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Type
PhD thesis
Title
Il trionfo di Orfeo : la fortuna di Orfeo in Italia da Dante a Monteverdi
Author(s)
L.C.J. Rietveld
Faculty
FGw: Instituut voor Cultuur en Geschiedenis (ICG)
Year
2007
FULL BIBLIOGRAPHIC DETAILS:
http://hdl.handle.net/11245/1.263136
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Il trionfo di Orfeo
La fortuna di Orfeo in Italia da Dante a Monteverdi
Laura Rietveld
In copertina: Orfeo, Nozze di Pesaro, BAV, Ms.Urb.Lat. 899, fol. 64v.
Disegno copertina e stampa: F&N Boekservice Amsterdam
© Laura Rietveld 2007
ISBN: 978-907867501-3
Il trionfo di Orfeo
La fortuna di Orfeo in Italia da Dante a Monteverdi
ACADEMISCH PROEFSCHRIFT
ter verkrijging van de graad van doctor
aan de Universiteit van Amsterdam
op gezag van de Rector Magnificus
prof. mr. P.F. van der Heijden
ten overstaan van een door het college voor promoties ingestelde
commissie, in het openbaar te verdedigen in de Aula der Universiteit
op dinsdag 13 februari 2007, te 12.00 uur
door
Laurentia Catharina Johanna Rietveld
geboren te Amsterdam
Promotor: prof. dr. R. Crespo
Co-promotor dr. R.M. de Rooij
Faculteit der Geesteswetenschappen
‘degno d’eterna gloria
fia sol colui c’havra di sè vittoria’
(Monteverdi, L’Orfeo, atto IV)
INDICE
Introduzione
11
Capitolo 1. Le origini di Orfeo
Il mito nell’antichità e nel primo Medioevo
31
1.0 Il mito di Orfeo
1.1 Orfeo e l’orfismo nell’antichità
1.2 Orfeo greco
1.3 Orfeo romano
1.3.1 Orfeo vs. Aristeo nelle Georgiche
1.3.2 Amante, oratore e omosessuale nelle Metamorfosi
1.3.3 Orfeo civilizzatore e Orfeo vs. Ercole
1.4 Il periodo postclassico
1.4.1 Orfeo-Cristo negli apologeti ebraici e cristiani e nella prima arte cristiana
1.4.2 Orfeo in cerca del mondo superiore nel De Consolatione
1.4.3 L’allegoria musicale di Fulgenzio
1.5 Il primo Medioevo
1.5.1 Orfeo in cerca del sommo bene nei commenti a Boezio
1.5.2 Orfeo-Cristo e virtuoso nei commenti alle Metamorfosi
1.5.3 Civilizzatore nel terzo mitografo vaticano
1.5.4 Orfeo vs. Davide e voce musicale nei trattati musicali
1.5.5 Trionfante nell’Ade nella poesia medievale
1.6 Conclusione
31
33
35
43
44
48
52
55
55
57
60
61
62
66
69
72
74
75
Capitolo 2. Il mito come topos
Orfeo nel Trecento e nel primo Quattrocento (ca. 1300-1450)
2.0 Dal Medioevo al Rinascimento
2.1 La tradizione mitografica: le Genealogie deorum gentilium
2.2 Le rielaborazioni delle Metamorfosi
2.2.1 L’Ovidio Maggiore, una traduzione letterale
2.2.2 Le allegorie di Giovanni del Virgilio e Giovanni dei Bonsignori
2.3 Poeta e musicista esemplare
2.4 Civilizzatore
2.5 Amante
2.6 Orfeo in cerca del sommo bene
2.7 Poeta-teologo o filosofo
7
79
79
82
88
90
92
98
104
108
114
120
2.8 L’epicureo vs. lo stoico nel De laboribus Herculis di Coluccio Salutati
2.9 Conclusione
124
128
Capitolo 3. Poeta-teologo storico
La cerchia di Marsilio Ficino a Firenze (ca. 1450-1500)
131
3.0 Ficino e il neoplatonismo fiorentino
3.1 Priscus theologus o poeta-teologo
3.2 Poeta ispirato e alter ego di Ficino
3.3 La fortuna del poeta-teologo
3.4 Conclusione
131
133
139
149
153
Capitolo 4. Figura teatrale e amante popolare
La Fabula di Orfeo di Poliziano e le sue imitazioni (ca. 1475-1525)
155
4.0 Poliziano e la corte mantovana
4.1 La Fabula di Orfeo
4.1.1 Introduzione alla Fabula
4.1.2 La nuova rappresentazione del mito
4.1.3 Speculazioni sul significato
4.2 Due imitazioni teatrali: l’Orphei tragoedia e La favola di Orfeo e Aristeo
4.2.1 Le due tragedie
4.2.2 Trasformazioni tragiche del mito
4.3 Orfeo ed Euridice nei cantari cinquecenteschi
4.3.1 Il genere popolare dei cantari
4.3.2 Orfeo amante nei cantari
4.4 Il mito nei cicli pittorici
4.4.1 Orfeo alla corte dei Gonzaga
4.4.2 L’apparizione di Aristeo vs. Orfeo conciliatore
4.5 Conclusione
155
156
156
160
171
179
182
183
189
189
190
197
197
207
211
Capitolo 5. Mitografo o figura mitologica?
Le opere mitografiche cinquecentesche (ca. 1475-1600)
215
5.0 La divulgazione del mito
5.1 La tradizione mitografica: da figura mitologica a mitografo
5.1.1 Le Mythologiae di Natale Conti
5.1.2 Orfeo mitografo nei trattati mitologici ed iconografici
5.2 I volgarizzamenti delle Metamorfosi
5.2.1 Allegorie medievali ed influenze umanistiche
5.2.2 Traduzioni letterali
215
217
218
221
224
225
227
8
5.2.3 Controriforma e allegoria
5.2.4 Dal testo all’immagine: le xilografie
5.2.5 La fortuna delle xilografie nell’arte
5.3 Conclusione
231
232
243
247
Capitolo 6. Topoi, reazioni ed innovazioni
Orfeo alla fine del Quattrocento e nel Cinquecento (ca. 1475-1600)
249
6.0 Introduzione
6.1 Poeta eccellente vs. poeta odiato
6.2 Argonauta
6.3 Civilizzatore
6.4 Orfeo ed Euridice amanti fedeli
6.5 Fallito o trionfante?
6.6 Misogino e omosessuale
6.7 Orfeo come simbolo del potere rinnovato dei Medici
6.8 Conclusione
249
251
255
259
263
273
277
282
293
Capitolo 7. Il trionfo di Orfeo
Orfeo nei primi melodrammi (1600-1607)
295
7.0. La nascita del melodramma
7.1 L’Euridice di Peri e Caccini e l’Orfeo di Monteverdi
7.2 Orfeo nei due libretti
7.3 Orfeo finalmente trionfante
7.4 Conclusione
295
298
302
314
319
Sintesi conclusiva
323
Bibliografia
333
Fonti fotografiche
361
Appendici
363
I. Elenco dei riferimenti letterari a Orfeo
II. Elenco dei riferimenti a Orfeo nelle arti figurative
III. Paragone della Fabula di Orfeo e le sue imitazioni (capitolo 4)
IV. Paragone delle traduzioni delle Metamorfosi (capitolo 5)
V. Paragone dei libretti di Rinuccini e Striggio (capitolo 7)
363
385
399
407
411
9
Summary (riassunto in inglese)
415
Samenvatting (riassunto in olandese)
425
Dankwoord (ringraziamento)
435
Indice alfabetico
439
10
INTRODUZIONE
L’Orfeo di Claudio Monteverdi è oggi considerato una pietra miliare nella storia della
musica. Anche se non fu il primo melodramma, l’Orfeo è spesso considerato musicalmente
superiore alle poche opere del nuovo genere che lo precedettero ed è dunque visto come il
primo melodramma significativo. Viene rappresentato ogni anno nei teatri di tutto il
mondo, e ne esistono numerosissime registrazioni musicali. In quest’opera su libretto di
Alessandro Striggio si racconta come Orfeo perda la sua amata Euridice per un morso di
serpente. Orfeo scende negli Inferi per convincere Plutone con il suo canto a restituirgli la
moglie. Plutone è bendisposto verso di lui, ma gli pone come condizione di non voltarsi
durante il ritorno per guardare Euridice. Sopraffatto dalla paura di perdere Euridice Orfeo
guarda indietro e la perde di nuovo. Apollo porta Orfeo con sé in cielo, dove potrà vedere
le sembianze di Euridice nel sole e nelle stelle.
L’Orfeo di Monteverdi non è l’unico melodramma che tratta del mito di Orfeo.
Alcuni anni prima della rappresentazione dell’opera di Monteverdi nel 1607, Jacopo Peri e
Giulio Caccini avevano già scritto la loro Euridice, basata sullo stesso mito. Dopo
Monteverdi il mito di Orfeo tornerà in decine di opere.1
Perché il mito di Orfeo conosce una tale fioritura in Italia all’inizio del Seicento? In
questa ricerca esamino come questo mito si sviluppa in Italia a partire delle origini della
letteratura italiana fino al culmine dell’Orfeo monteverdiano del 1607. La mia ricerca si
concentra dunque sullo sviluppo di Orfeo da figura stereotipata nei brevi riferimenti
trecenteschi a figura centrale in molti melodrammi intorno al 1600. Seguendo questa
strada verranno presi in esame alcuni autori e opere importanti, come la descrizione di
Orfeo nelle Genealogie di Giovanni Boccaccio e nelle traduzioni delle Metamorfosi di
Ovidio, che furono una fonte di conoscenza mitologica essenziale per generazioni di autori
e pittori, il ruolo di Orfeo nella filosofia e nella vita di Marsilio Ficino, la sua presenza nella
Fabula di Orfeo di Angelo Poliziano, ritenuta la prima rappresentazione teatrale secolare
in volgare, la funzione simbolica di Orfeo per i Medici e per i Gonzaga.
Lo scopo del presente studio non è, però, di spiegare soltanto i momenti delle
grandi fioriture del mito di Orfeo alla fine del Quattrocento, con Ficino e Poliziano, e
1
Per menzionare soltanto le opere composte da italiani: Domenico Belli, Orfeo dolente (Il pianto d’Orfeo),
Firenze, 1616; Stefano Landi, La morte d’Orfeo, Venezia, 1619; Luigi Rossi, Orfeo ‘tragicomedia per musica’,
Parigi, 1647; Antonio Sartorio, L’Orfeo, Venezia, 1672; Antonio Draghi, La lira d’Orfeo, Laxenburg, 1683; A.
Campra, Orfeo nell’Inferi, 1699; Giovanni Antonio Pollarolo, L’Aristeo, Venezia, 1700; Giovanni Alberto
Ristori, I lamenti di Orfeo, Dresden, 1749; Antonio Tozzi, Orfeo ed Euridice, Monaco di Baviera, 1775;
Ferdinando Bertoni, Orfeo ed Euridice, Venezia, 1776; Vittorio Trento, Orfeo negli Elisi, Verona, 1789;
Gianfrancesco Malipiero, L’Orfeide (trittico), 1918-22; Vittorio Rieti, Orfeo tragedia, 1928; Alfredo Casella,
La favola d’Orfeo, Venezia, 1932; Alberto Savinio, Orfeo vedovo, Roma, 1950; Roberto Lupi, La nuova
Euridice, Bergamo, 1957; Adriano Lualdi, Euridikes diatheke (Il testamento di Euridice), 1962.
11
INTRODUZIONE
all’inizio del Seicento con i melodrammi, ma anche quello di delineare gli aspetti diversi di
Orfeo che si incontrano e si incrociano generalmente nel periodo da ca. 1300 a ca. 1600.
Orfeo è infatti una figura mitologica complessa che presenta molte facce diverse e che ha
vissuto varie avventure. Appunto questa complessità rende interessante una ricerca sulla
sua fortuna, contrariamente a figure mitologiche ‘semplici’, come osserva giustamente
W.B. Stanford.2 Quali aspetti di Orfeo sono dunque evidenziati dagli autori e dagli artisti e
qual è la funzione di Orfeo nei testi letterari, nelle opere d’arte e nella musica? In altri
termini, come viene rappresentato Orfeo e perché e con quale scopo è rappresentato in tal
modo? Si possono distinguere alcune linee di sviluppo?
La tematologia
Gli studi sulla fortuna di figure mitologiche sono numerosi.3 Tali studi appartengono alla
tradizione della Stoffgeschichte, o della thématologie (tematologia).4 Anche se nel passato
questa tradizione di ricerca è stata fortemente criticata, Raymond Trousson l’ha difesa
elencando alcuni principi metodologici necessari per lo studio della fortuna di figure
2
W.B. Stanford, ‘The Adaptability of Mythical Figures’, in: The Ulysses Theme. A Study in the Adaptability of
a Traditional Hero, Basil Blackwell, Oxford, 1954, pp. 6-7. Per la stessa ragione Karl Galinsky ha studiato la
figura di Ercole (The Herakles Theme. The Adaptations of the Hero in Literature from Homer to the Twentieth
Century, Basil Blackwell, Oxford, 1972). Per una discussione della complessità della presenza di Ercole nella
letteratura italiana del Trecento si veda: L. Rietveld, ‘Il mito e il personaggio di Ercole nell’opera di Dante,
Petrarca e Boccaccio’, Incontri. Rivista europea di studi italiani 18. 2 (2003), pp. 99-113.
3
Per citare qualche esempio: R. Trousson, Le thème de Prométhée dans la littérature européenne, Genève,
Librairie Droz, 1964; L. Vinge, The Narcissus Theme in Western European Literature up to the Early 19th
Century, Lund, Gleerups, 1967; Galinsky, The Herakles Theme, cit.; Stanford, The Ulysses Theme, cit.; M.
Beller, Philemon und Baucis in der europäischen Literatur. Stoffgeschichte und Analyse, Heidelberg, Carl
Winter Universitätsverlag, 1967; Y.F.A. Giraud, La fable de Daphné. Essai sur un type de métamorphose
végétale dans la littérature et dans les arts jusqu’à la fin du xviie siècle, Genève, Droz, 1968; E. Leube, Fortuna
in Karthago. Die Aeneas-Dido-Mythe Vergils in den romanischen Literaturen vom 14. bis zum 16.
Jahrhundert, Heidelberg, 1969.
4
Una definizione del concetto Stoffgeschichte: ‘Teildisziplin der Komparistik; die Stoff- und Motivgeschichte
untersucht im diachronen und interkulturellen Vergleich die Ausprägungen, Überlieferungen und historisch
bedingten Modifikationen literarischer Stoffe, Motive und Themen und bezieht dabei neben den Zeugnissen
der Weltliteratur auch Gestaltungen in bildender Kunst, Musik und Alltagskultur mit ein. Da die dt.
Kategorien Stoff und Motiv in der frz. und angelsächs. Literaturwissenschaft keine eindeutige Entsprechung
haben und statt dessen unter den allgemeineren Bezeichnung thème bzw. theme zusammengefasst werden,
haben sich dort die Begriffe Thematologie bzw. Thematics durchgesetzt.’ (Metzler-Lexikon Literatur- und
Kulturtheorie. Ansätze, Personen, Grundbegriffe, a.c.d. A. Nünning, Stuttgart, 1998, p. 508). Elisabeth Frenzel
descrisse la teoria e la storia della tematologia e fece una raccolta considerevole di temi e della loro fortuna
(E. Frenzel, ‘Stoff- und Motivgeschichte’, in: Deutsche Philologie im Aufriss, Berlin, E. Schmidt, 1957-1960,
vol. I, pp. 281-332; idem, Stoff-, Motiv- und Symbolforschung, Stuttgart, J.B. Metzlersche
Verlagsbuchhandlung, 1963)
12
INTRODUZIONE
mitologiche.5 Uno studio del genere non può essere un semplice elenco cronologico di
opere, ma deve comprendere una ripartizione tematica interna che mostri certe linee di
sviluppo. In questo modo gli studi tematologici differiscono dai dizionari mitologici, che
formano, però, un punto di partenza molto utile per la tematologia. 6
Lo studio dei miti non deve limitarsi agli apici della letteratura, ma deve includere
ogni espressione del mito. Così la Stoffgeschichte diventa un tipo di Geistesgeschichte. A
questo punto Trousson ha introdotto una distinzione tra due gruppi di miti: mythes de
situation (miti di situazione) e mythes de héros (miti di eroe).7 Nei miti di situazione il
protagonista esiste solo in una determinata situazione e non ha una vita indipendente fuori
di questa situazione o di questo contesto. In altre parole: la situazione crea l’eroe, e non
viceversa. Nei miti dell’eroe il protagonista supera invece la situazione particolare: non è
un’ immagine fissa, ma ha una grande autonomia e polivalenza, che gli danno
un’indipendenza completa e un significato simbolico. Seguendo questa distinzione il mito
di Orfeo appartiene ai miti di eroe.8 La distinzione di Trousson fa pensare a quella di
Stanford fra eroi semplici ed eroi complessi. Gli ultimi, essendo indipendenti da una
situazione particolare, possono figurare in un’opera di una certa lunghezza, ma possono
anche essere comparire in qualche parola o allusione, richiedendo così una ricerca più
ricca e continua, che non si limita ad alcune opere letterarie.9 Tutti questi riferimenti e
allusioni riflettono il pensiero di un’epoca e vanno dunque considerati parte della
Geistesgeschichte. Secondo Trousson i miti di situazione, che hanno un intreccio più esteso
e che si manifestano spesso come una rappresentazione teatrale, pongono delle esigenze
diverse: se ne devono studiare la costruzione dell’opera, la concezione e l’uso dei temi
principali, i cambiamenti nei caratteri dei personaggi. Da questi elementi dipende il nuovo
5
R. Trousson, ‘Plaidoyer pour la Stoffgeschichte’, Revue de littérature comparée 38. 1 (1964), pp. 101-114 ;
idem, Un problème de littérature comparée : les études de thèmes. Essai de méthodologie, Paris, Minard, 1965 ;
idem, Thèmes et mythes. Questions de méthode, Bruxelles, Éditions de l’Université de Bruxelles, 1981.
6
J. Davidson Reid, The Oxford Guide to Classical Mythology in the Arts 1300-1990s, 2 volumi, Oxford, 1993;
E.M. Moormann & W. Uitterhoeve, Van Achilles tot Zeus. De klassieke mythologie in de kunst, Maarten
Muntinga b.v., Amsterdam, 1987; H. Hunger, Lexikon der griechischen und roemischen Mythologie : mit
Hinweisen auf das Fortwirken antiker Stoffe und Motive in der bildenden Kunst, Literatur und Musik des
Abendlandes bis zur Gegenwart, Hollinek, Wien, [1959]; E. Frenzel, Stoffe der Weltliteratur: ein Lexikon
dichtungsgeschichtlicher Längsschnitte, Stuttgart, Kröner, 1998 (1a ed. 1962).
7
Trousson, ‘Plaidoyer’, cit., p. 104. La terminologia della tematologia è problematica. Nel suo articolo del
1964 Trousson parla di ‘mythes’, mentre nel libro del 1981 preferisce il termine ‘thèmes’. Altri termini
suggeriti sono motivi o tipi. Il termine ‘mito’ non è ritenuto adatto a descrivere anche racconti biblici o
racconti più moderni (come Don Juan) e inoltre esso ha una connotazione religiosa. In questa ricerca io
preferisco, invece, di parlare del mito di Orfeo, perché è la denominazione comune (e non parlo qui di temi
biblici o moderni) e anche perché in certi casi c’entrano ancora le connotazioni religiose del mito (per
esempio per Ficino).
8
Trousson, ‘Plaidoyer’, cit., pp. 104-105.
9
Trousson, ‘Plaidoyer’, cit., p. 105.
13
INTRODUZIONE
significato del mito trasformato.10 Tuttavia, questa distinzione tra miti di eroe e miti di
situazione è artificiosa, poiché è difficile separare nettamente i due tipi di miti.11 Anche se
si prendono in esame tutti i riferimenti e tutte le allusioni possibili e non solo gli apici della
fortuna di un mito, ma, l’immagine di una figura mitologica non può mai essere completa.
Quello che conta, però, è di poter disporre di una quantità sufficiente di significati così da
non omettere sfumature interpretative importanti.
La tematologia può studiare semplicemente la risurrezione di certi temi e la
maniera in cui autori, epoche o letterature diversi reagiscono allo stesso tema. Essa si
occupa preferibilmente anche di fonti e di influenze per mettere in evidenza l’originalità di
ogni autore e di ogni epoca.
Due eroi diversi possono rappresentare lo stesso concetto e sarebbe dunque anche
possibile partire dal concetto invece che dall’eroe stesso. Si potrebbe per esempio partire
dal concetto della musica ammaliante, che si trova anche nei miti di Anfione e di Arione. Si
potrebbe, inoltre, paragonare Orfeo-Cristo a Prometeo-Cristo. Trousson propone, invece,
di partire dal personaggio mitologico (l’eroe) per vedere quali aspetti diversi uno stesso
personaggio può incorporare. Infatti, un personaggio mitologico non consiste quasi mai di
un solo elemento. Non si può seguire la fortuna di due personaggi che simboleggiano lo
stesso concetto, perché questo parallelismo esiste spesso soltanto durante un breve
periodo e in alcuni testi. Per fare un esempio: Orfeo è considerato una prefigurazione di
Cristo solo in alcuni testi medievali.
Lo studio di un mito può avere un carattere storico (diacronico) oppure limitarsi a
un’epoca specifica (sincronico).12 È necessario uno studio diacronico che parta dalle
origini: bisogna conoscere la tradizione e i significati diversi che un tema ha avuto nel
corso dei tempi per non incorrere in errori di prospettiva. Se non si conoscono le
manifestazioni precedenti di un tema, si può ritenere originale quello che è invece il
risultato di una lunga tradizione. La ricerca si deve inoltre estendere non solo nel tempo,
ma anche nello spazio.13 I miti fanno infatti parte di un patrimonio europeo. Limitarsi a
una sola letteratura, significherebbe trascurare la complessità del tema e trascurare lo
studio di fonti e influenze.
10
Trousson, ‘Plaidoyer’, cit., p. 106.
Questa difficoltà risulta già dal fatto che Trousson colloca il mito di Orfeo tra i miti di eroe, ma che fa
menzione dell’Orphée di Ballanche come esempio di un mito di situazione. Anche Pierre Brunel si oppone a
questa divisione: il mito è un insieme che non può essere ridotto a una situazione semplice né a un tipo
(‘L’étude des mythes en littérature comparée’, in: idem, Mythocritique. Théorie et parcours, Paris, PUF, 1992,
pp. 29-30). Anche Trousson stesso pone una condizione a questa distinzione: originariamente un eroe non è
mai estraneo alla situazione, ma l’eroe si può liberare da questa situazione man mano che si afferma nella
coscienza culturale. Secondo Trousson, si dovrebbe determinare l’interesse dominante dell’opera in
questione (Thèmes et mythes, cit.).
12
Trousson, ‘Plaidoyer’, cit., p. 110; idem, Thèmes et mythes, cit., pp. 85-90.
13
Trousson, ‘Plaidoyer’, cit., p. 111; idem, Thèmes et mythes, cit., pp. 90-94.
11
14
INTRODUZIONE
Infine la ricerca dovrebbe tener conto delle circostanze storiche, politiche e sociali
in cui risorgono le figure mitologiche, perché gli autori e le opere non possono essere
studiati a prescindere dal loro contesto storico-culturale.
L’adattamento di figure mitologiche
Nel suo studio sul mito di Narcisso nella letteratura europea Louise Vinge sottolinea che i
cambiamenti nel mito non dipendono solo da fattori storici, politici e sociali.14 La
contemporaneità non deve essere confusa con la causalità. Anche se due riferimenti a una
figura mitologica appartengono allo stesso contesto storico e sociale, ci possono essere
delle differenze tra i due riferimenti. Un altro fattore che, secondo Vinge, può determinare
le trasformazioni di un mito è costituito dal contenuto generale dell’opera in cui si trova il
riferimento mitologico e dalla relazione che il riferimento ha con l’opera completa. Non si
possono inoltre trascurare le esigenze e la tradizione del genere letterario.
Anche per Stanford il genere letterario è tra i fattori che possono influenzare i
cambiamenti e gli adattamenti di una figura mitologica. Stanford presenta il seguente
elenco di fattori:
These factors will to some extent affect every creative writer when he begins to compose a
new portrait of a traditional hero: the effect of the tradition, the problems of translation,
the tendency to historical assimilation, the variation in moral standards, the exigencies of
the chosen genre, and each author’s personal reaction to the personality of the mythical
figure. Others could be added but these seem to be the main influences.15
Anche nella fortuna di Orfeo vedremo come la maniera in cui è caratterizzato l’eroe sia
legata al genere letterario scelto. Nella poesia lirica Orfeo si presenta, per esempio,
soprattutto come poeta-musicista e come amante. Nei trattati cinquecenteschi sulla
poetica il suo potere sulla natura è un’allegoria del potere civilizzatore dell’eloquenza. Un
autore deve dunque tener conto del genere, ma anche dello scopo del testo. Se una figura
mitologica è adoperata come strumento di propaganda, l’autore (o l’artista) ometterà tutti
gli aspetti (negativi) che non servono al suo scopo, come vedremo nel caso dell’Orfeo dei
Medici.
Un altro fattore che conta, secondo Stanford, è la tradizione. La fonte adoperata da
un autore per la descrizione di un mito determina la sua versione del racconto. Chi
conosce l’immagine di Orfeo come musicista e poeta dalle sue lezioni scolastiche di
grammatica e retorica, sarà naturalmente indotto a ripetere nelle proprie opere questa
immagine stereotipata. Chi, invece, conosce una versione delle Metamorfosi di Ovidio, può
scegliere di soffermarsi più a lungo sul racconto amoroso di Orfeo ed Euridice. Un autore
14
15
Vinge, op.cit., pp. xi-xii.
Stanford, op.cit., p. 6.
15
INTRODUZIONE
che rappresenta Orfeo come Argonauta, attinge le sue informazioni da una fonte ancora
diversa. Per chi, come Ficino, sa leggere il greco, si apre un mondo del tutto nuovo: Orfeo
come fondatore di un movimento religioso, l’orfismo, e autore di un grande numero di
testi filosofici.
In terzo luogo, i cambiamenti nella percezione di una figura mitologica possono
essere causati, secondo Stanford, da fattori linguistici. Tradurre dal latino oppure dal greco
in italiano produce qualche volta degli spostamenti semantici più o meno grandi. Così,
nelle traduzioni delle Metamorfosi il mito di Orfeo perde spesso varie sfumature.
Un altro fattore è costituito dalla tendenza degli autori ad assimilare il mito alle
usanze e ai costumi del loro tempo. Così nelle arti visive i vestiti dei personaggi sono
spesso conformati all’ultima moda. Nel caso di Orfeo un’assimilazione del genere si vede
anche nella scelta del suo strumento musicale. Orfeo è spesso raffigurato con una lira da
braccio contemporanea o con un liuto, mentre secondo le fonti antiche il cantante suonava
una cetra o una lira. Anche il carattere e il comportamento di una figura mitologica
vengono spesso adattati alle norme contemporanee.
Un fattore simile è il cambiamento della morale nei tempi. Mentre Ovidio
rappresenta Orfeo come il primo omosessuale, questo aspetto sparisce completamente nel
Medioevo cristiano. Poliziano è il primo a riprendere l’omosessualità di Orfeo nella Fabula
di Orfeo, ma i rifacimenti successivi dell’opera omettono o cambiano spesso il passo
incriminato.16
Stanford fa infine menzione della reazione personale di un autore al personaggio
mitologico, cioè della sua simpatia o antipatia per la figura. A mio parere, è difficile
dimostrare questo fattore in modo oggettivo.
I fattori menzionati da Stanford costituiscono un’aggiunta utile al metodo di
Trousson. Il fattore che manca nell’elenco di Stanford, quello del contesto storico, politico
e sociale, è presente negli studi tematologici di Trousson. Il contesto storico cambiato
causa degli spostamenti nelle idee sulla mitologia in generale.17 A questo fattore abbastanza
generale io vorrei aggiungere quello dell’occasione precisa per cui un’opera è stata
concepita. L’importanza dell’occasione conta soprattutto nel caso di rappresentazioni
16
Qui c’entra anche il fattore della tradizione: Poliziano è il primo a tornare alle fonti antiche.
Si può ottenere un’idea dei cambiamenti nella percezione di figure mitologiche in generale da alcuni studi
fondamentali che discutono la fortuna dell’intera mitologia greca durante il Medioevo e il Rinascimento: J.
Seznec, The Survival of the Pagan Gods. The Mythological Tradition and its Place in Renaissance Humanism
and Art, Princeton-Bollingen, 1995 (La survivance des dieux antiques, 1940); B. Guthmüller, Ovidio
Metamorphoseos vulgare. Formen und Funktionen der Volkssprachlichen Wiedergabe klassischer Dichtung in
der italienischen Renaissance, Harald Boldt Verlag, Boppard am Rhein, 1981; idem, Studien zur antiken
Mythologie in der italienischen Renaissance, Acta Humaniora, VCH, Weinheim, 1986; idem, Mito, poesia,
arte. Saggi sulla tradizione ovidiana nel Rinascimento, Bulzoni, Roma, 1997; L. Freedman, The Revival of the
Olympian Gods in Renaissance Art, Cambridge, Cambridge University Press, 2003; M. Bull, The Mirror of the
Gods. Classical Mythology in Renaissance Art, London, Penguin, 2005.
17
16
INTRODUZIONE
teatrali o musicali. Nel capitolo sui primi melodrammi vedremo che un cambiamento
nell’occasione per cui è rappresentato il melodramma causa dei cambiamenti notevoli nella
fine del mito e nel ruolo di Orfeo.
Il mito come ipotesto
Nella realtà il mito prende spesso la forma del testo in cui viene descritto. Le
caratteristiche e le trasformazioni di un testo influenzano dunque anche parzialmente il
mito descritto nel testo. Studiando la fortuna di un mito risulta dunque utile studiare la
trasformazione testuale e la relazione di un testo con l’altro. Gérard Genette distingue
cinque forme di transtestualità (transtextualité), termine con cui indica tutto quello che
mette un testo in relazione ad altri testi.18 Una di queste forme di transtestualità è
l’ipertestualità (hypertextualité):
J’entends par là toute relation unissant un texte B (que j’appellerai hypertexte) à un texte
antérieur A (que j’appellerai, bien sûr, hypotexte) sur lequel il se greffe d’une manière qui
n’est pas celle du commentaire. [...] Cette dérivation peut être soit de l’ordre, descriptif et
intellectuel, où un métatexte [...] « parle » d’un texte [...]. Elle peut être d’un autre ordre, tel
que B ne parle nullement de A, mais ne pourrait cependant exister tel quel sans A, dont il
résulte au terme d’une opération que je qualifierai, provisoirement encore, de
transformation, et qu’en conséquence il évoque plus au moins manifestement, sans
nécessairement parler de lui ou le citer.19
Questi concetti e questa terminologia si possono in parte adoperare anche per lo studio
della fortuna di un mito. Secondo Jacqueline Thibault Schaefer la notorietà e la flessibilità
del mito lo rendono particolarmente adatto a formare un intertesto (intertexte).20 Una
differenza importante tra un mito e un testo risiede nel fatto che nel caso di un mito non
esiste un ipotesto originario, come osserva anche Ivanne Rialland:
Il ne s’agit pas tant, dès lors, d’une relation intertextuelle, que d’une relation entre un texte
et une nébuleuse mythique préexistant à l’écriture, puis formée de textes et d’oeuvres
18
G. Genette, Palimpsestes: la littérature au second degré, Paris, Éditions du Seuil, 1982 (traduzione italiana:
Palinsesti. La letteratura al secondo grado, Torino, Einaudi, 1997). Le cinque forme di transtestualità distinte
da Genette sono : intertestualità, paratestualità, metatestualità, architestualità e ipertestualità.
19
Genette, op.cit., pp. 11-12.
20
J. Thibault Schaefer, ‘Récit mythique et intertextualité’, in : Mythe et création, a.c.d. P. Cazier, Villeneuve
d’Ascq, Presses universitaires de Lille, 1994, pp. 53-66. Secondo Marc Eigeldinger invece, il mito è solo uno
dei campi intertestuali possibili: il campo della letteratura, il campo artistico, il campo mitico, il campo
biblico e il campo della filosofia (Mythologie et intertextualité, Genève, Slatkine, 1987, pp. 15-16). Genette
indica con il termine ‘intertesto’ la vera presenza di un testo in un altro per via di citazioni, allusioni ecc. I
termini sono spesso intercambiabili.
17
INTRODUZIONE
picturales constitués dans la mémoire culturelle en un modèle mythique dont la source
textuelle est introuvable.21
Come vedremo nel capitolo 1, non esiste infatti una versione originaria del mito di Orfeo.
Il ‘mito’ oppure gli elementi del mito vengono a trovarsi a un certo momento in un testo,
che poi è ripreso da altri testi. Con ogni nuova versione del mito, il mito stesso si espande.
L’insieme di questi testi costituisce il mito:
Le mythe fonctionne ainsi comme l’intertexte, texte idéal qui peut être résumé par une
phrase matricielle. Le text le réécrit par l’intermédiaire d’un interprétant, qui est la version
actualisée du mythe travaillée par le texte, et ce dernier vient, à son tour, s’intégrer à la
nébuleuse intertextuelle qu’unit une structure commune. [...] chaque actualisation de la
réponse que constitue le mythe est à nouveau questionnée et dépassée par l’actualisation
suivante, chaque auteur se reconnaissant un précurseur dans l’espace commun ouvert par
le mythe, espace qui permet le dialogue, englobe hypotexte et hypertexte dont la relation
transformatrice à son tour crée l’ouverture de l’espace mythique.22
I cambiamenti di un testo possono dunque contribuire in parte a cambiamenti di un mito.
Le pratiche ipertestuali influiscono qualche volta sull’adattamento di figure mitologiche.
Genette distingue vari tipi di pratiche ipertestuali, che differiscono tra di loro in base alla
relazione di trasformazione o imitazione con l’ipotesto e nel tono ludico, satirico o serio:23
ludico
satirico
serio
trasformazione
PARODIA
TRAVESTIMENTO
TRASPOSIZIONE
imitazione
PASTICHE
CARICATURA
FORGERIE
regime
relazione
La pratica ipertestuale più importante, secondo Genette, è la trasposizione, che consiste
nella trasformazione dell’ipotesto in modo serio.24 Alcune delle caratteristiche della
trasposizione menzionate da Genette coincidono con i fattori che determinano la
trasformazione o l’adattamento di figure mitologiche elencati da Stanford. Si possono
dunque paragonare i fattori di Stanford e di Genette, anche se gli autori hanno un punto di
partenza diverso: Stanford parte dal mito che si trasforma in altri testi nel corso del tempo,
mentre Genette parte da un testo (posteriore) che si basa su testi anteriori. Nella mia
21
I. Rialland, ‘Mythe et hypertextualité’ (www.fabula.org/atelier.php?Mythe_et_hypertextualit%26eacute%3B).
Michael Riffaterre, ‘Sémiotique intertextuelle: l’interprétant’, Revue d’esthétique 1-2 (1979), pp. 133-146;
citato da: Rialland, op.cit.
23
Genette, op.cit., p. 37 (ed.it. p. 33).
24
La parodia, il pastiche, il travestimento, la caricatura e la falsificazione non si trovano spesso nei testi
medievali e rinascimentali su Orfeo.
22
18
INTRODUZIONE
ricerca parto dal mito antico, cioè dall’ipotesto, per arrivare alle sue trasformazioni
posteriori.
Nei capitoli che vanno dal XL al LXXX di Palimpsestes, Genette distingue varie
forme di trasposizione. Da una parte ci sono trasposizioni formali, come la trasposizione
linguistica (o la traduzione), la conversione da poesia in prosa o vice versa, cambiamenti
metrici o stilistici, la trasformazione quantitativa (riduzione, aumento o una combinazione
di essi), o la trasformazione di un testo drammatico in un testo narrativo. Dall’altra parte
Genette distingue le trasposizioni tematiche, che si estendono al significato del testo, alla
diegesi (cioè al mondo spazio-temporale della narrazione), oppure all’azione stessa.25 Non
tutte le trasposizioni che può subire un testo sono rilevanti per la trasformazione o
l’adattamento di un mito. La maggior parte delle trasposizioni formali cambiano il testo, o
la descrizione fattuale del mito, ma non l’essenza del mito o del personaggio mitologico.
Contano soprattutto i cambiamenti tematici fondamentali nell’intreccio del mito e nella
caratterizzazione dei personaggi (in questo caso di Orfeo).
La fortuna di Orfeo
Mancava fino a questo momento uno studio complessivo e sistematico della figura di
Orfeo in Italia dalla fine del Medioevo al Rinascimento, un periodo tanto decisivo per la
sua fortuna non solo in Italia, ma in tutti i paesi europei.26 Mancava uno studio che tenesse
conto della sua fortuna in ogni aspetto della cultura italiana e che non si limitasse a una
sola disciplina.
Esistono alcuni studi fondamentali sulla fortuna della mitologia nel Rinascimento in
generale da parte di Jean Seznec, Bodo Guthmüller, Luba Freedman e Malcolm Bull.27 Ma
questi studi si limitano in genere alle principali opere d’arte e a quelle letterarie (i trattati
mitologici e le traduzioni delle Metamorfosi) senza prestare particolare attenzione al mito
di Orfeo.
25
Genette suddivide la trasposizione diegetica in: trasposizione omodiegetica (preservazione dell’identità dei
personaggi); eterodiegetica (cambiamento dell’ambientazione dell’azione, dell’identità dei personaggi,
dell’età, del sesso, della nazionalità / approssimazione temporale, geografica o sociale); transdiegetica.
26
Gli studi di August Buck e Konrat Ziegler sul mito di Orfeo nel Rinascimento sono molto concisi (A. Buck,
Der Orpheus Mythos in der italienischen Renaissance, Krefeld, Scherpe, 1961; K. Ziegler, ‘Orpheus in
Renaissance und Neuzeit’, in: Form und Inhalt. Kunstgeschichtliche Studien. Otto Schmitt zum 60. Geburtstag
am 13. Dezember 1950 dargebracht von seinen Freunden, Stuttgart, W. Kohlhammer, 1950, pp. 239-256).
Elizabeth Newby focalizza sull’uso del mito di Orfeo per spiegare il concetto dell’etica musicale e della
creatività artistica (E. Affelder Newby, A Portrait of the Artist: the Legends of Orpheus and Their Use in
Medieval and Renaissance Aesthetics, New York & London, Garland Publishing, Inc., 1987).
27
Cf. nota 17.
19
INTRODUZIONE
Anche sulla fortuna di Orfeo nelle arti figurative del Rinascimento esistono già
alcuni studi, che qualche volta prendono in esame anche la letteratura.28 Negli studi di
Rosa Maria San Juan e Hannelore Semmelrath la letteratura ha, tuttavia, un ruolo ridotto,
non è integrata con le arti figurative, e viene trattata in un capitolo introduttivo separato.
Inoltre, non sono menzionati in questi studi altri fenomeni culturali interessanti, come
l’apparizione di Orfeo in uno spettacolo in occasione delle nozze dei principi, i riferimenti
a Orfeo nella filosofia o nella musica o all’orfismo. Lo studio di San Juan è molto elaborato
e tratta tutte le ricorrenze principali di Orfeo nelle arti visive. Mentre il suo libro esamina i
diversi materiali con cui viene raffigurato il mito di Orfeo (pannelli, affreschi, maioliche,
nielli, incisioni e bronzi) e le influenze stilistiche tra gli artisti, il presente studio prenderà
come punto di partenza i vari aspetti della figura di Orfeo. Gli aspetti di Orfeo presenti
nell’arte verranno confrontati con quelli nella letteratura. Semmelrath discute soltanto
alcune pietre miliari nella letteratura e nell’arte, senza offrire un’immagine generale di
Orfeo nel Rinascimento.29 Giuseppe Scavizzi e Elisabeth Schröter hanno dedicato un solo
articolo alla fortuna di Orfeo nell’arte medievale e rinascimentale. Schröter accenna anche
a qualche parallelo tra l’immagine di Orfeo nella letteratura e nell’arte.
Per quanto riguarda la fortuna di Orfeo nella letteratura, esistono molti articoli che
trattano della sua presenza in un solo autore, come Dante, Petrarca, Ficino o Poliziano.30
28
R.M. San Juan, The legend of Orpheus in Italian Art 1400-1530, The Warburg Institute, University of
London, 1983; H. Semmelrath, Der Orpheus-Mythos in der Kunst der italienischen Renaissance. Eine Studie
zur Interpretationsgeschichte und zur Ikonologie, Universität zu Köln, 1994; E. Schröter, ‘Orpheus in der
Kunst des Mittelalters und der Renaissance. Eine vorläufige Untersuchung’, in: C. Mundt-Espín, Blick auf
Orpheus. 2500 Jahre europäischer Rezeptionsgeschichte eines antiken Mythos, Francke Verlag, Tübingen und
Basel, 2003, pp. 109-157; G. Scavizzi, ‘The Myth of Orpheus in Italian Renaissance Art, 1400-1600’, in: J.
Warden, Orpheus. The Metamorphoses of a Myth, University of Toronto Press, Toronto-Buffalo-London,
1982, pp. 111-162.
29
Per quanto riguarda la letteratura Semmelrath studia la fortuna di Orfeo nell’antichità e nel primo
cristianesimo, nei mitografi medievali, nei commenti medievali su Ovidio, nell’Epître d’Othéa di Christine de
Pisan, nel neoplatonismo ficiniano e nell’edizione delle Metamorfosi del 1497. Per quanto riguarda l’arte
studia il bassorilievo di Della Robbia, le cronache figurative, la Camera degli Sposi di Mantegna, i pannelli di
Del Sellaio, e i quadri di Bellini, Tiziano e Costa.
30
Z.G. Barański, ‘Notes on Dante and the Myth of Orpheus’, in: Dante. Mito e poesia, a.c.d. M. Picone e T.
Crivelli, Firenze, Franco Cesati, 1997, pp. 133-154; J. Wilhelm, ‘Orpheus bei Dante’, in: Medium Aevum
Romanicum. Festschrift für Hans Rheinfelder, a.c.d. H. Bihler e A. Noyer-Weidner, München, Hüber, 1963,
pp. 397-406; M. Picone, ‘Il canto V del Purgatorio fra Orfeo e Palinuro’, L’Alighieri 40, 13 (1999), pp. 39-52; F.
Brunori, ‘Il mito ovidiano di Orfeo e Euridice nel Canzoniere di Petrarca’, Romance Quarterly 44, 4 (1997),
pp. 233-244; N. Gardini, ‘Un Esempio Di Imitazione Virgiliana Nel Canzoniere Petrarchesco: il Mito Di
Orfeo’, Modern Language Notes 110, 1 (1995), pp. 132-144; J. Warden, ‘Orpheus and Ficino’, in: Orpheus. The
Metamorphoses of a Myth, a.c.d. J. Warden, pp. 85-110; D.P. Walker, ‘Orpheus the theologian and
Renaissance platonism’, Journal of the Warburg and Courtauld Institutes 16 (1953), pp. 100-120; D.P.
Walker, ‘Le chant orphique de Marsile Ficin’, Musique et poésie au XVIe siècle: [colloque, tenu a] Paris, 30
juin - 4 juillet 1953, Paris, Editions du Centre National de la Recherche Scientifique, 1954, pp. 17-33; F.
20
INTRODUZIONE
Questi articoli non offrono, però, un’immagine complessiva di Orfeo in quel periodo e non
si occupano nemmeno dell’evoluzione del personaggio. Una raccolta di saggi che tratta
della fortuna di Orfeo in vari periodi e in varie discipline è Orpheus. The Metamorphoses of
a Myth (1982) curata da John Warden. Questa raccolta discute gli apici della fortuna di
Orfeo in Europa dall’antichità fino al Rinascimento. La raccolta consiste di una serie di
articoli di autori diversi che trattano di momenti diversi della fortuna di Orfeo (Virgilio e
Ovidio, l’età cristiana, Ficino, le arti figurative nel Rinascimento italiano, i primi
melodrammi e Calderón). Questi articoli non partono, però, da un metodo comune e non
cercano di fornire un’immagine completa della fortuna di Orfeo.
La mia ricerca, che si limita alla situazione italiana da ca. 1300 al 1607, offrirà invece
un’immagine più dettagliata rispetto al libro di Warden. Contravvenendo ai principi
metodologici indicati da Trousson, non tratterò però la fortuna del mito di Orfeo dalle sue
origini fino a oggi in tutti i paesi europei. Mi limiterò a dare un riassunto delle
manifestazioni del mito nell’antichità e nel Medioevo, per continuare le mie ricerche a
partire dal 1300. I periodi precedenti sono già stati trattati elaboratamente negli studi di
Charles Segal, John Warden, John Block Friedman e altri.31 La mia ricerca si conclude con i
primi melodrammi del 1600 e 1607, che formano un climax in cui si combinano
letteratura, musica, teatro e arti visive. La fortuna di Orfeo dal 1600 fino a oggi rimane
aperta a ricerche ulteriori.32 Nonostante la desiderabilità di uno studio comparativo della
presenza di Orfeo in tutti i paesi, la presente ricerca si concentra sull’Italia. La letteratura e
l’arte italiana del Trecento e del Rinascimento si basano soprattutto sulle fonti antiche e
medievali (che vengono discusse nel primo capitolo), e non sugli sviluppi contemporanei in
Bausi, ‘Orfeo e Achille. La prefazione alla Manto di Angelo Poliziano’, Schede umanistiche. Rivista semestrale
dell'Archivio Umanistico Rinascimentale Bolognese n.s. I (1992), pp. 31-59; G. Boccuto, ‘Il mito di Orfeo nei
“Nutricia” di Poliziano’, in: Il mito nel Rinascimento, a.c.d. L. Rotondi Secchi Tarugi, Milano, Nuovi
Orizzonti, 1993, pp. 217-240; N. Borsellino, ‘La voce e lo sguardo. Orfeo nella Fabula del Poliziano’, in: Orfeo
e l’orfismo, a.c.d. A. Masaracchia, pp. 309-317; S. Carrai, ‘Poliziano e il mito di Orfeo’, in: Le metamorfosi di
Orfeo, a.c.d. A.M. Babbi, Verona, Fiorini, 1999, pp. 154-167; C.M. Pyle, ‘Le thème d’Orphée dans les oeuvres
latines d’Ange Politien’, Bulletin de l'Association Guillaume Budé 39 (1980), pp. 408-419; G. Costa, ‘Giovanni
Pontano and the Orpheus Myth: Poetry and Magic in the Age of Humanism’, Rivista di studi italiani 4, 1
(1986), pp. 1-17; ecc. (cf. bibliografia).
31
C. Segal, Orpheus. The Myth of the Poet, Baltimore and London, The Johns Hopkins University Press, 1989;
J. Warden, op.cit.; J.B. Friedman, Orpheus in the Middle Ages, Cambridge Massachusetts, Harvard University
Press, 1970; idem, The Figure of Orpheus in Antiquity and the Middle Ages, Michigan State University, 1965;
K. Heitmann, ‘Orpheus im Mittelalter’, Archiv für Kulturgeschichte 45 (1963), pp. 253-294; idem, ‘Typen der
Deformierung antiker Mythen im Mittelalter. Am Beispiel der Orpheussage’, Romanistisches Jahrbuch 14
(1963), pp. 45-77.
32
Esistono già alcuni studi di Orfeo in periodi successivi in altri paesi: E. Kushner, Le mythe d’Orphée dans la
littérature française contemporaine, Paris, Nizet, 1962; W.A. Strauss, Descent and Return: The Orphic Theme
in Modern Literature, Cambridge Massachusetts, 1971; D.M. Kosinski, The Image of Orpheus in Symbolist
Art and Literature, New York University, 1985.
21
INTRODUZIONE
altri paesi europei (ad eccezione della Francia). Per questo motivo è possibile trattare solo
la fortuna italiana di Orfeo. Verrà, però, prestata attenzione a quelle opere principali su
Orfeo in altri paesi, che potrebbero aver influenzato la sua fortuna in Italia.33 Nella maggior
parte dei casi tuttavia sono gli altri paesi europei che si lasciano ispirare dall’Italia e non
viceversa.34 In questi paesi il mito di Orfeo fiorisce più tardi (soprattutto nel sec. XVI).35
Lo scopo della mia ricerca non è di offrire un elenco completo di tutti i riferimenti a
Orfeo nel corso di tre secoli, ma di delineare in base al numero di testi più grande possibile
un’immagine sufficientemente rappresentativa dei modi diversi in cui Orfeo si presenta.36
Il punto di partenza nella mia ricerca è sempre la figura di Orfeo e non discuto dunque le
varie idee religiose e filosofiche che sono a lui attribuite nell’orfismo (cf. § 3.0).
I rapporti tra letteratura, arte visiva e musica
Come si è detto, la presente ricerca non si occupa soltanto della fortuna di Orfeo nella
letteratura, ma anche nelle arti figurative e nella musica. Studiando diverse discipline si
cerca di ottenere un’immagine complessiva del ruolo di Orfeo nel periodo 1300-1600. Per
via della mia formazione prevalentemente letteraria e del fatto che le lacune maggiori si
riscontrano nello studio dell’Orfeo letterario, l’accento cadrà, però, sulla letteratura.
Inoltre, come si è già detto, esistono alcuni studi approfonditi sulla fortuna di Orfeo nelle
arti figurative del Rinascimento.37
33
Le opere straniere principali sono : l’anonimo Ovide moralisé, l’Ovidius Moralizatus di Pierre Bersuire, le
illutrazioni nei manoscritti di questi testi, l’anonimo Sir Orfeo, Orpheus and Eurydice di Robert Henryson.
34
Alcuni studi sulla fortuna di Orfeo in altri paesi nel secolo XVI sono : F. Joukovsky, Orphée et ses disciples
dans la poésie française et néo-latine du XVIe siècle, Genève, Libraire Droz, 1970; P. Cabañas, El mito de
Orfeo en la literatura española, Madrid, Consejo Superior de Investigaciones Cientificas, 1948 ; G. BräklinGersuny, Orpheus, der Logos-Träger. Eine Untersuchung zum Nachleben des antiken Mythos in der
französischen Literatur des 16. Jahrhunderts, München, Wilhelm Fink, 1975; J. Wirl, Orpheus in der
englischen Literatur, Wien, Braumüller, 1913; Friedman, op.cit., cap. V.
35
Cf. Bull, op.cit., p. 83: ‘In geographical terms, therefore, the spread of mythological art is uneven. Although
its sources are not always Italian, it appears first in Italy.’
