati cerca di giustificare, come afferma San Juan, l’uso della poesia classica mostrando il significato teologico che si nasconde in questo tipo di poesia. L’Orfeo teologo che troviamo nell’opera di Boccaccio, di Petrarca e di Salutati acquisterà tanta importanza nelle opere di Marsilio Ficino, come vedremo nel prossimo capitolo.357 2.8 L’EPICUREO VS. LO STOICO NEL DE LABORIBUS HERCULIS DI SALUTATI Nel De laboribus Herculis di Coluccio Salutati (1331-1406) troviamo la descrizione più elaborata del mito di Orfeo nella letteratura italiana della prima metà del Quattrocento. De laboribus Herculis consiste di quattro libri. Nel primo libro Salutati difende la poesia, come Boccaccio aveva fatto negli ultimi due libri delle Genealogie. Il secondo e il terzo libro trattano di Ercole, rispettivamente dell’eroe stesso e delle sue fatiche. Per quanto riguarda la fortuna del mito di Orfeo ci interessa soprattutto il quarto libro, in cui sono discusse alcune discese famose nell’Ade. Oltre alla discussione delle discese di Enea, di Ercole, di Teseo e di Anfiarao, Salutati presta molta attenzione alla discesa di Orfeo, che tratta per prima. Friedman accenna all’interesse degli uomini medievali prima di Salutati per il topos della discesa agli inferi.358 Secondo lui i racconti di discese infernali erano molto istruttivi per l’uomo cristiano, perché permettevano di condividere l’esperienza di fare un viaggio infernale senza dover fare quel viaggio di persona. L’autore medievale più importante che abbia discusso l’inferno è Bernardo Silvestre. Il suo commento all’Eneide ebbe una grande 354 ‘Naturalmente, che presso i popoli i primi teologi siano stati dei poeti lo attestano i maggiori filosofi, lo conferma l’autorità dei santi, e, se non lo sai, lo indica il nome stesso di poeta. Tra quelli il più celebrato fu Orfeo, di cui fa menzione Agostino nel diciottesimo libro della Città di Dio.’. 355 San Juan, op.cit., p. 47 (San Juan cita da Osgood, p. 163, n. 19 e da Witt, p. 539). 356 Salutati, De laboribus Herculis, libro I, i; vol. I, p. 9. 357 Cf. anche Buck, op.cit., p. 18; Warden, op.cit., p. 91. 358 Friedman, Orpheus in the Middle Ages, cit., p. 142. 124 IL MITO COME TOPOS influenza sulla descrizione dantesca dell’inferno, ma anche su quella di Salutati. Bernardo distingue quattro modi per discendere nell’Ade: Descensus autem ad inferos quadrifarius est: est autem unus naturae, alius virtutis, tertius vitii, quartus artificii. (Bernardo Silvestre, Commentum, p. 30)359 L’uomo saggio discende nell’Ade grazie alla virtù, respingendo le cose mondane. Orfeo è l’esempio dell’uomo saggio. Euridice invece rappresenta la discesa nell’Ade per merito del vizio, perché non è in grado di liberarsi dai ‘temporalia’. Secondo Friedman Salutati adopera lo schema quadruplice di Bernardo aggiungendo molto dal Timeo di Platone e dal commento al Somnium Scipionis di Macrobio.360 A Salutati interessa soprattutto il contrasto tra la discesa per mezzo della virtù e quella per mezzo del vizio. Ercole rappresenta lo stoico per cui la virtù è la cosa più importante. Orfeo invece è l’esempio dell’epicureo che cerca il piacere: Epycurii quidem voluerunt voluptatem vel, ut moderatius loquar, delectationem summum bonum esse, Stoyci vero virtutem et honestatem. […] Et Epycurios quidem delectabiliaque sequentes poete figuraverunt in Orpheo, vulgus sequens utilitatem designaverunt in Theseo atque Perithoo, Stoycos in Hercule et Enea. (Salutati, De laboribus Herculis, liber IV, pp. 488-89)361 Salutati narra il mito di Orfeo in due capitoli. Il primo capitolo è intitolato ‘De descensu Orphei, qui volebat Euridicem ab inferis revocare, et primo fabula.’ Ivi Salutati contrappone le opinioni di vari autori sul mito di Orfeo: di Germanico Cesare, di Igino, di Lattanzio, di Servio e di Fulgenzio. Salutati cita dalle opere di questi commentatori. San Juan accenna che Salutati ignora completamente i poeti antichi e che sceglie dalle opere dei commentatori soltanto quei particolari che corrispondono all’interpretazione evemeristica di Orfeo.362 Secondo San Juan questa caratterizzazione di Orfeo ha due scopi: da una parte sostiene l’immagine di Orfeo come poeta-teologo che, come abbiamo visto nel paragrafo precedente, era adoperata da Salutati nella sua difesa della poesia, e dall’altra 359 ‘La discesca agli Inferi è quadriforme: la prima è quella della natura, l’altra è quella della virtù, la terza quella del vizio e la quarta quella dell’artificio.’ Il passo è citato da Friedman, Orpheus in the Middle Ages, cit., p. 142. 360 Friedman, Orpheus in the Middle Ages, cit., p. 143. Salutati cita il Timeo da Chalcidio. 361 ‘Gli epicurei vollero che la voluttà ossia, per dirlo più moderatamente, il diletto fosse il sommo bene, ma gli stoici (volsero che) la virtù e l’onestà (fossero il sommo bene). E i poeti rappresentarono gli epicurei che seguivano i diletti nella figura di Orfeo, ed il volgo che seguiva l’utilità nelle figure di Teseo e di Peritoo, e gli stoici nelle figure di Ercole ed Enea.’ Il testo latino è citato da: Colucii Salutati De laboribus Herculis, vol. I-II, edidit B.L. Ullman, Turici, in aedibus Thesauri Mundi, 1951. 362 San Juan, The Legend of Orpheus, cit., p. 49. 125 CAPITOLO 2 fornisce molto materiale per l’interpretazione allegorica del mito di Orfeo che seguirà immediatamente dopo. Dopo la descrizione del mito di Orfeo per mezzo dei commentatori segue un capitolo molto più lungo sull’‘Allegoria fabule Orphei et omnium que circa materiam relata sunt.’ Salutati mostra la sua conoscenza di altre interpretazioni allegoriche del mito di Orfeo, come quella musicale di Fulgenzio e quella di Remigio, in cui Orfeo rappresenta l’eloquenza. Salutati accenna all’importanza delle Genealogie di Boccaccio e all’interpretazione storica di Servio. Nel seguito Salutati vuole, però, proporre un’altra interpretazione, menzionata brevemente nel capitolo introduttivo alle varie discese nell’Ade, cioè quella di Orfeo come epicureo: Diximus ergo poetas in Orpheo delectabilia sequentes Epycurios figurasse. Nam qui non solummodo disputant sed arbitrantur, docent, et tenent voluptatem esse summum bonum delectabilia sine dubio prosequuntur. (Salutati, De laboribus Herculis, liber IV, p. 493)363 Segue una lunga serie di etimologie che spiegano i nomi di Orfeo, di Calliope, di Euridice e di Aristeo in vari modi, dove Salutati si vanta della sua conoscenza del greco.364 Infatti, oltre all’etimologia latina Salutati colloca sempre un’etimologia greca. Nell’interpretazione etimologica l’autore si basa soprattutto su Fulgenzio. Salutati presta molta attenzione alla discendenza di Orfeo da Eagro e da Calliope, a cui attribuisce i significati allegorici di umore e di armonia. Anche attraverso quest’allegoria Orfeo diventa il simbolo dell’epicureo.365 Euridice rappresenta secondo l’etimologia il ‘bonorum fluentium iudicium’ o ‘iudicium fluxibilium’, cioè il giudizio delle cose effimere, che piace all’epicureo.366 Come sostiene San Juan, l’allegoria di Salutati è una variante dell’interpretazione allegorica di Boezio: Orfeo è condannato per il suo desiderio di piaceri sensuali.367 Nell’interpretazione allegorica di Salutati Aristeo simboleggia l’uomo dalla virtù divina.368 Dopo una breve discussione della discesa di Orfeo nell’Ade, Salutati descrive elaboratamente lo strumento musicale di Orfeo, facendo riferimento a fonti diverse che parlano della lira o della cetra di Orfeo. Anche la morte di Orfeo è spiegata in maniera allegorica. Orfeo è punito per aver trascurato Libero (Bacco), che è considerato il principio di generazione o riproduzione umana. Il cantante segue i ‘delectabilia’ e indulge alla libidine, invece di concentrarsi sulla 363 ‘Dicemmo dunque che i poeti rappresentavano gli epicurei che seguivano i diletti nella figura di Orfeo. Perché questi non solo discutono, ma credono anche, e insegnano e mantengono che la voluttà è il sommo bene e perseguono i diletti senza dubbio.’ 364 Friedman, Orpheus in the Middle Ages, cit., p. 144. 365 Salutati, De laboribus Herculis, liber IV, pp. 495-96. 366 Salutati, De laboribus Herculis, liber IV, p. 496. 367 San Juan, The Legend of Orpheus, cit., p. 82. 368 L’etimologia del nome di Aristeo (da ‘ares’ e ‘theos’) deriva dal commento di Bernardo Silvestre. 126 IL MITO COME TOPOS perfezione della ragione. L’uccisione di Orfeo da parte delle Baccanti è la conseguenza della distruzione del corpo per via di Venere: Quoniam igitur Orpheus, homo scilicet voluptuosus, non intendendo finem rationis atque virtutis obliviscitur Liberi patris, finem quem proposuit non sequendo, sed eius inquirit initia indulgens Venerie voluptati, discerpitur a Bachis seu mulieribus Thraciis, quoniam sine dubio Veneris opus corpus humanum deterit et consumit, aliquid semper eius per singulos concubitus delibando. (Salutati, De laboribus Herculis, liber IV, pp. 503-4)369 Citando Virgilio Salutati narra poi come il capo di Orfeo galleggia sull’acqua dell’Ebro, e anche questo dettaglio è spiegato allegoricamente in rapporto con il carattere epicureo di Orfeo. Friedman accenna all’importanza del luogo in cui muore Orfeo nell’allegoria di Salutati. Infatti, Orfeo è ucciso secondo alcune fonti sul monte Pangeo in Tracia. Secondo Salutati la Tracia simboleggia Venere e il monte Pangeo rappresenta tutta la terra (da ‘pan’ e ‘geis’): Nunc autem Orpheus, vir voluptuosus, ubi convenientius moritur quam in Thracia, hoc est Veneris regione, monteque Pangeo, per quem tota terrestritas denotatur? (Salutati, De laboribus Herculis, liber IV, p. 505)370 L’uomo voluttuoso muore dunque nella regione di Venere. Nel capitolo sulla discesa nell’Ade di Teseo e di Piritoo, Salutati torna brevemente sull’uccisione di Orfeo.371 La trattazione del mito di Orfeo da parte di Coluccio Salutati è importante per due ragioni: è la descrizione più lunga del mito di Orfeo finora esistente nella letteratura italiana, se si eccettua la sua apparizione in commenti a testi antichi (come alle Metamorfosi) e in trattati mitologici (come nelle Genealogie di Boccaccio). Inoltre Salutati riesce a dare un’interpretazione personale del mito, contrariamente a quello che abbiamo visto nell’opera di altri autori italiani prima della metà del Quattrocento. Mentre quasi tutti ripetono continuamente la stessa immagine di Orfeo per animare i loro testi, Salutati elabora il personaggio mitologico in una direzione molto diversa, che ha però delle radici nella letteratura precedente. Orfeo rappresenta l’uomo in cerca della voluttà o del piacere e così diventa il prototipo dell’epicureo, che viene opposto a Ercole che con il suo 369 Cf. anche Friedman, Orpheus in the Middle Ages, cit., p. 144. ‘Siccome dunque Orfeo, cioè l’uomo voluttuoso, non intendendo la fine della ragione e della virtù dimentica il padre Libero, non seguendo la fine che lui propose, ma cerca il suo inizio indulgendo alla voluttà di Venere, è dilaniato dalle Baccanti o dalle donne tracie, perché l’opera di Venere distrugge e consume senza dubbio il corpo umano, sempre togliendoci qualcosa per i singoli concubiti.’ 370 ‘Ma ora dove muore Orfeo, l’uomo voluttuoso, più convenientemente che in Tracia, cioè nella regione di Venere, e sul monte Pangeo, per cui si designa tutta la terrenità.’ 371 Salutati, De laboribus Herculis, liber IV, p. 510. 127 CAPITOLO 2 comportamento virtuoso è l’emblema dello stoico. Orfeo è caratterizzato in modo negativo da Salutati. La sua morte orrenda è il risultato del suo stile di vita libertina. Quest’interpretazione di Orfeo è dunque ancora più negativa di quelle precedenti della discesa agli inferi e dello sguardo indietro. Agli occhi di Salutati Orfeo non rappresenta l’uomo in cerca del sommo bene che si sbaglia, ma rappresenta sin dall’inizio l’uomo in cerca del piacere sbagliato. Con l’interpretazione di Salutati si raggiunge il punto più basso dell’apprezzamento di Orfeo.372 2.9 CONCLUSIONE Nel Trecento e nel primo Quattrocento il mito e il personaggio di Orfeo sono largamente presenti nelle traduzioni di testi antichi e nelle Genealogie di Boccaccio. Soprattutto nelle traduzioni delle Metamorfosi e nelle Genealogie si raccolgono molti elementi diversi del mito di Orfeo, come il potere della musica, la storia d’amore di Orfeo ed Euridice, la morte di Orfeo, la sua partecipazione al viaggio degli Argonauti. Boccaccio ha una profonda conoscenza del mito di Orfeo. È l’unico scrittore del Trecento che descrive il mito in tutti i suoi dettagli. Questa completezza è inerente al genere dell’opera enciclopedica. Quasi nessun autore descrive l’uccisione di Orfeo tranne Boccaccio, anche se la causa che lui suggerisce è nuova. Lui parla del mito come una finzione poetica. Enumera alcune interpretazioni allegoriche e offre qualche spiegazione storica del personaggio. Anche le rielaborazioni delle Metamorfosi di Del Virgilio e di Bonsignori, che si possono considerare compendi mitologici, trattano le favole come racconti irrealistici che vanno spiegati in modo allegorico. Nelle sue aggiunte allegoriche al mito ovidiano Bonsignori vuole far emergere sistematicamente la ‘verità della istoria’ (interpretazione evemeristica) e la morale nascosta. L’immagine di Orfeo che risalta dalle allegorie di Boccaccio e di Bonsignori è molto variegata. Nelle Genealogie Orfeo è considerato la buona voce dell’eloquenza oppure l’ottima voce (cf. Fulgenzio). Nelle allegorie di Bonsignori Orfeo rappresenta l’uomo sapiente ed eloquente che con Euridice perse il buon senso. Orfeo è anche indicato come grande filosofo che annegò inebriato nel fiume (senso storico) o come l’uomo rispettabile che vince l’uomo invidioso (senso morale). Benché Boccaccio offra un’immagine equilibrata del personaggio, l’autore camuffa l’aspetto dell’omosessualità che poteva essere interpretata negativamente e accentua la forza della musica (per civilizzare gli uomini). Boccaccio offre un’immagine positiva, perché ha ancora bisogno della figura di Orfeo nel 372 Il contrasto tra Orfeo ed Ercole torna anche nella Camera degli Sposi di Andrea Mantegna (§ 4.4.1), nel ritratto di Cosimo I da parte di Bronzino, e in altre opere d’arte commissionate dai Medici (§ 5.9). In queste opere il contrasto sembra, però, diverso. Orfeo ed Ercole rappresentano probabilmente i due lati del buon governo. 128 IL MITO COME TOPOS suo discorso sulla poesia (libro 14), per la sua affermazione che la poesia è altrettanto antica e interessante quanto la teologia. Dato che ha bisogno di un’immagine positiva in quel libro, non può condannare Orfeo nella sua descrizione elaborata del personaggio mitologico. Boccaccio trascura l’aspetto omosessuale e lo sostituisce con un’altra ragione per l’uccisione di Orfeo (trasformazione dell’azione), ma spiega anche lo sguardo indietro di Orfeo, che nel Medioevo era sempre interpretato come qualcosa di negativo, in modo diverso. Il fallimento di Orfeo ne risulta sottilmente alleggerito. Anche Bonsignori dà per le sue interpretazioni allegoriche una piega più positiva al mito di Orfeo. Nonostante la disponibilità della conoscenza di molti particolari del mito di Orfeo nel Trecento, nella maggior parte dei testi letterari si ripetono soltanto alcuni elementi stereotipati del mito. A parte i riferimenti al mito in traduzioni, commenti e opere enciclopediche, si può dunque constatare che il mito è soprattutto adoperato come topos. Non sembra esistere un rapporto tra le opere enciclopediche e le traduzioni da una parte ed i riferimenti letterari dall’altra. Orfeo è visto soprattutto come poeta o musicista ideale: qualche volta il suo nome potrebbe essere sostituito semplicemente con la parola ‘musica’. Certi poeti si paragonano al cantante per eccellenza e cercano di sorpassarlo. Questo Orfeo si trova soprattutto nella poesia lirica e in un madrigale di Landini. L’esito infelice del mito è spesso omesso per non distruggere l’immagine del cantante eccellente. Il canto di Orfeo per gli animali era interpretato spesso, a partire da Orazio, come un’allegoria della civilizzazione. Dante menziona il mito di Orfeo come un esempio dell’interpretazione di un testo in maniera allegorica. Boccaccio sottolinea la forza dell’eloquenza nella civilizzazione dell’umanità. Tale interpretazione diventerà molto popolare tra gli umanisti e nei trattati poetici cinquecenteschi. Nella poesia lirica troviamo oltre a Orfeo poeta esemplare anche un Orfeo amante. Petrarca paragona il suo amore in alcune poesie a quello di Orfeo ed Euridice. Boccaccio lascia che Orfeo canti il suo amore nell’Amorosa Visione. Tuttavia, questo amore non sembra molto desiderabile. Nei suoi scritti filosofici Petrarca dimostra di avere un’opinione negativa di Orfeo: Orfeo che si voltò a guardare Euridice simboleggia l’uomo che ritorna ai vizi terreni e devia dalla strada giusta. Il motivo dello sguardo indietro si trova spesso nel Trecento (anche senza riferimento esplicito a Orfeo) e sarà ripreso nella cerchia laurenziana. Neanche nell’Amorosa visione l’amore trionfa alla fine e in altre opere boccacciane l’amore di Orfeo è condannato. Benché Dante non si riferisca esplicitamente alla storia d’amore, il motivo torna frequentemente nelle sue opere. Perfino all’interno delle opere di un unico autore si trovano dunque delle visioni diverse di Orfeo, che possono essere conflittuali. Boccaccio non rappresenta Orfeo soltanto come poeta amante, ma anche come poeta-teologo. Il poeta-teologo è un personaggio veramente diverso, che si trova quasi 129 CAPITOLO 2 sempre in un contesto diverso dell’amante. Nella funzione di poeta-teologo Orfeo tornerà nelle opere di Ficino. L’unica elaborazione nuova di Orfeo fino al primo Quattrocento si trova nel De laboribus Herculis di Salutati, che contrappone Orfeo a Ercole. Ercole rappresenta lo stoico virtuoso, mentre Orfeo simboleggia l’epicureo che non riesce a staccarsi dai piaceri terreni. Questo esempio negativo di Orfeo voluttuoso influenzerà forse gli affreschi di Signorelli. Se si esclude l’interpretazione originale di Salutati, i riferimenti separati a Orfeo sono, però, piuttosto stereotipati e legati a un determinato genere letterario (la poesia lirica, la filosofia). La figura di Orfeo suscita reazioni sia positive che negative in vari autori (ma anche nelle opere dello stesso autore). Gli stessi motivi continueranno a manifestarsi nei testi della seconda metà del Quattrocento fino al Seicento, come vedremo nel capitolo 5. Anche la fortuna delle Genealogie e dell’Ovidio metamorphoseos vulgare continuerà a farsi sentire fino nel Cinquecento, quando i testi saranno divulgati in edizioni stampate. La loro influenza si estenderà allora anche alle arti figurative. 130 CAPITOLO 3. POETA-TEOLOGO STORICO La cerchia di Marsilio Ficino a Firenze (ca. 1450-1500) 3.0 FICINO E IL NEOPLATONISMO FIORENTINO A metà del Quattrocento si svolse un cambiamento importante nella percezione della figura di Orfeo. Come abbiamo visto nel capitolo precedente, nel Trecento e nel primo Quattrocento i riferimenti a Orfeo erano stati per la maggior parte molto simili tra loro e piuttosto stereotipati. Orfeo rappresentava il musicista eccellente, esempio per poeti e cantanti, il civilizzatore dell’umanità e allo stesso tempo l’esempio negativo dell’uomo che ama le cose terrestri. Tutte queste caratterizzazioni appartengono al personaggio di Orfeo poeta-amante (lover-poet), come indicato da Robert Hollander nella sua discussione di Orfeo in Boccaccio.373 Questo Orfeo poeta-amante si oppone a Orfeo poeta-teologo, che forma l’altra faccia dello stesso personaggio. Nella cerchia dei neoplatonici fiorentini intorno a Marsilio Ficino (1433-1499) l’Orfeo poeta-teologo, che nel Trecento e nel primo Quattrocento si presentava solo nelle opere di Boccaccio, Petrarca e Salutati, si fa molto più importante del poeta-amante, diventando perfino la figura fondamentale per la legittimazione delle idee filosofiche di Ficino. L’onnipresenza di Orfeo poeta-teologo nelle opere di Ficino e degli altri neoplatonici fiorentini si deve probabilmente alla rinnovata conoscenza del greco. Dopo la caduta di Bisanzio nel 1453 molti studiosi greci raggiunsero l’Italia, dove cominciarono ad insegnare la loro lingua agli umanisti. Tuttavia, già prima del 1453 gli italiani avevano approfittato dei professori greci come Emmanuele Crisolora (1350-1415), che insegnò il greco a Guarino da Verona e a Leonardo Bruni. Poi molti greci raggiunsero l’Italia per il Concilio di Firenze nel 1439, dove si cercò di unire le due chiese dei latini e dei greci.374 Ficino sostiene che fu questo Concilio a far nascere in Cosimo de’ Medici l’idea di creare un’Accademia Platonica.375 Tuttavia, la connessione tra il Concilio e l’Accademia è da considerarsi puramente simbolica.376 Vedremo dopo che anche l’idea di un’Accademia platonica fondata da Ficino è molto discussa. Mentre nel Trecento e nel primo Quattrocento la conoscenza dell’antichità era stata divulgata soprattutto attraverso i testi latini, la possibilità di leggere i testi greci nella 373 Hollander, op.cit., pp. 83-86. Reynolds & Wilson, Scribes and Scholars. A Guide to the Transmission of Greek and Latin Literature, Clarendon Press, Oxford, 1978, pp. 130-133. 375 Ficino, Opera (ed. 1561), vol. I, Epistolarum libri II, p. 608. 376 Chastel, Marsile Ficin et l’Art, cit., p. 8. 374 131 CAPITOLO 3 lingua originale e la divulgazione del contenuto dei testi greci per mezzo di traduzioni a partire della seconda metà del Quattrocento contribuirono ad un’immagine diversa dell’antichità. Soprattutto la rinnovata conoscenza delle opere di Platone ebbe una grande influenza sul pensiero rinascimentale. Anche se la traduzione di varie opere di Platone era già avvenuta all’inizio del quattrocento ad opera di Leonardo Bruni, il ruolo svolto da Marsilio Ficino fu di importanza maggiore. La disponibilità di nuove fonti costituì un fattore decisivo per la nuova attenzione rivolta a Orfeo poeta-teologo. Nel 1459 Cosimo de’ Medici, che era stato introdotto da Gemisto Pletone alla filosofia di Platone, mise a disposizione di Ficino una villa a Careggi, vicino a Firenze, per farvi delle traduzioni di Platone. Per molto tempo si è pensato che Ficino avesse instaurato nella sua villa una cosiddetta Accademia Platonica, dove vari autori e studiosi si radunavano per discutere le idee del filosofo greco. Secondo Arnaldo Della Torre l’Accademia venne fondata nel 1462 da Cosimo de’ Medici, che dette a Ficino l’incarico di presiederla.377 André Chastel afferma che l’Accademia Platonica non sarebbe stata un’istituzione ufficiale dove si tenevano dei corsi, come lo Studio fiorentino, ma piuttosto una villa dove gli amici e i conoscenti di Ficino si radunavano per discutere la filosofia di Platone in maniera seria e piacevole.378 I membri più importanti dell’Accademia Platonica erano lo stesso Ficino, Cristoforo Landino (1424-1498), Angelo Poliziano (1454-1494) e Giovanni Pico della Mirandola (1463-1494). Anche Lorenzo de’ Medici sarebbe stato membro e protettore dell’Accademia.379 James Hankins parla invece del ‘mito’ dell’Accademia, negando l’esistenza di una vera accademia nel senso di una riunione regolare di studiosi di letteratura.380 In questa sede non occorre entrare nella discussione sulla probabilità dell’esistenza di una vera Accademia. Ci concentreremo invece sulla figura di Marsilio Ficino che con la sua conoscenza di Platone e del platonismo antico provocò un cambiamento nella percezione della figura di Orfeo in Italia. Ficino si interessò soprattutto di Orfeo come poeta-teologo e fondatore dell’orfismo. Lui e gli altri neoplatonici fiorentini cercarono di riconciliare la filosofia di Platone con il cristianesimo. Nei loro trattati essi combinarono varie correnti filosofiche, tra cui il neoplatonismo, l’ermetismo, il pensiero pitagorico e l’orfismo. Per Ficino la figura di Orfeo come teologo e la sua dottrina orfica divennero dunque cruciali.381 Orfeo poeta-teologo era un anello nella catena di pensatori che da Mosè, attraverso la filosofia di Platone, portano al cristianesimo. Vedremo in questo 377 A. Della Torre, Storia dell’Accademia Platonica di Firenze, Torino, Bottega dell’Erasmo, 1968. Chastel, Marsil Ficin et l’art, cit., p. 23. 379 Chastel, Marsil Ficin et l’art, cit., p. 23. 380 J. Hankins, ‘The Myth of the Platonic Academy of Florence’, Renaissance Quarterly 44, 3 (1991), pp. 429475 381 L’interesse di Ficino per la figura di Orfeo teologo ebbe probabilmente inizio nel 1462, quando fece una traduzione degli Inni orfici. (Walker, ‘Orpheus the Theologian’, cit., p. 108). 378 132 POETA-TEOLOGO STORICO capitolo che nelle opere di Ficino e degli altri neoplatonici è fondamentale quest’idea di una prisca theologia. Per capir meglio Platone i neoplatonici rinascimentali leggevano anche i commenti dei neoplatonici antichi, in particolare quello di Proclo. Secondo i neoplatonici Platone nelle sue lezioni imitava Orfeo, ed è per questo che troviamo molti riferimenti orfici nell’opera dei neoplatonici e dunque anche nell’opera di Ficino.382 John Warden afferma che sarebbe inutile elencare tutti gli elementi orfici nell’opera ficiniana, perché secondo i neoplatonici l’intera dottrina ficiniana è orfica.383 Infatti, Proclo aveva affermato che l’intera teologia greca derivava dalla dottrina orfica.384 Dato che questa ricerca non tratta dell’orfismo, cioè della corrente religiosa di cui Orfeo sarebbe stato il fondatore, ma della figura di Orfeo stesso, in questo capitolo non discuterò dell’influenza dell’orfismo sulla filosofia di Ficino, soprattutto perché l’orfismo e le altre correnti filosofiche si sono molto intrecciati nell’opera di Ficino. Una discussione del genere non verterebbe più sul personaggio stesso di Orfeo, ma soprattutto su questioni filosofiche e religiose. Menzionerò dunque soltanto brevemente alcuni aspetti dell’orfismo ficiniano, nella misura in cui questi sono rilevanti per l’immagine di Orfeo. Per via del ruolo cruciale di Orfeo poeta-teologo nel riconciliare la filosofia di Platone e il cristianesimo, Orfeo diventò una figura centrale nel pensiero e nelle discussioni dei neoplatonici e di altri pensatori intorno a loro. Questo si vede soprattutto nel fatto che Ficino considerava se stesso un novello Orfeo e si identificava sotto molti aspetti con lui (§ 3.2). Grazie a ciò Orfeo poté diventare una figura di primo piano e popolare. Questa fu probabilmente una delle ragioni per cui Orfeo fu scelto come protagonista della favola di Poliziano e delle prime opere liriche di Peri/Caccini e di Monteverdi (cf. capitoli 4 e 6). 3.1 PRISCUS THEOLOGUS O POETA-TEOLOGO Lo scopo di Marsilio Ficino e degli altri neoplatonici era di riconciliare il platonismo con il cristianesimo e di creare in questo modo un platonismo cristiano. Per questo scopo Orfeo era una figura essenziale. Come abbiamo visto nel primo capitolo (§ 1.3.1) anche i primi apologeti cristiani fecero uso della figura di Orfeo per creare un rapporto tra il cristianesimo e la filosofia pagana. Un motivo importante per la riconciliazione del cristianesimo con il pensiero pagano fu l’esistenza del cosiddetto testamento di Orfeo (Diathekai o Palinode). Secondo questo documento alla fine della sua vita Orfeo avrebbe avvertito il suo allievo Museo di abiurare gli dei pagani e di credere solo all’unico vero Dio, 382 J. Warden, ‘Orpheus and Ficino’, in Orpheus. The Metamorphoses of a Myth, cit., p. 89. Warden, ‘Orpheus and Ficino’, cit., p. 91. 384 Proclo, Teologia Platonica, I, 6 (Walker, ‘Orpheus the Theologian’, cit., p. 100). 383 133 CAPITOLO 3 cioè il Dio di Mosè. Questa lezione Orfeo l’avrebbe imparata da Mosè stesso, quando era in Egitto. Orfeo avrebbe sempre preferito il monoteismo, anche se negli Inni sembrava venerare molti dei. Mentre gli apologeti cristiani adoperavano la figura di Orfeo per congiungere il cristianesimo con una tradizione antica e per fornire alla nuova fede un fondamento antico, i neoplatonici rinascimentali avevano invece bisogno di Orfeo per giustificare la loro ammirazione per la filosofia ‘pagana’ di Platone e per inserire questa filosofia nel pensiero cristiano. Una nozione fondamentale per poter riconciliare il cristianesimo e il platonismo fu la prisca theologia. Si potrebbe descrivere la prisca theologia come un’antica tradizione di pensiero religioso che prepara al cristianesimo. Generalmente si pensava che l’unica rivelazione pre-cristiana fosse quella ebrea, e che questa fosse stata trasmessa ai pagani in Egitto da parte di Mosè.385 Vari personaggi storici e mitologici erano stati visti come prisci theologi: (Adamo, Abramo), Zoroastro, Mosè, Ermete Trismegisto, (i Druidi), Orfeo, Pitagora, Platone. Da Platone la serie di pensatori continuava fino al Vangelo. In questa serie Orfeo occupava un posto cruciale, perché era il primo teologo greco. Ficino cita spesso una serie di prisci theologi, costituita da Zoroastro, Ermete Trismegisto (Mercurio), Orfeo, Aglaofemo, Pitagora e Platone: In rebus his quae ad theologiam pertinent, sex olim summi theologi consenserunt, quorum primus fuisse traditur Zoroaster, Magorum caput, secundus Mercurius Trismegitus, princeps sacerdotum Aegyptiorum. Mercurio successit Orpheus. Orphei sacris initiatus fuit Aglaophemus. Aglaophemo successit in theologia Pythagoras, Pythagorae Plato, qui universam eorum sapientiam suis Litteris comprehendit, auxit, illustravit. (Ficino, Theologia Platonica, Liber XVII, I)386 Anche Landino vede Orfeo come un uomo eccezionale facente parte di un’antica tradizione che va da Mosé a Platone. Tuttavia, nel passo che segue Landino non descrive la lista tradizionale di prisci theologi, ma fa menzione di un gruppo di altri pensatori: 385 Walker, ‘Orpheus the Theologian’, cit., p. 105. ‘In queste cose che appartengono alla teologia, sei sommi teologi un tempo erano in accordo, dei quali si dice che il primo fosse Zoroastro, il capo dei Magi, il secondo Mercurio Trismegisto, il principe dei sacerdoti egiziani. A Mercurio successe Orfeo. Iniziato nei riti di Orfeo fu Aglaofemo, Ad Aglaofemo successe nella teologia Pitagora, a Pitagora Platone, che incluse, elaborò ed illustrò la sapienza universale di loro nelle sue Lettere.’ Altri riferimenti a Orfeo come uno dei prisci theologi si trovano in: Theologia Platonica, Liber I, VI, p. 224, Liber VI, I, p. 224; Liber XII, I, p. 157 (ed. Marcel); Lettere, I, 51 (Iohanni Cavalcanti), p. 101 (ed. Gentile); Commentum in Philebum, Liber I, Cap. XVII, p. 181 (ed. Allen); Cap. XXVI, p. 247; De Christiana Religione, cap. XXII, in Opera Omnia, p. 25. Walker accenna anche a due altri passi, in cui Ficino fa menzione dei Druidi (Opera omnia, p. 1) e di Plotino e di se stesso (Ibidem, p. 871-2). In una lettera a Giovanni Cavalcanti Ficino non fa solo menzione dei sei teologi, ma descrive anche le loro amicizie: Museo era l’amico migliore di Orfeo (Ficino, Lettere, I, 51). 386 134 POETA-TEOLOGO STORICO Nunc vero non id vobis oneris imponitur, optimi adolescentes, ut ab ultimis terris aut ab ipsis bonarum omnium artium inventoribus Aegyptiis, longa quadam navigatione et maximis terrarum periculis haec petenda sint, quod prisci illi e Graecia praestantissimi viri, Linus, Orpheus, Musaeus, ac deinde Atheniensis Solon, Thales Milesius, Pythagoras et is, quem modo memoravi, Abderites Democritus reliquique multi usque ad Platonem factitarunt. (Landino, Praefatio in Tusculanis, p. 13)387 Orfeo figura qui in un elenco di famosi filosofi greci. Non è caratterizzato come un poetateologo, bensí come un filosofo, il che significa più o meno la stessa cosa. Lino, Orfeo e Museo appartengono alla stessa categoria di Solone, Talete, Pitagora e Democrito.388 Questi uomini non sono personaggi mitologici, ma figure storiche. Orfeo è dunque collocato nella tradizione evemeristica. Ficino fu probabilmente il primo ad unire i testi orfici, ossia gli Orphica (attribuiti ad Orfeo), le opere ermetiche (attribuite a Ermete Trismegisto), gli oracoli caldei di Zoroastro e i libri sibillini con lo scopo di riconciliare Mosè con Platone e infine con la dottrina cristiana.389 Secondo Walker i concetti religiosi più importanti che Ficino e i suoi seguaci trovarono negli Orphica e nei testi degli altri prisci theologi furono: il monoteismo, la Trinità e la creazione come narrata nel libro di Genesi. Orfeo fu soprattutto legato ai primi due concetti.390 Abbiamo già accennato all’importanza del concetto del monoteismo: nel suo testamento Orfeo avrebbe rinunciato al politeismo e affermato l’esistenza di un unico Dio. Per Ficino e i suoi primi seguaci la rinuncia al politeismo non fu, però, molto utile: essi avevano bisogno dei diversi dei pagani e li interpretavano come aspetti dell’unico Giove:391 387 ‘Ma ora non vi è imposto sulle spalle, ottimi adolescenti, che dalle ultime terre e dagli Egizi stessi che erano gli inventori di tutte le buone arti debbano essere cercate queste cose in una lunga navigazione e nei grandissimi pericoli delle terre, perché questi antichi uomini eccellentissimi dalla Grecia, Lino, Orfeo, Museo, e poi Solone ateniese, Talete di Mileto, Pitagora ed egli, che ho appena menzionato, Democrito di Abdera, e molti altri fino a Platone lo fecero ripetutamente.’ 388 Altri passi in cui Landino fa menzione di Orfeo, Museo e Lino come primi poeti si trovano in: Praefatio in Virgilio, p. 22 (con Anfione); pp. 25-26; Prolusione dantesca, p. 48 (con Anfione, ma senza Museo); Proemio al commento dantesco, p. 137 (senza Lino); Proemi alle Camaldulenses, p. 66. Di questi tre poeti sono rimasti solo i testi poetici di Orfeo, il che può aver contribuito alla sua popolarità in confronto a Lino e Museo. 389 Walker, ‘Orpheus the Theologian’, cit., p. 107. Walker afferma, però, che questo tipo di sincretismo può derivare forse da Gemisto Pletone o da Bessarione. 390 Walker, ‘Orpheus the Theologian’, cit., p. 109. 391 Walker, ‘Orpheus the Theologian’, cit., p. 110. 135 CAPITOLO 3 Orpheus non solum deos omnes in uno collocat Jove tàm opifice mundi, quàm animo mundi, verum etiam in quolibet Deo saepe numina cuncta commemorat, quem nos in libro de sole imitati sumus. (Ficino, Opera omnia, p. 1371)392 La fonte più importante per la teogonia orfica fu la Teogonia di Esiodo. Nonostante le differenze tra la teogonia di Orfeo e quella di Esiodo,393 gli autori rinascimentali non facevano nessuna distinzione tra le due. Nella teogonia orfica i neoplatonici rinascimentali trovavano una specie di trinità che poteva essere vista come un’anticipazione della Trinità cristiana. Negli Inni orfici si parlava spesso di Giove, della Sapienza e dell’Amore, che potevano essere visti come rappresentazioni del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. I neoplatonici rinascimentali sapevano che gli Orphica (frammenti orfici trovati in altri autori come i Padri della chiesa) derivavano da periodi diversi e che non potevano dunque essere stati scritti da Orfeo stesso, ma li considerarono nondimeno opere religiose di una tradizione molto antica.394 Nella sua funzione di poeta-teologo Orfeo forniva spesso delle citazioni, che potevano sostenere l’argomentazione di Ficino. Cito un esempio dalla Theologia Platonica, il capolavoro di Ficino: Talis est utique Deus, substantia simplex, necessario per se subsistens. Quam ob causam Orpheus Deum appellavit necessitatem: Δεινὴ γὰρ ἀνὰγκη πάντα κρατύνει id est: “Fortis necessitas omnibus dominatur”. (Ficino, Theologia Platonica, II, VII, p. 93)395 In questo caso Ficino cita dagli Inni orfici per rafforzare le sue affermazioni sulla natura di Dio. Tutte le opere di Ficino sono piene di tali citazioni letterali dagli Inni orfici e da altre opere attribuite a Orfeo, come l’Argonautica o frammenti di opere orfiche trovate in altri autori.396 In questo modo Ficino non cita soltanto dalle opere di Orfeo, ma per esempio anche dalle opere di Zoroastro. 392 (citato da Walker, ‘Orpheus the Theologian’, cit.). ‘Orfeo non solo colloca tutti gli dei in un unico Giove, che è sia il creatore del mondo, che l’anima del mondo, ma commemora anche spesso tutti i numi in un certo Dio, che noi imitiamo nel libro sul sole.’ 393 Per le differenze tra la teogonia orfica e quella di Esiodo si veda: Guthrie, op.cit., p. 83 (Walker, ‘Orpheus the Theologian’, cit., p. 115 n. 4). 394 Walker,‘Orpheus the Theologian’, cit., p. 104. 395 ‘Certamente di questo genere è Dio: sostanza semplice, che esiste necessariamente per se. Per questa ragione Orfeo chiamò Dio la Necessità, dicendo: “Deinè gar anankè panta kratunei”, cioè: “Una necessità forte domina tutto”.’ (Inni, III, 11). 396 Per altre citazioni (letterali) dai testi orfici nelle opere di Ficino (con menzione di Orfeo) si vedano: Theologia Platonica, Liber II, IV, p. 84 (Inni, X, 8); VI, p. 87 (Inni, XIII, 8); IX, pp. 101-102 (Inni, 59, 13-14); pp. 102-103 (Inni, 34, 14-18); X, p. 104 (Inni, 8, 1); XI, p. 105 (framm. 46 in Abel); XIII, p. 121 (Inni, X, 22); 136 POETA-TEOLOGO STORICO Tutte le citazioni attribuite ad Orfeo mostrano che Ficino non considera Orfeo il cantante e l’amante mitologico che abbiamo incontrato nel capitolo precedente, ma un personaggio storico. Per Ficino Orfeo è in primo luogo il poeta-teologo che scrisse molte opere teologiche, tra cui gli Inni e l’Argonautica.397 La rappresentazione di Orfeo come poeta-teologo e personaggio storico si trova frequentemente anche in altri autori del secondo Quattrocento. Cristoforo Landino (1424-1498) indica Orfeo sempre come poeta e sottolinea che fu la sua fama come poeta a far sì che gli uomini cominciarono a vederlo come un Dio immortale: Resterebbe a mostrare la gran voluttà e giocondità inenarrabile che il verso ci porge. Ma quale è sì alieno da ogni umanità, sì privato al tutto di giudicio, sì inimico delle Muse che non intenda niuno concento o ben proporzionata armonia al poetico suono aguagliarsi? Di qui è nato, prestantissimi cittadini, che appresso a qualunche nazione sempre grandissimo onore hanno ricevuto e’ poeti. Di qui è nato che Orfeo e Lino in tanta reverenzia furono che non come uomini mortali, ma come dii immortali furono celebrati. (Landino, Prolusione dantesca, p. 51) Questo passo è un chiaro esempio dell’interpretazione evemeristica di Orfeo da parte di Landino.398 Nell’Introduzione all’Eneide l’autore descrive Orfeo come una persona che trascende la condizione umana, ma non raggiunge quella divina.399 Persone del genere sono chiamate ‘poeti’ dai Greci. Landino fa una distinzione tra Dio, gli uomini e i poeti, i quali ultimi si trovano a metà fra Dio e gli uomini. Dio è in grado di creare tutto quello che vuole dal niente, mentre l’uomo può soltanto modellare la materia già esistente. Il poeta invece sceglie un argomento dalla materia comune per scrivere un poema (come le avventure di XIII, p. 125 (Inni, XV, 7 e X, 27); Liber IV, I, p. 155 (Inni, XXXIV, 16-17); II, p. 169 (Inni, XXV); Liber XI, I, p. 102 (Inni, XXIV, 6); IV, p. 119 (Inni, XXXII, 1-2); V, p. 133 (Inni, LXXVI, 4-8); Liber XIII, II, pp. 218-19 (Sonn. Inno, LXXXV, 2-7); II, pp. 221-22 (Inni, I; Corib. Inni, XXXVIII; Liber XVII, IV, p. 166 (Inni, IV, 9; LXXXVII, 3-5); p. 172 (Inni, LVII); Liber XVIII, I, p. 178 (framm. 46 in Abel, p. 67); X, p. 232 (Argon., 1142); p. 233 (Argon., 968-70 e Inni, XI e XVII); p. 235 (framm. 3 e 3 in Kern/framm. 321 in Abel, p. 272); Tres contemplationis platonicae gradus, X; Opuscula Theologica, XI; Commentum in Philebum, Liber I, Cap. V, p. 111; Cap. XI, p. 135; Cap. XXVII, pp. 253-255; p. 257; Cap. XXVIII, p. 267; Cap. XXX, p. 293; Cap. XXXI, p. 305; Liber II, Cap. I, p. 403; Cap. II, p. 405; Cap. IV, p. 417; App. V. p. 498; p. 509; p. 518; El libro dell’amore, Oratione I, II, 15-17 (Inno all’Amore, LVIII, 3); III, 1-4 (Argon., 15-22); 24-25; Oratione II, I, 5; II, 15; VIII, 3-5 (framm. 316 in Abel, p. 272); Oratione III, II, 14 (Inno all’Amore, LVIII, 8); III, 17-18 (Inno all’Amore, LVIII, 4); Oratione V, II, 29-30 (Inno delle Grazie, LX, 4-5); XI, 17-18 (Inno alla notte, III, 11 e Inno a Afrodite, LV, 5); De vita libri tres, pp. 167-68; p. 177; Lettere, I, 6 (framm. 21a in Kern); 26 (Inni, LX, 3); 92 (Inni, VIII, 18 e XXXIV, 16-24). 397 Ci sono, però, alcuni riferimenti a Orfeo poeta-amante nelle opere di Ficino, che saranno discussi nel capitolo 6. 398 Un altro esempio dell’evemerismo landiniano nei confronti di Orfeo si trova in: Proemio al commento dantesco, p. 147. 399 Landino, Introduzione all’Eneide, p. 228. 137 CAPITOLO 3 Enea) aggiungendovi dei sensi nascosti, cosicché l’uomo che intende il significato nascosto del poema può raggiungere in questo modo il sommo bene. Anche Orfeo aveva dunque nascosto nelle sue poesie dei significati segreti che possono indicare la strada giusta all’uomo che li intende. Anche Giovanni Pico della Mirandola (1463-1494) sostiene nella sua orazione De hominis dignitate che gli antichi teologi solevano velare i misteri del loro culto con certe favole, cosicché i misteri non fossero immediatamente chiari ai profani: Sed (qui erat veterum mos theologorum) ita Orpheus suorum dogmatum mysteria fabularum intexit involucris et poetico velamento dissimulavit ut, si quis legat illius hymnos, nihil subesse credat praeter fabellas nugasque meracissimas. Quod volui dixisse ut cognoscatur quis mhi labor, quae fuerit difficultas ex affectatis aenigmatum scirpis, ex fabularum latebris latitantes eruere secretae philosophiae sensus, nulla praesertim in re tam gravi, tam abscondita inexplorataque, adiuto aliorum interpretum opera et diligentia. (Pico della Mirandola, De hominis dignitate, pp. 90-92, ed. Cicognani)400 Mentre il mito di Orfeo stesso era spesso considerato una favola che nascondeva una verità più profonda, come abbiamo visto per esempio nelle interpretazioni medievali del mito, Pico vedeva anche lo stesso Orfeo come un personaggio storico che nascondeva il mistero dei suoi dogmi in favole. Anche nelle Conclusiones nongentae (1486) Pico sottolinea che gli inni non possono essere capiti da tutti. Soltanto quelli che sanno interpretarli per mezzo dell’analogia segreta capiranno il loro messaggio nascosto: Qui nescierit perfecte sensibiles proprietates per uiam secretae analogiae intellectualizare, nichil ex hymnis Orphei sanum intelliget. (Pico della Mirandola, Conclusiones, X, 7)401 Le Conclusiones furono scritte per un convegno filosofico a Roma, dove si sarebbe dovuta discutere l’esistenza di un’unica verità. Il convegno venne, però, impedito dal papa. Le tesi di Pico furono considerate eretiche e l’autore dovette fuggire in Francia, ma tornò a Firenze con l’aiuto di Lorenzo de’ Medici. Nelle Conclusiones, come in altre sue opere, Pico cercò di riconciliare tutte le correnti filosofiche esistenti in un solo sistema. Da tutte le altre proposizioni risalta il desiderio di riconciliare gli inni con la Cabala, con la filosofia di 400 ‘Ma secondo quello che era il costume degli antichi teologi, così anche Orfeo rivestì i misteri dei suoi dogmi di favolosi involucri e li dissimulò con poetici veli sì che chi legga gli inni di lui creda non esservi nient’altro sotto che favolette e bazzècole. Il che ò voluto dire perché si sappia qual fatica sia stata la mia, qual difficoltà a trar fuori dalle artificiose reti degli enigmi, dai nascondigli delle favole gli occulti sensi della segreta filosofia: soprattutto non avendo in aiuto, in cosa di tanto rilievo, così recòndita e inesplorata, nessuna opera e attività di altri interpreti.’ (trad. Cicognani). 401 Chi non saprà intellettualizzare compiutamente le proprietà sensibili seguendo la strada dell’analogia segreta, non capirà niente di buono dagli Inni di Orfeo (trad. Biondi). 138 POETA-TEOLOGO STORICO Aristotele e con la natura di Dio.402 Orfeo è anche menzionato tra le proposizioni relative alla dottrina di Platone, dove si parla dell’Amore, e nelle proposizioni cabalistiche.403 Da parte dei neoplatonici fiorentini Orfeo è dunque considerato un mitografo (scrittore di ‘favole’) invece che un personaggio mitologico. L’idea di Orfeo come personaggio storico che scrisse dei testi autorevoli sugli dei antichi e che nascose negli inni delle verità religiose tornerà anche nei trattati mitografici cinquecenteschi di Cartari e Giraldi (§ 5.1.2). In questi trattati Orfeo non figurerà più come personaggio mitologico, ma solo come fonte di informazione sugli dei. Tuttavia, l’esistenza di due Orfei diversi o piuttosto di due lati diversi dello stesso personaggio, il poeta-teologo e il poeta-amante, dette anche origine a controversie. Come mai un uomo tanto venerabile come Orfeo poteva essere messo in rapporto con i racconti strani e indecorosi che erano stati scritti sul poeta-amante? Ermolao Barbaro (1453/41493), uno studioso che durante i suoi viaggi aveva conosciuto Ficino, Poliziano e Pico, si chiese come quell’uomo che aveva introdotto la ‘paedicaria turpitudine’ potesse essere chiamato teologo (§ 6.6). Nelle opere filosofiche di Ficino e di altri neoplatonici come Landino e Pico della Mirandola Orfeo figura dunque come un poeta-teologo, che fa parte di una serie di prisci theologi. Gli inni orfici e le altre opere orfiche vengono letti e citati come fonti di informazione sugli dei e sull’essenza del mondo. Per mezzo della figura di Orfeo e delle sue idee Ficino riesce a riunire la filosofia platonica e altri sistemi di pensiero con la religione cristiana. Orfeo è considerato un personaggio storico. Non si parla quasi, se non in modo allegorico, della figura mitologica che con la sua musica incantava gli animali ed era sposato con Euridice.404 Per propagare la filosofia platonica Ficino ebbe soltanto bisogno dell’immagine positiva del poeta-teologo, trascurando le connotazioni negative dell’amante. 3.2 POETA ISPIRATO E ALTER EGO DI FICINO405 L’idea della prisca theologia, di cui abbiamo parlato nel paragrafo precedente, è secondo D.P. Walker una delle tre teorie che si trovavano spesso insieme nel neoplatonismo 402 Orfeo è menzionato esplicitamente in: Conclusiones, X, 1; 3-5; 7-9; 13; 15; 18; 31. Conclusiones, V, 5; 25; XI, 10; 17. 404 Vedremo, però, qualche eccezione nel capitolo 5. 405 Questo paragrafo si basa anche in parte su: A. Voss, ‘The Natural Magic of Marsilio Ficino’, Historical Dance 3, 1 (1992), pp. 25-30; idem, ‘Orpheus redivivus: The Musical Magic of Marsilio Ficino’, www.rvrcd.co.uk/ catalogue/ficino/fessay2.htm. 403 139 CAPITOLO 3 rinascimentale. Le altre due erano la teoria dei quattro furori di Platone e la dottrina degli effetti teurgici della musica.406 Secondo Ficino il vero poeta era ispirato da quattro furori: quello poetico (furor poeticus), quello bacchico (furor mysterialis), quello profetico (furor vaticinium) e infine quello amoroso/erotico (amatorius affectus). Il poeta ispirato trasmette i furori alla persona che ascolta la sua musica.407 Ficino considerava Orfeo un uomo dotato di tutti questi furori, perché il cantante univa in sé le qualità di poeta, sacerdote, profeta e amante: Omnibus his furoribus occupatum fuisse Orpheum libri eius testimonio esse possunt. (Ficino, In Convivium Platonis de Amore oratio septima, in Opera Omnia, p. 1362)408 Oltre a Orfeo solo Davide era ispirato dai quattro furori. Per via della sua ispirazione quadruplice Orfeo si trovava più vicino alla rivelazione divina, ragione per cui era considerato priscus theologus.409 Il poeta-teologo si distingue secondo Ficino dagli altri uomini perché la sua mente può liberarsi in certe condizioni dalle preoccupazioni quotidiane ed aprirsi all’influenza divina (influxus mentium superiorum). Questa situazione si chiama vacatio mentis o alienatio.410 La vacatio mentis poteva essere ottenuta nel sogno, nella malinconia e nella castità della mente dedicata a Dio. Siccome Orfeo viveva in una condizione di malinconia dopo la seconda morte di Euridice, la sua mente era aperta all’influsso divino.411 La terza teoria che si trova spesso nel neoplatonismo rinascimentale, accanto alla prisca theologia e alla teoria dei quattro furori di Platone, è quella degli effetti della musica. Quando Ficino parla degli effetti della musica, tratta spesso del rapporto tra la musica e lo spirito (spiritus) umano: la musica permette all’uomo di purgare lo spirito dagli effetti cattivi della malinconia, di aprirsi alle buone influenze astrali e di vivere una vita piena di contemplazione religiosa e filosofica. La parola spiritus può avere molti significati per Ficino: può indicare per esempio il legame tra il corpo dell’uomo e la sua mente, oppure lo spiritus mundi, cioè la sostanza eterica del cielo (quintessenza). Anche la musica è una specie di spiritus che, quando entra nel corpo attraverso gli orecchi, si mescola con lo spirito dell’uomo e lo trasforma in un certo modo. Questa è la spiegazione fisica e psicologica degli effetti teurgici della musica. 406 Walker, ‘Le chant orphique’, cit., p. 17. Walker, ‘Le chant orphique’, cit., p. 22. 408 ‘I suoi libri possono testimoniare che Orfeo fu occupato da tutti questi furori.’ (testo citato da Walker,‘Orpheus the Theologian’, cit., p. 100). 409 Warden, ‘Orpheus and Ficino, cit., p. 98; Buck, op.cit., p. 19. 410 Warden, ‘Orpheus and Ficino, cit., p. 98. 411 Warden, ‘Orpheus and Ficino, cit., p. 99. 407 140 POETA-TEOLOGO STORICO Oltre alla musica ci sono alcune altre fonti di cui lo spirito umano deve nutrirsi con lo spiritus mundi, come la luce, gli odori aromatici e il vino, ma la fonte più importante sono le sfere celesti. Secondo i neoplatonici i pianeti emettono, infatti, delle onde di spiritus, che formano una specie di musica che si chiama l’armonia delle sfere.412 L’uomo deve scegliere la musica che appartiene al pianeta da cui vuole essere influenzato e combinarla con la luce, l’odore e il vino appropriati. Siccome il sole era ritenuto il pianeta con l’influenza migliore, i neoplatonici si indirizzavano soprattutto al sole. Orfeo aveva scritto degli inni con cui venerava gli dei antichi. Come è già stato accennato nel §1.1, c’erano 87 inni per il culto orfico, che invocavano gli dei orfici: in primo luogo Dioniso, e poi Crono, Rea, Eros (Amore), il Sole, la Luna, la Morte, la Natura, eccetera. Molti degli dei orfici al tempo di Ficino (e anche prima) erano considerati pianeti. Cantando gli inni orfici si potevano, secondo Ficino, invocare i pianeti e si poteva essere influenzati dall’armonia delle sfere. Gli inni di Orfeo potevano dunque essere usati per ottenere certi effetti benefici. Anche Pico dedicò la decima sezione delle sue Conclusiones all’interpretazione degli inni di Orfeo dal punto di vista della magia. Questa sezione è composta da trentuno proposizioni che riguardano vari aspetti degli inni orfici. Secondo Pico gli inni hanno un potere magico, che viene fuori soprattutto in combinazione con la musica e lo stato d’anima adatti: Nichil efficientius hymni Orphei in naturali Magia, si debita musica, animi intentio, et ceterae circumstantiae, quae norunt sapientes, fuerint adhibitae. (Pico della Mirandola, Conclusiones, X, 2)413 Per Pico, e anche per Ficino, gli inni e gli altri testi orfici non erano dunque dei testi qualsiasi che si recitavano solo per la loro bellezza. Cantando gli inni si praticava l’antico rito orfico e così si sperava di aprire lo spirito al furore bacchico e a quello apollineo. Dalle testimonianze di Ficino stesso e dei suoi contemporanei sappiamo che quella degli effetti magici o teurgici della musica non rimase soltanto una idea o una teoria per Ficino. Lui mise anche in pratica queste idee suonando la lira e cantando degli inni orfici.414 Questa abitudine ficiniana è descritta dal suo biografo Giovanni Corsi nella Vita Marsilii Ficini 412 Walker, ‘Le chant orphique’, cit., p. 19. ‘Per le operazioni di magia naturale niente è più efficace degli Inni di Orfeo: purché si applichi la musica dovuta, la dovuta intenzione dell’animo, e tutte le altre circostanze che i sapienti conoscono.’ (trad. A. Biondi) 414 Buck, op.cit., p. 23. Anche Pico soleva suonare la lira e recitare delle preghiere latine composte da lui stesso (Walker, ‘Orpheus the Theologian’, cit., p. 102. n. 3), ma non si trattava di inni orfici. 413 141 CAPITOLO 3 (1506).415 Anche Ficino stesso dice in una lettera a Cosimo de’ Medici di aver cantato un inno orfico per Cosmo: Marsilius Ficinus Cosmo Medici patri patrie se commendat. Superioribus diebus hymnum divi Orphei quem ad Cosmum id est mundum ille cecinit ipse quoque sumpta lyra relaxande mentis gratia musicis modulis referebam. Ejus hymni sensus, ut e greco in latinum ad verbum exprimam, hic erat: O celum omnia generans Cosmi pars semper indomita, antiqui et venerandi generis, principium omnium omniumque finis. O Cosme pater qui sperico motu terre circumlustras orbem, domus beatorum rotunditatis vertigine gradiens. Cosme celestis simul atque terrestris, tutor et custos omnium, cuncta complectens, invictam nature necessitatem in pectore continens, ceruleis oculis, indomite, variformis, varians universa, omnipotens pater temporis, beate prestantissime demon. Exaudi nostras Cosme preces vitamque quietam pio juveni tribue. Hec Orpheus. (Ficino, Lettera a Cosimo de’ Medici, ed. Klutstein, pp. 35-36)416 Nella lettera Cosimo è identificato indirettamente con il dio Cosmo, cioè con il mondo che regge e protegge tutto. Ficino chiede al Cosmo di esaudire le sue preghiere e di dargli una vita quieta. Dal seguito della lettera risulta che l’inno aveva avuto effetto: Cosimo de’ Medici gli aveva donato la villa a Careggi. L’abitudine ficiniana di cantare degli inni orfici piaceva chiaramente al principe. In un’altra lettera di Cosimo de’ Medici a Ficino il principe lo invita a fargli una visita senza dimenticare la sua lira: ‘Vale et veni non absque Orphica lyra.’417 Forse il rapporto tra il principe Cosimo e il dio Cosmo negli inni orfici ebbe come conseguenza la stima di Cosimo per la figura di Orfeo. Vedremo nei capitoli 5 e 6 che Orfeo sarebbe rimasto popolare alla corte dei Medici (soprattutto con Cosimo I). La lira orfica di Ficino, di cui 415 Corsi, Vita Marsilii Ficini, 6. Warden cita anche altre fonti per mostrare che Ficino suonava letteralmente la lira orfica: Johannes Pannonius, in: Ficino, Opera (Basel, 1576), p. 871; Cosimo de’ Medici, ibidem, p. 608; Filippo Callimaco, in: Supplementum Ficinianum, II, 225. Ficino stesso fa anche menzione del ritorno del canto accompagnato dalla lira orfica tra le discipline liberali in un altro luogo, dove si riferisce probabilmente a sé stesso (Ficino, Opera, ‘Lettera a Paulo Middelburg’, p. 944). 416 ‘Marsilio Ficino si raccomanda a Cosimo (Cosmo) de’ Medici, padre della patria. Nei giorni passati anch’io stesso ho riferito in ritmi musicali l’inno del divino Orfeo, che egli cantò a Cosmo cioè al mondo, dopo aver preso la lira per rilassare l’anima. Il senso di quell’inno, per esprimerlo alla lettera dal greco in latino, era questo: ‘O cielo che procrea tutto, parte del Cosmo sempre indomata, di una stipre antica e venerabile, principio di tutto e fine di tutto. O padre Cosmo, che circondi la terra con un movimento sferico, sede dei beati che procede per la vertigine della rotondità. Cosmo insieme celeste e terestre, protettore e custode di tutto, che comprende tutto, che contiene nel petto la necessità invincibile della natura, con gli occhi cerulei, indomito, variforme, che varia le cose universali, padre onnipotente del tempo, beato demone eccellentissimo. Ascolta le nostre preghiere, Cosmo, e concedi una vita quieta ad un giovane pio. Così (disse) Orfeo.’ 417 ‘Vale e non venire senza la lira Orfica.’ (Cosimo de’ Medici, in: Ficino, Opera, p. 608). 142 POETA-TEOLOGO STORICO parla Cosimo, era infatti una lira dipinta con l’immagine di Orfeo, come sostiene Naldo Naldi (1439-1520) nelle sue Elegie: Ad Marsilium Ficinum de Orpheo in eius cithara picto Orpheus hic ego sum, movi qui carmine silvas, Qui rabidis feci mollia corda feris. Hebri quamvis unda fluat velocior Euro, Victa tamen cantu substitit illa meo. (Naldi, Elegiarum libri tres, II, 37)418 La poesia è un’ekfrasis dell’immagine dipinta sulla lira. È l’immagine di Orfeo che parla al lettore. Orfeo si presenta in quest’elegia come l’uomo che mosse le selve e che intenerì i cuori delle bestie. Quasi con le stesse parole con cui Naldi in un’altra elegia, che cito dopo, descrive le capacità ereditate da Ficino, Orfeo afferma che, benché l’acqua dell’Ebro scorra più veloce dell’Euro, il fiume si ferma nondimeno perché è vinto dal canto di Orfeo. Per i suoi tentativi di imitare il canto di Orfeo e di raggiungere gli effetti magici degli inni orfici, Ficino fu paragonato e perfino identificato dai suoi contemporanei con Orfeo stesso. Come abbiamo visto nel secondo capitolo, nel Trecento e nel primo Quattrocento molti poeti e musicisti venivano paragonati alla figura di Orfeo. La qualità poetico-musicale di Orfeo era una fonte d’ispirazione per molti. Non si mirava solo a imitare o emulare il cantante famoso, ma qualche volta ci si identificava talmente con Orfeo da essere considerato un secondo o novello Orfeo. Nella seconda metà del Quattrocento l’esempio per eccellenza dell’alter Orpheus è Marsilio Ficino. Le analogie tra la figura di Orfeo e Ficino erano varie, e non riguardavano soltanto le sue attività come poeta o cantante, come nel caso di altri musicisti paragonati a Orfeo. Nel caso di Ficino le analogie tra lui e Orfeo sono molto più grandi rispetto ai casi dei poeti e cantanti ricordati nel capitolo precedente, e non riguardano soltanto le sue eccellenti qualità di poetamusicista, ma sono dovute anche all’ imitazione del contenuto dei canti di Orfeo. Ficino insomma unisce in sé la qualità poetico-musicale di Orfeo e quella del poeta-teologo.419 Nell’Altercazione (De summo bono, 1473-4) Lorenzo de’ Medici scambia il suono della lira di Ficino per quello di Orfeo. Il canto che si sente è talmente dolce da far credere 418 ‘Io qui sono Orfeo, che mossi le selve con il canto, che resi i cuori delle fiere furiose dolci. Benché l’onda dell’Ebro scorra più veloce dell’Euro, essa si ferma pure, vinta dal mio canto.’ 419 Walker afferma perfino che Ficino stesso era in possesso dei quattro furori, che lui attribuiva a Orfeo: il furore poetico-musicale (come poeta e cantante degli Orphica); il furore bacchico (Ficino praticava un rito religioso con gli inni orfici, le luci, gli odori e il vino); il furore apollineo che produceva la profezia e la rivelazione di verità religiose (Ficino credeva che gli inni orfici contenessero delle verità religiose e qualche volta delle profezie); il furore amoroso, che poteva essere l’amore mistico dell’uomo per Dio oppure certe forme di amore sessuale (Ficino credeva soltanto all’amore mistico) (Walker, ‘Le chant orphique’, cit., p. 23). 143 CAPITOLO 3 agli uditori che Orfeo o Anfione siano tornati al mondo oppure che la lira di Orfeo sia ricaduta in terra: Erano gli orecchi alle parole intesi, quando una nuova voce a sé gli trasse, da più dolce armonia legati et presi. Pensai che Orpheo al mondo ritornasse o quel che chiuse Thebe col suon degno, sì dolce lyra mi parea suonasse. “Forse caduta è dal superno regno la lira ch’era traùlle stelle fisse? - diss’io -, il ciel sarà sanza il suo segno, o forse, come quello antico disse, l’alma d’alcun di questi trasmutata nel suonatore per suo destino si misse!”. Et mentre che tra fronde et fronde guata et segue l’occhio ove l’orechio tira, per veder tal dolcezza onde è causata, ecco in un puncto sente, intende et mira l’occhio, la mente nobile e l’orecchio chi suona, sua doctrina et la sua lyra: Marsilio, habitatore del Montevecchio, nel quale il cielo ogni sua gratia infuse, perch’e’ fussi a’ mortal’ sempre uno specchio; amator sempre delle sancte Muse, né manco della vera sapientia, tal che l’una già mai dall’altra excluse. (Lorenzo de’ Medici, De summo bono, 2, vv. 1-24) Anche Ugolino Verino (1438-1516), amico dei Medici e maestro di retorica e poesia del futuro papa Leone X (Giovanni de’ Medici), vede l’analogia tra Ficino e Orfeo: Verum, ubi pulsa fames, vates consurgit Etruscus Marsilius pulsatque lyram. Tum voce canora Concordat versus, qualis Rhodopeius Orpheus Euridice amissa lachrymans apud impia frustra Tartara deflevit cytharam mirantibus umbris: Quis maris et terrae, caeli quis terminus extet, Quae rerum causae, quis spiritus, unde creati Quorsum homines celeresque animi, qui corpore functi Quo volitent, caelumne petant Stygiamque paludem, Lydius haec docto cantabat pectine vates. 144 POETA-TEOLOGO STORICO (Verino, Carlias, Liber XV, v. 284)420 Nelle sue Elegie Naldo Naldi descrive perfino come lo spirito di Orfeo si reincarna nel corpo di Marsilio Ficino. Prima lo stesso spirito di Orfeo si era già reincarnato in Omero (che ottenne il dono del canto), in Pitagora (che ottenne il dono dell’educazione morale) e in Ennio (che ottenne la sua pietà). Infine lo spirito di Orfeo si reincarna dunque in Ficino: Ad Marsilium Ficinum Panthoidem priscum post fata novissima silvas Orphea mulcentem sustinuisse ferunt; Post hunc ingressus divini corpus Homeri Cantavit numeros ore sonante novos; Pythagorae post haec manes intrasse benignos Dicitur et mores edocuisse probos, Inde, ubi digressus varios erravit in annos, Ennius accepit in sua membra pius, Qui, simul ac vates mortalia vincla reliquit Et moriens campos ivit ad Elysios, Illic usque manens alios non induit artus Neve sacrum passus deseruisse nemus, Marsilius donec divina e sorte daretur, Indueret cuius membra pudica libens; Hinc rigidas cythara quercus et carmine mulcet Atque feris iterum mollia corda facit. (Naldi, Elegiarum libri tres, II, 22)421 Marsilio adotta il talento di Orfeo di incantare gli alberi con la cetra e con il canto, e di intenerire i cuori delle bestie. Naldi, nel descrivere la lira orfica, aveva descritto Orfeo stesso con quasi le stesse parole. 422 420 ‘Ma, quando è stata placata la fame, si alza il vate etrusco Marsilio e tocca la lira. Poi intona con voce canora i versi, come Orfeo rodopeo dopo aver perso Euridice con lacrime pianse invano nel Tartaro crudele la cetra mentre le ombre si meravigliavano: quale termine esiste del mare e della terra, quale termine del cielo, quali sono le cause delle cose, quale è lo spirito, da dove creati, con quale scopo gli uomini e le anime veloci, che sono morte, dove volano, se vanno al cielo e alla palude stigia, queste cose il vate lidio le cantò con canto dotto.’ 421 ‘Dicono che il Pantoide (Euforbo) sostenne Orfeo che incanta le selve dopo la sua morte recente; essendo entrato dopo di lui nel corpo del divino Omero cantò dei tempi nuovi con bocca suonante; si dice che dopo entrò nello spirito benigno di Pitagora e insegnò i buoni costumi, poi, quando essendo uscito aveva errato per vari anni, il pio Ennio l’accettò nelle membra, che, appena il vate aveva lasciato le catene mortali ed era andato morendo ai Campi Elisei, rimanendo lì non indossò altre giunture né sopportò lasciare la selva sacra, finché non fosse dato Marsilio dalla sorte divina, le cui membra avrebbe indossato volentieri; perciò addolcisce le querce rigide con la cetra e il canto e rende dolci di nuovo i cuori delle fiere.’ 145 CAPITOLO 3 Oltre a tutti questi riferimenti letterari all’identificazione di Ficino con la figura di Orfeo, sarebbe interessante ritrovare questa presenza anche nelle arti visive. Secondo John Warden e André Chastel il busto di Ficino (1521) fatto da Andrea Ferrucci nel Duomo di Firenze rappresenterebbe l’autore neoplatonico come novello Orfeo (ill. 3.1).423 3.1 Andrea Ferrucci, Marsilio Ficino (come Orfeo?), 1521 / 3.2 Bertoldo di Giovanni, Orfeo, 1485-90 Ficino tiene nelle mani un grande libro (forse di Platone) e guarda in su. Chastel sostiene che Ficino apre la bocca come per cantare e che tiene il libro come una lira, anche se non c’è nessun segnale evidente della loro rassomiglianza, come una lira orfica oppure la presenza di animali incantati. Tuttavia, anche secondo Elisabeth Schröter si potrebbe interpretare lo sguardo di Ficino al cielo come uno sguardo orfico.424 Lo stesso sguardo orfico sarebbe visibile nella statuetta di Orfeo (1485-90) di Bertoldo di Giovanni, un artista che faceva parte della cerchia di Lorenzo de’ Medici (ill. 3.2).425 Appunto questo sguardo sarebbe decisivo per l’interpretazione della statuetta come Orfeo invece che come Apollo.426 Questa maniera di rappresentare Orfeo era già comune nell’antichità, e poteva essere nota a Bertoldo.427 422 Anche Poliziano paragona Ficino a Orfeo in una lettera a Bartolomeo Fonzio (Poliziano, Inno /epistola metrica a Bartolomeo Fonzio). 423 Warden, op.cit., p. 86; Chastel, op.cit., p. 48. 424 Schröter, op.cit., p. 125. 425 Schröter, op.cit., p. 126. Bertoldo di Giovanni, Orfeo, statuetta di bronzo, 1485-90. Firenze, Museo Nazionale del Bargello, inv. 349B. 426 Altri elementi della figura che fanno pensare a Orfeo sono la corona di foglie indistinte, la pelle di capro e gli stivali, che si trovano anche in immagini padovane di Orfeo, come quella di Marco Zoppo (attrib.), Orfeo, 146 POETA-TEOLOGO STORICO Ficino non era l’unica persona ad essere paragonata a Orfeo a Firenze. Nelle Elegie Naldo Naldi commemora la morte del figlio di Cristoforo Landino. Nella poesia Naldi si riferisce alcune volte a Orfeo: se il cantante mitico era perfino in grado di riprendere sua moglie dalla morte con l’aiuto della sua lira, perché Landino non poteva tenere in vita suo figlio?428 Benché in questa poesia Landino sia messo in rapporto con Orfeo, non si può parlare di una vera identificazione di Landino con Orfeo. Si tratta soltanto del paragone tra due persone che perdettero una persona amata. Landino non riesce ad emulare gli effetti del canto di Orfeo. Soltanto Marsilio Ficino stesso era veramente considerato un novello Orfeo. Tuttavia, questa poesia di Naldi mostra l’onnipresenza della figura di Orfeo nella cerchia di Ficino a Firenze. Gli studiosi della presunta Accademia si davano qualche volta dei soprannomi mitologici, il che mostra che i personaggi mitologici ottennero un ruolo di primo piano nei circoli fiorentini. I personaggi mitologici non restarono soltanto dei nomi e delle immagini stereotipate ma, a quanto pare, tra gli studiosi fiorentini ripresero vita. Nell’apologia alla fine dei Libri de vita Ficino parla in questa maniera dei suoi amici fiorentini: Proinde ut pluribus causam nostram patronis agamus, addito Petre mi Nere Amphionem illum nostrum Landinum Christophorum oratorem pariter & poetam. Ille noster Amphion suauitate mira celeriter lapidea hostium nostrorum corda demolliet. Tu uero guiciardine carissime compater, ito nunc, ito alacer, politianum Herculem accersito. Hercules quondam ubi periculosius certandum foret, uocitabat Iolaum: Tu nunc similiter Herculem. Nosti profecto quot barbara monstra latium iam deuastantia politianus Hercules inuaserit, lacerauerit, interemerit : quae acriter expugnet passi. Quae tuto oppugnet. Hic ergo uel centum hydrae capita nostris liberis minitantia statim confundet claua, flammique comburet. Eia mi dulcissime Soderine, surge age picum salutato phoebeum. Hunc ego saepe phoebeum appello meum. Ille me Dionysium uicissim atque liberum. Fratres ergo sumus. Nuntia phoebeo meo, uenenosum contra nos pythonem, ex palude iamiam emergentem. Tendat arcem, obsecra precor. Confestim spicula iaculetur. Intendet ille protinus, scio quid loquar, uenenumque totum semel una nece necabit. (Ficino, Libri de vita III, Apologia, pp. 185-186, ed. Plessner)429 miniatura, in: Virgilio Ecloghe, Padova, ca. 1465-70. Parigi, Biblioteca Nazionale, Ms. Lat. 11300, fol. 4v (Schröter, op.cit., pp. 126-127). 427 Schröter, op.cit., p. 127. Esempi antichi di Orfeo che guarda in su mentre suona la lira si trovano in: Schoeller, op.cit. 428 Naldi, Elegiarum libri tres, II, 13. 429 “In order to get as many patrons for our cause as we can, Peter Neri, I want you to recruit that Amphion of ours, Cristoforo Landino, our orator and poet. Our Amphion will quickly demolish the stone walls of our enemies with the wonderful smoothness of his music. You, dear Guicciardini, my other chief, go now, go quickly, and rouse our Hercules, Poliziano. Whenever Hercules was in a particularly dangerous fight, he would call for his Iolaus, so you now likewise go get our Hercules, that this Hercules Poliziano might attack 147 CAPITOLO 3 In questo passo Landino è paragonato ad Anfione, Poliziano a Ercole e Pico della Mirandola a Febo-Apollo. Apparentemente Ficino è anche chiamato Dioniso o Bacco da Pico. Una reazione a questa apologia si trova in una lettera di Angelo Poliziano, l’autore della Fabula di Orfeo. Nella sua funzione di filosofo neoplatonico Ficino è paragonato al personaggio mitologico di Orfeo che con la sua cetra non riuscì a riprendersi Euridice dagli Inferi: Marsilio Ficino Florentino cuius longe felicior quam Thracensis Orphei cithara veram ni fallor Eurydicen hoc est amplicissimi iudicii Platonicam sapientiam revocavit ab inferis. (Poliziano, Opera, p. 310)430 Mentre Orfeo cercò invano di riprendersi dagli inferi sua moglie, Ficino fece tornare al mondo la vera Euridice: l’amplicissimum iudicium, cioè la sapienza platonica. L’interpretazione di Euridice come l’ampio giudizio fa pensare al profondo giudizio (profunda diiudicatio) di cui parlava Fulgenzio, che fu ripreso nel Trecento per esempio da Giovanni del Virgilio e da Boccaccio nelle Genealogie. Ficino è il novello Orfeo che rinnovò la sapienza di Platone. Il passo allude probabilmente alla lettera di Ficino a Braccio Martelli, in cui lui stesso paragona l’ampiezza del giudizio che piaceva a Platone alla figura di Euridice.431 Vittore Branca accenna all’ironia delle parole di Poliziano.432 La lettera di Poliziano è una reazione al passo sopraccitato di Ficino, in cui il filosofo esalta Poliziano come un novello Ercole. Poliziano immagina se stesso sonnecchiando alle parole di Ficino e crea così un ‘ossimoro parodico’ tra l’allievo sonnecchiante e il trionfo orfico del docente, che trasforma Ficino quasi in una figura grottesca.433 Anche Luigi Pulci, che apparteneva alla corte medicea di Firenze, ridicolizza Ficino in due sonetti: rifiuta la teoria ficiniana these barbarian monsters now devastating Latium and chew them up, murder them, maul them viciously, and safely defend us. He will then grab his club and bludgeon this hundred-headed Hydra that is now threatening our books, and he will burn it up in flames. Hey, my sweet Soderini, come on, rise up, go get Pico, our Phoebus. I often call him my Phoebus, and he calls me in turn his Dionysus, his Bacchus. We are therefore brothers! Tell my Phoebus that the poisonous Pytho is after us, emerging once again from his swamp. Please, beg him to bend his bow! Have him fire his arrows right now! Once he starts shooting, he will kill the whole poisonous pack with one shot, and I know what I am talking about.” 430 ‘Marsilio Ficino il fiorentino la cui cetra, che era molto più felice che quella del tracio Orfeo, se non mi sbaglio, fece tornare dagli Inferi la vera Euridice, cioè la sapienza platonica dell’ampio giudizio.’ 431 ‘sed iam vivus Plato, mi Bracci, noster tantum Eurydicen pulchram, quantum Orpheus adamavit, Eurydicen inquam, iudicij scilicet amplitudinem’ (Ficino, Opera (1962), I, p. 918). 432 Vittore Branca, ‘Tra Ficino ‘Orfeo ispirato’ e Poliziano ‘Ercole ironico’’, in: Marsilio Ficino e il ritorno di Platone. Studi e documenti, a.c.d. G.C. Garfagnini, Firenze, Leo S. Olschki, 1986, p. 471. 433 Branca, ‘‘Tra Ficino ‘Orfeo ispirato’ e Poliziano ‘Ercole ironico’’, cit., p. 471. 148 POETA-TEOLOGO STORICO dell’anima, la dottrina dell’amore e l’esoterismo platonico.434 Secondo Chastel si può datare il conflitto tra Pulci e Ficino al 1474. Pulci indica Ficino come ‘vil traditor vecchio’ e cattivo plagiario di Platone.435 Non tutti gli umanisti intorno a Ficino avevano dunque la stessa ammirazione per il platonismo e per il ruolo di Orfeo come poeta-teologo. Nel caso di Poliziano il suo interesse per il platonismo e per le teorie di Ficino diminuì, secondo Branca, nel corso degli anni. Nel capitolo successivo vedremo che Poliziano ha una concezione diversa della figura di Orfeo: non lo considera un poeta-teologo reale, che scrisse delle opere filosofico-religiose, ma lo presenta come una figura mitologica. Interpretato in modo allegorico il mito di Orfeo offre una lezione morale. Tuttavia, l’interesse di Ficino per Orfeo contribuì forse indirettamente alla scelta di questa figura come protagonista della prima rappresentazione teatrale secolare in volgare. 3.3 LA FORTUNA DEL POETA-TEOLOGO Marsilio Ficino ebbe anche molti seguaci, che avevano studiato la filosofia insieme a lui o che avevano conosciuto la filosofia platonica per altre vie. Mario Equicola (1470-1525) studiò a Firenze sotto la guida di Ficino stesso e basò il suo trattato principale, il Libro de natura de Amore (ca. 1506-09, prima edizione 1525), sull’opera quasi omonima di Ficino. In sei libri Equicola discute ogni aspetto dell’amore: la tradizione della lirica amorosa dai greci agli umanisti quattrocenteschi, l’origine dell’amore, l’amore di Dio e l’amore umano, i modi di acquistare l’amore e il fine dell’amore. Per via del suo carattere enciclopedico il libro fu anche tradotto e diffuso in Francia e in Spagna. Quando Equicola si richiama a Orfeo, cita soprattutto dagli inni orfici.436 Orfeo avrebbe anche dato dei consigli pratici straordinari per conquistare il cuore dell’amante. Secondo Equicola non bisogna prestar fede a superstizioni del genere: non prestemo fede alcuna ad Plinio dove legemo che chi portarà li intestini della hiena ligati nel braccio sinistro et resguardarà domna, che quella subito il sequirà (hyena è animale in Aphrica, il quale dicono uno anno essere maschio et uno femina, benché Aristotele il neghe). Orpheo et Archelao scrissero havere gran forza in amore un pilo dela 434 Sonetto CXLV; Giostra, 84, 88; Morgante, XXV, 156-57 e XXXVII, 41. Pulci paragona Poliziano anche al poeta greco Alceo, e ai famosi poeti mitici Anfione, Museo e Orfeo (Morgante, cantare XXVIII, 142-149). Benché Poliziano sia paragonato in questo passo a Orfeo, lui non è considerato un novello Orfeo come Ficino. 435 Chastel, Marsile Ficin et l’Art, cit., pp. 12 e 19 n. 33. 436 Equicola, Libro de natura de amore, libro I, 1 ‘Laude de amore’, fol. 8v; 9r; 12v; libro IV, 2 ‘Dela forza et potentia de amore’, fol. 164v; libro IV, 4 ‘Causa de insomnii de amanti’; libro IV, 5 ‘De Venere’, fol. 188r; 189v; libro IV, 6 ‘De cupidine’, fol. 201v. 149 CAPITOLO 3 coda del lupo, le saete tracte del corpo humano senza che habiano toccata terra, posti socto ‘l corpo del homo quando dorme. (Equicola, Libro de natura de amore, libro V, 3) In altri passi Equicola descrive Orfeo, però, come un filosofo venerabile su cui Platone basava i suoi scritti filosofici.437 Anche il cardinale Egidio da Viterbo (1469-1532) venne a contatto con Ficino e con la cerchia intorno a Pontano (l’Accademia Pontaniana) durante i suoi numerosi viaggi. Egidio scrisse i due trattati Schechina e Libellus de litteris hebraicis (1518) basandosi sulla cabala. Nel Libellus Egidio cercò di riconciliare varie correnti di pensiero come fecero i neoplatonici fiorentini. Le idee di Orfeo furono in tal modo messe in rapporto con quelle di Platone e di altri pensatori.438 Questi tipi di connessione tra sistemi di pensiero diversi si manifestarono anche nelle opere di Pico della Mirandola. La fortuna di Orfeo poeta-teologo continuò in testi filosofici e trattati poetici durante tutto il Cinquecento. Nelle opere del filosofo Giordano Bruno (1548-1600) si trovano molti elementi neoplatonici ed ermetici. Per Bruno Orfeo è uno dei prisci theologi, che ha scritto degli inni sulla natura degli dei. Qualche volta il filosofo sostanzia le sue idee con riferimenti agli scritti di Orfeo:439 Amor ut in amante est, passive dicitur et est vinculum, alio modo dicitur active, id est quod amare facit; et est quaedam divina vis in rebus, et hic est ille qui vincit. Et Orpheo atque Mercurio est Daemon magnus, antiquus ante mundum, quo chaos ornamentum appetebat eratque in sino illius. (Bruno, De vinculis in genere, Premessa, p. 649)440 Giordano Bruno fu condannato per le sue idee eretiche e chiuso nel carcere a Roma.441 Sotto l’influenza del clima religioso più ortodosso l’amalgama di idee cristiane e di altre idee tra cui quelle di Orfeo, fu considerato eretico. In genere i riferimenti agli scritti orfici 437 Equicola, Libro de natura de amore, libro III, 2 ‘Amore angelico’, fol. 121r; libro V, 4 ‘Modi et gesti del’amante’, fol. 244r. 438 Egidio da Viterbo, Libellus de litteris hebraicis, pp. 23, 40, 42, 50 (ed. Secret). 439 Altri riferimenti a Orfeo poeta-teologo (in una serie di pensatori antichi, o come fonte d’informazione) nelle opere di Bruno, si trovano in: De innumerabilis, de immenso et infigurabili, Capo IX, p. 50; De la causa, principio e uno, Dialogo secondo, p. 233; De magia mathematica, De triplici fide, p. 497; De rerum principiis, elementis et causis, Premessa, p. 511; De vinculis in genere, Art. XII, p. 692; La Cena de le Ceneri, Dialogo primo, p. 41; La monade, il numero e la figura, Capitolo X, p. 400; Theses de magia, XVII, p. 467. 440 ‘L’amore come è nell’amante, è chiamato qualcosa di passivo ed è un vincolo, in altro modo è chiamato qualcosa di attivo, cioè quello che fa amare; e c’è una certa forza divina nelle cose, e questo è quello che vincola. E agli occhi di Orfeo e di Mercurio è un Demone grande, più antico del mondo, che il caos voleva come ornamento e che era amato da lui.’ 441 Anche il filosofo calabrese Tommaso Campanella (1568-1639) fu condannato e chiuso nel carcere a Roma nello stesso periodo. Lui si riferisce a Orfeo in: Del Senso delle Cose e della Magia, p. 72 (effetto della sua musica: contemplazione); p. 296 (sacerdote: medico del corpo e dell’anima). 150 POETA-TEOLOGO STORICO non si trovavano in testi in cui si presentava una nuova concezione del mondo, e non erano dunque condannati tanto fortemente.442 Gli autori e studiosi non si riferirono solo agli inni di Orfeo stesso, ma cercarono anche di creare inni nuovi seguendo il modello di Orfeo. Michele Marullo (1453-1500), un immigrato greco di Costantinopoli che venne in Italia in giovane età, scrisse degli inni seguendo il modello degli inni orfici. Marullo si trovava nel circolo di Giovanni Pontano a Napoli, ma anche in altre città italiane come Firenze. Negli Hymni naturales (stampati a Firenze nel 1497) Marullo venera gli dei antichi. Oltre al fatto che la forma e il contenuto della sua raccolta segue gli inni orfici, ci sono anche dei riferimenti diretti alla figura mitologica stessa. Nell’inno a Marte Marullo afferma che, quando Marte avesse favorito i Greci nella lotta contro i Turchi, né Orfeo né Pindaro avrebbero uguagliato il suo canto: Tunc me nec Orpheus carminibus pater Aequet canentem nec pecorum deo Laudatus aestiva sub umbra, Multiloquae fidicen Camaenae, Quanquam sonoris hic fidibus rudes Duxisset ornos et vaga flumina Frenasset, hunc dignatus ipse Ultro epulis decimaque Phoebus: (Marullo, Hymni naturales, II, VI (Marti), v. 33)443 Non solo Ficino, ma anche Marullo imita dunque i poemi di Orfeo e cerca di emulare il cantante antico. Gli effetti del canto di Orfeo a cui si fa riferimento derivano dalle Argonautiche di Apollonio Rodio. Marullo afferma perfino di essere il primo a parlare dei riti della sua patria come esule greco (Quique tot saeclis tripodas silentes / Primus Orpheo pede rite movi).444 Marullo non è il primo a far rivivere gli inni orfici, ma è il primo greco a farlo. I riferimenti a Orfeo poeta-teologo si limitano soprattutto alle opere filosofiche e ai trattati sull’amore da lui scritti. Orfeo come scrittore degli inni orfici e come uno dei prisci 442 Riferimenti del genere agli scritti (gli inni) di Orfeo li troviamo anche nei dialoghi di carattere platonico di Torquato Tasso, come La Molza overo de l’Amore (1585/86), in cui l’autore discute un argomento molto caro a Ficino (cf. El libro de l’Amore). 443 ‘Allora né il padre Orfeo coi carmi mi uguaglierebbe nel canto né, dal dio delle bestie lodato sotto l’estiva ombra, il suonatore di cetra (Pindaro) della multiloqua Camena (Polinnia), sebbene l’uno con la sonora cetra i rudi orni avesse trascinato e i vaghi fiumi frenato, l’altro lo stesso Febo lo avesse stimato degno spontaneamente delle sue vivande e di offerta’ (trad. D. Coppini, Firenze, Le Lettere, 1995). 444 Marullo, Hymni naturales, II, VIII (Mercurio), v. 6. Inoltre, Marullo dedica uno dei suoi Epigrammata alla morte di Orfeo (Marullo, Epigrammata, II, XLVI, De morte Orphei). 151 CAPITOLO 3 theologi divenne un personaggio stereotipato che venne tramandato da un autore filosofico all’altro. Inoltre, lo scrittore degli inni venne anche menzionato nei trattati mitografici, come vedremo nel § 5.1, e, grazie alle sue descrizioni degli dei antichi negli Inni, il poeta diventò fonte d’ispirazione anche per tali trattati. Nelle arti visive le rappresentazioni di Orfeo poeta-teologo sono molto rare. La mancanza di riferimenti al poeta-teologo nell’arte dipende probabilmente dal fatto che il motivo si prestava soprattutto ai trattati filosofici e mitografici, e che non c’era una tradizione artistica intorno al poeta-teologo. Tuttavia, si può trovare qualche indizio della presenza di Orfeo poeta-teologo in opere d’arte che contengono delle implicazioni filosofiche. Un anonimo artista fiorentino (prima identificato come Maso Finiguerra) disegnò Orfeo negli anni 1460-70 come poeta-teologo in una serie di personaggi antichi della cosiddetta terza epoca, tra cui spiccano Zoroastro, le Sibille, Ermete Trismegisto, Lino e Museo (ill. 3.3).445 445 Anonimo (attribuito anche a Maso Finiguerra), Orfeo, illustrazione in: Cronaca Fiorentina Illustrata (Florentine Picture Chronicle), ca. 1460-70. Londra, British Museum, Department of Prints and Drawings, fol. XXVIII-XXIX. Altre raffigurazioni di Orfeo tra famosi personaggi antichi si trovano in: Anonimo, Cronaca Universale: da Cadmo a Teseo, f. 1, 1440-50. Amsterdam, Rijksmuseum (già nella raccolta Cockerell a Londra, Kew); Leonardo da Besozzo, Cronaca Universale: da Cadmo a Teseo, 1435-42. Milano, Collezione Crespi. In questi disegni Orfeo suona per gli animali, e si trova accanto a Ercole e Teseo. Non si vede ancora l’influenza dei prisci theologi ficiniani. 152 POETA-TEOLOGO STORICO 3.3 Anonimo, Orfeo, Cronaca Fiorentina Illustrata, 1460-70 L’immagine di Orfeo si trova nella Cronaca Fiorentina Illustrata, un libro figurativo, il cui scopo è quello di raffigurare tutti i personaggi, gli episodi e le città importanti della storia.446 Il libro sembra un tentativo di riconciliare i personaggi del Vecchio Testamento con i personaggi storici e mitologici pagani. Anche se Orfeo vi è rappresentato in modo relativamente tradizionale, suonando per gli animali, Joscelyn Godwin ha visto qui l’influenza della cerchia neoplatonica di Ficino.447 La presenza di Zoroastro e Ermete, che sono menzionati da Ficino come prisci theologi, rafforza l’interpretazione di Orfeo come poeta-teologo. Esistono anche altre raffigurazioni di filosofi, prisci theologi o pensatori antichi, tra cui ci si aspetterebbe la figura di Orfeo. Nell’affresco di Raffaello nella Stanza della Segnatura al Vaticano, che è spesso indicato come La scuola di Atene, è raffigurata una combinazione di pensatori antichi, biblici e contemporanei.448 L’affresco costituisce forse un tentativo di riconciliare la sapienza antica con il pensiero cristiano. La presenza di Orfeo tra pensatori come Platone, Pitagora, Zoroastro, le cui posizioni nell’affresco sono ormai accettate, è molto probabile, anche se si riesce difficilmente a identificarlo con certezza senza i suoi attributi comuni, come la lira o gli animali. Naturalmente questi attributi non sono necessari per il poeta-teologo. 3.4 CONCLUSIONE And what has Ficino done for Orpheus? If the Middle Ages subjected him to sparagmos, Ficino has found his heart and brought him back to life – the musician, magician, and hierophant that he was in the beginning.449 Con queste parole John Warden conclude il suo capitolo su Ficino e Orfeo. Orfeo poetateologo viene reintrodotto nella letteratura da parte di Ficino dopo essere stato oppresso nel Medioevo a favore del poeta amante. La reintroduzione di questo lato di Orfeo fu favorita dal fatto che Ficino si era riproposto di tradurre e commentare tutte le opere di Platone e della maggior parte dei neoplatonici antichi. La possibilità di leggere questi testi greci, che prima non erano disponibili e leggibili per gli italiani, fu fondamentale per la 446 J. Godwin, The Pagan Dream of the Renaissance, Grand Rapids, Phanes Press, 2002, p. 52. Godwin, op.cit., p. 57. 448 Ringrazio Bram Kempers di questa segnalazione. Sull’interpretazione di questo affresco si veda: B. Kempers, ‘Words, Images and All the Pope’s Men. Raphael’s Stanza della Segnatura and the Synthesis of Divine Wisdom’, in: History of Concepts: Comparative Perspectives, a.c.d. I. Hampsher-Monk, K. Tilmans e F. Van Vree, Amsterdam, Amsterdam University Press, 1998, pp. 131-165. 449 Warden, op.cit., p. 103. 447 153 CAPITOLO 3 trasformazione dell’immagine di Orfeo. Nel tentativo di riconciliare la filosofia di Platone con la fede cristiana, per Ficino la figura di Orfeo era indispensabile. Come avevano già capito gli antichi apologeti cristiani, l’Orfeo priscus theologus era l’anello che rendeva possibile il legame tra l’antica religione di Mosé con Platone. Studiando i testi di Platone, Ficino venne dunque in contatto con un Orfeo completamente diverso dalla figura mitologica che era nota fino a quel momento: mentre prima si conosceva soprattutto l’Orfeo amante di Euridice dai testi latini (e dalle rielaborazioni) di Virgilio e Ovidio, ora il poeta-teologo fiorisce nella cerchia di Ficino. Tutte le opere ficiniane contengono dei riferimenti a Orfeo poeta-teologo e ai suoi scritti orfici. L’Orfeo di Ficino è un personaggio storico e non più mitologico. Orfeo trascende così il suo stato precedente di figura mitologica e acquista un nuovo prestigio culturale dovuto alla sua importanza filosofica. Questo cambiamento è dunque causato dalla disponibilità di fonti diverse. Ficino esalta la figura del poeta-teologo, perché questa gli serve per propagare la filosofia di Platone. Per motivi di propaganda l’autore focalizza su questo lato positivo di Orfeo, e accenna solo di rado alle vicissitudini del poeta amante. L’effetto di un altro tipo di propaganda, quello politico, sull’adattamento del mito di Orfeo sarà discusso nei §§ 4.4.1 e 6.7. Anche altre persone dalla cerchia di Ficino, come Landino e Pico della Mirandola, consideravano Orfeo un poeta-teologo. Secondo Pico, Orfeo avrebbe nascosto il mistero dei riti orfici sotto la forma di favole (gli Inni). In questo modo da figura mitologica Orfeo diventa mitografo, un’idea che tornerà nei trattati mitologici di Cartari e Giraldi. Oltre all’importanza del pensiero orfico per la filosofia di Ficino c’entra anche il suo ruolo come poeta ispirato, che con la sua musica riesce a venire a contatto con l’armonia delle sfere e a ottenere così degli effetti benefici. Cercando di raggiungere gli stessi effetti Ficino imitava la musica di Orfeo: cantava degli inni orfici, mentre suonava una lira orfica. Anche dai suoi contemporanei fiorentini Ficino venne considerato il novello Orfeo, anche se non sempre sembrarono prenderlo sul serio. La fortuna della filosofia orfica adoperata da Ficino continuò anche fuori Firenze e nei secoli successivi. Soprattutto gli inni orfici furono spesso consultati come fonti d’informazione per trattati filosofici e trattati sulla natura dell’amore. Riferimenti del genere sono spesso brevi e stereotipati. Il motivo non era molto adatto alle arti visive, e per questo esistono poche raffigurazioni di Orfeo poeta-teologo o le raffigurazioni sono difficilmente identificabili. Studiando la fortuna di Orfeo nella seconda metà del Quattrocento e nel Cinquecento (capitoli 5 e 6) bisognerà sempre tenere in mente la presenza del poeta-teologo nei testi di carattere filosofico. 154 CAPITOLO 4. FIGURA TEATRALE E AMANTE POPOLARE La Fabula di Orfeo di Poliziano e le sue imitazioni (ca. 1475-1525) 4.0 POLIZIANO E LA CORTE MANTOVANA Nel capitolo precedente è stato discusso il ruolo di Marsilio Ficino nella fortuna di Orfeo. Tra gli umanisti intorno a Ficino e Lorenzo de’ Medici c’erano molti contatti: essi si scambiavano lettere e poesie in cui torna spesso la figura di Orfeo. Anche Angelo Poliziano (1454-1494) fu uno degli umanisti principali presenti alla corte medicea. Soprattutto sotto il principato di Lorenzo il Magnifico Poliziano fu stimato per la sua conoscenza del latino e del greco. Fu perfino impiegato come educatore dei figli di Lorenzo. Una delle sue opere principali è la Fabula di Orfeo, una rappresentazione teatrale che tratta interamente del mito di Orfeo. La Fabula sarà l’argomento principale di questo capitolo. Spesso si sostiene che la Fabula fu rappresentata per la prima volta a Mantova, per il fatto che l’opera fu commissionata dal cardinale mantovano.450 Per la maggior parte della sua vita Poliziano lavorò a Firenze alla corte di Lorenzo de’ Medici. Durante un breve periodo, però, si ritirò da questa corte, forse a causa di problemi con la moglie di Lorenzo, Clarice, a proposito dell’educazione del figlio Piero.451 Durante questo periodo (1479-80) Poliziano soggiornò in Emilia, a Venezia, a Padova, a Verona e infine a Mantova alla corte del cardinal Gonzaga. Secondo alcuni studiosi la Fabula deve dunque risalire a questo periodo.452 I Gonzaga regnavano a Mantova dal 1328 e avevano come i Medici grandi interessi umanistici e culturali. Oltre a commissionare la Fabula di Orfeo, essi attirarono alla corte come pittore anche Andrea Mantegna, che dipinse il mito di Orfeo nel Palazzo Ducale. Il mito doveva forse simboleggiare il potere dei Gonzaga, come discuteremo in seguito. Orfeo diventò così una figura mitologica centrale per i Gonzaga: nel Cinquecento Orfeo sarebbe stato dipinto di nuovo in alcuni palazzi gonzagheschi e nel 1607 su commissione di Vincenzo Gonzaga sarebbe stato rappresentato l’Orfeo di Claudio Monteverdi nel Palazzo Ducale (cap. 6). 450 Antonia Tissoni Benvenuti afferma, però, che la commissione da parte del cardinale non giustifica l’idea che la favola fu rappresentata per la prima volta a Mantova. Mantova è indicata come il luogo nella lettera dell’editore, ma questa si basa probabilmente sulla lettera a Canale (cf. § 4.1.1). Gonzaga soggiornava anche spesso a Bologna e a Roma (A. Tissoni Benvenuti, L’Orfeo del Poliziano con il testo critico dell’originale e delle successive forme teatrali, Roma-Padova, Antenore, 2000 (1986), pp. 58-59). 451 F. Tateo, Lorenzo de’ Medici e Angelo Poliziano, Bari, Laterza, 1981, § 66: Il soggiorno a Mantova: la “Favola di Orfeo”, p. 134. 452 Tateo, op.cit., p. 134 et al. 155 CAPITOLO 4 Moltissimi aspetti della Fabula di Orfeo sono già stati discussi nella letteratura secondaria. In questo capitolo si presterà soprattutto attenzione agli elementi del mito di Orfeo che Poliziano riprese dagli scrittori antichi, ma che non erano presenti nella letteratura italiana del Trecento e del Quattrocento fino a quel momento, oltre agli elementi nuovi che Poliziano aggiunse al mito. Discuterò in particolare la figura di Orfeo stesso: come Poliziano rappresenta Orfeo, qual è la funzione, il significato di Orfeo nella Fabula? Dopo una breve esposizione del contenuto della Fabula di Orfeo e del contesto in cui la Fabula fu scritta, parlerò degli elementi nuovi nella descrizione polizianesca del mito di Orfeo e della rappresentazione del personaggio di Orfeo. Discuterò le varie opinioni riguardanti il significato della Fabula e della figura di Orfeo nell’opera di Poliziano. Nel secondo paragrafo discuterò le imitazioni teatrali della Fabula, in particolare l’Orphei Tragoedia (ca. 1485) e La favola di Orfeo e Aristeo (fine sec. XV o inizio sec. XVI). Dopo una breve introduzione alle due opere descriverò anche qui in che modo il mito e il personaggio di Orfeo si trasformarono rispetto alla Fabula di Poliziano. Successivamente tratterò un altro genere letterario che si basa strettamente sulla Fabula: il genere dei cantari (§ 4.3). Metterò così in rilievo l’influenza della Fabula di Orfeo sul teatro e su altri generi letterari del Quattro e Cinquecento. L’influenza dell’opera di Poliziano non si limitò, però, alla letteratura, ma si estese anche alle arti figurative. Soprattutto nei palazzi dei Gonzaga a Mantova, ma anche in altre occasioni e in altre città, Orfeo appare sempre di più in cicli pittorici. 4.1 LA FABULA DI ORFEO 4.1.1 Introduzione alla Fabula Negli anni settanta del Quattrocento Angelo Poliziano scrisse l’opera più lunga sul mito di Orfeo della letteratura italiana fino a quel momento: la Fabula di Orfeo.453 Si tratta di una rappresentazione teatrale o di una ‘festa’, come dice l’autore stesso, che ebbe una grande influenza sulla fortuna del mito di Orfeo nella letteratura italiana successiva. La Fabula di Orfeo è considerata la prima rappresentazione teatrale di un argomento profano in volgare. Prima si conoscevano solo due tipi di rappresentazione teatrale: le rappresentazioni in volgare su argomenti sacri (le ‘sacre rappresentazioni’) e le rappresentazioni in latino per un pubblico più colto. Poliziano scrisse invece un’opera in italiano scegliendo un argomento che appartiene alla mitologia classica. Secondo alcuni studiosi la Fabula di Poliziano deriva da e si basa sul genere della sacra rappresentazione. La sacra rappresentazione era un tipo di poesia che si sviluppò 453 Torneremo più tardi sulla questione della datazione della Fabula. 156 FIGURA TEATRALE E AMANTE POPOLARE dalla liturgia cristiana nei primi secoli della letteratura italiana.454 Era una forma di teatro religioso con intenzioni pedagogiche, con cui i ragazzi fiorentini venivano istruiti nella dottrina cristiana a partire dalla metà del Quattrocento.455 Per molto tempo lo schema drammatico della sacra rappresentazione fu l’unico modello teatrale, fino a quando alla fine del Quattrocento si cominciò a imitare la commedia classica.456 Prima queste rappresentazioni trattavano sempre delle vite di Cristo e di Maria, ma dopo qualche tempo ebbero come soggetti anche persone famose vissute al tempo di Cristo (come gli apostoli), santi, martiri, eccetera. Secondo Umberto Leoni, per il popolo era difficile distinguere tra tutti questi personaggi e così dopo qualche tempo furono anche trattate delle figure leggendarie e mitologiche. Le sacre rappresentazioni cominciavano sempre con un’annunciazione, per introdurre l’argomento, per fare appello alla benevolenza del pubblico e per chiedere silenzio. Le annunciazioni erano sempre fatte da un Angelo. Alla fine della sacra rappresentazione c’era spesso una ‘licenza’ (commiato), per annunciare la fine della festa e ringraziare il pubblico. Non tutte le rappresentazioni finivano con una licenza, ma qualche volta essa era sostituita con un canto ecclesiastico, una lauda di devozione, una canzone popolare oppure canti, suoni e balli d’allegria.457 Si tratta insomma di alcuni versi che si confacevano all’argomento della rappresentazione oppure al tempo. Fra l’annunciazione e la licenza le sacre rappresentazioni presentavano la vita di un personaggio (santo) in ordine cronologico. Il metro usato era l’ottava rima. Ci sono molte analogie, ma anche delle differenze tra la Fabula di Orfeo e le sacre rappresentazioni.458 Alcune rassomiglianze riguardano la scenografia: la presentazione dell’argomento da parte di un annunziatore, la semplicità dell’intreccio e la libertà del mutamento di scena.459 I dialoghi e i monologhi seguono invece, secondo Tateo, l’esempio dell’ecloga pastorale. Nel trattare la maniera in cui il mito di Orfeo è rappresentato nella Fabula (§ 4.1.2), torniamo su alcune analogie e differenze con il genere della sacra rappresentazione. Il tentativo di stabilire il genere della Fabula può aiutare a spiegare la maniera in cui è presentato il mito e il perché di certi adattamenti del mito. Nel capitolo introduttivo abbiamo visto che le esigenze del genere sono tra i fattori decisivi che determinano la trasformazione di figure mitologiche.460 454 U. Leoni, L'Orfeo del Poliziano e la sacra rappresentazione, Roma, 1900, p. 5; M. Martelli, Angelo Poliziano. Storia e metastoria, Lecce, Conte, 1995 (II, I. La Fabula d’Orfeo), pp. 93-94. Tissoni Benvenuti descrive l’opera come una fabula satirica (Tissoni Benvenuti, L’Orfeo, cit., pp. 93-103). 455 P. Ventrone, ‘“Philosophia. Involucra fabularum”: La Fabula di Orpheo di Angelo Poliziano’, Comunicazioni sociali XIX (1997), p. 142. 456 Ventrone, op.cit., p. 143. 457 Leoni, op.cit., p. 13; Ventrone, op.cit., pp. 144-145. 458 Leoni, op.cit., passim; Ventrone, op.cit., pp. 142-148. 459 Tateo, op.cit., p. 137. 460 Stanford, op.cit., p. 5. 157 CAPITOLO 4 Perché Poliziano scelse la figura mitologica di Orfeo come protagonista della sua Fabula? Un fattore decisivo fu, a mio parere, l’appartenenza di Poliziano alla corte di Lorenzo de’ Medici e i suoi contatti con Marsilio Ficino. Come abbiamo visto nel capitolo precedente, Orfeo era una figura centrale nella cerchia di Ficino. Naturalmente la concezione ficiniana di Orfeo era molto diversa rispetto a quella di Piliziano. Per Ficino Orfeo era un poeta-teologo, il fondatore dell’orfismo. Poliziano condusse invece Orfeo in una direzione completamente diversa, pur trattandosi in fondo sempre della stessa figura. L’onnipresenza di Orfeo nella cerchia di Ficino, a cui apparteneva Poliziano, deve dunque aver suscitato l’interesse di quest’ ultimo per questa figura, anche se Poliziano preferì concentrarsi sull’altra faccia della stessa figura, quella del poeta-amante. Naturalmente la scelta del personaggio può essere stata influenzata anche da altri fattori, come per esempio dallo sviluppo di Orfeo come figura teatrale negli spettacoli conviviali o nei trionfi. Questi spettacoli, alcuni dei quali ebbero probabilmente luogo prima della rappresentazione della Fabula di Orfeo, saranno discussi nel § 6.4.461 E’noto che lo stesso Baccio Ugolini, che interpretò il ruolo di Orfeo nella Fabula, aveva impersonato Orfeo durante il banchetto per Eleonora d’Aragona nel 1473.462 Tuttavia, Orfeo non era l’unica figura che si vedeva nei trionfi: anche Ercole, Bacco e Venere erano molto popolari. Orfeo era probabilmente prediletto per il suo ruolo di cantante eccellente: era un personaggio molto adatto ad una rappresentazione musicale (come infatti fu la Fabula di Orfeo). Un altro fattore possibile può essere stato il contatto tra Poliziano e Andrea Mantegna, su cui tornerò nel § 4.4.1. Importante per determinare il contesto della nascita della Fabula e della sua ricezione al tempo di Poliziano è una lettera famosa che l’autore scrisse a Carlo Canale nel 1483.463 Poliziano dice di aver scritto la Fabula in fretta (‘in tempo di dua giorni’) e durante ‘continui tumulti’. Poliziano afferma che lui stesso avrebbe preferito ‘lacerare’ la sua rappresentazione come fecero gli Spartani con i loro figli deboli e come fecero le baccanti nel caso di Orfeo, ma i suoi amici invece insistettero per tenerla in vita.464 L’affermazione di Poliziano sul tempo breve in cui avrebbe scritto la Fabula è un topos letterario che Poliziano aveva trovato in Stazio, uno dei suoi scrittori preferiti.465 Anche se potrebbe 461 A causa della datazione insicura della Fabula non si può stabilire con certezza se i trionfi avevano luogo prima dell’opera polizianesca. Siccome la tradizione dei trionfi continua anche molto dopo la Fabula, ho deciso di discutere queste occasioni nel capitolo successivo. 