36
Per raccogliere il materiale primario della mia ricerca ho usato vari metodi e strumenti. In primo luogo ho
consultato alcuni manuali sulla fortuna dei miti in epoche posteriori. Cercando dei riferimenti letterari a
Orfeo mi sono servita di CD-ROM con testi integrali di determinati autori, periodi o generi letterari; di siti
internet con testi integrali; degli indici nelle edizioni di testi; e di riferimenti nella letteratura secondaria su
Orfeo. Per trovare delle immagini mi sono basata soprattutto sugli studi già pubblicati su questo mito
nell’arte rinascimentale. Ho fatto anche delle ricerche supplementari limitate alle xilografie nelle traduzioni
italiane delle Metamorfosi e alle edizioni dei cantari. Nella musica Orfeo figura in particolare nelle opere di
Peri, Caccini e Monteverdi. Per il resto le canzoni su Orfeo sono rare. Il Corpus Mensurabilis Musicae e lo
studio di Elizabeth Newby sulla fortuna di Orfeo musicista non offrono altri esempi di quelli che ho trovato
io.
37
Scavizzi, op.cit.; San Juan, op.cit.; Semmelrath, op.cit.; Schröter, op.cit.
22
INTRODUZIONE
I riferimenti a Orfeo nell’arte visiva costituiscono un’aggiunta allo studio della sua
rappresentazione nella letteratura. La letteratura e l’arte visiva si possono studiare e
paragonare a livelli diversi. Per quanto riguarda l’arte visiva mi concentrerò soprattutto
sull’iconografia di Orfeo e sulla sua funzione in una certa immagine o in un contesto
particolare. Erwin Panofsky ha distinto tre livelli nello studio di un’opera d’arte in generale:
la descrizione preiconografica, l’iconografia (o l’analisi iconografica) e l’iconologia (o
l’interpretazione iconografica).38 Questo approccio teorico di Panofsky si sviluppò dalle
idee di Aby Warburg, che non si limitò a spiegare le opere d’arte per mezzo della
letteratura (ecclesiastica) e della liturgia, ma che cercò di spiegarle usando la mitologia, la
scienza, la poesia, e il contesto storico, politico e sociale.39 Ormai l’approccio delle arti
visive da parte di Panofsky è stato modificato alquanto, cosicché si possono distinguere tre
livelli d’iconografia e un quarto livello d’iconologia:40
1. La descrizione preiconografica, cioè il riconoscimento di forme particolari (motivi), di
una situazione, o di caratteristiche espressive.
2. La descrizione iconografica: il livello su cui i motivi diventano delle figure, che insieme
formano un racconto (per esempio mitologico), cioè il riconoscimento dell’argomento.
3. L’interpretazione iconografica: lo stabilimento del significato più profondo dell’opera
d’arte come inteso dall’artista. Questi significati profondi sono quasi sempre astratti (per
esempio personificazioni o allegorie).
4. L’iconologia: la scoperta del significato più profondo dell’opera d’arte, che non è inteso
esplicitamente dall’artista, ma che è determinato da fattori storico-culturali. Perché l’opera
d’arte è stata fatta come è fatta?
Il mio approccio di Orfeo nelle arti figurative è soprattutto iconografico. Effettivamente
parto da un primo livello che riguarda la situazione raffigurata dall’opera d’arte. Se
guardiamo l’esempio dell’Orfeo di Luca della Robbia sul Campanile di Firenze, vediamo un
uomo che suona il liuto davanti a un pubblico di animali.41 Iconograficamente l’uomo che
suona il liuto è identificato con Orfeo che incanta gli animali con la musica. Cerco poi di
rintracciare la funzione precisa di Orfeo nel contesto dell’opera e nel contesto storico,
38
E. Panofsky, Iconologische Studies. Thema's uit de Oudheid in de kunst van de Renaissance, Nijmegen, SUN,
1994 (Studies in Iconology. Humanistic themes in the art of the Renaissance, 1939), pp. 7-20; idem, Meaning
in the visual arts. Papers in and on Art History, Garden City, N.Y., Doubleday, 1955.
39
R. van Straten, Een inleiding in de iconografie: enige theoretische en praktische kennis, Muiderberg, Dick
Coutinho, 1985, p. 18 (An introduction to iconography, transl. P. de Man, Yverdon [etc.], Gordon and Breach,
1994). In questa tradizione lavorarono poi studiosi come Fritz Saxl, E.H. Gombrich, D.P. Walker e Frances A.
Yates, che cercarono di attraversare i limiti delle discipline tradizionali.
40
Van Straten, op.cit., pp. 7-14.
41
L. della Robbia, Orfeo e gli animali (Musica o Retorica). Firenze, Museo dell’Opera del Duomo (frammento
del Campanile).
23
INTRODUZIONE
politico e sociale. L’Orfeo di Della Robbia, per esempio, rappresenta nel contesto delle altre
formelle del Campanile una personificazione della Musica o della Retorica.42
I riferimenti letterari possono essere studiati in modo analogo.43 Nella maggior
parte dei riferimenti letterari è subito evidente che si tratta di Orfeo, dato che è
menzionato il suo nome. Quando si tratta di un’allusione, bisogna prima identificare il
personaggio o la situazione descritta con la figura mitologica di Orfeo. Nel contesto di un
trattato poetico o retorico un riferimento a Orfeo e gli animali può avere il valore di
un’allegoria dell’Eloquenza.
Trattando il mito di Orfeo nella letteratura e nelle arti figurative, ho intenzione di
indicare eventuali sviluppi paralleli di Orfeo in queste discipline. Gli elementi e le funzioni
del mito di Orfeo nella letteratura e nell’arte visiva sono gli stessi, oppure ogni disciplina
segue le proprie tradizioni? Trousson e Genette sono favorevoli allo studio di altre arti
oltre alla letteratura. Trousson parla di un arricchimento della ricerca e cita Yves Giraud,
secondo cui è una scelta arbitraria quella di trascurare le altre arti.44 L’interazione delle arti
fa emergere la continuità e la complessità della tradizione ed elimina le barriere artificiali.45
Secondo Genette anche l’arte figurativa e la musica subiscono delle trasformazioni e
conoscono delle pratiche iperartistiche o iperestetiche (hyperesthétiques).46 Anche nella
pittura esiste la trasformazione ludica (parodia), satirica (travestimento) e seria (replica).
L’imitazione è una pratica ancora più frequente nella pittura. Non vanno inserite altre arti
nelle categorie dell’ipertestualità letteraria, perché i materiali e le tecniche che si
trasformano e si imitano non sono uguali. Ci sono delle differenze importanti nel carattere
e nei modi di trasmissione delle opere.47 Solo nella letteratura si trova per esempio il
42
Nel § 2.4 discuterò le varie opinioni sul significato dell’Orfeo di Della Robbia.
L’idea della stratificazione semiotica risale ai commenti medievali a Boezio e ad altri autori che sono
cruciali per la sopravvivenza del mito di Orfeo. Commenti del genere erano spesso suddivisi in tre parti:
expositio ad litteram (la spiegazione delle parole), expositio ad sensum (la spiegazione del significato evidente
o narrativo), expositio ad sententiam (la spiegazione del significato spirituale o filosofico) (Friedman, Orpheus
in the Middle Ages, cit., p. 96).
44
Trousson, Thèmes et mythes, cit., p. 51 ; Giraud, op.cit., p. 7.
45
Non tutti gli studiosi della tematologia sono, però, d’accordo sul valore di una ricerca pluridisciplinare.
Louise Vinge crede, per esempio, che la letteratura può servire all’interpretazione di opere d’arte, ma non
viceversa (op.cit., p. 48). Secondo Trousson un approccio pluridisciplinare è desiderabile, ma non necessario.
La sua opinione mi sembra influenzata dal fatto che lui aveva già scritto un libro sulla fortuna di Prometeo in
cui trascura le altre arti. Altri studi di figure mitologiche che non si occupano soltanto della letteratura sono:
H. Anton, Der Raub der Proserpina. Literarische Traditionen eines erotischen Sinnbildes und mythischen
Symbols, Heidelberg, Winter, 1967; H. Dörrie, Pygmalion. Ein Impuls Ovids und seine Wirkungen bis in die
Gegenwart, Opladen, Westdeutscher Verlag, 1974; idem, Die schöne Galatea. Eine Gestalt am Rande des
griechischen Mythos in antiker und neuzeitlicher Sicht. München, 1968.
46
Genette, op.cit., cap. LXXIX, p. 435.
47
Genette, op.cit., cap. LXXIX, p. 443.
43
24
INTRODUZIONE
problema delle lingue diverse e dunque della traduzione e soprattutto nella musica si
conoscono le ripetizioni.
Nello studio della fortuna di Orfeo nell’ambito musicale prenderò in esame
soprattutto le parole e il libretto. Farò soltanto dei commenti sulla musica quando questi
sono pertinenti alla funzione o alla caratterizzazione di Orfeo. Ripetizioni nella musica
possono, per esempio, sottolineare certi aspetti testuali. Anche determinati intervalli o
cambiamenti armonici possono evidenziare i sentimenti dei personaggi.48 Secondo Genette
nella musica le possibilità di trasformazione sono perfino più grandi che nella pittura e
nella letteratura. Un solo tono può essere trasformato, per esempio, di altezza, intensità,
durata e timbro. I risultati dello studio dell’ipertestualità non possono dunque essere
estrapolati semplicemente a tutte le arti. Prima di cercare delle analogie e delle
convergenze occorre, secondo Genette, fare uno studio separato di ogni tipo di arte.
Anche se la letteratura e l’arte visiva sono delle discipline paragonabili a certi livelli,
il problema risiede nell’attestare delle influenze di una disciplina sull’altra. Si cercano dei
rapporti al livello del significato oppure al livello della funzione nel contesto? E come si
manifestano effettivamente queste influenze?49 Infatti, anche se è certo che un determinato
testo costituisce la fonte d’ispirazione per un’immagine o viceversa, ogni giudizio resta
problematico. Su questo argomento esistono vari studi: la letteratura e le arti figurative
sono dei mezzi di comunicazione diversi, che possono esprimere un contenuto in modo
totalmente differente.
I miti si presentano come testi narrativi, che descrivono vari eventi l’uno dopo
l’altro. In linea di principio un dipinto o un disegno può raffigurare un solo momento e
non può mostrare il corso degli eventi. Jan de Jong e Gerlinde Huber-Rebenich
distinguono alcuni modi diversi in cui gli artisti cercano di superare l’istantaneità
dell’immagine.50 Qualche volta alcune scene del racconto sono raffigurate in immagini
diverse, come si vede per esempio negli affreschi di Orfeo da parte di Andrea Mantegna
nella Camera degli Sposi a Mantova. Qualche volta si sceglie un solo momento che è
rappresentativo dell’intero racconto, come nel caso dell’Orfeo di Della Robbia. Qualche
volta l’artista mostra in una sola immagine vari momenti del racconto l’uno accanto
all’altro, per cui il protagonista può essere raffigurato tre volte nello stesso quadro. Un
48
Per osservazioni del genere mi baso sulla letteratura secondaria. Non ho fatto uno studio degli aspetti
musicali dei melodrammi, che sono stati già discussi in molti altri luoghi.
49
Ho discusso questa problematica in un articolo sulle influenze possibili tra la Fabula di Orfeo di Poliziano e
le immagini di Orfeo nella Camera degli Sposi di Mantegna (‘Orpheus bij Poliziano en Mantegna. Problemen
bij het zoeken naar verbanden tussen literatuur en beeldende kunst’, Amore Romae. Bulletin voor Vrienden
van het Koninklijk Nederlands Instituut in Rome, VII (2004), pp. 5-26).
50
J.L. de Jong, ‘Word Processing in the Italian Renaissance: Action and Reaction with Pen and Paintbrush’,
Visual Resources 19.4 (2003), pp. 259-281; G. Huber-Rebenich, ‘Die Holzschnitte zum Ovidio
Metamorphoseos vulgare in ihrem Textbezug’, in: Die Rezeption der Metamorphosen des Ovid in der Neuzeit:
der antike Mythos in Text und Bild, a.c.d. H. Walter e H.-J. Horn, Berlin, Gebr. Mann Verlag, 1995, pp. 48-57.
25
INTRODUZIONE
esempio si trova in un affresco di Baldassare Peruzzi nella Stanza del Fregio della Villa
Farnesina a Roma. A sinistra vediamo Orfeo che incanta gli animali con la musica, nel
centro Orfeo cerca di liberare Euridice dall’Inferno e a destra Orfeo è ucciso da donne con
bastoni. In più, è anche possibile raffigurare vari momenti del racconto nello stesso
quadro senza la raffigurazione ripetuta del protagonista. Immagini di questo tipo sono
spesso difficili da interpretare.51
I pittori dovranno inoltre raffigurare dei dettagli che non sono esplicitati nel testo e
per questi dettagli l’artista dovrà fare uso della propria fantasia. Mentre in un testo Orfeo
può suonare semplicemente per un gruppo di ‘animali’, in un dipinto o un affresco è
necessaria una scelta tra vari tipi di animali possibili. Anche per dipingere, per esempio, i
vestiti e lo strumento di Orfeo l’artista deve spesso usare la sua fantasia. Per questa ragione
i vestiti dei personaggi mitologici sono spesso ispirati alla moda contemporanea. La scelta
di certi animali o di certi vestiti può essere casuale, ma può anche essere motivata. In un
mosaico di Marcello Provenzale nella Galleria Borghese a Roma il cardinale Scipione
Borghese è rappresentato come un novello Orfeo. Il drago e l’aquila a sinistra di
quest’Orfeo provengono dallo stemma dei Borghese e il mantello scarlatto allude forse al
cardinalato di Scipione Borghese.52
Basandosi su un determinato testo l’ artista può anche consapevolmente inserire
una variazione creativa del testo. Viceversa, anche l’autore che descrive un dipinto, può
interpretare il dipinto in modo molto libero. Nel Rinascimento gli artisti che volevano
raffigurare un tema mitologico avevano una grande libertà artistica, come ha mostrato
ancora De Jong.53 In questi casi non occorre cercare analogie esatte tra il testo e
l’immagine, ma bisogna invece scoprire, per esempio, quali sono le differenze nel dipinto
rispetto al testo e perché l’artista ha introdotto queste differenze.
Altre discrepanze notevoli tra l’immagine e il testo si trovano ad esempio in stampe
con iscrizioni oppure in emblemi, come hanno mostrato Eric Jan Sluijter e Elizabeth
McGrath.54 Spesso il testo sotto l’illustrazione differisce notevolmente da quello che si vede
raffigurato nell’immagine. Da questi esempi risulta che la letteratura e l’arte visiva
51
De Jong sceglie come esempio un affresco di Perino del Vaga con scene della storia romana (ca. 1520), che
originariamente si trovava nel Palazzo Baldassini a Roma, ma che adesso si trova nella Galleria degli Uffizi a
Firenze (op.cit., pp. 260-262).
52
Guide to the Borghese Gallery, a.c.d. K. Herrmann Fiore, Roma, Edizioni De Luca, 1997, p. 64.
53
De Jong, ‘Word Processing in the Italian Renaissance’, cit.; idem, ‘Ovidian Fantasies. Pictorial variations on
the story of Mars, Venus and Vulcan’, in: Die Rezeption der Metamorphosen des Ovid in der Neuzeit: der
antike Mythos in Text und Bild, a.c.d. H. Walter e H.-J. Horn, Berlin, Gebr. Mann Verlag, 1995, pp. 161-171.
54
E.J. Sluijter, De ‘Heydensche fabulen’ in de Noordnederlandse schilderkunst, circa 1590-1670. Een proeve
van beschrijving en interpretatie van schilderijen met verhalende onderwerpen uit de klassieke mythologie,
Rijksuniversiteit Leiden, 1986; E. McGrath, ‘Rubens’s Susanna and the elders and moralizing inscriptions on
prints’, in: Wort und Bild in der niederländischen Kunst und Literatur des 16. und 17. Jahrhunderts, a.c.d. H.
Vekeman e J. Müller Hofstede, Erftstadt, Lukassen, 1984, pp. 73-90.
26
INTRODUZIONE
seguivano spesso tradizioni proprie nella maniera di trattare racconti o miti. L’autore o il
poeta si basavano spesso su fonti letterarie, per esempio su una versione moralizzata di un
mito o su un testo classico. Anche per quanto riguarda le opere d’arte visive basate su testi
determinati, esse si rifacevano spesso a fonti visive precedenti ansiché a fonti testuali.
Esempi sono una delle prime edizioni stampate della Fabula di Orfeo di Poliziano e le
edizioni illustrate delle Metamorfosi.
Nonostante tutti questi limiti, un approccio pluridisciplinare potrà offrire, pur
senza dimostrare chiaramente delle influenze reciproche, un’interessante visione d’insieme
della fortuna di Orfeo e della posizione della mitologia nella cultura italiana dal 1300 al
1600. I risultati positivi di uno studio della fortuna dell’antichità classica in ogni aspetto
della cultura europea sono già stati confermati dalla tradizione di ricerca che si è svolta al
Warburg Institute.55
Il mito di Orfeo da Dante a Monteverdi
Il mito di Orfeo consiste di molti elementi diversi. Il mito si sviluppa gradualmente
nell’Antichità, assorbe sempre nuovi elementi e introduce nuove svolte. Questi elementi si
trovano spesso separatamente in testi e in opere d’arte, ma qualche volta sono anche
riuniti in un racconto più lungo e più svariato. Così Orfeo diventa una figura complessa
con molti aspetti diversi. Questa versatilità è una caratteristica principale del suo
personaggio, che rende la sua fortuna pluriforme.
Scrittori, artisti e musicisti hanno spesso delle opinioni diverse su Orfeo. Queste
differenze e queste visioni conflittuali sono inerenti alla figura di Orfeo. Autori e artisti che
si riferiscono a Orfeo nelle loro opere, operano una selezione in tutto quello che si
racconta su di lui. Da una parte questa scelta è determinata dall’ampiezza della loro
conoscenza: all’interno di uno stesso genere si tende spesso a riprodurre una visione
stereotipata della figura di Orfeo. Dall’altra parte alcuni autori o artisti conoscono più
aspetti di Orfeo, ma sembrano limitarsi ad una scelta ben consapevole di certi aspetti che
convengono al loro discorso. Orfeo è spesso considerato e rappresentato sia come una
figura positiva, sia come una figura negativa. Tra gli aspetti positivi si annoverano le sue
qualità poetiche e musicali e il suo potere di incantare gli animali, cioè, allegoricamente, di
civilizzare gli uomini con la musica (l’eloquenza). La sua partecipazione al viaggio degli
Argonauti e il suo ruolo di poeta-teologo o filosofo sono inoltre visti come aspetti positivi.
Tra gli aspetti negativi di Orfeo ci sono l’amore per le cose terrene (Euridice) e lo sguardo
indietro, la sua omosessualità e la morte crudele. Il tentativo di riconciliare questi due lati
contrastanti forma un filo conduttore nella fortuna di Orfeo in Italia dal Trecento fino
all’inizio del Settecento.
55
Cf. n. 39.
27
INTRODUZIONE
I sei capitoli di questo libro seguono la fortuna di Orfeo fino al 1607 lungo un
percorso cronologico. Alcuni periodi prendono più spazio o si accavallano per poter
soffermare su alcuni autori importanti (Poliziano, Ficino) e qualche volta l’ordine
cronologico è stato violato per poter seguire certe linee tematiche, come per esempio le
imitazioni della Fabula di Orfeo e la fortuna dell’orfismo ficiniano. Distinguo i seguenti
periodi: l’antichità e il primo Medioevo (capitolo introduttivo); il periodo da circa il 1300 al
1475 (capitolo 2); Ficino, Poliziano e le sue imitazioni (ca. 1450-1525) (capitoli 3 e 4); il
periodo da circa il 1475 al 1600 (capitoli 5 e 6); i primi melodrammi (1600-1607) (capitolo
7).
Nel capitolo introduttivo spiegherò le implicazioni del termine ‘il mito di Orfeo’.
Seguerò le linee di sviluppo principali del mito dalle sue origini fino al primo Medioevo. È
importante conoscere le diverse fonti classiche e medievali a cui gli autori italiani si
potevano riallacciare per informarsi sul mito. La scelta della fonte (ipotesto) determina
quale versione del mito è presentata. Sarà discussa anche in breve la corrente religiosa
dell’orfismo, che è legata alla figura mitologica di Orfeo.
La vera ricerca della fortuna di Orfeo in Italia comincerà nel secondo capitolo, in
cui discuto la letteratura prima della Fabula di Poliziano. Nelle arti figurative e nella
musica di questo periodo quasi non si trovano ancora i temi dell’antichità classica. Il mito
di Orfeo è descritto a lungo nelle Genealogie deorum gentilium di Boccaccio e in alcune
rielaborazioni delle Metamorfosi di Ovidio, che funzionarono come manuali mitologici per
altri autori e artisti. Inoltre, Orfeo è menzionato in decine di opere appartenenti a generi
molto diversi: poesie liriche, racconti amorosi, trattati filosofici, lettere. Questi riferimenti
mostrano la diversità degli aspetti di Orfeo in Italia, ma nello stesso tempo anche il suo
carattere stereotipato.
Alla fine del Quattrocento Marsilio Ficino e Angelo Poliziano provocano una
grande fioritura della figura di Orfeo. Questo interesse per Orfeo nasce nella cerchia dei
Medici a Firenze e in quella dei Gonzaga a Mantova. Basandosi su fonti greche Ficino fa
rivivere Orfeo cantante e teologo e inserisce il pensiero orfico nelle sue opere filosofiche.
Nel terzo capitolo discuterò anche brevemente i filosofi intorno a Ficino e la fortuna di
Orfeo nei testi filosofici del Cinquecento. Poliziano si basa invece sulle fonti latine (Virgilio
e Ovidio) e sceglie Orfeo cantante e amante di Euridice come protagonista della prima
rappresentazione teatrale secolare in volgare. Nel quarto capitolo saranno discusse alcune
imitazioni dirette della Fabula di Orfeo, che differiscono dall’opera di Poliziano per via dei
cambiamenti nel contesto storico culturale e nel genere letterario (trasformazione da
dramma in narrazione).
La rappresentazione letteraria di Orfeo dal 1475 circa al 1600 dimostra una grande
continuità con la maniera in cui era rappresentato prima del 1475. Tuttavia, ci sono anche
delle reazioni negative all’immagine già nota, da parte dei poeti anticlassicisti. A causa
dell’invenzione della stampa i trattati mitologici e le traduzioni delle Metamorfosi
28
INTRODUZIONE
diventano disponibili dappertutto. Si vede l’influenza di questi trattati, delle traduzioni e
delle opere di Poliziano e Ficino nell’apparizione di nuovi aspetti di Orfeo in altri testi.
Anche gli artisti adoperavano i trattati mitologici come fonte d’ispirazione. Per questa
ragione Orfeo figura frequentemente nelle arti figurative a partire della fine del
Quattrocento. Come i Gonzaga anche i Medici cominciano ad usare la figura di Orfeo per
motivi di propaganda.
A Firenze la Camerata fiorentina cerca di far rivivere la musica dell’antichità. Il
primo melodramma di cui ci è stata trasmessa la musica, l’Euridice di Jacopo Peri, tratta
del racconto amoroso di Orfeo ed Euridice. Il mito di Orfeo arriva, però, all’apice della sua
fama alla corte dei Gonzaga a Mantova, dove più di cento anni prima era stata
rappresentata con grande successo la Fabula di Orfeo di Poliziano: l’Orfeo di Monteverdi
renderà il cantante immortale.
29
CAPITOLO 1. LE ORIGINI DI ORFEO
Il mito nell’antichità e nel primo Medioevo
1.0 IL MITO DI ORFEO
Il mito di Orfeo non è statico e immutabile. È impossibile descrivere la versione originale e
completa del mito di Orfeo, semplicemente perché essa non esiste. Come vedremo nel
paragrafo seguente il mito di Orfeo nell’antichità non è un racconto omogeneo. Esiste
piuttosto un vasto repertorio di elementi che formano un insieme che si potrebbe riunire
sotto l’etichetta di ‘mito di Orfeo’. Questi elementi nascono nel corso dei secoli, si trovano
insieme in varie combinazioni, che a volte spariscono e che poi magari rinascono.
Nell’analisi bisogna dunque concentrarsi sugli elementi di cui consiste il mito. Per
rintracciare le origini del mito John Block Friedman ha cercato di ricostruirlo nell’epoca
greca ed ellenistica distinguendo otto motivi nei racconti intorno alla figura di Orfeo: 56
1. La nascita: Orfeo nasce in Tracia, come figlio di Calliope, la musa dell’epica, e del dio
fluviale Eagro57 o, secondo altre versioni, di Apollo.
2. Il viaggio degli Argonauti: Orfeo è invitato ad accompagnare gli Argonauti, perché canta
e suona la lira.
3. La musica: Orfeo incanta la natura con la sua musica.
4. La religione: Orfeo è un sacerdote di Dioniso che più tardi diventa un ammiratore di
Apollo. Le Baccanti, seguaci di Dioniso, si arrabbiano con Orfeo per aver rinnegato il loro
Dio e lo ammazzano.
5. La poesia: Orfeo scrive dei canti sulla creazione della terra, dell’oceano e dei cieli. La
maggior parte dei canti orfici è stata scritta dagli scrittori neoplatonici (Orphica). Le poesie
cosmogoniche attribuiscono ad Orfeo delle doti profetiche.
6. La discesa nell’Ade: per riprendersi Euridice al mondo dei vivi. Nel mondo ellenistico
questa storia non era molto nota e aveva spesso una fine lieta. 58
7. La morte: Orfeo viene ucciso da donne tracie per motivi sempre diversi: a.) Orfeo si era
staccato dal culto di Dioniso, b.) Orfeo aveva svelato i misteri degli dei, c.) Proserpina era
arrabbiata, perché la madre di Orfeo, Calliope, aveva deciso che Proserpina doveva
dividere Adone con Venere, d.) Orfeo piangeva Euridice e rinunziava alle donne (questo è
il motivo più comune), e.) Orfeo era il primo uomo a preferire gli uomini alle donne.
56
J.B. Friedman, Orpheus in the Middle Ages, cit., p. 5.
Friedman parla invece del ‘dio del vino’ (op.cit., p. 6).
58
La storia è narrata da Virgilio e Ovidio, ma questi si basano probabilmente su una fonte alessandrina che è
andata perduta.
57
31
CAPITOLO 1
8. Dopo la morte: ci sono alcune versioni su quello che succede al corpo di Orfeo dopo la
morte: a.) Orfeo viene decapitato e la sua testa viene attaccata alla lira e buttata nel mare; la
testa e la lira sono gettate sulla spiaggia a Lesbos e sepolte, b.) secondo Filostrato la testa
viene seppellita in una grotta dove diventa un oracolo di cui Apollo è geloso, c.) le Muse
raccolgono le sue membra ed elevano la sua lira al cielo dove si trasforma nell’omonima
costellazione.
Questi otto motivi costituiscono dunque secondo Friedman il nucleo del mito di
Orfeo nell’antichità greca ed ellenistica.59 Questi elementi non si trovano mai tutti insieme:
un autore può per esempio riferirsi solo alla musicalità di Orfeo, alla sua discesa nell’Ade o
alla sua morte. Anche nei tempi posteriori che costituiscono il nucleo di questa ricerca (il
tardo Medioevo, il Rinascimento) non si trova quasi mai l’intero complesso di elementi del
mito, ma soltanto un aspetto del personaggio di Orfeo o una parte del racconto.60 Gli otto
elementi distinti da Friedman formano dunque una base utile, a cui verranno aggiunti
ancora altri elementi nel corso dell’antichità. Anche il famoso antropologo culturale
Claude Lévi-Strauss conferma che non occorre cercare la versione autentica del mito in
genere. Tutti i rifacimenti diversi fanno invece parte del mito nel suo insieme:
[...] a problem which has been sofar one of the main obstacles to the progress of
mythological studies, namely, the quest for the true version, or the earlier one. On the
contrary, we define the myth as consisting of all its versions; to put it otherwise: a myth
remains the same as long as it is felt as such.61
In questo capitolo cercherò dunque di delineare lo sviluppo del mito di Orfeo dal periodo
arcaico, attraverso il periodo romano, fino all’epoca postclassica e il primo Medioevo. Così
otterremo un’idea del complesso del mito prima delle origini della letteratura in lingua
italiana.
Nonostante sia interessante rintracciare gli elementi del mito di Orfeo nei tempi
più antichi, questo non è lo scopo più importante di questa ricerca. Infatti, alla fine del
Medioevo e all’inizio del Rinascimento non si leggevano i testi greci, per il semplice fatto
che la conoscenza del greco era andata perduta. Solo dopo il Concilio di Firenze (1439) e la
caduta del Bisanzio (1453) ebbe inizio la diffusione del greco in Italia. Importanti per la
fortuna di Orfeo nel primo periodo esaminato (dal 1300 al 1450), ma anche nei secoli
59
Tuttavia, alcuni studiosi suppongono che Orfeo abbia le sue radici in un periodo perfino anteriore.
Si vedano anche: Friedman, op.cit., p. 10; E.A. Newby, A Portrait of the Artist: the Legends of Orpheus and
Their Use In Medieval and Renaissance Aesthetics, Garland Publishing, Inc., New York & London, 1987, p.
64.
61
C. Lévi-Strauss, ‘The Structural Study of Myth’ in : ‘Myth. A Symposium’, Journal of American Folklore 78,
270 (1955), p. 435.
60
32
LE ORIGINI DI ORFEO
successivi, sono dunque soprattutto Virgilio e Ovidio che offrono per primi una versione
elaborata del racconto amoroso di Orfeo ed Euridice:
The two versions of the “career” of Orpheus in Virgil’s Fourth Georgic and in Books X and
XI of Ovid’s Metamorphoses stand as the central texts on which subsequent retellings and
commentaries on the legend have been based. As knowledge of the body of Greek Orphica
became known to Western poets and scholars, these texts, too, were utilized often to
elaborate on the basic stories found in Ovid and Virgil; but these earlier Greek texts were
more recently discovered and were of considerably less importance in the development of
the Orphic topos in Western literature [...]62
I testi di Virgilio e Ovidio formano anche la base della fortuna di Orfeo nella letteratura
italiana. Perciò, nel paragrafo seguente sullo sviluppo del mito di Orfeo nell’antichità,
presterò molta attenzione al periodo romano. Sarà discusso anche il periodo greco, perché
questo periodo diventerà più importante nel corso del Rinascimento con la riscoperta del
greco. Sottolineerò in particolare i cambiamenti e gli elementi nuovi che vengono aggiunti
nei periodi successivi da vari autori. Naturalmente ci sarà più spazio per quegli autori che
avranno un’influenza maggiore sulla letteratura italiana. Toccherò anche brevemente
l’orfismo che fin dalla prima apparizione di Orfeo si unisce al personaggio mitologico.
1.1 ORFEO E L’ORFISMO NELL’ANTICHITÀ63
L’origine della figura di Orfeo non è completamente chiara. Il mito di Orfeo si sviluppò
probabilmente dalle pratiche sciamanistiche nel nord della Grecia, presso i Traci. Gli
sciamani avevano il potere di attraversare le frontiere tra il mondo dei vivi e quello dei
morti e avevano anche un potere magico sulla natura e sugli animali, un potere che si
basava in parte sugli effetti incantevoli della musica; inoltre, gli sciamani avevano doti
profetiche e sapevano riprendere i morti dagli Inferi.64 Peter Dronke cita varie analogie tra
62
Newby, op.cit., p. 62.
Questo paragrafo si basa su: O. Kern, Orpheus. Eine religionsgeschichtliche Untersuchung, Weidmannsche
Buchhandlung, Berlin, 1920, pp. 38-50; D.P. Walker, ‘Orpheus the theologian and Renaissance platonism’,
Journal of the Warburg and Courtauld Institutes 16 (1953), pp. 103-104; A. Boulanger, Orphée: rapports de
l'orphisme et du christianisme, F. Rieder et Cie., Paris, 1925, pp. 9-15; M. Deufert, ‘Orpheus in der antiken
Tradition’, in: W. Storch, Mythos Orpheus. Texte von Vergil bis Ingeborg Bachmann, Reclam Verlag, Leipzig,
1997, pp. 266-69; G. De Sanctis, Storia dei Greci. Dalle origini alla fine del secolo V, La nuova Italia, Firenze,
1954, pp. 306-11; Ph. Mayerson, ‘Dionysus and Orpheus: God and Man, Myth and Mystery’, in : Classical
mythology in literature, art, and music, Xerox College Publ, Lexington, Mass [etc.], [1971], pp. 248-69.
64
C. Segal, Orpheus. The Myth of the Poet, The Johns Hopkins University Press, Baltimore and London, 1989,
p. 159.
63
33
CAPITOLO 1
Orfeo e gli sciamani: la discesa agli Inferi, la sua arte di guaritore, l’amore per la musica e
per gli animali, l’incantesimo e il potere divinatorio.65 Egli spiega poi il significato profondo
della storia di Orfeo ed Euridice in connessione con le pratiche sciamanistiche:
Seen in this perspective, the story of Orpheus and Eurydice is no mere sentimental
Hellenistic tale of love and death. Nor is the happy ending a mere literary eccentricity.
Rather it brings out a profundity which the better-known version tends to disguise - it gives
a fuller clarity to the myth’s most essential, most universal trait: the intimation that the
here and the beyond are not irrevocably opposed to each other, that they form one world,
that the one who is endowed with a more-than-human power of vision (expressed in the
figure of prophetic, quasi-divine song) or endowed with a more-than-human power of love,
can know this greater whole, can pass from here to beyond and back again, and can
‘redeem’ others, giving them this same power, giving them ‘a new life’.66
Il mito di Orfeo ed Euridice ha dunque probabilmente delle radici più profonde, che sono
connesse con lo sciamanismo e il viaggio da questo mondo all’aldilà. In varie culture si
trovano delle tracce di simili miti archetipici. Nella cultura greca il ruolo di Orfeo come
sacerdote, che conosce i misteri dell’oltretomba e che è in grado di attraversare il limite tra
i due mondi è messo in rilievo soprattutto nella corrente religiosa nota con il nome di
orfismo.
Benché il mito di Orfeo e l’orfismo sembrino concentrarsi sullo stesso personaggio
e benché alcune caratteristiche di Orfeo ritornino sia nella mitologia che nella religione,
l’orfismo si sviluppa in modo completamente diverso, così che quasi non riguarda più la
figura di Orfeo, ma piuttusto l’origine del mondo e la nascita di Dioniso. Inoltre, l’orfismo
ha poca importanza per il periodo del tardo Medioevo e del Rinascimento in Italia. Con
Marsilio Ficino (1433-1499) comincia una corrente filosofica che si ispira fortemente tra
l’altro all’orfismo, ma nel contesto di questa ricerca non occorre soffermarci troppo su
questo argomento. Siccome non si può trascurare l’orfismo completamente nel
Rinascimento, e siccome l’orfismo è stato rilevante per l’origine del mito di Orfeo,
comincerò l’esposizione della fortuna del mito di Orfeo nell’antichità con una breve
descrizione delle idee e delle fonti dell’orfismo.
Generalmente l’orfismo è visto come una religione coerente. Frequentemente, però,
il termine ‘orfismo’ si adopera a partire del secolo VI a.C per ogni tipo di rito mistico. In
realtà soltanto una parte di tutti i riti mistici appartiene all’orfismo. È difficile formarsi
un’idea chiara dell’orfismo, perché è problematica la ricostruzione di tutti i riti che vi
65
P. Dronke, ‘The Return of Eurydice’, Classica et mediaevalia 23 (1962), p. 205. Dronke cita le parole di
Mircea Eliade, Le Chamanisme et les techniques archaïques d’extase, Paris, 1957, pp. 195, 219, 281, 331.
66
Dronke, op.cit., pp. 205-206.
34
LE ORIGINI DI ORFEO
appartengono. I pochi documenti che parlano esplicitamente dell’orfismo si possono così
suddividere:
1. I frammenti di testi orfici che sono stati trasmessi in scrittori posteriori (di diversi
periodi). Questi frammenti descrivono la dottrina orfica o citano le poesie orfiche
(soprattutto la teogonia rapsodica). Soprattutto i Padri della Chiesa fanno spesso menzione
delle idee di Orfeo per mostrare che l’intera filosofia greca si basava su Mosè.
2. Le formule in versi su lamine d’oro (‘Orphicae lamellae’), che sono state scoperte nelle
tombe italiche e cretesi (sec. IV a.C-sec. III d.C.).67 Le lamine si trovavano sul petto o nella
bocca dei morti e incise di frammenti in esametri che offrono dei consigli per la vita
nell’aldilà. Secondo alcuni studiosi dalle lamine italiche risulta una connessione tra
l’orfismo e i Pitagorici.68
3. Due papiri egiziani (sec. III-I a.C.)
4. Le poesie con le idee orfiche che sono state conservate interamente:
a.) Gli Inni orfici (sec. II d.C.): questi non parlano di una teologia orfica, ma contengono
certi precetti orfici.69 Ci sono 87 inni per il culto orfico, dedicati a Museo, che venerano gli
dei orfici: in primo luogo Dioniso, e poi Crono, Rea, Eros, il Sole, la Luna, Tyche, Themis,
Dike, la Morte (Thanatos) e la Natura (Physis).
b.) L’Argonautica orfica (sec. IV d.C.): un’epopea di 1376 esametri basata sulle
Argonautiche di Apollonio Rodio, in cui Orfeo racconta il viaggio degli Argonauti dal suo
punto di vista.70 Orfeo ha un ruolo diverso dagli altri eroi: deve incitare i rematori con il
suo canto ed è in grado di addormentare il drago e di vincere la seduzione del canto delle
Sirene.
c.) I Litica (prima metà del sec. II): poesie sul potere magico delle pietre (774 esametri).71
Secondo la cosmogonia o teogonia degli orfici, all’inizio di tutto c’è un uovo
cosmico da cui nasce Eros, il creatore del cielo, della terra e degli dei. Eros, che viene anche
chiamato Protogonos (“primogenito”) o Phanes (“luminoso”), produce Urano e Gea, il cielo
e la terra, da cui nascono in seguito Crono, Rea e gli altri Titani.72 A partire da Urano e Gea
67
I testi e le traduzioni italiane delle lamine si possono trovare in: Le lamine d’oro orfiche. Istruzioni per il
viaggio oltremondano degli iniziati greci, a.c.d. Giovanni Pugliese Carratelli, Adelphi Edizioni, Milano, 2001.
68
Alcuni studiosi negano il legame tra le lamine d’oro e l’orfismo (Der Neue Pauly, s.v. ‘Orphik’, p. 66).
69
Orphei hymni, a.c.d. G. Quandt, Weidmann, Berlin, 1955.
70
Les argonautiques orphiques, a.c.d. F. Vian, Paris, Les Belles Lettres, 1987.
71
Secondo Karl Ziegler il libro dei Litica fu attribuito a Orfeo da Tzetzes, con cui invece non a niente a che
fare (K. Ziegler, ‘Orphische Dichtung’, in: Der kleine Pauly, p. 358).
72
La cosmogonia menzionata è una versione semplificata della cosomogonia secondo la Rapsodia. Esistono
anche altre versioni: quelle secondo Atenagora, Gerolamo ed Ellanico, Aristofane e il papiro di Derveni (cf.
gli schemi in: S. Jacquemard & J. Brosse, Orphée ou l'initiation mystique, Paris, Bayard Éditions, 1998, p. 171;
R. Sorel, Orphée et l’orphisme, Paris, Presses Universitaires de France, 1995, pp. 40-59. Che la teogonia orfica
fosse già nota nel secolo V a.C. è anche suggerito da una parodia negli Uccelli di Aristofane (Uccelli, 690702).
35
CAPITOLO 1
la teogonia degli orfici è uguale a quella di Esiodo. Eros o Amore ha dunque una funzione
cruciale nella creazione del mondo. Perciò anche Ficino, che ravviverà il pensiero orfico
nel Quattrocento, assegnerà una posizione centrale all’Amore nella sua filosofia di cui
testimonia ad esempio il suo El libro dell’Amore.
Secondo i canti orfici Zeus, dopo due generazioni di sovrani, divora Eros-Phanes,
assorbendo così tutto il potere creativo, e creando tutte le cose di nuovo. In questa maniera
Zeus diventa l’inizio, il mezzo e la fine di tutto. Anche queste idee sull’essenza di Giove
torneranno spesso nelle opere di Ficino e degli altri neoplatonici quattro-cinquecenteschi.
A un certo momento Zeus procrea Dioniso o Zagreo, che viene divorato dai Titani.
La dea Atena salva il cuore di Dioniso, e Zeus inghiottisce il cuore e gli dà una nuova vita.
Zeus vince e riduce in cenere i Titani con il suo fulmine. Dalle loro membra incenerite
nasce il genere umano, che consiste di una parte titanica (il corpo) e di una parte dionisiaca
con natura divina (l’anima).73 L’uomo può salvare la parte dionisiaca e domare la parte
titanica tramite la cura della prima. Lo scopo della religione orfica è di liberare l’essere
divino dentro di noi, che ripercorre un ciclo in cui passa dalla vita alla morte dopo di che
viene reincarnato (in un altro uomo o animale), fino al momento in cui l’essere divino
interrompe questo ciclo liberandosi dalla parte titanica.74
La teogonia orfica continua dunque con la nascita di Dioniso e si lega così al culto
dionisiaco. L’aspetto nuovo di questo legame risiede nel fatto che in questo modo viene
stabilita una relazione tra la teogonia e l’antropogonia, cioè la nascita del genere umano.
Per gli orfici è importante che l’uomo conosca le sue origini e che sia conscio della sua
parte peccaminosa, la quale deve essere vinta tramite una vita devota. Per la liberazione
dell’anima devono essere eseguiti alcuni riti orfici. Erodoto parla per esempio del divieto di
portare dei vestiti di lana nei santuari o di seppellire i morti vestiti di lana e di mangiare
uova e fagioli.75 Un altro fattore importante è l’astinenza dalla carne. Anche in Euripide si
trovano simili precetti.76
Anche se l’orfismo è inseparabile dalla figura di Orfeo, in quanto fondatore di
questa corrente religiosa che porta il suo nome, la dottrina e i riti precisi dell’orfismo non
si intrecciano con il mito stesso. La figura mitologica e il culto possono e devono essere
studiati piuttosto come due oggetti di ricerca separati. Da qui in avanti mi limiterò dunque
a discutere la fortuna del personaggio mitologico di Orfeo a partire dal periodo greco.
73
Qui si intravvede uno stretto legame con l’idea pitagorica del corpo (soma) come tomba (sèma) dell’anima
(Kern, op.cit., pp. 40-50).
74
Secondo Platone l’anima di Orfeo avrebbe scelto di reincarnarsi in un cigno (Repubblica, 10, 620a).
75
Erodoto, Storie, II, 81.
76
Euripide, Cretesi, fr. 3, riportato da Porfirio, De abst., 4, 19 (citato da: Le lamine d’oro orfiche, cit., pp. 8990).
36
LE ORIGINI DI ORFEO
1.2 ORFEO GRECO77
Nella letteratura greca arcaica e classica troviamo solo degli scarsi riferimenti a Orfeo.
Scrittori importanti come Omero, Sofocle, Erodoto, Tucidide, Senofonte, Teocrito o
Callimaco non fanno nessun riferimento all’eroe.78 La prima menzione del nome di Orfeo
nella letteratura si trova in IBICO (sec. VI a.C.).79 A parte la formula Ὀνομακλυτὸν
Ὀρφήν (“Orfeo dal nome famoso”) non segue nessuna spiegazione. Tuttavia, queste due
parole mostrano che nel sesto secolo a.C. Orfeo era già una figura molto nota.
La prima vera attestazione di Orfeo si trova alcuni decenni prima su una METOPA
del tesoro dei Sicioni a Delfi (ill. 1.1).80 Sono rappresentati due cavalieri (i Dioscuri), una
nave (l’Argo) e due musicisti (Orfeo, riconoscibile dal nome ‘Orphas’, e secondo alcuni
Filammone). La metopa raffigura il viaggio degli Argonauti.
1.1 Anonimo, Orfeo e gli Argonauti, sec. VI a.C.
77
Questo paragrafo si basa su: I.M. Linforth, The Arts of Orpheus, University of California Press, Berkeley and
Los Angeles, 1941; H. Semmelrath, Der Orpheus-Mythos in der Kunst der italienischen Renaissance. Eine
Studie zur Interpretationsgeschichte und zur Ikonologie, Philosophische Fakultät, Universität zu Köln, 1994,
pp. 4-8; M. Desport, L'incantation virgilienne. Essai sur les mythes du poète enchanteur et leur influence dans
l'oeuvre de Virgile, Faculté des Lettres, Université de Paris, 1952, pp. 274-304; F. Graf, ‘Orpheus: A Poet
Among Men’, in: J. Bremmer, Interpretations of Greek Mythology, Croom Helm, London and Sydney, 1987,
pp. 80-106; Jacquemard & Brosse, op.cit., pp. 23-36, 65-121; E. Robbins, ‘Famous Orpheus’, in: J. Warden,
Orpheus. The Metamorphoses of a Myth, University of Toronto Press, Toronto-Buffalo-London, 1982, pp. 518; Kern, op.cit., pp. 1-37; Segal, op.cit., pp. 14-20; F.M. Schoeller, Darstellungen des Orpheus in der Antike,
Philosophische Fakultät, Albert-Ludwigs-Universität, Freiburg, 1969, passim.
78
Orfeo manca per esempio nel riferimento al viaggio degli Argonauti in Omero, Odissea, XII, 60.
79
Ibico di Regio, Fr. 10A Bergk.
80
La metopa si trova a Delfi, Mus. 1323.1323a.1210.
37
CAPITOLO 1
Orfeo è rappresentato con una barba. Sui vasi dipinti troviamo la prima immagine di Orfeo
con una barba solo 70 o 80 anni più tardi; si tratta di una scodella beotica. Gradualmente
Orfeo perde la sua barba. Questo sviluppo non è tipico della figura di Orfeo, ma segue il
ringiovanimento generale degli dei e degli eroi nel periodo greco classico. Spesso la
capigliatura di Orfeo rassomiglia fortemente a quella di Apollo, il che è rafforzato talvolta
da una corona intorno alla testa.
Nelle Bassaridi di ESCHILO (ca. 525-456 a.C.), di cui sono stati trasmessi solo alcuni
frammenti, Orfeo ha un ruolo importante.81 Le Bassaridi costituiscono la seconda parte
della tetralogia Licurgia, che descrive il conflitto tra il culto di Apollo e il nuovo culto di
Dioniso. Eschilo stesso era un ammiratore di Apollo e mostra per primo il carattere
apollineo di Orfeo.82 Nella prima parte della tetralogia Eschilo descrive lo scontro tra
Apollo e Dioniso, mentre nella seconda parte, le Bassaridi, il conflitto giunge a una
soluzione. Alla fine dell’opera Orfeo è ucciso dalle donne tracie, e questa è la prima volta
che nella letteratura viene menzionata la morte di Orfeo. Le membra del corpo di Orfeo
vengono disperse e la sua testa è buttata nell’Ebro e arriva infine a Lesbos. La testa di Orfeo
non finisce di cantare e viene messa in un santuario dove pronuncia degli oracoli. La lira di
Orfeo è sollevata al cielo e diventa la costellazione della Lira. Anche in altre tragedie di
Eschilo ci sono delle allusioni a Orfeo.83
EURIPIDE (ca. 480-406 a.C.) nella tragedia Alcesti è il primo a descrivere la discesa di
Orfeo nell’Ade e la funzione del suo canto nel mondo dei morti.84 Admeto non dice
letteralmente che Orfeo succede nella sua impresa, ma questo risulta dalla logica delle sue
parole.85
εἰ δ’ Ὀρφέως μοι γλῶσσα καὶ μέλος παρῆν,
ὥστ’ ἢ Κόρην Δήμητρος ἢ κείνης πόσιν
ὕμνοισι κηλήσαντά σ’ ἐξ Ἅιδου λαβεῖν,
κατῆλθον ἂν, καί μ’ οὔθ’ ὁ Πλούτωνος κύων
οὔθ’ οὑπὶ κώπῃ ψυχοπομπὸς ἂν Χάρων
ἔσχον, πρὶν ἐς φῶς σὸν καταστῆσαι βίον.
(Euripide, Alcesti, 357-362)86
81
I frammenti ci sono stati trasmessi attraverso Ps. Eratostene, Catasterismi, 24.
Kern, op.cit., pp. 7-8.
83
Eschilo, Agamennone, 1629-1630.
84
Euripide, Alcesti, 357-362. Non è possibile determinare con certezza se il bassorilievo di Orfeo, Euridice e
Ermes, di cui si parlerà dopo, sia più antico.
85
Dronke, op.cit., p. 201.
86
‘Se avessi la lingua e il canto di Orfeo, e potessi incantare con la mia voce la figlia di Demetra e il suo sposo,
così da poterti strappare all’Ade, scenderei, sì, agli inferi, né il cane di Plutone né Caronte, condottiero delle
anime, curvo sul remo, mi protrebbero trattenere dal riprenderti alla luce della vita.’ (trad. M. Di Simone,
Amore e morte in uno sguardo. Il mito di Orfeo e Euridice tra passato e presente, Libri Liberi, Firenze, 2003, p.
8).
82
38
LE ORIGINI DI ORFEO
La morte della sposa forse non è il motivo originario per la discesa nell’Ade. Può darsi che
la donna che Orfeo cerca di liberare dall’Ade fosse originariamente una specie di regina
degli Inferi, che doveva essere ripresa dall’Ade come nel mito di Peritoo e Teseo.87 Il
salvamento di Euridice è usata da Euripide come un controesempio della salvazione di
Alcesti da parte di Ercole. Orfeo figura spesso nelle opere di Euripide.88 L’autore menziona
tutte le sue caratteristiche: il potere dell’incantesimo (che muove gli alberi e gli animali), il
canto accompagnato dalla cetra e i suoi riti. Gli altri poeti greci parlano solo raramente di
Orfeo e non lo considerano un personaggio molto importante.
Dal 480 al 440 a.C. la morte di Orfeo era un motivo prediletto sui VASI (ill. 1.2). Tra
le immagini si possono distinguere due tipi principali: il cosiddetto pittore di Brygos
raffigurò per primo la scena di Orfeo che fugge dalle donne tracie;89 negli anni ’70 del
quarto secolo nacque il tipo del cosiddetto pittore di Pistoxenos, in cui si vedeva come
Orfeo veniva ucciso dalle donne. Quest’ultimo tipo ebbe più successo sui vasi attici e
rimase popolare fino agli anni ’40 del quinto secolo. Nel resto del quarto secolo e nel
periodo ellenistico e romano scompare il motivo dell’uccisione. Nel Quattrocento
Mantegna riprenderà il motivo dai vasi antichi.
1.2 Anonimo, La morte di Orfeo
87
Kern, op.cit., p. 13. Teseo e Peritoo discesero nell’Ade cercando di liberare Persefone, un’impresa che
Peritoo doveva pagare con la sua vita, mentre Teseo rimaneva imprigionato nell’Ade fino al momento della
sua liberazione da parte di Ercole.
88
Euripide, Ifigenia in Aulide, 1211-1214; Baccanti, 560-564; Ciclope, 646; Reso, 943.
89
Le donne sono riconoscibili come tracie da un tatuaggio sulle braccia. I loro mariti avrebbero tatuato le
donne per punirle per l’uccisione di Orfeo (Fanocle, in Stobeo, Egl., 4, 20, 47).
39
CAPITOLO 1
Sorprende che solo intorno alla metà del quinto secolo Orfeo sia stato raffigurato per la
prima volta come un uomo tracio, mentre nella letteratura era stato visto da sempre come
tracio. Egli porta infatti un berretto appuntito di pelliccia di volpe (alopekis) sui capelli
lunghi e sciolti, degli stivali alti, un chitone lungo e ricamato, e un mantello tracio. Prima
Orfeo era sempre stato rappresentato come un greco: con la veste lunga di un citaredo o
con una veste che lasciava scoperta la parte superiore del corpo.
Fin dalla metà del quinto secolo venne anche rappresentato spesso dai pittori attici
un Orfeo che cantava, circondato dai Traci e qualche volta dai Satiri. In queste immagini
Orfeo stesso non è sempre vestito alla tracia. Talvolta i vasi mostrano anche delle donne
che accorrono per uccidere Orfeo. Si dice spesso che questi vasi siano stati ispirati dalle
Bassaridi di Eschilo.90 Dello stesso periodo esistono anche dei vasi che raffigurano Orfeo
nell’atto di lasciare Dioniso in favore di Apollo.91
Molto famoso è un BASSORILIEVO ATTICO (440-420 a.C.), che è stato trasmesso in
diverse copie romane (ill. 1.3).92 Il significato della scena rappresentata è molto discusso.
La combinazione di Orfeo, Euridice ed Ermes può indicare il momento in cui Ermes
consegna Euridice a Orfeo, dopo che Orfeo ha persuaso gli dei degli Inferi a restituirgliela.
Può rappresentare invece anche il momento della (prima o seconda) perdita di Euridice, in
cui Ermes richiede la donna all’Ade.
1.3 Anonimo, Ermes, Euridice e Orfeo, 440-420 a.C.
90
C. Heyman & A. Provoost, ‘De antieke Orpheusvoorstellingen’, in: A. Provoost, Orpheus. Ontstaan, groei en
nawerking van een antieke mythe in de literatuur, beeldende kunsten, muziek en film, Acco, Leuven, 1974, p.
39.
91
Segal, op.cit., p. 157.
92
Napoli, Museo Archeologico Nazionale; Paris, Musée du Louvre; Roma, Museo Palatino, inv. 37339; ecc.
40
LE ORIGINI DI ORFEO
Il rilievo non è tuttavia una prova sicura che il fallimento della discesa negli Inferi fosse già
noto nel quinto secolo.93 Il motivo di Orfeo ed Euridice che ritornano al mondo non è
ripreso poi prima del primo secolo a.C. Da quel momento la coppia di Orfeo ed Euridice è
spesso rappresentata senza Ermes.
Nelle Odi di PINDARO (ca. 518-ca. 440 a.C.) Apollo è menzionato come padre di
Orfeo, ma ciò significa probabilmente soltanto che Orfeo ha imparato la sua arte da
Apollo.94 Comunque, in un’altra poesia di Pindaro figura di nuovo Eagro come il padre di
Orfeo.95 Pindaro è anche il primo a raccontare dettagliatamente il viaggio degli Argonauti a
cui Orfeo partecipava nella funzione di citaredo.96
L’immagine di Orfeo che ci offre PLATONE (ca. 429-347 a.C.) è alquanto negativa.
Nello Ione e nel Protagora la magia delle parole di Orfeo è ritenuta persuasiva, ma tramite
questa magia non si può raggiungere la verità.97 In tal modo Orfeo viene visto come una
specie di precursore dei sofisti. Nel Symposion la fine del racconto è ambivalente.98 Quando
Orfeo scende nell’Ade per riprendersi la sposa con il canto, gli dei infernali gli danno un
fantasma invece della vera Euridice. La ragione è la supposizione degli dei che Orfeo sia un
vigliacco, perché non è disposto a morire per sua moglie come Alcesti fu disposta a morire
per suo marito:
Ὀρφέα δὲ τὸν Οἰάγρου ἀτελῆ ἀπέπεμψαν ἐξ Ἅιδου, φάσμα δείξαντες τῆς
γυναικὸς ἐφ’ἣν ἧκεν, αὐτὴν δὲ οὐ δόντες, ὅτι μαλθακίζεσθαι ἐδόκει, ἅτε ὢν
κιθαρῳδός, καὶ οὐ τολμᾶν ἕνεκα τοῦ ἔρωτος ἀποθνῄσκειν ὥσπερ Ἄλκηστις, ἀλλὰ
διαμηχανᾶσθαι ζῶν εἰσιέναι εἰς Ἅιδου. τοιγάρτοι διὰ ταῦτα δίκην αὐτῷ
ἐπέθεσαν, καὶ ἐποίησαν τὸν θάνατον αὐτοῦ ὑπὸ γυναικῶν γενέσθαι, [...]
(Platone, Symposium, 179d)99
Questa versione del mito secondo Platone sembra un caso isolato, che dà
un’interpretazione nuova al mito noto. Dronke suppone che fino a quel momento Orfeo
fosse riuscito a riprendersi Euridice.100 Originariamente il mito conosceva probabilmente
93
Secondo Kern (op.cit., p. 13) è piuttosto improbabile, perché Orfeo era noto come istruttore saggio
dell’umanità e come fondatore di riti santi.
94
Pindaro, P. 4, 313.
95
Pindaro, Fr. 139, 9. Kern, op.cit., pp. 7-8.
96
Pindaro, P. 4, 176f. La prima fonte letteraria per questa partecipazione al viaggio è Simonide, 27.
97
Platone, Ione, 533c; 536b; Protagora, 316d.
98
Platone, Symposium, 179d.
99
‘Orfeo, invece, il figlio di Eagro, lo rimandarono a mani vuote dall’Ade, dopo avergli mostrato un fantasma
della donna per la quale era venuto, ma senza restituirgli lei in persona, dal momento che si era dimostrato
imbelle, citaredo qual era, e non aveva osato morire per amore al pari di Alcesti, quanto piuttosto aveva
cercato di escogitare il modo per scendere vivo all’Ade. Per questa ragione lo punirono, facendolo morire per
mano di donne.’ (trad. F. Ferrari, citata da Di Simone).
100
Dronke, op.cit., p. 202.
41
CAPITOLO 1
un esito felice. Questa variante del mito rimarrà sempre presente sullo sfondo e
riacquisterà una posizione centrale nel melodramma di Jacopo Peri (cap. 7).
Nel quarto e terzo secolo a.C. il motivo di Orfeo che da vivo discende negli Inferi è
rappresentato spesso sui cosiddetti VASI INFERNALI dell’Italia meridionale, di cui sette sono
stati conservati (ill. 1.4).101 Secondo Schoeller l’importanza crescente dei riti orfici sfocia
nella scelta della figura di Orfeo per il culto dei morti. Sui vasi si vede Orfeo che suona la
cetra per Ade e Persefone, che sono seduti nel loro palazzo, indicato da colonne ioniche.
Spesso Orfeo è solo, ma lo incontriamo anche qualche volta nella presenza di Euridice. Il
fatto che Orfeo sia rappresentato da solo sembra indicare che si vuole dipingerlo come il
fondatore della religione orfica e che i vasi sono stati fabbricati per committenti orfici.102
1.4 Anonimo, Orfeo nell’Ade, IV-III sec. A.C. (Napoli)
L’abito tracio che Orfeo porta spesso a partire del quinto secolo, cambia in una lunga veste
orientale con molti adornamenti e un berretto frigio (con la punta curva). Secondo
Antonia Alessio Cavaretta nell’iconografia della figura di Orfeo sono da distinguere due
varianti principali, quella greca e quella frigia:
101
Napoli, Museo Archeologico Nazionale, 3222; SA 709; SA 11; München, Staatliche Antikensammlung,
849.
102
Schoeller, op.cit., pp. 43-45.
42
LE ORIGINI DI ORFEO
Nella prima Orfeo poteva apparire sia vestito di chitone, sia nudo secondo il canone dei
personaggi eroici, o coperto semplicemente da un mantello, che gli cingeva la parte
inferiore del corpo lasciando scoperto il busto; di solito presentava una lunga capigliatura
talora incoronata d'alloro. Nella seconda indossava una tunica manicata, il berretto frigio e
spesso un ampio mantello. Esisteva anche un tipo iconografico intermedio in cui Orfeo,
abbigliato alla greca, aveva in testa il berretto frigio.103
Il tipo greco è più antico, ma il tipo frigio diventerà quello più importante nel periodo
ellenistico e nella pittura cristiana.104
Nelle Argonautiche di APOLLONIO RODIO (ca. 295-235 a.C.) il ruolo di Orfeo è
molto ridotto.105 Orfeo è invitato a partecipare al viaggio degli Argonauti per raccogliere il
vello d’oro, in parte per la magia del suo canto, in parte per il suo ruolo sacerdotale. Orfeo
riconcilia le dispute tra gli Argonauti e supera il canto delle Sirene, ma non è
indispensabile. Nel primo libro ha un ruolo piuttosto grande, che diminuisce però nel
seguito.
All’inizio del terzo secolo deve essere nata l’unione di Orfeo, Ercole e le Muse,
trasmessa su un DIPINTO MURALE POMPEIANO, il quale contiene l’unica immagine
conservata di Orfeo che canta i lavori di Ercole, dopo che questi aveva liberato la Tracia
dalle cavalle di Diomede.106
1.3 ORFEO ROMANO107
Il mito di Orfeo, così come è giunto ai tempi moderni, deriva in gran parte dalle Georgiche
di Virgilio e dalle Metamorfosi di Ovidio. Queste due versioni sono essenziali anche nel
quadro di questa ricerca: siccome i letterati medievali non furono in grado di leggere il
greco fino alla caduta di Bisanzio e all’immigrazione di molti studiosi greci che seguì,
Virgilio e Ovidio rimasero per molto tempo le fonti principali per la conoscenza del mito
di Orfeo nell’Occidente. Conviene dunque soffermarci prima sul mito come rappresentato
da Virgilio, il suo contesto e il suo significato, per poi discutere la storia di Orfeo in Ovidio
e anche le somiglianze e le differenze più notevoli fra queste versioni latine.
103
A. F. G. Alessio Cavaretta, ‘Diffusione diacronica dell'iconografia di Orfeo in ambiente occidentale’, in: A.
Masaracchia, Orfeo e l'orfismo. Atti del Seminario Nazionale (Roma-Perugia 1985-1991), Gruppo Editoriale
Internazionale, Roma, 1993, p. 400.
104
Alessio Cavaretta, op.cit., pp. 400-401.
105
Apollonio Rodio, Argonautiche, 1, 23-34; 493b-494; 512-515; 540-541a; 1134; 4, 903b-909.
106
Anonimo, Orfeo che suona per le Muse e per Eracle, affresco, Pompei, Reg. IX, 1, 22.
107
Questo paragrafo si basa su Segal, op.cit. e altri.
43
CAPITOLO 1
1.3.1 Orfeo vs. Aristeo nelle Georgiche
La nota storia di Orfeo ed Euridice è raccontata per la prima volta nelle Georgiche di
VIRGILIO (70-19 a.C.). Virgilio la inserisce alla fine del libro IV, che tratta della civiltà delle
api e che conclude anche l’opera intera.108 Il mito di Orfeo ed Euridice è collocato nel
contesto di un racconto sul pastore Aristeo, le cui api muoiono tutte. Per conoscere la
ragione della morte delle sue api la madre di Aristeo, la ninfa Cirene, manda suo figlio dal
dio marino Proteo, che subisce continue metamorfosi. Dopo che Aristeo è riuscito a
catturare il dio, questi gli racconta che Aristeo viene punito per aver cercato di rapire
Euridice. Durante l’inseguimento Euridice era stata morsa da un serpente ed era morta. Di
conseguenza Aristeo è costretto a pacificare le anime di Orfeo ed Euridice, sacrificando a
loro quattro tori e quattro vacche, dalle cui carcasse nasceranno delle nuove api. Virgilio è
probabilmente il primo a creare un legame tra la storia di Aristeo e quella di Orfeo ed
Euridice, anche se il racconto di Aristeo esisteva già come racconto autonomo.109
Il mito di Orfeo raccontato da Virgilio, comincia dunque con l’inseguimento di
Euridice da parte di Aristeo, durante il quale Euridice viene morsa da un serpente velenoso
e muore. Tutti rimpiangono la sua sorte: un coro di Driadi, le montagne, i fiumi e
specialmente Orfeo, che decide di discendere nell’Ade, cercando di intenerire gli dei degli
Inferi. Virgilio non cita le parole dell’orazione di Orfeo, ma descrive invece ampiamente gli
effetti del suo canto sugli abitanti dell’Ade: gli spiriti commossi vengono dal fondo dell’Ade
e si radunano, le Eumenidi rimangono sbalordite, Cerbero è quasi impietrito e la ruota di
Issione si ferma.
Virgilio non menziona la reazione di Ade e la sua decisione di far ritornare
Euridice, ma descrive subito il ritorno di Euridice, che segue Orfeo, come l’aveva prescritto
Proserpina (‘pone sequens, namque hanc dederat Proserpina legem’). In seguito Virgilio
descrive come Orfeo guarda indietro, perdendo così per sempre sua sposa:
cum subita incautum dementia cepit amantem,
ignoscenda quidem, scirent si ignoscere manes:
restitit, Eurydicenque suam iam luce sub ipsa
immemor heu! victusque animi respexit. Ibi omnis
effusus labor atque immitis rupta tyranni
foedera, terque fragor stagnis auditus Avernis.
108
Secondo Servio Virgilio avrebbe originariamente concluso il libro IV con un elogio del poeta latino Gallo,
che egli ammirava molto. Dopo che Gallo aveva perso le grazie di Augusto e si era suicidato (nel 26 a.C.),
Virgilio avrebbe sostituito questa parte con la storia di Aristeo e Orfeo. Tuttavia, esistono dei dubbi sulla
correttezza di questa affermazione.
109
C’è stata molta discussione sul rapporto tra le api, Aristeo e Orfeo. Secondo alcuni la civiltà delle api era
per Virgilio una rappresentazione della civiltà umana. Anche in quel tempo Orfeo era già visto come l’uomo
civilizzatore (si veda Orazio). (H.L.W. Nelson, ‘Orpheus en Eurydice. De interpretatie van een Vergiliaanse
mythe’, Lampas 18 (1985), p. 302; Segal, op.cit., p. 36-42).
44
LE ORIGINI DI ORFEO
(Virgilio, Georgiche, IV, 488-493)110
Virgilio è il primo a parlare del divieto implicito di guardare indietro e della seconda
perdita di Euridice. Il fatto che Virgilio accenni solo implicitamente al divieto, potrebbe
indicare che il racconto fosse conosciuto in quel periodo. Alcuni studiosi pensano dunque
che Virgilio stesso non abbia inventato questa versione del mito, ma che essa si basi sulla
poesia di un poeta ellenistico sconosciuto che è andata perduta. Non ci sono, però, delle
prove concrete dell’esistenza di una tale poesia e forse Virgilio ha creato sia il legame con il
mito di Aristeo che l’esito negativo.
Nel frammento citato qui sopra colpisce il riferimento al motivo del gesto di
guardare indietro: dementia prese possesso di Orfeo, un giudizio piuttosto negativo, che
viene tuttavia alquanto attenuato dal verso immediatamente successivo: ‘ignoscenda
quidem, scirent si ignoscere manes’. Tuttavia, Euridice reagisce violentemente all’errore di
Orfeo e parla di un furor, che ha rovinato sia lei che lui. Euridice sembra rimproverargli la
sua seconda morte. È l’unica volta nella descrizione virgiliana del mito di Orfeo ed Euridice
che un personaggio si esprime in discorso diretto:
illa ‘quis et me’ inquit ‘miseram et te perdidit, Orpheu,
quis tantus furor? en iterum crudelia retro
fata vocant, conditque natantia lumina somnus.
iamque vale: feror ingenti circumdata nocte
invalidasque tibi tendens, heu non tua, palmas.’
(Virgilio, Georgiche, IV, 494-498)111
Dopo queste parole Euridice svanisce, mentre Orfeo cerca invano di toccarla, ma il
passatore non gli permette più di attraversare il fiume. Orfeo disperato rimane indietro e
ritorna in Tracia, dove canta per sette mesi sulla riva dello Strimone. Il suo canto
addomestica le tigri e commuove le querce. Virgilio paragona l’Orfeo triste all’usignolo
(Filomela), i cui figli sono stati rapiti da un aratore.
110
‘quando un’improvvisa follia colse l’innamorato imprudente (cosa da perdonarsi, se i Mani sapessero
perdonare): si arrestò e ormai presso la luce, dimentico – ahimé – e vinto nell’animo dalla passione, gettò
uno sguardo indietro alla sua Euridice. Lì tutta la sua fatica andò distrutta e furono infranti i patti fissati dal
signore spietato, e per tre volte si udì un fragore sopra gli stagni d’Averno.’ (trad. A. Barchiesi, Milano,
Arnoldo Mondadori Editore, 1980).
111
‘E lei: “Cosa ha perduto me stessa, infelice, e te, Orfeo, quale pazzia così grande? Ecco, una seconda volta il
destino crudele mi richiama indietro e il sonno chiude i miei occhi smarriti. E ora addio: sono trascinata
avvolta da una notte immensa e tendo verso di te – ahi, non più tua, le mani senza forza”’ (trad. Barchiesi,
op.cit.).
45
CAPITOLO 1
Orfeo rinunzia a tutte le donne e si ritira in luoghi freddi, dove continua a
rimpiangere Euridice e viene lacerato dalle donne tracie. La morte di Orfeo è descritta
brevissimamente da Virgilio in tre versi:
[...] spretae Ciconum quo munere matres
inter sacra deum nocturnique orgia Bacchi
discerptum latos iuvenem sparsere per agros.
(Virgilio, Georgiche, IV, 520-522)112
La testa di Orfeo cade nell’aqua dell’Ebro, mentre la bocca continua a chiamare Euridice e
le rive rispondono alla sua voce. Così finisce il mito di Orfeo ed Euridice nelle Georgiche.
Gli elementi nuovi più notevoli sono, come detto sopra, l’apparizione di Aristeo come
persecutore di Euridice, il divieto di guardare indietro e la sua inosservanza, la seconda
perdita di Euridice.
Nell’Eneide appare invece un’altra immagine di Orfeo: Enea incontra Orfeo che
suona la lira nei Campi Elisi, vestito come un sacerdote o profeta:
nec non Threicius longa cum veste sacerdos
obloquitur numeris septem discrimina vocum,
iamque eadem digitis, iam pectine pulsat eburno.
(Virgilio, Eneide, VI, 645-647)113
Da una parte Virgilio sottolinea che Orfeo è un sacerdote, ma con il suo canto nell’Ade
accompagna anche le ombre danzanti. Orfeo ha un posto onorevole fra le ombre felici, che
durante la loro vita compirono delle gesta gloriose: i fondatori di Troia, coloro che diedero
la loro vita per la patria, dei sacerdoti e dei profeti e coloro che si dedicarono alle arti.114
Anche Museo, circondato da un gruppo di ombre, si trova fra loro.
Già prima nel sesto libro Enea aveva riferito a Orfeo: per ottenere accesso agli
Inferi, Enea fa un elenco per la Sibilla di coloro che lo hanno preceduto. Prima di Teseo e
di Ercole, fa menzione di Orfeo, che fidandosi della cetra discese nell’Ade per riprendersi la
sposa:
quin, ut te supplex peterem et tua limina adirem,
idem orans mandata dabat. gnatique patrisque,
112
‘per questa fedeltà le donne dei Cíconi, da lui respinte, durante i riti divini e le feste notturne di Bacco
sbranarono il giovane e ne sparsero i resti per l’ampia campagna.’ (trad. Barchiesi, op.cit.).
113
‘E il Tracio sacerdote in lunga veste per sette elice varietà di toni dolci suon dalla cetra, or con le lievi dita
toccando, or con l’eburneo plettro l’armoniose corde.’ (trad. E. Pratellesi, Firenze, Le Monnier, 1930, vv.
1102-1106).
114
Eneide, VI, 660-64.
46
LE ORIGINI DI ORFEO
alma, precor, miserere (potes namque omnia, nec te
nequiquam lucis Hecate praefecit Auernis),
si potuit manis accersere coniugis Orpheus
Threicia fretus cithara fidibusque canoris
si fratrem Pollux alterna morte redemit
itque reditque uiam totiens. quid Thesea, magnum
quid memorem Alciden? et mi genus ab Ioue summo.’
(Virgilio, Eneide, VI, 115-123)115
Questo passo sarà ripetuto spesso nei volgarizzamenti italiani trecenteschi dell’Eneide, ma
anche in altre opere letterarie italiane, come nelle Elegie di Naldo Naldi (cap. 3).
Anche nelle Bucoliche si trovano alcuni riferimenti a Orfeo. Nella terza egloga
Dameta racconta di avere un bicchiere che rappresenta Orfeo perseguitato dagli alberi.116
Nella quarta egloga il poeta esprime la speranza che il suo canto non sarà inferiore a quello
di Orfeo e di Lino, anche se loro vengono aiutati da uno dei genitori (Orfeo è aiutato da
Calliope e Lino da Apollo). Questo motivo tornerà spesso nella poesia lirica del Trecento.
Il poeta spera persino di superare Pan.117 Nella sesta egloga Orfeo è associato alla Tracia.118
Il canto del Sileno sulla nascita del cosmo può essere considerato inoltre un’allusione ai
canti cosmogonici di Orfeo. L’ultimo riferimento, nell’egloga VIII, parla di nuovo di Orfeo
che canta nelle selve e lo paragona ad Arione, che sapeva affascinare i delfini con la sua
musica.119
Benché nell’opera di Virgilio si trovino dunque diversi aspetti della figura di Orfeo,
la storia d’amore di Orfeo ed Euridice è la più importante. In questa storia predomina di
nuovo il canto. Se manca una vittoria totale dell’amore sulla morte, tuttavia il canto è
vittorioso. Durante la discesa nell’Ade Orfeo riottiene la sua sposa con il canto, e anche
durante il lutto e dopo la propria morte il canto continua a esercitare il suo potere.120
Amare e soprattutto cantare sono dunque per Virgilio le attività principali della figura di
Orfeo. Nel Trecento e nei secoli successivi le Georgiche non riceveranno tanta attenzione
quanto le Metamorfosi, che saranno considerate un trattato mitologico. La descrizione del
115
‘Anzi ei medesmo mi fea più volte, col pregar, comando di qua recarmi supplice alle soglie del tuo gran
tempio. Miserere adunque e del figlio e del padre, chè potere hai di farlo, se vuoi, nè ai sacri boschi d’Averno
te propose Ecate indarno. Se nel suono fidando della lira dalle canore fila il Tracio Orfeo poteo la sposa
richiamare in vita; se a redimere pur valse Polluce il fratello da morte, alla sua volta morendo alternamente e
ricalcando tante mai fiate la medesma via.’ (trad. Pratellesi, cit., vv. 199-214).
116
Egloghe, III, 44-46.
117
Egloghe, IV, 55-59.
118
Egloghe, VI, 30.
119
Egloghe, VIII, 55-56.
120
Desport, op.cit.; Segal, op.cit., p. 22; 25-26.
47
CAPITOLO 1
mito di Orfeo dell’Eneide sarà meglio conosciuta di quella delle Georgiche, dato che il
primo testo fu ammirato di più dagli umanisti.121
1.3.2 Amante, oratore e omosessuale nelle Metamorfosi122
OVIDIO (43 a.C.- ca. 17 d.C.) narra ampiamente di Orfeo nei libri X e XI delle Metamorfosi.
Nel libro X l’autore descrive la morte di Euridice, la seguente discesa di Orfeo nell’Ade e la
seconda perdita di Euridice (X, 1-85). Seguono poi varie canzoni d’amore di Orfeo. Nel
libro XI Ovidio descrive l’uccisione di Orfeo dalle mani delle Menadi e la sua riunione con
Euridice nell’Ade (XI, 1-66).
Nonostante numerose corrispondenze tra la versione virgiliana e quella ovidiana,
sono presenti anche delle differenze notevoli: Aristeo ha un ruolo importante nelle
Georgiche, ma non figura affatto nelle Metamorfosi. Ovidio invece racconta la storia di
Orfeo nel contesto del matrimonio di Ifide e Iante: il loro matrimonio felice viene
contrastato con quello di Orfeo ed Euridice. Mentre Euridice si diverte in un prato con le
sue amiche (le Naiadi), viene morsa da un serpente e muore. Dopo averla rimpianta Orfeo
decide di discendere nell’Ade per convincere gli dei a ridarle la vita. Mentre Virgilio dette
molta attenzione al lutto di Orfeo e descrisse come anche le Driadi e il resto della natura
rimpiangevano la morte di Euridice, Ovidio descrive il lutto in poco più di un verso: ‘quam
satis ad superas postquam Rhodopeius auras / deflevit vates [...]’.
Contrariamente a Virgilio, Ovidio riporta letteralmente l’orazione che Orfeo rivolge
agli dei infernali: Orfeo spiega di non essere venuto per guardare il mondo sotterraneo né
per catturare Cerbero, ma per trovare la sua sposa. Benché lui abbia cercato di accettare la
morte di lei, l’amore si è rivelato più forte. Anche i signori degli inferi dovrebbero
ricordarsi secondo Orfeo del proprio amore. Una volta Euridice dovrà comunque ritornare
al mondo dei morti, ma fino a quel momento Orfeo la chiede in prestito. Se questo favore
gli è negato, anche lui vuole morire.
Dopo la lunga orazione, Ovidio descrive ampiamente anche l’effetto ammaliante del
canto di Orfeo sui morti. Ai personaggi menzionati da Virgilio, Ovidio ne aggiunge ancora
alcuni altri: Tantalo non cerca più di bere l’acqua fuggente, gli avvoltoi non rodono più il
fegato di Tizio, le Belidi fanno riposare le loro urne e Sisifo si mette a sedere sulla sua
pietra. Le Eumenidi piangono e i signori degli Inferi non possono negare a Orfeo la sua
richiesta. Orfeo ottiene il permesso di andare a riprendersi Euridice, ma soltanto a
condizione che non guardi indietro prima di uscire dall’Ade:
hanc simul et legem Rhodopeius accipit heros,
ne flectat retro sua lumina, donec Avernas
121
V. Zabughin, Vergilio nel Rinascimento italiano da Dante a Torquato Tasso, vol. I, Bologna, Nicola
Zanichelli, [1923], p. 231.
122
Il paragrafo si basa su Segal, op.cit., pp. 54-94 et al.
48
LE ORIGINI DI ORFEO
exierit valles; aut inrita dona futura.
(Ovidio, Metamorfosi, X, 50-52)123
Il divieto di guardare indietro è menzionato dunque esplicitamente. Ovidio descrive poi
brevemente la ripida salita, ma quando gli amanti hanno quasi raggiunto la luce, Orfeo non
riesce più a controllarsi: guarda indietro e perde Euridice per la seconda volta. Mentre
l’Euridice di Virgilio criticava duramente l’errore del marito, l’Euridice di Ovidio non gli
rimprovera niente, ma fa sentire solo un ‘vale’:
hic, ne deficeret, metuens avidusque videndi
flexit amans oculos; et protinus illa relapsa est,
bracchiaque intendens prendique et prendere certans
nil nisi cedentes infelix arripit auras.
iamque iterum moriens non est de coniuge quicquam
questa suo: quid enim nisi se queretur amatam?
supremumque “vale,” quod iam vix auribus ille
acciperet, dixit revolutaque rursus eodem est.
(Ovidio, Metamorfosi, X, 56-63)124
Molti commentatori vedono l’osservazione ‘quid enim nisi se queretur amatam?’ come un
diretto riferimento a Virgilio. Secondo Ovidio non c’è, però, niente da rimproverare a
Orfeo, perché l’amore lo costrinse a guardare Euridice. La dementia, che nel racconto di
Virgilio era la causa dell’errore di Orfeo, è sostituita perciò con le parole ‘ne deficeret,
metuens avidusque videndi’: Orfeo aveva paura che Euridice non fosse in grado di seguirlo
e ardeva dal desiderio di rivederla. Anche nel testo di Ovidio gli innamorati cercano di
abbracciarsi un’ultima volta (qui è Euridice a prendere l’iniziativa), ma ogni tentativo è
inutile. Orfeo rimane indietro sbalordito e cerca di nuovo di attraversare lo Stige, ma senza
successo. Per sette giorni Orfeo piange sulla riva dello Stige, dopo di che sale sulle
montagne della Tracia dove continua a lamentarsi per tre anni. Rinunzia alle donne e inizia
perfino a coltivare amori omosessuali e pederastici:
ille etiam Thracum populis fuit auctor amorem
in teneros transferre mares citraque iuventam
123
‘La ricevette Orfeo assieme a una condizione, di non volgere indietro gli occhi finché non fosse uscito dalle
valli d’Averno, o il dono sarebbe vano.’ (trad. Guido Paduano, Einaudi, Torino, 2000).
124
‘e qui Orfeo, per amore, temendo che non gli venisse a mancare ed avido di vederla, volse indietro gli
occhi, ed ella subito scivolò indietro e, tendendo le braccia e cercando di afferrarla ed esserne afferrato, non
prese altro che aria cedevole. Morendo ormai per la seconda volta, non si lagnò del suo sposo (di cosa
avrebbe potuto lagnarsi altro che d’essere amata?) e disse l’ultimo addio, che appena giunse alle orecchie di
lui, e di nuovo precipitò indietro. (trad. Paduano, op.cit.).
49
CAPITOLO 1
aetatis breve ver et primos carpere flores.
(Ovidio, Metamorfosi, X, 83-85)125
L’amore di Orfeo per ragazzi giovani è un elemento nuovo che Ovidio aggiunge alla
versione di Virgilio.126 Con questa descrizione dell’omosessualità di Orfeo finisce la prima
parte del racconto ovidiano.
Il racconto viene interrotto da una serie di canzoni che occupano il resto del libro
X. Orfeo comincia a cantare e diversi tipi di alberi (più di 25) si raccolgono intorno a lui
come pubblico; anche gli altri animali e gli uccelli vengono ad ascoltarlo. Nei canti, che
trattano dei miti di Ciparisso, Giacinto, Pigmalione, Mirra, Venere e Adone, Atalanta e
altri, l’amore occupa un posto importante.
All’inizio del libro XI Ovidio riprende il discorso su Orfeo raccontando la
lacerazione di Orfeo da parte delle Menadi. Mentre Virgilio quasi trascurava questa
lacerazione, Ovidio descrive nei dettagli (in più di 40 versi) l’assalto da parte delle donne,
che fanno piovere su di lui una grandine di sassi e di aste. Tutte queste armi sarebbero
state vinte, però, dal canto magico di Orfeo e si sarebbero stese per terra in pace, se le
Baccanti con le loro grida e i loro strumenti non avessero smorzato il suono della cetra di
Orfeo. Prima le donne dilaniano tutti gli animali che stanno ascoltando il canto di Orfeo,
dopo di che si gettano addosso al cantante stesso con i loro tirsi, con rami ed infine con
attrezzi agricoli.
Così Orfeo muore, e tutta la natura (gli animali, gli alberi, i fiumi e le ninfe) piange
la sua morte. Questo lutto per Orfeo fa da pendant al lutto per la morte di Euridice
descritto da Virgilio. La testa e la lira vengono trasportate nell’Ebro, mentre la lira continua
a suonare e la testa continua a cantare. Anche nel testo di Ovidio le rive rispondono al
canto. Quando la testa e la lira vengono gettate sulla spiaggia di Lesbo, Apollo salva la testa
di Orfeo da un serpente che cerca di mangiarla. Alla fine l’ombra di Orfeo e quella di
Euridice sono riunite nell’Ade, dove possono per sempre guardarsi senza pericolo. Per
punizione Bacco trasforma le Baccanti in alberi.
Newby ha schematizzato le analogie e le differenze tra le versioni di Virgilio e
Ovidio.127 Lo schema qui sotto si basa sullo schema di Newby, con alcune aggiunte e
omissioni:
125
‘Fu lui che insegnò ai Traci a indirizzare l’amore sui teneri maschi, e a cogliere i primi fiori della breve
primavera di vita prima della giovinezza.’ (trad. Paduano, op.cit.).
126
Questo elemento esisteva già nell’opera del poeta Fanocle (sec. III a.C.), dove Orfeo si innamora del
ragazzo Calai, il figlio del vento Borea. L’episodio di Fanocle è stato trasmesso in Stobeo, Egloghe, 4, 20, 47.
127
Newby, op.cit., pp. 65-66.
50
LE ORIGINI DI ORFEO
Elementi narrativi
Virgilio Ovidio Virgilio
e
Ovidio
1. L’amore di Aristeo per Euridice
•
2. La morte di Euridice per via di un morso di
serpente
3. La natura rimpiange la morte di Euridice
•
•
4. La discesa di Orfeo nell’Ade
•
5. L’orazione di Orfeo per far ritornare Euridice
6. L’effetto ammaliante della sua musica nel mondo
dei morti
•
•
7. La seconda morte di Euridice
•
8. La seconda orazione senza risultato
•
9. L’effetto ammaliante del lamento di Orfeo sulla
natura
•
10. Orfeo non prova più amore (Virg.) / Orfeo
rinunzia alle donne (Ov.)
•
11. Orfeo si abbandona all’amore per giovani ragazzi
•
12. I canti amorosi di Orfeo
•
13. Lo smembramento di Orfeo
•
14. La natura rimpiange la morte di Orfeo
•
15. La testa cantante (e la lira) galleggiano sull’acqua
dell’Ebro
16. Apollo salva la testa trasportata a Lesbo da un
serpente, che vuole assalirla
17. Orfeo ed Euridice sono riuniti dopo la morte 128
•
•
•
Questo schema offre la possibilità di paragonare i tratti principali dei racconti, anche se
naturalmente ci sono ancora più differenze nei dettagli. I racconti differiscono negli
accenti e nell’atmosfera generale. Su questo punto le opinioni degli studiosi discordano
spesso. Alcuni riassumono semplicemente il contenuto del racconto ovidiano, mentre altri
considerano il racconto ovidiano una versione ironica del mito raccontato nelle
Georgiche.129 Soprattutto sull’orazione di Orfeo di fronte ai signori dell’Ade c’è molta
discussione: Anderson accusa Orfeo di una retorica senza emozioni,130 mentre Primmer
128
Un paragone ancora più ampio della versione virgiliana e quella ovidiana si trova in W.S. Anderson, ‘The
Orpheus of Virgil and Ovid: flebile nescio quid’, in Warden, op.cit., pp. 37-39.
129
Segal, op.cit., p. 25.
130
Anderson, op.cit., p. 40.
51
CAPITOLO 1
loda la sua retorica, che per l’emozione si trasforma gradualmente in canto.131 Le
interpretazioni moderne escono fuori dal campo di interesse della presente ricerca, la
quale intende seguire la fortuna di Orfeo dal Trecento al Seicento.
1.3.3 Orfeo civilizzatore e Orfeo vs. Ercole132
Nell’Arte poetica di ORAZIO (65-8 a.C.) troviamo un’interpretazione allegorica del mito di
Orfeo. Orfeo è rappresentato come un sacerdote in grado di interpretare i segni degli dei.
Così Orfeo riesce a civilizzare le bestie, che simboleggiano gli uomini rozzi. Non si parla
esplicitamente della forza del canto di Orfeo, ma il confronto con Anfione sembra indicare
la musica come la fonte del potere di Orfeo. La scelta degli animali (tigri e leoni) sottolinea
la necessità della civilizzazione.
silvestres homines sacer interpresque deorum
caedibus et victu foedo deterruit Orpheus,
dictus ob hoc lenire tigris rabidosque leones;
dictus et Amphion, Thebanae conditor urbis,
saxa movere sono testudinis et prece blanda
ducere quo vellet.
(Orazio, Arte Poetica, 391-396)133
Questa allegoria della musica o poesia che civilizza gli uomini è la prima interpretazione
allegorica esplicita di Orfeo, che lo presenta come un personaggio molto positivo. La stessa
allegoria tornerà spesso dall’inizio del Trecento (nel Convivio di Dante) fino alla fine del
Cinquecento (nei trattati poetici). Anche per gli umanisti, che sottolineano come gli
uomini si distinguono dalle bestie per la parola, questa interpretazione allegorica era molto
congeniale.
Orfeo ha un ruolo importante nelle tragedie di SENECA (sec. I d.C.). Nel resto
dell’opera di Seneca ci sono solo alcuni riferimenti che parlano di Orfeo come l’uomo con
cui comincia la poesia. Nelle tragedie di Seneca, Orfeo è un poeta-salvatore e un eroe
civilizzatore. Seneca non si sofferma sulla morte crudele di Orfeo come fanno Virgilio e
Ovidio, ma segue principalmente due correnti nella tradizione precedente: Orfeo è il poeta
131
A. Primmer, ‘Das Lied des Orpheus in Ovids ‘Metamorphosen’’, in: H. Seidler, Sprachkunst. Beiträge zur
Literaturwissenschaft 10 (1979), p. 129-35.
132
Questo paragrafo si basa su Segal, op.cit.; E. De Laet, ‘De nawerking van Vergilius’ Orpheusverhaal in de
Latijnse letterkunde: Ovidius – Seneca – Culex. Poging tot thematische en literair-vergelijkend interpretatie’,
in: Orpheus. Ontstaan, groei en nawerking van een antieke mythe, cit., pp. 89-105; et al.
133
‘Orfeo, un uomo sacro e interprete degli dei, dissuase gli uomini selvaggi dagli omicidi e dalla vita empia, e
per questo si dice che lui calmava le tigri e i leoni furiosi; e si dice che anche Anfione, il fondatore della città
di Tebe, moveva i sassi con il suono della testuggine e li menava dove voleva con preghiera soave.’
52
LE ORIGINI DI ORFEO
che conosce i misteri della natura, ma è anche la vittima dell’amore: una figura tragica che
si lamenta e muore per la sua passione.
Nell’Ercole furioso Seneca paragona la discesa di Orfeo nell’Ade a quella di Ercole.134
Sono messe in evidenza le differenze tra i due personaggi: Orfeo riesce nella sua missione
attraverso il canto, mentre Ercole vince l’Ade con la violenza, ma rimane un eroe stoico.
Alla fine della tragedia Ercole sofferente è costretto a cambiare la sua forza fisica in
intelligenza spirituale e in perseveranza. Orfeo funziona come modello per questo
cambiamento. Anche nell’Ercole Oeteo, in cui Orfeo è il poeta-studioso che canta le leggi
dell’universo, Seneca paragona la discesa nell’Ade di Ercole esplicitamente a quella di
Orfeo.135 L’elevazione di Ercole alle stelle contrasta con il fallimento di Orfeo. Nella
letteratura italiana il paragone tra Ercole e Orfeo tornerà nel De laboribus Herculis di
Coluccio Salutati. In questo testo Ercole sarà l’esempio positivo dell’eroe stoico, mentre
Orfeo rappresenterà l’epicureo che è condannato per il suo desiderio di piaceri carnali.
Nel periodo romano diventano molto popolari le rappresentazioni di Orfeo tra gli
animali, rarissime nell’arte greca. La maggior parte delle immagini con questo motivo si
trova sui
MOSAICI,
(ill. 1.5-6) ma il motivo si trova anche su un dipinto murale, su dieci
bassorilievi di sarcofagi e su alcuni acroteri.136 Schoeller suppone che il successo di questo
tema sui sarcofagi sia legato anche all’interesse crescente per il culto di Orfeo, come per i
soprannominati vasi infernali apuli.137 Tuttavia, incontriamo Orfeo e gli animali
soprattutto sui mosaici romani (almeno 50 esemplari). Nel disegno originario Orfeo è
raffigurato al centro su una roccia; gli animali attirati dalla musica si trovano a destra e a
sinistra, e sopra la testa di Orfeo gli uccelli sono seduti sui rami di un albero o arrivano in
volo. Gli alberi accanto a Orfeo rappresentano gli arbusti e gli alberi che si sono raccolti
intorno a lui. Orfeo è rappresentato spesso con una gamba volta a sinistra, a cui si appoggia
la lira. La mano destra, in cui tiene un plettro, si muove nella direzione della lira. Il tema di
Orfeo e degli animali doveva probabilmente la propria popolarità nell’età romana al fatto
che offriva agli artisti la possibilità di raffigurare molti animali diversi, cosa che lo rendeva
anche un soggetto molto adatto ai grandi mosaici.138
134
Seneca, Ercole furioso, 569-589.
Seneca, Ercole Oeteo, 1031-1089.
136
Alcuni di questi mosaici si trovano in Italia: Palermo, Museo Nazionale; Roma, Convento di S. Anselmo. Il
dipinto murale si trova a: Pompei, Casa di Orfeo.
137
Schoeller, op.cit., pp. 43-45.
138
Schoeller, op.cit., p. 34.
135
53
CAPITOLO 1
1.5 Anonimo, Orfeo e gli animali, sec. III / 1.6 Anonimo, Orfeo e gli animali, 325-350139
Anche la scelta dei motivi del mito mostra come essi servissero alla decorazione e al
divertimento; venne utilizzato sempre meno il lato tragico del mito. Il motivo di Orfeo e
degli animali diventerà di nuovo popolare nell’arte figurativa del Quattrocento e
soprattutto del Cinquecento. Come nella letteratura di quel periodo, il motivo
simboleggerà probabilmente la civilizzazione dell’umanità da parte dell’eloquenza.
Nelle Fabulae, una raccolta di 277 miti e leggende del bibliotecario di Augusto
CAIO GIULIO IGINO (64 a.C–17 d.C.), Orfeo è menzionato soltanto nel contesto degli
Argonauti. Nell’Astronomia di Igino, invece, un intero capitolo è dedicato alla lira che
Orfeo ricevette in dono da Mercurio e che alla fine fu elevata al cielo.140 La descrizione si
basa su Eratostene.
139
Anonimo, Orfeo e gli animali, mosaico, sec. III. Palermo, Museo Archeologico Regionale; Anonimo, Orfeo
e gli animali, mosaico, 3,1 x 3,1 m, 325-350. Shahba (Siria), Museo Shahba.
140
Igino, De astronomia libri quattuor, II, VII ‘Lyra’.
54
LE ORIGINI DI ORFEO
1.4 IL PERIODO POSTCLASSICO141
1.4.1 Orfeo-Cristo negli apologeti ebraici e cristiani e nella prima arte cristiana142
A metà del terzo secolo a.C. fu ‘scoperto’ il cosiddetto testamento di Orfeo, la DIATHEKE.143
La scoperta del testamento, in cui Orfeo era visto come allievo di Mosè e come seguace del
monoteismo, fu una mossa strategica degli apologeti ebraici di Alessandria in Egitto.
Secondo questi apologeti il giovane Orfeo avrebbe viaggiato in Egitto, dove avrebbe
ricevuto un’educazione filosofica da Mosè stesso. Benché Orfeo venerasse molti dei
durante la sua vita, alla fine si sarebbe convertito al monoteismo, dando al suo allievo
Museo il consiglio di abiurare il culto degli dei pagani e di credere esclusivamente al Dio di
Mosè. Il testamento è indirizzato a un pubblico greco e vuole attestare che la civiltà ebraica
è più antica di quella greca. Indica anche i rapporti tra le due civiltà e mostra che Zeus e il
Dio ebraico sono la stessa persona.
Le parole di Orfeo servirono anche agli scrittori cristiani nel periodo delle origini
della chiesa. Anche i cristiani poterono valorizzare la loro religione ricollegandola a una
tradizione antica. I primi a riferirsi a Orfeo furono Taziano e Teofilo (sec. II), soprattutto
per sottolineare l’antichità e la superiorità della religione cristiana.144 CLEMENTE
ALESSANDRINO (ca. 150-prima di 215), uno studioso greco che si convertì al cristianesimo,
si interessò ancora di più al testamento di Orfeo. Siccome non voleva abbandonare
completamente la filosofia greca, cercava di metterla al servizio della chiesa: nella sua
opera Orfeo diventò una specie di teologo, non così importante come fu Platone nella
storia che precedette la teologia cristiana, ma discendente anche lui da Mosè. La stessa idea
del poeta-teologo tornerà nelle opere di Boccaccio, Salutati, Petrarca e soprattutto Ficino.
Essi utilizzeranno la figura di Orfeo con uno scopo opposto: quello di riconciliare la
filosofia greca con il cristianesimo ormai affermatosi.
Nel Protreptico Clemente paragona Orfeo a Cristo.145 La sua opinione su Orfeo è
molto negativa: Orfeo sarebbe un imbroglione, il cui potere di commuovere i sassi e gli
alberi è un inganno. Clemente oppone il canto di Orfeo, che persuade gli uomini ad
adorare gli idoli, al nuovo canto di Cristo, che dà pace e salva gli uomini dalle tentazioni
della carne. L’unica somiglianza tra Orfeo e Cristo è dunque il fatto che ambedue sono
141
Questo paragrafo si basa su: K. Heitmann, ‘Orpheus im Mittelalter’, Archiv für Kulturgeschichte 45 (1963),
passim; Friedman, op.cit., cap. 2-4; Newby, op.cit., pp. 73-114.
142
Questo paragrafo si basa su: Friedman, op.cit., pp. 13-37 (cap. II: ‘Moses’ Pupil : The Orpheus Who Came
out of Egypt’); p. 38-85 (cap. III: ‘Orpheus-Christus in the Art of Late Antiquity’); Heitmann, ‘Orpheus im
Mittelalter’, cit., p. 285.
143
Il testo del testamento si trova in: Eusebio, Praeparatio Evangelica, vol. II, libro XIII, 12, pp. 259-60 (ed.
Gifford); Clemente Alessandrino, Stromata, V, XIV, 123; Pseudo-Giustino, De Mon. 2 e Coh. Ad Gent. 15.
144
Taziano, Ad Gr., XL, XLI, ANF (The Ante-Nicene Fathers), p. 81; Teofilo, Ad Autol. II, 30, ANF, p. 106; III,
17, ANF, p. 116.
145
Clemente Alessandrino, Protreptico, I, ANF, pp. 171-172.
55
CAPITOLO 1
ammirati per il loro canto. L’influenza di Clemente nell’Occidente medievale non era, però,
molto grande, perché la sua opera era scritta in greco.
Un altro apologeta cristiano, EUSEBIO (ca. 263-339), è influenzato direttamente da
Clemente, ma non critica Orfeo tanto esplicitamente.146 Neanche Eusebio crede alla
storicità degli atti di Orfeo. Clemente ed Eusebio sono le fonti più importanti per la
convinzione dei Padri della Chiesa che il mito pagano di Orfeo sia una prefigurazione della
vita di Cristo. Questa idea si diffonde nei secoli IV e V e poi durante il Medioevo. Fino al
tardo Medioevo si trova il paragone tra Orfeo e Cristo negli Inferi
L’Orfeo cantante fu l’unica figura mitologica dell’arte antica ad essere trasmessa
nella prima arte cristiana. A partire dal secondo secolo lo incontriamo nelle CATACOMBE
CRISTIANE, dove figura come simbolo di Cristo.147 Il cantante appare per la prima volta nella
catacomba di Callisto (seconda metà del sec. II) suonando la lira per due pecore (ill. 1.7).
Orfeo è paragonato a Cristo il Buon Pastore. Anche in altre catacombe Orfeo è
rappresentato seduto in un vestito frigio e mentre suona la lira tra vari gruppi di animali. Il
cantante è di nuovo raffigurato nel mezzo della scena ed è rappresentato spesso come più
grande degli animali o separato da essi.148 Benché questa immagine sia molta diffusa
nell’iconografia del tempo dei Padri della Chiesa, non la si vede quasi mai nella letteratura
di questo periodo.
1.7 Anonimo, Orfeo e gli animali, catacomba
146
Eusebio, Panegirico di Costantino, 14, PNF (The Post-Nicene Fathers), p. 603.
Si tratta di sei delle novanta rappresentazioni all’incirca del Buon Pastore nelle catacombe: Catacomba di
Callisto (sec. III), Catacomba di Domitilla (sec. II), Catacomba dei Ss. Pietro e Marcellino (sec. III),
Catacomba di Priscilla, Catacomba dei due lauri (sec. IV).
148
Forma un’eccezione una gemma, che rappresenta la crocefissione con le parole ‘Orpheos Bakkikos’. La
testa di Orfeo è circondata da sette stelle, che simboleggiano il regno celeste, dove il possessore della gemma
sperava di recarsi dopo la morte. Alle gemme erano attribuite dei poteri magici (Friedman, op.cit., p. 61).
Jacquemard aggiunge che questa è l’unica rappresentazione di Cristo alla croce di questo periodo. Cristo è
raffigurato chiaramente, ma nello stesso tempo smentito, per non mettere a rischio quello che portava la
gemma (op.cit., p. 138).
147
56
LE ORIGINI DI ORFEO
In prima istanza Orfeo rappresentò semplicemente Cristo nel ruolo del Buon Pastore. Per
questa ragione Orfeo venne, come nei mosaici romani, circondato dagli animali. Talvolta
erano presenti le pecore come elementi tipicamente cristiani. Alla fine del terzo e nel
quarto secolo, Orfeo ricevette gli attributi di Cristo. Così nacque un vero e proprio
amalgama di Orfeo e Cristo. I gruppi di animali che circondano Orfeo diventarono
piuttosto stereotipati e certi animali ritornarono spesso, soprattutto le pecore, le aquile, i
pavoni e le colombe.149
Allorché il cristianesimo si diffuse sempre di più, le figure pagane furono sempre
più spesso sostituite con figure dal Vecchio Testamento. Tuttavia, le figure pagane rimasero
presenti nell’arte funeraria. Nei mosaici del sesto secolo Orfeo fu rappresentato ancora in
relazione con la vita dopo la morte, anche se questa vita era situata sempre di più nel cielo
e non nell’Ade. Quando l’imperatore Costantino nel secolo IV riconobbe il cristianesimo
come religione lecita, Orfeo diventò meno importante come figura apologetica. Teodoreto
e Agostino furono piuttosto negativi su Orfeo, perché non avevano più bisogno di lui come
rappresentante del monoteismo.
1.4.2 Orfeo in cerca del mondo superiore nel De Consolatione150
La visione più importante su Orfeo nel Medioevo deriva dai due scrittori tardo-antichi
Boezio e Fulgenzio.151 Nel De Consolatione philosophiae BOEZIO (sec. VI) si riferisce al mito
di Orfeo ed Euridice da un punto di vista filosofico.152 La personificazione della Filosofia
racconta a Boezio la storia di Orfeo. Nel passo precedente la Filosofia aveva dimostrato che
l’uomo può soltanto raggiungere il sommo bene quando la sua anima ha espiato a
sufficienza. Quando vuole ritornare a Dio o all’intelligenza a cui apparteneva
originariamente, la mente (la parte superiore dell’anima) è impedita dai desideri terreni (la
parte inferiore). La storia di Orfeo che segue è incorniciata da commenti filosofici, che
trasformano l’intero passo in una specie di parabola:
felix, qui potuit boni
fontem visere lucidum
felix, qui potuit gravis
terrae solvere vincula.