462 Tissoni Benvenuti, L’Orfeo, cit., pp. 65-66. 463 Carlo Canale apparteneva ai familiari del cardinal Gonzaga e partecipava probabilmente all’allestimento della Fabula di Orfeo (A. Poliziano, Stanze; Fabula di Orfeo, a.c.d. S. Carrai, Milano, Mursia, 1988, p. 139, n. 1). Secondo Tissoni Benvenuti Canale era il primo dell’elenco dei camerarii di Gonzaga (L’Orfeo, cit., p. 1). 464 Poliziano si riferisce probabilmente alla vita teatrale della Fabula (Tissoni Benvenuti, L’Orfeo, cit., p. 3). 465 ‘Nullum enim ex illis biduo longius tractum, quaedam et in singulis diebus effusa… Respondebis illi tu, Stella carissime, qui epithalamion tuum, quod mihi iniuxeras, scis biduo scriptum.’ (Stazio, Silvae, I, ep. ded.) (Tissoni Benvenuti, L’Orfeo, cit., pp. 5-6). 158 FIGURA TEATRALE E AMANTE POPOLARE essere vero che Poliziano ha scritto la sua favola in due giorni, la (finta) insoddisfazione dell’autore per l’opera deve mostrare la sua modestia o suscitare i complimenti del lettore.466 Anche il fatto che la Fabula era scritta in volgare non poteva essere una ragione valida per lacerarla. Infatti, anche Petrarca aveva chiamato le sue poesie volgari delle ‘nugae’, ma non aveva mai smesso di perfezionarle. Alla fine della lettera Poliziano sottolinea ancora una volta ‘la necessità della mia obedienza e l’angustia del tempo’, che provano il suo ‘subitus calor’.467 Dalla lettera a Canale risulta anche che il committente era il cardinale Francesco Gonzaga (1444-83). Tuttavia, l’occasione precisa della prima rappresentazione e dunque la sua datazione è insicura. Per lo scopo di questo libro la datazione della Fabula di Orfeo non è forse molto importante, ma lo è l’occasione per cui venne scritta, che può aiutare a spiegare il significato del mito e la funzione di Orfeo che Poliziano aveva in mente. Nell’introduzione ho aggiunto questo fattore all’elenco di fattori che determinano l’adattamento di una figura mitologica. Al fattore del contesto storico, politico e culturale manca la precisione del momento, che è decisivo per rappresentazioni teatrali. Bettinelli fu il primo a suggerire una data per la prima rappresentazione. Siccome il cardinale morì nel 1483, la Fabula dovette essere stata scritta prima di quest’anno per un’occasione in cui sia Poliziano che il cardinale si trovavano a Mantova: ‘Certo è dalle storie che il cardinal Francesco fece solenne ingresso nel 1472 in Mantova, come dicemmo, onde sembra comprovato abbastanza esser quell’anno probabilmente venuto l’Orfeo alla luce.’468 Secondo Isidoro del Lungo la Fabula fu scritta nel 1471 per la visita di Galeazzo Sforza da Milano con sua moglie Bona di Savoia alla corte di Lodovico Gonzaga.469 Anche il cardinale Francesco Gonzaga doveva essere presente per onorare il duca. Forse durante il suo viaggio a Mantova il cardinale si era trattenuto a Firenze e gli era stato presentato Poliziano da Lorenzo de’ Medici.470 Il cardinale avrebbe ordinato a Poliziano di scrivere in grande fretta una rappresentazione teatrale, per poterla presentare a Mantova poco dopo. Mandò il famoso attore Baccio Ugolini, che era al suo servizio. Secondo questa ipotesi la Fabula di Orfeo fu rappresentata tra il 18 e il 20/22 luglio del 1471. Questa data è 466 Tissoni Benvenuti, L’Orfeo, cit., pp. 5-6. Altri studiosi che discutono il significato della lettera sono: I. Maïer, Ange Politien. La formation d’un poète humaniste (1469-1480), Genève, Librairie Droz, 1966, pp. 390392 e T. Leuker, Angelo Poliziano. Dichter, Redner, Stratege. Eine Analyse der Fabula di Orpheo und ausgewählter lateinischer Werke des Florentiner Humanisten, Stuttgart-Leipzig, Teubner, 1997, pp. 67ff. 467 Tissoni Benvenuti, L’Orfeo, cit., pp. 8-10. La studiosa mostra che l’intera lettera si basa sull’opera di Stazio (pp. 4-6). 468 S. Bettinelli, Delle lettere e delle arti mantovane, Mantova, 1774, p. 36 (menzionato da Tissoni Benvenuti, L’Orfeo, cit., p. 58). 469 I. Del Lungo, ‘L’Orfeo del Poliziano alla Corte di Mantova’, Nuova Antologia XXVIII, Serie II (1881), pp. 538-42. 470 Leoni, op.cit., p. 4. 159 CAPITOLO 4 compatibile con l’ipotesi che abbia potuto influenzare gli affreschi di Andrea Mantegna nella Camera degli Sposi, di cui parlerò nel § 4.4.1. Picotti propone, invece, come occasione della Fabula il doppio sposalizio di Clara Gonzaga con Gilbert de Montpensier e di Francesco Gonzaga con Isabella d'Este.471 Così l’opera sarebbe stata rappresentata per la prima volta nel giugno 1480. Nino Pirrotta e Mirella Vitalini optano per lo stesso anno, ma indicano un’occasione diversa, cioè il carnevale del 15 febbraio 1480.472 Secondo Travi Poliziano vide a Mantova la Camera degli Sposi ormai finita, che lo ispirò a scrivere la sua favola (si noti il contrasto con Leoni). Stefano Carrai è convinto dall’idea del carnevale, ma accetta la datazione di Tissoni Benvenuti: la Fabula di Orfeo sarebbe stata scritta a metà degli anni settanta (prima del 1478).473 Ormai si accetta in genere questa datazione. 4.1.2 La nuova rappresentazione del mito La Fabula di Orfeo comincia con l’annuncio della ‘festa’ da parte di Mercurio. L’opera è indicata dall’autore come una festa, una parola che è anche adoperata per le sacre rappresentazioni.474 Sia per le sacre rappresentazioni che per la Fabula di Orfeo circolavano indicazioni diverse. L’annunciatore delle sacre rappresentazioni era sempre un angelo. Nel mondo pagano Mercurio era il messaggero degli dei e perciò lui prende nella Fabula il posto dell’angelo. Già all’inizio risaltano dunque le rassomiglianze dell’opera di Poliziano con il genere della sacra rappresentazione. Manca poi una divisione in atti. Anche questa mancanza è una caratteristica delle sacre rappresentazioni, che mostravano la vita di un personaggio dall’inizio alla fine, senza interruzioni. A questo punto la Fabula differisce alquanto dai suoi predecessori: Poliziano mette in rilievo solo gli aspetti più importanti della vita di Orfeo (anche se giunge fino alla sua morte). La decisione di non 471 G.B. Picotti, Ricerche umanistiche, Firenze, 1955, pp. 87-120 (e prima nel 1914, nei Rendiconti dell’Accademia dei Lincei) (menzionato da Tissoni Benvenuti, L’Orfeo, cit., p. 58). 472 N. Pirrotta, Li due Orfei, cit., pp. 8-13; M. Vitalini, ‘A proposito della datazione dell’ “Orfeo” del Poliziano, Giornale storico della letteratura italiana, CXLVI (1969), pp. 249-50. Questa ipotesi è anche accettata da: E. Travi, ‘L’esperienza mantovana del Poliziano: l’”Orfeo”’, in: Studi in onore di Alberto Chiari, II, Brescia, Paideia, 1972, p. 1299; Tateo (1981), op.cit., p. 169; C.M. Pyle, ‘Il tema di Orfeo, la musica e la favole mitologiche del tardo Quattrocento’, in: Ecumenismo della cultura, II: La parola e la musica nel divenire dell’umanesimo, a.c.d. G. Secchi Tarugi, Firenze Leo S. Olschki,1981. 473 S. Carrai, ‘Implicazioni cortigiane nell’Orfeo di Poliziano’, Rivista di letteratura italiana VIII, 1 (1990), p. 9, poi in: Idem, I precetti di Parnaso. Metrica e generi poetici nel Rinascimento italiano, Roma, Bulzoni, 1999, pp. 85-98; Tissoni Benvenuti, op.cit., pp. 58-70. Questa data è anche riprodotta da: M. Martelli, ‘Il mito di Orfeo nell’età laurenziana’, in: Orfeo e l’orfismo. Atti del Seminario Nazionale, a.c.d. A. Masaracchia, Roma, Gruppo Editioriale Internazionale, 1993. L’unico ad opporsi contro questa data è Tobias Leuker (1997), che accetta senza nessuna obiezione il 1480 (Leuker, op.cit., p. 88). La Fabula di Orfeo dovrebbe essere stata rappresentata prima della sua imitazione da parte di Benivieni (1479) e prima della congiura dei Pazzi. I legami con le Stanze per la giostra influenzano forse la datazione (Tissoni Benvenuti, L’Orfeo, cit., pp. 68-70). 474 Leoni, op.cit., p. 16. 160 FIGURA TEATRALE E AMANTE POPOLARE rappresentare ogni momento della vita di Orfeo con la stessa enfasi dipende dal suo maggiore talento artistico.475 La Fabula di Orfeo fu stampata per la prima volta a Bologna nel 1494, dopo la morte di Poliziano. Questa edizione è senza immagini, ma un’edizione di qualche anno più tardi contiene delle xilografie, le cui immagini non corrispondono, però, esattamente con il mito rappresentato da Poliziano nella Fabula.476 Nella prima scena si vede Orfeo che suona per un gruppo di animali e alberi.477 Orfeo è seduto sul tronco di un albero davanti ad alcuni alberi più snelli. (ill. 4.1) 4.1 Anonimo, Orfeo e gli animali, in Poliziano, Festa di Orpheo, ca. 1500 Tuttavia, la Fabula di Orfeo non comincia affatto con questa scena e solo nel seguito della Fabula Orfeo fa menzione del potere della sua lira (vv. dopo il v. 140/v. 149). L’immagine è tuttavia efficace come presentazione generica del protagonista, che veniva spesso raffigurato con animali che ascoltano la sua musica.478 Si noti anche che Orfeo suona qui una specie di lira da braccio invece della lira antica di cui parla Poliziano. Questa immagine rinascimentale di una lira antica è un tipico caso di assimilazione storica, che causa solo un cambiamento esteriore del personaggio. La rappresentazione del mito di Orfeo che segue è diversa da quello che abbiamo visto nei secoli precedenti. Nel Trecento e nella prima parte del Quattrocento i riferimenti a Orfeo erano piuttosto brevi e menzionavano sempre le stesse caratteristiche di Orfeo, per esempio il potere del suo canto o la sua discesa agli Inferi. Gli scrittori avevano una conoscenza limitata del mito e di conseguenza ripetevano spesso la stessa immagine di Orfeo. Eccezioni a questa regola erano le volgarizzazioni delle Metamorfosi, in cui erano trasmessi molti aspetti del mito. Boccaccio parlava poi a lungo di Orfeo nelle sue 475 Leoni, op.cit., p. 15. A. Poliziano, Stanze delle giostra; Festa di Orpheo, Firenze, Tubini-Veneziano-Ghirlandi,ca. 1500. Le xilografie sono state riprodotte in: A. Poliziano, Poesie italiane, a.c.d. S. Orlando, Milano, Rizzoli,1976. 477 Poliziano, Stanze delle giostra; Festa di Orpheo, cit. (Poliziano, Poesie italiane, cit., p. 110). 478 Cf. De deorum imaginibus libellus (§ 1.5.3) e i disegni nell’Ovidio Maggiore di Simintendi (§ 2.1.1). 476 161 CAPITOLO 4 Genealogie deorum gentilium. Tuttavia, queste opere non contenevano nessuna nuova versione letteraria del mito di Orfeo, ma piuttosto un resoconto enciclopedico che si basava su fonti antiche diverse. Nella seconda metà del Quattrocento Marsilio Ficino è il primo a far rivivere veramente la figura di Orfeo attribuendogli un ruolo fondamentale nella serie di prisci theologi. Ficino torna alle fonti antiche (perlopiù greche) e ne distilla una versione personale di Orfeo che figura in molte delle sue opere. L’Orfeo ficiniano è il poeta-teologo che conosce i misteri dell’orfismo. Poliziano non riproduce la figura di Orfeo come poetateologo di Ficino, ma vede Orfeo come una figura mitologica, come nella letteratura italiana prima di Ficino. Poliziano torna davvero alle fonti latine, in particolare a Virgilio e a Ovidio, per ravvivare il suo Orfeo. La Fabula di Orfeo differisce dagli altri riferimenti al mito di Orfeo nella letteratura italiana non solo per la sua lunghezza, ma anche per il fatto che il ritorno alle fonti antiche fa emergere degli elementi che durante il Medioevo, il Trecento e il primo Quattrocento erano stati quasi dimenticati. Inoltre, Poliziano aggiunge degli elementi inediti alla sua versione del mito. Le fonti principali consultate da Poliziano sul mito di Orfeo sono le Georgiche di Virgilio e le Metamorfosi di Ovidio.479 Poliziano inserisce nella sua favola molti elementi dai due scrittori, li combina e aggiunge poi degli elementi nuovi. Un elemento virgiliano per eccellenza è la presenza del pastore Aristeo che si innamora di Euridice.480 Il racconto di Aristeo occupa la prima metà della favola. Questa combinazione di Virgilio e Ovidio può essere stata influenzata dalla presenza di Aristeo nell’Ovidio Metamorphoseos vulgare di Bonsignori o dalle Genealogie di Boccaccio. Come risulta già (e soprattutto) dalla prima scena, Poliziano colloca il mito di Orfeo in un contesto pastorale, contrariamente alla descrizione del mito nelle Georgiche.481 Aristeo è circondato da un gruppo di pastori che hanno tutti dei nomi tipicamente pastorali, come Mopso e Tirsi. Anche il paese idillico contribuisce all’idea di un mondo bucolico. I pastori parlano della perdita di un vitellino e quando Aristeo confessa loro il suo amore per la ninfa Euridice, essi cercano di dissuaderlo dalla sua intenzione di inseguirla. Nel racconto di Virgilio invece, Aristeo era un apicoltore che era stato punito con la morte delle sue api per aver causato la morte di Euridice e in seguito quella di Orfeo. Poliziano ha dunque trasformato la figura di Aristeo in una nuova figura pastorale, che diventa il protagonista della prima parte della Fabula di Orfeo. Il pastorale era diventato un genere letterario popolare alla fine del Quattrocento. Altri esempi famosi di questo gusto pastorale sono Il pastor fido di Guarini e l’Arcadia di 479 Altre fonti importanti sono: le Sylve di Stazio, la terza (e quarta) egloga di Calpurnio, le Baccanti e il Ciclope di Euripide (Ventrone, op.cit., p. 140). Per una discussione dettagliata delle fonti citate da Poliziano cf.: A. Poliziano, Poesie volgari, a.c.d. F. Bausi, Roma, Vecchiarelli, 1997; Tissoni Benvenuti, L’Orfeo, cit. 480 Forse Poliziano ebbe l’idea di inserire Aristeo dalla rielaborazione delle Metamorfosi da parte di Giovanni dei Bonsignori, che prima di lui aveva inserito il pastore nel racconto ovidiano. 481 Cfr. Tissoni Benvenuti, L’Orfeo, cit., p. 139n; Ventrone, op.cit., p. 156. 162 FIGURA TEATRALE E AMANTE POPOLARE Sannazzaro. Il pastorale non si limitava alla letteratura, ma si estendeva anche all’arte. Così il mito di Orfeo in un contesto pastorale diventò anche un tema prediletto nella pittura (cf. cap. 6). La seconda xilografia dell’edizione stampata mostra un gruppo di pastori con pecore (ill. 4.2).482 I pastori figurano nel racconto di Poliziano, ma essi parlano soltanto di un vitellino e non si fa menzione di pecore. A quell’epoca gli editori solevano scegliere per un testo delle immagini già disponibili. Le xilografie (o almeno alcune) nel testo di Poliziano non sono state disegnate dunque per questo testo particolare, ma sono state raccolte da altri testi che rassomigliavano alquanto alla Fabula di Orfeo. Max Sander ha dimostrato che l’immagine dei pastori apparteneva originariamente a un’edizione delle Epistole & Evangeli.483 4.2 Anonimo, Pastori / 4.3 Anonimo, Aristeo ed Euridice, in Poliziano, Festa di Orpheo, ca. 1500 Anche la terza xilografia contiene degli elementi estranei al racconto di Poliziano (ill. 4.3).484 Euridice fugge al pastore Aristeo in un paesaggio collinoso. Il testo di Poliziano non spiega, però, l’asta nella mano della ragazza. Sander suggerisce la fonte dell’immagine: un’edizione del Ninfale fiesolano di Boccaccio.485 Nella versione originale la ninfa Mensola fugge dal pastore Africo e lo assale con un’asta. Anche nel caso di Poliziano una ninfa (Euridice) fugge da un pastore (Aristeo), ma manca l’asta. L’inseguimento e la fuga erano due dei motivi preferiti nell’arte di fine Quattrocento (cf. § 6.4).486 482 Poliziano, Stanze delle giostra; Festa di Orpheo, cit. (Poliziano, Poesie italiane, cit., p. 111). M. Sander, Le livre à figures italien depuis 1467 jusqu'à 1530, vol. II, Milano, Ulrico Hoepli, 1969, no. 5815 (pp. 993-994). Si veda anche V.M. Prince d’Essling, Les livres à figures vénitiens de la fin du XVe siècle et du Commencement du XVIe, vol. I-III, Firenze-Paris, Leo S. Olschki, 1907-1909.. 484 Poliziano, Stanze delle giostra; Festa di Orpheo, cit. (Poliziano, Poesie italiane, cit., p. 115). 485 Sander, op.cit., p. 994. La xilografia proviene da una vecchia edizione ignota/persa che deve essere stata stampata tra il 1490 e il 1500. Si trova anche in un edizione del 1568, stampata da Valente Panizzi a Firenze (Sander, no. 1091). 486 Anche il testo stesso si basa sull’inseguimento nel Ninfale fiesolano e sul mito ovidiano di Apollo e Dafne (Tissoni Benvenuti, L’Orfeo, cit., pp. 26-27). 483 163 CAPITOLO 4 Dopo la scena pastorale che finisce con l’inseguimento di Euridice da parte di Aristeo, Orfeo compare per la prima volta, mentre canta una canzone in latino. Orfeo viene dunque subito presentato come il famoso cantante antico: mentre l’intera Fabula è scritta in volgare, lui canta in latino. Come mostra Leoni, anche l’aggiunta di versi in altre lingue era tipica della sacra rappresentazione, specialmente per mettere in ridicolo personaggi di paesi stranieri.487 Così all’inizio della Fabula di Orfeo si trova tra i pastori un pastore schiavone, che parla un italiano strano. Le parole di Orfeo in latino equivalgono alle citazioni dalla Bibbia nelle sacre rappresentazioni, che dovevano aumentare la solennità e la drammaticità dell’opera e darci un tono sacro.488 Anche sotto questo rispetto la Fabula rassomiglia dunque alle rappresentazioni precedenti e presenta Orfeo come un personaggio rispettabile. Secondo Tissoni Benvenuti questa canzone probabilmente non era presente nella versione originale della Fabula di Orfeo, ma sarebbe stata aggiunta da Poliziano per la prima rappresentazione in presenza del cardinale Francesco Gonzaga, a cui la canzone è dedicata.489 Durante la rappresentazione il protagonista, la cui parte era recitata dal famoso Baccio Ugolino, avrebbe soltanto cantato le prime due strofe dell’ode saffica:490 ‘O meos longum modulata lusus quos amor primam docuit iuventam, flecte nunc mecum numeros novumque dic, lyra, carmen: non quod hirsutos agat huc leones; sed quod et frontem domini serenet, et levet curas, penitusque doctas mulceat aures.’ (Poliziano, Fabula di Orfeo (FT1), versi inseriti dopo v. 140)491 487 Leoni, op.cit., pp. 16-17. Ibidem, p. 18. 489 Secondo Tissoni Benvenuti si possono distinguere due versioni della Fabula di Orfeo. La prima versione nacque nella cultura fiorentina intorno a Lorenzo de’ Medici ed è considerata la versione originale di Poliziano. La seconda era probabilmente una rielaborazione destinata a una rappresentazione alle corti settentrionali, che fu adattata per tale scopo da un cortigiano (dalla vicinanza del cardinal Gonzaga?). La seconda versione (indicata da Tissoni come FT1) differisce dalla prima per il linguaggio settentrionale e per la presenza di tre macrovarianti (l’ode saffica a Francesco Gonzaga, l’ottava di Minosse e i distici di Orfeo prima di voltarsi). L’Orphei tragoedia era poi una rielaborazione più tarda, che nacque forse vicino a Ferrara (Tissoni Benvenuti, L’Orfeo, cit., p. 55; cfr. anche Ventrone, op.cit., pp. 138-139). 490 Anche Ficino aveva dei contatti con Ugolino, con cui scambiava delle lettere. 491 Il testo è citato da: Tissoni Benvenuti, L'Orfeo del Poliziano, cit. ‘O lira, che a lungo modulasti i miei giochi poetici, quelli che l’amore insegnò alla prima giovinezza, muto or con me il verso e intona un nuovo carme: 488 164 FIGURA TEATRALE E AMANTE POPOLARE Orfeo si presenta nella canzone come il cantante che sapeva addomesticare con la sua musica i leoni irsuti. Adesso Orfeo vuole, però, intonare una canzone nuova (‘novum carmen’) per alleviare le preoccupazioni di Gonzaga e per calmarlo. Il canto di Orfeo assume dunque una funzione alquanto diversa. La canzone di Orfeo è interrotta dall’annunzio della morte di Euridice, dopo di che Orfeo comincia subito a piangere la sorte dellasua sposa e decide di scendere nel Tartaro. Segue una lunga scena che si svolge nell’Ade. In genere anche le sacre rappresentazioni si svolgevano in due mondi: in cielo e in terra, oppure in terra e nell’inferno e qualche volta nei tre regni.492 Poliziano ha soltanto sostituito il Lucifero cristiano con gli dei pagani Plutone, Proserpina, Minosse, le Furie eccetera. Mentre sta cantando, Orfeo entra nell’Ade e si rivolge a Cerbero e alle Furie perché lo facciano passare. Il lamento di Orfeo era solo menzionato brevemente da Virgilio e da Ovidio, ma Poliziano lo elabora in una canzone di quattro strofe. La funzione del canto di Orfeo è di nuovo cambiata: Dunque piangiamo, o sconsolata lira, ché più non si convien l’usato canto. Piangiam, mentre che ‘l ciel ne’ poli agira, e Filomela ceda al nostro pianto. (Poliziano, Fabula di Orfeo, vv. 149-152) La lira di Orfeo non deve suonare ‘l’usato canto’, ma deve piangere e commuovere altre persone con il suo pianto. Orfeo vuole cambiare la sorte con i suoi ‘lacrimosi versi’ e commuovere perfino Morte in persona, perché il suo canto ha già causato altri miracoli: ché già cantando abbiam mosso una pietra, la cervia e ‘l tigre insieme avemo accolti e tirate le selve, e’ fiumi svolti. (Poliziano, Fabula di Orfeo, vv. 162-164) Il canto di Orfeo ha già mosso le pietre, le selve e i fiumi. Il potere riconciliatore del suo canto risulta dal fatto che Orfeo ha radunato la cerva e la tigre. Orfeo si descrive poi come un ‘misero amatore’ ed esprime il suo dolore. non per chiamar qui gl’irsuti leoni, ma perché rassereni il volto del mio signore e allevi le sue preoccupazioni e delizi le sue dotte orecchie.’ (trad. Carrai). 492 Leoni, op.cit., pp. 18-19. 165 CAPITOLO 4 Nella quarta xilografia si vede Orfeo con la lira da braccio di fronte alla porta degli Inferi (ill. 4.4).493 Il cantante ha addormentato Cerbero (che nell’immagine ha soltanto una testa) e tre guardie, dei quali la Fabula di Orfeo non dice niente. 4.4 Anonimo, Orfeo nell’Ade, in Poliziano, Festa di Orpheo, ca. 1500 Si noti che Orfeo ha in ogni scena un aspetto completamente diverso: in questa xilografia il cantante è rappresentato con una specie di turbante, come un mago orientale. Nella prima xilografia lui portava invece un cappello completamente diverso. Nella quinta sarà rappresentato come un cavaliere, e nell’ultima di nuovo in modo differente. Plutone rimane esterrefatto dallo strano canto e descrive la reazione degli altri abitanti infernali (Issione, Sisifo, le Belide, Tantalo, Cerbero e le Furie) con parole che rassomigliano molto alle descrizioni di Virgilio e di Ovidio. Orfeo comincia poi una lunga supplica a Plutone, che segue quasi letteralmente la supplica di Orfeo nelle Metamorfosi. Orfeo si dimostra molto eloquente: indica ‘pietoso Amor’ come la causa della sua visita e ricorda l’antico amore di Plutone e Proserpina. Orfeo dice che ognuno deve morire una volta. Anche Euridice dovrà morire una volta, ma nel frattempo Orfeo richiede indietro la sua sposa. Se non gli sarà concesso questo favore, anche lui morirà volentieri. Proserpina sente compassione per l’amante sconsolato e chiede al marito di sospendere la ‘dura legge’. Plutone decide di rendergli Euridice, a condizione che Orfeo non la veda ‘finché tra’ vivi pervenuta sia (v. 240)’.494 Dalle didascalie veniamo però a sapere che Orfeo si volge, mentre sta cantando una canzone di vittoria (nella versione teatrale per il cardinale Gonzaga): Ite triumphales circum mea tempora lauri! Vicimus: Euridice reddita, vita mihi est. 493 Poliziano, Stanze delle giostra; Festa di Orpheo, cit. (Poliziano, Poesie italiane, cit., p. 119). Anche Virgilio fa menzione di Proserpina, ma le assegna un ruolo alquanto diverso: ‘hanc dederat Proserpina legem’. Mentre nelle Georgiche Proserpina aveva formulato la legge di non voltarsi, nella Fabula di Orfeo Proserpina persuade il marito ad ascoltare la preghiera di Orfeo. 494 166 FIGURA TEATRALE E AMANTE POPOLARE Haec est praecipuo victoria digna triumpho: huc ades, o cura parte triumphe mea. (Poliziano, Fabula di Orfeo (FT1), versi inseriti dopo v. 244)495 Orfeo sottolinea nella sua canzone la vittoria della musica-poesia sulla morte e chiede di essere laureato per il suo trionfo. Orfeo si presenta dunque come il poeta e cantante laureato, che con la musica ha sconfitto la Morte. Di nuovo la canzone di Orfeo è recitata in latino. Il suo trionfo dura, però, poco. Quando Orfeo si volge indietro, Euridice gli indirizza un ultimo lamento che rassomiglia al lamento nelle Georgiche.496 Mentre l’errore di Orfeo era indicato da Virgilio come ‘dementia’, nel testo di Poliziano Euridice parla del ‘troppo amore’ che ha ‘disfatti ambedua’. Sotto questo aspetto l’Euridice di Poliziano rassomiglia anche a quella ovidiana di cui l’autore diceva ‘quid enim nisi se queretur amatam?’497 Poliziano non accusa Orfeo dunque di ‘dementia’ o di un altro errore, ma soltanto di aver mostrato il suo grande amore per Euridice, anche nelle parole di Orfeo stesso che seguono al lamento di Euridice: ‘O troppo sventurato el nostro amore!’. Orfeo vuole tornare agli Inferi, ma gli è vietato l’ingresso da una Furia.498 Questa scena sembra essere raffigurata nella quinta immagine: Orfeo va a cavallo in armatura, ed è aggredito da una donna nuda con serpenti (ill. 4.5).499 4.5 Anonimo, Orfeo e una Furia, in Poliziano, Festa di Orpheo, ca. 1500 Orfeo sembra cadere dal cavallo, che si impenna. Secondo Pedretti quest’immagine rappresenta il disarcionamento di Orfeo da parte di una Baccante.500 In un’interpretazione 495 ‘Cingete le mie tempie, o lauri trionfali! Ho vinto: restituitami Euridice, torno a vivere. Questa è una vittoria degna del più grande trionfo: vieni, o trionfo prodotto dalla mia pena.’ (trad. Carrai) Il passo è una citazione di vari versi ovidiani (Tissoni Benvenuti, L’Orfeo, cit., p. 52). 496 Cfr. Ventrone, op.cit., p. 150. 497 ‘Di cosa avrebbe potuto lagnarsi altro che d’essere amata?’ (trad. Paduano). 498 Sia nelle Georgiche che nelle Metamorfosi gli era vietato l’ingresso dal ‘portitor’, dunque da Caronte. 499 Poliziano, Stanze delle giostra; Festa di Orpheo, cit. (Poliziano, Poesie italiane, cit., p. 124). 167 CAPITOLO 4 del genere non c’è posto, però, per i serpenti. Inoltre, nelle xilografie il mito di Orfeo non sembra finire con la morte di Orfeo, come vedremo dopo. Il cantante comincia un lungo pianto in cui annuncia la sua conversione all’omosessualità. Nel Trecento e nel Quattrocento non si parlava mai dell’omosessualità di Orfeo, come abbiamo constatato nei capitoli precedenti. Era un tema caduto in disuso dopo l’antichità. Poliziano è il primo a far rivivere l’omosessualità di Orfeo nella letteratura italiana. Il lamento di Orfeo nella Fabula consiste da quattro stanze. Nella prima stanza Orfeo esprime il suo dolore e dice di non voler mai più amare una donna. La seconda stanza si basa quasi letteralmente su Ovidio: il cantante dichiara che si vuole dedicare in seguito all’omosessualità oppure alla pederastia:501 Da qui innanzi vo’ côr e fior novelli, la primavera del sesso migliore, quando sono tutti leggiadretti e snelli: quest’è piú dolce e piú soave amore. Non sie chi mai di donna mi favelli, po’ che mort’è colei ch’ebbe ‘l mio core; chi vuol commerzio aver co’ mie sermoni di femminile amor non mi ragioni. (Poliziano, Fabula di Orfeo, vv. 269-276) Poliziano presenta Orfeo non solo come omosessuale, ma anche come misogino, come vediamo nella terza stanza. Gli stessi versi si trovano nelle Stanze per la giostra:502 Quant’è misero l’uom che cangia voglia per donna o mai per lei s’allegra o dole, o qual per lei di libertà si spoglia o crede a suo sembianti, a suo parole! Ché sempre è piú leggier ch’al vento foglia e mille volte el dí vuole e disvole; segue chi fugge, a chi la vuol s’asconde, e vanne e vien come alla riva l’onde. (Poliziano, Fabula di Orfeo, vv. 277-284) 500 C. Pedretti, ‘”Non mi fuggir, donzella...”. Leonardo regista teatrale del Poliziano’, Arte Lombarda n.s. 128 (2000), p. 14. 501 Da alcune osservazioni in margine al suo testo di Ovidio si sa che Poliziano conosceva anche Fanocle (Tissoni Benvenuti, L’Orfeo, cit., p. 107). 502 Tissoni Benvenuti, L’Orfeo, cit., pp. 68-70. 168 FIGURA TEATRALE E AMANTE POPOLARE L’opinione negativa di Orfeo sulle donne viene confermata nella quarta stanza, in cui il cantante insiste che il pubblico maschile deve fuggire dalle donne: ‘conforto e maritati a far divorzio, / e ciascun fugga el feminil consorzio.’ (vv. 291-92). L’omosessualità sembra piacere tanto a Orfeo, che consiglia perfino ai mariti di divorziare. Orfeo rafforza il suo discorso con l’esempio di altri amori omosessuali famosi dalla mitologia: Giove e Ganimede, Febo (Apollo) e Iacinto e infine Ercole ed Ila. Tornando alle fonti classiche Poliziano risuscita dunque un Orfeo completamente diverso da quello che abbiamo visto nella letteratura italiana finora, reintroducendo l’Orfeo misogino e omosessuale delle Metamorfosi.503 Come nel racconto di Ovidio, anche nella Fabula di Orfeo le Baccanti si arrabbiano perché Orfeo disprezza l’amore delle donne (v. 293) e decidono di ammazzarlo. Così la Fabula finisce con l’uccisione di Orfeo da parte delle Baccanti. Tuttavia, Poliziano non rappresenta l’uccisione stessa sulla scena. Secondo Paola Ventrone, la Fabula è un testo in cui l’azione è più spesso narrata che rappresentata. In questo senso l’opera ricorda piuttosto le convenzioni drammatiche del teatro antico (in cui gli episodi violenti erano solo narrati) che quelle della sacra rappresentazione, in cui tutto (le torture dei santi comprese) era mostrato al pubblico.504 Poliziano conosceva questa pratica probabilmente dalle Baccanti di Euripide, su cui basò la descrizione dell’uccisione di Orfeo. Nella Fabula una delle Baccanti torna con la testa di Orfeo e racconta quello che è successo: O[h] o[h], o[h] o[h], mort’è lo scelerato! Euoè ! Bacco, Bacco, i’ ti ringrazio! Per tutto ‘l bosco l’abbiamo stracciato, tal ch’ogni sterpo è del suo sangue sazio. L’abbiamo a membro a membro lacerato in molti pezzi con crudele strazio. Or vadi e biasimi la teda legittima! Euoè ! Bacco, accetta questa vittima! (Poliziano, Fabula di Orfeo, vv. 301-308)] La morte di Orfeo non fu rappresentata quasi mai né nella letteratura né nell’arte del Trecento e del Quattrocento. Solo Boccaccio trattò la morte del cantante nelle Genealogie e nelle Esposizioni. Poliziano è il primo a dedicare tanta attenzione alla morte di Orfeo in un testo letterario. Di nuovo Poliziano si basò probabilmente sulle sacre rappresentazioni, 503 L’unico disegno che conosco in cui si allude all’omosessualità di Orfeo è quello della morte di Orfeo da parte del tedesco Albrecht Dürer. Il disegno è stato influenzato da un disegno di Mantegna o da una copia, i quali discuterò nel § 5.2.4. Mentre queste immagini non contenevano nessun riferimento all’omosessualità, il disegno di Dürer, che fu fatto dopo la rappresentazione e la stampa della favola, ci riferisce con le parole ‘Orpheus. Der erst puseran’. 504 Ventrone, op.cit., p. 155. 169 CAPITOLO 4 che finivano spesso con il martirio e la morte crudele del santo martire.505 Dopo Poliziano la morte orrenda di Orfeo sarà rappresentata spesso anche nelle arti figurative (soprattutto maioliche e placchette di bronzo), ma la ricorrenza di questo motivo fu probabilmente influenzata dalla disponibilità di molte edizioni delle Metamorfosi (cap. 5).506 Dopo la morte di Orfeo il coro delle Baccanti canta una canzone molto gioiosa in onore di Bacco. La canzone per Bacco sembra una conclusione molto strana del mito ed è un’aggiunta da parte di Poliziano stesso. Gli studiosi della Fabula non sono d’accordo sulla funzione della canzone bacchica alla fine. Leoni sostiene che la canzone bacchica prenda il posto della licenza, che costituiva la fine normale della sacra rappresentazione.507 Essa poteva, però, essere sostituita con una canzone, come abbiamo detto nel § 4.1.1. In questo caso l’opera viene conclusa con una specie di canto carnascialesco, che doveva rallegrare il pubblico dopo la fine triste. Anzi, secondo Leoni sarebbe stato strano se la favola non fosse finita con un canto carnescialesco, perché Poliziano faceva parte della corte medicea ed era dunque molto predisposto ad usare canzoni del genere.508 Quest’opinione si concilia bene con il significato attribuito alla favola da Martelli e Carrai (cf. § 4.1.3). Benché la Fabula di Orfeo finisca definitivamente con la morte di Orfeo, nell’ultima xilografia dell’edizione di fine ‘400 si vede la riunione di Orfeo ed Euridice accanto ad una specie di altare (ill. 4.6).509 A sinistra e a destra delle coppia un pubblico di uomini e donne sta guardando. 4.6 Anonimo, La riunione di Orfeo ed Euridice, in Poliziano, Festa di Orpheo, ca. 1500 Soprattutto da quest’ultima scena risulta che l’artista delle xilografie non ha letto il testo di Poliziano. Forse venne ispirato da una versione delle Metamorfosi di Ovidio, in cui il mito di Orfeo ha un esito positivo: dopo la morte Orfeo ed Euridice si ritrovano nei Campi Elisi. 505 Leoni, op.cit., p. 19. Cfr. § 4.4.1 per l’influenza di Mantegna sulla popolarità di questo motivo. 507 Leoni, op.cit., p. 14. 508 Ibidem. 509 Poliziano, Stanze delle giostra; Festa di Orpheo, cit. (Poliziano, Poesie italiane, cit., p. 127). 506 170 FIGURA TEATRALE E AMANTE POPOLARE Il primo merito di Poliziano riguardo alla fortuna di Orfeo nella letteratura italiana è dunque la sua descrizione elaborata del mito. Poi il mito è stato trasformato da testo narrativo in una rappresentazione teatrale (drammatizzazione).510 L’intero mito è presentato in discorso diretto e i personaggi recitano le loro parti in scena. Questo sviluppo era probabilmente già stato preparato dalle apparizioni di Orfeo nei trionfi. Poliziano ravviva l’Orfeo delle Georgiche e delle Metamorfosi: sottolinea il potere del canto di Orfeo e il suo amore per Euridice. Il canto di Orfeo non deve soltanto addomesticare gli animali, ma anche sollevare le preoccupazioni, far piangere la gente e perfino Plutone. Orfeo riesce a trionfare sulla morte con il suo canto. Poliziano descrive poi con insistenza il grande amore di Orfeo per Euridice e la sua discesa nell’Ade per riportarla tra i vivi. Nel capitolo 2 abbiamo visto che l’immagine di Orfeo come cantante famoso e come amante di Euridice era molto frequente nella letteratura italiana del Trecento e del primo Quattrocento: anche quest’immagine proveniva originariamente dalle descrizioni di Virgilio e di Ovidio, ma era diventata piuttosto statica. Poliziano è il primo a tornare elaboratamente alle fonti antiche per descrivere il mito e il primo a darne un’interpretazione personale: aggiunge per esempio l’annuncio di Mercurio, la scena pastorale e la canzone delle Baccanti. Ma tornando al mito antico Poliziano risuscita anche certi elementi del mito che erano stati rimossi: l’omosessualità e l’uccisione di Orfeo da parte delle Baccanti. Così Poliziano crea un’immagine della figura di Orfeo non soltanto più completa, ma anche un po’ diversa, un’immagine che sarà del resto molto influente nella fortuna successiva della figura di Orfeo. 4.1.3 Speculazioni sul significato Numerose sono le ipotesi sul significato più profondo della Fabula di Orfeo e sulla funzione della figura di Orfeo. Emilio Bigi ha dimostrato che per molto tempo c’erano in fondo due direzioni nell’interpretazione della Fabula.511 La prima corrente, il cui rappresentante più noto è Francesco De Sanctis, considerava Orfeo il trionfo dell’arte e della cultura. Dopo un lungo periodo di dimenticanza Orfeo rinasce nelle feste della nuova civiltà, con cui inaugura il dominio dell’umanità o dell’umanesimo.512 La Fabula di Orfeo rappresenterebbe solo un mondo immaginario, adatto a rallegrare le feste di corte, senza diffondere allo stesso tempo un messaggio ideologico o etico. La rappresentazione sarebbe soltanto una rappresentazione visuale dei testi di Virgilio e di Ovidio e di elementi dell’ecloga pastorale. La seconda corrente d’interpretazione invece attribuiva alla Fabula di Orfeo un contenuto etico ed idealistico. Qui c’erano varie possibilità. Eugenio Garin considera Orfeo 510 Cf. Genette, op.cit. nell’introduzione. E. Bigi, ‘Umanità e letterarietà nell’ “Orfeo” del Poliziano’, Giornale storico della letteratura italiana CLIX, 506 (1982), p. 183. 512 Bigi, op.cit., p. 183. 511 171 CAPITOLO 4 il simbolo umanistico della parola edificante, che forma delle società.513 A mio avviso, non è sottolineato abbastanza il potere della musica per poter spiegare la Fabula come un’allegoria della forza civilizzatrice della musica o dell’eloquenza. Il canto di Orfeo per gli animali non è elaborato. Maria Luisa Doglio chiama la rappresentazione di Poliziano invece una parabola del poeta o dell’umanista che ha perso la sua autonomia.514 Secondo questa teoria Orfeo rappresenterebbe l’umanista poeta contemporaneo Plutone, il principe assoluto e i pastori Mopso, Aristeo e Tirsi tre tipi diversi di intellettuali. Bigi rifiuta questa ipotesi dicendo che Poliziano aveva un buon rapporto con il suo protettore Lorenzo de’ Medici, anche se c’era stato un allontanamento temporaneo.515 Dionisotti considerava la Fabula una difesa dell’omosessualità.516 Benché questo tema torni nella letteratura per la prima volta dopo l’antichità e costituisca la causa della morte di Orfeo, esso non prende un posto centrale nell’opera di Poliziano. Inoltre, Orfeo viene ucciso per la sua omosessualità. Secondo altri studiosi la Fabula di Orfeo conteneva le idee neoplatoniche di Marsilio Ficino. Per André Chastel Orfeo era l’esempio dell’unione completa con la natura e dell’abbandono totale a Dio.517 Ida Maïer dice però che non c’è nessuna prova che Poliziano volesse trasmettere la stessa lezione di Ficino.518 Poliziano non rappresenta Orfeo esplicitamente come teologo o come civilizzatore e quindi la favola non ha un significato chiaramente filosofico. Anche August Buck sottolinea la differenza nel trattamento della figura mitologica da parte di Ficino e di Poliziano: Mit der Vergegenwärtigung im Denken und Leben Ficinos erhält Orpheus einen Grad von historischer Realität, der den mythischen Gestalten sonst fremd ist. Durch Polizianos “Favola di Orfeo” wird der thrakische Sänger wiederum der Wirklichkeit entrückt in die ästhetische Illusion des Hirtenspiels, in dem sich Antikes und Christliches seltsam mischen.519 A mio parere, Buck individua la differenza tra le concezioni di Ficino e di Poliziano per quanto riguarda Orfeo. Per Ficino Orfeo rappresenta un uomo reale, che dette inizio a una corrente filosofico-religiosa fondamentale. Benché Poliziano conosca questa visione, lui ci presenta la figura mitologica. Anche se possiamo forse vedere tra le righe della Fabula il 513 E. Garin, ‘L’ambiente del Poliziano’, in: La cultura filosofica del Rinascimento italiano, Firenze, 1961, pp. 339-40 356 (citato da Bigi, op.cit., p. 186). 514 M.L. Doglio, ‘Mito, metamorfosi, emblema dalla “Favola di Orfeo” del Poliziano alla “Festa de lauro”’, Lettere italiane 29 (1977), p. 150 (citato da Bigi, op.cit., p. 186). 515 Bigi, op.cit., p. 188. 516 Dionisotti, ‘Leonardo uomo di lettere’, Italia medievale e umanistica, V (1962), p. 198 (citato da Bigi, op.cit., p. 186). 517 Chastel, Art et humanisme, cit., p. 271. 518 Maïer, op.cit., pp. 394-395. 519 Buck, op.cit., p. 23. 172 FIGURA TEATRALE E AMANTE POPOLARE poeta-teologo evemeristico, Poliziano sceglie in tutte le sue opere di rappresentare Orfeo come musicista e amante mitologico. Secondo Vittore Branca le Stanze per la giostra di Poliziano andavano interpretate in modo neoplatonico. In quest’opera fu descritta l’‘ascesa dalla forza fisica e dalla via dei sensi alla vita contemplativa e all’amore spirituale’.520 Negli appunti di Poliziano di quel periodo si trova la citazione seguente da Agostino, da cui risulta la sua concezione di favole come racconti che nascondono un’intenzione più profonda: Fabula est exemplaris seu demonstrativa sub figmento locutio, cuius amoto cortice, patet intentio fabulantis. (Agostino, Contra mendacium, XIII, 28, cc. 2v-4r)521 Tuttavia, negli anni 1479-80 si compié secondo Branca un rovesciamento nelle concezioni polizianesche del valore del mito e del mito di Orfeo in particolare.522 Orfeo perse qualsiasi significato neoplatonico. La Fabula di Orfeo tratterebbe dell’illusione della poesia e della fragilità della poesia in confronto alla realità.523 Il simbolismo ficiniano non si trova nemmeno nella Manto o nei Nutricia. Il capovolgimento nella visione polizianesca sull’arte e sulla poesia e il suo abbandono del neoplatonismo si collegano, secondo Branca, alla scoperta (da parte di Ermolao Barbaro a Venezia) tra il 1479 e il 1480 di Aristotele e della sua Poetica, secondo la quale l’arte doveva essere un’imitazione della natura. Per questo l’arte occuperà anche un ruolo primario nella Manto e nei Nutricia (discuterò il ruolo di Orfeo in queste due opere nel cap. 6). In questi anni Poliziano abbandona dunque Platone in favore di Aristotele. Nelle sue opere degli anni ’80 e ’90 non c’è nessuna traccia di Ficino né del suo pensiero.524 Tuttavia, se la Fabula di Orfeo venne scritta all’inizio degli anni Settanta (prima della riscoperta di Aristotele), si deve forse respingere questa teoria. Mario Martelli accetta invece la datazione prima del 1478 di Tissoni Benvenuti e cerca un’interpretazione che si adatti all’ambiente della cerchia di Ficino e Lorenzo de’ Medici.525 In una lettera di Ficino a Nicolò degli Albizi il filosofo colloca l’amore di Orfeo ed Euridice in un contesto cristiano.526 Come si soleva fare già nel Trecento, anche Ficino associa l’allegoria dello sguardo indietro al passo dell’aratore nel Vangelo di Luca (9, 62) e 520 V. Branca, ‘Tra Ficino ‘Orfeo ispirato’ e Poliziano ‘Ercole ironico’’, cit., p. 462. Secondo Giulio Ferroni le Stanze sono state interpretate come il cammino dell’anima verso la vita contemplativa, attraverso l’esperienza amorosa, ma ottengono probabilmente molti significati diversi e non sempre coerenti (Profilo storico della letteratura italiana, Milano, Einaudi Scuola, 1992, p. 227). 521 ‘Una favola (un mito) è un’espressione esemplare oppure dimostrativa sotto una fizione; quando è stata tolta la sua scorza, appare l’intenzione del favolatore.’ 522 Branca, ‘Tra Ficino ‘Orfeo ispirato’ e Poliziano ‘Ercole ironico’’, cit., p. 464. 523 Branca, ‘Tra Ficino ‘Orfeo ispirato’ e Poliziano ‘Ercole ironico’’, cit., p. 465. 524 Branca, ‘Tra Ficino ‘Orfeo ispirato’ e Poliziano ‘Ercole ironico’’, cit., p. 468. 525 Martelli, Angelo Poliziano, cit., p. 80. 526 Ficino, Lettere, 21 (Exhortatio ad scientiam). 173 CAPITOLO 4 al racconto della moglie di Lot che si trasformò in una statua di sale. Ficino si riferisce qui a un Orfeo completamente diverso dal priscus theologus, che normalmente incontriamo nelle opere ficiniane.527 Secondo Newby, l’Orfeo amante sembra imbarazzare Ficino, per cui il suo furore amoroso significa sempre l’amore per Dio. Probabilmente per questo motivo Ficino adopera il racconto amoroso di Orfeo ed Euridice come antimodello. Orfeo sta per l’uomo in cerca di Dio il quale voltandosi indietro commette un errore e deviando così dalla strada giusta.528 Anche Lorenzo de’ Medici associa lo sguardo indietro all’atto della moglie di Lot. Lorenzo interpreta il mito due volte (nel Commento e in un sonetto a Ginevra de’ Benci) nella maniera di Boezio e di Notker Labeone:529 ALLA GINEVRA DE’ BENCI Fuggendo Lot con la sua famiglia la città che arse per divin giudizio, guardando indrieto il giusto e gran supplizio, la donna immobil forma di sal piglia. Tu hai fuggito, e è gran maraviglia, la città che arde sempre in ogni vizio; sappi, anima gentil, che 'l tuo offizio è non voltare a lei già mai le ciglia. Per ritrovarti il buon pastore eterno lassa il gregge, o smarrita pecorella: truovati, e lieto in braccio ti riporta. Perse Euridice Orfeo già in sulla porta, libera quasi, per voltarsi a quella: pero non ti voltar più allo inferno. (Lorenzo de’ Medici, Altre rime, 2) 527 Newby, op.cit., p. 143. Newby non ha ragione, però, quando dice che questo sia l’unico passo nell’opera ficiniana dove l’autore parla di Euridice (si veda § 5.6). 528 Nel Commentum in Philebum Ficino offre una spiegazione alquanto diversa. Non dice che la terra rappresenta il piacere e che l’uomo deve dunque cercare di lasciare i piaceri terreni e di raggiungere il cielo, dove si trova il sommo bene. Invece, Ficino afferma che il piacere ha abbandonato la terra. L’uomo che cerca di ottenere il piacere deve dunque anche lui lasciare la terra e giungere al cielo, dove adesso risiede il piacere. Tuttavia, se lui guarda indietro, come fece Orfeo, perderà la ricompensa del piacere: ‘Terra a voluptate deserta est, hinc ergo illuc abeundum; ita tamen ut abeundo te retro ne vertas, ne Orphei more perdas praemium.’ (Ficino, Commentum in Philebum, Appendice II, p. 477). 529 Lorenzo de’ Medici, Comento de’ miei sonetti, Argomento 14-15. Secondo Tissoni Benvenuti (L’Orfeo, cit., p. 158) si può assumere la conoscenza di Boezio per il fatto che nel testo di Poliziano Plutone riferisce esplicitamente il divieto di voltare indietro, il che non succede in Virgilio, Ovidio e Seneca, ma sì in Boezio. Anche altri riferimenti intertestuali fanno presumere una tale conoscenza (per es. Lacrimosi versi > flebilibus modis). 174 FIGURA TEATRALE E AMANTE POPOLARE Lorenzo scrisse questo sonetto per la monacazione di Ginevra de’ Benci, probabilmente negli anni Ottanta.530 Ginevra deve dare l’addio alla vita terrena, per prepararsi alla vita nel convento con Dio. Il contesto cristiano in cui è collocato il mito non potrebbe essere più chiaro. La cerchia di Ficino, che voleva riconciliare il cristianesimo con il platonismo, era molto propensa a leggere la letteratura classica in chiave cristiana. Per questa lettura erano usati gli stessi criteri che avevano usato i Padri e i Dottori per la Scrittura.531 Negli anni Settanta continuavano i dibattiti sulla legittimità della lettura allegorica di testi profani (allegorie in verbis vs. allegorie in factis). Anche le Stanze di Poliziano sono in genere interpretate in modo allegorico. Secondo Martelli, nella Fabula Orfeo non riesce a superare il secondo livello della vita, cioè quello della vita attiva (o politica). Guardando indietro ritorna alle cure minori, e si abbandona perfino al peccato contro natura. Così alla fine Orfeo perde il suo corpo. Questa interpretazione si contrappone completamente a quella umanistica e fa sì che il civilizzatore dell’umanità disintegri la civilizzazione.532 Nella sua Fabula Poliziano combina tre Orfei in un unico personaggio: Il Poliziano, con la sua, tutta spiritualmente così esile, fabula, ricollegava in uno i tre Orfei: quello che, civilizzatore dell’originaria ferinità, simboleggiava la vita politica; quello che, nel suo fallito tentativo di recuperare dal regno dei morti Euridice, simboleggiava l’incapacità di funzionalizzare la vita politica a quella contemplativa; quello, infine, che, instauratore degli amori pederastici e fatto a brani dalle Baccanti, simboleggiava la corruzione e la pena che inevitabilmente conseguono a quel fallimento. La colpa di Orfeo, insomma, era stata quella di aver ritenuto la vita attiva autosufficiente: non un limite di Orfeo individuo, ma ineliminabile inadeguatezza della civiltà pagana, che, priva della rivelazione, non aveva potuto sollevare i suoi occhi al di sopra della terra e del corpo.533 Si potrebbe obiettare che Poliziano, contrariamente a quello che fa Lorenzo, preferisce non presentare il mito di Orfeo come allegoria cristiano-morale. Forse Poliziano vuole omettere questa interpretazione del primo medioevo e tornare alle fonti antiche senza connotazioni cristiane. Tuttavia è certo che conoscesse questa spiegazione del mito e che 530 F. Bausi, ‘Nota sul sonetto laurenziano Fuggendo Lot con la sua famiglia’, Interpres XI (1991), pp. 350-356. Un riferimento simile allo sguardo indietro di Orfeo nella cerchia di Lorenzo si trova in: Ugolino Verino, Della vera felicità cristiana, Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze, ms. Magliab. XXXV 232, fol. 6v (menzionato da Bausi). 531 Martelli, Angelo Poliziano, cit., p. 92. Secondo Martelli questo tipo di lettura era importante a Firenze nel ‘400, un secolo che si era aperto con la polemica tra Coluccio Salutati (1a redazione De laboribus Herculis) e Giovanni Dominici (Lucula Noctis), e che sarebbe finito con gli interventi di Ugolino Verino e Savonarola (cfr. C. Mésoniat, Poetica Theologia. La “Lucula noctis” di Giovanni Dominici e le dispute letterarie tra ‘300 e ‘400, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 1984). 532 Martelli, Angelo Poliziano, cit., p. 99. 533 Martelli, Angelo Poliziano, cit., p. 101. 175 CAPITOLO 4 che essa giochi un ruolo secondario. Almeno una parte del pubblico interpretava il mito in questa maniera. Si trovano delle analogie nelle traduzioni cinquecentesche delle Metamorfosi, in cui qualche volta non sono inserite le allegorie dei miti, ma dalla cui introduzione risulta che i miti andavano interpretati in maniera cristiana (cfr. § 5.2.2).534 Di recente sono state proposte anche altre interpretazioni possibili del testo: Bodo Guthmüller vede nel testo un dramma nuziale, in cui l’amore illegittimo (di Aristeo) trova una fine infelice, mentre l’amore coniugale viene premiato.535 Quando Orfeo diventa omosessuale e prende esplicitamente posizione contro l’amore coniugale, le Baccanti lo uccidono. Guthmüller paragona l’opera di Poliziano ad un trionfo in occasione di una festa di nozze (1489) in cui Orfeo compare in compagnia di Imeneo. Questo trionfo sarà discusso nel § 5.5, insieme ad altre feste nuziali in cui appariva Orfeo. Nello stesso periodo il mito di Orfeo fu anche dipinto su cassoni o spalliere, che erano regalati agli sposi per essere collocati nella stanza da letto o in altre stanze (§ 4.4.2 e § 5.5). Evidentemente l’esito infelice del mito non impediva la sua presenza su un cassone nuziale, anche se è assente la rappresentazione dell’uccisione di Orfeo.536 Però, anche altri miti e racconti della storia romana con esiti infelici erano presenti su cassoni del genere e su dipinti che venivano regalati per le nozze.537 Stefano Carrai propone di leggere la Fabula di Orfeo nel contesto del carnevale.538 In questo caso i ‘continui tumulti’ a cui si riferisce Poliziano nella lettera a Canale potrebbero alludere ai giorni prima del martedì grasso. Il martedì grasso era il giorno del baccanale per eccellenza. Per questo anche Lorenzo de’ Medici scrive il suo Trionfo di Bacco e Arianna per il carnevale del 1490. Il coro finale delle Baccanti era dunque adatto all’occasione e al carattere della festa. Poi c’era una tradizione antica in Toscana di uccidere una bambola che impersonificava il carnevale. La bambola era lacerata e bruciata dai partecipanti alla festa, che erano spesso travestiti da donne.539 Secondo Carrai, 534 L’interpretazione di Orfeo come l’uomo che si lascia sedurre dai desideri terreni si troverebbe, secondo Elisabeth Schröter, anche negli affreschi di Andrea Mantegna a Mantova (cfr. § 4.4.1; Schröter, op.cit., p. 133). 535 B. Guthmüller, ‘Mythos und dramatisches Festspiel an den oberitalienischen Höfen des Quattrocento’, in: idem, Studien zur antiken Mythologie in der italienischen Renaissance, Weinheim, Acta Humaniora VCH, 1986, pp. 71-73. 536 Non è sicuro se la mancanza dell’uccisione sui pannelli di Jacopo del Sellaio sia dovuta alla perdita di un pannello, o se ci fossero soltanto tre pannelli che funzionavano come spalliere (§ 4.4.2). Sicuramente questo motivo manca su altri pannelli di un anonimo toscano, in cui il mito sembra avere un esito felice (§ 5.5). 537 Si pensi a: Giovanni Toscano, Storia di Zinevra, Edinburgh, National Gallery of Scotland, no. 53; S. Botticelli, Nastagio degli Onesti, Madrid, Prado; altri esempi sono i racconti di Dido, Camilla, Lucrezia, Virginia, ecc. (Cf. C. Baskins, “Cassone” Painting, Humanism, and Gender in Early Modern Italy, Cambridge, Cambridge University Press, 1998). 538 Carrai, ‘Implicazioni cortigiane’, cit., p. 12. 539 Carrai, ‘Implicazioni cortigiane’, cit., p. 11; idem, ‘Poliziano e il mito di Orfeo’, in: Le metamorfosi di Orfeo. Convegno internazionale Verona, 28-30 maggio 1998, a.c.d. A.M. Babbi, Verona, Fiorini, 1999, p. 163; idem, 176 FIGURA TEATRALE E AMANTE POPOLARE Poliziano conosceva l’interpretazione di Salutati, che vedeva Orfeo come l’uomo epicureo che si abbandonava ai piaceri dei sensi (voluptas). Orfeo poteva dunque simboleggiare l’uomo che non è in grado di dire addio, vale, alla carne.540 Infatti, il contesto del carnevale offre una spiegazione plausibile per la morte di Orfeo e il canto finale delle Baccanti. Anche l’analogia con il canto carnevalesco mi sembra convincente. Carrai interpreta inoltre la Fabula come un racconto chiave, in cui certi personaggi rappresentano degli uomini alla corte fiorentina.541 Nelle ecloghe quattrocentesche era usanza di adoperare nomi da Teocrito e Virgilio per lusingare contemporanei famosi. I cortigiani medicei si servivano spesso di questo genere per scopi encomiastici. Aristeo potrebbe in tal modo simboleggiare Giuliano de’ Medici, che era innamorato di Simonetta Cattaneo, la moglie di Marco Vespucci.542 Simonetta morì nell’aprile del 1476, una morte che ebbe un forte impatto sulla corte medicea, e che influenzò probabilmente la scelta del mito tragico di Orfeo ed Euridice.543 Forse Poliziano ha nascosto se stesso nella figura del pastore Tirsi, che non vuole disubbidire al padrone Aristeo (cioè a Giuliano de’ Medici). Benché l’opera sia dedicata al cardinale Gonzaga, è difficilmente pensabile che Poliziano si rivolgesse ad un altro che al proprio signore.544 Le presunte allusioni alla corte medicea suggeriscono che la Fabula fosse destinata parzialmente a un pubblico fiorentino. Forse doveva essere rappresentata nello stesso periodo sia alla corte dei Gonzaga a Mantova, che al carnevale fiorentino. Questo assunto è confermato dalla tradizione manoscritta, che mostra che per la rappresentazione in presenza del cardinale mantovano furono aggiunte alcune frasi per lodare il cardinale che sono assenti nei codici fiorentini.545 Questa lettura in chiave non basta, però, a spiegare il significato della Fabula nel suo insieme. Se volessimo elaborare il paragone tra i personaggi del mito e le persone contemporanee, Orfeo simboleggerebbe Marco Vespucci. La sua morte sarebbe salutata con gioia dalle Baccanti, e forse dai Medici (da Giuliano in particolare)? A mio parere, non ‘Poliziano, Orfeo e il teatro profano’, in: La maschera e il volto. Il teatro in Italia, a.c.d. F. Bruni, Venezia, Marsilio, 2002, p. 25. 540 Notevolmente anche l’Orfeo (1607) di Striggio e Monteverdi fu rappresentato a Mantova nel contesto del Carnevale. Forse per l’opera di Monteverdi fu scelto appunto l’argomento della Fabula di Orfeo, perché anche l’occasione era simile. 541 Carrai, ‘Implicazioni cortigiane’, cit., pp. 12-21; idem, ‘Poliziano e il mito di Orfeo’, cit., pp. 154-167; idem, ‘Poliziano, Orfeo e il teatro profano’, p. 27. 542 Questo legame fu suggerito per la prima volta da Martelli, ‘Il mito d’Orfeo’, cit., p. 34. Il termine ‘ninfa’ con cui è indicata Euridice Poliziano l’adopera anche per Simonetta (Tissoni Benvenuti, L’Orfeo, cit., pp. 36-37). 543 Carrai, ‘Poliziano e il mito di Orfeo’, cit., p. 166; M. Martelli, ‘Il mito di Orfeo nell’età laurenziana’, in: Orfeo e l’orfsimo, a.c.d. A. Masaracchia, Roma, Gruppo Editoriale Internazionale, 1993. Cf. R. Farina, Simonetta: una donna alla corte dei Medici, Torino, Bollati Boringhieri, 2001. 544 Carrai, ‘Implicazioni cortigiane’, cit., p. 19. 545 Carrai, ‘Implicazioni cortigiane’, cit., p. 22-23. La tradizione manoscritta e l’esistenza di una versione originale e la cosiddetta versione ‘FT1’ per la corte manovana sono state discusse da: Tissoni Benvenuti, op.cit., pp. 41-57. 177 CAPITOLO 4 dobbiamo leggere l’intera favola come un racconto a chiave: mi sembra un onore troppo grande per Vespucci e si addice poco ad una rappresentazione commissionata dai Gonzaga.546 Diversamente, si potrebbe vedere Orfeo come una rappresentazione di Marsilio Ficino, che con la sua cetra fece tornare dagli inferi la vera Euridice, cioè la sapienza platonica, come scrive Poliziano in un’altra opera (cfr. § 3.1). L’uccisione crudele di Orfeo e la gioia delle Baccanti non mi sembrano, però, corrispondere a questa interpretazione e alla relazione tra Poliziano e Ficino (anche se, secondo Branca, questa relazione si deteriorò a partire degli anni ’80). Naturalmente sono possibili più interpretazioni della Fabula di Orfeo, certamente se partiamo dalla supposizione di Tissoni Benvenuti che esistessero più versioni dell’opera (a Firenze e a Mantova). Inoltre, anche una sola versione può aver avuto più significati. In primo luogo l’opera poteva essere interpretata in vari modi dal pubblico, e in secondo luogo Poliziano può aver mescolato sfumature o significati diversi. L’interpretazione cristiana di Martelli è molto simile all’interpretazione carnevalesca da parte di Carrai. Queste interpretazioni si lasciano infatti integrare. Le idee di Martelli possono anche coincidere con il contesto delle nozze, come è stato suggerito appunto da Guthmüller. L’idea che non conti soltanto l’amore terreno, ma soprattutto l’amore per Dio non è forse molto positiva per una festa nuziale. Poi, la fine crudele di Orfeo non sembra adatta ad una festa del genere.547 Io sono dunque incline ad attribuire alla Fabula di Orfeo, con Martelli e Carrai, un significato più profondo (una raccommandazione all’uomo cristiano di non voltarsi ai piaceri mondani) e di collocare l’opera nel contesto del carnevale. L’intenzione polizianesca di inserire una verità filosofico-religiosa nel mito è resa plausibile da alcune sue osservazioni in margine ad altri testi, una delle quali è già stata menzionata qui sopra (‘Fabula est exemplaris seu demonstrativa sub figmento locutio’). In un altro luogo Poliziano esprime la sua opinione su favole o miti ancora più esplicitamente: Le favole omeriche non sono destinate al divertimento, ma sono ombre e veli di profonde dottrine. La sapienza è infatti contemplazione della verità e il sapiente è tale quale Omero. Ma poiché il volgo è attratto soprattutto dalle favole, il poeta le inventa e le intreccia ai suoi versi, perché allettando con l’esca e incantando con ciò che appare, come dicono, prenda dentro le reti coloro che si ritraggono davanti a una filosofia più profonda. 546 Nemmeno Carrai suggerisce di interpretare la Fabula intera come racconto a chiave. La sua interpretazione tratta soltanto dei passi menzionati. 547 Come si è detto, il mito di Orfeo si trova anche su cassoni nuziali, ma ci si potrebbe chiedere quanto peso abbia il fatto che manca appunto la morte di Orfeo sui cassoni (cfr. § 4.4.2). Nel caso di Sellaio è forse perso questo pannello. 178 FIGURA TEATRALE E AMANTE POPOLARE Non deve meravigliare il fatto che [Omero] abbia espresso il suo pensiero per enigmi e discorsi favolosi: ne è ragione la natura della poesia e l’abitudine degli antichi, in modo che gli uomini colti cerchino e trovino più facilmente la verità attraverso il diletto dell’animo; e il volgo non disprezzi ciò che non può comprendere. Ciò che è detto figuratamente è infatti piacevole, mentre ciò che è detto in modo esplicito perde valore. Philosophia. Involucra fabularum (Poliziano, in: Pseudo-Plutarco, Vita Homeri, in margine ad II, 92. Firenze, Biblioteca Nazionale, cod. II.I.99)548 Leggendo queste parole sembra inevitabile supporre che Poliziano avesse nascosto nella Fabula di Orfeo qualche verità filosofica, che non era intelligibile a tutti (e che dunque è anche difficilmente visibile a noi). 4.2 DUE IMITAZIONI TEATRALI: L’ORPHEI TRAGOEDIA E LA FAVOLA DI ORFEO E ARISTEO La Fabula di Orfeo ebbe immediatamente un grande successo: fu rappresentato più volte in diverse corti italiane. Subito dopo la prima rappresentazione l’opera fu messa in scena in altre occasioni e in altre città italiane. Spesso il testo venne riprodotto senza grandi cambiamenti rispetto al testo originale. Ci furono delle variazioni dialettali, delle improvvisazioni nel canto di Orfeo e dei cambiamenti nella sceneggiatura. Secondo Tissoni Benvenuti alla versione originale di Poliziano seguirono due rappresentazioni, che lei indica come FT1 e FT2.549 La Fabula fu probabilmente rappresentata nel palazzo di Marmirolo (Mantova) nel 1490.550 È noto che un messo dei Gonzaga dovette cercare a Firenze un attore per recitare la parte di Orfeo. Fu trovato Atalante Migliorotti. Siccome non ci sono ulteriori documentazioni su questa rappresentazione, non è chiaro se abbia veramente avuto luogo. Leonardo da Vinci fece dei disegni scenografici per una rappresentazione della Fabula di Orfeo. Si tratta probabilmente di un compito commissionato da Charles d’Amboise, il governatore francese di Milano, nel 1506. Benché esistano gli abozzi di Leonardo per un allestimento, mancano, però, documenti storici che attestano la realizzazione dello spettacolo. Un abbozzo nel codice Arundel mostra una montagna, che si poteva aprire per mostrare gli Inferi (ill. 4.7).551 548 Citato da Ventrone, op.cit., p. 179 (cfr. L. Cesarini Martelli, ‘“De poesi et poetis”: uno schedario sconosciuto di Angelo Poliziano, in: Tradizione classica e letteratura umanistica. Per Alessandro Perosa, a.c.d. R. Cardini e.a., vol. II, Roma, Bulzoni, 1985, pp. 482-483; 465). 549 Tissoni Benvenuti, L’Orfeo, cit., p. 55. Cfr. § 4.1.2, n. 41. 550 Pedretti, op.cit., p. 11. 551 Leonardo da Vinci, Studi per l’allestimento della Fabula di Orfeo, ca. 1506-08. Londra, British Library, Codice Arundel 263, ff. 231v (a sinistra) e 224r (a destra). Secondo Ventrone questi schizzi erano forse 179 CAPITOLO 4 4.7 Leonardo da Vinci, Studi per l’allestimento della Fabula di Orfeo, ca. 1506-08 Si tratterebbe del “primo esempio di palcoscenico girevole nella storia della scenotecnica”.552 Così era possibile mostrare sia il mondo pastorale che il mondo infernale sullo stesso palcoscenico senza dover cambiare le scene. Questo disegno è stato identificato da Richter con la descrizione di Leonardo stesso del “Paradiso di Plutone”:553 Quando s’apre il Paradiso di Plutone allor sien diavoli che sonino dodici olle a uso di boce [cioè voci] infernali; quivi sia la Morte, le Furie, Cerbero, molti putti nudi che pianghino; quivi fochi fatti di vari colori [...] movino ballando [...]. (Leonardo da Vinci, in Pedretti, op.cit., p. 8)) Un altro disegno di Leonardo mostra forse l’inseguimento di Euridice da parte di Aristeo (ill. 4.8).554 Nel disegno si vede un uomo che insegue una donna su un terreno un po’ destinati all’allestimento dell’Orphei tragoedia (op.cit., p. 139); cf. anche Tissoni Benvenuti, L’Orfeo, cit., p. 126. 552 M. Angiolillo, Leonardo. Feste e teatri, presentazione di C. Pedretti, Napoli, 1979, p. 72 (citato da Pedretti, op.cit., p. 9). 553 J.P. Richter, The Literary Works of Leonardo da Vinci, London, 1883 (2a ed. Oxford 1939), § 678 (citato da Pedretti, op.cit., p. 8. 554 Leonardo da Vinci, Aristeo insegue Euridice?, ca. 1506-08. Windsor, Royal Library, 12708. 180 FIGURA TEATRALE E AMANTE POPOLARE curvo. Secondo Pedretti l’immagine fa pensare alla xilografia nell’edizione della Fabula, in cui Aristeo (Africo) insegue Euridice (Mensola).555 4.8 Leonardo da Vinci, Aristeo ed Euridice?, ca. 1506-08 Forse Leonardo conosceva dunque l’edizione illustrata della Fabula. Esistono anche altri schizzi di Leonardo che potrebbero riferirsi agli atteggiamenti dei pastori o alla scena in cui Orfeo s’inginocchia di fronte a Plutone.556 Pedretti fa anche menzione di un frammento con danzatrici, che potrebbero rappresentare le baccanti cantanti alla fine dell’opera di Poliziano.557 Questo rapporto sarebbe suggerito dalla presenza di un cavallo rampante, simile a quello nell’edizione stampata di Poliziano. A me sembra, però, inverosimile che un artista come Leonardo si sia basato per il suo allestimento sulle xilografie di artisti anonimi, che spesso non corrispondevano al testo di Poliziano (come nel caso del cavallo e della cosiddetta baccante, che a mio parere dovrebbe piuttosto raffigurare la furia che ferma Orfeo, cosa anche confermata dalla posizione dell’immagine nel testo). Oltre a queste rappresentazioni della Fabula di Orfeo c’erano anche dei casi in cui il testo di Poliziano fornì la base per un’imitazione più libera del testo originale.558 In questo paragrafo discuteremo due esempi di rappresentazioni teatrali sul mito di Orfeo che imitano la Fabula di Orfeo, ma ne differiscono anche talmente da poter essere considerate delle opere autonome. Si tratta dell’Orphei tragoedia e della Favola di Orfeo e Aristeo. Prima faremo una breve introduzione ad ambedue le opere (§ 4.2.1). Poi discuteremo più 555 Pedretti, op.cit., p. 13. Pedretti, op.cit., p. 12. 557 Leonardo da Vinci, Danzatrici o baccanti?, ca. 1515-16. Venezia, Galleria dell’Accademia, nn. 258 e 233 (Pedretti, op.cit., p. 14). 558 Tissoni Benvenuti mostra che il successo della Fabula di Orfeo continuò anche in altre rappresentazioni teatrali su argomenti mitologico-pastorali diversi, che hanno una struttura simile e contengono dei rimandi testuali alla Fabula (L’Orfeo, cit., p. 117). 556 181 CAPITOLO 4 nei dettagli i cambiamenti rispetto alla Fabula di Orfeo per quanto riguarda la rappresentazione del mito e della figura di Orfeo (§ 4.2.2). 4.2.1 Le due tragedie Nonostante numerose speculazioni, l’identità dell’autore dell’Orphei Tragoedia rimane sempre ignota.559 Secondo Tissoni Benvenuti, che pubblicò la prima edizione critica della versione originale della Fabula, della sua rielaborazione teatrale con alcune aggiunte (che lei indica come FT1) e dell’Orphei Tragoedia, l’autore deve essere stato qualcuno delle corti dell’Italia del nord negli ultimi decenni del Quattrocento.560 Anche l’autore della Favola di Orfeo e Aristeo è ignoto. L’opera fu scritta alla fine del Quattrocento o all’inizio del Cinquecento, forse da un autore toscano o umbro. Il testo fu pubblicato nel 1906 da Guido Mazzoni, che aggiunse anche un’ampia introduzione.561 Contrariamente alla Fabula di Poliziano, l’Orphei Tragoedia è divisa in cinque atti secondo le regole del dramma antico. Già il titolo dell’opera indica la sua trasformazione in una tragedia classica. Anche lo stile è più elevato rispetto all’opera di Poliziano. Ventrone parla di una normalizzazione a seconda del canone dello Pseudo-Aristotele, che si vede nella divisione dell’opera in atti e scene; la soppressione del linguaggio popolaresco; l’uso del registro tragico; l’aumento del numero dei personaggi; il coro delle Driadi e le didascalie in latino.562 Per questo sono stati sostituiti alcuni passi comici, come quello del pastore schiavone. Ci sono poi molti cambiamenti rispetto alla Fabula che si possono attribuire secondo Tissoni Benvenuti al pubblico cambiato: mentre Poliziano aveva scritto la sua favola per il cardinale Francesco Gonzaga, la tragedia era probabilmente destinata a una rappresentazione alla corte.563 Discuteremo questi cambiamenti dettagliatamente nel § 4.2.2. Rispetto al testo di Poliziano l’autore anonimo non ha aggiunto molti versi; eppure quasi ogni verso differisce dal testo originale, anche se si tratta soprattutto di piccole differenze linguistiche. L’aggiunta più notevole è nel secondo atto con il coro delle Driadi e le preparazioni per il funerale di Euridice. 559 L’opera fu scoperta e pubblicata nel 1776 dal padre Ireneo Affò, che considerava l’Orphei Tragoedia la redazione finale della Fabula; un mero adattamento alle esigenze dello schema della tragedia da parte dell’autore stesso (Maïer, op.cit., pp. 392-393). Anche altri studiosi pensano che Poliziano stesso fosse l’autore di questa rielaborazione della Fabula (Ziegler, op.cit., p. 239). Secondo altri invece (tra cui Novaro) l’opera fu scritta da Antonio Tebaldeo, che nella sua poesia si riferisce tante volte a Orfeo, come vedremo nel quinto capitolo (Maïer, op.cit., p. 393). Ormai l’attribuzione a Tebaldeo è stata, però, definitivamente esclusa (M.P. Mussini Sacchi, ‘La “Orphei Tragoedia” e il suo autore, in: In ricordo di Cesare Angelini. Studi di filologia e di letteratura, Milano, Il Saggiatore, 1979, pp. 132-145). 560 Tissoni Benvenuti, L’Orfeo, cit., p. 124. 561 G. Mazzoni, La favola di Orfeo e Aristeo. Festa drammatica del secolo XV, Alfani e Venturi, Firenze, 1906. Il testo era presente in solo un codice: Firenze, Biblioteca Riccardiana, no. 1616. 562 Ventrone, op.cit., p. 139. 563 Tissoni Benvenuti, L’Orfeo, cit., pp. 121-122. 182 FIGURA TEATRALE E AMANTE POPOLARE Anche l’anonima Fabula di Orfeo e Aristeo è una rielaborazione della favola di Poliziano che è divisa in cinque atti. Rispetto all’opera di Poliziano e all’Orphei tragoedia la Fabula di Orfeo e Aristeo è molto più lunga (1456 versi), soprattutto per l’aggiunta di un episodio su Aristeo. Il secondo e il terzo atto si basano, però, strettamente sulla favola di Poliziano e mostrano secondo Pyle quasi nessuna conoscenza dell’Orphei Tragoedia.564 Tutti gli atti finiscono con un coro che ha la forma di un canto carnascialesco. Contrariamente alle prime rappresentazioni del mito di Orfeo la Fabula di Orfeo e Aristeo è stata scritta per la maggior parte in terza rima. Sia nella Fabula di Orfeo che nell’Orphei Tragoedia la musica aveva un ruolo importante. L’importanza della musica nella Tragoedia risulta secondo Pyle dalle didascalie all’inizio di quattro delle cinque atti e dal testo stesso. Rispetto alla Fabula di Orfeo gli strumenti sono alquanto cambiati: Mopso suona per esempio la fistola invece della zampogna.565 Nelle didascalie si trova poi due volte la frase ‘modulatur Orpheus’, il che può significare che Orfeo canta o parla. Per via di queste due didascalie si considerano queste favole mitologiche precursori del melodramma, di cui parlerò nel capitolo 6.566 Nella Tragoedia c’era probabilmente più spazio per il canto, il che si può anche vedere nel fatto che i metri sono diversi.567 Nella Favola di Orfeo e Aristeo diminuiscono invece le parti cantate rispetto alla Fabula di Orfeo: ci sono solo cinque o sei parti cantate, cioè i cori alla fine di quattro dei cinque atti (l’ultimo atto è incompiuto).568 Tutti questi cori sono delle canzoni da ballo, che erano probabilmente cantate e ballate da ninfe o da Baccanti. L’unica parte cantata negli atti stessi è la canzone di Aristeo. Poi c’era forse un coro di ninfe all’inizio del quarto atto, che era cantato nello stile recitativo. Del resto, si trovano molti riferimenti alla musica anche nelle parti non cantate: la storia dell’invenzione della lira da parte di Mercurio, il potere della musica di Orfeo che lo difende contro le Baccanti.569 4.2.2 Trasformazioni tragiche del mito Subito all’inizio dell’Orphei tragoedia si nota uno dei cambiamenti principali dell’opera rispetto alla Fabula di Orfeo: la divisione in cinque atti come una vera tragedia. La tragedia comincia con l’introduzione di Mercurio che è intitolata ‘Argumentum’, esattamente come si trovava spesso all’inizio di una tragedia o di una commedia antica. In quest’introduzione dell’argomento l’autore anonimo ha sostituito gli ultimi due versi dell’introduzione di Poliziano per mostrare esplicitamente la sua intenzione di presentare una tragedia: 564 Pyle, ‘Il tema di Orfeo’, cit., p. 136. Pyle, ‘Il tema di Orfeo’, cit., p. 135. 566 Pyle, ‘Il tema di Orfeo’, cit., p. 138. 567 Tissoni Benvenuti, L’Orfeo, cit., p. 121. 568 Pirrotta, op.cit. (citato da Pyle, ‘Il tema di Orfeo’, cit., p. 136). 569 Pyle, ‘Il tema di Orfeo’, cit., pp. 137. 565 183 CAPITOLO 4 Hor stii ciascuno a tutti gli acti intento, che cinque sono, e questo è lo argumento. (Orphei Tragoedia, Argumentum, vv. 15-16) Tissoni Benvenuti suppone che la sostituzione delle parole del pastore schiavone con questi versi più neutrali indica anche uno spostamento ad un livello linguistico più alto.570 Poi seguono davvero cinque atti che hanno tutti dei titoli latini, ‘pastoricus’, ‘nymphas habet’, ‘heroicus’, ‘necromanticus’ e ‘bachanalis’, che indicano il contenuto degli atti. Nei sottotitoli latini sono descritti in modo ancora più preciso gli eventi che si svolgono nell’atto. L’uso del latino è anche notevole nei nomi dei personaggi; i pastori sono indicati con i loro nomi latini, per esempio Mopsus, Aristeus e Thyrsis. L’uso più frequente del latino mi sembra una conseguenza del carattere più classico dell’Orphei tragoedia rispetto alla favola di Poliziano. L’autore volle far rassomigliare la sua tragedia ad una tragedia antica. Anche la Favola di Orfeo e Aristeo è divisa in cinque atti, ma in modo completamente diverso. L’annuncio di Mercurio è stato sostituito dal primo atto in cui Mercurio racconta dell’amore paterno. Poi Apollo chiede in dono a Mercurio la cetra per suo figlio Orfeo. Il pastore Silio descrive in seguito come Orfeo incanta la natura con la lira ed insegna alle donne di compiere sacrifici a Bacco. Orfeo persuade Diana con la sua musica a dargli Euridice come moglie e l’atto si conclude con un canto nuziale per Orfeo ed Euridice.571 Dopo l’Argumentum nell’Orphei Tragoedia e dopo il primo atto nella Favola di Orfeo e Aristeo, ambedue le imitazioni della Fabula adottano la scena pastorale. Nell’Orphei tragoedia questa scena costituisce il primo atto, mentre nella Favola di Orfeo e Aristeo siamo già arrivati al secondo atto. La Favola di Orfeo e Aristeo imita l’intera scena pastorale con grande libertà: segue il testo di Poliziano per quanto riguarda il contenuto, ma se ne allontana a livello testuale, il che è causato probabilmente dal fatto che l’imitazione anonima è stata scritta in terzine e non in ottave. L’Orphei tragoedia segue invece quasi letteralmente il testo di Poliziano, almeno all’inizio della scena. L’autore anonimo fa cominciare il secondo atto a partire della canzone di Aristeo. In quest’atto il seguito della conversazione dei pastori e l’inseguimento di Euridice da parte di Aristeo sono stati sostituiti con un coro di Driadi che racconta la morte di Euridice. Il coro delle Driadi fu probabilmente suggerito all’autore dal passo nelle Georgiche, in cui le Driadi si lamentano dopo la morte di Euridice.572 L’inseguimento e la morte della ninfa non sono 570 Tissoni Benvenuti, L’Orfeo, cit., p. 124. Per questi elementi l’autore si è forse fatto ispirare dalle Genealogie di Boccaccio o l’Astronomia di Igino. 572 ‘at chorus aequalis Dryadum clamore supremos / implevit montis;’ (Virgilio, Georgiche, 4, 460-61). Il rapporto è stato suggerito da Tissoni Benvenuti, L’Orfeo, cit., p. 122. 571 184 FIGURA TEATRALE E AMANTE POPOLARE dunque rappresentati in scena, come era almeno parzialmente il caso della Fabula di Orfeo.573 Anche l’autore della Favola di Orfeo e Aristeo introduce una ninfa per descrivere l’inseguimento e la morte di Euridice. Le due imitazioni della Fabula osservano dunque le regole della tragedia antica di non rappresentare sul palcoscenico degli eventi orrendi, ma di farli descrivere da un nunzio.574 Nel punto in cui Poliziano riproduce la canzone latina di Orfeo si vede una divergenza tra le due imitazioni teatrali. Mentre la Favola di Orfeo e Aristeo omette la canzone completamente, l’Orphei tragoedia sostituisce la canzone con un’altra canzone in latino e fa cominciare qui il terzo atto ‘eroico’: Musa, triumphales titulos et gesta canamus Herculis et forti monstra subacta manu, ut timidae matri pressos ostenderit angues intrepidusque fero riserit ore puer. (Orphei tragoedia, atto III, vv. 1-4)575 L’ode al cardinale Francesco Gonzaga è stata sostituita con una rielaborazione di quattro versi del De Raptu Proserpinae di Claudiano (365-dopo 404).576 Tissoni Benvenuti nota che il passo di Claudiano è stato usato anche in versi da Boiardo per Ercole d’Este. Anche l’Orphei tragoedia fu dunque rappresentata in onore di Ercole d’Este. L’Orphei tragoedia è destinata a un pubblico abituato a leggere o sentire il latino, mentre la Favola di Orfeo e Aristeo omette invece ogni frase latina.577 Dopo l’annuncio della morte di Euridice ambedue le imitazioni teatrali ripetono il lamento di Orfeo e la sua intenzione di scendere nell’Ade. Nell’Orphei tragoedia un satiro sottolinea prima il dolore di Orfeo: MNASYLLUS SATYRUS Vedi come dolente se parte quel tapino e non risponde per dolor parola. 573 Sicuramente l’inseguimento era rappresentato in scena. Poi si legge nelle didascalie: ‘Seguitando Aristeo Euridice, ella si fugge drento alla selva, dove punta dal serpente grida, e simile Aristeo.’ Il momento stesso della morte non era dunque forse visibile al pubblico, ma c’era almeno la suggestione di essere presenti alla morte della ninfa. 574 Orazio, Arte Poetica, vv. 179-88. 575 ‘Musa, cantiamo i titoli trionfali e le azioni di Ercole e i mostri che sono vinti dalla sua mano forte, come quando giovane mostrò i serpenti oppressi alla madre spaventata e rise senza paura con bocca feroce.’ 576 Claudiano, De raptu Proserpinae, Pref. ante lib., II, vv. 29-32 (Tissoni Benvenuti, L’Orfeo, cit., p. 125; 197, n. 1-4). 577 Può anche darsi che l’autore della Favola di Orfeo e Aristeo abbia usato una versione della Fabula di Orfeo, in cui non erano presenti i passi latini, come nella versione originale secondo Tissoni Benvenuti. 185 CAPITOLO 4 In qualche ripa sola, e lontan da la gente, se dolerà del suo crudo destino. Seguir lo voglio per vider la prova se al suo lamento el monte se commova. (Orphei Tragoedia, atto III, vv. 13-20) Le parole del satiro, che ricordano la descrizione del pianto di Orfeo nelle Georgiche, mostrano Orfeo come un uomo molto dolente, ma contengono secondo Tissoni Benvenuti anche un’indicazione scenica: ‘il monte che si commuove, cioè si muove (si apre?) per permettere a Orfeo l’ingresso agli Inferi.’ La studiosa allude all’allestimento della Fabula di Orfeo da parte di Leonardo da Vinci, a cui abbiamo accennato nel § 4.1.1. Anche la rappresentazione dell’Orphei tragoedia contenne probabilmente un’invenzione scenica del genere.578 Nella Favola di Orfeo e Aristeo è stata omessa l’ultima stanza del lamento di Orfeo (in cui il cantante si indirizzava alle Furie), insieme alla reazione di Plutone e Minosse. Forse la Furia è stata sostituita con Caronte, perché la sua presenza è più autentica: Virgilio e Ovidio parlavano del ‘portitor’. L’Orphei tragoedia cita invece tutte le stanze del lamento, ma fa cominciare dopo la seconda stanza il quarto atto (‘necromanticus’), in cui Orfeo scende nell’Ade. Dopo la reazione di Plutone sono state inserite alcune parole di Proserpina, che mancano nella Fabula di Poliziano. La battuta sostituisce un’ottava di Minosse che si trovava qui nella rielaborazione della Fabula di Orfeo (FT1): PROSERPINA Caro consorte, poi che per tuo amore lasciai il ciel superno e fatta fui regina de lo Inferno, mai non hebbe vigore piacer di tanto effetto che mi potesse intenerire el core. Hor disiando quella voce aspetto, né mi par che altra cosa mi porgesse piú mai tanto diletto. Dunque alquanto ti posa: se da te debbo haver gratia una volta, posati alquanto, e il dolce canto ascolta. (Orphei Tragoedia, atto IV, vv. 29-40) 578 Tissoni Benvenuti, L’Orfeo, cit., p. 198. 186 FIGURA TEATRALE E AMANTE POPOLARE Secondo Tissoni Benvenuti le parole di Proserpina sottolineano ‘il nuovo significato di storia d’amore assunto dal mito nel rifacimento.’579 Proserpina dice di aver seguito Plutone per amore, anche se secondo il mito lui l’aveva rapita ragazza. Tissoni Benvenuti indica anche altri spostamenti sottili che cambiano il mito in una ‘malinconica storia d’amore’.580 Questa tendenza si farà ancora più evidente nei cantari su Orfeo ed Euridice. Sia l’Orphei tragoedia che la Favola di Orfeo e Aristeo seguono poi più o meno letteralmente il testo di Poliziano. Naturalmente la Favola di Orfeo e Aristeo omette la canzone latina di Orfeo. Il cambiamento maggiore rispetto alla Fabula di Orfeo si trova nella canzone di Orfeo, quando gli è vietato di entrare per la seconda volta nell’Ade. Nella Favola di Orfeo e Aristeo la canzone è stata imitata liberamente, cosicché Orfeo parla ancora della sua avversione per le donne, omettendo invece i suoi amori omosessuali: Di donne omgni altro amor dischaccio via: puoi che i’ ò persa la mi’ Euridice, non fia mai ch’altro amor nel pecto stia. (La favola di Orfeo e Aristeo, atto III, vv. 130-132) Anche l’autore dell’Orphei tragoedia omette l’omosessualità di Orfeo: imita quasi letteralmente la prima e la terza strofa del lamento di Orfeo nella Fabula, ma trasforma la seconda strofa, che trattava della pederastia, in qualcosa di ‘innocente’: Coglierò da qua ‘nanti e fior novelli, la primavera dil tempo migliore; quando son gli anni ligiadretti e belli, piú non mi stringa feminile amore. Non sia più chi di donna mi favelli, poi che morta è colei che hebbe il mio core; chi vòl comertio haver cum mei sermoni, di femminile amor non me ragioni. (Orphei Tragoedia, atto V, vv. 9-16) Colpisce subito la sostituzione della parola ‘sesso’ con ‘tempo’. Con questo e qualche altro cambiamento l’autore anonimo sfuma ogni riferimento all’omosessualità di Orfeo. Come osserva Tissoni Benvenuti spiritosamente ‘Orfeo sembra giudiziosamente disposto a dedicarsi al giardinaggio’.581 Orfeo decide di godersi gli anni migliori della sua vita, invece 579 Tissoni Benvenuti, L’Orfeo, cit., p. 201. Tissoni Benvenuti, L’Orfeo, cit., p. 122. Altri spostamenti nella direzione della storia d’amore tragica sono per esempio: le parole della Driade alla fine del secondo atto; le parole di Orfeo dopo la seconda perdita di Orfeo (p. 122, n. 12). 581 Tissoni Benvenuti, L’Orfeo, cit., p. 205. 580 187 CAPITOLO 4 di sprecarli con una donna. Naturalmente è stata tolta anche l’ultima stanza che trattava di altri amori omosessuali mitologici. L’Orfeo dei due rifacimenti teatrali della Fabula di Orfeo rimane dunque un misogino, ma perde la sua connotazione omosessuale. Questa omissione fu forse influenzata dalla morale diversa rispetto a quella della corte dei Gonzaga o dalle idee personali dell’autore. Dopo la canzone misogina di Orfeo nella Favola di Orfeo e Aristeo è stato inserito un lungo passo in cui due uomini, Argastro e Clitero, discutono l’effetto del canto di Orfeo sugli uomini e sulla natura.582 Il passo sottolinea il potere di Orfeo come cantante. In aggiunte del genere e nell’aggiunta alla fine dell’intera storia di Aristeo si manifesta la voglia dell’autore anonimo di descrivere ogni particolare del mito di Orfeo e di mostrare la sua conoscenza delle fonti. Alla fine del racconto c’è di nuovo una divergenza notevole tra le due imitazioni: mentre l’Orphei tragoedia descrive quasi letteralmente l’uccisione di Orfeo da parte delle Baccanti come nella Fabula di Orfeo, la Favola di Orfeo e Aristeo racconta indirettamente l’uccisione tramite la figura di Mirtillo. Colpisce come l’autore dell’Orphei tragoedia evidentemente non avvertisse la descrizione della morte di Orfeo come in contraddizione con le regole della tragedia antica. Mentre l’Orphei tragoedia finisce con la canzone delle Baccanti in onore di Bacco, come nel testo di Poliziano, nell’altra rappresentazione teatrale seguono ancora due atti che parlano del ‘malanno’ che ferisce Aristeo per aver causato la morte di Euridice, la punizione del serpente che cerca di mordere la testa di Orfeo, la trasformazione delle Baccanti in alberi e infine la penitenza e la purificazione di Aristeo stesso. Mazzoni sottolinea che, mentre la Fabula di Poliziano si limita a citare dalle Georgiche IV, 457-527 e dalle Metamorfosi X, 1-82 e XI, 1-43, l’anonima Favola si basa sulle Georgiche IV, 317-553 e sulle Metamorfosi X, 1-82 e XI, 1-84.583 L’anonimo autore conosce dunque bene i testi di Virgilio e di Ovidio e li adopera per elaborare la sua descrizione del mito di Orfeo. Così emergono nella letteratura italiana alcuni nuovi elementi del mito, che fino a quel momento non erano (quasi mai?) stati presenti: il dono della lira da parte di Mercurio; Orfeo che insegna alle donne di sacrificare a Bacco; le nozze di Orfeo e Euridice (primo atto); la presenza di Caronte; la lira e la testa di Orfeo buttate nel fiume (terzo atto); la fortuna di Aristeo e delle sue api (quarto atto); la punizione delle Baccanti che si trasformano in alberi; Apollo e Bacco che cercano la testa di Orfeo e la salvano dal serpente; continua la fortuna di Aristeo; Apollo porta la testa di Orfeo al cielo e la lira diventa una costellazione (quinto atto). Alcuni di questi elementi li rivedremo nel Cinquecento, anche se la loro apparizione pùo essere stata influenzata pure dalla loro 582 583 Favola di Orfeo e Aristeo, atto III, vv. 148-95. Mazzoni, op.cit., pp. V-VII. 188 FIGURA TEATRALE E AMANTE POPOLARE menzione in altri testi come rielaborazioni delle Metamorfosi o come le Genealogie di Boccaccio. La trasformazione principale delle due opere rispetto alla Fabula di Orfeo è di carattere formale: esse devono rassomigliare di più a tragedie antiche. Queste differenze non cambiano profondamente l’immagine di Orfeo. Tematicamente ci sono anche alcuni spostamenti più interessanti. Nell’Orphei tragoedia Orfeo è forse rappresentato molto di più come un amante tragico, anche se le indicazioni sono molto sottili. Questa tendenza si vedrà chiaramente nei cantari. Nella Favola di Orfeo e Aristeo la voglia di completezza sembra oscurare un’interpretazione particolare del mito. Il potere della musica riceve molta attenzione, ma anche l’intera storia di Aristeo. Come nel caso della Fabula di Orfeo è difficile stabilire la funzione precisa delle opere, perché è ignota l’occasione precisa per cui furono composte. 4.3 ORFEO ED EURIDICE NEI CANTARI CINQUECENTESCHI 4.3.1 Il genere popolare dei cantari Il mito di Orfeo ed Euridice è anche l’argomento principale di alcuni cantari.584 Originariamente il cantare era una forma di poesia musicale provenzale. A un certo momento la parola ‘cantare’ non era più usato in Italia per indicare componimenti lirici, ma piuttosto per indicare dei componimenti narrativi. La forma metrica di questi componimenti era generalmente l’ottava; essi erano recitati da un cantastorie, che cantava nelle piazze e nei mercati della città e cercava poi di vendere i suoi racconti. Questi racconti erano stampati su alcune pagine che non erano legate e che erano dunque molto delicate, ragione per cui i testi dei cantari oggi sono piuttosto rari. I cantari trattano di argomenti molto svariati. Ugolini distingue sei categorie diverse: cantari cavallereschi, leggendari, religiosi, classici, novellistico-lubrici e storicocontemporanei.585 L’interessse per gli argomenti classici comincia nel Quattrocento. In questo periodo e nel Cinquecento troviamo nei cantari anche delle elaborazioni del mito di Orfeo ed Euridice, anche se il mito triste di Piramo e Tisbe era l’argomento prediletto.586 Con la trasformazione dei miti antichi in cantari, gli eroi greci si trasformarono in dame e 584 Per il paragrafo sui cantari mi baso su questi due testi importanti: F.A. Ugolini, I cantari d'argomento classico con un’appendice di testi inediti, Genève-Firenze, Leo S. Olschki, 1933, pp. 1-27 (‘Introduzione. Cantari e cantastorie nel Medio Evo e nel Rinascimento’); B. Guthmüller, ‘Cantari cinquecenteschi di argomento mitologico’, in: idem, Mito, poesia, arte. Saggi sulla tradizione ovidiana nel Rinascimento, Roma, Bulzoni, 1997, pp. 187-212. 585 Ugolini, op.cit., p. 21. 586 Guthmüller, ‘Cantari cinquecenteschi’, cit., p. 188. 189 CAPITOLO 4 cavallieri.587 Trasformazioni del genere erano comuni nei romanzi medievali, in cui il mito di Orfeo era anche descritto come una storia d’amore cortese (cf. § 1.5.5).588 Ugolini sostiene che le Metamorfosi di Ovidio fossero la fonte principale d’ispirazione per i cantastorie. Quest’assunto non spiega, però, le differenze notevoli tra i cantari e il testo di Ovidio: mentre alcuni argomenti o particolari che nel testo di Ovidio sono descritti a lungo non ricevono quasi nessuna attenzione nei cantari, altri argomenti quasi assenti da Ovidio vengono ampiamente elaborati. Le aggiunte sono secondo Guthmüller destinate piuttosto a chiarire e a completare il testo che non ad abbellire il testo in maniera letteraria.589 Secondo Ugolini i cantastorie avevano la conoscenza umanistica necessaria per rielaborare i miti e per aggiungere dei particolari usando altre fonti mitologiche. Guthmüller contraddice quest’opinione, perché i cantastorie sarebbero secondo lui di ‘condizioni sociali modeste’ e non avrebbero goduto nessuna educazione umanistica. Il loro solo scopo era di adattare i miti a un pubblico più ampio adoperando una forma semplice. Secondo Guthmüller i miti erano trasmessi ai cantastorie attraverso i volgarizzamenti delle Metamorfosi. Nel caso di alcuni cantari su per esempio Perseo e Giasone l’Ovidio Metamorphoseos in verso vulgar di Nicolò degli Agostini (1a edizione stampata 1522) è stata la fonte principale.590 Il testo di Agostini era molto adatto ai cantari, perché era scritto in ottava rima e perché i miti erano già stati tradotti al mondo cavalleresco. Gli unici cambiamenti necessari erano l’eliminazione della divisione in capitoli e le allegorie, e l’aggiunta di un inizio e un lieto fine.591 Nel caso dei cantari su Orfeo ed Euridice, invece, sono stati i cantari ad aver influenzato l’opera di Agostini. Come vedremo nel § 5.2.1 Agostini si basò sia sulla Fabula di Orfeo che su alcuni cantari per scrivere la sua versione del mito di Orfeo. 4.3.2 Orfeo amante nei cantari Le numerose versioni dei cantari su Orfeo ed Euridice sono quasi identiche. Si possono vedere delle differenze nei dettagli e nella lunghezza del cantare. Esistono tre gruppi di cantari: di 80 ottave, 88 ottave e di 96 ottave.592 Per la discussione dei cantari in questo 587 Ibid., p. 190. Gli esempi più famosi di romanzi tardomedievali che collocano il mito di Orfeo nella tradizione dell’amore cortese sono: l’anonimo Sir Orfeo (ca. 1325) e Orpheus and Eurydice di Robert Henryson (ca. 1430-1500). 589 Ibid., p. 193. 590 Ibid., p. 193. 591 Ibid., p. 194. 592 Ugolini, op.cit., p. 139; F.W. Sternfeld, ‘Orpheus, Ovid and Opera’, Journal of the Royal Musical Association 113 (1988), pp. 172-202. 588 190 FIGURA TEATRALE E AMANTE POPOLARE paragrafo prendiamo come testo di base la Historia et favola d’Orpheo, un cantare di 96 ottave.593 L’autore della Historia et favola d’Orpheo segue in gran parte letteralmente il testo di Poliziano. Tutti i passi che da Poliziano sono stati scritti in ottava rima, sono stati trasferiti direttamente al cantare. Nei passi con un metro diverso qualche volta il linguaggio è cambiato un po’ per adattarsi alla forma dell’ottava. Le modificazioni metriche sono trasformazioni puramente formali che non cambiano la funzione del mito di Orfeo. Subito all’inizio del testo diventa chiaro che non si tratta più di una rappresentazione teatrale, ma di un testo narrativo. Le prime parole ‘Silenzio. Udite’, con cui Poliziano fa cominciare la Fabula di Orfeo, sono state sostituite con parole più neutrali: ‘O buona gente’. Anche le ultime parole dell’introduzione con cui il pastore schiavone augura alla brigata buona fortuna, sono state sostituite con un invito al lettore a volgere la pagina: ‘Dunque, lettor, che hai gentil memoria, / volgi la carta, e comincia la storia!’ (vv. 15-16) Da queste parole risulta che il cantare non era più destinato a essere recitato di fronte a un pubblico, ma che era diventato un testo narrativo per essere letto a casa.594 Come la prima edizione stampata della Fabula di Orfeo del 1494, anche il primo cantare noto su Orfeo ed Euridice del 1495-1500 circa, La historia de Orpheo, è ornato con una xilografia sul frontespizio.595 Orfeo sta in piedi e suona una viola da braccio, mentre a sinistra stanno ascoltando un cane e una lepre e a destra un cervo e un’altra lepre. Nell’albero dietro Orfeo si trovano due uccelli. Sullo sfondo a sinistra è visibile una città. (ill. 4.9) 593 Per questo paragrafo abbiamo usato l’edizione del 1567, che è stato pubblicato da: E. Lommatzsch, Beiträge zur älteren italienischen Volksdichtung: Untersuchungen und Texte, III, Berlin, Akademie-Verlag, 1950. 594 Si potrebbe sostenere che i due versi fossero inseriti nella versione stampata, che poteva essere comprata dal pubblico alla fine della recitazione. Anche in questo caso si tratta di un testo narrativo, e non più di una rappresentazione teatrale. 595 Anonima xilografia in: Anonimo, La historia de Orpheo, Roma, Gior. Berichem e Martin de Amsterdam, ca. 1500. Roma, Biblioteca Casanatense, Vol. Inc. 1612 (prima: Inc. 1653). 191 CAPITOLO 4 4.9 Anonimo, Orfeo e gli animali, in La historia de Orpheo, 1495-1500 4.10 Anonimo, Orfeo-cantastorie, in: La historia et favola d’Orpheo, 1567 Anche altre versioni del cantare sono state stampate con una xilografia iniziale. L’edizione del cantare del 1567 comincia con una xilografia di Orfeo che suona la sua viola da braccio (ill. 4.10).596 Il suo pubblico consiste non solo di due cani, ma anche di uomini e donne. Il cantante stesso sta suonando su una specie di palcoscenico e in fondo si vede un castello, come se ci trovassimo in una città medievale o rinascimentale. L’intera composizione fa pensare alla situazione dei cantastorie, che suonavano nelle piazze delle città. Stiamo dunque guardando all’immagine di Orfeo o all’immagine del cantastorie? Probabilmente la xilografia propone l’identificazione del cantastorie con la figura di Orfeo. Questo spiega anche le numerose versioni che esistono dei cantari su Orfeo e Euridice. Il mito di Orfeo era estremamente adatto per essere raccontato o cantato dai cantastorie, poiché anche essi volevano incantare il pubblico con le loro parole. Anche se nel tempo in cui fu stampato questo cantare non era più l’abitudine di recitare i testi nelle piazze, sembra visibile nella xilografia una reminiscenza al passato glorioso del cantastorie. Il Tractato de orpheo ‘fiolo del sole e de euridice sua sposa come morite / la dita nimpha e poi parla de orpheo che ando al inferno per reauerla e / per la humilita che uso plutone uerso orpheo pel suo bel sonare’ del 1520 ca. comincia con una xilografia che consiste da tre scene diverse (ill. 4.11).597 A sinistra Orfeo suona la lira da braccio, mentre 596 Anonima xilografia in: Anonimo, La historia et favola d’Orpheo, 1567 (riprodotto da: Lommatzsch, op.cit.). 597 Anonimo, Tractato de Orpheo ...s.l.s.t.s.a. [ca. 1520]. Bayerische Staatsbibliothek, P.o.it. 326, 2, menzionato da: M. Simhart, ‘Stampe popolari italiane del sec. XVI nella Biblioteca Bavarese di Stato’, La Biliofilia 4 192 FIGURA TEATRALE E AMANTE POPOLARE ascoltano alcuni alberi e animali. Sopra a destra Euridice si diverte danzando con le sue amiche. Sotto Orfeo è disceso nell’Ade e suona per un mostro infernale, che probabilmente rappresenta Plutone. Dall’altro lato di Plutone si vede Euridice. 4.11 Anonimo, Orfeo e gli animali e Orfeo nell’Ade, in Tractato de orpheo, ca. 1520 La scena pastorale che nella Fabula di Orfeo segue immediatamente all’introduzione è stata omessa nel cantare. Invece di questa scena si trova un’invocazione a Cristo e a Apollo. Da questa aggiunta il cantare ottenne un carattere più cristiano, che era più riconoscibile al grande pubblico. L’amore del genere pastorale non si estendeva probabilmente alla gente comune. Secondo Guthmüller la gente si interessava piuttosto agli amori e alle armi. L’autore del cantare descrive poi la discendenza di Orfeo da Apollo e Calliope e il fatto che Mercurio insegna a Orfeo a suonare la viola. Con il suo canto Orfeo sa ammaliare non solo la natura, ma anche Euridice. Questi elementi sono forse aggiunti per procurare delle informazioni essenziali sul personaggio di Orfeo, che non erano note a tutti (come lo erano nella cerchia di Ficino e Poliziano).598 L’autore anonimo riproduce la canzone di Aristeo, ma omette poi il seguito della scena pastorale. Tali cambiamenti si possono dunque spiegare dal fatto che la favola elitaria fu adattata ad un pubblico comune. La fuga di Euridice e la sua morte da un morso di serpente sono state adattate liberamente, come è anche il caso per la canzone di Orfeo in latino. Non sono dunque riprodotte letteralmente le parole latine. Come la Favola di Orfeo e Aristeo, che abbiamo discusso nel paragrafo precedente, neanche il cantare era destinato a un pubblico che conosceva il latino. (aprile) (1933), pp. 135-136 (xilografia su p. 139). Secondo Simhart ‘Alla nostra versione corrisponde la riproduzione del testo in: W. Müller-O.L.B. Wolff. Egeria (Leipz. 1829) pag. 181 sgg.’. 598 Queste informazioni erano disponibili all’autore nella Favola di Orfeo e Aristeo e nelle Genealogie di Boccaccio, per esempio. 193 CAPITOLO 4 Nel seguito il cantare segue quasi sempre letteralmente la Fabula di Orfeo. Tuttavia, sono state inserite delle ottave nuove tra quelle di Poliziano. Lo scopo della maggior parte delle ottave nuove è di descrivere i diversi personaggi che appaiono in scena. Anche questi cambiamenti sono causati dalla trasposizione da un dramma teatrale ad una narrazione. Mentre in una rappresentazione teatrale si vedono apparire in scena dei nuovi personaggi, spesso immediatamente riconoscibili dal loro viso e dai loro vestiti, in un testo narrativo si deve introdurre un nuovo personaggio e descrivere il suo aspetto. Così sono introdotti per esempio Caronte (che è aggiunto come personaggio), Cerbero, le Furie, Minosse e Plutone, e sono descritti i loro incontri con Orfeo. Queste aggiunte non cambiano l’essenza del mito. Qualche volta le ottave inserite dall’autore anonimo non sono intese a descrivere i personaggi, ma sembrano aggiunte per suscitare pathos. Tra la notizia della morte di Euridice e il lamento di Orfeo, che nella Fabula di Orfeo si susseguono, si trovano otto ottave che descrivono la reazione di Orfeo. L’autore sottolinea così il dolore di Orfeo quando vede che la sua sposa è morta e dimostra il grande amore di Orfeo per lei: Ah, quando intese la trista novella, e vidde morta la sua cara sposa, parvegli al cor sentir cento coltella, doglia non hebbe mai tanto noiosa. Fortemente di cor piangea quella, ogni dura mente haria fatta pietosa; con lachrime infinite assai si duole, e piangendo dicea queste parole: (La historia et favola d’Orpheo, XXVIII) Ad Orfeo sembra di sentire nel cuore cento coltellate quando vede Euridice morta e piange fortemente. Avrebbe mosso a pietà ‘ogni mente dura’ con il suo pianto, come lo sapeva fare anche con il suo canto. Orfeo prende Euridice tra le braccia e parla alla sposa morta. Quando vede il morso del serpente il suo dolore si aggrava ancora: Orpheo in braccio tien morta costei, piangendo, con parlar molto pietoso; dicendo: “teco morir io vorrei, chè senza te starò sempre noioso.” E, risguardando, vidde giù da’ piei el morso del serpente venenoso; aggiunsegli dolor sopra dolore, e doglia sopra doglia, e pena al core. (La historia et favola d’Orpheo, XXXI) 194 FIGURA TEATRALE E AMANTE POPOLARE Nella Historia et favola d’Orpheo l’amore di Orfeo per Euridice e il dolore per la morte di lei sono dunque descritti con molta enfasi, cosicché il lettore non può che sentire una grande compassione. Questa attenzione per la storia d’amore e per il dolore dell’amante è tipica del genere dei cantari e fu forse rafforzata dalla presenza di Orfeo in altre poesie medievali, in cui Orfeo è un amante cortese medievale (cf. § 1.5.5). Altre aggiunte al testo di Poliziano sono di nuovo dovute al fatto che nel caso del rifacimento si tratta di un testo narrativo: la liberazione di Euridice e lo sguardo indietro di Orfeo sono per esempio descritti dal narratore, perché non erano visibili in scena. Queste aggiunte non cambiano, però, l’essenza del racconto. La canzone trionfale di Orfeo in latino è stata sostituita con il ringraziamento di Plutone, come nella Favola di Orfeo e Aristeo, e Caronte sostituisce la Furia che vieta Orfeo di rientrare nell’Ade.599 Nel lamento di Orfeo per la seconda morte di Euridice ci sono alcuni particolari notevoli: dopo la seconda morte di Euridice Orfeo vuole essere chiamato ‘Orphano’, perché ormai è privo della persona più amata (LXXVII).600 Poi Orfeo maledice la Medusa che generò il serpente che uccise Euridice (LXXVIII). Tutti gli animali vengono ad ascoltare il canto di Orfeo: Facea Orpheo il più dirotto pianto che mai facesse al mondo creatura; di lachrime è bagnato tutto quanto, della sua vita più costei non cura. Per tutto quel paese d’ogni canto uccelli e fiere uscir’ della verzura, e tutti quanti andorno ad ascoltare d’Orfeo il pianto acerbo e ‘l lachrimare. (La historia et favola d’Orpheo, LXXIX) L’effetto del canto di Orfeo sugli animali dopo la seconda perdita di Euridice è tipico della descrizione ovidiana del mito di Orfeo. Nella descrizione dell’omosessualità di Orfeo i cantari divergono molto. Mentre la Historia et favola d’Orpheo imita letteralmente l’intera canzone misogina di Orfeo, la Historia di Orpheo descrive l’omosessualità esplicitamente, ma più succintamente: costui fu ‘l primo nel regno di Tratia che ‘l peccato trovò di sodomia 599 Anche all’inizio del cantare c’erano già delle analogie con La favola di Orfeo e Aristeo, come il dono della lira da parte di Mercurio. 600 Il legame tra Orfeo e orfano si trova anche nella Fiorita di Armannino Giudice. Nell’inferno di Giudice Orfeo si trova tra i difensori degli orfani: ‘Ancora qua sieno quelloro che fono defenditury de li orfany; infra questoro parea Orfeo, fo chiamato per seo nomo ben parea custumato et sagio.’ 195 CAPITOLO 4 (Historia di Orpheo, vv. 85-86) Anche in questo cantare l’omosessualità viene considerata un peccato che è la causa dell’uccisione di Orfeo. Il racconto nella Historia et favola d’Orpheo (e negli altri cantari) continua più o meno come nella Fabula di Orfeo, ma con molte aggiunte dalle Metamorfosi. Sia la descrizione dell’uccisione di Orfeo che gli eventi che seguono sono stati presi da una versione di Ovidio: la natura che rimpiange la morte di Orfeo, il corpo di Orfeo che viene buttato nel fiume, la testa che viene quasi mangiata da un serpente e infine la riunione di Orfeo e Euridice dopo la morte.601 L’autore conclude il suo racconto poi con la morale: Non volse ricevessi già più scherno, chè assai era punito del suo errore. L’anima sua n’è gita a l’inferno, e ritrovò la donna, e ‘l primo amore. Sì che sia questo a voi esemplo eterno: la donna è sol del’ homo il frutto e ‘l fiore; però lor sol seguire habbi in memoria!Per tre quattrini si dà l’antica storia. (La historia et favola d’Orpheo, XCVI) La Historia et favola d’Orpheo è dunque in parte un’imitazione letterale della Fabula di Orfeo di Poliziano, che è completata da elementi delle Metamorfosi. Infatti, molti dettagli testuali si basano sul testo di Giovanni dei Bonsignori, ma anche su altri testi.602 Anche se il testo di Poliziano, che era destinato ad un pubblico elitario, è per la maggior parte conservato nei cantari popolari, la funzione di Orfeo e la morale sono state adattate al nuovo pubblico. Orfeo non rappresenta più il simbolo dell’uomo in cerca di Dio, che non deve ritornare alle cose terrene, ma è soprattutto un amante. La condanna dell’omosessualità costituisce la morale del cantare: l’uomo deve amare la donna. La rappresentazione teatrale umanistica di Poliziano è dunque trasformata in una storia d’amore, che ha molte caratteristiche del romanzo medievale. Nel capitolo 5 vedremo che la Fabula e i cantari formeranno anche la base della traduzione delle Metamorfosi da parte di Nicolò degli Agostini, il quale vi aggiungerà di nuovo le allegorie trecentesche di Giovanni dei Bonsignori. 601 Si veda il riassunto delle caratteristiche della descrizione ovidiana del mito di Orfeo nel § 1.3.2. In una nota Guthmüller accenna alla dipendenza del cantare Historia de Orpheo dalla traduzione delle Metamorfosi di Giovanni dei Bonsignori (Guthmüller, op.cit., p. 193). 602 196 FIGURA TEATRALE E AMANTE POPOLARE 4.4 IL MITO NEI CICLI PITTORICI Dopo la prima rappresentazione della Fabula di Orfeo si assiste ad un aumento notevole delle rappresentazioni di Orfeo nelle arti visive, e soprattutto di cicli pittorici. Andrea Mantegna è il primo a raffigurare il mito in tre scene nel Palazzo Ducale di Mantova.603 La raffigurazione di una serie di episodi o scene è una maniera per poter seguire la linea del racconto. Gli artisti che raffigurano alcuni momenti del mito di Orfeo non cercano dunque di rappresentare solo il personaggio di Orfeo, ma anche l’intreccio del mito. In questo modo i cicli si lasciano paragonare a una rappresentazione teatrale come la Fabula di Orfeo. Sequenze del genere si trovano soprattutto in alcuni cicli di affreschi a Mantova e a Roma, ma anche in cassoni o spalliere, placchette di bronzo e maiolica. 4.4.1 Orfeo alla corte dei Gonzaga Nello stesso periodo in cui Poliziano scrisse la sua Fabula, Andrea Mantegna (1431-1506) dipinse nel Palazzo Ducale a Mantova la cosiddetta Camera degli Sposi, ovvero la Camera Picta. Mantegna era il pittore di corte della famiglia Gonzaga. Il marchese Ludovico gli commissionò di ornare una parete della camera con i ritratti di se stesso, di sua moglie Barbara di Brandeburgo e di altri membri della sua famiglia.604 Sull’altra parete dipinta è rappresentato forse l’arrivo a Mantova del secondo figlio Francesco, che era cardinale. Si tratta dello stesso cardinale che commissionò la Fabula di Orfeo. È anche possibile che la scena non rappresenti un motivo determinato, ma che essa offra un’immagine generica della vita alla corte mantovana. Sul soffitto della stanza si vedono varie figure e vari ornamenti. Intorno al cerchio dell’oculo con donne e putti che guardano giù è dipinta una serie di imperatori romani. Tra gli imperatori e le pareti ci sono dodici pennacchi triangolari, che trattano dei miti di Ercole, Orfeo e Arione. Mantegna ha cercato di raffigurare i personaggi mitologici in stile antico: su modello di monete e gemme antiche le figure seguono i principi dell’arte del rilievo e della scultura romana.605 Anche la tecnica della grisaglia sullo sfondo del mosaico dorato artificiale e il fatto che Orfeo suona una lira (invece di uno strumento contemporaneo) danno all’immagine un tocco antico. 603 Prima di Mantegna il mito di Orfeo fu soltanto raffigurato in più scene in manoscritti delle Metamorfosi: Anonimo, La morte di Euridice & Orfeo e gli animali, in: Arrigo Simintendi, Ovidio Maggiore, ca. 1370-80. Firenze, Biblioteca Nazionale, MS Panciatichi 63, fol. 84v; fol. 86r. 604 Il programma fu probabilmente sviluppato da Vittorino da Feltre, che si trovava alla corte mantovana (Semmelrath, op.cit., p. 67). 605 Semmelrath, op.cit., p. 72. 197 CAPITOLO 4 Nella camera si vedono tre immagini di Orfeo. Nella prima scena Orfeo suona la lira di fronte a due donne, a un albero e a un leone (ill. 4.12). Una della donne tiene in mano un arco. Gli studiosi non sono d’accordo sul significato delle donne.606 4.12 Andrea Mantegna, Orfeo suona la lira, 1464-74 Nella seconda immagine Orfeo si trova con la sua lira di fronte a Cerbero, che sorveglia l’entrata degli Inferi (ill. 4.13). Dall’apertura nella roccia esce una donna che sembra gridare. La donna è stata identificata a volte con una Furia o con Euridice.607 Nell’ultima scena Orfeo è bastonato a morte da tre ragazze (ill. 4.14). 606 Secondo Hannelore Semmelrath esse rappresentano gli esseri più bellicosi che Orfeo addomestica con la musica (Semmelrath, op.cit., p. 70). Elizabeth Welles suggerisce invece che l’arco è un segnale del simbolismo del cacciatore e della preda, che stanno ascoltando la musica insieme in pace (E. Welles, ‘Orpheus and Arion as symbols of music in Mantegna ‘s Camera degli Sposi’, Studies in Iconography 13 (1989-90), pp. 113-144). Elisabeth Schröter afferma che le donne possono rappresentare soltanto le Driadi, che nelle Georgiche di Virgilio lamentano la morte di Euridice. Gli archi sarebbero degli attributi delle Driadi, che sono menzionati qualche volta nella letteratura antica. L’immagine rappresenterebbe dunque la situazione dopo la morte di Euridice (Schröter, op.cit., p. 130). 607 Semmelrath, op.cit., p. 70 (Furia); Rietveld (2004), op.cit., p. 18 (Euridice); Schröter (op.cit., p. 131) accenna al fatto che la donna e Orfeo si guardano e che essa deve essere dunque Euridice. 198 FIGURA TEATRALE E AMANTE POPOLARE 4.13 Andrea Mantegna, Orfeo nell’Ade, 1464-74 / 4.14 Andrea Mantegna, La morte di Orfeo, 1464-74 La decorazione della camera fu realizzata tra il 1464 e il 1474 circa. Siccome non è stata stabilita definitivamente la data della prima rappresentazione della Fabula, si riesce difficilmente a determinare se sia la Fabula o la Camera ad essere stata concepita prima e se ci sia un rapporto causale tra le opere. Gli studiosi hanno sempre avuto delle opinioni diverse su questo problema. Ernesto Travi sostiene che Poliziano aveva visto a Mantova la Camera degli Sposi già completata e aveva scritto poi la sua Fabula.608 Anna Cerbo è dello stesso parere.609 Secondo Del Lungo invece, la Fabula fu recitata per la visita del cardinale Gonzaga alla corte di Mantova, della quale visita Mantegna dipinse poi un’impressione sulle pareti della Camera.610 Giuseppe Scavizzi suggerisce che Poliziano e Mantegna potrebbero aver discusso l’argomento durante una visita di Poliziano a Mantova nel 147172.611 Secondo altri non c’è nessun rapporto di dipendenza tra le due opere.612 In effetti, risulta difficile dimostrare delle analogie, oppure delle influenze tra la Fabula di Poliziano e le tre immagini di Mantegna. Anche nell’opera di Poliziano Orfeo suona la lira (infatti, una lyra antica, dopo v. 140), ma non sono presenti donne o alberi. Cerbero, che ha un ruolo prominente nella seconda immagine, è soltanto menzionato di sfuggita da Poliziano quando Orfeo scende nell’Ade (vv. 169-180). In questi versi si parla, però, anche delle Furie, che potrebbero influenzare l’interpretazione della donna nell’immagine mantegnesca. La morte di Orfeo è trattata elaboratamente sia nella Fabula che sull’affresco. Le analogie tra le due opere non sono dunque molto convincenti. 608 E. Travi, ‘L’esperienza mantovana del Poliziano: l’Orfeo’, in: Studi in onore di Alberto Chiari, II, Paideia, Brescia,1972, pp. 1297-1313. 609 A.M. Cerbo, Metamorfosi del mito classico da Boccaccio a Marino, ETS, Pisa, 2001, p. 95. 610 Del Lungo, op.cit., p. 553. 611 Scavizzi, op.cit., pp. 111-162. 612 Tra altri: Roesler-Friedenthal, ‘Ein Porträt Andrea Mantegnas als alter Orpheus im Kontext seiner Selbstdarstellungen’, Römisches Jahrbuch der Bibliotheca Hertziana 31 (1996), p. 174. 199 CAPITOLO 4 Anche quando vogliamo stabilire delle analogie tra Poliziano e Mantegna rispetto alla funzione di Orfeo, incontriamo dei problemi. Come abbiamo discusso nel § 4.1.3 l’interpretazione della Fabula di Orfeo è stata molto discussa. Tuttavia, Mario Martelli ha suggerito una spiegazione allegorica convincente, secondo la quale Orfeo simboleggia l’uomo che non riesce a superare la vita attiva per arrivare alla vita contemplativa, ma che ricade invece alla terra per abbandonarsi ai piaceri terreni. Anche il programma artistico della Camera degli Sposi è interpretato in vari modi. Secondo Ilse Blum le scene mitologiche simboleggiano il matrimonio cristiano.613 Scavizzi critica questa ipotesi, e suggerisce di interpretare Orfeo e Arione come musicisti ed Ercole e Periandro come campioni di virtù, che dovrebbero simboleggiare insieme i caratteri dell’artista e del committente.614 In questo modo il soffitto sarebbe un panegirico in onore di Ludovico Gonzaga, in cui Arione e Orfeo rappresenterebbero i due lati della vita dell’artista (cioè di Mantegna stesso): il lato tragico e infelice dell’attività poetica in generale (Orfeo) e la mancanza di successo che dopo qualche tempo procede al riconoscimento (Arione e Periandro).615 Quest’interpretazione assegna a mio avviso a Mantegna un ruolo eccessivamente grande. Come diceva Martelli nella sua discussione della Fabula di Orfeo, Orfeo era spesso visto non come simbolo della vita contemplativa, ma appunto come l’uomo che non riesce a raggiungere questo livello. Rodolfo Signorini mostra che anche gli affreschi di Mantegna si possono interpretare in questo modo.616 Ercole simboleggerebbe la Virtù e Orfeo, sul lato opposto della camera, simboleggerebbe il contrario, cioè l’‘homo voluptati sensuum deditus’. Signorini cita qui l’opinione negativa di Coluccio Salutati nel De laboribus Herculis (cfr. § 2.8). Schröter propone di leggere gli affreschi piuttosto nel contesto di Boezio, come raccomandazione di non lasciarsi deviare dalla strada che conduce al sommo bene.617 Il contrasto tra Ercole e Orfeo, che appare negli affreschi, si trova, però, soltanto nel libro di Salutati. Manca tuttavia in questa fonte la figura di Arione, che ha un ruolo prominente negli affreschi. Welles dice che Ercole, Arione e Orfeo rappresentano gli inventori delle arti della guerra e della civilizzazione, che attraverso l’impero romano hanno trasferito le loro doti ai Gonzaga.618 Ercole simboleggia la vita attiva, mentre Orfeo e Arione, come inventori di 613 I. Blum, Andrea Mantegna und die Antike, Strasbourg, 1936, p. 57. Scavizzi, op.cit., p. 118; cf. § 2.3, n. 66. 615 Ibidem. L’identificazione di Mantegna con Orfeo è suggerita anche da Roesler-Friedenthal, op.cit. La sua ipotesi si basa però, a mio parere, su troppe speculazioni non verificabili (come pensa anche Schröter, op.cit., p. 131). 616 R. Signorini, Opus hoc tenue. La Camera dipinta di Andrea Mantegna. Lettura storica iconografica iconologica, Parma, 1985, pp. 214-217; 222. Cfr. Schröter, op.cit., p. 132; S. Roettgen, Wandmalerei der Frührenaissance in Italien, vol. II (Die Blütezeit 1470-1510), München, 1997, p. 20. 617 Schröter, op.cit., p. 132. 618 Welles, op.cit., pp. 114-115. 614 200 FIGURA TEATRALE E AMANTE POPOLARE musica e poesia, simboleggiano la vita artistica e contemplativa. Il soffitto rispecchia in questa maniera l’ideale del buon principe, il cui regno è caratterizzato sia dal guerreggiare che dalla venerazione delle arti. Questa interpretazione di Orfeo come simbolo della vita contemplativa è eccezionale e non conforme alle opinioni comuni in quel periodo (traduzioni delle Metamorfosi, corte laurenziana). Naturalmente Orfeo che cantava per gli animali era spesso adoperato come simbolo dell’eloquenza civilizzatrice. Sugli affreschi di Mantegna, però, gli animali sono pochi e Orfeo vi trova una fine infelice, il che non si lascia conciliare bene con la sua funzione positiva. In combinazione con i ritratti dei Cesari l’interpretazione di Welles sembra, però, probabile. Inoltre, non è stato raffigurato da Poliziano lo sguardo indietro di Orfeo, che è tanto fondamentale per l’interpretazione della sua ricaduta nei vizi terreni. L’interpretazione di Welles dimostra delle analogie con la rappresentazione propagandistica di Orfeo da parte dei Medici un secolo dopo (cf. § 5.8). Qualsiasi significato si debba attribuire agli affreschi, rimane il fatto che Orfeo ottiene una posizione prominente in due opere importanti dello stesso periodo. A prima vista gli affreschi mantegneschi di Orfeo non sembrano molto notevoli, ma bisogna tenere presente che in quel tempo era una cosa eccezionale eseguire in grande una figura mitologica in una stanza, invece che su un pannello o disegno.619 Probabilmente Poliziano e Mantegna sapevano di lavorare ambedue sul mito di Orfeo e si influenzarono a vicenda. Poliziano passò per Mantova durante i suoi viaggi e può dunque aver visto gli affreschi di Mantegna. Mantegna, da parte sua, può aver conosciuto la Fabula di Orfeo durante la rappresentazione dell’opera (probabilmente a Mantova) o attraverso un manoscritto. È impossibile affermare chi di loro fosse stato il primo a pensare a Orfeo.620 Mantegna e le placchette di bronzo Lo stesso problema si pone per le placchette di bronzo o le medaglie che nel passato sono state attribuite a Bertoldo e oggi all’anonimo Maestro di Orfeo.621 Era l’usanza a Firenze e a Padova di raffigurare dei temi mitologici in statuette, placchette e medaglie di bronzo, che imitavano gli originali antichi.622 Le medaglie mostrano le stesse tre scene che furono rappresentate da Mantegna: Orfeo che canta per gli animali e per alcune donne, Orfeo che scende agli Inferi e la morte di Orfeo (ill. 4.15-17).623 Non è chiaro, però, quali di queste 619 Welles, op.cit., p. 114. Probabilmente Poliziano conosceva la figura di Orfeo, però, soprattutto dai suoi contatti con Ficino. 621 Maestro di Orfeo (anche attribuito a Bertoldo), Orfeo e gli animali, Orfeo ed Euridice di fronte a Plutone & La morte di Orfeo, placchette di bronzo, fine del sec. XV. Washington D.C., National Gallery of Art, Samuel H. Kress Collection, no. 1957.14.234, 1957.14.233 & 1957.14.235. 622 Scavizzi, op.cit., p. 114. 623 San Juan accenna alla presenza delle donne negli affreschi di Mantegna e nelle placchette. La donna seduta di fronte rappresenterebbe la melancolia. Questa figura sarebbe anche presente nell’affresco di Mantegna. L’idea che il canto di Orfeo curasse la melancolia era nota da trattati musicologici, scritti neoplatonici e dalle opere di Boccaccio. Le quattro donne si ripetono nei quattro elementi della natura: gli animali, gli alberi, i 620 201 CAPITOLO 4 opere fossero state eseguite prima, se quelle di Mantegna o quelle del Maestro di Orfeo, né è possibile dire se gli artisti si conoscessero. 4.15-17 Maestro di Orfeo, Orfeo e gli animali, Orfeo nell’Ade, La morte di Orfeo, fine del sec. XV Rosa Maria San Juan fa una distinzione tra i cicli di affreschi, i pannelli e le maioliche da una parte, in cui gli artisti cercarono di trasferire la narrazione all’immagine, e dall’altra le incisioni, i nielli e le placchette di bronzo, che non adoperano i miti per il loro significato narrativo, ma per imitare le forme classiche.624 San Juan mostra che le placchette avevano dimensioni e funzioni diverse: alcune funzionavano come il rovescio di medaglie, altre avevano una funzione puramente ornamentale. Qualche volta le placchette furono prodotte in serie (come le tre scene del mito di Orfeo), ma spesso si possedeva soltanto una sola placchetta.625 Anche l’artista veronese noto come Moderno (probabilmente da identificare con Galeazzo Mondella, 1467-1528) fece delle serie di placchette di bronzo che rappresentano delle scene del mito di Orfeo. Ci sono delle placchette con Orfeo che suona per gli animali, altre in cui Orfeo scende nell’Ade e perde Euridice e infine quelle che mostrano la morte di Orfeo.626 Tematicamente le placchette sono molto simili a quelle del Maestro di Orfeo. sassi e il fiume, che rimandano ai quattro temperamenti nell’allegoria dell’eloquenza di Boccaccio (San Juan, The Legend of Orpheus, cit., p. 179). 624 San Juan, The Legend of Orpheus, cit., p. 2. 625 San Juan, The Legend of Orpheus, cit., pp. 168-169. 626 Moderno, Orfeo incanta gli animali campestri, fine del sec. XV-inizio del sec. XVI. Washington D.C., National Gallery of Art, Samuel H. Kress Collection, no. 1957.14.333; Moderno (attrib.), Orfeo suona per gli animali, fine del sec. XV-inizio del sec. XVI. Washington D.C., National Gallery of Art, Widener Collection, no. 1942.9.248; Moderno, Orfeo redime Euridice, fine del sec. XV-inizio del sec. XVI. Washington D.C., National Gallery of Art, Samuel H. Kress Collection, no. 1957.14.331; Moderno (attrib.), Orfeo discende nell’Ade, fine del sec. XV-inizio del sec. XVI. Washington D.C., National Gallery of Art, Samuel H. Kress Collection, no. 1957.14.330; Moderno (attrib.), Orfeo perde Euridice, fine del sec. XV-inizio del sec. XVI. Washington D.C., National Gallery of Art, Samuel H. Kress Collection, no. 1957.14.332; Moderno (attrib.), La morte di Orfeo, fine del sec. XV-inizio del sec. XVI. Washington D.C., National Gallery of Art, Samuel H. Kress Collection, no. 1957.14.334. Esiste ancora un’altra placchetta con il motivo di Orfeo e gli animali: 202 FIGURA TEATRALE E AMANTE POPOLARE Secondo San Juan, le placchette di Moderno differiscono, però, da quelle del Maestro di Orfeo nella loro funzione: a partire dell’inizio del Cinquecento furono adoperati come ornamenti domestici.627 L’interesse per le placchette si spostò dunque dal contenuto alla presentazione formale: le placchette furono eseguite in dimensioni maggiori e con attenzione maggiore alla scultura. San Juan mostra che tra le varie placchette attribuite a Moderno tre sono forse dalla mano di Moderno stesso: quelle che seguono gli affreschi di Mantegna e in cui Orfeo è la figura centrale (ill. 4.18-20). 4.18-20 Moderno, Orfeo e gli animali, Orfeo nell’Ade, La morte di Orfeo, fine del sec. XV-inizio del sec. XVI Le altre placchette rappresentano due momenti diversi degli stessi episodi e furono probabilmente eseguite da un altro artista. Le aggiunte al ciclo originale non si limitarono a placchette di Orfeo, ma furono anche inserite almeno due placchette con il mito di Arione.628 I palazzi dei Gonzaga La figura di Orfeo era molto gradita ai Gonzaga. Scene del mito di Orfeo furono anche dipinte in alcuni luoghi del Palazzo Te. Il Palazzo Te fu costruito e decorato da Giulio Romano (1499-1546), che ricevette la commissione da Federico II Gonzaga, figlio di Francesco II e Isabella d’Este. Il Palazzo Te non era la residenza del principe mantovano, ma il luogo dove egli trascorreva il suo tempo libero. Orfeo si trova nella Sala delle Metamorfosi, dove sono rappresentati alcuni miti ovidiani (cfr. § 5.2.3).629 Pseudo-Melioli, Orfeo e gli animali, fine del sec. XV-inizio del sec. XVI. Washington D.C., National Gallery of Art, Samuel H. Kress Collection, no. 1957.14.206. 627 San Juan, The Legend of Orpheus, cit., p. 181. 628 San Juan, The Legend of Orpheus, cit., pp. 185-186. 629 Giulio Romano, Orfeo nell’Ade, affresco, 1527-29. Mantova, Palazzo Te, Sala delle Metamorfosi, parete meridionale. 203 CAPITOLO 4 Anche nella Loggia delle Muse del Palazzo Te sono dipinte due scene del mito di Orfeo.630 A sinistra della porta Euridice è inseguita da Aristeo e viene morsa da una vipera. A destra Orfeo suona per gli animali (ill. 4.21). Oggi gli affreschi si trovano in una condizione critica. 4.21 Jacopo Strada, Disegno dell’Atrio delle Muse, 1567-68 Le due scene si basano non tanto sulla Fabula di Orfeo, quanto sulle Georgiche di Virgilio, dove Aristeo ha un ruolo primario. L’omaggio a Virgilio risulta anche dalla rappresentazione di un’Allegoria delle arti mantovane, in cui la testa laureata di Virgilio esce da una vasca, cioè dalla fonte d’ispirazione poetica.631 Il mito di Orfeo fu di nuovo rappresentato nel Palazzo Ducale a Mantova intorno al 1600.632 Al personaggio mitologico venne dedicata un’intera stanza. Il Camerino di Orfeo si trova nell’appartamento d’estate tra la stanza degli Amori di Giove e quella del Pesce.633 Il soffitto e le pareti sono stati decorati a stucco con episodi del mito di Orfeo. La sequenza comincia sul soffitto con l’inseguimento di Euridice da parte di Aristeo (ill. 4.22). 630 Anonimo, La morte di Euridice & Orfeo e gli animali. Mantova, Palazzo Te, Loggia delle Muse, parete centrale. 631 Palazzo Te. Mantova, Mantova, Phart, 2004, p. 19. 632 Anonimo, Storie di Orfeo, affreschi, ca. 1600. Mantova, Palazzo Ducale, Camerino d’Orfeo. 633 Il camerino è discusso elaboratamente da: M.G. Fiorini Galassi, ‘Il camerino detto di Orfeo nel Palazzo Ducale di Mantova. Mito dell’ “eterno ritorno” o metafora ideologica del Rinascimento’, Civiltà Mantovana N.S. 11 (1986), pp. 35-52. 204 FIGURA TEATRALE E AMANTE POPOLARE 4.22 Anonimo, Aristeo ed Euridice, Camerino di Orfeo, ca. 1600 Nella prima scena sulle pareti Orfeo suona la lira da braccio, mentre sta seduto sotto un albero. Ai suoi piedi si trovano due dei marini con anfore. I personaggi nella seconda scena sono interpretati da Maria Grazia Fiorini Galassi come cinque Eliadi (ninfe dei boschi), che si lamentano insieme a Orfeo (con la barba) della morte di Euridice.634 A destra Cigno è stato trasformato in uccello (il simbolo della morte). Nella terza immagine Orfeo si inginocchia davanti a Plutone e Proserpina, mentre suona la lira. A sinistra Fiorini Galassi distingue delle Erinni con serpenti, mentre a destra si trovano Cerbero e un Amorino funebre che esce da una caverna. Nell’ultimo episodio Orfeo è ucciso dalle Baccanti. Fiorini Galassi cerca di interpretare le scene del Camerino di Orfeo in maniera diversa dall’interpretazione comune tornando alle fonti antiche del quinto secolo a.C. Secondo tale interpretazione Orfeo sarebbe stato un agricoltore che lavorava per procurare il cibo agli uomini; sarebbe diventato poi un savio e un sacerdote che per il bene dell’uomo cercava di conformare le cose terrestri alla natura del cielo.635 Orfeo e Aristeo rappresenterebbero le due facce dell’uomo rinascimentale: la technè e l’epistemè servirebbero a promuovere la cultura. Anche Giove, nella camera accanto, non dovrebbe essere intepretato come il dio mitologico, ma invece come ‘il comune principio vitale del mondo’ (un’interpretazione tratta da Arato da Sicione). Tuttavia, Fiorini Galassi non offre delle prove convincenti delle sue ipotesi ricercate e non tiene conto dell’immensa 634 Fiorini Galassi, op.cit., p. 38. In Ovidio si legge: ‘C’era un colle, e sul colle una radura pianeggiante che germogli d’erba coprivano di verde. Non c’era ombra in quel luogo, ma quando il divino poeta vi venne a sedere e trasse dalla lira un accordo, l’ombra lì si diffuse: apparve l’albero della Caonia, e con quello il bosco delle Eliadi, […].’ 635 Fiorini Galassi, op.cit., pp. 42-43. 205 CAPITOLO 4 popolarità di Virgilio e soprattutto di Ovidio in questo periodo. Inoltre, Aristeo non si concilia bene con le interpretazioni di Fiorini Galassi, che si basano su antiche versioni greche. La scelta del mito di Orfeo fu forse suggerita all’artista dal Trattato dell’arte della pittura, scultura et architettura (1584) di Giovanni Paolo Lomazzo, che per la decorazione di edifici destinati al divertimento propone delle scene allegre delle Metamorfosi, come il mito di Orfeo:636 si ricercano altresì historie di gioia e d’allegrezza, che del tutto non habbiano ombra di malencolia, come sarebbe Mercurio, che con dolce sono addormenta Argo, le Eliadi che si cangiano in arbori, Perseo che libera Andromeda dal mostro Marino, Marsia che concorre nel sonar con Apolline, la caccia di Meleagro, il corso d’Hippomene et d’Atalanta, l’eccellenza d’Orfeo nel sonare et tante altre favole raccontate da’ poeti. (Lomazzo, Trattato dell’arte della pittura, ‘Quali pitture vadano dipinte intorno a’ fonti, cap. XXV, p. 345) Anche a Sabbioneta nel Palazzo del Giardino di Vespasiano Gonzaga, che nacque da un ramo cadetto della famiglia, fu allestito un Corridoio di Orfeo.637 Nel corridoio sono affrescati quattro episodi del mito: Orfeo incanta gli animali, Orfeo discende nell’Ade, Orfeo e Plutone e la morte di Orfeo da parte delle Baccanti. La villa fu costruita tra il 1577 e il 1588 come un luogo dove Vespasiano poteva passare il tempo libero. La raffigurazione di Orfeo nei palazzi dei Gonzaga non è eccezionale: il cantante è anche presente in alcune stanze della Villa Farnesina a Roma e nel Castel Sant’Angelo, come vedremo nel § 5.2.3. Colpisce tuttavia il grande numero delle sue rappresentazioni a Mantova. Anche Elisabeth Schröter accenna alla predilezione dei Gonzaga per il mito di Orfeo, che non si vede soltanto negli affreschi, ma anche nella Fabula di Orfeo e nel 1607 nell’Orfeo di Monteverdi.638 A quanto pare, i Gonzaga avevano un legame speciale con Orfeo. Se negli affreschi di Mantegna il mito di Orfeo simboleggiò probabilmente la faccia culturale del potere dei Gonzaga, negli affreschi e stucchi successivi il mito assunse tuttavia forse soltanto una funzione decorativa. Per stabilire il significato preciso di Orfeo in queste immagini ci vorrebbero ricerche ulteriori. 636 G.P. Lomazzo, Trattato dell’arte della pittura, scultura et architettura, VI, xxvi (II, pp. 191-97) (citato da: J. de Jong, De oudheid in fresco. De interpretatie van klassieke onderwerpen in de Italiaanse wandschilderkunst, inzonderheid te Rome, circa 1370-1555, Rijksuniversiteit Leiden, 1987, p. 30). 637 Anonimo, Orfeo incanta gli animali, Orfeo discende nell’Ade, Orfeo e Plutone & La morte di Orfeo. Sabbioneta, Palazzo del Giardino, Corridoio di Orfeo. 638 Schröter, op.cit., p. 129. 206 FIGURA TEATRALE E AMANTE POPOLARE 4.4.2 L’apparizione di Aristeo vs. Orfeo conciliatore Subito dopo la prima rappresentazione della Fabula di Orfeo, che ebbe come protagonisti sia Orfeo che il pastore Aristeo, quest’ultimo personaggio fu introdotto anche nella pittura su tavola. L’artista fiorentino Jacopo del Sellaio fece tra il 1480 e il 1490 una serie di tre cassoni oppure spalliere, che rappresentano scene del mito di Orfeo. Oltre a un pannello in cui si vede l’inseguimento di Euridice da parte di Aristeo (ill. 4.23), ci sono due pannelli in cui Orfeo suona per gli animali e in cui Orfeo scende agli Inferi per liberare Euridice.639 4.23 Jacopo del Sellaio, Aristeo ed Euridice, 1480-90 L’apparizione di Aristeo dipende con grande probabilità direttamente dalla rappresentazione della Fabula.640 Benché la figura di Aristeo fosse anche presente in manoscritti delle Georgiche e delle rielaborazioni ovidiane di Giovanni del Virgilio e di Giovanni dei Bonsignori, la sua introduzione in questi anni sembra attribuibile al grande successo dell’opera di Poliziano. L’innamoramento e l’inseguimento di Aristeo occupano la metà del testo. Aristeo canta il suo amore per Euridice e le chiede di non fuggire il suo amante: 639 J. Del Sellaio, Aristeo ed Euridice, cassone/spalliera, ca. 1480-90. Rotterdam, Museum Boijmans Van Beuningen, no. 2563; idem, Orfeo e gli animali, cassone/spalliera, ca. 1480-90. Cracovia, Pánstwowe Zbiory Sztuki na Wawelu (Castello di Wawel, Appartamenti Reali), no. 7934; idem, Orfeo nell’Ade, cassone/spalliera, ca. 1480-90. Kiev, Museo dell’Arte Occidentale e Orientale, no. K 115. Del Sellaio fece anche una seconda versione del pannello di Orfeo e gli animali (e forse degli altri pannelli), il che risulta dall’esistenza di un frammento degli stessi animali combattenti (J. del Sellaio, Orfeo e gli animali, frammento. Ubicazione sconosciuta (E. Callmann, ‘Jacopo del Sellaio, the Orpheus Myth, and Painting for the Private Citizen’, Folia Historiae Artium, S.N. 4 (1998), p. 156). 640 L’influenza della Fabula di Poliziano è anche suggerita da: U. Reinhardt, ‘“Orpheus und Eurydike” - Bilder zum Text’, Der altsprachliche Unterricht 40 (1997), pp. 80-96.. Secondo Callmann, invece, non si possono vedere dei rapporti diretti tra la rappresentazione teatrale e le immagini di Del Sellaio, fuorché forse il vestito bianco di Euridice e il fatto che Orfeo suona una lira (da braccio) invece di un liuto (op.cit., p. 157). Cf. anche P. Schubring, Cassoni: Truhen und Truhenbilder der italienische Frührenaissance, Leipzig, 1915/1923. 207 CAPITOLO 4 ARISTEO Non mi fuggir, donzella, ch’i’ ti son tanto amico e che più t’amo che la vita e ‘l core. Ascolta, o nympha bella, ascolta quel ch’i’ dico; non fuggir, nympha, chi ti porta amore. Non son qui lupo o orso, ma son tuo amatore: dunque rafrena il tuo volante corso. Poi che el pregar non vale e tu via ti dilegui, e’ convien ch’io ti segui. Porgimi, Amor, porgimi hor le tue ale! (Poliziano, Fabula di Orfeo, vv. 128-140) Queste parole sono quasi visibili sul pannello di Del Sellaio. In fondo a sinistra Orfeo riceve forse la triste notizia della morte di Euridice.641 Nella Fabula questa notizia gli è riferita da un pastore: PASTORE Crudel novella ti rapporto, Orpheo: che tuo nympha bellissima è defunta. Ella fuggiva l’amante Aristeo, ma quando fu sovra la riva giunta, da un serpente venenoso e reo ch’era fra l’herb’ e’ fior, nel piè fu punta: e fu tanto possente e crudo el morso ch’ad un tratto finì la vita e ‘l corso. (Poliziano, Fabula di Orfeo, vv. 141-148) Il pastore descrive appunto quello che Del Sellaio dipinge. Orfeo comincia poi a piangere e a suonare la lira (che sul pannello è diventata una viola/lira da braccio). Orfeo decide di scendere nell’Ade per convincere Morte a ridargli Euridice, dicendo che la sua musica aveva prima mosso anche le pietre, le selve e i fiumi, e tirato insieme ‘la cervia e ‘l tigre’ (v. 163). La nozione del potere conciliatore della musica di Orfeo è anche fondamentale nel secondo pannello di Del Sellaio (ill. 4.24).642 Sullo sfondo e sui lati destri e sinistri si 641 Ellen Callmann interpreta questa scena, però, in modo diverso: Aristeo affronta tre uomini, uno dei quali potrebbe essere Proteo (Callmann, op.cit., p. 156). 642 Non si può stabilire con certezza l’ordine dei pannelli. Se assumiamo che Del Sellaio si basò sul testo di Poliziano l’indicazione del pannello con Orfeo e gli animali come il secondo pannello sembra giustificabile. 208 FIGURA TEATRALE E AMANTE POPOLARE vedono degli animali combattenti e in particolare degli animali feroci che assalgono altri animali o centauri. Intorno a Orfeo invece, vari animali, sia domestici che feroci, stanno ascoltando la musica in pace. A destra in fondo si vede un tempietto, in cui un uomo (Orfeo o Aristeo) fa forse un sacrificio agli dei.643 4.24 Jacopo del Sellaio, Orfeo e gli animali, 1480-90 Il terzo pannello mostra una scena infernale: Orfeo suona la lira da braccio di fronte a Plutone, che è seduto su un trono nella roccia, mentre accanto a lui Euridice emerge dalla stessa roccia (ill. 4.25). Nella parte destra del pannello Orfeo (che evidentemente ha guardato indietro) cerca invano di tenere Euridice con sé, ma lei è tirata indietro da un centauro infernale. Manca sul dipinto la figura di Proserpina che nella Fabula polizianesca convince suo marito a lasciare Euridice. È stato aggiunto invece il centauro che tira indietro la ninfa. Nel testo di Poliziano Euridice dice: ‘Ben tendo a te le braccia, ma non vale, / ché indrieto son tirata. Orpheo mie, vale!’ (v. 249). Probabilmente è stato scelto un centauro, perché i centauri erano noti come rapitori di spose.644 4.25 Jacopo del Sellaio, Orfeo nell’Ade, 1480-90 643 Callmann, op.cit., p. 156. ‘vino pleni Centauri conati sunt rapere uxores Lapithis’ (Igino, Fabulae, XXXIII; citato da Semmelrath, op.cit., p. 77). 644 209 CAPITOLO 4 Ci si aspetterebbe forse un quarto pannello con la morte di Orfeo. Nella Fabula di Orfeo e in altre versioni letterarie del mito (come quelle di Virgilio e Ovidio), ma anche in altri cicli pittorici o cicli di placchette Orfeo viene ucciso alla fine dalle Baccanti. I quattro pannelli potrebbero aver formato due cassoni, che funzionavano come regali di nozze.645 Tuttavia, la presenza di un quarto pannello non può essere attestata con sicurezza. Infatti, i pannelli potrebbero anche essere delle spalliere che furono attaccate alle pareti della camera degli sposi. Secondo Ellen Callmann la morte di Orfeo non faceva parte della serie di spalliere, perché il motivo non era adatto a una festa di nozze.646 Secondo De Vries-Robbé i pannelli appartennero invece, a un paio di cassoni che furono dipinti per le nozze di Francesco Gonzaga e Isabella d’Este nel 1480.647 Questa ipotesi sarebbe confermata dalla presenza di un cane in primo piano nel pannello con Aristeo ed Euridice, che potrebbe alludere all’emblema dei Gonzaga, ma anche alla fedeltà in generale. Naturalmente i Gonzaga furono anche i committenti della Fabula di Orfeo. A mio parere il cane potrebbe essere un semplice attributo del pastore Aristeo, che deve guardare il gregge. Tuttavia, non è da escludere la commissione da parte dei Gonzaga. Rimane ancora ignota anche l’occasione in cui venne composta la Fabula di Orfeo, ma è stato suggerito da Picotti appunto il doppio sposalizio di Clara Gonzaga con Gilbert de Montpensier e di Francesco Gonzaga con Isabella d’Este.648 Anche se generalmente si accetta adesso una data più remota per la composizione della Fabula, è attraente l’idea che le due opere fossero fatte per la stessa occasione. Non sembra però probabile che Poliziano abbia dovuto scrivere la sua opera in qualche giorno (se crediamo alla sua affermazione), mentre Del Sellaio abbia avuto il tempo di dipingere due cassoni interi e che poi le due opere siano state offerte durante le nozze..649 Giuseppe Scavizzi afferma che l’interpretazione del mito da parte di Sellaio è originale e straordinaria: Orfeo è un vecchio filosofo orientale, che crea ordine nel mondo caotico. Le analogie con l’Adorazione dei Magi di Leonardo da Vinci suggerirebbero che Sellaio considerava Orfeo l’equivalente dell’ordine portato dalla religione cristiana.650 Scavizzi vede un contrasto tra la figura popolare di Prometeo, che aveva civilizzato gli 645 E.C. Kleeman & S.G. Willner, Italiaanse schilderijen / Italian paintings 1300-1500, Rotterdam, Eigen collectie Boymans-van Beuningen, [1993]. 646 Callmann, op.cit., pp. 156-157. Callmann si rifersice anche a un’altra serie di cassoni o spalliere, in cui manca la morte di Orfeo. Questa serie sarà discussa nel § 5.5. 647 Citato da: Kleeman & Willner, op.cit. 648 Picotti, op.cit., pp. 87-120 (menzionato da Tissoni Benvenuti, op.cit., p. 58). 649 Non è probabile un ordine inverso, in cui Poliziano si sarebbe basato sui cassoni di Del Sellaio. 650 Scavizzi, op.cit., p. 123-124. 210 FIGURA TEATRALE E AMANTE POPOLARE uomini, e Orfeo che si occupa piuttosto della natura.651 A mio avviso, il pannello di Sellaio deve, però, anche essere interpretato come un’allegoria della civilizzazione e della conciliazione degli uomini, un’interpretazione comune di Orfeo e degli animali nei testi (cfr. § 2.4 e 5.4). I tre pannelli insieme potrebbere avere lo stesso significato della Fabula di Poliziano, soprattutto per la predominanza del motivo dello sguardo indietro. Anche se la morte di Orfeo è omessa, il mito finisce ancora male con la seconda perdita di Euridice. Nei capitolo 6 e 7 vedremo che questo particolare venne spesso tralasciato nel contesto di un matrimonio. 4.5 CONCLUSIONE Per la prima volta nella letteratura italiana un’intera rappresentazione teatrale è dedicata a Orfeo. Poliziano si basa su fonti antiche e aggiunge elementi che erano presenti nell’antichità, ma che poi per la maggior parte erano scomparsi: la figura di Aristeo, l’omosessualità e la morte di Orfeo. Poliziano aggiunge ancora altri particolari completamente nuovi: la presenza di altri pastori amici di Aristeo e la canzone finale delle Baccanti. Poliziano presenta molti aspetti della figura mitologica polivalente: Orfeo come poeta e musicista, come amante, come misogino e omosessuale, che alla fine muore dalle mani delle Baccanti. Sul significato più profondo della Fabula e sulla funzione di Orfeo le opinioni divergono. Mentre una parte degli studiosi attribuisce all’opera soltanto un valore letterario-spettacolare, altri vi trovano alcuni significati diversi: l’opera simboleggerebbe il trionfo dell’umanesimo, dell’omosessualità, del neoplatonismo, o della fede coniugale; sarebbe stato scritto in occasione del carnevale e come racconto a chiave. A mio parere, l’interpretazione allegorica suggerita da Martelli, in cui Orfeo rappresenta l’uomo in cerca del sommo bene (Dio) che si volta ai piaceri terreni, è la più probabile nel contesto laurenziano da cui Poliziano proveniva. Tuttavia la forza di Poliziano risiede appunto nell’aver fatto convergere molti aspetti di Orfeo e di aver mostrato la sua versatilità. Orfeo non è più un poeta o un amante stereotipato, ma un personaggio che si sviluppa e che mostra le sue facce diverse. Il contrasto tra l’Orfeo polizianesco e quello ficiniano è rimarchevole. Anche se Poliziano conosceva naturalmente il poeta-teologo su cui Ficino basava la sua filosofia e con cui si identificava, l’autore montepulciano offre un’immagine completamente diversa di Orfeo. Non vede Orfeo come un uomo reale, ma come un personaggio della mitologia antica. 651 Secondo Scavizzi Sellaio aveva già raffigurato altri cicli letterari (Cupido e Psiche) su cassoni basandosi sulle Genealogie (Scavizzi, op.cit., p. 123). Forse dobbiamo dunque anche cetare il significato dei cassoni con Orfeo nelle Genealogie. 211 CAPITOLO 4 Nei drammi teatrali che si basano sulla Fabula di Orfeo il mito subisce delle trasformazioni formali che sono legate al cambiamento del genere letterario. Mentre la Fabula era una forma ibrida tra sacra rappresentazione ed egloga pastorale, l’Orphei tragoedia e la Favola di Orfeo e Aristeo si adattavano al genere della tragedia classica, che era soggetta a regole precise. All’inizio del Cinquecento gli scrittori si occupavano con grande interesse delle distinzioni tra i diversi generi letterari e formularono delle regole per poter scrivere precisamente nel genere scelto. Così, nelle due tragedie il mito di Orfeo è diviso in cinque atti, per riempire i quali sono stati aggiunti, soprattutto nella Favola di Orfeo e Aristeo, molti elementi da Virgilio e da Ovidio. Messaggeri descrivono la morte di Euridice, che era troppo orrenda per essere presentata sul palcoscenico, e nella Favola anche la morte di Orfeo è narrata dal messaggero Mirtillo. Inoltre, ogni atto della Favola finisce con un coro. Da questi cambiamenti e da queste aggiunte al mito non risultava però in un’immagine completamente diversa di Orfeo. Secondo Tissoni Benvenuti nell’Orphei tragoedia l’accento cade di più sulla storia d’amore, ma in fondo le tragedie presentano lo stesso Orfeo. L’unica differenza notevole risiede nella mancanza dell’omosessualità: Orfeo rimane sempre misogino, ma non è più omosessuale. Anche nella Favola manca l’omosessualità di Orfeo. Poi, l’autore fa più attenzione agli effetti della musica di Orfeo (discussione di Argastro e di Clitero). La mancanza dell’omosessualità dipende forse dal fatto che il pubblico nuovo dell’Orphei tragoedia e della Favola aveva delle idee diverse su questo argomento. Il cambiamento del pubblico si nota anche nell’uso diverso del latino: l’Orphei tragoedia fu probabilmente rappresentata per un pubblico colto, che capiva i titoli latini, i nomi dei personaggi e i canti di Orfeo. Inoltre, la sostituzione dell’ode al cardinal Gonzaga con alcuni versi claudiani su Ercole indica probabilmente che l’opera fu rappresentata per Ercole d’Este. Nella Favola di Orfeo e Aristeo manca il latino. Forse l’opera era destinata ad un pubblico meno colto, che nondimeno aveva un grande interesse per il mito antico, come mostrano le aggiunte sostanziali da Virgilio e Ovidio. Anche i cantari che trattano di Orfeo ed Euridice si basano sulla Fabula di Orfeo. Le divergenze rispetto all’opera di Poliziano sono causate soprattutto da variazioni nel metro e dalla trasformazione della rappresentazione teatrale in un racconto narrativo. Per l’ultima ragione i nuovi personaggi devono sempre essere introdotti e descritti al lettore. L’omosessualtità di Orfeo è qualche volta menzionata esplicitamente e qualche volta omessa a seconda delle concezioni morali dell’editore o dell’elaboratore del testo. Notevoli sono le aggiunte al testo che focalizzano con insistenza sull’amore e sul dolore di Orfeo. Questa attenzione per Orfeo amante doloroso è probabilmente influenzata dal genere dei cantari, che trattano spesso di amori infelici. I cantari erano destinati a un pubblico popolare, a cui questi tipi di argomenti erano evidentemente molto graditi. Con l’introduzione di Orfeo nei cantari, il mito classico che prima era stato adattato da Poliziano per un pubblico colto (che forse riconosceva i riferimenti ai testi classici e capiva 212 FIGURA TEATRALE E AMANTE POPOLARE i canti latini del protagonista) fu reso accessibile anche alla gente comune. In fondo nella descrizione del mito non si manifestarono che minime differenze tra la rappresentazione elitaria e le storie popolari, ma la funzione di Orfeo cambiò. Sparì l’interpretazione filosofico-religiosa dell’uomo in cerca di dio, per essere sostituita con una morale sull’amore: il mito mostra che l’uomo deve solo amare la donna. Quest’interpretazione rese il mito anche più adatto ad occasioni nuziali, come vedremo nei capitoli 6 e 7. Contemporaneamente alla stesura della Fabula di Poliziano il mito di Orfeo appare negli affreschi di Mantegna nel palazzo ducale mantovano, dove simboleggia probabilmente l’aspetto culturale del buon governo. Le analogie iconografiche tra la Fabula e alcuni pannelli di Del Sellaio sembrano attestare un rapporto causale tra la rappresentazione e i pannelli. L’opera di Del Sellaio colloca il mito di Orfeo forse nel contesto di una festa di nozze (dei Gonzaga?). Il mito di Orfeo continua a tornare nell’ambito gonzagesco nel Cinquecento e troverà il suo culmine nella rappresentazione dell’Orfeo di Monteverdi nel 1607. Gli esempi citati mostrano bene che l’occasione, il destinatario o il pubblico di un’opera e nel caso di affreschi il contesto iconografico sono decisivi per determinare la funzione di Orfeo. Nella Fabula di Poliziano predomina l’interpretazione negativa di Orfeo come l’uomo che si voltò ai piaceri terreni. Nel capitolo 6 vedremo, però, che Orfeo sarà anche interpretato in modo molto positivo nell’ opera dello stesso autore (Orfeo Argonauta-poeta eccellente). Questo doppio atteggiamento verso Orfeo l’abbiamo anche incontrato nelle opere di Dante, Petrarca e Boccaccio (cap. 2). Nell’Orphei tragoedia (forse) e nei cantari cambia la funzione di Orfeo: diventa l’amante tragico, che alla fine fu, però, condannato per aver trascurato le donne dopo la seconda morte di Euridice. Nelle arti visive l’opinione di Orfeo è probabilmente più positiva e la figura funziona come mezzo di propaganda del potere dei Gonzaga. Le varie vesti in cui Orfeo si presenta nei palazzi dei Gonzaga devono, però, ancora essere studiate insieme. 213 CAPITOLO 5. MITOGRAFO O FIGURA MITOLOGICA? Le opere mitografiche cinquecentesche (ca. 1475-1600) 5.0 LA DIVULGAZIONE DEL MITO ATTRAVERSO LA STAMPA Marsilio Ficino e Angelo Poliziano erano due studiosi fiorentini alla corte medicea con due visioni completamente diverse su Orfeo. Per Ficino Orfeo era un poeta teologo che faceva parte di un gruppo di prisci theologi, che trasmettevano delle sapienze antiche. Ficino citava continuamente le opere del poeta antico, come gli inni orfici e le Argonautiche orfiche. Poliziano focalizzava invece sul racconto amoroso di Orfeo ed Euridice con il suo esito infelice. Con la Fabula di Orfeo l’autore ravvivò i testi di Virgilio e di Ovidio e introdusse molti elementi nuovi nell’immagine stereotipata che aveva prevalso nella letteratura italiana fino a quel momento. Nel terzo capitolo ho discusso la presenza di Orfeo poeta teologo nelle opere di Ficino e di un gruppo di studiosi neoplatonici intorno a lui. Nello stesso capitolo ho anche anticipato la fortuna di questo nuovo Orfeo nel Cinquecento. Dappertutto emergono delle citazioni orfiche, non solo naturalmente in opere filosofiche (Bruno), ma anche in trattati di poetica in cui si vuole dimostrare l’antichità e il valore della poesia. Studiando gli altri riferimenti a Orfeo negli ultimi decenni del Quattrocento e nel Cinquecento, bisogna sempre tenere presente questa corrente di idee orfiche. Vedremo nel presente capitolo che l’influenza dell’orfismo ficiniano si manifesta anche in alcuni dei principali trattati mitologici. Nel quarto capitolo ho discusso le tragedie e i cantari che imitavano la Fabula di Poliziano. L’influenza della Fabula si estende, però, anche alle traduzioni cinquecentesche delle Metamorfosi (specie a quella di Agostini). Inoltre, l’influenza dell’opera di Poliziano si vede anche in altre opere letterarie e nelle arti figurative. Queste opere saranno, però, trattate nel capitolo 6, in cui continuerà la discussione sulla presenza di Orfeo nel Cinquecento. I trattati mitografici e le traduzioni delle Metamorfosi offrono delle visioni interessanti sulla mitologia. Secondo Jean Seznec durante il Medioevo la chiesa aveva sempre scoraggiato il ricordo degli dei antichi.652 Fin dall’inizio del Rinascimento questa censura rifiorì per mano di chierici come Enea Silvio Piccolomini e Girolamo Savonarola, ma senza successo. Nel Cinquecento la mitologia si affermò definitivamente nell’arte e nella letteratura. Neanche la Controriforma e il Concilio di Trento suscitarono un’opposizione maggiore alla mitologia. Infatti, per la scelta di argomenti pittorici gli artisti dipendevano da uomini letterati, come i chierici. Questi chierici erano stati istruiti 652 Seznec, op.cit., p. 263. 215 CAPITOLO 5 nella letteratura antica e stimolavano dunque piuttosto la scelta di argomenti mitologici, anche se la loro predilezione per la mitologia causava un conflitto interiore.653 Questo atteggiamento clericale spiega l’indulgenza della censura. Tuttavia, la rappresentazione di figure mitologiche da parte degli artisti fu considerata abusiva e pericolosa dal cardinale bolognese Gabriele Paleotto e da altri chierici.654 Gli artisti si difendevano, però, dicendo che la preservazione degli dei antichi non contevena nessun pericolo, perché ormai la superstizione era completamente sparita. Inoltre gli artisti non erano liberi di scegliere i loro soggetti dato che questi venivano stabiliti dai loro committenti. Inoltre, soltanto per mezzo della mitologia si poteva dimostrare l’erudizione necessaria in grandi cicli pittorici. L’ultimo argomento per convincere i censori fu la possibilità di interpretare i miti in maniera simbolica: gli dei potevano ispirare l’amore del bene e l’odio del male.655 Soprattutto nella seconda metà del Cinquecento, dopo il Concilio di Trento (1545-1563), si vede un aumento delle interpretazioni allegoriche (cf. § 5.2.2). Le traduzioni mostrano bene l’atmosfera tesa intorno al personaggio di Orfeo, che era percepibile sotto due aspetti: - gli autori cercarono di riconciliare il personaggio antico con i valori cristiani contemporanei. Per ottenere questo scopo si fa uso dell’allegoria.656 - gli autori cercarono di riconciliare l’immagine positiva e l’immagine negativa di Orfeo: ogni autore offre la propria interpretazione della figura. Queste tensioni si vedono in tutta la fortuna di Orfeo, ma si rafforzano ancora nel Cinquecento. Per via dell’invenzione della stampa alla fine del Quattrocento, i trattati mitologici e le traduzioni delle Metamorfosi furono all’improviso disponibili tra un grande pubblico. Questa maggiore familiarità con i miti antichi, e in particolare con quello di Orfeo, si manifesta nel molteplicarsi dei riferimenti letterari a Orfeo e soprattutto nell’apparizione diffusa di Orfeo nelle arti visive. Soprattutto le nuove rappresentazioni di Orfeo nell’arte mostrano spesso l’influenza delle edizioni delle Metamorfosi e in particolare delle xilografie in queste edizioni. 653 Seznec, op.cit., pp. 265-266. G. Paleotto, Discorso intorno alle immagini sacre e profane ... diviso in cinque libri ..., dove si scuoprono vari abusi loro, ‘Delle pitture di Giove, di Apolline, Mercurio, Giunone, Cerere, et altri falsi Dei’, Bologna, 1584; A. Possevino, Tractatus de poesi et pictura ethnica humana edt fabulosa, collecta cum vera, honesta et sacra, Roma, 1593; P. da Cortona e Ottonelli (Odomenigico Lelonotti e Britio Prenetteri), Trattato della pittura e scultura, uso, et abuso loro ... in cui si resolvono molti casi di coscienza intorno al fare e tenere l’immagini sacre e profane, Firenze, 1652. 655 Seznec, op.cit., p. 269. 656 Secondo Luba Freedman c’era sempre una tensione in opere d’arte tra l’ammirazione dell’immagine antica che esse suscitavano negli uomini rinascimentali e l’avversione per gli dei pagani (Freedman, op.cit.). 654 216 MITOGRAFO O FIGURA MITOLOGICA? 5.1 LA TRADIZIONE MITOGRAFICA: DA FIGURA MITOLOGICA A MITOGRAFO Fin dalla loro stesura intorno al 1350 le Genealogie deorum gentilium di Boccaccio furono il principale manuale mitografico in Italia. L’opera di Boccaccio fu stampata per la prima volta a Venezia nel 1472 e seguirono sei edizioni fino al 1500. Le Genealogie rimasero il manuale mitologico più consultato fino alla metà del Cinquecento, quando apparvero tre manuali nuovi di Giraldi, Conti e Cartari. Nel § 5.2.2 vedremo che le spiegazioni allegoriche di Boccaccio saranno ancora inserite in un’edizione di Anguillara del 1563. I manuali erano spesso consultati da artisti, che dovevano raffigurare scene bibliche e mitologiche. In De’ veri precetti della pittura (1587) Giovanni Battista Armenini enumera gli autori, che tutti gli artisti devono leggere: per la mitologia si tratta di Boccaccio, di Ovidio e di ‘Alberico, cioè del Cartaro’.657 Anche Giovanni Paolo Lomazzo si riferisce nel suo Trattato dell’arte della pittura (1584) a Cartari. Infatti, lo scopo principale delle opere d’arte non era il piacere estetico, ma l’idea dietro l’immagine. C’era un interesse particolare per i segni esteriori (attributi, vestiti), che erano visti come simboli di quest’idea. Secondo Jean Seznec tra i tre mitografi nuovi ci sono più similitudini che differenze.658 Giraldi influenzò gli altri due autori nella stesura dei loro trattati mitologici. Le tre opere elaborano lo stesso argomento, ma si sviluppano in direzioni diverse: Giraldi enumera soprattutto i nomi, gli epiteti e le etimologie, trascurando il contenuto dei miti. Conti invece interpreta i miti in modo più profondo, mentre Cartari è in primo luogo un iconografo che descrive le apparizioni degli dei. A parte queste differenze i tre mitografi si trovano, secondo Seznec, più o meno allo stesso livello. Nel trattare il mito di Orfeo ho tuttavia scoperto grandi differenze tra Conti e gli altri due autori. Conti dedica un capitolo separato al cantante mitologico, mentre nei libri di Giraldi e di Cartari Orfeo non viene menzionato separatamente. La differenza risiede in parte nel fatto che Conti scrive sulla mitologia in generale, mentre Giraldi e Cartari si limitano a descrivere gli dei antichi. Siccome Orfeo non è un dio antico (ma solo un semidio), non è descritto tra gli altri dei. Tuttavia, vedremo nel § 5.1.2 che Orfeo assume un ruolo diverso, ma anch’esso importante. 657 658 Seznec, op.cit., pp. 257-258. Seznec, op.cit., p. 233. 217 CAPITOLO 5 5.1.1 Le Mythologiae di Natale Conti Le Mythologiae, sive explicationum fabularum libri decem di Natale Conti (1520-?) furono stampate per la prima volta da Aldo Manuzio a Venezia nel 1551.659 Nei primi cinque capitoli del primo libro Conti spiega il suo scopo: studiare quello che si trova sotto i miti. Secondo Conti, i greci avevano imparato una filosofia venerabile in Egitto e l’avevano nascosta alla folla in favole, che nel corso del tempo furono stravolte da parte dei poeti in teologie assurde. L’interprete doveva poi fare una distinzione tra i miti assurdi e quelli che conducevano a una vita virtuosa.660 Gli dei sono divisi in nove gruppi, che si ricollegano a temi cristiani. Nel libro VII, capitolo 14 delle Mythologiae Conti descrive la figura mitologica di Orfeo. Conti comincia la sua descrizione di Orfeo con una discussione sull’identità dei genitori dell’eroe. Per dimostrare il potere del canto di Orfeo Conti cita dal primo libro delle Odi di Orazio e dal primo libro delle Argonautiche di Apollonio. Poi l’autore si riferisce al Suida per l’affermazione che molti erano gli Orfei: Et quamuis multi fuerunt Orphei, vt testatur Suidas, omnia tamen ceterorum facinora ad vetustissimum Thracem Oeagri filium referuntur, qui, vt ait Zez.hist.399.chil.12. fuit Herculis coetaneus; ac floruit annis centum ante bellum Troianum. (Conti, Mythologiae, liber VII, cap. XIV, p. 227 (ed. 1568))661 Anche Boccaccio aveva già affermato in un capitolo sulla poesia nelle Genealogie (libro XIV, cap. VIII) che c’erano più Orfei e Musei, come abbiamo visto nel § 2.5. Secondo Boccaccio l’Orfeo più antico era greco, mentre quello più recente, che inventò i riti di Bacco e delle Menadi, fu tracio. Per via dei suoi meriti quest’ultimo Orfeo fu identificato dai posteri con il primo. Secondo Conti invece, tutte le azioni degli altri Orfei sono attribuite a quello più antico, l’Orfeo tracio, figlio di Eagro, che visse contemporaneamente a Ercole. Orfeo fu il primo dei Greci a scrivere sull’astrologia (Luciano); introdusse i riti di Bacco nella Grecia ed instaurò i cosiddetti riti orfici in Beozia (Lattanzio); rivelò per primo le origini degli dei e la teologia, e i modi di placare gli dei irati; inventò molti rimedi contro malattie (Argonautiche orfiche).662 Segue un elenco di tutti gli argomenti di cui Orfeo ha scritto: della natura (la generazione degli elementi, la forza dell’amore), della mitologia (la gigantomachia, il ratto 659 Moltissime furono le edizioni dell’opera: Venezia (1551, 1568, 1581); Francoforte (1581, 1584, 1585, 1596); Parigi (1583, 1588, 1605); Ginevra (1596); Lione (1602); Hanau (1605); Padova (1616). Poi c’erano altre edizioni in lingua francese (Seznec, op.cit., p. 279). 660 Allen, Mysteriously Meant, cit., p. 226. 661 ‘E benché molti fossero gli Orfei, come attesta il Suida, tutti gli atti degli altri rimandano a quello vecchissimo Tracio, figlio di Eagro, che, come dice Zez.hist.399.chil.12, fu coetaneo di Ercole; e lui fiorì cento anni prima della guerra troiana.’ 662 Conti non fa, però, mai menzione di Boccaccio e neanche di Giraldi (Allen, Mysteriously Meant, cit., p. 225). 218 MITOGRAFO O FIGURA MITOLOGICA? di Proserpina, Cerere, Ercole, gli Dei), dei riti e della magia (i riti dei Coribanti, i lapilli, le risposte degli oracoli, i sacrifizi, l’arte dell’auspicio, l’interpretazione di sogni e prodigi, l’espiazione degli inferi, ecc.) e dell’astrologia. L’elenco deriva dalle Argonautiche di Orfeo stesso. Hic idem scripsit de elementorum inter se generatione mutua, de vi amoris in rebus naturalibus, de Gigantibus com Ioue pugnantibus, de raptu & luctu Proserpinae, de Cereris erroribus, de laboribus Herculis, de Idaeorum, & Corybantum sacrorum ritibus, de lapillis, de occultis oraculorum responsis, de Veneris & Mineruae sacrificiis, de luctu Aegyptiorum Osiridis causa, & de illorum lustrationibus; de vaticiniis, de obseruationibus auspiciorum, de situ fibrarum, de somniorum interpretatione, de signis ac prodigiis, deque illorum expiationibus, de expiatione inferorum, de ratione & motu astrorum, quo pacto Dii irati placari possint, de quibus omnibus se scripsisse restatur in initio suorum Argonauticorum. (Conti, Mythologiae, liber VII, cap. XIV, p. 227 (ed. 1568))663 L’invenzione dell’arte dell’auspicio (con animali diversi dagli uccelli) è anche menzionata da Boccaccio (libro V, cap. XIII, 15). Conti cita anche Pausania, secondo il quale Orfeo e Anfione furono visti come maghi egizi. Conti sembra mettere l’accento soprattutto su Orfeo poeta-teologo, che negli Inni e nelle Argonautiche rese conto della sua conoscenza degli dei e di vari costumi e riti religiosi. Orfeo è considerato un grande savio. Questa visione positiva non si lascia collegare facilmente al racconto amoroso di Orfeo ed Euridice. Conti mostra di non credere a questo racconto. Mentre le azioni del poeta-teologo erano descritte piuttosto come fatti o eventualmente come opinioni di certi autori, nella descrizione della storia d’amore Conti adopera più volte l’espressione ‘fama est’. Vedremo in seguito che per Conti tutte le favole mitologiche su Orfeo sono delle finzioni. Le fonti citate per il racconto su Orfeo ed Euridice sono le Metamorfosi e le Georgiche, ma è anche menzionata la descrizione degli inferi da parte di Orfeo stesso nelle sue Argonautiche. Per descrivere la morte di Orfeo e le sue cause Conti non si accontenta di riprodurre semplicemente gli eventi menzionati nell’undicesimo libro di Ovidio, ma offre 663 ‘Lui stesso scrisse della generazione reciproca degli elementi, della forza dell’amore nelle cose naturali, dei Giganti combattenti con Giove, del ratto e del lutto di Proserpina, delle peregrinazioni di Cerere, delle fatiche di Ercole, dei riti dei Greci e dei Coribanti sacri, dei lapilli, delle risposte occulte degli oracoli, dei sacrifizi di Venere e di Minerva, del lutto degli Egizi per via di Osiride e delle loro lustrazioni; dei vaticini, delle osservazioni degli auspici, della posizione delle viscere, dell’interpretazione dei sogni, dei segni e dei prodigi e delle loro espiazioni, dell’espiazione degli dei infernali, della ragione e del movimento delle stelle, con quale patto gli dei arrabbiati possono essere calmati, di tutto il quale lui dichiara di aver scritto all’inizio delle sue Argonautiche.’ 219 CAPITOLO 5 otto versioni diverse della fine del personaggio mitologico.664 Dopo aver descritto tutte queste opinioni antiche sulla figura mitologica di Orfeo, Conti dice di considerarle finzioni: Haec ea sunt, quae de Orpheo memoriae sunt prodita ab antiquis: nunc cur ficta sint explicemus. (Conti, Mythologiae, liber VII, cap. XIV, p. 228 (ed. 1568))665 Conti offre consecutivamente una spiegazione evemeristica, una spiegazione cosiddetta fisica e una allegorica della figura di Orfeo: Orpheus Apollinis & Calliopes filius fuisse dicitur vel Polymniae, quoniam vir fuit artis dicendi & metro praecipue praestantissimus: atque omnes viri boni Deorum filii dicti fuerunt; quod animae insignium virorum ex aliqua spherarum & e sole praecipue in haec corpora descendisse putarentur. Hic idem cum in rudes adhuc mortales incidisset, qui sine ullo morum delectu, & sine legibus viuerent; ferarumque ritu per agros nullis conditis tectis vagarentur, tantum dicendo, & orationis suauitate valuit, vt ad mansuetius vitae genus homines traduxerit, illos in vnum locum conuocarit, ciuitates condere docuerit, legibusque ciuitatum obtemperare, matrimoniorum foedera seruare; quod fuit antiquorum poetarum munus creditum, & est re ipsa, sicut ait Horat.in arte poet. (Conti, Mythologiae, liber VII, cap. XIV, p. 228 (ed. 1568))666 Orfeo fu un uomo storico, che con la sua eloquenza civilizzò gli uomini incolti. Questa spiegazione concorda bene con l’immagine positiva di Orfeo teologo. 664 Secondi alcuni autori Orfeo sarebbe stato ucciso, perché aveva dimenticato di cantare le laudi di Bacco nell’inferno; il dio ordinò dunque alle sue Baccanti di lacerare Orfeo. Secondo altri, invece, dopo la morte di Euridice Orfeo persuase gli altri uomini della malignità delle donne, per cui esse lo uccisero. La terza ragione della morte di Orfeo era la ‘turpissima causa’ raccontata da Ovidio. Pausania disse, invece, che le donne erano arrabbiate, perché Orfeo attirò con il canto molti uomini e li condusse con sé. Però, Apollodoro scrisse che Calliope doveva risolvere il conflitto di Venere e Proserpina, che si erano innamorati ambedue di Adone. Quando Calliope decise che le dee dovevano condividere Adone, Venere mandò delle donne ad uccidere il figlio della Musa, Orfeo. Poi Conti cita l’opinione dell’autore non molto noto Agatarchide, secondo il quale Orfeo si suicidò dopo essersi deluso, quando l’Euridice che apparve a lui durante un’evocazione degli spiriti non era reale. Secondo altri, invece, Orfeo fu colpito dal fulmine, perché aveva divulgato i segreti dei riti iniziatici tra gli uomini. Nell’ottava versione Orfeo si suicidò da tristezza dopo la morte di Euridice. 665 ‘Queste sono le cose che sono state trasmesse su Orfeo alla memoria da parte degli antichi: adesso spiegheremo perché esse sono finte.’ 666 ‘Si dice che Orfeo fu figlio di Apollo e di Calliope ossia di Polinnia, perché fu un uomo che era soprattutto eccellentissimo nell’eloquenza e nel metro: e tutti gli uomini buoni furono detti figli degli dei; perciò si pensa che le anime degli uomini insigni discendano da una delle sfere e dal sole soprattutto in questi corpi. Quando lui stesso incontrò degli uomini ancora incolti, che vivevano senza nessun costume e senza nesuna legge, e che alla maniera di bestie girovagavano senza case, lui fu tanto potente nel suo parlare e nella soavità della sua orazione, che spinse gli uomini a un modo di vivere più addomesticato, li convocò in un luogo, insegnò a formare delle civiltà, ad ubbidire alle leggi delle civiltà, a rispettare i legami coniugali; questo fu considerato il dono dei poeti antichi, e la cosa è come dice Orazio nell’Arte poetica.’ 220 MITOGRAFO O FIGURA MITOLOGICA? Abbiamo già visto che Conti descrive la figura di Orfeo non solo in base agli autori classici, ma anche in base alle parole di Orfeo stesso. Conti usa spesso le Argonautiche di Orfeo come fonte per informazioni autobiografiche. Inoltre, anche nelle descrizioni di altre figure mitologiche egli si riferisce ad altre opere di Orfeo, e soprattutto agli inni. Citiamo per fare un esempio un frammento dalla descrizione delle Muse: Musae, quae poetarum praesides, omniumque cantilenarum autores fuisse putabantur, Iouis & Mnemosynes filiae dictae sunt, veluti testatur Orpheus in hymno in Musas hoc pacto; Μνημοσυνής κὰι ζηνὸς ἐριγδύποιο θὺγατρες Μῦσαι πιερίδες μεγαλώνυμοι, ἀγλάοφανοι. Mnemosynesque Iouisque satas de semine canto Pieridas Musas, praeclarae numina famae. (Conti, Mythologiae, liber VII, cap. XV ‘De Musis’, p. 228)667 Nelle Mythologiae Orfeo non è dunque considerato un personaggio mitologico d’invenzione, ma un poeta antico, che scrisse degli inni autorevoli sugli dei antichi. Tuttavia, Orfeo è ancora presentato in un lemma esteso come altri personaggi mitologici. Da una parte Orfeo appartiene dunque ancora alla mitologia, mentre dall’altra parte è visto come un mitografo storico, cosa che noteremo anche nei trattati di Giraldi e Cartari. Questa spaccatura mostra le riserve degli scrittori italiani su come trattare la figura di Orfeo. Si tratta di un teologo venerabile o invece di un amante discutibile? Questo conflitto, che abbiamo già incontrato nelle opere di autori trecentechi come Petrarca e Boccaccio e quattrocenteschi come Poliziano, continuerà sia nei trattati mitografici che in altri testi del Cinquecento. 5.1.2 Orfeo mitografo nei trattati mitologici ed iconografici Qualche anno prima di Conti fu pubblicato il libro De deis gentium (1548) di Lilio Gregorio Giraldi.668 Nel primo sintagma del De deis gentium Giraldi dice che i pagani erano inclini a venerare le creazioni di Dio come il sole e la luna, a presumere che tutti gli dei erano stati degli uomini (Evemero), e a negare l’esistenza degli dei (Diagora). Poi Giraldi divide gli dei principali in tredici gruppi, basandosi sui loro poteri e sulle loro funzioni. Anche se Giraldi si vanta del suo approccio scientifico e dell’uso di fonti antiche, egli riproduce anche certe etimologie e allegorie più recenti.669 667 ‘Le Muse, di cui si pensa che presiedessero ai poeti e che fossero gli autori di tutte le cantilene, sono chiamate figlie di Giove e di Mnemosine, come attesta Orfeo nell’inno alle Muse in questo modo: “io canto le Muse pieridi, numi di fama eccellente, che sono state seminate dal seme di Mnemosine e di Giove.”’. 668 L.G. Giraldi, De deis gentium varia et multiplex historia in qua simul de eorum imaginibus et cognominibus agitur, etc., Basilea, Oporinus, 1548. 669 Allen, Mysteriously Meant, cit., p. 224. 221 CAPITOLO 5 Nel 1556 Vincenzo Cartari scrisse Le imagini degli dei degli antichi.670 Il trattato di Cartari non è un semplice manuale mitologico, ma piuttosto un manuale iconografico. Nella prefazione alla prima edizione si dice che prima di Cartari molti avevano scritto sugli dei antichi, ma che nessuno aveva descritto le loro statue e le loro rappresentazioni nell’arte. Questo libro non è solo destinato al lettore comune, ma soprattutto a scultori, pittori e poeti. Cartari si basa su Alciati, Giraldi, Alessandro di Napoli (Dies geniales, 1522), sui mitografi antichi, sugli esegeti cristiani e medievali e su Boccaccio. Anche Cartari intreccia le interpretazioni etimologiche, evemeristiche e allegoriche.671 In ambedue questi libri Orfeo non è più menzionato come figura mitologica, probabilmente perché i libri trattano degli dei antichi e Orfeo non è un dio. Non si trova in questi libri un lemma su Orfeo, ma Orfeo è menzionato e citato spesso come fonte sul carattere degli dei antichi. Orfeo è visto agli occhi di questi due autori come il poetateologo antico che venne introdotto in Italia molto elaboratamente da Marsilio Ficino (cap. 3). Già Ficino citò dalle opere letterarie di Orfeo, e soprattutto dagli Inni, per descrivere Amore e gli altri dei. Anche Giraldi e Cartari citano dei frammenti dalle opere orfiche, ma non nel contesto di un’opera filosofica e neoplatonica, bensí in un manuale mitologico. Orfeo si è trasformato da una semplice figura mitologica in un mitografo lui stesso.672 Nella Historia di Giraldi si trovano moltissimi riferimenti alle opere di Orfeo.673 Scelgo un esempio in modo casuale: Quidam et Ventos ipsos deos fecerunt, ut in primis ostendit Orpheus, qui hymnos eis adolet cum libano, id est thure, Boreae scilicet et Zephyro ac Noto. 670 V. Cartari, Le imagini colla sposizione degli dei degli antichi, Venezia, Marcolini, 1556. Le Imagini furono stampate in dodici edizioni italiane: Venezia (1556, 1566, 1571, 1580); Lione (1581); Padova (1603, 1608, 1615); Venezia (1624); Padova (1626); Venezia (1647, 1674). Poi c’erano altre edizioni in lingue diverse (Seznec, op.cit., p. 279). 671 Allen, Mysteriously Meant, cit., p. 232. 672 Gli scritti di Orfeo poeta-teologo furono anche adoperati come fonte d’ispirazione per le mascherate a Firenze, come risulta dal Discorso sopra la Mascherata della Genealogia degl’Iddei dei gentili (1565) di Baccio Baldini. La mascherata fu probabilmente organizzata per il matrimonio di Francesco I de’ Medici. Per la rappresentazione del Mese ci si è servito della descrizione del Mese negli Inni di Orfeo. Altre mascherate in cui ci si è servito degli Inni orfici sono: Carro primo di Demogorgone, p. 7; Decimo Carro di Minerva, p. 70. 673 Un elenco dei moltissimi riferimenti a Orfeo in Giraldi: Syntagma 1, pp. 7 (2x), 9, 12, 19, 21, 24, 34, 37, 40, 43, 46 (2x); Syntagma 2, pp. 1 (2x), 2 (3x), 3, 4 (3x), 6 (4x), 7, 12 (2x), 14, 16, 23, 29, 32; Syntagma 3, p. 12; Syntagma 4, pp. 2 (3x), 4 (2x), 5, 7, 9 (3x), 13, 15, 16; Syntagma 5, pp. 7, 8 (marini dei), 9, 10, 11, 12, 13 (2x), 15, 16, 19, 20, 22 (3x), 24 (2x), 25; Syntagma 6, pp. 3, 4, 12, 15, 16, 19; Syntagma 7, pp. 1, 3, 4, 6, 7, 8, 11, 12, 14, 16, 18, 22, 24, 25, 26, 29, 32, 33, 34, 35, 37, 38; Syntagma 8, pp. 2, 4, 6, 7, 9, 10, 11, 13, 14, 15, 16, 17, 18, 19, 20, 21, 22; Syntagma 9, pp. 3, 5, 7, 8, 9, 10, 13, 14, 15; Syntagma 10, pp. 5, 6, 8, 13, 15, 16; Syntagma 12, pp. 2, 3, 4, 5, 7, 9, 17, 18, 22; Syntagma 13, pp. 6, 17, 19, 21, 22, 24, 26, 27, 28; Syntagma 14, pp. 1, 5, 7, 9; Syntagma 15, pp. 2, 7, 12, 13, 17; Syntagma 16, pp. 1, 8; Syntagma ultimum, pp. 9, 12, 66 (ed. Basilea, 1548: www.oeaw.ac.at/kal/mythos/). 222 MITOGRAFO O FIGURA MITOLOGICA? (Giraldi, Historia de deis gentium, syntagma 5, p. 24)674 Anche Cartari cita qualche volta dagli inni orfici, per descrivere l’aspetto degli dei. Ecco un esempio dove si parla della figura di Giove. Cartari spiega l’essenza di Giove citando le parole di Orfeo poeta teologo: Diceva Orfeo Theologo dei Greci che Giove è primo et ultimo di tutte le cose, fu innanzi a tutti i tempi che unqua sono stati, e sarà dopo tutti quelli che verranno ; tiene la più alta parte del mondo, e tocca la più bassa anchora, et è tutto in tutti i luoghi. [...] Questa imagine di Giove fatta da Orfeo in forma dello universo mi tira a porre quella di Pan per la similitudine che hanno tra loro [...] (Cartari, Le imagini, p. XXVIIIv.) Siccome Giraldi e di Cartari non descrissero il personaggio di Orfeo stesso, i loro trattati non influenzarono direttamente la sua immagine nella letteratura e nell’arte cinquecentesche. Indirettamente influenzarono forse la sua fortuna, nel senso che Orfeo non fu più visto come un personaggio mitologico e dunque fu forse rappresentato meno frequentemente nelle arti figurative. Gli artisti che cercavano un argomento da dipingere e che dai trattati di Armenini e Lomazzo erano rimandati al trattato di Cartari, non trovarono dunque nessuna descrizione di Orfeo.675 Tuttavia, Lomazzo accenna anche due volte a Orfeo come tema pittorico. Una volta si riferisce a Orfeo per la decorazione di una sala, come ho citato nel § 4.4.1.676 Si tratterebbe di una ‘historia di gioia, e d’allegrezza’. In questo caso Lomazzo parla soltanto dell’‘eccellenza d’Orfeo nel sonare’ e trascura le connotazioni negative del mito. Un simile riferimento a Orfeo come esempio dell’eccellenza musicale si trova in una raccolta di stampe, che rappresentano le lettere dell’alfabeto con un’immagine di una figura mitologica per ogni lettera.677 La lettera O sta per Orfeo. Inoltre, Lomazzo vede Orfeo come un argomento adatto per la decorazione di strumenti musicali. Ne gl’altri instromenti musicali che non si usano ne i templi, senza cotanto riseruo si possono fare più licentiosamente tutte le sorti di pitture, come d’Anfione, d’Arione, di Zeto, di Saffo, d’Orfeo, di Mercurio, d’Apolline, & delle muse [...] (Lomazzo, Trattato dell’arte della pittura, lib. VI, cap. 25, pp. 347-348) 674 ‘Alcuni fecero anche i venti stessi degli dei, come mostra tra i primi Orfeo, che sacrifica degli inni a loro con ‘libano’, cioè con incenso, al Borea, al Zefiro e al Noto naturalmente.’ 675 Lomazzo, Trattato dell’arte della pittura, lib. VI, cap. 40, p. 380; lib. VII, cap. 2, p. 528 (Dio); cap. 7, p. 546 (Giove); cap. 9, p. 555 (Sole); cap. 10, p. 569 (Amore); cap. 29, p. 659 (estate) (ed. ATIR). Altri riferimenti a Orfeo teologo nell’opera di Lomazzo si trovano in: Della forma delle Muse, pp. 9; 28; 31; 39. 676 Lomazzo, Trattato dell’arte della pittura, lib. VI, cap. 25, p. 345. 677 Anonimo, Lettera O con Orfeo. Firenze, Biblioteca Nazionale Centrale. 223 CAPITOLO 5 Forse anche questa idea è stata ispirata da Ficino. Dall’Elegia di Naldo Naldi sappiamo che la sua lira fu dipinta con un’immagine di Orfeo (cf. § 3.2). Probabilmente era abitudine diffusa quella di dipingere gli strumenti con cantanti mitologici come Orfeo. La trasformazione principale che avviene nella figura di Orfeo nei trattati mitologici cinquecenteschi consiste dunque in una minore attenzione per il poeta-amante mitologico a favore del poeta-teologo storico, che diventa un vero mitografo antico. 5.2 I VOLGARIZZAMENTI DELLE METAMORFOSI Nel secondo capitolo abbiamo già accennato al ruolo centrale delle Metamorfosi ovidiane per la fortuna della mitologia. Le Metamorfosi erano considerate un compendio di miti ed erano spesso divulgate in forma di un testo in prosa. La gente non si interessava tanto al valore letterario dell’opera, quanto al contenuto dei miti. Spesso le Metamorfosi erano inserite in opere enciclopediche, come nel caso di Pierre Bersuire (fine sec. XIII-1362) che abbiamo discusso nel primo capitolo. Per scrittori e pittori la rassegna mitologica di Ovidio formava una fonte d’ispirazione. Se essi dovevano descrivere o rappresentare qualche argomento mitologico, si basavano spesso sull’informazione fornita da Ovidio. Nel 1471 le Metamorfosi furono stampate per la prima volta a Bologna. Nel 1500 erano state già stampate 34 edizioni, tredici delle quali contenevano il commento al testo di Raffaele Regio (prima edizione a Venezia nel 1492). Regio riproduce il testo di Ovidio e aggiunge in margine i suoi commenti in latino. L’autore comincia con il riassumere l’argomento del capitolo, un riassunto che deriva in parte da Lattanzio e in parte da lui stesso. Poi seguono chiarimenti sul significato di varie parole latine e sulla grammatica. Quello di Regio era il commento standard del Cinquecento.678 Questa edizione latina con l’ampio commento fu, però, usata piuttosto dagli umanisti, che volevano studiare in maniera dettagliata il testo ovidiano. Altri che volevano informarsi sulla mitologia consultavano piuttosto un volgarizzamento in italiano, che si poteva leggere facilmente e che talvolta era illustrato. Anche i pittori consultarono i volgarizzamenti illustrati per avere dei modelli mitologici. 678 B. Guthmüller, ‘Concezioni del mito antico intorno al 1500’, in: idem, Mito, poesia, arte. Saggi sulla tradizione ovidiana nel Rinascimento, Roma, Bulzoni, 1997, p. 38. Cf. anche B. Guthmüller, ‘Lateinische und Volkssprachliche Kommentare zu Ovids “Metamorphosen”’, in: Der Kommentar in der Renaissance, a.c.d. A. Buck & O. Herding, Boppard am Rhein, 1975, pp. 119-139. 224 MITOGRAFO O FIGURA MITOLOGICA? 5.2.1 Allegorie medievali ed influenze umanistiche Nei primi decenni del Cinquecento il volgarizzamento più letto era l’edizione di Bonsignori, stampata nel 1497, ma scritta già un secolo prima (1375-77). Nel secondo capitolo ho discusso questa ‘traduzione’, che era piuttosto una parafrasi allegorica del testo latino e che si basava in gran parte sulle Allegorie di Giovanni del Virgilio. Bonsignori non aveva l’intenzione di rendere i miti ovidiani accessibili al lettore, ma aggiungeva delle spiegazioni allegoriche per conciliarli con la fede cristiana. Così, nel caso di Orfeo, il contenuto del mito corrisponde in buona parte con il mito descritto da Ovidio. Un’aggiunta notevole è l’apparizione di Aristeo, che diventa la causa della morte di Euridice. Colpisce anche la presenza di Cerbero alla porta dell’Ade. Anche dopo, quando Orfeo cerca invano di entrare per la seconda volta nell’Ade, l’ingresso gli è vietato da Cerbero, invece che da Caronte.679 Il cambiamento maggiore rispetto al testo di Ovidio erano le spiegazioni allegoriche alla fine di ogni capitolo. La spiegazione allegorica è divisa nella spiegazione della ‘verità della istoria’ e della ‘moralità’. Bonsignori offre sia il significato evemeristico del mito, che il significato allegorico-morale. Orfeo simboleggia l’uomo savio che ha un ‘profundo e ragionevole giudizio’ (lui è sposato con Euridice). Nell’allegoria che segue all’undicesimo libro Orfeo è rappresentato come un filosofo che studia le stelle. Nella spiegazione morale Orfeo è visto come la buona fama che viene assalita dall’uomo invidioso (il serpente). L’ interpretazione bonsignoriana di Orfeo è molto positiva e non sarà condivisa da tutti i traduttori successivi. Il veneziano Nicolò degli Agostini pubblicò nel 1522 Tutti gli Libri de Ouidio Metamorphoseos tradutti dal litteral in uerso uulgar con le sue Allegorie in prosa. Questa nuova traduzione che seguì al successo dell’edizione di Bonsignori diventò la traduzione standard delle Metamorfosi nel secondo quarto del Cinquecento.680 Dal titolo sembra una traduzione letterale dal latino, ma l’autore si basa per la maggior parte su Bonsignori. La traduzione di Agostini è la prima traduzione integrale delle Metamorfosi in versi italiani (se prescindiamo dalla traduzione in versi di Spirito, che è stata conservata solo parzialmente). Dal titolo risulta subito che l’autore attribuiva ai miti ovidiani un significato allegorico. Nella prima edizione di Agostini non è, però, spiegato esplicitamente lo scopo del libro in un proemio. Nella seconda edizione il primo capitolo fu trasformato in una specie di proemio per sottolineare il carattere edificante dell’opera.681 Benché Ovidio fosse 679 Come si è detto prima queste aggiunte si basarono sui commenti e sulle traduzioni precedenti delle Metamorfosi (l’Ovide moralisé, Arnolfo d’Orléans, ecc.). 680 Guthmüller, Ovidio Metamorphoseos, cit., p. 191. Prima edizione: Niccolò Zoppino, Venezia (1522); seconda edizione: Niccolò Zoppino, Venezia (1533); terza edizione: Niccolò Zoppino, Venezia (1537); quarta edizione: Bernardino (di) Bindoni, Venezia (1538); quinta edizione: Federico Torresano, Venezia (1547); sesta e ultima edizione: Bernardino (di) Bindoni, Venezia (1548). 681 Guthmüller, Ovidio Metamorphoseos, cit., p. 206. Agostini, Di Ovidio le Metamorphosi (1533), cap. I. 225 CAPITOLO 5 un pagano, si afferma in questo proemio che egli fu ispirato direttamente da Dio. Questa ispirazione divina di Ovidio spiega i rapporti testuali tra le Metamorfosi e il Vecchio Testamento. Tutte le metamorfosi descritte da Ovidio sono dunque causate dagli uomini per aver spregiato Dio o per aver commesso dei peccati. Agostini alterna le sue traduzioni in versi con digressioni allegoriche, che sono prese direttamente da Bonsignori. Anche il contenuto dei versi stessi riprende in grandi linee il testo di Bonsignori. Il grande cambiamento di Agostini rispetto al testo di Bonsignori è la forma poetica dell’ottava rima. L’ottava rima era spesso adoperata da Agostini nei suoi romanzi cavallereschi. Dopo Agostini tutti i traduttori delle Metamorfosi adopereranno l’ottava rima (Dolce, Anguillara, Marretti), invece della terza rima, il metro usato da Spirito. Agostini avvicina la sua versione delle Metamorfosi ad un romanzo cavalleresco, oppure ad un cantare. Guthmüller mostra però che le Metamorfosi di Agostini non si avvicinavano ai cantari solo per quanto riguarda lo stile, ma anche per quanto riguarda il contenuto.682 Il traduttore elabora soprattutto i passi in cui si tratta di ‘arme ed amori’, come nei romanzi cavallereschi. I miti narrati più ampiamente sono quelli che erano già trattati nei cantari, come il mito di Orfeo ed Euridice. Anche i cantari erano scritti in ottava rima e formavano dunque un buon modello per Agostini. Guthmüller ha dimostrato che l’Ovidio Metamorphoseos di Agostini si basa da una parte sull’Ovidio Metamorphoseos vulgare di Bonsignori e d’altra parte sul cantare Historia de Orpheo.683 Inoltre, ci sono delle aggiunte dalla stessa Fabula di Orfeo di Poliziano. Un paragone più dettagliato dei testi, che mostra le varie influenze sul testo di Agostini, si trova nell’appendice a questo capitolo. Colpisce poi la presenza di Aristeo, assente dalle Metamorfosi di Ovidio, ma presente sia nel volgarizzamento di Bonsignori che nei cantari. La maniera in cui Aristeo parla a Euridice nella versione di Agostini non rimanda, però, al discorso di Aristeo nei cantari, ma alla sua canzone nella Fabula di Orfeo di Poliziano:684 Sequendola Aristeo diceua ascoltami Euridice gentil non mi fuggire il vago aspetto, e il dolce volto voltami ch io non ti seguo per farti morire tu la mia cara libertade hai toltami e non ti curi del mio gran martire del mio dolor, di miei sospiri ardenti che fanno per pieta firmar iuenti 682 Guthmüller, Ovidio Metamorphoseos, cit., pp. 212sgg. Guthmüller, Ovidio Metamorphoseos, cit., pp. 231-234. Guthmüller suppone che Agostini abbia consultato la Historia de Orpheo (88 ottave), che fu stampata nel 1495. Lui cita, però, dall’edizione della Historia et Favola d’Orpheo del 1567 (riprodotta in Lommatzsch, op.cit.). 684 Cfr. Guthmüller, Ovidio Metamorphoseos, cit., p. 233. 683 226 MITOGRAFO O FIGURA MITOLOGICA? (Agostini, Tutti gli Libri de Ouidio Metamorphoseos (1522), libro X, vv. 41-48) Sorprende anche la presenza di Caronte che era sparito nella versione di Bonsignori (e sostituito con Cerbero). Caronte non era presente nella Fabula di Poliziano, ma fu aggiunto nei cantari. Le parole con cui il cantastorie descrive Caronte sono molto simili alle parole usate da Agostini.685 Anche se Agostini aggiunge dei dettagli dal cantare e da Poliziano, egli scarta le aggiunte sostanziali, che deviano troppo dalle Metamorfosi. Secondo Guthmüller le aggiunte coloriscono un po’ il racconto e sembrano scelte piuttosto a caso.686 Nella descrizione del lamento di Orfeo Agostini trova per esempio un compromesso tra seguire il testo di Bonsignori e dunque scartare completamente il lamento di Orfeo da una parte e deviare troppo dal racconto originale dall’altra. La combinazione dell’opera umanistica di Poliziano con il cantare popolare e con le allegorie medievali di Bonsignori è sorprendente. Poliziano aveva scritto la Fabula per l’élite culturale di Mantova e Firenze ed era tornato alle fonti antiche. Come ho mostrato nel capitolo 4, dobbiamo probabilmente interpretare la sua rappresentazione come la ricerca del sommo bene da parte dell’uomo e la sua ricaduta nel vizio. Nei cantari questo messaggio simbolico era già stato cambiato nel consiglio all’uomo di amare soltanto le donne. Nella traduzione di Agostini l’interpretazione profonda di Poliziano e la moralità del cantare sono cancellati o assorbiti a favore dell’approccio medievale del mito. Agostini trascura dunque quasi le interpretazioni negative del mito e crea un insieme più positivo. 5.2.2 Traduzioni letterali Oltre alla rielaborazione allegorica di Bonsignori e alla sua fortuna nell’Ovidio Metamorphoseos di Agostini, ci furono anche altri che vollero tradurre le Metamorfosi direttamente dal latino, invece di basarsi sulla rielaborazione bonsignoriana. Queste traduzioni non furono sempre molto fedeli al latino: la traduzione di Anguillara, per esempio, è relativamente libera. Anche se non vi furono inserite delle allegorie esplicite (come nel caso di Bonsignori e di Agostini), i miti andavano interpretati nondimeno in modo allegorico. Quasi tutte le dediche esprimono l’intenzione di presentare una verità cristiana sotto la superficie dei miti. Nella seconda metà del Quattrocento Lorenzo Spirito Gualtieri da Perugia (ca. 1422/25-1496) fece una traduzione delle Metamorfosi in terza rima.687 Guthmüller sostiene che Spirito tradusse probabilmente soltanto gli ultimi cinque libri delle Metamorfosi, 685 Anonimo, La historia et favola d’Orpheo, XXXVIII-XLII. Cfr. Guthmüller (1981), op.cit., p. 233. Guthmüller, Ovidio Metamorphoseos, cit., p. 234. 687 Benché la traduzione di Spirito sia del Quattrocento, ho ritenuto necessario discuterla solo in questo capitolo tra le edizioni stampate delle Metamorfosi, per motivi di struttura. 686 227 CAPITOLO 5 perché la prima edizione del 1519 e l’autografo contengono solo i libri XI-XV.688 A me sembra tuttavia inverosimile che un’autore cominci a tradurre la fine del libro proprio nel mezzo del mito di Orfeo, che copre due libri. Probabilmente la prima parte del manoscritto è andata perduta, per cui non poté essere nemmeno stampata. Il libro di Spirito comincia con la descrizione della morte di Orfeo. Come Lattanzio e Del Virgilio, Spirito pone l´accento sulle varie metamorfosi che si susseguono nel testo ovidiano. Così il primo capitolo, in cui si trova l’uccisione di Orfeo da parte delle donne, è intitolato ‘Como il serpente fu conuerso in saxo’. Spirito segue fedelmente le parole di Ovidio, ma ha bisogno di molti piú versi per descrivere la morte di Orfeo. La sua maniera di descrivere il mito è più elaborata e spesso il traduttore aggiunge delle spiegazioni o dei versi interi. Le sue aggiunte al testo non cambiano in essenza il mito ovidiano. Anche se Spirito non offre al lettore delle spiegazioni allegoriche esplicite per chiarire l’intenzione del testo, c’è sempre un significato morale nascosto. Dalla dedica a Madonna Giulia Bagliona da parte del suo cartolaio Gerolamo risulta che essa ha ordinato l’edizione del testo di Spirito, perché a lei piaceva la morale trasmessa con le favole mitologiche.689 Il significato allegorico-morale nascosto nel mito di Orfeo era forse noto dall’edizione del commento di Bonsignori o dalle Genealogie di Boccaccio. Anche le Trasformationi (1553) di Ludovico Dolce erano una traduzione fedele dal latino senza aggiunte allegoriche. Tuttavia, nella dedica Dolce spiega la maniera in cui si devono leggere i miti ossia le ‘favole’.690 Sotto la superficie (scorza) delle finzioni piacevoli si trova il ‘sugo’ della filosofia. Tutti i miti contengono una lezione morale per gli uomini. Gli uomini che si trasformano in animali simboleggiano gli uomini che si lasciano deviare dalla strada della ragione per seguire i loro sensi. Gli uomini che diventano degli dei rappresentano invece gli uomini buoni, che seguono la strada della virtù. La traduzione del mito di Orfeo da parte di Dolce non dipende da quella precedente di Agostini né da quella molto usata di Bonsignori, ma sembra basarsi su una versione più originale delle Metamorfosi. Le analogie tra il testo di Dolce e il testo di Ovidio stesso risaltano subito dalla prima ottava. Benché Dolce abbia bisogno di più parole per descrivere le stesse cose, le differenze tra i due testi sono piccolissime. Spariscono Aristeo e Cerbero, che non erano presenti nelle Metamorfosi di Ovidio, il che mostra l’indipendenza del testo di Dolce dalla traduzione di Bonsignori e i suoi successori. Dolce è molto negativo su Orfeo: l’autore aggiunge l’idea che Orfeo trascurò il divieto di Plutone di guardare indietro (canto XX, p. 210). Così Orfeo fu più colpevole della 688 Guthmüller, Ovidio Metamorphoseos, cit., p. 146. L’autografo anonimo si trova a Napoli, Bibl. Naz., cod. XIII F 35. L’unica edizione stampata si trova a Firenze, Bibl. Naz., 22.B.8.71. Per la discussione del testo faccio uso di questa edizione stampata. 689 Spirito, Metamorfosi, Dedica. 690 Dolce, Le Trasformationi, Dedica. 228 MITOGRAFO O FIGURA MITOLOGICA? seconda morte di Euridice. La colpa di Orfeo viene sottolineata dall’ omissione dei versi in cui Ovidio diceva che Euridice non poteva lamentarsi di un marito che l’aveva amata troppo. Inoltre, Dolce riprende da Ovidio l’invenzione dell’omosessualità da parte di Orfeo, non descrivendola con parole neutrali o perfino positive, come Ovidio, ma condannando invece esplicitamente questa pratica: E sí la doglia li sottragge e fura Il costume, c’hauea casto e gentile, Ch’indusse in Thracia (e n’hebbe aspra uentura) L’iniqua usanza, scelerata, e uile, D’amar contra le leggi di Natura I giouenetti ad uso feminile, Cogliendo il primo fior, tenero, e lieue Di quella uaga Primauera breua. (Dolce, Le Trasformationi, Canto XX, p. 210) La prima parte dell’undicesimo capitolo di Ovidio, in cui viene descritta a lungo l’uccisione di Orfeo è stata cancellata da Dolce e sostituita con una riflessione sulla natura della donna. Secondo Dolce le donne diventano crudeli quando sono disprezzate dall’uomo. L’uomo che biasima e odia la donna, dalla quale deriva ogni cosa bella, merita la pena più grave. Le tre ottave (di cui ne citerò una) formano un’ode alla donna. Chi non ama la donna deve essere insensibile. Un tale uomo merita una fine ancora più crudele della fine di Orfeo. Ma dirò sol, che chi con ogni ingegno, Con ogni industria sua non s’affatica Di farsi de l’amore amando degno Di bella Donna e di uirtute amica, E ueramente pietra, o piombo, o legno, O l’alma ha di natura empia nemica; E merta fin uia piu crudele e reo, Che non auenne al niquitoso Orfeo. (ed. 1561: nequitoso) (Dolce, Le Trasformationi, Canto XXII, p. 227) Il giudizio di Dolce su Orfeo è dunque molto negativo. La crudeltà delle Baccanti e i dettagli dell’uccisione sono stati completamente cancellati e sostituiti con l’affermazione che Orfeo è stato ucciso giustamente, perché non stimava sufficientemente le donne. Giovanni Andrea dell’Anguillara è molto più positivo. La sua traduzione, che da un punto di vista letterario è molto migliore di quella di Dolce, fu stampata nel 1561 ed ebbe 229 CAPITOLO 5 un grande successo negli ultimi decenni del Cinquecento.691 Anguillara non spiega lo scopo della sua traduzione in un proemio e in prima istanza il libro fu anche stampato senza chiarimenti allegorici. La traduzione di Anguillara segue in grandi linee il testo di Ovidio, ma è anche abbastanza libera e contiene alcune aggiunte (cf. Appendice). In questa traduzione Orfeo non è presentato semplicemente come una persona smemorata (come nel caso di Dolce), ma come un uomo molto premuroso nei confronti della moglie. Orfeo la guarda, perché aveva difficoltà a camminare per via della ferita al piede (Anguillara ha dunque spostato il dettaglio ovidiano). Anguillara segue fedelmente le parole di Ovidio fino al momento in cui giunge alla descrizione dell’omosessualità. Il disprezzo delle donne è elaborato da Anguillara in una lunga digressione, di cui cito un’ottava: E così à la moglier la fè mantenne, Che d’altra donna mai poi non fè stima. E dal bel pueril quel raggio ottenne, Che potea alzarlo à l’alta cagion prima. Onde fece dapoi batter le penne À la sonora sua felice rima In lode di quel bel, che stà raccolto Ne l’huom mentre ha anchor molle, e dubbio il uolto. (Anguillara, Le metamorfosi d’Ovidio, libro X, p. 163r.) Orfeo si ribella contro le donne per mantenere la sua promessa alla moglie. Dolce spiega che l’amore per una bella donna è un modo di innalzare l’anima alla bellezza eterna e di godere ‘la prima cagion’ (Dio) con l’anima. Orfeo non intende, però, innalzarsi alla somma bellezza per mezzo delle donne, ma per mezzo dell’amore per i giovani. Infatti, nella ‘verde etate’ dei giovani risplende, secondo Dolce, il raggio della bellezza che può elevare l’anima alla prima bellezza. Così Orfeo poteva sia ottenere la sua promessa, che alzarsi alla ‘cagion prima’. Le differenze tra le traduzioni di Dolce e Anguillara dimostrano che i traduttori non sapevano come giudicare Orfeo. Da una parte Orfeo era il musicista mitologico famoso, che aveva sofferto per un amore tragico. Dall’altra parte aveva guardato indietro ad Euridice, il che poteva essere interpretato allegoricamente come un ritorno ai piaceri terreni, e aveva introdotto l’omosessualità in Tracia. Per questa ragione le interpretazioni di Orfeo nelle traduzioni delle Metamorfosi oscillano tra lode e condanna. 691 B. Guthmüller, ‘Immagine e testo nelle Trasformationi di Lodovico Dolce’, in: Mito, poesia, arte. Saggi sulla tradizione ovidiana nel Rinascimento, Roma, Bulzoni, 1997. 230 MITOGRAFO O FIGURA MITOLOGICA? 5.2.3 Controriforma e allegoria Dopo il Concilio di Trento (1545-1563) furono aggiunte delle allegorie alle traduzioni di Dolce e di Anguillara per facilitare la riconciliazione dei miti con il cristianesimo e per diminuire la distanza, che era diventata sempre più grande. In linea di principio la Chiesa, dopo il Concilio Tridentino aveva condannato e proibito le versioni moralizzanti delle Metamorfosi. Sull’indice dei libri proibiti si scrive: ‘In Ovidii metamorphoseos libros commentaria sive enarrationes allegoricae vel tropologicae.’692 Questo divieto riguardava probabilmente soprattutto le spiegazioni di racconti pagani per mezzo di allegorie cristiane. I censori non permettevano che precetti religiosi venissero travestiti da racconti erotici. La necessità di riconciliare i racconti pagani con lo spirito cristiano, il divario tra i quali era stato dimostrato dalla Controriforma, era, però, diventata sempre più urgente. Per questa ragione i miti non erano spiegati in modi esplicitamente cristiani, ma morali.693 Nell’edizione di Dolce del 1561 si trova soltanto una sola allegoria su Orfeo, alla fine del ventesimo canto:694 Per Orfeo, che racquista Euridice, la perde per uoltarsi a dietro, si dinota lo stato dell’anima, laquale è perduta dall’huomo, qual volta egli lasciando la ragione, si uolge a dietro: cioè a seguir le cose biasimeuoli e terrene. (Dolce, Le Trasformationi (1561), Canto XX, p. 218, Allegoria) Questa interpretazione allegorica della figura di Orfeo non è presa direttamente da Bonsignori, ma ribadisce l’atteggiamento negativo di Dolce nei confronti di Orfeo. Anche nelle edizioni di Anguillara a partire del 1563, l’anno in cui si conclude il Concilio Tridentino, furono aggiunte delle annotazioni per spiegare il significato morale dei miti. In questo caso le allegorie non sono inventate dall’autore stesso, ma da Gioseppe Horologgi. Secondo la spiegazione allegorica di Horologgi Orfeo rappresenta l’eloquenza e la sapienza. La sua lira simboleggia ‘l’arte del favellare propriamente’ che muove gli affetti. Orfeo è anche chiamato ‘uomo giudizioso’: La fauola di Orfeo ci mostra, quanta forza, e vigore habbia l’eloquenza, come quella, che è figliuola d’Apollo, che non è altro, che la Sapienza. La lira datagli da Mercurio, è l’arte del fauellare propriamente, laquale a simiglianza della lira va mouendo gli affetti co’l suono, hora acuto, hora graue, della voce, & della pronuncia, di maniera, che le selue, e i boschi si 692 H. Reusch, Die indices librorum prohibitorum des sechzehnten Jahrhunderts, Tübingen, 1886, p. 275 (citato da: Seznec, op.cit., p. 275). Le opere di Ovidio senza moralizzazioni non si trovavano sull’indice. 693 Ringrazio Elizabeth McGrath per il suggerimento che il divieto della chiesa si estendeva soltanto alle moralizzazioni cristiane, invece che a ogni tipo di moralizzazione (suggerimento fatto durante la conferenza The Legacy of Antiquity, St. Andrews, 30 marzo-1 aprile 2006). Cf. anche Bull, op.cit., p. 18. 694 Dolce non descrive il mito di Orfeo nei libri X e XI, ma nei capitoli XX e XXI, perché ha diviso le sue Metamorfosi in più capitoli minori. 231 CAPITOLO 5 muouono per il piacere, che pigliano d’vdire la ben’ordinata, e pura fauella dell’huomo giudicioso. (Horologgi, in: Anguillara, Le metamorfosi d’Ovidio (ed. 1563)) La natura che ascolta il canto di Orfeo rappresenta vari tipi di uomini che si lasciano influenzare dall’eloquenza e dalla sapienza dell’uomo giudizioso. Questa interpretazione allegorica del mito non si basa sulle allegorie di Bonsignori, ma quasi letteralmente sulla spiegazione allegorica di Boccaccio nelle Genealogie (V, 12, 5-9). Anche nelle annotazioni all’undicesimo libro di Anguillara Horologgi segue fedelmente l’opinione di Boccaccio. Riprende la spiegazione notevole della morte di Orfeo come punizione per aver rivelato agli uomini la menstruazione. Le aggiunte allegoriche del 1563 si basano dunque su un testo che risale circa al 1350 e che a sua volta rassomiglia moltissimo alla versione di Guglielmo di Conches del secolo XII. I lettori seicenteschi della traduzione di Anguillara sono dunque incoraggiati a interpretare il mito ovidiano nella maniera del dodicesimo secolo. Anche le postille di Francesco Turchi, che sono inserite a partire dell’edizione del 1572, si basano su una versione del dodicesimo secolo: le Allegorie super Ovidii Metamorphosin (ca. 1125) di Arnolfo d’Orléans. Di nuovo dunque una traduzione cinquecentesca è collocata nel contesto di un’interpretazione medievale. Le traduzioni delle Metamorfosi non dimostrano dunque né un’immagine costante né uno sviluppo in una direzione determinata. C’è sempre un conflitto tra l’amore per l’antichità e l’avversione per il paganesimo. Da una parte gli autori vogliono nelle loro traduzioni avvicinarsi il più possibile alle fonti antiche, ma dall’altra parte essi interpretano i testi antichi in modo allegorico.695 Inoltre, c’è sempre un conflitto tra l’immagine positiva di Orfeo e quella negativa, che dipende dalle preferenze dell’autore e dalla scelta del commento allegorico (che si basa sempre su commenti precedenti al mito di Orfeo). 5.2.4 Dal testo all’immagine: le xilografie Studiando le xilografie nelle edizioni stampate delle Metamorfosi non si trovano forti legami tra il testo e le immagini. Il mito di Orfeo nell’edizione di Bonsignori del 1497 fu illustrato con tre xilografie.696 Nella prima immagine si vedono tre momenti diversi del mito: le nozze di Orfeo ed Euridice, la morte di Euridice e Orfeo che suona per Caronte. (ill. 5.1) 695 Un’altra traduzione letterale è Le metamorphosi d’Ovidio in ottava rima col testo latino appresso, nuovamente tradotte da M. Fabio Marretti gentilhuomo senese, senza punto allontanarsi dal detto poeta (1570), che Marretti fece in reazione alle traduzioni precedenti (soprattutto Anguillara), che secondo lui erano troppo libere. (cfr. Guthmüller, Ovidio Metamorphoseos, cit., p. 260). Inoltre c’era una rielaborazione delle Metamorfosi in una serie di illustrazioni da parte di Bernardo Salomone (con epigrammi di Gabriello Symeoni). 