(Boezio, De Consolatione, III, m. 12, 1-4)153
149
Altre possibili somiglianze tra Orfeo e Cristo, come la discesa agli Inferi, non si trovano mai nella prima
arte cristiana. (Dronke, op.cit., p. 208).
150
Questo paragrafo si basa su: Friedman, op.cit., pp. 89-96; Heitmann, ‘Orpheus im Mittelalter’, cit., p. 274.
151
Newby, op.cit., p. 77.
152
Boezio, De consolatione philosophiae, liber III, metrum 12.
153
‘Felice chi poté osservare la risplendente fonte del bene, felice chi poté liberarsi dai lacci dell’inerte terra.’
(trad. O. Dallera, citata da Di Simone, op.cit.).
57
CAPITOLO 1
Questa osservazione si basa sulla filosofia di Platone: l’uomo (Orfeo) deve mirare alla fonte
luminosa di tutti i beni (boni fons lucidus) e liberarsi dai legami con la terra (gravis terrae
vincula).
Dopo questa introduzione filosofica comincia il racconto di Orfeo ed Euridice, per
il quale Boezio si basa strettamente su Virgilio, Ovidio e l’Ercole furioso di Seneca,
mettendo l’accento sul fatto che il canto di Orfeo non ha nessun effetto.154 Boezio non dice
come è morta Euridice, ma passa subito al canto triste con cui Orfeo commuove gli alberi e
arresta i fiumi. Il cervo si distende intrepidamente accanto al leone e la lepre non ha più
paura del cane. Boezio ha spostato gli effeti incantevoli del canto verso l’inizio del
racconto: nei testi di Virgilio e di Ovidio l’incanto della natura non è menzionato prima
della seconda perdita di Euridice. Tuttavia neanche nel racconto di Boezio il canto riesce a
confortare il cantante stesso e per questo Orfeo scende nell’Ade. Come negli altri due testi
il suo canto ha un effetto sconvolgente sui morti: Cerbero rimane stupito, le dee della
vendetta piangono, la ruota di Issione si ferma, Tantalo non ha più sete e l’avvoltoio smette
di rodere il fegato di Tizio. Infine anche il re degli Inferi si lascia convincere e restituisce a
Orfeo la sua sposa, a condizione che egli non guardi indietro:
tandem ‘vincimur’ arbiter
umbrarum miserans ait.
‘donamus comitem viro
emptam carmine coniugem;
sed lex dona coherceat,
ne dum Tartara liquerit
fas sit lumina flectere.’
(Boezio, De Consolatione, III, m. 12, 40-46)155
Tuttavia l’amore è più forte del divieto: Orfeo guarda indietro e perde Euridice per sempre:
quis legem det amantibus?
maior lex amor est sibi.
heu, noctis prope terminos
Orpheus Eurydicen suam
vidit, perdidit, occidit.
(Boezio, De Consolatione, III, m. 12, 47-51)156
154
Segal, op.cit., p. 167; cf. G. O’Daly, The poetry of Boethius, London, Duckworth, 1991 (Boezio si basa
sull’Ercole furioso, 569-591).
155
‘Impietosito infine: “Siamo vinti – dice il signore delle ombre -; doniamo a lui la compagnia della sposa,
che con il canto ha riscattato, ma un patto vincoli il dono: non gli sia permesso di volgere lo sguardo fintanto
che non abbia lasciato il Tartaro.”’ (trad. O. Dallera).
58
LE ORIGINI DI ORFEO
Con queste parole finisce improvvisamente la storia di Orfeo ed Euridice. Non segue una
reazione di Euridice, non segue il lamento di Orfeo, neanche la morte di Orfeo stesso è
menzionata. Boezio si limita a narrare la discesa di Orfeo nell’Ade, il suo canto per i morti
e il fallimento finale del suo tentativo di riprendersi Euridice nel mondo dei vivi,
concludendo il suo racconto con un’altra spiegazione allegorica e moralizzante.
Contrariamente a Virgilio e a Ovidio Boezio dà un’interpretazione moralistica al mito di
Orfeo negli Inferi:
vos haec fabula respicit,
quicumque in superum diem
mentem ducere quaeritis;
nam qui Tartareum in specus
victus lumina flexerit,
quicquid praecipuum trahit,
perdit, dum videt inferos.
(Boezio, De Consolatione, III, m. 12, 52-58)157
Secondo questa interpretazione del mito Euridice rappresenta il mondo terreno con tutte
le sue tentazioni, mentre Orfeo che guarda indietro simboleggia l’anima non illuminata che
ricade nei bisogni terreni inferiori. Accanto a questo mondo (simboleggiato dal Tartaro)
Boezio colloca un altro mondo superiore, che contiene in sé il sommo bene (menzionato
all’inizio del racconto). Orfeo rappresenta l’uomo che deve cercare di raggiungere questo
mondo superiore. 158
L’uso allegorico del mito pagano piaceva al pubblico cristiano dei secoli VI-VIII.
L’Eneide e le Metamorfosi vennero meno studiate prima dei secoli IX e XII. Intanto il De
Consolatione e i suoi commenti divennero molto popolari, soprattutto nelle scuole.
Siccome il De Consolatione fu una delle opere più popolari del Medioevo, l’interpretazione
moralistica di Boezio del mito di Orfeo ebbe un effetto enorme sulle versioni medievali del
mito. Nella letteratura italiana del Trecento e del Quattrocento (nella cerchia di Ficino) il
gesto di guardare indietro sarà interpretato ancora spesso come la ricaduta nei peccati da
parte dell’uomo cristiano in cerca del sommo bene (cf. §§ 2.6 e 4.1.3).
156
‘Ma chi dà legge agli amanti? Maggior legge amor si dà! Presso al termin della notte, vide Orfeo la cara
Euridice, la perdette, e sì la uccise!’ (trad. Raffaello Del Re, Edizioni dell’Ateneo & Bizzarri, Roma, 1968).
157
‘Voi riguarda questa favola, voi che all’alta luce l’anima di elevar desiderate: giacché chi, vinto, al tartareo
speco indietro gli occhi volga, quanto reca di prezioso perde, mentre guarda gl’Inferi.’ (trad. Del Re, op.cit.).
158
Si vedano: Segal, op.cit., p. 167; Newby, op.cit., pp. 77-80.
59
CAPITOLO 1
1.4.3 L’allegoria musicale di Fulgenzio159
Un’altra spiegazione allegorica del mito di Orfeo si trova nelle Mitologiae di FULGENZIO
(sec. VI).160 Durante il Medioevo l’interpretazione allegorica di Fulgenzio rimase ben
distinta da quella boeziana. Mentre Boezio era più moralistico, Fulgenzio si interessava
piuttosto alla musica e alla retorica. In una prima fase l’opera di Fulgenzio fu d’importanza
minore, ma la sua influenza aumentò a partire dal secolo XII. Nell’allegoria musicale in cui
Fulgenzio fece menzione di Orfeo, non c’era molta attenzione per il mito in sé, ma
piuttosto per il suo significato allegorico. La storia veniva descritta in solo tre frasi:
Orpheus Euridicem amavit; quam sono citharae mulcens uxorem duxit. Hanc Aristeus
pastor dum amans sequitur, illa fugiens in serpentem incidit et mortua est. Post quam
maritus ad inferos descendit et legem accepit, ne eam conversus aspiceret; quam conversus
et aspiciens iterum perdidit. (Fulgenzio, Mitologiae, III, x)161
Nel racconto del mito si nota l’influenza delle Georgiche di Virgilio (la figura di Aristeo).
Segue immediatamente dopo una spiegazione allegorica lunghissima, basata anch’essa
sulla versione di Virgilio.
Haec igitur fabula artis est musicae designatio. Orpheus [enim] dicitur oreafone, id est
optima vox, Euridice vero profunda diiudicatio. In omnibus igitur artibus sunt primae
artes, sunt secundae; [...] in musicis prima musica, secunda apotelesmatice. [...] in musicis
vero aliud est armonia ptongorum, sistematum et diastematum, aliud effectus tonorum
uirtusque uerborum; vocis ergo pulchritudo delectans interna artis secreta virtutem etiam
misticam uerborum attingit. Sed haec quantum ab optimis amatur sicut ab Aristeo –
ariston enim Grece optimum dicitur- tanto ipsa ars communionem hominum vitat. Quae
quidem serpentis ictu moritur quasi astutiae interceptu, secretis velut inferis transmigratur.
Sed post hanc artem exquirendam atque elevandam vox canora descendit et quia
apotelesmatica fonascica omnia praebet et modulis tantum vi secreta latentibus voluptam
reddit effectus; [...] At vero si rei expositio quaeritur cur hoc fiat, vestigandae rationis
captus inmoritur. Ideo ergo et ne eam respiciat prohibetur et dum videt amittit;
(Fulgenzio, Mitologiae, III, x)162
159
Questo paragrafo si basa su: Friedman, op.cit., pp. 89-91; Heitmann, ‘Orpheus im Mittelalter’, cit., pp. 270272.
160
Fulgenzio, Mitologiae, liber III, 10.
161
‘Orfeo amò Euridice; seducendola con il suono della cetra lui la prese in moglie. Quando il pastore Aristeo
la insegue per amore, lei fuggente capita su un serpente e muore. Poi il marito scese agli Inferi e accettò la
legge che non l’avrebbe guardata tornandosi indietro; quando si tornò e la guardò lui la perdette di nuovo.’
162
‘Questa favola è dunque un’allegoria dell’arte della musica. Orfeo vuol dire oreafone, cioè ottima voce, ma
Euridice è il profondo giudizio. In tutte le arti ci sono dunque le prime arti, e ci sono le seconde: […] nelle arti
musicali c’è prima la musica (melodia), e secondo il prodotto […] E nella musica è una cosa l’armonia delle
voci, delle composizioni e degli intervalli, ma è altra cosa l’effetto dei toni e la potenza delle parole; la bellezza
60
LE ORIGINI DI ORFEO
Fulgenzio fu il primo a dare un’interpretazione etimologica dei nomi dei personaggi. Il
nome di Orfeo è ricondotto a ‘oraia phone’ (“la voce migliore”) e quello di Euridice a ‘eurea
dike’ (“profondo giudizio”). Per mezzo di questa interpretazione etimologica dei nomi di
Orfeo ed Euridice Fulgenzio li identifica con due gruppi di musicisti: Orfeo è l’optima vox,
cioè la pratica della musica o l’esecuzione, mentre Euridice rappresenta la profunda
diiudicatio, cioè il giudizio o la teoria del vero musicista, che sa riportare la sua conoscenza
teorica e filosofica musicale dagli Inferi (l’ignoranza) al lume della scienza. L’approccio
etimologico venne seguito frequentemente dai commentatori successivi, che spesso
adattarono le interpretazioni dei nomi ai propri bisogni.
L’immagine di Orfeo nell’opera di Fulgenzio è dunque piuttosto negativa come lo
era anche nell’opera di Boezio e si può dire che Orfeo fosse visto come un musicista a
metà. Per via di questa rappresentazione di Fulgenzio, Orfeo rimarrà un exemplum
negativo per centinaia di anni.163
Orfeo figura anche nelle Narrationes fabularum ovidianarum (sec. VI), un trattato
mitografico in prosa attribuito a LATTANZIO PLACIDO. Basandosi su Ovidio l’autore illustra
le varie metamorfosi. Il mito di Orfeo è trattato nelle metamorfosi di Cerbero, Oleno e
Letea (Libro X, favole 1 e 2), in quella del serpente in sasso e in quella delle Baccanti (libro
XI, favole 1 e 2). Questa attenzione per le trasformazioni (invece che per la storia di Orfeo
ed Euridice) sarà presente anche nella traduzione delle Metamorfosi da parte di Lorenzo
Spirito (§ 5.2.2).
1.5 IL PRIMO MEDIOEVO
Nei secoli IX e X vengono prodotti molti adattamenti e molte allegorie del mito di Orfeo,
soprattutto nei commenti a Boezio, nei trattati mitografici e nei trattati di teoria musicale.
Tutti questi testi, pur non imitando letteralmente l’allegoria di Boezio, danno tuttavia
ancora spesso un’immagine negativa di Orfeo. I vari tipi di testi in cui figura Orfeo si
della voce dunque che diletta i segreti interni dell’arte attinge anche alla potenza mistica delle parole. Ma
questa (Euridice) è amata dagli ottimi cioè da Aristeo – perché ariston in greco vuol dire ottimo – quanto
l’arte stessa evita la comunità degli uomini. Lei muore per il morso di un serpente, come dall’intercezione
dell’astuzia; quasi che si trasferisce agli inferi segreti. Ma poi la voce canora discende per cercare quest’arte
ed elevarla, sia perché procura tutte le cose produttive della voce, che perché con una forza segreta rende
come effetto ai ritmi latenti la voluttà: […] Ma se è chiesta la spiegazione perché la cosa succede, muore la
facoltà di cercare la ragione. Perciò dunque, gli è vietato di guardarla e quando la guarda la perde; (testo
latino citato da Newby, op.cit., p. 81).
163
Si vedano: Newby, op.cit., pp. 80-84; Heitmann, ‘Orpheus im Mittelalter’, cit., pp. 270-71.
61
CAPITOLO 1
possono suddividere in alcuni gruppi principali: i commenti a Boezio, i trattati sulle
Metamorfosi di Ovidio, le mitografie, i trattati di teoria musicale e infine la poesia.164
1.5.1 Orfeo in cerca del sommo bene nei commenti a Boezio165
I commenti medievali a Boezio (e ad altri autori) servivano per l’educazione nelle scuole
ecclesiastiche ed erano probabilmente delle lezioni trascritte da studenti. Le lezioni erano
spesso divise in tre parti: l’expositio ad litteram (spiegazione delle parole), l’expositio ad
sensum (spiegazione del significato evidente o narrativo) e l’expositio ad sententiam
(spiegazione del significato spirituale o filosofico). Questa suddivisione si ripete nelle
descrizioni del mito di Orfeo dei commenti a Boezio. Nei commenti che si basano sul terzo
tipo di spiegazione appare soprattutto l’allegoria etica del mito.166
Il primo commento a Boezio (ca. 904) fu quello dell’autore scolastico REMIGIO DI
AUXERRE. L’autore cristianizzò l’allegoria di Boezio, usando termini come ‘carnalibus
desideriis’ e ‘verae beatitudinis claritatem’. Remigio spiega che l’uomo, dopo aver trovato il
sommo bene, non deve guardare indietro ai desideri carnali, come aveva fatto Orfeo:
Hoc carmen est fabulosum; et ex toto beatificat illos qui exuti carnalibus desideriis erigunt
se ad cernendam verae beatitudinis claritatem. Et admonet haec fabula, ut nemo aspiciat
retro postquam invenit locum veri boni ubi est situm et post inventum summum bonum.
Iam magnificat et felices praedicat illos qui ad eius claritatem pervenire poterunt. Quod
carmen inde respicit illos qui postquam viam veritatis agnoverint et in ea profecerint rursus
ad saeculi desideria revertantur sicque opus inceptum perdant, sicut Orpheus perdiderit
uxorem retro aspiciens. (Remigio, Commento al De consolatione di Boezio, p. 217)167
164
La suddivisione dei testi in questo paragrafo si basa soprattutto su Friedman (op.cit., pp. 96-145), che
distinque i commenti a Boezio, i commenti alle Metamorfosi e i mitografi, i quali discute poi in ordine
cronologico. Questo paragrafo si basa inoltre su Semmelrath (op.cit., pp. 15-33), che distingue tra le
mitografie e i commenti medievali a Ovidio, su Heitmann (‘Orpheus im Mittelalter’, cit., pp. 253-286), che
parla di commenti a Ovidio, commenti e traduzioni a Boezio, repertori di miti, poesia e l’interpretazione
scientifica-musicale, e su Newby (op.cit., pp. 85-114).
165
Questo paragrafo si basa su: Friedman, op.cit, pp. 96-117; Semmelrath, op.cit., pp. 19-20; Heitmann,
‘Orpheus im Mittelalter’, cit., pp. 255-256; 274-286.
166
Friedman, op.cit., pp. 96-97.
167
‘Questo canto è favoloso; e loda completamente quelli che usciti dai desideri carnali si erigono per
discernere la chiarezza della vera beatitudine. E questa favola ammonisce che nessuno guardi indietro dopo
aver trovato il luogo dove è situato il vero bene e dopo aver trovato il sommo bene. Lui (Dio) magnifica e
predica felici quelli che potranno giungere alla sua chiarezza. Questo canto dunque si riferisce a quelli che
dopo aver riconosciuto la via della verità e aver fatto progresso in essa, si tornano ai desideri del mondo e così
perdono il lavoro cominciato, così come Orfeo perdette la moglie guardando indietro.’ Il testo è citato da
Friedman (op.cit., p. 99), che si riferisce all’edizione di E.T. Silk, ‘Saeculi Noni Auctoris in Boetii
Consolationem Philosophiae Commentarius’, Papers and Monographs of the American Academy in Rome 9
(1935).
62
LE ORIGINI DI ORFEO
Nella descrizione del mito di Orfeo la presenza di Aristeo, che non figura nel De
consolatione di Boezio, mostra che Remigio ha usato per il suo commento anche le
Georgiche di Virgilio oppure le Mitologie di Fulgenzio. Remigio è probabilmente il primo a
inserire nell’allegoria di Boezio la figura di Aristeo, che appare più tardi anche in altri
commenti a Boezio e alle Metamorfosi di Ovidio. Un altro aspetto del suo racconto che
verrà ripreso dai commenti ecclesiastici successivi è il ruolo meno importante di Euridice.
Questa visione del mito di Orfeo prevarrà nei secoli successivi. Qualche volta Remigio
offre anche una spiegazione evemeristica di certi elementi narrativi: il fatto che Orfeo fosse
in grado di dominare la natura significherebbe secondo lui che Orfeo era un teologo che
civilizzò gli uomini.168
NOTKER LABEONE (sec. XI) scrisse il primo commento a Boezio in alto tedesco. Egli
seguì spesso letteralmente il commento di Remigio combinando il testo latino di Boezio
con i propri commenti in tedesco. Nel suo testo le parafrasi si alternano, alle citazioni
latine, ai riferimenti alla Bibbia e ai proverbi tedeschi. Notker conclude la discussione del
metro di Boezio con una citazione dal vangelo di Luca:
Iuxta illud in euangelio. Manum ponens in aratro. et respiciens retro. non est aptus regno
dei. (Notker, Commento al De consolatione di Boezio, liber III, m. 12, p. 181 (ed. Tax)169
Incontreremo il legame del mito di Orfeo ed Euridice con questa frase biblica in altri testi,
ma Notker è il primo a stabilirla.
A metà del XI secolo, nel commento boeziano di GUGLIELMO DI CONCHES (10801145), si presenta un piccolo ma importante cambiamento nell’interpretazione di Orfeo.
Guglielmo faceva parte della Scuola di Chartres, un centro di pensiero protoumanistico,
importante per la nascita dell’interesse nella filosofia greca. Nei secoli XI e XII
ricomparvero molti testi di Platone e Aristotele e molti commenti antichi a questi due
autori. L’interpretazione di Guglielmo si basa di conseguenza su molte fonti diverse e
mette l’accento sul significato morale o allegorico del mito. Secondo Guglielmo il mito di
Orfeo è un integumentum (una storia di superficie) che contiene una verità nascosta. Al
testo di Boezio Guglielmo aggiunge dei dettagli da Virgilio (Aristeo) e da Fulgenzio.
Benché Guglielmo si basi sull’etimologia fulgenziana dei nomi, egli li interpreta
diversamente, perché crede che i miti si possano interpretare in varie maniere.
168
Nel suo commento al De Nuptiis Philologiae et Mercurii di Marziano Capella, Remigio presenta invece
un’interpretazione fulgenziana del mito di Orfeo che sarà discussa nel paragrafo 1.5.4. Per una spiegazione
dell’evemerismo (o dell’interpretazione storica) cf. §§ 2.0 e 2.1.
169
‘Accanto a quello si dice nel Vangelo: Quello che mette mano all’aratro e si volge indietro, non è adatto
per il regno di Dio.’ Notker si riferisce a Luca 9:62. Il testo latino è citato da: Notker Labeo, Boethius, “De
Consolatione philosophiae”: Buch III, a.c.d. P.W. Tax, Tübingen, Niemeyer, 1988.
63
CAPITOLO 1
Orpheus ponitur pro quolibet sapiente et eloquente, et inde dicitur Orpheus quasi
oreaphone, id est optima vox. Huius est coniunx Euridice, id est naturalis concupiscentia
quae cuique coniuncta est. […] Sed haec naturalis concupiscentia merito dicitur Euridice,
id est boni iudicatio, quia quod quisque iudicat bonum, sive ita sit sive non sit, id
concupiscit. […] Aristeus ponitur pro virtute; ares enim virtus est.
(Guglielmo di Conches, In Consolationem, III m. 12, 5, p. 199 (ed.Nauta))170
Euridice rappresenta il desiderio umano o il giudizio del bene (boni iudicatio), mentre
Orfeo simboleggia sia la sapienza che l’eloquenza. Secondo Friedman Guglielmo vede nel
mito di Orfeo la tragedia dell’anima: un conflitto platonico tra nous (la mente) e thumosepithumia (la passione e il desiderio),171 in cui Orfeo rappresenta la mente ed Euridice la
parte concupiscente dell’anima. Euridice si smarrisce ed Aristeo (la virtù) cerca di condurla
alla strada giusta, ma essa si abbandona ai desideri terrestri e muore. Orfeo non ha la forza
di lasciarla:172
Sed tunc Orpheus ad inferos descendit ut uxorem extrahat cum sapiens ad cognitionem
terrenorum descendit ut, viso quod nichil boni in eis est, concupiscentiam inde extrahat.
Sed redditur ei uxor dum concupiscentiam inde extrahit; sed redditur ei hac lege ne
respiciat quia nemo mittens manum suam ad aratrum et respiciens retro aptus est regno
Dei. (Guglielmo di Conches, In Cons. III m. 12)173
Il cambiamento importante rispetto ai commenti precedenti è che Orfeo diventa superiore
a Euridice. Guglielmo non colloca il mito di Orfeo in un contesto cristiano, ma conclude il
racconto con la citazione dal vangelo di Luca, che forse ha ripreso dal commento di
Notker. Nella cristianizzazione dell’Orfeo boeziano nel Medioevo accade spesso che
170
‘Orfeo sta per qualsiasi uomo sapiente ed eloquente, e perciò Orfeo vuol dire oreaphone, cioè ottima voce.
Lui ha per moglie Euridice, cioè la concupiscenza naturale che fa parte di ognuno. […] Ma questa
concupiscenza naturale è detta Euridice con ragione, cioè giudizio del bene, perché ognuno desidera quello
che giudica buono, se lo è oppure se non lo è. […] Aristeo sta per virtù, perché ares è virtù. […].’ Il testo latino
è citato da: L.W. Nauta, William of Conches and the Tradition of Boethius’ Consolatio Philosophiae. An
Edition of his ‘Glosae super Boetium’ and Studies of the Latin Commentary Tradition, proefschrift
Rijksuniversiteit Groningen, 1999.
171
Platone, Repubblica, IV, 439-440. Bernardo Silvestre (ca. 1150) offre nel suo commento all’Eneide quasi la
stessa spiegazione di Guglielmo di Conches, in quanto colloca il mito di Orfeo nel contesto del platonismo.
Non si sa quale dei due commenti sia più vecchio. È importante invece che la fortuna del testo di Guglielmo è
stata molto più grande. (Heitmann, ‘Orpheus im Mittelalter’, cit., p. 276).
172
Friedman, op.cit., pp. 109.
173
‘Ma allora Orfeo discende agli Inferi per ritrarre la moglie, come l’uomo sapiente discende alla conoscenza
delle cose terrene perché, dopo aver visto che non c’è niente di buono in queste cose, ritragga la
concupiscenza da quel luogo. Ma gli è reddita la moglie, mentre trae la concupiscenza da lì; ma lei gli è
reddita con questa legge che non guardi indietro, perché : “Nessuno che mette mano all’aratro e poi si volge
indietro, è adatto per il regno di Dio.”’
64
LE ORIGINI DI ORFEO
l’autore voglia rafforzare la filosofia platonica con un verso biblico adeguato. Il verso dal
vangelo di Luca è quello usato più frequentemente.174
NICHOLAS TRIVET (-1334), uno studente oxfordiano e domenicano, scrisse prima del
1307 uno dei commenti a Boezio più conosciuti del suo tempo, in cui si servì dell’opera di
Guglielmo di Conches, Bernardo Silvestre, Remigio, il terzo mitografo vaticano (§ 1.5.3) e
altri. Il lungo commento sarebbe diventato molto importante per l’Orpheus and Eurydice
di Robert Henryson (§ 1.5.5). Secondo Friedman l’expositio ad sententiam di Trivet mostra
che il mito di Orfeo subiva ancora dei cambiamenti e incorporava in sé sempre più
elementi medievali.175 Dal frammento risultano subito le analogie con il commento di
Guglielmo:
Orpheum [sic] intellegitur pars intellectiva instructa sapientia et eloquentia. […] Iste autem
per suavitatem citharae id est eloquentiae impies [sic] brutales et silvestres reduxit ad
normam rationis…cuius Euridice est uxor id est pars hominis affectiva. Quam sibi copulare
cupit Aristaeus qui interpretur [sic] virtus. Sed illa dum fugit per prata id est amoena
praesentis vitae calcat per serpentem non ipsum conterendo. Sed seipsam que superiorem
inferiori scilicet sensualitati applicando a qua mordetur dum per sensualitatem ei occasio
mortis datur. (Trivet, Commentum in Consolationem, B.N.Lat. 18242, fol. 101v.)176
La sapienza e l’eloquenza sono riunite nella persona di Orfeo, mentre l’attenzione per
Aristeo ed Euridice è diminuita. L’eloquenza di Orfeo è essenziale nel commento di Trivet.
Secondo Friedman Trivet si basa a questo punto sui mitografi vaticani II e III, ma
soprattutto sul commento di Bernardo Silvestre all’Eneide. L’attenzione per l’eloquenza
anticipa l’interesse umanistico per le artes. Inoltre, il commento di Trivet è il primo
commento boeziano che riprende il serpente da Virgilio e Ovidio. La combinazione
simbolica della donna (Euridice) e del serpente sarebbe diventata una caratteristica
importante nella rappresentazione medievale del mito di Orfeo ed Euridice.
PIETRO DI PARIGI fece un commento a Boezio in francese (ca. 1309) da una
prospettiva strettamente medievale, senza alcuna conoscenza del mito classico.177 La sua
174
In alcuni altri casi lo sguardo indietro è legato al verso biblico ‘canis qui revertitur ad vomitum suum’
(Prov. 26, 11, 2; Petr. 2, 22) (Heitmann, ‘Orpheus im Mittelalter’, cit., p. 283).
175
Friedman, op.cit., pp. 110.
176
‘Orfeo è interpretato come la parte intellettuale (dell’uomo) che è istrutta nella sapienza e nell’eloquenza;
[…] Lui infatti con la soavità della cetra cioè dell’eloquenza ridusse gli uomini empi, brutali e selvaggi alla
norma della ragione…lui ha per moglie Euridice cioè la parte affettiva dell’uomo. Con lei voleva copulare
Aristeo che è interpretato come virtù. Ma lei, mentre fugge per i prati cioè per le cose amene della vita
presente, calpesta un serpente, non sconfiggendo esso, ma se stessa, unendosi come un superiore a un
inferiore cioè alla sensualità per cui è morsa, mentre la sensualità le dà l’occasione della sua morte.’ Il testo
latino è citato da: Friedman, Orpheus in the Middle Ages, cit.
177
Pietro di Parigi, ‘Commento al De Consolatione’, in: A. Thomas, ‘Notice sur le manuscrit Latin 4788 du
Vatican, contenant une traduction française, avec commentaire par Maître Pierre de Paris de la Consolatio
65
CAPITOLO 1
visione sugli dei antichi deriva dalle idee medievali sul soprannaturale. Euridice viene
uccisa da Orfeo perché provoca ira; alla fine Orfeo riconquista Euridice, ma rimarrà cieco
per sempre. Il fine relativamente lieto non è un’eccezione nel Medioevo e si ritrova anche
in altri testi latini e volgari (§ 1.5.5). Il commento di Pietro contiene poi molti dettagli
medievali: così Orfeo suona per esempio il violino invece della lira. Attraverso i commenti
medievali a Boezio continua dunque l’interpretazione negativa di Orfeo come l’uomo in
cerca di Dio che non seppe staccarsi dai piaceri terreni. L’opera di Boezio sarà tradotta in
italiano nel Trecento.
1.5.2 Orfeo virtuoso e Orfeo-Cristo nei commenti alle Metamorfosi178
A partire del secolo XII i commenti alle Metamorfosi di Ovidio sono le fonti più importanti
per la conoscenza del mito di Orfeo. Ancora più che nei commenti a Boezio si tende
all’allegoria, il che era necessario per rendere le Metamorfosi accessibili ai lettori cristiani.
Nell’introduzione alle Allegoriae super Ovidii Metamorphosin (ca. 1125) ARNOLFO
D’ORLÉANS esprime la sua intenzione di spiegare tutti i miti ‘modo moraliter, aut historice,
aut allegorice’. Nell’interpretazione dei miti Arnolfo si basa sui racconti simbolici cristiani,
un modo di interpretare che continuerà per tutto il Rinascimento. Secondo Semmelrath la
tradizione delle opere influenzate dall’esegesi biblica è caratterizzata da una crescente
distanza dalla fonte originaria.179 Nelle Allegorie di Arnolfo Orfeo rappresenta l’uomo più
saggio e musicale del mondo. La descrizione di Arnolfo rassomiglia a quella dei mitografi
vaticani II e III (§ 1.5.3). Arnolfo si sofferma soprattutto sul contrasto tra virtù e vizio:
Sed in cantando, i. etiam inter vicia de viciis et virtutibus disputando, secum uxorem suam
i. diiudicationem qua prius vicia tenendo pocius diiudicaverat, ab inferis et a viciis que
inferiora sunt virtutibus erigit ad virtutes. Sed quia ratio aspexit ad vicia, uxorem item suam
i. adiudicationem ad vicia relapsam amisit. (Arnolfo d’Orléans, Allegoriae, X, 1)180
Dopo la seconda perdita di Euridice, Orfeo cerca ancora di scendere nell’Ade, ma per
fortuna l’ingresso è impedito da Cerbero. Come in altri testi gli animali addomesticati dalla
Philosophiae de Boèce’, Notices et extraits des manuscrits de la Bibliothèque Nationale et autres bibliothèques
41 (1923), pp. 69-70.
178
Questo paragrafo si basa su: Friedman, op.cit., pp. 117-132; Semmelrath, op.cit., pp. 26-33; Heitmann,
‘Orpheus im Mittelalter’, cit., pp. 254; 277-278; 285-286.
179
Semmelrath, op.cit., p. 26.
180
‘Ma cantando, cioè disputando tra i vizi sui vizi e sulle virtù, lui innalza con sé alle virtù sua moglie, cioè il
suo giudizio che anche se aveva prima mantenuto i vizi ora aveva giudicato meglio, dagli Inferi e dai vizi che
sono inferiori alle virtù. Ma siccome la ragione guardò ai vizi, anche lui perdette la moglie, cioè il suo giudizio
che era ricaduto nei vizi.’ Il testo latino è citato da: F. Ghisalberti, Arnolfo d’Orléans, un cultore di Ovidio nel
secolo XII, Milano, 1932, con appendice: Arnulphus Aurelianensis Allegoriae super Ovidii Metamorphosin. La
traduzione si basa su: Friedman, Orpheus in the Middle Ages, cit., p. 119.
66
LE ORIGINI DI ORFEO
musica (la predica) sono paragonati agli uomini selvaggi. A proposito del racconto
sull’uccisione di Orfeo da parte delle Baccanti Arnolfo divaga sulla debolezza delle donne
in generale.
GIOVANNI DI GARLANDIA scrisse gli Integumenta Ovidii (ca. 1234), un trattato in
versi, in cui l’Orfeo ovidiano è ridotto ad alcuni brevi abbozzi allegorici:
pratum delicie, coniunx caro, vipera virtus,
vir ratio, Stix est terra, loquela lira.
(Giovanni di Garlandia, Integumenta, p. 67 (ed. Ghisalberti))181
Per via della sua brevità il commento non differisce molto dagli altri commenti a Boezio e
alle Metamorfosi. Interessante è l’identificazione del serpente con la virtù, forse causata da
uno scambio di Aristeo per il serpente.
Dopo i commenti di Arnolfo d’Orléans e di Giovanni di Garlandia la tradizione
esegetica di Ovidio continua nel commento di Giovanni del Virgilio, che verrà discusso nel
capitolo sulla fortuna di Orfeo in Italia nel Trecento (cap. 2). Altri famosi commenti sulle
Metamorfosi sono l’anonimo Ovide Moralisé e il commento di Pierre Bersuire (Petrus
Berchorius). Benché essi appartengano al Trecento, verranno trattati brevemente nel
presente paragrafo per via della grande influenza che essi hanno avuto sulla letteratura
posteriore e perché seguono la tradizione medievale dei commenti ovidiani.
L’anonimo OVIDE MORALISÉ (fine sec. XIII/inizio sec. XIV) contiene una parafrasi
francese del racconto ovidiano di Orfeo nella quale quasi ogni dettaglio del racconto è
cristianizzato. L’opera esprime l’idea tradizionale in cui Aristeo simboleggia la Virtù.
L’autore suggerisce che il serpente rappresenti il diavolo e per la prima volta Euridice è
identificata con Eva. Secondo Friedman si può vedere nell’Ovide moralisé il concetto
medievale del matrimonio in cui l’uomo domina la moglie. Euridice è rappresentata in
modo negativo come un’allegoria della sensualità e come una sposa ostinata.182 La
decisione di Orfeo di ritornare da lei è fortemente criticata. Poi, il commento diventa più
positivo: il ritorno dall’Ade simboleggia l’opera dei profeti e dei predicatori; le sette corde
della lira raffigurano le sette virtù, mentre Orfeo è identificato con Cristo:
Si com je dis en l’autre livre
Orpheüs denote à delivre
Jhesu Christ, parole devine,
Le douctour de bone doctrine,
181
‘Il prato è la delizia, la moglie è la carne, la vipera è la virtù, l’uomo è la ragione, lo Stige è la terra, la lira è il
parlare.’ Il testo latino è citato da: Iohannes de Garlandia, Integumenta Ovidii. Poemetto inedito del secolo
XIII, a.c.d. F. Ghisalberti, Messina-Milano, Principato, 1933.
182
Friedman, Orpheus in the Middle Ages, cit., p. 125.
67
CAPITOLO 1
Qui par sa predicacion
Avoit de mainte nacion
La gent atraite et convertie,
(Ovide moralisé, XI, vv. 177-183)
Anche nella scena in cui Orfeo discende agli Inferi il suo katabasis è considerato come
l’anticipazione del trionfo di Cristo nell’inferno.
La Metamorphosis Ovidiana o l’Ovidius moralizatus di PIETRO BERCORIO (PIERRE
BERSUIRE) (fine sec. XIII-1362) originariamente costituisce il libro XV del suo Reductorium
Morale (1325-1337), un’opera enciclopedica di consultazione per teologi e predicatori, in
cui si trovano delle spiegazioni allegoriche della mitologia, della natura e della Bibbia. La
prima versione dell’opera nacque alla corte papale di Avignone, dove Bercorio dimorava
con Petrarca ed altri scrittori. Alcune fonti usate da Bercorio sono: Rabano Mauro, il terzo
mitografo, Remigio e l’Ovide Moralisé. Secondo Friedman Bercorio presenta forse
l’interpretazione cristiana più inventiva del mito di Orfeo.183 L’autore offre alcune
spiegazioni possibili del mito che contengono qualche volta delle contraddizioni. Prima
assimila Orfeo a Cristo:
Dic allegorice quod Orpheus, filius [s]olis, est Christus, filius dei patris, qui a principio
Euridicem .i. animam humanam per caritatem & amorem duxit ipsamque per specialem
prerogativam a principio sibi coniunxit. Verumtamen serpens, diabolus, ipsam novam
nuptam .i. de novo creatam, dum flores colligeret .i. de pomo vetito appeteret, per
temptationem momordit, & per peccatum occidit, & finaliter ad infernum transmisit. Quod
videns Orpheus Christus in infernum personaliter voluit descendere & sic uxorem suam .i.
humanam naturam rehabuit, ipsamque de regno tenebrarum ereptam ad superos secum
duxit, dicens illud Canticorum .ii. « Surge, propera amica mea & veni. »184
(Bersuire, Metamorphosis Ovidiana, moraliter explanata, Paris, 1509, fol. LXXIIIv.)
Bercorio proietta tutta la storia del cristianesimo nel mito di Orfeo ed Euridice ed è
dunque costretto a concludere il racconto con un lieto fine.
Bercorio rappresenta Orfeo come un peccatore ed Euridice come la sua anima, e
presta molta attenzione all’interesse di Orfeo per i temporalia, il che in quel periodo era
183
Friedman, Orpheus in the Middle Ages, cit., p. 127.
‘Spiega allegoricamente che Orfeo, il figlio del sole, è Cristo, il figlio di Dio padre, che fin dall’inizio guidò
Euridice, cioè l’anima umana, per carità e per amore, e la congiunse con sé fin dall’inizio per una prerogativa
speciale. Tuttavia un serpente, il diavolo, morse per tentazione la stessa nuova sposa, cioè creata di nuovo,
mentre stava cogliendo fiori, cioè mentre stava bramando il pomo vietato, e la uccise per peccato, e infine la
trasferì all’inferno. Allorché Orfeo-Cristo vide questo, volle scendere in persona nell’inferno e così riebbe la
moglie, cioè la natura umana, e dopo averla rapita dal regno delle tenebre la condusse con sé al mondo,
dicendo questa frase dal Cantico dei Cantici 2:10, “Alzati, amica mia, mia bella, e vieni!”’ (testo latino citato
da Friedman, Orpheus in the Middle Ages, cit., pp. 127-128).
184
68
LE ORIGINI DI ORFEO
quasi la ragione comune per la rovina di Euridice o di Orfeo (come vedremo nelle opere
filosofiche di Petrarca), ma presenta il mito in un contesto ancora più cristiano del solito.
Bercorio non si interessa tanto al mito originale, quanto al messaggio che esso può dare ai
lettori cristiani. Oltre che a Cristo e al peccatore, Orfeo viene anche paragonato a Davide
(non nominato esplicitamente), ai primi predicatori della fede cristiana e ai martiri. Il
commento di Bercorio dunque non è un commento vero e proprio, ma piuttosto
un’antologia di vari commenti. Contrariamente ai commenti a Boezio i commenti alle
Metamorfosi sono molto positivi su Orfeo e lo vedono come una prefigurazione di Cristo.
L’Ovide moralisé, l’Ovidius moralizatus e opere successive come l’Epithre d’Othea
di Cristina di Pisan conoscevano una ricca tradizione manoscritta illustrata, in cui Orfeo
ottenne un aspetto cortese-medievale (ill. 1.8-9). Queste immagini influenzarono anche le
immagini nelle edizioni stampate delle Metamorfosi di Bernard Salomon (che furono
riprodotte dopo nelle edizioni di Gabriello Symeoni, cfr. § 5.2.3) e Virgil Solis.185
1.8-1.9 Anonimo francese, Le nozze di Orfeo ed Euridice/La morte di Orfeo, sec. XV186
1.5.3 Civilizzatore nel terzo mitografo vaticano187
Oltre ai commenti soprannominati a Boezio e alle Metamorfosi di Ovidio, vanno
menzionati i manuali mitografici e le enciclopedie, da cui gli autori e i poeti potevano
attingere informazioni mitologiche per le loro opere. Importantissimi per la trasmissione
185
L. Calzona, ‘Tradizione allegorico-cristiana’, su: http://www.italica.rai.it/rinascimento.
Anonimo francese, Le nozze di Orfeo ed Euridice/La morte di Orfeo, in: Bersuire, Ovidius Moralisatus, sec.
XV, Paris, Bibliothèque Nationale, Richelieu MS. Français 137, fol. 132v e 147r.
187
Questo paragrafo si basa su: Semmelrath, op.cit., pp. 17-19; Heitmann, ‘Orpheus im Mittelalter’, cit., pp.
257-258.
186
69
CAPITOLO 1
della conoscenza dei miti classici nel Medioevo furono soprattutto tre compendi
mitologici, conosciuti come i mitografi vaticani.
Il primo mitografo (sec. V-VIII) racconta il mito di Orfeo con pochissime parole,
caratteristica che secondo Semmelrath si spiega con la regressione dell’educazione dopo la
caduta dell’impero romano.188 Il secondo mitografo (dopo 636), che si basa, così come il
primo, su Fulgenzio e sui commenti tardo-antichi, è più dettagliato. Nessuno dei due
compendi contiene delle spiegazioni allegoriche.
Il terzo testo mitografico (che è identificato spesso con il Liber ymaginum deorum
di Alberico, pseudonimo di Alexander Neckam, sec. XII) è visto come il compendio
mitologico più importante del Medioevo. Era usato come libro scolastico. I miti vi sono
spiegati in modo storico, filosofico naturale e morale. L’opera, che nel Trecento era noto
come Poetarius o Scintillarium poetarum, costituì una base mitologica essenziale per i
trattati mitologici di Boccaccio e Coluccio Salutati e per l’opera di Petrarca. Orfeo è qui
messo in rapporto con la filosofia, con la teologia e con la retorica:
Fuit autem Orpheus […] vir maximus tam ingenii claritudine quam eloquentiae suavitate
praefulgens. Sacerdos dictus est, quia et theologus fuit, et orgia primus instituit. Ipse etiam
homines irrationabiliter viventes rhetorica dulcedine ex feris et immanibus mites reddidit
et mansuetos […] Unde et bestias quaslibet, volucres et fluvios, saxa et arbores dicitur
movisse. (Terzo mitografo (Alberico), Scintilliarum poetarum)189
Quest’immagine di Orfeo che civilizza gli uomini con l’eloquenza e solleva lo spirito
umano anticipa l’Orfeo del tardo Medioevo e del Rinascimento. Segue un’allegoria che si
basa su quella di Fulgenzio e sulle etimologie di Orfeo, Euridice e Aristeo. È notevole che
Euridice si smarrisce scegliendo la strada sinistra invece di quella destra. Questo elemento
proveniente da Remigio simboleggia il contrasto tra il bene e il male. Qui ritroviamo il
concetto famoso del bivio che tramite Isodoro di Siviglia deriva da Prodico.
Una versione ridotta e alquanto alterata del terzo mitografo vaticano si trova
nell’anonimo DE DEORUM IMAGINIBUS LIBELLUS (sec. XIV) (ma nel Cinquecento attribuito
allo stesso Alberico). Contrariamente al mitografo vaticano, su cui il Libellus si basa
(attraverso Petrarca e Bercorio), esso descrive soprattutto la maniera in cui gli artisti
rappresentavano gli dei e i semidei antichi. In questo modo il libro colma il divario tra le
Immagini di Filostrato e Delle imagini degli dei di Cartari (§ 5.1.2).190 L’autore segue il testo
188
Semmelrath, op.cit., p. 18.
‘Orfeo fu [...] un uomo grandissimo notevole sia per la chiarezza dell’ingegno che per la soavità
dell’eloquenza. È chiamato un sacerdote, perché fu anche teologo e instaurò per primo le feste dionisiache.
Lui stesso trasformò perfino con la dolcezza della retorica gli uomini che vivevano in modo irrazionale da
feroci e rozzi in miti e mansueti [...] Onde si dice che lui commoveva anche qualsiasi bestia, gli uccelli e i
fiumi, i sassi e gli alberi.’
190
Allen, Mysteriously Meant, cit., p. 213.
189
70
LE ORIGINI DI ORFEO
di Bercorio descrivendo il personaggio mitologico e la sua rappresentazione, senza offrire
spiegazioni allegoriche e simboliche del mito. Orfeo è descritto nel capitolo XVIII:
Orpheus fuit vir magnus ingenio et eloquio prefulgens, vir eruditissimus philosofie et
artium disciplina. Qui homines irrationabiliter viventes ex feris et immanibus fecit mites et
mansuetos et moribus composuit. Unde et bestias quaslibet et volucros et fluvios et saxa et
arbores cythare sono dicitur movisse. Qui et Euridicen nimpham eodem mulcens sono in
coniugem habuit, quam a serpente percussam et occisam descendens ad inferos cythare
sono dulcissimo a Plutone pacato dicitur redemisse, ea lege, ne eam conversus aspiceret,
donec ultimum limen inferni excederet. Quam legem ut preteriit, uxorem retentam amisit.
Iste igitur in numero deorum consecratus taliter pingebatur. Erat homo in habitu
philosofico cytharam manu pulsans. Ante eum erant diversa animalia ferocia, que pedes
eius lingebant, scilicet lupi, leones, ursi, serpentes avesque diverse circa eum volitantes,
montes et arbores sibi flectentes vertices suas. Qui et uxorem se sequentem conversus
aspicere videbatur, sed eam inferi retinebant.
(De deorum imaginibus libellus, cap. XVIII ‘Orpheus’)191
La descrizione è anche illustrata con un disegno, in cui si manifestano i dettagli
iconografici menzionati nel testo (ill. 1.10).192 Il Libellus fissò per sempre le immagini delle
figure mitologiche, e dunque anche di Orfeo.193 Questo spiega la presenza di Orfeo e degli
animali in tante xilografie (per esempio nelle traduzioni delle Metamorfosi (§ 5.1.3) e in
un’edizione di Poliziano (§ 4.1.2)), mentre il ruolo degli animali nel testo è relativamente
ridotto.
191
‘Orfeo fu un grande uomo eccellente nell’ingegno e nell’eloquenza, un uomo eruditissimo nella disciplina
della filosofia e delle arti. Egli rese gli uomini che vivevano irrazionalmente da feroci e crudeli miti e
mansueti, e li radunò con costumi. Per questo si dice che lui moveva qualsiasi animale, uccelli, fiumi, sassi e
alberi al suono della cetra. Lui ebbe anche per moglie la ninfa Euridice seducendola con lo stesso suono. Si
dice che lui, dopo che lei fu morsa ed uccisa da un serpente, scendendo agli inferi la riebbe da Plutone, che
aveva placato con un suono dolcissimo, a questa condizione che non l’avrebbe guardata volgendosi, prima di
aver passato l’ultimo confine dell’inferno. Quando trascurò questa condizione, perdette la moglie trattenuta.
Perciò lui è dipinto consacrato nel numero degli dei in questo modo. Era un uomo in un abito filosofico che
suonava la cetra con la mano. Di fronte a lui c’erano diversi animali feroci, che gli leccavano i piedi, cioè lupi,
leoni, orsi, serpenti e diversi uccelli che volavano intorno a lui, monti e alberi che piegavano a lui le cime. Lui
sembrava anche guardare volgendosi la moglie che lo seguiva, ma gli inferi la ritennero.’ Il testo latino è citato
da: H. Liebeschütz, Fulgentius metaforalis. Ein Beitrag zur Geschichte der antiken Mythologie im Mittelalter,
Leipzig-Berlin, Teubner, 1926, p. 123.
192
Anonimo, Orfeo e gli animali / Orfeo ed Euridice, in: De deorum imaginibus libellus, Roma, Biblioteca
Apostolica Vaticana, Reg.Lat. 1290, fol. 5r.
193
Seznec, op.cit., p. 179.
71
CAPITOLO 1
1.10 Anonimo italiano, Orfeo e gli animali, in De deorum imaginibus libellus, ca. 1400
1.5.4 Orfeo vs. Davide e voce musicale nei trattati musicali194
I trattati sulla teoria musicale formano un gruppo di testi importanti per la fortuna di
Orfeo. Nella Musica Disciplina di AURELIANO DI RÉOME (sec. X) Orfeo non è rappresentato
in chiave allegorica, bensì come un personaggio leggendario che non disponeva di doti
musicali straordinarie.195 A lui viene contrapposto invece il personaggio biblico di Davide
che secondo Aureliano suonando si lasciava ispirare da Dio e che perciò era il vero
Orfeo.196
Nel De harmonica institutione REGINO DI PRÜM (†915) adopera l’allegoria
fulgenziana di Orfeo.197 L’autore riproduce quasi letteralmente dal trattato di Aureliano il
racconto su Davide e Saulo per mostrare che la musica cristiana è superiore a quella
pagana. Regino adopera il mito, però, come insegnamento per superare le restrizioni di
Orfeo e per poter diventare un vero musicista.
L’anonima MUSICA ENCHIRIADIS (sec. X) tratta della classificazione dei modi
musicali religiosi, del canto della liturgia e del sistema di notazione. Nell’ultimo capitolo è
narrato il mito di Orfeo ed Euridice come allegoria dell’importanza di capire i principi
194
Questo paragrafo si basa su: Newby, op.cit., pp. 85-97; Friedman, op.cit., pp. 100-102 ; Heitmann, ‘Orpheus
im Mittelalter’, cit., pp. 270-271.
195
Aureliano di Réome, Musica Disciplina, ‘De laude musicae disciplinae’, p. 66 (ed. L. Gushee, Corpus
Scriptores de Musica, 21, American Institute of Musicology, 1975.
196
Per altri testi e immagini in cui Orfeo è paragonato a Davide, cf. Friedman, op.cit., pp. 148-155.
197
Regino di Prüm, De harmonica institutione, a.c.d. ed. M. Gerbert, in: Scriptores Ecclesiastici de Musica
Sacra Potissimum, 1784; reprint Hildesheim, Georg Olms, 1963, vol. I. pp. 230-247).
72
LE ORIGINI DI ORFEO
teorici della musica.198 Il trattato descrive come si può diventare un buon compositore.