696 Bonsignori, Ovidio metamorphoseos vulgare, Venezia, Giovanni (Zoane) Rosso, 1497, pp. LXXXIIIv; LXXXVr; LXXXXIv. In tutto il libro conteneva 53 xilografie. 232 MITOGRAFO O FIGURA MITOLOGICA? 5.1 Anonimo, Le nozze di Orfeo ed Euridice, in Bonsignori, Ovidio Metamorphoseos vulgare, 1497 Si notano subito due divergenze rispetto alla versione bonsignoriana: la presenza delle amiche di Euridice al posto di Aristeo, e la presenza di Caronte invece di Cerbero. Questi personaggi si trovavano nel testo di Ovidio. L’artista si è probabilmente basato in parte sulle illustrazioni di un manoscritto come quello dell’Ovidius moralizatus, in cui si vedono quasi le stesse scene.697 Non posso dunque trovarmi d’accordo con Gerlinde HuberRebenich sulla sua ipotesi che le xilografie si basassero sul testo di Bonsignori.698 La seconda xilografia rappresenta Orfeo che suona per gli animali e gli alberi. (ill. 5.2) Bonsignori non fa menzione degli animali e anche Ovidio stesso descrive la riunione degli animali in due soli versi (libro X, vv. 143-144). La raffigurazione di Orfeo e degli animali era, però, diventata un motivo comune nell’arte italiana, sia nei manoscritti (Simintendi, Ovidio maggiore), che nelle opere d’arte a sé stanti (Della Robbia, Mantegna). 697 Anonimo, Le nozze di Orfeo ed Euridice, la morte di Euridice, Orfeo nell’Ade, in: Ovidius moralizatus, manoscritto fiammingo, sec. XV. Paris, Bibliothèque Nationale, Richelieu MS. Français 137, fol. 132v. Notevolmente in questa illustrazione Euridice è inseguita da Aristeo, contrariamente alla xilografia. Manca anche Caronte. L’artista delle xilografie si basò forse anche su un testo latino. 698 G. Huber-Rebenich, ‘Die Holzschnitte zum Ovidio Metamorphoseos vulgare in ihrem Textbezug’, in: Die Rezeption der Metamorphosen des Ovid in der Neuzeit: der antike Mythos in Text und Bild, a.c.d. H. Walter & H.-J. Horn, Berlin, Gebr. Mann Verlag, 1995, pp. 48-57. 233 CAPITOLO 5 5.2 Anonimo, Orfeo e gli animali, in Bonsignori, Ovidio Metamorphoseos vulgare, 1497 La preponderanza di questa motivo fu probabilmente rafforzata dal trattato mitologico ed iconografico De deorum imaginibus libellus (sec. XIV), in cui si consigliava agli artisti di rappresentare Orfeo con una cetra, mentre suonava per gli animali, gli uccelli, i monti e gli alberi (cfr. § 1.5.3). 5.3 Anonimo, La morte di Orfeo, in Bonsignori, Ovidio Metamorphoseos vulgare, 1497 All’inizio dell’undicesimo libro si trova una xilografia in cui Orfeo viene ucciso dalle donne, che lo assalgono con bastoni. (ill. 5.3) Benché la descrizione della morte di Orfeo occupi gran parte della descrizione del mito da parte di Bonsignori (e di Ovidio stesso), l’artista si basò probabilmente su una rappresentazione della stessa scena da parte di 234 MITOGRAFO O FIGURA MITOLOGICA? Mantegna o dei suoi successori.699 Mantegna, che aveva dipinto la morte di Orfeo nella Camera degli Sposi, ne aveva fatto probabilmente anche un disegno o un’incisione. Il motivo della morte di Orfeo l’aveva potuto studiare sui vasi greci. Mantegna fu il primo a far rivivere questo motivo nell’arte italiana. Il suo disegno, che sfortunatamente è andato perduto, influenzò molti altri artisti. Si conoscono un disegno anonimo nel cosiddetto libro di abbozzi di Mantegna (fine sec. XV) e un’incisione di un anonimo ferrarese del 1470-80, che si rifà direttamente all’opera perduta di Mantegna (ill. 5.4-5.5).700 Il disegno di Mantegna oppure le xilografie stesse influenzarono anche un disegno di Giulio Romano, che rappresenta la morte di Orfeo.701 5.4 Libro di abozzi di Mantegna? / 5.5 Anonimo ferrarese, La morte di Orfeo, 1470-80 699 Cfr. Ziegler, op.cit., p. #. La morte di Orfeo è anche rappresentata nel manoscritto fiammingo: Anonimo, La morte di Orfeo, la testa di Orfeo nell’Ebro, in: Ovidius moralizatus, manoscritto fiammingo, sec. XV. Paris, Bibliothèque Nationale, Richelieu MS. Français 137, fol. 147. Tuttavia, in questa illustrazione Orfeo è ucciso con pietre. Nei disegni di Mantegna e altri Orfeo è ucciso con bastoni, come nella xilografia. 700 Anonimo, La morte di Orfeo, disegno nel cosiddetto libro di abbozzi di Mantegna. London, British Museum; Anonimo ferrarese/italiano del Nord, La morte di Orfeo, incisione, 1470-80. Hamburg, Kunsthalle, Graphische Sammlung. Lo stesso motivo fu ripreso in un disegno famoso di Albrecht Dürer: La morte di Orfeo, Hamburg, Kunsthalle. Inoltre, il figlio di Mantegna dipinse il mito di Orfeo basandosi sugli abbozzi di suo padre: Francesco Mantegna, Orfeo, affreschi, 1494. Marmirolo, Palazzo di Marmirolo (cfr. La lettera del 10 maggio 1494, in: P. Kristeller, A. Mantegna, ed. inglese, 1901, p. 488, n. 57 (citato da Tietze-Conrat, op.cit., p. 42)). 701 Romano, La morte di Orfeo, disegno. Paris, Musée du Louvre, Cabinet des Dessins, 3494. 235 CAPITOLO 5 Gli editori quattro e cinquecenteschi si servivano spesso di xilografie disponibili da edizioni precedenti (anche di altri testi, cf. § 4.1.2). Il riciclaggio delle xilografie si vede anche nella fortuna delle xilografie della stessa edizione del 1497: esse sono riprodotte nelle stampe successive.702 Che le illustrazioni dell’edizione del 1497 formassero una fonte d’ispirazione anche per altre edizioni delle Metamorfosi risulta chiaramente dall’edizione latina con il commento di Raffaele Regio. Le prime edizioni del commento di Regio non contenevano illustrazioni. A partire dal 1505 furono, però, inserite copie o imitazioni delle xilografie dall’edizione del 1497 di Bonsignori.703 Nel 1513 il testo fu ornato con nuove xilografie, che in essenza rappresentano nuove varianti delle stesse scene.704 Tutti i testi, sia quelli latini che i volgarizzamenti popolari, ricorrono alle stesse immagini, che derivavano da fonti classiche e medievali. Nello stesso modo le nuove interpretazioni e traduzioni del testo stesso continuano a dipendere dai commenti allegorici medievali. Secondo Anton Boschloo la fortuna delle xilografie del 1497 mostra bene che non esisteva una spaccatura tra la cultura popolare e quella elitaria tra la fine del Quattrocento e l’inizio del Cinquecento, come si è più volte affermato.705 All’inizio c’erano delle edizioni latine per quelli che leggevano il latino senza illustrazioni, e delle edizioni in volgare con xilografie. Tuttavia, a partire del 1505 anche le edizioni latine vennero ornate con le xilografie che originariamente erano destinate a un pubblico più ampio. Le stesse immagini potevano essere adoperate sia per edizioni lussuose che per edizioni economiche ed erano dunque disponibili per un pubblico molto vario.706 702 L’opera di Bonsignori fu ristampata sei volte (fino al 1522/23). La seconda e la terza edizione riproducono esattamente le stesse xilografie della prima edizione. La sesta edizione che fu stampata a Milano nel 1520 da Rocho e Fratello da Valle contiene delle copie poco diverse delle illustrazioni del 1497. Nella prima xilografia che rappresenta le nozze di Orfeo ed Euridice è sparito il serpente che morde Euridice. Notevolmente non è stata copiata l’immagine di Orfeo che suona per gli animali. Un elenco dell’uso delle xilografie del 1497 si trova in: M.D. Henkel, ‘Illustrierte Ausgaben von Ovids Metamorphosen im XV., XVI. und XVII. Jahrhundert’, Vorträge der Bibliothek Warburg, 1926-27 (Leipzig-Berlin, 1930), pp. 58-144. 703 Le xilografie nell’edizione di 1509 non sono delle copie precise della prima edizione, ma sono delle imitazioni libere. In primo luogo risalta il fatto che le imitazioni sono l’immagine speculare delle xilografie originali. Tra gli animali che ascoltano il canto di Orfeo risalta la presenza di un liocorno. La combinazione di un liocorno e un leone mostra la forza civilizzatrice del canto di Orfeo (C.M. Kauffmann, ‘Orpheus: the Lion and the Unicorn’, Apollo: a journal of the arts 98 (1973), pp. 192-196). 704 Manca per esempio il motivo di Orfeo che suona per Caronte, per cui le nozze di Orfeo ed Euridice si celebrano di più in primo piano. Anche il numero e la posizione degli animali nella seconda xilografia sono diversi. Poi Orfeo è assalito da solo tre donne. È visibile il suo strumento come nei disegni dell’anonimo ferrarese, di Dürer e di Giulio Romano. Le stesse xilografie si trovano anche nell’edizione di Regio del 1518. 705 A. Boschloo, ‘Images of the Gods in the Vernacular’, Word & Image Conference Proceedings 4,1 (1988), pp. 415-416. 706 Boschloo, op.cit., p. 416. 236 MITOGRAFO O FIGURA MITOLOGICA? La fortuna delle xilografie del 1497 continua nelle edizioni di Ludovico Dolce e, nonostante grandi differenze nello stile, sono tematicamente molto simili.707 Le illustrazioni della prima edizione delle Trasformationi (1553) furono probabilmente disegnate da Giovanni Antonio Rusconi (ca. 1520-1587). Mentre il testo non dipende dall’edizione precedente di Bonsignori, le immagini sono strettamente legate all’edizione di Bonsignori. Secondo Bodo Guthmüller l’artista fece un’imitazione delle xilografie di Bonsignori, perché non c’era molto tempo e il testo di Dolce non era ancora pronto.708 Di nuovo il mito di Orfeo è illustrato con tre immagini.709 5.6 Anonimo, Orfeo e gli animali, in: Dolce, Le Trasformationi, 1553 Nella prima immagine Orfeo suona per gli animali e per gli alberi (ill. 5.6), nella seconda xilografia sono rappresentati i tre momenti dell’inizio del mito: il matrimonio di Orfeo ed Euridice, la morte di Euridice e l’incontro tra Orfeo e Caronte; la descrizione della morte di 707 Nell’unica edizione (1519) di Lorenzo Spirito il mito di Orfeo è illustrato con due xilografie. Nella prima tre donne con bastoni cercano di uccidere Orfeo, mentre lui si difende con la sua viola (ill.). La seconda immagine mostra cinque Baccanti/alberi in diversi gradi di trasformazione (ill.). L’argomento della xilografia è completamente nuovo nella tradizione di illustrazioni delle Metamorfosi. L’attenzione specifica di Spirito per le varie metamorfosi che si susseguono sottolinea l’idea che questa xilografia sia stata fatta appunto per questa edizione dopo la lettura del testo. Anton Boschloo accenna al fatto che era difficile raffigurare una metamorfosi in una sola immagine e che per questa ragione le metamorfosi stesse quasi non furono rappresentate nell’edizione del 1497 (Boschloo, op.cit., p. 414; cf. Huber-Rebenich, ‘Die Holzschnitte’, cit., p. #). La prima xilografia seguiva piuttosto la tradizione figurativa. Le xilografie nell’edizione di Spirito non sembrano aver avuto una grande influenza su altre edizioni delle Metamorfosi o sulle arti figurative. 708 Guthmüller, ‘Immagine e testo’, cit. 709 Nell’edizione del 1554 anche le illustrazioni furono riorganizzate rispetto alla prima edizione: furono cancellate e aggiunte delle immagini e qualche volta fu cambiata la loro posizione. Poi le xilografie furono fornite di una cornice decorativa. Nelle edizioni seguenti si trovano pochi cambiamenti (Guthmüller, ‘Immagine e testo’, cit.) Io ho consultato le edizioni del 1555 e del 1561, che differiscono tra di loro soltanto nella cornice. 237 CAPITOLO 5 Orfeo è accompagnata da una xilografia che rappresenta cinque donne che stanno ammazzando Orfeo.710 Le xilografie della prima edizione di Anguillara (1561) non mostrano le stesse analogie con le xilografie precedenti. Tuttavia, non cambiano nemmeno l’immagine di Orfeo. Il decimo libro comincia con una xilografia in cui Orfeo suona la viola da braccio.711 Il cantante è seduto su una roccia sotto gli alberi ed è vestito come un soldato romano con gambiere e una corona d’alloro. Da sinistra appare una lepre, mentre a destra si vedono due donne vestite con lunghe gonne. L’undicesimo libro è illustrato con una xilografia in cui Orfeo suona la viola da braccio sotto gli alberi, mentre da sinistra si avvicinano delle donne con bastoni e aste (ill. 5.7).712 Le donne stanno per assalire il cantante, che per il momento sta ancora suonando in pace. 5.7 Anonimo, La morte di Orfeo, in: Anguillara, Le metamorfosi d’Ovidio, 1561 710 Notevolmente è stato cambiato l’ordine delle immagini: il canto ventesimo apre subito con la xilografia di Orfeo e gli animali, mentre originariamente questa xilografia era la seconda. Ci sono alcuni piccoli cambiamenti rispetto alle xilografie precedenti. Per la prima volta Orfeo non è più seduto sotto un albero, ma sta in piedi. Nella seconda xilografia la cornucopia delle prime illustrazioni è stata sostituita con fiaccole, che mostrano forse l’influenza del testo latino (non sono presenti in Dolce). Nella terza le donne non assalgono Orfeo con bastoni, ma con le pale che esse hanno trovato sui campi abandonati; hanno lasciato da parte i rami, che prima avevano svelti dagli alberi. In fondo a destra un capro fugge dalla scena. Questi dettagli mi sembrano indicare che l’artista non si sia basato soltanto liberamente sulle immagini nell’edizione di Bonsignori (oppure su una versione posteriore con le stesse immagini), ma che lui abbia consultato anche una versione del testo. Chiaramente l’artista non ha usato il testo di Dolce, perché Dolce omette ogni particolare che riguarda l’uccisione di Orfeo. Probabilmente l’artista si è fatto ispirare da un’edizione latina con il commento di Regio (con copie delle xilografie del 1497). 711 Anonimo, in: Anguillara, Le metamorfosi d’Ovidio, 1561, p. 161r. 712 Anonimo, in: Anguillara, Le metamorfosi d’Ovidio, 1561, p. 177r. 238 MITOGRAFO O FIGURA MITOLOGICA? Quest’immagine ricorda la rappresentazione della morte di Orfeo nelle xilografie dell’artista francese Bernardo Salomone.713 Anche se, in apparenza, non sembrano esservi molte analogie con la tradizione italiana, Orfeo rimane il cantante che è ucciso dalle donne. Forse solo il potere della musica sugli uomini e sulla natura perde la sua posizione centrale, perché è sparito Caronte e non si vedono tanti animali. In linea di massima si deve constatare che nessun cambiamento nel testo – risultante da un approccio prevalentemente positivo o negativo a Orfeo, o dall’aggiunta di commenti allegorici - sembra intaccare le xilografie. La maggior parte delle edizioni contiene tre elementi del mito che insieme raffigurano il mito in modo neutrale. Le xilografie non cambiano profondamente l’immagine di Orfeo. Esse non mostrano segni di interpretazioni allegoriche e non rivelano opinioni chiaramente positive o negative degli artisti. Una eccezione è costituita da una nuova scena introdotta nella prima edizione di Nicolò degli Agostini (1522). Benché Guthmüller sostenga che anche queste xilografie tematicamente sono molto simili a quelle nell’edizione delle Metamorfosi del 1497, guardando le xilografie che accompagnano la descrizione del mito di Orfeo si scoprono delle differenze notevoli. Nella prima immagine (che si trova subito all’inizio del decimo libro), Orfeo sta in piedi suonando una specie di viola da braccio (ill. 5.8). Il cantante si trova nell’Inferno: a sinistra di lui si vedono tre uccelli rapaci e a destra sono rappresentati Plutone e Proserpina, seduti su un trono di pietra. Di fronte alla coppia si trova Euridice, mentre dietro di loro stanno due Furie con serpenti sulla testa. 713 La vita et Metamorfoseo d’Ovidio figurato et abbreviato in forma d’epigrammi è una versione italiana di un’opera originariamente francese, l’Ovide figurée di Bernardo Salomone (Lione, 1557). L’edizione italiana fu stampata a partire del 1559 con epigrammi di Gabriello Symeoni. Si tratta di una serie di 178 xilografie, che sono fornite di un titolo e di una spiegazione della scena in otto versi. Il mito di Orfeo è spiegato in quattro xilografie, che si intitolano: ‘Orfeo racquista & riperde la moglie Euridice’, ‘Eccellenza d’Orfeo nel sonare & lamentarsi’, ‘Orfeo vcciso dalle Baccanti’ e ‘La lyra & la lingua d’Orfeo si lamentano, & il serpente è mutato in sasso’. Non importa in questa edizione il testo di Ovidio; c’entrano soltanto le rappresentazioni dei miti nelle xilografie. Siccome le immagini sono francesi e non influenzarono tanto la tradizione iconografica italiana di Orfeo fino al 1600, non le discuto a lungo. Le immagini di Salomone furono, però, copiate fuori dell’Italia da Virgil Solis, edizione di Johannes Posthius di Germersheim, Frankfurt, 1563 (per il ‘gmeinen Mann im Teutschen Land’, Boschloo, op.cit., p. 417); edizione di Johannes Spreng, Augsburg, 1563 (latino e tedesco); edizione delle opere di Nikolaus Reusner, xilografie di Solis, 1580 (latino). 239 CAPITOLO 5 5.8 Anonimo, Orfeo nell’Ade, in Agostini, Ovidio Metamorphoseos, 1522 Questa xilografia non rassomiglia affatto alle xilografie nelle edizioni precedenti delle Metamorfosi. La scena è descritta in modo paragonabile da Agostini e c’erano degli esempi visivi nelle placchette di bronzo (cf. § 4.4.1).714 La xilografia sembra aver inspirato Giulio Romano (1499-1546) nei suoi disegni per il Palazzo Te a Mantova.715 Orfeo si trova nella Sala delle Metamorfosi (1527-29), dove sono rappresentati alcuni miti ovidiani.716 Nell’affresco Orfeo canta per Plutone e Proserpina, i quali sono accompagnati da Cerbero e da due altre figure infernali (ill. 5.9). A destra Euridice è presentata da un altro personaggio infernale. 714 ‘Pluton haueua a lato proserpina / sendo egli in tribunal sua fida moglie / che di lopacco infarno era reina / senza esser morta con le mortal spoglie / alqual Orpheo con la virtu diuina / ne la cethra per dir tutte sue doglie / signiori comincio del basso fondo / sopra del qual firmato e tutto il mõdo’ (Agostini, Tutti gli Libri de Ouidio Metamorphoseos (1522), libro X, vv. 97-104). 715 L’influenza di questa edizione sui disegni di Giulio Romano per la Sala dei Giganti nel Palazzo Te è attestato da: B. Guthmüller, ‘Zu Ikonographie und Sinndeutung der Sala dei Giganti des Giulio Romano’, Studien zur antiken Mythologie in der italienischen Renaissance, Weinheim, 1986, pp. 117-141. 716 Giulio Romano, Orfeo nell’Ade, affresco, 1527-29. Mantova, Palazzo Te, Sala delle Metamorfosi, parete meridionale. 240 MITOGRAFO O FIGURA MITOLOGICA? 5.9 Giulio Romano, Orfeo nell’ Ade, 1527-29 La seconda xilografia che accompagna il capitolo sul ‘Canto di Orpheo’ contiene di nuovo un musicista intorno al quale si sono radunati degli animali e degli alberi. Ci si aspetterebbe una terza xilografia con la morte di Orfeo. La mancanza di questa scena e il fatto che Orfeo è rappresentato mentre suona per Plutone e per gli animali indicano forse un atteggiamento più positivo verso Orfeo e il potere della musica. Un’interpretazione negativa di Orfeo si trova nell’edizione di Anguillara del 1584. L’artista Giacomo Franco non ha copiato illustrazioni precedenti del decimo libro, ma ha fatto delle incisioni su rame in cui segue la linea narrativa del testo ovidiano. Nella prima immagine Orfeo sta suonando la lira da braccio, mentre dietro di lui Euridice è rapita da due mostri infernali (ill. 5.10-5.11).717 Sullo sfondo si vedono altri racconti del decimo libro delle Metamorfosi. 717 Giacomo Franco, Scene dalle Metamorfosi, libro X, incisione di ramo, 149 x 93 mm, in: Anguillara, Le metamorfosi d’Ovidio, 1584. 241 CAPITOLO 5 5.10-11 Giacomo Franco, Scene dalle Metamorfosi, libro X e XI, in: Anguillara, Le metamorfosi d’Ovidio, 1584 Anche nell’illustrazione dell’undicesimo libro si vede in primo piano il racconto di Orfeo, che è assalito dalle donne, mentre sullo sfondo si vedono gli altri racconti dell’undicesimo libro.718 In questo caso la composizione della morte di Orfeo fa pensare alquanto a quella nella prima edizione del 1561. Le Baccanti si avvicinano da sinistra con bastoni al cantante, che sta suonando su una pietra.719 Mentre queste illustrazioni mostrano già delle grandi innovazioni sul piano della tecnica (incisioni su rame) e della composizione (tutti i miti del libro in un’unica immagine), esse cambiano anche l’immagine di Orfeo. Gli elementi positivi del mito (le nozze e il potere del canto per gli animali, che fu perfino sottolineato nell’allegoria di Horologgi) sono stati sostituiti con l’errore principale di Orfeo: il suo sguardo indietro. Inavvertitamente o deliberatamente Franco raffigurò solo due aspetti negativi del personaggio, mentre nel testo di Anguillara e nei commenti l’immagine di Orfeo era più positiva. Le traduzioni italiane delle Metamorfosi non presentano dunque né un’immagine costante né uno sviluppo uniforme nell’interpretazione di Orfeo. Per la maggior parte il 718 Giacomo Franco, Scene dalle Metamorfosi, libro XI, incisione di ramo, 149 x 94 mm, in: Anguillara, Le metamorfosi d’Ovidio, 1584. 719 Queste xilografie sono state copiate con alcuni cambiamenti minori da: Anonimo, xilografia, 94x64 mm, in: Anguillara, Le Metamorfosi, Venezia, 1592, pp. 353 & 390; Gaspare Grispoldi, incisione su rame, 62x58 mm / 63 x 58 mm, in: Anguillara, Le Metamorfosi, Venezia, 1601 (+ ristampe: Venezia, 1607; Venezia, 1677). Cfr. G. Huber-Rebenich e.a., Ikonographisches Repertorium zu den Metamorphosen des Ovid. Die Textbegleitende Druckgraphik, Band II: Sammeldarstellungen, Berlin, Gebr. Mann, 2004, pp. 130-131; 142143. 242 MITOGRAFO O FIGURA MITOLOGICA? testo e le illustrazioni si sviluppano separatamente, ma ambedue tornano sempre ad esempi precedenti. Nei testi l’interpretazione di Orfeo oscilla tra positiva e negativa. Le xilografie sono più neutrali e non cambiano quasi niente fino all’edizione di Anguillara del 1584, che mostra una composizione nuova e un’interpretazione più negativa di Orfeo. 5.2.5 La fortuna delle xilografie nell’arte Qual era l’influenza delle traduzioni delle Metamorfosi (e dei trattati mitologici) su altre opere d’arte? Vista la separazione tra testo e immagini, si deve fare una distinzione tra l’influenza delle xilografie e l’influenza del testo stesso. Per quanto riguarda il testo, Bonsignori continuò la presenza di Aristeo nel racconto ovidiano. Il ruolo di Aristeo nelle arti figurative aumenta fortemente alla fine del Quattrocento e nel Cinquecento, ma, come ho discusso nel § 4.4, questo aumento è probabilmente dovuto alla rappresentazione e alla pubblicazione della Fabula di Orfeo. Un’altra aggiunta al mito di Orfeo fu il personaggio di Cerbero. Quest’aggiunta (che peraltro fu anche adottata da Poliziano) ebbe un certo effetto sull’arte. Cerbero ottenne un ruolo prominente nelle statue di Bandinelli e di Camilliani (ill. 5.12), in un dipinto di Bronzino (cf. § 5.9) e in un disegno di Agostino Veneziano del 1528 (ill. 5.13).720 5.12 Camilliani, Orfeo e Cerbero, / 5.13 Agostino Veneziano, Orfeo e Cerbero, 1528 720 Agostino Veneziano, Orfeo e Cerbero (Orfeo nell’Ade), incisione, 1528. Washington D.C., National Gallery of Art, Rosenwald Collection, 1954.12.37 (Bartsch 14, 259). 243 CAPITOLO 5 L’apparizione di Cerbero potrebbe indicare che gli artisti possedevano un’edizione di Bonsignori o di Agostini. Questa supposizione è confermata dal fatto che Cerbero è raffigurato soltanto all’inizio del Cinquecento, prima dell’apparizione di nuove traduzioni che omettono il cane. Le xilografie che accompagnavano il testo costituivano la fonte principale per la produzione di maiolica. Secondo Rosa Maria San Juan la maiolica fu la forma più diffusa del mito di Orfeo nelle arti rinascimentali.721 Le immagini servivano a trasmettere un racconto esistente ad un pubblico ampio. Siccome esse avevano soprattutto una funzione decorativa, potevano esere copiate direttamente dalle xilografie.722 Queste xilografie (e incisioni) furono raccolte e mostrate nelle botteghe dei pittori di maioliche.723 Benché la funzione dei piatti di maiolica sembri molto pratica, le decorazioni elaborate dopo il 1500 suggeriscono secondo San Juan piuttosto una funzione ornamentale. Esiste una serie di cinque tondi di maiolica (ca. 1515-17) con episodi del mito di Orfeo, che sono attribuiti a Nicola da Urbino.724 Questi tondi mostrano delle analogie convincenti con le xilografie dell’edizione delle Metamorfosi del 1497: sono raffigurati per esempio Orfeo e gli animali, Orfeo e Caronte e la morte di Orfeo (ill. 5.14-16). Siccome non c’è nessun testo accompagnatore, le immagini devono essere più esplicite; qualche volta furono aggiunti i nomi dei personaggi o delle iscrizioni sul retro.725 5. 14 Orfeo e gli animali / 5.15 Orfeo e Caronte / 5.16 La morte di Orfeo 721 San Juan, The Legend of Orpheus, cit., p. 131; cf. C. Ravanelli Guidotti, ‘Le Metamorfosi ‘vulgari’ d’Ovidio sulla maiolica italiana’, in: Die Rezeption der Metamorphosen des Ovid in der Neuzeit: der antike Mythos in Text und Bild, a.c.d. H. Walter & H.-J. Horn, Berlin, Gebr. Mann Verlag, 1995, pp. 85-97. 722 Le immagini furono anche basate su incisioni, per esempio: Anonimo (Deruta), Orfeo riprende Euridice dall’Ade, piatto di maiolica, inizio sec. XVI. Paris, Musée de Cluny, inv. 2424. Quest’immagine è una copia di un’incisione di Marcantonio Raimondi, cf. § 6.5. 723 Secondo Carmen Ravanelli Guidotti i libri illustrati furono donati e ritirati dai committenti (op.cit., p. 90). 724 Nicola da Urbino, Aristeo ed Euridice; Orfeo e Caronte; Orfeo ed Euridice nell’Ade; Orfeo e gli animali; La morte di Orfeo, maiolica, ca. 1515-17. Venezia, Museo Correr. 725 Sul retro del recipiente di Xanto (cf. n. 75) si trova l’iscrizione seguente: ‘Alla Canothea Cimba arriva Orpheo / Nel X.L. d Ovidio Meth.’ Sul retro del piatto al Musée de Cluny si spiega che il viaggio di Orfeo rappresenta la sconfitta del male (San Juan, The Legend of Orpheus, cit., pp. 137; 140. 244 MITOGRAFO O FIGURA MITOLOGICA? Anche un altro servizio di maiolica fatto da Francesco Xanto Avelli da Rovigo contiene due oggetti dipinti con scene del mito di Orfeo: Orfeo nell’Ade (con Caronte e Cerbero) e la trasformazione delle Baccanti in alberi.726 Il servizio era in possesso di Piero Maria Pucci, che dal 1520 lavorava alla corte di papa Leo X (cf. i suoi rapporti con Orfeo, § 6.7). San Juan si basa su questi recipienti di maiolica per dimostrare che le xilografie non furono sempre semplicemente copiate. L’immagine di Orfeo nell’Ade è una combinazione straordinaria di elementi provenienti da almeno tre edizioni diverse.727 La trasformazione delle Baccanti in alberi potrebbe basarsi, a mio parere, su una xilografia dell’edizione di Lorenzo Spirito (1519).728 San Juan argomenta in modo convincente che i cambiamenti nelle maioliche rispetto alle xilografie corrispondono alle convenzioni dei romanzi, cioè alla funzione di Orfeo nei cantari: si raffigurano l’inseguimento di Euridice da Aristeo, la reazione di Orfeo alla notizia della morte di Euridice e la discesa agli inferi.729 Come nei cantari Orfeo rappresenta il poeta-amante, il che è sottolineato dall’apparizione di Amore in alcune immagini (ill. 5.17).730 5.17 Anonimo, Orfeo e gli animali con Amore, inizio sec. XVI 726 Francesco Xanto Avelli da Rovigo, Orfeo nell’Ade, recipiente di maiolica, 1532. London, Wallace Collection; idem, Le Baccanti trasformate in alberi, recipiente di maiolica, 1532. 727 San Juan, The Legend of Orpheus, cit., pp. 134-135. Per una discussione delle fonti diverse dell’immagine rimando a questo libro. 728 Secondo San Juan il motivo è nuovo e si basa sul testo delle Metamorfosi (p. 134). 729 San Juan, The Legend of Orpheus, cit., p. 139. 730 Anonimo (Deruta), Orfeo e gli animali con Amore, piatto di maiolica, inizio sec. XVI. Paris, Louvre, OA 1629; Anonimo (Deruta), Orfeo e gli animali con Euridice e Amore, piatto di maiolica, inizio sec. XVI. Lyon, Musée des Arts Décoratifs (San Juan, The Legend of Orpheus, cit., pp. 140-141); Anonimo, Orfeo e gli animali con Amore, piatto di maiolica, ca. 1525. Collezione privata (Rackham, p. 93, no. 332 a). 245 CAPITOLO 5 Per mezzo delle edizioni delle Metamorfosi con xilografie il mito di Orfeo fu dunque trasferito alla maiolica. Attraverso le immagini su piatti e vasi e altri oggetti d’uso corrente (o ornamentali) Orfeo raggiunse un pubblico sempre maggiore. L’immagine di Orfeo è stereotipata e popolarizzata. Come nei cantari, che erano destinati a un pubblico comune e diversamente dalla Fabula di Poliziano, Orfeo fu visto soprattutto come un amante. Alcuni piatti rappresentano la morte di Orfeo, ma in altri il mito sembra avere un esito felice in cui trionfa l’amore, cf. § 6.4 e cap. 7. Nella produzione di maiolica per un pubblico ampio si vedono dunque delle analogie notevoli con le xilografie delle edizioni delle Metamorfosi. L’influenza delle xilografie si estende anche ad altre opere d’arte, ma in queste opere gli artisti si basano in maniera più libera sul testo e sulle immagini esistenti.731 L’influenza diretta delle xilografie è dunque spesso meno percepibile. Ho già accennato al rapporto tra l’affresco di Giulio Romano nel Palazzo Te e l’edizione di Agostini. Nel quarto capitolo ho trattato brevemente del Camerino di Orfeo nello stesso Palazzo e del Corridoio di Orfeo nello stesso Palazzo e il Corridoio di Orfeo nel Palazzo di Sabbioneta in relazione ai Gonzaga. In questi stucchi e affreschi sono anche visibili delle scene ovidiane. Una combinazione di motivi che si basano sulle Metamorfosi si trova anche nella Villa Farnesina, che fu costruita tra il 1509 e il 1511 dall’architetto e artista Baldassare Peruzzi. Originariamente la villa fu eretta per il banchiere papale Agostino Chigi, ma nel 1580 fu comprata dalla famiglia Farnese. La Sala del Fregio fu decorata da Peruzzi stesso con un fregio mitologico che rappresenta in un movimento continuo i miti di Ercole, gli amori di Giove (Europa, Danae e Semele), Diana e Atteone, Mida, Nettuno e Anfitrite e creature marine, Arianna e Bacco, Marsia, Meleagro e infine tre scene dal mito di Orfeo. 5.18 Baldassare Peruzzi, Orfeo e gli animali, Orfeo ed Euridice, La morte di Orfeo, ca. 1509-10 731 Cf. Bull, op.cit., p. 80. 246 MITOGRAFO O FIGURA MITOLOGICA? A sinistra Orfeo suona per gli animali, nel mezzo Orfeo vede come un mostro infernale trattiene Euridice e a destra Orfeo è ammazzato da alcune donne (ill. 5.18).732 Per quanto riguarda la composizione, le rappresentazioni di Orfeo e gli animali e della morte di Orfeo rassomigliano molto a quelle delle xilografie nelle edizioni delle Metamorfosi. Christoph Frommel propone di interpretare le quattro pareti del fregio come una rappresentazione dei quattro elementi oppure delle quattro parti del mondo: la terra (gli atti sovrumani di Ercole), l’Olimpo (i rapporti tra uomini e dei, come Giove, DianaAtteone, Apollo-Mida), il mare (gli dei marini) e gli inferi (la morte: Marsia, Meleagro, Orfeo).733 Fritz Saxl vede nelle figure mitologiche una successione di temi di amore e morte.734 David Coffin suggerisce un contrasto tra ragione e passione. Vista la posizione centrale dello sguardo indietro di Orfeo e della seconda perdita di Euridice, che non era presente nelle xilografie, sembra più probabile un’interpretazione negativa di Orfeo. Questi sono gli esempi principali dell’influenza diretta delle Metamorfosi e soprattutto delle xilografie sulle arti figurative. Tuttavia, anche altri testi, come la Fabula di Orfeo o i trattati mitologici, possono essere state tra le fonti d’ispirazione. Nondimeno, l’aumento considerevole di immagini mitologiche alla fine del Quattrocento e nel Cinquecento deriva almeno in parte dall’abbondanza di edizioni stampate delle Metamorfosi. Anche la tradizione pittorica, nella quale Orfeo era spesso raffigurato come cantante eccellente tra gli animali, giocava un ruolo. Vedremo nei paragrafi successivi che anche nella letteratura si riproducono spesso gli stessi motivi stereopati, che erano già comuni nel Trecento. Risulta difficile dare un’interpretazione allegorica univoca di quelle opere d’arte che si basano sulle traduzioni delle Metamorfosi, perché circolano varie interpretazioni diverse sia positive che negative. 5.3 CONCLUSIONE Nel Cinquecento il mito di Orfeo si divulgò tra un pubblico più ampio. Questa diffusione avvenne soprattutto per via dell’invenzione della stampa. Alcune opere trecentesche (le Genealogie di Boccaccio e l’Ovidio metamorphoseos vulgare di Bonsignori) furono stampate alla fine del Quattrocento e contribuirono alla maggiore conoscenza dei miti antichi, tra cui quello di Orfeo. 732 B. Peruzzi, Orfeo e gli animali, Orfeo nell’Ade & La morte di Orfeo, affreschi, ca. 1509-10. Roma, Villa Farnesina, Sala del Fregio. Peruzzi dipinse il motivo di Orfeo e gli animali un’altra volta nella loggia del giardino del Castel Belcaro vicino a Siena (Frommel, 107b). 733 C.L. Frommel, Baldassare Peruzzi als Maler und Zeichner, Wien-München, Anton Schroll & Co, 1967-68, 18a. 734 F. Saxl, ‘The Villa Farnesina’, in: Lectures, vol. I, London, 1957, p. 193. 247 CAPITOLO 5 Solo a metà del Cinquecento le Genealogie furono sostituite con un nuovo trattato mitografico di Conti. Orfeo è descritto tra gli altri personaggi mitologici, ma è considerato soprattutto un poeta-teologo. Nei trattati di Cartari e Giraldi Orfeo non è più considerato una figura mitologica, ma un mitografo, i cui Inni formavano una fonte d’informazione sugli dei antichi. In queste opere si vede l’influenza di Ficino. Le interpretazioni allegoriche di Bonsignori furono riprese da Agostini nella sua nuova traduzione delle Metamorfosi. Quest’opera si basa, però, anche parzialmente sulla Fabula di Orfeo e sui cantari su Orfeo. Così la rappresentazione umanistica ed elitaria fu trasformata, attraverso i cantari, in un testo che era disponibile al pubblico comune e che doveva essere interpretato secondo la maniera allegorica medievale. Così Orfeo perse le sue connotazioni negative (l’uomo che torna ai piaceri terreni) e divenne di nuovo l’uomo sapiente ed eloquente del commento bonsignoriano. Anche altre traduzioni ovidiane più letterali e senza aggiunte allegoriche andavano, però, lette per il loro messaggio cristiano nascosto. Soprattutto dopo la Controriforma furono aggiunte delle spiegazioni allegoriche nelle edizioni successive. L’immagine di Orfeo in queste traduzioni oscilla tra positiva (l’allegoria dell’eloquenza) e negativa (la condanna dell’omosessualità). Le xilografie che erano presenti nella prima edizione di Bonsignori (1497) furono copiate e imitate liberamente in diverse edizioni posteriori sia latine che volgari. Chiaramente le xilografie non si basavano sul testo in cui si trovavano (a parte qualche aggiustamento). Esse influenzarono, però, alcuni artisti che adoperarono queste edizioni come compendi mitologici. Questa influenza si vede soprattutto nella maiolica, che era destinata ad un pubblico meno colto. Queste rappresentazioni di Orfeo nella maiolica costituivano in parte una semplice illustrazione del mito, che doveva essere facilmente riconoscibile. Le innovazioni rispetto alle xilografie mostrano come Orfeo fosse visto come un poeta-amante. Anche in altre opere d’arte come affreschi, che furono ordinati da committenti colti, si riconoscono qualche volta delle tracce della rappresentazione di Orfeo nel testo e nelle xilografie delle Metamorfosi. La funzione di Orfeo nelle elaborate e ricercate combinazioni iconografiche si lascia spesso difficilmente ricostruire. L’enfasi su determinati elementi (il canto per gli animali, la discesa nell’Ade e lo sguardo indietro, la morte di Orfeo, l’inseguimento di Euridice) è tuttavia spesso indice di una tendenza positiva o negativa nell’interpretazione. 248 CAPITOLO 6. TOPOI, REAZIONI ED INNOVAZIONI Orfeo alla fine del Quattrocento e nel Cinquecento (ca. 1475-1600) 6.0 INTRODUZIONE L’invenzione della stampa favorì una grande diffusione della traduzione bonsignoriana delle Metamorfosi, che portò a sempre nuove traduzioni nel Cinquecento. Anche le Genealogie di Boccaccio furono stampate alla fine del Quattrocento e stimolarono la pubblicazione di altri trattati mitologici. Questi libri enciclopedici aumentarono la conoscenza dei miti, tra cui quello di Orfeo. Nel capitolo precedente abbiamo visto che in questi libri il mito di Orfeo era interpretato spesso in modo evemeristico o allegoricomorale, esattamente come nel Trecento. L’importanza dei trattati mitologici e delle traduzioni delle Metamorfosi per la fortuna dei miti è stata discussa da Jean Seznec e Bodo Guthmüller. In questo capitolo voglio mostrare che i trattati e le traduzioni non erano le uniche opere in cui fu menzionato il mito di Orfeo e che la maniera in cui Orfeo fu descritto in questi libri non è sempre rappresentativa del modo in cui altri autori ed artisti trattano il personaggio di Orfeo. Abbiamo pure constatato nel capitolo precedente che le traduzioni delle Metamorfosi, e in particolare le xilografie, ebbero una sicura influenza sull’immagine di Orfeo nelle arti visive; soprattutto gli oggetti d’arte, che furono prodotti in gran quantità, come la maiolica e le placchette di bronzo, si basarono sulle xilografie. Tuttavia, l’immagine di Orfeo nella letteratura e nell’arte cinquecentesca non può essere equiparata senza mezzi termini all’immagine che si manifesta nelle opere di carattere enciclopedico. Sotto questo rispetto gli studi importanti di Seznec e Guthmüller vanno dunque completati. Oltre all’immagine elaborata di Orfeo nelle opere enciclopediche continuano a manifestarsi i riferimenti stereotipati al poeta-musicista eccellente che funge da modello per altri poeti. Questo aspetto di Orfeo torna soprattutto nella poesia lirica petrarchista di fine Quattrocento e del Cinquecento.735 In reazione alla lirica petrarchista ci sono dei poeti anticlassicisti che nelle loro poesie burlesche rovesciano la posizione di Orfeo, cosicché il poeta antico rappresenta addirittura la poesia cattiva. Dunque l’immagine positiva tradizionale del poeta eccellente si trasforma. Tuttavia, Orfeo mantiene la sua posizione come poeta eloquente che ha civilizzato gli uomini. Questo motivo continua a manifestarsi sia nella letteratura che nell’arte, dove si vede un aumento enorme del motivo di Orfeo e degli animali. 735 Infatti, anche Petrarca si era riferito alcune volte all’amore di Orfeo ed Euridice nel suo Canzoniere (cf. § 2.4). 249 CAPITOLO 6 Altri spostamenti nella rappresentazione di Orfeo si verificano nella descrizione e nelle raffigurazioni di Orfeo amante. Nella poesia petrarchista Orfeo ed Euridice sono ancora visti come amanti leggendari a cui altri amanti amano paragonarsi. Alla fine del Quattrocento Orfeo figurerà anche come musicista e amante in alcuni trionfi che fanno parte di feste nuziali. Così questo aspetto di Orfeo è introdotto in un nuovo genere artistico teatrale. Quanto all’amore nelle arti figurative, Euridice occuperà sempre di più il posto di Orfeo. L’importanza di Euridice è legata alla mutata posizione della donna. L’attenzione al ruolo della donna è infatti un aspetto notevole della cultura cinquecentesca. Le donne cominciano a partecipare alle attività culturali del loro tempo e a scrivere delle poesie in cui appare anche Orfeo. In reazione alla maggiore presenza femminile nella letteratura nasce anche una letteratura misogina, e anche qui si parla di Orfeo. L’enfasi sull’esito infelice del mito di Orfeo sembra diminuire nel Cinquecento. La sua ricerca allegorica del sommo bene, ossia di Dio, aveva ancora un ruolo fondamentale nella cerchia di Ficino e di Lorenzo. Probabilmente la Fabula di Poliziano, che ho discusso nel quarto capitolo, deve essere interpretata in questo modo. Nelle arti visive il mito è qualche volta adattato, per produrre un lieto fine. Nella letteratura del Cinquecento i riferimenti espliciti allo sguardo indietro sono pochi. Gli aspetti positivi di Orfeo sono rafforzati dalla seconda generazione dei Medici. Come i Gonzaga a Mantova (§ 4.4.1), anche i Medici vedono nella figura di Orfeo un’occasione per rappresentare il loro potere. Per motivi propagandistici essi combinano vari aspetti positivi del personaggio. Un altro approccio molto positivo si trova nei riferimenti a Orfeo poeta-teologo o filosofo antico. Siccome Orfeo poeta-teologo è in effetti una faccia completamente diversa (o perfino un altro personaggio storico) in confronto ad Orfeo amante (il personaggio mitologico), e siccome i riferimenti a questo Orfeo nel Cinquecento mostrano molte analogie con i riferimenti a Orfeo nella cerchia di Ficino, ho già discusso questo aspetto nel terzo capitolo. Leggendo il capitolo 6 si deve però sempre tenere in mente che anche questo lato di Orfeo è frequentemente presente nel Cinquecento, specie negli scritti filosofici. Come nei secoli precedenti le opinioni su Orfeo divergono dunque molto. La fine del Quattrocento e il Cinquecento offrono un panorama variegato di significati inerenti alla figura di Orfeo. Oltre alle sue rappresentazioni stereotipate si trovano anche delle interpretazioni nuove e sorprendenti. Nuovi elementi sono introdotti non solo dalla disponibilità delle traduzioni delle Metamorfosi o dei trattati mitologici, ma anche dalla popolarità della Fabula di Orfeo. Alcuni elementi del mito che prima non erano toccati (quasi) mai, godono una conoscenza e popolarità maggiori rispetto al Trecento e al primo Quattrocento. Si tratta della misoginia, dell’omosessualità e della morte di Orfeo. Anche la partecipazione di Orfeo al viaggio degli Argonauti, di cui parla Poliziano nella Manto e Boccaccio nelle Genealogie, emerge ora nell’arte e nella letteratura. Alcuni luoghi comuni 250 TOPOI, REAZIONI ED INNOVAZIONI trecenteschi su Orfeo rimangono dunque in auge fino al Seicento, mentre emergono anche reazioni e cambiamenti di questi topoi, oltre a elementi nuovi. 6.1 POETA ECCELLENTE VS. POETA ODIATO Nella poesia lirica del Trecento e del primo Quattrocento Orfeo figurava spesso come musicista fuori da comune. Poeti e musicisti si paragonavano alla figura mitologica esemplare e cercavano di emularne il canto. Questo topos letterario non perse mai terreno, e anche nella poesia della seconda metà del Quattrocento e del Cinquecento si possono distinguere alcune situazioni base che tornano in molti poeti: Poeti complimentano altri poeti dicendo che rassomigliano al poeta per eccellenza, Orfeo. Un bell’esempio si trova nella corrispondenza poetica tra Filenio Gallo (....1504) e Pietro Mochio. Pietro afferma di essere pietrificato dopo aver udito il canto di Filenio. Orfeo deve avergli insegnato l’arte della cetra. Filenio gli risponde per le rime dicendo che nemmeno la cetra di Orfeo sarebbe in grado di descrivere la sua grazia.736 Anche le poetesse petrarchiste, come Veronica Gambara, si paragonano a Orfeo.737 Orfeo costituisce dunque anche un modello per le donne. Non si ricorre a un modello femminile, come la poetessa Saffo, probabilmente perché Orfeo è diventato un topos letterario.738 Alcuni poeti superano perfino il sommo poeta Orfeo. Giambattista Cantalicio (ca. 1445-1515) dice per esempio che, quando il re sarà tornato in patria, il suo canto vincerà quello di Orfeo, di Arione e di Anfione.739 La donna non ascolta il canto del poeta e non corrisponde il suo amore; neanche la cetra di Orfeo avrebbe la forza di rompere il suo cuore di sasso. Il protopetrarchista 736 Gallo, Rime, parte 2 (A Safira-Egloga e Rime), 21 & 22. Altri riferimenti a poeti/musicisti come Orfei si trovano in: Lettera di Ottavio Landi a Doni, 21, p. XXIIv. (Antonfrancesco Doni); Borra, Amorose rime, XIII, v. 8 (Michelangelo). Tasso, Rime, 1524 (Cristobal de Mesa); Tasso, Aminta, Atto 1, scena 2; Tebaldeo, Rime, 196; Agostini, Poesia per l’Altissimo Poeta; Anonimo, Pasquinate, 153; 177 (Paolo Emilio Cesi); Aretino, Lettere, IV, lett. 32, p. 48 (Aurialo); Ternali, II, 262 (Aurialo); Cortigiana, 3, 7 (Francesco Salamone); Ariosto, Orlando furioso, XLII, 83 (Ercole Strozza); Bandello, Novelle, XVII (Agostino da la Viola); Folengo, Baldus, libro XIII, 358 (Giuberto); Sisgoreo, Carmina, 2, 33, 18. 737 Gambara, Rime, LXVII. 738 Gambara si riferisce anche a Orfeo come poeta che addomestica tigri, orsi e serpenti con il suo canto in: Rime, XXXI. 739 Cantalicio, Bucolica, Aegloga VI, v. 125. Altri esempio di questo motivo si trovano in: Tebaldeo, Rime, 286 (una bella donna); Spagnuolo, Egloghe, IX, vv. 212-219 (il tesoriere papale Falcone de’ Simbaldi); Palladio Sorano, Epigrammi, liber II, 15 (l’umanista Pietro Cristoforo Gigante); II, 92 (l’umanista Francesco Maturanzio); Elegie, 1 (Ad candidam Calliopeam elegia), v. 35 (il poeta stesso); Castiglione, Egloga ‘Tirsi’, 11, v. 8 (il poeta stesso); Correggio, Psiche, 22 (il narratore). 251 CAPITOLO 6 Antonio Tebaldi (il Tebaldeo, 1463-1537) si lamenta che la donna amata non ascolterà mai il suo canto. Neanche il plettro di Arione, la cetra di Amfione e quella di Orfeo avrebbero la forza di convincere la donna ad ascoltare. Infatti, la donna è più dura di un sasso.740 L’idea dell’amore non corrisposto e quella della donna irraggiungibile che non si lascia neanche sedurre dal canto di Orfeo si adatta bene alla tematica amorosa della poesia petrarchista. Nella Zanitonella di Teofilo Folengo (1491-1544), un poeta maccheronico che deride la poesia amorosa di Petrarca, Tonellus si compiange perché Zanina non vuole ascoltare la sua musica.741 Tonellus è in grado di far ballare i tavoli, ma non è in grado di rompere il cuore di sasso di Zanina. La stessa idea è elaborata, a mio parere, nella Lyra di Giovanni Pontano.742 Bisogna avere il talento di Orfeo per poter descrivere la bellezza di una donna o per lodare qualcuno. In una poesia del 1469, Comedio Venuti, che faceva parte della cerchia di Lorenzo de’ Medici, loda la bellezza e la virtù di Clarice, la moglie di Lorenzo. Ci dovrebbe essere un altro Orfeo al mondo per lodare un simile tesoro.743 Il talento musicale di Orfeo ci vuole anche per cantare le lodi di un signore stimato, come ne La civil conversazione di Stefano Guazzo (1530-1593) o nelle poesie di Gaspara Stampa.744 Queste quattro situazioni sono molto comuni nella lirica petrarchesca, nella poesia pastorale e in altre opere letterarie. Naturalmente ci sono anche altri riferimenti a Orfeo che sono meno facilmente classificabili.745 740 Tebaldeo, Rime, 46. Lo stesso motivo della donna che non vuole ascoltare il canto torna in un’altra poesia del Tebaldeo (Rime, 44 (dubbia)). Poi il motivo si trova anche in: Serafino Aquilano, Rime, sonetto 103; Palladio Sorano, Epigrammi, libro I, 42 (Calliope). 741 Folengo, Zanitonella, X (Matinada), vv. 377-404. 742 Pontano, Carmina, Lyra, I ‘De Orpheo navigante et post ad inferos pro uxore descendente’. In questa lunga poesia Pontano descrive prima come Orfeo spronò gli Argonauti a compiere grandi imprese. Nella seconda parte della poesia Pontano descrive il successo del canto di Orfeo negli inferi. Il significato delle ultime due strofe è ambigua. Secondo Gustavo Costa i versi alludono all’uccisione di Orfeo da parte delle Menadi o al fallimento del tentativo di riprendersi Euridice. Euridice è ritenuta colpevole del fallimento (G. Costa, ‘Giovanni Pontano and the Orpheus Myth: Poetry and Magic in the Age of Humanism’, Rivista di studi italiani 4, 1 (1986), pp. 1-17). Secondo me Pontano enumera forse i successi del canto di Orfeo per contraporli al fallimento del canto per intenerire una donna. 743 Venuti, Sonetti, CLIV. Lo stesso motivo si trova anche in: Morlini, Novelle, XXIV (monaca); Almerici da Pesaro, Rime, CXL (la defunta moglie); Tartaglia (Mantelli), Versi d’amore, XIII, v. 51 (una donna è troppo bella per essere celebrata da Orfeo o da Petrarca). 744 Guazzo, La civil conversazione, 4 1.235; Stampa, Rime, II, CCLIX. Altri esempi si trovano in: Aretino, Strambotti, son. 65; Tasso, Rime, 1372 (A don Vespasiano Gonzaga). 745 Anche nelle arti figurative Orfeo è raffigurato qualche volta come il prototipo del musicista. La figura mitologica tiene in mano uno strumento senza che il contesto del mito sia aggiunto all’immagine. In questi casi l’identificazione della figura con Orfeo è spesso alquanto problematica. Senza altri attributi tale figura potrebbe anche rappresentare il dio della musica, Apollo (L. Cambiaso, Orfeo?, disegno. Firenze, Galleria 252 TOPOI, REAZIONI ED INNOVAZIONI Mentre la fama di Orfeo poeta o musicista ideale è grandissima, alcuni poeti recalcitranti si oppongono a questa immagine positiva. Per questi poeti Orfeo non è il prototipo del poeta in generale, ma piuttosto del poeta classico o classicista in particolare. Nel suo articolo sulle burlesche mitologiche italiane del Cinquecento Thomas Stauder discute alcune opere dei poeti anticlassicisti Girolamo Amelonghi e Antonfrancesco Grazzini (Il Lasca).746 La Gigantea (1547) di Amelonghi fu dedicata a Alfonso de’ Pazzi di Firenze. All’inizio del libro sono ridicolizzate le tre corone del Trecento, Dante, Petrarca e Boccaccio. Così Amelonghi e altri poeti anticlassicisti si ribellavano contro i precetti di Pietro Bembo, che nelle Prose della volgar lingua (1525) aveva definito la poesia di Petrarca come il culmine di poesia e la prosa di Boccaccio come l’esempio migliore di prosa. Nell’invocazione alle Muse all’inizio de La Gigantea Amelonghi dice grandi cose della poesia liberamente ispirata. In questo passo troviamo anche un riferimento a Orfeo. Il poeta spera che non vengano le Muse né Orfeo con la sua ribeca per riempire il suo ingegno con versi. Il poeta vuole invece cantare liberamente (‘a caso’), ispirandosi soltanto alla Pazzia: Non venga Euterpe, Calliope o Clio Nel gran cavallo o ‘l fonte d’Helicona A infonder versi al mio ‘ngegno restio Che vuol Poetar a caso, e alla carlona, Non veng’ Orfeo con la ribecha ch’io Non voglio, o posso cantar cosa buona Venga l’alma Pazzia dolce e gradita Ch’io la vò sempre mai per calamita. [...] Spirami almen’ tanto favor’ ch’io possa Diventar pazzo un tratto, in carne e in ossa. (Amelonghi, La Gigantea, pp. 9-10) L’invocazione della Pazzia non ha, secondo Stauder, una ragione teorico-letteraria, ma è soltanto un’allusione ad Alfonso de’ Pazzi e il suo Trionfo della Pazzia, una sfilata mascherata a cui Amelonghi stesso aveva partecipato durante il carnevale del 1546.747 La degli Uffizi; Paris Bordone, Orfeo, tela, 371 x 28 in., ‘Notable works now on the market’, Burlington Magazine 95, 609 (1953); Anonimo, Orfeo, dettaglio di un ‘organo di acqua’. Tivoli, Villa d’Este). Naturalmente Orfeo non funziona qui come materiale di confronto tra due poeti o come requisito necessario per descrivere una donna, i quali sono dei motivi tipici della sua presenza nella lirica. 746 T. Stauder, ‘Italienische Mythenburleske des 16. Jahrhunderts: Girolamo Amelonghis Gigantea und ihre Fortsetzungen’, in: B. Guthmüller & W. Kühlmann, Renaissancekultur und antike Mythologie, Max Niemeyer Verlag, Tübingen, 1999, pp. 73-92. 747 Stauder, op.cit., pp. 73-92. 253 CAPITOLO 6 Gigantea è una protesta contro l’adorazione degli antichi da parte dei contemporanei di Amelonghi; perciò la lotta finisce con la vittoria dei giganti. In questo contesto Orfeo è dunque il simbolo della poesia classicista, che ha una connotazione negativa. Anche il Lasca era un poeta anticlassicista, che nelle sue opere si ribellava contro i poeti petrarchisti e umanisti. Nel 1547 fu cacciato dall’Accademia Fiorentina. Nella Guerra de’ Mostri dello stesso anno lui descrive una gigantomachia, in cui i mostri alludono agli Aramei, i seguaci di Pierfrancesco Giambullari, che lo forzarono a lasciare l’Accademia. Uno dei mostri porta molte insegne antiche, tra cui la lira di Orfeo.748 Orfeo rappresenta dunque di nuovo il simbolo dei poeti anticheggianti detestati dal Lasca. I poeti anticlassicisti più famosi del Cinquecento erano Francesco Berni e Pietro Aretino.749 Berni si era trasferito dalla Toscana a Roma e lavorava presso vari cardinali ed ecclesiastici. Nelle sue poesie si rispecchia la tradizione burlesca fiorentina di Burchiello e Pulci. Nel Dialogo contra i poeti (1526) Berni emette un giudizio molto negativo su Orfeo. Gli interlocutori nella discussione sono Giovan Battista Sanga, Marco da Modena e Berni stesso: MARCO. Oh! Orfeo, che fu poeta teologo, non se dice che con la dolcezza de’ suoi versi cavò la moglie de l'inferno, mosse le fiere e li monti e li fiumi e li sassi, che costoro vogliono che per allegoria significhi che la poesia ha tanta forza che muove a maraviglia li uomini grossi, e li fa disciplinabili e cólti? BERNI. Madesí; di qui nasce che alli balordi e castroni solamente piaceno li poeti; li omini da bene, che hanno ingegno, non possono patir di vederli. SANGA. Per mia fe’, se non fusse per non parer poeta, idest pazzo come loro, e’ mi fanno venir talor tanta stizza, ch’io sto per farli vedere se li sassi si possono tirare con altro che con le viole e con li liuti, e forsi che si tirería altro che sassi. Ha trovato costui che Orfeo tirava li sassi, e che era teologo. Credi che la teologia stessi fresca nelle mani sue, che ti doveresti vergognare! Fece ben fine quella bestia da presumere che fusse teologo, se vero è, secondo la fede nostra, che chi ben vive ben more. MARCO. E che fin fece? SANGA. Va, cercalo: cosí lo facesse tutto il resto di loro. MARCO. Che cosa fu? SANGA. Fu sbranato e squartato dalle donne: e quanta ragion n’ebbero, ché il traditore trovò quella bella invenzione che voi sapete. (Berni, Dialogo contra i poeti, pp. 283-284 (ed. Chiorboli)) 748 Grazzini, Guerra de’ Mostri, p. 135. Anche Aretino evoca la figura di Orfeo in una lettera a Messer Sperone in un contesto non molto serio, ma piuttosto burlesco. L’autore descrive un uomo tanto pesante da non poter essere spostato neanche dalla musica di Orfeo (Aretino, Lettere, Libro I, 139 (A Messer Sperone). Altri esempi di un Orfeo burlesco nelle opere di Aretino: Lettere, Libro I, 274 (A Monsignor Biagio Iuleo); Libro III, 370 (Al Modanese). 749 254 TOPOI, REAZIONI ED INNOVAZIONI Orfeo era in grado di istruire con la sua poesia gli uomini rozzi e stupidi, che infatti sono gli unici che vogliono ancora vederlo. Orfeo è criticato aspramente per aver presunto di essere un poeta e un teologo, ed allo stesso tempo aver inventato la pederastia. Il frammento contiene una doppia accusa nei confronti di Orfeo: quella di aver inventato l’omosessualità e quella di essersi presentato come teologo e poeta (pazzo). Dal punto di vista dei poeti anticlassicisti e burleschi Orfeo simboleggia dunque la cattiva poesia. All’adorazione di Orfeo nella poesia petrarchista subentra un approccio negativo ed aggressivo. Nel Cinquecento nascono dunque anche delle tensioni per quanto riguarda l’Orfeo poeta, che prima era sempre considerato unanimemente in modo positivo. 6.2 ARGONAUTA Al motivo comune del poeta eccellente si aggiunge un’altra variante. Un dettaglio di un pannello quattrocentesco, che fu probabilmente usato come spalliera o come decorazione da parete, mostra due uomini su una roccia che parlano con un centauro anziano. Alla loro destra un uomo suona il liuto (ill. 6.1). 6.1 Maestro degli Argonauti, Storia degli Argonauti, ca. 1465-70 (dettaglio) Si tratta di Orfeo in compagnia di Giasone, il capo della spedizione degli Argonauti, Ercole e il centauro Chirone. Gli uomini si consultano tra di loro sulla vetta del Pelio prima di partire. In fondo a destra si vedono già le preparazioni sull’Argo. La scena fa parte di un pannello attribuito al cosiddetto Maestro degli Argonauti (ca. 1465-70), probabilmente fiorentino.750 Il racconto è rappresentato come una narrazione continuata, in cui si vedono 750 Maestro degli Argonauti, Storia degli Argonauti, cassone, ca. 1465-70. New York, Metropolitan Museum of Art, collezione Pierpont Morgan, no. 09.136.1 (www.metmuseum.org/toah/hd/dome/hod_09.136.2.htm). 255 CAPITOLO 6 vari episodi del racconto simultaneamente. A sinistra della scena già descritta il re Pelia incarica Giasone di procurarsi il vello d’oro. Poi Giasone monta a cavallo. Tali rappresentazioni del viaggio degli Argonauti diventono popolari in Italia a partire dalla seconda metà del Quattrocento. Qualche volta è presente anche Orfeo, come sul pannello del Maestro degli Argonauti.751 Si ricordi che anche la prima rappresentazione di Orfeo nell’arte era accanto all’Argo.752 In un altro pannello quattrocentesco attribuito all’artista fiorentino Biagio di Antonio (fl. 1446-1516) si vedono altri episodi del racconto degli Argonauti: 6.2 Biagio di Antonio, Storia degli Argonauti, ca. 1470 l’incontro del re Eete e delle sue figlie Medea e Calciope con Giasone e i suoi compagni (tra i quali Orfeo); Giasone che ara la foresta di Ares, dove si sorveglia il vello d’oro; Orfeo che addormenta il drago con il suo canto così che Giasone può rubare il vello; e il re che invia i suoi figli a inseguire Medea e Giasone (ill. 6.2).753 Anche nella letteratura Orfeo è rappresentato più spesso come Argonauta. Nonostante brevi riferimenti alla sua partecipazione al viaggio nella letteratura precedente, Orfeo non assume un vero ruolo come Argonauta prima della fine del Quattrocento.754 Nella prefazione alla Manto, Poliziano dà una lunga descrizione dell’inizio del viaggio. La Manto era una delle Sylvae, che fu recitata nello Studio fiorentino il novembre 1482.755 L’apparizione di Orfeo tra gli Argonauti fu forse suggerita a Poliziano dall’Argonautica 751 Altre immagini di Orfeo tra gli Argonauti sono: Anonimo veronese, Il viaggio degli Argonauti, cassone, ca. 1480. Verona, Museo Civico; Anonimo fiorentino, L’incontro tra Giasone e Medea con Orfeo e gli altri eroi, cassone, ca. 1486. Paris, Musée des Arts Décoratifs. 752 Anonimo, Orfeo e gli Argonauti, metopa del tesoro dei Sicioni, sec. VI a.C. Delfi, Mus. 1323.1323a.1210. 753 Biagio di Antonio, Storia degli Argonauti, cassone, ca. 1470. New York, Metropolitan Museum of Art, Collezione Pierpont Morgan, no. 09.136.2 (www.metmuseum.org/toah/hd/dome/hod_09.136.1.htm). 754 Boccaccio, Genealogie XIII, XXVI ‘De Iasone’; XIV, VIII, 8-11; Esposizioni, IV, esp.lit. 317-26; Chiose dette del falso-Boccaccio (Inferno); Vegio, Vellus Aureum, liber I, v. 43. 755 F. Bausi, ‘Orfeo e Achille. La prefazione alla Manto di Angelo Poliziano’, Schede umanistiche n.s. I (1992), pp. 31-59. 256 TOPOI, REAZIONI ED INNOVAZIONI orfica, che era molto popolare nel circolo neoplatonico intorno a Ficino (§ 3.1.2). Bausi divide la scena in due parti: nella prima parte (il ‘convito’) gli Argonauti si radunano prima della loro partenza nell’antro del centauro Chirone, dove fanno un banchetto. Dopo il banchetto Orfeo addomestica la natura con il suo canto:756 Finis erat dapibus: citharam pius excitat Orpheus, et movet ad doctas verba canora manus. Conticuere viri, tenuere silentia venti, vosque retro cursum mox tenuistis, aquae; iam volucres fessis pendere sub aethera pinnis, iamque truces videas ora tenere feras; decurrunt scopulis auritae ad carmina quercus, nudaque Peliacus culmina motat apex. Et iam materno permulserat omnia cantu, cum tacuit, querulam deposuitque fidem. (Poliziano, Manto, Praefatio, 13-22)757 Nella seconda parte Achille prende la lira di Orfeo e canta un’ode in onore di Orfeo. Gli Argonauti presenti deridono il canto di Achille, ma Orfeo stesso ne prova diletto. Orfeo è rappresentato come il musicista famoso che sa suscitare ammirazione sia negli uomini che nella natura: gli uomini e i venti tacciono, i fiumi tornano indietro, gli uccelli sono sospesi, le fiere trattengono le fauci, le querce corrono al canto e perfino il monte Pelio (dove abita Chirone) muove le sue cime. La partecipazione al viaggio bellicoso degli Argonauti sembra forse in prima istanza un’attività che non conviene a una figura come Orfeo, ma Poliziano mostra che il ruolo principale di Orfeo durante questo viaggio è quella di musicista: con il suo canto Orfeo deve divertire gli altri Argonauti, che sono degli eroi valorosi. Che questa sia la funzione principale di Orfeo Argonauta risulta anche dal fatto che la Manto fa parte delle Silvae, in cui Poliziano esalta la funzione civilizzatrice della poesia.758 Nel 1500 furono stampate le Argonautiche orfiche, che erano già note nella cerchia di Ficino. Per il grande pubblico costituivano una nuova ed elaborata fonte di conoscenza 756 Bausi, op.cit., pp. 31-59. ‘Posta fine al convito, ridesta il pio Orfeo la sua cetra: / le dotte mani seguono le parole del canto. / Tacquero gli uomini, i venti non ruppero il silenzio, / e voi, acque, all’indietro tosto volgeste il corso. / Già vedevi gli uccelli con le ali stanche fermarsi nell’aria, / e le fiere crudeli trattenere le fauci; / dalle pendici corrono a quel suono le querce orecchiute, / e la vetta del Pelio, nuda, scuote le cime. / E già aveva addolcito tutte le cose col canto materno, / quando tacque, e depose la melodiosa lira.’ (trad. Bausi). 758 Cf. C. Munro Pyle, ‘Le thème d’Orphée dans les oeuvres latines d’Ange Politien’, Bulletin de l’Association Guillaume Budé 39 (1980), pp. 408-419; G. Boccuto, ‘Riscrittura del mito nella letteratura umanistica: i Nutricia di Poliziano’, in: Presenze classiche nelle letterature occidentali. Il mito dall'età antica all'età moderna e contemporanea, a.c.d. M. Rossi Cittadini, Perugia, IRRSAE/GESP, 1995, pp. 493-497. 757 257 CAPITOLO 6 sul viaggio degli Argonauti.759 Anche il poeta italiano Luigi Tansillo (1510-1568) si lasciò forse ispirare dall’edizione delle Argonautiche. Nel suo Canzoniere descrive un altro momento della spedizione, la partenza dell’Argo:760 Quando dal lido uscìo la nave d’Argo, quante lacrime fur su l’acque sparse, nel modo, ch’oggi io, misero, le spargo! Che fea, se v’era alcun che d’amor arse, quando da la sua donna, e sovra un legno, e per tant’acque vide allontanarse? Ma il buon Orfeo, che col medesmo legno arava il mar, così li consolava, al suon cantando del suo curvo legno. E l’aure e i pesci, mentre ch’ei cantava, correan dietro alla poppa per udire, e l’onda sotto i remi si corcava. (Tansillo, Canzoniere, I, capitolo 3, vv. 37-72) Il canto di Orfeo consola gli Argonauti che devono partire dalle loro donne amate, ma il poeta Tansillo non sarà consolato da nessuno quando la sua donna sarà partita. Di nuovo la funzione principale di Orfeo come Argonauta è quella di cantante, sia per divertire gli altri eroi, che per consolarli nel momento della partenza.761 Anche sui pannelli lo incontriamo come cantante, mentre sta divertendo gli altri Argonauti o sta addormentando il drago che sorveglia il vello d’oro. Benché Orfeo faccia dunque parte del gruppo di eroi che devono adempiere un incarico difficile e pericoloso, in realtà lui serve soprattutto come intrattenitore delle truppe. Non cambia dunque veramente la sua funzione di musicista eccellente. 759 Ziegler, op.cit., p. 50. Altri riferimenti a Orfeo Argonauta si trovano in: Tasso, Rime, 1372; 1408; Discorsi del poema eroico, libro 2, 14 ; Barbaro, Orationes contra poetas, I, 16-19; Genesio (Elfiteo), Elegiae, 1, 17; 2, 23. 761 Anche nella Lyra (1503) di Giovanni Pontano Orfeo partecipa al viaggio degli Argonauti (Lyra, I, ‘De Orpheo navigante et post ad inferos pro uxore descendente’, vv. 1-48). Anche in questo passo Orfeo funziona chiaramente come cantante che deve spronare gli Argonauti ad azioni eroiche. Mentre gli Argonauti sono descritti come eroi che sono simili agli dei, Orfeo non fa parte del loro gruppo, ma è caratterizzato come vate o sacerdote. 760 258 TOPOI, REAZIONI ED INNOVAZIONI 6.3 CIVILIZZATORE Già Poggio Bracciolini disse in una famosa lettera del 1416 a Guarino Veronese che gli uomini si distinguevano dalle bestie per l’intelletto e per la loro eloquenza. L’importanza dell’eloquenza per gli umanisti quattro- e cinquecenteschi fu enorme. L’idea che Orfeo con la sua eloquenza avesse civilizzato gli uomini e dunque ingrandito il divario tra l’uomo e la bestia era molto gradita. Nel Trecento Boccaccio aveva legato la fama di Orfeo come uomo eloquente alla sua capacità di spiegare allegoricamente l’addomesticamento degli animali (come Orazio e Dante avevano fatto prima di lui in modo diverso). L’allegoria piace anche a Cristoforo Landino, per il quale Orfeo rappresentava in prima istanza il poeta-teologo. Nella Prolusione petrarchesca troviamo uno dei tanti riferimenti a questa allegoria: La eloquenzia poté da principio gl’uomini, e’ quali a guisa di fiere sanza costumi, sanza leggi e’ boschi e le spilonche abitavono, in uno ceto e congregazione ragunare, e, ragunati, alle leggi e al giusto vivere sottomettergli. Né altro vollono dire e’ poeti che Orfeo potessi con sua citara le fiere far mansuete, muovere e’ sassi e le selve e fermare e’ fiumi, se non che poté con suo dolce parlare gl’uomini, e’ quali erono alla virtù insensati e quasi di sasso e alla voluttà del corpo furiosi e pieni d’empito, ridurre a civil vita. Né crediate che Anfione potessi per forza di suo canto acozare pietra a pietra e così edificare le mura di Tebe, ma con questa già tante volte nominata eloquenzia poté quel medesimo che Orfeo. (Landino, Prolusione petrarchesca, p. 39) Landino rappresenta un Orfeo che addomestica le fiere, muove i sassi e ferma i fiumi in un’allegoria dell’eloquenza che raccoglie gli uomini e li sottopone alla legge. Orfeo è in grado di civilizzare gli uomini rozzi con il suo ‘dolce parlare’. In un frammento dell’Orazione dedicatoria (1481) Landino spiega il potere di Orfeo in parole molto simili.762 Landino non sembra interessarsi dunque soltanto di Orfeo come poeta-teologo, ma anche come poeta-musicista e come civilizzatore dell’umanità. Si noti, però, che Landino non si riferisce mai all’amore di Orfeo per Euridice. Landino non considera Orfeo il personaggio mitologico che conosciamo dalle Georgiche di Virgilio e dalle Metamorfosi di Ovidio. Orfeo è piuttosto un uomo storico: il poeta e teologo che instaurò l’orfismo e che in qualità di poeta era considerato un Dio dai posteri (§ 3.1.2). I racconti sul potere ammaliante della sua cetra non vanno presi alla lettera, ma devono essere letti come allegorie, che mostrano la funzione civilizzatrice dell’eloquenza. La forza civilizzatrice della poesia e dell’eloquenza 762 Landino, Orazione di messer Cristoforo Landino fiorentino avuta alla illustrissima signoria fiorentina quando presentò el comento suo di Dante, p. 169. Altri riferimenti all’allegoria di Orfeo e gli animali nell’opera di Landino si trovano in: Epistola Landini quam Etrusco sermone discipulis suis dedit; Proemio al commento dantesco, p. 145; Introduzione all’Eneide, p. 228. Vedremo nel paragrafo successivo che, contrariamente a Landino, Ficino si riferisce qualche volta a Orfeo amante. 259 CAPITOLO 6 costituisce anche l’argomento centrale dei Nutricia di Angelo Poliziano, nella quale opera il potere del canto di Orfeo è descritto in vari luoghi.763 Giuseppina Boccuto mostra in modo convincente che gli intenti dei Nutricia (un panegirico della poesia) inducono Poliziano a presentare un’immagine positiva di Orfeo e dunque a manipolare il mito in modo sottile: i personaggi domati dal canto di Orfeo sono resi più crudeli per sottolineare l’eccellenza del canto di Orfeo; lo sguardo indietro non riceve quasi nessuna attenzione; la morte è l’unica occasione in cui non serve la poesia ed è omessa l’omosessualità di Orfeo. Così Poliziano crea un Orfeo diverso da quello nella Fabula, che rappresenta soltanto la forza civilizzatrice della poesia.764 Anche nel Cinquecento Orfeo poeta civilizzatore si trova spesso nei trattati poetici, per sottolineare la funzione civilizzatrice della poesia.765 Questo aspetto è dunque legato soprattutto ad un genere letterario specifico. In Della poetica (1536) Bernardino Daniello dice che la poesia è l’arte più antica e più nobile. Il poeta è in grado di esprimere e narrare non solo tutte le azioni e le idee umane, ma anche quelle di Dio e della natura. Così anche il mito di Orfeo che addomesticava le tigri e i leoni deve essere interpretato come un’allegoria della civilizzazione degli uomini tramite l’eloquenza.766 La stessa opinione si trova fino alla fine del secolo, per esempio nei Discorsi del poema eroico (1594) di Torquato Tasso, dove Tasso sottolinea l’importanza dell’eloquenza dicendo che gli uomini si distinguono dalle bestie per l’uso della parola. Il passo mostra chiaramente la funzione di Orfeo nel pensiero umanistico.767 Il potere ammaliante della musica di Orfeo non è visto sempre come una cosa positiva. Ne La civil conversazione Stefano Guazzo (1530-1593) accusa Orfeo di aver congregato gli uomini, per cui la vita innocente di una volta è stata contaminata dai vizi. Adesso la gente colta si deve ritirare nei luoghi rimoti per fuggire la ‘vil plebe’: 763 Poliziano, Sylvae, Nutricia, vv. 124-131; 283-317. Boccuto, ‘Il mito di Orfeo nei Nutricia’, cit., p. 223-229; 240. Nel secondo frammento Poliziano elenca molti elementi del mito di Orfeo tra cui alcuni particolari notevoli: Neanto che cercò di suonare la lira di Orfeo dopo la morte del poeta fu sbranato da cani (Luciano, Adv.indoct. 12); la statua di Orfeo a Libetra stillò sudore (Plut. Alex. 14, 8). Una descrizione elaborata delle fonti di quest’opera si trova in: A. Poliziano, Silvae, a.c.d. F. Bausi, Firenze, Olschki, 1996. Anche questi particolari furono aggiunti per sottolineare la forza della poesia. 765 Non troviamo Orfeo civilizzatore solo nei trattati poetici del Cinquecento, ma anche in alcune altre opere letterarie. Nelle Satire (1517-25) di Ariosto il mito di Orfeo che intenerisce le tigri e i leoni con il canto, è chiamato una finzione degli scrittori. In realtà si tratta di un’allegoria degli uomini che abandonarono le selve, si unirono e si sottoposero alla legge. (Ariosto, Satire, VI (A messer Pietro Bembo)). 766 Daniello, Della poetica, libro primo, [11], p. 234. 767 Tasso, Discorsi del poema eroico, libro 5, 1. Altri riferimenti all’allegoria della civilizzazione in trattati di poetica si trovano in: Bartolo, Ragionamenti accademici di Cosimo Bartolo gentil'huomo et Accademico Fiorentino, sopra alcuni luoghi difficili di Dante, libro 3. p. 35r; Conti, De arte poetica, oratio XXIV, pp. 145v146 (p. 132); Pontano, De Sermone, II, V, 7. L’allegoria si trova anche in: Dolce, Dialogo dei colori, p. 115 (BiVio). 764 260 TOPOI, REAZIONI ED INNOVAZIONI Ora se vogliamo considerare, oltre al servigio di Dio, quanto all’instituzione e alla felicità nostra conferisca la vita solitaria, non potremo se non maledire chi che egli si fosse, o Saturno o Mercurio o Orfeo o Anfione, che raunò insieme le genti disperse per le selve e per li monti. Dove servendosi della natura per legge, e non credendo alla fallace altrui persuasione ma alla propria conscienza, e vivendo una semplice, fedele e innocente vita, ancor non avevano aguzzata la lingua nella fama del prossimo, né rivolto l’ingegno alle persecuzioni, né contaminati i costumi nella peste de’ vizii, che cominciò a scoprirsi nelle città e nelle congregazioni degli uomini. E però voi vedete che naturalmente tutte le persone di valore e d'intendimento, per fuggir la vil plebe, a cui dilette il conversare e ‘l far numero, si ritirano con sommo piacere in luoghi rimoti alle belle e lodevoli speculazioni. (Guazzo, La civil conversazione, 1 C16d) Un’altra reazione negativa alla reputazione di Orfeo l’abbiamo già vista nel Dialogo contra i poeti di Francesco Berni (§ 6.1). Tuttavia, il poeta serve più spesso come dimostrazione del fatto che l’eloquenza civilizza gli uomini.768 Anche su dipinti e disegni quattro- e cinquecenteschi Orfeo è spesso raffigurato con una schiera di animali che ascoltano la sua musica. Senza commenti espliciti è difficile stabilire se dobbiamo leggere i dipinti di Orfeo e gli animali in chiave allegorica. L’allegoria dell’eloquenza che distingue gli uomini dagli animali non sembra particolarmente adatta al genere della pittura, come lo è invece ai trattati poetici. Si potrebbe assumere che il tema di Orfeo e gli animali era soltanto un pretesto per riunire molti animali diversi in un quadro. Nell’antichità romana Orfeo e gli animali erano spesso raffigurati nei mosaici (§ 1.3.3). In questi mosaici gli animali a poco a poco ottenevano un posto sempre più importante facendo quasi scomparire Orfeo. Lo stesso fenomeno si vede in un’incisione (1558) di un anonimo veneziano, dove Orfeo sparisce quasi tra una moltitudine di animali diversi. (ill. 6.3).769 768 Una spiegazione allegorica straordinaria del potere del canto di Orfeo si trova nella lettera (dopo 1553) del veneziano Giorgio Gradenigo a Giulia da Ponte. 769 Anonimo veneziano, Orfeo e gli animali, incisione, 1558. Firenze, Galleria degli Uffizi, vol. 10169 (riprodotto da Scavizzi, op.cit.). 261 CAPITOLO 6 6.3 Anonimo veneziano, Orfeo e gli animali, 1558 / 6.4 Bassano, Orfeo e gli animali Anche i quadri dei fratelli Bassano che rappresentano Orfeo e gli animali danno l’impressione che i pittori abbiano solo approfittato della figura di Orfeo per poter dipingere insieme molte specie animali (ill. 6.4).770 Come abbiamo visto nel § 5.1.2 Lomazzo definisce il motivo semplicemente come un’ ‘historia di gioia’. Tuttavia, il mero desiderio di dipingere degli animali non spiega forse sufficientemente la grande popolarità di questo motivo nelle arti figurative. Forse gli umanisti commissionavano tali dipinti per rappresentare l’importanza dell’eloquenza per la civilizzazione dell’uomo e per sottolineare la loro conoscenza dell’antichità. Anche Schröter dice che non sorprende l’aumento delle rappresentazioni di Orfeo nel Cinquecento in Italia (e al nord delle Alpi), perché la sua eloquenza, la poesia e la musica corrispondevano con gli ideali degli ‘studia humanitatis’.771 Nell’emblematica si vedevano spesso delle immagini di Orfeo con gli animali con una descrizione della forza dell’eloquenza, della poesia e della musica.772 Da questi emblemi risulta che anche le immagini di Orfeo con gli animali potevano essere interpretate allegoricamente come la civilizzazione dell’umanità da parte dell’eloquenza. L’Iconologia di Cesare Ripa (ed. 1603), un manuale per artisti, conferma questi risultati. Ripa spiega una medaglia antica con l’immagine di Orfeo e gli animali come un’allegoria dell’eloquenza: Eloquenza nella Medaglia di Marc’Antonio. Era da gli Antichi Orfeo rappresentato per l’Eloquenza et lo dipinsero in habito filosofico, ornato dalla tiara Persiana, sonando la lira, et avanti d’esso vi erano Lupi, Leoni, Orsi, 770 Francesco Bassano (-1592), Orfeo, pittura a olio. Roma, Galleria Doria Pamphili, no. 5367; F. Bassano, Orfeo e gli animali, disegno. Firenze, Galleria degli Uffizi; F. Bassano, Orfeo e gli animali, pittura a olio, ca. 1590. Vicenza, Pinacoteca; Bassano, Orfeo e gli animali, pittura a olio (99x140 cm); Bassano, Orfeo e gli animali, pittura a olio (40x108 cm); Studio di F. Bassano il giovane, Orfeo e gli animali, pittura a olio (120x155 cm). Altri esempi di rappresentazioni di Orfeo e gli animali sono: Anonimo (Prospero Fontana?), Orfeo e gli animali, 1544-45. Roma, Castel S. Angelo, Sala dei Festoni. 771 Schröter, op.cit., p. 134. 772 A. Henkel & A. Schöne, Emblemata: Handbuch zur Sinnbildkunst des XVI. und XVII. Jahrhunderts, Metzler, Stuttgart, 1978. Non ho trovato esempi italiani. 262 TOPOI, REAZIONI ED INNOVAZIONI Serpenti et diversi altri animali che gli leccavano i piedi, et non solo v’erano anco diversi uccelli che volavano, ma ancora monti et alberi che se gli inchinavano et parimente sassi dalla musica commossi et tirati. Per dichiaratione di questa bella figura ci serviremo di quello che ha interpretato l’Anguillara a questo proposito nelle Metamorfosi d’Ovidio al lib. 10. dicendo che Orfeo ci mostra quanta forza et vigore habbia l’eloquenza […] (Ripa, Iconologia overo Descrittione di diverse Imagini cavate dall'antichità et di propria inventione, Eloquenza E., p. 128) La scelta di parole di Ripa ricorda la descrizione di Orfeo nel Libellus de imaginibus deorum (‘in habitu philosofico’, cf. § 1.5.3). Secondo Ripa la sua interpretazione allegorica è riprodotta dalla traduzione delle Metamorfosi di Anguillara. L’interpretazione successiva delle selve come uomini ostinati e fissi e dei fiumi come uomini lascivi, eccetera, mostra che l’autore ha usato un’edizione con il commento di Horologgi che si basa direttamente sulle Genealogie di Boccaccio. Il testo mostra che le traduzioni delle Metamorfosi formavano una fonte di conoscenza per trattati iconologici e di conseguenza probabilmente per artisti. 6.4 ORFEO ED EURIDICE AMANTI FEDELI Marsilio Ficino descrisse Orfeo in prima istanza come il poeta-teologo che ottenne da Mosè la conoscenza dell’unico vero Dio. Qualche volta Ficino fece anche menzione di Orfeo come musicista e amante. Ne El Libro dell’Amore si trova per esempio un riferimento all’amore di Orfeo ed Euridice. Ficino cita dal Simposio di Platone tre tipi di amore: quello della donna per l’uomo, quello dell’uomo per la donna e infine l’amore tra due uomini. Orfeo è citato come l’esempio dell’amore dell’uomo per una donna.773 La presenza dell’amore di Orfeo ed Euridice nel trattato di Ficino è un caso unico. In genere il motivo si trova nella poesia lirica, come nel Trecento. In particolare Petrarca paragonava nel Canzoniere il suo amore per Laura a quello di Orfeo per Euridice. Poi nell’Amorosa visione di Boccaccio Orfeo veniva collocato nel trionfo dell’Amore. Nella poesia petrarchista del Cinquecento è ripreso il personaggio di Orfeo amante. Spesso il paragone all’amore di Orfeo ed Euridice è usato per sottolineare quanto è grande l’amore. Antonio Tebaldeo (1463-1537) paragona nelle sue Rime la poetessa Vittoria Colonna a Orfeo amante.774 Il poeta le consiglia di smettere di piangere la 773 Ficino, El libro dell’amore, I, IV, 31-34. Tebaldeo, Rime, 695 (estrav.). Un altro poeta petrarchista, Luigi Tansillo (1510-1568), elabora lo stesso motivo nel suo Canzoniere. Secondo il poeta Orfeo non amò Euridice come lui stesso ama la sua donna (Tansillo, Canzoniere, V, son. 121). Altri esempi dell’uso di questo motivo sono: Bernardo Pulci, Canzoniere, 774 263 CAPITOLO 6 morte del marito, perché Morte non glielo restituirà. Infatti, siccome l’amore di Vittoria non è minore di quello di Orfeo, neanche lei potrà fare a meno di guardare indietro e di perdere di nuovo l’amante. Notevole in questa poesia è che una donna interpreta il ruolo di Orfeo. Qualche volta il paragone a Euridice serve a celebrare la bellezza di una donna. Nel Morgante di Luigi Pulci Rinaldo dice per esempio che Orfeo non si sarebbe sforzato tanto per Euridice, se avesse conosciuto Antea.775 Non sempre l’amore di Orfeo è visto come il modello migliore da seguire. In una poesia alla poetessa petrarchista Laura Battiferri, Benvenuto Cellini (1500-1571) paragona la sorte di un’altra Laura (quella di Petrarca) alla sorte di Euridice. Mentre Orfeo perdette Euridice nell’inferno, Petrarca elevò Laura al paradiso dove la raggiunse: Con quel soave canto e dolce legno ne corse ardito Orfeo per la consorte: Cerber chetossi, e le tartaree porte S’aperser, ché Pluton ne lo fe’ degno. Poi gli rendette il prezïoso pegno; ma d’accordo non fu seco la Morte. Voi, gentil Laura, quanto miglior sorte aveste al scendere al superno regno! Lassù v’alzò il Petrarca, e dietro poi ne venne a rivedervi in paradiso; sète scesi in un corpo ora ambidoi. Felice Orfeo, s’avea tale avviso: cangiar la spoglia arìa fatto qual voi, ch’amor, vita e virtù non v’è diviso. (Cellini, Rime, LXI) Questa poesia mostra bene la continuità del paragone dell’amore di Orfeo ed Euridice e quello di Petrarca e Laura nella poesia cinquecentesca, ma mostra anche che l’amore di Orfeo ed Euridice non era sempre considerato un esempio positivo. Il frammento di Cellini mostra che l’amore di Orfeo non è adatto come exemplum per gli amanti, se non si omette l’esito infelice. Infatti, è meglio seguire l’esempio di Petrarca. Trionfi nuziali Il grande amore di Orfeo non fu soltanto un motivo popolare nella poesia amorosa, ma anche alle feste di nozze. Nella seconda metà del Quattrocento le entrate di un principe nel LXXXI; Almerici da Pesaro, Rime, CLXXXII.Lo stesso motivo si trovava anche nella poesia di fine Quattrocento (Correggio, Fabula di Cefalo, atto IV, 9, 20; Gallo, Rime, parte 1b (A Lilia-Canzoniere), 65). 775 Luigi Pulci, Morgante, cantare XVI, 33. Altri esempi si trovano in: Bernardo Pulci, Canzoniere, CV; XXXV. 264 TOPOI, REAZIONI ED INNOVAZIONI suo dominio, le visite di uno stimato ospite straniero, la nascita o il battesimo di un nuovo erede, l’inaugurazione di un nuovo principe o le nozze del principe furono spesso occasioni per entrate trionfali e spettacoli.776 Dopo le guerre italiane i nuovi signori (come i Medici a Firenze) il cui potere non era garantito dalla tradizione, non cercavano di ottenere il consenso del popolo, ma di mantenere il loro potere attraverso gli spettacoli. Tra il 1450 e il 1550 i trionfi adottarono uno stile e delle immagini antichi, come ogni manifestazione rinascimentale. Incontreremo nuovamente nel § 6.7 l’uso di figure mitologiche per motivi di propaganda. Orfeo figurò ad almeno tre feste di nozze di fine Quattrocento: le nozze di Eleonora d’Aragona con Ercole I d’Este (1473), le nozze di Cammilla d’Aragona con Costanzo Sforza (1475) e le nozze di Isabella d’Aragona con Gian Galeazzo Sforza (1489). Spesso Orfeo si presentò durante il banchetto, ma qualche volta figurò in una favola mitologica che si svolse dopo la cena. Nel 1473 Eleonora d’Aragona, figlia del re di Napoli, si sposò con Ercole I d’Este. Il viaggio di Eleonora da Napoli a Ferrara fu accompagnato da una serie di festeggiamenti nelle città più importanti lungo la strada. Quando si arrivò a Roma il 5 giugno, c’erano di nuovo delle feste, organizzate dal cardinale di S. Sisto, Pietro Riario. Riario aveva messo in scena un banchetto spettacolare: ‘le vivande sono confezionate come storie, e vengono con suoni, canti, interventi di buffoni; fra le portate si hanno azioni rappresentative a meraviglia e a ingegni, che culminano nella danza mitologica finale.’777 Dopo la prima portata di vivande Orfeo arrivò sulla scena: quattro servitori portarono un monte, sul quale Orfeo stava cantando dei versi latini.778 Intorno al monte si trovavano vari tipi di animali, che Eleonora enumera con grande precisione in una lettera. Alessandro Perosa ha dimostrato che i versi cantati da Orfeo fanno parte di una serie di epigrammi composti per la festa da parte di Domizio Calderini.779 Item incontinente venero quactro con un monte in collo et adpresso al monte tre paghì integri, una pagonessa con pulcini, duy fasani, una gena, duy drongne, duy caprioli tucti integri, et uno urso vivo. Tucti quisti animali se misero adtorno allo monte, sopra uno cantava li infrascripti versi: 776 J. Godwin, The Pagan Dream of the Renaissance, Phanes Press, Grand Rapids. 2002, p. 181. Clelia Falletti, ‘Le feste per Eleonora d’Aragona da Napoli a Ferrara (1473)’, in: Spettacoli conviviali dall'antichità classica alle corti italiane del '400. Atti del VII Convegno di Studio, Viterbo, 27-30 Maggio 1982, Centro di Studi sul Teatro Medioevale e Rinascimentale, Viterbo, 1983, p. 277. 778 L’idea di Orfeo seduto su un monte mentre canta dei versi latini si trovava anche nella rappresentazione teatrale di Poliziano, che probabilmente aveva luogo dopo questa festa. 779 A. Perosa, ‘Epigrammi conviviali di Domizio Calderini’, in: A. Perosa & P. Viti, Studi di filologia umanistica, III. Umanesimo italiano, Edizioni di storia e letteratura, Roma, 2000, pp. 143-156. 777 265 CAPITOLO 6 (Eleonora d’Aragona, ‘De triumpho inclite Ducixe Ferrarie facto sibi Rome’)780 Dum caelum et summi modulatur fata Tonantis Orpheus, inventae clarus ab arte lyrae, subsistunt amnes, miratur silva, volucres conveniunt, dapibus praeda parata Iovis. Herculis at quanto melior fortuna: negata est Eurydice, Alcidae nunc Leonora datur. (Calderini, Epigrammi conviviali, I ‘Orpheus’)781 Orfeo è presente alle nozze per due ragioni: in primo luogo introduce gli animali che si mangiano durante il banchetto; in secondo luogo si fa un confronto fra l’amore negato a Orfeo e l’amore dato a Ercole in questo momento. L’opposizione ormai classica tra Ercole e Orfeo, che abbiamo incontrato nel De laboribus Herculis di Salutati e nella Camera degli Sposi di Mantegna, si manifesta qui in modo diverso. La sventura matrimoniale di Orfeo è opposta alla fortuna di Ercole (d’Este). Lo stesso trionfo è stato descritto dallo storico Bernardino Corio.782 Secondo la descrizione di Corio tutti gli animali sono ancora ‘vestiti’, cioè cotti nella pelle, affinché sembrino vivi. L’unico animale veramente vivo è l’orso, che Eleonora descrive esplicitamente come tale. Forse si è voluto creare un contrasto tra gli animali ‘innocenti’, come il cervo e i caprioli, e le fiere, come l’orso, che normalmente non vivono insieme in pace. Così Orfeo ha una funzione riconciliatrice tra gli animali. Questa funzione si accorda bene con il carattere di una festa nuziale, dove si festeggia l’unione di due spiriti in un’alleanza eterna. Anche le nozze di Costanzo Sforza e Cammilla d’Aragona nel 1475 furono festeggiate con grande pompa. Costanzo Sforza era il principe di Pesaro e Cammilla era la nipote del re di Napoli. Le feste nuziali sono state descritte da un servitore di Costanzo.783 Orfeo appare tra le vivande di Apollo. Prima l’autore descrive l’aspetto di Orfeo, che concorda con l’immagine di Orfeo sul disegno accluso (ill. 6.5). Poi riproduce le parole cantate da Orfeo, in cui Orfeo si presenta come poeta di Apollo e dice di portare con sé un grifone, un lauro, cibi e altri regali per gli sposi. Alla fine l’autore enumera le vivande che accompagnano l’apparizione di Orfeo. 780 La lettera di Eleonora è stata pubblicata interamente in: Corvisieri, ‘Il trionfo romano di Eleonora d’Aragona’, Archivio della reale società romana di storia patria 10 (1887), pp. 645-654. Eleonora cita anche le parole dell’epigramma, ma l’edizione di Perosa è più precisa. 781 ‘Mentre Orfeo, preclaro per l’arte della lira che ha inventato, canta del cielo e delle vicissitudini del sommo Tonante, i fiumi si fermono, la selva mira, gli uccelli si uniscono, e la preda è preparata per la cena di Giove. Ma quanto migliore è la fortuna di Ercole: è negata Euridice, ma ora ad Alcide è data Leonora.’ 782 B. Corio, La Istoria di Milano, Vinegia, 1554, pp. 417sgg. 783 Lionardo da Colle, Le nozze di Pesaro, BAV Cod.Urb.Lat. 899. 266 TOPOI, REAZIONI ED INNOVAZIONI 6.5 Anonimo, Orfeo, Le nozze di Pesaro, 1475 Come alle nozze di Eleonora d’Aragona Orfeo appare senza Euridice. Mentre alle nozze precedenti Orfeo aveva una funzione duplice, come cantante che raduna gli animali e come amante infelice di Euridice, qui lui sembra essere stato investito soltanto del ruolo di antico poeta e rappresentante di Apollo. Orfeo è un uomo anziano (canuto) con un abito all’antica. Il cantante suona una lira d’oro in forma di testuggine. Il suo cappello è incoronato d’alloro. L’intera sua comparsa indica il suo stato di famoso e rispettabile poeta greco. Orfeo porta con sé un grifone d’oro che tiene in mano un lauro, da cui emerge il sole: tutti simboli di Apollo, il dio della poesia, dell’ispirazione e della profezia, per sottolineare l’origine divina della poesia di Orfeo.784 Durante le nozze di Isabella d’Aragona e Gian Galeazzo Sforza, il duca di Milano, nel 1489 Orfeo si presenta di nuovo come amante. Le nozze erano celebrate con una sfilata mitologica e perfino con una specie di ‘dramma’ mitologico. Orfeo narra come stava vagando negli Appennini e piangendo la sorte di Euridice, quando udì parlare della magnificenza delle nozze, che erano celebrate nella valle. Mentre scendeva per assistere alle nozze, gli uccelli volarono all’armonia della sua lira. Orfeo offre agli sposi gli uccelli che ha catturato ed introduce dunque una nuova vivanda.785 Dopo la cena si presenta una ‘favola’ che si accorda bene con quello che gli sposi e i loro ospiti videro finora. Per primo entra Orfeo, in un abito grecizzante e coronato con l’alloro, e invoca Imeneo. Il dio delle 784 Schröter, op.cit., p. 123. Il testo è stato pubblicato in: Residua e bibliotheca Patricii nobilissimi Lucii Hadriani Cottae studio et opera Joannis Puricelli, Mediolani, 1644, pp. 63-85 (pp. 75-77: il banchetto di Tortona). Qui citiamo da: Casini Ropa [1983], pp. 301-303. La versione più nota dello spettacolo si trova nella traduzione libera in italiano riportata da Stefano Arteaga, La rivoluzione del teatro musicale italiano dalla sua origine fino al presente, Bologna, 1783-85, vol. III, pp. 133-37. La descrizione da parte di Arteaga dello stesso evento è molto più lunga e completamente diversa dal testo latino, ma è probabilmente un’invenzione dell’autore stesso per dare all’evento un carattere più drammatico (Casini Ropa, op.cit., pp. 301-303). 785 267 CAPITOLO 6 nozze appare subito accompagnato da una schiera di ragazzi che rassomigliano a Cupido e che cantano dei canti matrimoniali (‘hymenaea’). Poi si presentano le tre Grazie seguite dalla Fede coniugale: Sublatis mensis, accomodatissima praesenti rei fabula inducta est. Ingressus primo Orpheus, Graecanico habito ornatus, atque laureatus, Hymenaeum ad cytharam citavit. Is, incedens turba puerorum Cupidinis specie ornatorum comitatus, introivit : qui alternis epigrammatis Hymenaea cantitabant. Tum tres Charites, uno concinctae cingulo, triangularem in formam versae, in mutuum adspectum se statuerunt: aptosque versiculos earum postrema recitavit. Has Fides conjugalis subsequuta est, candida veste obtecta, dextra candidissimum lepusculum, sinistra torquem jaspidum gestans, ac ardenti corde officia sua indicans: quae postquam sese sponsae dedidit. (Tristanus Calchus, Nuptiae Mediolanensium Ducum sive Joannis Galeacii cum Isabella Aragona Ferdinandi Neapolitanurum Regis nepte, )786 Quando la Fede si è offerta alla sposa, Mercurio discende dal cielo e introduce la Fama, che si trova tra Virgilio e Livio. La Fama si presenta come la nunzia del bene e del male. Poi entra Semiramide con una schiera di donne impudiche, come Elena, Medea e Cleopatra. La Fede coniugale impedisce loro, però, di contaminare la mente della sposa con le loro storie infami. Segue un gruppo di donne oneste, come Lucrezia e Penelope, che offrono alla sposa delle palme del pudore. Secondo Guthmüller Orfeo simboleggia in questo contesto l’amore e la fede coniugali, perché Imeneo e la Fede coniugale si trovano vicino al cantante. Anche la Fabula di Orfeo di Poliziano va vista secondo lui come un’esaltazione dell’amore coniugale, come abbiamo menzionato nel capitolo precedente.787 L’amante non funziona dunque soltanto come topos o stereotipo nella poesia petrarchista, ma rivive anche alle nozze dell’élite. Nelle feste nuziali Orfeo si allontana dalla 786 Citato da: Casini Ropa, op.cit., pp. 301-303. ‘Quando erano state tolte le tavole, fu rappresentata una favola molto adatta alla cosa presente. Essendo per primo entrato Orfeo, ornato con un abito greco, e laureato, egli recitò un imeneo alla cetra. Quello entrò, procedendo accompagnato da una folla di ragazzi ornati al modo di Cupido. Questi cantavano degli imenei alternati con epigrammi. Poi le tre Grazie, legate con una cintura, volte in una forma triangolare, si collocarono in mutua vista: e l’ultima di queste recitò dei versetti idonei. A queste succedette la Fede coniugale, vestita in una candida veste, tenendo nella destra un leprotto bianchissimo e nella sinistra un girocollo diasprino, annunciando i suoi doveri con cuore ardente: dopo aver offerto se stessa alla sposa.’ 787 Guthmüller, ‘Mythos und dramatisches Festspiel an den oberitalienischen Höfen des Quattrocento’, in: Idem, Studien zur antiken Mythologie in der italienischen Renaissance, Acta Humaniora, VCH, Weinheim, 1986, p. 72. Dalla sua descrizione viene fuori che Guthmüller ha usato la traduzione di Arteaga invece del testo originale di Calco. L’amore di Orfeo per Euridice è poi descritto nelle orazioni nuziali di Antonio Costanzi (1435-1490). Nella prima orazione l’autore discute l’eccellenza del matrimonio. Dopo l’origine del matrimonio sono trattati i vantaggi: tra gli esempi storici e mitologici si trova anche Orfeo che piange Euridice (J.-L. Charlet, ‘La mythologie dans un poème et un discours de mariage d'Antonio Costanzi’, in: L. Rotondi Secchi Tarugi, Il mito nel Rinascimento, Nuovi Orizzonti, Milano, 1993, pp. 27-40). 268 TOPOI, REAZIONI ED INNOVAZIONI sfera della letteratura e delle immagini per diventare una figura quasi reale, che si muove tra il pubblico. Queste comparse teatrali di Orfeo durante le nozze si svolgono quasi contemporaneamente alla sua presenza nella rappresentazione teatrale di Poliziano. Alcuni trionfi avevano probabilmente luogo prima della Fabula di Orfeo e influenzarono la scelta di Orfeo come figura teatrale. La castità di Euridice Nelle arti figurative le rappresentazioni dell’amore di Aristeo per Euridice cominciano man mano a sostituire quelle dell’amore di Orfeo ed Euridice. La fuga di Euridice dal pastore che la insegue è un tema particolarmente popolare su cassoni oppure spalliere.788 Nel capitolo 4 abbiamo discusso i cassoni di Jacopo del Sellaio, dei quali uno rappresenta l’inseguimento di Aristeo. Nonostante la prima apparizione di Aristeo sul pannello che ora si trova a Rotterdam, Orfeo è ancora presente in primo piano negli altri due pannelli. Tali cassoni o spalliere erano offerte alla sposa durante le feste di nozze e servivano come decorazione della stanza da letto. Non sorprende dunque l’assenza della scena della morte di Orfeo : il suo rifiuto delle donne e la lacerazione da parte delle Menadi sarebbero fuori luogo in una situazione del genere.789 Un altro esempio del ruolo preminente di Euridice offre una spalliera toscana, qualche volta attribuita a Baldassare Carrari (ill. 6.6).790 Euridice sta in primo piano, mentre a destra e a sinistra le sue amiche si divertono. Aristeo la segue e Orfeo rimane quasi invisibile sullo sfondo, dove suona uno strumento. 6.6 Anonimo toscano, Aristeo insegue Euridice, ca. 1500 788 Contrariamente a storici d’arte precedenti Ellen Callmann indica i pannelli come spalliere (destinate ad essere collocate sulle pareti di una stanza) invece di cassoni (‘Jacopo del Sellaio, the Orpheus Myth, and Painting for the Private Citizen’, Folia Historiae Artium S.N. 4 (1998), p. 157). 789 Callmann, op.cit., p. 156. 790 Anonimo toscano, Euridice e le sue amiche, spalliera, 1500-1515. Ginevra, collezione privata (prima : Paris, Spiridon Collection). 269 CAPITOLO 6 Questa posizione preminente di Euridice si vede anche nelle altre spalliere della stessa serie, che rappresentano l’inseguimento di Euridice da parte di Aristeo, la morte di Euridice e la partenza di Orfeo ed Euridice dall’Ade.791 Rose Marie San Juan discute la funzione di tali spalliere.792 Le spalliere erano destinate alle stanze di persone private, e non ai discorsi umanistici di un pubblico esclusivamente maschile. Gli studi iconografici mostrano che intorno alla metà del Cinquecento i romanzi di Boccaccio su cassoni furono sostituiti con i racconti moralizzanti della mitologia greco-romana. I cassoni rappresentavano due temi principali: per gli uomini si dipingevano le avventure degli eroi antichi, che dovevano fungere da esempi (per il ruolo di Orfeo in questi cassoni cfr. § 6.2) per le donne si dipingevano i sacrifici delle eroine antiche, a modo di avvertimenti Il motivo ricorrente nei cassoni femminili è quello dell’eroina che in una situazione tragica mostra la sua fedeltà alla pudicizia e al matrimonio.793 Secondo San Juan la morte di Euridice è estesa su cinque scene separate, che formano un racconto completo e indipendente. Ogni scena è un’esibizione del corpo femminile.794 Come nei pannelli precedenti di Del Sellaio, anche nei pannelli senesi manca la scena della morte di Orfeo. Infatti, il mito sembra avere un lieto fine: Orfeo ed Euridice tornano insieme dall’Ade. Lo stesso cambiamento dell’azione o piuttosto l’omissione della fine infelice si vedeva spesso nella poesia lirica. Sono dunque inserite le attività pastorali delle ragazze, ma sono omesse la discesa di Orfeo nell’Ade e la sua morte.795 L’attenzione per la donna e per le attività e il comportamento femminili si spiega dal fatto che i cassoni erano regalati alla sposa il giorno delle nozze.796 Ellen Callmann sostiene invece, che i pannelli si basassero su una rappresentazione teatrale, in cui Euridice era la protagonista.797 Non ho, però, trovato una tale rappresentazione. Come sottolinea San Juan, anche i cantari che si basavano sulla Fabula di Orfeo focalizzavano sul vincolo coniugale, e questo formava anche la loro lezione 791 Anonimo toscano/senese, Aristeo insegue Euridice, spalliera, ca. 1500. Parigi, Musée des Arts Décoratifs, no. 343; La morte di Euridice, spalliera, ca. 1500. Dublin, National Gallery of Ireland, acc. no. NGI 4090 (prima: Dublin, Murnaghan Collection); Orfeo ed Euridice partono dall’Ade, ubicazione sconosciuta (prima: Berlin, Bottenwieser). 792 R.M. San Juan, ‘Mythology, Women and Renaissance Private Life: The Myth of Eurydice in Italian Furniture Painting’, Art History 15 (1992), pp. 127-145. 793 San Juan, ‘Mythology, Women and Renaissance Private Life’, cit., pp. 127-128. 794 San Juan, ‘Mythology, Women and Renaissance Private Life’, cit., p. 130. 795 Che l’artista non abbia mai dipinto queste scene risulta dal fatto che il paesaggio continua nei pannelli successivi (San Juan, ‘Mythology, Women and Renaissance Private Life’, cit., p. 132). 796 Anche se i pannelli con Euridice erano forse delle spalliere, la posizione centrale della ninfa è probabilmente influenzata dai costumi nuziali. 797 Callmann, op.cit., p. 157. 270 TOPOI, REAZIONI ED INNOVAZIONI morale.798 L’apprezzamento di Euridice in tali cantari potrebbe aver influenzato la sua posizione nei pannelli dipinti. Le analogie visive tra la rappresentazione di Euridice e quella della Vergine da una parte e quella di Dafne inseguita da Apollo dall’altra hanno come conseguenza, secondo San Juan, un’immagine ambigua. Euridice poteva essere vista come una donna casta, oppure arrogante, che aveva respinto un amante degno.799 Attraverso la giustapposizione della virtù femminile e della potenza di subire delle sofferenze le spose dovrebbero vedere il matrimonio non come un dovere morale, ma come un’occasione di fare una scelta eroica.800 Il mito di Orfeo ed Euridice è dunque considerato un esempio morale per i nuovi sposi, e in particolare per le donne. Per ottenere quest’interpretazione sono omessi scrupulosamente gli elementi del mito che potevano influenzare questo messaggio in modo negativo: la seconda perdita di Euridice, l’omosessualità e la morte di Orfeo. Il mito di Orfeo ed Euridice si trova anche su alcuni altri pannelli, in cui è trascurato l’esito infelice del mito.801 Anche in un grande dipinto di Niccolò dell’Abate sono raffigurati l’inseguimento e la morte di Euridice (ca. 1560).802 Orfeo si trova nuovamente solo sullo sfondo e suona per qualche animale (ill. 6.7). 798 San Juan, ‘Mythology, Women and Renaissance Private Life’, cit., p. 135. San Juan, ‘Mythology, Women and Renaissance Private Life’, cit., p. 138. 800 San Juan, ‘Mythology, Women and Renaissance Private Life’, cit., p. 139. 801 Anonimo, pannello con grisaille. Venezia, Fondazione Cini; Maestro di Stratonice (Michele Ciampanti), Storia di Orfeo ed Euridice, due pannelli, ca. 1475-90?. Ubicazione sconosciuta (cf. B. Berenson, Italian Pictures of the Renaissance. A list of the principal artists and their works with an index of places, London, Phaidon, 1968). 802 N. dell’Abate, Aristeo ed Euridice, pittura, ca. 1560-70. London, National Gallery. Altri esempi della preminenza di Euridice sono: G.M. Mosca, Euridice, rilievo di marmora, 1515-22. New York, prima nella Collezione Pierpont Morgan; G. Romano, La morte di Euridice, affresco. Mantova, Palazzo del Te, Atrio delle Muse; (Cerchia di) G. Romano, La storia di Euridice, disegno per un arazzo, ca. 1510. Prima nella Collezione Dubini a Milano. Cf. G. Frizzoni, ‘La morte di Euridice illustrata da Lorenzo Lionbruno’, Rassegna d’Arte XV [1915], pp. 189-90). 799 271 CAPITOLO 6 6.7 Nicolò dell’Abate, Aristeo ed Euridice, ca. 1560-70 Questo dipinto non era inteso come parte dell’arredamento, ma come un’opera d’arte che doveva dimostrare l’erudizione dei committenti cortegiani.803 Inoltre, il contesto mitologico costituiva una giustificazione per dipingere il corpo femminile in un paesaggio pastorale. Mentre San Juan nega l’esistenza di una precisa fonte letteraria e accenna alla presenza di molti aspetti della tradizione classica: la mitologia, il nudo, il paesaggio, eccetera, Cecil Gould suggerisce che il dipinto dipende dalle Georgiche di Virgilio.804 Soprattutto l’uomo e la donna che parlano in secondo piano hanno suscitato qualche dissenso. Si potrebbe trattare di Aristeo e sua madre Cirene, che gli dice di consultare Proteo, il dio fluviale che si vede a destra. Secondo le Georgiche Proteo aveva raccontato le avventure di Orfeo ed Euridice ad Aristeo, che cercava una soluzione per la morte delle sue api. Secondo Erika Langmuir invece, il dipinto dipende dalla Favola di Orfeo e Aristeo (cfr. 803 San Juan, ‘Mythology, Women and Renaissance Private Life’, cit., p. 140. Il quadro fu probabilmente commissionato da parte delle corte di Fontainebleau, insieme a un quadro che rappresentava il ratto di Proserpina (196 x 215 cm, ca. 1560. Paris, Musée du Louvre). 804 C. Gould, National Gallery Catalogues. The Sixteenth-Century Italian Schools, London, 1962, pp. 121-123; San Juan, ‘Mythology, Women and Renaissance Private Life’, cit., p. 141. 272 TOPOI, REAZIONI ED INNOVAZIONI § 4.2).805 In questo testo la storia della morte di Euridice fu raccontata da una ninfa al pastore Mopso. I personaggi parlanti sarebbero dunque Mopso e la ninfa, la quale si trova anche in primo piano e guarda allo spettatore. Questa interpretazione non spiega, però, la presenza del dio fluviale, come in quella di Gould.806 L’amore di Orfeo ed Euridice continua dunque a manifestarsi nella poesia lirica e si trasferisce anche al nuovo genere artistico del trionfo. Nelle arti figurative questo amore è, però, spesso sostituito con quello di Aristeo per Euridice. Questa sostituzione si deve probabilmente alla popolarità del motivo dell’inseguimento e all’idoneità di Euridice come modello femminile della castità e dell’ubbidienza ai doveri matrimoniali nei cassoni. Orfeo stesso figurava come Argonauta nei cassoni con temi maschili, come abbiamo visto nel § 6.2. 6.5 FALLITO O TRIONFANTE? La morte di Euridice si trova anche in altri dipinti, insieme allo sguardo indietro di Orfeo. Secondo Scavizzi Tiziano è il primo a focalizzare sulla figura di Euridice nel 1508-10,807 ma le spalliere toscane risalgono forse a un periodo anteriore. Mentre la morte di Euridice è dipinta in primo piano, in secondo piano si vede il ritorno dall’Ade (ill. 6.8). 6.8 Tiziano Vecellio, Euridice, ca. 1508-10 805 E. Langmuir, ‘Nicolò dell’Abate’s ‘Aristeus and Eurydice’’, The Burlington Magazine 112 (1970), pp. 107108. 806 Langmuir considera quest’interpretazione inverosimile, perché l’incontro tra Aristeo e Cirene non si svolge nelle sue stanze e non sono presenti le sue ninfe (op.cit., p. 107, n. 2). 807 Tiziano, Euridice, pittura a olio, ca. 1508-10. Bergamo, Galleria dell’Accademia Carrara, no. 205. Scavizzi, op.cit., p. 144. 273 CAPITOLO 6 Nell’interpretazione di Tiziano Orfeo non trionfa dunque sull’Ade, ma guarda indietro. Nella scelta di questo momento Tiziano potrebbe essersi basato su un dipinto di un altro pittore veneziano, Giorgione, che aveva rappresentato in secondo piano lo stesso sguardo di Orfeo.808 In primo piano, però, Orfeo guarda malinconicamente allo spettatore e sembra ricordarsi il suo fallimento. Negli affreschi di Luca Signorelli nel Duomo di Orvieto (1499-1502) il mito non aveva neanche un lieto fine.809 Nel primo affresco Orfeo suona per Plutone e Proserpina per convincerli di restituirgli Euridice. Nel secondo Orfeo ha guardato indietro ed Euridice è trascinata via dai demoni (ill. 6.9). 6.9 Luca Signorelli, I demoni afferrano Euridice, 1499-1502 Elisabeth Schröter e Rose Marie San Juan mostrano che i due medaglioni affrescati di Orfeo si trovano sotto un affresco che rappresenta i dannati nell’inferno e che si può dunque presupporre un rapporto tra il tema del grande affresco e quello degli affreschi più 808 Il quadro originale di Giorgione è andato perduto. Esistono, però, due copie: Vosterman, Orfeo, incisione; David Tenier, Orfeo, dipinto, prima nella Suida Collection e a New York, Finch College Museum of Art (Scavizzi, op.cit., p. 136; 156, n. 49). 809 L. Signorelli, Orfeo suona per Plutone e Proserpina, affresco, 1499-1502. Orvieto, Duomo, Cappella di San Brizio; Idem, I demoni afferrano Euridice, affresco, 1499-1502. Ibidem. 274 TOPOI, REAZIONI ED INNOVAZIONI piccoli.810 Orfeo si trova sul lato delle anime dannate, perché ha guardato indietro a Euridice, cioè alle cose terrene, invece di orientarsi verso Dio e verso la vita nell’aldilà. Visto in questo modo il mito di Orfeo è molto idoneo per la decorazione di una chiesa. Schröter accenna ai predecessori letterari di Signorelli: l’interpretazione platonica di Boezio e quella epicurea di Coluccio Salutati, che presenta Orfeo come l’uomo voluttuoso opposto a quello virtuoso (Ercole). Sia nella letteratura che nelle arti figurative lo sguardo di Orfeo è dunque interpretato come la ricaduta nel vizio. Nella letteratura del Trecento e del primo Quattrocento c’erano molti riferimenti allo sguardo indietro e al suo significato cristiano. Il motivo era ancora frequentemente adoperato nelle opere degli umanisti intorna a Ficino: Lorenzo de’ Medici, Angelo Poliziano e Cristoforo Landino. Nel Cinquecento il ruolo di questo motivo nella letteratura è ridotto, almeno per quanto riguarda i riferimenti espliciti al fallimento di Orfeo.811 Forse il fatto che questo motivo fu interpretato tradizionalmente in modo cristiano come il fallimento dell’uomo in cerca del sommo bene risultò nella diminuzione della presenza del motivo nella letteratura cinquecentesca. Nell’arte figurativa il motivo rimane, però, presente durante l’intero secolo, in incisioni, su piatti di maiolica e nella decorazione di stanze rappresentative.812 Due esempi prominenti del motivo in affreschi sono la decorazione della Stanza del Fregio da parte di Peruzzi (cf. § 5.2.5) e la decorazione della Galleria di Annibale Carracci nel Palazzo Farnese a Roma (ca. 1600) (ill. 6.10).813 810 Schröter, op.cit., pp. 128-129; San Juan, The Legend of Orpheus, cit., pp. 125-130; San Juan, ‘The Illustrious Poets in Signorelli's Frescoes for the Cappella Nuova of Orvieto Cathedral’, Journal of the Warburg and Courtauld Institutes 52 (1989), pp. 71-84. 811 Philiep Bossier ha gentilmente richiamato la mia attenzione sulla presenza del motivo dello sguardo indietro nella commedia cinquecentesca. Purtroppo non sono stata in grado di elaborare questo aspetto nei limiti di questa ricerca. 812 Un esempio del motivo dello sguardo indietro in un’incisione è: Agostino Carracci, Orfeo ed Euridice, ca. 1590-1595. New York, Metropolitan Museum of Art, 17.37.170. Nella maiolica il motivo si vede in: Timoteo Viti?, Orfeo nell’Ade, inizio sec. XVI. Venezia, Museo Correr; Anonimo (Faenza), Orfeo nell’Ade, ca. 1535. 813 Annibale Carracci, Orfeo ed Euridice, affresco, ca. 1600. Roma, Palazzo Farnese. 275 CAPITOLO 6 6.10 Annibale Carracci, Orfeo ed Euridice, ca. 1600 Giuseppe Scavizzi accenna alle rassomiglianze tra questo affresco e quello di Apollo e Dafne.814 Il programma iconografico della sala si basa probabilmente su Ovidio e contiene alcune storie d’amore. Secondo D. Posner i miti rappresentano ‘the theme of violence, frustrations, and even the catastrophes brought about by the capricious nature of Love.’815 La scelta del momento in cui Orfeo si volge indietro si basa forse sulla rappresentazione di questo momento nell’edizione ovidiana dell’Anguillara del 1584. Nella Galleria le vicissitudini dell’amore sono probabilmente più importanti dell’interpretazione filosoficocristiana del mito di Orfeo. In alcune incisioni di Marcantonio Raimondi del Cinquecento gli amanti sembrano tornare felici dall’Ade (ill. 6.11).816 Questa sostituzione dell’esito infelice con il trionfo di Orfeo sull’Ade l’abbiamo anche visto in un pannello toscano, e tornerà nel primo melodramma di Rinuccini e Peri (capitolo 7). Nelle incisioni di Raimondi Orfeo è incoronato come un poeta.817 814 Scavizzi, op.cit., p. 146. D. Posner, Annibale Carracci, I, New York, 1971, p. 93 (citato da Scavizzi, op.cit., p. 157, n. 61). 816 Marcantonio Raimondi, Orfeo ed Euridice, incisione, 12, 9 x 9,8 cm, ca. 1505-6. The Elisha Whittelsey Collection, 56.581.12 (Bartsch 14, 282); idem, Orfeo ed Euridice, incisione, ca. 1507-8. Firenze, Biblioteca Nazionale (Bartsch 14, 295). In un’altra incisione di Raimondi si vede soltanto Euridice che esce dalle fiamme dell’Ade o forse torna nelle fiamme (Marcantonio Raimondi, Euridice, incisione, sec. XVI. (Bartsch 14, 295; 14, 262). Anche su un piatto di maiolica il mito sembra avere un esito felice: Anonimo (Deruta), Orfeo ed Euridice, sec. XVI. Paris, Musée de Cluny, inv. 2424. 817 Scavizzi, op.cit., p. 136. 815 276 TOPOI, REAZIONI ED INNOVAZIONI 6.11 Marcantonio Raimondi, Orfeo ed Euridice, ca. 1505-1506 La scena simboleggia il trionfo dell’amore o della poesia. Secondo San Juan le incisioni di coppie famose erano molto popolari all’inizio del Cinquecento. Raimondi aggiunse Orfeo ed Euridice a queste coppie.818 Di nuovo non si focalizza dunque tanto sul significato allegorico del mito, quanto sul racconto amoroso. Mentre dunque nella letteratura il motivo dello sguardo indietro con una connotazione religioso-filosofica sembra sparire, il motivo rimane in auge nell’arte figurativa. L’interpretazione religiosa sembra, però, soltanto adatta agli affreschi di Signorelli dipinti circa nel 1500, mentre nelle altre opere d’arte si deve cercare il significato piuttosto nel contesto delle vicissitudini d’amore. In alcuni casi l’esito infelice del racconto è omesso, come abbiamo anche visto nella letteratura. Questa omissione si verifica quando Orfeo ed Euridice sono rappresentati come esempi di antichi amanti famosi, e quando la scena indica piuttosto il trionfo di Orfeo amante. 6.6 MISOGINO E OMOSESSUALE L’interesse per Orfeo nel Trecento e nel primo Quattrocento si limitò, come abbiamo visto nel capitolo secondo, piuttosto alla figura del musicista e dell’amante. Tali riferimenti a Orfeo erano diventati per la maggior parte stereotipati: gli autori ripetevano sempre la 818 San Juan, The Legend of Orpheus, cit., pp. 159-167. 277 CAPITOLO 6 stessa immagine. Non si faceva riferimento quasi mai alla uccisione di Orfeo da parte delle Baccanti. L’unica eccezione era la descrizione di Orfeo nelle Genealogie di Boccaccio, che forniva, però, un’interpretazione peculiare. Alla fine del Quattrocento la morte di Orfeo torna nella letteratura e nell’arte italiana. È difficile stabilire chi fu il primo a rendere nuovamente attuale questo aspetto del mito di Orfeo. Secondo Roesler-Friedenthal, fu Mantegna che introdusse il tema della morte di Orfeo nell’arte post-antica.819 Nella letteratura la misoginia e l’omosessualità di Orfeo furono invece elaborate da Poliziano. Dopo che questo motivo venne trattato nella Fabula lo si trova anche più spesso in altri autori. Ermolao Barbaro (1453/54-94), che era in polemica con Poliziano, lega la morte di Orfeo alla sua omosessualità, che descrive come ‘turpidine’ e ‘nefandissimo scelere’.820 Per via del comportamento degenerato di Orfeo le ‘Musarum ancillae’ lo dilaniano con i denti. Barbaro non capisce perché un cristiano debba leggere i libri di Orfeo, che menava una vita tanto indecente. L’autore si chiede come si possa chiamare teologo un uomo del genere, e come si possa pensare che quest’uomo sia il figlio di genitori divini. Barbaro confronta dunque i due lati di Orfeo, che furono noti ai neoplatonici: quello di teologo e quello di poeta-amante (di Euridice e del sesso maschile). Colpisce nella sua descrizione l’indignazione che questi due lati si possano unire in un’unica persona. L’omosessualità gli sembra incompatibile con il ruolo di Orfeo come teologo. Barbaro contesta perfino l’immagine di Orfeo teologo (cf. § 3.1). La stessa indignazione sull’indicazione di Orfeo come teologo l’abbiamo vista nel Dialogo contra i poeti di Berni. Nelle loro opere si esplicita dunque il conflitto tra l’immagine positiva e quella negativa di Orfeo. L’omosessualità di Orfeo è spesso condannata fortemente dagli autori cinquecenteschi. Nel trattato Della eccellenza e dignità delle donne (1525) Galeazzo Flavio Capra difende la donna. L’amore omosessuale di Orfeo è condannato nel paragrafo ‘De la cagione che ha mosso molti a dir male de le donne’.821 Secondo Capra sono gli uomini che seguono il vizio di Orfeo a maledire le donne. Altri per morte o per altro caso avendo la cosa amata perduta, pensarono, forse biasimando quel che avere non potevano, al dolore soccorrere. In questi fu già Orfeo che, morta l’amata sua Euridice, in istrema desperazione messo (come disse quel Fiorentino) mai amar più donna non volse. La qual cosa non era forse molto vituperosa ad uomo già attempato e d'anni pieno, se non avesse ad più abominavole vizio fatto la via. Le quali vestigia seguendo alcuni infin al dì d’oggi, con poco riguardo dicono le femine da manco esser che la più vile carogna del mondo. (Capra, Della eccellenza e dignità delle donne, p. 64) 819 Roesler-Friedenthal, op.cit., pp. 149-185. Barbaro, Orationes contra poetas, I, 22-23. Cfr. Berni, Dialogo contra i poeti, pp. 283-284 (citato nel § 6.1). 821 Un’altra opinione negativa sull’omosessualità di Orfeo è espressa in: Francesco Coppetta Beccuti, Rime, IV, CXCII, 59. 820 278 TOPOI, REAZIONI ED INNOVAZIONI Il frammento contiene un riferimento a Poliziano (‘quel Fiorentino’), cosa che dimostra che questo testo era stato consultato come fonte del racconto sull’omosessualità di Orfeo o forse anche un cantare, in cui la condanna dell’omosessualità faceva parte della morale conclusiva. L’umanista napoletano Pomponio Gaurico (1481-1530) assegna un posto centrale ad un Orfeo omosessuale nelle sue Egloghe (1526). In un dialogo Orfeo e il poeta tracio Tamira, che aveva sfidato le Muse, si disputano in versi. Orfeo comincia e Tamira risponde sempre con parole molto simili. Orfeo celebra il suo amore felice per Aminta, mentre Tamira piange il duro amore per Fillide. Cito solo un breve frammento dell’egloga : ORPHEUS Gratus amor meus est, meus ò me nutrit Amyntas. Quid mirum? Iliaco poterit certare ministro. Qui si si nostros unquam mutarit amores, Non equidem sæuæ dubitabo occumbere morti, THAMYRAS Durus amor meus est, mea me mea Phyllis adurit. Quid mirum? Idæas poterit superare puellas. Que que si diros ponet mitissima fastus, Inter mortales deus immortalis habebor. (Gaurico, Eclogae, ἐρωτικη διαλληλως, p. 84)822 Gaurico parla dunque positivamente dell’omosessualità di Orfeo. Mentre Tamira si può soltanto compiangere del suo amore per una ragazza, Orfeo esalta il suo amore per un altro uomo. Nel monologo che segue al dialogo con Tamira Orfeo si compiange che Licone non corrisponda il suo amore. Il topos della donna dal cuore di sasso è qui trasferito ad un uomo: Fingite olorinos mea carmina, fingite cantus. O cur sæue puer, cur ò fugis Orphea uatem? Cur heu cur nostros spernis male gratus amores? Non sunt mortales quei me genuere parentes. Calliope mater, pater est mihi magnus Apollo. (Gaurico, Eclogae, ἐρωτικη ἁπλως, pp. 88-89)823 822 ‘Orfeo: Grato è il mio amore, il mio Aminta mi nutrisce. Che c’è di meraviglioso? Lui potrebbe gareggiare con il ministro troiano (Ganimede). Se mai lui cambierà i nostri amori, io non dubiterò di soccombere a una morte feroce. Tamira: Duro è il mio amore, la mia Fillide mi incendia. Che c’è di meraviglioso? Lei potrebbe superare le ragazze dell’Ida. Se lei mitissima smetterà il suo disprezzo crudele, io sarò ritenuto un dio immortale tra i mortali.’ 279 CAPITOLO 6 I canti di Orfeo che potevano commuovere i leoni e far scendere gli ornelli dai monti, non sono in grado di sedurre il ragazzo. Gaurico sembra basarsi sulla Fabula di Orfeo di Poliziano: Tamira avverte Licone che la sua bellezza svanirà come quella di una rosa (così Aristeo nella canzone per Euridice); ricorda gli amori di Apollo per Giacinto e di Ercole per Ila (come Orfeo nella canzone misogina). Infine Orfeo muore per troppo amore ed è bruciato al rogo, perché le donne Ciconie non lo lacerino. Orfeo è dunque protetto dall’ira delle donne. Orfeo misogino e omosessuale si prestava anche bene alla letteratura misogina. L’Angoscia di Michelangelo Biondo (sec. XVI) è un testo in cui Orfeo stesso non è rappresentato esplicitamente come misogino, ma che lo colloca bensì in un contesto misogino. Biondo paragona la donna al veleno ed elenca una serie di donne cattive: Medea, Scilla, Biblide, Mirra, Semiramide, le figlie di Belo, le Baccanti che amazzarono Orfeo, eccetera: Del veneno altro non vi dico, perché, vedendo la donna, voi vedete manifesto veneno. E, se ciò ancora non vi basta a dare ad intendere che cosa è donna, per sodisfarvi dico che gli è quella che, per un vile ornamento, dá in man di nemici la sua patria: gli è la Medea, che con le man proprie amaza i suoi figliuoli; gli è Scilla, che segue il nemico di sua patria, avendo svelto il capillo al suo padre; gli è la Bibli, che ama vilmente il fratello; gli è la Mirra, che si suppose al suo padre (oh, cosa orrenda!); gli è la vecchia Semirami, che arde de l'amor dannoso del suo figlio; gli è una de le figlie di Belo, che la notte occide il suo marito; gli è una di quelle che fanno tagliare in pezzi Orfeo poeta; gli è la lussuriosa Pasife, la crudel Fedra, Rebecca ingannatrice; gli è Ippodamia, che inganna il padre; gli è finalmente donna Marzia meretrice, che fu cagion di morte d'imperatore Antonio Commodo. (Biondo, Angoscia doglia e pena. Le tre furie del mondo, Angoscia, p. 83) Nel De causa, principio e uno di Giordano Bruno (1584) Poliinnio elenca molte caratteristiche negative delle donne. Gervasio avverte Poliinnio e gli altri umanisti che in tal modo si sarebbero tirati addosso la furia delle donne, come fece già Orfeo.824 Baldassare Castiglione allude a Orfeo misogino che maledice le donne ne Il libro del Cortegiano (1528). Alcune donne corrono per scherzo dal signor Gasparo per picchiarlo, e Castiglione le paragona alle Baccanti che avevano picchiato Orfeo.825 Questi testi non trattano esplicitamente dell’omosessualità come causa della morte di Orfeo, ma mettono in guardia il lettore dal pericolo di una donna arabbiata. Il comportamento di Orfeo è dunque 823 ‘Trasforma le mie canzoni nei canti di un cigno. Perché, ragazzo feroce, o perché fuggi dal vate Orfeo? Deh, perché ingrato disprezzi i nostri amori? Non sono mortali i genitori che mi generarono. Calliope è mia madre, mio padre è il grande Apollo.’ 824 Bruno, De la causa, principio e uno, dialogo quarto, p. 293. 825 Castiglione, Il libro del Cortegiano, libro II, XCVI. 280 TOPOI, REAZIONI ED INNOVAZIONI condannato da alcuni scrittori, ma difeso da altri, a seconda della morale e del proprio giudizio. Dopo la morte: la lira di Orfeo Quando Orfeo viene ucciso dalle Baccanti, la testa e la sua lira sono gettate nell’acqua dell’Ebro. Così scrive Ovidio nelle Metamorfosi.826 Tuttavia, già prima della grande divulgazione di questo testo nel Cinquecento attraverso traduzioni italiane l’umanista Giovanni Pontano (1429-1503), che lavorò per molto tempo a Napoli e che alla fine della sua vita fu capo dell’Accademia napoletana (o pontaniana), dedicò una poesia a questo motivo.827 La poesia fa parte dei libri De Tumulis (pubblicati postumi tra il 1505 e il 1512), che sono degli epigrammi per le tombe di personaggi diversi. Nella poesia la lira di Orfeo invoca l’aiuto di una ninfa per salvarla dalla furia delle Baccanti. Per scampare alla distruzione da parte delle donne, la lira è trasformata in cigno: Illa querebatur, Thressae properare cohortes; nec mora, quae fuerat iam lyra, factus olor. [...] [...] Vix haec: de flumine cycnus evolat et niveus per vada cantat olor. Forma petit coelum, coelo micat aurea; plectrum Mansit humi, mater quod studiosa legit, condit et in templo, [...] (Pontano, De Tumulis, liber II, LIII ‘Lyra Orphei auxilium implorat a nympha’, vv. 15-16; 23-27)828 Mentre Orfeo muore e va agli inferi, la lira è dunque elevata al cielo in una specie di apoteosi. L’idea che lo strumento fu collocato nel cielo come una costellazione dopo la morte di Orfeo fu descritta nell’antichità da Igino nell’Astronomia (cf. § 1.3.3). Nella Sala di Galatea della Villa Farnesina a Roma Baldassare Peruzzi raffigurò Orfeo come simbolo della costellazione della Lira (1510-11). La posizione dei pianeti e delle costellazioni dipinti sul soffitto rappresenta il giorno della nascita del banchiere Agostino Chigi (il 29 novembre 1466), per cui la villa fu costruita. Nell’affresco Orfeo suona la lira da braccio (ill. 6.12). 826 Anche Virgilio fa menzione nelle Georgiche della testa che galleggia nel fiume, ma non della lira. Pontano lavorò per molto tempo alla corte degli Aragonesi, dai quali Orfeo fu spesso rappresentato in trionfi (cf. § 6.4). 828 ‘Essa (la lira) si lamentava, i coorti traci si affrettarono; senza rinvio, quella che una volta era stata una lira, fu fatto cigno. [...] Appena che lei (Calliope) aveva detto questo: dal fiume vola un cigno, e il cigno niveo canta per le acque. La forma va al cielo, risplende nel cielo come l’oro; il plettro rimase sulla terra, che la madre premurosa raccoglie, e colloca nel tempio [...]. 827 281 CAPITOLO 6 6.12 Baldassare Peruzzi, Lira (Orfeo), 1510-11 L’iconografia è simile a quella di Orfeo che canta per gli animali, anche se mancano questi animali e sono presenti delle nuvole. In questo affresco non conta tuttavia l’eccellenza di Orfeo nel canto, e il poeta serve piuttosto a simboleggiare la costellazione della Lira, anche se secondo il mito Orfeo quando la Lira ottenne questa funzione era già morto. 6.7 ORFEO COME SIMBOLO DEL POTERE RINNOVATO DEI MEDICI Alla corte di Lorenzo il Magnifico Orfeo era molto popolare, come abbiamo visto nel terzo capitolo. Marsilio Ficino Orfeo lo considerava un personaggio essenziale che gli permetteva di conciliare la filosofia neoplatonica con il cristianesimo. Il filosofo cominciò perfino a identificarsi con Orfeo, suonando la lira da braccio e cantando degli inni orfici. Un altro umanista e letterato della corte di Lorenzo, Angelo Poliziano, scrisse un’opera intera sul mito di Orfeo. Nel quarto capitolo abbiamo discusso questa Fabula di Orfeo e le sue numerose imitazioni. Dopo la morte di Lorenzo nel 1492 suo figlio Piero salì brevemente al potere, ma già nel 1494 il re francese Carlo VIII invase l’Italia. Quando Carlo nel novembre dello stesso anno occupò Firenze, Piero era già fuggito dalla città. I fiorentini, che non avevano mai amato il figlio di Lorenzo, ripristinarono la repubblica fiorentina, incitati dal frate domenicano Girolamo Savonarola. Tuttavia, dopo quattro anni anche lui cadde in disgrazia e fu bruciato dal popolo in Piazza della Signoria. Nel 1512 papa Giulio II mise un esercito a disposizione di Giovanni e Giuliano de’ Medici, i fratelli minori di Piero. Con l’esercito papale Giovanni e Giuliano invasero Firenze e ripresero il potere. L’anno dopo Giovanni diventò il nuovo papa, Leone X, e allo 282 TOPOI, REAZIONI ED INNOVAZIONI stesso tempo lui fece arcivescovo e più tardi cardinale suo cugino Giulio. Giovanni de’ Medici stesso era anche musicista e compositore. Al momento della sua elezione molti musicisti e cantanti si recarono a Roma per cercare lavoro alla corte papale. Leone era molto generoso per i suoi musicisti e nel 1520 aveva più di quindici musicisti personali.829 Papa Leone X commissionò a Baccio Bandinelli una statua per il cortile del Palazzo Medici a Firenze (ill. 6.13).830 La statua di Orfeo (1516-17) era la prima statua pubblica di una figura pagana nella Firenze rinascimentale.831 Orfeo vi suona la lira per domare Cerbero, che si trova ai piedi di Orfeo. La grande lira (forse di bronzo) che Orfeo teneva nella mano sinistra è andata perduta, ma è ancora visibile in un disegno cinquecentesco (ill. 6.14).832 6.13 Baccio Bandinelli, Orfeo e Cerbero, 1516-17 / 6.14 Anonimo, Disegno della statua di Bandinelli, 829 Peter Burke, De Italiaanse renaissance (The Italian Renaissance), Agon, 1988, p. 101. Il liutista Gian Maria Giudeo fu perfino nominato conte. 830 Baccio Bandinelli, Orfeo e Cerbero, statua di marmo, 1516-17. Firenze, Palazzo Medici-Riccardi, cortile; Karla Langedijk, ‘Baccio Bandinelli's Orpheus: a political message’, Mitteilungen des Kunsthistorischen Instituts in Florenz, 1976, pp. 33-52. Originariamente nell’altro cortile del palazzo, essa fu spostata nel Seicento da Carlo de’ Medici al Casino di San Marco. Poi la statua fu collocata nel secondo cortile del Palazzo Vecchio, mentre il piedistallo finì nel Bargello, fino al momento che la statua e il piedistallo furono di nuovo congiunti nel cortile del Palazzo Medici-Riccardi (nel 1916) (G. Poggi, ‘Della statua di Orfeo di Baccio Bandinelli già nel primo cortile del palazzo Mediceo’, Rivista d’arte, 9, 1-2 (1916), pp. 59-61). 831 Langedijk, op.cit., p. 51. 832 Anonimo (Cherubino Alberti?), Disegno della statua di Orfeo di Bandinelli. Firenze, Galleria degli Uffizi, Gabinetto dei Disegni e delle Stampe, no. 93695 C 21. 283 CAPITOLO 6 L’Orfeo di Bandinelli fu ammirato da Giorgio Vasari (-1574) che ne scrive nella Vita di Baccio Bandinelli:833 Tornato Baccio a Roma, impetrò dal Papa per fauore del Cardinal’ Giulio de’ Medici solito a fauorire le virtu, & i virtuosi, che gli fusse dato a fare per le cortile del palazzo de’ Medici in Firenze alcuna statua. Onde venuto in Firenze fece vn’Orfeo di marmo, ilquale col suono, & canto placa Cerbero, & muoue l’inferno a pietà. [...] Finita la statua, fu fatta porre dal Cardinale Giulio nel sopraddetto cortile, mentre che egli gouernaua Firenze, sopra vna basa intagliata, fatta da Benedetto da Rouezzano scultore. Ma perche Baccio non si curò mai dell’arte dell'architettura, non considerando lui l’ingegno di Donatello, il quale al Dauitte, che v’era prima, haueua fatto vna semplice colonna, su laquale posaua l’imbasamento disotto sesso, & aperto, a fine che chi passaua di fuora vedesse dalla porta da via l’altra porta di dentro dell’altro cortile al dirimpetto; però non hauendo Baccio questo accorgimento, fece porre la sua statua sopra vna basa grossa, & tutta massiccia, di maniera che ella ingombra la vista di chi passa, & cuopre il vano della porta di dentro, si che passando è non si vede se’l palazzo va piu in dietro, o se finisce nel primo cortile. (Vasari, Le Vite, vol. 3, cap. 137, p. 428) Secondo Vasari il compito di Bandinelli era di fare una statua che potesse subentrare al Davide di Donatello, che prima si trovava nel cortile. Bandinelli scelse però di raffigurare Orfeo invece di Davide, noti ambedue per il potere ammaliatore della loro musica.834 Secondo Karla Langedijk Davide aveva connotazioni negative per aver ucciso Golia con la violenza. La statua di Davide avrebbe potuto simboleggiare i Medici che avevano soggiogato il popolo fiorentino in maniera violenta. Orfeo invece, aveva domato Cerbero con il suo canto, dunque in maniera pacifica. Così la statua di Orfeo alludeva alla soggiogazione pacifica di Firenze da parte dei Medici. Naturalmente c’era anche la connotazione dei poteri conciliatori del canto, cosa che poteva essere interpretata come la civilizzazione oppure la riconciliazione degli uomini selvatici. L’idea di una signoria pacifica si riflette anche nel piedistallo. Vasari parla a lungo del piedistallo di marmo, fatto da Benedetto da Rovezzano, che a suo parere è troppo massiccio per essere collocato nel cortile del Palazzo dei Medici.835 Tuttavia, secondo Langedijk il piedistallo e la statua costituivano nel loro insieme un messaggio simbolico del 833 Anche Vasari stesso fece alcuni disegni di Orfeo, che ora si trovano a Firenze nella Galleria degli Uffizi e nella Biblioteca Nazionale, cf. l’elenco dei riferimenti a Orfeo nelle arti. 834 Secondo Langedijk la figura di Davide fu sostituita con la figura di Orfeo, perché Orfeo non aveva connotazioni negative come Davide. Davide aveva infatti ucciso Golia e non poteva dunque essere visto esclusivamente come pacificatore (pp. 44-46). Inoltre, i Medici cinquecenteschi non facevano ricorso a figure del Vecchio Testamento, perché se ne aveva appropriato la repubblica. Perciò cominciarono ad usare delle figure mitologiche invece di quelle bibliche (Bull, op.cit., p. 73). 835 Benedetto da Rovezzano, piedistallo di marmo, 1519?. Firenze, Palazzo Medici-Riccardi, cortile. 284 TOPOI, REAZIONI ED INNOVAZIONI potere dei Medici. Il piedistallo è pieno di simboli medicei, come le palle medicee dello stemma della famiglia. Sul davanti e sul retro è raffigurata due volte l’impresa di papa Leone X. L’impresa consiste da un giogo circondato da alcune fascette in cui normalmente è scritta la parola ‘suave’. Questa parola deriva dall’espressione biblica ‘iugum meum suave’.836 Secondo Paolo Giovio l’impresa sottolineava il carattere divino del potere di Leone X, che doveva essere accettato da ogni cristiano.837 Leone intendeva esprimere la sua intenzione di conquistarsi la simpatia del popolo fiorentino in modo pacifico. Come Orfeo aveva domato Cerbero con la musica, così anche Leone regnava lo stato di Firenze. Inoltre, la figura di Orfeo ricordava la prima fioritura dei Medici sotto il regno di Lorenzo il Magnifico. Come abbiamo visto nel terzo e nel quarto capitolo Orfeo fu una figura chiave nella filosofia di Marsilio Ficino, che voleva essere un novello Orfeo. Angelo Poliziano aveva scritto un’intera favola sul mito di Orfeo e così Orfeo diventò una figura mitologica molto nota nella cerchia di Lorenzo. Nella sua giovinezza Leone X era stata educato da Ficino e Poliziano, come gli altri figli di Lorenzo. Potremmo dunque supporre che anche la statua di Bandinelli fosse un riferimento al primo regno dei Medici e simboleggiasse dunque il rinnovamento del potere mediceo sotto Lorenzo. Ora Leone X assunse il ruolo di Orfeo, che gli piaceva anche per le sue connotazioni musicali e sacerdotali.838 Leone X e le pasquinate romane Non solo a Firenze, ma anche a Roma papa Leone X sottolineò pubblicamente le analogie tra se stesso e la figura di Orfeo. Finora questi legami tra Leone e Orfeo a Roma non sono stati elaborati o messi in rapporto con la commissione della statua di Bandinelli a Firenze. Nel 1515 la famosa statuetta del Pasquino fu travestito da Orfeo ‘per simboleggiare la liberalità di Leone X verso poeti, letterati e artisti’.839 Pasquino era una statua antica che orginariamente faceva parte di un gruppo scultoreo, che rappresentava Menelao che solleva il corpo di Patroclo. Una copia romana di una statua di bronzo del periodo greco fu trovata nel 1501 e collocata all’angolo di Palazzo Orsini (l’odierno Palazzo Braschi). Secondo la tradizione la statua di Pasquino portava il nome di un sarto o di un barbiere che parlava sempre male del papa e dei cardinali. A partire degli anni ’30 del Cinquecento la statua di Pasquino diventò un luogo di affissione di testi anonimi, le cosiddette pasquinate, 836 Matteo, 11, 30 (Langedijk, op.cit., p. 36). Il motto ‘suave’ non era menzionato esplicitamente sul piedistallo. Così c’era probabilmente spazio per interpretazioni diverse: senza il motto l’impresa poteva anche alludere al potere di Cosimo I, cioè alla libertà di Firenze. Il paragone tra Leone X e Cosimo I era opportuno al primo (Langedijk, op.cit., pp. 36-37). 838 Langedijk, op.cit., p. 43. 839 Valerio Marucci, Antonio Marzo & Angelo Romano, Pasquinate romane del Cinquecento, Roma, Salerno, 1983, pp. 72-73, n. 1. 837 285 CAPITOLO 6 che biasimavano il papa e altri uomini potenti. Nei primi decenni del Cinquecento Pasquino non aveva, però, ancora esattamente questa funzione.840 Pasquino fu messo in quel luogo dal cardinale Oliviero Carafa, un grande amante dell’antichità. Carafa diventò prima ‘protettore’ della statua e poi organizzatore della festa annuale intorno a Pasquino del 25 aprile. In questa occasione si scelse sempre un tema poetico diverso e la statua fu travestita da figura mitologica. Gli studenti romani affiggevano i loro esercizi nell’arte poetica alla statua. Questi testi sono in genere degli scherzi intorno al tema dell’anno. A partire dal 1509 le poesie furono copiate e pubblicate. Nel tempo di Leone X la festa di Pasquino era dunque ancora una festa studentesca, che fu perfino finanziata dal papa stesso. Nel 1515 Pasquino fu vestito da Orfeo. La scena rassomigliava probabilmente alla xilografia sul frontespizio della raccolta di pasquinate del 1515 in cui Orfeo suona per gli animali (ill. 6.15).841 6.15 Frontespizio dei carmina appesi a Pasquino, 1515 Orfeo suona la lira da braccio, mentre intorno a lui si sono radunati alcuni animali. Nella maniera in cui Orfeo volge la faccia a destra si vede una rassomiglianza tra la statua e la xilografia. Il leone che si accosta a Orfeo fa pensare al secondo corpo di fronte a Pasquino. Sotto i piedi di Orfeo si vede l’impresa di un cardinale. Durante il papato di Leone X e di Clemente VII le pasquinate lodavano spesso il comportamento dei papi. Questi panegirici furono stimolati dalla curia per mezzo dei 840 Gli sviluppi dei costumi intorno a Pasquino e della pasquinata sono descritti da: O. Niccoli, Rinascimento anticlericale. Infamia, propaganda e satira in Italia tra Quattro e Cinquecento, Gius. Laterza & Figli, 2005; D. Gnoli, ‘Storia di Pasquino (dalle origini al Sacco del Borbone)’, Nuova Antologia XXV (1890), pp. 51-75; 275296. 841 Anonimo, Orfeo e gli animali, xilografia, ca. 1515. Frontespizio dei Carmina appesi a Pasquino nel 1515 (da: Pasquinate romane del Cinquecento). 286 TOPOI, REAZIONI ED INNOVAZIONI cosiddetti ‘protettori’ della festa di Pasquino. Questa usanza nacque durante il papato di Giulio II, ma fu soprattutto popolare sotto quello di Leone X e Clemente VII, i due papi medicei. Pasquino fu trasformato ogni anno in un’altra figura mitologica per sostenere il papa e la sua politica.842 Nella prima poesia della serie di pasquinate dell’anno di Orfeo l’eroe si presenta al pubblico, dicendo di essere venuto dall’inferno a Roma nel momento in cui Antonio Maria Ciocchi del Monte, il cardinale del titolo di San Vitale, assunse il patrocinio della festa di Pasquino (nel 1515):843 ORPHEUS LOQUITUR Orfeo son, con mia squillante lira. Venuto son dal limbo de l’Inferno, como ciascun palese ogi mi mira. Fermato sonmi sopra el gran governo del placido Vital Monte sincero, perché sua possa regnarà in eterno. Giusto mi parve ormai che ‘l Monte altiero ornato fussi de’ mei soni e canti, poi che de verdi rami è folto e intero. (Pasquinate romane, 89, vv. 1-9)844 Orfeo vuole onorare il cardinale con i suoi canti, perché lui ‘de verdi rami è folto’ (v. 9), cioè incoronato di lauro.845 Il cantante continua dicendo che ognuno deve smettere di piangere e di lottare, e festeggiare in pace, ora che regna il cardinale Del Monte. Secondo Orfeo la gente deve ornarsi ‘con verde serto’ (v. 18), cioè con corone d’alloro, perché il nuovo cardinale è una fonte di giustizia. Alla fine della poesia Orfeo accenna sia al cardinale che al papa Leone X come custodi del mondo, che sottometteranno i maomettani. Ora che Leone X è diventato papa, il mondo sarà felice e ritornerà l’Aurea Aetas (in aureo stato, v. 36). Roma può essere contenta che il Parnaso, l’Elicona e il Citerone, sono adornati da Leone di diamanti, in altre parole che le arti sono altamente 842 Oltre alla pasquinate che favorirono la politica papale, c’erano sempre pasquinate negative, che rovesciarono l’interpretazione ufficiale della statua : Pasquinate del Cinque e Seicento, a.c.d. Valerio Marucci, Salerno Editrice, Roma, p. 41, XXIV (in latino). In una pasquinata Orfeo mette in ridicolo il pubblico, che si è radunato intorno alla sua statua. Il cantante paragona la gente agli animali che prima venivano ad ascoltare la sua musica e l’accusa di pazzia (Pasquinate romane, 94). Orfeo stesso è anche biasimato dal pubblico per non essere stato in grado di allettare tutti gli uomini importanti a venire a Roma Pasquinate romane, 97). In un altro sonetto indirizzato ad Orfeo è piuttosto chiesto l’aiuto del cantante per placare il cuore duro dell’amante (Pasquinate romane, 98). 843 Pasquinate romane, cit., p. 73, n. 4-5. 844 I testi sono citati da Pasquinate romane, cit. (palese=palesemente; possa=potenza, forza) 845 Un altro panegirico del cardinale si trova in: Pasquinate romane, 96. 287 CAPITOLO 6 rispettate sotto il regno di Leone.846 Il regno di Leone X è dunque considerato un periodo di pace, durante il quale possono prosperare le arti. Anche in altre pasquinate Orfeo allude al ruolo particolare di Leone come protettore degli artisti e dei poeti.847 I ‘passati danni’ menzionati in questa poesia sono spiegati meglio in un’altra poesia: si tratta delle guerre che erano molto frequenti nel periodo prima del dominio di Leone X. L’autore fa un confronto fra il periodo passato di guerra (Marte) e il periodo attuale di pace (Apollo): Fu ab eterno in nel divin concetto, ove sempre riluce in vera essenza tutto il nostro operar bono o demenza, produre un che purgasse ogni difetto. Marte, col fiero e foribondo aspetto, visse tra noi e fé mortal sentenza di quei che eron ribelli alla potenza, e fu del ver la esperienza effetto. Possa da noi mortal licenza prese e venne Apol per dar silenzio al grege: costui di Iano il tempio in terra stese. Orfeo, con el Leon che ‘l tutto rege, col suo dolce sonar possa discese per rinovar tra noi la santa lege. (Pasquinate romane, 91, vv. 1-14)848 Nella prima strofa l’autore dice che fin dall’inizio Dio aveva l’intenzione di inviare al mondo qualcuno che avrebbe purgato oppure salvato l’umanità. Naturalmente si tratta di papa Leone. Dopo l’uccisione di Marte dal popolo, Apollo calmò la gente e distrusse il tempio di Giano, cioè cacciò la discordia. Il papa è dunque identificato con il dio Apollo, che venne in terra con il figlio Orfeo per dare pace al popolo romano. Orfeo deve rinnovare la santa legge e dunque far vivere il popolo in armonia e in pace. Da tutte queste pasquinate emerge l’immagine di Orfeo che, come musicista per eccellenza, sostiene il papato di Leone X. Orfeo è venuto ad appoggiare un papa che ha ravvivato l’arte e la letteratura. Sia a Firenze che a Roma il papa mediceo Leone X favorì le analogie con Orfeo, per mezzo della statua di Bandinelli e delle pasquinate. Orfeo simboleggiò il carattere pacifico del regno di Leone e la fioritura rinnovata del potere dei 846 Pasquinate romane, 89, vv. 28-43 Pasquinate romane, 90, vv. 5-8; 95. 848 demenza=operazioni cattive; alla potenza:a Roma; possa=poscia, poi. 847 288 TOPOI, REAZIONI ED INNOVAZIONI Medici. Leone si presenta anche come un gran mecenate delle arti e cerca così di creare un’immagine positiva del suo potere. Cosimo I nei panni di Orfeo Leone X morì nel 1521. Nel 1527 i Medici furono di nuovo espulsi brevemente da Firenze. Tuttavia, il papa Clemente VII (Giulio de’ Medici) fece assediare Firenze, per cui i Medici andarono di nuovo al potere. Così Alessandro de’ Medici, il pronipote di Lorenzo il Magnifico, diventò il duca di Firenze. Quando Alessandro dopo un breve regno fu ucciso, il diciottenne Cosimo diventò il primo granduca di Firenze. Cosimo I regnò dal 1537 al 1574. Come Leone X, Cosimo stimolò le arti e la cultura con il fine di rafforzare il proprio potere politico. Anche lui era affascinato dalla figura di Orfeo, che in passato era stato usato come simbolo del potere dei Medici. Risale ai primi anni del suo regno un dipinto fatto da Angelo Bronzino, il ritrattista ufficiale di Cosimo, in cui il duca è identificato con Orfeo (ill. 6.16).849 Normalmente i ritratti di Cosimo furono distribuiti tra clienti e conoscenti del duca, ma il ritratto di Cosimo come novello Orfeo fu forse destinato ad uso privato, come sostiene Robert Simon.850 6.16 Angelo Bronzino, Cosimo I de’ Medici come Orfeo, 1537-40 Nel dipinto si vede un uomo nudo, che mostra la schiena al pubblico. Dalla presenza di un cane tricefalo e della lira da braccio nelle mani dell’uomo seduto risulta che si tratta di Orfeo, che ha appena addomesticato Cerbero. La testa di Orfeo è stata sostituita, però, con 849 Angelo Bronzino, Cosimo I de’ Medici come Orfeo, pittura a olio, 1537-40. Philadelphia Museum of Art, Johnson Collection. 850 L’articolo più ampio su questo dipinto è: Robert B. Simon, ‘Bronzino’s Cosimo I de’ Medici as Orpheus’, Bulletin (Philadelphia Museum of Art), 81, nr. 348 (1985), pp. 16-27. 289 CAPITOLO 6 quella di Cosimo I. Il corpo di Orfeo fa pensare al torso dell’Ercole Belvedere. Secondo Simon la somiglianza non è una coincidenza, poiché dal 1537 Ercole venne usato come il simbolo ufficiale del potere di Cosimo.851 La pittura rappresenterebbe dunque la metamorfosi di Cosimo-Ercole in Cosimo-Orfeo. Forse il motivo dell’ammaestramento di Cerbero è stato scelto come riferimento all’ultima fatica di Ercole. Tuttavia, Simon osserva che in questo caso non viene ripreso il significato della statua di Bandinelli. Il dipinto non sarebbe destinato ad essere collocato in un luogo pubblico, come la statua, ma probabilmente in un luogo privato. Notevole è il carattere erotico della composizione: la nudità di Orfeo e soprattutto la maniera in cui tiene l’arco con la mano destra sembrano esprimere un messaggio nascosto.852 Secondo Simon il ritratto di Cosimo come Orfeo era forse un regalo del duca alla sua promessa sposa, Eleonora di Toledo. Il dipinto dovrebbe mostrare che Cosimo aveva la robustezza fisica di Ercole, ma che lui avrebbe adoperato solo il canto per guadagnarsi l’amore della sposa. In questo caso il ritratto potrebbe essere stato fabbricato in occasione delle loro nozze nel 1539. Tuttavia, non è escluso che il dipinto di Bronzino possa aver avuto una funzione simile a quella della statua di Bandinelli. Infatti, questo dipinto non era l’unica rappresentazione nuda di Cosimo I. Un altro esempio si trova nella Sala di Bona del Palazzo Pitti a Firenze.853 Forse neanche il ritratto di Cosimo I come Orfeo era un quadro privato, ma si trovava in un luogo aperto al pubblico e conteneva un messaggio politico. Così in un unico dipinto erano uniti i due lati del principe ideale: da una parte il duca forte ed eroico (Ercole), e dall’altra colui che civilizza il popolo e favorisce la cultura e le arti (Orfeo). Anche Scherliess attribuisce al dipinto un significato politico, che deriva dall’interpretazione allegorica della musica come armonia.854 Nell’articolo sul ritratto di Cosimo-Orfeo Simon aveva già accennato al fatto che le rappresentazioni di Orfeo e Cerbero sono relativamente rare.855 Tra i pochi esempi della combinazione di Orfeo e Cerbero nell’arte prima di Bronzino Simon menziona la figura di Orfeo nella Camera degli Sposi a Mantova. Come abbiamo visto nel quarto capitolo, in questa stanza del Palazzo Ducale Andrea Mantegna aveva dipinto sul soffitto una serie di figure mitologiche: Orfeo, Arione e Ercole. Qui Orfeo (che cerca di acquietare Cerbero) appare appunto in combinazione con Ercole. Anche nella Camera degli Sposi Mantegna volle raffigurare 851 Simon, op.cit., p. 22. Simon, op.cit., p. 23. 853 Poccetti, La glorificazione di Cosimo I, 1608. Firenze, Palazzo Pitti, Sala di Bona. 854 Volker Scherliess, ‘Aspetti del mito di Orfeo’, in: Dipingere la musica. Strumenti in posa nell'arte del Cinque e Seicento, a.c.d. Sylvia Ferino-Pagden, Milano, Skira, 2000, pp. 43-47. Secondo Scherliess il motivo di Orfeo come simbolo del buon governo aveva una tradizione iconografica nell’emblematica del Cinque- fino al Settecento (cf. anche Zincgref). 855 Simon, op.cit., p. 21. 852 290 TOPOI, REAZIONI ED INNOVAZIONI probabilmente i due aspetti del buon governo (di Ludovico Gonzaga): le guerre dovevano essere alternate con la coltivazione della poesia e della musica856 Anche nel ritratto di Cosimo I da parte di Bronzino vediamo dunque una combinazione di Orfeo ed Ercole che potremmo interpretare allo stesso modo. Barbara Russano Hanning ha attestato che anche un’altra combinazione, quella di Apollo ed Ercole, era molto frequente nel simbolismo mediceo.857 Orfeo, che secondo alcune fonti era figlio di Apollo, aveva le stesse caratteristiche del dio della musica e delle arti. Anche nel caso di Leone X, Apollo era già stato adoperato per simboleggiare il papa: nel 1513, il primo anno del papato di Leone, Pasquino fu trasformato in Apollo. I Medici alternavano dunque Apollo e Orfeo come simboli per accentuare la componente culturale del loro regno. Un giardino propagandistico Un altro esempio del legame tra Cosimo I e Orfeo si trova forse nella Villa di Castello a Firenze. Già nel 1477 la villa fu venduta a Lorenzo e Giovanni di Pierfrancesco de’ Medici. A partire dal 1537 Cosimo I cominciò a frequentare la villa. Nel 1538 il duca commissionò all’ingegnere idraulico Piero da San Casciano e allo scultore ed architetto Niccolò Tribolo un giardino, che dovrebbe rappresentare il suo potere personale e dinastico.858 Nel muro intorno al giardino geometrico si trova una grotta artificiale, che fu cominciata da Tribolo nel 1538 e perfezionata circa quarant’anni dopo da Giorgio Vasari, che a partire dal 1555 era il direttore dei lavori alla Villa del Castello.859 In questa cosiddetta Grotta degli Animali si vede una moltitudine di animali di marmo policromo (ill. 6.17). 856 Elizabeth W. Welles, ‘Orpheus and Arion as symbols of music in Mantegna’s Camera degli Sposi’, Studies in Iconography, 13 (1989-90), pp. 113-144. 857 Barbara Russano Hanning, ‘Glorious Apollo: Poetic and Political Themes in the First Opera’, Renaissance Quarterly, XXXII, 4 (1979), pp. 485-513. 858 Isabella Lapi Ballerini, The Medici Villas. Complete Guide, Firenze, Giunti, 2003, p. 32. 859 Tribolo / Vasari / Antonio Lorenzi, Grotta degli Animali, 1538-. Firenze, Villa di Castello, giardino. 291 CAPITOLO 6 6.17 Tribolo / Vasari / Lorenzi, Grotta degli animali, Villa di Castello, 1538- Gli animali, che sono attribuiti ad Antonio Lorenzi, si trovano lungo i muri di destra e sinistra della prima camera della grotta, e in fondo alla seconda camera. Probabilmente nel 1558 e nel 1567 Bartolomeo Ammannati e Giambologna fecero degli uccelli di bronzo, che dovevano pendere dal soffitto o essere collocati sulla roccia sporgente. Oggi questi uccelli si trovano nel Museo Nazionale del Bargello a Firenze. Secondo alcune fonti al centro della grotta si trovava originariamente una statua di una figura umana. Per molto tempo non era sicuro se la figura raffigurasse Orfeo o Nettuno. Cristina Acidini-Luchinat aggiunge come altre interpretazioni possibili Adamo, che aveva denominato gli animali (Gen. 1:20-25), ed Esopo, circondato dai protagonisti delle sue Favole.860 In vista delle altre apparizioni di Orfeo come rappresentante dei Medici è molto probabile che vi fosse una statua di Orfeo. Anche Lapi Ballerini abbraccia l’ipotesi della presenza di una statua di Orfeo con una lira, per cui l’insieme potrebbe essere interpretato come un’allegoria della pacificazione taumaturgica dell’universo da parte di Cosimo I.861 Soprattutto il liocorno, il simbolo della purezza, potrebbe alludere alla purificazione dello stato da parte di Cosimo. 860 C. Acidini-Luchinat, Le Ville e i Giardini di Castello e Petraia a Firenze, Ospedaletto (PI), Pacini, 1992, pp. 111-114. La studiosa esclude la figura di Noè, perché non è visibile la sua arca. 861 Lapi Ballerini, op.cit., p. 34. Bouk Wierda mi ha suggerito che la presenza di una statua di Adamo è inverosimile. In questo periodo Cosimo I commissionò soprattutto delle statue mitologiche invece di bibliche. Quando nel 1540 si sistemò nel Palazzo della Signoria a Firenze, egli sostituì perfino l’iscrizione cristiana sopra la porta (‘Jesus Christus Rex Fiorentini Populi S.P. Decreto electus’) con un’iscrizione in cui attribuì il ruolo di principe a se stesso (‘Rex regum et Dominus dominantium’). Cf. H.Th. van Veen, Cosimo I 292 TOPOI, REAZIONI ED INNOVAZIONI Anche in altre parti del giardino sembra essere presente il simbolismo del potere rinnovato dei Medici. La nuova primavera portata dalla casa dei Medici era per esempio espressa dalle statue delle quattro stagioni e delle virtù lungo i muri del giardino.862 Inoltre, nel giardino geometrico si trovava una fontana con una statua, fatta da Bartolomeo Ammannati, che rappresentava la lotta di Ercole e il gigante Anteo.863 Forse anche in questo giardino i due lati del buon governo erano dunque simboleggiati dalle figure di Ercole e di Orfeo: quello del signore forte e potente, e quello del signore civilizzatore e promotore delle arti. Nel capitolo 7 vedremo che i Medici e i Gonzaga continueranno a sottolineare il loro legame con la figura di Orfeo nei primi melodrammi. 6.8 CONCLUSIONE L’immagine di Orfeo nel Quattro e Cinquecento non è costituita soltanto dalla sua descrizione in trattati mitologici ed iconografici e in traduzioni delle Metamorfosi. In altri testi letterari e opere d’arte continuano spesso le immagini stereotipate di Orfeo come poeta eccellente e amante esemplare (poesia lirica petrarchista), come civilizzatore (trattati di poetica), come l’uomo in cerca del sommo bene (nella cerchia di Lorenzo) e come poetateologo (trattati filosofici, discussi nel capitolo 3). Queste rappresentazioni di Orfeo sono dunque legate ad alcuni generi letterari specifici. Autori e artisti si basano spesso sui loro predecessori nello stesso genere artistico. Questi riferimenti a Orfeo rispecchiano probabilmente in modo migliore l’immagine comune di Orfeo, cioè l’Orfeo che era noto al grande pubblico. Tuttavia, nacquero anche delle reazioni all’immagine comune di Orfeo. Gli anticlassicisti videro Orfeo come il simbolo della poesia classicista, che condannavano. Altri lo rappresentarono in un contesto misogino, forse sotto l’influsso dell’opera di Poliziano o di un’atmosfera culturale in cui le donne ottenevano un ruolo sempre maggiore. La posizione più marcata delle donne si mostra anche nel ruolo più prominente di Euridice nell’arte figurativa. Su cassoni, spalliere e dipinti Euridice si mette in primo piano. Altri aspetti nuovi che emersero sotto l’influsso di nuove fonti disponibili erano l’omosessualità di Orfeo, la sua morte e la sua partecipazione al viaggio degli Argonauti. Questi elementi potevano essere trovati nella Fabula di Poliziano (e Orfeo Argonauta nella Manto), ma anche nelle edizioni stampate delle Metamorfosi e delle Genealogie. de’ Medici and his Self-Representation in Florentine Art and Culture, Cambridge, Cambridge University Press, 2006. 862 Lapi Ballerini, op.cit., p. 34. 863 Originariamente la statua non si trovava al centro del giardino, dove si trova oggi, ma altrove nel giardino. Essa fu spostata al centro nel Settecento. 293 CAPITOLO 6 L’immagine di Orfeo che viene fuori da tutti questi testi e queste opere d’arte è di nuovo un’immagine ambigua. Ancora di più che nel Trecento e nel Quattrocento autori e artisti prendono posizione a favore o contro la figura di Orfeo. Naturalmente i Medici, che adoperano Orfeo come mezzo di propaganda per la restaurazione del loro potere a Firenze, sono molto positivi. Tuttavia, anche aspetti che prima erano considerati univocamente positivi (come il potere musicale e la forza civilizzatrice dell’eloquenza), sono sempre più spesso ridicolizzati. Vengono introdotti anche nuovi elementi che possono rafforzare l’immagine negativa di Orfeo (come la sua morte, la misoginia e l’omosessualità), ma neanche questi vengono sempre disapprovati. Insomma, non è più possibile definire alcuni aspetti sempre positivi, e altri negativi. L’apprezzamento cambia a seconda del punto di vista dell’autore o dell’artista e dipende da molti fattori, tra cui il contesto del riferimento (lo scopo del testo, o il programma iconografico della sala in cui si trova), l’ambiente culturale, la morale dell’autore o dell’artista e le sue preferenze personali. In questo periodo si manifesta ancora più chiaramente che nel Trecento la versatilità del personaggio di Orfeo. Per via della disponibilità maggiore di fonti per via dell’invenzione della stampa, ma anche per le possibilità di leggere i testi antichi nella versione ‘originale’, e per la continua apparizione di nuove fonti (tra cui i testi greci), l’immagine complessiva di Orfeo diventa sempre più completa, anche se l’accento viene posto ancora quasi sempre su un solo aspetto del mito che è adatto al contesto dell’opera. Nasce dunque una variazione maggiore nell’immagine di Orfeo, ma spesso questa variazione non è dovuta all’invenzione di nuovi aspetti o al cambiamento di elementi esistenti del mito, ma all’interesse per altri elementi che erano già presenti nel mito, oppure alla reinterpretazione o rivalutazione di elementi comuni. Nella seconda metà del Quattrocento e nel Cinquecento si assiste anche anche spesso all’omissione di un certo aspetto del mito perché un autore non lo conosce e imita soltanto un’immagine stereotipata di Orfeo. In altri casi l’autore ha una conoscenza maggiore del mito, ma non la rivela, manipolando così consapevolmente l’immagine di Orfeo per farla corrispondere ai suoi scopi. Questo tipo di manipolazione consiste in alcuni casi nell’omissione di certi elementi negativi in una situazione in cui si vuole presentare un’immagine positiva di Orfeo. Si omette, per esempio, l’esito infelice nella poesia d’amore, in cui Orfeo ed Euridice rappresentano gli amanti perfetti, o nella propaganda dei Medici. Nel capitolo seguente vedremo che il desiderio di depurare il mito da ogni connotazione negativa, può portare persino alla sostituzione del finale tragico con uno più positivo. 294 CAPITOLO 7. IL TRIONFO DI ORFEO Orfeo nei primi melodrammi (1600-1607) 7.0 LA NASCITA DEL MELODRAMMA864 La fortuna di Orfeo in Italia dal 1300 al 1600 trova il suo culmine nei primi melodrammi. Nel melodramma si crea un nuovo genere artistico, in cui convergono molte discipline e molti elementi del mito di Orfeo. Il melodramma non costituisce soltanto una combinazione di poesia e musica, ma anche di teatro e di arte figurativa (si pensi alla scenografia e ai costumi, che purtroppo non sono stati trasmessi). Orfeo rinasce veramente in questo nuovo genere musicale, teatrale e letterario che è perfettamente idoneo al personaggio. La nuova rappresentazione di Orfeo non è soltanto determinata dal nuovo genere artistico, ma anche da altri fattori come l’occasione specifica e l’uso propagandistico. Nel Cinquecento la figura di Orfeo fu adoperata in varie forme da membri della famiglia dei Medici. Sia Giovanni de’ Medici (Leo X) che Cosimo I avevano stimolato la presenza di Orfeo nella scultura, nella pittura e nella poesia. Orfeo simboleggia la maniera pacifica in cui i Medici regnavano Firenze, il ritorno della prosperità sotto Lorenzo il Magnifico e la promozione della cultura da parte dei Medici. Dopo la morte di Cosimo I nel 1574, suo figlio Francesco I andò al potere come secondo granduca di Toscana. Alle sue nozze nel 1565 Orfeo era apparso in una processione della genealogia degli dei (cfr. § 5.1.2). Nel 1587 Francesco e la sua seconda moglie Bianca Cappello furono uccisi dal fratello Ferdinando, che in questo modo prese il potere. Sotto il regno del terzo granduca di Toscana la fortuna di Orfeo raggiunse il suo culmine. Orfeo divenne il protagonista delle prime opere liriche, che combinarono in proporzioni ideali la poesia e la musica. Anche nella Fabula di Orfeo di Poliziano, Orfeo era stato ravvivato da un attore che cantava la sua parte, ma i primi melodrammi sono dei veri tentativi di tornare alla musica antica e di far cantare un vero Orfeo antico. Questa ricerca della musica antica (greca) cominciò a Firenze alla fine del Cinquecento. Nel 1558 Gioseffo Zarlino aveva scritto le Istituzioni armoniche, che negli anni successivi vennero considerate la Bibbia dei musicisti.865 Vincenzo Galilei (il padre del 864 Questo paragrafo si basa su : A. Hubens, La légende d’Orphée et le drame musical, Bruxelles, 1910 ; H. Mayer Brown, ‘Music-how opera began: an introduction to Jacopo Peri’s Euridice (1600)’, in: The Late Italian Renaissance 1525-1630, a.c.d. E. Cochrane, Macmillan, New York, 1970, pp. 401-443; L Rebatet, Une histoire de la musique, Paris, Robert Laffout, 1990; N. Pirrotta, Music and Theatre from Poliziano to Monteverdi (trad. de Li due Orfei), Cambridge University Press, Cambridge, 1982; T.J. McGee, ‘Orfeo and Euridice, the First Two Operas’, in: Orpheus. The Metamorphoses of a Myth, cit., pp. 163-181. 865 Hubens, op.cit. 295 CAPITOLO 7 famoso Galileo Galilei) scatenò una rivolta contro le idee di Zarlino. Galilei si trovava nella cerchia di Giovanni de’ Bardi a Firenze, spesso indicata come la Camerata fiorentina. Tra i membri della Camerata si trovavano anche Giulio Caccini, Jacopo Peri, Ottavio Rinuccini e Girolamo Mei. Questa Camerata non era un’accademia ufficiale, ma un gruppo informale di musicisti che, di comune accordo, si riunivano sotto il patrocinio di Giovanni de’ Bardi tra il 1577 e il 1582.866 Gli umanisti intorno a Bardi si occupavano soprattutto di letteratura e di filosofia, ma anche di musica. Condannavano la polifonia e volevano tornare alla musica dell’antichità. Nel 1581 Galilei scrisse il Dialogo della musica antica et (della musica) moderna, che propose un rinnovamento della musica sulla base dell’antica musica greca. Galilei non aveva mai sentito la musica greca, perché in quel tempo le partiture antiche erano rare e in più, non potevano essere decifrate. L’autore si basava invece sulle tragedie di Eschilo, di Sofocle e di Euripide e sui musicografi antichi.867 Galilei riteneva che la musica greca fosse monodica. La polifonia sarebbe stata inventata dopo dagli strumentisti per fare le loro parti più interessanti. Questa musica polifonica non era, però, destinata ad essere combinata con parole.868 Le parole dovevano dominare la musica, e non il contrario, come nella musica moderna. Galilei respingeva la posizione media di Zarlino secondo cui i compositori cinquecenteschi dovevano aggiungere più forza espressiva alle loro opere, anche se erano molto superiori ai predecessori. Secondo Zarlino lo scopo della musica era di perfezionare l’intelletto, di aprire l’uomo alla virtù e di passare il tempo in modo nobile. Galilei sottolinea invece che la musica era destinata ad esprimere le passioni. Tuttavia, nella musica polifonica il potere espressivo degli elementi musicali veniva minimizzato con la sovrapposizione degli elementi.869 Secondo alcuni teorici cinquecenteschi la musica greca poteva creare degli effetti psicologici e meravigliosi nell’ascoltatore. Essi descrivevano i miracoli causati da Orfeo, Anfione, Arione, Timoteo e altri musicisti greci.870 C’erano molte discussioni sui problemi teorici della musica greca. L’approccio più proficuo era la ricerca dei modi migliori in cui si poteva unire la musica al testo per cui era stata composta. I teorici musicali erano consci dell’importanza del testo nella riproduzione di emozioni nella musica.871 866 Brown, op.cit., p. 412; Rebatet, op.cit., p. 152; Pirrotta, Music and Theatre from Poliziano to Monteverdi, cit. 867 Hubens, op.cit.; Brown, op.cit., p. 405ff. 868 Brown, op.cit., p. 407. Prima di Galilei Nicola Vicentino e il filologo Girolamo Mei avevano già scritto sullo stesso argomento. (N. Vicentino, L’antica musica ridotta alla moderna prattica, 1555 (facsimile a.c.d. E.E. Lowinsky, Bärenreiter, Cassel-Basilea, 1959); C. Palisca, Girolamo Mei: Letters to Vincenzo Galilei and Giovanni Bardi, American Institute of Musicology, 1960). 869 Brown, op.cit., p. 406. 870 Brown, op.cit., p. 403. 871 Brown, op.cit., p. 404. 296 IL TRIONFO DI ORFEO Quando nel 1587 Francesco I de’ Medici e sua moglie furono uccisi dal fratello, Bardi (che era protetto da loro) cadde in disgrazia e così si sciolse la sua camerata. Intorno al 1590 nacque una nuova camerata intorno al fiorentino Jacopo Corsi, un seguace del nuovo granduca Ferdinando I. Il musicista principale della camerata era il romano Emilio de’ Cavalieri (1550-1602), a cui fu commissionato di organizzare dei balletti e delle pastorali alla corte di Ferdinando. Anche Jacopo Peri faceva parte della nuova camerata. Peri era un cantante e l’allievo di Caccini. I membri della Camerata appartenevano quasi tutti alla corte medicea. Per conoscere il loro contributo alla musica, occorre dunque guardare la musica alla corte. A Firenze c’era una tradizione di ‘intermedi’ (intermezzi musicali). Gli intermedi erano rappresentati durante le commedie: sei intermedi per ogni commedia. Normalmente essi erano eseguiti da un grande gruppo di cantanti e strumenti, con grandi effetti teatrali e macchine sceniche. Non c’erano delle parti parlate, ma c’erano invece delle pantomime.872 Gli intermedi rappresentati durante le nozze del granduca Ferdinando I e Cristina di Lorrena nel 1589 costituiscono il primo tentativo di risolvere in pratica i problemi menzionati nei trattati. In questi intermedi per la commedia La pellegrina i musicisti italiani e in particolare quelli fiorentini stavano sperimentando il rapporto tra parola e musica in nuove composizioni monodiche e nello stile rappresentativo.873 La pellegrina era una produzione di Giovanni de’ Bardi. L’opera fu composta da Emilio de’ Cavalieri, con musica di Jacopo Peri, Giulio Caccini e altri. Tutti gli intermedi erano connessi da un tema centrale. Il tema scelto per gli intermedi del 1589 era la forza della musica antica. Nel 1590 Emilio de’ Cavalieri musicò per la prima volta un’intera rappresentazione teatrale.874 Si trattava di una pastorale, che fu allestita a Firenze. Secondo Barbara Hanning, Cavalieri non adoperava uno stile recitativo, ma collegava ariette in una maniera artificiale.875 C’erano altri esempi di rappresentazioni teatrali messe in musica, ma di tutte queste rappresentazioni la musica è andata perduta. La Dafne sul libretto di Ottavio Rinuccini è dunque considerata la prima opera lirica. La musica fu cominciata da Jacopo Corsi e finita da Jacopo Peri. La prima rappresentazione privata fu nell’inverno del 1594-95 e la prima rappresentazione pubblica nell’inverno del 1597-98. Gran parte della musica è andata perduta, ma esistono ancora dei frammenti e l’intero libretto. Secondo Howard Mayer Brown il libretto della Dafne, come anche quello dell’Euridice, rassomiglia di più alla commedia, cioè a una pastorale drammatica con intermedi, che al teatro greco.876 872 Brown, op.cit., p. 414. Il Dizionario dell’Opera, a.c.d. P. Gelli, Baldini & Castoldi, Milano, 1996 (www.delteatro.it). 874 Brown, op.cit., p. 415. 875 B. Russano Hanning, Of Poetry and Music's Power. Humanism and the Creation of Opera, Ann Arbor, Michigan, UMI Research Press, 1980, pp. 45-46. 876 Brown, op.cit., p. 417. 873 297 CAPITOLO 7 Dopo il successo della Dafne nel 1600 fu commissionata a Peri l’Euridice. Nello stesso anno Cavalieri presentò a Roma il suo melodramma religioso, intitolato la Rappresentazione dell’Anima e del Corpo. L’importanza storica dell’Euridice risiede nel fatto che è il primo melodramma di cui ci è rimasta la musica, anche se oggi il grande pubblico considera spesso l’Orfeo di Monteverdi il primo melodramma. È stata soprattutto quest’opera, che fu rappresentata per la prima volta alla corte dei Gonzaga a Mantova, ad influenzare una tradizione di melodrammi che continua fino ad oggi. 7.1 L’EURIDICE DI PERI E CACCINI E L’ORFEO DI MONTEVERDI L’Euridice di Jacopo Peri (1561-1633) su libretto di Ottavio Rinuccini fu scritta in occasione delle nozze di Enrico IV di Navarra, re di Francia, e di Maria de’ Medici. Maria era la nipote di Ferdinando I, in quel momento granduca di Toscana, e figlia del granduca precedente Francesco I. L’opera fu rappresentata per la prima volta il 6 ottobre 1600 nella stanza di Antonio de’ Medici (il fratello di Maria) nel Palazzo Pitti a Firenze per un pubblico prescelto. La rappresentazione dell’Euridice faceva parte di una serie di feste che durava sei serate e che culminò nella rappresentazione del Rapimento di Cefalo di Caccini su un libretto di Gabriello Chiabrera. Il Rapimento di Cefalo fu presentata tre giorni dopo l’Euridice nella sala grande delle commedie nel Palazzo degli Uffizi, dopo di che, secondo Gelli, non ci si ricordò più dell’Euridice.877 La sua fama arrivò solo dopo l’edizione in stampa: una prima edizione fiorentina nel 1601 e un’edizione veneziana nel 1608 (ill. 7.1). Esiste una descrizione della prima rappresentazione da parte di Michelangelo Buonarroti il Giovane.878 Il protagonista della rappresentazione era il Peri stesso; Francesco Rasi interpretava il ruolo di Aminta. Jacopo Corsi suonava il clavicembalo. Probabilmente Emilio de’ Cavalieri svolgeva la funzione di direttore musicale.879 Giulio Caccini (ca. 1550-1618) non voleva che i suoi cantanti cantassero le musiche di Peri e perciò sostituì alcune parti musicali del melodramma con le proprie parti. Si tratta della parte di Euridice, di alcune arie delle ninfe e dei pastori, e dei cori alla fine della prima, seconda e quarta scena.880 Poi Caccini compose in fretta un’intera partitura in base al testo di Rinuccini, che fece pubblicare prima di quella di Peri (ill. 7.2).881 Gelli accenna al 877 Gelli, op.cit. C. Palisca, ‘The First Performance of “Euridice”’, in: Twenty-fifth Anniversary Festschrift (1937-1962) [of] Queens College of the City University of New York, a.c.d. A. Mell, [New York], 1964, p. 9. 879 Palisca, op.cit., p. 10. 880 Gelli, op.cit. Secondo Palisca ca. 658 versi sono di Peri e 132 versi sono di Caccini (op.cit., p. 18). 881 L’Euridice composta in musica in stile rappresentativo da Giulio Caccini detto Romano, Giorgio Marscotti, Firenze, 1600 (secondo Gelli in realtà l’opera fu stampata in gennaio 1601). Peri fece stampare la sua Euridice il 6 febbraio 1601. 878 298 IL TRIONFO DI ORFEO fatto che nella sua edizione stampata Caccini non fa menzione né di Rinuccini, né di Peri, ma che presenta l’Euridice come un’idea completamente sua. In realtà la prima rappresentazione dell’Euridice di Caccini ebbe luogo molto dopo quella di Peri, il 5 dicembre 1602 nel Palazzo Pitti a Firenze. L’Euridice di Peri è scritta per la maggior parte nello ‘stile recitativo’, uno stile declamatorio inventato da Peri per imitare il parlato con musica.882 Peri parte dalle parole e adatta la musica alle parole. Inoltre, cerca di esprimere emozioni nella musica. Per studiare la fortuna di Orfeo mi occuperò soprattutto del libretto di Rinuccini. La musica di Caccini e le differenze musicali tra Peri e Caccini sono in questa ricerca d’importanza minore.883 Naturalmente la scelta di un argomento musicale era molto idonea alla rappresentazione di un’opera in musica. Rossana Dalmonte sostiene che il ‘recitar cantando’ acquistò un certo realismo, dato che i protagonisti dell’opera erano pastori, ninfe e personaggi mitologici, che erano ‘dediti al canto’.884 Orfeo fu così il protagonista ideale in quanto era un famoso cantante greco e l’antica musica greca era appunto quella che i musicisti fiorentini volevano far rivivere. Inoltre, con la Fabula di Orfeo Angelo Poliziano aveva dato l’esempio di una riuscita rappresentazione teatrale in un ambiente cortigiano. Anche la Fabula di Poliziano era stata rappresentata con musica, seppure probabilmente non tutte le parti fossero cantate. L’opera ebbe una grande fortuna in varie riprese (come le tragedie Orphei tragoedia e La favola di Orfeo e Aristeo) e nei cantari. Inoltre, Orfeo era diventato una figura gradita alle nozze dei principi. Nel capitolo 5 abbiamo discusso la presenza di Orfeo alle feste di nozze degli Aragona (§ 5.5). In queste occasioni Orfeo cantava sempre una canzone per onorare gli sposi o per introdurre le vivande. Orfeo cantante era anche stato presente in qualche intermezzo musicale, come durante la commedia Armenia di Giovan Battista Visconti del 1599.885 In più, esistevano dei rapporti tra Orfeo e la famiglia dei Medici.886 Soprattutto Cosimo I aveva coltivato la somiglianza tra se stesso e Orfeo (§ 6.7). Anche papa Leone X 882 Brown, op.cit., p. 420. La differenza musicale tra Peri e Caccini risiede, secondo Mioli, nel fatto che Peri è un sostenitore della monodia pura e assoluta; è un compositore classicheggiante, che adopera degli intervalli dei modi greci; si serve di un basso continuo statico. Caccini adopera invece una monodia semplice e più naturale; è un compositore armonico che si serve di un basso continuo chiaro e modulante. (P. Mioli, Introduzione a: Giulio Caccini, L’Euridice composta in musica in stile rappresentativo, S.P.E.S., Firenze, 2000 (riproduzione dell’edizione del 1600)). 884 R. Dalmonte, Il Mito di Orfeo in Musica: dispense a.a. 1993-94, storia della musica, Università degli Studi, Trento, [1994], p. 6. 885 L’argomento del primo intermedio dell’ecloga Armenia, che fu rappresentata per l’ingresso a Milano dell’infante Isabella, la sposa dell’arciduca Alberto d’Austria, era proprio il mito di Orfeo ed Euridice (A. Bonaventura, ‘Il mito d’Orfeo nella musica’, Nuova antologia di lettere, arti e scienze 149? (1910), p. 403). 886 Cfr. anche Hanning, Of Poetry and Music’s Power, cit., p. 47. 883 299 CAPITOLO 7 (Giovanni de’ Medici) aveva usato Orfeo per propagandare i vantaggi del regno dei Medici. La scelta del titolo Euridice anziché quello più naturale di Orfeo, non è senza ragione: siccome si sposa una donna della famiglia de’ Medici, il titolo focalizza sulla protagonista femminile del mito.887 Insomma, la scelta del mito di Orfeo ed Euridice per la prima opera lirica fu quasi inevitabile. Nel § 6.3 entrerò nel merito delle implicazioni politiche di questa scelta. La scelta di Orfeo come protagonista dell’Euridice è dunque determinata da più fattori: la musica, l’occasione della festa di corte e delle nozze reali e lo scopo di propaganda. Il mito di Orfeo ed Euridice fu ripreso da Claudio Monteverdi (1567-1643) nel suo Orfeo, che vide la luce il 24 febbraio 1607 a Mantova, nel tempo del Carnevale. Il committente dell’opera era Vincenzo Gonzaga, il duca di Mantova. Secondo Gelli l’iniziativa fu presa da Francesco Gonzaga.888 Prima di scrivere l’Orfeo Monteverdi aveva scritto alcuni libri di madrigali, che erano apprezzati molto dal pubblico mantovano. Dal 1601 diventò maestro della cappella del duca. Vincenzo Gonzaga era stato presente alle feste nuziali del 1600 e aveva dunque visto la prima rappresentazione dell’Euridice. Inoltre, Vincenzo era imparentato con i Medici. Con la commissione dell’Orfeo Francesco cercava probabilmente di emulare il successo musicale dei Medici. Secondo Rebatet anche Monteverdi aveva assistito alla prima rappresentazione dell’Euridice, ma senza molto entusiasmo: a suo parere la nuova musica era noiosa ed uniforme.889 La composizione dell’opera fu commissionata all’Accademia degli Invaghiti, un gruppo di gentiluomini dilettanti, che era stata fondata a Mantova cinquant’anni prima.890 L’Accademia sconsigliava l’uso di cantanti femminili. Monteverdi doveva dunque cercare dei giovani o dei castrati per i ruoli femminili.891 I cantanti nella prima rappresentazione erano: Giovan Gualberto Magli (Musica, Proserpina, la messaggera oppure la Speranza); Francesco Rasi (probabilmente nella parte di Orfeo); un giovane prete, forse Girolamo Bacchini (Euridice). La rappresentazione ebbe luogo nel Palazzo Ducale di Mantova, in una sala non molto grande nell’appartamento di Margherita Gonzaga (probabilmente la Sala degli Specchi o la Galleria dei Fiumi). Mentre questa prima rappresentazione era destinata ad un pubblico prescelto, la seconda, che si svolse già il primo marzo 1607, era secondo Francesco Gonzaga per ‘tutte le dame di questa città’.892 887 Inoltre, lo sposo di Maria de’ Medici, Enrico IV, non era presente alle nozze. Si trattava di un matrimonio per procura. Gli sposi si incontravano dopo a Marsiglia. 888 Gelli, op.cit. 889 Rebatet, op.cit., p. 157. 890 I. Fenlon, ‘The Mantuan ‘Orfeo’, in: Claudio Monteverdi: Orfeo, a.c.d. J. Whenham, Cambridge, Cambridge University Press, 1986, p. 2. 891 P. Besutti, Gonzaga: La Celeste Galeria. Le raccolte, a.c.d. R. Morselli, Skira, Milano, 2002, no. 184. 892 Besutti, op.cit. Besutti cita da una lettera di Francesco Gonzaga al fratello Ferdinando. 300 IL TRIONFO DI ORFEO Per la prima rappresentazione fu stampato solo il libretto di Alessandro Striggio.893 La partitura di Monteverdi non fu stampata prima del 1609, con alcuni cambiamenti per quanto riguarda il contenuto, come vedremo dopo.894 Striggio era un Invaghito e il segretario del duca. Il libretto dell’Orfeo venne distribuito tra il pubblico, come dimostra una lettera di Francesco Gonzaga al fratello Ferdinando. Così il testo poteva essere capito da tutti i presenti, anche se le parole erano cantate. La differenza tra Peri e Monteverdi risiede secondo Bonaventura nel fatto che Monteverdi creò ‘un mirabile equilibrio tra le forme recitative e le liriche’.895 Le passioni dei personaggi sono espresse nelle arie. Bonaventura dice che l’umanità e la drammaticità sono le qualità caratteristiche dell’Orfeo. Una grande differenza si vede anche nella scelta degli strumenti: per l’Euridice Peri prescrive, secondo la prefazione alla partitura, un clavicembalo, una tiorba, un lirone e un liuto grande. Gli strumenti usati per l’Orfeo sono invece: due clavicembali, due viole contrabbasse, dieci viole da braccio, un’arpa doppia, due violini piccoli alla francese e due ordinari da braccio, tre chitarroni, ceteronei, due organi di legno, tre viole da gamba basse, cinque tromboni, alcuni regali, due cornetti, due flauti piccoli, e quattro trombe.896 Questa differenza indica l’importanza maggiore della musica nell’opera di Monteverdi. Per Peri il compito principale della musica era l’accompagnamento delle parole. Dalmonte accenna all’attenzione maggiore al canto nel testo dell’Orfeo, contrariamente a quello che succede nell’Euridice.897 Monteverdi commenta in una lettera la scelta del mito di Orfeo come argomento della sua opera: non voleva scrivere su argomenti fantastici che non erano adatti ad esprimere le passioni. Sceglieva dunque degli argomenti che potevano commuovere il pubblico: ‘Arianna, per essere donna et li mosse parimente Orfeo per esser homo et non vento.’898 Naturalmente Monteverdi e Striggio seguivano anche l’esempio di Peri e Caccini e di Rinuccini. Nel paragrafo successivo discuterò le rassomiglianze (e le differenze) tra i libretti di Rinuccini e Striggio.899 Come i Medici, anche i Gonzaga sottolineavano spesso i legami tra la loro famiglia e Orfeo. Ricordiamo che la Fabula di Orfeo di Poliziano era stata commissionata dal cardinale Francesco Gonzaga e rappresentata a Mantova. Mantegna aveva dipinto tre scene del mito sul soffitto della Camera degli Sposi nel Palazzo Ducale. L’idea di emulare i Medici con un melodramma sul mito di Orfeo deve aver attirato i 893 A. Striggio, La favola d’Orfeo, Francesco Osanna, Mantova, 1607. C. Monteverdi / A. Striggio, L’Orfeo, Ricciardo Amadino, Venezia, 1609; ristampata nel 1615. 895 Bonaventura, op.cit., pp. 401-415. 896 Gelli, op.cit. 897 Dalmonte, op.cit., p. 6. 898 Bonaventura, op.cit., p. 407. 899 Dalmonte (e.a.) dice che l’Orfeo è stato influenzato anche dal Pastor fido di Guarini e dall’Aminta di Tasso (op.cit., p. 6). Striggio ha dunque elaborato il genere pastorale. 894 301 CAPITOLO 7 Gonzaga, alla cui corte era nata la Fabula di Orfeo, che aveva dato origine alla tradizione di rappresentazioni (musicali) sul mito di Orfeo. 7.2 ORFEO NEI DUE LIBRETTI I personaggi e il prologo Scrivendo il libretto per l’Euridice Rinuccini si è fatto ispirare naturalmente dalla Fabula di Orfeo di Poliziano e dalla sua fortuna variegata nel Cinquecento. Tuttavia l’Euridice non è un’imitazione fedele della Fabula e mostra molte differenze rispetto a quest’ultima. Già la scelta del titolo potrebbe far pensare a una focalizzazione diversa dell’opera in cui il ruolo di Euridice assuma una maggiore importanza rispetto a quello di Orfeo. Questa supposizione viene tuttavia subito smentita: Orfeo rimane infatti il protagonista principale anche dell’Euridice. La dedica di Rinuccini all’inizio dell’opera offre una spiegazione della scelta del titolo: ‘Alla christianissima Maria de’ Medici regina di Francia, e di Nauarra’. Solo per onorare Maria de’ Medici che si sposa in quel giorno Rinuccini evidenzia la protagonista femminile del dramma.900 La lista degli interlocutori presenta subito alcuni personaggi nuovi rispetto alla Fabula di Orfeo. È stata aggiunta la figura della Tragedia per recitare il prologo. Béatrice Didier spiega che per Peri la tragedia antica era un tipo di opera lirica.901 L’apparizione della Tragedia non deve dunque sorprendere. Anche l’aggiunta di un coro (che manca nella Fabula di Poliziano) serve, secondo Didier, per imitare la tragedia greca.902 L’Euridice contiene alcuni cori: di ninfe, di pastori e di ombre e divinità infernali. Secondo Bellina l’Euridice e l’Orfeo realizzano ambedue la trasformazione dalla tragedia in musica: i melodrammi mantengono i cinque atti, il ruolo del coro e l’unità di tempo di un giorno, come viene ricordato nel penultimo coro e l’unità d’azione; eliminano invece la regola dell’unità di luogo (perché Orfeo scende nell’Ade).903 Altri personaggi nuovi sono Dafne, protagonista anche della prima opera di Peri, la quale annunzia la morte di Euridice. È stata inserita Venere, la cui presenza concorda bene con il carattere prevalentemente amoroso dell’opera. Tra i personaggi infernali vi sono Radamanto e Caronte. Quest’ultimo era anche presente nei cantari e in alcune traduzioni 900 Cf. anche Anna Laura Bellina, secondo cui l’opera porta il nome di Euridice, perché è destinata a Maria de’ Medici invece che a suo marito (‘I passaggi di Orfeo: recitar cantando nell’opera italiana fra Peri e Gluck’, in: La maschera e il volto. Il teatro in Italia, a.c.d. F. Bruni, Marsilio, Venezia, 2002, p. 143.). 901 B. Didier, ‘Orphée: mythe originiaire de l’opéra’, in A.M. Babbi, Le metamorfosi di Orfeo, Fiorini, Verona, p. 187. 902 Didier, op.cit., p. 186. 903 A.L. Bellina, ‘I passaggi di Orfeo: recitar cantando nell'opera italiana fra Peri e Gluck’, in: La maschera e il volto. Il teatro in Italia, a.c.d. F. Bruni, Venezia, Marsilio, 2002, p. 149. 302 IL TRIONFO DI ORFEO delle Metamorfosi. La presenza di un gruppo di pastori (Arcetro, Tirsi e Aminta) dà all’opera un carattere bucolico, come alla Fabula di Orfeo. Un altro elemento comune alla Fabula è la mancanza della divisione in atti.904 C’è invece un prologo e ci sono alcune scene alternate con canzoni del coro. L’omissione principale è quella di Aristeo, che nella Fabula provocò la morte di Euridice. Sparisce anche il coro delle Baccanti, perché Rinuccini crea una conclusione diversa. Come detto il prologo è recitato dalla Tragedia. Questa scelta sottolinea il desiderio della Camerata fiorentina di far rivivere la tragedia antica. Contrariamente agli spettacoli infelici che essa presentava normalmente al pubblico, questa festa di nozze doveva essere celebrata con un canto felice: LA TRAGEDIA Io che d’alti sospir vaga, e di pianti Spars’or di doglia, or di minaccie il volto Fei negl’ampi Teatri al popol folto Scolorir di pietà volti, e sembianti. Non sangue sparso d’innocenti vene Non ciglia spente di Tiranno insano, Spettaccolo infelice al guardo humano Canto su meste, e lagrimose scene. Lungi via lungi pur da regij tetti Simolacri funesti, ombre d’affanni, Ecco i mesti coturni, e i foschi panni Cangio, e desto ne i cor più dolci affetti. (Rinuccini, Euridice, p. 1r) Per le nozze reali la Tragedia presenterà un’opera più allegra. Il prologo della Tragedia anticipa dunque già l’esito felice di questa versione del mito di Orfeo. Si noti l’insistenza sul fatto che si tratta di un matrimonio regale e che Maria de’ Medici diventerà una regina.905 I personaggi dell’Orfeo non sono elencati all’inizio, ma sfogliando il testo si trovano alcuni personaggi nuovi rispetto all’Euridice. La Tragedia è stata sostituita con la Musica, il che non cambia tanto l’intenzione dell’opera. La personificazione della Speranza prende il posto di Venere. L’amore perde dunque il suo ruolo fondamentale. Sparisce Radamanto, ma tornano le Baccanti dalla Fabula di Orfeo. Contrariamente all’Euridice e alla Fabula, 904 Ci sono stati vari tentativi di dividere l’opera in scene o atti. Alcuni studiosi distinguono sei scene, ma la maggior parte divide l’Euridice in cinque scene, che rassomigliano ai cinque atti della tragedia. 905 B. Bujić, “Figura poetica molto vaga’: Structure and Meaning in Rinuccini’s ‘Euridice”, Early Music History 10 (1991), p. 53. 303 CAPITOLO 7 l’Orfeo di Striggio è diviso in cinque atti come una tragedia. Sotto questo rispetto l’opera rassomiglia alle rielaborazioni della Fabula sotto forma di tragedia, l’Orphei tragoedia e la Favola di Orfeo e Aristeo. Sia nell’Euridice che nell’Orfeo è sparita, però, la figura di Aristeo. Come ho detto, nel libretto di Striggio il prologo è recitato dalla Musica. La Musica non promette di rappresentare solo cose allegre, ma ci prepara ad un’alternanza di canti ‘lieti’ e canti ‘mesti’: Quinci à dirui d’Orfeo desio mi sprona, D’Orfeo che trasse al suo cantar le fere, E seruo fè l’Inferno à sue preghiere, Gloria immortal di Pindo e d’Elicona. Hor mentre i canti alterno hor lieti, hor mesti, Non si moua augellin frà queste piante, Nè s’oda in queste riue onda sonante, Et ogni auretta in suo camin s’arresti. (Striggio, Orfeo, prologo, vv. 13-20)906 Cantando il mito di Orfeo la Musica spera di raggiungere gli stessi effetti che sono attribuiti al canto di Orfeo: fermare gli uccelli volanti, le onde e i venti. Con questo desiderio si conclude il prologo dell’Orfeo. La celebrazione del giorno lieto Dopo il prologo l’Euridice continua con una scena in cui ninfe e pastori si rallegrano per il giorno felice in cui Orfeo ed Euridice si sposano. È una novità assoluta il fatto che anche Euridice prima di morire parli. Anche se l’Euridice di Rinuccini rimane alquanto taciturna (recita 27 dei 800 versi), nelle versioni di Virgilio, Ovidio e Poliziano la sposa non diceva quasi niente.907 Il fatto che la donna dica soltanto qualche parola conveniva alle esigenze del decorum del tempo e dimostrava la sua modestia in confronto all’eloquenza di suo marito.908 La musica sottolinea il carattere gioioso della giornata: sono ripetute le parole 906 Le parole ‘hor lieti, hor mesti’ alludono forse alle parole di Orfeo alla fine dell’Euridice. Il cantante dice di aver vinto Plutone con ‘modi hor soaui hor mesti’ (Rinuccini, Euridice, p. 14v.). 907 K. Harness, ‘Le tre Euridici: Characterization and Allegory in the Euridici of Peri and Caccini’, Journal of Seventeenth-Century Music 9, 1 (2003), passim (http://sscm-jscm.press.uiuc.edu/jscm/v9/no1/Harness.html) 908 Harness, op.cit., §2. Secondo Harness ci sono delle sfumature diverse nelle caratterizzazioni musicali di Euridice da parte di Peri e di Caccini. La studiosa distingue tre Euridici: 1. quella della partitura di Peri, che crea un’Euridice musicalmente libera che rispecchia lo stile musicale del marito; 2. quella della rappresentazione di 6 ottobre su musiche di Peri e Caccini, che musicalmente si confonde con gli altri 304 IL TRIONFO DI ORFEO ‘Non vede vn simil par d’amanti ‘l Sole’, che si basano su Petrarca.909 Citando dei versi di poeti famosi Rinuccini adotta una tecnica molto convenzionale nel Rinascimento e già adoperata da Poliziano. Mentre Poliziano citava soprattutto da Virgilio e Ovidio, nel testo di Rinuccini (e più tardi in quello di Striggio) i poeti principali sono Dante e Petrarca.910 Le ninfe e i pastori cantano insieme una canzone allegra per invitare tutti alla festa. Dopo la canzone Orfeo appare sulla scena. L’eroe canta e parla con i pastori Arcetro e Tirsi: ora che ha conosciuto l’amore il suo dolore avrà termine. Un cambiamento rispetto alla Fabula di Poliziano è che Orfeo ed Euridice non sono ancora sposati. L’opera si svolge il giorno delle nozze, in analogia con le nozze di Maria de’ Medici ed Enrico IV. Anche nell’Orfeo il primo atto comincia con un incontro di pastori e ninfe che si rallegrano per il fatto che Orfeo è finalmente riuscito a conquistare il cuore di Euridice, per cui ha sofferto tanto. Il coro invoca la presenza di Imeneo, il dio delle nozze. Poi è cantata un’allegra canzone da ballo. Un pastore chiede a Orfeo di cantare una canzone dettata dall’Amore per far rivivere la natura, che aveva fatto piangere prima. Orfeo esprime quindi la sua felicità tramite una canzone indirizzata al Sole. Euridice risponde di non saper esprimere la sua gioia, perché il suo cuore si trova con Orfeo in compagnia di Amore. Le ninfe e i pastori ripetono poi la loro canzone da ballo e l’invocazione a Imeneo. Un pastore sprona gli altri ad andare al tempio a ringraziare il dio. L’atto finisce di nuovo con una canzone del coro: come la natura si rasserena dopo una tempesta e come dopo l’inverno viene la primavera, così Orfeo è finalmente felice dopo aver sofferto tanto. In ambedue le opere è mantenuto il carattere pastorale del mito che fu introdotto da Poliziano. Ambedue i libretti richiamano l’attenzione sulla forza dell’amore, anche se solo quello di Rinuccini è completamente incentrato su questo tema. ‘Ahi caso acerbo’ All’improvviso nell’Euridice si presenta Dafne, la nunzia, chiaramente spaventata. La ninfa racconta che Euridice è stata morsa da un serpente mentre stava cogliendo violette e rose con le sue amiche. Manca qui l’inseguimento da parte di Aristeo come causa della morte. Rinuccini si basa invece su una versione ovidiana, in cui Euridice muore in presenza delle sue amiche. Prima di morire la ragazza chiama ancora il nome di Orfeo. Brown fa notare che l’intero racconto di Dafne è pieno di dissonanze musicali, che accompagnano certe parole cruciali, come ‘miserabil caso’ e ‘sospir mortale’.911 Le dissonanze sottolineano così personaggi secondari e che si oppone agli estremi emozionali e armonici del marito; 3. quella della partitura di Caccini, in cui tutti i personaggi cantano nello stesso stile musicale. (§§ 1.4 e 6.8). 909 Petrarca, RVF, CCXLV, v. 9. 910 Hanning, Of Poetry and Music’s Power, cit., pp. 51-52. 911 Brown, op.cit., pp. 437-438. 305 CAPITOLO 7 l’amarezza della notizia. Il dolore è anche musicalmente espresso da cambiamenti armonici, come nell’ ‘Ohimè’ che Dafne pronuncia quando appare sulla scena.912 La prima reazione viene da Arcetro, che esprime il suo dolore. Subito dopo parla Orfeo: non piange, ma si decide subito a cercarla, perché Euridice lo ha chiamato: ORFEO Non piango, e non sospiro O mia cara Euridice Che sospirar, che lagrimar non posso. Cadauero infelice, O mio core, o mia speme, o pace, o vita, Ohime chi mi t’ha tolto Chi mi t’ha tolto, ohime doue se gita? Tosto vedrai, ch’invano Non chiamasti morendo il tuo consorte, Non son, non son lontano Io vengo, o cara vita, o cara morte (Rinuccini, Euridice, p. 5v) Brown descrive come in questa reazione di Orfeo la musica si trasformi a seconda degli stati d’animo di Orfeo: prima il cantante è sconvolto (musica statica); poi si duole (melodia più alta, spazio musicale maggiore, dissonanza); e infine si propone di scendere nell’inferno (cambiamento armonico, più veloce e metrico).913 Arcetro vuole seguire Orfeo, perché Orfeo non si suicidi sopraffatto dal dolore. Il coro canta una canzone dolorosa, in cui si ripetono le parole: ‘Sospirate aure celesti, Lagrimate o Selve, o Campi’. Arcetro racconta che quando Orfeo raggiunse il luogo dove morì Euridice, cadde per terra e cominciò a piangere. All’improviso apparve una donna celeste su un carro tirato da due colombe e un cigno. La donna scese dal carro e porse la mano a Orfeo. Siccome gli dei sono scesi tra i mortali, bisogna andare agli altari per inneggiare a loro. Dopo la canzone del coro cambia la scena. Nell’Orfeo la notizia dolorosa è raccontata nel secondo atto. In questo atto Orfeo è tornato alle selve, dove si trova in compagnia di alcuni pastori anonimi. I pastori esaltano la natura amena del luogo. Orfeo ricorda ai boschi che una volta i sassi rispondevano ai suoi lamenti.914 All’improvviso entra una messaggera dicendo ‘Ahi caso acerbo, ahi fato empio e crudele, Ahi stelle ingiuriose, ahi Cielo auaro.’ Queste parole saranno ripetute più 912 Brown, op.cit., pp. 438-439. Brown, op.cit., pp. 440-443. 914 Si noti che nel libretto di Striggio Orfeo ha incantato la natura con il suo canto doloroso prima di aver incontrato Euridice. Nelle descrizioni precedenti del mito di Orfeo (per esempio di Ovidio) Orfeo suscitava questa reazione della natura dopo la seconda perdita di Euridice. 913 306 IL TRIONFO DI ORFEO volte dai pastori dopo il racconto della messaggera. La messagera è identificata da uno dei pastori come Silvia, una compagna di Euridice. La ragazza annuncia a Orfeo la morte di Euridice: MESSAGGIERA A te ne vengo Orfeo Messaggiera infelice Di caso più infelice e più funesto. La tua bella Euridice. ORF. Ohime che odo? La tua diletta sposa è morta. ORF. Ohime. (Striggio, Orfeo, p. 13) Alle parole dolorose della messaggera Orfeo reagisce soltanto con il sospiro ‘Ohime’. Poi si spiegano le circostanze delle morte di Euridice. Come nell’Euridice la notizia della messaggera è accompagnata da un cambiamento melodico. La parola ‘morta’ è sottolineata da un intervallo dissonante.915 I pastori sono i primi ad esprimere il loro dolore. Poi infine Orfeo piange la morte della sua sposa; si ripropone di scendere agli inferi per riprendersi Euridice o per morire con lei: ORFEO Tu se’ morta mia vita, ed io respiro? Tu se’, tu se’ pur ita Per mai più non tornare, ed io rimango ? Nò, che se i versi alcuna cosa ponno N’andrò sicuro à’ più profondi abissi, E intenerito il cor del Rè de l’ombre Meco trarròtti à riueder le stelle: O se ciò negherammi empio destino Rimarrò teco in compagnia di morte, A dio terra, à dio Cielo, e Sole à dio. (Striggio, Orfeo, p. 15) La messaggera fugge dalla scena per ritirarsi in un luogo solitario. L’atto si conclude con un coro doloroso, che ripete le parole enunciate prima dalla messaggera: ‘Ahi caso acerbo, ahi fato empio e crudele, Ahi stelle ingiuriose, ahi Cielo avaro.’ 915 A. Schuermans, ‘Orpheus in de muziek’, in: Orpheus. Ontstaan, groei en nawerking van een antieke mythe in de literatuur, beeldende kunsten, muziek en film, a.c.d. A. Provoost, Acco, Leuven, 1974, p. 133-147. 307 CAPITOLO 7 La discesa nell’Inferno Nella scena seguente dell’Euridice Venere (la donna celeste) porta Orfeo da Euridice con le parole ‘Scorto da immortal guida / Arma di speme, e di fortezza l’alma / Ch’haurai di morte ancor trionfo, e palma.’ La presenza della dea sottolinea la posizione centrale dell’amore in questa versione del mito. La dea racconta a Orfeo che stanno discendendo all’inferno, dove non è mai stato nessun uomo mortale. Lo sprona a far piegare l’inferno al suo canto. Gli eventi che seguono rassomigliano alla scena infernale nella Fabula di Orfeo. Plutone si stupisce del canto di Orfeo e gli chiede la sua identità. Segue una lunga orazione di Orfeo, che mette in evidenza la forza dell’amore e che è interrotta due volte da Plutone. L’orazione differisce, però, sotto alcuni aspetti dall’orazione in Ovidio e Poliziano. Prima Proserpina, e poi Radamanto e Caronte cercano di convincere Plutone ad ascoltare le parole di Orfeo. Infine Plutone cede alle preghiere di Orfeo e alle reazioni degli altri dei infernali. Il dio concede a Orfeo di portare con sé Euridice, senza che gli sia imposta nessuna condizione: PLUTONE Trionfi oggi pietà ne campi Inferni, E sia la gloria, e’l vanto Delle lagrime tue del tuo bel canto, O delle Regia mia ministri eterni Scorgete voi per entro all’aere scuro L’amator fido alla sua donna avante, Scendi gentil amante Scendi lieto, e sicuro Entro le nostre soglie, E la diletta Moglie Teco rimeno al Ciel sereno, e puro (Rinuccini, Euridice, p. 11r-11v) In queste parole risiede il cambiamento maggiore rispetto alle versioni precedenti del mito. È tralasciata la condizione di non guardare indietro, per cui Orfeo trionfa sull’Ade con la sua musica, che suscita pietà. Questo cambiamento era reso necessario date le circostanze in cui era nata l’opera. Mentre l’Orfeo di Poliziano fallì, perché si era voltato indietro, l’Orfeo di Rinuccini sembra trionfante per la prima volta. Sia Venere che Plutone riconoscono il trionfo dell’amore. Nel § 6.3 vedremo che il vero trionfo Orfeo l’otterrà solo nell’opera di Monteverdi. Nell’Orfeo la discesa nell’inferno copre gli atti III e IV. Nel terzo atto la scena cambia: il mondo bucolico del primo e del secondo atto si trasforma nel mondo infernale. Mentre nell’Euridice Orfeo era guidato nell’inferno da Venere, qui è accompagnato dalla Speranza. La Speranza non può, però, entrare nel regno di Plutone, perché la legge scritta 308 IL TRIONFO DI ORFEO nel sasso lo vieta: ‘Lasciate ogni speranza ò voi ch’entrate.’ Con questa citazione Rinuccini lega il suo inferno a quello di Dante.916 Didier spiega la presenza della Speranza come uno dei tre concetti fondamentali della chiesa: Fede, Speranza e Carità.917 Così l’Orfeo riceverebbe un significato cristiano. Nel § 6.3 torneremo su questo significato cristiano dell’Orfeo. Caronte ferma Orfeo, perché teme che lui voglia trarre Cerbero dall’inferno o rapire la moglie di Plutone. Orfeo indirizza dunque il suo lungo lamento a Caronte, perché questi lo faccia passare all’altra riva.918 Tuttavia, non succede quello che Orfeo s’aspettava: Caronte non si lascia convincere, ma si addormenta ascoltando il canto di Orfeo. La scena strizza l’occhio al libretto di Rinuccini: il canto di Orfeo non provoca pietà, ma sonno. ORFEO [...] Ei dorme, e la mia cetra Se pietà non impetra Ne l’indurato core, almeno il sonno Fuggir al mio cantar gli occhi non ponno. Sù dunque, à che più tardo? Tempo è ben d’approdar sù l’altra sponda S’alcun non è ch’il neghi Vaglia l’ardir se foran vani i preghi. È vago fior del Tempo L’occasion, ch’esser dee colta à tempo. (Striggio, Orfeo, pp. 21-22) Orfeo entra nella barca e così giunge all’altra riva. L’aria dimostra il potere magico della musica: fa addormentare Caronte. È l’aria più elaborata dell’intera opera: per ogni strofa Monteverdi ha scritto una versione semplice e una versione elaborata. La strumentazione cambia in ogni strofa.919 Anche se le parole di Orfeo non sembrano procurare a prima vista il risultato desiderato (Caronte si addormenta), musicalmente quest’aria costituisce il culmine dell’opera. Non si tratta dunque di un fallimento, ma di una manifestazione del potere musicale. L’aria dimostra la centralità della musica in quest’opera. Il terzo atto 916 I due atti infernali sono pieni di riferimenti all’Inferno dantesco (Gelli, op.cit.). Didier, op.cit., pp. 181-193. 918 Secondo Hanning Orfeo indirizza la sua preghiera a Caronte, perché in questo modo il successo del suo canto si separa dal fallimento nell’inferno stesso, quando il cantante guarda indietro. 919 Dalmonte, op.cit., pp. 19-20; Schuermans, op.cit. Anche se le parole di Orfeo non sembrano procurare a prima vista il risultato atteso (Caronte non si lascia convincere, ma si addormenta), musicalmente quest’aria costituisce il culmine dell’opera. Non si tratta dunque di un fallimento. 917 309 CAPITOLO 7 finisce con un coro di spiriti infernali, secondo il quale tutte le imprese dell’uomo hanno successo. La discesa di Orfeo è paragonata all’impresa di Dedalo. La scena infernale continua nel quarto atto. Proserpina ha sentito il canto di Orfeo e implora la pietà di Plutone. Il dio non è in grado di negare un favore alle preghiere e alla bellezza della sua sposa. Tuttavia proibisce esplicitamente a Orfeo di volgersi verso Euridice. Tutti gli abitanti degli Inferi sono contenti della decisione di Plutone. Orfeo si muove intanto verso l’uscita, seguito da Euridice. Canta un elogio della sua cetra, a cui promette un posto nel cielo tra le stelle, che danzeranno alla sua musica. Orfeo comincia, però, a dubitare se Euridice lo segua ancora. Quando sente uno strepito, pensa che le furie stiano per assalirlo e rapirgli la moglie. Per questo guarda indietro: ORFEO O dolcissimi lumi io pur vi veggio, Io pur: ma qual eclissi ohime v’oscura? UNO SPIRITO Rott’hai la legge, e se’ di grazia indegno. EURIDICE Ahi vista troppo dolce e troppo amara: Così per troppo amor dunque mi perdi? Et io misera perdo Il poter più godere E di luce e di vita, e perdo insieme Tè d’ogni ben più caro, ò mio consorte. (Striggio, Orfeo, p. 28) Uno spirito sottolinea l’errore di Orfeo: lui è indegno della grazia di Plutone. Euridice, però, non se la prende con lui. Orfeo l’ha persa per troppo amore. Quando cerca di seguirla, gli è bloccata la strada e Orfeo è ricondotto alla luce. Un coro di spiriti conclude l’atto con l’avviso che Orfeo non era degno di gloria, perché dopo aver vinto l’inferno era stato vinto dai propri sentimenti: CHORO DI SPIRITI [...] Orfeo vinse l’Inferno, e vinto poi Fù da gli affetti suoi. Degno d’eterna gloria Fia sol colui c’haurà di sè vittoria. (Striggio, Orfeo, p. 29) 310 IL TRIONFO DI ORFEO In questa scena la differenza tra le due opere liriche è probabilmente maggiore. Mentre nell’Euridice Orfeo torna trionfante dall’Ade insieme alla sposa, nell’Orfeo deve tornare da solo tra le accuse degli spiriti infernali. Le stesse parole con cui Orfeo era lodato da Plutone nella prima opera (trionfo, gloria e vittoria), sono proprio le vittorie che gli sono negate nell’Orfeo di Striggio. Tuttavia, il trionfo di Orfeo nell’Euridice risulterà illusorio, in confronto al vero trionfo che Orfeo otterrà nella seconda versione dell’Orfeo. Il ritorno al mondo: esito felice o infelice? Torniamo al testo di Rinuccini. Ormai la notte è quasi caduta e Orfeo non è ancora tornato dall’inferno. Arcetro si preoccupa per la sua salute. Aminta appare, però, per dare delle buone notizie: Euridice vive. Poco dopo Orfeo ed Euridice raggiungono i pastori e il coro delle ninfe e spiegano cosa è successo nell’inferno. Aminta loda il potere di Amore: ‘O magnanimo core, Ma che non puote Amore?’ Di nuovo è messo in evidenza il ruolo dell’amore, come in altri luoghi dell’opera: la prima canzone di Orfeo, la presenza di Venere, l’orazione di Orfeo nell’Ade e le parole di Plutone (‘L’amator fido’; ‘gentil amante’). Orfeo riconosce che la dea dell’amore lo ha guidato all’inferno, e dice di aver vinto Plutone con il suo canto: CHORO Come quel crudo Rege Nudo d’ogni pietà placar potesti? ORFEO Modi hor soaui hor mesti, Feruidi preghi, e flebili sospiri Temprai sì dolce, ch’io Nell’implacabil cor destai pietate, Così l’alma beltate Fú mercè, fú trofeo del canto mio (Rinuccini, Euridice, p. 14v) Anche il canto è stato dunque decisivo per il successo di Orfeo, ma non è negata l’importanza dell’amore. Euridice è descritta come un trofeo: Orfeo ha trionfato sull’inferno e ha vinto Euridice. Il coro conclude l’opera con una canzone sul ‘Biondo arcier che d’alto monte’. Rinuccini omette dunque la misoginia e l’omosessualità di Orfeo, perché Euridice torna al mondo senza che Plutone abbia posto una condizione. Spariscono le Baccanti che nella versione di Poliziano e nelle traduzioni delle Metamorfosi lacerano il cantante. Nella premessa Rinuccini si scusa per la deviazione dalla tradizione. L’occasione dell’opera, cioè 311 CAPITOLO 7 le nozze di Maria de’ Medici ed Enrico IV, è allegra. Per questa ragione bisogna evitare la tristezza: Potrà parere ad alcuno, che troppo ardire sia stato il mio in alterare il fine della fauola d’Orfeo, ma cosi mi è parso conueneuole in tempo di tanta allegrezza, hauendo per mia giustificatione esempio di Poeti Greci, in altre fauole, & il nostro Dante ardì di affermare essersi sommerso Vlisse nella sua nauigatione, tutto che Omero, e gl’altri Poeti hauessero cantato il contrario. Cosi parimente ho seguito l’autorità di Sofocle nel l’Aiace in far riuolger la Scena non potendosi rappresentar altrimenti le preghiere, & i lamenti d’Orfeo. (Rinuccini, Euridice, dedica, p. 3) A giustificare il suo cambiamento della fine del mito Rinuccini menziona i poeti greci e Dante (il racconto di Ulisse nella Commedia). Le parole di Rinuccini mostrano che l’autore è conscio di un andamento del mito ormai più o meno stabilito e fisso, che può essere cambiato solo per motivi convincenti. Le nozze reali costringono l’autore a cambiare la fine del mito. Nella prima versione del libretto Striggio conclude l’Orfeo, invece, in modo molto simile alla fine della Fabula di Orfeo di Poliziano. Il quinto atto ci riporta nel mondo. Orfeo si trova sui campi di Tracia dove canta il suo dolore. Le montagne echeggiano le sue parole (cioè si dolgono con lui). Piangendo Orfeo respinge le altre donne, che a suo parere sono tutte perfide e prive di senno. ORFEO [...] Hor l’altre Donne son superbe e perfide Ver chi le adora, dispietate instabili, Priue di senno e d’ogni pensier nobile, Ond’à ragione opra di lor non lodansi: Quinci non fia giamai che per vil femina Amor con aureo strale il cor trafiggami. (Striggio, Orfeo, pp. 31-32) Orfeo non è più pederasta come nelle versioni di Ovidio e di Poliziano, ma dopo la morte di Euridice è decisamente misogino e non si cura più di altre donne. A un tratto compare un gruppo di Baccanti, che canta le lodi di Bacco e cerca Orfeo, ‘disprezzator de’ nostri pregi alteri’. La presenza delle Baccanti alla fine dell’opera, le loro canzoni per Bacco, e l’indicazione di Orfeo come ‘disprezzator’ rimandano alla fine della Fabula di Orfeo di Poliziano. Le donne ripetono sempre lo stesso ritornello ‘Euohe padre Lieo Bassareo, ecc.’, alternato con parole che lodano Bacco e il vino. L’uccisione di Orfeo non è descritta esplicitamente dalle Baccanti e aveva forse luogo dopo la fine dell’opera. 312 IL TRIONFO DI ORFEO L’Orfeo di Monteverdi fu rappresentato per la prima volta durante il Carnevale del 1607. Secondo Stefano Carrai anche la Fabula di Orfeo di Poliziano fu scritta in occasione del Carnevale (§ 4.1.3).920 Ambedue le opere finiscono in maniera simile: con una canzone gioiosa delle Baccanti che hanno appena ucciso Orfeo. Secondo Carrai l’uccisione di Orfeo da parte delle Baccanti rassomigliava all’antica tradizione toscana di lacerare e bruciare una bambola in occasione del Carnevale. Orfeo rappresenterebbe l’uomo che non può dare l’addio (‘vale’) alla carne. Questa tradizione interpretativa del mito di Orfeo si rifà al De laboribus Herculis di Salutati, in cui Orfeo simboleggia l’uomo epicureo che indulge alla libidine e trascura Bacco (§ 2.8).921 Tuttavia, esistono due conclusioni dell’Orfeo. La prima è quella nel libretto di Striggio del 1607, in cui Orfeo è sbranato dalle Menadi. Un’altra conclusione si trova nella partitura stampata del 1609 (l’unica per cui è stata trasmessa la musica).922 Questa seconda versione è stata concepita quasi certamente da Striggio e Monteverdi o dal solo Monteverdi.923 Probabilmente non gli piaceva la conclusione mesta. In una lettera di Monteverdi a Striggio di venti anni dopo, egli dice di non voler strumentare il Narciso (1608) di Rinuccini per la mancanza di variazione e del lieto fine: ‘non altro di variazione, e più con fine tragico e mesto [...].’ Frederick Sternfeld divide il finale della nuova versione lieta di Monteverdi in tre sezioni:924 - il lamento di Orfeo (identico alla fine di Striggio) - Apollo discende dal cielo e ordina a Orfeo di seguirlo al cielo, dove vedrà l’immagine di Euridice nel sole e nelle stelle - il finale corale, che contiene una conclusione moralistica: chi ha sofferto l’inferno sulla terra, sarà ricompensato con la grazia divina L’esito infelice è stato sostituito con un lieto fine: Apollo porta Orfeo in cielo. Questo motivo si basa probabilmente su Igino, secondo cui la lira (come simbolo di Orfeo) è portata al cielo.925 Anche la maniera in cui Orfeo nelle Metamorfosi racconta come Giove porta Ganimede al cielo, potrebbe aver ispirato Monteverdi. La fine è anche molto simile a 920 Carrai, ‘Implicazioni cortigiane’, cit., p. 12. Carrai unisce il finale bacchico all’interpretazione di Salutati (‘Implicazioni cortigiane’, cit.). 922 Alcuni studiosi considerano la versione con il lieto fine quella originale di Striggio. La sala nel Palazzo Ducale di Mantova sarebbe stata, però, troppo piccola per la costruzione di un deus ex machina. Sarebbe perciò aggiunto il baccanale per la prima rappresentazione. Tuttavia, la maggior parte è del parere che Striggio aveva scritto originariamente un fine mesto, che Monteverdi avrebbe adattato prima del 1609 (F.W. Sternfeld, ‘The Orpheus myth and the libretto of ‘Orfeo’’ in: Claudio Monteverdi: Orfeo, a.c.d. J. Whenham, Cambridge, Cambridge University Press, 1986, p. 31). 923 Besutti, op.cit.; Sternfeld, ‘The Orpheus Myth’ cit., p. 31. 924 Sternfeld, ‘Orpheus, Ovid and Opera’, cit., pp. 172-202. 925 Igino, De astronomia libri quattuor, II, VII ‘Lyra’ (Sternfeld, ‘Orpheus, Ovid and Opera’, cit., pp. 172-202; Fenlon, op.cit., p. 4). 921 313 CAPITOLO 7 quella dell’Eumelio, un dramma pastorale di Agostino Agazzari del 1606.926 In questo dramma Apollo ed Eumelio prendono il posto di Orfeo ed Euridice. Alla fine Apollo salva Eumelio, come salva anche Orfeo nell’opera di Monteverdi. Esistono varie opinioni sul perché di questa sostituzione della scena delle Baccanti con l’apparizione di Apollo e sulla trasformazione del significato. La differenza tra il primo finale e il secondo potrebbe essere influenzata dal fatto che la prima rappresentazione aveva luogo in una sala non molto grande, dove non c’era posto per macchine sceniche complesse (necessarie per far scendere Apollo dal cielo).927 Gelli suggerisce, però, anche un’altra spiegazione basata su una differenza nel pubblico che assistette alla rappresentazione:928 Essa potrebbe però riflettere anche una duplice soluzione prospettata per due diverse udienze: quella dionisiaca, più sofisticata dal punto di vista culturale, pensata per la ‘prima’ davanti ai soli accademici; quella apollinea, più spettacolare e moraleggiante in senso cristiano (e musicalmente non immune da sospetti di facilismo), pensata a tambur battente come rimpiazzo per la replica una settimana dopo davanti a un pubblico meno selezionato. In effetti, il finale apollineo costituisce una fine più spettacolare (con un deus ex machina) e più moraleggiante, ma non meno sofisticata; anzi, a mio parere assume un significato più profondo, come discutero nel § 6.3. 7.3 ORFEO FINALMENTE TRIONFANTE Molte differenze tra l’Euridice di Peri/Rinuccini e l’Orfeo di Striggio/Monteverdi si possono ricondurre alle occasioni diverse per cui furono composte. Nel capitolo 4 sulla Fabula di Orfeo l’occasione precisa di una rappresentazione teatrale o musicale si è già rivelata cruciale per l’interpretazione. Nel caso di rappresentazioni teatrali mitologiche l’occasione è spesso un fattore decisivo per spostamenti nell’interpretazione del mito o perfino per l’adattamento dell’azione. Il fatto che l’Euridice fu scritta per le nozze di Maria de’ Medici fece sì che, nel titolo, l’accento si spostasse sulla protagonista femminile. Per la stessa ragione il concetto dell’Amore ha una posizione centrale nell’opera. Orfeo ed Euridice sono in primo luogo due amanti perfetti. Il racconto si svolge addirittura nel giorno delle nozze. L’intero libretto è pieno di riferimenti all’amore: il coro di ninfe e pastori ripete le parole petrarchesche ‘Non vede un simil par d’amanti ‘l Sole’, Orfeo canta l’amore che finì il suo dolore, la dea dell’amore guida Orfeo alla ricerca di Euridice, 926 Sternfeld, ‘Orpheus, Ovid and Opera’, cit., pp. 172-202. Gelli, op.cit.; Dalmonte, op.cit., p. 5. 928 Gelli, op.cit. 927 314 IL TRIONFO DI ORFEO nell’orazione per Plutone Orfeo sottolinea il suo amore e appunto per questa ragione Plutone gli concede di tornare al mondo insieme a Euridice. Il cambiamento maggiore rispetto al mito risiede nell’esito felice: Plutone non impone una condizione e la coppia di amanti viene riunita. Dopo il loro ritorno i pastori lodano di nuovo il potere dell’amore. Tuttavia, non conta soltanto questo racconto amoroso, ma contano anche le implicazioni politiche dell’Euridice.929 Al tempo delle nozze il padre di Maria, Francesco I, era già morto da qualche anno. Suo fratello Ferdinando I aveva ottenuto la dignità di granduca nel 1587. A partire dai primi anni del suo regno Ferdinando aveva cercato di stabilire la posizione di Firenze nella politica europea tra le posizioni di forza di Francia e di Spagna. A questo scopo lui stesso si era sposato nel 1589 con Cristina di Lorrena. Il matrimonio di Maria de’ Medici e il re francese Enrico IV fu il coronamento di tredici anni di sforzi politici. Il potere della musica di Orfeo sulla natura aveva un significato speciale per Ferdinando: anche il granduca soleva sottolineare il suo controllo sulla natura. Ferdinando I prosciugò varie paludi, rafforzò il porto di Livorno, piantò dei gelsi tra Pisa e Firenze per la seticoltura e restaurò l’acquedotto di Pisa.930 Secondo Harness, Orfeo non simboleggiava lo sposo Enrico IV, ma Ferdinando, lo zio della sposa, che aveva un potere analogo sulla natura.931 Mentre Orfeo rappresentava Ferdinando, Euridice simboleggiava non tanto Maria de’ Medici, quanto la città di Firenze. L’esito felice dell’opera mostra dunque che Ferdinando era riuscito a salvare la situazione politica di Firenze. Per questo Firenze gli era molto grata. Il trionfo di Orfeo sull’Ade potrebbe benissimo rappresentare il trionfo dei Medici nella situazione politica complicata dell’Europa cinque e seicentesca. I Medici sono riusciti a ottenere una posizione stabile in Europa e una posizione più alta delle altre famiglie principali in Italia. Dopo l’onore del granducato, Maria de’ Medici diventa regina di Francia. L’importanza di questa posizione regale per i Medici veniva già sottolineata nel prologo della Tragedia (§ 6.2.1). Secondo Harness non conta il racconto amoroso, ma solo il significato politico. Anche Bojan Bujić sottolinea che il matrimonio non fu d’amore, ma fece seguito a una serie di trattative tra Ferdinando e la Francia e costituiva dunque un trionfo soltanto per lui.932 A mio parere non si possono, però, trascurare tutti i riferimenti 929 Harness, op.cit. Harness, op.cit. 931 Ferdinando possedeva anche un dipinto di Orfeo nel suo padiglione di caccia Artimino. Tra le altre opere d’arte in questa villa c’erano delle lunette che sottolineavano la rappresentazione di Ferdinando I come uomo attivo (S. Butters, ‘Land, Women and War: Identities Portrayed at Ferdinando de’ Medici’s Artimino’, relazione alla conferenza L’arme e gli amori: Ariosto, Tasso, and Guarini in Late Renaissance Florence, June 27-29, 2001, Firenze, Villa I Tatti; citato da Harness, op.cit., n. 54). 932 Bujić, op.cit., p. 52. 930 315 CAPITOLO 7 all’amore nell’opera. L’opera contiene due livelli interpretativi: 1. il racconto amoroso in onore di Maria; 2. le allusioni alla politica di Ferdinando. La musica come tema è anche presente nell’Euridice, ma ha un ruolo secondario.933 Naturalmente la fama di Orfeo come musicista ha determinato in parte la scelta di questa figura come protagonista dell’opera in musica, come ho già detto nel § 6.1. Tuttavia, se si paragona l’Euridice all’Orfeo, si vede che il ruolo della musica è maggiore nell’ultima opera. Il prologo è recitato dalla Musica; è con la musica che Orfeo riesce ad addormentare Caronte e a convincere Plutone; quando Plutone gli restituisce Euridice, Orfeo canta un elogio della propria cetra. La differenza tra l’Euridice e l’Orfeo si vede anche nella musica stessa. Secondo Bellina il passo principale delle due opere è il momento in cui Orfeo cerca di convincere gli dei infernali a restituirgli la sposa. Nell’Euridice a questo punto si trova un recitativo, mentre nell’Orfeo il protagonista canta un’aria commovente.934 Mentre nella prima opera Orfeo convince Plutone con un’orazione, in quella di Monteverdi Orfeo canta un’aria vera e propria. Annemie Schuermans afferma che agli occhi di Monteverdi Orfeo era la personificazione della Musica. Nella seconda versione Apollo inviterebbe dunque la musica ad elevarsi sopra le passioni umane; la musica è universale e diventa divina.935 A mio parere Orfeo non personifica, però, veramente la Musica, perché essa è già presente come personaggio all’inizio dell’opera. L’importanza dell’amore diminuisce nell’Orfeo: Venere è stata sostituita con la Speranza e l’amore non trionfa più sulla morte. Questa differenza si può spiegare con il fatto che l’Orfeo non fu commissionato per un matrimonio, ma per il Carnevale. Per questa ragione Striggio torna alla fine bacchica della Fabula di Orfeo. L’amore che nell’Euridice procurò la gloria e il trionfo di Orfeo, si trasforma qui in qualcosa di negativo. Orfeo perde Euridice ‘per amor troppo’ e viene accusato dagli spiriti infernali di esser vinto dai suoi affetti: ‘Degno d’eterna gloria fia sol colui c’havrà di sé vittoria’. Orfeo deve distanziarsi dai propri sentimenti e piaceri, come conviene alla festa del Carnevale (cf. l’interpretazione della Fabula di Orfeo nel § 4.1.3). Mentre nella prima versione di Striggio Orfeo non era in grado di vincere i suoi sentimenti provocando la sua lacerazione da parte delle Baccanti, questo fallimento è venuto meno nella seconda versione, che fu rappresentata poco dopo per un’occasione diversa. La fine bacchica fu sostituita con l’arrivo di Apollo, che innalza Orfeo al cielo. Solo in questa seconda versione dell’opera da parte di Striggio e Monteverdi Orfeo trionfa veramente, vale a dire su se stesso. Orfeo ha guardato indietro e ha perso Euridice per la secondo volta. Perciò si abbandona al pianto. In quel momento suo padre Apollo discende dal cielo per salvarlo e per offrirgli nonostante tutto una fine gloriosa. Apollo parla a Orfeo 933 Secondo Gelli ‘nel personaggio di Euridice che rinascerà in virtù del canto di Orfeo si può leggere una figura della nuova arte che col ‘recitar cantando’ fa rinascere i fasti della tragedia classica.’ (op.cit.). 934 Bellina, op.cit., p. 162. 935 Schuermans, op.cit., p. 147. 316 IL TRIONFO DI ORFEO in modo ammonitore: non ci si deve abbandonare alle proprie passioni (‘Non è, non è consiglio / Di generoso petto / Servir al proprio affetto’). Orfeo si è rallegrato troppo e ha pianto troppo per una donna terrena: APOLLO Troppo, troppo gioisti Di tua lieta ventura, Hor troppo piagni Tua sorte acerba e dura. Ancor non sai Come nulla qua giù diletta e dura? (Striggio/Monteverdi, Orfeo) Orfeo non ha ancora imparato che le cose terrene non rendono felici e che la vita dura soltanto poco tempo. Questo rimprovero da parte di Apollo l’abbiamo incontrato spesso nella fortuna del mito di Orfeo: Orfeo non dovrebbe dedicarsi ai piaceri terreni ed effimeri, ma deve seguire la strada verso l’alto, che mena a Dio o al sommo bene. Mentre Boezio, Petrarca, Salutati, Lorenzo de’ Medici, Poliziano e altri mantenevano la fine tragica del mito e lasciavano Orfeo guardare indietro per essere infine ucciso dalle Baccanti, Monteverdi dà al racconto una piega diversa. Orfeo mantiene la sua dignità e diventa un esempio positivo per l’umanità. Se Orfeo verrà al cielo con Apollo, il dio gli offirà l’immortalità. All’inizio Orfeo protesta ancora un po’, dicendo che in questa maniera non rivedrà più Euridice. Alla fine si lascia, però, convincere dalle ultime parole di Apollo: ‘Nel Sole e nelle stelle / Vagheggerai le sue sembianze belle.’ Nel cielo Orfeo non troverà dunque la ‘vera’ Euridice, ma la sua immagine o la sua idea: si tratta di una concezione (neo)platonica dell’essere.936 Orfeo pensa di non essere degno di suo padre se non segue il suo consiglio e si arrende. Insieme vanno al cielo cantando: APOLLO E ORFEO Saliam cantand’al Cielo Dove ha virtù verace Degno premio di se, diletto e pace. (Striggio/Monteverdi, Orfeo) Qui Orfeo trionfa dunque veramente: non gli è ritornata Euridice, ma capisce finalmente che la donna è soltanto una tentazione terrena. Nel cielo la virtù sarà ricompensata con ‘diletto e pace’. 936 Sternfeld, ‘The Orpheus Myth’, cit., p. 33. 317 CAPITOLO 7 In questo modo Orfeo trionfa anche sugli Orfei precedenti, sia su quello di Poliziano che su quelli di Rinuccini, Peri e Caccini (e dunque dei Medici): quest’ultimo aveva trionfato sì sull’inferno, ma non riuscì a trionfare su se stesso, perché si abbandonò a una cosa terrena. L’Orfeo nella seconda versione di Monteverdi trionfa veramente su se stesso e lega dunque perfettamente il quinto atto al quarto, in cui le ultime parole del coro suonavano: CORO Orfeo vinse l’Inferno e vinto poi Fù da gli affetti suoi, Degno d’eterna gloria Fia sol colui c’haura di sè vittoria. (Striggio/Monteverdi, Orfeo) In un primo momento Orfeo si lascia vincere dalle sue passioni e dai suoi sentimenti, ma giusto in tempo si ravvede e vince se stesso. Così infine Orfeo giungerà al cielo, cosa che non gli era stata concessa fino a questo momento.937 La morale è ancora sottolineata nella strofa finale, con cui l’intera opera è collocata esplicitamente in un contesto cristiano. Per la prima volta il messaggio è, però, positivo: CORO Così và chi non s’arretra Al chiamar di Nume eterno Così gratia in ciel impetra Che qua giù provò l’inferno E chi semina fra doglie D’ogni gratia il frutto coglie. (Striggio/Monteverdi, Orfeo) Colui che segue la strada di Dio senza indugiare sarà ricompensato: chi ha sofferto sulla terra (‘provò l’inferno’), otterrà grazia nel cielo. Orfeo non è più l’esempio negativo che andava illustrato con i racconti biblici della moglie di Lot e del cane che torna al proprio vomito, ma un esempio positivo, che realizza il proverbio biblico di ‘chi semina, 937 Alla fine delle Metamorfosi Orfeo fu accolto nei Campi Elisi, che si potrebbero vedere come un pendant pagano del cielo. Tuttavia, in quella versione Orfeo fu riunito con Euridice e non vinse dunque le sue passioni (anche se nelle Metamorfosi il mito di Orfeo probabilmente non aveva questo significato allegorico). L’idea dell’intervento di Apollo e dell’accoglimento di Orfeo nel cielo si potrebbero, però, basare su Ovidio, XI. 318 IL TRIONFO DI ORFEO raccoglierà’. L’intenzione delle parole del coro risulta forse più chiaramente dal passo nella Lettera ai Galati:938 Non vi fate illusioni; non ci si può prendere gioco di Dio. Ciascuno raccoglierà quello che avrà seminato. Chi semina nella sua carne, dalla carne raccoglierà corruzione; chi semina nello Spirito, dallo Spirito raccoglierà vita eterna. (Galati 6:7-8) Siccome Orfeo ha smesso di abbandonarsi ai piaceri della carne e ha scelto una vita spirituale, gli spetta la vita eterna. L’Orfeo di Monteverdi non è soltanto superiore ai suoi predecessori per quanto riguarda la musica, ma anche per quanto riguarda il carattere del protagonista: il suo Orfeo è moralmente superiore a quello di Rinuccini e Peri. Monteverdi non procurò soltanto l’immortalità all’Orfeo attraverso la sua musica sublime, ma anche al personaggio di Orfeo, che per la prima volta trionfa su se stesso. 7.4 CONCLUSIONE Nel nuovo genere del melodramma Orfeo è veramente valorizzato e animato. Ficino aveva già eseguito i canti di Orfeo poeta-teologo e come alter ego di Orfeo aveva fatto rivivere il personaggio. Dopo, l’altro Orfeo poeta-amante era anche apparso alle nozze dei principi. Poliziano lo fece per la prima volta protagonista di un’intera rappresentazione teatrale, in cui Orfeo compare sulla scena cantando. Questo sviluppo nella realizzazione del cantante e amante mitologico raggiunge il culmine nei melodrammi, che sono cantati dall’inizio alla fine in una maniera musicale che secondo i giudizi del tempo rassomigliava l’antica maniera greca. Nel melodramma molte linee convergono. Il genere melodrammatico sfrutta al massimo la versatilità del mito e del personaggio di Orfeo. In questo nuovo genere si incontrano varie discipline: la musica, la poesia, il teatro e l’arte (nelle scene e nei costumi). I melodrammi non hanno predecessori precisi e si basano dunque su fonti diverse: rappresentazioni come la Fabula di Orfeo, le Metamorfosi, altre opere letterarie (Dante, Petrarca), i trionfi. In questo modo si incontrano anche vari aspetti della figura di Orfeo: la musica, l’amore, la politica, l’uomo in cerca di Dio. Questo incontro di diversi aspetti di Orfeo non si compie solo perché i melodrammi sono una combinazione di generi artistici e si basano su fonti diverse, ma anche perché l’occasione richiede un’immagine molteplice di Orfeo. I melodrammi non costituiscono solo un punto di convergenza di vari generi artistici e di vari motivi del mito di Orfeo, ma anche di varie funzioni del personaggio o 938 Cfr. altri passi simili: ‘Tenete a mente che chi semina scarsamente, scarsamente raccoglierà e chi semina con larghezza, con larghezza raccoglierà.’ (2 Corinzi 9:6). 319 CAPITOLO 7 interpretazioni del mito. I libretti di Rinuccini e Striggio sono stati concepiti nello stesso periodo, ma in un contesto culturale diverso. Rinuccini scrisse il suo libretto per la corte dei Medici, mentre Striggio lavorava per i Gonzaga a Mantova. Tuttavia, non conta soltanto il contesto culturale in generale, ma d’importanza maggiore è l’occasione specifica che ha portato alla nascita dell’opera. Questo è un fattore che conta nelle rappresentazioni teatrali e musicali. Siccome l’occasione del melodramma di Rinuccini e Peri-Caccini è duplice, anche il mito può essere interpretato in due (o più) maniere. I Medici commissionarono l’opera per le nozze di Maria de’ Medici ed Enrico IV di Francia. Orfeo ed Euridice rappresentavano dunque un’ideale coppia d’amanti. Il contesto delle nozze impedì che il mito potesse avere un esito infelice. Per questa ragione l’azione fu cambiata e Orfeo ed Euridice poterono uscire indenni dall’Ade. La conclusione infelice non fu dunque semplicemente omessa, o ignota all’autore, come abbiamo constatato nella poesia lirica, dove il motivo era adoperato come topos. Nel melodramma la conclusione del mito è deliberatamente cambiata. In effetti, neanche questo adattamento comporta una vera innovazione del mito, ma piuttosto una scelta dalle tante possibilità che il mito di Orfeo offre: è probabile che neanche nelle primissime versioni il mito finisse male, ma che Orfeo tornasse felice dall’Ade insieme ad Euridice. A quanto pare Rinuccini non era però conscio del fatto che con questo cambiamento rimase fedele a una delle prime versioni del mito. L’opera fu dunque composta per un matrimonio, ma anche questo matrimonio aveva delle intenzioni duplici. Non si trattava di un qualsiasi matrimonio d’amore, ma di un matrimonio con un intento politico. Queste doppie intenzioni del matrimonio si riflettono anche nel significato del mito di Orfeo: il cantante trionfa sull’Ade e rappresenta così il trionfo dell’amore; ma egli simboleggia anche il potere di Ferdinando I sulla città di Firenze. Sotto questo aspetto l’opera rappresenta anche un climax nell’uso del mito di Orfeo come mezzo di propaganda del potere dei Medici. Lorenzo de’ Medici si era già riferito più volte al mito nelle sue opere letterarie e conosceva le implicazioni di Orfeo dai suoi contatti con Ficino. Quando i Medici, dopo un breve periodo di esilio, tornarono a Firenze, la figura di Orfeo fu impiegato per simboleggiare il loro potere pacifico sulla città e per realizzare le loro aspirazioni culturali (Leo X, Cosimo I). Anche nel trionfo per le nozze di Francesco I era presente Orfeo. Questa tradizione culmina nel matrimonio di Maria de’ Medici, che fu completamente orchestrato dallo zio Ferdinando I. Anche i Gonzaga a Mantova adoperarono il mito di Orfeo per scopi politici e culturali. Negli affreschi di Mantegna Orfeo rappresentava probabilmente l’aspetto culturale del regno di Ludovico Gonzaga. Nello stesso periodo Francesco commissionò a Poliziano la Fabula di Orfeo, che non era tanto destinata esplicitamente alla propaganda politica, ma che per la sua fortuna contribuì allo splendore della corte. Il mito di Orfeo fu raffigurato in seguito in diversi luoghi dei palazzi gonzagheschi. Infine il successo della 320 IL TRIONFO DI ORFEO Fabula di Orfeo fu ripetuto nell’Orfeo di Striggio e Monteverdi. Con questo melodramma i Gonzaga vollero emulare i Medici. La fine bacchica costituì un riferimento esplicito alla Fabula di Poliziano, che era molto idoneo all’occasione della prima rappresentazione: il Carnevale. Nella seconda versione questa fine fu sostituita, forse perché non era molto gioiosa, ma forse anche perché la fine bacchica non comportò un vero trionfo per Orfeo. Indirettamente l’Orfeo dei Gonzaga non trionfò dunque neanche sull’Orfeo mediceo. Nella seconda partitura di Monteverdi Orfeo non trionfa sull’inferno, ma su se stesso. Secondo l’interpretazione cristiano-morale egli rappresenta un Orfeo migliore che scambia la terra per il cielo. Così l’Orfeo di Monteverdi non trionfa solo musicalmente sull’Euridice di Peri, ma anche moralmente. Orfeo trionfa anche sugli altri personaggi mitologici, che avevano un ruolo principale nel periodo precedente. I primi melodrammi non trattano di Ercole; anche se originariamente Apollo era uno dei protagonisti del primo melodramma (la Dafne di Peri), Orfeo trionfa con tre melodrammi, di cui ci è rimasta la partitura. Inoltre, l’Orfeo di Monteverdi, lasciando finalmente l’amore terreno, trionfa su tutte le prime apparizioni di Orfeo nella letteratura e nell’arte, conferendo Così finalmente anche al poeta amante un significato positivo. Ma il trionfo principale di Orfeo è quello su se stesso, perché ‘degno d’eterna gloria fia sol colui c’havra di sè vittoria.’ 321 SINTESI CONCLUSIVA Alla fine dell’introduzione ho affermato che Orfeo è una figura versatile. Da tutte le storie che si raccontano su Orfeo può emergere sia un’immagine molto positiva che un’immagine negativa. Il tentativo di riconciliare queste due immagini contrastanti costituisce un filo conduttore nella fortuna di Orfeo in Italia dal Trecento fino all’inizio del Settecento. Quale impressione della figura mitologica un autore o un artista ha, dipende da vari fattori che spesso agiscono insieme. Una conoscenza limitata delle fonti antiche conduce spesso alla ripetizione della stessa immagine stereotipata che si trova in testi e opere d’arte precedenti dello stesso genere. La disponibilità di nuove fonti può portare a una trasformazione dell’immagine di Orfeo. Qualche volta autori o artisti hanno a loro disposizione un grande ventaglio di elementi del mito. La scelta tra questi elementi è una scelta consapevole, che dipende da fattori quali lo scopo dell’opera, il contesto (del testo o dell’opera d’arte), il contesto storico-culturale, l’occasione precisa, la morale dell’autore o dell’artista, e le sue preferenze personali. Cercando di risolvere il contrasto tra gli aspetti positivi e negativi del mito di Orfeo si trascurano per esempio semplicemente quelli negativi e qualche volta si adatta perfino l’esito del mito. Nel Medioevo e nel Rinascimento non si notano, però, ad eccezione del cambiamento dell’esito infelice, variazioni rilevanti del mito come un cambiamento totale dei personaggi, dell’azione e della situazione spaziotemporale del racconto (trasposizione diegetica). La maggior parte degli spostamenti nell’immagine di Orfeo avviene all’interno delle possibilità che il complesso del mito esistente offre. Molte rappresentazioni di Orfeo sono già inerenti alla figura, e un autore non ha che da scegliere tra le possibilità manipolando così la sua versione del mito. L’Antichità Secondo alcuni studiosi il mito di Orfeo nacque dalle pratiche sciamanistiche in Grecia. Da queste pratiche si sviluppò la concezione di Orfeo come un sacerdote in grado di varcare la frontiera tra la vita e la morte. Questo ruolo di Orfeo si manifestò soprattutto nella corrente religiosa dell’orfismo, nella quale Orfeo venne considerato una persona storica. Orfeo venne inoltre associato ad altri racconti in cui si rivelava di più come un personaggio mitologico, anche se la distinzione tra storia e mitologia non fu fatta in quel tempo: era un Argonauta, un cantante famoso, disceso nell’Ade per riprendersi la sposa e ucciso. Nelle prime versioni il mito conosceva probabilmente un lieto fine in cui Orfeo riusciva a far rivivere Euridice. A partire dalle famose versioni di Virgilio e di Ovidio furono aggiunti il divieto di guardare indietro e la seconda perdita di Euridice. Così il racconto amoroso ottenne un esito infelice: nella versione di Ovidio Orfeo diventò il primo omosessuale e in ambedue i 323 SINTESI CONCLUSIVA testi alla fine fu ucciso dalle Baccanti. Ovidio mitigò alquanto questa fine riunendo la coppia dopo la morte negli Inferi. Virgilio e Ovidio adoperarono dunque molti elementi del mito: il potere della musica, l’amore per Euridice, lo sguardo indietro, la seconda perdita di Euridice, (l’omosessualità) e la morte di Orfeo. Nell’Eneide Virgilio fece anche menzione di Orfeo nella sua qualità di sacerdote. Nel riferimento a Orfeo da parte di Orazio sono assenti connotazioni negative. Infatti, Orazio non descrive la storia d’amore, ma mette in risalto i poteri ammalianti del canto di Orfeo. Mettendo in rilievo questa parte del mito, un approccio positivo diventa più facile. Orazio è il primo autore a offrire un’interpretazione allegorica di Orfeo. Si dice che il cantante addomesticava le bestie, perché era in grado di dissuadere gli uomini dal loro comportamento bestiale. Questa visione positiva diventò molto influente nel Rinascimento. Quali elementi del mito si scelgono determina dunque l’immagine del personaggio mitologico che si crea. Con la nascita del cristianesimo nacquero nuovi modi di vedere la figura di Orfeo. Gli apologeti cristiani erano molto positivi su Orfeo, che offriva loro la possibilità di creare un legame tra la nuova religione e la tradizione antica. Per motivi di propaganda essi sottolinearono il rapporto tra Cristo e un Orfeo monoteista. Anche nelle catacombe cristiane Orfeo venne raffigurato come Cristo. Generalmente, però, i miti pagani mal si lasciavano conciliare con il cristianesimo, e con la nuova visione monoteista. Per questo motivo si cercò in vari modi di interpretare i diversi dei e semidei antichi. Seznec distingue almeno tre interpretazioni: - l’interpretazione evemeristica - l’interpretazione fisica - l’interpretazione allegorico-morale Nel sesto secolo Fulgenzio inserisce il mito in un’allegoria musicale, mentre Boezio dà al mito un’interpretazione allegorico-morale. Ambedue gli scrittori sono negativi nei confronti di Orfeo. Soprattutto l’interpretazione boeziana di Orfeo come l’uomo in cerca del sommo bene che guarda indietro ai piaceri terreni rimase molto influente nel Medioevo e nel Rinascimento. Gli autori medievali interpretano il mito di Orfeo alternatamente in modo positivo e negativo. Orfeo è considerato una prefigurazione di Cristo, ma anche un uomo che rimane troppo attaccato alle cose terrene. Queste interpretazioni si basano soprattutto sul motivo della discesa nell’Ade. Orfeo è anche visto come il civilizzatore dell’umanità o la voce musicale, a seconda del genere di testo in cui si trova. Nella poesia medievale, che si interessava al racconto amoroso, il mito finisce spesso con il trionfo di Orfeo nell’Ade. Il Trecento Nella letteratura italiana trecentesca sono ancora presenti le diverse interpretazioni tardoantiche e medievali. Soprattutto nei trattati mitografici e nelle rielaborazioni delle 324 SINTESI CONCLUSIVA Metamorfosi, che possono anche essere lette come fonti di informazione mitologica, il mito di Orfeo è interpretato secondo la tradizione evemeristica, fisica e allegorica. Nelle Genealogie Boccaccio offre un’immagine quasi completa di Orfeo, il che è inerente al carattere enciclopedico dell’opera. Anche se quest’immagine sembra equilibrata, Boccaccio omette o trasforma ancuni elementi negativi (l’omosessualità e lo sguardo indietro) e si sofferma solo su aspetti positivi (la forza dell’eloquenza), perché nella sua difesa della poesia ha bisogno dell’esempio positivo del poeta-teologo. Nelle rielaborazioni delle Metamorfosi da parte di Giovanni del Virgilio e di Giovanni dei Bonsignori Aristeo e Cerbero appaiono come figure nuove rispetto al testo ovidiano (sotto l’influenza di commenti precedenti alle Metamorfosi e forse di un errore linguistico). Il mito di Orfeo è spiegato in maniera evemeristica ed allegorico-morale, e così a Orfeo è data un’interpretazione più positiva. Oltre a queste moralizzazioni c’era anche una traduzione letterale, che, però, non fu trasmessa alla stampa. La maggior parte dei riferimenti a Orfeo negli altri testi letterari sono brevi e stereotipati: gli autori ripetono dei topoi esistenti, che derivano probabilmente dai manuali retorici. Alcuni topoi sono molto positivi, come nella poesia lirica, in cui Orfeo era spesso il modello del poeta eccellente. L’addomesticare gli animali è visto come un’allegoria della civilizzazione degli uomini. Boccaccio sottolinea in questa allegoria l’importanza dell’eloquenza per l’umanità, e il suo esempio viene seguito da altri umanisti. L’amore di Orfeo ed Euridice è un esempio per altri amanti. Anche questo topos si trova spesso nella poesia lirica (Petrarca) e nei racconti amorosi (Boccaccio). Dall’altra parte ci sono alcuni topoi negativi, come lo sguardo indietro rivolto a Euridice, che funzionava come allegoria dell’uomo che ricade nei desideri terreni. Questo approccio negativo si vede soprattutto nei testi filosofici e contemplativi. I topoi positivi e negativi mostrano un legame con alcuni generi letterari specifici. È molto forte l’effetto della tradizione: gli autori si basano quasi sempre sui loro predecessori. Le due facce di Orfeo non si conciliano facilmente. Benché Dante si riferisca soltanto due volte esplicitamente a Orfeo, una volta come uomo sapiente esemplare e una volta come esempio di un’allegoria poetica, in cui egli rappresenta il civilizzatore dell’umanità, la sua opera contiene spesso delle allusioni indirette al mito di Orfeo e in particolare al motivo dello sguardo indietro (cf. Rigo, Picone, Bonfils Templer). Nel Purgatorio si vieta agli spiriti di guardare indietro. Orfeo costituisce dunque un esempio negativo. Petrarca paragona spesso nel Canzoniere il proprio amore a quello di Orfeo ed Euridice. Nelle sue opere filosofiche egli è, però, molto negativo nei confronti di Orfeo: Orfeo si voltò per vedere Euridice, simboleggiando l’uomo in cerca di Dio che non è in grado di abbandonare i piaceri terreni. Questa tensione tra l’ammirazione di Orfeo come poeta e amante eccellente da una parte, e il suo fallimento come uomo sulla strada verso Dio dall’altra, si ricollega bene al noto tema del conflitto interiore di Petrarca. Neanche 325 SINTESI CONCLUSIVA nelle opere di Boccaccio l’amore di Orfeo è visto come una cosa esclusivamente positiva. Benché i personaggi nelle sue opere si paragonino a Orfeo ed Euridice e benché l’amore sia considerato la forza principale della musica di Orfeo, l’amore non è lo scopo supremo. Sebbene Orfeo si trovi nell’Amorosa visione nel trionfo dell’Amore, alla fine l’amore non trionferà. Nelle opere boccacciane si può fare una distinzione tra il poeta-teologo e il poeta-amante (cf. Hollander). La differenza risiede nel fatto che il primo viene spesso considerato una persona storica, che costituisce un anello di una lunga catena di pensatori antichi, mentre il secondo è un personaggio mitologico. Questa differenza non si trova soltanto in Boccaccio, ma in tutta la fortuna di Orfeo: già nell’antichità greca, nel Trecento, ma soprattutto a partire da Ficino. Infatti, lontano da essere un personaggio univoco, il poeta-amante riunisce in sé varie caratteristiche. Nel poeta-amante si può vedere un poeta positivo, che è l’esempio per eccellenza agli occhi di poeti e cantanti e che è considerato il civilizzatore dell’umanità. In esso è presente allo stesso tempo l’amante, che è visto dagli amanti (poeti amanti) come un esempio, ma che conosce anche e soprattutto delle connotazioni negative (il voltarsi, l’omosessualità e la morte). Boccaccio distingue perfino due Orfei separati, pur non esplicitando mai la distinzione tra un personaggio storico e un personaggio mitologico. Salutati elabora invece un’interpretazione negativa di Orfeo, contrapponendo Ercole come eroe stoico a un Orfeo epicureo troppo legato ai piaceri terreni. L’interpretazione si basa soprattutto sul motivo della discesa nell’Ade. Era necessario dunque non soltanto riconciliare Orfeo con il cristianesimo, ma anche l’immagine negativa di Orfeo con la sua immagine positiva. In pratica gli autori sono sia molto positivi che negativi nei confronti di Orfeo ed elaborano un solo lato del personaggio. Tuttavia, sullo sfondo interviene sempre anche l’altra dimensione. Il Quattrocento I noti luoghi comuni trecenteschi di Orfeo poeta eccellente, civilizzatore e amante persistono nel Quattrocento, ma grazie allo studio di nuovi testi antichi l’immagine del poeta di arricchisce di nuovi elementi. Ficino comincia a studiare la filosofia di Platone cercando di riconciliarla con il cristianesimo e Orfeo diventa ad un tratto una figura centrale nella sua cerchia, non più nel ruolo comune che si conosceva dal Medioevo alla prima metà del Quattrocento dalle fonti latine. Ficino pone l’accento su Orfeo poetateologo e lo vede come un personaggio storico, non come una figura mitologica. La sua visione di Orfeo è esclusivamente positiva e Ficino stesso giunge ad identificarsi perfino con Orfeo, e come un poeta ispirato cerca di raggiungere l’armonia delle sfere cantando degli inni orfici. Questa visione positiva di Orfeo come poeta-teologo e autore di inni orfici che contengono un messaggio sugli dei sarà trasmessa fino al Seicento da parte dei filosofi neoplatonici, e pervaderà anche i trattati mitologici e altre opere letterarie. La reazione 326 SINTESI CONCLUSIVA personale molto positiva di Ficino alla figura di Orfeo è anche determinata da fattori di propaganda: solo venerando gli antichi poeti-teologi egli poteva raggiungere un pubblico per la filosofia neoplatonica. Oltre a questa evoluzione di Orfeo come filosofo e teologo in seguito alla scoperta di nuovi testi, la fortuna di Orfeo crebbe nel Quattrocento anche in nuove discipline: figurò come personaggio attore in alcuni trionfi, fu il primo personaggio mitologico ad animarsi in una rappresentazione teatrale in volgare e fu raffigurato più spesso e con dimensioni maggiori nell’arte visiva. La rappresentazione di personaggi mitologici e antichi nell’arte è una conseguenza dell’interesse maggiore nei confronti dell’antichità. Nella Fabula di Orfeo di Poliziano convergono la letteratura, il teatro, la scenografia e la musica. Orfeo non è più un topos, ma Poliziano fa convergere vari elementi del mito rifacendosi a Virgilio e a Ovidio (e ad altre fonti antiche). Orfeo è un cantante, un amante, guarda indietro, diventa il primo omosessuale ed è infine ucciso dalle Baccanti. Poliziano reintroduce così alcuni elementi del mito antico che erano stati menzionati quasi mai nella letteratura italiana fino a quel momento. Il personaggio mitologico di Poliziano si contrappone all’Orfeo ‘reale’ di Ficino. Sia Poliziano che l’artista Mantegna tornano per la prima volta veramente all’apparenza classica di figure mitologiche nei testi e nell’arte visiva. Gli umanisti e gli artisti rinascimentali avevano, però, dei sentimenti conflittuali nei confronti degli dei e dei semidei antichi (cf. Freedman). Se da una parte essi ne ammiravano l’immagine classica, dall’altra parte gli dei pagani suscitavano il loro dissenso come autori e come artisti. Per questo motivo rimasero in vigore le spiegazioni allegoriche dei personaggi mitologici. Si è discusso molto sul significato della Fabula di Orfeo, ma nel contesto culturale della cerchia di Ficino e di Lorenzo de’ Medici a Firenze l’opera deve essere interpretata probabilmente come un’allegoria dell’uomo in cerca del sommo bene o di Dio che non riesce ad abbandonare la terra (cf. Martelli, Ventrone), un’interpretazione peraltro molto comune nella fortuna di Orfeo. Nella sua rappresentazione Poliziano presenta Orfeo dunque come un esempio negativo per l’uomo cristiano (mentre nelle Sylvae egli rappresenta un’immagine esclusivamente positiva di Orfeo, come conviene alle intenzioni dell’opera). Anche gli affreschi di Mantegna vengono a volte interpretati in modo analogo alla Fabula di Orfeo (cf. Signorini), ma vista la mancanza della scena in cui Orfeo guarda indietro e visto il contesto della decorazione della camera (gli imperatori romani, la combinazione con Arione) è più probabile che Orfeo debba essere interpretato insieme a Ercole come i due lati del buon governo: la cultura e la forza (cf. Welles). I Gonzaga mostrarono un interesse particolare per la figura di Orfeo: Orfeo venne adoperato in rappresentazioni teatrali e nella decorazione di palazzi per movimentare la corte e forse anche per motivi di propaganda. 327 SINTESI CONCLUSIVA Negli affreschi di Signorelli, invece, il mito di Orfeo deve probabilmente essere spiegato negativamente, in rapporto alla decorazione della cappella, come il fallimento dell’uomo sulla strada del bene e la sua condanna consecutiva (cf. Schröter, San Juan). Le rielaborazioni teatrali dell’Orphei tragoedia e della Favola di Orfeo e Aristeo quasi non cambiano niente al mito per quanto riguarda il contenuto rispetto alla Fabula di Orfeo. L’introduzione dei cinque atti e i cambiamenti metrici sono solo trasformazioni formali, che non cambiano niente all’immagine di Orfeo. Tuttavia, è omessa l’omosessualità di Orfeo (cambiamento della morale, oppure del pubblico). L’omosessualtià era uno degli elementi nuovi più notevoli che Poliziano aveva aggiunto al mito nel contesto italiano. Nei cantari, che si basano pure strettamente sulla Fabula di Orfeo, l’accento cade sul racconto amoroso di Orfeo ed Euridice e l’omosessualità è biasimata. La morale della storia è che l’uomo deve indirizzare il suo amore alla donna. Questi cantari non erano destinati all’élite culturale come la rappresentazione di Poliziano, bensì alla gente comune. Questa differenza spiega forse l’attenzione per la storia d’amore e la sostituzione del messaggio filosofico-religioso con una morale più semplice e terrena. Oltre a queste trasformazioni del carattere di Orfeo e dell’essenza del mito, ci sono anche delle trasposizioni formali, come la narrativizzazione del testo e l’aggiunta delle descrizioni dei personaggi. La popolarità di questi cantari dimostra la diffusione del mito di Orfeo tra un pubblico più ampio e comune. Questa notorietà si manifesta anche nella produzione di maiolica, di placchette di bronzo e di incisioni in base alle edizioni stampate delle Metamorfosi (cf. San Juan). La fortuna del mito come storia d’amore è testimoniata anche dai cassoni e nelle spalliere che venivano regalati agli sposi. Tuttavia, nei cassoni di Del Sellaio non è da escludere un’interpretazione analoga a quella della Fabula di Orfeo. Il Cinquecento L’invenzione della stampa alla fine del Quattrocento ebbe come conseguenza una maggiore conoscenza dei miti tra la gente comune per via della distribuzione di trattati mitologici, di traduzioni delle Metamorfosi, dei cantari soprannominati e di altri testi. Come già prima nelle Genealogie di Boccaccio, anche nei trattati mitologici cinquecenteschi il mito di Orfeo è interpretato allegoricamente. Conti continua l’idea che l’addomesticare gli animali simboleggi la civilizzazione dell’umanità da parte di Orfeo. Orfeo viene descritto insieme agli altri personaggi mitologici, ma è considerato soprattutto un poeta-teologo che negli inni scrisse delle verità importanti sugli dei antichi. Anche nel trattato mitologico di Giraldi e nel trattato iconografico di Cartari gli scritti di Orfeo poeta-teologo vengono citati per discutere sugli altri dei. Orfeo è dunque trasformato da figura mitologica in mitografo, una visione che deriva dalle idee ficiniane su Orfeo. 328 SINTESI CONCLUSIVA Anche nelle traduzioni delle Metamorfosi prevale l’interpretazione allegorica. Fino ai primi decenni del Cinquecento l’interpretazione principale era quella trecentesca di Giovanni del Virgilio, che fu adottata da Giovanni dei Bonsignori e rielaborata più tardi da Nicolò degli Agostini. In questi adattamenti il mito di Orfeo è spiegato in maniera evemeristica e allegorica. Orfeo è sempre connotato positivamente. Nella traduzione di Agostini, che è una combinazione della traduzione di Bonsignori, della Fabula di Orfeo e dei cantari, le connotazioni negative dell’opera di Poliziano e dei cantari sono sostituite con l’interpretazione allegorica medievale. Così la nuova rappresentazione umanistica e la tradizione medievale e popolare confluiscono. Oltre a queste traduzioni allegoriche nasce la tendenza verso una traduzione più letterale. Anche in questi testi, però, che originariamente non contenevano delle allegorie esplicite, le allegorie erano implicite o vennero aggiunte più tardi. L’aggiunta di allegorie si può spiegare con la maggiore moralizzazione della letteratura nella seconda metà del Cinquecento in seguito alla Controriforma (cf. Guthmüller, Allen). Nella traduzione di Spirito non si spiega il significato più profondo dei miti. Anche in quella di Dolce questo significato è solo inserito in un’edizione posteriore. Nella traduzione stessa Dolce è già molto negativo su Orfeo: condanna fortemente soprattutto la sua omosessualità. Non sono descritti i particolari dell’uccisione di Orfeo da parte delle Baccanti, ma questi sono sostituiti con una condanna della negligenza delle donne da parte di Orfeo. Anche quando nel 1561 viene inserita una spiegazione allegorica, essa è negativa. Orfeo simboleggia l’anima che ha abbandonato la ragione ed è tornata alle cose terrene biasimevoli. Anche la traduzione di Anguillara fu prima pubblicata senza una spiegazione allegorica, ma poco dopo furono aggiunti i commenti di Horologgi e Turchi. Anguillara rappresenta Orfeo in modo molto più positivo che Dolce: la sua omosessualità è una maniera di rispettare la sua promessa a Euridice e di raggiungere Dio nello stesso tempo. L’allegoria di Horologgi si basa sulla descrizione allegorica di Boccaccio, in cui Orfeo rappresenta l’eloquenza che civilizza gli uomini. Sotto l’influenza della stampa e della distribuzione del mito tra un pubblico più ampio Orfeo si manifestò anche di frequente nell’arte visiva. La figura non fu soltanto raffigurata in opere d’arte che erano destinate all’élite, ma anche su oggetti che erano disponibili e prodotti largamente a favore della gente più comune, come maiolica, placchette di bronzo e incisioni (cf. San Juan). L’immagine di Orfeo in questi generi d’arte è stereotipata e si basa strettamente sulle xilografie nelle edizioni delle Metamorfosi. Quando nella maiolica sono aggiunti degli elementi nuovi, si sottolinea il ruolo di Orfeo come amante, esattamente come nel genere popolare dei cantari (cf. San Juan). Anche in altre opere d’arte più esclusive è riconoscibile l’influenza del testo e delle xilografie delle edizioni delle Metamorfosi, ma anche di altre fonti. L’interpretazione di queste opere è spesso complicata. 329 SINTESI CONCLUSIVA Molte caratterizzazioni stereotipate positive e negative si trovano anche in brevi riferimenti nella letteratura e nell’arte. Il vecchio topos di Orfeo poeta-amante eccellente rimane popolare, specie nella poesia petrarchista, ma anche nei trionfi. L’allegoria di Orfeo e gli animali come simbolo della forza civilizzatrice dell’eloquenza è sempre preferita nei trattati poetici umanistici. Tale motivo è preferito inoltre anche nell’arte visiva. In trattati filosofici Orfeo è visto come il poeta-teologo venerabile. L’interpretazione negativa dello sguardo indietro sembra perdere terreno. Tuttavia, in questo periodo spuntano anche delle reazioni ed innovazioni rispetto ai noti luoghi comuni: i poeti anticlassicisti vedono Orfeo come il simbolo dei poeti petrarchisti ai quali si ribellano. Si considerano con diffidenza anche gli elementi del mito che furono reintrodotti da Poliziano e dalle traduzioni delle Metamorfosi: la misoginia, l’omosessualità e la morte di Orfeo. L’omosessualità di Orfeo è qualche volta contrapposta al suo ruolo come teologo e condannata, anche se questo motivo non è sempre disapprovato. Altri spostamenti dell’immagine di Orfeo si vedono nella pittura: Euridice riceve sempre più attenzione, mentre Orfeo è respinto verso lo sfondo dei dipinti. La sua partecipazione al viaggio degli Argonauti è, però, introdotta sia nella pittura che nella poesia come una dimostrazione del potere del suo canto. In definitiva, non è più possibile scorgere un confine evidente tra aspetti positivi e negativi. Il giudizio dipende spesso dallo scopo del riferimento: la seconda generazione dei Medici adopera ad esempio la figura di Orfeo per scopi propagandistici (cf. Langedijk) e si interessa dunque soprattutto ai suoi aspetti positivi. I Medici sottolineano il suo ruolo come musicista e civilizzatore. Nasce insomma una variazione maggiore nell’immagine di Orfeo, che è soprattutto dovuta all’interesse per altri elementi già presenti nel mito, oppure alla reinterpretazione di elementi noti o alla loro collocazione in contesti diversi. Il mito di Orfeo è giudicato e manipolato a seconda delle intenzioni dell’autore o dell’artista. Il melodramma Alla fine del Cinquecento nasce dalle discussioni sulla musica e dal desiderio di tornare alla musica antica il genere del melodramma. In questo genere convergono varie discipline: la letteratura, il teatro, la musica e l’arte della scenografia e dei costumi. Orfeo era un protagonista molto adatto ai melodrammi, in quanto aveva stabilito una tradizione nella maggior parte delle discipline e perché era il cantante per eccellenza. Inoltre, il rapporto tra Orfeo e i Medici, che furono i committenti dell’Euridice, favorì la scelta di Orfeo. Siccome il mito di Orfeo era molto idoneo al melodramma, ma non tanto ad una festa nuziale bisognava cercare delle soluzioni per le connotazioni negative del mito. Non potendo omettere l’esito infelice del mito nell’elaborazione di un’opera, Rinuccini preferì trasformare la fine in una fine positiva compiendo una trasposizione pragmatica. Nell’Euridice Orfeo trionfa sull’inferno e riesce a riprendersi la sposa senza problemi. 330 SINTESI CONCLUSIVA Nel libretto di Striggio invece, il mito di Orfeo ottenne di nuovo un’interpretazione negativa che andava bene con il contesto del carnevale a cui l’opera era destinata: Orfeo guardò indietro ai piaceri terreni e fu punito per questo. Come nella Fabula di Poliziano la fine bacchica facilitò il legame con il carattere del Carnevale. Evidentemente Monteverdi giudicò questa fine troppo negativa. Nel suo spartito fornì il mito di una svolta positiva e nuova rispetto alla fine di Peri e Rinuccini. Monteverdi capì che la fine dell’Euridice non conteneva una fine veramente positiva. Infatti, se si interpreta la fine di Peri secondo la tradizione allegorica comune, Orfeo cede ai suoi desideri terreni e non raggiunge mai il sommo bene. Monteverdi al contrario, non fa che Orfeo trionfi soltanto sull’Ade, ma anche su se stesso: alla fine Orfeo si libera dai legami terreni e raggiunge la divinità. Monteverdi riesce dunque a concludere il mito in un tono positivo e a riconciliare la faccia positiva di Orfeo poeta e cantante eccellente con quella di Orfeo amante. Orfeo diventa così l’esempio positivo dell’uomo in cerca di Dio, che riesce a trovarlo. Orfeo trionfa dunque veramente, non sull’inferno, ma su se stesso. Così l’Orfeo di Monteverdi (e dei Gonzaga) trionfa non solo sull’Orfeo di Peri (e dei Medici), ma anche su tutte le rappresentazioni precedenti di Orfeo. 331 BIBLIOGRAFIA Elenco dei testi939 AGOSTINI, NICOLÒ DEGLI, Tutti gli Libri de Ovidio Metamorphoseos, 1522. ALIGHIERI, DANTE, Convivio, a cura di Garfagnini, Gian Carlo, Roma, Salerno, 1998 (?) ALIGHIERI, DANTE, La Divina Commedia. Inferno, a cura di Sapegno, Natalino, Firenze, La Nuova Italia, 1996. ANGUILLARA, GIOVANNI ANDREA DELL', Le metamorfosi d'Ovidio, Vinegia, Gio. Griffio, 1561. ANONIMO, Ovide moralisé: poème du commencement du quatorzième siècle, a cura di Boer, C. de, Martina G. de Boer et Jeannette Th.M. van ‘t Sant, Amsterdam, Müller, 1915-1938. AUXERRE, REMIGIO DI, Commentum in Martianum Capellam, a cura di Lutz, Cora E., Leiden, Brill, 1962-65. BALDINI, BACCIO, Discorso sopra la Mascherata della Geneologia degl'Iddei de' Gentili, Firenze, Giunti, 1565 (BiVio). BARBARO, ERMOLAO, Orationes contra poetas; Epistolae, a cura di Ronconi, Giorgio, Firenze, Sansoni, 1972. BERNI, FRANCESCO, Poesie e prose, a cura di Chiòrboli, Ezio, Genève-Firenze, Leo S. Olschki, 1934. BERNI, FRANCESCO, Rime, a cura di Romei, Danilo, Milano, Mursia, 1985. BIONDO, MICHELANGELO, Della nobilissima pittura, Vinegia, 1549; riproduzione anastatica, Westmead-Farnborough, 1972 (BiVio). BOCCACCIO, GIOVANNI, Opere minori in volgare, a cura di Marti, Mario, Milano, Rizzoli, 1969-1972. BOCCACCIO, GIOVANNI, Tutte le opere, a cura di Branca, Vittore, Verona, Arnoldo Mondadori, 19641998. BOEZIO, ANICIO MANLIO SEVERIO, La consolazione della filosofia, a cura di Del Re, Raffaello, Roma, Ed. dell’Ateneo e Bizzarri, 1977. BONSIGNORI DA CITTÀ DI CASTELLO, GIOVANNI, Ovidio Metamorphoseos Vulgare, a cura di Ardissino, Erminia, Bologna, Commissione per i testi di lingua, 2001. BRUNO, GIORDANO, Opere latine, a cura di Monti, Carlo, Torino, UTET, 1980. CACCINI, GIULIO, L’Euridice composta in musica in stile rappresentativo, Firenze, 1600; repr. Firenze, Studio per Edizioni Scelte, 2000 (con il libretto di Ottavio Rinuccini) 939 In questo elenco presento soltanto le edizioni principali che ho consultato durante le mie ricerche e quelle da cui cito in questo libro. BIBLIOGRAFIA CAPRA, GALEOZZO FLAVIO, Della Eccellenza e dignità delle donne, a cura di Doglio, Maria Luisa, Roma, Bulzoni, 1988. CARTARI, VINCENZO, Le imagini con la spositione dei dei degli antichi, Venezia, Francesco Marcolini, 1556 (BiVio) CASTIGLIONE, BALDASSARE, Libro del Cortegiano, a cura di Quondam, Amedeo, Milano, Garzanti, 1981. CAUTIO, CAMILLO, Il decimo libro de le Trasformationi d'Ovidio, 1548. CELLINI, BENVENUTO, Opere, a cura di Ferrero, Giuseppe Guido, Torino, UTET, 1971(?) CONTI, NATALE, Mythologiae, sive explicationum fabularum libri decem, Venezia, 1568. CONTI, GIUSTO DEI, Canzoniere, a cura di Vitetti, L. Lanciano, Carabba, 1933. CORREGGIO, NICCOLÒ DA, Opere. Cefalo-Psiche-Silva-Rime, a cura di Tissoni Benvenuti, Antonia, Bari, Gius. Laterza & figli, 1969. Poesie musicali del Trecento, a cura di CORSI, GIUSEPPE, Bologna, Commissione per i testi di lingua, 1970. DOLCE, LUDOVICO, Le Trasformationi, Venetia, Gabriel Giolito, 1553. DONI, ANTONFRANCESCO, I Marmi, a cura di Chiorboli, Ezio, Bari, Gius. Laterza & figli, 1928. EQUICOLA, MARIO, Libro de natura de amore, a cura di Ricci, L., Roma, Bulzoni, 1999. EURIPIDES, Fabulae, a cura di Murray, Gilbertus, tomus I, Oxonii, E typographeo Clarendoniano, 1974. FICINO, MARSILIO, El libro dell'amore, a cura di Niccoli, Sandra, Firenze, Leo S. Olschki, 1987. FICINO, MARSILIO, The “Philebus” commentary, a cura di Allen, Michael J.B., Berkeley [etc], London, University of California Press, 1975. FICINO, MARSILIO, Lettere, a cura di Gentile, Sebastiano, Firenze, Olschki, 1990 FICIN, MARSILE, Théologie platonicienne de l’immortalité des âmes, a cura di Marcel, Raymond, Paris, Les Belles Lettres, 1964-1970. FICINUS, MARSILIUS, De vita libri tres, Hildesheim-New York, Georg Olms, 1978. FOLENGO, TEOFILO, Baldus, a cura di Faccioli, Emilio, Torino, Giulio Einaudi, 1989. GALLO, FILENIO, Rime, Firenze, Leo S. Olschki, 1973. GAMBARA, VERONICA, Le rime, a cura di Bullock, Alan, Firenze, Leo S. Olschki, 1995. GARLANDIA, GIOVANNI DI, Integumenta Ovidii. Poemetto inedito del secolo XIII, a cura di Ghisalberti, Fausto, Messina-Milano, Principato, 1933. 334 BIBLIOGRAFIA Le divine lettere del gran Marsilio Ficino tradotte in lingua toscana da Felice Figliucci senese, a cura di GENTILE, SEBASTIANO, Roma, Storia e Letteratura, 2001. GHISALBERTI, FAUSTO, Arnolfo d'Orléans, un cultore di Ovidio nel secolo XII (con appendice: Arnulphi Aurelianensis Allegoriae super Ovidii Metamorphosin), Milano, 1932. GHISALBERTI, FAUSTO, 'Giovanni del Virgilio espositore delle 'Metamorfosi'', Giornale dantesco 34, NS 4 (1931), pp. 89-93. GUAZZO, STEFANO, La civil conversazione, a cura di Quondam, Amedeo, Ferrara, Franco Cosimo Panini, 1993. GYRALDUS, LILIUS GREGORIUS, (www.oeaw.ac.at/kal/mythos) Historiae Deorum gentilium, Basileae, Oporinus, 1548 HORACE, Epistles book II and Epistle to the Pisones (‘Ars Poetica’), a cura di Rudd, Niall, Cambridge, Cambridge University Press, 1989. LANDINO, CRISTOFORO, Scritti critici e teorici, a cura di Cardini, Roberto, Roma, Bulzoni, 1974. LANDO, ORTENSIO, La sferza de' scrittori antichi e moderni, a cura di Procaccioli, Paolo, Roma, Beniamino Vignola Editore, 1995. Lirici toscani del '400, a cura di LANZA, ANTONIO, Roma, Bulzoni, 1975. LOMAZZO, G.P., Trattato dell'arte della pittura, ed. ATIR MANZOLI, DONATELLA, Nuovi carmi di Guarino Veronese, Verona, Biblioteca Civica, 2000. MARRETTI, FABIO, Le metamorphosi d'Ovidio in ottava rima, Venezia, apud Bologninum Zalterium, 1570. Pasquinate romane del Cinquecento, a cura di MARUCCI, VALERIO, ANTONIO MARZO e ANGELO ROMANO, Roma, Salerno, [1983] Pasquinate del Cinque e Seicento, a cura di MARUCCI, VALERIO, Roma, Salerno Editrice, s.d. MARULLO, MICHELE, Carmina, a cura di Perosa, Alessandro, Turici, in aedibus Thesauri Mundi, 1951. MARULLO, MICHELE, Inni naturali, a cura di Coppini, Donatella, Firenze, Le Lettere, 1995. Pasquino e dintorni. Testi pasquineschi del Cinquecento, a cura di MARZO, ANTONIO, Roma, Salerno Editrice, s.d. MEDICI, LORENZO DE', Comento de' miei sonetti, a cura di Zanato, Tiziano, Firenze, Leo S. Olschki, 1991. MEDICI, LORENZO DE', Tutte le opere, a cura di Orvieto, P., Roma, Salerno Editrice, 1992. MONTEVERDI, CLAUDIO, L’Orfeo. Favola in musica rappresentata in Mantova l’anno 1607, Venezia, 1609; repr. Firenze, Studio per Edizioni Scelte, 1993 335 BIBLIOGRAFIA NALDIS, NALDUS DE, Elegiarum libri III ad Laurentium Medicen, a cura di Juhász, Ladislaus, Lipsiae, Teubner, 1934 (?). NAUTA, LODEWIJK WILLEM, William of Conches and the Tradition of Boethius' Consolatio Philosophiae. An Edition of his Glosae super Boetium and Studies of the Latin Commentary Tradition, Rijksuniversiteit Groningen, Groningen, 1999. NOTKER, Boethius, "De consolatione philosophiae": Buch III, a cura di Tax, Petrus W., Tuebingen, Niemeyer, 1988. OVIDIO, Opere, II, Le metamorfosi, a cura di Galasso, Luigi, Torino, Giulio Einaudi, 2000. P. OVIDII NASONIS, Metamorphoseon libri XV, a cura di Bosselaar, D.E. e B.A. van Proosdij, Leiden, E.J. Brill, 1982. PALISCA, CLAUDE V., The Florentine Camerata. Documentary Studies and Translations, New Haven London, Yale University Press, 1989. PATRIZI, FRANCESCO, Della poetica, a cura di Aguzzi Barbagli, Danilo, Firenze, Istituto Nazionale di Studi sul Rinascimento, 1969-1971(?) PETRARCA, FRANCESCO, Canzoniere, a cura di Contini, Gianfranco, Torino, Giulio Einaudi, 1992. PETRARCA, FRANCESCO, Rerum Vulgarium Fragmenta, a cura di Contini, Gianfranco e Daniele Ponchiroli, Torino, Einaudi, 1992. PETRARCA, FRANCESCO, Secretum, a cura di Dotti, Ugo, Roma, Archvio Guido Izzi, 1993(?) PICO DELLA MIRANDOLA, GIOVANNI, Conclusiones nongentae. Le novecento Tesi dell'anno 1486, a cura di Biondi, Albano, Firenze, Leo S. Olschki, 1995. PICO DELLA MIRANDOLA, GIOVANNI, De hominis dignitate, a cura di Garin, Eugenio, Firenze, Vallecchi, 1942 (BiVio) PICO DELLA MIRANDOLA, GIOVANNI, Della dignità dell'uomo, a cura di Berrettoni, Glauco, Genova, Basilisco, 1985. PLATONIS, Opera, tomus II, a cura di Burnet, Ioannes, Oxonii, E typographeo Clarendoniano, 1953. POLIZIANO, ANGELO, Due poemetti latini. Elegia a Bartolomeo Fonzio, Epicedio di Albiera degli Albizi, a cura di Bausi, Francesco, Roma, Salerno, 2003. POLIZIANO, ANGELO, Stanze. Fabula di Orfeo, a cura di Carrai, Stefano, Milano, Mursia, 1988 POLIZIANO, ANGELO, Silvae, a cura di Bausi, Francesco, Firenze, Leo S. Olschki Editore, 1996. POLIZIANO, ANGELO, Stanze-Orfeo-Rime, a cura di Marconi, Sergio, Milano, Feltrinelli Economica, 1981. PONTANO, GIOVANNI, Carmina: ecloghe, elegie, liriche, a cura di Oeschger, Johannes, Bari, Laterza & figli, 1948(?). 336 BIBLIOGRAFIA P. Ovidii Metamorphosis, a cura di REGIO, RAFFAELE, Venezia, 1513. RIPA, CESARE, Iconologia overo Descrittione di diverse Imagini cavate dall'antichità et di propria inventione, Roma, Lepido Facii, 1603 (BiVio). SACCHETTI, FRANCO, La battaglia delle belle donne. Le Lettere. Le Sposizioni di Vangeli, a cura di Chiari, Alberto, Bari, Laterza, 1938. SALUTATI, COLUCCIO, De laboribus Herculis, a cura di Ullman, B.L., Padova, Editrice Antenore, 1951. SALUTATI, COLUCCIO, De seculo et religione, a cura di Ullman, B.L., Firenze, Leo S. Olschki, 1957. SERDINI, SIMONE lingua, 1965. (IL SAVIOZZO), Rime, a cura di Pasquini, E., Bologna, Commissione per i testi di SIMINTENDI, ARRIGO, Metamorfosi d'Ovidio volgarizzate, a cura di Basi, Casimiro e Cesare Guasti, Prato, Guasti, 1846-50. SPIRITO, LAURENTIO, Ovidio Metamorphoseos vulgare, 1519. TANSILLO, LUIGI, Canzoniere, a cura di Pèrcopo, E. e T.R. Toscano, Napoli, Liguori, 1996. TEBALDEO, ANTONIO, Rime, a cura di Basile, Tania, Ferrara, Franco Cosimo Panini, 1992. TISSONI BENVENUTI, ANTONIA, L'Orfeo del Poliziano, Padova, Editrice Antenore, 1986. VASARI, GIORGIO, Le vite, ed. ATIR. P. VERGILII MARONIS, Opera, a cura di Mynors, R.A.B., Oxonii, E typographeo Clarendoniano, 1969. VIRGILIO, Eneide, a cura di Pratellesi, E., Firenze, Le Monnier, 1930. VERINO, UGOLINO, Carlias. Ein Epos des 15. Jahrhunderts erstmals herausgegeben von Nikolaus Thurn, München, Wilhelm Fink, 1995. VIRGILIO, Georgiche, Milano, Arnoldo Mondadori Editore, 1983. Trattati di poetica e retorica del cinquecento, a cura di WEINBERG, BERNARD, Bari, Gius. Laterza & figli, 1970-1974. Trattati d'amore del Cinquecento, a cura di ZONTA, G., Bari, 1912. Trattati del Cinquecento sulla donna, a cura di ZONTA, G., Bari, Laterza, 1913. Cd-rom Archivio della Tradizione Lirica: da Petrarca a Marino, a.c.d. A. Quondam, Lexis Progetti Editoriali, Roma, 1997. Art Theorists of the Italian Renaissance, Chadwyck-Healey, Inc., Cambridge, 1997. 337 BIBLIOGRAFIA Letteratura Italiana Zanichelli, 4a ed. per Windows, a.c.d. P. Stoppelli e E. Picchi, Zanichelli, Bologna, 2001. Siti internet Biblioteca dei Classici Italiani, a.c.d. G. Bonghi (www.classicitaliani.it) Biblioteca della Letteratura Italiana (www.letteraturaitaliana.net) BiVio (www.bivionline.it) Nuovo Rinascimento Banca Dati (www.nuovorinascimento.org) Opera del Vocabolario Italiano (www.lib.uchicago.edu/efts/ARTFL/projects/OVI) Poeti d’italia in lingua latina tra medioevo e rinascimento (157.138.65.54:8080/poetiditalia/) Biblioteca Italiana (www.bibliotecaitaliana.it) Liber Liber (www.liberliber.it) Zum Nachleben des antiken Mythos (www.oeaw.ac.at/kal/mythos) Duecento: la poesia italiana dalle origini a Dante (www.silab.it/frox/200) Letteratura Italiana (www.intratext.com/8/it/) Antologia (frammentaria) della Letteratura Italiana (www.crs4.it/HTML/Literature.html) Letteratura secondaria AA.VV., Enciclopedia dantesca, Roma, 1970-78. ACCORSI, M. GRAZIA, '"Gravitas" et "Suavitas" dans l'"Euridice" de Ottavio Rinuccini', in: La naissance de l'Opéra. Euridice 1600-2000, a cura di Decroisette, Francoise, Paris, L'Harmattan, 2003, pp. 121-155. ACIDINI LUCHINAT, CRISTINA, Le Ville e i Giardini di Castello e Petraia a Firenze, Ospedaletto (PI), Pacini, 1992. ALESSIO CAVARETTA, ANTONIA F.G., 'Diffusione diacronica dell'iconografia di Orfeo in ambiente occidentale', in: Orfeo e l'orfismo, a cura di Masaracchia, Agostino, Roma, Gruppo Editoriale Internazionale, 1993, pp. 399-407. ALEXANDER, J.J.G., 'A Virgil illuminated by Marco Zoppo', The Burlington Magazine CXI, 797 (1969), pp. 514-vv. ALIBERTI GAUDIOSO, FILIPPA M. e ERALDO GAUDIOSO, Gli affreschi di Paolo III a Castel Sant'Angelo. Progetto ed esecuzione 1543-1548, Roma, De Luca, 1981. ALLEN, DON CAMERON, Mysteriously Meant. The Rediscovery of Pagan Symbolism and Allegorical 338 BIBLIOGRAFIA Interpretation in the Renaissance, Baltimore-London, The Johns Hopkins Press, 1970. ANDERSON, W.S., 'The Orpheus of Virgil and Ovid: flebile nescio quid', in: Orpheus. The Metamorphoses of a Myth, a cura di Warden, John, Toronto-Buffalo-London, University of Toronto Press, 1982, pp. 25-50. ANGIOLILLO, MARIALUISA, Feste di corte e di popolo nell'Italia del primo Rinascimento, Roma, SEAM, 1996. ANSELMI, GIAN MARIO, Profilo storica della letteratura italiana, Milano, Sansoni, 2002. AUSTIN, H.D., 'Artephius-Orpheus', Speculum 12, 2 (1937), pp. 251-254. Le metamorfosi di Orfeo. Convegno internazionale Verona, 28-30 maggio 1998, a cura di BABBI, ANNA MARIA, Verona, Edizioni Fiorini, 1999. Cantari del trecento, a cura di BALDUINO, ARMANDO, Milano, Marzorati, 1970. BARANSKI, ZYGMUNT G., 'Notes on Dante and the Myth of Orpheus', in: Dante. Mito e poesia, a cura di Picone, Michelangelo e Tatiana Crivelli, Firenze, Franco Cesati, 1997, pp. 133-154. BARDON, FRANCOISE, 'Les peintures de Metamorphoses à Venise au debut du XVIe siècle', in: Die Rezeption der Metamorphosen des Ovid in der Neuzeit: der antike Mythos in Text und Bild, a cura di Horn, Hans-Jürgen e Hermann Walter, Berlin, Gebr. Mann Verlag, 1995, pp. 98-113. BARTELINK, G.J.M., Klassieke Letterkunde, Atrium, 1993. BARTSCH, ADAM VON, Le peintre graveur, Hildesheim, G. Olms, 1970. BARTSCH, ADAM Press, [1971-]. VON, Le peintre graveur illustré, University Park, Pennsylvania State University BARTSCH, ADAM VON, ET AL., The illustrated Bartsch, New York, Abaris Books, 1978-. BASKINS, CRISTELLE, "Cassone" Painting, Humanism, and Gender in Early Modern Italy, Cambridge, Cambridge University Press, 1998 (non letto) BAUSI, FRANCESCO, 'Orfeo e Achille. La prefazione alla Manto di Angelo Poliziano', Schede umanistiche. Rivista semestrale dell'Archivio Umanistico Rinascimentale Bolognese n.s. I, (1992), pp. 31-59. BAUSI, FRANCESCO, ‘Nota sul sonetto laurenziano Fuggendo Lot con la sua famiglia’, Interpres XI (1991), pp. 350-356 BÉAGUE, ANNICK, JACQUES BOULOGNE, ALAIN DEREMETZ e FRANCOISE TOULZE-MORISSET, Les visages d'Orphée, Villeneuve d'Ascq, Presses Universitaires du Septentrion, 1998. BEAUSSANT, PHILIPPE, 'Orphée et la naissance de l'opéra', in: Les Métamorphoses d'Orphée, a cura di Camboulives, Cathérine e Michèle Lavallée, [Gand etc.], Snoeck-Ducaju & Zoon, 1995, pp. 89-94. BELIS, ANNIE, 'La cithare de Thamyras', in: La naissance de l'Opéra. Euridice 1600-2000, a cura di Decroisette, Francoise, Paris, L'Harmattan, 2003, pp. 27-56. 339 BIBLIOGRAFIA BELLINA, ANNA LAURA, 'I passaggi di Orfeo: recitar cantando nell'opera italiana fra Peri e Gluck', in: La maschera e il volto. Il teatro in Italia, a cura di Bruni, Francesco, Venezia, Marsilio, 2002, pp. 137-162. BERTOLUCCI PIZZORUSSO, VALERIA, 'Orfeo "englouti" nelle letterature romanze dei secc. XII e XIII. Prime attestazioni', in: Le metamorfosi di Orfeo. Convegno internazionale Verona, 28-30 maggio 1998, a cura di Babbi, Anna Maria, Verona, Edizioni Fiorini, 1999, pp. 135-154. BESUTTI, P., 'Alessandro Striggio, La favola d'Orfeo', in: Gonzaga: La celeste Galleria. Le raccolte, a cura di Morselli, Raffaella, Milano, Skira, 2002, pp. BIGI, EMILIO, 'Umanità e letterarietà nell' "Orfeo" del Poliziano', Giornale storico della letteratura italiana CLIX, 506 (1982), pp. 183-215. BILLANOVICH, GIUSEPPE, Dal Medioevo all'Umanesimo: la riscoperta dei classici, Milano, C.U.S.L., 2001. BOCCUTO, GIUSEPPINA, 'Il mito di Orfeo nei "Nutricia" di Poliziano', in: Il mito nel Rinascimento, a cura di Rotondi Secchi Tarugi, Luisa, Milano, Nuovi Orizzonti, 1993, pp. 217-240. BOCCUTO, GIUSEPPINA, 'Riscrittura del mito nella letteratura umanistica: i Nutricia di Poliziano', in: Presenze classiche nelle letterature occidentali. Il mito dall'età antica all'età moderna e contemporanea, a cura di Rossi Cittadini, Margherita, Perugia, IRRSAE/GESP, 1995, pp. 493-497. BÖHME, ROBERT, Orpheus. Das Alter der Kitharoden, Berlin, Weidmannsche Verlagsbuchhandlung, 1953. BÖHME, ROBERT, Orpheus. Der Sänger und seine Zeit, Bern und München, Francke Verlag, 1970. BOITANI, PIERO, The Shadow of Ulysses. Figures of a Myth, Oxford, Clarendon Press, 1994. BONAVENTURA, ARNALDO, 'Il mito d'Orfeo nella musica', Nuova antologia di lettere, arti e scienze 149? (1910), pp. 401-415. BONFILS TEMPLER, MARGHERITA DE, 'La donna gentile del Convivio e il boeziano mito d'Orfeo', Dante Studies 101, (1983), pp. 123-144. BORSELLINO, NINO, 'La voce e lo sguardo. Orfeo nella Fabula del Poliziano', in: Orfeo e l'orfismo, a cura di Masaracchia, Agostino, Roma, Gruppo Editoriale Internazionale, 1993, pp. 309-317. BORSELLINO, NINO, Orfeo e Pan: sul simbolismo della pastorale, Parma, Zara, 1986. BOSCHLOO, ANTON, 'Images of the gods in the vernacular', Word & Image 4, 1 (1988), pp. 412-421. BOULANGER, ANDRÉ, Orphée: rapports de l'orphisme et du christianisme, Paris, F. Rieder et Cie., 1925. BOWRA, C.M., 'Orpheus and Eurydice', The Classical Quarterly 46, (1952), pp. 113-126. BRÄKLIN-GERSUNY, GABRIELE, Orpheus, der Logos-Träger. Eine Untersuchung zum Nachleben des antiken Mythos in der französischen Literatur des 16. Jahrhunderts, München, Wilhelm Fink, 1975. 340 BIBLIOGRAFIA BRANCA, VITTORE, 'Momarie veneziane e "Fabula di Orfeo"', in: Umanesimo e Rinascimento. Studi offerti a Paul Oskar Kristeller, a cura di Branca, Vittore, Firenze, Leo S. Olschki, 1980, pp. 57-73. BRANCA, VITTORE, 'Suggestioni veneziane nell' "Orfeo" del Poliziano', in: Il teatro italiano del Rinascimento, a cura di Panistella Lorch, Maristella de, Milano, Edizioni di Comunità, 1980, pp. 467-482. BRANCA, VITTORE, 'Tra Ficino 'Orfeo ispirato' e Poliziano 'Ercole ironico'', in: Marsilio Ficino e il ritorno di Platone. Studi e documenti, a cura di Garfagnini, Gian Carlo, Firenze, Leo S. Olschki, 1986, pp. 459-475. BRINK, C.O., Horace on Poetry. The 'Ars poetica', Cambridge, 1971. BROWN, HOWARD MAYER, 'Music-how opera began: an introduction to Jacopo Peri's Euridice (1600)', in: The Late Italian Renaissance 1525-1630, a cura di Cochrane, Eric, New York, Macmillan, 1970, pp. 401-443. BRUMBLE, H. DAVID, Classical Myths and Legends in the Middle Ages and the Renaissance. A Dictionary of Allegorical Meanings, London-Chicago, Fitzroy Dearborn, 1998. BRUNEL, PIERRE, ‘L’étude des mythes en littérature comparée’, in: idem, Mythocritique. Théorie et parcours, Paris, PUF, 1992, pp. 29-30. BRUNET, PHILIPPE, 'Le corps d'Orphée', in: La naissance de l'Opéra. Euridice 1600-2000, a cura di Decroisette, Francoise, Paris, L'Harmattan, 2003, pp. 15-25. La maschera e il volto. Il teatro in Italia, a cura di BRUNI, FRANCESCO, Venezia, Marsilio, 2002. BRUNORI, F, 'Il mito ovidiano di Orfeo e Euridice nel Canzoniere di Petrarca', Romance Quarterly 44, 4 (1997), pp. 233-244. Orfeo in Toscana: il Maggio musicale fiorentino e la nascita del melodramma, a cura di BUCCI, MORENO e RAFFAELE MONTI, Firenze, SPES, [1999]. BUCK, AUGUST, Der Orpheus Mythos in der italienischen Renaissance, Krefeld, Scherpe Verlag, 1961. BUCK, AUGUST, Die Rezeption der Antike in den romantischen Literaturen der Renaissance, Berlin, Erich Schmidt Verlag, 1976. BUJIĆ, BOJAN, ‘‘Figura poetica molto vaga’: Structure and Meaning in Rinuccini’s ‘Euridice’’, Early Music History 10 (1991), BULL, MALCOLM, The Mirror of the Gods. Classical Mythology in Renaissance Art, 2005. BURCKHARDT, JACOB, De cultuur der Renaissance in Italië, Utrecht - Antwerpen, Het Spectrum, 1986. BURKE, PETER, De Italiaanse Renaissance, Agon, 1988. BURKE, PETER, De Renaissance, Nijmegen, SUN, 1990. 341 BIBLIOGRAFIA CALENDOLI, GIOVANNI, L'Orfeo e altre letture, con il testo del Formicone di Publio Filippo Mantovano, Roma, Le Maschere, 1959. CALLMANN, ELLEN, 'Jacopo del Sellaio, the Orpheus Myth, and Painting for the Private Citizen', Folia Historiae Artium S.N. 4, (1998), pp. 143-158. Les Métamorphoses d'Orphée, a cura di CAMBOULIVES, CATHÉRINE e MICHÈLE LAVALLÉE, [Gand etc.], Snoeck-Ducaju & Zoon, 1995. CAPPELLETTI, FRANCESCA, ‘L'uso delle Metamorfosi di Ovidio nella decorazione ad affresco della prima metà del Cinquecento. Il caso della Farnesina’, in: Die Rezeption der Metamorphosen des Ovid in der Neuzeit: der antike Mythos in Text und Bild, a cura di Walter, Hermann e Horn, HansJürgen, Berlin, Gebr. Mann Verlag, 1995, pp. CAPPELLETTI, FRANCESCA, ‘La musica nel mito e il mito nella musica: Orfeo e Bacco nell'arte, nelle feste e nei primi melodrammi’, in: Immagini degli dei. Mitologia e collezionismo tra '500 e '600, a cura di Cieri Via, Claudia, Leonardo Art, 1996, pp. CARRAI, STEFANO, 'Implicazioni cortigiane nell'Orfeo di Poliziano', Rivista di letteratura italiana VIII, 1 (1990), pp. 9-23; poi in: Idem, I precetti di Parnaso. Metrica e generi poetici nel Rinascimento italiano, Roma, Bulzoni, 1999, pp. 85-98. CARRAI, STEFANO, 'Poliziano e il mito di Orfeo', in: Le metamorfosi di Orfeo. Convegno internazionale Verona, 28-30 maggio 1998, a cura di Babbi, Anna Maria, Verona, Edizioni Fiorini, 1999, pp. 154-167. CARRAI, STEFANO, 'Poliziano, Orfeo e il teatro profano', in: La maschera e il volto. Il teatro in Italia, a cura di Bruni, Francesco, Venezia, Marsilio, 2002, pp. 21-29. CASINI-ROPA, EUGENIA, 'Il banchetto di Bergonzio Botta per le nozze di Isabella d'Aragona e Gian Galeazzo Sforza nel 1489: quando la storiografia si sostituisce alla storia', in: Spettacoli conviviali dall'antichità classica alle corti italiane del '400. Atti del VII Convegno di Studio, Viterbo, 27-30 Maggio 1982, a cura di Chiabò, Miryam e F. Doglio, Viterbo, Centro di Studi sui Teatro Medioevale e Rinascimentale, 1983, pp. 291-306. CASTAGNOLA, RAFFAELA, 'Nuovi testimoni dell' "Orfeo" del Poliziano e delle "Stanze" di Lorenzo de' Medici', Rinascimento: Rivista dell'Istituto Nazionale di Studi sul Rinascimento 27, (1987), pp. 273274. Mesura et arte del danzare. Guglielmo Ebreo da Pesaro e la danza nelle corti italiane del XV secolo, a cura di CASTELLI, PATRIZIA, MAURIZIO MINGARDI e MAURIZIO PADOVAN, Gualtieri, 1987? CAZALÉ BÉRARD, CLAUDE, 'Boccaccio e la poetica: Mercurio, Orfeo e Giasone, tre chiavi dell'avventura ermeneutica', Studi sul Boccaccio 22, (1994), pp. 277-306. CERBO, ANNA, Metamorfosi del mito classico da Boccaccio a Marino, Pisa, Edizioni ETS, 2001. CHARLET, JEAN-LOUIS, 'La mythologie dans un poème et un discours de mariage d'Antonio Costanzi', in: Il mito nel Rinascimento, a cura di Rotondi Secchi Tarugi, Luisa, Milano, Nuovi Orizzonti, 1993, pp. 27-40. 342 BIBLIOGRAFIA CHASTEL, ANDRÉ, Art et humanisme a Florence au temps de Laurent le Magnifique. Études sur la Renaissance et l'Humanisme platonicien, Université de Paris, Paris, 1959 CHASTEL, ANDRÉ, Marsile Ficin et l'art, Genève, Librairie Droz, 1975. Spettacoli conviviali dall'antichità classica alle corti italiane del '400. Atti del VII Convegno di Studio, Viterbo, 27-30 Maggio 1982, a cura di CHIABÒ, MIRYAM e F. DOGLIO, Viterbo, Centro di Studi sul Teatro Medioevale e Rinascimentale, 1983. CHIARINI, GIOACHINO, 'Tra mito e tradizione: immagini di Orfeo da Polignoto a Aby Warburg', in: Orfeo e le sue metamorfosi. Mito, arte, poesia, a cura di Guidorizzi, Giulio e Marxiano Melotti, Roma, Carocci, 2005, pp. 152-167. Virgilio, Ovidio, Poliziano, Rilke, Cocteau, Pavese, Bufalino: Orfeo. Variazioni sul mito, a cura di CIANI, MARIA GRAZIA e ANDREA RODIGHIERO, Venezia, Marsilio, 2004. Immagini degli dei. Mitologia e collezionismo tra '500 e '600, a cura di CIERI VIA, CLAUDIA, Leonardo Arte, 1996. CIERI VIA, CLAUDIA, 'Orphée, Ovide et les "pathosformeln" à l'antique', in: La naissance de l'Opéra. Euridice 1600-2000, a cura di Decroisette, Francoise, Paris, L'Harmattan, 2003, pp. 313-335. CIERI VIA, CLAUDIA, Mitologia e allegoria nella cultura artistica del www.italica.rai.it/rinascimento/saggi/mitologia_allegoria/index.htm (non letto) Rinascimento, CIERI VIA, CLAUDIA, L’arte delle metamorfosi. Decorazioni mitologiche nel Cinquecento, Roma, Lithos, 2003 (non letto) CLAUS, FELIX, 'De Orpheus-Eurydice-mythe van Ovidius: een voorbeeld van dichterlijke imitatio', in: Orpheus. Ontstaan, groei en nawerking van een antieke mythe in de literatuur, beeldende kunsten, muziek en film, a cura di Provoost, Arnold, Leuven, Acco, 1974, pp. 77-88. COMBONI, ANDREA, 'Orfeo nell'inedito Triumpho de crudelitate di Giovanni Filoteo Achillini', Versants: Revue Suisse des Litteratures Romanes 24, (1993), pp. 87-105. COOK, JOHN DANIEL, 'Euhemerism: A Mediaeval Interpretation of Classical Paganism', Speculum 2, (1927), pp. 396-410. CORVISIERI, C., 'Il trionfo romano di Eleonora d'Aragona', Archivio della Reale Società Romana di Storia Patria 10, (1887), pp. 645-54 (en meer). COSTA, GUSTAVO, 'Giovanni Pontano and the Orpheus Myth: Poetry and Magic in the Age of Humanism', Rivista di studi italiani 4, 1 (1986), pp. 1-17. CROCE, BENEDETTO, 'Gli Dei antichi nella tradizione mitologica del medio evo e del rinascimento', in: Varietà di storia letteraria e civile, a cura di Croce, Benedetto, Bari, Gius. Laterza & figli, 1949, pp. 50-65. CURTIUS, ERNST ROBERT, Europäische Literatur und lateinisches Mittelalter, Bern-München, Francke Verlag, 1963. 343 BIBLIOGRAFIA DALMONTE, ROSSANA, Il Mito di Orfeo in Musica: dispense a.a. 1993-94, storia della musica, Trento, Università degli Studi, [1994]. DANIEL, LADISLAV, 'L'uomo con l'arpa: Apollo, Orfeo e Davide. Considerazioni sulla tipologia iconografica', in: Dipingere la musica. Strumenti in posa nell'arte del Cinque e Seicento, a cura di Ferino-Pagden, Sylvia, Milano, Skira, 2000, pp. 53-57. DAVIDSON REID, JANE, The Oxford Guide to Classical Mythology in the Arts 1300-1990s, Oxford, 1993. DE ANGELIS, MARCELLO, 'La meraviglia, ohimè! degli intermedi', in: Orfeo in Toscana: il Maggio musicale fiorentino e la nascita del melodramma, a cura di Bucci, Moreno e Raffaele Monti, Firenze, SPES, [1999], pp. 13-16. DE CARO, GASPARE, 'Euridice sull'Arno', Hortus Musicus 4, (2000), pp. 46-49. DE CARO, GASPARE e ROBERTO DE CARO, 'L'interprete come storico: il caso Euridice', Hortus Musicus 16, (2003), pp. 14-17. DE LAET, EDDY, 'De nawerking van Vergilius' Orpheusverhaal in de Latijnse letterkunde: Ovidius Seneca - Culex. Poging tot thematische en literair-vergelijkende interpretatie', in: Orpheus. Ontstaan, groei en nawerking van een antieke mythe in de literatuur, beeldende kunsten, muziek en film, a cura di Provoost, Arnold, Leuven, Acco, 1974, pp. 89-105. DE LAET, EDDY, 'Literaire benadering van de mythe van Orpheus en Eurydice in Vergilius' Georgica 4, 457-527', in: Orpheus. Ontstaan, groei en nawerking van een antieke mythe in de literatuur, beeldende kunsten, muziek en film, a cura di Provoost, Arnold, Leuven, Acco, 1974, pp. 55-76. DE ROBERTIS, DOMENICO, 'Nascita, tradizione e venture del cantare in ottava rima', in: I cantari. Struttura e tradizione. Atti del Convegno Internazionale di Montreal: 19-20 marzo 1981, a cura di Picone, Michelangelo e M. Bendinelli Predelli, Firenze, Leo S. Olschki, 1984, pp. 9-24. DE SANCTIS, GIUSEPPE, Storia dei Greci. Dalle origini alla fine del secolo V, Firenze, La nuova Italia, 1954. DECROISETTE, FRANCOISE, '"Lo stupore" et "la meraviglia": étude de réception', in: La naissance de l'Opéra. Euridice 1600-2000, a cura di Decroisette, Francoise, Paris, L'Harmattan, 2003, pp. 337368. La naissance de l'Opéra. Euridice 1600-2000, a cura di DECROISETTE, FRANCOISE, FRANCOISE GRAZIANI e JOËL HEUILLON, Paris, L'Harmattan, 2003. DEL LUNGO, ISIDORO, 'L'Orfeo del Poliziano alla Corte di Mantova', Nuova antologia XXVIII, Serie II, (1881), pp. 537-576. DESPORT, MARIE, L'incantation virgilienne. Essai sur les mythes du poète enchanteur et leur influence dans l'oeuvre de Virgile, Université de Paris, Paris, 1952 DETIENNE, MARCEL, L'écriture d'Orphée, Gallimard, 1989. 344 BIBLIOGRAFIA DEUFERT, KATTRIN, 'Orpheus und die Anfänge eines Musiktheaters in der Renaissance', in: Mythos Orpheus. Texte von Vergil bis Ingeborg Bachmann, a cura di Storch, Wolfgang, Leipzig, Reclam Verlag, 1997, pp. DEUFERT, MARCUS, 'Orpheus in der antiken Tradition', in: Mythos Orpheus. Texte von Vergil bis Ingeborg Bachmann, a cura di Storch, Wolfgang, Leipzig, Reclam Verlag, 1997, pp. 266-273. DI SIMONE, MARINA, Amore e morte in uno sguardo. Il mito di Orfeo e Euridice tra passato e presente, Firenze, Libri Liberi, 2003. DIDIER, BÉATRICE, 'Orphée: mythe originaire de l'opéra', in: Le metamorfosi di Orfeo, a cura di Babbi, Anna Maria, Verona, Fiorini, 1999, pp. 181-193. DOGLIO, MARIA LUISA, 'Mito, metamorfosi, emblema dalla " Favola di Orfeo" del Poliziano alla " Festa de lauro "', Lettere italiane 29, (1977), pp. 148-170. DOOREN, FRANS VAN, Geschiedenis van de klassieke Italiaanse literatuur, Amsterdam, AthenaeumPolak & Van Gennep, 1999. DRONKE, PETER, 'La persistenza dei miti musicali greci attraverso la letteratura mediolatina', Musica e Storia VI, 1 (1998), pp. 55-vv. DRONKE, PETER, 'The return of Eurydice', Classica et mediaevalia 23, (1962), pp. 198-215. EINSTEIN, ALFRED, The Italian Madrigal, Princeton, New Jersey, Princeton University Press, 1949. EKSERDJIAN, DAVID, 'Mantegna's lost "Death of Orpheus"', pp. 144-149. ELWERT, WILHELM THEODOR, Die italienische Literatur des Mittelalters: Dante, Petrarca, Boccaccio, München, Francke, 1980. ESSLING, PRINCE D', Les livres à figures vénitiens de la fin du XVe siècle et du Commencement du XVIe, Firenze-Paris, Leo S. Olschki, 1907-. FABBRI, PAOLO, 'Parler et jouer en musique: une pratique à la recherche de fondements théoriques', in: La naissance de l'Opéra. Euridice 1600-2000, a cura di Decroisette, Francoise, Paris, L'Harmattan, 2003, pp. 203-230. FALLETTI, CLELIA, 'Le feste per Eleonora d'Aragona da Napoli a Ferrara (1473)', in: Spettacoli conviviali dall'antichità classica alle corti italiane del '400. Atti del VII Convegno di Studio, Viterbo, 27-30 Maggio 1982, a cura di Chiabò, Miryam e F. Doglio, Viterbo, Centro di Studi sul Teatro Medioevale e Rinascimentale, 1983, pp. 269-289. FENLON, IAIN, 'The Mantuan Orfeo', in: Claudio Monteverdi. Orfeo, a cura di Whenham, John, Cambridge, Cambridge University Press, 1986, pp. 1-19. FERRONI, GIULIO, Profilo storico della letteratura italiana, Milano, Einaudi Scuola, 1992. FESSAGUET, ISABELLE, 'Les Images d' Orphée en Italie à la Renaissance', in: Les Métamorphoses d'Orphée, a cura di Camboulives, Cathérine e Michèle Lavallée, [Gand, etc.], Snoeck-Ducaju & Zoon, 1995, pp. 35-41. 345 BIBLIOGRAFIA FIORINI GALASSI, MARIA GRAZIA, 'Il camerino detto di Orfeo nel Palazzo Ducale di Mantova. Mito dell' "eterno ritorno" o metafora ideologica del Rinascimento', Civiltà Mantovana. Rivista trimestrale N.S. 11, (1986), pp. 35-52. FLORA, FRANCESCO, 'Orfeo o l'umana civiltà delle lettere', Beltempo I, 1 (1940), pp. 103-104. FORTUNE, NIGEL, 'The rediscovery of Orfeo', in: Claudio monteverdi. Orfeo, a cura di Whenham, John, Cambridge, Cambridge University Press, 1986, pp. 78-118. FRANCINI CIARANFI, ANNA MARIA, 'Appunti su antichi disegni fiorentini per le "Metamorfosi" di Ovidio', in: Scritti di storia dell'arte in onore di Ugo Procacci, a cura di Ciardi Dupré Dal Poggetto, Maria Grazia e Paolo Dal Poggetto, Milano, Electa, 1977, pp. 177-183. FREDÉN, GUSTAF, Orpheus and the Goddess of Nature, Göteborg, Elanders Boktryckeri Aktiebolag, 1958. FREEDMAN, LUBA, The Revival of the Olympian Gods in Renaissance Art, Cambridge, Cambridge University Press, 2003. FREEMAN, DAVID, 'Telling the story', in: Claudio Monteverdi. Orfeo, a cura di Whenham, John, Cambridge, Cambridge University Press, 1986, pp. 156-166. FREY-SALLMANN, Aus dem Nachleben antiker Göttergestalten. Die antiken Gottheiten in der Bildbeschreibung des Mittelalters und der italienischen Frührenaissance, Leipzig, Dieterich'sche Verlagsbuchhandlung, 1931. FRIEDMAN, JOHN BLOCK, The figure of Orpheus in antiquity and the Middle Ages, Michigan State University, Michigan, 1965 FRIEDMAN, JOHN BLOCK, Orpheus in the Middle Ages, Cambridge Massachusetts, Harvard University Press, 1970. FROMMEL, CHRISTOPH LUITPOLD, Baldassare Peruzzi als Maler und Zeichner, Wien-München, Verlag Anton Schroll & Co, 1967-68. GALINSKY, G. KARL, The Herakles Theme. The Adaptations of the Hero in Literature from Homer to the Twentieth Century, Oxford, Basil Blackwell, 1972. GALLO, F. ALBERTO, 'La danza negli spettacoli conviviali del secondo Quattrocento', in: Spettacoli conviviali dall'antichità classica alle corti italiane del '400. Atti del VII Convegno di Studio, Viterbo, 27-30 Maggio 1982, a cura di Chiabò, Miryam e F. Doglio, Viterbo, Centro di Studi sul Teatro Medioevale e Rinascimentale, 1983, pp. 261-267. GALLO, F. ALBERTO, Musica nel castello. Trovatori, libri, oratori nelle corti italiane dal XIII al XV secolo, Bologna, Il Mulino, 1992. GARDINI, NICOLA, 'Un Esempio Di Imitazione Virgiliana Nel Canzoniere Petrarchesco: il Mito Di Orfeo', Modern Language Notes 110, 1 (1995), pp. 132-144. GARGIULO, PIERO, 'Da "favola" a "opera". Musica per il teatro da Euridice (1600) a Poppea (1643)', in: Orfeo in Toscana: il Maggio musicale fiorentino e la nascita del melodramma, a cura di Bucci, Moreno e Raffaele Monti, Firenze, SPES, [1999], pp. 17-22. 346 BIBLIOGRAFIA GARGIULO, PIERO, «Lo stupor dell'invenzione». Firenze e la nascita dell'opera. Atti del convegno internazionale di studi, Firenze, 5-6 ottobre 2000. Arezzo, Biblioteca città di Arezzo, 29-30 maggio 1998, Firenze, Olschki, 2001 GARGIULO, PIERO, ‘Da Peri, Caccini, Gagliano "ai cortesi lettori". Per una ri-lettura di storiche prefazioni’, in: «Lo stupor dell'invenzione». Firenze e la nascita dell'opera. Atti del convegno internazionale di studi, Firenze, 5-6 ottobre 2000, Firenze, Olschki, 2001 GARIN, EUGENIO, 'Le favole antiche', La rassegna della letteratura italiana 4 (serie VII), (1953), pp. 3-20. Il Dizionario dell’Opera, a cura di GELLI, P., Milano, Baldini & Gastoldi, 1996 (www.delteatro.it) GENETTE, GÉRARD, Palimpsestes: la littérature au second degré, Paris, Éditions du Seuil, 1982 (traduzione italiana: Palinsesti. La letteratura al secondo grado, Torino, Einaudi, 1997. Traduzione inglese: Palimpsests. Literature in the Second Degree, University of Nebraska Press, 1997). GEROSA, PIETRO PAOLO, Umanesimo cristiano del Petrarca. Influenza agostiniana, attinenze medievali, Torino, Bottega d'Erasmo, 1966. GLOVER, JANE, 'Solving the musical problems', in: Claudio Monteverdi. Orfeo, a cura di Whenham, John, Cambridge, Cambridge University Press, 1986, pp. 138-155. GNOLI, D., 'Storia di Pasquino (dalle origini al Sacco del Borbone)', Nuova antologia XXV (terza serie), (1890), pp. 51-75; 275-296. GODWIN, JOSCELYN, The Pagan Dream of the Renaissance, Grand Rapids, Phanes Press, 2002. GRAF, FRITZ, 'Orpheus: A Poet Among Men', in: Interpretations of Greek Mythology, a cura di Bremmer, Jan, London-Sydney, Croom Helm, 1987, pp. 80-106. GRANT, MICHAEL, 'The myth of Orpheus and Eurydice', History Today 17, (1967), pp. 368-377. GRAVES, ROBERT, Griekse mythen, Houten, De Haan, 1999. GRAZIANI, FRANCOISE, 'La mort d'Eurydice: "favola" et "tragedia" selon Rinuccini', in: La naissance de l'Opéra. Euridice 1600-2000, a cura di Decroisette, Francoise, Paris, L'Harmattan, 2003, pp. 99120. GUIDOBALDI, NICOLETTA, 'I suoni ritrovati. La ripresa dei miti musicali nelle immagini del primo Rinascimento', Musica e Storia VI, 1 (1998), pp. 167-178. Orfeo e le sue metamorfosi. Mito, arte, poesia, a cura di GUIDORIZZI, GIULIO e MARXIANO MELOTTI, Roma, Carocci, 2005. GUTHMÜLLER, BODO, 'Cantari cinquecenteschi di argomento mitologico', in: Mito, poesia, arte. Saggi sulla tradizione ovidiana nel Rinascimento, a cura di Guthmüller, Bodo, Roma, Bulzoni, 1997, pp. 187GUTHMÜLLER, BODO, 'Concezioni del mito antico intorno al 1500', in: Mito, poesia, arte. Saggi sulla tradizione ovidiana nel Rinascimento, a cura di Guthmüller, Bodo, Roma, Bulzoni, 1997, pp. 37-64. 347 BIBLIOGRAFIA GUTHMÜLLER, BODO, 'Di nuovo sull'Orfeo del Poliziano', in: Mito, poesia, arte. Saggi sulla tradizione ovidiana nel Rinascimento, a cura di Guthmüller, Bodo, Roma, Bulzoni, 1997, pp. 145-164. GUTHMÜLLER, BODO, 'Il mito e la tradizione testuale (le Metamorfosi di Ovidio)', in: Immagini degli dei. Mitologia e collezionismo tra '500 e '600, a cura di Cieri Via, Claudia, Leonardo Arte, 1996, pp. 22-28. GUTHMÜLLER, BODO, 'Immagine e testo nelle Trasformationi di Lodovico Dolce', in: Mito, poesia, arte. Saggi sulla tradizione ovidiana nel Rinascimento, a cura di Guthmüller, Bodo, Roma, Bulzoni, 1997, pp. 251-274. GUTHMÜLLER, BODO, Mito, poesia, arte. Saggi sulla tradizione ovidiana nel Rinascimento, Roma, Bulzoni, 1997. GUTHMÜLLER, BODO, 'Mythologisches Gedicht und Ritterroman im frühen Cinquecento', in: Renaissancekultur und antike Mythologie, a cura di Guthmüller, Bodo e Wilhelm Kühlmann, Tübingen, Max Niemeyer Verlag, 1999, pp. 53-72. GUTHMÜLLER, BODO, 'Mythos und dramatisches Festspiel an den oberitalienischen Höfen des Quattrocento', in: Studien zur antiken Mythologie in der italienischen Renaissance, a cura di Guthmüller, Bodo, Weinheim, Acta Humaniora, VCH, 1986, pp. 65-77. GUTHMÜLLER, BODO, Ovidio Metamorphoseos vulgare. Formen und Funktionen der Volkssprachlichen Wiedergabe klassischer Dichtung in der italienischen Renaissance, Boppard am Rhein, Harald Boldt Verlag, 1981. GUTHMÜLLER, BODO, Studien zur antiken Mythologie in er italienischen Renaissance, Weinheim, Acta Humaniora, VCH, 1986. Renaissancekultur und antike Mythologie, a cura di GUTHMÜLLER, BODO e WILHELM KÜHLMANN, Tübingen, Max Niemeyer Verlag, 1999. GUTHRIE, W.K.C., Orpheus and Greek Religion. A Study of the Orphic Movement, New York, W.W. Norton & Company Inc., 1966. HANKINS, JAMES, 'The Myth of the Platonic Academy of Florence', Renaissance Quarterly 44, 3 (1991), pp. 429-475. HARNESS, KELLEY, 'Le tre Euridici: Characterization and Allegory in the Euridici of Peri and Caccini', Journal of Seventeenth-Century Music 9, 1 (2003), http://sscm-jscm.press.uiuc.edu//jscm/v9/no1/ Harness.html. HARRÁN, DON, 'Orpheus as Poet, Musician and Educator', in: Essays on Italian Music in the Cinquecento, a cura di Charteris, Richard, Sydney, Frederick May Foundation for Italian Studies, 1990, pp. 265-276. HAUSER, ANDREAS, 'Andrea Mantegnas "Parnass". Ein Programmbild orphischen Künstlertums', Pantheon LVIII, (2000), pp. 23-43. HEGE, BRIGITTE, Boccaccios Apologie der heidnischen Dichtung in den Genealogie deorum gentilium. Buch XIV. Text, Übersetzung, Kommentar und Abhandlung, Tübingen, Stauffenburg, 1997. 348 BIBLIOGRAFIA HEINRICHS, KATHERINE, The Myths of Love. Classical Lovers in Medieval Literature, University Park London, The Pennsylvania State University Press, 1990. HEITMANN, KLAUS, 'Orpheus im Mittelalter', Archiv für Kulturgeschichte 45, (1963), pp. 253-294. HEITMANN, KLAUS, 'Typen der Deformierung antiker Mythen im Mittelalter. Am Beispiel der Orpheussage', Romanistisches Jahrbuch 14, (1963), pp. 45-77. HELAS, PHILINE, Lebende Bilder in der italienischen Festkultur des 15. Jahrhunderts, Berlin, Akademie Verlag, 1999. HENKEL, MAX DITMAR, ‘Illustrierte Ausgaben von Ovids Metamorphosen im XV., XVI. Und XVII. Jahrhundert’, Vorträge der Bibliothek Warburg 6 (1926-1927), pp. 58-144. HENRY, ELISABETH, Orpheus with His Lute. Poetry and the Renewal of Life, Bristol Classical Press, 1992. HEUILLON, JOËL, 'La temporalité pathétique et sa traduction musicale', in: La naissance de l'Opéra. Euridice 1600-2000, a cura di Decroisette, Francoise, Paris, L'Harmattan, 2003, pp. 231-246. HEYMAN, CARLO e ARNOLD PROVOOST, 'De antieke Orpheusvoorstellingen', in: Orpheus. Ontstaan, groei en nawerking van een antieke mythe in de literatuur, beeldende kunsten, muziek en film, a cura di Provoost, Arnold, Leuven, Acco, 1974, pp. 29-48. HIGHET, GILBERT, The Classical Tradition. Greek and Roman Influences on Western Literature, New York-Oxford, Oxford University Press, 1985. HOFMANN, HEINZ, 'Orpheus', in: Antike Mythen in der europäischen Tradition, a cura di Hofmann, Heinz, Tübingen, Attempto, 1999, pp. 153-198. HOLLANDER, ROBERT, Boccaccio's Two Venuses, New York, Columbia University Press, 1977. HUBENS, ARTHUR, La légende d'Orphée et le drame musical, Bruxelles, 1910. HUBER-REBENICH, GERLINDE, 'Die Holzschnitte zum Ovidio Metamorphoseos vulgare in ihrem Textbezug', in: Die Rezeption der Metamorphosen des Ovid in der Neuzeit: der antike Mythos in Text und Bild, a cura di Walter, Hermann e Hans-Jürgen Horn, Berlin, Gebr. Mann Verlag, 1995, pp. 48-57. HUBER-REBENICH, GERLINDE, SABINE LÜTKEMEYER e HERMANN WALTER, Ikonographisches Repertorium zu den Metamorphosen des Ovid. Die Textbegleitende Druckgraphik, Berlin, Gebr. Mann, 2004. HUNGER, HERBERT, Lexikon der griechischen und roemischen Mythologie: mit Hinweisen auf das Fortwirken antiker Stoffe und Motive in der bildenden Kunst, Literatur und Musik des Abendlandes bis zur Gegenwart, Wien, Hollinek, [1959]. IRWIN, ELEANOR, 'The Songs of Orpheus and the New Song of Christ', in: Orpheus. The Metamorphoses of a Myth, a cura di Warden, John, Toronto-Buffalo-London, University of Toronto Press, 1982, pp. 51-62. JACQUEMARD, SIMONNE e JACQUES BROSSE, Orphée ou l'initiation mystique, Paris, Bayard Éditions, 1998. 349 BIBLIOGRAFIA JOCELYN, HENRY DAVID, 'The sources of Boccaccio's Genealogiae deorum gentilium libri and the myths about early Italy', in: Il mito nel Rinascimento, a cura di Rotondi Secchi Tarugi, Luisa, Milano, Nuovi Orizzonti, 1993, pp. 7-26. JONG, JAN DE, De oudheid in fresco. De interpretatie van klassieke onderwerpen in de Italiaanse wandschilderkunst, inzonderheid te Rome, circa 1370-1555, Rijksuniversiteit, Leiden, 1987 JONG, JAN DE, 'Ovidian Fantasies. Pictorial variations on the story of Mars, Venus and Vulcan', in: Die Rezeption der Metamorphosen des Ovid in der Neuzeit: der antike Mythos in Text und Bild, a cura di Walter, Hermann e Hans-Jürgen Horn, Berlin, Gebr. Mann Verlag, 1995, pp. 161-171. JONG, JAN DE, 'Word Processing in the Italian Renaissance: Action and Reaction with Pen and Paintbrush', Visual Resources 19, 4 (2003), pp. 259-281. JOUKOVSKY, FRANÇOISE, Orphée et ses disciples dans la poésie française et néo-latine du XVIe siècle, Genève, Librairie Droz, 1970. KAESEMANS, FRANS, 'Aspecten van de Orpheusmythe, benaderd vanuit Vergilius' Georgica', in: Orpheus. Ontstaan, groei en nawerking van een antieke mythe in de literatuur, beeldende kunsten, muziek en film, a cura di Provoost, Arnold, Leuven, Acco, 1974, pp. 49-54. KAUFFMANN, C.M., 'Orpheus: the Lion and the Unicorn', Apollo: a journal of the arts 98, (1973), pp. 192-196. KEMPERS, BRAM, ‘Words, Images and All the Pope’s Men. Raphael’s Stanza della Segnatura and the Synthesis of Divine Wisdom, in: History of Concepts. Comparative Perspectives, a cura di Hampsher-Monk, Iain, Karin Tilmans e Frank van Vree, Amsterdam, Amsterdam University Press, 1998, pp. 131-165 KERMAN, JOSEPH, 'Orpheus: the neoclassic vision', in: Claudio Monteverdi. Orfeo, a cura di Whenham, John, Cambridge, Cambridge University Press, 1986, pp. 126-137. KERN, OTTO, Orpheus. Eine religionsgeschichtliche Untersuchung, Berlin, Weidmannsche Buchhandlung, 1920. KLEEMAN, EVA C. e SASKIA WILLNER, G., Italiaanse schilderijen / Italian paintings 1300-1500, Rotterdam, Eigen collectie Boymans-van Beuningen, [1993]. KLUTSTEIN, ILANA, Marsilio Ficio et la théologie ancienne. Oracles Chaldaïques, Hymnes Orphiques, Hymnes de Proclus, Leo S. Olschki, 1987. KOSINSKI, DOROTHY M., The image of Orpheus in symbolist art and literature, New York University, New York, 1985 KRISTELLER, PAUL, Early Florentine Woodcuts, London, The Holland Press, 1968. LANGEDIJK, KARLA, 'Baccio Bandinelli's Orpheus: a political message', Mitteilungen des Kunsthistorischen Instituts in Florenz, (1976), pp. 33-52. LANGMUIR, ERIKA, 'Nicolò dell'Abate's 'Aristeus and Eurydice'', The Burlington Magazine 112, (1970), pp. 107-108. 350 BIBLIOGRAFIA LAPI BALLERINI, ISABELLA, The Medici Villas. Complete Guide, Firenze, Giunti, 2003. LENZINI MORIONDO, MARGHERITA, Mantegna: la Camera degli Sposi, Firenze, Sadea / Sansoni, 1965. Orfeo, il mito, la musica. Percorsi tra musicologia e antropologia musicale, a cura di LEONI, STEFANO A.E., Torino, Trauben, 2002. LEONI, STEFANO A.E., 'Quis et me miseram et te perdidit, Orpheu, quis tantus furor? Onomaklyton Orphen, for Orpheus lute was strung with poets sinews, whose golden touch could soften steel and stones, make tigers tame and huge leviathans: mulcentem tigris et agentem carmine quercus; [et sua] mulcebant carmina mentes.' in: Orfeo, il mito, la muscia. Percorsi tra musicologia e antropologia musicale, a cura di Leoni, Stefano A.E., Torino, Trauben, 2002, pp. 15-45. LEONI, UMBERTO, L'Orfeo del Poliziano e la sacra rappresentazione, Roma, s.n., 1900. LEOPOLD, SILKE, 'Die Anfänge von Oper und die Probleme der Gattung', Journal of SeventeenthCentury Music 9, 1 (2003), http://sscm-jscm.press.uiuc.edu//jscm/v9/no1/Leopold.html. LEUKER, TOBIAS, Angelo Poliziano. Dichter, Redner, Stratege. Eine Analyse der Fabula di Orpheo und ausgewählter lateinischer Werke des Florentiner Humanisten, Stuttgart und Leipzig, B.G. Teubner, 1997. LÉVI-STRAUSS, CLAUDE, Myth and Meaning, London and Henley, Routledge & Kegan Paul, 1978. LIEBERG, GODO, 'Arione, Orfeo ed Anfione. Osservazioni sul potere della poesia', Orpheus 5, (1984), pp. 139-155. LIMENTANI, A., 'Casella, Palinuro e Orfeo. "Modello narrativo" e "rimozione della fonte"', in: La parola ritrovata, a cura di Di Girolamo, C. e I. Paccagnella, Palermo, Sellerio, 1982, pp. 82-98. LINFORTH, IVAN M., The Arts of Orpheus, Berkeley and Los Angeles, University of California Press, 1941. LOMMATZSCH, ERHARD, Beiträge zur älteren italienischen Volksdichtung: Untersuchungen und Texte, Berlin, Akademie-Verlag, 1950. MAGGIULLI, GIGLIOLA, La lira di Orfeo: dall'epillio al melodramma, Genova, Dipartimento di Archeologia, filologia classica e loro tradizioni, 1991. MAÏER, IDA, Ange Politien. La formation d'un poète humaniste (1469-1480), Genève, Librairie Droz, 1966. MALAGOLI, LUIGI, Le Stanze e l'Orfeo e lo spirito del Quattrocento, Roma, 1941. MARANO, KATIA, 'Apoll und Marsyas. Ein Mythos als Exemplum des Zivilisationsprozesses', in: Renaissancekultur und antike Mythologie, a cura di Guthmüller, Bodo e Wilhelm Kühlmann, Tübingen, Max Niemeyer Verlag, 1999, pp. 283-293. Le nozze di Costanzo Sforza e Camilla d'Aragona celebrate a Pesaro nel maggio 1475, a cura di MARINIS, TAMMARO DE, Firenze, Vallecchi, 1946. MARTELLI, MARIO, Angelo Poliziano. Storia e metastoria, Lecce, Conte, 1995. 