L’autore anonimo non denigra Orfeo, ma lo adopera per mostrare i limiti della conoscenza
umana.199
L’interpretazione musicale di REMIGIO DI AUXERRE nel suo commento a Marziano
Capella (§ 1.5.1) fu meno influente di quella nel suo commento a Boezio. Remigio spiega
che è necessaria l’unità della voce musicale (vox musica) e dei principi che ne sono alla
base (ratio). Inoltre, Orfeo ed Euridice simboleggiano l’eloquentia e la sapientia, che
devono formare anch’esse un’unità. L’associazione di questi due concetti provenienti dalla
retorica ciceroniana con Orfeo ed Euridice continuerà fino al tardo Medioevo:200
Euridice interpretatur profunda inventio. Ipsa ars musica in suis profundissimis rationibus
Euridice dicitur, cuius quasi maritus Orpheus dicitur, id est ΩΡΙΟC ΦΩΝΗ id est pulchra
vox. Qui maritus si aliqua neglegentia artis virtutem perdiderit velut in quendam infernum
profundae disciplinae descendit, de qua iterum artis regulas iuxta quas musicae voces
disponuntur reducit. Sed dum voces corporeas et transitorias profundae artis inventioni
comparat, fugit iterum in profunditatem disciplinae ipsa inventio quoniam in vocibus
apparere non potest, ac per hoc tristis remanet Orpheus, vocem musicam absque ratione
retinens. (Remigio, Comm. in Mart.Cap. IX, 480.19)201
In questo caso Euridice (la sapienza o il profondo giudizio) incolpa Orfeo (l’eloquenza o la
bella voce). Euridice sembra quindi superiore a Orfeo, il che non corrisponde alle idee
espresse nel commento di Remigio a Boezio. La visione di Remigio nel commento a
Marziano Capella diventerà popolare solo nei romanzi tardomedievali. Dopo il secolo X
Orfeo non fu più importante nei trattati musicali, perché il loro carattere divenne piuttosto
pratico.
198
Musica enchiriadis, a.c.d. M. Gerbert, in: Scriptores Ecclesiastici de Musica Sacra Potissimum, 1784;
reprint Hildesheim, Georg Olms, 1963, vol. I., pp. 152-212.
199
Newby, op.cit., p. 95.
200
I concetti sapientia ed eloquentia si trovano per esempio nei commenti a Boezio di Guglielmo di Conches
e di Nicholas Trivet.
201
‘Euridice è interpretata come profonda invenzione. L’arte musicale stessa nella sua natura più profonda è
chiamata Euridice, il cui marito è chiamato Orfeo, cioè orios phone cioè bella voce. Questo marito, se per
alcuna negligenza dell’arte ha perso la sua virtù, discende in un certo inferno di studio profondo, da cui
riproduce di nuovo le regole dell’arte secondo le quali sono disposte le voci della musica. Ma quando
l’invenzione paragona le voci corporali e transitorie all’invenzione profonda dell’arte, fugge di nuovo nella
profondità dello studio, perché non può apparire in voci, e perciò Orfeo rimane triste, tenendo la voce
musicale senza la ragione.’ Il testo latino è citato da: Remigii Autissidorensis commentum in Martianum
Capellam, a.c.d. C.E. Lutz, Leiden, Brill, 1962-65, p. 310.
73
CAPITOLO 1
1.5.5 Trionfante nell’Ade nella poesia medievale202
Nel secolo XI si trovano tre poesie latine su Orfeo il cui contenuto differisce dai racconti
nominati: il cantante riesce a riprendersi Euridice viva dagli inferi. Come hanno mostrato
Jacques Heurgon e Maurice Bowra, la versione del mito in cui Orfeo trionfa sull’Ade è
quella più antica.203 La fine lieta arcaica era molto idonea alla metamorfosi cristiana di
Orfeo in una prefigurazione di Cristo, che non poteva fallire.204 Le tre poesie nacquero da
esercizi scolastici intesi a migliorare le tecniche retoriche degli studenti (dal sec. XI al sec.
XV). Il mito di Orfeo era un tema gradito per questi esercizi. Tra le poesie scritte
nell’ambito scolastico su Orfeo ci sono tra gli altri: un passo di più di 500 versi nel poema
Liber quid suum virtutis di Teodoro di Saint-Trond (†1107), la poesia Carmine leniti tenet
Orpheus antra Cocyti di Gualtiero, e un’allusione a Orfeo in una poesia di Goffredo di
Reims, che si chiama Il dialogo con Calliope.205 Queste poesie rappresentano Orfeo come
eroe amante.
Anche autori più professionali descrivevano Orfeo come amante cortese. In questi
romanzi Orfeo è un menestrello medievale con una caratterizzazione psicologica, la quale
si manifesta in molti monologhi e dialoghi. Forse la rappresentazione di Orfeo come
menestrello fu influenzata dall’usanza di poeti e cantanti professionali a partire del periodo
carolingio di chiamarsi dei novelli Orfei.206 Vedremo che questa tradizione continuerà in
Italia nel Trecento e molto dopo (cap. 2 e 5). Nella qualità di menestrello Orfeo era molto
adatto ai romanzi medievali: entrava nei castelli e mostrava il suo potere musicale. Le
convenzioni del romanzo furono trasmesse al racconto di Orfeo: per amore l’eroe
comincia un viaggio avventuroso in cui subisce molte prove e incontra dei personaggi
sovrannaturali. Viaggiando canta e piange spesso il suo amore. Questi romanzi medievali
influenzeranno forse i cantari italiani sullo stesso argomento che emergeranno alla fine del
Quattrocento (§ 4.3). Orfeo non ottenne soltanto degli ideali e dei costumi medievali, ma
anche dei vestiti e un domicilio medievali. Secondo Friedman gli effetti delle convenzioni
romanzesche si vedevano non solo nei romanzi stessi, ma anche nella poesia lirica, negli
202
Questo paragrafo si basa su: Dronke, op.cit., passim; Friedman, op.cit., pp. 146-210; Heitmann, ‘Orpheus
im Mittelalter’, cit., pp. 259-261.
203
J. Heurgon, ‘Orphée et Eurydice avant Virgile’, Mélanges d’archéologie et d’histoire XLIX (1932), pp. 6ff ;
M. Bowra, ‘Orpheus and Eurydice’, The Classical Quarterly II (1952), pp. 113ff.
204
Dronke, op.cit., p. 206.
205
Teodoro di Saint-Trond, Liber quid suum virtutis (prima noto come De nummo), in: F.W. Otto,
Commentarii critici in codices Bibliothecae Academicae Gissensis Graecos et Latinos, Giessen, 1842, pp. 163f,
vv. 1009-1024 (parzialmente in Dronke, op.cit., p. 199); Gualtiero, Carmine leniti tenet Orpheus antra Cocyti,
in : M. Delbouille, ‘Un mystérieux ami de Marbode : le ‘Redoutable Poète’, Gautier’, Le Moyen Age 6 (1951),
p. 229; Goffredo di Reims, Dialogo con Calliope, in: A. Boutemy, ‘Trois oeuvres inédits de Godefroid de
Reims’, Revue du Moyen Age Latin 3 (1947), p. 357.
206
Friedman cita Sedulio Scotto e Baudri di Bourgueil (sec. XI) (op.cit., p. 158).
74
LE ORIGINI DI ORFEO
esercizi di retorica e nelle illustrazioni di manoscritti in cui Orfeo porta vestiti tre o
quattrocenteschi e suona uno strumento medievale nei pressi di un castello.
Queste poesie e questi romanzi influenzarono alcune opere tardomedievali inglesi
che collocano il mito di Orfeo nella tradizione dell’amore cortese: l’anonimo SIR ORFEO in
inglese (ca. 1325) e Orpheus and Eurydice dell’autore scozzese ROBERT HENRYSON (ca.
1430-ca. 1500). Nella prima opera il mito di Orfeo ed Euridice è stato trasformato nel
racconto del Re Orfeo e della regina Heurodis, che sono separati ma che alla fine vengono
riuniti. Il risultato è un racconto completamente nuovo che non ha influenzato la fortuna
di Orfeo in Italia. Nel testo di Henryson si trova, secondo Friedman, quasi un bilancio della
tradizione romanza (in cui Orfeo era un eroe) e della tradizione etica (in cui Orfeo era un
esempio morale per i commentatori e mitografi).207
1.6 CONCLUSIONE
Ricapitolando si può concludere che l’origine del mito di Orfeo non è completamente
chiara: secondo alcuni il mito si sviluppa dallo sciamanismo attraverso l’orfismo, ma
secondo altri lo sviluppo si svolge in direzione opposta. Si può constatare comunque che
già nel secolo VI a.C. Orfeo godeva di una certa fama.
Nelle versioni più antiche del mito Orfeo figura come cantante (metopa, Bassaridi).
È menzionata la sua partecipazione al viaggio degli Argonauti; e la sua terribile uccisione
da parte delle donne tracie è rappresentata nella tragedia (Bassaridi) e su molti vasi.
Euripide è il primo a descrivere la discesa di Orfeo nell’Ade da dove riprende la sua sposa
(Alcesti). In questo periodo il mito aveva probabilmente una fine lieta. Il famoso
bassorilievo che raffigura Orfeo, Euridice ed Ermes non prova con certezza il fallimento
della discesa. Platone presenta un racconto diverso, in cui Orfeo ottiene un fantasma
invece della sposa. Nei secoli IV e III a.C. Orfeo figura spesso sui cosiddetti vasi infernali
dell’Italia meridionale.
Virgilio è il primo a raccontare il mito nella versione che è rimasta famosa fino ai
nostri tempi. Egli aggiunge il personaggio di Aristeo, e anche il divieto di guardare indietro
e il fallimento finale della discesa sembrano essere stati creati da Virgilio (ma potrebbero
derivare anche da una fonte ellenistica sconosciuta). Virgilio combina molti elementi
diversi del mito di Orfeo in un racconto coerente. Il racconto di Ovidio rassomiglia in
grandi linee a quello virgiliano, ma Ovidio mette l’accento piuttosto sull’orazione di Orfeo
di fronte agli dei infernali. Inoltre, Ovidio aggiunge l’aspetto dell’omosessualità. Orazio
interpreta Orfeo cantante allegoricamente come il civilizzatore dell’umanità. Nel periodo
207
Friedman, op.cit., pp. 194-195.
75
CAPITOLO 1
romano le immagini di Orfeo che canta tra gli animali sono molto popolari, specialmente
nei mosaici.
La scoperta del cosiddetto Testamento di Orfeo era molto gradita agli scrittori ebrei
e agli apologeti cristiani dei secoli II-V. Essi vedono delle analogie tra Orfeo monoteista e
Cristo. A partire del secolo II anche nelle catacombe cristiane ci si serve di Orfeo come
simbolo di Cristo nel ruolo del Buon Pastore. Quando nel secolo IV si instaura il
cristianesimo come religione statale dell’impero romano, il ruolo apologetico di Orfeo
diventa meno necessario.
Cruciali per lo sviluppo del mito di Orfeo nel Medioevo sono gli scrittori tardoantichi Boezio e Fulgenzio. Boezio dà al mito un’interpretazione allegorica e morale, che si
basa sulla filosofia di Platone. Fulgenzio inserisce il mito invece in un’allegoria musicale.
Le fonti medievali in cui si trova il mito di Orfeo si possono suddividere in alcuni
gruppi: i commenti a Boezio, i commenti alle Metamorfosi (a partire del sec. XII) e altre
fonti come le mitografie, i trattati sulla musica e la poesia. Il mito antico vi è spesso
allegorizzato o moralizzato e l’interpretazione è chiaramente cristiana. Allegorie frequenti
di Orfeo (oraia-phonos) sono: sapientia, eloquentia, optima vox. Euridice (eurea-dike)
rappresenta spesso: la profunda inventio, la boni iudicatio e la naturalis concupiscentia;
infine Euridice è anche identificata con Eva. Se Aristeo fa parte dell’allegoria, egli
rappresenta quasi sempre la virtù.
Tra i vari motivi del mito di Orfeo distinti da Friedman menzionati nel primo
paragrafo, è possibile affermare che il tema di Orfeo cantante, che incanta la natura con la
musica, è sempre rimasto quello più usato. La partecipazione di Orfeo al viaggio degli
Argonauti si trova solo nelle fonti più antiche, in Apollonio Rodio e nelle Argonautiche
orfiche, per poi scomparire. Anche Orfeo come sacerdote di Dioniso, che diventa un
seguace di Apollo, si trova solo nel primo periodo greco. Il poeta Orfeo, che scrive delle
poesie cosmogoniche per cui gode della reputazione di avere doti profetiche, ha
influenzato soprattutto i circoli orfici. Fuori di questi circoli Orfeo è menzionato invece
anche come sacerdote o profeta (per esempio nell’Eneide). La morte di Orfeo, per cui
esistono nel periodo greco motivi diversi, è popolare sui vasi dipinti, ma continua anche a
far parte del racconto nel periodo romano. A partire da Virgilio e Ovidio l’accento cade
sulla storia d’amore di Orfeo ed Euridice e sulla discesa di Orfeo nell’Ade. La discesa è la
parte più centrale del mito durante il Medioevo, dato che si presta bene alle interpretazioni
morali e cristiane.
Come abbiamo visto gli elementi del mito di Orfeo non si trovano quasi mai tutti
insieme in un solo testo oppure in un’opera d’arte. La musica ammaliante è un aspetto che
si lascia combinare facilmente con altri motivi, per cui fa quasi sempre parte dei riferimenti
a Orfeo. La partecipazione al viaggio degli Argonauti si trova soprattutto separato dagli
altri temi, mentre la storia d’amore di Orfeo ed Euridice e la morte di Orfeo sono spesso
narrate nello stesso momento. Anche nella discussione del Trecento e del Rinascimento
76
LE ORIGINI DI ORFEO
vedremo che alcune parti del mito sono spesso legate tra loro, mentre altre scompaiono o
rifioriscono invece in un dato periodo. Cercheremo di rintracciare le ragioni alla base di
questi cambiamenti.
77
CAPITOLO 2. IL MITO COME TOPOS
Orfeo nel Trecento e nel Quattrocento (ca. 1300-1475)
2.0 DAL MEDIOEVO AL RINASCIMENTO
All’inizio del Trecento, quando Dante Alighieri (1265-1321) scrisse la sua Commedia, la
società italiana era ancora medievale.208 La fede cristiana era fondamentale nella vita
quotidiana e nelle espressioni culturali ed artistiche. Questa centralità del cristianesimo si
vede anche nelle opere di Dante. Come sostiene Augustin Renaudet, Dante ‘non crede che
fra l’antichità eroica dei tempi greco-romani e le generazioni illuminate e redente dal
Cristo si apra un abisso; e che una brusca e tragica rottura separi la fine del mondo antico e
la nascita del mondo moderno’.209 Dante vede il mondo antico e quello contemporaneo
come contigui, senza fare una distinzione tra i diversi periodi. La Divina Commedia offre
tante prove della sua concezione sincretica del mondo: figure mitologiche vengono poste
sullo stesso piano di personaggi biblici e uomini contemporanei. Nelle opere dantesche
minori personaggi mitologici e personaggi biblici compaiono spesso come esempi paralleli.
Nonostante l’importanza di Dante per la letteratura italiana la sua importanza per la
fortuna del mito di Orfeo sembra a prima vista minima. L’autore accenna soltanto due
volte al mitico cantore: una volta nel Convivio (II, I, 4) e l’altra volta nell’Inferno (IV, 140).210
Con Francesco Petrarca (1304-1374) ebbe inizio un cambiamento nella cultura
italiana, che sarebbe stato decisivo per tutto il continente europeo. Petrarca e il suo
contemporaneo ed amico Giovanni Boccaccio (1313-1375) furono i precursori
dell’umanesimo che avrebbe provocato anche un cambiamento importante nella ricezione
e nell’uso dei miti antichi. Jean Seznec ha mostrato che il Rinascimento non comportò una
rinascita delle figure mitologiche dopo il lungo periodo di assenza nel Medioevo, ma che
nel Rinascimento si assistette piuttosto ad un ritorno delle figure mitologiche nelle loro
sembianze antiche.211 Durante il Medioevo, infatti, le figure mitologiche sopravvivessero in
208
Già nella letteratura italiana del Duecento si trovano dei riferimenti al mito di Orfeo. Siccome si tratta di
alcuni riferimenti sparsi di autori non molto importanti o ignoti, questo capitolo tratterà della fortuna di
Orfeo a partire dall’inizio del Trecento. Per riferimenti duecenteschi cf.: Anonimo, Le Miracole de Roma
(1255), 55; Anonimo, Mare amoroso (1270-80), 152; Ristoro d’Arezzo, Composizioni del mondo (1282), … (In
quest’ultimo testo si parla di una figura con il nome di Artefio, che ha però molte caratteristiche di Orfeo, cfr.
H.D. Austin, ‘Artephius-Orpheus’, Speculum 12, 2 (1937), pp. 252-254).
209
A. Renaudet, Dante humaniste, Paris, Les Belles Lettres, 1952 (Citato in italiano da E. Garin, ‘Le favole
antiche’, La rassegna della letteratura italiana 4, serie VII (1953), p. 6).
210
Poi ci sono alcuni riferimenti indiretti al mito nel Purgatorio e nella Vita Nuova, come vedremo nel § 2.6.
211
Seznec, op.cit., passim.
79
CAPITOLO 2
forme molto diverse rispetto alla loro forma antica ‘originaria’. Seznec distingue quattro
cosiddette tradizioni nel modo in cui furono interpretati i personaggi mitologici.212 Nella
prima tradizione, quella storica o evemeristica, gli dei pagani vennero visti come uomini
reali che furono innalzati allo stato divino dai contemporanei.213 Nella tradizione fisica gli
dei sono elementi cosmici. La terza tradizione è quella morale o allegorica: le figure pagane
vi sono interpretate in maniera allegorica. Infine c’è la tradizione enciclopedica, che
combina alcune delle altre tradizioni.
Prenderò in esame per prima cosa le Genealogie deorum gentilium di Boccaccio.
Quest’opera mitografica, che discute ogni particolare del mito di Orfeo, non sembra
tuttavia aver esercitato grande influenza sui riferimenti a Orfeo sparsi nei testi letterari del
Trecento e del primo Quattrocento. Vedremo però nel § 2.7 che le Genealogie furono una
fonte principale per il De laboribus Herculis di Salutati. Nelle Genealogie Orfeo è il
protagonista del capitolo intitolato De Orpheo Apollinis filio VIIIIo. Boccaccio dimostra di
avere una grande conoscenza di tutti i dettagli del mito, contrariamente all’immagine
lacunosa e limitativa che emerge dalle altre opere letterarie di questo periodo. Nell’opera
ricorrono le varie tradizioni proposte da Seznec (soprattutto la tradizione allegoricomorale e la tradizione storica).
Nel Trecento poi non si arresta la tradizione delle rielaborazioni delle Metamorfosi
ovidiane, che risale al Medioevo. Anche questi rifacimenti delle Metamorfosi potevano
essere letti come manuali mitografici. Il professore bolognese Giovanni del Virgilio scrive
una parafrasi latina delle Metamorfosi e Giovanni dei Bonsignori la traduce in volgare alla
fine del Trecento.214 La mancanza di influenza sulla maggior parte dei testi tre- e
quattrocenteschi vale anche per le rielaborazioni delle Metamorfosi, che verranno discusse
nel secondo paragrafo. Tuttavia, Bodo Guthmüller ha accennato all’importanza di questi
testi per la letteratura (e l’arte) del Rinascimento, dopo la loro diffusione in forma stampata
intorno al 1500. Nel quinto capitolo tornerò sulle edizioni stampate di queste opere.215
Nelle opere degli scrittori trecenteschi si trovano numerosi riferimenti brevi alla
figura di Orfeo. Tali riferimenti confermano sempre la stessa immagine. Nella letteratura
212
Queste quattro tradizioni si basano su tre modi di interpretazione già esistenti nell’antichità (Seznec,
op.cit., p. 4).
213
Le origini del concetto ‘evemerismo’ sono discusse da: J.D. Cook, ‘Euhemerism: A Mediaeval
Interpretation of Classical Paganism’, Speculum 2 (1927), pp. 396-410.
214
Giovanni dei Bonsignori, Ovidio Methamorphoseos vulgare, 1375-77; Giovanni del Virgilio, Allegorie
librorum Ovidii Metamorphoseos prosaice ac metrice compilate, 1322-23. Anche l’Eneide di Virgilio fu spesso
tradotta in volgare o rielaborata in qualche maniera. In quest’opera ci sono anche alcuni brevi riferimenti a
Orfeo (§ 1.3.1). Siccome l’Eneide non aveva una funzione importante come manuale mitologico, non sarà
discussa in questo capitolo. Le Georgiche non erano molto note in questo periodo, il che restringe anche la
conoscenza della versione virgiliana del mito di Orfeo (cf. V. Zabughin, Vergilio nel Rinascimento italiano da
Dante a Torquato Tasso, vol. I, Bologna, Nicola Zanichelli, 1923).
215
B. Guthmüller, Ovidio Metamorphoseos vulgare, cit.
80
IL MITO COME TOPOS
del primo Quattrocento l’interesse per il mito di Orfeo non accenna ad espandersi
nemmeno e mancano dei capolavori dedicati interamente a questo personaggio
mitologico. Continuano a predominare ancora brevi riferimenti stereotipati. Fa eccezione
Coluccio Salutati, che discute dettagliatamente la discesa di Orfeo nell’Ade in alcuni
capitoli del De laboribus Herculis (1400). Salutati offre un’interpretazione nuova e
personale del mito di Orfeo, la quale ha però delle radici nella tradizione esegetica. Se si
esclude Salutati, neanche i riferimenti quattrocenteschi a Orfeo presentano molte novità.
Solo il filosofo neoplatonico Marsilio Ficino (1433-99) provocherà dei cambiamenti
rilevanti nella fortuna del mito di Orfeo. Le nuove vie aperte da Ficino saranno discusse nel
terzo capitolo.
È interessante allargare lo sguardo e osservare la fortuna di Orfeo in tutti i campi
della cultura italiana, e non solo quindi nella letteratura, ma anche nelle arti figurative e
nella musica. Per quanto riguarda la posizione di Orfeo nella musica del Trecento e del
primo Quattrocento le opere d’arte trovate sono poche. Esiste, però, un madrigale
trecentesco di Francesco Landini in cui Orfeo ha un ruolo non molto positivo. Nelle arti
figurative del Trecento e del primo Quattrocento non si trova quasi nessun’opera che
raffiguri il mito di Orfeo. Ci sono delle illustrazioni nei manoscritti delle Metamorfosi di
Ovidio in cui si vedono alcuni motivi del mito, ma pochissimi sono i disegni, i dipinti o le
sculture che rappresentano Orfeo. Questo fatto si lascia spiegare dal fatto che l’arte italiana
del Trecento si dedicava completamente a temi e personaggi cristiani, come la vergine
Maria, Cristo e i Santi.216 La raffigurazione di temi e personaggi mitologici non ebbe inizio
prima del Quattrocento. Anche in questo periodo, però, furono relativamente poche le
opere d’arte che raffigurarono un racconto antico o un mito. Peter Burke stima che di tutte
le opere d’arte del Rinascimento italiano solo il 13% venne dedicato a soggetti secolari, e
che di questa percentuale le scene mitologiche formavano una parte ancora più ristretta.217
A partire dal ‘400 paragonare la fortuna letteraria di Orfeo a quella nell’arte sarà più facile,
mentre in questo capitolo ci limiteremo alla letteratura, e solo sporadicamente ci sarà
qualche occasione per discutere la figura di Orfeo nell’arte.
Nei paragrafi dal 2.3 al 2.7 saranno discussi i vari riferimenti a Orfeo nelle opere
letterarie. I riferimenti sono classificati a seconda del ruolo di Orfeo. Le funzioni principali
di Orfeo sono quelle di musicista, amante, civilizzatore (un aspetto cruciale per gli
umanisti), dell’uomo che cerca Dio e del poeta teologo (che diventerà la sua funzione
primaria nella filosofia di Ficino). I pur brevi riferimenti ad aspetti molto diversi di Orfeo
mostrano bene la tensione esistente tra la sua immagine positiva e quella negativa.
216
P. Burke, De Italiaanse Renaissance, Agon, 1988, p. 139 (The Italian Renaissance, Cambridge, Polity
Press, 1986).
217
Burke, op.cit., p. 140; cf. anche p. 28.
81
CAPITOLO 2
2.1 LA TRADIZIONE MITOGRAFICA: LE GENEALOGIE DEORUM GENTILIUM
A metà del Trecento (probabilmente dopo il 1347) Boccaccio cominciò a scrivere un
trattato mitologico intitolato Genealogie deorum gentilium, che sarà il manuale mitologico
più letto fino alla metà del Cinquecento. L’opera fu stampata per la prima volta a Venezia
nel 1472 e altre dieci edizioni seguirono fino al 1532.218 Nel quinto capitolo torneremo
sugli effetti che l’invenzione della stampa esercitò sulla divulgazione e sulla conoscenza dei
miti.
Le Genealogie sono una specie di enciclopedia in cui Boccaccio tratta l’intero
corpus della mitologia antica.219 Nella dedica programmatica e nei libri XIV e XV che
trattano della poesia, Boccaccio spiega il suo metodo di lettura: i miti sono spiegati in tre
modi, facendo uso del ‘sensus naturalis, moralis e historicus’. Al significato allegoricomorale che abbiamo già trovato nell’opera di Bersuire, Boccaccio aggiunge dunque il senso
filosofico-naturale e quello storico. Egli menziona inoltre le interpretazioni di autori
antichi, paragonando criticamente varie opinioni diverse o aggiungendo una propria
interpretazione. Jean Seznec ha indicato le tre tradizioni seguite da Boccaccio come quella
morale, quella storica e quella filosofico-naturale, definendo ‘enciclopedica’ la sua
combinazione di tradizioni.220 Il fatto che Boccaccio non fosse più tanto attaccato
all’interpretazione allegorico-cristiana dei miti dimostra secondo Guthmüller il suo
atteggiamento umanistico:
La separazione tra interpretazione dei miti e verità sacre cristiane manifesta la
consapevolezza che ha Boccaccio della distanza tra antichi e moderni; i due mondi non
possono essere mischiati. Questo però non significa che lo studio della poesia antica e dei
miti non sia d’alcuna utilità al lettore (prescindendo dal piacere estetico). I poeti antichi, è
vero, non erano cristiani, tuttavia erano «homines fere omni dogmate erudit(i)»,
possedevano cioè grande «prudentia» e «mundana sapientia» che poi trasferivano nelle
loro fabulae. 221
La descrizione di Orfeo nelle Genealogie è la descrizione più elaborata del Trecento.
Boccaccio sembra conoscere quasi ogni aspetto e ogni dettaglio del mito antico. Secondo
Hannelore Semmelrath la partecipazione al viaggio degli Argonauti e l’idea che la testa e la
218
Semmelrath, op.cit., p. 25; Guthmüller, ‘Concezioni del mito antico intorno al 1500’, in: Mito, poesia, arte,
cit., p. 51.
219
Prima di Boccaccio Benzo d’Alessandria aveva scritto il suo Chronicon (ca. 1320). Questa compilazione
storico-enciclopedica in 24 libri tratta anche del mito di Orfeo (cap. XXIII ‘De Orpheo musico et Museo eius
discipulo’). L’opera è stata trasmessa soltanto parzialmente in un manoscritto.
220
Seznec, op.cit., pp. 122-123.
221
Guthmüller, ‘Concezioni del mito’, cit., p. 54.
82
IL MITO COME TOPOS
lira di Orfeo vengono portate a riva a Lesbo, per esempio, riemergono qui per la prima
volta dopo l’antichità.222
Boccaccio comincia col dare un breve riassunto del mito, menzionando come fonti
Lattanzio (di cui cita la discendenza di Orfeo da Calliope e da Apollo e l’elevazione della
lira al cielo), Rabano (secondo cui Mercurio consegnò la lira ad Orfeo), Virgilio (di cui
Boccaccio riassume il mito così come è narrato nelle Georgiche) e Ovidio (da cui aggiunge
dei particolari sulla morte di Orfeo).223 Boccaccio afferma di considerare i miti delle
‘finzioni poetiche’ e immediatamente dopo il riassunto del mito l’autore comincia ad
elencare varie interpretazioni allegoriche, a partire dalla spiegazione del nome di Orfeo in
chiave etimologica :
Pulchre equidem et artificiose fictiones he sunt, et ut incipiamus a prima, cur Apollinis et
Caliopis dicatur filius videamus. Dicitur autem Orpheus quasi aurea phones, id est bona
eloquentie vox, que quidem Apollinis, id est sapientie, et Caliopis, que bonus interpretatur
sonus, filia. (Boccaccio, Genealogie, libro V, XII, 4-5)224
Orfeo è interpretato come la buona voce dell’eloquenza, che nasce dalla sapienza (Apollo)
e dal bel suono (Calliope). Brigitte Hege accenna al fatto che Orfeo diventa l’ideale del
sapiente e dell’eloquente. Boccaccio segue in questo la tradizione di Guglielmo di Conches,
di Nicolas Trevet del terzo mitografo vaticano e di Giovanni del Virgilio (§ 2.2.2).225 Dopo
una spiegazione del significato e dell’effetto della lira, Boccaccio attribuisce
un’interpretazione allegorica anche alle altre figure e agli altri elementi del mito di Orfeo:
Hic insuper Euridicem habet in coniugem, id est naturalem concupiscentiam, qua nemo
mortalium caret; hanc per prata vagantem, id est per temporalia desideria, amat Aristeus,
id est virtus, que eam in laudabilia desideria trahere cupit;
(Boccaccio, Genealogie, libro V, XII, 7)226
222
Semmelrath, op.cit., p. 24-25.
Come vedremo dopo Boccaccio omette l’omosessualità di Orfeo come causa della sua morte. Un paragone
più dettagliato tra il testo di Boccaccio e quelli di Virgilio e Ovidio si trova in: B. Hege, Boccaccios Apologie
der heidnischen Dichtung in den Genealogie deorum gentilium. Buch XIV. Text, Übersetzung, Kommentar
und Abhandlung, Tübingen, Stauffenburg, 1997, Appendix I, Orpheus, pp. 261-263. Hege afferma che tutti i
cambiamenti insieme, come la rivalutazione di Orfeo e la degradazione di Euridice, preparino per l’allegoresi.
224
‘Queste finzioni poetiche sono davvero belle e artificiose; e, per cominciare dalla prima, vediamo perché
Orfeo sia detto figlio di Apollo e Calliope. Si dice Orfeo quasi aurea fones, cioè buona voce di eloquenza, che è
figlia di Apollo, cioè della sapienza, e di Calliope, che si interpreta buon suono.’ (trad. V. Branca). L’edizione
da cui si cita è: G. Boccaccio, Tutte le opere, a.c.d. V. Branca, Verona, Arnoldo Mondadori, 1964-1998.
225
Hege, op.cit., p. 264.
226
‘Questi inoltre ha per sposa Euridice, cioè la naturale concupiscenza, dalla quale nessun uomo è esente.
Mentre ella vaga per i prati, cioè nei desideri temporali, la ama Aristeo, cioè la virtù, che desidera trascinarla
a lodevoli aspirazioni;’
223
83
CAPITOLO 2
Euridice rappresenta la concupiscenza naturale che si smarrisce nei desideri temporali, dai
quali la virtù vuole salvarla.227 L’autore non menziona la fonte della sua interpretazione
allegorica, ma essa rassomiglia alla tradizione che deriva da Guglielmo di Conches e
Bernardo Silvestre che abbiamo trattato nel primo capitolo (§ 1.5.1 e § 1.5.2). Boccaccio
provoca un sottile spostamento nell’interpretazione della seconda parte della storia
d’amore. L’interpretazione tradizionale dello sguardo indietro come un ritorno alle cose
terrene non è messa esplicitamente in rapporto con il comportamento di Orfeo. La discesa
di Orfeo deve essere vista come la contemplazione delle cose terrene da parte del saggio,
per cui questi brama ancora di più il sommo bene:
Cum naturalis concupiscentia ad inferos, id est circa terrena, omnino lapsa est, vir prudens
eloquentia, id est demonstrationibus veris, eam conatur ad superiora, id est ad virtuosa,
reducere. Que tandem aliquando restituitur, et hoc dum appetitus ad laudabiliora dirigitur;
sed redditur pacto ne retro suscipiens respiciat, donec ad superos usque devenerit, id est ne
iterum in concupiscentiam talium relabatur, donec cognitione veritatis et Superum
bonorum intelligentia roboratus, ad damnandam scelestorum operum spurcitiem, oculos
possit in concupiscentiam flectere. Quod autem ob id Orpheus ad inferos descendit,
debemus accipere prudentes viros non nunquam ratione contemplationis in perituras res
et hominum ignavias oculos meditationis deflectere, ut, dum que damnare debeant
viderint, que appetenda sunt ferventiori desiderio concupiscant.
(Boccaccio, Genealogie deorum gentilium, libro V, XII, 8-9)228
Orfeo è descritto in questo passo come un ‘vir prudens’. Se normalmente l’atto di voltarsi
indietro è un’azione riprovevole, nel caso dell’uomo prudente la vista dei piaceri terreni
suscita riprovazione. Boccaccio ha probabilmente bisogno di quest’immagine positiva di
Orfeo, perché lo vuole adoperare nel libro XIV come modello del poeta più antico e
dell’affinità tra la poesia e la teologia (cf. § 2.7). La reputazione di Orfeo è dev’essere
dunque impeccabile.
227
Per una discussione del concetto ‘concupiscentia’ si veda: Hege, op.cit., pp. 265-266.
‘Quando la concupiscenza naturale è caduta del tutto agli inferi, cioè alle cose terrene, l’uomo prudente
con l’eloquenza, ossia con le vere dimostrazioni, si sforza di ricondurla alle cose superiori, cioè alle virtù. Essa
alla fine vi si lascia condurre, quando l’appetito si dirige verso cose più lodevoli; ma a patto che il ricevente
non si volga indietro a guardare, fino a che non sia giunto alle virtù (e ciò affinché non ricada nella
concupiscenza); fino a quando, rafforzato dalla conoscenza della verità e dall’intelligenza dei beni celesti,
possa volgere gli occhi alla concupiscenza, ma per condannare la lordura delle azioni scellerate. Che poi
Orfeo sia disceso all’inferno, dobbiamo intendere nel senso che gli uomini saggi talora volgono la
meditazione, con riguardo alla contemplazione, verso le cose periture e le viltà umane; in modo che, quando
abbiano visto le cose che debbono condannare, bramino con più fervente desiderio quelle che sono da
cercare.’
228
84
IL MITO COME TOPOS
Boccaccio oppone inoltre a quest’interpretazione l’etimologia musicale di Fulgenzio
(nelle Mitologiae). In altre opere letterarie di questo periodo non troviamo riferimenti
espliciti all’etimologia del nome di Orfeo. Solo Coluccio Salutati (§ 2.8) tornerà
sull’interpretazione etimologica fulgenziana. In altri riferimenti a Orfeo del Trecento e del
primo Quattrocento le interpretazioni allegoriche sono più frequenti, soprattutto quelle
che focalizzano sul potere ammaliante della lira di Orfeo. Anche Boccaccio, parlando del
dono della lira da parte di Mercurio, attribuisce un significato allegorico al canto di Orfeo,
come vedremo nel paragrafo su Orfeo civilizzatore (§ 2.4). Brigitte Hege sottolinea che,
essendo la descrizione della versione di Fulgenzio molto più breve di quella precedente,
per Boccaccio l’Orfeo sapiente ed eloquente è più importante dell’Orfeo musicista.229
Anche nell’allegoria di Orfeo e degli animali il potere civilizzatore di Orfeo è attribuito alla
sua eloquenza.
Nel Trecento Boccaccio è quasi l’unico a menzionare la morte di Orfeo e a parlare
in maniera estesa della ragione della sua morte e dell’uccisione stessa.230 Secondo Hege il
racconto della morte di Orfeo non era molto caro ai mitografi medievali, visto che Boezio
non l’aveva menzionato nella sua versione del mito, e soprattutto perché il racconto non
era adatto all’educazione morale. La lacerazione rituale e l’omofagia si trovavano solo nel
contesto del demonismo.231 Boccaccio invece, dopo aver descritto la storia d’amore tra
Orfeo ed Euridice che finisce con la seconda morte della ragazza, continua come segue:
Quam ob causam diu flevit et celibem deducere vitam disposuit. Et ob id, ut ait Ovidius,
cum multas suas nuptias postulantes reiecisset, aliisque hominibus celibem vitam ducere
suaderet, mulierum incidit odium, et a celebrantibus matronis orgia Bachi secus Hebrum,
rastris atque ligonibus cesus atque discerptus est; et eius caput in Hebrum proiectum cum
cythara in Lesbon usque delata sunt; ubi cum serpens quidam caput devorare vellet, ab
Apolline in saxum versus est. (Boccaccio, Genealogie, libro V, XII, 3)232
Per questa descrizione della morte di Orfeo Boccaccio si basa, come afferma, sull’opera di
Ovidio. Ci sono infatti molte rassomiglianze tra questo frammento e il mito di Orfeo come
descritto nelle Metamorfosi di Ovidio. Boccaccio sostituisce tuttavia l’episodio della
pederastia di Orfeo con un’altra ragione per la sua morte: Orfeo sarebbe stato ucciso per
229
Hege, op.cit., p. 272.
Un altro breve riferimento alla morte di Orfeo nell’opera di Boccaccio si trova in: De Casibus, I, XII
(Conventus dolentium).
231
Hege, op.cit., p. 268.
232
‘Perciò pianse a lungo e decise di rimanere celibe. Per questo, come dice Ovidio, dopo aver respinto molte
donne che gli chiedevano le nozze e consigliando altri uomini di condurre la vita da celibi, venne in odio alle
donne ; e da quelle, che celebravano le orge di Bacco lungo l’Ebro, fu ucciso e lacerato con rastrelli e zappe e
il suo capo fu gettato nel fiume insieme con la cetra, e giunse a Lesbo, dove un serpente voleva divorarlo; ma
fu da Apollo mutato in sasso.’ Cf. Boccaccio, Esposizioni sopra la Comedia, esp.litt. 322.
230
85
CAPITOLO 2
aver consigliato agli altri uomini di rimanere celibi. A quanto pare Boccaccio non voleva
menzionare l’omosessualità di Orfeo, e perciò immaginò un’altra ragione per cui le donne
cominciarono ad odiarlo. Questa versione di Boccaccio differisce dunque dalle famose
versioni di Virgilio e di Ovidio. L’omissione dell’omosessualità deriva probabilmente da
una morale diversa, uno dei fattori che secondo Stanford determinano l’adattamento di
figure mitologiche (cf. Introduzione), ma può anche essere stata influenzata dalla voglia di
rappresentare Orfeo in modo più positivo per poterlo usare nel libro XIV come strumento
di propaganda. Qualche volta Boccaccio presenta una versione della morte di Orfeo ancora
più straordinaria, che non ho trovato nell’opera di nessun altro autore:
Sed ut ad ea veniamus, que ad Orphei videntur spectare mortem, est sciendum, ut dicit
Theodontius, Orpheum primo Bachi sacra comperisse, et ea iussit apud Traces choris
Menadum, id est mulierum patientium menstruum, ut illas illo tempore auferret a
commixtione virorum, cum non solum abominabile sit, sed etiam perniciosum viris. Quod
cum mulieres post tempus advertissent et existimassent hoc adinventum ad turpitudinem
earum viris detegendam, in Orpheum coniuravere illumque nil tale suspicantem
interfecere ligonibus, et in Hebrum fluvium deiecere.
(Boccaccio, Genealogie, V, XII, 11-12)233
Orfeo avrebbe inventato i riti di Bacco per le donne che avevano le mestruazioni. Così non
potevano avere un rapporto sessuale con gli uomini, perché le mestruazioni erano ritenute
dannose per gli uomini. Le donne pensavano, però, che Orfeo volesse svelare la loro
vergogna agli uomini e perciò lo uccisero.
Nelle Esposizioni sopra la Comedia (1373-74) Boccaccio descrive l’uccisione di
Orfeo in parole simili.234 In ambedue i casi Boccaccio dice di basarsi su un certo
Teodonzio. Tuttavia, l’identità di questo autore non è chiara. Secondo Henry Jocelyn,
Teodonzio aveva una grande fantasia: se la tradizione antica e medievale non gli offriva
una spiegazione convincente di un mito, lui stesso andava costruendo un nuovo
racconto.235
233
‘Ma per venire a ciò che sembra riguardare la morte di Orfeo, è da sapere – come dice Teodonzio – che
Orfeo per primo inventò i sacrifici di Bacco e ordinò in Tracia che fossero fatti dai cori delle Menadi, cioè
dalle donne che pativano la mestruazione, per sottrarle così in quel tempo alla promiscuità con gli uomini,
poiché il mestruo non solo è abbominevole, ma anche nocivo agli uomini. Le donne, dopo qualche tempo, se
ne accorsero e stimarono che ciò fosse stato trovato per scoprire agli uomini le loro vergogne; perciò
congiurarono contro Orfeo e, mentre egli in nessun modo lo temeva, lo uccisero con le zappe e lo gettarono
nel fiume Ebro.’
234
Boccaccio, Esposizioni, canto IV, esp. litt. 325.
235
H.D. Jocelyn, ‘The sources of Boccaccio’s Genealogiae deorum gentilium libri and the myths about early
Italy’, in: L. Rotondi Secchi Tarugi, Il mito nel Rinascimento, Milano, Nuovi Orizzonti, 1993, pp. 17-20.
86
IL MITO COME TOPOS
Boccaccio conclude con un elenco di altri elementi attribuiti al mito di Orfeo da
vari autori. Secondo Lattanzio Orfeo avrebbe introdotto in Grecia i sacrifici di Bacco.
Leonzio afferma che il capo e la cetra di Orfeo erano stati trasportati fino a Lesbo da un
suo ammiratore. Boccaccio stesso dice che il serpente trasformato in sasso significa che il
tempo non era in grado di corrodere il nome di Orfeo: ‘quod quidem huc usque non potuit
egisse quin adhuc famosus existat cum cythara sua, cum ex poetis fere antiquior
repuitetur.’236 Inoltre Orfeo avrebbe scoperto, secondo alcuni scrittori tra cui Plinio, l’arte
dell’auspicio tramite altri animali che non fossero gli uccelli. Secondo altri scrittori Orfeo
avrebbe inventato la cetra. Notevole è infine la menzione della partecipazione di Orfeo al
viaggio degli Argonauti insieme a Giasone (che Boccaccio trovò nell’opera di Stazio e di
molti altri autori). Nel capitolo su Giasone Boccaccio torna su questo viaggio, collocando
anche Orfeo tra gli eroi partecipanti:
Qui expeditione assumpta, fabricata est illi navis longa ab Argo in sinu Pegaso, et Argos ab
autore denominata, nobiles Grecie iuvenes fere omne convocavit, inter quos Hercules fuit.
Fuere preterea Orpheus, Castor, Pollux Zethus, Calays aliique plures splendidissimi genere
et virtute iuvenes, quos ob nobilitatem semideos appellat Statius in Thebaide dicens: «Iam
tum prima cum pube virentem Semideos inter pinus me thessala reges Duceret» etc. Qui a
nomine navis Argonaute appellati sunt. (Boccaccio, Genealogie, libro XIII, XXVI, 1-2)237
Boccaccio introduce in Italia la partecipazione di Orfeo al viaggio degli Argonauti.238 Solo a
metà del Quattrocento questo motivo diventerà popolare nella letteratura e soprattutto
nelle arti figurative (cassoni, § 5.8).
I tre modi in cui Boccaccio analizza in genere i miti non si ritrovano in egual misura
rappresentati nella descrizione del mito di Orfeo. Il ‘sensus moralis’ è spesso presente: gli
animali intorno a Orfeo, la morte di Euridice, la discesa nell’Ade, l’interpretazione di
Fulgenzio e l’uccisione da parte delle Baccanti secondo Teodonzio. Il ‘sensus historicus’
offre delle informazioni sul personaggio storico di Orfeo. Tuttavia, è assente il ‘sensus
naturalis’, che Boccaccio impiega in altre descrizioni della lira.239
236
‘E invero finora il tempo non ha potuto far sì che egli non sia ancora famoso con la sua cetra, poiché fra i
poeti è ritenuto il più antico.’ (Boccaccio, Genealogie deorum gentilium, libro V, XII, 14).
237
‘Giasone si assunse la spedizione e gli fu costruita da Argo nel golfo di Pegaso una nave lunga che dal
costruttore ebbe appunto nome Argo; poi convocò nobili, quasi tutti giovani, fra i quali ci fu Ercole. Inoltre
vennero Orfeo, Castore, Polluce, Zeto, Calai e molti altri giovani splendidi per stirpe e valore, che Stazio nella
Thebais chiama semidei, per la loro nobiltà, dicendo: «Già quando nel vigore della prima giovinezza la nave
tessala mi portava insieme ai re, figli degli dei» ecc. Essi furono chiamati Argonauti dal nome della nave.’
238
Altri riferimenti a Orfeo come Argonauta nel ‘300 si trovano in: Boccaccio, Esposizioni, esp.litt. 324;
Anonimo, Chiose dette del falso-Boccaccio (Inferno), p. 148 (ed. OVI).
239
Hege, op.cit., p. 275.
87
CAPITOLO 2
Boccaccio offre dunque un’immagine quasi completa e relativamente equilibrata di
Orfeo, ma trascura per esempio l’aspetto della sua omosessualità e spiega lo sguardo
indietro come una cosa positiva. Le omissioni e i cambiamenti non sono dovuti ad una
conoscenza limitata del mito di Orfeo, ma dimostrano piuttosto un modo ben consapevole
di elaborare le implicazioni del mito. Boccaccio conosce la descrizione ovidiana
dell’omosessualità e le interpretazioni allegoriche della discesa nell’Ade, ma le distorce,
probabilmente per poter inserire meglio Orfeo nella sua difesa della poesia nel libro XIV.
In altre sue opere Orfeo poeta amante sarà però condannato (§ 2.5).
2.2 LE RIELABORAZIONI DELLE METAMORFOSI
Le Genealogie non costituivano l’unico compendio mitologico nel Trecento. La rassegna
migliore e più completa dei miti antichi erano infatti le Metamorfosi di Ovidio. Bodo
Guthmüller sostiene che la storia della fortuna della mitologia coincide in buona parte con
la storia della fortuna delle Metamorfosi:
Die Geschichte der Tradierung der klassischen Mythologie ist deshalb zu einem guten Teil
eine Geschichte des Weiterwirkens der Metamorphosen, die in Italien wie in Frankreich,
England, Spanien, Deutschland in einer gewaltigen Zahl von lateinischen Handschriften
und Drucken und in zahlreichen und viel gelesenen Übersetzungen verbreitet waren.240
Contrariamente a Boccaccio, Ovidio aveva presentato i miti come racconti divertenti e
affascinanti. Le Metamorfosi erano dunque più adatte come fonte d’ispirazione per
scrittori e poeti.241 Anche al grande pubblico le Metamorfosi erano più accessibili
dell’elenco essenziale ed enciclopedico di Boccaccio.
La conoscenza mitologica necessaria si poteva ottenere in primo luogo dal testo
latino delle Metamorfosi. Tuttavia, il testo ‘originale’ su cui autori e artisti si basavano era
spesso molto diverso da quello che conosciamo oggi: per via di varianti testuali il
significato poteva essere cambiato e le glosse in margine aggiungevano spesso un senso
allegorico. Perciò Guthmüller sostiene:
Es ist deshalb in jedem Fall ein unabdingbares methodisches Postulat, bei der
Interpretation von Werken der Literatur, der Musik, der bildenden Kunst mit
mythologischer Thematik – ebenso wie bei der Deutung von festlichen Umzügen,
240
Guthmüller, Ovidio Metamorphoseos vulgare, cit., p. 12.
Guthmüller, Ovidio Metamorphoseos vulgare, cit., p. 12-13. Siccome le Georgiche di Virgilio, in cui il mito
di Orfeo era anche descritto elaboratamente, non avevano la funzione di trattato mitologico e non erano
molto note nel Trecento, la versione ovidiana del mito diventò più importante.
241
88
IL MITO COME TOPOS
Festspielen, Triumphbögen usw., wie sie vor allem die Renaissance liebte und bei deren
Gestaltung die antike Mythologie eine hervorragende Rolle spielte, - den Renaissance-Ovid
(bzw. den mittelalterlichen Ovid, den Barock-Ovid) anstelle des heutigen zu
konsultieren.242
Insomma, anche se un autore sembra basarsi direttamente sul testo delle Metamorfosi,
come lo conosciamo oggi, dobbiamo stare attenti a deviazioni dall’originale.
Benché gli scrittori si basassero qualche volta su testi latini, i riferimenti ai miti
ovidiani spesso non citavano dal testo ‘originale’ di Ovidio, ma da certi testi intermedi
come i volgarizzamenti. Naturalmente non solo gli umanisti, ma anche gli uomini che
sapevano leggere solo il volgare dovevano avere una buona conoscenza delle Metamorfosi
per poter capire tutti i riferimenti mitologici nella Divina Commedia di Dante, nella
Fiammetta di Boccaccio, nelle arti figurative o nella musica.243
I volgarizzamenti e i commenti trecenteschi delle Metamorfosi non sembrano aver
influenzato in modo rilevante altri testi di questo periodo. Mancano, come vedremo nei §§
2.3 a 2.7, dei riferimenti all’omosessualità e alla morte di Orfeo. Nondimeno, i
volgarizzamenti offrono una buona idea della rappresentazione di Orfeo in testi di questo
tipo e formano la base di una serie di traduzioni cinquecentesche delle Metamorfosi. Le
traduzioni o volgarizzamenti non erano traduzioni nel senso moderno della parola: i
traduttori cambiavano o aggiungevano spesso degli elementi, creando così delle grandi
divergenze rispetto all’originale. Le traduzioni di Ovidio rispecchiano bene la situazione
letteraria e culturale del periodo, perché il traduttore non cambia dettagli senza che ce ne
sia un motivo.244
Nei paragrafi seguenti discuterò i tre commenti/volgarizzamenti di Ovidio più noti
del Trecento, cioè la traduzione letterale di Arrigo Simintendi, il commento latino di
Giovanni del Virgilio, e il volgarizzamento di Giovanni dei Bonsignori.245
242
Guthmüller, Ovidio Metamorphoseos vulgare, cit., pp. 13-14.
Guthmüller, Ovidio Metamorphoseos vulgare, cit., p. 11.
244
Guthmüller, Ovidio Metamorphoseos vulgare, cit., p. 22.
245
Nella seconda metà del Trecento e nel Quattrocento i volgarizzamenti delle Metamorfosi continuavano ad
esistere, ma erano spesso fabbricati da autori meno importanti. In conseguenza di ciò queste traduzioni
erano di un livello letterario basso; il loro scopo principale era di difondere i miti. Questo si vede ne Le Favole
di Ovidi di Gerolamo da Siena (prima della metà del ‘400), che sono una parafrasi ancora più breve dell’opera
di Bonsignori. Il testo è stato trasmesso in un solo manoscritto e probabilmente non ebbe dunque una grande
influenza sulla percezione dei miti nel Quattrocento. Per via dell’importanza minore della traduzione di
Gerolamo da Siena, non la discuterò in questo paragrafo.