351 BIBLIOGRAFIA MARTELLI, MARIO, 'Il mito di Orfeo nell'età laurenziana', in: Orfeo e l'orfismo, a cura di Masaracchia, Agostino, Roma, Gruppo Editoriale Internazionale, 1993, pp. 319-351. Orfeo e l'orfismo. Atti del Seminario Nazionale (Roma-Perugia 1985-1991), a cura di MASARACCHIA, AGOSTINO, Roma, Gruppo Editoriale Internazionale, 1993. MAYERSON, PHILIP, 'Dionysus and Orpheus: God and Man, Myth and Mystery', in: Classical mythology in literature, art, and music, Lexington, Mass [etc.], Xerox College Publ, [1971], pp. 248-279. MAZZONI, GUIDO, La favola di Orfeo e Aristeo. Festa drammatica del secolo XV, Firenze, Alfani e Venturi, 1906. MCGEE, TIMOTHY J., 'Orfeo and Euridice, the First Two Operas', in: Orpheus. The Metamorphoses of a Myth, a cura di Warden, John, Toronto-Buffalo-London, University of Toronto Press, 1982, pp. 163-181. MCGRATH, ELIZABETH, 'Rubens's Susanna and the elders and moralizing inscriptions on prints', in: Wort und Bild in der niederländischen Kunst und Literatur des 16. und 17. Jahrhunderts, a cura di Vekeman, Herman e Justus Müller Hofstede, Erftstadt, Lukassen, 1984, pp. 73-90. MIEDEMA, HESSEL, 'Tekst en afbeelding als bronnen bij historisch onderzoek', in: Wort und Bild in der niederländischen Kunst und Literatur des 16. und 17. Jahrhunderts, a cura di Vekeman, Herman e Justus Müller Hofstede, Erftstadt, Lukassen, 1984, pp. 7-16. MIGRAINE-GEORGE, THÉRÈSE, 'Specular Desires: Orpheus and Pygmalion as Aesthetic Paradigms in Petrarch's Rime sparse', Comparative Literature Studies 36, 3 (1999), pp. 226-246. Due farse del sec. XVI riprodotte sulle antiche stampe con la descrizione ragionata del volume miscellaneo della Biblioteca di Volbenbuettel, a cura di MILCHSACK, G., Bologna, Commissione per i testi di lingua, 1968. MOENS, STEPHAN, 'Volksvermaak op niveau. Paul van Nevel herneemt La favola d'Orfeo', Tijdschrift voor Oude Muziek 17, 3 (2002), pp. 22-24. MONTI, RAFFAELE, 'Orfeo in Toscana', in: Orfeo in Toscana: il Maggio musicale fiorentino e la nascita del melodramma, a cura di Bucci, Moreno e Raffaele Monti, Firenze, SPES, [1999], pp. 912. MOORMANN, ERIC M. e WILFRIED UITTERHOEVE, Van Achilles tot Zeus. De klassieke mythologie in de kunst, Amsterdam, Maarten Muntinga b.v., 1987. Gonzaga: La Celeste Galeria. Le raccolte, a cura di MORSELLI, RAFFAELLA, Milano, Skira, 2002. Blick auf Orpheus. 2500 Jahre europäischer Rezeptionsgeschichte eines antiken Mythos, a cura di MUNDT-ESPÍN, CHRISTINE, Tübingen und Basel, Francke Verlag, 2003. MUNRO PYLE, CYNTHIA, 'Il tema di Orfeo, la musica e la favole mitologiche del tardo Quattrocento', in: Ecumenismo della cultura, a cura di Secchi Tarugi, Giovannangiola, Firenze, Leo S. Olschki, 1981, pp. 121-139. MUNRO PYLE, CYNTHIA, 'Le thème d'Orphée dans les oeuvres latines d'Ange Politien', Bulletin de 352 BIBLIOGRAFIA l'Association Guillaume Budé 39, (1980), pp. 408-419. MUSUMECI, ANTONINO, 'L'Orfeo del Poliziano: celebrazione in cerca di un evento', Rivista di studi italiani 8, 1-2 (1990), pp. 1-21. NELSON, H.L.W., 'Orpheus en Eurydice. De interpretatie van een Vergiliaanse mythe.' Lampas 18, (1985), pp. 295-307. NEWBY, ELIZABETH AFFELDER, A Portrait of the Artist: the Legends of Orpheus and Their Use In Medieval and Renaissance Aesthetics, a cura di Wilhelm, James J., New York & London, Garland Publishing, Inc., 1987. NICCOLI, OTTAVIA, Rinascimento anticlericale. Infamia, propaganda e satira in Italia tra Quattro e Cinquecento, Gius. Laterza & Figli, 2005. OEHLIG, UTE, Die philosophische Begründung der Kunst bei Ficino, Stuttgart, B.G. Teubner, 1992. OHLY, FRIEDRICH, 'Typologische Figuren aus Natur und Mythus', in: Formen und Funktionen der Allegorie, a cura di Haug, Walter, Stuttgart, J.B. Metzlersche Verlagsbuchhandlung, 1979, pp. 126166. ORLANDO, SAVERIO, 'Note sulla "Fabula di Orfeo" di Angelo Poliziano', Giornale storico della letteratura italiana 143, (1966), pp. 503-517. ORSELLI, ALBA MARIA, 'Orfeo e dintorni nel tardoantico cristiano', Musica e Storia VI, 1 (1998), pp. 211-225. OWEN LEE, M., 'Orpheus and Eurydice: Myth, legend, folklore', Classica et mediaevalia 26/27, (1965/66), pp. 402-412. PADOAN, GIOVANNI, 'Orfeo', in: Enciclopedia dantesca, Roma, Istituto della Enciclopedia italiana, 1970-1978, pp. 192. PALISCA, CLAUDE V., 'The First Performance of "Euridice"', in: Twenty-fifth Anniversary Festschrift (1937-1962) [of] Queens College of the City University of New York, a cura di Mell, Albert, [New York], 1964, pp. 1-23. PANOFSKY, ERWIN, Iconologische Studies. Thema's uit de Oudheid in de kunst van de Renaissance, Nijmegen, SUN, 1994 (Studies in Iconology. Humanistic Themes in the Art of the Renaissance, 1939). PANOFSKY, ERWIN, Meaning in the visual arts. Papers in and on Art History, Garden City, N.Y., Doubleday Anchor Books, 1955. PARATORE, ETTORE, 'Il l. IV delle Georgiche e il c. IX del Purgatorio', in: Miscellanea di studi in onore di Aurelio Roncaglia a cinquant'anni dalla sua laurea, Modena, Mucchi, 1989, pp. 959-963. PARIGI, LUIGI, I disegni musicali del gabinetto degli "Uffizi" e delle minori collezioni pubbliche a Firenze, Firenze, Leo S. Olschki, 1951. PASSANO, GIAMBATTISTA, I novellieri italiani in verso indicati e descritti, Bologna, Gaetano Romagnoli, 1868. 353 BIBLIOGRAFIA PEDRETTI, CARLO, '"Non mi fuggir, donzella." Leonardo regista teatrale del Poliziano', Arte Lombarda n.s. 128, (2000), pp. 7-16. PEROSA, ALESSANDRO, 'Epigrammi conviviali di Domizio Calderini', in: Studi di filologia umanistica, III. Umanesimo italiano, a cura di Perosa, Alessandro e Paolo Viti, Roma, Edizioni di storia e letteratura, 2000, pp. 143-156. PICONE, MICHELANGELO, 'Il canto V del Purgatorio fra Orfeo e Palinuro', L'Alighieri 40, 13 (1999), pp. 39-52. PINNOY, MAURITS, 'Orphisme', in: Orpheus. Ontstaan, groei en nawerking van een antieke mythe in de literatuur, beeldende kunsten, muziek en film, a cura di Provoost, Arnold, Leuven, Acco, 1974, pp. 21-27. PIRROTTA, NINO, Music and Culture in Italy from the Middle Ages tot the Baroque, Cambridge Massachusetts and London, Harvard University Press, 1984. PIRROTTA, NINO e ELENA POVOLEDO, Music and Theatre from Poliziano to Monteverdi, a cura di Stevens, John e Peter Le Huray, Cambridge, Cambridge University Press, 1982. PISTOLESI, LAURA, 'Les deux "Euridice": des préfaces aux partitions, pour une analyse comparative', in: La naissance de l'Opéra. Euridice 1600-2000, a cura di Decroisette, Francoise, Paris, L'Harmattan, 2003, pp. 247-281. POCHAT, GÖTZ, Theater und Bildende Kunst im Mittelalter und in der Renaissance in Italien, Graz, Akademische Druck- und Verlagsanstalt, 1990 POGGI, G., 'Della statua di Orfeo di Baccio Bandinelli già nel primo cortile del palazzo Mediceo', Rivista d'arte 9, 1-2 gennaio-marzo (1916), pp. 59-61. PORTEMAN, K., 'Geschreven met de linkerhand? Letteren tegenover schilderkunst in de Gouden Eeuw', in: pp. 93-113. PRIMMER, ADOLF, 'Das Lied des Orpheus in Ovids 'Metamorphosen'', in: Sprachkunst. Beiträge zur Literatur., a cura di Seidler, Herbert, 1979, pp. 123-137. PROVOOST, ARNOLD, 'Het voortleven van Orpheus in de West-Europese literatuur, beeldende kunsten en film', in: Orpheus. Ontstaan, groei en nawerking van een antieke mythe in de literatuur, beeldende kunsten, muziek en film, a cura di Provoost, Arnold, Leuven, Acco, 1974, pp. 107-132. Orpheus. Ontstaan, groei en nawerking van een antieke mythe in de literatuur, beeldende kunsten, muziek en film, a cura di PROVOOST, ARNOLD, Leuven, Acco, 1974. PROVOOST, ARNOLD e GHISLAINE SCHERPEREEL, 'Het antieke Orpheusverhaal', in: Orpheus, a cura di Provoost, Arnold, Leuven, Acco, 1974, pp. 1-20. Le lamine d'oro orfiche. Istruzioni per il viaggio oltremondano degli iniziati Greci, a cura di PUGLIESE CARRATELLI, GIOVANNI, Milano, Adelphi Edizioni, 2001. PUJMANOVÁ, O., 'Italian primitives in Czechoslovak collections', The Burlington Magazine 893, (1977), pp. 548-551. 354 BIBLIOGRAFIA RAVANELLI GUIDOTTI, CARMEN, 'Le Metamorfosi 'vulgari' d'Ovidio sulla maiolica italiana', in: Die Rezeption der Metamorphosen des Ovid in der Neuzeit: der antike Mythos in Text und Bild, a cura di Walter, Hermann e Hans-Jürgen Horn, Berlin, Gebr. Mann Verlag, 1995, pp. 85-97. REBATET, LUCIEN, Une histoire de la musique, Paris, Robert Laffont, 1990. REINHARDT, UDO, '"Orpheus und Eurydike" - Bilder zum Text', Der altsprachliche Unterricht 40, (1997), pp. 80-96. REINHARDT, VOLKERT, Il Rinascimento in Italia, Bologna, Il Mulino, 2004. RENAUDET, A., Dante humaniste, Paris, Les Belles Lettres, 1952. RENUCCI, PAUL, Dante. Disciple et juge du monde gréco-latin, Paris, Les Belles Lettres, 1954. RESTANI, DONATELLA, 'Girolamo Mei et l'héritage de la dramaturgie antique dans la culture musicale de la seconde moitié du XVIe siècle', in: La naissance de l'Opéra. Euridice 1600-2000, a cura di Decroisette, Francoise, Paris, L'Harmattan, 2003, pp. 57-96. REYNOLDS e WILSON, Scribes and Scholars. A Guide to the Transmission of Greek and Latin Literature, Oxford, Clarendon Press, 1978. Die Kirchen von Siena, a cura di RIEDL, PETER ANSELM e MAX SEIDEL, München, Bruckmann, 1985-. RIALLAND, IVANNE., ‘Mythe et hypertextuelité’, www.fabula.org. RIETVELD, LAURA, 'Il mito e il personaggio di Ercole nell'opera di Dante, Petrarca e Boccaccio', Incontri. Rivista europea di studi italiani 18, 2 (2003), pp. 99-113. RIETVELD, LAURA, 'Orpheus bij Poliziano en Mantegna. Problemen bij het zoeken naar verbanden tusen literatuur en beeldende kunst', Amore Romae. Bulletin voor de Vrienden van het Koninklijk Nederlands Instituut in Rome VII, (2004), pp. 5-26. RIGO, PAOLA, Memoria classica e memoria biblica in Dante, Firenze, Leo S. Olschki, 1994. ROBBINS, EMMET, 'Famous Orpheus', in: Orpheus. The Metamorphoses of a Myth, a cura di Warden, John, Toronto-Buffalo-London, University of Toronto Press, 1982, pp. 3-23. ROBERT, C., Die Griechische Heldensage, Berlin, Weidmannsche Buchhandlung, 1921. ROESLER-FRIEDENTHAL, ANTOINETTE, 'Ein Porträt Andrea Mantegnas als alter Orpheus im Kontext seiner Selbstdarstellungen', Römisches Jahrbuch der Bibliotheca Hertziana 31, (1996), pp. 149-185. ROLET, STÉPHANE, 'Un discours allégorique dans la Galerie Farnèse: les noces secrètes de Musique et de Peinture', in: La naissance de l'Opéra. Euridice 1600-2000, a cura di Decroisette, Francoise, Paris, L'Harmattan, 2003, pp. 285-311. ROSCHER, W.H., Ausführliches Lexikon der Griechischen und Römischen Mythologie, Leipzig, B.G. Teubner, 1884-90. Presenze classiche nelle letterature occidentali. Il mito dall'età antica all'età moderna e contemporanea, a cura di ROSSI CITTADINI, MARGHERITA, Perugia, IRRSAE/GESP, 1995. 355 BIBLIOGRAFIA Il mito nel Rinascimento. Atti del III convegno internazionale di studi umanistici, a cura di ROTONDI SECCHI TARUGI, LUISA, Milano, Nuovi Orizzonti, 1993. RUSSANO HANNING, BARBARA, 'Glorious Apollo: Poetic and Political Themes in the First Opera', Renaissance Quarterly XXXII, 4 (1979), pp. 485-513. RUSSANO HANNING, BARBARA, Of poetry and Music’s Power. Humanism and the Creation of Opera, Ann Arbor, Michigan, UMI Research Press, 1980 SAN JUAN, ROSA MARIA, The legend of Orpheus in Italian Art 1400-1530, The Warburg Institute, University of London, London, 1983 SAN JUAN, ROSE MARIE, 'Mythology, Women and Renaissance Private Life: The Myth of Eurydice in Italian Furniture Painting', Art History 15, (1992), pp. 127-145. SAN JUAN, ROSE MARIE, ‘The Illustrious Poets in Signorelli's Frescoes for the Cappella Nuova of Orvieto Cathedral’, Journal of the Warburg and Courtauld Institutes 52 (1989), pp. 71-84 SANDER, MAX, Le livre à figures italien depuis 1467 jusqu'à 1530, Milano, Ulrico Hoepli, 1969-. SANTARELLI, CRISTINA, 'Un topos dell'iconografia musicale: Orfeo', in: Orfeo, il mito, la musica. Percorsi tra musicologia e antropologia musicale, a cura di Leoni, Stefano A.E., Torino, Trauben, 2002, pp. 145-156. SANTINI, CARLO, 'Il mito di Orfeo in Virgilio e Ovidio', in: Presenze classiche nelle letterature occidentali. Il mito dall'età antica all'età moderna e contemporanea, a cura di Rossi Cittadini, Margherita, Perugia, IRRSAE/GESP, 1995, pp. 187-203. SAVARESE, GENNARO, 'Orfismo a Roma tra filologia e cabala (1505-1532)', in: Orfeo e l'orfismo, a cura di Masaracchia, Agostino, Roma, Gruppo Editoriale Internazionale, 1993, pp. 353-366. SCAVIZZI, GIUSEPPE, 'The Myth of Orpheus in Italian Renaissance Art, 1400-1600', in: Orpheus. The Metamorphoses of a Myth, a cura di Warden, John, Toronto-Buffalo-London, University of Toronto Press, 1982, pp. 111-162. SCHERLIESS, VOLKER, 'Aspetti del mito di Orfeo', in: Dipingere la musica. Strumenti in posa nell'arte del Cinque e Seicento, a cura di Ferino-Pagden, Sylvia, Milano, Skira, 2000, pp. 43-47. SCHOELLER, FELIX M., Darstellungen des Orpheus in der Antike, Albert-Ludwigs-Universität, Freiburg, 1969 SCHRÖTER, ELISABETH, 'Orpheus in der Kunst des Mittelalters und der Renaissance. Eine vorläufige Untersuchung', in: Blick auf Orpheus, a cura di Mundt-Espín, Christine, Tübingen und Basel, Francke Verlag, 2003, pp. 109-157. SCHUBRING, PAUL, Cassoni: Truhen und Truhenbilder der italienische Frührenaissance, Leipzig, 1915/1923. SCHUERMANS, ANNEMIE, 'Orpheus in de muziek', in: Orpheus, a cura di Provoost, Arnold, Leuven, Acco, 1974, pp. 133-147. 356 BIBLIOGRAFIA SEGAL, CHARLES, Orpheus. The Myth of the Poet, Baltimore and London, The Johns Hopkins University Press, 1989. SEGAL, ROBERT A., Myth. A Very Short Introduction, New York, Oxford University Press, 2004. SEGARIZZI, ARNALDO, Bibliografia delle stampe popolari della R. Biblioteca Nazionale di S. Marco di Venezia, Bergamo, Istituto Italiano d'Arti Grafiche, 1913. SEMMELRATH, HANNELORE, Der Orpheus-Mythos in der Kunst der italienischen Renaissance. Eine Studie zur Interpretationsgeschichte und zur Ikonologie, Inaugural-Dissertation, Universität zu Köln, Köln, 1994 SEZNEC, JEAN, The Survival of the Pagan Gods. The Mythological Tradition and its Place in Renaissance Humanism and Art, Princeton, 1972. SIGNORINI, RODOLFO, Opus hoc tenue. La camera dipinta di Andrea Mantegna. Lettura storica iconografica iconologica, Parma, Artegrafica Silva, 1985 SIMHART, MAX, 'Stampe popolari italiane del sec. XVI nella Biblioteca Bavarese di Stato', La Bibliofilia 4 (aprile), (1933), pp. 129-149. SIMON, ROBERT B., 'Bronzino's Cosimo I de' Medici as Orpheus', Bulletin (Philadelphia Museum of Art) 81, 348 (1985), pp. 16-27. SLUIJTER, ERIC JAN, De 'Heydensche fabulen' in de Noordnederlandse schilderkunst, circa 1590-1670. Een proeve van beschrijving en interpretatie van schilderijen met verhalende onderwerpen uit de klassieke mythologie, Rijksuniversiteit Leiden, Leiden, 1986 SMITS-VELDT, MIEKE B., 'Orpheus, dichter-leermeester, minnaar en martelaar. Literaire gedaanten van de mythe in de Nederlanden der zestiende en zeventiende eeuw', Lampas 21, (1988), pp. 361382. SOLERTI, ANGELO, Gli albori del melodramma, Hildesheim, Georg Olms, 1969. SOLERTI, ANGELO, Le origini del melodramma, Torino, 1903. SOREL, REYNAL, Orphée et l'orphisme, Paris, Presses universitaires de France, 1995. STANFORD, W.B., The Ulysses Theme. A Study in the Adaptability of a Traditional Hero, Oxford, Basil Blackwell, 1954. STAUDER, THOMAS, 'Italienische Mythenburleske des 16. Jahrhunderts: Girolamo Amelonghis Gigantea und ihre Fortsetzungen', in: Renaissancekultur und antike Mythologie, a cura di Guthmüller, Bodo e Wilhelm Kühlmann, Tübingen, Max Niemeyer Verlag, 1999, pp. 73-92. STERNFELD, F.W., 'The lament in Poliziano's "Orfeo" and some musical settings of the early 16th century', in: Arts du spectacle et histoire des idées. Recueil offert en hommage a Jean Jacquot, Tours, Centre des études supérieures de la Renaissance, 1984, pp. 201-204. STERNFELD, F.W., 'The Orpheus myth and the libretto of Orfeo', in: Claudio Monteverdi. Orfeo, a cura di Whenham, John, Cambridge, Cambridge University Press, 1986, pp. 20-33. 357 BIBLIOGRAFIA STERNFELD, FREDERICK W., 'Orpheus, Ovid and Opera', Journal of the Royal Musical Association 113, (1988), pp. 172-202. Mythos Orpheus. Texte von Vergil bis Ingeborg Bachmann, a cura di STORCH, WOLFGANG, Leipzig, Reclam Verlag, 1997. STRATEN, ROELOF VAN, Een inleiding in de iconografie: enige theoretische en praktische kennis, Muiderberg, Dick Coutinho, 1985. TABAGLIO, MARIA, 'La cristianizzazzione del mito di Orfeo', in: Le metamorfosi di Orfeo. Convegno internazionale Verona, 28-30 maggio 1998, a cura di Babbi, Anna Maria, Verona, Edizioni Fiorini, 1999, pp. 65-82. TATEO, FRANCESCO, Lorenzo de' Medici e Angelo Poliziano, Bari, Laterza, 1981. TATEO, FRANCESCO, '"Questioni d'amore" in teatro: l'esempio di Orfeo nel Poliziano', Critica letteraria XVIII, 66-67 (1990), pp. 169-185. TEDESCHI, EMMA, 'La rappresentazione d'Orfeo e la Tragedia d'Orfeo', Atti e memorie della Accademia Virgiliana di Mantova n.s. XVII-XVIII, (1925), pp. 47-74. THIBAULT SCHAEFER, J., ‘Récit mythique et intertextualité’, in : Mythe et création, a cura di Cazier, P., Villeneuve d’Ascq, Presses Universitaires de Lille,1994, pp. 53-66. TICHY, SUSANNE, 'Die Funktion der antiken Mythologie in der "mumaria"', in: Renaissancekultur und antike Mythologie, a cura di Guthmüller, Bodo e Wilhelm Kühlmann, Tübingen, Max Niemeyer Verlag, 1999, pp. 15-36. TIETZE-CONRAT, E., 'A Drawing in Stockholm and Dürer's Engravings B. 73 and B. 1', pp. 38-. TIETZE, HANS, 'L' "Orfeo" attribuito al Bellini della National Gallery di Washington', Arte Veneta 3, (1949), pp. 90-95. TISSONI BENVENUTI, ANTONIA, L'Orfeo del Poliziano: con il testo critico dell'originale e delle successive forme teatrali, Padova, Antenore, 1986. TISSONI BENVENUTI, ANTONIA, 'La fortuna teatrale dell'Orfeo del Poliziano e il teatro settentrionale del Quattrocento', in: Culture regionali e letteratura nazionale. Atti del VII Congresso (Bari, 31 marzo-4 aprile 1970), Bari, Adriatica Editrice, 1970, pp. 397-416. TOMLINSON, GARY, ‘Il canto magico dell'Euridice’, in: Lo stupor dell'invenzione: Firenze e la nascita dell'opera: atti del Convegno internazionale di studi, Firenze, Teatro della Pergola, 5-6 ottobre 2000, a cura di Gargiulo, Piero, Firenze, Olschki, 2001, pp. 61TORRE, ARNALDO DELLA, Storia dell'Accademia platonica di Firenze, Torino, Bottega d'Erasmo, 1968. TOYNBEE, PAGET, A Dictionary of Proper Names and Notable Matters in the Works of Dante, Oxford, Clarendon Press, 1968. TRAVI, ERNESTO, 'L'esperienza mantovana del Poliziano: l' "Orfeo"', in: Studi in onore di Alberto Chiari, Brescia, Paideia, 1972, pp. 1297-1313. 358 BIBLIOGRAFIA TRINCHIERI CAMIZ, FRANCA, 'La musica nel mito e il mito nella musica: Orfeo e Bacco nell'arte, nelle feste e nei primi melodrammi', in: Immagini degli dei. Mitologia e collezionismo tra '500 e '600, a cura di Cieri Via, Claudia, Leonardo Arte, 1996, pp. 89-95. TRIPET, ARNAUD, Pétrarque ou la connaissance de soi, Genève, Librairie Droz, 1967. TROUSSON, RAYMOND, Le thème de Prométhée dans la littérature européenne, Genève, Librairie Droz, 1964. TROUSSON, RAYMOND, 'Plaidoyer pour la Stoffgeschichte', Revue de littérature comparée 38, 1 (1964), pp. 101-114. TROUSSON, RAYMOND, Thèmes et mythes. Questions de méthode, Bruxelles, Éditions de l'Université de Bruxelles, 1981. UGOLINI, FRANCESCO A., I cantari d'argomento classico con un'appendice di testi inediti, GenèveFirenze, Leo S. Olschki, 1933. VAZZOLER, FRANCO, 'Chiabrera, de Céphale à Orphée', in: La naissance de l'Opéra. Euridice 16002000, a cura di Decroisette, Francoise, Paris, L'Harmattan, 2003, pp. 157-179. VEEN, HENK TH. VAN, Cosimo I de’ Medici and his Self-Representation in Florentine Art and Culture, Cambridge, Cambridge University Press, 2006 (Cosimo I de’ Medici vorst en republikein: een studie naar het heersersimago van de eerste groothertog, Amsterdam, Meulenhoff, 1998). VENTRONE, PAOLA, '"Philosophia. Involucra fabularum": La Fabula di Orpheo di Angelo Poliziano', Comunicazioni sociali XIX, (1997), pp. 137-180. VERHEYEN, EGON, ‘Die Sala di Ovidio im Palazzo del Te. Bemerkungen zu unbekannten Landschaftsbildern Giulio Romanos’, Römisches Jahrbuch für Kunstgeschichte 12 (1969), pp. 161170 VICARI, PATRICIA, 'Sparagmos: Orpheus among the Christians', in: Orpheus. The Metamorphoses of a Myth, a cura di Warden, John, 1982, pp. 63-83. VINGE, LOUISE, The Narcissus Theme in Western European Literature up to the Early 19th Century, Lund? Gleerups, 1967. VOSS, ANGELA, 'Secrets of the Heavens. Orpheus redivivus: The Musical Magic of Marsilio Ficino', http://www.rvrcd.co.uk/catalogue/ficino/fessay2.htm. VOSS, ANGELA, 'Secrets of the Heavens. The Music of the Spheres - Ficino and Renaissance harmonia', http://www.rvrcd.co.uk/catalogue/ficino/fessay1.htm. WAAL, HENRI VAN DE, Iconclass, an iconographic classification system, 1980. WALKER, D.P., 'Le chant orphique de Marsile Ficin', in: Musique et poésie au XVIe siècle: [colloque, tenu a] Paris, 30 juin - 4 juillet 1953, Paris, Editions du Centre National de la Recherche Scientifique, 1973, pp. 17-33. WALKER, D.P., 'Orpheus the theologian and Renaissance platonism', Journal of the Warburg and Courtauld Institutes 16, (1953), pp. 100-120. 359 BIBLIOGRAFIA Die Rezeption der Metamorphosen des Ovid in der Neuzeit: der antike Mythos in Text und Bild, a cura di WALTER, HERMANN e HANS-JÜRGEN HORN, Berlin, Gebr. Mann Verlag, 1995. WANKENNE, A., 'Aristée et Orphée dans les Géorgiques', Les études classiques 38, (1970), pp. 18-29. WARDEN, JOHN, 'Orpheus and Ficino', in: Orpheus. The Metamorphoses of a Myth, a cura di Warden, John, 1982, pp. 85-110. Orpheus. The metamorphoses of a myth, a cura di WARDEN, JOHN, Toronto-Buffalo-London, University of Toronto Press, 1982. WEGNER, MAX, 'Orpheus. Ursprung und Nachfolge', Boreas, (1988), pp. 177-225. WELLES, ELIZABETH W., 'Orpheus and Arion as symbols of music in Mantegna's Camera degli Sposi', Studies in Iconography 13, (1989-90), pp. 113-144. WEST, M.L., The Orphic Poems, Oxford, Clarendon Press, 1983. Claudio Monteverdi. Orfeo, a cura di WHENHAM, JOHN, Cambridge, Cambridge University Press, 1986. WHENHAM, JOHN, 'Five acts: one action', in: Claudio Monteverdi. Orfeo, a cura di Whenham, John, Cambridge, Cambridge University Press, 1986, pp. 42-47. WHENHAM, JOHN, 'Orfeo, Act V: Alessandro Striggio's original ending', in: Claudio Monteverdi. Orfeo, a cura di Whenham, John, Cambridge, Cambridge University Press, 1986, pp. 35-41. WIESE, BERTHOLD, 'Eine Sammlung alter italienischer Drucke auf der Ratsschulbibliothek in Zwickau', Zeitschrift für romanische Philologie XXXI, (1907), pp. 310-351. WILHELM, JULIUS, 'Orpheus bei Dante', in: Medium Aevum Romanicum. Festschrift für Hans Rheinfelder, a cura di Bihler, H. e A. Noyer-Weidner, München, Hüber, 1963, pp. 397-406. WIND, EDGAR, Pagan Mysteries in the Renaissance, London, Faber and Faber, 1968. WINTERNITZ, EMANUEL, Leonardo da Vinci as a Musician, New Haven and London, Yale University Press, 1982. WÖHRMANN, JÜRGEN, 'Ein für alle Male ists Orpheus, wenn es singt. Eine mythisch-mythologische Gestalt in Text und Bild', Der altsprachliche Unterricht 40, (1997), pp. 21-35. ZABUGHIN, VLADIMIRO, Vergilio nel Rinascimento italiano da Dante a Torquato Tasso, Bologna, Nicola Zanichelli, [1923]. ZIEGLER, KONRAT, 'Orpheus in Renaissance und Neuzeit', in: Form und Inhalt. Kunstgeschichtliche Studien. Otto Schmitt zum 60. Geburtstag am 13. Dezember 1950 dargebracht von seinen Freunden, Stuttgart, W. Kohlhammer Verlag, 1950, pp. 239-256. Di Ovidio le Metamorphosi & presenze ovidiane: manoscritti ed edizioni a stampa dal XV al XIX secolo nelle collezioni della BNCF, a cura di Zocchi, Giuseppe, Firenze, Fos., [1994]. 360 FONTI FOTOGRAFICHE Le illustrazioni sono state tratte da: G. Scavizzi, ‘The Myth of Orpheus in Italian Renaissance Art, 1400-1600’, in: J. Warden, Orpheus. The Metamorphoses of a Myth, University of Toronto Press, Toronto-Buffalo-London, 1982, pp. 111-162: ill. 1.10; 5.5; 5.13; 6.3; 6.10. A. Poliziano, Poesie italiane, a.c.d. S. Orlando, Milano, Rizzoli,1976: ill. 4.1-6. J.W. Pope-Hennessy, Renaissance bronzes form the Samuel H. Kress Collection: reliefs, plaquettes, statuettes, London, Phaidon Press, 1965: ill. 4.15-20. B. Degenhart e A. Schmitt, Corpus der italienischen Zeichnungen 1300-1450, II, band 3, Berlin, Gebr. Mann, 1980: ill. 2.1-2. R.M. San Juan, The legend of Orpheus in Italian Art 1400-1530, The Warburg Institute, University of London, 1983: ill. 5.17. E. Lommatzsch, Beiträge zur älteren italienischen Volksdichtung: Untersuchungen und Texte, III, Berlin, Akademie-Verlag, 1950: ill. 4.10. C. Pedretti, ‘”Non mi fuggir, donzella...”. Leonardo regista teatrale del Poliziano’, Arte Lombarda n.s. 128 (2000): ill. 4.8. Pasquino e dintorni. Testi pasquineschi del Cinquecento, a cura di A. Marzo, Roma, Salerno Editrice, s.d.: ill. 6.15. K. Langedijk, 'Baccio Bandinelli's Orpheus: a political message', Mitteilungen des Kunsthistorischen Instituts in Florenz, (1976), pp. 33-52: ill. 6.14. M.G. Fiorini Galassi, 'Il camerino detto di Orfeo nel Palazzo Ducale di Mantova. Mito dell' "eterno ritorno" o metafora ideologica del Rinascimento', Civiltà Mantovana. Rivista trimestrale N.S. 11, (1986), pp. 35-52: ill. 4.22. E. Tietze-Conrat, A Stockholm Drawing and Dürer’s Engravings B. 73 and B. 1, p. 43: ill. 5.4. E. Gerlini, Villa Farnesina alla Lungara, Roma, Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato, 2001: ill. 5.18. I. Lapi Ballerini, The Medici Villas. Complete Guide, Firenze, Giunti, 2003: ill. 6.17. E. Callmann, 'Jacopo del Sellaio, the Orpheus Myth, and Painting for the Private Citizen', Folia Historiae Artium S.N. 4, (1998), pp. 143-158: ill. 6.6. P. Scarpellini, Luca Signorelli, 1964: ill. 6.9. La Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze: ill. 4.11; 5.8; 5.10-11. The Metropolitan Museum New York (www.metmuseum.org): ill. 6.1-2; 6.11. Bibliothèque Nationale Paris (http://gallica.bnf.fr): ill. 1.8-9. RKD Den Haag: ill. 4.24-25. The British Library (www.bl.uk): ill. 4.7. La Biblioteca Casanatense: ill. 4.9. La Biblioteca Apostolica Vaticana: ill. 6.5. The National Gallery London (www.nationalgallery.org.uk): 6.7 Philadelphia Museum of Art (www.philamuseum.org): ill. 6.16 361 FONTI FOTOGRAFICHE Bildindex (www.bildindex.de): 1.1; 4.12-14; 5.1-3; 5.6; 5.14-16; 6.8 Ovid Illustrated (http://etext.virginia.edu/latin/ovid): ill. 5.7; 5.10-11. Sito internet su Orfeo (www.xs4all.nl/~schuffel/orpheus/index.html): ill. 4.23 Artcyclopedia (www.artcyclopedia.com): ill. 6.4 RAI International online Italica (www.italica.rai.it): ill. 6.12. Propria collezione: 2.3; 5.12; 6.13. 362 APPENDICE I. Elenco dei riferimenti a Orfeo nella letteratura940 Achillini, Giovanni Filoteo (1466-1533) - Triumpho de crudelitate (ca. 1495), Agazzari, Agostino - Eumelio. Dramma pastorale (1606) Agli, Antonio degli (1400ca.-1477) - Rime, II, v. 230 / v. 294 Agostini, Nicolò degli - Ovidio Metamorphoseos in verso vulgar (1522), libro X / libro XI - Poesia per l'Altissimo Poeta (ca. 1520) Alamanni, Luigi (1495-1556) - Della Coltivazione (1546), VI, Giorni, 225 Alberti, Leon Battista (1404-1472) - Intercenales, liber II, Prohemium ad Leonardum Arretinum / liber IV, Cynicus - Protesta Aldegati, Marcantonio (sec. XV) - Elegiae, 45, 35 Alighieri, Dante (1265-1321) - Convivio (1304-7), trattato II, 1, 4 - La Divina Commedia (1321), Inferno, IV, v. 140 / Purgatorio, IX, 131-32 (indiretto) - Vita Nuova, XV, 5 / XIX, 1 / XXVII, 4; XXXII, 6; XXXIV, 3 & 10; XLI, 7 (tutti indiretti) Alighieri, Pietro (1, 2, 3) - Inferno (1344-55), 3, 1-12 / 4, 140 - Inferno (1359-64), Introduzione, nota - Inferno (1340-42), 4, 140 / 32, 10-12 Almerici da Pesaro, Raniero (1430ca.-1499/1501) - Rime, XI, v. 13 / CLXXII Altilio, Gabriele (1436-1501) - Carmina, 34, 22 Amalteo, Cornelio Paolo (ca. 1460-1517) - Carmina, 15, 24 Amelonghi, Girolamo - La Gigantea (1547 (1a ed. 1566)), CLXXXII, v. 4 Ammirato, Scipione - Il Dedalione o ver del poeta (1560), pp. 9-10 Ammonio, Andrea (1478-1517) - Carmina, 8, 36 940 Ho messo in grassetto tutte le opere in cui Orfeo ha un ruolo considerevole. 363 APPENDICE I Ancona, Ciriaco di - Diario (1445), II, 82 / II, 83 Andrelino, Fausto (ca. 1462-1517) - Bucolica, 8, 50 - Amori, 4, 1, 35 Anechini, Gerardo (sec. XIV) - De miraculis occursis Mutine, 1, 4, 127 Anguillara, Giovan Andrea dell’, - Le metamorfosi di Ovidio (1561), libro X / libro XI Anonimo, - Le Miracole de Roma (1255), 55, rubr. 1 Anonimo, - Il Mare Amoroso (1270-80), 152 Anonimo - Commento all'Arte d'Amare di Ovidio (Volgarizzamento B) (sec. XIV), cap. 496 Anonimo - Volgarizzamento del libro di Seneca sopra le sette arti liberali (sec. XIV), parte non numerata 1 Anonimo - Arte d'Amare di Ovidio volgarizzata (Volgarizzamento A) (sec. XIV), libro III Anonimo - Commento all'Arte d'Amare di Ovidio (Volgarizzamento A) (sec. XIV), cap. 429 Anonimo - Arte d'Amare di Ovidio volgarizzata (Volgarizzamento B) (1313). Anonimo, - Chiose Selmiane alla Commedia di Dante (1321-37), cap. 6 Anonimo, - Ottimo Commento della Commedia (1334), I (Inferno), cap. 4 (3x) / II (Purgatorio), cap. 20 / 22 Anonimo - Arte d'Amare di Ovidio volgarizzata (Volgarizzamento D) (1350) Anonimo - Chiose dette del falso-Boccaccio (Inferno) (1375), cap. 18 Anonimo - Intermedie in onore di Eleonora d'Aragona, Roma (1473) Anonimo (1474-1532) - Rime per Laura Brenzoni Schioppo Anonimo - Orfeo alle nozze di Costanzo Sforza e Cammilla d'Aragona (1475) Anonimo, - Orphei Tragoedia (1485 ca.) 364 INDICE ALFABETICO DI ORFEO NELLA LETTERATURA Anonimo, - Dramma in occasione delle nozze di Galeazzo Sforza e Isabella d'Aragona (1489) Anonimo, - Historia de Orpheo (ca. 1495-1500) Anonimo, - Tractato de Orpheo (ca. 1520) Anonimo, - Historia et favola d'Orpheo (1567) Anonimo - De re poetica libellus incerti auctoris (1588), caput I, De poetices utilitate ac dignitate, p. 447 Anonimi, - Pasquinate romane (1509-1566), 31 / 89 (Orpheus loquitur) / 90 / 91 / 92 / 94 (Orfeo) / 95 (De Orfeo) / 96 (Orfeo) / 97 (Ad Orfeo) / 98 (Ad Orfeo) / 153 / 177, v. 7 / 198, v. 4 - Pasquinate del Cinque e Seicento, XXIV Anonimo. - Orfeo, Firenze (1599) Anonimo, - La favola di Orfeo e Aristeo (sec. XVI inizio) Aquilano, Serafino (1466-1500) - "Rime", sonetto 103, v. 1 Aretino, Pietro (1492-1556) - Vita di Caterina Vergine, libro I, 14 - Lettere, libro I, 139 (A Messer Sperone) / 274 (A Monsignor Biagio Iuleo) / libro III, 370 (Al Modanese) / libro IV, 327 (Al buon Conte di Carpegna) / libro VI, 32, p. 48 / VI, 288, p. 346 - Strambotti, 3, v. 1-4 / 65, v. 1 / Strambotti alla villanesca, 125, v. 8 - Ternali in gloria de la reina di Francia, II, 262 - La Cortigiana (1525), atto III, scena 7, p. 171 - Marfisa (1526-1532/1537), canto II, 63, 6 Ariosto, Ludovico - Orlando Furioso (1505 ca.-1516), canto XLII, 83 - Il Negromante (1509-1520), Prologo, 3 - Satire (1517-25), VI (A messer Pietro Bembo), 86 Balbi, Girolamo (ca. 1450-dopo 1530) - Carmina, 4, 191 / 149, 57 / 201, 3 / 210, 19 Baldini, Baccio - Discorso sopra la Mascherata della Geneologia degl'Iddei de' Gentili (1565), Carro primo di Demogorgone, p. 7 / Quarto carro del sole, p. 33 / p. 35 / Decimo carro di Minerva, p. 70 Baldinucci (1625-1697) - Notizie dei professori 365 APPENDICE I Bandello, Matteo Maria (1554/1573) - Novelle, XVII Baratella, Antonio (1385-1448) - Polydoreis, 1, 517 / 2, 211 / 2, 434 / 3, 197 - Ecatometrologia, 6, 15 Barbaro, Ermolao (1453-93) - Orationes contra poetas, I, 5 / 16-19? / 22-23 - De coelibatu, tertius liber, cap. 6 ‘De iis quae adhibenda sunt ad pudicitiam in coelibatu conservandam remedia’, p. 19 Bargigi, Guiniforto delli - Inferno (1440), 4, 139-140 Barignani, Fabio (1550-1574) - Gigantomachia, libro IV, v. 270 Bartoli, Cosimo (1503-1572) - Ragionamenti accademici di Cosimo Bartolo gentil'huomo et Accademico Fiorentino, sopra alcuni luoghi difficili di Dante (1567), libro III, p. 35r / p. 48r / libro IV, p. 65r Basile, Giambattista - Le muse napolitane. Egloche di Gian Alesio Abbatutis, ‘Calliope overo La Museca, Egroca nona’, v. 123 - Lettere, V Beccari, Antonio (1315-1370/75) - Rime, 35, 71 Belcari, Feo (1410-1484) - Rime, p. 219 / p. 221 / p. 222 / p. 226 / p. 237 Bellori, Giovan Pietro (1613-1696) - Vite Bembo, Pietro - Carmina, XIV (Ad Lygdamum), 22 / XV (De amica a viro servata diligentissime), 85 / XXVI (Politiani tumulus) - Gli asolani (1505/1530), [Q] libro primo, xi / [1] secondo libro, xxvi / [16] libro primo, xii - Carmina 25 Benvenuto da Imola - Commento a Dante (1375-80), 4, 139-140 Berni, Francesco - Capitoli e sonetti burleschi, XVII, 56 / LI, 15 - Dialogo contra i poeti (1526), pp. 283-284 - Rime (1537), XXXV, v. 56 / XLVI, v. 15 Betussi, Giuseppe (ca. 1512-dopo 1573) - Il Raverta (1544), dialogo 421 Biondo, Flavio - De Roma instaurata et de Italia illustrata - De Roma Triumphante (1559), I, 9 366 INDICE ALFABETICO DI ORFEO NELLA LETTERATURA Biondo, Michelangelo (1497-1565) - Della nobilissima pittura, prefatione, p. 1r - Angoscia doglia e pena. Le tre furie del mondo, Angoscia, p. 83 / Pena, p. 209 Boccaccio, Giovanni (1313-75) - Carmina, III, 118 - Genealogie deorum gentilium, libro I, VII (De Phytone) / libro V, VII (De Lyno) / XII (De Orpheo) / libro XIII, XXVI (De Iasone) / libro XIV, VIII, 6 (Qua in parte orbis prius effulserit poesis) / VIII, 8-11 - De Casibus, I, xii (Conventus dolentium), 5 - Rime, parte prima, VIII, 1 - Chiose al Teseida, VIII, 103, 5 / XII, 72, 2 - Filocolo (1336-38), libro IV, 45, 7 / 46, 11 / 121, 5 / libro V, 8, 29 - Teseida (1339-41), libro VIII, 103, 5 / XII, 72, 2 - Comedìa delle ninfe fiorentine / Ameto (1341-42), capitolo II, 1 / 4 / cap. V, 18 / cap. IX, 10 / cap. XXVI, 38 - Amorosa Visione (1342), canto II, 8 / canto IV, 70 / canto XXIII, 7 / 11 / 23 - Elegia di Madonna Fiammetta (1343-44), cap. I, 3, 3 / cap. V, 29, 6 - Bucolicum Carmen (1350-70), XVI - Epistole (1363), XIII (A Francesco Nelli), 168 - Esposizioni sopra la Comedia (1373-74), canto I, esp.litt. 75 / canto IV, esp.litt. 317-326 / canto XV, esp.litt. 92 Bocchi, Francesco - Le bellezze della città di Fiorenza (1591), p. 9 / p. 103 Boiardo, Matteo Maria (1441-1494) - Pastorale (1464), ecloga I, 66 / ecloga X, 1 / 154 - Pastoralia, 1, 57 / 6, 6 / 7, 46 / 10 ‘Orpheus’ / G 1, 48 / G 10 ‘Orpheus’ Bologna, Armannino Giudice da, - Fiorita (1325), p. 517 / p. 30 (parte non numerata 1 (6x)) Bon, Giacomo (1469-1538) - De raptu Cerberi, 1, 93 / 1, 109 / 2, 97 / 2, 100 / 2, 106 / 2, 107 Bona, Giacomo - De vita et gestis Christi Bonciani, Antonio (1417-?) - Rime, I, v. 80 Boni, Rocco (†1574) - Austriados libri quatuor, 3, 42 Bonsi, Lelio - Poesia sopra il Perseo di Cellini Bonsignori, Giovanni dei, - Ovidio Metamorphoseos Vulgare (1375-77), libro VII, cap. XXIII, 1 e allegoria F, libro X, cap. I-VIII e allegorie / libro XI, cap. I-V e allegorie / libro XIV, cap. XXII, 3 / libro XV, conc. 14 367 APPENDICE I Borghini, Raffaello, - Il Riposo di Raffaello Borghini in cui della Pittura, e della Scultura si favella, de' piu illustri Pittori, e Scultori, e delle piu famose opere loro si fa mentione; e le cose principali appartenenti a dette arti s'insegnono (1584)., lib. I, p. 5 / lib. IV, p. 477 Borra, Luigi - Amorose rime (1542)., XIII, v. 8 Bracciolini, Poggio - Oratio in Laudem Legum Brandolini, Aurelio Lippo (1454-1497) - Eiusdem de laudibus Petriboni Bruni, Leonardo (ca. 1370-1444) - Vita di Dante, p. 549 - Prooemium in quasdam Orationes Homeri (1420), pp. 132-33? - Le vite di Dante e di Petrarca. (1436) - Epistola, VI, 1 Bruno, Giordano - De vinculis in genere, premessa, p. 649 / art. XII, p. 692 - De innumerabilis, de immenso et infigurabili, Capo IX, p. 50 - Theses de magia, XVII, p. 467 - De rerum principiis, elementis et causis, premessa, p. 511 - De magia mathematica, De triplici fide, p. 497 - La monade, il numero e la figura, cap. X - La Cena de le Ceneri (1584), dialogo V, p. 171 / dialogo I, p. 41 - De la causa, principio e uno (1584), dialogo I, p. 215 / dialogo II, p. 233 / dialogo IV, p. 293 - De gli eroici furori (1585), Argomento sopra gli eroici furori, p. 934 / parte I, dial. 1, p. 959 Burchiello (Giovanni, Domenico di) (1404-1449) - Rime, 39, v. 15 / 43, v. 3 / 86, v. 3 / 172, v. 8 / 235, v. 36 / 270, v. 14 Burzio, Nicola - Florum Libellus (1487)., I, ii, p. 62 Busini, Betto (1425ca.-?) - Rime, I, v. 2 Buti, Francesco da - Inferno (1385-1395), 4, 67-151 / 4, 130-144 Caccini, Giulio (ca. 1550-1618) - L'Euridice composta in musica in stile rappresentativo (1601) Calchus, Tristanus - Nuptiae Mediolanensium, Orfeo Calderini, Domizio - In convivio Cardinalis divi Xisti discumbente Leonora regina desponsata duci Herculi Estensi (1473), I ‘Orpheus’ Calogrosso, Gianotto - Nicolosa bella, prosa 1, 88 / XXX, v. 36 / LXII, v. 24 / LXXXVII, v. 75 368 INDICE ALFABETICO DI ORFEO NELLA LETTERATURA Campanella, Tommaso - Del Senso delle Cose e della Magia (1604), cap. XII, p. 72 / cap. XVI, p. 296 Cancianini, Gian Domenico (1547-1630) - Odes 2, 11, 9 / 2, 11, 13 / 2, 11, 16 / 3, 7, 11 Canobio, Giovanni di (Tartaglia / G. dei Mantelli) (sec. XV) - Versi d'amore, XIII, v. 51 / XLI, v. 14 / XC, v. 13 Cantalicio, Giambattista (1445ca.-1515) - Bucolica, aegloga VI ‘De fide Cantalica servata Aragonensibus Allegoricos’, v. 125 - Spectacula Lucretiana, VIII ‘Adventus Ferrariensium pro diva Lucretia’, v. 40 Capra, Galeazzo Flavio - Della eccellenza e dignità delle donne (1525), p. 64 Capriano, Giovan Pietro - Della vera poetica (1555), cap. V, p. 312 Capua, Angelo di, - Istoria di Eneas (1337), p. 102 / p. 117 (ed. ...) Carbone, Ludovico (sec. XV) - Dialogus de foelicitate Ferrariae - Carmina, 8, 5 Caro, Annibale - Traduzione dell'Eneide (1563-1566), VI, 179 / VI, 963 Carrara, Giovanni Michele Alberto (1438-1490) - Bucolicum carmen, egl. 6, 94 Cartari, Vincenzo - Le imagini con la spositione dei dei degli antichi, Diana, p. XXVv. / Giove, p. XXVIIIv. / Giunone, p. XXXVIIIr. / La gran madre, p. XXXXIIIr. / Baccho, p. LXXXVv. Castelvetro, Ludovico, - Poetica d'Aristotele vulgarizzata e sposta (1570), terza parte principale, 8 (1451b, 33-1452a, 1) - Inferno (1570), 3, 9-10 / 27, 64-65 Castiglione, Baldassare - Egloga 'Tirsi' (1478-1529), 4 / 11, 8 - Lettere del 1508 (1508), 131 (Ad Henricum VII), 272 - Il libro del Cortegiano (1513-18/1528), p. 170 (libro II, 96 / libro III, 14) - Carmina 9, 8 Cautio, Camillo, - Il decimo libro de le Trasformationi d'Ovidio (1548) Cellini, Benvenuto (1500-1575) - Rime, LXI (A Laura Battiferri), v. 2 / v. 12 Chiabrera, Gabriello (1552-1638) - Maniere, scherzi e canzonette morali (??), XXXII (II), v. 16 Cimbriaco, Quinto Emiliano (ca. 1449-1499) - Encom. 3, 126 369 APPENDICE I - Rhapsodiae, praef. 2, 17 - Vers. 24, 4 Colle, Lionardo da - Le nozze di Pesaro Colonna, Francesco - Hypnerotomachia Poliphili (1467/1499), p. 279 / p. 427 / cap. 11, 4 / cap. 13, 2 / cap. 16, 4 Conti, Anna Maria de’ (1550 ca.) - De arte poetica (oratio XXIV), 145v-146, p. 132 / 147, p. 135 Conti, Giusto de’ (-1449) - Canzoniere, 26, v. 4 / 148, v. 100 / 203, v. 14 Conti, Natale - Mythologiae, sive explicationum fabularum libri decem (1551), liber VII, cap. 14 (De Orpheo) Coppetta Beccuti, Francesco - Rime (1509-1553 (1a ed. 1580)), IV, CXCII, 59 Corio, B. - La istoria di Milano (1554), pp. 417 sgg. Cornazano, Antonio (1430-1484) - Canzoniere, 102, 12 Correggio, Niccolò da (1450-1508) - Psiche, 22 / 43 / 44 - Rime, 53, v. 5 / 239, v. 13 / 252, v. 14 / 279, v. 2 / 363, v. 123 / 367, v. 57 / append. 2.189 - Fabula di Cefalo (1487), atto IV, 9, 20 Correr, Gregorio - Carmina, 2, 163 - Progne, 91 / 113 / 320 Costanzi, Antonio (1435-90) - Orazioni nuziali Costo, Tomaso - Il Fuggilozio (1583), giornata V, 9 (Esempio di Tito Manlio), 6 Crinitus, Petrus (1474-1507) - Poemata, liber II, XXVII, Monodia de saltatione Bacchica, vv. 40-47 Dal Carretto, Galeotto - Noze de Psiche e Cupidine (sec. XV), p. 725 D'Alessandria, Benzo - Chronicon (1320ca.), liber XXIV (De moribus et philosophorum), cap. I, prologus, p. 158 / cap. III, De Mercurio, p. 163 / cap. XXIII De Orpheo musico et Museo eius discipulo / cap. XXXVI, De Thalete Milesio, p. 231 / cap. L, De Milone Crotoniense, p. 249 Daniello, Bernardo - Della poetica (1536), libro I, [11], p. 234 / [21], p. 240 - Inferno, 4, 139-140 370 INDICE ALFABETICO DI ORFEO NELLA LETTERATURA D’Aragona, Eleonora - De triumpho inclite Ducixe Ferrarie facto sibi Rome (1473) D'Aragona, Tullia - Rime (sec. XVI), Celani, Enrico.?, 22 (Dello stesso) D'Arco - Num. 18, 69 / 389, 7 D'Arezzo, Ristoro - Composizioni del mondo (1282) Dati, Leonardo - Ecloga, egloga quae inscribitur Mirilta, 39 Davanzati, Mariotto (1410-?) - Rime, VII (Ad Antonio di Meglio) / XXV, v. 14 De Bonis, Giovanni - Parnasus, 49 De Jennaro, Pietro Jacopo (1436-1508) - Il Canzoniere, libro II, XV, v. 9 / LIV, v. 7 Della Casa, Giovanni (1503-1556) - Carmina 26, 22 Del Riccio, Agostino - Del giardino di un Re, Il secondo quadro, p. 97 Dolce, Ludovico - Le Trasformationi (1553), Canto XX / Canto XXI - Libri tre...delle diverse sorti delle Gemme (1565), libro II, p. 20r - Dialogo di M. Lodovico Dolce ... dei colori (1565), Donato, - Lettera all'Ammannati (1449) Donato, Baldisserra (1530-1603) - Ahi miserelle ahi sventurate noi Doni, Antonfrancesco (1513-1574) - I Marmi, 4, Il Pellegrino, il Viandante e il Romeo, 38 - Le novelle, La Zucca, post scritta, 22, 9 - Inferni (1553). Libro secondo de' Mondi Edo, Pietro - Il rimedio amoroso, canto IV, 142 Equicola, Mario (1470-1525) - Libro de natura de amore, libro I, 1 ‘Laude de amore’, fol. 8v; 9r; 12v / I, 3 / I, 5 (2x) / libro III, 2 ‘Amore angelico’, fol. 121r / libro IV, 2 ‘Dela forza et potentia de amore’, fol. 164v / IV, 4 ‘Causa de insomnii de amanti’ / IV, 5 ‘De Venere’, fol. 188r; 189v / IV, 6 / libro V, 3 (2x) / V, 4 ‘Modi et gesti del’amante’, fol. 244r / libro VI, 2 (2x) Erizzo, Stefano (1525-1585) - Lettera sulla poesia, pp. 27-28 371 APPENDICE I Este, Gerolamo da - Carmina, 22,1 Fausto, Vittore - De comoedia libellus (1511), p. 10 Ferreri, Zaccaria (1479-1524) - Lugdunense somnium, 78 Ficino, Marsilio (1433-99) El libro dell'amore, orazione VII, cap. 14.4 / Oratione I, II, 15-17 ; III, 1-4 ; 24-25; Oratione II, I, 5; II, 15; VIII, 3-5 ; Oratione III, II, 14 ; III, 17-18 ; Oratione V, II, 29-30 ; XI, 17-18; - De Amore, caput III, De origine..., p. 139 / Amor est ..., p. 165 / caput XVII, Que comp..., p. 235 / caput XIV, Quibus ..., p. 260 / caput IV, De utilitate..., p. 143 / Ivi, p. 144 / caput II, Qua regula..., p. 138 / caput III, De origine ..., p. 138 / Ivi, p. 140 / caput I, Deus est..., p. 145 / Quo pacto, p. 147 / caput VIII, Exhortat..., p. 155 / ivi, p. 156 / caput II, Amor est, p. 162 / ivi, p. 164 / caput II, Quomodo..., p. 181 / caput I, Narratur, p. 167 - De Vita, cap. VI, De virtute..., p. 270 / cap. XXI, De virtute..., p. 354 / cap. XXII, Quomodo..., p. 368 / cap. XXVI, Quomodo..., p. 386 - De divino furore - Theologia Platonica, Liber I, VI, p. 224 / Liber II, IV, p. 84 / VI, p. 87 / IX, pp. 101-102 / pp. 102-103 / X, p. 104 / XI, p. 105 / XIII, p. 121/ XIII, p. 125 / Liber IV, I, p. 155 / II, p. 169 / Liber VI, I, p. 224 / Liber XI, I, p. 102 / IV, p. 119 / V, p. 133 / Liber XII, I, p. 157 / Liber XIII, II, pp. 218-19 / II, pp. 221-22 / Liber XVII, I, p. ? / IV, p. 166 / p. 172 / Liber XVIII, I, p. 178 / X, p. 232 / p. 233 / p. 235 - Lettere, I, 51 (Iohanni Cavalcanti), p. 101 / Lettera a Niccolò degli Albizzi / Lettera ad Antonio Canigiani / I, 6 / 26 / 92 / Lettera a Paulo Middelburg, p. 944 / Lettera a Cosimo de’ Medici, pp. 35-36 (ed. Klutstein) - De Christiana Religione, cap. XXII, in Opera Omnia, p. 25. - Tres contemplationis platonicae gradus, X - Opuscula Theologica, XI - Prefazio alla traduzione latina del Poimandres (Opera omnia 1463) - Commentum in Philebum, Liber I, Cap. V, p. 111 / Cap. XI, p. 135 / Cap. XVIII, p. 181 / Cap. Cap. XXVI, p. 247 / XXVII, pp. 253-255 / p. 257 / Cap. XXVIII, p. 267 / Cap. XXX, p. 293 / Cap. XXXI, p. 305 / Liber II, Cap. I, p. 403 / Cap. II, p. 405 / Cap. IV, p. 417 / App. II, p. 477 / App. V. p. 498 / p. 509 / p. 518 Filelfo, Francesco - Comento al Petrarca (1476) Firenzuola, Agnolo (1493-1543) - I Ragionamenti, Giornata prima, p. 82 - Celso, dialogo delle bellezze delle donne, discorso primo, p. 543 - Rime, LXXXVII, 28 / XCIV, 80 Flaminio, Marcantonio (1498-1550) - Lettera a Basilio Zanco - Carmina 1, 40, 8 / 1, 42, 12 / 2, 9, 15 / 6, 28, 10 / 6, 49, 8 - 372 INDICE ALFABETICO DI ORFEO NELLA LETTERATURA Folengo, Teofilo (1491-1544) - Zanitonella, X (Matinada), v. 382 / v. 385 / (Tusc.) 326 / 469 / 483 / (Cipad.) 343 - Baldus (1517)., libro XIII, 358 - Agiom. 5,168 Fortini, Pietro (ca. 1500-1562) - Le giornate delle novelle dei novizi (1530-1540), Al lettore, 8 Fracastoro, Gerolamo (1483-1533) - Carmina 1, 98 / 1, 110 Fregoso, Antonio Fileremo - Cerva, 4, 258 - Silve, 3, 39 / 7, canto 3, 214 / 3, 649 Frezzi, Federico (1346-1416) - Il Quadriregio, libro III, cap. II, 121 / libro IV, cap. IX, 76 Fuscano, Giovanni Berardino - Della oratoria e poetica facoltà (1531), pp. 192-93 Gafurius, Franchinus - Practica musicae (1496), dedica a Ludovico Maria Sforza di Milano, p. 4 / cap. I, p. 11 / cap. II, p. 15 Galassio Vicentino - Carmina minora, 2, 121 / 3, 1 Gallo, Filenio (-1504) - Rime, parte 1b (A Lilia-Canzoniere), 65, v. 1 / 101, v. 13 / 126, v. 14 / parte 2 (A SafiraEgloga e Rime), 21 (Petro Mochio senese a Filenio), v. 5 / 22 (Filenio risponde), v. 5 / 26, v. 14 / 112, v. 11 Gambara, Veronica (1485-1550) - Rime, 67, v. 11 Garzoni, Tomaso - La piazza universale (1589, postumo), Disc. 2.7 / 3.1 / 3.4 / 3.90 / 15.6 / 23.1 / 25.1 (2x) / 25.2 / Annotaz. Disc. 25 / 26.4 / 26.5 / 26.10 / 27.11 / 29.19 / 40.19 / 41.18 / 42.2 / 42.9 (2x) / 45.3 / 74.3 / 88.5 / 101.3 / 108.6 / 154.2 / 154.4 / 154.5 / 154.6 / 154.7 / 154.10 / 154.16 / 154.26 Gaurico, Pomponio - Eclogae (1504), ἐρωτικη διαλληλως / ἐρωτικη ἁπλως Gelli, Giovan Battista - Inferno (1541-1563), 20, 31-39 Genesio, Fabrizio (Elfiteo) - Elegiarum libellus, 1,17 / 2,23 / 15, 25-26 Giraldi (Cinzio), Giovan Battista - Orbecche, La tragedia a chi legge, 3299 - Egle, atto IV, 1545 Gonzaga, Curzio (1536-1599) - Rime, parte 5, 6a (Felice Gualtieri), 11 373 APPENDICE I Gradenigo, Giorgio - Lettera a Giulia da Ponte (1553 dopo) Grazzini, Antonfrancesco (Il Lasca) - La guerra de' mostri (1547 (1e druk 1584)), p. 135 Guarini, Giovan Battista (1538-1612) - Rime, sonetto LXII (Consola bella Donna lasciata da un Amante Poeta), v. - Lettera a Giovanni Francesco Genesso (1478) - Il pastor fido, atto 3, scena 224 Guazzo, Stefano (1530-1593) - La civil conversazione, 1 C16d / 2 C47 / 4 1.235 Guglielmo, Maramauro - Expositione sopra l'Inferno di Dante Alighieri (1369-73), cap. IV (2x) Guido, Antonio di (-1486) - Rime, XIII, iii Gyraldo, Lilio Gregorio - De deis gentium (1548), Syntagma I, p. 7 (2x)/ p. 9 / p. 12 / p. 19 / p. 21 / p. 24 /p. 34 / p. 37 / p. 40 / p. 43 / p. 46 (2x) / Syntagma II, p. 1 (2x) / p. 2 (3x) / p. 3 / p. 4 (3x) / p. 6 (4x) / p. 7 / p. 12 (2x) p. 14 / p. 16 / p. 23 / p. 29 / p. 32 / Syntagma III, p. 12 / Syntagma IV, p. 2 (3x) / p. 4 (2x) / p. 5 / p. 7 / p. 9 (3x) / p. 13 / p. 15 p. 16 / Syntagma V, p. 7 / p. 8 (marini dei) / p. 9 / p. 10 / p. 11 / p. 12 / p. 13 (2x) / p. 15 / p. 16 / p. 19 / p. 20 / p. 22 (3x) / p. 24 (2x) / p. 25 / Syntagma VI, p. 3 / p. 4 / p. 12 / p. 15 / p. 16 / p. 19 / Syntagma VII, p. 1 / p. 3 / p. 4 / p. 6 / p. 7 / p. 8 / p. 11 / p. 12 / p. 14 / p. 16 / p. 18 / p. 22 / p. 24 / p. 25 / p. 26 / p. 29 / p. 32 / p. 33 / p. 34 / p. 35 / p. 37 / p. 38 / Syntagma VIII, p. 2 / p. 4 / p. 6 / p. 7 / p. 9 / p. 10 / p. 11 / p. 13 / p. 14 / pp. 15-22 / Syntagma IX, p. 3 / p. 5 / p. 7-10 / p. 13-15, Syntagma X, p. 5-6 / p. 8 / p. 13 / p. 15-16 / Syntagma XII, p. 2-5 / p. 7 / p. 9 / p. 17-18 / p. 22, Syntagma XIII, p. 6 / p. 17 / p. 19 / p. 21-22 / p. 24 / p. 26-28 / Syntagma XIV, p. 1 / p. 5 / p. 7 / p. 9 / Syntagma XV, p. 2 / p. 7 / p. 12-13 / p. 17 / Syntagma XVI, p. 1 / p. 8 / Syntagma ultimum, p. 9 / p. 12 / p. 66 - Due dialoghi sui poeti dei nostri tempi, dialogo II, 200 Lana, Jacopo della, - Chiose alla "Divina Commedia" di Dante Alighieri (1324-28), Inferno, cap. 4, 150 (130-144) Lancia - Eneide volgarizzata (1316), liber VI (2x) Landi, Ottavio - Lettera a Antonfrancesco Doni Landini, Francesco - Madrigali, 9 (Sì dolce non sonò con lira Orfeo), v. 1 Landino, Cristoforo (1424-1498) - Praefatio in Tusculanis, p. 13 (ed. Scritti critici e teorici, Lentzen 1970) Praefatio in Virgilio, p. 22 / p. 26 (ed. Scritti critici e teorici, Lentzen 1970) Prolusione petrarchesca, p. 39 (ed. Scritti critici e teorici, Lentzen 1970) Prolusione dantesca, pp. 48-51(ed. Scritti critici e teorici, Lentzen 1970) 374 INDICE ALFABETICO DI ORFEO NELLA LETTERATURA Proemi alle Camaldulenses, p. 66 (ed. Scritti critici e teorici, Lentzen 1970) Proemio al Commento dantesco, p. 137 / p. 141 / p. 145 / p. 147 (ed. Scritti critici e teorici, Lentzen 1970) - Orazione dedicatoria, p. 169 (ed. Scritti critici e teorici, Lentzen 1970) - Introduzione all'Eneide, p. 228 / p. 230 (ed. Scritti critici e teorici, Lentzen 1970) - De vera nobilitate, p. 59 (ed. Lentzen) - Disputationes Camaldulenses, p. 114 / p. 213 / p. 223 / p. 241 / p. 250 / p. 255 / p. 258 (ed. Lohe 1980) - De Anima libri III, p. 14 / p. 17 (ed. Paoli 1915) - Xandrae libri tres, I p. 24, 34 / p. 29, 29 / III, p. 4, 133 (ed. Carmina omnia, Perosa 1917) - Carmina varia, p. 3, 2 (ed. Perosa 1939) - Lettera di esercizio, II - Epistola a Francesco di Bartolomeo Baldovini Lando, Ortensio (ca. 1512-ca. 1553) - La sferza de' scrittori antichi e moderni (1550), 2 / 3 (2x) Lapaccini, Filippo - L'Armeggeria che fece Bartolomeo Benci, cap. V, v. 37 Lazzarelli, Lodovico - Fasti christianae religionis (1475ca.-1480), introduzione, v. 173 / liber V, v. 24 / liber VII, v. 469 Lomazzo, Giovanpaolo - Trattato dell'arte della pittura, liber VI, cap. 25, p. 345 / ibidem, p. 347-48 / cap. 40, p. 380 / liber VII, cap. 2, p. 528 / cap. 7, p. 546 / cap. 9, p. 555 / cap. 10, p. 569 / cap. 29, p. 657 - Della forma delle Muse, cavata da gli antichi autori Greci et Latini (1591), p. 6 / p. 9 / p. 2021 / p. 27 / p. 28 / p. 31 / p. 35 / p. 38 / p. 39 Lovati, Lovato (ca. 1240-1309) - Epistolae, 3, 6 / 4, 217 Luigini da Udine, Federico (ca. 1530-) - Il libro della bella donna (1554), libro III, pp. 279-80 Luisini, R. - Carmina, 228, 1 / 228, 4 / 228, 6 Malatesti, Malatesta - Rime, XII, v. 7 Malecarni, Francesco - Rime, VI, v. 97 Mantovano, Battista - Adulescentia, 3 ‘De insani amoris exitu infelici’, 182 / 4 ‘De natura mulierum’, 159 / 178 / 180 / 9 ‘De moribus curiae Romanae’, 215-216 - Contra poetas impudice loquentes, 15 - Epigrammi, 12, 48 / 12, 79 - Parthenice prima sive Mariana, I, 2, 443 / I, 2, 532 / I, 2, 838 / II, 3, 714 - Sylvae, 2, 4, 10 / 3, 5, 26 - 375 APPENDICE I Marretti, Fabio - Le metamorphosi d'Ovidio in ottava rima col testo latino appresso. (1570), libro X / libro XI Marullo, Michele (1450 ca.-1500) - Epigrammaton, II, XLVI - Hymnorum, I, II (Palladi), v. 39 / II, VI (Marti), v. 33 / II, VIII (Mercurio), v. 6 Marzio, Galeotto - Carmina, 1, 3 Medici, Lorenzo de’ (1449-1492) - Comento de' miei sonetti, argomento 14 / 15 (argomento 3 (2x)) - "Canzoniere" (1464-1483), altre rime 2 (Alla Ginevra de’ Benci), v. 12 - Poemetti in terzine (1473-74), De summo bono, 2 Meglio, Antonio di (1384-1448) - Canzoni amorose, VI, iii / V, v / Meglio, Giovan Matteo di - Rime, XXIX, v. 7 Mei, Girolamo - Lettera a Vincenzo Galilei (1572), p. 72 [112,113] / Mellini, Domenico - Le dieci Mascherate delle Bufole mandate in Firenze il giorno di Carnovale (1566), mascherata X, p. 47 Mezzo, Tommaso - Epirota (1483), [11], p. 38 Modio, Giovan Battista - Il Convito overo Del peso della moglie, dove ragionando si conchiude che non può la donna disonesta far vergogna a l'uomo (1554), p. 326 / p. 330 / p. 331 Moggi, Moggio (1330ca.-?) - Carmi, III (Donato de Alvariis Veronensi), v. 11 / IV (Ad Alterium de Verona), v. 9-10 / VI (Simoni de Cumana Parmensi), v. 45-48 / XIV (Johanni de Corigio), v. 20-23 Monteverdi, Claudio e Alessandro Striggio - L'Orfeo (1607) Monticchiello, Domenico da - Rime (1358), 3 Morlini, Girolamo - Novelle (1520 (1a ed.)), novella XXIV Naldis, Naldus de (1439-1520) - Elegiarum libri tres, liber II, 2 (Ad Aeneam Pium pontificem maximum), v. 25 / v. 43 / 13 (Eulogium in Albertum Christofori Landini filium), v. 15 / 22 (Ad Marsilium Ficinum), v. 2 / 37 (Ad Marsilium Ficinum de Orpheo in eius cihara picto) / 40 (Ad Iohannem - Calabriae regis filium), v. 25 Carmina varia, 8 (Elegia in Claricem Ursinam vita functam), 99 / 103 / 110 / 157 376 INDICE ALFABETICO DI ORFEO NELLA LETTERATURA Nardi, Jacopo - I due felici rivali (1513) Di Natale, Francesco (1469-1542) - Carmina, 27, 40 Navagero, Andrea - Lusus, in Carmina quinque illustrium poetarum (1548), 25, 51 / 25, 57 / 25, 63 Odo, Pietro - Carmina, 18, 315 / 11, 21 / 18, 422 Palingenio Stellato, Marzello (1534-1538) - Zodiacus vitae, liber III, Gemini, v. 339 Palladio Sorano, Domizio (ca. 1460-ca. 1533) - Epigrammi, liber I, 42 (Ad amicam saevam Calliopeam) / liber II, 15 (Ad Christ. Pierium) / 92 (Ad Franciscum Maturantium), v. 2 - Elegie, 1 (Ad candidam Calliopeam elegia), v. 35 Panhormita, Antonio - Hermaphroditus (1425-1426), liber I, XXVII, vv. 11-12 Paolini, Alessandro (sec. XVI) - Carmina, 35, 33 Parrasio, Paolo (1473-1545) - Epic. 23 / 131 Partenio, Bernardino - Dell'imitazione poetica (1560)., libro I, p. 522 / p. 523 Pastrengo, Guglielmo da (fine '200-1362) - De viris illustribus, p. 151 / p. 167 - De originibus, p. 268 Patrizi da Cherso, Francesco (1529-1597) - L'amorosa filosofia, I, Erato, in margine - Della retorica. Dieci dialoghi di Messer Francesco Patritio (1562)., Il primo Tolomei, p. 20r / Il Sansovino, p. 32r - Della poetica (1586)., Libro I ‘Origini e progressi della poesia’ p. 17 (Oleno) / p. 19 (Lino) 2x / p. 21 (Grisotemia) / p. 22 (Filammone) 2x / p. 23 (Tamira) / pp. 23-28 (Orfeo) / p. 28 (Melampo) 2x / p. 29 (Mida) / p. 29 (Marsia) 2x / p. 31 (Museo d'Antifemo) 3x / p. 32 / p. 32 (Eumolpo) / p. 33 (Pisandro) / p. 33 (Panfo) 4x / p. 34 (Eritrea) / p. 35 (Palefato) / p. 36 (Orfeo Ciconeo) / p. 36 (Onomacrito) / p. 36 (Timete) / p. 37 (Palamede) / p. 39 (Siagro) 4x / p. 43 (Esiodo) / p. 49 (Dinarco) / p. 53 (Fanocle) / p. 54 (Terpandro) / p. 55 / p. 56 / p. 57 (Taleta) / p. 60 (Archiloco) / p. 74 (Orfeo) / p. 85 (Ceneto) / p. 168 (Ovidio) / p. 174 (Lucano) / Libro II ‘Partimento dell'antiche poesie’ p. 191 (Teogonia) 2x / p. 192 (Cosmogonia) 4x / p. 193 (Pasisoni) / p. 194 (Inno) 3x / p. 209 (Spezie IV) / p. 210 (Spezie V: teletè) 2x / p. 210 (Misteri) 2x / p. 211 (Orgii) 2x / p. 211 (Catarmi) 2x / p. 213 (Mondo) 2x / p. 214 (Elementi) / p. 214 (Terra) / p. 215 (Pietre) / p. 215 (Erbe) / p. 220 (Favola) 2x / p. 223 (Insegnante V) / p. 229 (Amorosi VIII) / p. 233 (Pantomimo) / Libro III ‘Partimento per versi dell'antiche poesie’ p. 239 / p. 240 / Libro IV ‘De gli usi dell'antiche poesie’ p. 255 377 APPENDICE I (Sacrifici II) 2x / p. 256 / p. 257 (Pompe) / p. 262 (Rappresentanti IV) / p. 263 / p. 268 (Eroiche VII) / p. 276 (Incanto XXI) / Libro V ‘De gli agoni dell'antiche poesie’ p. 287 (Origine) 2x / p. 288 / p. 289 / p. 290 2x / Libro VI ‘Del cantare l'antiche poesie’ p. 35 (Canto) 2x / Libro VII ‘Dell'armonia / compagna dell'antiche poesie’ p. 347 (Generi) / p. 354 (Istrumenti) / p. 361 (Poesie et armonie) 2x / p. 365 (Doria) 2x / Libro VIII ‘Della ritmica / compagna...’ p. 393 (Orchesi bacchica) / Libro X ‘De' rappresentatori ...’ p. 429 (Poeta) 5x / p. 430 6x / p. 432 (Sacerdoti) 2x / p. 433 2x / p. 438 (Lirodi) / p. 439 Pecora, Jacopo del (Jacopo da Montepulciano) (sec. XIV) - Fimerodia, II, III, 125 Peri, Jacopo (1561-1633) - L'Euridice (1600/1601) Petrarca, Francesco (1304-74) - Trionfi, IV, 13 / 93 - Africa, VI, vv. 54-56 - Seniles, IX, 1 / X, 4 / XI, 5 / XV, 3 - Secretum, III, 9, 13 - De vita solitaria, libro II - Rerum vulgarium fragmenta, XXIII, vv. 55-58 / XXVIII, v. 68 / CLXXXVII, v. 9 / CCLXX / CCLXXIII / CCLXXXIII / CCCIV / CCCXXIII / CCCXXXII, v. 51 - Invective contra medicum, libro I / libro III - Familiares, liber I, 9, 7 / liber VIII, 10, 25 / liber XII, 9, 5 / liber XXIV, 11, 13 / 12, 21 / ibidem, 43 / - Bucolicum Carmen (1346-50)., liber I, 120-23 / liber X - Rime disperse e attribuite (1374), 39, 13 / 42, 6 - Carmina, 36, 35 Piagentina, Alberto della - Boezio, Della filosofico consolazione (1322-32), libro III, 12, 2 (2x) Piccolomini, Enea Silvio (1405-1464) - De liberorum educatione, p. 209-209 - Carmina, Cinthia & Egloga, X, Fabella, vv. 37-46 / 24, Egloga, vv. 185-86 - Epygrammata, II (26) Ad Quadratum, vv. 7-8 - Varia, 116 (Ad Cesarem), vv. 107-113 - Pii Secundi Commentarii - Historia de duobus amantibus (1444), 6, p. 24 Pico della Mirandola, Giovanni (1463-1494) - Commento sopra una canzone de amore di Girolamo Benivieni - De hominis dignitate, p. 90-92 (ed. Cicognani) - Conclusiones nongentae, V, 5 / 25 / X, 1-5 / 7-9 / 13 / 15 / 18 / 31 / XI, 10 / 17 - Ad Flor. 51 Pisa, Guido da - Inferno (1327-1328), 4, 140 378 INDICE ALFABETICO DI ORFEO NELLA LETTERATURA Poliziano, Angelo (1454-1494) - Manto (Silvae), praefatio, 13 / 27 / 72 Nutricia (Silvae), 128 / 285 / 296 / 304 / 317 / 363 / 503 Epistola metrica (a Bartolomeo Fonzio). Rime (1470-90)., 53 (Francesco Medici), 4 - Fabula di Orfeo. (ca. 1476-80) - Epigrammi latini, XXIII ‘De Antonio tusco extemporali poeta’ Odae 3,1 Pontano, Giovanni (1429-1503) - Carmina, liber II, De Tumulis, LIII (Lyra Orphei auxilium implorat a nympha) / IV, p. - 3019 I dialoghi, Ioannis Ioviani Pontani Dialogus qui Antonius inscribitur, p. 76 - Urania (1476), libro III (De lyra et Orpheo), I, De Orpheo navigante et post ad infernos pro uxore descendente (Urania, 1,985 / 1, 986 / 5, 641 / 3,1349-1350 / 3,1281 / 3,1378- 1379) - De Magnanimitate (1499), liber I, XLVIII, 62 - De sermone libri sex (1502-03), libro II, V (Plura esse mendacium genera), 7 - Egloghe 1, 6, 67-68 / 2, 214 / 2, 222 / 2, 228 / 2, 234 - De amore coniugali, 1, 8, 43 - De laudibus divinis, 14, 2 Prato, Domenico da (ca. 1370-ca. 1432) - Rime, XLIII, strofa vi, v. 71 / XLIV, strofa iv, v. 43 Pucci, Antonio (ca. 1310-1388) - Libro di varie storie (1362), 29, 4 (2x) Pulci, Bernardo (1438-1488) - Canzoniere, CV / XCIII, v. 12 / LXXXI, v. 12 / XXXV Pulci, Luigi (1432-1484) - Morgante, cantare II, 38 / cantare XVI, 33 / cantare XXVIII, 146 Rapicio, Andrea (1533-1573) - Poemi 11, 15 - Istria 242 / 245 - Carmina 1, 36 / 2, 17-18 / 2, 41 Regio, Raffaele - P. Ovidii Metamorphosis (1492) Ripa, Cesare - Iconologia overo Descrittione dell'Imagini universali (1593), p. 167 (Mese) - Iconologia overo Descrittione di diverse Imagini cavate dall'antichità et di propria inventione (1603), Eloquenza, p. 128 / Mese in generale, p. 326 / Muse, p. 346 / Ninfe in comune, p. 352 Robortello, Francesco - Explicationes de satyra, de epigrammate, de comoedia, de elegia, De satyra, Explicatio eorum omnium quae ad satyram pertinent (1548), p. 497 379 APPENDICE I Rolandello, Francesco - Carmina, 1, 3, 80 Roselli, R. (1399-1451) - Rime, LXV, v. 6 / LIX (Alla Morte), strofa V Rossi, Nicolò - Discorsi intorno alla tragedia (1590), Cap. I, Della origine et accrescimento della tragedia et in qual maniera di versi si dee scrivere, p. 64 Ruzante (Angelo Beolco) - La Pastoral (1521) Sacchetti, Franco (ca. 1332-1400) - Il libro delle rime, XLIV, 26 / CLXIX - Battaglia delle belle donne di Firenze con le vecchie (1353), I, ott. 69 Salernitano, Masuccio (1410-1475) - Novellino, novella IV, esordio Salutati, Coluccio (1331-1406) - De fato et fortuna, II, 5, p. 41 (ed. Bianca) De seculo et religione, capitulum VI, p. 110 (ed. Ullman) - De laboribus Herculis, p. 9 / p. 170 / p. 372 / p. 395 / Lib. IV, p. 473 / p. 486 / pp. 487508 / p. 510 / pp. 519-24 / et al. (ed. Ullman) - Epistolario, II, p. 461 / III, p. 378 / IV, p. 181 / p. 239 (ed. Fonti per la Storia d’Italia) Salviati, Lionardo - Della poetica lezion prima (1564), p. 590 Sannazaro, Jacopo - Arcadia (1504 (1a ed. autorizzata)), Ecloga IV, 46 / Ecloga XI, 64 & 74 / XI, p. 138 / Prosa XII, 7 Sasso, Panfilo - Epigrammata (1499), 1, 35, 3 Sbruglio, Riccardo (ca. 1480-dopo 1525) - Carmina, 6, 3 Scambrilla, Francesco - Rime, XIX, v. 12 Scarlatti, Filippo (1467-1481) - Rime volgari, XVII, v. 10 & 17 / XXXVI, v. 1 / CV, v. 7 Sera, Beatrice del - Amor di virtù. Commedia in cinque atti (1548), atto IV, v. 98 Serdini, Simone (Il Saviozzo) (ca. 1360 –ca. 1420) - Rime, 5, v. 23 / 14, v. 9 / 24, v. 21 / 35, v. 4 / 70, v. 2 / 72, v. 9 / 77, v. 60 / 87, v. 12 / 90, v. 7 Serravalle, Johannis de - Inferno (1416-17), 4, 139-140 Settimello, Arrigo da - Arrighetto ovvero Trattato contro all'avversità della fortuna (sec. XIV), libro IV (Elegia de diverstitate fortunae), p. 254 380 INDICE ALFABETICO DI ORFEO NELLA LETTERATURA Siena, Gerolamo da - Le favole di Ovidi Sigonio, Vicenzo - La difesa per le donne, cap. 15, p. 130 Simintendi, Arrigo - Metamorfosi d'Ovidio volgarizzate (1333), libro II / libro X (10x) / libro XI (8x) Sisgoreo, Giorgio - Carmina, 1, 1, 23 / 2, 7, 5 / 2, 21, 8 / 2, 33, 18 / 3 ,2, 7 Spagnuolo, Baptista - Egloghe, IV, 177-184 / Egloga IX, 212-219 Spirito Gualtieri, Lorenzo - Ovidio Metamorphoseos vulgare in terza rima (1519), libro XI Sporeni, Giuseppe (ca. 1490-dopo 1562) - Carmina, 1, 17, 241 / 2, 27, 186 / 2, 28, 84-85 / 2, 29, 196 / 4, 76, 5 / 4, 76, 13 Stampa, Gaspara (1523-1554) - Rime, XXXI, v. 14 / II, CCLIX, v. 11 Straparola, Giovan Francesco (1480-1557) - Le piacevoli notti, dedica Strozzi, Tito Vespasiano - Eroticon, 3, 4, 36 / 3, 12, 16 / 3, 12, 21 / 6, 10, 95 / 6, 10, 100 Summo, Faustino - Discorso primo: Qual sia il fine della poesia in generale (1590 ca.), p. 157 Symeoni, Gabriello - La vita et Metamorfoseo d'Ovidio figurato & abbreuiato in forma d'Epigrammi, p. 134 Orfeo racquista & riperde la moglie Euridice 122 / p. 135 Eccellenza d'Orfeo nel sonare & lamentarsi. 123 / p. 148 Orfeo vcciso dalle Baccanti. 136 / p. 149 La lyra & la lingua d'Orfeo si lamentano, & il serpente è mutato in sasso. 137 / p. 201 / p. 229 / p. 232-33 Tansillo, Luigi (1510-1568) - Canzoniere, I, capitolo 3, v. 43 & 68 / V, son.121, v. 3 / VII, son.339 (Per la morte di Delia), v. 14 Tasso, Torquato - Rinaldo (1562), canto VII, 85 / canto VIII, 3 - Rime (1567), 756, v. 38 / 1022, 19 / 1305, v. 7 / 1372, v. 14 / 1408, v. 5 / 1486, v. 100 / 1524, v. 2 - Aminta (1573), atto I, scena 2 - Il Malpiglio II o del fuggir la moltitudine (1583-85), II, 100 - La Molza overo de l'Amore (1585/1586), 4 - Rogo amoroso (1588), v. 456 / v. 628 - Il Ficino overo de l'Arte (1592) - Discorsi del poema eroico (1594), libro II, 4 (2x) / 14 / libro IV, 2 / libro V, 1 / libro VI, 39 - Intrichi d'amore (1598), atto III, scena 4, 4 381 APPENDICE I Tebaldeo, Antonio (1463-1537) - Rime, 46, v. 11 / 186 / 196, v. 9 / 202, v. 9 / 286 / 695 (estrav. A Vittoria Colonna), v. 8 / 44 (dubbia), v. 13 Tomitano, Bernardino - Ragionamenti (1439) Torelli, Pomponio - Trattato della poesia lirica. Del perduto Academico Innominato (1594), lezion VII, p. 314 Toscanella, Orazio - Precetti della poetica (1562), p. 565 Uberti, Fazio degli (1305/9-dopo 1369) - Il Dittamondo (ca. 1347-1367), Libro 4, cap. 6, 47 Ugurgieri, Ciampolo di Meo degli - L'Eneide di Virgilio volgarizzata nel buon secolo della lingua (1340), libro VI Urbano VIII - Poësis probis et piis documentis primaevo decori restituenda (ca. 1580) - Ode a Clemente VIII Valeriano, Pierio - Amorum libri V (1549) Valgulio, Carlo - Prefazio alla Musica a Tito Pirrino di Plutarco Valla, Lorenzo - De vero falsoque bono, Liber I, cap. XXIII, 4 Valvasone, Erasmo da (-1593) - Le rime, 10 / 16 Vannozzo, F. d. (1300-1400) - Rime, 106, 13 (=131, 13 LIZ), v. 13? / 165, v. 9 / 2, 37 Varchi, Benedetto (1503-1565) - Rime, 2, 19b (Lelio Bonsi), 14 Vasari, Giorgio - Le Vite, vol. III, cap. 137, p. 428 / etc.? Vecchi, Orazio (1540-1604/1550-1605) - Fa una canzone senza note nere Vegio, Matteo - Vellus Aureum (1431), Liber I, v. 43 Vellutello, Alessandro - Inferno (1544), 4, 139-140 Venuti, Comedio (1424-) - Sonetti, CLIV Verdelot, Philippe - Madrigali a cinque (1535), libro I, Qual sarà mai sì miserabil canto (da: Poliziano) 382 INDICE ALFABETICO DI ORFEO NELLA LETTERATURA Vergerio, Pier Paolo - Epistolario (1395), LX. Giovanni da Ravenna a P.P. Vergerio, p. 138 / LXII. P.P. Vergerio a Giovanni da Ravenna, p. 143 Verino, Ugolino (1438-1516) - Carlias, liber III, vv. 53ff. / liber XV, v. 284-285 / app. 5, 365 - Epigrammata, 2, 12, 1 Veronese, Guarino - Nuovi carmi, V, v. 25 - Epistolario, IV (1426) - Carmina 12, 25 / 37, 1 / 47, 7-8 Vida, Marco Girolamo (1483-1566) - L'arte poetica Virgilio, Giovanni del - Allegorie librorum Ovidii Metamorphoseos prosaice ac metrice compilate (13221323), libro X / libro XI - Egloga ad Mussatum, 131 Virgilio, Polidoro - De inventoribus rerum (1499), Liber I, cap. V (De religionis origine...), 6 / cap. VI (Quis primus literas invenerit...), 5 / cap. XIV (Quis primus musicam repererit...), 1 / cap. XV (Qui primum instrumenta diversi generis invenerint...), 1-2 / cap. XVI (De originine philosophiae...), 1 / Cap. XXI (De herbariae et medicamentariae atque melleae medicinae inventoribus...), 8 / Cap. XXIV (De duobus divinandi generibus...), 6 Viterbo, Egidio da (1469?-1532) - Libellus de litteris hebraicis, p. 23 / p. 40 / p. 42 / p. 50 - Scechina, (1469-1518). I, p. 75 (fol. 160v?) / p. 138 (fol. 179) / p. 176 (fol. 195) / p. 214 (fol.212) / II, p. 99 (fol. 257v) / p. 152 (fol. 279v) - De ortu Domini - Lettere familiari (1504), I, 119 (Egidius Antonio Zocholo S.D.) Zarlino, Giuseppe - Orfeo ('Tragedia') (ca. 1580) Zovenzoni, Raffaele - Carmina varia, 6, 152 / 13, 15 - Istrias 1, 11, 10 / 1, 49, 7 / 1, 89, 4 / 2, 2, 4 Zuppardo, Matteo - Alfonseis, 3, 227 383 384 APPENDICE II. Elenco di presenze di Orfeo nelle arti visive941 MANOSCRITTI ILLUSTRATI Anonimo fiorentino, - La morte di Euridice, disegno nell’Ovidio Maggiore di Arrigo Simintendi, ca. 1370-80. Firenze, Biblioteca Nazionale, MS Panciatichi 63, fol. 84v - Orfeo e gli animali, disegno nell’Ovidio Maggiore di Arrigo Simintendi, ca. 1370-80. Firenze, Biblioteca Nazionale, MS Panciatichi 63, fol. 86r Anonimo (Italia del nord), - Orfeo ucciso dalle mani delle Menadi, disegno nell’Ovidius Moralizatus, fine sec. XIV. Bergamo, Biblioteca Civica Cassaf. 3.4, fol. 76v - La morte di Euridice; Orfeo nell’Ade; Orfeo guarda indietro, disegno nell’Ovidius Moralizatus, fine sec. XIV. Bergamo, Biblioteca Civica Cassaf. 3.4, fol. 108v - Orfeo al monte di Rodope, disegno nell’Ovidius Moralizatus, fine sec. XIV. Bergamo, Biblioteca Civica Cassaf. 3.4, fol. 109v Anonimo Veronese (?), - Orfeo, illustrazione in: Alberico, De deorum imaginibus libellus, ca. 1420. Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, MS. Reg.lat. 1290, fol. 5r Anonimo italiano (veneziano?), - La morte di Euridice, disegno in: Ovidio, Metamorfosi, sec. XIV o XV. Venezia, Biblioteca Marciana, MS Lat. 2.449a (=1634), fol. 90v - Orfeo è lacerato dalle Menadi, disegno in: Ovidio, Metamorfosi, sec. XIV o XV. Venezia, Biblioteca Marciana, MS Lat. 2.449a (=1634), fol. 100r (iniziale) Anonimo italiano, - Euridice, disegno in: Ovidio, Metamorfosi, sec. XIV o XV. Firenze, Biblioteca Medicea Laurenziana, Pl. XXXVI, 8, fol. 120v - Orfeo suona il violino, disegno in: Ovidio, Metamorfosi, sec. XIV o XV. Firenze, Biblioteca Medicea Laurenziana, Pl. XXXVI, 8, fol. 132v Anonimo italiano, - Orfeo, disegno in: Nozze di Pesaro, 1475-80. Roma, Biblioteca Apostolica Vaticana, MS Urb. Lat. 899 Anonimo italiano (veneziano?), - Orfeo e Mercurio, disegno, fine sec. XV. Oxford, Bodleian Library, MS Can. Class. Lat. 85, fol. 2v 941 Questo elenco si basa in parte sugli elenchi di Scavizzi, op.cit, San Juan, op.cit. e Semmelrath, op.cit. 385 APPENDICE II Leonardo da Besozzo, - Orfeo e gli animali, illustrazione in: Cronica Universale, 1435-42. Prima nella Collezione Norbio / Milano, Collezione Crespi Anonimo fiorentino, - Orfeo, illustrazione nella cronaca Cockerell, 1440-50. Collezione Cockerell Finiguerra, Maso (attribuito a), - Orfeo e gli animali, illustrazione in: Cronica fiorentina illustrata (Florentine Picture Chronicle), 1460-70. London, British Museum, Department of Prints and Drawings, fol. XXVIII-XXIX AFFRESCHI Mantegna, Andrea (1430/31-1506), - Orfeo e gli animali, affresco/grisaille, ca. 1464/70-74. Mantova, Palazzo Ducale, Camera degli Sposi (Camera Picta), soffitto - Orfeo nell’Ade, affresco/grisaille, ca. 1464/70-74. Mantova, Palazzo Ducale, Camera degli Sposi (Camera Picta), soffitto - La morte di Orfeo, affresco/grisaille, ca. 1464/70-74. Mantova, Palazzo Ducale, Camera degli Sposi (Camera Picta), soffitto - La morte di Orfeo, disegno o incisione (perso) Mantegna, Francesco - Storie di Orfeo, affreschi, 1494. Marmirolo, Palazzo di Marmirolo (perso) Signorelli, Luca (1441-1523), - Orfeo suona per Plutone e Proserpina / Orfeo nell’Ade, affresco/grisaille, 1499-1502/3. Orvieto, Duomo (Santa Maria Assunta), Cappella di S. Brizio - I demoni afferrano Euridice / Orfeo si volge verso Euridice, affresco/grisaille, 1499-1502/3. Orvieto, Duomo (Santa Maria Assunta), Cappella di S. Brizio Peruzzi, Baldassare Tommaso, - Orfeo e gli animali; Orfeo ed Euridice; Morte di Orfeo, affresco, ca. 1509-10. Roma, Villa Farnesina, Sala del Fregio - Orfeo (Lira), affresco, 1510-11. Roma, Villa Farnesina, Sala della Galatea, soffitto Anonimo veneziano, - Scene della vita di Orfeo (Orfeo e gli animali; Orfeo nell’Ade; Orfeo e Plutone; morte di Orfeo), ciclo di affreschi, sec. XVI. Sabbioneta, Palazzo del Giardino, Corridoio di Orfeo Carracci, Annibale, - Orfeo ed Euridice, affresco, ca. 1600. Roma, Palazzo Farnese, Galleria dei Carracci Anonimo, - Storie di Orfeo, affreschi e stucchi, ca. 1600. Mantova, Palazzo Ducale, Corte nuova, Studio/Camerino d’Orfeo Primaticcio, Francesco (1504-1570), - Orfeo, affresco, ca. 1570. Fontainebleau, Galerie d’Ulysse (perso) 386 ELENCO DI PRESENZE DI ORFEO NELLE ARTI VISIVE Romano, Giulio - Orfeo nell’Ade, affresco/affreschi, 1527-29. Mantova, Palazzo del Te, Sala delle Metamorfosi Anonimo (Giulio Romano?) - La morte di Euridice & Orfeo e gli animali. Mantova, Palazzo Te, Loggia delle Muse, parete centrale Bottega di Luzio Romano - Orfeo cantante tra gli animali feroci, affresco, 1544-45. Roma, Castel Sant’Angelo, Sala dei Festoni - Euridice negli Inferi, affresco, 1544, 45. Roma, Castel Sant’Angelo, Sala dei Festoni Perino del Vaga / Domenico Zaga / Pellegrino Tibaldi / Giacomo da Faenza - Orfeo e gli animali, affresco, 1547-48. Roma, Castel Sant’Angelo, Sala di Apollo SCULTURA Robbia, Luca della, - Musica (Orfeo), rilievo di marmora, 1437-39. Firenze, Museo dell’Opera del Duomo, Sala delle Formelle del Campanile (prima: Campanile del Duomo) Bertoldo di Giovanni, - Orfeo (o Apollo?), statuetta di bronzo, 1470/85-90. Firenze, Museo Nazionale del Bargello, no. Bronzi 349 Bandinelli, Baccio (1493-1560) - Orfeo, statua di marmora, 1516-17. Firenze, Palazzo Medici-Riccardi, cortile - Orfeo, statua perduta Mosca, Giovanni Maria (?), - Euridice, rilievo di marmora, 1515-22. New York, prima nella Pierpont Morgan Collection Rovezzano, Benedetto da - piedistallo per la statua di Orfeo di Bandinelli, 1519?. Firenze, Palazzo Medici-Riccardi, cortile Camilliani, Francesco, - Orfeo e Cerbero, dettaglio di fontana, 1554-55. Palermo, Piazza Pretoria, Fontana Pretoria Stati, C., - Orfeo suonando di fronte a Plutone, scultura per il Palazzo Corsi a Firenze, ca. 1600. New York, Metropolitan Museum Riccio, Andrea (ca. 1470-1532) - Orfeo, scultura di bronzo. Parigi, Musée National du Louvre Francavilla, Pietro (1546/53-1615) - Orfeo. Paris, Louvre 387 APPENDICE II DISEGNI Marco Zoppo, - La morte di Orfeo, disegno (in albo con 50 disegni), ca. 1470. London, British Museum, Department of Prints and Drawings, no. 1920-2-14-1, 21r - Orfeo e gli animali, disegno, ca. 1460. Paris, Bibliothèque Nationale, Latin 11309, fol. 4v Anonimo fiorentino, - Orfeo, disegno, 1475-1500. London, British Museum, Department of Prints and Drawings, no. 1946-7-13-209 Pollaiolo, A. del (cerchia di), - Orfeo, disegno, 1480-1500. Torino, Biblioteca Reale Francesco del Cossa (?) (ca. 1435-1477), - Orfeo e gli animali, disegno, 22 x 15 cm, ca. 1470. Firenze, Galleria degli Uffizi, Gabinetto dei Disegni e delle Stampe, no. 1394 E Cima da Conegliano (ca. 1459-1517/8) - Orfeo, disegno con penna e acquerello, 25 x 20 cm, ca. 1510. Firenze, Galleria degli Uffizi, no. 1680 Cambiaso, L. (-1585), - Orfeo, disegno. Firenze, Galleria degli Uffizi, Gabinetto dei Disegni e delle Stampe, Salv(i)ati, Francesco (-1563), - Orfeo, disegno. Firenze, Galleria degli Uffizi, Gabinetto dei Disegni e delle Stampe, no. 1092 Stradano, G. (-1605) (anche attribuito a S. Scorza), - Orfeo e gli animali, disegno. Firenze, Galleria degli Uffizi, Gabinetto dei Disegni e delle Stampe, Vasari, Giorgio (-1574) - Orfeo, disegno a matita nera e leggero acquerello. Firenze, Galleria degli Uffizi, Gabinetto dei Disegni e delle Stampe, no. 2722, F - Orfeo, disegno a matita nera e acquerello. Firenze, Biblioteca Nazionale, 31 (C.B.3.53) NZ Anonimo romano, - Orfeo e gli animali, disegno, sec. XVI. Paris, Musée National du Louvre Anonimo romano, - Orfeo ed Euridice, disegno, sec. XVI. Paris, Musée National du Louvre, Département des Arts Graphiques, 3673 Boscoli, A. (-1606), - Morte di Orfeo, disegno. Napoli, Museo di S. Martino Cerchia di Giulio Romano, - La storia di Euridice, disegno per arazzo, ca. 1510. Prima a Milano, Collezione Dubini Campagnola, Domenico (seguace) (1517-62), - Le ninfe piangono della morte di Orfeo, disegno. Stuttgart, Staatsgalerie, Graphische Sammlung, C 90/3781 388 ELENCO DI PRESENZE DI ORFEO NELLE ARTI VISIVE Alberti, Cherubino (attribuito a), - Orfeo, disegno dell’Orfeo di Bandinelli con penna e bistro, 43 x 29 cm. Firenze, Galleria degli Uffizi, Gabinetto dei Disegni e delle Stampe, no. 939695, carta 21r Parmigianino (1503-1540), - Morte di Orfeo, disegno. Melbourne, National Gallery of Victoria Leonardo da Vinci, - Aristeo insegue Euridice, disegno, 1506-08. Windsor. Royal Library - Studi per l’allestimento della Fabula di Orfeo, ca. 1506-08. Londra, British Library, Codice Arundel 263, ff. 231v (a sinistra) e 224r (a destra) Ripanda, Jacopo (Jacopo di Bologna) - La morte di Orfeo, disegno, 1516. Lille, Musée Wicar - Orfeo e gli animali, disegno. Lille, Musée Wicar Romano, Giulio - La morte di Orfeo, disegno. Paris, Musée du Louvre, Cabinet des Dessins, no. 3294 - Orfeo e gli animali, disegno. Wien, Akademie der bildenden Künste, no. 3671 - Orfeo nell’Ade, disegno. Paris, Musée du Louvre, Département des Arts Graphiques, RF 508 - Orfeo cerca di liberare Euridice dall’Ade, disegno. London, Sotheby’s, nr. 5 - Orfeo ed Euridice, disegno. Prima: Bremen, Kunsthalle, no. 37/695 (perso) Bassano, Francesco (1540-1592) - Orfeo e gli animali, acquerello e biacca, 60 x 46 cm. Firenze, Galleria degli Uffizi, Gabinetto dei Disegni e delle Stampe, no. 12815F Strada, Jacopo - Atrio delle Muse (Palazzo Te) con Orfeo ed Euridice, disegno, 1567-1568. INCISIONI E NIELLI Anonimo (nord dell’Italia), - La morte di Orfeo, incisione, 1470-80. Hamburg, Kunsthalle, Graphische Sammlung Pellegrino (o Peregrino) da Cesena (fl. ca. 1490-1520) - Orfeo e gli animali, niello, inizio sec. XVI. London, British Museum - Orfeo e gli animali, niello, inizio sec. XVI. London, British Museum - Orfeo e gli animali, niello, fine sec. XV. New York, Metropolitan Museum of Art, Harris Brisbane Dick Fund, 28.97.99 Francia, Francesco - Orfeo e gli animali, niello, ca. 1490 Nicoletto da Modena (fl. 1500-1512) - Orfeo e gli animali, incisione, inizio sec. XVI. (Bartsch 25 (I), 53) - Orfeo e gli animali, incisione, inizio sec. XVI. (Bartsch 25 (C), 2508.028) - Orfeo e gli animali, incisione ornamentale, prima di 1512 (Bartsch 25 (I), 54) - Pannello ornamentale con Orfeo e il giudizio di Paride, incisione, ca. 1507, Washington D.C., National Gallery of Art, Rosenwald Collection, 1943.3.7415 389 APPENDICE II Pannello ornamentale con Orfeo e il giudizio di Paride, incisione, ca. 1507, Washington D.C., National Gallery of Art, Rosenwald Collection, 1945.1.4 Montagna, Benedetto (due incisioni o tre?) - Orfeo e gli animali, incisione, ca. 1505-10. (Bartsch 25, 25) - Orfeo e gli animali, incisione, ca. 1510-20. (Hind, Bd 1, fig. 22) Marcantonio Raimondi (ca. 1480-1527/34) - Orfeo e gli animali, incisione, ca. 1506-09. (Bartsch 14, 314) - Orfeo ed Euridice, incisione, ca. 1505-06. New York, Metropolitan Museum of Art, Elisha Whittelsey Collection, 56.581.12 (Bartsch 14, 282) - Orfeo ed Euridice, incisione, ca. 1507-08. Washington D.C., National Gallery of Art, 1941.1.65 (Bartsch 14, 295) - Euridice, incisione, sec. XVI. (Bartsch 14, 295) - Euridice, incisione, sec. XVI. (Bartsch 14, 262) Agostino Veneziano (Agostino dei Musi) (ca. 1490-1536), - Orfeo nell’Ade, incisione, 1528. Washington D.C., National Gallery of Art, Rosenwald Collection, 1954.12.37 (Bartsch 14, 259) Marco da Ravenna (-1527), - Euridice parte dall’Ade, incisione (Bartsch 14, 262) Anonimo, - Euridice parte dall’Ade, incisione (Bartsch 14, 262) Anonimo Veneziano, - Orfeo e gli animali, incisione, 1558. Firenze, Galleria degli Uffizi, vol. 10169 Carracci, Agostino (1557-1602) - Orfeo ed Euridice, incisione, ca. 1590-95. New York, Metropolitan Museum of Art, 17.37.170 - CASSONI Biagio di Antonio (fl. 1472), - Storia degli Argonauti, cassone, ca. 1470. New York, Metropolitan Museum of Art, Collezione Pierpont Morgan, 09.136.1 (Schubring 297) Maestro degli Argonauti - Storia degli Argonauti, cassone, ca. 1465. New York, Metropolitan Museum of Art, Collezione Pierpont Morgan, 09.136.2 (Schubring 296) Maestro di Stratonice (Michele Ciampanti), - Storia di Orfeo ed Euridice, cassone?, ca. 1510. Ubicazione sconosciuta (Berenson II, ill. 836) Anonimo veronese, - Il viaggio degli Argonauti, cassone, ca. 1480. Verona, Museo Civico, no. 1135 (Schubring 669) 390 ELENCO DI PRESENZE DI ORFEO NELLE ARTI VISIVE Anonimo fiorentino (Biagio di Antonio?), - L’incontro tra Giasone e Medea con Orfeo e gli altri eroi, cassone, ca. 1486. Paris, Musée des Arts Décoratifs (Schubring 349) Sellaio, Jacopo del (attribuito a) - Orfeo, Euridice e Aristeo, olio su tavola, 1,74m x 0,57m, ca. 1480-90. Rotterdam, Museum Boymans-van Beuningen, no. 2563 (Schubring 357) - Orfeo e gli animali, olio su tavola, 1,74m x 0,57m, ca. 1480-90. Krakóv, Pánstwowe Zbiory Sztuki na Wawelu, no. 7934 (Schubring 359) - Orfeo e Plutone/Orfeo nell’Ade, olio su tavola, 1,79m x 0,57m, ca. 1480-90. Kiev, Museo di Arte Occidentale e Orientale, no. Ж K 115 (Schubring 358) Anonimo Senese (?) - Scene dalla ‘Festa d’Orfeo’ di Poliziano, ca. 1500. Venezia, Fondazione Cini Fungai, Bernardino / Carrari Baldassare / Anonimo Toscano (attribuito a) - Euridice e le ninfe, cassone?, 1500-1510. Paris, Collection Spiridon (prima) (Schubring 547) - Euridice e Aristeo, cassone?, 1500-1510. Paris, Musée des Arts Décoratifs, no. 343 (Schubring 548) - La lamentazione di Euridice, cassone?, 1500-1510. Dublin, Murnaghan Collection (Schubring 948) - Orfeo porta Euridice dall’Ade, cassone?, 1500-1510. Berlin, collezione privata Anonimo toscano, - Orfeo, cassone, sec. XVI. Aix-en-Provence, Musée Granet PLACCHETTE DI BRONZO Maestro della leggenda di Orfeo (prima attribuito a Bertoldo) - Orfeo ed Euridice di fronte a Plutone, placchetta di bronzo, fine sec. XV. Washington D.C., National Gallery of Art, Samuel H. Kress Collection, 1957.14.233 - Orfeo e gli animali, placchetta di bronzo, fine sec. XV. Washington D.C., National Gallery of Art, Samuel H. Kress Collection, 1957.14.234 - La morte di Orfeo, placchetta di bronzo, fine sec. XV. Washington D.C., National Gallery of Art, Samuel H. Kress Collection, 1957.14.235 - Orfeo suona la lira, placchetta di bronzo, fine sec. XV. Wien, Kunsthistorisches Museum, Sammlung für Plastik und Kunstgewerbe, KK 7736 Anonimo (nord dell’Italia) - Orfeo e gli animali, placchetta, ca. 1500. Ravenna, Museo Nazionale, 10717 Moderno - (attrib.) Orfeo scende nell’Ade, placchetta di bronzo, fine sec. XV-inizio sec. XVI. Washington D.C., National Gallery of Art, Samuel H. Kress Collection, 1957.14.330 - Orfeo riporta Euridice, placchetta di bronzo, fine sec. XV-inizio sec. XVI. Washington D.C., National Gallery of Art, Samuel H. Kress Collection, 1957.14.331 - (attrib.) Orfeo perde Euridice, placchetta di bronzo, fine sec. XV-inizio sec. XVI. Washington D.C., National Gallery of Art, Samuel H. Kress Collection, 1957.14.332 391 APPENDICE II Orfeo incanti gli animali campestri, placchetta di bronzo, fine sec. XV-inizio sec. XVI. Washington D.C., National Gallery of Art, Samuel H. Kress Collection, 1957.14.333 - (attrib.) Orfeo e gli animali, placchetta di bronzo, fine sec. XV-inizio sec. XVI. Washington D.C., National Gallery of Art, Widener Collection, 1942.9.248 - (attrib.) La morte di Orfeo, placchetta di bronzo, fine sec. XV-inizio sec. XVI. Washington D.C., National Gallery of Art, Samuel H. Kress Collection, 1957.14.334 - La morte di Orfeo, placchetta di bronzo, inizio sec. XVI. Firenze, Bargello Pseudo-Melioli, - Orfeo e gli animali, placchetta di bronzo, fine sec. XV-inizio sec. XVI. Washington D.C., National Gallery of Art, Samuel H. Kress Collection, 1957.14.206 Anonimo milanese - Orfeo incanta gli animali con l’arpa, placchetta, 1480-90. London, Victoria and Albert Museum, A462.1910 - Orfeo incanta gli animali con la lira da braccio, placchetta, 1480-90. London, Victoria and Albert Museum, A462.1910 Anonimo italiano del nord, - Orfeo e gli animali, placchetta d’oro, 1490-1500. London, Victoria and Albert Museum, 76.1904 Anonimo - La morte di Orfeo, placchetta di piombo, 2a metà sec. XVI. - MAIOLICA Nicola da Urbino / Timoteo della Vite / Francia (attribuito a) - Euridice e Aristeo, piatto, 1515-17. Venezia, Museo Correr - Orfeo e Caronte, piatto, 1515-17. Venezia, Museo Correr - Orfeo ed Euridice nell’Ade, piatto, 1515-17. Venezia, Museo Correr - Orfeo e gli animali, piatto, 1515-17. Venezia, Museo Correr - La morte di Orfeo, piatto, 1515-17. Venezia, Museo Correr Xanto Avelli da Rovigo, Francesco - Orfeo nell’Ade, terrina, 1532. London, Wallace Collection Anonimo (Urbino) - Orfeo sente della morte di Euridice, piatto, 1545. London, British Museum, MLA 1878, 1230, 441 Anonimo (Urbino) - Orfeo e gli animali con Cupido, piatto, ca. 1525-30. London, collezione privata Anonimo italiano - Orfeo suona la lira, brocca, 1540. London, Victoria and Albert Museum Anonimo (Urbino / Studio di Fontana), - Orfeo e gli animali, piatto, ca. 1565. London, Victoria and Albert Museum 392 ELENCO DI PRESENZE DI ORFEO NELLE ARTI VISIVE Anonimo (Deruta) - Orfeo e gli animali con Amore, piatto, inizio sec. XVI. Paris, Musée du Louvre, no. OA 1629 Anonimo (Deruta) - Orfeo e gli animali con Euridice e Amore, piatto, inizio sec. XVI. Lyon, Musée des Arts Décoratifs Anonimo (Deruta) - Orfeo porta Euridice dall’Ade con animali, piatto, inizio sec. XVI. Paris, Musée de Cluny, no. 2424 Anonimo (Deruta) - Orfeo porta Euridice dall’Ade, piatto, inizio sec. XVI. Paris, Musée du Louvre, no. OA 1726 Anonimo (Faenza) - Orfeo si volge ed Euridice è tirata nell’Ade, piatto, ca. 1535. XILOGRAFIE Edizioni della Fabula di Orfeo di Poliziano Anonimo - Orfeo e gli animali, xilografia in: Poliziano, Cose vulgare, Bologna, 1494. - Aristeo insegue Euridice, xilografia in: Poliziano, Cose vulgare, Bologna, 1494. - Aristeo e gli altri pastori, xilografia in: Poliziano, Cose vulgare, Bologna, 1494. - Orfeo entra l’Ade, xilografia in: Poliziano, Cose vulgare, Bologna, 1494. - Orfeo disarcionato da una baccante(?) infuriata, xilografia in: Poliziano, Cose vulgare, Bologna, 1494. - Riunione di Orfeo ed Euridice, xilografia in: Poliziano, Cose vulgare, Bologna, 1494. (Sander 5815) Anonimo - Il matrimonio di Orfeo ed Euridice, illustrazione per la Historia di Orpheo et Euridice, Firenze, ca. 1500-1510 - Aristeo ed Euridice, illustrazione per la Historia di Orpheo et Euridice, Firenze, ca. 15001510 - Orfeo e gli animali, illustrazione per la Historia di Orpheo et Euridice, Firenze, ca. 15001510 - Morte di Orfeo, illustrazione per la Historia di Orpheo et Euridice, Firenze, ca. 1500-1510. (Sander 5219) Cantari Anonimo, - Orfeo sta per suonare la lira da braccio, xilografia in: La Istoria & favola di Orfeo, Siena, ca. 1510-20 (Sander 5220) 393 APPENDICE II Anonimo, - Un uomo (Orfeo?) suona per cani e uomini, xilografia, 72 x 118 mm, in: La Historia et favola d’Orfeo, per Jacopo Privio da Villa Basilica, [Firenze] (Sander 5221) Anonimo, - Orfeo suona per gli animali, xilografia, 104 x 76 mm, in: La historia de Orpheo, [Roma] (Sander 5222) Anonimo, - Orfeo e Cerbero, xilografia, 83 x 112 mm, in: Historia de Orpheo, Venezia, Fr. Bindoni & M. Pasini, 1550 (Sander 5223) (imitazione/copia di Justiniano, Sventurato Pellegrino, 1506) Anonimo, - Orfeo suona il violino per quattro donne e un cane, xilografia in: La historia et favola di Orpheo, Firenze, presso al Vescovado, 1558 (Sander 5224) Anonimo, - Orfeo suona il violino per uomini e cani, xilografia in: La historia et favola d’Orpheo, presso al Vescovado, 1567 [e 1569] (Sander 5225) - Altre edizioni della stessa opera: Firenze, Lorenzo Arnesi, 1581; Firenze, 1583; Firenze, Alla Scale di badia, 1610 (altra xilografia, 72 x 118 mm); Firenze, Ad istanza di Iacopo Perini, s.a.; e.a. (Sander 5225) Anonimo, - Orfeo suona per gli animali, xilografia, 110 x 122 mm, in: Tractato de Orpheo fiol del sole et de Euridice sua sposa, Firenze, ca. 1500 (Sander 5226) Anonimo, - Orfeo suona per gli animali e gli abitanti dell’Ade, xilografia, 125 x 113 mm, in: Tractato de Orpheo fiolo del sole e de Euridice sua sposa, Firenze (?), ca. 1520 (Sander 5227) Altri testi Anonimo, - Orfeo e Cerbero alla porta dell’Ade, xilografia, 107 x 114 mm, in: Leonardo Justiniano, Canzonette e Strambotti d’Amore, Venezia, Melchior Sessa, 1506 (Sander 3701) Anonimo, - Orfeo porta Euridice dall’Ade (copia di Marcantonio Raimondi), xilografia, 91 x 71 mm, in: Baldassare Olympo da Sassoferrato, Ardelia, Venezia, Nicolo Zoppino e Vicenzo de Polo, 1522 (Sander 5132) Anonimo, - Orfeo suona per gli abitanti dell’Ade, illustrazione per: Pamphilo Sasso, Strambotti, Venezia, 1522 (Sander 6752) Anonimo, - Orfeo e gli animali, illustrazione per: Luigi Pulci, Strambotti e Fioretti Nobilissimi d’amore, Venezia, ca. 1510 (Sander 6055) 394 ELENCO DI PRESENZE DI ORFEO NELLE ARTI VISIVE Edizioni delle Metamorfosi di Ovidio Giovanni dei Bonsignori Anonimo Veneziano - Matrimonio di Orfeo ed Euridice, xilografia in Giovanni dei Bonsignori, Ovidio Metamorphoseos vulgare, Venezia, Giovanni Rosso, 1497 - Orfeo e gli animali, xilografia in Giovanni dei Bonsignori, Ovidio Metamorphoseos vulgare, Venezia, Giovanni Rosso, 1497 - La morte di Orfeo, xilografia in Giovanni dei Bonsignori, Ovidio Metamorphoseos vulgare, Venezia, Giovanni Rosso, 1497 (Sander 5330) (idem nelle edizioni del 1501; 1508; 1517 (immagine speculare; secondo Sander copie dell’edizione latina del 1517) Anonimo, - Matrimonio di Orfeo ed Euridice, xilografia in Giovanni dei Bonsignori, Ovidio Metamorphoseos vulgare, Milano, Al. Minutianus, 1519 - Orfeo e gli animali, xilografia in Giovanni dei Bonsignori, Ovidio Metamorphoseos vulgare, Milano, Al. Minutianus, 1519 - La morte di Orfeo, xilografia in Giovanni dei Bonsignori, Ovidio Metamorphoseos vulgare, Milano, Al. Minutianus, 1519 (copie indirette dell’edizione del 1497) Anonimo, - Matrimonio di Orfeo ed Euridice, xilografia in Giovanni dei Bonsignori, Ovidio Metamorphoseos vulgare, Milano, Rocho & Fratello da Valle, 1520 - Orfeo e gli animali, xilografia in Giovanni dei Bonsignori, Ovidio Metamorphoseos vulgare, Milano, Rocho & Fratello da Valle, 1520 - La morte di Orfeo, xilografia in Giovanni dei Bonsignori, Ovidio Metamorphoseos vulgare, Milano, Rocho & Fratello da Valle, 1520 (copie indirette dell’edizione del 1497) Edizione latina di Raffaele Regio Anonimo Veneziano - Matrimonio di Orfeo ed Euridice, xilografia per le Metamorfosi di Ovidio, stampate da Rusconi, 1509 (1510, 1517). / 1521 - Orfeo suonando di fronte agli animali, xilografia per le Metamorfosi di Ovidio, stampate da Rusconi, 1509 (1510, 1517). / 1521 - Morte di Orfeo, xilografia per le Metamorfosi di Ovidio, stampate da Rusconi, 1509 (1510, 1517). / 1521 Lorenzo Spirito Anonimo, - La morte di Orfeo, xilografia in: Lorenzo Spirito Gualtieri, Ovidio Metamorphoseos vulgare in terza rima, Perugia, Hieronimo di Franc. Cartolaro & Bianchino del Leone, 1519 395 APPENDICE II - Le baccanti si trasformano in alberi, xilografia in: Lorenzo Spirito Gualtieri, Ovidio Metamorphoseos vulgare in terza rima, Perugia, Hieronimo di Franc. Cartolaro & Bianchino del Leone, 1519 Nicolò degli Agostini Anonimo, - Orfeo nell’Ade, xilografia in: Nicolò degli Agostini, Ovidio Metamorphoseos in verso vulgar, Venezia, N. Zoppino, 1522 - Canto di Orpheo, xilografia in: Nicolò degli Agostini, Ovidio Metamorphoseos in verso vulgar, Venezia, N. Zoppino, 1522 (idem nella seconda edizione del 1533; nella terza edizione del 1537; nella quinta edizione del 1547) Anonimo, - Orfeo nell’Ade, xilografia in: Nicolò degli Agostini, Ovidio Metamorphoseos in verso vulgar, Venezia, Bernard. Bindoni, 1538 - Canto di Orpheo, xilografia in: Nicolò degli Agostini, Ovidio Metamorphoseos in verso vulgar, Venezia, Bernard. Bindoni, 1538 (idem nella sesta e ultima edizione del 1548) Ludovico Dolce Anonimo, - Matrimonio di Orfeo ed Euridice, xilografia in: Lodovico Dolce, Trasformationi, Venezia, Gabriel Giolito, 1553 - Orfeo e gli animali, xilografia in: Lodovico Dolce, Trasformationi, Venezia, Gabriel Giolito, 1553 - Morte di Orfeo, xilografia in: Lodovico Dolce, Trasformationi, Venezia, Gabriel Giolito, 1553 (idem nelle edizioni del 15532; 1555; 1557; 1558?; 1561; qualche volta con una cornice diversa) Giovan Andrea dell’Anguillara Anonimo, - Orfeo suona la lira da braccio mentre due donne si avvicinano, xilografia in: Giovan Andrea dell’Anguillara, Le Metamorfosi ridotte in ottava rima, Venezia, Giovanni Griffio, 1561 - La morte di Orfeo, xilografia in: Giovan Andrea dell’Anguillara, Le Metamorfosi ridotte in ottava rima, Venezia, Giovanni Griffio, 1561 Franco, Giacomo - Scene dalle Metamorfosi libro X con Orfeo, incisione su rame in: Giovan Andrea dell’Anguillara, Le Metamorfosi ridotte in ottava rima, Venezia, B. Giunti, 1584 - Scene dalle Metamorfosi libro XI con Orfeo, incisione su rame in: Giovan Andrea dell’Anguillara, Le Metamorfosi ridotte in ottava rima, Venezia, B. Giunti, 1584 (copie si trovano nelle edizioni del 1592, 1601, 1607 e 1677) 396 ELENCO DI PRESENZE DI ORFEO NELLE ARTI VISIVE DIPINTI Perugino, P. (scuola di), - Orfeo ed Euridice, dipinto, ca. 1500. Costa, Lorenzo (-1535) - Cosmos e gli altri dei con Orfeo, quadro a tempera, 1506-12. Paris, Musée du Louvre, no. 1262 o 1256 - La corte delle Muse di Isabella d’Este con Orfeo (?), pittura, ca. 1505. Paris, Musée du Louvre, no. 1261 - Trionfo della morte con Orfeo (?), affresco. Bologna, S. Petronio, Cappella di Bentivoglio Bellini, Giovanni (cerchia di) - Orfeo e Circe, pittura a olio e tempera, ca. 1500-10 of 1510/15. Washington D.C., National Gallery of Art, Widener Collection, 1942.9.2 (no. 592) Tiziano Vecellio - (Orfeo e) Euridice, pittura a olio, ca. 1508-10. Bergamo, Galleria dell’Accademia Carrara, no. 205 - La lacerazione di Marsia con Orfeo e altre figure mitologiche, pittura a olio, ca. 1570-75. Kremsier, Erzbischöflicher Palais Anonimo Veneziano (Vittore Carpaccio o Girolamo Mocetto) / Michele da Verona - Orfeo, pittura a olio, ca. 1500. Krakóv, Wawel (già: Wien, Collezione Lanckoronski) Piero di Cosimo - Orfeo e gli animali, pittura a olio su legno, 1510-15. Collezione Sternberk, no. ST 206 Giorgione (-1510) - Orfeo, copia da David Teniers, prima a New York, Suida Collection (perso) - Orfeo nell’Ade (perso) - Lukas Vorsterman: imitazione di Giorgione, Orfeo, incisione, originale ca. 1509/10 Bronzino, Angelo (1503-1572) - Cosimo I de’ Medici come Orfeo, pittura a olio, 1537-40. Philadelphia Museum of Art, Johnson Collection Tintoretto, Jacopo - Orfeo e Plutone, pittura a olio, 1540-41. Modena, Galleria Estense Giovanni, Giorgio di, - Orfeo e gli animali, pittura, ca. 1530-35. Praga? Bonifacio Veronese (1487-ca. 1553), - Il trionfo dell’Amore (con Orfeo), dipinto?. Wien, Museo Imperiale? Schiavone, Andrea, - Orfeo nell’Ade, pittura a olio. Split, Kunstgalerie/Galleria Unijetnina Bassano, Francesco (-1592) - Orfeo, pittura a olio. Roma, Galleria Doria Pamphilj, no. 5367 o 125 - Orfeo e gli animali, pittura a olio, ca. 1590. Vicenza, Pinacoteca - (?) Orfeo e gli animali, pittura a olio 99x140 cm. - (?) Orfeo e gli animali, pittura a olio 40x108 cm. 397 APPENDICE II - (Atelier di Francesco jr.) Orfeo e gli animali, pittura a olio 120x155 cm. Nicolò dell’Abate, - Aristeo ed Euridice, pittura, ca. 1560-70. London, National Gallery Anonimo veneziano, - Orfeo e gli animali, pittura a olio, ca. 1575. Madrid, Prado Carracci, Ludovico - Orfeo ed Euridice, pittura. New York, Sotheby’s, nr. 117 (30-01-1998) Scuola veneziana - Orfeo, pittura, sec. XVI, London, Wellington Museum Luini, B. (?) (-1532), - Orfeo ed Euridice, due episodi, pittura. Prima nella Collezione Somzée Romano, Giulio - (?)La morte di Euridice, pittura a olio, 1536-38. Sestri Levante, Collezione Ferdinando Rizzi ALTRO Anonimo (nord dell’Italia) - Orfeo e gli animali, scatola d’argento, ca. 1500 Francesco di Giorgio (Martini) - Adamo (ossia Orfeo?) e gli animali, intarsio di marmora, ca. 1488 o 1491-1500. Siena, Chiesa di San Domenico, Cappella di Catarina Cellini, Benvenuto (1515-71) (?) - Orfeo, piatto argenteo dei Medici. Firenze, Palazzo Pitti, Museo degli Argenti Anonimo - Orfeo (dettaglio di organo idraulico). Tivoli, Villa d’Este, organo idraulico Nigrone, Giovanni Antonio - Fontana murale con musicista (Orfeo?), disegno nel libro Scritti e disegni?, ca. 1590. Napoli, Biblioteca Nazionale MS. XII. G. 59-60 - Fontana murale con Orfeo e gli animali, disegno nel libro Scritti e disegni?, ca. 1590. Napoli, Biblioteca Nazionale MS. XII. G. 59-60 Seguace dei fratelli Dossi - Orfeo e gli animali, ca. 1520. Luzern, Fischer Collection Anonimo (Italia settentrionale) - Campanello da tavola con Orfeo, bronzo, inizio sec. XVI. Washington D.C., National Gallery of Art, Samuel H. Kress Collection, 1957.14.117 Anonimo (Italia settentrionale) - Campanello con Orfeo, bronzo a patina scura cesellato, sec. XVI. Venezia, Museo Correr, sala 20, inv. Cl. XI n. 1311 398 APPENDICE III. Paragone della Fabula di Orfeo e delle sue imitazioni (ad cap. 4) Poliziano, Fabula di Anonimo, Orphei Anonimo, La favola di Anonimo, La historia Orfeo (ca. 1471-80 / Tragoedia (ca. 1485?) Orfeo e Aristeo (fine et favola d’Orpheo 1a edizione a stampa sec. XV / inizio sec. (1567) 1494) XVI) (rappresentazione teatrale senza divisione in atti; 342 versi) (rappresentazione teatrale in 5 atti; (rappresentazione teatrale in 5 atti; 1456 versi) (cantare in ottava rima; narrativo; 768 versi, 96 ottave) Riassunto della storia da parte di Mercurio Argumentum: Riassunto della storia da parte di Mercurio (imitazione quasi letterale) Atto I: racconto di Mercurio sull’amore paterno. Apollo chiede in dono a Mercurio la cetra per suo figlio Orfeo; il pastore Silio racconta che Orfeo incanta la natura con la lira ed insegna alle donne di sacrificare a Bacco; Orfeo persuade Diana con la sua musica a dargli Euridice come moglie; canto nuziale per Orfeo ed Euridice (aggiunta) I-II: Riassunto della storia da parte del narratore (imitazione letterale) Atto II: Scena pastorale (Mopso, Aristeo, Thirso) Mopso si compiange di aver mangiato troppo alle nozze; discorso su vitello perduto; (adattamento/imitazion e letterale) III-XVII: Invocazione di Cristo e Apollo. Descrizione della discendenza di Orfeo da Apollo e Calliope; Orfeo impara a suonare la viola da Mercurio; l’effetto della musica sulla natura; Orfeo conquista Euridice con il suo canto; il pastore Aristeo s’innamora di Scena pastorale (Mopso, Aristeo, Tirsi) discorso su vitello perduto, ninfa, amore di Aristeo per Euridice Actus primus, pastoricus: Scena pastorale (Mopsus, Aristeus, Thyrsis) discorso su vitello perduto, ninfa, amore di Aristeo per Euridice (imitazione quasi letterale) 399 80 ottave: omissione 88 ottave: omissione APPENDICE III Euridice (aggiunta/sostituzione) Canzone di Aristeo sull’amore per Euridice indirizzata alle selve Actus secundus, Canzone di Aristeo nymphas habet: sull’amore per Euridice Canzone di Aristeo (imitazione libera) sull’amore per Euridice indirizzata alle selve (imitazione quasi letterale) XVIII-XXI: Canzone di Aristeo sull’amore per Euridice (imitazione quasi letterale) Seguito del discorso sul (omissione) vitello, sulla nimfa, Aristeo ha l’intenzione d’inseguirla; gli altri pastori cercano di dissuadergli del suo piano (imitazione letterale/libera) (omissione) Seguito del discorso sul vitello, sulla nimfa, Aristeo ha l’intenzione d’inseguirla; gli altri pastori cercano di dissuadergli del suo piano Inseguimento di Euridice da parte di Aristeo Una driade racconta alle altre driadi della morte di Euridice da un morso di serpente; il coro delle driadi canta una canzone funebre; una driade annunzia che Orfeo sta avvicinandosi e ordina alle altre driadi di coprire Euridice con fiori (aggiunta/sostituzione) Una Ninfa racconta ai pastori dell’inseguimento di Euridice da parte di Aristeo, della sua morte da un morso di serpente e del dolore di Aristeo; le nimfe seppelliscono Euridice (adattamento/aggiunta) XXII-XXV: Descrizione della fuga di Euridice e della sua morte da un morso di serpente (adattamento) (FT1: Canzone di Orfeo in latino) Actus tertius, heroicus: Canzone di Orfeo in latino (solo 4 versi) (adattamento) (omissione) XXVI: Descrizione di Orfeo che canta in latino sulla vetta di un monte e che sente della morte di Euridice (adattamento) Notizia della morte di Euridice: Atto III: Notizia della Notizia della morte di Euridice (da parte della morte di Euridice driade) (imitazione libera) (imitazione quasi letterale) 400 XXVII: Notizia della morte di Euridice (imitazione letterale) PARAGONE DELLA FABULA E DELLE SUE IMITAZIONI XXVIII-XXXV: Divagazione su Orfeo che viene confrontato con la morte di Euridice (aggiunta) Il satiro Mnasyllus racconta come Orfeo si ritira per piangere Euridice (aggiunta) Lamento di Orfeo: Lamento di Orfeo (imitazione quasi letterale) Lamento di Orfeo: (imitazione libera) XXXVI-XXXVII: Lamento di Orfeo: (imitazione letterale) Il satiro dice che Orfeo tornerà mai dagli Inferi (aggiunta) XXXVIII-XLIV: Descrizione della discesa; l’aspetto di Caronte; supplica a Caronte; incontro con Cerbero e inizio della supplica a Cerbero (aggiunta) Seguito del lamento di Actus quartus, Lamento di Orfeo Orfeo indirizzato a necromanticus: Seguito indirizzato a Cerbero Cerbero del lamento di Orfeo indirizzato a Cerbero (imitazione quasi letterale) XLV: Seguito del lamento di Orfeo indirizzato a Cerbero (imitazione letterale) XLVI: Descrizione dell’incontro con le Furie (aggiunta) (omissione) Seguito del lamento di Seguito del lamento di Orfeo indirizzato alle Orfeo indirizzato alle Furie Furie (imitazione quasi letterale) XLVII: Seguito del lamento di Orfeo indirizzato alle Furie (imitazione letterale) XLVIII-L: Descrizione del passare di Cerbero; incontro con Minosse e Plutone (aggiunta) Reazione di Plutone (FT1: + reazione di Minosse) Reazione di Plutone (imitazione quasi letterale) (omissione) Proserpina chiede a suo marito di ascoltare il 401 LI-LII: Reazione di Plutone e Minosse (imitazione letterale) LIII-LVI: Descrizione della persuasione di APPENDICE III canto (aggiunta) Supplica di Orfeo a Plutone Supplica di Orfeo a Plutone (imitazione quasi letterale) Minosse e del raggiungimento del trono di Plutone e Proserpina (aggiunta) Supplica di Orfeo a Caronte e Plutone (imitazione libera/adattamento) LVII-LXI: Supplica di Orfeo a Plutone (imitazione letterale) LXII-LXVI: Descrizione della reazione dei peccatori agli Inferi e della supplica a Proserpina (aggiunta) Reazione di Proserpina Reazione di Proserpina (imitazione quasi letterale/libera) (omissione) LXVII: Reazione di Proserpina (imitazione letterale) 80 ottave: omissione 88 ottave: omissione LXVIII-LXX: Seguito della reazione di Proserpina e risposta di Plutone; descrizione della liberazione di Euridice (aggiunta) LXXI: Reazione di Plutone (imitazione letterale) Reazione di Plutone Reazione di Plutone (imitazione quasi letterale/libera) Reazione di Plutone (imitazione libera) (FT1: Canzone trionfale di Orfeo in latino) Canzone trionfale di Orfeo in latino (imitazione letterale, fuorché l’ultimo verso) Orfeo ringrazia Plutone LXXII-LXXIV: Seguito (sostituzione) della reazione di Plutone; Orfeo ringrazia Plutone e gli altri; descrizione della gioia di Orfeo e del suo sguardo indietro; perduta di Euridice (aggiunta/sostituzione) Lamento di Euridice sulla sua seconda Lamento di Euridice Lamento di Euridice (omissione) sulla sua seconda morte sulla sua seconda morte 402 PARAGONE DELLA FABULA E DELLE SUE IMITAZIONI morte (imitazione quasi letterale) (imitazione libera) Reazione di Orfeo Lamento di Orfeo sulla seconda morte di basata su Boezio Euridice e intenzione (sostituzione) di scendere di nuovo agli Inferi Lamento di Orfeo a Euridice sulla morte di lei (imitazione libera/ adattamento) Una Furia vieta Orfeo di entrare Tisifone (una Furia) vieta Orfeo di entrare (imitazione libera) Supplica a Caronte e reazione di Caronte (sostituzione) LXXV-LXXIX: Tentativo di scendere di nuovo, ma vietato da Caronte e Cerbero; descrizione del lutto e (del) lamento di Orfeo; tutti gli animali si radunano ad ascoltare (aggiunta/sostituzione/ adattamento) Canzone di Orfeo sulla perdita di Euridice, sull’amore per ragazzi, esortazione a un’avversione dalle donne, esempi mitologici: Canzone di Orfeo sulla perdita di Euridice, sull’amore per cogliere i fiori, esortazione a un’avversione dalle donne (imitazione letterale/ adattamento / omissione) Canzone di Orfeo sul dolore, esortazione a un’avversione dalle donne: (imitazione libera/omissione) LXXX-LXXXIII: Canzone di Orfeo sulla perdita di Euridice, sull’amore per ragazzi, esortazione a un’avversione dalle donne, esempi mitologici: (imitazione letterale) 80 ottave: omissione 88 ottave: omissione Historia di Orpheo: ‘peccato di sodomia’ Argastro e Clitero discutono l’effetto del canto sugli uomini e sulla natura (aggiunta) LXXXIV-LXXXVII: Spiegazione dell’omosessualità di Orfeo e intenzione delle donne a uccidere Orfeo (aggiunta) 80 ottave: fuor di misura (invece di ‘contra natura’); omissione di LXXXV- 403 APPENDICE III LXXXVII Le Baccanti descrivono l’assalto e la morte di Orfeo Le Baccanti descrivono l’assalto e la morte di Orfeo (imitazione libera/quasi letterale) Mirtillo descrive la morte di Orfeo da parte delle Baccanti e incita loro a fuggire (adattamento/aggiunta) LXXXVIII: Le Baccanti descrivono l’assalto di Orfeo (imitazione letterale) LXXXIX-XCII: Le pietre non feriscono Orfeo, ma cadono per terra, quasi assopite dal suo canto. Le donne vincono il canto con le loro chiamate. I contadini fuggono. (aggiunta) 80 ottave: omissione 88 ottave: omissione di LXXXVIII XCIII-XCIV: La natura intera piange della morte di Orfeo e gli animali difendono il suo corpo (aggiunta) 80 ottave: omissione; descrizione diversa dell’uccisione di Orfeo invece di XCIV Le Baccanti cantano le Le Baccanti cantano le lodi di Bacco lodi di Bacco (imitazione quasi letterale, fuorché la prima strofa) Mirtillo dice che la lira e la testa di Orfeo sono stati buttati nel fiume. (aggiunta) XCV: Il corpo è stato buttato nel fiume; si muove verso Lesbos. La testa è quasi mangiata da un serpente. (aggiunta) Le Baccanti cantano le lodi di Bacco (imitazione libera) XCVI: Fine: il rivedersi agli Inferi e la morale del racconto (aggiunta/sostituzione) Atto IV: la fortuna di Aristeo e delle sue api 404 PARAGONE DELLA FABULA E DELLE SUE IMITAZIONI (aggiunta) Atto V: Bacco punisce le Baccanti trasformandole in alberi; Apollo e Bacco cercano la testa di Orfeo e la salvano dal serpente; seguito della fortuna di Aristeo; la lira di Orfeo diventa una costellazione (aggiunta) 405 APPENDICE IV. Paragone delle traduzioni delle Metamorfosi (ad cap. 5) Ludovico Dolce (1553) Giovan Andrea dell’Anguillara (1561) Libro XX L’arrivo di Imeneo e i presagi infelici del matrimonio di Orfeo ed Euridice Euridice muore da un morso di serpente in compagnia delle amiche Libro X Venere e Imeneo vanno ad ascoltare il canto di Orfeo; Orfeo nacque da Apollo e Calliope; ottenne la lira da suo padre e imparò a suonare; incantò la natura; l’arrivo di Imeneo e i presagi infelici del matrimonio di Orfeo ed Euridice Euridice muore da un morso di serpente in compagnia delle amiche --- Orfeo discende nell’Ade Orfeo discende nell’Ade --- Orazione di Orfeo per far ritornare Euridice Orazione di Orfeo per far ritornare Euridice --- Il canto muove gli spiriti infernali Il canto muove gli spiriti infernali Lorenzo Spirito (1519) Ovidio Giovanni dei Bonsignori (137577/1497) Niccolò degli Agostini (1522) Liber X L’arrivo di Imeneo e i presagi infelici del matrimonio di Orfeo ed Euridice Libro decimo Capitulo I: L’arrivo di Imeneo e i presagi infelici del matrimonio di Orfeo ed Euridice Libro X L’arrivo di Imeneo e i presagi infelici del matrimonio di Orfeo ed Euridice Euridice muore da un morso di serpente in compagnia delle amiche Capitulo II: Aristeo insegue Euridice ed essa muore da un morso di serpente Capitulo III: Orfeo discende nell’Ade (passa Cerbero) Capitulo IV: Orazione di Orfeo per far ritornare Euridice (non ‘come fece Enea’) Il canto muove gli spiriti infernali Aristeo insegue Euridice ed essa muore da un morso di serpente --- Orfeo discende nell’Ade (passa Cerbero) Orazione di Orfeo per far ritornare Euridice (non ‘come fece Enea’) Orfeo discende nell’Ade Orazione di Orfeo per far ritornare Euridice Il canto muove gli spiriti infernali Il canto muove gli spiriti infernali --- 407 APPENDICE IV Orfeo può riportarsi Euridice Per troppo amore Orfeo guarda indietro e perde Euridice; Euridice non si lamenta del marito Orfeo si stupisce della seconda morte di Euridice, come l’uomo che vide Cerbero e come Oleno e Letea si impietrirono Caronte proibisce Orfeo di entrare di nuovo nell’Ade Orfeo piange Orfeo rinuncia alle donne e si abandona all’amore omosessuale Capitulo V: Orfeo può riportarsi Euridice Temendo che la moglie sia stanca Orfeo guarda indietro e perde Euridice; Euridice non si cura del marito Allegoria A (Orfeo) Capitulo VI: Orfeo si stupisce della seconda morte di Euridice, come l’uomo che vide Cerbero e come Oleno e Oleta si impietrirono Allegoria B (Ercole e Cerbero) Allegoria C (Oleno ed Oleta) Capitulo VII: Cerbero proibisce Orfeo di entrare di nuovo nell’Ade Orfeo piange (nell’isola di Rodope) Orfeo rinuncia alle donne e si abandona all’amore omosessuale Orfeo può riportarsi Euridice --- Orfeo può riportarsi Euridice Orfeo può riportarsi Euridice Per vedere Euridice Orfeo guarda indietro e la perde; siccome Euridice è morta non si cura del marito Allegoria di Orpheo et Euridice Orfeo si stupisce della seconda morte di Euridice come Oleno e Letea si impietrirono --- Temendo che la moglie cada Orfeo guarda indietro e perde Euridice Ricordandosi della ferita di Euridice al piede Orfeo guarda indietro e la perde --- --- --- --- Orfeo si stupisce della seconda morte di Euridice, come l’uomo che vide Cerbero e si impietrì da paura Orfeo si stupisce della seconda morte di Euridice, come l’uomo che vide Cerbero e come Oleno e Letea si impietrirono --- --- --- --- Allegoria di Oleno mutato in sasso --- --- --- Cerbero proibisce Orfeo di entrare di nuovo nell’Ade --- Caronte proibisce Orfeo di entrare di nuovo nell’Ade Caronte proibisce Orfeo di entrare di nuovo nell’Ade Orfeo piange (sul monte Rodope) Orfeo rinuncia alle donne e si abandona all’amore omosessuale --- Orfeo piange Orfeo piange --- Orfeo rinuncia alle donne e si abandona all’amore omosessuale Orfeo rinuncia alle donne e si abandona all’amore omosessuale per alzare l’anima alla ‘superna 408 PARAGONE DELLE TRADUZIONI DELLE METAMORFOSI Il canto di Orfeo commuove gli alberi e alcuni animali Liber XI Il canto di Orfeo commuove gli alberi --- --(1561 e dopo: Allegoria) --(1563 e dopo: Annotationi di Giuseppe Horologgi) Libro XI Libro XI Libro XXI Libro XI Riassunto: fino a questo momento Ovidio fece cantare Orfeo Le Baccanti aggredono Orfeo --- --- --- Cap. 1: Como il serpente fu converso in saxo: Le Baccanti aggredono Orfeo Aggredono Orfeo come uccelli notturni, cani o altri animali strani Le Baccanti prendono gli strumenti lasciati dai contadini impauriti e uccidono Orfeo La natura rimpiange la morte di Orfeo Niente è più crudele della donna disprezzata (tre ottave) Le Baccanti aggredono Orfeo --- --- Aggredono Orfeo come gli animali diurni aggredono gli animali notturni Le Baccanti prendono gli strumenti lasciati dai contadini impauriti e uccidono Orfeo La natura rimpiange la morte di Orfeo La natura rimpiange la morte di Orfeo La testa e la lira galleggiano sull’acqua La testa e la lira galleggiano sull’acqua Il canto di Orfeo commuove gli alberi e alcuni animali Allegoria de Athis Libro undecimo Capitulo I: riassunto dei canti di Orfeo Capitulo II: Le Baccanti aggredono Orfeo Paragone con uccelli aggrediti o animali nell’arena Capitulo III: Gli uccelli si radunano intorno a Orfeo e lo difendono Le Baccanti prendono gli strumenti lasciati dai contadini impauriti e uccidono Orfeo Le Baccanti prendono gli strumenti lasciati dai contadini impauriti e uccidono Orfeo --- Capitulo VIII: Il canto di Orfeo commuove gli alberi Allegoria D (Orfeo e Atin) Le Baccanti aggredono Orfeo La natura rimpiange la morte di Orfeo La natura rimpiange la morte di Orfeo e smembra il cantante La testa e la lira galleggiano sull’acqua La testa e la lira galleggiano sull’acqua sede’ Il canto di Orfeo commuove gli alberi --- Le Baccanti prendono gli strumenti lasciati dai contadini impauriti e uccidono Orfeo Gli uccelli e gli animali se ne vanno e la natura rimpiange la morte di Orfeo Gli animali ecc. mettono il corpo di Orfeo La testa e la lira galleggiano 409 APPENDICE IV dell’Ebro e cantano; arrivano a Lesbo dell’Ebro e cantano; arrivano a Lesbo e la lira nell’acqua dell’Ebro Apollo salva la testa da un serpente ed impietrisce l’animale Capitulo IV: Apollo salva la testa da un serpente ed impietrisce l’animale L’anima di Orfeo discende nell’Ade; Orfeo ed Euridice sono riuniti nei Campi Elisi L’anima di Orfeo discende nell’Ade; Orfeo ed Euridice sono riuniti nei Campi Elisi Del serpente mutato in sasso: Apollo salva la testa da un serpente ed impietrisce l’animale L’anima di Orfeo discende nell’Ade; Orfeo ed Euridice sono riuniti nei Campi Elisi Bacco trasforma le Baccanti in alberi Allegoria A (serpente e morte di Orfeo) Capitulo V: Bacco trasforma le Baccanti in alberi Allegoria di Orpheo Allegoria B (donne) Allegoria delle Bacche in arbori Delle Bacche mutate in alberi: Bacco trasforma le Baccanti in alberi sull’acqua dell’Ebro e cantano; arrivano a Lesbo Apollo salva la testa da un serpente ed impietrisce l’animale dell’Ebro e cantano; arrivano a Lesbo dell’Ebro e cantano; arrivano a Lesbo Apollo salva la testa da un serpente ed impietrisce l’animale Apollo salva la testa da un serpente ed impietrisce l’animale L’anima di Orfeo discende nell’Ade; Orfeo ed Euridice sono riuniti nei Campi Elisi --- L’anima di Orfeo discende nell’Ade; Orfeo ed Euridice sono riuniti nei Campi Elisi L’anima di Orfeo discende nell’Ade; Orfeo ed Euridice sono riuniti nei Campi Elisi --- --- Bacco trasforma le Baccanti in alberi Bacco trasforma le Baccanti in alberi --- --(1563 e dopo: Annotationi di Giuseppe Horologgi) Cap. II: Como le donne che se trovorno alla morte de orpheo forono mutate inarbore: Bacco trasforma le Baccanti in alberi --- 410 APPENDICE V. Paragone dei libretti di Rinuccini e Striggio Poliziano, Fabula di Rinuccini, Euridice Orfeo (ca. 1471-80 / 1a (1600) Striggio, Orfeo (1607) Cambiamenti notevoli nella seconda versione edizione a stampa del 1609 (partitura di 1494) Monteverdi) (rappresentazione teatrale senza divisione in atti; 342 versi) (opera lirica senza divisione in atti) (opera lirica in 5 atti) Riassunto della storia da Prologo da parte della parte di Mercurio Tragedia Prologo da parte della Musica Scena pastorale (Mopso, Aristeo, Tirsi) discorso su vitello perduto, ninfa, amore di Aristeo per Euridice Scena pastorale (Arcetro, Tirsi, Aminta, ninfe ed Euridice) Tutti si rallegrano del fatto che Orfeo ed Euridice si sposano Atto I: scena pastorale (pastori e ninfe senza nome) Tutti si rallegrano del fatto che Orfeo ha vinto il cuore di Euridice; invocazione di Imeneo Canzone di Aristeo sull’amore per Euridice indirizzata alle selve Coro per invitare tutti alla festa di nozze Canzone da ballo Seguito del discorso sul vitello, sulla ninfa, Aristeo ha l’intenzione d’inseguirla; gli altri pastori cercano di dissuadergli del suo piano Seguito della scena pastorale: Orfeo parla con Arcetro e Tirsi dell’amore Seguito della scena pastorale: un pastore chiede a Orfeo di cantare una canzone allegra Inseguimento di Euridice da parte di Aristeo --- --- Canzone di Orfeo in latino --- Canzone gioiosa di Orfeo indirizzata al 411 APPENDICE V Sole Euridice non può esprimere la sua gioia; canzoni da ballo; invocazione a Imeneo; canzone del coro sulla natura Atto II: Orfeo tornato alle selve con i pastori; esaltano la natura amena del luogo Notizia della morte di Euridice: Lamento di Orfeo: Notizia della morte di Euridice da parte di Dafne Notizia della morte di Euridice da parte della Messaggiera Reazione di Arcetro Reazioni dei pastori Reazione di Orfeo: scendere agli inferi Reazione di Orfeo: scendere agli inferi Arcetro vuole seguire Orfeo, perché non si suicida; reazioni di pastori e ninfe La messaggera fugge dalla scena Canto doloroso del coro Canto doloroso del coro Discussione tra Arcetro e il coro: il pastore dice di aver visto l’arrivo di una dea per aiutare Orfeo Canzone del coro sulle cose che cambiano; esortazione dei pastori ad andare agli altari 412 PARAGONE DI RINUCCINI E STRIGGIO Venere mena Orfeo all’inferno Atto III: la Speranza mena Orfeo all’inferno Caronte ferma Orfeo Seguito del lamento di Orfeo indirizzato a Cerbero Canto di Orfeo Canto di Orfeo indirizzato a Caronte (sentito anche dagli dei infernali), durante il quale il traghettatore si addormenta Coro di spiriti infernali Seguito del lamento di Orfeo indirizzato alle Furie --- Reazione di Plutone Breve reazione di Plutone: chiede al cantante di presentarsi Supplica di Orfeo a Plutone Lunga orazione di Orfeo, interrotta due volte da Plutone Reazione di Proserpina Reazione di Proserpina Atto IV: Proserpina implora la pietà di Plutone Radamanto e Caronte cercano di convincere Plutone Reazione di Plutone Canzone trionfale di Orfeo in latino Reazione di Plutone Reazione di Plutone Coro di ombre e di dei infernali Coro di spiriti infernali e discussione tra Plutone e Proserpina --- Canzone di Orfeo in onore della sua cetra 413 APPENDICE V Lamento di Euridice sulla sua seconda morte --- Lamento di Orfeo sulla seconda morte di Euridice e intenzione di scendere di nuovo agli Inferi --- Rimprovero di uno spirito a Orfeo e lamento di Euridice sulla sua seconda morte Una Furia vieta Orfeo di --entrare Orfeo cerca di entrare di nuovo, ma è trattenuto Coro di spiriti Canzone di Orfeo sulla perdita di Euridice, sull’amore per ragazzi, esortazione a un’avversione dalle donne, esempi mitologici: --- Atto V: Canzone di Orfeo sulla perdita di Euridice, in cui esprime un’avversione dalle donne Atto V: Canzone di Orfeo sulla perdita di Euridice, in cui esprime un’avversione dalle donne (mancano gli ultimi quattro versi in cui Orfeo annuncia l’arrivo delle Baccanti) Le Baccanti descrivono l’assalto e la morte di Orfeo Ritorno alla scena Le Baccanti assalgono Orfeo, cantando le lodi pastorale: Arcetro e il di Bacco coro si preoccupano per la salute di Orfeo; Aminta appare per raccontare che Euridice vive; Orfeo ed Euridice spiegano cosa è successo nell’inferno; è lodato il potere dell’Amore Apollo discende in una nuvola per portare Orfeo con sé al cielo, dove vedrà le sembianze di Euridice nel sole e nelle stelle Le Baccanti cantano le lodi di Bacco Coro finale Coro finale Le Baccanti ripetono il loro canto in onore di Bacco 414 SUMMARY (RIASSUNTO IN INGLESE) The myth of Orpheus, the ancient hero who could enchant nature with his music and tried to bring back his beloved Eurydice from Hades, consists of many different elements. There is no single original Orpheus myth, but the story gradually developed in Antiquity, over time absorbing new elements and new turns. These elements often occur separately in texts and the visual arts, but are sometimes combined in a story as well. Thus Orpheus has become a complex figure with many aspects. This versatility is an important feature of his character, that causes his reception not to be uniform, but to take many different forms. Orpheus appears in many different types of texts, but also in the visual arts, and especially in plays and operas. Writers, visual artists and musicians often have views on the figure of Orpheus that differ strongly and often conflict with one another. These different and conflicting views are inherent to the diversity of the figure of Orpheus. People who use Orpheus in their works, often choose between the many stories about him. On the one hand this choice is often determined by the knowledge available: many a time a stereotipical view is copied from predecessors in the same genre. On the other hand, some artists are familiar with more aspects of Orpheus, but appear to deliberately select only those aspects that are appropriate for their argumentation. Orpheus is often seen and presented either as a positive character or as a negative character. Amongst his positive aspects are mainly reckoned his musical and poetical qualities and his ability to tame the beasts (i.e. to civilize human kind) with his song (eloquence). Besides, his participation in the voyage of the Argonauts and his status as a poet-theologian or philosopher are judged in a positive manner. Amongst his negative aspects are reckoned his love of wordly goods (Eurydice) and his looking back at these things, his homosexuality and his horrible death. The attempt to unite these conflicting images of Orpheus runs through his reception in Italy between 1300 and 1600 like a continuous thread. For example, authors tend to ignore his negative aspects or express their astonishment about the irreconcilability of the different characterizations of Orpheus; in some extreme cases they adjust the outcome of the myth. Except for the change of outcome, there are no major adjustments to the myth, like a complete change of characters, of the action or of the setting of the story in time and space. Most changes to the image of Orpheus stem from the possibilities which the myth as a whole offers. Many representations of Orpheus are inherent to the character itself. An author or an artist chooses from the existing possibilities and thus manipulates his own version of the myth. 415 RIASSUNTO IN INGLESE The origins of Orpheus (Chapter 1) According to some scholars the myth of Orpheus originated form Shamanist practices in northern Greece. From these practices the idea of Orpheus as a priest developed, who could cross the border between life and death. This role of Orpheus especially manifested itself in the religious movement of ORPHISM. In this movement Orpheus was seen as a historical figure. Besides, he was linked to other stories, in which he appears more as a mythological figure (even if this distinction wasn’t made at that time): he was an Argonaut, a famous singer, he descended into Hades to bring back his wife and was killed. In the earliest versions the myth probably had a happy ending: Orpheus managed to bring back Eurydice. From the famous versions of VIRGIL (Georgics) and OVID (Metamorphoses) on, the prohibition of turning around and the second loss of Eurydice were added. The love story thus got an unhappy ending: in Ovid’s version Orpheus became the first homosexual and in both versions he was torn to pieces by Menads in the end. Ovid somewhat mitigated this ending by reuniting the couple after death in Hades. Virgil and Ovid combined many elements of the myth in a long story: the power of music, Orpheus’ love for Eurydice, his looking back and the second loss of Eurydice, (homosexuality), Orpheus’ death. In the Aeneid Virgil mentions Orpheus’ role as a priest as well. When HORACE refers to Orpheus negative connotations are completely absent. This is because Horace doesn’t tell the love story, but concentrates on the enchanting qualities of Orpheus’ song. By focusing only on this part of the myth a positive approach is easier. Horace is the first to offer an allegorical interpretation of Orpheus. People say that Orpheus tamed the wild beasts, because he could keep man from beastly behaviour. This positive approach of Orpheus as a bringer of civilization to human kind was going to be very influential in the Renaissance. The choice of elements from the myth determines the image of the mythological figure. With the rise of Christianity new approaches to Orpheus arose. The Christian apologists were very positive about Orpheus, because he enabled them to make a connection between the new religion and ancient tradition. For propagandistic reasons they emphasized the connection between Christ and Orpheus as a monotheist. In the Christian catacombs Orpheus was depicted as Christ. In general however, pagan myths were difficult to reconcile with Christianity. According to Christian faith there was only one God, while pagans knew many. For this reason different ways were sought to deal with the many ancient gods en demigods: - the euhemeristical or historical interpretation (gods are really humans, who were considered to be gods after their death) - the physical interpretation (gods were seen as planets and forces of nature) - the allegorical-moral interpretation (gods are interpreted in an alllegorical manner) 416 SUMMARY In the sixth century FULGENTIUS includes the myth in an allegory on music, while BOETHIUS provides the myth with a moral interpretation. Both writers are negative about Orpheus. Especially Boethius’ interpretation of Orpheus as a man in search of a higher good, who turns back to wordly pleasures, remained very influential in the Middle Ages and the Renaissance. Medieval authors interpret the Orpheus myth alternately in a positive or a negative way: Orpheus is considered to be Christ, but also a man who has turned back to earthly things. These interpretations mainly use the motif of Orpheus’ descent in Hades. Orpheus is also seen as the civilizer of mankind or as the musical voice, depending on the type of text in which he is used. Medieval poetry mainly focuses on the love story; here, the myth often ends with the triumph of Orpheus over Hades. The myth as topos (Chapter 2) In fourteenth century Italian literature late-antique and medieval interpretations remain in vogue. Especially in mythological treatises and translations of the Metamorphoses, that could also be used as a source of mythological information, the Orpheus myth is interpreted according to the historical, physical and allegorical tradition. In his Genealogie deorum gentilium GIOVANNI BOCCACCIO (1313-1375) presents an almost complete portrait of Orpheus. This is inherent to the encyclopedic character of the work. Even if his view seems balanced, Boccaccio leaves out some negative elements or changes them (the homosexuality and the looking back) and elaborates on Orpheus’ positive aspects (the power of eloquence), because in his defense of poetry in the same work he needs Orpheus as a positive example of the poet-theologian. In the adaptations of the Metamorphoses of GIOVANNI DEL VIRGILIO (1322-23) and GIOVANNI DEI BONSIGNORI (1375-77), Aristaeus and Cerberus appear as new characters with regard to the text written by Ovid (these changes were a result of the influence of earlier commentaries on Ovid and possibly also of linguistic problems). The Orpheus myth is explained in a historical and moral-allegorical way, thus obtaining a positive turn. Besides these moralizations there were also more literal translations of Ovid, but these weren’t transmitted in the printed editions that were published later. Remarkably, references to Orpheus in other literary texts are mostly short and stereotypical: authors repeat existing topoi (commonplaces), that probably come from retorical manuals. Some topoi are very positive: in lyrical poetry Orpheus is often the poet par excellence. The taming of the animals is seen as an allegory of the civilization of human kind. From Boccaccio on the emphasis in this allegory is on eloquence and humanists start using it. The love of Orpheus and Eurydice offers an example for other lovers. This topos too frequently appears in lyrical poetry (Petrarch) and in romantic stories (Boccaccio). However, there are also some negative topoi, e.g. looking back at Eurydice as an allegory of man falling back towards earthly pleasures. This negative approach is mainly 417 RIASSUNTO IN INGLESE visible in philosophical and reflective texts. The positive and negative topoi are connected to specific literary genres. The effect of tradition is very strong in this case: authors nearly always follow their predecessors. The two faces of Orpheus are hard to reconcile. Although DANTE ALIGHIERI (1265-1321) refers to Orpheus only twice explicitly as the example of a wise man and as the example of a poetical allegory (in which Orpheus taming the animals represents the beginning of civilization) his works also contain indirect references to the Orpheus myth and in particular to the motif of looking back. In Purgatory souls are forbidden to look back and Orpheus presents a negative example. In his Canzoniere FRANCESCO PETRARCA (1304-1374) compares his own love for Laura to that of Orpheus and Eurydice. In his philosophical works however, he is very negative about Orpheus: Orpheus looked back at Eurydice and symbolizes the man who on his way to God cannot leave behind the earth and falls back. This tension between the admiration of Orpheus the poet and lover par excellence on the one hand, and his failure as a man on his way to God on the other connects very well to Petrarch’s own conflict between his love for earthly things and his love of God. Although characters in Boccaccio’s works compare themselves to Orpheus and Eurydice and consider love to be the biggest force behind Orpheus’ music, love isn’t the highest goal: Orpheus figures in the Amorosa Visione in the triumph of Love, but in the end love will not triumph. In Boccaccio’s works a difference can be made between the poet-theologian and the poet-lover: the difference resides in the fact that the first is seen as a real person that is part of a large chain of thinkers, and the second as a mythological figure. This distinction is not only found in Boccaccio, but in the whole critical fortune of Orpheus (already in Greek antiquity, in the fourteenth century, but especially from Ficino on). In fact, even the poet-lover isn’t a coherent character, but consists of more aspects. The poet-lover can actually be divided into a positive poet - that offers an example to poets and singers and is seen as the bringer of civilization to human kind - and a lover that is considered to be an example for lovers (poets in love), but has negative connotations as well (the looking back towards Eurydice, his homosexuality and his death). Boccaccio even distinguishes two different persons that go by the name of Orpheus (but he doesn’t explicitate the difference between a historical and a mythological figure). COLUCCIO SALUTATI (1331-1406) elaborates on the negative interpretation of Orpheus: he confronts Hercules as a stoic hero (in search of virtue) and Orpheus as an epicurean (in search of pleasure). This interpretation is mainly based on the motif of the descent in Hades, that shows that Orpheus is too much attached to earthly pleasures. Thus Orpheus does not only need to be reconciled with Christianity, but his negative image has to be reconciled with his positive image as well. In practice, authors have a positive or a negative attitude towards Orpheus and elaborate only one side of the character. In the background however, there is always the other dimension. In the visual arts and music Orpheus hardly ever appears. 418 SUMMARY Marsilio Ficino and the historical poet-theologian (Chapter 3) The popular fourteenth-century topoi of Orpheus as a poet par excellence, bringer of civilization and lover keep being used in the fifteenth century, but as a result of the study of new texts new elements are added to Orpheus’ image. MARSILIO FICINO (1433-1499) starts to study Plato’s philosophy and the neoplatonists and tries to reconcile their views with Christianity. As a result, Orpheus suddenly becomes a central figure in Ficino’s circle, but not in the role people knew in the Middle Ages and until the first half of the fifteenth century from Latin sources. Ficino places more emphasis on Orpheus as a poet-theologian. He considers Orpheus to be a historical person, and not a mythological character. His view of Orpheus is purely positive and he even identifies with Orpheus: like an inspired poet Ficino tries to get in touch with the harmony of the spheres by singing orphic hymns. Ficino’s strongly positive and personal reaction to the figure of Orpheus is also determined by propagandistic factors: only by venerating the classical poet-theologians he could interest his public in neoplatonic philosophy. This positive view of Orpheus as a poet-theologian and author of orphic hymns with a message about the gods will be transmitted into the sixteenth century (and further) by neoplatonic philosophers, but will also enter into mythological treatises and literary works. The Fabula di Orfeo and its successors (Chapter 4) Besides this view of Orpheus as a philosopher-theologian due to the discovery of Greek texts, Orpheus was also introduced in new disciplines in the fifteenth century: he made his appearance as a character in triumphs (trionfi), he was the first mythological figure to come to life in a play in the vernacular, and was represented more and on a larger scale in the visual arts. The representation of mythological figures in works of art was the result of a general growth of interest in antiquity. In the Fabula di Orfeo by ANGELO POLIZIANO (1454-1494) literature, costumes, theatre and music come together. Orpheus is no longer a topos, but Poliziano combines different narrative elements by turning back to Virgil and Ovid (and other classical sources). Orpheus is a singer, a lover, he looks back, turns to homosexuality and is finally killed by Bacchants. Thus Poliziano adds a number of elements from the classical myth that were hardly ever mentioned in Italian literature up to that moment. The mythological character of Orpheus is set against Ficino’s historical Orpheus. Both in the works of Poliziano and in those of the artist ANDREA MANTEGNA (14311506) we for the first time witness a return to the classical look and image of mythological figures in texts and in the visual arts. The humanists however, had a double relationship towards the classical gods and demigods. On the one hand they admired the classical image of the gods, but on the other hand the pagan gods provoked the repugnance of 419 RIASSUNTO IN INGLESE writers and artists. For this reason the allegorical explanation of mythological characters still predominated. Much has been said about the meaning of the Fabula di Orfeo, but in the context of the circle around Ficino and Lorenzo de’ Medici in Florence the play is likely to be interpreted as an allegory of man who is looking for the highest good or God, but cannot leave earth behind. In his play Poliziano presents Orpheus as a negative example to Christian man (while in his Sylvae he presented a purely positive image of Orpheus the poet, as befitted the intentions of the work). Mantegna’s frescoes are sometimes interpreted in a similar way, but considering the fact that the scene in which Orpheus looks back is missing and considering the other frescoes in the room (the Roman emperors, the combination with Arion), it is more likely that Orpheus must be seen together with Hercules as the two sides of a good ruler: culture and strength. The Gonzaga family of Mantua demonstrates a remarkable interest in the figure of Orpheus: he is used in plays and in the decoration of their homes and maybe also for propagandistic reasons. In the frescoes (1499-1502) by LUCA SIGNORELLI in Orvieto, the myth of Orpheus, considering its connection with the other decorations of the chapel, probably has to be interpreted negatively as the failure of man on his way to a higher good and the condemnation that follows. Two THEATRE ADAPTATIONS, the Orphei tragoedia (ca. 1485) and the Favola di Orfeo e Aristeo (end 15th / beginning 16th century) hardly change the content of the myth (with respect to the Fabula di Orfeo). Some new elements from classical sources are added to fill the five acts, that don’t bring about a whole new Orpheus. The division in five acts and the metrical changes are formal transformations, that don’t change the image of Orpheus either. However, Orpheus’ homosexuality is left out (change of moral or public). This was one of the most striking new elements that Poliziano had added to the myth as known in Italy. In the CANTARI (songs/heroic poems), that are based on the Fabula di Orfeo as well, the emphasis is on the love story of Orpheus and Eurydice and his homosexuality is condemned. The moral of the story is that a man should focus his love on women. These cantari are not intended for a cultural élite like Poliziano’s play, but for the ordinary people. This might explain the emphasis on the love story and the exchange of the deeper philosophical layer for a more wordly moral. Formal changes also occur, e.g. the transformation of a theatre text into a narrative text and the addition of descriptions of the characters. The popularity of the cantari shows the diffusion of the Orpheus myth amongst a broader and more ordinary audience. This diffusion of the myth also results from the production of majolica, bronze placquettes and etches based on the printed editions of the Metamorphoses. 420 SUMMARY Mythographer or mythological figure? (Chapter 5) The invention of printing at the end of the fifteenth century caused the myth to be known among a broader audience due to the diffusion of mythological treatises, translations of the Metamorphoses, cantari and other texts. Like before in Boccaccio’s Genealogie even in 16th-century mythological treatises the Orpheus myth is still interpreted allegorically. In his Mythologiae (1551) NATALE CONTI continues the idea that the taming of the animals is a symbol of the civilization of human kind by Orpheus. Orpheus is described amongst the other mythological characters, but is regarded mainly as a poet-theologian, who in his hymns mentioned important things about the ancient gods. Similarly, Orpheus’ writings as a poet-theologian are quoted to dicuss other gods in the mythological treatise of LILIO GREGORIO GIRALDI (1548) and the arthistorical-mythological treatise of VINCENZO CARTARI (1556). Consequently Orpheus has changed from a mythological figure to a mythographer. This view is brought about by Ficino’s ideas. The allegorical interpretation predominates as well in translations of the Metamorphoses. Even until the first decades of the 16th century the main interpretation of the Metamorphoses was the one written by Giovanni del Virgilio, which was adapted by Giovanni dei Bonsignori and later on by NICOLÒ DEGLI AGOSTINI (1522). The Orpheus myth is interpreted in a historical (euhemeristical) and allegorical way, in which Orpheus always has positive connotations. In Agostini’s translation - a combination of Bonsignori’s translation, the Fabula di Orfeo and the cantari - the negative connotations of Poliziano’s play and the cantari are replaced by the medieval allegorical interpretation. Thus Poliziano’s humanistic representation of Orpheus and the medieval popular tradition coincide. Besides these allegorical translations a new tendency towards more literal translations presents itself. In these translations too, which are more closely related to Ovid’s original text and which (originally) did not contain allegorical explanations in the text, such explanations are added later on or have to be imagined by the reader. These later additions can be explained by the increase of moralization of literature due to the Counter Reform in the second half of the sixteenth century. In the translation by LORENZO SPIRITO (1519) the deeper meaning of the myths is not explained and in the case of LUDOVICO DOLCE (1553) this only happens in a later edition. In his text Dolce is already very negative about Orpheus: especially his homosexuality is condemned strongly. Details about the murder of Orpheus by the Bacchants are left out and replaced by a condemnation of Orpheus’ neglect of women. When in 1561 an allegorical explanation is added, this too is negative: Orpheus symbolizes the soul that has abandoned reason and has turned back towards despicable earthly things. The translation of GIOVAN ANDREA DELL’ANGUILLARA (1561) was also originally published without an allegorical explanation, but soon afterwards with a commentary by Horologgi and Turchi. Anguillara represents Orpheus in 421 RIASSUNTO IN INGLESE a much more positive manner than Dolce: his homosexuality is a way to both keep his promise to Eurydice and reach God. In Horologgi’s allegory Boccaccio’s allegorical description is copied, in which Orpheus represents eloquence that civilizes men. Under the influence of printing and the dispersion of myth among a broader audience the Orpheus theme manifested itself more in the visual arts as well. The figure was not only depicted on artworks intended for the élite, but also on objects that were produced in larger quantities and were available to more people, like majolica, bronze reliefs or medals and etches. The image of Orpheus in these artistic genres is stereotypical and depends largely on the woodcuts in editions of the Metamorphoses (which mainly developed separately from the text). When new elements are added on majolica plates, these elements emphasize Orpheus’ position as a lover, just like in the popular genre of the cantari. The influence of the text and woodcuts of the Ovid editions, but also of other sources, is also evident in other, more exclusive artworks. The interpretation of this kind of artworks is often complicated. Topoi, additions and reactions (Chapter 6) Many stereotypical positive and negative approaches to Orpheus can also be found in (short) references in literature and art. The old topos of Orpheus as an outstanding example of a poet and lover keeps circulating, especially in petrarchist poetry. The allegory of Orpheus and the animals as the civilizing power of eloquence remains popular with humanist writers of poetical treatises and it becomes a popular theme in the visual arts. In philosophical treatises Orpheus is considered a venerable poet-theologian. The negative interpretation of his looking back seems to lose ground. However, reactions to the known topoi arrive: the anticlassicist poets view Orpheus as a symbol of the petrarchist poets, to whom they oppose themselves. Writers also look negatively at the new elements of the myth that had become current again by way of Poliziano and the translations of Ovid: the hatred of women, homosexuality and the death of Orpheus. Orpheus’ homosexuality is sometimes set against his role as a theologian and condemned, but not always. Other shifts in the image of Orpheus are visible in artworks: Eurydice receives more and more attention, while Orpheus is pushed back towards the background of paintings. His participation in the voyage of the Argonauts is introduced both in art and in literature as a demonstration of the power of his song. It is no longer possible to define a group of aspects that are always positive, and another group of aspects that are always negative. The judgement often depends on the intent of the reference to Orpheus: the second generation of the Medici rulers uses the figure of Orpheus for propagandistic reasons and is consequently interested mostly in his positive aspects; they therefore refer to his powers as a musician and bringer of civilization. Thus a bigger variation in the image of Orpheus comes about, caused by a focus on other elements that were already part of the myth, the reinterpretation of known elements 422 SUMMARY or their placing in a new context. The myth of Orpheus is judged and manipulated according to the intentions of the writer or artist. The triumph of Orpheus in the first operas (Chapter 7) At the end of the 16th century opera arises out of the discussions about music and the wish to return to ancient music. In opera different disciplines come together: literature, theatre, music and the art of sets and costumes. Orpheus was very suited to play the leading part in operas, because he had already established a tradition in most disciplines and because he was a pre-eminent singer. Moreover, the connection between Orpheus and the Medici family, who commissioned one of the first operas, the Euridice, favoured the choice of Orpheus. This earliest opera of which the score survives - on a libretto by Ottavio Rinuccini and music by Jacopo Peri (and Giulio Caccini) - was staged in 1600 in Florence to celebrate the marriage of Maria de’ Medici and Henry IV of France. Since the Orpheus myth was very appropriate to the opera, but not as much to a wedding, Rinuccini chose to alter the ending into a happy one. In the Euridice Orpheus triumphs over hell and manages to bring back his wife without any problems. In 1607 the Orfeo, an opera with lyrics by Alessandro Striggio and music by Claudio Monteverdi, was staged for the first time in Mantua. As opposed to the Euridice, in Striggio’s libretto the Orpheus myth receives a negative interpretation again, which was very appropriate to the context of the Carnival for which the opera was intended: Orpheus looked back to earthly pleasures and for this he was punished. Just like in Poliziano’s Fabula the bacchic ending fitted well with the character of the Carnival. Apparently this ending was too negative for Monteverdi, so in his score he gives the story a positive turn. He acknowledges that Peri’s ending does not really convey a positive ending to the myth. For if we are to interpret Peri’s opera in the current allegorical manner, Orpheus yields to his wordly pleasures and never reaches the higher good. Monteverdi however, doesn’t allow Orpheus to triumph over hell, but over himself: (finally) he abandones all earthly things and reaches the sublime. Monteverdi thus finally succeeds in ending the myth in a positive way and reconcile the positive side of Orpheus the perfect poet and singer with Orpheus the lover. In this way Orpheus becomes a positive example of mankind looking for the divine and finally succeeding in finding it. Thus Orpheus really triumphs, not over hell, but over himself. In this way Monteverdi’s Orpheus (and the Gonzaga Orpheus) not only triumphs over Peri’s Orpheus (and over the Medici Orpheus), but also over all prior representations of Orpheus. The main triumph of Orpheus however, is the one over himself, for: ‘degno d’eterna gloria fia sol colui c’havra di sè vittoria’ (only he who triumphs over himself, deserves eternal glory). 423 SAMENVATTING (RIASSUNTO IN OLANDESE) De mythe van Orpheus, de Griekse held die met zijn muziek de natuur kon betoveren en zijn geliefde Eurydice probeerde terug te halen uit de Onderwereld, is opgebouwd uit verschillende elementen. Er is geen oorspronkelijke Orpheusmythe, maar het verhaal heeft zich in de Oudheid geleidelijk ontwikkeld, waarbij steeds nieuwe elementen en wendingen werden toegevoegd. Deze elementen komen vaak onafhankelijk van elkaar voor in teksten en kunstwerken, maar worden soms ook gecombineerd tot een verhaal. Orpheus is zo een complexe figuur geworden met veel facetten. Deze veelzijdigheid is een belangrijk kenmerk van zijn personage, die maakt dat zijn receptie niet uniform is, maar veel verschillende vormen aanneemt. Orpheus komt voor in veel verschillende genres teksten, maar ook in de beeldende kunst en blijkt bij uitstek geschikt voor toneel en opera. Schrijvers, beeldend kunstenaars, opdrachtgevers en musici hebben vaak visies op de figuur van Orpheus die sterk verschillen en met elkaar in conflict zijn. Deze verschillen en conflicterende visies zijn inherent aan de diversiteit van de figuur van Orpheus. Wie Orpheus gebruikt in zijn werk, maakt meestal een keuze uit de verhalen die over hem bekend zijn. Enerzijds is deze keuze vaak bepaald door de beschikbare kennis die iemand heeft: vaak wordt uit voorgangers in hetzelfde genre een stereotiepe benadering overgenomen. Anderzijds zijn anderen wel bekend met meerdere aspecten van Orpheus, maar lijken zij een bewuste keuze te maken voor de aspecten die in de lijn van hun betoog passen. Orpheus wordt vaak óf als een positieve figuur óf als een negatieve figuur beschouwd en gepresenteerd. Tot zijn positieve aspecten behoren vooral zijn muzikale en poëtische kwaliteiten en zijn vermogen om de dieren te temmen (d.w.z. de mensheid te beschaven) met zijn zang (welsprekendheid). Daarnaast worden zijn deelname aan de Argonautentocht en zijn status als dichter-theoloog of filosoof positief beoordeeld. Tot zijn negatieve aspecten behoren zijn liefde voor het aardse (Eurydice) en het omkijken hiernaar, zijn homoseksualiteit en zijn gruwelijke dood. De poging om deze twee tegengestelde imago’s van Orpheus te verenigen loopt als een rode draad door de receptie van Orpheus in Italië tussen 1300 en 1600. Men negeert bijvoorbeeld de negatieve aspecten, of men spreekt expliciet zijn verwondering uit over de onverzoenbaarheid van de verschillende typeringen van Orpheus, of men past in het uiterste geval de afloop van de mythe aan. In de Middeleeuwen en de Renaissance is echter, op de verandering aan de afloop na, geen sprake van grote veranderingen aan de mythe, zoals een complete verandering van de personages, van de handeling of van de situering van het verhaal in tijd en ruimte. Het grootste deel van de wijzigingen in het beeld van Orpheus in deze periode vindt zijn oorsprong in de mogelijkheden die de mythe als geheel biedt. Veel representaties van Orpheus zijn inherent aan de figuur zelf. Een auteur of kunstenaar maakt een keuze uit de bestaande mogelijkheden en manipuleert zo zijn versie van de mythe. 425 RIASSUNTO IN OLANDESE De oorsprong van Orpheus (Hoofdstuk 1) Volgens sommige geleerden ontstond de mythe van Orpheus vanuit sjamanistische praktijken in het noorden van Griekenland. Hieruit ontwikkelde zich het idee van Orpheus als een priester, die de grens van leven en dood kon overschrijden. Deze rol van Orpheus kwam vooral tot uitdrukking in de religieuze stroming van het ORFISME. Orpheus werd hierin gezien als een historische persoon. Daarnaast werd hij geassocieerd met andere verhalen, waarin hij meer naar voren komt als mythologisch personage (ook al werd dit onderscheid in die tijd niet gemaakt): hij was een Argonaut, een beroemde zanger, daalde af in de onderwereld om zijn vrouw terug te halen en werd gedood. In de vroegste versies kende de mythe waarschijnlijk een gelukkig einde: Orpheus slaagde erin Eurydice terug te halen. Vanaf de bekende versies van VERGILIUS (Georgica) en OVIDIUS (Metamorfosen) werden het verbod om om te kijken en het tweede verlies van Eurydice toegevoegd. Het liefdesverhaal kreeg hierdoor een ongelukkig einde: in de versie van Ovidius werd Orpheus de eerste homoseksueel en in beide versies werd Orpheus uiteindelijk door Bacchanten verscheurd. Ovidius verzachtte dit einde nog enigszins door het paar na de dood te herenigen in de Onderwereld. Vergilius en Ovidius combineerden zeer veel elementen uit de mythe tot een lang verhaal: de kracht van de muziek, de liefde voor Eurydice, het omkijken en het tweede verlies van Eurydice, (de homoseksualiteit), de dood van Orpheus. In de Aeneis maakt Vergilius melding van een andere kant van Orpheus, namelijk als priester. In de verwijzing naar Orpheus door HORATIUS zijn negatieve connotaties geheel afwezig. Horatius beschrijft dan ook niet het liefdesverhaal, maar concentreert zich op de betoverende kwaliteiten van Orpheus’ zang. Door zich slechts op dit deel van de mythe te concentreren, is een positieve benadering gemakkelijker. Horatius geeft als eerste een allegorische interpretatie van Orpheus. Men zegt dat Orpheus de wilde dieren getemd heeft, omdat hij in staat was de mensen af te houden van beestachtig gedrag. Deze positieve benadering van Orpheus als beschaver van de mensheid zou zeer invloedrijk worden in de Renaissance. Welke elementen van de mythe worden uitgekozen bepaalt dus het beeld van het mythologische personage dat wordt gecreëerd. Met de opkomst van het CHRISTENDOM ontstonden nieuwe benaderingen van de figuur van Orpheus. De christelijke apologeten waren zeer positief over Orpheus, omdat hij hen in staat stelde een verband te leggen tussen de nieuwe godsdienst en de antieke traditie. Om propagandistische redenen benadrukten zij de band tussen Christus en Orpheus als monotheïst. Ook in de christelijke catacomben werd Orpheus als Christus afgebeeld. Over het algemeen lieten heidense mythen zich echter lastig verzoenen met het christendom. Volgens het christelijke geloof bestond er slechts één God, terwijl de 426 SAMENVATTING heidenen er vele kenden. Om deze reden werd er naar verschillende manieren gezocht om om te gaan met de diverse antieke goden en halfgoden: - de euhemeristische of historische interpretatie (goden zijn eigenlijk mensen, die later beschouwd werden als goden) - de natuurkundige interpretatie (goden worden gezien als planeten en natuurkrachten) - de allegorisch-morele interpretatie (goden krijgen een allegorische interpretatie) In de zesde eeuw voegt Fulgentius de mythe in een allegorie over de muziek, terwijl Boethius de mythe een moralistische interpretatie geeft. Beide schrijvers zijn negatief over Orpheus. Vooral Boethius’ interpretatie van Orpheus als mens op zoek naar het hogere die omkijkt naar de aardse genoegens bleef erg invloedrijk in de Middeleeuwen en de Renaissance. De middeleeuwse auteurs interpreteren de mythe van Orpheus afwisselend positief en negatief: Orpheus wordt beschouwd als Christusfiguur, maar ook als een mens die zich heeft omgekeerd naar de aardse zaken. Voor deze interpretaties wordt vooral gebruik gemaakt van het motief van de afdaling van Orpheus in de Onderwereld. Orpheus wordt ook gezien als de beschaver van de mensheid of als muzikale stem, al naar gelang het soort tekst waarin hij zich bevindt. In middeleeuwse poëzie, waarin men zich vooral voor het liefdesverhaal interesseert, eindigt de mythe vaak met de triomf van Orpheus in de Hades. De mythe als topos (Hoofdstuk 2) In de Italiaanse literatuur van de 14e eeuw blijven bovengenoemde laatantieke en middeleeuwse interpretatiemanieren voortduren. Vooral in mythologische traktaten en Metamorfosen-vertalingen, die ook gebruikt konden worden als bron van mythologische informatie, wordt de Orpheusmythe volgens de euhemeristische, natuurkundige en allegorische traditie geïnterpreteerd. In zijn Genealogie deorum gentilium schetst GIOVANNI BOCCACCIO (1313-75) een bijna compleet beeld van Orpheus. Dit is inherent aan het encyclopedische karakter van het werk. Ook al lijkt zijn visie evenwichtig, toch laat Boccaccio enkele negatieve elementen weg of verandert ze (de homoseksualiteit en het omkijken) en weidt hij uit over de positieve aspecten van Orpheus (de kracht van de welsprekendheid), omdat hij in zijn verdediging van de poëzie in het zelfde werk Orpheus nodig heeft als positief voorbeeld van een dichter-theoloog. In de bewerkingen van de Metamorfosen door GIOVANNI DEL VIRGILIO (1322-23) en GIOVANNI DEI BONSIGNORI (1375-77) verschijnen Aristaeus en Cerberus als nieuwe figuren ten opzichte van de oorspronkelijke tekst van Ovidius (onder invloed van eerdere commentaren op Ovidius en misschien vertaalproblemen). De mythe van Orpheus wordt euhemeristisch en allegorisch-moreel uitgelegd, waardoor deze een positieve wending 427 RIASSUNTO IN OLANDESE krijgt. Naast deze moraliseringen bestonden er ook letterlijke vertalingen van Ovidius, maar deze werden niet overgenomen in de latere gedrukte edities. Opvallend is dat de verwijzingen naar Orpheus in overige literaire teksten veelal kort en stereotiep zijn: auteurs herhalen bestaande topoi (gemeenplaatsen), die waarschijnlijk afkomstig zijn uit retoricahandboeken. Sommige topoi zijn zeer positief: in lyrische poëzie is Orpheus vaak het voorbeeld van de dichter bij uitstek. Het temmen van de dieren wordt gezien als een allegorie voor het beschaven van mensen. Vanaf Boccaccio ligt de nadruk in deze allegorie op de welsprekendheid en wordt hij gebruikt door humanisten. De liefde van Orpheus en Eurydice geldt als voorbeeld voor andere minnaars. Ook dit topos komt veel voor in lyrische poëzie (Petrarca) en in romantische verhalen (Boccaccio). Anderzijds zijn er een aantal negatieve topoi, zoals het omkijken naar Eurydice als allegorie van de mens die terugvalt naar aardse zaken. Deze negatieve benadering is vooral zichtbaar in filosofische en reflecterende teksten. Deze positieve en negatieve gemeenplaatsen zijn verbonden met specifieke literaire genres. Het effect van de traditie is hierin zeer sterk: auteurs baseren zich bijna altijd op hun voorgangers. De twee gezichten van Orpheus zijn moeilijk te verzoenen. Hoewel DANTE ALIGHIERI (1265-1321) slechts twee keer expliciet naar Orpheus verwijst als voorbeeld van een wijze man en als voorbeeld van een poëtische allegorie, waarin Orpheus die de dieren temt staat voor het brengen van beschaving, bevatten meerdere van zijn werken indirecte verwijzingen naar de Orpheusmythe en in het bijzondere naar het motief van het omkijken. In het Purgatorio is het zielen verboden om te kijken. Orpheus vormt hier dus een negatief voorbeeld. FRANCESCO PETRARCA (1304-74) vergelijkt in zijn Canzoniere zijn eigen liefde vaak met die van Orpheus en Eurydice. In zijn filosofische werken is hij echter zeer negatief over Orpheus: Orpheus keek om naar Eurydice en staat symbool voor de mens die op zijn weg naar God niet in staat is om het aardse los te laten, maar terugvalt. Deze spanning tussen de bewondering voor Orpheus als dichter en minnaar bij uitstek enerzijds, en zijn falen als mens op weg naar God anderzijds sluit goed aan bij Petrarca’s eigen innerlijke conflict tussen zijn liefde voor God en zijn liefde voor het aardse leven. Ook bij BOCCACCIO is de liefde van Orpheus niet zo positief. Hoewel personages in Boccaccio’s werken zich met Orpheus en Eurydice vergelijken en de liefde wordt beschouwd als de grote kracht achter Orpheus’ muziek, is de liefde niet hoogste doel: Orpheus komt in de Amorosa visione voor in de triomf van de Liefde, maar uiteindelijk zal de liefde niet triomferen. In de werken van Boccaccio is een onderscheid te maken tussen de dichter-theoloog en de dichter-minnaar: het verschil is dat de eerste wordt beschouwd als een echte persoon, die een schakel vormt in een lange keten van denkers, en de tweede als mythologisch personage. Dit onderscheid vindt men niet alleen bij Boccaccio, maar in zijn hele receptiegeschiedenis (al in de Griekse oudheid, in het Trecento, maar vooral vanaf Ficino). 428 SAMENVATTING In feite is ook de dichter-minnaar geen coherent personage, maar opgebouwd uit meerdere facetten. De dichter-minnaar kan eigenlijk onderverdeeld worden in een positieve dichter, die het grote voorbeeld van dichters en zangers is en die gezien wordt als beschaver van de mensheid. Daarnaast is er de minnaar, die door geliefden (verliefde dichters) als voorbeeld gezien wordt, maar ook vooral negatieve connotaties kent (het omkijken naar Eurydice, zijn homoseksualiteit en zijn dood). Boccaccio onderscheidt zelfs twee verschillende personen die Orpheus heten (maar hij expliciteert het onderscheid tussen een historisch en een mythologisch personage niet). COLUCCIO SALUTATI (1331-1406) werkt de negatieve interpretatie van Orpheus erg uit: in zijn De laboribus Herculis stelt hij Hercules als stoïsche held (op zoek naar deugd) tegenover Orpheus als epicurist (op zoek naar genoegen). Deze interpretatie is vooral gebaseerd op het motief van de afdaling in de Hades. Orpheus is te veel gebonden aan zijn aardse genoegens. Orpheus moet dus sinds de vroege Middeleeuwen niet alleen verzoend worden met het christendom, maar men moet ook het negatieve imago van Orpheus met zijn positieve imago verzoenen. In de praktijk staan auteurs vaak óf positief óf negatief tegenover Orpheus en werken slechts één kant van het personage uit. Op de achtergrond blijft echter ook altijd de andere dimensie meespelen. In de beeldende kunst en muziek komt Orpheus nog nauwelijks voor. Marsilio Ficino en de historische dichter-theoloog Orpheus (Hoofdstuk 3) De bekende 14e-eeuwse topoi van Orpheus als dichter bij uitstek, als beschaver en minnaar blijven in de 15e eeuw gewoon bestaan, maar daarnaast worden er nieuwe elementen aan het beeld van Orpheus toegevoegd door de bestudering van Griekse teksten. Doordat MARSILIO FICINO (1433-99) de filosofie van Plato en de neoplatonisten gaat bestuderen en probeert te verzoenen met het christendom, wordt Orpheus plotseling een centrale figuur in zijn kring, en dan niet in de rol die men in de Middeleeuwen en tot aan de eerste helft van de 15e eeuw kende vanuit Latijnse bronnen. Ficino legt veel meer de nadruk op Orpheus als dichter-theoloog. Hij ziet Orpheus als een historische persoon, en niet als een mythologisch personage. Zijn visie op Orpheus is puur positief. Ficino gaat zich zelfs identificeren met Orpheus: als een geïnspireerde dichter probeert hij door orfische hymnen te zingen in contact te komen met de harmonie der sferen. De zeer positieve persoonlijke reactie van Ficino op de figuur van Orpheus wordt ook bepaald door propagandistische factoren: alleen door de antieke dichter-theologen te vereren kon hij zijn publiek interesseren voor de neoplatoonse filosofie. Deze positieve kijk op Orpheus als dichter-theoloog en schrijver van orfische hymnen met een boodschap over de goden zal tot in de 16e eeuw (en verder) worden doorgegeven door neoplatoonse filosofen, maar ook doordringen in mythologische traktaten en literaire werken. 429 RIASSUNTO IN OLANDESE De Fabula di Orfeo van Poliziano en navolgingen (Hoofdstuk 4) Naast deze ontwikkeling van Orpheus als filosoof-theoloog door de bestudering van Griekse teksten, ontwikkelde Orpheus zich in de 15e eeuw ook in nieuwe disciplines: hij trad op als personage in optochten (trionfi), hij kwam als eerste mythologische figuur tot leven in een toneelstuk in de volkstaal en werd meer en groter uitgebeeld in de beeldende kunst. Het uitbeelden van mythologische figuren in kunstwerken was een gevolg van de algemeen toegenomen interesse in de oudheid. In de Fabula di Orfeo van ANGELO POLIZIANO (1454-94) komen literatuur, kostuums, theater en muziek samen. Orpheus is hier geen topos meer, maar Poliziano laat verschillende verhaalelementen samenkomen door zijn terugkeer naar Vergilius en Ovidius (en andere antieke bronnen). Orpheus is een zanger, minnaar, hij kijkt om, wordt homoseksueel, en wordt uiteindelijk gedood door Bacchanten. Poliziano voegt zo een aantal elementen toe uit de klassieke mythe, die in de Italiaanse literatuur tot dan toe nauwelijks vermeld werden. Het mythologische personage van Poliziano staat tegenover de historische persoon Orpheus van Ficino. Zowel bij Poliziano als bij de kunstenaar ANDREA MANTEGNA (1431-1506) is er voor het eerst echt sprake van een terugkeer naar het klassieke uiterlijk en imago van mythologische figuren in teksten en beeldende kunst. De humanisten hadden echter een dubbele houding ten opzichte van de klassieke goden en halfgoden. Enerzijds bewonderden ze het klassieke uiterlijk/beeld van de goden, maar anderzijds wekten de heidense goden de afkeer van schrijvers en kunstenaars op. Daarom bleef de allegorische uitleg van mythologische personages overheersen. Over de betekenis van de Fabula di Orfeo is veel gediscussieerd, maar in de context van de kring rondom Ficino en Lorenzo de’ Medici in Florence lijkt het stuk toch te moeten worden geïnterpreteerd als een allegorie van de mens die op zoek is naar het hoogste goed of God, maar die het aardse niet los kan laten. Poliziano presenteert Orpheus in zijn toneelstuk dus als negatief voorbeeld voor de christelijke mens (terwijl hij in de Sylvae een puur positief beeld van de dichter Orpheus schetst, zoals past bij de intenties van het werk). Ook de fresco’s van Mantegna worden wel op vergelijkbare wijze met de Fabula di Orfeo geïnterpreteerd, maar gezien het feit dat de scène van het omkijken ontbreekt en gezien de context van de rest van de kamer (de Romeinse keizers, de combinatie met Arion) is het waarschijnlijker dat hij samen met Hercules opgevat moet worden als de twee kanten van de goede heerser: cultuur en kracht. De Gonzaga’s in Mantua vertonen een buitengewone interesse voor de figuur van Orpheus: hij wordt gebruikt in toneelvoorstellingen en in de decoratie van hun woningen om het hof op te luisteren en wellicht om propagandistische redenen. Op de fresco’s (1499-1502) van LUCA SIGNORELLI in Orvieto moet de mythe van Orpheus waarschijnlijk, in relatie tot de overige decoratie van de kapel, wel negatief 430 SAMENVATTING geïnterpreteerd worden als het falen van de mens op zijn weg naar het hogere en de verdoemenis die daaruit voortkomt. Twee TONEELBEWERKINGEN, de Orphei tragoedia (ca. 1485) en de Favola di Orfeo e Aristeo (eind 15e-begin 16e eeuw), veranderen de mythe nauwelijks inhoudelijk (ten opzichte van de Fabula di Orfeo). Er worden enkele elementen uit antieke bronnen toegevoegd om de vijf akten op te vullen, die echter geen geheel nieuwe Orpheus met zich meebrengen. De introductie van de vijf akten en de metrische veranderingen zijn formele transformaties, die het beeld van Orpheus evenmin veranderen. De homoseksualiteit van Orpheus wordt echter weggelaten (verandering van moraal of publiek). Dit was een van de opvallendste nieuwe elementen die Poliziano had toegevoegd aan de mythe zoals bekend in Italië. In de CANTARI (liederen / heldendichten), die zich ook baseren op de Fabula di Orfeo, ligt de nadruk op het liefdesverhaal van Orpheus en Eurydice en wordt de homoseksualiteit afgekeurd. De moraal van het verhaal is dat een man zijn liefde moet richten op vrouwen. Deze cantari zijn niet bedoeld voor een culturele elite zoals het stuk van Poliziano, maar voor het gewone volk. Dit verklaart misschien de nadruk op het liefdesverhaal en het verruilen van de diepere filosofische lading voor de aardsere moraal. Daarnaast treden er ook formele veranderingen op, zoals de verandering van een toneeltekst in een verhalende tekst en de toevoeging van beschrijvingen van de personages. De populariteit van deze cantari toont de verbreiding van kennis van de Orpheusmythe onder een breder en algemener publiek. Deze verspreiding van de mythe blijkt ook uit de productie van majolica, bronzen reliëfs en etsen op basis van de gedrukte uitgaven van de Metamorfosen. Mythograaf of mythologische figuur? (Hoofdstuk 5) De uitvinding van de boekdrukkunst aan het einde van de 15e eeuw zorgde voor een grotere bekendheid van de mythe onder het brede publiek door de verspreiding mythologische traktaten, Metamorfosen-vertalingen, cantari en andere teksten. Zoals eerder in de Genealogie van Boccaccio wordt ook in 16e-eeuwse mythologische traktaten de mythe van Orpheus nog steeds allegorisch geïnterpreteerd. NATALE CONTI continueert in zijn Mythologiae (1551) het idee dat het temmen van de dieren symbool staat voor het beschaven van de mensheid door Orpheus. Orpheus wordt beschreven tussen de andere mythologische personages, maar wordt vooral als een dichter-theoloog beschouwd, die in zijn hymnen belangrijke dingen over de antieke goden vermeldde. Ook in het mythologische traktaat van LILIO GREGORIO GIRALDI (1548) en het kunsthistorisch-mythologische traktaat van VINCENZO CARTARI (1556) worden de geschriften van Orpheus als dichter-theoloog aangehaald om andere goden te bespreken. Orpheus is hier dus van mythologische figuur mythograaf geworden. Deze visie komt voort uit de ideeën van Ficino over Orpheus. 431 RIASSUNTO IN OLANDESE Ook in de Metamorfosen-vertalingen overheerst de allegorische interpretatie. Tot in de eerste decennia van de 16e eeuw was de voornaamste interpretatie van de Metamorfosen die van Giovanni del Virgilio, die overgenomen werd door Giovanni dei Bonsignori en later door NICOLÒ DEGLI AGOSTINI (1522). De mythe van Orpheus wordt geïnterpreteerd op euhemeristische en allegorische wijze. Orpheus heeft altijd positieve connotaties. In de vertaling van Agostini, die een combinatie is van de vertaling van Bonsignori, de Fabula di Orfeo en de cantari, worden de negatieve connotaties uit het werk van Poliziano en de cantari vervangen door de middeleeuwse allegorische interpretatie. Zo vloeien Poliziano’s humanistische uitbeelding van Orpheus en de middeleeuwse volkse traditie samen. Naast deze allegorische vertalingen ontstaat er een tendens in de richting van letterlijkere vertalingen. Ook bij deze vertalingen, die nauwer aansluiten bij de oorspronkelijke tekst van Ovidius en die (oorspronkelijk) geen allegorische uitleg in de tekst bevatten, is een dergelijke uitleg ofwel later toegevoegd, of moet deze erbij gedacht worden. Deze latere toevoegingen kunnen verklaard worden door de toegenomen moralisering van de literatuur naar aanleiding van de Contrareformatie in de tweede helft van de 16e eeuw. In de vertaling van LORENZO SPIRITO (1519) wordt de diepere betekenis van de mythen niet uitgelegd. Bij LUDOVICO DOLCE (1553) gebeurt dit ook pas in een latere editie. Dolce is in de tekst zelf al wel zeer negatief over Orpheus: vooral zijn homoseksualiteit wordt scherp veroordeeld. Details van de moord op Orpheus door de Bacchanten worden niet gegeven, maar vervangen door een veroordeling van Orpheus’ verwaarlozing van vrouwen. Wanneer er een allegorische verklaring wordt toegevoegd in 1561, is deze ook negatief: Orpheus symboliseert de geest die de ratio heeft verlaten en is teruggekeerd naar verwerpelijke aardse zaken. Ook de vertaling van GIOVAN ANDREA DELL’ANGUILLARA (1561) werd eerst zonder allegorische uitleg gepubliceerd, maar al gauw met commentaar van Horologgi en Turchi. Anguillara schildert Orpheus veel positiever af dan Dolce: zijn homoseksualiteit is een manier om zich zowel aan zijn gelofte aan Eurydice te houden als god te bereiken. In de allegorie van Horologgi wordt Boccaccio’s allegorische beschrijving aangehaald, waarin Orpheus staat voor de welsprekendheid die de mensen beschaaft. Onder invloed van de boekdrukkunst en de verspreiding van de mythe onder een breder publiek manifesteerde het Orpheusthema zich ook meer in beeldende kunst. De figuur werd niet alleen afgebeeld in kunstwerken die bestemd waren voor de elite, maar ook op voorwerpen die in grotere oplagen geproduceerd werden en beschikbaar waren voor een groter publiek, zoals majolica, bronzen reliëfs of medailles en etsen. Het beeld van Orpheus in deze kunstgenres is stereotiep en sterk afhankelijk van de houtsneden in de Metamorfosen-edities (die zich grotendeels los van de tekst ontwikkelen). Wanneer er nieuwe elementen worden toegevoegd op de majolicaborden, dan wordt hiermee de rol van Orpheus als minnaar benadrukt, net zoals in het populaire genre van de cantari. Ook in andere, exclusievere kunstwerken is de invloed van de tekst en de houtsneden van de 432 SAMENVATTING edities van de Metamorfosen herkenbaar, maar ook van andere bronnen. De interpretatie van dergelijke kunstwerken is vaak gecompliceerd. Topoi, toevoegingen en reacties (Hoofdstuk 6) Verschillende stereotiepe positieve en negatieve benaderingen van Orpheus zijn ook terug te vinden in (korte) verwijzingen in de literatuur en kunst. Het oude topos van Orpheus als dichter en minnaar bij uitstek blijft in omloop, vooral in de petrarkistische poëzie. De allegorie van Orpheus en de dieren als symbool van de beschavende kracht van de welsprekendheid blijft erg geliefd bij de humanistische auteurs van poëtische traktaten. Daarnaast wordt het een geliefd thema in de beeldende kunst. In filosofische traktaten wordt Orpheus beschouwd als de eerbiedwaardige dichter-theoloog. De negatieve interpretatie van het omkijken lijkt terrein te verliezen. Er ontstaan echter ook reacties op de bekende topoi: de anticlassicistische dichters zien in Orpheus het symbool van de petrarkistische dichters, tegen wie zij zich afzetten. Men kijkt ook negatief aan tegen de nieuwe elementen van de mythe die door Poliziano en de Metamorfosen-vertalingen (opnieuw) in omloop gekomen waren: de misogynie (d.w.z. Orpheus’ vrouwenhaat na de dood van Eurydice), homoseksualiteit en dood van Orpheus. De homoseksualiteit van Orpheus wordt soms afgezet tegen zijn rol als theoloog en veroordeeld, maar niet altijd. Andere verschuivingen van het bekende beeld van Orpheus zijn zichtbaar in de beeldende kunst: Eurydice krijgt steeds meer aandacht, terwijl Orpheus naar de achtergrond van schilderijen wordt teruggedrongen. Zijn deelname aan de tocht van de Argonauten wordt echter zowel in de kunst als in de literatuur geïntroduceerd als een demonstratie van de macht van zijn zang. Het is niet meer mogelijk om enkele aspecten te definiëren die altijd positief zijn, en andere die altijd negatief zijn. Het oordeel hangt vaak af van het doel van de verwijzing naar Orpheus: de tweede generatie van de MEDICI’S gebruikt de figuur van Orpheus voor propagandistische doeleinden en is dus vooral geïnteresseerd in zijn positieve aspecten. Zij verwijzen dan ook naar zijn krachten als musicus en beschaver. Er ontstaat dus een grotere variatie in het beeld van Orpheus, die vooral toe te schrijven is aan de aandacht voor andere elementen die al wel deel uitmaakten van de mythe of aan de herinterpretatie van bekende elementen of de plaatsing in een nieuwe context. De mythe van Orpheus wordt beoordeeld en gemanipuleerd al naar gelang de bedoelingen van de schrijver of de kunstenaar. De triomf van Orpheus in de eerste opera’s (Hoofdstuk 7) Aan het einde van de 16e eeuw ontstaat vanuit de discussies over muziek en vanuit de wens om terug te keren naar de antieke muziek de opera. In de opera komen verschillende disciplines samen: de literatuur, het theater, de muziek en de (toegepaste) kunst in de vorm van decors en kostuums. Orpheus was zeer geschikt als hoofdrolspeler in de opera’s, 433 RIASSUNTO IN OLANDESE omdat hij in de meeste disciplines al een traditie gevestigd had en omdat hij de zanger bij uitstek was. Bovendien begunstigde de band tussen Orpheus en de Medici’s, die de opdrachtgevers van een van de vroegste opera’s, de Euridice, waren, de keuze voor Orpheus. Deze vroegste opera waarvan de partituur bewaard is gebleven op een libretto van Ottavio Rinuccini en muziek van JACOPO PERI (en Giulio Caccini) werd in 1600 te Florence opgevoerd voor het huwelijk van Maria de’ Medici met Hendrik IV van Frankrijk. Aangezien de Orpheusmythe zeer geschikt was voor de opera, maar niet zozeer voor een huwelijksfeest, koos Rinuccini ervoor om het einde te veranderen in een positief einde. In de Euridice triomfeert Orpheus over de hel en slaagt hij er zonder problemen in zijn vrouw mee terug te nemen. In 1607 werd voor het eerst de Orfeo, een opera op een libretto van Alessandro Striggio en muziek van CLAUDIO MONTEVERDI, uitgevoerd in Mantua. In tegenstelling tot de eerdere opera krijgt de mythe van Orpheus in het libretto van Striggio opnieuw een negatieve interpretatie, die goed paste bij de context van het carnaval waarvoor de opera bedoeld was: Orpheus keek om naar de aardse genoegens en werd hiervoor gestraft. Net als in de Fabula van Poliziano vergemakkelijkte het bacchantenslot de overgang naar het bacchische karakter van het carnaval. Monteverdi vindt dit einde van Striggio blijkbaar te negatief. In zijn partituur geeft hij een positieve wending aan het verhaal. Hij ziet in dat het einde van Peri niet echt een positieve wending van het verhaal betekent. Als men de opera van Peri namelijk op de veel voorkomende allegorische manier interpreteert, geeft Orpheus toe aan zijn aardse genoegens en bereikt hij nooit het hogere. Monteverdi laat Orpheus daarentegen niet over de hel triomferen, maar over zichzelf: hij neemt (uiteindelijk) afstand van het aardse en bereikt het goddelijke. Monteverdi slaagt er dus eindelijk in om de mythe positief af te sluiten en de positieve kant van Orpheus als perfecte dichter en zanger te verenigen met Orpheus de minnaar. Orpheus wordt zo een positief voorbeeld van de mens die op zoek is naar het goddelijke en erin slaagt dit te vinden. Orpheus triomfeert dus werkelijk, niet over de hel, maar over zichzelf. Zo triomfeert de Orpheus van Monteverdi (en van de Gonzaga’s) niet alleen over de Orpheus van Peri (en van de Medici), maar ook over alle eerdere representaties van Orpheus. De belangrijkste triomf van Orpheus is echter die over zichzelf, want: ‘degno d’eterna gloria fia sol colui c’havra di sè vittoria’ (alleen wie zichzelf overwint, heeft eeuwige roem verdiend). 434 DANKWOORD (RINGRAZIAMENTO) Op deze plaats wil ik een aantal personen en instanties bedanken, die mij geholpen hebben bij de totstandkoming van dit proefschrift. Hoewel ik in de eerste plaats naar de Universiteit van Amsterdam kwam om Klassieke Talen te studeren, en er wat Italiaans bij wilde leren in mijn vrije ruimte, raakte ik al snel zo geboeid door de taal en literatuur dat Italiaans mijn tweede studie werd. Vooral de literatuurcolleges over Dante, Petrarca, Boccaccio en de Italiaanse Renaissance waren zo inspirerend, dat ik nooit een moment heb overwogen om met de studie op te houden. Mijn dank gaat in de eerste plaats uit naar mijn copromotor en hoofdbegeleider, Ronald de Rooij, die veel van deze colleges verzorgde en zeer enthousiast was om mijn proefschrift te begeleiden en dat ook steeds is gebleven. Daarnaast wil ik ook mijn hartelijke dank betuigen aan Roberto Crespo, die onmiddellijk bereid was om als mijn promotor op te treden, aangezien er aan de Universiteit van Amsterdam geen hoogleraar Italiaans was en is. Dat mijn proefschrift geen puur Italiaanse aangelegenheid zou worden maar een sterke klassieke component zou hebben, was van het begin af duidelijk. Ik heb het dan ook op prijs gesteld dat ik, hoewel ik tot een andere vakgroep was toegetreden, nog steeds de maandelijkse Latinistenbijeenkomsten onder leiding van Daan den Hengst mocht bijwonen, waar het ondanks de gemoedelijk klinkende naam ‘hobbyclub’ altijd serieus en hard werken was. Naast de Italiaanse en klassieke letterkunde werd de beeldende kunst ook steeds belangrijker in mijn onderzoek. Gelukkig kon ik met vragen van kunsthistorische aard vaak terecht bij Marieke van den Doel, Jan de Jong, Bram Kempers, Bouk Wierda en Annemarieke Willemsen. Ik heb ook veel profijt gehad van de bijeenkomsten van het interdisciplinaire Italiaanse Renaissance seminar onder leiding van Harald Hendrix en Henk van Veen. Tijdens mijn aanstelling als promovenda heb ik meerdere malen gebruik kunnen maken van bibliotheken in het buitenland, die vaak enige gebruiksaanwijzing nodig hadden, maar een zeer waardevolle en inspirerende werkomgeving vormden. In Florence waren dat de Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze, Villa I Tatti, de Biblioteca Riccardiana, het Istituto Nazionale di Studi sul Rinascimento en het Kunsthistorisches Institut. In Rome waren dat vooral de Biblioteca Hertziana, de Biblioteca Apostolica Vaticana en de Biblioteca Casanatense. Op mijn onderzoeksreizen naar Italië mocht ik steeds verblijven op het Koninklijk Nederlands Instituut in Rome en het Nederlands Interuniversitair Kunsthistorisch Instituut in Florence, waar ik ook dankbaar gebruik heb gemaakt van de bibliotheek. Ik wil alle medewerkers van deze instituten en de onderzoekers met wie ik daar heb verbleven bedanken voor alle hulp en inspiratie. Ook de bibliotheek van het Warburg Institute in Londen, waar ik een cursus mocht volgen met 435 DANKWOORD een beurs van het Centro Internazionale di Studi Bruniani in Napels, vormde een belangrijke bron van informatie. Het werken aan mijn proefschrift was niet alleen maar een geweldige aaneenschakeling van bezoeken aan inspirerende oude bibliotheken en gezellige instituten in het buitenland. Veel tijd moest er toch gewoon in afzondering worden gelezen en geschreven op mijn werkkamer in Amsterdam of later thuis in Groningen. Gelukkig hielden Esther Peeren, Anette Hoffmann, Silke Horstkotte en later Yolande Jansen mij in Amsterdam vaak gezelschap. Zonder hun gezelligheid en steun zou ik de eindstreep nooit hebben gehaald. Datzelfde geldt ook voor de wekelijkse lunchafspraken met Hinke Bakker, Susanna de Beer, Marieke van den Doel en Juliette Groenland. Soms gingen de gesprekken over het werk, vaak ook niet, maar altijd was de dinsdagse lunch een hoogtepuntje in de week. Andere hoogtepunten tijdens mijn promotietraject waren de letterkundecolleges die ik mocht verzorgen voor de studenten Italiaans. Deze colleges en de studiereizen naar Florence die ik mocht begeleiden gaven me steeds weer energie om verder te schrijven aan mijn proefschrift. Ik wil alle studenten bedanken voor hun enthousiasme. Bijzonder inspirerend en gezellig was ook het congres van de Associazione Internazionale dei Professori Italiani (A.I.P.I.) in Krakau, waar ik met mijn collega’s van de UvA en Italianisten uit heel Europa in een ondergrondse zoutmijn heb gedineerd. Ook het promovendicongres over de receptie van de oudheid in een winderig en regenachtig St. Andrews was erg geslaagd. Ten slotte wil ik enkele mensen bedanken die bereid waren gedeeltes van mijn proefschrift te lezen en van commentaar te voorzien: Stefano Carrai, Daan den Hengst en Bram Kempers. Elisabetta Materassi wil ik bedanken voor haar nauwgezette correctie van het Italiaans. Daarnaast zijn Brigitte Ehrreich, Jeanne Crijns en Margriet van Oerle altijd zeer behulpzaam geweest bij de praktische kanten van mijn onderzoek. Dit geldt ook voor het Instituut voor Cultuur en Geschiedenis (ICG), dat mij steeds in de gelegenheid stelde om alle noodzakelijke bijeenkomsten en plaatsen te bezoeken. Het Huizinga Instituut bedank ik voor het organiseren van de vele cursussen, de Barchemdagen en de geboden mogelijkheid om zelf een atelier over de Italiaanse Renaissance vanuit interdisciplinair perspectief te organiseren samen met Susanna de Beer, Marieke van den Doel en Inge Werner. In de laatste maanden voor mijn promotie heb ik mogen werken op het Promovendi & Postdoc Centrum van de Rijksuniversiteit Groningen. Ik bedank alle dames van het PPC voor hun steun bij de laatste loodjes. Buiten het werk wil ik in de eerste plaats mijn ouders bedanken voor alle interesse en morele en financiële ondersteuning, eerst bij mijn studies en later bij mijn proefschrift. Als ik in Italië verbleef, kwamen ze soms op bezoek om te kijken waar ik mee bezig was en 436 RINGRAZIAMENTO mocht ik ze rondleiden door Rome en Florence, of gingen we met de auto op ‘bedevaart’ naar Arquà Petrarca. Verder bedank ik in het bijzonder mijn zus Josephine, met wie ik een groot deel van mijn promotieperiode heb samengewoond en bij wie ik later op elk moment mocht blijven logeren. Ook heeft ze mijn samenvatting gecorrigeerd. Daarnaast wil ik alle overige familieleden en vrienden, en de familie de Haas bedanken voor hun steun en belangstelling. Helemaal aan het eind van dit dankwoord wil ik Tymon de Haas bedanken, die ik halverwege het schrijven van mijn proefschrift in Rome leerde kennen (waar een proefschrift al niet goed voor is). Alle hulp die je mij hebt gegeven bij de afronding van mijn proefschrift kun je de komende jaren terug verwachten. Heel toepasselijk om je met de Orpheusmythe bezig te houden als je zelf gaat trouwen; gelukkig zijn slangen in Nederland heel zeldzaam… 437 INDICE ALFABETICO 193, 220, 231, 236, 247, 252, 266, 267, 271, 276, 279, 280, 288, 291, 313, 314, 316, 317, 318, 321 Apollonio Rodio, 35, 43, 76, 151, 218 Arato da Sicione, 205 Ares, 256 Aretino, Pietro, 251, 252, 254 Argastro, 188, 212 Argonauta, 16, 27, 31, 35, 37, 41, 43, 54, 75, 76, 82, 87, 98, 128, 213, 219, 250, 252, 255, 256, 257, 258, 273, 293, 323, 330 Arianna, 176, 246, 301 Arione, 14, 47, 100, 122, 197, 200, 203, 223, 251, 252, 290, 296, 327 Aristeo, 11, 43, 44, 45, 46, 48, 51, 60, 61, 63, 64, 65, 67, 70, 75, 76, 83, 94, 96, 98, 101, 108, 119, 126, 156, 162, 163, 164, 172, 176, 177, 179, 180, 181, 182, 183, 184, 185, 186, 187, 188, 189, 193, 195, 204, 205, 207, 208, 209, 210, 211, 212, 225, 226, 228, 233, 243, 244, 245, 269, 270, 271, 272, 273, 280, 299, 303, 304, 305, 325, 328 Aristotele, 63, 123, 138, 149, 173, 182 Armenini, Giovanni Battista, 217, 223 Arnolfo d’Orléans, 66, 67, 92, 93, 95, 96, 225, 232 Atalanta, 50, 206 Atena, 36 Atteone, 246, 247 Aureliano di Réome, 72 A Abramo, 134 Adamo, 134, 292 Ade, 31, 32, 38, 39, 40, 41, 42, 44, 46, 47, 48, 50, 51, 53, 57, 58, 59, 66, 67, 74, 75, 76, 81, 87, 88, 95, 96, 98, 104, 108, 111, 112, 117, 120, 124, 125, 126, 127, 165, 166, 171, 185, 186, 187, 193, 195, 199, 202, 203, 206, 207, 208, 209, 225, 233, 240, 241, 243, 244, 245, 247, 248, 270, 273, 274, 275, 276, 302, 308, 310, 311, 315, 320, 323, 324, 326, 331 Adone, 31, 50, 101, 220 Africo, 163, 181 Agazzari, Agostino, 314 Aglaofemo, 134 Agostini, Nicolò degli, 98, 190, 196, 215, 225, 226, 227, 228, 239, 240, 244, 246, 248, 251, 329 Agostino, 57, 123, 173 Agostino Veneziano, 243 Alberico, 70, 217 Alcesti, 38, 39, 41, 75 Alciati, 222 Alessandro di Napoli, 222 Alighieri, Dante, 12, 20, 27, 48, 52, 79, 80, 89, 104, 105, 106, 111, 116, 117, 118, 119, 122, 123, 129, 213, 253, 259, 260, 305, 309, 312, 319, 325 Alighieri, Pietro, 116, 117 Amelonghi, Girolamo, 253 Aminta, 251, 279, 298, 301, 303, 311 Ammannati, Bartolomeo, 292, 293 Amore, 25, 36, 38, 103, 109, 110, 111, 112, 113, 122, 136, 137, 138, 140, 141, 149, 150, 166, 208, 222, 223, 245, 263, 305, 311, 312, 314, 326 Anfiarao, 124 Anfione, 14, 52, 99, 100, 101, 103, 122, 135, 143, 148, 219, 223, 251, 259, 261, 296 Anguillara, Giovan Andrea, 217, 226, 227, 229, 230, 231, 232, 238, 241, 242, 243, 263, 276, 329 Antea, 264 Anteo, 293 Apollo, 11, 31, 32, 38, 40, 41, 47, 50, 51, 76, 83, 85, 95, 96, 103, 110, 146, 148, 163, 169, 184, 188, B Baccanti, 31, 39, 50, 61, 67, 87, 90, 95, 127, 162, 167, 169, 170, 171, 175, 176, 177, 178, 183, 188, 205, 206, 210, 211, 220, 229, 237, 239, 242, 245, 278, 280, 281, 303, 311, 312, 313, 314, 316, 317, 324, 327, 329 (cfr. anche Menadi) Bacchini, Girolamo, 300 Bacco, 46, 50, 85, 86, 87, 121, 126, 148, 158, 169, 170, 176, 184, 188, 218, 220, 246, 312, 313 Bandinelli, Baccio, 243, 283, 284, 285, 288, 290 Barbaro, Ermolao, 139, 173, 258, 278 Bardi, Giovanni de’, 296, 297 Bassano, Francesco, 262 Battiferri, Laura, 264 Beatrice, 118, 119, 120 439 INDICE ALFABETICO Canale, Carlo, 155, 158, 159, 176 Cancellieri, Gioachino, 104 Cappello, Bianca, 295 Capra, Galeazzo Flavio, 278 Carafa, Oliviero, 286 Carlo VIII, 282 Caronte, 38, 95, 167, 186, 188, 194, 195, 225, 227, 232, 233, 236, 237, 239, 244, 245, 302, 308, 309, 316 Carracci, Annibale, 275, 276 Carrari, Baldassare, 269 Cartari, Vincenzo, 70, 139, 154, 217, 221, 222, 223, 248, 328 Casella, 11, 116, 117, 118 Cassero, Iacopo del, 118 Castiglione, Baldassare, 251, 280 Castore, 87 Catone, 117 Cavalieri, Emilio de’, 297, 298 Cellini, Benvenuto, 264 Centauri, 209, 255, 257 Cerbero, 44, 48, 58, 61, 66, 95, 98, 99, 165, 166, 180, 194, 198, 199, 205, 225, 227, 228, 233, 240, 243, 244, 245, 264, 283, 284, 285, 289, 290, 309, 325 Cerere, 216, 219 Chiabrera, Gabriello, 298 Chigi, Agostino, 246, 281 Chirone, 255, 257 Cicerone, M. Tullio, 123 Ciocchi del Monte, Antonio Maria, 287 Ciparisso, 50 Cirene, 44, 272, 273 Claudiano, 185 Clemente Alessandrino, 55, 56 Clemente VII, 286, 287, 289 Cleopatra, 268 Clio, 253 Clitero, 188, 212 Colonna, Giovanni, 102 Colonna, Vittoria, 263 Conti, Natale, 100, 217, 218, 219, 220, 221, 247, 260, 328 Corio, Bernardino, 266 Corsi, Giovanni, 141 Corsi, Jacopo, 297, 298 Cosmo, 141, 142 Belacqua, 118 Belidi, 48, 166 Belo, 90, 280 Benedetto da Rovezzano, 284 Berchorius, Bercorio, v. Bersuire Berni, Francesco, 254, 261, 278 Bersuire, Pierre, 22, 67, 68, 69, 70, 82, 224 Bertoldo di Giovanni, 146, 201 Biagio di Antonio, 256 Biblide, 280 Boccaccio, Giovanni, 11, 12, 28, 55, 70, 79, 80, 82, 83, 84, 85, 86, 87, 88, 89, 98, 99, 100, 101, 102, 103, 106, 107, 108, 110, 111, 112, 113, 120, 121, 122, 123, 124, 125, 127, 128, 129, 131, 148, 161, 162, 163, 169, 184, 189, 193, 199, 201, 213, 217, 218, 219, 221, 222, 228, 232, 247, 249, 250, 253, 256, 259, 263, 270, 278, 325, 326, 328, 329 Boezio, 24, 57, 58, 59, 60, 61, 62, 63, 65, 66, 67, 69, 73, 76, 85, 106, 115, 116, 118, 119, 126, 174, 200, 275, 317, 324 Boiardo, Matteo Maria, 185 Bonsignori, Giovanni dei, 80, 89, 92, 93, 94, 95, 96, 97, 98, 128, 162, 196, 207, 225, 226, 227, 228, 231, 232, 233, 234, 236, 237, 238, 243, 244, 247, 248, 325, 329 Borghese, Scipione, 26 Bracciolini, Poggio, 259 Bruni, Leonardo, 131, 132 Bruno, Giordano, 150, 215, 280 Buonarroti, Michelangelo, 298 Buonconte da Montefeltro, 118 Burchiello, 254 C Caccini, Giulio, 11, 22, 133, 296, 297, 298, 299, 301, 304, 318, 320 Calai, 50, 87 Calciope, 256 Calderini, Domizio, 265, 266 Caleon, 113 Callimaco, 37, 141 Calliope, 31, 47, 74, 83, 126, 193, 220, 251, 252, 253, 279, 280, 281 Camilliani, Francesco, 243 Cammilla d´Aragona, 265, 266 Campi Elisi, 46, 145, 170, 318 440 INDICE ALFABETICO Costantino (imperatore), 56, 57 Cristina di Lorrena, 69, 297, 315 Cristo, 14, 55, 56, 57, 66, 67, 68, 69, 74, 76, 79, 81, 157, 193, 324 Crono, 35, 141 Cupido, 111, 210, 268 Ercole, 12, 39, 43, 46, 52, 53, 58, 87, 113, 124, 125, 127, 129, 148, 152, 158, 169, 173, 185, 197, 200, 212, 218, 219, 246, 247, 251, 255, 265, 266, 275, 280, 290, 291, 293, 321, 326, 327 Erinni, 205 Ermes, 38, 40, 41, 75 Ermete Trismegisto, 134, 135, 152, 153 Erodoto, 36, 37, 100 Eros, 35, 36, 141 Eschilo, 38, 40, 296 Esiodo, 36, 122, 136 Eumenidi, 44, 48, 90 Euridice, 11, 15, 20, 26, 27, 28, 29, 31, 33, 34, 38, 39, 40, 41, 42, 44, 45, 46, 47, 48, 49, 50, 51, 57, 58, 59, 60, 61, 63, 64, 65, 66, 67, 68, 69, 70, 71, 72, 73, 74, 75, 76, 83, 84, 85, 87, 90, 91, 92, 94, 95, 96, 98, 99, 108, 109, 110, 111, 112, 113, 114, 116, 117, 118, 119, 120, 121, 124, 126, 128, 129, 139, 140, 144, 148, 154, 162, 163, 164, 165, 166, 167, 170, 171, 173, 174, 175, 177, 178, 180, 181, 182, 184, 185, 187, 188, 189, 190, 191, 192, 193, 194, 195, 196, 197, 198, 201, 202, 204, 205, 207, 208, 209, 210, 211, 212, 213, 215, 219, 220, 225, 226, 229, 230, 231, 232, 233, 236, 237, 239, 240, 241, 244, 245, 246, 247, 248, 249, 250, 252, 259, 263, 264, 266, 267, 268, 269, 270, 271, 272, 273, 274, 275, 276, 277, 278, 280, 293, 294, 295, 297, 298, 299, 300, 301, 302, 303, 304, 305, 306, 307, 308, 310, 311, 312, 313, 314, 315, 316, 317, 318, 320, 321, 323, 325, 328, 329, 330, 331 Euripide, 36, 38, 39, 75, 162, 169, 296 Eusebio, 55, 56, 121 Euterpe, 253 Eva, 67, 76 Evemero, 221 D D’Este, Ercole, 185, 212 Dafne, 163, 271, 276, 297, 298, 302, 305, 321 Daniello, Bernardino, 260 Davide, 69, 72, 140, 284 Dedalo, 309 Del Sellaio, Jacopo, 20, 176, 178, 207, 208, 209, 210, 213, 269, 270, 328 Della Robbia, Luca, 20, 23, 24, 25, 107, 108, 233 Democrito, 135 Diana, 184, 246, 247 Dio, 31, 55, 57, 62, 63, 64, 66, 68, 72, 81, 93, 115, 120, 123, 133, 135, 136, 137, 138, 140, 143, 149, 172, 174, 175, 178, 196, 211, 221, 223, 226, 230, 250, 259, 260, 261, 263, 275, 288, 317, 318, 319, 325, 327, 329, 331 Dioniso, 31, 34, 35, 36, 38, 40, 76, 141, 148 Dolce, Ludovico, 226, 228, 229, 230, 231, 237, 238, 260, 329 Donatello, 284 Driadi, 44, 48, 182, 184, 198 Druidi, 134 E Eagro, 31, 41, 126, 218 Ebro, 38, 46, 50, 51, 85, 86, 97, 118, 127, 143, 235, 281 Ecate, 47 Egidio da Viterbo, 149, 150 Elena, 268 Eleonora d´Aragona, 158, 265, 266, 267 Eleonora di Toledo, 290 Eliadi, 205, 206 Enea, 46, 117, 124, 125, 137, 215 Ennio, 145 Enrico IV, 298, 300, 305, 312, 315, 320 Equicola, Mario, 149 Eratostene, 38, 54 F Ferdinando, 11, 295, 297, 298, 300, 301, 315, 320 Fiammetta, 89, 111, 113 Ficino, Marsilio, 11, 13, 16, 20, 28, 29, 34, 36, 55, 59, 81, 103, 104, 124, 129, 131, 132, 133, 134, 135, 136, 137, 139, 140, 141, 142, 143, 144, 145, 146, 147, 148, 149, 150, 151, 153, 154, 155, 158, 162, 164, 172, 173, 174, 175, 178, 193, 201, 211, 215, 222, 224, 248, 250, 257, 259, 263, 275, 282, 285, 319, 320, 326, 327 441 INDICE ALFABETICO Fillide, 279 Filostrato, 32, 70 Folengo, Teofilo, 251, 252 Fulgenzio, 57, 60, 61, 63, 70, 76, 85, 87, 125, 126, 128, 148, 324 Horologgi, Gioseppe, 231, 232, 242, 263, 329 I Ibico, 37 Igino, Caio Giulio, 54, 125, 184, 209, 281, 313 Imeneo, 176, 267, 268, 305 Inferi, 11, 33, 39, 40, 41, 42, 44, 46, 48, 56, 57, 58, 59, 60, 61, 64, 66, 68, 115, 124, 148, 161, 166, 167, 179, 186, 198, 201, 207, 310, 324 Isabella d’Aragona, 265, 267 G Galilei, Vincenzo, 295, 296 Gallo, Filenio, 44, 104, 251, 264 Gambara, Veronica, 251 Gaurico, Pomponio, 279, 280 Giacinto, 50, 280 Giambullari, Pierfrancesco, 254 Giano, 288 Giasone, 87, 190, 255, 256 Gilbert de Montpensier, 160, 210 Ginevra de’ Benci, 174, 175, 218, 269 Giovanni del Virgilio, 67, 80, 83, 89, 92, 93, 94, 95, 96, 97, 104, 128, 148, 207, 225, 228, 325, 329 Giovanni di Garlandia, 67, 93 Giove, 36, 135, 136, 169, 204, 205, 216, 219, 221, 223, 246, 247, 266, 313 Giovio, Paolo, 285 Giraldi, Lilio Gregorio, 139, 154, 217, 218, 221, 222, 223, 248, 328 Giulio II, 282, 287 Goffredo di Reims, 74 Golia, 284 Gonzaga, Clara, 160, 210 Gonzaga, Federico II, 203 Gonzaga, Francesco, 155, 158, 159, 160, 164, 166, 177, 182, 185, 199, 210, 212, 300, 301 Gonzaga, Ludovico, 159, 200, 291, 320 Gonzaga, Margherita, 300 Gonzaga, Vespasiano, 206, 252 Gonzaga, Vincenzo, 155, 300 Grazie, 133, 137, 268 Grazzini, Antonfrancesco (Il Lasca), 253, 254 Guarino Veronese, 104, 131, 259 Guazzo, Stefano, 252, 260, 261 Guglielmo di Conches, 63, 64, 65, 73, 83, 84, 96, 119, 232 L Landini, Francesco, 81, 103, 129, 259 Landino, Cristoforo, 132, 134, 135, 137, 139, 146, 147, 148, 154, 259, 275 Laomedonte, 121 Lattanzio Placido, 61, 83, 87, 125, 218, 224, 228 Laura, 108, 109, 110, 111, 113, 263, 264, 302 Leone X, 144, 282, 283, 285, 286, 287, 288, 289, 291, 299 Leonzio, 87, 120, 121 Letea, 61 Licone, 279, 280 Lino, 47, 120, 121, 122, 123, 124, 135, 137, 152 Livio, 123, 268 Lomazzo, Giovanni Paolo, 206, 217, 223, 262 Lot, 116, 117, 174, 175, 318 Luca (Vangelo di), 63, 64, 115, 116, 173 Luciano, 218, 260 Lucrezia, 176, 268 M Macrobio, 125 Maestro degli Argonauti, 255, 256 Maestro di Orfeo, 201, 202 Magli, Giovan Gualberto, 300 Mantegna, Andrea, 20, 25, 39, 127, 155, 158, 160, 169, 170, 176, 197, 198, 199, 200, 201, 203, 206, 213, 233, 235, 266, 278, 290, 291, 301, 320, 327 Manuzio, Aldo, 218 Marco da Modena, 254 Maria, 81, 157 Marretti, Fabio, 226, 232 Marsia, 103, 206, 246, 247 Marte, 101, 151, 288 Martelli, Braccio, 148 H Henryson, Robert, 22, 65, 75, 190 Heurodis, 75 442 INDICE ALFABETICO Marullo, Michele, 150, 151 Marziano Capella, 63, 73, 105 Medea, 256, 268, 280 Medici, Alessandro de’, 289 Medici, Antonio de’, 298 Medici, Clarice de’, 155, 252 Medici, Cosimo (il Vecchio) de’, 131, 132, 141, 142 Medici, Cosimo I de’, 289, 290, 291, 292, 293, 295, 299, 320 Medici, Francesco I de’, 203, 222, 295, 297, 298, 315, 320 Medici, Giovanni de’, 144, 283, 295, 300 Medici, Giovanni di Pierfrancesco de’, 291 Medici, Giuliano de’, 177, 282 Medici, Giulio de’, 284, 289 Medici, Lorenzo de’, 103, 132, 138, 143, 144, 146, 155, 158, 159, 164, 172, 173, 174, 176, 252, 275, 317, 320, 327 Medici, Maria de’, 298, 300, 302, 303, 305, 312, 314, 315, 320 Medici, Piero de’, 282 Medusa, 195 Mei, Girolamo, 296 Meleagro, 206, 246, 247 Menadi, 48, 50, 86, 121, 218, 252, 269, 313 (cfr. anche Baccanti) Mensola, 163, 181 Mercurio, 54, 83, 85, 134, 150, 151, 160, 171, 183, 184, 188, 193, 195, 206, 216, 223, 231, 261, 268 Mida, 101, 246, 247 Migliorotti, Atalante, 179 Minosse, 164, 165, 186, 194 Mirra, 50, 280 Mirtillo, 188, 212 Mnasyllus, 185 Mochio, Pietro, 251 Moderno, 202, 203 Mondella, Galeazzo, 202 Monteverdi, Claudio, 11, 22, 27, 29, 133, 155, 177, 206, 213, 295, 296, 298, 300, 301, 308, 309, 312, 313, 316, 317, 318, 319, 321, 331 Mopso, 162, 172, 183, 273 Mosè, 35, 55, 120, 121, 132, 133, 134, 135, 263 Muse, 32, 43, 99, 102, 137, 144, 204, 221, 223, 253, 271, 279 Museo, 35, 46, 55, 120, 121, 122, 123, 124, 133, 135, 152 N Naldi, Naldo, 47, 142, 143, 145, 146, 147, 224 Narcisso, 15 Neckam, Alexander, 70 Nicola da Urbino, 244 Notker Labeone, 63, 64, 115, 174 O Oleno, 61 Omero, 37, 145, 178, 179, 312 Orazio, 44, 52, 75, 100, 105, 129, 185, 218, 220, 259, 324 Ovidio, 11, 15, 16, 20, 21, 25, 28, 31, 33, 43, 48, 49, 50, 51, 52, 58, 59, 61, 62, 63, 65, 66, 67, 69, 75, 76, 80, 81, 83, 85, 88, 89, 90, 91, 92, 93, 94, 95, 96, 97, 98, 99, 105, 108, 109, 116, 117, 129, 154, 161, 162, 165, 166, 168, 169, 170, 171, 174, 186, 188, 190, 196, 197, 205, 206, 210, 212, 215, 217, 219, 220, 224, 225, 226, 227, 228, 229, 230, 231, 232, 233, 234, 238, 239, 240, 241, 242, 244, 247, 259, 263, 276, 281, 304, 306, 308, 312, 318, 323, 327 P Paleotto, Gabriele, 216 Pan, 47, 56, 223 Panfilo, 111 Pasquino, 285, 286, 287, 291 Patroclo, 285 Pazzi, Alfonso de´, 160, 253 Pelia, 256, 257 Penelope, 268 Peri, Jacopo, 11, 22, 29, 42, 113, 133, 276, 295, 296, 297, 298, 299, 301, 302, 304, 314, 318, 319, 320, 321, 331 Periandro, 100, 200 Peritoo, 39, 125 Persefone, 39, 42 (cfr. anche Proserpina) Peruzzi, Baldassare, 26, 246, 247, 275, 281, 282 Petrarca, Francesco, 12, 20, 55, 68, 69, 70, 79, 104, 106, 108, 109, 110, 111, 112, 113, 114, 116, 119, 120, 122, 123, 124, 129, 131, 159, 213, 221, 249, 252, 253, 263, 264, 305, 317, 319, 325 443 INDICE ALFABETICO Phanes, 35 Piccolomini, Enea Silvio, 215 Pico della Mirandola, Giovanni, 132, 138, 139, 141, 147, 148, 150, 154 Piero da San Casciano, 291 Pietro di Parigi, 65 Pigmalione, 50 Pindaro, 41, 151 Piramo, 189 Pisan, Cristina di, 20, 69 Pitagora, 134, 135, 145, 153 Platone, 36, 41, 55, 58, 63, 64, 75, 76, 123, 125, 132, 133, 134, 135, 138, 139, 140, 146, 148, 149, 150, 153, 154, 173, 263, 326 Pletone, Gemisto, 132, 135 Plutone, 11, 38, 71, 90, 99, 112, 114, 165, 166, 171, 172, 174, 180, 181, 186, 187, 193, 194, 195, 201, 205, 206, 209, 228, 239, 240, 241, 274, 304, 308, 309, 310, 311, 314, 316 Poliziano, Angelo, 11, 16, 20, 21, 25, 27, 28, 29, 71, 101, 132, 133, 139, 145, 147, 148, 155, 156, 157, 158, 159, 160, 161, 162, 163, 164, 165, 166, 167, 168, 169, 170, 171, 172, 173, 174, 175, 176, 177, 178, 179, 181, 182, 183, 184, 185, 186, 187, 188, 191, 193, 194, 195, 196, 197, 199, 200, 201, 207, 208, 209, 210, 211, 212, 213, 215, 221, 226, 227, 243, 246, 250, 256, 257, 260, 265, 268, 269, 275, 278, 279, 280, 282, 285, 293, 295, 296, 299, 301, 302, 304, 305, 308, 311, 312, 317, 318, 319, 320, 327, 328, 329, 330, 331 Polluce, 47, 87 Pontano, Giovanni, 21, 150, 151, 252, 258, 260, 281 Prometeo, 14, 24, 210 Proserpina, 24, 31, 44, 110, 111, 165, 166, 186, 187, 205, 209, 219, 220, 239, 240, 272, 274, 300, 308, 310 (cfr. anche Persefone) Proteo, 44, 208, 272 Protogonos, 35 Provenzale, Marcello, 26 Pucci, Piero Maria, 108, 245 Pulci, Luigi, 148, 254, 263, 264 Raffaello Sanzio, 59, 153 Raimondi, Marcantonio, 244, 276, 277 Rasi, Francesco, 298, 300 Rea, 35, 141 Regino di Prüm, 72 Regio, Raffaele, 37, 224, 236, 238 Remigio di Auxerre, 62, 63, 65, 68, 70, 73, 125 Riario, Pietro, 265 Rinaldo, 264 Rinuccini, Ottavio, 276, 296, 297, 298, 299, 301, 302, 303, 304, 305, 306, 308, 309, 311, 312, 313, 314, 318, 319, 320, 330, 331 Ripa, Cesare, 262, 263 Romano, Giulio, 203, 235, 236, 240, 241, 246 Rusconi, Giovanni Antonio, 237 S Sacchetti, Franco, 102, 103 Saffo, 223, 251 Salomone, Bernardo, 69, 232, 239 Salutati, Coluccio, 53, 55, 70, 80, 81, 85, 98, 106, 115, 119, 124, 125, 126, 127, 129, 131, 175, 177, 200, 266, 275, 313, 317, 326 Sanga, Giovan Battista, 254 Saturno, 261 Savonarola, Girolamo, 175, 215, 282 Scavizzi, Giuseppe, 20, 22, 108, 199, 200, 201, 210, 261, 273, 274, 276 Scilla, 280 Semiramide, 268, 280 Seneca, 52, 53, 58, 123, 174 Senofonte, 37 Serdini, Simone (Il Saviozzo), 101, 102 Servio, 44, 125 Sforza, Costanzo, 265, 266 Sforza, Galeazzo, 159 Sforza, Gian Galeazzo, 265, 267 Sibilla, 46, 152 Signorelli, Luca, 129, 274, 275, 277, 328 Sileno, 47 Silvestre, Bernardo, 64, 65, 84, 105, 124, 126 Simintendi, Arrigo, 89, 90, 91, 92, 98, 161, 197, 233 Simonetta (Cattaneo), 177 Sisifo, 48, 90, 166 Sofocle, 37, 296, 312 R Rabano Mauro, 68, 83 Radamanto, 302, 303, 308 444 INDICE ALFABETICO Solone, 135 Spirito, Lorenzo, 61, 136, 225, 226, 227, 228, 237, 245, 319, 329 Stampa, Gaspara, 252 Stige, 49, 67 Strada, Jacopo, 204 Striggio, Alessandro, 11, 177, 301, 304, 305, 306, 307, 309, 310, 311, 312, 313, 314, 316, 317, 318, 320, 321, 331 Symeoni, Gabriello, 69, 232, 239 114, 116, 117, 118, 122, 127, 146, 154, 162, 165, 166, 167, 171, 174, 177, 184, 186, 188, 198, 204, 206, 210, 212, 215, 259, 268, 272, 281, 304, 305, 323, 324, 327 Visconti, Giovan Battista, 299 X Xanto Avelli da Rovigo, Francesco, 244, 245 Z Zagreo, 36 Zarlino, Gioseffo, 295, 296 Zeto, 87, 223 Zeus, 13, 36, 55 Zoroastro, 134, 135, 136, 152, 153 T Talete, 135 Tamira, 279, 280 Tansillo, Luigi, 258, 263 Tantalo, 48, 58, 90, 166 Tartaro, 58, 59, 116, 144, 165 Tasso, Torquato, 48, 80, 150, 251, 252, 258, 260, 301, 315 Tebaldi, Antonio (Tebaldeo), 182, 251, 252, 263 Teocrito, 37, 177 Teodonzio, 86, 87 Teodoreto, 57 Teodoro di Saint-Trond, 74 Teseo, 39, 46, 124, 125, 127, 152 Thyrsi, 184 Tisbe, 189 Titani, 35, 36 Tiziano Vecellio, 20, 273, 274 Tizio, 48, 58, 90 Tribolo, Niccolò, 291, 292 Trivet, Nicholas, 65, 73, 96 Tucidide, 37 Turchi, Francesco, 232, 329 V Vasari, Giorgio, 108, 284, 291, 292 Venere, 31, 50, 102, 126, 127, 149, 158, 219, 220, 302, 303, 308, 311, 316 Venuti, Comedio, 252 Verino, Ugolino, 144, 175 Vespucci, Marco, 177 Virgil Solis, 69, 239 Virgilio Marone, P., 21, 28, 31, 33, 43, 44, 45, 46, 47, 48, 49, 50, 51, 52, 58, 59, 60, 63, 65, 75, 76, 80, 83, 86, 88, 92, 93, 94, 95, 96, 98, 108, 109, 445