243
89
CAPITOLO 2
2.2.1 L’Ovidio maggiore, una traduzione letterale
L’Ovidio maggiore (prima del 1333-34) di Arrigo Simintendi è la prima traduzione delle
Metamorfosi in italiano.246 Simintendi riduce l’opera poetica ad un testo in prosa,
traducendo il testo dall’originale latino e non aggiungendo significati allegorici al fine di
adattare il testo pagano al cristianesimo. L’autore imita lo stile di Ovidio, cercando
nondimeno di chiarire e di semplificare certi particolari. Questi chiarimenti e queste
semplificazioni si possono trovare anche nella descrizione del mito di Orfeo. Dopo aver
riportato l’arringa di Orfeo davanti a Plutone, Simintendi traduce il passo sull’effetto del
canto nell’inferno nella maniera seguente:
L’anime sanza sangue piagnevano colui che dicea cotali cose, e che movea e nerbi della
cetera alle parole: Tantalo non si chinò per pigliare la fugente acqua: la ruota di Ission si
maravigliò: gli avoltoi non presono lo fegato di Tizio: le figliuole di Belo si cessaro dalle
sipolture: tu, Sifeo, sedesti nel tuo sasso. Dicesi che le gote delle furie Eumenide, vinte per
gli versi d’Orfeo, allora di prima si bagnaro di lagrime: e la moglie di Pluto non sostenne
d'essere dura al pregante; nè colui, che regge le cose di sotto, non sostenne di negare.
(Arrigo Simintendi, Metamorfosi d’Ovidio volgarizzate, X)
Rispetto al testo di Ovidio il traduttore ha aggiunto alcuni nomi per chiarire l’identità dei
personaggi mitologici menzionati. Simintendi parla per esempio esplicitamente del fegato
di Tizio, delle furie Eumenidi e della moglie di Pluto. Ci sono dunque delle piccole aggiunte
al testo di Ovidio per fare una concessione ad un pubblico meno familiare con la mitologia
classica, ma in genere questa traduzione è piuttosto letterale.247
Una differenza notevole per quanto riguarda il contenuto tra il testo ‘originale’ di
Ovidio e la traduzione si trova nelle ultime parole di Euridice a Orfeo:
E l’ultima cosa disse, A dio t’accomando; la quale appena quegli potè ricevere nelli orecchi.
(Arrigo Simintendi, Metamorfosi d’Ovidio volgarizzate, X)
Benché Simintendi non allegorizzi i miti per conciliarli con il cristianesimo, introduce qui
un elemento cristiano nelle parole di Euridice. Invece del saluto generale ‘vale’ la ragazza
dice: ‘A dio t’accomando’. Inoltre le Baccanti, che da Ovidio sono descritte come
‘sacrilegae’, sono indicate da Simintendi con la parola più cristiana ‘scomunicate’. In questi
246
Guthmüller, Ovidio Metamorphoseos vulgare, cit., pp. 104-108.
Quando Ovidio scrive ‘urnisque vacarunt Belides’, allude alle Danaidi che erano dannate a portare acqua a
un barile senza fondo. Quando le Danaidi sentono il canto di Orfeo lasciano stare le loro urne. Simintendi
traduce invece: ‘le figliuole di Belo si cessaro dalle sipolture.’ A quanto pare non conosce il mito delle
Danaidi, perché interpreta la parola ‘urna’ come un’urna funeraria. Altre piccole divergenze dal testo di
Ovidio sono la traduzione di Sisifo come Sifeo e della frase ‘obstrepuere sono citharae’ come ‘le cetere feceno
grande suono’, il che mostra che Simintendi qualche volta non ha capito bene il latino.
247
90
IL MITO COME TOPOS
casi il traduttore mostra di essere radicato in una cultura cristiana, anche se non si sforza
di cristianizzare il mito.
Tranne questi pochi cambiamenti del testo ovidiano, Simintendi si dimostra un
traduttore fedele, descrivendo tutti i particolari del mito di Orfeo, compreso l’episodio
della sua pederastia. Aggiunge soltanto alcune rubriche quando comincia una nuova
sequenza del mito, come ‘E prima d’Orfeo e di Euridice sua moglie’ (all’inizio del capitolo
X) o ‘Come Orfeo, per lo suo canto e per lo sonare della cetera, facea muovere gli alberi e le
fiere’ (prima della descrizione dell’omosessualità). Fattori linguistici non hanno dunque
cambiato l’essenza del mito e del personaggio di Orfeo.
2.1 Anonimo, La morte di Euridice, in Arrigo da Simintendi, Ovidio Maggiore, 1370-80
Esiste un manoscritto della traduzione di Simintendi con illustrazioni (ca. 1370-1380).248 Il
mito di Orfeo è illustrato con due disegni. Nel primo disegno le amiche di Euridice
afferrano la ragazza quando muore (ill. 2.1). A sinistra si vede la testa del serpente che l’ha
morsa. L’altro disegno raffigura Orfeo con gli animali (ill. 2.2). Orfeo è rappresentato
come un uomo barbuto con una lunga veste e un cappello orientale. Suona il liuto per un
gruppo di uccelli a sinistra e per altri animali (feroci e addomesticati) a destra. Queste
immagini trecentesche di Orfeo, che furono disegnate ancora prima dell’immagine di
Orfeo e degli animali nel De deorum imaginibus libellus (cf. § 1.5.3), sono molto rare.
248
Firenze, Biblioteca Nazionale Centrale, MS Panciatichi 63, fol. 84v e fol. 86r.
91
CAPITOLO 2
2.2 Anonimo, Orfeo e gli animali, in Arrigo da Simintendi, Ovidio Maggiore, 1370-80
I disegni mostrano bene che i vestiti di Euridice e Orfeo e il suo strumento (che secondo
Anna Maria Francini Ciaranfi è una mandola) si conformano alla moda del Trecento.249
L’aspetto esteriore di Orfeo si trasforma dunque per motivi di assimilazione storica.
L’immagine stereotipata di Orfeo tra gli animali continuerà a manifestarsi nei manoscritti
e in altre opere d’arte italiane nei secoli successivi. Anche la morte di Euridice è popolare
nei manoscritti e si trasferirà alle xilografie e ad altre opere d’arte alla fine del
Quattrocento.
2.2.2 Le allegorie di Giovanni del Virgilio e Giovanni dei Bonsignori
Oltre ai manoscritti del testo latino delle Metamorfosi e alla traduzione quasi letterale di
Arrigo Simintendi, l’opera di Ovidio si diffondeva anche attraverso i commenti scolastici e
una traduzione libera, che era piuttosto una specie di parafrasi allegorica. Nel primo
capitolo abbiamo discusso i commenti francesi del dodicesimo secolo alle Metamorfosi di
Ovidio, come quello di Arnolfo di Orléans. Ovidio era uno degli autori più studiati nelle
scuole. Questa popolarità di Ovidio giunse anche in Italia, dove l’autore latino fu accolto
nel canone degli autori principali. Si tratta in questo caso soprattutto delle Metamorfosi
(che erano anche indicate come ‘Ovidius maior’) e non delle opere amorose. Giovanni del
Virgilio, poeta e professore di grammatica e di retorica a Bologna, scrisse due opere
importanti sulle Metamorfosi: una parafrasi dei miti (che è stata trasmessa solo in forma
manoscritta) e un commento allegorico.250
249
A.M. Francini Ciaranfi, ‘Appunti su antichi disegni fiorentini per le "Metamorfosi" di Ovidio’, in: Scritti di
storia dell'arte in onore di Ugo Procacci, vol. I, a.c.d. M.G. Ciardi Dupré Dal Poggetto e P. Dal Poggetto,
Milano, Electa, 1977, pp. 177-183.
250
Uno dei manoscritti in cui è stata trasmessa la parafrasi (o Expositio) di Del Virgilio si trova a: Roma,
Biblioteca Casanatense, cod. 1369. Il commento allegorico è stato pubblicato in: F. Ghisalberti, ‘Giovanni del
Virgilio espositore delle Metamorfosi’, Giornale dantesco 34, NS 4 (1931), pp. 89-93.
92
IL MITO COME TOPOS
Giovanni del Virgilio congiunge nell’Allegorie librorum Ovidii Metamorphoseos
prosaice ac metrice compilate (1322-23) la prosa di Arnolfo con i versi di Giovanni di
Garlandia in un prosimetro: dopo ogni allegoria in prosa segue un riassunto dell’essenza in
versi. Nell’introduzione al primo libro Giovanni del Virgilio spiega l’intenzione della sua
versione delle Metamorfosi ovidiane:
Quoniam uniuscuiusque poete finis sit mentes hominum moribus informare in omnibus,
unde in principio huius libri alibi dictum est quod ethice i. morali philosophie supponitur,
ideo unaqueque transmutatio in hoc libro descripta merito ad mores est penitus reducenda.
(Giovanni del Virgilio, Allegorie, liber I)251
L’autore vuole ridurre ogni metamorfosi descritta nel suo libro alla sua lezione morale, e
ciò facendo si dimostra dunque un seguace della tradizione allegorico-morale.
Il rifacimento delle Metamorfosi di Giovanni dei Bonsignori si basa in buona parte
sull’opera di Giovanni del Virgilio.252 L’autore adoperò l’Expositio delvirgiliana per le parti
narrative, mentre le Allegoriae formarono la base per le sue spiegazioni allegoriche,
integrate con aggiunte originali.253 Erminia Ardissino mostra che la maggior parte degli
autori antichi citati è già presente nell’opera di Del Virgilio. Tuttavia, Bonsignori cita anche
delle fonti non presenti nell’opera del suo predecessore.254
Nel proemio all’Ovidio metamorphosis vulgare (1375-77), che è indirizzato a Dio,
Bonsignori informa il lettore sulla struttura della sua traduzione: dopo i brevi riassunti
delle favole lui spiegherà allegorizzando l’intenzione di Ovidio:
Rege et guberna la mano e concedi l’ingegno a le parte formare la presente composizione, sì
che per me sia con laudabile e contento reposo declarato im prosa vulgare e ricolto in breve
sermone le istorie e favole del libro maggiore del poeta Ovidio ditto Metamorphoseos, sotte
le cui favole allegorizzando declaro sub brevità l’effetto del libro e la intenzione del
prelibato autore. El quale scritto e composto sia in forma che diletto ed utilità daria alli
251
‘Siccome è lo scopo di ogni poeta di informare le menti degli uomini in tutte le cose morali, onde all’inizio
di questo libro è detto in modo diverso quello che è ritenuto etico cioè a seconda la filosofia morale, perciò
ogni trasformazione descritta in questo libro va ridotta alla morale.’ Il testo latino è citato dall’edizione di
Ghisalberti (op.cit.).
252
Guthmüller, Ovidio Metamorphoseos vulgare, cit., p. 74. Benché Bonsignori cominciasse a tradurre o
piuttosto a parafrasare le Metamorfosi dal latino di Ovidio, alla fine del primo libro (il mito di Io) la
traduzione si trasforma già in una parafrasi dell’opera di Ovidio che si basa sulla versione di Giovanni del
Virgilio.
253
Giovanni Bonsignori da Città di Castello, Ovidio Metamorphoseos vulgare, a.c.d. E. Ardissino, Bologna,
Commissione per i Testi di Lingua, 2001, p. XIII.
254
Ardissino, op.cit., pp. XII-XIII.
93
CAPITOLO 2
vulgari studenti ed alli ioveni li quali d’alta scienza legere con acuto e sottile pensero se
dilettano in autori e poesia. (Bonsignori, Ovidio metamorphoseos vulgare, proemio, 3-4)255
Lo scopo del libro di Bonsignori è di dare ‘diletto ed utilità’ agli studenti italiani e ai giovani
letterati cui piace leggere la poesia. Secondo Bonsignori ci sono quattro modi di parlare,
che possono divertire gli uditori: la storia, la leggenda, la favola e la novella. Le
Metamorfosi di Ovidio consistono di favole, cioè racconti impossibili, che vanno spiegate
in modo allegorico.256 Leggendo delle favole poetiche divertenti se ne possono trarre utili
insegnamenti, allorché si scopre il significato allegorico che vi è nascosto. Quale lezione
morale o quale verità si nasconderebbe nelle Metamorfosi di Ovidio? Questo Bonsignori lo
spiega poco dopo, parlando delle ragioni principali per scrivere dei libri: sotto le favole di
Ovidio si trova la vera dottrina della religione cristiana. Leggendo gli errori degli uomini
antichi, possiamo trovare la dottrina cristiana.257 Le allegorie vanno considerate dunque
delle aggiunte importanti.
Il mito stesso vi è parafrasato solo brevemente. Siccome la traduzione di Bonsignori
segue quasi letteralmente il testo di Del Virgilio, tratterò le due opere insieme, partendo
dalla versione italiana che ebbe un’influenza notevole in Italia fino ai primi decenni del
Cinquecento.258 Nelle note al testo di Bonsignori, Ardissino elenca i passi ripresi
direttamente da Ovidio, e quelli che derivano, invece, dal rifacimento latino di Del Virgilio.
L’aggiunta più notevole al testo ovidiano nel decimo libro è la menzione di Aristeo
come causa della morte di Euridice. La figura di Aristeo è presa dall’Expositio delvirgiliana,
che conobbe la figura forse dall’Ovide moralisé.259
Oltre alle aggiunte al testo di Ovidio, Bonsigori e Del Virgilio omettono anche molti
dettagli coloriti per ridurre il lungo racconto ovidiano. Come Bonsignori aveva detto nel
proemio, egli non si interessava tanto all’intreccio delle favole, quanto al loro significato
allegorico. Nella versione di Bonsignori la reazione di Euridice alla sua seconda morte
255
Per il testo di Bonsignori faccio uso dell’edizione critica di Ardissino, op.cit. Nell’introduzione al testo
Ardissino mostra l’importanza di un’edizione critica per le grandi differenze tra la tradizione manoscritta e
quella stampata (p. XVI).
256
Bonsignori, Ovidio metamorphoseos vulgare, proemio, 10.
257
Bonsignori, Ovidio metamorphoseos vulgare, proemio, 18. Anche da un’altra versione del Proemio o
dell’accessus da cui cita Guthmüller risulta che l’autore non aveva l’intenzione di rendere i miti antichi
accessibili al lettore, perché li considerava pericolosi senza una spiegazione allegorica: 'E ttu, lettore, alle cose
che troverrai nel presente volume, non portare in quelle fede, se non pigliando li amaestramenti delle
alligorie, acciò che non deviassi dal diritto propponimento, onde per questo errassi nella cattolica fede né ‘l
conpositore portasse pena perpetua.’ (Bonsignori, Ovidio Metamorphoseos vulgare, Accessus, f. 13v; citato
da: Guthmüller (1981), op.cit., p. 78).
258
Il decimo libro di Bonsignori è suddiviso in alcuni capitoli con titoli che riassumono il contenuto del mito.
Invece, Giovanni del Virgilio divise ogni libro delle Metamorfosi in una serie di ‘mutationes’. Il punto di
partenza per l’allegoria è dunque sempre la trasformazione o ‘mutatio’.
259
Ovide moralisé, X, v. 27.
94
IL MITO COME TOPOS
differisce alquanto dall’originale. Mentre Ovidio la rappresentava come una sposa amante,
che non poteva lamentarsi del troppo amore del marito, Bonsignori la rappresenta come
piuttosto indifferente:
Allora Orfeo stese le braccia per pigliarla, ma perch’ella era morta non se curava del marito,
elli molto l’amava e per lo dolore Orfeo quasi deventò sasso.
(Bonsignori, Ovidio metamorphoseos vulgare, Libro X, Capitulo V)
Questo cambiamento rispetto al testo ovidiano non è riprodotto letteralmente
dall’Expositio di Del Virgilio, che parla di Euridice in maniera ancora più negativa (‘unde
adhuc mortua est et conquerebatur de marito quia minus dilexerat eam’).260 Bonsignori
sembra aver cercato qui di attuare un compromesso tra i suoi predecessori. Siccome la
figura di Euridice è rappresentata in modo meno positivo, Orfeo diventa indirettamente
più simpatico.
Un’altra grande differenza tra il testo di Bonsignori e quello di Ovidio è la presenza
di Cerbero, al posto di Caronte, che vieta Orfeo di rientrare nell’Ade:
Essendo ritornato Orfeo nella mente, sì discese da capo nell’inferno per reavere Euridice, ed
andando arrivò al fiume de Acheronte; el cane portinaio, cioè Cerbero, non lassò passare
oltra; per la qual cosa Orfeo stette lì sette dì e sette notti senza avere alcuno guiderdone, ma
el dolore era llui cibo e le lagrime erano beveragio.
(Bonsignori, Ovidio metamorphoseos vulgare, Libro X, Capitulo VII)
La figura di Cerbero figurava anche nel testo di Giovanni del Virgilio che parlava del ‘canis
portitor’, interpretando il traghettatore (‘portitor’) come portiere. Qui un piccolo equivoco
linguistico sembra aver causato un grande cambiamento nel mito di Orfeo. Il cane era,
però, già presente nel commento a Ovidio di Arnolfo d’Orléans. Cerbero tornerà ad avere
maggiore rilevanza nell’arte cinquecentesca.261
260
Nel manoscritto non si vede bene se l’autore abbia voluto scrivere ‘nimis’ oppure ‘minus’, il che provoca
una grande differenza interpretativa.
261
Un piccolo cambiamento rispetto al testo ovidiano, che è probabilmente causato da problemi linguistici, si
trova nel capitolo sulla morte di Orfeo (cap. 3). Ovidio dice che tutti gli animali radunati intorno a Orfeo
fuggirono dalle Baccanti, le quali poi circondarono Orfeo come uccelli oppure come cani che circondano il
cervo nell’arena. Bonsignori ha distorto le parole di Ovidio e quelle di Del Virgilio, cosicché nella sua
versione sono gli animali a circondare Orfeo per difendere il cantante. Bonsignori, Ovidio metamorphoseos
vulgare, Libro XI, Capitulo III, 2-4. Nel resto del capitolo mancano pure alcuni dettagli vivaci, come i fiumi
che crescono dalle loro lacrime. Poi le parole di Bonsignori suggeriscono che furono gli animali a smembrare
Orfeo, come nel testo di Del Virgilio. Tranne l’indicazione di Apollo come ‘dio delli poeti per la sapienza’ il
racconto continua senza cambiamenti rispetto all’originale ovidiana. Notevole è poi l’interpretazione del
monte Rodope come un’isola e l’omissione del monte Emo.
95
CAPITOLO 2
Tuttavia, le aggiunte maggiori al testo di Ovidio sono costituite dalle cosiddette
allegorie, che concludono ogni sezione del mito di Orfeo. Dopo i primi cinque capitoli di
Bonsignori segue la prima allegoria di Orfeo, nella quale si vede subito la dipendenza dalle
Allegorie di Giovanni del Virgilio:262
Le allegorie del decimo libro sono XIIII; la prima è come Orfeo andò all’inferno. Orfeo fu
de Grecia e fu savissimo uomo e bello parlatore, e perciò se dice che fu figliuolo de Apollo,
dio de la sapienza. La madre sua se dice che fu Caliope, musa della eloquenza; costui tolse
per moglie una donna chiamata Euridice, e tanto è a dire “euridice” quanto che “profundo e
ragionevole giudizio”, perciò che profundamente e derittamente giudicava. Ma essendo
questo senno ed andando per lo prato, cioè mentre che se delettava delle cose mundane,
Aristeo, cioè la mente divina, sì la seguitava; allora el serpente, cioè el demonio de l’inferno,
sì le diede di morso e sì la uccise. Ciò s’intende che ‘l demonio tresse Orfeo della bona via;
vedendose Orfeo avere perduta la bona mente, cominciò a pregare dio umilmente, allora
questa memoria li fu renduta sotto questa legge, ch’elli non se voltasse indietro, cioè che
più non se lassasse tentare al demonio. Ma dice che se voltò indietro e ruppe la legge, allora
li fu ritolta Euridice, cioè la memoria, onde procede el deritto giudicio. Allora Orfeo
cominciò a <spregia>re le donne, cioè ogni cosa mundana li era in dispregio, e
combatteano contra de lui, come se dirrà, perché dice che s’era dato ad usare con li gioveni.
Ciò s’intende che ‘l cominciò virilemente ad operare onde fu morto dalle donne, cioè ch’elli
fu morto dal mondo, sì come muoiono li altri nel mondo, e così trovò lo spirito de Euridice,
cioè che, levato el velamento del corpo, l’anima retrova la mente, cioè allora è d’ogni cosa
chiara. (Bonsignori, Ovidio metamorphoseos vulgare, Libro X, Allegoria A)
Non ci sono quasi delle differenze tra l’allegoria di Bonsignori e quella di Del Virgilio.
Ghisalberti sostiene che l’allegoria di Giovanni del Virgilio sia in fondo la stessa allegoria di
quella nelle Allegorie super Ovidii Metamorphosin di Arnolfo di Orléans.263 Tuttavia, si
vedono anche delle analogie con il commento boeziano di Guglielmo di Conches (e di
Nicolas Trivet). Ardissino mostra che l’etimologia del nome di Euridice si rifa
originariamente alle Mythologiae fulgenziane, mentre quella di Aristeo è delvirgiliana.
L’identificazione del serpente con il diavolo si trovava anche nell’Ovide moralisé.
Benché sia Del Virgilio che Bonsignori menzionino l’interpretazione negativa della
discesa nell’Ade e l’omosessualità, Orfeo non è condannato per le sue azioni. Guardando
indietro a Euridice Orfeo soccombe alle tentazioni, ma quando finalmente si allontana
dagli inferi, lascia queste tentazioni spregiando le donne (in quanto cose terrene). La sua
omosessualità è vista come comportamento virile. Così il comportamento di Orfeo è
trasformato in qualcosa di positivo. Ciononostante Orfeo è ucciso dalle donne (dal
mondo). Infine Orfeo ed Euridice sono riuniti nella morte, come descrive Ovidio. Solo alla
262
263
Giovanni del Virgilio, Allegorie, liber X, 1.
Ghisalberti, op.cit., p. 89, n. 1.
96
IL MITO COME TOPOS
fine Bonsignori fa una piccola digressione rispetto al suo modello, spiegando che quando
Orfeo ritrovò lo spirito di Euridice, l’anima ritrovò la mente. Nel commento di Del Virgilio
segue ancora una specie di riassunto in versi dopo l’interpretazione allegorica, che non è
ripresa da Bonsignori.264
L’allegoria principale dell’undicesimo libro è per la maggior parte nuova e non
segue dunque le Allegorie di Giovanni del Virgilio. Solo l’ultima parte dell’allegoria, in cui
Bonsignori spiega moralmente alcuni elementi del racconto, si basa sul testo delvirgiliano.
Dalla prima parte risulta come Bonsignori voglia da una parte spiegare le favole in maniera
realistica (come fa a lungo nella prima allegoria di questo libro), ossia spiegare ‘la verità
della istoria’:265
El presente undecimo libro ha in sé nove trasmutazioni, la prima è del serpente mutato in
sasso. La verità della istoria fu questa: Orfeo fu uno grande filosofo e delettòse in canto ed
in suono, cioè nell’arte musicale. Custui uno dì andò a sonare in uno monte, dove
contemplava el corso d’una stella, e quando li era troppo tedio lu studio, per tranquillare
tempo, sonava la cetira. E tornando elli a casa se scuntrò in donne, le quali per farlo sonare
lu ‘ngannaro con mistura de molti vini, onde lu enebriaro, e così ebrio, passando el fiume
Ebro, s’anegò dentro. [...]
(Bonsignori, Ovidio metamorphoseos vulgare, Libro XI, Allegoria A)
Secondo questa spiegazione Orfeo non era un poeta e musicista, ma un filosofo e forse un
astrologo che come passatempo si divertiva con la cetra. La circostanza della morte di
Orfeo descritta da Bonsignori è molto particolare: alcune donne gli diedero del vino per
farlo suonare, dopodiché lui annegò ubriaco nel fiume Ebro.
L’ultima parte dell’allegoria segue quella delvirgiliana. Da questa parte risulta che
oltre alla verità storica Bonsignori, vuole studiare la morale nascosta nelle favole:
Moralmente dovemo così intendere: per lo serpente intendo l’uomo invidioso, per Orfeo
intendo l’uomo de bona fama, cui el serpente vuol divorare, cioè el capo de Orfeo, ch’è la
bona fama. Ma intanto è vinto, che la bona fama sormonta all’invidioso, perciò ogni cosa
ch’è vinta si pò dire convertita in sasso, perciò che remane senza sentimento.
(Bonsignori, Ovidio metamorphoseos vulgare, Libro XI, Allegoria A)
Come nelle altre allegorie di Bonsignori, la parte in cui è presentata la morale della favola
dipende maggiormente dalle Allegorie delvirgiliane. Bonsignori aggiunge però spesso una
spiegazione storica dei fatti266 e, pur impiegando l’allegoria morale, come avevano fatto Del
264
Giovanni del Virgilio, Allegorie, liber X, 1, 575-584.
Notevole è l’uso del termine ‘istoria’, mentre nel proemio Bonsignori aveva spiegato di non scrivere storie,
ma favole.
266
Anche Ardissino nota quest’evoluzione di Bonsignori rispetto all’opera di Del Virgilio (op.cit., p. XIV).
265
97
CAPITOLO 2
Virgilio e i commenti ovidiani precedenti, aggiunge delle spiegazioni evemeristiche.267
Anche la spiegazione allegorica della trasformazione delle donne si basa di nuovo sulle
Allegorie di Giovanni del Virgilio. In questa allegoria (nella parte morale) Orfeo sta per
l’uomo virtuoso ed Euridice per la profonda memoria.
L’immagine complessiva di Orfeo è dunque positiva. Le aggiunte principali al mito
riguardano le figure di Aristeo e di Cerbero. Nelle Allegorie si offrono sempre delle
spiegazioni storiche e morali del mito, dalle quali Orfeo emerge come un uomo saggio ed
eloquente o come un filosofo.
La grande importanza dell’Ovidio metamorphoseos vulgare di Bonsignori risiede
nella sua grande divulgazione nel Quattrocento e all’inizio del Cinquecento. Soprattutto le
edizioni stampate dell’opera a partire del 1497 ebbero un grande successo. Fu l’unica
traduzione di Ovidio pubblicata e diffusa ampiamente in quel periodo, finché Agostini
pubblicò nel 1522 la sua nuova traduzione delle Metamorfosi. Nel capitolo 5 discuteremo
l’edizione stampata di Bonsignori e le traduzioni cinquecentesche delle Metamorfosi.
2.3 POETA E MUSICISTA ESEMPLARE
La dominanza del motivo della musica nei riferimenti letterari a Orfeo del Trecento e del
Quattrocento non è molto sorprendente, data l’importanza della musica in ogni aspetto del
mito. Già prima del suo matrimonio con Euridice Orfeo era un cantante meraviglioso; la
sua musica ebbe una funzione importante nel suo viaggio con gli Argonauti e durante la
discesa nell’Ade nel tentativo di far ritornare Euridice; la musica di Orfeo incantava gli
animali e la natura e perfino dopo la sua morte la testa e la lira di Orfeo continuavano a
cantare. Anche nella letteratura italiana tre e quattrocentesca la maggior parte dei
riferimenti a Orfeo riguarda dunque il suo talento musicale.
Nonostante le lunghe descrizioni del mito di Orfeo e le sue interpretazioni svariate
da parte di Boccaccio, Simintendi e Bonsignori, i riferimenti a Orfeo e alla sua musica in
altri autori sono molto brevi e molto simili. La figura di Orfeo è un vero topos retorico, che
si adopera quando si parla di musica. Secondo Rosa Maria San Juan, la figura di Orfeo che
incanta gli animali con la sua musica era un elemento fisso nelle prefazioni a trattati di
poetica e di retorica.268 Questo potrebbe spiegare il fatto che tutti i riferimenti a Orfeo sono
molto simili e sembrano avere soprattutto una funzione retorica. Anche John Block
267
Anche Boccaccio nelle Genealogie e Salutati nel De laboribus Herculis offrono delle spiegazioni
evemeristiche di Orfeo.
268
R.M. San Juan, The legend of Orpheus in Italian Art 1400-1530, School of Combined Historical Studies,
The Warburg Institute/University of London, 1983, p. 57. Secondo San Juan la maggior parte di questi testi
era anonima e ripeteva sempre la stessa interpretazione. Non fa menzione, però, di nessun testo concreto.
Inoltre, non è completamente chiaro di che periodo parla.
98
IL MITO COME TOPOS
Friedman nota che dall’undicesimo al quindicesimo secolo gli studenti dovevano scrivere
delle poesie su argomenti mitologici per esercitarsi nel metro latino e nell’uso delle figure
retoriche.269 Le Eroidi e le Metamorfosi di Ovidio erano le fonti più popolari per questi
compiti. Tra le poesie trasmesse alcune trattano di Orfeo (§ 1.5.5). Gran parte degli autori
italiani aveva dunque conosciuto Orfeo a scuola durante le lezioni di grammatica e
retorica, cosa che si rispecchia nel loro modo di trattare questa figura.
Orfeo è considerato l’esempio per eccellenza del poeta-musicista e la sua musica è
considerata perfetta. In molti riferimenti trecenteschi a Orfeo il suo nome potrebbe essere
sostituito facilmente con la parola ‘musica’: il nome di Orfeo o il suo strumento diventano
una specie di simbolo o personificazione della musica. Non c’entra tanto la presenza della
figura mitologica, quanto la presenza della musica.270 Si possono distinguere alcune
situazioni di base che si ritrovano in molti testi:
il poeta avrebbe bisogno della cetra di Orfeo (cioè di musica o poesia sublime) per
poter descrivere la bellezza di una donna;
bisognerebbe avere la cetra di Orfeo per poter sedurre una donna;
neanche la cetra di Orfeo (la musica) potrebbe rallegrare una persona triste.
La musica di Orfeo ha dunque delle funzioni diverse: può descrivere la bellezza di una
donna, ma può anche dare conforto. Questa differenza proviene forse dal fatto che anche
nel mito antico Orfeo canta in occasioni diverse: prima della morte della moglie Orfeo
suona la cetra senza motivo o per celebrare una festa; quando Euridice è morta, Orfeo
adopera la musica come mezzo di persuasione nei confronti di Plutone e dopo la seconda
morte di Euridice il cantante cerca conforto nella sua musica. Queste funzioni della musica
di Orfeo le rivediamo anche nella letteratura italiana.
Molto frequenti sono le descrizioni del primo tipo. Nelle sue Rime Giovanni
Boccaccio dice che perfino il dolce canto di Orfeo o di Anfione non sarebbe in grado di
descrivere la bellezza della donna amata. Nemmeno Boccaccio stesso riuscirà dunque a
descrivere questa bellezza ‘in versi diseguali’ e ‘senza suono’:
Quel dolce canto col qual già Orfeo
Cerbero vinse e il nocchier d’Acheronte,
o quel con ch’Anfion dal duro monte
tirò li sassi al bel muro dirceo;
o qual d’intorn’al fonte pegaseo
cantar più bel color che già la fronte
s’ornar d'alloro, con le Muse conte
uomo lodando o forse alcun deo:
sarebbe scarso a commendar costei,
269
270
Friedman, Orpheus in the Middle Ages, cit., p. 164.
Un esempio di un tale uso della figura di Orfeo si trova in: Boccaccio, Filocolo, IV, 121, 5.
99
CAPITOLO 2
le cui bellezze assai più che mortali
e i costumi e le parole sono.
E io presumo in versi diseguali
di disegnarle in canto senza suono!
Vedete se son folli i pensier miei!
(Boccaccio, Rime, parte prima, VIII)
Il fatto che Orfeo accompagni le sue parole con il suono della cetra (e non ‘senza suono’)
sembra attribuire un valore addizionale a queste parole. La combinazione di musica e
poesia risulta il punto forte di Orfeo. Infatti, la combinazione delle funzioni di poeta e
musicista è tipico di Orfeo. Elizabeth Newby sottolinea che il suo nome è solo di rado
associato alla poesia puramente recitata o alla musica strumentale.271 Fin dall’antichità la
musica e la poesia lirica erano spesso considerate la stessa cosa.272 La combinazione di
Orfeo con un altro musicista famoso rafforza ancora la sua reputazione come musicista per
eccellenza e come simbolo della musica. I poteri musicali di Orfeo ed Anfione sono
menzionati come topos, quando si parla della forza della musica.273
Anche in un sonetto di Giusto de’ Conti (ca. 1390-1449) la bellezza di una donna
deve essere cantata dalla cetra di Orfeo e non da una zampogna:
Le sue virtù, la beltà, la maniera
Son d’altri assai più degni omeri some,
Et da cetra d’Orfeo, non da sampogna.
(Giusto de’ Conti, Canzoniere, 203, vv. 12-14)
271
E. A. Newby, A Portrait of the Artist: the Legends of Orpheus and Their Use In Medieval and Renaissance
Aesthetics, New York, Garland Publishing, Inc., 1987, p. 3.
272
D. Harrán, ‘Orpheus as Poet, Musician and Educator’, in: R. Charteris, Essays on Italian Music in the
Cinquecento, Sydney, Frederick May Foundation for Italian Studies, 1990, p. 267; Newby, op.cit., p. 4.
273
La combinazione di Orfeo ed Anfione si trova frequentemente nella letteratura italiana del Trecento e del
Quattrocento, ma occorreva già nell’antichità, quando Orazio si soffermò sulle qualità dei due cantanti
nell’Arte poetica (§ 1.3.3). Secondo la tradizione Anfione voleva erigere un muro intorno alla città di Tebe,
che aveva appena conquistato. Al suono della sua lira le pietre formarono un muro di propria volontà. Sia
Orfeo che Anfione sono dunque in grado di incantare la natura inanimata con la loro musica. Un altro
musicista mitico a cui Orfeo è paragonato tradizionalmente è Arione. Il mito di Arione proviene
originariamente dalle Storie di Erodoto (I, 23-24). Lo scrittore greco racconta come Arione, che era il
cantante e citaredo più famoso del suo tempo, faceva un viaggio per mare in Italia ed in Sicilia. Ritornando a
casa l’equipaggio della nave voleva uccidere Arione per appropriarsi così delle ricchezze che lui aveva
raccolto in Italia. Arione ottenne, però, il permesso di cantare un’ultima canzone. Dopo aver cantato nel
modo più bello che poteva, Arione saltò nel mare ed era salvato da un delfino, che lo portò alla riva. Arione
tornò alla corte di Periandro a Corinto, dove aveva vissuto per molto tempo prima del viaggio, svelando la
frode dell’equipaggio al re.
100
IL MITO COME TOPOS
Il contrasto tra la cetra e la zampogna simboleggia il contrasto tra la musica alta e la
musica inferiore. Rincontreremo questo contrasto nella Fabula di Poliziano (cap. 4), dove
Orfeo suona la lira e Aristeo la zampogna.274
La cetra di Orfeo, cioè la competenza di suonare e cantare, può anche essere una
qualità necessaria per far innamorare una donna. Nella Comedia delle ninfe fiorentine di
Boccaccio Ameto si compiange di non avere né il talento di Orfeo né altre caratteristiche
utili per piacere alla donna amata (Lia):
A me non è la forma d’Adone né le ricchezze di Mida né la cetera d’Orfeo né la milizia di
Marte né la sagacità d’Atlanciade né la tirannia de’ Ciclopi; per le quali cose, o per alcuna
d’esse, io possa, piacendo o per forza, nell’animo entrare a lei con sollecitudine, com’ella
s’ingegna d’entrare a me con la sua bellezza.
(Boccaccio, Comedia delle ninfe fiorentine, cap. V, 18)
Un esempio del terzo tipo si trova nelle Rime di Simone Serdini, detto Il Saviozzo (ca.
1360-ca. 1420). In questo poema il personaggio che parla si sente così triste, che non
potrebbe trovare consolazione neanche nella cetra di Orfeo o nell’eloquenza di Anfione,
dunque nella musica:
Miser, condotto in tal declinazione
che forza non are’ di rallegrarmi
d’Orfeo la cetra e l’orar d’Anfione!
(Serdini, Rime, 77, 58-60)
Oltre a questi tre motivi, ci sono anche altre situazioni stereotipate in cui si accenna alla
figura di Orfeo. Anche queste situazioni non si trovano soltanto nel Trecento e nel primo
Quattrocento, ma fino all’inizio del Seicento (e probabilmente anche dopo):
Poeti cercano di uguagliare o di emulare il talento di Orfeo
Alcuni poeti o musicisti emulano Orfeo o sono perfino considerati degli alter ego
del cantante mitico
Siccome Orfeo è considerato il sommo cantante-poeta, molti autori esprimono il desiderio
di uguagliare o di emulare il suo talento. Anche questo desiderio diventa un vero topos
letterario. L’esempio di Orfeo può essere evocato da poeti che dubitano delle loro doti
poetiche e dicono di aver bisogno di quelle di Orfeo. Un esempio di un poeta che invoca il
talento di Orfeo si trova in un frammento dell’Amorosa visione (ca. 1342) di Boccaccio:
“O somma e graziosa intelligenzia
che muovi il terzo cielo, o santa dea,
274
Un altro esempio di questo motivo si trova in: Serdini, Rime, 24, 19-24.
101
CAPITOLO 2
metti nel petto mio la tua potenzia;
non sofferir che fugga, o Citerea,
a me lo ‘ngegno all’opera presente,
ma più sottile e più in me ne crea.
Venga il tuo valor nella mia mente,
tal che ‘l mio dir d’Orfeo risembri il suono,
che mosse a racquistar la sua parente.
(Boccaccio, Amorosa visione, canto II)
È l’invocazione con cui comincia il secondo canto dell’Amorosa visione. Il narratore chiede
l’aiuto di Venere perché essa gli dia ‘la potenzia’ e ‘lo ‘ngegno’ da scrivere quest’opera
amorosa. La forza del canto di Orfeo risiede secondo Boccaccio nella presenza dell’amore
nelle sue parole.275 Boccaccio tace sull’errore di Orfeo per usare il mito come un esempio
della forza del canto ispirato dall’amore. L’autore non cambia dunque veramente la storia,
ma ne omette quei particolari che non convengono al suo discorso.
Anche nel sonetto seguente di Serdini che è indirizzato a Giovanni Colonna,
l’autore esprime il desiderio che il suo stile rassomigli a quello di Orfeo, il prediletto delle
Muse:
Se in fama di tal sangue prezioso
vaglia il mio stile ad essaltare in loro,
col favor delle Muse, che prestôro
suono a <l’> lira d’Orfeo tanto pietoso;
io cantaro dell’atto virtuoso
e de’ lustri Romani il gran lavoro
che resse il mondo: or quivi era il tesoro,
triunfo il nome suo, sol glorioso.
(Serdini, Rime, 35, 1-8)
Mentre alcuni poeti o musicisti cercano ancora di uguagliare la musicalità di Orfeo, altri vi
sono (o credono di esservi) già riusciti. In questi casi Orfeo, il cantante migliore, è emulato
da un uomo mortale. Questa situazione si trova ne La battaglia delle belle donne di Firenze
con le vecchie (1353) di Franco Sacchetti. Si sente un canto tanto magnifico, che non può
essere superato nemmeno dalla musica di Orfeo:
275
Hollander fa una distinzione fra due Orfei diversi nell’opera di Boccaccio: l’amante-poeta ed il poetateologo. Nell’Amorosa visione, nel Filocolo, nel Teseida e nella Comedia delle ninfe troviamo Orfeo quasi
sempre come poeta amoroso (R. Hollander, Boccaccio's Two Venuses, New York, Columbia University Press,
1977, pp. 83-86). Cf. § 2.5 e § 2.7.
102
IL MITO COME TOPOS
Qual paradiso o armonia celeste
generrò mai sí dolce e vago canto;
o quale dea per le verdi foreste,
o ninfa in chiaro fiume fe’ mai tanto?
Certo giá mai non furon pari a queste
d’Orfeo le melodie, o di chi vanto
si dié di Febo me’ saper sonare,
quando di pelle Apollo il fe’ spogliare.
(Sacchetti, La battaglia delle belle donne di Firenze con le vecchie, I, ott. 69)
Il canto è più bello delle melodie di Orfeo o di Marsia, che venne scorticato da Apollo per
averlo sfidato al canto. La descrizione di Sacchetti rassomiglia a quella di cui Lorenzo de’
Medici quando parla del canto di Marsilio Ficino (§ 3.2).276 In esempi di questo tipo Orfeo
non viene rappresentato in maniera negativa, ma l’autore fa piuttosto un complimento a
qualcuno dotato di un grande talento musicale. Il fatto che Orfeo sia la misura per gli altri
sottolinea di nuovo il ruolo di Orfeo come ottimo musicista ed è così anche un
complimento per il cantante mitologico. Tuttavia, in un madrigale del famoso compositore
e organista Francesco Landini (ca. 1325-1397) il talento di Orfeo è minimizzato in modo
ironico. Il canto di Orfeo viene emulato dal canto di un gallo:
Sì dolce non sonò con lira Orfeo
quando a sé trasse fiere, uccelli e boschi,
d’Amor cantando, d’infante e di deo,
come lo gallo mio di fuor da’ boschi
con nota tale, che già ma’ udita
non fu da Filomena in verdi boschi.
Né più Febo cantò, quando schernita
da Marsia fu suo tibia in folti boschi.
dove, vincendo, lo spogliò di vita.
Di Tebe avanza ‘l chiudente Anfione;
effetto fa ‘l contrario del Gorgone.
(Landini, Madrigali, 9, 1)277
Questo madrigale è uno degli scarsi esempi di Orfeo in un’opera musicale nel Trecento
italiano.
276
Altri riferimenti paragonabili si trovano in: Boccaccio, Teseida, libro XII, 72, 2; Franco Sacchetti, Il libro
delle rime, XLIV, 26.
277
Il madrigale si trova nel Codice Squarcialupi, che costituisce una delle fonti più importanti della musica
polifonica secolare del Trecento. Il madrigale è stato registrato sul CD: Alla Francesca, Landini and Italian
Ars Nova, Parigi, Opus 111, 1992 (per altre registrazioni si veda: Francesco Landini: Works List &
Discography, a.c.d. T.M. McComb, http://www.medieval.org/emfaq/composers/landini.html).
103
CAPITOLO 2
Molti musicisti vengono descritti come novelli Orfei. Gioachino Cancellieri,
organista della cattedrale di Ferrara, fu chiamato ‘alter huius aetatis Orpheus’ in una lettera
del 1426.278 Guarino Veronese (ca. 1370-1460) scrive alcuni versi sullo stesso Cancellieri
che, mentre Orfeo riusciva a muovere gli animali e i sassi con la sua cetra, era in grado di
commuovere persino i sordi e i morti con il suo organo:
Orphea quid mirum volucres et saxa ferasque
humanumque genus cithara traxisse canora,
cum tua mellifluos modulans manu utraque cantus
alliciat surdos defunctaque corpora vita?
(Guarino Veronese, Carmina, 37,1)279
L’identificazione di poeti-musicisti con la figura di Orfeo esiste dunque già nel Trecento e
all’inizio del Quattrocento,280 ma diventerà ancora più comune nella cerchia di Marsilio
Ficino di cui parleremo nel terzo capitolo. Nella persona di Ficino il topos del poetamusicista come novello Orfeo diventerà realità. Per riassumere, gli autori tre e
quattrocenteschi (in particolare i poeti lirici) offrono un’immagine stereotipata e positiva
di Orfeo nella sua qualità di poeta e musicista per eccellenza. Se il potere musicale di Orfeo
è legato alla sua discesa nell’Ade, si evita ogni riferimento al fallimento di Orfeo per non
compromettere la sua credibilità.
2.4 CIVILIZZATORE
Spesso il motivo di Orfeo che incanta gli animali è interpretato in modo allegorico.281 Il
passo più famoso in cui il potere ammaliante della musica è spiegato allegoricamente è
senza dubbio quello nel Convivio (1304-7) di Dante. L’autore parla dei ‘quattro sensi’ con
cui si possono spiegare le scritture: il senso letterale, il senso allegorico, il senso morale e
278
F.A. Gallo, “Orpheus christianus”, in: Musica nel castello. Trovatori, libri, oratori nelle corti italiane dal
XIII al XV secolo, Bologna, Il Mulino, p. 113.
279
‘Che cosa c’è di notevole nel fatto che Orfeo ha mosso gli uccelli, i sassi, le fiere e il genere umano con la
cetra canora, se tu con ambedue le tue mani modulando dei dolci canti attira i sordi e i corpi morti.’ Il testo
latino è citato da: Poeti d’Italia in latino (cf. bibliografia).
280
Gallo sostiene che l’identificazione con Orfeo non esiste ancora nel Trecento. Altri casi in cui musicisti
sono chiamati novelli Orfei si trovano in: Petrarca, Seniles, XI, 5; Arrigo da Settimello, Arrighetto ovvero
Trattato contro all'avversità della fortuna, p. 254; Lovato Lovati, Epistolae, 3, 6; Giovanni del Virgilio, Egloga
ad Mussatum, v. 131.
281
Il motivo non è interpretato sempre in questo modo. Qualche volta Orfeo è semplicemente il
riconciliatore degli animali: Anechini, De miraculis, 1, 4, 127.
104
IL MITO COME TOPOS
infine il senso anagogico. Il mito di Orfeo è l’esempio del senso allegorico e in particolare
dell’allegoria poetica:
L’altro si chiama allegorico, e questo è quello che si nasconde sotto ‘l manto di queste
favole, ed è una veritade ascosa sotto bella menzogna: sì come quando dice Ovidio che
Orfeo facea colla cetera mansuete le fiere, e li arbori e le pietre a sé muovere: che vuol dire
che lo savio uomo collo strumento della sua voce faccia mansuescere ed umiliare li crudeli
cuori, e faccia muovere alla sua volontade coloro che [non] hanno vita di scienza e d'arte; e
coloro che non hanno vita ragionevole alcuna sono quasi come pietre. E perché questo
nascondimento fosse trovato per li savi, nel penultimo trattato si mosterrà. Veramente li
teologi questo senso prendono altrimenti che li poeti; ma però che mia intenzione è qui lo
modo delli poeti seguitare, prendo lo senso allegorico secondo che per li poeti è usato.
(Dante, Convivio, II, 1, 4)
Secondo Dante il mito di Orfeo che addomesticava gli animali è dunque una favola o una
menzogna, in cui si può trovare una verità allegorica nascosta. Valeria Bertolucci
Pizzorusso vede in queste parole un riferimento diretto a Bernardo Silvestre:
‘Integumentum est oratio sub fabulosa narratione verum claudens intellectum, ut de
Orpheo’.282
Dante menziona Ovidio come fonte principale per il mito di Orfeo. Tuttavia, il fatto
che Ovidio non attribuisca nessun valore allegorico esplicito al mito mostra secondo
Zygmunt Barański che Ovidio era soltanto una fonte secondaria per Dante.283 La
spiegazione allegorica di Orfeo e degli animali si trovava in varie fonti antiche e
medievali,284 la prima delle quali era l’Arte poetica di Orazio. Per Orazio
l’addomesticamento di animali diversi rappresenta l’idea di Orfeo che civilizza gli uomini.
282
Citato da: V. Bertolucci Pizzorusso, ‘Orfeo "englouti" nelle letterature romanze dei secc. XII e XIII. Prime
attestazioni’, in: A.M. Babbi, Le metamorfosi di Orfeo. Convegno internazionale Verona, 28-30 maggio 1998,
Verona, Fiorini, 1999, p. 141).
283
Z.G. Barański, ‘Notes on Dante and the Myth of Orpheus’, in M. Picone & T. Crivelli, Dante. Mito e
poesia, Firenze, Franco Cesati, 1997, pp. 138-40.
284
Julius Wilhelm sostiene che Dante si basi su sant’Agostino e su Tommaso d’Aquino (‘Orpheus bei Dante’,
in: H. Bihler & A. Noyer-Weidner, Medium Aevum Romanicum. Festschrift für Hans Rheinfelder, München,
Hüber, 1963, p. 401). Secondo Barański Dante si basa probabilmente anche su vari commenti medievali,
perché altrimenti non avrebbe scelto questo episodio come esempio dell’allegoria poetica. Anche Giovanni
Padoan conferma che l’interpretazione allegorica della scena rassomiglia all’interpretazione comune nelle
chiose di questo periodo (‘Orfeo’, in: Enciclopedia dantesca, vol. IV, Roma, Istituto della Enciclopedia
italiana, 1970, p. 192). Secondo Bertolucci Pizzorusso i rappresentanti più importanti delle scuole di Chartres
e di Orléans adoperavano il mito di Orfeo come illustrazione del processo allegorico (op.cit., p. ). Barański
dice, però, che è noto un solo commento in cui il mito di Orfeo era adoperato in questo modo (commento a
Marziano Cappella; Barański, op.cit., 140-41). Bisogna dunque guardare secondo lui alla fonte comune di
questi riferimenti: l’Arte poetica di Orazio. Le parole ‘mansuescere ed umiliare li crudeli cuori’ si basano sulle
Georgiche IV, 470: ‘mansuescere corda’.
105
CAPITOLO 2
Questa spiegazione del mito si vede anche nel Convivio di Dante: Orfeo che incanta gli
animali, gli alberi e le pietre con la sua cetra sta per l’uomo savio che con la sua voce rende
umili i cuori crudeli e addomestica coloro che non conoscono nessuna civilizzazione. Il
mito di Orfeo rappresenta dunque per Dante l’allegoria della civilizzazione degli uomini.285
L’allegorizzazione di questo motivo fa parte di una tradizione antica che veniva
impiegata nel Medioevo per trasformare l’‘integumentum’ o la ‘menzogna’ del mito pagano
in una verità conciliabile con il pensiero cristiano. Lo stesso motivo di Orfeo civilizzatore
sarà citato spesso anche nel Rinascimento, non semplicemente per svelare il significato del
mito antico, ma piuttosto per sottolineare l’importanza dell’eloquenza nel processo della
civilizzazione dell’umanità. Anche se Dante dice che Orfeo civilizza gli uomini con lo
‘strumento della sua voce’, la focalizzazione sulla forza dell’eloquenza è più forte nelle
Genealogie di Boccaccio:
Hac Orpheus movet silvas radices habentes firmissimas et infixas solo, id est obstinate
opinionis homines, qui, nisi per eloquentie vires queunt a sua pertinacia removeri. Sistit
flumina, id est fluxos et lascivos homines, qui, nisi validis eloquentie demonstrationibus in
virile robur firmentur, in mare usque defluunt, id est in perpetuam amaritudinem. Feras
mites facit, id est homines sanguinum rapacesque, quos sepissime eloquentia sapientis
revocat in mansuetudinem et humanitatem.
(Boccaccio, Genealogie deorum gentilium, V, XII, 6)286
Orfeo è rappresentato in questo passo come l’uomo che con la sua lira (che simboleggia
l’eloquenza) civilizza l’umanità. Secondo Hannelore Semmelrath gli alberi simboleggiano
gli uomini collerici, i fiumi quelli flemmatici e le fiere quelli sanguigni.287 La
rappresentazione di Orfeo come uomo eloquente che con la retorica riesce a civilizzare gli
uomini irrazionali si trovava anche nel terzo mitografo, che era una delle fonti delle
Genealogie di Boccaccio (§ 1.5.3). Anche secondo Semmelrath Orfeo rappresenta
nell’allegoria di Boccaccio ‘die spezifische Bildungsidee’ dell’umanesimo.288 August Buck
dice che a partire da Boccaccio il mito di Orfeo civilizzatore accompagna lo sviluppo delle
285
Oltre a Dante anche Petrarca spiega il motivo in senso allegorico nell’Invective contra medicum, liber I.
Non spiega, però, esattamente quale sarebbe questo significato.
286
‘Con queste [doti musicali] Orfeo muove le selve che hanno radici profondissime e infisse al suolo, cioè le
ostinate opinioni degli uomini, i quali non possono essere mossi dalla loro pertinacia se non con la forza
dell’eloquenza. Orfeo arresta i fiumi, ossia gli uomini fiacchi e lascivi, i quali, se non siano, con valide
dimostrazioni di eloquenza, confermati nella virile fortezza, defluiscono come i fiumi fino al mare, cioè nella
perpetua amarezza. Orfeo ammansisce le fiere, ossia gli uomini sanguinari e rapaci, che molto spesso
l’eloquenza del sapiente richiama alla mansuetudine e all’umanità.’
287
Semmelrath, op.cit., pp. 23-24. Hege sostiene che la menzione dei fiumi mostra l’influenza di Boezio o di
un commento medievale a Boezio (op.cit., p. 261).
288
Secondo San Juan Salutati attribuisce lo stesso significato allegorico alla lira di Orfeo spiegando un’altra
parte del mito (op.cit., p. 53). Discuteremo l’allegoria di Salutati nel § 2.8.
106
IL MITO COME TOPOS
forze creative del Rinascimento.289 Buck sottolinea inoltre la presenza del concetto di
‘humanitas’ in Boccaccio:
Von Boccaccio angefangen begleitet der Mythos von Orpheus dem Kulturbegründer die
Entfaltung der schöpferischen Kräfte der Renaissance. Schon Boccaccio gebraucht in
Verbindung damit das Schlüsselwort der neuen Bildungsbewegung, “humanitas” [...] Die
“humanitas” kommt zum Ausdruck im Zusammenleben der Menschen innerhalb der
Gemeinschaft.
Nel Quattro e nel Cinquecento la figura di Orfeo civilizzatore tornerà spesso nei trattati di
poetica che spiegano il valore e le funzioni della poesia.
Anche nelle arti figurative quattrocentesche troviamo un esempio dell’allegoria di
Orfeo e gli animali (ill. 2.3). Si tratta di un bassorilievo di Luca della Robbia sul campanile
del Duomo a Firenze (1437-39).290 A sinistra di Orfeo si vede un gruppo di uccelli
(probabilmente delle oche) e a destra si trovano alcuni leoni e una specie di maiale o
cinghiale. La composizione è un esempio tipico delle raffigurazioni di Orfeo e gli animali: il
cantante sta seduto ai piedi di un albero e suona il suo strumento (che qui per motivi di
assimilazione storica è diventato una specie di liuto). A destra e a sinistra si trovano varie
specie di animali.
2.3 Luca della Robbia, Orfeo (Musica/Poesia), 1437-39
289
A. Buck, op.cit., p. 15.
L. Della Robbia, Orfeo (Musica / Poesia / Retorica), 1437-39. Firenze, Museo dell’Opera del Duomo, Sala
delle Formelle del Campanile.
290
107
CAPITOLO 2
Questa composizione esagonale di Della Robbia fa parte di una serie di bassorilievi che
raffigurano alcune delle arti. Il tema complessivo di questa serie è il cammino dell’uomo
verso la perfezione, partendo dalla creazione fino all’eterna salvezza.291 Le formelle sul lato
nord, dove si trova Orfeo, raffigurebbero le attività intellettuali dell’uomo, che
comprendono le arti liberali del Trivio e del Quadrivio. In questa serie Orfeo
rappresenterebbe la Musica o la Poesia.292 Secondo altri studiosi, invece, Orfeo sarebbe il
simbolo della Retorica.293 In ogni caso, Orfeo è rappresentato nel bassorilievo di Della
Robbia come un civilizzatore, che istruisce gli uomini nelle arti.
2.5 AMANTE
Un altro aspetto fondamentale di Orfeo nell’antichità romana era il suo amore per
Euridice. Virgilio e Ovidio furono i primi a descrivere il racconto amoroso elaboratamente.
Quando Euridice morì, mentre stava fuggendo da Aristeo (Virgilio) o mentre stava
cogliendo fiori (Ovidio), Orfeo non si mise il cuore in pace. Discese nell’Ade per
riprendersela, ma guardò indietro e la perdette di nuovo. I due aspetti del racconto
amoroso che si incontrano più spesso nei testi letterari del Tre e del primo Quattrocento
sono il canto di Orfeo nell’Ade e il suo sguardo indietro che gli fece perdere Euridice per
sempre (§ 2.6). Nel paragrafo precedente ho già discusso alcuni riferimenti alla discesa di
Orfeo nell’Ade, perché quello che conta in questi riferimenti è soprattutto il potere del
canto.294 Come nei riferimenti a Orfeo cantante, anche in questi riferimenti al canto
nell’Ade e all’errore di Orfeo il mito è trattato come topos. Il mito non è mai narrato
elaboratamente e non vengono aggiunti elementi nuovi e personali.
In alcune poesie dei Rerum vulgarium fragmenta, Francesco Petrarca paragona il
suo amore per Laura a quello di Orfeo per Euridice. Nicola Gardini ha mostrato che questo
paragone tra Petrarca e Laura da una parte e di Orfeo ed Euridice dall’altra si sviluppa
291
Carlo Montrésor, Il Museo dell’Opera del Duomo a Firenze, Mandragora, Firenze, 2000, p. 78.
Secondo Vasari Orfeo rappresenterebbe in questo contesto la musica e molti studiosi lo seguono in
quest’interpretazione (Vasari, Le vite de’ più eccellenti pittori, scultori e architetti, in: A. Chastel, Art et
humanisme a Florence au temps de Laurent le Magnifique. Études sur la Renaissance et l'Humanisme
platonicien, Université de Paris, 1959, p. 196 (Tubalcain rappresenterebbe la musica strumentale e Orfeo
quella superiore, cioè la via dello spirito); Scavizzi, op.cit., pp. 111-13).
293
Pope-Hennessy dice che la Musica è rappresentata in questa serie di bassorilievi da Iubal (San Juan, op.cit.,
p. 43; Semmelrath, op.cit., p. 51). Nella Bibbia si dice che Iubal era il primo a suonare degli strumenti musicali
(Gen. 4, 21).
294
Cfr. Boccaccio, Rime, parte prima, VIII; Pucci, Libro di varie storie, 29, 4 (§ 2.3.1); Boccaccio, Amorosa
visione, canto II (§ 2.3.2).
292
108
IL MITO COME TOPOS
gradualmente.295 In tutto il Canzoniere si trovano dei riferimenti a Virgilio e alle sue
Georgiche, soprattutto per mezzo di ripetizioni di sintagmi, di frasi e di allegorie. Qualche
volta, però, la ripetizione del modello si trova anche a livello semantico.296
Nella seconda parte del Canzoniere si può rintracciare una linea narrativa del mito
di Orfeo ed Euridice, che comincia nella canzone 270. Petrarca supplica Amore di
risuscitare Laura. In questa poesia si trovano soltanto delle allusioni indirette al mito di
Orfeo:
Amor, se vuo’ ch’i’ torni al giogo anticho,
come par che tu mostri, un’altra prova
meravigliosa et nova,
per domar me, conventi vincer pria.
Il mio amato tesoro in terra trova,
che m’è nascosto, ond’io son sí mendico,
e ‘l cor saggio pudico,
ove suol albergar la vita mia;
et s’egli è ver che tua potentia sia
nel ciel sí grande come si ragiona,
et ne l’abisso (perché qui fra noi
quel che tu val’ et puoi,
credo che ‘l sente ogni gentil persona),
ritogli a Morte quel ch’ella n’à tolto,
et ripon’ le tue insegne nel bel volto.
(Petrarca, RVF, CCLXX, 1-15)
La preghiera di Petrarca ad Amore ricorda quella di Orfeo negli inferi. Gardini accenna alle
rassomiglianze tra i versi 14 e 15 di questa canzone e i vv. 469-70 delle Georgiche IV.297
Concordo con lui sul fatto che i due versi petrarcheschi fanno pensare all’orazione di
Orfeo; non tuttavia a quella descritta brevemente nelle Georgiche, ma piuttosto a quella
dettagliata di Ovidio. Gardini respinge Ovidio ingiustamente come modello d’ispirazione
per via della distribuzione coerente dei riferimenti virgiliani: dato che dappertutto nel
Canzoniere si trovano dei riferimenti al quarto libro delle Georgiche, Petrarca deve basarsi
secondo Gardini su Virgilio anche per quanto riguarda il mito di Orfeo.298 Mentre a partire
295
N. Gardini, ‘Un esempio di imitazione virgiliana nel Canzoniere petrarchesco: il mito di Orfeo’, Modern
Language Notes 110, 1 (1995), pp. 132-144.
296
Gardini, op.cit., pp. 137-38.
297
‘Taenarias etiam fauces, alta ostia Ditis, / et caligantem nigra formidine lucum / ingressus manesque adiit
regemque tremendum / nesciaque humanis precibus mansuescere corda.’ (Georgiche IV, 467-70) (Gardini,
op.cit., p. 138).
298
Gardini, op.cit., p. 139.
109
CAPITOLO 2
del sesto sonetto il poeta si era paragonato ad Apollo, nella canzone 270 cominciano
secondo Gardini a manifestarsi le analogie tra Petrarca e Orfeo.
Il momento supremo dell’analogia tra la coppia Petrarca-Laura e la coppia OrfeoEuridice si trova nella canzone 323.299 Petrarca era già stato assimilato a Orfeo, ma ora
anche Laura si trasforma in Euridice:
Alfin vid’io per entro i fiori et l’erba
pensosa ir sí leggiadra et bella donna,
che mai nol penso ch’i’ non arda et treme:
humile in sé, ma ‘ncontra Amor superba;
et avea indosso sí candida gonna,
sí texta, ch’oro et neve parea inseme;
ma le parti supreme
eran avolte d’una nebbia oscura:
punta poi nel tallon d’un picciol angue,
come fior colto langue,
lieta si dipartio, nonché secura.
Ahi, nulla, altro che pianto, al mondo dura!
(Petrarca, RVF, CCCXXIII)
La morte di Laura è identica a quella di Euridice: è morsa da un serpente. Naturalmente
questa è un’invenzione puramente letteraria; in realtà Laura morì nel 1348 di peste nera.
Per Petrarca l’idea della similitudine è dunque più importante della situazione reale.
Questo passo fa pensare a quello nell’Elegia di Madonna Fiammetta (1343-44) di
Boccaccio, in cui Fiammetta sogna di esser morsa da un serpente:
E così ornata levatami, quale Proserpina allora che Pluto la rapì alla madre, cotale m’andava
per la nuova primavera cantando; poi, forse stanca, tra la più folta erba a giacere postami,
mi posava. Ma non altramenti il tenero piè d’Erudice trafisse il nascoso animale, che me
sopra l’erbe distesa una nascosa serpe, venendo tra quelle, parve che sotto la sinistra
mammella mi trafiggesse; il cui morso, nella prima entrata degli aguti denti, pareva che mi
cocesse; ma poi asicurata, quasi di peggio temendo, mi parea mettere nel mio seno la
fredda serpe, imaginando lei dovere, col beneficio del caldo del proprio petto, rendere a me
più benigna. (Boccaccio, Elegia di Madonna Fiammetta, cap. I, 3, 3)
Diversamente da quello che succede a Euridice, Fiammetta è morsa nel petto. Quando il
serpente è sazio del sangue, l’animale se ne va. La donna sente come il veleno cerca una via
al suo cuore e aspetta la morte, ma, quando il dolore diventa troppo forte, lei si sveglia.
299
Gardini, op.cit., p. 141.
110
IL MITO COME TOPOS
Come spiega Katherine Heinrichs, il sogno di Fiammetta è un sogno premonitore.300
Fiammetta sta per avventurarsi in un amore illecito con Panfilo. La similitudine con
Proserpina ed Euridice risiede nel fatto che anche Fiammetta scenderà fra poco nell’Ade,
cioè l’inferno della vita irrazionale in questo mondo.301 Fiammetta considera se stessa un
exemplum, che deve dissuadere le altre giovani donne dalla passione. Euridice non è un
esempio da seguire.
Mentre nella canzone 323 Petrarca non ammetteva ancora esplicitamente le
somiglianze tra Laura ed Euridice, nella poesia 332 troviamo infine un paragone esplicito:
Or avess’io un sí pietoso stile
che Laura mia potesse tôrre a Morte,
come Euridice Orpheo sua senza rime,
ch’i’ viverei anchor piú che mai lieto!
S’esser non pò, qualchuna d’este notti
chiuda omai queste due fonti di pianto.
(Petrarca, RVF, CCCXXXII, 49-54)
In questa poesia Orfeo non è soltanto rappresentato come amante, ma anche come
cantante esemplare (cfr. § 2.3). Tutti i riferimenti alla storia d’amore di Orfeo ed Euridice
in rapporto al proprio amore per Laura si trovano nella seconda parte del Canzoniere.
Questa parte contiene soprattutto delle poesie che sono state scritte dopo la morte di
Laura. Si noti di nuovo che per poter adoperare il motivo in questo luogo Petrarca omette
discretamente la fine tragica del mito.
L’amore di Orfeo e la sua discesa nell’Ade si trovano anche in un’altra opera di
Petrarca, i Trionfi.302 Petrarca vede nel trionfo dell’Amore dei personaggi stimati della
storia pagana, che sono incatenati come il bestiame di Cupido. Gli eroi sono stati cambiati
in prigionieri le cui anime sono legate alla terra.303 Secondo Heinrichs gli amanti classici
sono moralizzati da Petrarca (e da Dante nella Commedia) come exempla di un
comportamento vanitoso e distruttivo. Petrarca non venera l’Amore, ma riconosce il suo
potere.
Anche Boccaccio incontra Orfeo nell’Amorosa visione nel trionfo dell’Amore, dove
il poeta antico si trova in compagnia di molti altri amanti. L’accento non è messo tanto
sulla funzione di Orfeo come musicista, quanto sul suo ruolo come amante. Orfeo si trova
accanto a Euridice e implora da Amore di prestargli Euridice ‘lunga stagion con gioia’:
300
K. Heinrichs, The Myths of Love. Classical Lovers in Medieval Literature, University Park/London, The
Pennsylvania State University Press, 1990, p. 156.
301
Heinrichs, op.cit., p. 157.
302
Petrarca, Trionfi, Triumphus cupidinis, 4, 13.
303
Heinrichs, op.cit., p. 74.
111
CAPITOLO 2
Poi rimirando ad altro ivi presente,
vidi colui che il dolente regno
sonando visitò sì dolcemente:
Orfeo dico, che col suo ingegno
fece le misere ombre riposare,
con la dolcezza del cavato legno.
Sonando ancora quivi il vidi stare
con Erudice sua, e mi parea
che il vedessi sonando cantare,
sollazandosi, versi, e sì dicea:
“Amore, a questa gioia mi conduce
la fiamma tua che nel cor mi si crea.
Amor, de’ savi graziosa luce,
tu se’ colui che ‘ngentilisci i cori,
tu se’ colui che ‘n noi valore induce.
Per te si fugano angosce e dolori,
per te ogni allegrezza ed ogni festa
surge e riposa dove tu dimori.
O spegnitor d’ogni cosa molesta,
o dolce luce mia, questa Erudice
lunga stagion con gioia la mi presta!
Sempre mi chiamerò per te felice,
per te giocondo, per te amadore
starò come fa pianta per radice”.
A veder quel mi s’allegrava il core,
e ‘mmaginando quelle parolette,
a me, non che a lui, crescea valore.
(Boccaccio, Amorosa visione, XXIII, vv. 4-30)
Sia nella canzone 270 di Petrarca che nel passo di Boccaccio l’amante rivolge una supplica
ad Amore, che fa pensare alla supplica di Orfeo di fronte a Plutone. La figura dell’amante
sembra descritta con molta simpatia, ma per quanto riguarda Petrarca l’amore di Orfeo è
descritto in maniera positiva solo nel Canzoniere. Nelle altre sue opere Petrarca è più
critico su questo amore, come vedremo nel paragrafo seguente.304 L’incongruenza tra le
304
L’amore di Orfeo è anche condannato nell’Africa, VI, 54-56. Quando Sofonisba discende nell’Ade,
incontra Orfeo nella pianura degli amanti. Orfeo si trova in compagnia di quelli che sono accusati di
‘malesuadus amor’ (Heinrichs, op.cit., p. 75; San Juan, The Legend of Orpheus, cit., p. 81). Orfeo è condannato
da Petrarca come ‘spoliator Averni’. Inoltre, Petrarca ridicolizza l’amore di Orfeo nel Remedium contra
fortuna e nel Secretum, dove Agostino deride gli amanti che sempre piangono e sospirano. L’unico remedio è
fuggire dall’amore carnale (Heinrichs, op.cit., pp. 76-77).
112
IL MITO COME TOPOS
diverse descrizioni dell’amore di Orfeo ed Euridice nelle opere di Petrarca sembra spiegarsi
con il conflitto di Petrarca tra i doveri religiosi e il suo attaccamento alle cose terrene come
l’amore per Laura. Per questo motivo Petrarca paragona qualche volta il proprio amore a
quello di Orfeo, e in altri casi lo condanna.
Il comportamento amoroso di Orfeo è condannato anche implicitamente nel
Filocolo (1336-1338) di Boccaccio. Mentre Caleon difende l’amore carnale, Fiammetta
difende quello onesto. Caleon menziona Orfeo come esempio supremo della difesa del
proprio amore (senza menzionare la fine tragica).305 La regina non dubita che l’amore abbia
dato ogni dolcezza al canto di Orfeo, perché l’amore sempre riempie le lingue di dolcezza e
di lusinghe. Ma le lusinghe appartengono all’uomo vile o infimo, per cui Orfeo è
indirettamente accusato di viltà.306 Questo è l’unico luogo nelle opere boccacciane che
raccontano di Orfeo poeta-amante (Filocolo, Teseida, Comedia delle ninfe e Amorosa
visione), in cui Orfeo è attaccato apertamente, ed è l’unica volta che Orfeo è invocato da
parte di qualcuno che non è innamorato lui stesso.307 Hollander sottolinea che sia in questo
passo che nell’Amorosa visione (nel trionfo dell’Amore) il mito conosce un esito felice, in
cui gli amanti sono riuniti. Hollander indica quest’omissione come una caratteristica
comune di personaggi che vogliono vedere Orfeo come un esempio positivo dell’amore.308
Questo fenomeno l’incontreremo in dimensioni maggiori nel primo melodramma,
l’Euridice di Peri (cap. 7), dove il contesto è distorto, o Orfeo poeta-amante è trattato di
nuovo in modo ironico.309
Nei Trionfi di Petrarca e nell’Amorosa visione di Boccaccio alla fine l’amore non
trionfa. Nei Trionfi l’Amore è superato dalla Castità, dalla Morte, dall’Onore, dal Tempo e
dall’Eternità. L’Amorosa visione finisce con un trionfo rovesciato della Fortuna. Boccaccio
sottolinea che non si deve bramare uno dei quattro tipi di trionfi (Sapienza, Gloria,
Richezza, Amore), ma cercare di raggiungere, invece, il vero bene.310 Questo messaggio si
riallaccia all’immagine di Orfeo in cerca del sommo bene che Petrarca e altri autori
trecenteschi propongono.
Heinrichs sostiene che la carrateristica principale dell’uso di amanti classici come
Orfeo ed Euridice da parte dei poeti medievali è forse l’estrema convenzionalità. Le figure
non sono sempre adoperate nello stesso modo, ma la variazione dei modi è ridotta e ben
305
Boccaccio, Filocolo, Libro IV, 45, 7.
Boccaccio, Filocolo, Libro IV, 46, 11.
307
Hollander, op.cit., p. 83-86.
308
Hollander, op.cit., p. 83-86. Altri esempi nell’opera di Boccaccio sono: Teseida, Libro VIII, 103, 5;
Comedìa, Cap. II, 1-9.
309
Hollander, op.cit., p. 83-86.
310
Lo stesso atteggiamento dualistico di Petrarca e Boccaccio si vede nei confronti di Ercole, cfr. Rietveld, ‘Il
mito e il personaggio di Ercole’, cit., pp. 105-108.
306
113
CAPITOLO 2
delineata.311 La lode e la critica delle donne costituivano due lati di un topos retorico, in cui
gli amanti classici erano usati come exempla. Così gli studenti si esercitavano nella
retorica. Nel Medioevo questo topos era una suddivisione delle prediche contro la
sopravvalutazione dei temporalia in generale.312
2.6 ORFEO IN CERCA DEL SOMMO BENE
Dopo la supplica di Orfeo, Plutone gli concede di riprendere Euridice al mondo dei vivi.
Plutone gli vieta, però, di guardare indietro prima di aver raggiunto la luce. Come abbiamo
visto nel primo capitolo questo divieto di guardare indietro e la violazione di questo divieto
da parte di Orfeo si trovano per la prima volta nelle Georgiche di Virgilio. Dopo Virgilio
l’errore di Orfeo ritorna spesso nella letteratura. Soprattutto nel Medioevo questa parte del
mito di Orfeo ed Euridice era molto adatta ad interpretazioni allegoriche e cristiane.
Anche nella letteratura italiana del Trecento si trovano ancora delle interpretazioni
allegorico-cristiane del mito. Nonostante la sua rappresentazione positiva di Orfeo amante
nel Canzoniere, Petrarca critica il suo errore nel Secretum:
Quam minima sunt interdum que animum emergentem in summas miserias reimpellunt!
Consprecta in alterius tergo pupura ambitionem renovat; visus nummorum acervulus
avaritiam integrat; spectata corporis species luxuriam incendit; levis oculorum flexus
amorem dormitanten excitat. He nimirum pestes facile in animas, propter vestram
dementiam, veniunt; at postquam semel iter didicerunt, multo facilius revertuntur. Que
cum ita sint, non tantum locus pestifer relinquendus, sed quicquid in preteritas curas
animum retorquet, summa tibi diligentia fugiendum est; ne forte cum Orpheo ab inferis
rediens retroque respiciens recuperatam perdas Euridicem. Hec nostri consilii summa est.
(Petrarca, Secretum, III, 9, 13)313
L’anima non deve tornare indietro ai vizi terreni come l’ambizione, l’avarizia e la lussuria,
se non vuole ricadere nella miseria. Petrarca afferma nelle Seniles che una persona
311
Heinrichs, op.cit., p. 81.
Heinrichs, op.cit., p. 81.
313
‘Quanto son piccole talvolta le cause che risospingono al colmo dell’infelicità un animo che ne stava
emergendo! Il mantello di porpora visto sulle spalle di un altro risveglia l’ambizione; la vista di un mucchietto
di monete riacutizza l’avarizia; contemplare la bellezza di un corpo riaccende la lussuria; un lieve volger di
occhi ridesta l’amore assopito. Questi mali raggiungono facilmente gli animi per via della vostra follia, è
chiaro; ma una volta imparata la strada, ritornano molto più facilmente. Così stando le cose, devi non
soltanto lasciare le località malsane, ma evitare con la massima cura tutto ciò che risospinge l’animo ai
pensieri del passato: che a volte, uscendo con Orfeo dall’Inferno e guardandoti indietro, tu non abbia a
perdere la riconquistata Euridice. Questa è la somma dei miei consigli.’.
312
114
IL MITO COME TOPOS
conosciuta da molti non deve rovinarsi la reputazione.314 Una volta che si è cominciato a
fare o essere qualcuno, si deve continuare a farlo. Il mito di Orfeo e in particolare la
violazione della legge infernale da parte del cantante è vista come un esempio
dell’affermazione che non si deve deviare dalla strada scelta. Per mostrare la verità della
sua affermazione Petrarca non menziona solo il mito di Orfeo, ma anche due esempi
biblici. Il riferimento al vangelo di Luca si trovava spesso nei commenti medievali a Boezio
a partire da Notker Labeone (§ 1.5.1).
Anche l’umanista e cancelliere fiorentino Coluccio Salutati (1331-1406) si riferisce
nel De seculo et religione (1381) a vari racconti biblici. Si rivolge a un suo amico che ha
dedicato la sua vita a Dio:
(3) O te felicem, mi Ieronime, si corrumpentis mundi non revertaris ad vomitum, si,
postquam ad aratrum manum posuisti, te non converteris retro, si salutem anime tue, imo
[sic] ipsam animam, in dei obedientia continebis, si eam inter hec terrena respicere non
optabis. (4) Hactenus enim ipsa in terrenarum rerum inferno demersa tam dulci
modulatione, sicut de Orpheo fabule referunt, hoc est illa eterni dei et divine eternitatis
armonia secundum quam misterio sacri baptismatis et ordinis carathere clericalis
demumque funiculo religionis deum flectimus, apud inferos cecinisti quod ipsam
inferorum duricia superata dono recipere meruisti, lege tam accepta quod, donec eam ab
inferis extraxeris, illam apud inferos respicere non deberes. (5) Si enim ipsam, ut de illo
summo poeta non incongrue fictum est, aliquando apud inferos aspicere voles, tam carum
donum amittes, forte frustra cunctis tue vite temporibus concenturus. [...] (7) Semel deo
consecratus es. Sacrilegium erit si te iterum converteris ad terrena.
(Salutati, De seculo et religione, cap. VI, p. 110)315
Salutati adopera il mito per mostrare che l’uomo cristiano non deve tornare alle cose
terrene, ma che deve seguire la strada diretta a Dio. Illustra il suo racconto non solo con il
314
Petrarca, Seniles, IX, 1. Anche nelle Seniles XV, 3 Petrarca è molto negativo sull’amore di Orfeo ed
Euridice. L’autore scrive a un amico che lui stesso e l’amico non hanno bisogno di una donna, perché l’unico
vantaggio di una donna è che essa è in grado di trasmettere il tuo nome attraverso la riproduzione. Petrarca
preferisce, però, trasmettere il suo nome attraverso il proprio talento, scrivendo dei libri.
315
‘(3) O te felice, mio Geronimo, se non ti volgi al vomito del mondo che si sta corrompendo, se, dopo aver
messo mano all’aratro, non tornerai indietro, se manterrai la salute dell’anima tua, pure l’anima stessa, per
ubbidienza a dio, se non desidererai che essa guardi indietro fra queste cose terrene. (4) Quando essa era
sommersa fino a tal punto nell’inferno delle cose terrene, tu con modulazione tanto dolce, come le favole
dicono su Orfeo, cioè con quell’armonia del dio eterno e dell’eternità divina, secondo la quale noi con il
mistero del sacro battesimo e con il carattere dell’ordine clericale e perfino con il filo della religione ci
volgiamo a Dio, hai cantato negli Inferi, che dopo aver superato la crudeltà degli Inferi ti sei meritato di
ricerverla in dono, dopo aver così accettata la legge, che non la dovesti guardare negli Inferi, finché l’avevi
estratta dagli Inferi. (5) Perché, se, come è stato inventato non senza ragione su quel sommo poeta, vorrai
vederla mai negli Inferi, perderai un dono tanto caro, che forse canterai invano in tutti i tempi della tua vita.
[...] (7) Una volta ti sei consacrato a dio. Sarà un sacrilegio convertirti di nuovo alle cose terrene.’
115
CAPITOLO 2
mito di Orfeo, ma fa riferimento anche al vangelo di Luca. Poi cita un’altra frase biblica:
‘sicut canis qui revertitur ad vomitum suum sic inprudens qui iterat stultitiam suam’.316
L’uomo imprudente che torna agli errori commessi prima è abominevole come il cane che
torna al proprio vomito.
Il topos dello sguardo indietro e delle sue conseguenze negative si trova anche fuori
del contesto del mito di Orfeo ed Euridice. Nel sonetto 273 Petrarca allude al mito
parlando del divieto di guardare indietro:
Che fai? che pensi? che pur dietro guardi
nel tempo, che tornar non pote omai?
(Petrarca, RVF, CCLXXIII, 1-2)
Questa idea dell’errore del voltarsi e del guardare indietro torna alcune volte nelle opere di
Petrarca. Anche nelle opere di Dante si trovano vari esempi del topos degli effetti dello
sguardo indietro. Già nel primo canto dell’Inferno è ripetuto continuamente il movimento
del tornare indietro.317 Secondo Paola Rigo, l’allusione a Orfeo in questo canto sembra
quasi inevitabile.318 Nel suo commento alla Commedia, Pietro Alighieri, il figlio di Dante,
nota la ricorrenza del tema e lo lega anche al racconto della moglie di Lot e a Luca 9:62.319
Pietro rimanda anche ad un altro esempio nel nono canto del Purgatorio, dove un angelo
apre la porta del Purgatorio, ma ammonisce gli spiriti di non guardare indietro:
[…] « Intrate; ma facciovi accorti
che di fuor torna chi ‘n dietro si guata».
(Dante, Purgatorio, IX, 131-32)
Secondo Ettore Paratore quest’ammonizione è un’allusione al mito di Orfeo descritto da
Virgilio nelle Georgiche.320 Altri commenti indicano secondo lui soltanto l’influenza di
Ovidio, di Boezio e del vangelo di Luca, ma non delle Georgiche. Paratore mostra, però, che
316
Proverbia (Biblia Vulgata), 26, 11: ‘Lo stolto che ricade nella sua follia, è come il cane che torna al suo
vomito.’
317
P. Rigo, Memoria classica e memoria biblica in Dante, Firenze, Leo S. Olschki, 1994, pp. 57-60.
318
Rigo, op.cit., pp. 57-60.
319
Petri Allegherii super Dantis ipsius genitoris comoediam commentarius, a.c.d. V. Nannucci, Firenze, 1845,
pp. 14f.
320
E. Paratore, ‘Il l. IV delle Georgiche e il c. IX del Purgatorio’, in: Miscellanea di studi in onore di Aurelio
Roncaglia a cinquant’anni dalla sua laurea, vol. III, Modena, Mucchi, 1989, pp. 959-963; A. Limentani,
‘Casella, Palinuro e Orfeo. “Modello narrativo” e “rimozione della fonte”’, in: La parola ritrovata. Fonte e
analisi letteraria, a.c.d. C. di Girolamo e I. Paccagnella, Palermo, Sellerio, 1982, p. 92.
116
IL MITO COME TOPOS
tra il testo di Dante e quello di Virgilio si trovano delle somiglianze notevoli.321 All’inizio
del decimo canto Dante ripete l’idea di non poter guardare alla porta che si chiude dietro
di lui:
Poi fummo dentro al soglio della porta
Che il malo amor dell’anime disusa,
perché fa parer dritta la via torta,
sonando la senti’ esser richiusa;
e s’io avessi gli occhi volti ad essa,
qual fora stata al fallo degna scusa?
(Dante, Purgatorio, X, 1-6)
Anche nel commento a questo passo Pietro Alighieri indica le possibili allusioni
all’episodio biblico di Lot e al mito di Orfeo ed Euridice.322
Discendendo nell’Ade Dante ripete l’impresa di famosi predecessori come Enea,
Paolo e Orfeo. Secondo Alberto Limentani una ripresa parziale del mito di Orfeo potrebbe
anche essere presente nell’episodio di Casella nel canto II del Purgatorio.323 Dante chiede al
suo amico e musicista Casella, che è appena arrivato nel purgatorio, di cantargli una
canzone per consolare la sua anima. Quando Casella esaudisce il desiderio di Dante, il
poeta e tutte le anime presenti dimenticano le loro occupazioni e sono soltanto attenti alle
sue note.324 Questo passo ricorda l’effetto del canto di Orfeo nell’Ade, come descritto da
Virgilio e Ovidio. Nel Purgatorio l’incanto è, però, interrotto bruscamente dall’arrivo di
Catone.325
Secondo Rigo, contrariamente alla discesa di Orfeo nell’Ade, nella discesa di Dante
le sue parole non offrono un alleggerimento delle pene a nessuno. L’inferno dantesco
costituisce la sconfitta della parola, che nell’aldilà cristiano non è in grado di ‘mansuescere
corda’.326 Il potere del canto è ricordato nell’episodio di Casella, ma è subito respinto
dall’intervento di Catone. Sia nel primo canto dell’Inferno che nell’episodio di Casella ci
potrebbe essere una polemica silenziosa di Dante contro la figura di Orfeo che
tradizionalmente simboleggia l’eloquenza, la poesia e la musica, e che nell’aldilà cristiano è
321
Esempi della similitudine tra il testo di Dante e quello di Virgilio sono: il fatto che la descrizione dantesca
del Tartaro rassomiglia molto a quella nelle Georgiche, l’uso delle parole ‘porta sacrata’ e ‘tuono/suono’ (cf.
‘fragor’, Georg. IV, 493). (Paratore, op.cit., pp. 962-963).
322
‘Quod colligi potest figurative quantum ad moralitatem in Eurydice uxore Orphei, quae retrogressa est ad
inferos propter respectionem retro talem. Anagogice, seu spiritualiter, colligi potest in uxore Loth [...]’
(Pietro Alighieri, op.cit., pp. 366-67; citato da Limentani, op.cit, p. 92).
323
Limentani, op.cit., p. 94.
324
Dante, Purgatorio, I, 112-119.
325
Limentani, op.cit., pp. 91-93.
326
Cfr. le analogie tra Virgilio, Georgiche, IV, 470 e Dante, Convivio, II, I, 4.
117
CAPITOLO 2
inefficace o perfino colpevole. Quando nell’episodio di Casella si rivela l’incanto della
musica di Orfeo, la figura mitologica è discussa di nuovo con l’autorità della Bibbia e
respinta definitivamente. I poeti e i musicisti antichi si allontanano con lui.327
Anche nel canto V del Purgatorio Dante è rimproverato da Virgilio per essersi
fermato ed aver parlato con anime che aveva già interpellato prima.328 Dante deve sempre
guardare in avanti verso Beatrice, e non indietro. Contano soltanto gli incontri che servono
a preparare l’ultimo incontro con Beatrice. Secondo Michelangelo Picone Dante finge di
non conoscere le anime che l’interpellano dopo (tra cui Iacopo del Cassero e Buonconte da
Montefeltro), come aveva esitato a riconoscere Casella e Belacqua. Questo disinteresse
finto è causato dal bisogno di distanziarsi dalle preoccupazioni terrene: la cultura
razionalistica (Casella), la vita spensierata e bohémienne (Belacqua), la politica (Iacopo del
Cassero) e la vita militare (Buonconte).329 Quando alla fine del Purgatorio Virgilio lascia
Dante, il linguaggio ricorda il dolore di Orfeo per Euridice.330 Secondo David Brumble la
perdita di Virgilio deve essere intesa come la perdita dei legami terreni.331
Anche se apparentemente Dante non si riferisce quasi mai al mito di Orfeo nella
Divina Commedia, ci sono dunque delle allusioni implicite in vari momenti dell’Inferno e
del Purgatorio. Come Orfeo, Dante non può voltarsi indietro nel suo viaggio dall’inferno al
paradiso. Il poeta deve staccarsi dalle cose terrene e indirizzarsi alla vita spirituale.
Già nella Vita Nuova (1292-1293) Dante aveva introdotto, secondo Paola Rigo, delle
analogie tra il proprio amore e quello di Orfeo.332 Si potrebbe dire che anche Dante prima
di ritrovare Beatrice e il suo stile nuovo, deve morire così come Orfeo viene ucciso nelle
Metamorfosi.333 Il riferimento a Orfeo è ancora più chiaro nel passo in cui la voce di Dante
parla quasi da sé lungo un ‘rivo chiaro molto’ e dopo molte sconfitte, come la lingua di
Orfeo nell’acqua dell’Ebro.334 Inoltre, la ripetizione del nome di Euridice nelle Georgiche si
vede anche nella continuata menzione del nome di Beatrice.335 Secondo Rigo il mito
sembra fornire la base del racconto dantesco, anche nei momenti in cui Dante nega ed
emula il mito: mentre nelle Georgiche Orfeo perdette Euridice perché era immemor, Dante
invece ricorda.336
327
Rigo, op.cit., p. 94.
M. Picone, ‘Il canto V del Purgatorio fra Orfeo e Palinuro’, L’Alighieri 40, 13 (1999), pp. 39-52.
329
Picone, op.cit., pp. 42-43.
330
Dante Alighieri, Purgatorio, XXVII, 109-142.
331
D.H. Brumble, Classical Myths and Legends in the Middle Ages and the Renaissance. A Dictionary of
Allegorical Meanings, London-Chicago, Fitzroy Dearborn, 1998, p. 250.
332
Rigo, op.cit., pp. 30-32.
333
Dante Alighieri, Vita Nuova, XV, 5.
334
Dante Alighieri, Vita Nuova, XIX, 1.
335
Dante Alighieri, Vita Nuova, XXVII, 4; XXXII, 6; XXXIV, 3 & 10; XLI, 7.
336
Rigo, op.cit., p. 32.
328
118
IL MITO COME TOPOS
Anche Margherita de Bonfils Templer sostiene che Dante, rielaborando la figura
della ‘donna gentile’ della Vita Nuova nel Convivio (1304-1308), si sarebbe ispirato alla
descrizione del mito di Orfeo da parte di Boezio.337 Nel Medioevo il De Consolatione di
Boezio era considerato un capolavoro, il che risulta dall’abbondanza dei commenti (cfr. §
1.5.1). Nel commento principale di Guglielmo di Conches, il mito di Orfeo ed Euridice fu
considerato un integumentum che conteneva una verità nascosta. Orfeo rappresenta la
mente ed Euridice la parte concupiscente dell’anima. Fuggendo dalla virtù (Aristeo) la
concupiscenza naturale si abbandona ai desideri terrestri. Orfeo non è in grado di lasciarla
indietro e di sottrarre la sua concupiscenza al mondo temporale. Nella transizione dalla
donna gentile della Vita Nuova alla donna gentile del Convivio, Dante mostra la sua
conoscenza di Boezio. Beatrice muore alla fine della Vita Nuova. Il dolore di Orfeo dopo
essersi volto indietro e aver perduto Euridice per la seconda volta si riflette nel dolore di
Dante alla fine della Vita Nuova, quando il poeta ‘volge indietro i suoi occhi verso i confini
della notte’.338 Nel Convivio si crea un nuovo amore. Dante deve lasciare l’amore sensibile
(l’amore per Beatrice), per raggiungere l’amore intellettuale, che sostituisce la Filosofia
boeziana. Non si focalizza più su Beatrice, ma sull’amore intellettuale, per liberarsi dalla
donna amata. Il canto di Orfeo ed Euridice nel De Consolatione di Boezio rispecchia le
fatiche di Dante.339 Beatrice non è ancora la Beatrice della Commedia, ma è
temporaneamente messa tra parentesi come amore sensibile.340
L’interpretazione allegorica dello sguardo di Orfeo si trova dunque non solo nelle
opere di Petrarca e di Salutati, ma già implicitamente anche nell’Inferno, nel Purgatorio,
nella Vita Nuova e nel Convivio di Dante. Quest’interpretazione che fu cruciale nei
commenti medievali a Boezio per riconciliare il mito con il pensiero cristiano, è dunque
ancora molto autorevole negli autori italiani trecenteschi. Sia Dante che Petrarca guardano
indietro al loro amore terreno e lo condannano come un errore.
Nel Paradiso dantesco possiamo trovare, secondo Rigo, un ultimo riferimento al
mito di Orfeo. Le parole ‘Se mai continga che ‘l poema sacro [...] vinca la crudeltà’
(Paradiso, XXV, 1-4) ricordano la descrizione del potere di Orfeo nel Convivio:
‘mansuescere e umiliare li crudeli cordi’. Dante spera che la voce del suo poema possa
vincere la crudeltà del suo esilio, affinché lui possa tornare nella patria. Rigo spiega che la
poesia non muore come Euridice, ma sopravvive nel passaggio dal tempo all’eterno:
337
M. de Bonfils Templer, ‘La donna gentile del Convivio e il boeziano mito d’Orfeo’, Dante Studies 101
(1983), p. 123.
338
Bonfils Templer, op.cit., p. 137.
339
Bonfils Templer, op.cit., pp. 129-131.
340
Bonfils Templer, op.cit., p. 132.
119
CAPITOLO 2
Ripreso e superato nella Vita Nuova, ripetuto all’inizio dell’Inferno, allontanato sulla soglia
del Purgatorio, il mito di Orfeo si ripropone come nascosta memoria che informa l’intera
opera del poeta fiorentino. Ed è una memoria che discute rovescia rinnova.
Se la parola poetica, la poesia, è per Dante quel vincolo che congiunge il sensibile al
sovrasensibile, l’intelligibile all’inintelligibile; se è quel “nodo” in cui convergono e si
esprimono trapassando l’una nell’altra vicendevolmente esistenza ed essenza, fisica e
metafisica, allora la poesia, diversamente dall’Euridice di Orfeo, non si dissolve varcando la
soglia tra il tempo e l’eterno, ma in questo transito, come Beatrice, vive e si manifesta.341
Anche se il comportamento di Orfeo nell’Ade è condannato come un ritorno ai piaceri
terreni, il suo potere poetico è sempre visto come un aspetto positivo, come nel Convivio.
Orfeo è anche stimato nel suo ruolo di poeta e teologo nell’Inferno e nelle opere di altri
autori trecenteschi.
2.7 POETA-TEOLOGO O FILOSOFO
La rappresentazione corrente di Orfeo nel Trecento e all’inizio del Quattrocento è quella
del cantante meraviglioso che si innamora di Euridice e che riesce a sottrarla all’Ade per
mezzo della sua musica, ma che purtroppo si volge indietro. Benché Orfeo poeta o
cantante sia visto come un esempio positivo, il suo comportamento come amante è
criticato. La figura mitologica di Orfeo suscita dunque delle reazioni diverse. Oltre ai tanti
riferimenti diversi a Orfeo cantante o amante mitologico, si trova anche qualche indizio di
un altro lato di Orfeo, o di un altro Orfeo: il poeta-teologo. Nella funzione di poeta-teologo
Orfeo viene quasi sempre paragonato a Lino e a Museo, considerati i primi teologi in varie
fonti antiche e medievali.
Naturalmente anche Boccaccio, che sembra conoscere ogni particolare del mito di
Orfeo, menziona Orfeo poeta-teologo. Nel quattordicesimo libro delle Genealogie in cui
Boccaccio difende la poesia e in particolare nell’ottavo capitolo sull’origine della poesia,
l’autore accenna a Museo, Lino e Orfeo come i primi teologi.342 Secondo Boccaccio alcuni
autori attribuiscono l’invenzione della poesia a Mosè, mentre altri invece l’attribuiscono ai
Babilonesi. Boccaccio stesso pensa che l’arte della poesia sia nata in Grecia, come
affermano Leonzio e Petrarca. Secondo Boccaccio gli uomini, dopo aver cominciato a
credere in Dio, vollero in seguito onorare Dio con sacrifici. Vennero eletti degli uomini
saggi come sacerdoti, per celebrare i sacrifici. Per poter parlare alla divinità i sacerdoti
inventarono poi la poesia. Orfeo è considerato uno dei primi sacerdoti. Boccaccio omette
esplicitamente in questo luogo il fatto che alla poesia, inventata dai sacerdoti, venne
341
342
Rigo, op.cit., p. 162.
Boccaccio, Genealogie, libro XIV, VIII (Qua in parte orbis prius effulserit poesis), 6; 8-11.
120
IL MITO COME TOPOS
aggiunto il canto.343 Anche nelle Esposizioni sopra la Comedia (1373-74) Boccaccio
rappresenta Orfeo come poeta-teologo o sacerdote:
E quegli, che prima trovarono appo i Greci questo, furono Museo, Lino e Orfeo. E, perché
ne’ lo versi parlavano delle cose divine, furono appellati non solamente “poeti”, ma
“teologi”; e per le opere di costoro dice Aristotile che i primi che teologizarono furono i
poeti. E, se bene si riguarderà alli loro stili, essi non sono dal modo del parlare differenti da’
profeti, ne’ quali leggiamo, sotto velamento di parole nella prima aparenza fabulose, l’opere
ammirabili della divina potenza. (Boccaccio, Esposizioni, canto I, esp. litt. 75)
Sia nelle Esposizioni che nelle Genealogie Boccaccio indica dunque Orfeo, Museo e Lino
come i primi teologi. Nelle Genealogie Boccaccio cita l’affermazione di Paolo Perugino che
l’invenzione della poesia era molto più recente, perché Orfeo sarebbe stato un
contemporaneo di Laomedonte, re di Troia. Secondo Leonzio si poteva risolvere questa
discrepanza assumendo l’esistenza di più Orfei: l’Orfeo greco fu uno dei primi sacerdoti,
mentre quello tracio inventò le feste di Bacco. Boccaccio sembra fare sua la teoria di
Leonzio:
Attamen ad hec respondebat Leontius arbitrari a doctis Grecis plures fuisse Orpheos atque
Museos, verum illum veterem Museo veteri atque Lyno contemporaneum grecum fuisse,
ubi trax iunior predicatur. Sane quoniam iunior hic Bachi orgia adinvenit et Menadum
nocturnos cetus, et multa circa veterum sacra innovavit, et plurimum oratione valuit, ex
quibus apud coevos ingentis extimationis fuit, a posteris primus creditus est Orpheus.
(Boccaccio, Genealogie, libro XIV, VIII, 9-10)344
Boccaccio pensa che già prima dei poeti pagani ci fosse Mosè, che scrisse la maggior parte
del Pentateuco in versi esametrici.345 Così si può collocare Boccaccio nella tradizione che
comincia con gli apologeti cristiani, tra cui si trova anche Eusebio, citato da Boccaccio
come fonte. Secondo Rose Marie San Juan, il passo citato dalle Geneologie è la prova più
esplicita della doppia concezione di Orfeo nell’opera di Boccaccio: Orfeo poeta-teologo e
Orfeo amante di Euridice.346 Robert Hollander ha mostrato che questa bipartizione di
Orfeo è presente in tutta l’opera di Boccaccio:
343
Boccaccio, Genealogie, libro XIV, VIII, 7.
‘A questi argomenti però rispondeva Leonzio che i dotti Greci ritenevano esserci stati più Orfei e Musei,
ma che quello Orfeo antico, che fu contemporaneo al vecchio Museo e a Lino, fu greco, mentre quello più
recente è detto tracio. Ma poiché quest’ultimo inventò le orge di Bacco e i notturni convegni delle Menadi e
molte cose innovò nei sacrifici degli antichi e molto valse nell’orazione, per i quali meriti fu molto stimato tra
i contemporanei, fu creduto dai posteri essere stato il primo Orfeo.’
345
Boccaccio, Genealogie, libro XIV, VIII, 11.
346
San Juan, The Legend of Orpheus, cit., p. 48.
344
121
CAPITOLO 2
Boccaccio’s Orpheus is a complex figure, usually represented in one of two guises, either as
the lover-poet or as the theological poet. In Boccaccio’s many allusions to him he will own
either of these two identities, but not both of them together. As the lover-poet he uses the
instrument of his art to the end of all-too-human sexual endeavor. As the poeta-theologus
(a concept which plays such an important part in the fourteenth-century argument about
the relationship of poetry to truth) he stands for higher moral principles.347
I due aspetti del personaggio di Orfeo non si trovano dunque mai insieme nello stesso
riferimento. Nelle opere letterarie di Boccaccio, che trattano spesso dell’amore, troviamo
l’immagine di Orfeo poeta-amante. Nella sua opera mitografica e nel commento all’Inferno
di Dante incontriamo anche un Orfeo poeta-teologo. La duplice immagine di Orfeo si vede
chiaramente anche nel commento a Inferno IV.348 Boccaccio distingue tra le ‘finzioni dei
poeti’ e l’immagine storica di Orfeo. Stima la figura storica, ma critica spesso la figura
mitologica che peraltro è solo una finzione. Mai prima la differenza fu esplicitata talmente.
Vediamo i due lati di Orfeo anche nell’Amorosa visione (ca. 1342). Da una parte
Orfeo è rappresentato come poeta-amante nel trionfo dell’Amore (§ 2.5), dall’altra parte
Orfeo figura come poeta-teologo nel quarto canto dell’Amorosa visione. Orfeo è
rappresentato nel trionfo della Sapienza:349
Diascoride ancor v’era ed Orfeo,
Abempece e Temistio, e poi un poco
Essiodo almo e Timoteo.
(Boccaccio, Amorosa visione, IV, 70-72)
La posizione nell’Amorosa visione indica le due funzioni diverse di Orfeo. Boccaccio
accenna a Orfeo amante nel trionfo dell’Amore, e a Orfeo sapiente o poeta-teologo nel
trionfo della Sapienza. Abbiamo già visto nelle opere di Petrarca che il luogo dove Orfeo si
trova, o piuttosto il tipo di opera o genere letterario in cui si trova è decisivo per la sua
caratterizzazione. La tradizione di Orfeo, Museo e Lino come poeti-teologi sembra dunque
347
Hollander, op.cit., p. 83.
Boccaccio, Esposizioni, Inferno IV, 323; 326 (Hollander, op.cit., p. 83).
349
Esistono due redazioni alquanto diverse dell’Amorosa visione. Ho citato la versione A. La versione B, in cui
spicca la presenza di Lino, contiene una lista un po’ diversa: Orfeo, Arione, Essiodo, Lino e Timoteo. In
ambedue i casi Orfeo rappresenta, però, secondo Hollander il poeta-teologo, il che risulta dalla presenza di
Esiodo (Hollander, op.cit., p. 214, n. 98).
348
122
IL MITO COME TOPOS
da distinguere nettamente dalla tradizione di Orfeo come cantante straordinario che
discese nell’inferno e che viene paragonato ad Anfione ed Arione.350
Hollander accenna alle rassomiglianze tra il passo nell’Amorosa visione e la
descrizione di Orfeo da parte di Dante nel quarto canto dell’Inferno.351 Dante e Virgilio
stanno guardando un gruppo di spiriti magni, che si possono dividere in due categorie: gli
eroi o uomini d’azione e gli uomini dello spirito. Nell’ultimo gruppo si trovano i tre grandi
filosofi Aristotele, Socrate e Platone, i sette presocratici, il medico Dioscuride, altri sei
filosofi e il gruppo di Orfeo, Tullio (Cicerone), Lino o Livio e Seneca:352
[...] e vidi Orfeo,
Tulio e Lino e Seneca morale;
(Dante, Inferno, IV, vv. 140-141)
Orfeo è considerato una figura storica, come gli scrittori latini e Lino. Fa parte degli
uomini spirituali o della ‘filosofica famiglia’.353 Anche se Dante allude spesso allo sguardo
indietro di Orfeo amante (cfr. § 2.6), anche lui riconosce dunque la figura storica e gli
attribuisce un ruolo molto più positivo. Né Boccaccio nell’Amorosa visione né Dante
nell’Inferno parlano esplicitamente di Orfeo come poeta-teologo, ma lo collocano tra gli
uomini sapienti. Si tratta comunque in essenza della stessa figura.
Anche Petrarca conosce Orfeo come poeta-teologo, benché la maggior parte dei
suoi riferimenti a Orfeo riguardi il musicista eccellente o l’amante esemplare. Petrarca
ottiene la sua informazione su Orfeo teologo da Agostino e da Aristotele, come mostra
nell’Invective contra medicum:
Primos nempe theologos apud gentes fuisse poetas et philosophorum maximi testantur, et
sanctorum confirmat autoritas, et ipsum, si nescis, poete nomen indicat. In quibus maxime
nobilitatus Orpheus, cuius decimoctavo civitatis eterne libro Augustinus meminit.
350
Non si può dire semplicemente che ogni volta che si parla di Orfeo in combinazione con Lino e con
Museo si tratta di Orfeo come poeta-teologo e che in combinazione con Anfione o Arione si tratta di Orfeo
come cantante-amante. Si veda per esempio: Boccaccio, Teseida, libro XII, 72.
351
Hollander, op.cit., p. 86.
352
Wilhelm, op.cit., p. 398-399 (‘Wenn die Lesart Livio richtig sein sollte – in den neueren kommentierten
Ausgaben der Divina Commedia überwiegt die Lesart Lino -, meint Dante den Reichtum an allgemeinen
Erkenntnissen, die in die Geschichtsbücher des von Dante hochgeschätzten Historikers eingestreut sind.
Sollte dafürf Lino zu lesen sein, was ich für wahrscheinlicher halte, würden Orfeo und Lino
zusammengehören und als Griechen den beiden Römern die Waage halten. Aus dieser Zusammenstellung
ist zu schließen, daß Dante den Orpheus und den Linos als geschichtliche Gestalten und als Geistergrößen
und Weise der griechischen Antike betrachtet, ähnlich wie Cicero und Seneca der römischen.’).
353
Barański, op.cit., pp. 133-134.
123
CAPITOLO 2
(Petrarca, Invective contra medium, libro III, p. )354
San Juan afferma che il De Civitate Dei di Agostino e la Metafisica di Aristotele erano le
fonti più citate dai primi umanisti in rapporto al concetto del poeta-teologo.355 Agostino fa
menzione dei tre poeti-teologi Lino, Museo e Orfeo, ma Petrarca e Boccaccio preferiscono
Orfeo ai due altri poeti, come mostra anche San Juan.
Dopo Boccaccio e Petrarca, anche Coluccio Salutati presenta Orfeo come poetateologo nel De Laboribus Herculis, un’opera che discuteremo nel prossimo paragrafo.356
Orfeo vi è rappresentato di nuovo in combinazione con Museo e con Lino. Anche Salutati
cerca di giustificare, come afferma San Juan, l’uso della poesia classica mostrando il
significato teologico che si nasconde in questo tipo di poesia. L’Orfeo teologo che troviamo
nell’opera di Boccaccio, di Petrarca e di Salutati acquisterà tanta importanza nelle opere di
Marsilio Ficino, come vedremo nel prossimo capitolo.357
2.8 L’EPICUREO VS. LO STOICO NEL DE LABORIBUS HERCULIS DI SALUTATI
Nel De laboribus Herculis di Coluccio Salutati (1331-1406) troviamo la descrizione più
elaborata del mito di Orfeo nella letteratura italiana della prima metà del Quattrocento. De
laboribus Herculis consiste di quattro libri. Nel primo libro Salutati difende la poesia, come
Boccaccio aveva fatto negli ultimi due libri delle Genealogie. Il secondo e il terzo libro
trattano di Ercole, rispettivamente dell’eroe stesso e delle sue fatiche. Per quanto riguarda
la fortuna del mito di Orfeo ci interessa soprattutto il quarto libro, in cui sono discusse
alcune discese famose nell’Ade. Oltre alla discussione delle discese di Enea, di Ercole, di
Teseo e di Anfiarao, Salutati presta molta attenzione alla discesa di Orfeo, che tratta per
prima.
Friedman accenna all’interesse degli uomini medievali prima di Salutati per il topos
della discesa agli inferi.358 Secondo lui i racconti di discese infernali erano molto istruttivi
per l’uomo cristiano, perché permettevano di condividere l’esperienza di fare un viaggio
infernale senza dover fare quel viaggio di persona. L’autore medievale più importante che
abbia discusso l’inferno è Bernardo Silvestre. Il suo commento all’Eneide ebbe una grande
354
‘Naturalmente, che presso i popoli i primi teologi siano stati dei poeti lo attestano i maggiori filosofi, lo
conferma l’autorità dei santi, e, se non lo sai, lo indica il nome stesso di poeta. Tra quelli il più celebrato fu
Orfeo, di cui fa menzione Agostino nel diciottesimo libro della Città di Dio.’.
355
San Juan, op.cit., p. 47 (San Juan cita da Osgood, p. 163, n. 19 e da Witt, p. 539).
356
Salutati, De laboribus Herculis, libro I, i; vol. I, p. 9.
357
Cf. anche Buck, op.cit., p. 18; Warden, op.cit., p. 91.
358
Friedman, Orpheus in the Middle Ages, cit., p. 142.
124
IL MITO COME TOPOS
influenza sulla descrizione dantesca dell’inferno, ma anche su quella di Salutati. Bernardo
distingue quattro modi per discendere nell’Ade:
Descensus autem ad inferos quadrifarius est: est autem unus naturae, alius virtutis, tertius
vitii, quartus artificii. (Bernardo Silvestre, Commentum, p. 30)359
L’uomo saggio discende nell’Ade grazie alla virtù, respingendo le cose mondane. Orfeo è
l’esempio dell’uomo saggio. Euridice invece rappresenta la discesa nell’Ade per merito del
vizio, perché non è in grado di liberarsi dai ‘temporalia’. Secondo Friedman Salutati
adopera lo schema quadruplice di Bernardo aggiungendo molto dal Timeo di Platone e dal
commento al Somnium Scipionis di Macrobio.360 A Salutati interessa soprattutto il
contrasto tra la discesa per mezzo della virtù e quella per mezzo del vizio. Ercole
rappresenta lo stoico per cui la virtù è la cosa più importante. Orfeo invece è l’esempio
dell’epicureo che cerca il piacere:
Epycurii quidem voluerunt voluptatem vel, ut moderatius loquar, delectationem summum
bonum esse, Stoyci vero virtutem et honestatem. […] Et Epycurios quidem delectabiliaque
sequentes poete figuraverunt in Orpheo, vulgus sequens utilitatem designaverunt in
Theseo atque Perithoo, Stoycos in Hercule et Enea.
(Salutati, De laboribus Herculis, liber IV, pp. 488-89)361
Salutati narra il mito di Orfeo in due capitoli. Il primo capitolo è intitolato ‘De descensu
Orphei, qui volebat Euridicem ab inferis revocare, et primo fabula.’ Ivi Salutati
contrappone le opinioni di vari autori sul mito di Orfeo: di Germanico Cesare, di Igino, di
Lattanzio, di Servio e di Fulgenzio. Salutati cita dalle opere di questi commentatori. San
Juan accenna che Salutati ignora completamente i poeti antichi e che sceglie dalle opere
dei commentatori soltanto quei particolari che corrispondono all’interpretazione
evemeristica di Orfeo.362 Secondo San Juan questa caratterizzazione di Orfeo ha due scopi:
da una parte sostiene l’immagine di Orfeo come poeta-teologo che, come abbiamo visto
nel paragrafo precedente, era adoperata da Salutati nella sua difesa della poesia, e dall’altra
359
‘La discesca agli Inferi è quadriforme: la prima è quella della natura, l’altra è quella della virtù, la terza
quella del vizio e la quarta quella dell’artificio.’ Il passo è citato da Friedman, Orpheus in the Middle Ages, cit.,
p. 142.
360
Friedman, Orpheus in the Middle Ages, cit., p. 143. Salutati cita il Timeo da Chalcidio.
361
‘Gli epicurei vollero che la voluttà ossia, per dirlo più moderatamente, il diletto fosse il sommo bene, ma
gli stoici (volsero che) la virtù e l’onestà (fossero il sommo bene). E i poeti rappresentarono gli epicurei che
seguivano i diletti nella figura di Orfeo, ed il volgo che seguiva l’utilità nelle figure di Teseo e di Peritoo, e gli
stoici nelle figure di Ercole ed Enea.’ Il testo latino è citato da: Colucii Salutati De laboribus Herculis, vol. I-II,
edidit B.L. Ullman, Turici, in aedibus Thesauri Mundi, 1951.
362
San Juan, The Legend of Orpheus, cit., p. 49.
125
CAPITOLO 2
fornisce molto materiale per l’interpretazione allegorica del mito di Orfeo che seguirà
immediatamente dopo.
Dopo la descrizione del mito di Orfeo per mezzo dei commentatori segue un
capitolo molto più lungo sull’‘Allegoria fabule Orphei et omnium que circa materiam
relata sunt.’ Salutati mostra la sua conoscenza di altre interpretazioni allegoriche del mito
di Orfeo, come quella musicale di Fulgenzio e quella di Remigio, in cui Orfeo rappresenta
l’eloquenza. Salutati accenna all’importanza delle Genealogie di Boccaccio e
all’interpretazione storica di Servio. Nel seguito Salutati vuole, però, proporre un’altra
interpretazione, menzionata brevemente nel capitolo introduttivo alle varie discese
nell’Ade, cioè quella di Orfeo come epicureo:
Diximus ergo poetas in Orpheo delectabilia sequentes Epycurios figurasse. Nam qui non
solummodo disputant sed arbitrantur, docent, et tenent voluptatem esse summum bonum
delectabilia sine dubio prosequuntur. (Salutati, De laboribus Herculis, liber IV, p. 493)363
Segue una lunga serie di etimologie che spiegano i nomi di Orfeo, di Calliope, di Euridice e
di Aristeo in vari modi, dove Salutati si vanta della sua conoscenza del greco.364 Infatti,
oltre all’etimologia latina Salutati colloca sempre un’etimologia greca. Nell’interpretazione
etimologica l’autore si basa soprattutto su Fulgenzio.
Salutati presta molta attenzione alla discendenza di Orfeo da Eagro e da Calliope, a
cui attribuisce i significati allegorici di umore e di armonia. Anche attraverso
quest’allegoria Orfeo diventa il simbolo dell’epicureo.365 Euridice rappresenta secondo
l’etimologia il ‘bonorum fluentium iudicium’ o ‘iudicium fluxibilium’, cioè il giudizio delle
cose effimere, che piace all’epicureo.366 Come sostiene San Juan, l’allegoria di Salutati è una
variante dell’interpretazione allegorica di Boezio: Orfeo è condannato per il suo desiderio
di piaceri sensuali.367 Nell’interpretazione allegorica di Salutati Aristeo simboleggia l’uomo
dalla virtù divina.368 Dopo una breve discussione della discesa di Orfeo nell’Ade, Salutati
descrive elaboratamente lo strumento musicale di Orfeo, facendo riferimento a fonti
diverse che parlano della lira o della cetra di Orfeo.
Anche la morte di Orfeo è spiegata in maniera allegorica. Orfeo è punito per aver
trascurato Libero (Bacco), che è considerato il principio di generazione o riproduzione
umana. Il cantante segue i ‘delectabilia’ e indulge alla libidine, invece di concentrarsi sulla
363
‘Dicemmo dunque che i poeti rappresentavano gli epicurei che seguivano i diletti nella figura di Orfeo.
Perché questi non solo discutono, ma credono anche, e insegnano e mantengono che la voluttà è il sommo
bene e perseguono i diletti senza dubbio.’
364
Friedman, Orpheus in the Middle Ages, cit., p. 144.
365
Salutati, De laboribus Herculis, liber IV, pp. 495-96.
366
Salutati, De laboribus Herculis, liber IV, p. 496.
367
San Juan, The Legend of Orpheus, cit., p. 82.
368
L’etimologia del nome di Aristeo (da ‘ares’ e ‘theos’) deriva dal commento di Bernardo Silvestre.
126
IL MITO COME TOPOS
perfezione della ragione. L’uccisione di Orfeo da parte delle Baccanti è la conseguenza
della distruzione del corpo per via di Venere:
Quoniam igitur Orpheus, homo scilicet voluptuosus, non intendendo finem rationis atque
virtutis obliviscitur Liberi patris, finem quem proposuit non sequendo, sed eius inquirit
initia indulgens Venerie voluptati, discerpitur a Bachis seu mulieribus Thraciis, quoniam
sine dubio Veneris opus corpus humanum deterit et consumit, aliquid semper eius per
singulos concubitus delibando. (Salutati, De laboribus Herculis, liber IV, pp. 503-4)369
Citando Virgilio Salutati narra poi come il capo di Orfeo galleggia sull’acqua dell’Ebro, e
anche questo dettaglio è spiegato allegoricamente in rapporto con il carattere epicureo di
Orfeo. Friedman accenna all’importanza del luogo in cui muore Orfeo nell’allegoria di
Salutati. Infatti, Orfeo è ucciso secondo alcune fonti sul monte Pangeo in Tracia. Secondo
Salutati la Tracia simboleggia Venere e il monte Pangeo rappresenta tutta la terra (da ‘pan’
e ‘geis’):
Nunc autem Orpheus, vir voluptuosus, ubi convenientius moritur quam in Thracia, hoc est
Veneris regione, monteque Pangeo, per quem tota terrestritas denotatur?
(Salutati, De laboribus Herculis, liber IV, p. 505)370
L’uomo voluttuoso muore dunque nella regione di Venere. Nel capitolo sulla discesa
nell’Ade di Teseo e di Piritoo, Salutati torna brevemente sull’uccisione di Orfeo.371
La trattazione del mito di Orfeo da parte di Coluccio Salutati è importante per due
ragioni: è la descrizione più lunga del mito di Orfeo finora esistente nella letteratura
italiana, se si eccettua la sua apparizione in commenti a testi antichi (come alle
Metamorfosi) e in trattati mitologici (come nelle Genealogie di Boccaccio). Inoltre Salutati
riesce a dare un’interpretazione personale del mito, contrariamente a quello che abbiamo
visto nell’opera di altri autori italiani prima della metà del Quattrocento. Mentre quasi
tutti ripetono continuamente la stessa immagine di Orfeo per animare i loro testi, Salutati
elabora il personaggio mitologico in una direzione molto diversa, che ha però delle radici
nella letteratura precedente. Orfeo rappresenta l’uomo in cerca della voluttà o del piacere e
così diventa il prototipo dell’epicureo, che viene opposto a Ercole che con il suo
369
Cf. anche Friedman, Orpheus in the Middle Ages, cit., p. 144. ‘Siccome dunque Orfeo, cioè l’uomo
voluttuoso, non intendendo la fine della ragione e della virtù dimentica il padre Libero, non seguendo la fine
che lui propose, ma cerca il suo inizio indulgendo alla voluttà di Venere, è dilaniato dalle Baccanti o dalle
donne tracie, perché l’opera di Venere distrugge e consume senza dubbio il corpo umano, sempre togliendoci
qualcosa per i singoli concubiti.’
370
‘Ma ora dove muore Orfeo, l’uomo voluttuoso, più convenientemente che in Tracia, cioè nella regione di
Venere, e sul monte Pangeo, per cui si designa tutta la terrenità.’
371
Salutati, De laboribus Herculis, liber IV, p. 510.
127
CAPITOLO 2
comportamento virtuoso è l’emblema dello stoico. Orfeo è caratterizzato in modo negativo
da Salutati. La sua morte orrenda è il risultato del suo stile di vita libertina.
Quest’interpretazione di Orfeo è dunque ancora più negativa di quelle precedenti della
discesa agli inferi e dello sguardo indietro. Agli occhi di Salutati Orfeo non rappresenta
l’uomo in cerca del sommo bene che si sbaglia, ma rappresenta sin dall’inizio l’uomo in
cerca del piacere sbagliato. Con l’interpretazione di Salutati si raggiunge il punto più basso
dell’apprezzamento di Orfeo.372
2.9 CONCLUSIONE
Nel Trecento e nel primo Quattrocento il mito e il personaggio di Orfeo sono largamente
presenti nelle traduzioni di testi antichi e nelle Genealogie di Boccaccio. Soprattutto nelle
traduzioni delle Metamorfosi e nelle Genealogie si raccolgono molti elementi diversi del
mito di Orfeo, come il potere della musica, la storia d’amore di Orfeo ed Euridice, la morte
di Orfeo, la sua partecipazione al viaggio degli Argonauti. Boccaccio ha una profonda
conoscenza del mito di Orfeo. È l’unico scrittore del Trecento che descrive il mito in tutti i
suoi dettagli. Questa completezza è inerente al genere dell’opera enciclopedica. Quasi
nessun autore descrive l’uccisione di Orfeo tranne Boccaccio, anche se la causa che lui
suggerisce è nuova. Lui parla del mito come una finzione poetica. Enumera alcune
interpretazioni allegoriche e offre qualche spiegazione storica del personaggio. Anche le
rielaborazioni delle Metamorfosi di Del Virgilio e di Bonsignori, che si possono considerare
compendi mitologici, trattano le favole come racconti irrealistici che vanno spiegati in
modo allegorico. Nelle sue aggiunte allegoriche al mito ovidiano Bonsignori vuole far
emergere sistematicamente la ‘verità della istoria’ (interpretazione evemeristica) e la
morale nascosta.
L’immagine di Orfeo che risalta dalle allegorie di Boccaccio e di Bonsignori è molto
variegata. Nelle Genealogie Orfeo è considerato la buona voce dell’eloquenza oppure
l’ottima voce (cf. Fulgenzio). Nelle allegorie di Bonsignori Orfeo rappresenta l’uomo
sapiente ed eloquente che con Euridice perse il buon senso. Orfeo è anche indicato come
grande filosofo che annegò inebriato nel fiume (senso storico) o come l’uomo rispettabile
che vince l’uomo invidioso (senso morale). Benché Boccaccio offra un’immagine
equilibrata del personaggio, l’autore camuffa l’aspetto dell’omosessualità che poteva essere
interpretata negativamente e accentua la forza della musica (per civilizzare gli uomini).
Boccaccio offre un’immagine positiva, perché ha ancora bisogno della figura di Orfeo nel
372
Il contrasto tra Orfeo ed Ercole torna anche nella Camera degli Sposi di Andrea Mantegna (§ 4.4.1), nel
ritratto di Cosimo I da parte di Bronzino, e in altre opere d’arte commissionate dai Medici (§ 5.9). In queste
opere il contrasto sembra, però, diverso. Orfeo ed Ercole rappresentano probabilmente i due lati del buon
governo.
128
IL MITO COME TOPOS
suo discorso sulla poesia (libro 14), per la sua affermazione che la poesia è altrettanto
antica e interessante quanto la teologia. Dato che ha bisogno di un’immagine positiva in
quel libro, non può condannare Orfeo nella sua descrizione elaborata del personaggio
mitologico. Boccaccio trascura l’aspetto omosessuale e lo sostituisce con un’altra ragione
per l’uccisione di Orfeo (trasformazione dell’azione), ma spiega anche lo sguardo indietro
di Orfeo, che nel Medioevo era sempre interpretato come qualcosa di negativo, in modo
diverso. Il fallimento di Orfeo ne risulta sottilmente alleggerito. Anche Bonsignori dà per le
sue interpretazioni allegoriche una piega più positiva al mito di Orfeo.
Nonostante la disponibilità della conoscenza di molti particolari del mito di Orfeo
nel Trecento, nella maggior parte dei testi letterari si ripetono soltanto alcuni elementi
stereotipati del mito. A parte i riferimenti al mito in traduzioni, commenti e opere
enciclopediche, si può dunque constatare che il mito è soprattutto adoperato come topos.
Non sembra esistere un rapporto tra le opere enciclopediche e le traduzioni da una parte
ed i riferimenti letterari dall’altra.
Orfeo è visto soprattutto come poeta o musicista ideale: qualche volta il suo nome
potrebbe essere sostituito semplicemente con la parola ‘musica’. Certi poeti si paragonano
al cantante per eccellenza e cercano di sorpassarlo. Questo Orfeo si trova soprattutto nella
poesia lirica e in un madrigale di Landini. L’esito infelice del mito è spesso omesso per non
distruggere l’immagine del cantante eccellente.
Il canto di Orfeo per gli animali era interpretato spesso, a partire da Orazio, come
un’allegoria della civilizzazione. Dante menziona il mito di Orfeo come un esempio
dell’interpretazione di un testo in maniera allegorica. Boccaccio sottolinea la forza
dell’eloquenza nella civilizzazione dell’umanità. Tale interpretazione diventerà molto
popolare tra gli umanisti e nei trattati poetici cinquecenteschi.
Nella poesia lirica troviamo oltre a Orfeo poeta esemplare anche un Orfeo amante.
Petrarca paragona il suo amore in alcune poesie a quello di Orfeo ed Euridice. Boccaccio
lascia che Orfeo canti il suo amore nell’Amorosa Visione. Tuttavia, questo amore non
sembra molto desiderabile. Nei suoi scritti filosofici Petrarca dimostra di avere un’opinione
negativa di Orfeo: Orfeo che si voltò a guardare Euridice simboleggia l’uomo che ritorna ai
vizi terreni e devia dalla strada giusta. Il motivo dello sguardo indietro si trova spesso nel
Trecento (anche senza riferimento esplicito a Orfeo) e sarà ripreso nella cerchia
laurenziana. Neanche nell’Amorosa visione l’amore trionfa alla fine e in altre opere
boccacciane l’amore di Orfeo è condannato. Benché Dante non si riferisca esplicitamente
alla storia d’amore, il motivo torna frequentemente nelle sue opere. Perfino all’interno
delle opere di un unico autore si trovano dunque delle visioni diverse di Orfeo, che
possono essere conflittuali.
Boccaccio non rappresenta Orfeo soltanto come poeta amante, ma anche come
poeta-teologo. Il poeta-teologo è un personaggio veramente diverso, che si trova quasi
129
CAPITOLO 2
sempre in un contesto diverso dell’amante. Nella funzione di poeta-teologo Orfeo tornerà
nelle opere di Ficino.
L’unica elaborazione nuova di Orfeo fino al primo Quattrocento si trova nel De
laboribus Herculis di Salutati, che contrappone Orfeo a Ercole. Ercole rappresenta lo stoico
virtuoso, mentre Orfeo simboleggia l’epicureo che non riesce a staccarsi dai piaceri terreni.
Questo esempio negativo di Orfeo voluttuoso influenzerà forse gli affreschi di Signorelli.
Se si esclude l’interpretazione originale di Salutati, i riferimenti separati a Orfeo
sono, però, piuttosto stereotipati e legati a un determinato genere letterario (la poesia
lirica, la filosofia). La figura di Orfeo suscita reazioni sia positive che negative in vari autori
(ma anche nelle opere dello stesso autore). Gli stessi motivi continueranno a manifestarsi
nei testi della seconda metà del Quattrocento fino al Seicento, come vedremo nel capitolo
5. Anche la fortuna delle Genealogie e dell’Ovidio metamorphoseos vulgare continuerà a
farsi sentire fino nel Cinquecento, quando i testi saranno divulgati in edizioni stampate. La
loro influenza si estenderà allora anche alle arti figurative.
130
CAPITOLO 3. POETA-TEOLOGO STORICO
La cerchia di Marsilio Ficino a Firenze (ca. 1450-1500)
3.0 FICINO E IL NEOPLATONISMO FIORENTINO
A metà del Quattrocento si svolse un cambiamento importante nella percezione della
figura di Orfeo. Come abbiamo visto nel capitolo precedente, nel Trecento e nel primo
Quattrocento i riferimenti a Orfeo erano stati per la maggior parte molto simili tra loro e
piuttosto stereotipati. Orfeo rappresentava il musicista eccellente, esempio per poeti e
cantanti, il civilizzatore dell’umanità e allo stesso tempo l’esempio negativo dell’uomo che
ama le cose terrestri. Tutte queste caratterizzazioni appartengono al personaggio di Orfeo
poeta-amante (lover-poet), come indicato da Robert Hollander nella sua discussione di
Orfeo in Boccaccio.373 Questo Orfeo poeta-amante si oppone a Orfeo poeta-teologo, che
forma l’altra faccia dello stesso personaggio. Nella cerchia dei neoplatonici fiorentini
intorno a Marsilio Ficino (1433-1499) l’Orfeo poeta-teologo, che nel Trecento e nel primo
Quattrocento si presentava solo nelle opere di Boccaccio, Petrarca e Salutati, si fa molto
più importante del poeta-amante, diventando perfino la figura fondamentale per la
legittimazione delle idee filosofiche di Ficino.
L’onnipresenza di Orfeo poeta-teologo nelle opere di Ficino e degli altri
neoplatonici fiorentini si deve probabilmente alla rinnovata conoscenza del greco. Dopo la
caduta di Bisanzio nel 1453 molti studiosi greci raggiunsero l’Italia, dove cominciarono ad
insegnare la loro lingua agli umanisti. Tuttavia, già prima del 1453 gli italiani avevano
approfittato dei professori greci come Emmanuele Crisolora (1350-1415), che insegnò il
greco a Guarino da Verona e a Leonardo Bruni. Poi molti greci raggiunsero l’Italia per il
Concilio di Firenze nel 1439, dove si cercò di unire le due chiese dei latini e dei greci.374
Ficino sostiene che fu questo Concilio a far nascere in Cosimo de’ Medici l’idea di creare
un’Accademia Platonica.375 Tuttavia, la connessione tra il Concilio e l’Accademia è da
considerarsi puramente simbolica.376 Vedremo dopo che anche l’idea di un’Accademia
platonica fondata da Ficino è molto discussa.
Mentre nel Trecento e nel primo Quattrocento la conoscenza dell’antichità era
stata divulgata soprattutto attraverso i testi latini, la possibilità di leggere i testi greci nella
373
Hollander, op.cit., pp. 83-86.
Reynolds & Wilson, Scribes and Scholars. A Guide to the Transmission of Greek and Latin Literature,
Clarendon Press, Oxford, 1978, pp. 130-133.
375
Ficino, Opera (ed. 1561), vol. I, Epistolarum libri II, p. 608.
376
Chastel, Marsile Ficin et l’Art, cit., p. 8.
374
131
CAPITOLO 3
lingua originale e la divulgazione del contenuto dei testi greci per mezzo di traduzioni a
partire della seconda metà del Quattrocento contribuirono ad un’immagine diversa
dell’antichità. Soprattutto la rinnovata conoscenza delle opere di Platone ebbe una grande
influenza sul pensiero rinascimentale. Anche se la traduzione di varie opere di Platone era
già avvenuta all’inizio del quattrocento ad opera di Leonardo Bruni, il ruolo svolto da
Marsilio Ficino fu di importanza maggiore. La disponibilità di nuove fonti costituì un
fattore decisivo per la nuova attenzione rivolta a Orfeo poeta-teologo.
Nel 1459 Cosimo de’ Medici, che era stato introdotto da Gemisto Pletone alla
filosofia di Platone, mise a disposizione di Ficino una villa a Careggi, vicino a Firenze, per
farvi delle traduzioni di Platone. Per molto tempo si è pensato che Ficino avesse instaurato
nella sua villa una cosiddetta Accademia Platonica, dove vari autori e studiosi si
radunavano per discutere le idee del filosofo greco. Secondo Arnaldo Della Torre
l’Accademia venne fondata nel 1462 da Cosimo de’ Medici, che dette a Ficino l’incarico di
presiederla.377 André Chastel afferma che l’Accademia Platonica non sarebbe stata
un’istituzione ufficiale dove si tenevano dei corsi, come lo Studio fiorentino, ma piuttosto
una villa dove gli amici e i conoscenti di Ficino si radunavano per discutere la filosofia di
Platone in maniera seria e piacevole.378 I membri più importanti dell’Accademia Platonica
erano lo stesso Ficino, Cristoforo Landino (1424-1498), Angelo Poliziano (1454-1494) e
Giovanni Pico della Mirandola (1463-1494). Anche Lorenzo de’ Medici sarebbe stato
membro e protettore dell’Accademia.379 James Hankins parla invece del ‘mito’
dell’Accademia, negando l’esistenza di una vera accademia nel senso di una riunione
regolare di studiosi di letteratura.380 In questa sede non occorre entrare nella discussione
sulla probabilità dell’esistenza di una vera Accademia. Ci concentreremo invece sulla figura
di Marsilio Ficino che con la sua conoscenza di Platone e del platonismo antico provocò un
cambiamento nella percezione della figura di Orfeo in Italia. Ficino si interessò soprattutto
di Orfeo come poeta-teologo e fondatore dell’orfismo. Lui e gli altri neoplatonici fiorentini
cercarono di riconciliare la filosofia di Platone con il cristianesimo. Nei loro trattati essi
combinarono varie correnti filosofiche, tra cui il neoplatonismo, l’ermetismo, il pensiero
pitagorico e l’orfismo. Per Ficino la figura di Orfeo come teologo e la sua dottrina orfica
divennero dunque cruciali.381 Orfeo poeta-teologo era un anello nella catena di pensatori
che da Mosè, attraverso la filosofia di Platone, portano al cristianesimo. Vedremo in questo
377
A. Della Torre, Storia dell’Accademia Platonica di Firenze, Torino, Bottega dell’Erasmo, 1968.
Chastel, Marsil Ficin et l’art, cit., p. 23.
379
Chastel, Marsil Ficin et l’art, cit., p. 23.
380
J. Hankins, ‘The Myth of the Platonic Academy of Florence’, Renaissance Quarterly 44, 3 (1991), pp. 429475
381
L’interesse di Ficino per la figura di Orfeo teologo ebbe probabilmente inizio nel 1462, quando fece una
traduzione degli Inni orfici. (Walker, ‘Orpheus the Theologian’, cit., p. 108).
378
132
POETA-TEOLOGO STORICO
capitolo che nelle opere di Ficino e degli altri neoplatonici è fondamentale quest’idea di
una prisca theologia.
Per capir meglio Platone i neoplatonici rinascimentali leggevano anche i commenti
dei neoplatonici antichi, in particolare quello di Proclo. Secondo i neoplatonici Platone
nelle sue lezioni imitava Orfeo, ed è per questo che troviamo molti riferimenti orfici
nell’opera dei neoplatonici e dunque anche nell’opera di Ficino.382 John Warden afferma
che sarebbe inutile elencare tutti gli elementi orfici nell’opera ficiniana, perché secondo i
neoplatonici l’intera dottrina ficiniana è orfica.383 Infatti, Proclo aveva affermato che
l’intera teologia greca derivava dalla dottrina orfica.384 Dato che questa ricerca non tratta
dell’orfismo, cioè della corrente religiosa di cui Orfeo sarebbe stato il fondatore, ma della
figura di Orfeo stesso, in questo capitolo non discuterò dell’influenza dell’orfismo sulla
filosofia di Ficino, soprattutto perché l’orfismo e le altre correnti filosofiche si sono molto
intrecciati nell’opera di Ficino. Una discussione del genere non verterebbe più sul
personaggio stesso di Orfeo, ma soprattutto su questioni filosofiche e religiose.
Menzionerò dunque soltanto brevemente alcuni aspetti dell’orfismo ficiniano, nella misura
in cui questi sono rilevanti per l’immagine di Orfeo.
Per via del ruolo cruciale di Orfeo poeta-teologo nel riconciliare la filosofia di
Platone e il cristianesimo, Orfeo diventò una figura centrale nel pensiero e nelle discussioni
dei neoplatonici e di altri pensatori intorno a loro. Questo si vede soprattutto nel fatto che
Ficino considerava se stesso un novello Orfeo e si identificava sotto molti aspetti con lui (§
3.2). Grazie a ciò Orfeo poté diventare una figura di primo piano e popolare. Questa fu
probabilmente una delle ragioni per cui Orfeo fu scelto come protagonista della favola di
Poliziano e delle prime opere liriche di Peri/Caccini e di Monteverdi (cf. capitoli 4 e 6).
3.1 PRISCUS THEOLOGUS O POETA-TEOLOGO
Lo scopo di Marsilio Ficino e degli altri neoplatonici era di riconciliare il platonismo con il
cristianesimo e di creare in questo modo un platonismo cristiano. Per questo scopo Orfeo
era una figura essenziale. Come abbiamo visto nel primo capitolo (§ 1.3.1) anche i primi
apologeti cristiani fecero uso della figura di Orfeo per creare un rapporto tra il
cristianesimo e la filosofia pagana. Un motivo importante per la riconciliazione del
cristianesimo con il pensiero pagano fu l’esistenza del cosiddetto testamento di Orfeo
(Diathekai o Palinode). Secondo questo documento alla fine della sua vita Orfeo avrebbe
avvertito il suo allievo Museo di abiurare gli dei pagani e di credere solo all’unico vero Dio,
382
J. Warden, ‘Orpheus and Ficino’, in Orpheus. The Metamorphoses of a Myth, cit., p. 89.
Warden, ‘Orpheus and Ficino’, cit., p. 91.
384
Proclo, Teologia Platonica, I, 6 (Walker, ‘Orpheus the Theologian’, cit., p. 100).
383
133
CAPITOLO 3
cioè il Dio di Mosè. Questa lezione Orfeo l’avrebbe imparata da Mosè stesso, quando era in
Egitto. Orfeo avrebbe sempre preferito il monoteismo, anche se negli Inni sembrava
venerare molti dei. Mentre gli apologeti cristiani adoperavano la figura di Orfeo per
congiungere il cristianesimo con una tradizione antica e per fornire alla nuova fede un
fondamento antico, i neoplatonici rinascimentali avevano invece bisogno di Orfeo per
giustificare la loro ammirazione per la filosofia ‘pagana’ di Platone e per inserire questa
filosofia nel pensiero cristiano.
Una nozione fondamentale per poter riconciliare il cristianesimo e il platonismo fu
la prisca theologia. Si potrebbe descrivere la prisca theologia come un’antica tradizione di
pensiero religioso che prepara al cristianesimo. Generalmente si pensava che l’unica
rivelazione pre-cristiana fosse quella ebrea, e che questa fosse stata trasmessa ai pagani in
Egitto da parte di Mosè.385 Vari personaggi storici e mitologici erano stati visti come prisci
theologi: (Adamo, Abramo), Zoroastro, Mosè, Ermete Trismegisto, (i Druidi), Orfeo,
Pitagora, Platone. Da Platone la serie di pensatori continuava fino al Vangelo. In questa
serie Orfeo occupava un posto cruciale, perché era il primo teologo greco. Ficino cita
spesso una serie di prisci theologi, costituita da Zoroastro, Ermete Trismegisto (Mercurio),
Orfeo, Aglaofemo, Pitagora e Platone:
In rebus his quae ad theologiam pertinent, sex olim summi theologi consenserunt, quorum
primus fuisse traditur Zoroaster, Magorum caput, secundus Mercurius Trismegitus,
princeps sacerdotum Aegyptiorum. Mercurio successit Orpheus. Orphei sacris initiatus
fuit Aglaophemus. Aglaophemo successit in theologia Pythagoras, Pythagorae Plato, qui
universam eorum sapientiam suis Litteris comprehendit, auxit, illustravit.
(Ficino, Theologia Platonica, Liber XVII, I)386
Anche Landino vede Orfeo come un uomo eccezionale facente parte di un’antica
tradizione che va da Mosé a Platone. Tuttavia, nel passo che segue Landino non descrive
la lista tradizionale di prisci theologi, ma fa menzione di un gruppo di altri pensatori:
385
Walker, ‘Orpheus the Theologian’, cit., p. 105.
‘In queste cose che appartengono alla teologia, sei sommi teologi un tempo erano in accordo, dei quali si
dice che il primo fosse Zoroastro, il capo dei Magi, il secondo Mercurio Trismegisto, il principe dei sacerdoti
egiziani. A Mercurio successe Orfeo. Iniziato nei riti di Orfeo fu Aglaofemo, Ad Aglaofemo successe nella
teologia Pitagora, a Pitagora Platone, che incluse, elaborò ed illustrò la sapienza universale di loro nelle sue
Lettere.’ Altri riferimenti a Orfeo come uno dei prisci theologi si trovano in: Theologia Platonica, Liber I, VI,
p. 224, Liber VI, I, p. 224; Liber XII, I, p. 157 (ed. Marcel); Lettere, I, 51 (Iohanni Cavalcanti), p. 101 (ed.
Gentile); Commentum in Philebum, Liber I, Cap. XVII, p. 181 (ed. Allen); Cap. XXVI, p. 247; De Christiana
Religione, cap. XXII, in Opera Omnia, p. 25. Walker accenna anche a due altri passi, in cui Ficino fa
menzione dei Druidi (Opera omnia, p. 1) e di Plotino e di se stesso (Ibidem, p. 871-2). In una lettera a
Giovanni Cavalcanti Ficino non fa solo menzione dei sei teologi, ma descrive anche le loro amicizie: Museo
era l’amico migliore di Orfeo (Ficino, Lettere, I, 51).
386
134
POETA-TEOLOGO STORICO
Nunc vero non id vobis oneris imponitur, optimi adolescentes, ut ab ultimis terris aut ab
ipsis bonarum omnium artium inventoribus Aegyptiis, longa quadam navigatione et
maximis terrarum periculis haec petenda sint, quod prisci illi e Graecia praestantissimi viri,
Linus, Orpheus, Musaeus, ac deinde Atheniensis Solon, Thales Milesius, Pythagoras et is,
quem modo memoravi, Abderites Democritus reliquique multi usque ad Platonem
factitarunt. (Landino, Praefatio in Tusculanis, p. 13)387
Orfeo figura qui in un elenco di famosi filosofi greci. Non è caratterizzato come un poetateologo, bensí come un filosofo, il che significa più o meno la stessa cosa. Lino, Orfeo e
Museo appartengono alla stessa categoria di Solone, Talete, Pitagora e Democrito.388
Questi uomini non sono personaggi mitologici, ma figure storiche. Orfeo è dunque
collocato nella tradizione evemeristica.
Ficino fu probabilmente il primo ad unire i testi orfici, ossia gli Orphica (attribuiti
ad Orfeo), le opere ermetiche (attribuite a Ermete Trismegisto), gli oracoli caldei di
Zoroastro e i libri sibillini con lo scopo di riconciliare Mosè con Platone e infine con la
dottrina cristiana.389 Secondo Walker i concetti religiosi più importanti che Ficino e i suoi
seguaci trovarono negli Orphica e nei testi degli altri prisci theologi furono: il monoteismo,
la Trinità e la creazione come narrata nel libro di Genesi. Orfeo fu soprattutto legato ai
primi due concetti.390 Abbiamo già accennato all’importanza del concetto del monoteismo:
nel suo testamento Orfeo avrebbe rinunciato al politeismo e affermato l’esistenza di un
unico Dio. Per Ficino e i suoi primi seguaci la rinuncia al politeismo non fu, però, molto
utile: essi avevano bisogno dei diversi dei pagani e li interpretavano come aspetti dell’unico
Giove:391
387
‘Ma ora non vi è imposto sulle spalle, ottimi adolescenti, che dalle ultime terre e dagli Egizi stessi che
erano gli inventori di tutte le buone arti debbano essere cercate queste cose in una lunga navigazione e nei
grandissimi pericoli delle terre, perché questi antichi uomini eccellentissimi dalla Grecia, Lino, Orfeo,
Museo, e poi Solone ateniese, Talete di Mileto, Pitagora ed egli, che ho appena menzionato, Democrito di
Abdera, e molti altri fino a Platone lo fecero ripetutamente.’
388
Altri passi in cui Landino fa menzione di Orfeo, Museo e Lino come primi poeti si trovano in: Praefatio in
Virgilio, p. 22 (con Anfione); pp. 25-26; Prolusione dantesca, p. 48 (con Anfione, ma senza Museo); Proemio
al commento dantesco, p. 137 (senza Lino); Proemi alle Camaldulenses, p. 66. Di questi tre poeti sono rimasti
solo i testi poetici di Orfeo, il che può aver contribuito alla sua popolarità in confronto a Lino e Museo.
389
Walker, ‘Orpheus the Theologian’, cit., p. 107. Walker afferma, però, che questo tipo di sincretismo può
derivare forse da Gemisto Pletone o da Bessarione.
390
Walker, ‘Orpheus the Theologian’, cit., p. 109.
391
Walker, ‘Orpheus the Theologian’, cit., p. 110.
135
CAPITOLO 3
Orpheus non solum deos omnes in uno collocat Jove tàm opifice mundi, quàm animo
mundi, verum etiam in quolibet Deo saepe numina cuncta commemorat, quem nos in libro
de sole imitati sumus. (Ficino, Opera omnia, p. 1371)392
La fonte più importante per la teogonia orfica fu la Teogonia di Esiodo. Nonostante le
differenze tra la teogonia di Orfeo e quella di Esiodo,393 gli autori rinascimentali non
facevano nessuna distinzione tra le due. Nella teogonia orfica i neoplatonici rinascimentali
trovavano una specie di trinità che poteva essere vista come un’anticipazione della Trinità
cristiana. Negli Inni orfici si parlava spesso di Giove, della Sapienza e dell’Amore, che
potevano essere visti come rappresentazioni del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. I
neoplatonici rinascimentali sapevano che gli Orphica (frammenti orfici trovati in altri
autori come i Padri della chiesa) derivavano da periodi diversi e che non potevano dunque
essere stati scritti da Orfeo stesso, ma li considerarono nondimeno opere religiose di una
tradizione molto antica.394
Nella sua funzione di poeta-teologo Orfeo forniva spesso delle citazioni, che
potevano sostenere l’argomentazione di Ficino. Cito un esempio dalla Theologia Platonica,
il capolavoro di Ficino:
Talis est utique Deus, substantia simplex, necessario per se subsistens. Quam ob causam
Orpheus Deum appellavit necessitatem:
Δεινὴ γὰρ ἀνὰγκη πάντα κρατύνει
id est: “Fortis necessitas omnibus dominatur”.
(Ficino, Theologia Platonica, II, VII, p. 93)395
In questo caso Ficino cita dagli Inni orfici per rafforzare le sue affermazioni sulla natura di
Dio. Tutte le opere di Ficino sono piene di tali citazioni letterali dagli Inni orfici e da altre
opere attribuite a Orfeo, come l’Argonautica o frammenti di opere orfiche trovate in altri
autori.396 In questo modo Ficino non cita soltanto dalle opere di Orfeo, ma per esempio
anche dalle opere di Zoroastro.
392
(citato da Walker, ‘Orpheus the Theologian’, cit.). ‘Orfeo non solo colloca tutti gli dei in un unico Giove,
che è sia il creatore del mondo, che l’anima del mondo, ma commemora anche spesso tutti i numi in un certo
Dio, che noi imitiamo nel libro sul sole.’
393
Per le differenze tra la teogonia orfica e quella di Esiodo si veda: Guthrie, op.cit., p. 83 (Walker, ‘Orpheus
the Theologian’, cit., p. 115 n. 4).
394
Walker,‘Orpheus the Theologian’, cit., p. 104.
395
‘Certamente di questo genere è Dio: sostanza semplice, che esiste necessariamente per se. Per questa
ragione Orfeo chiamò Dio la Necessità, dicendo: “Deinè gar anankè panta kratunei”, cioè: “Una necessità
forte domina tutto”.’ (Inni, III, 11).
396
Per altre citazioni (letterali) dai testi orfici nelle opere di Ficino (con menzione di Orfeo) si vedano:
Theologia Platonica, Liber II, IV, p. 84 (Inni, X, 8); VI, p. 87 (Inni, XIII, 8); IX, pp. 101-102 (Inni, 59, 13-14);
pp. 102-103 (Inni, 34, 14-18); X, p. 104 (Inni, 8, 1); XI, p. 105 (framm. 46 in Abel); XIII, p. 121 (Inni, X, 22);
136
POETA-TEOLOGO STORICO
Tutte le citazioni attribuite ad Orfeo mostrano che Ficino non considera Orfeo il
cantante e l’amante mitologico che abbiamo incontrato nel capitolo precedente, ma un
personaggio storico. Per Ficino Orfeo è in primo luogo il poeta-teologo che scrisse molte
opere teologiche, tra cui gli Inni e l’Argonautica.397 La rappresentazione di Orfeo come
poeta-teologo e personaggio storico si trova frequentemente anche in altri autori del
secondo Quattrocento. Cristoforo Landino (1424-1498) indica Orfeo sempre come poeta e
sottolinea che fu la sua fama come poeta a far sì che gli uomini cominciarono a vederlo
come un Dio immortale:
Resterebbe a mostrare la gran voluttà e giocondità inenarrabile che il verso ci porge. Ma
quale è sì alieno da ogni umanità, sì privato al tutto di giudicio, sì inimico delle Muse che
non intenda niuno concento o ben proporzionata armonia al poetico suono aguagliarsi? Di
qui è nato, prestantissimi cittadini, che appresso a qualunche nazione sempre grandissimo
onore hanno ricevuto e’ poeti. Di qui è nato che Orfeo e Lino in tanta reverenzia furono
che non come uomini mortali, ma come dii immortali furono celebrati.
(Landino, Prolusione dantesca, p. 51)
Questo passo è un chiaro esempio dell’interpretazione evemeristica di Orfeo da parte di
Landino.398 Nell’Introduzione all’Eneide l’autore descrive Orfeo come una persona che
trascende la condizione umana, ma non raggiunge quella divina.399 Persone del genere sono
chiamate ‘poeti’ dai Greci. Landino fa una distinzione tra Dio, gli uomini e i poeti, i quali
ultimi si trovano a metà fra Dio e gli uomini. Dio è in grado di creare tutto quello che vuole
dal niente, mentre l’uomo può soltanto modellare la materia già esistente. Il poeta invece
sceglie un argomento dalla materia comune per scrivere un poema (come le avventure di
XIII, p. 125 (Inni, XV, 7 e X, 27); Liber IV, I, p. 155 (Inni, XXXIV, 16-17); II, p. 169 (Inni, XXV); Liber XI, I, p.
102 (Inni, XXIV, 6); IV, p. 119 (Inni, XXXII, 1-2); V, p. 133 (Inni, LXXVI, 4-8); Liber XIII, II, pp. 218-19
(Sonn. Inno, LXXXV, 2-7); II, pp. 221-22 (Inni, I; Corib. Inni, XXXVIII; Liber XVII, IV, p. 166 (Inni, IV, 9;
LXXXVII, 3-5); p. 172 (Inni, LVII); Liber XVIII, I, p. 178 (framm. 46 in Abel, p. 67); X, p. 232 (Argon., 1142);
p. 233 (Argon., 968-70 e Inni, XI e XVII); p. 235 (framm. 3 e 3 in Kern/framm. 321 in Abel, p. 272); Tres
contemplationis platonicae gradus, X; Opuscula Theologica, XI; Commentum in Philebum, Liber I, Cap. V, p.
111; Cap. XI, p. 135; Cap. XXVII, pp. 253-255; p. 257; Cap. XXVIII, p. 267; Cap. XXX, p. 293; Cap. XXXI, p.
305; Liber II, Cap. I, p. 403; Cap. II, p. 405; Cap. IV, p. 417; App. V. p. 498; p. 509; p. 518; El libro dell’amore,
Oratione I, II, 15-17 (Inno all’Amore, LVIII, 3); III, 1-4 (Argon., 15-22); 24-25; Oratione II, I, 5; II, 15; VIII, 3-5
(framm. 316 in Abel, p. 272); Oratione III, II, 14 (Inno all’Amore, LVIII, 8); III, 17-18 (Inno all’Amore, LVIII,
4); Oratione V, II, 29-30 (Inno delle Grazie, LX, 4-5); XI, 17-18 (Inno alla notte, III, 11 e Inno a Afrodite, LV,
5); De vita libri tres, pp. 167-68; p. 177; Lettere, I, 6 (framm. 21a in Kern); 26 (Inni, LX, 3); 92 (Inni, VIII, 18 e
XXXIV, 16-24).
397
Ci sono, però, alcuni riferimenti a Orfeo poeta-amante nelle opere di Ficino, che saranno discussi nel
capitolo 6.
398
Un altro esempio dell’evemerismo landiniano nei confronti di Orfeo si trova in: Proemio al commento
dantesco, p. 147.
399
Landino, Introduzione all’Eneide, p. 228.
137
CAPITOLO 3
Enea) aggiungendovi dei sensi nascosti, cosicché l’uomo che intende il significato nascosto
del poema può raggiungere in questo modo il sommo bene. Anche Orfeo aveva dunque
nascosto nelle sue poesie dei significati segreti che possono indicare la strada giusta
all’uomo che li intende.
Anche Giovanni Pico della Mirandola (1463-1494) sostiene nella sua orazione De hominis
dignitate che gli antichi teologi solevano velare i misteri del loro culto con certe favole,
cosicché i misteri non fossero immediatamente chiari ai profani:
Sed (qui erat veterum mos theologorum) ita Orpheus suorum dogmatum mysteria
fabularum intexit involucris et poetico velamento dissimulavit ut, si quis legat illius
hymnos, nihil subesse credat praeter fabellas nugasque meracissimas. Quod volui dixisse ut
cognoscatur quis mhi labor, quae fuerit difficultas ex affectatis aenigmatum scirpis, ex
fabularum latebris latitantes eruere secretae philosophiae sensus, nulla praesertim in re tam
gravi, tam abscondita inexplorataque, adiuto aliorum interpretum opera et diligentia.
(Pico della Mirandola, De hominis dignitate, pp. 90-92, ed. Cicognani)400
Mentre il mito di Orfeo stesso era spesso considerato una favola che nascondeva una verità
più profonda, come abbiamo visto per esempio nelle interpretazioni medievali del mito,
Pico vedeva anche lo stesso Orfeo come un personaggio storico che nascondeva il mistero
dei suoi dogmi in favole. Anche nelle Conclusiones nongentae (1486) Pico sottolinea che gli
inni non possono essere capiti da tutti. Soltanto quelli che sanno interpretarli per mezzo
dell’analogia segreta capiranno il loro messaggio nascosto:
Qui nescierit perfecte sensibiles proprietates per uiam secretae analogiae intellectualizare,
nichil ex hymnis Orphei sanum intelliget. (Pico della Mirandola, Conclusiones, X, 7)401
Le Conclusiones furono scritte per un convegno filosofico a Roma, dove si sarebbe dovuta
discutere l’esistenza di un’unica verità. Il convegno venne, però, impedito dal papa. Le tesi
di Pico furono considerate eretiche e l’autore dovette fuggire in Francia, ma tornò a
Firenze con l’aiuto di Lorenzo de’ Medici. Nelle Conclusiones, come in altre sue opere, Pico
cercò di riconciliare tutte le correnti filosofiche esistenti in un solo sistema. Da tutte le
altre proposizioni risalta il desiderio di riconciliare gli inni con la Cabala, con la filosofia di
400
‘Ma secondo quello che era il costume degli antichi teologi, così anche Orfeo rivestì i misteri dei suoi
dogmi di favolosi involucri e li dissimulò con poetici veli sì che chi legga gli inni di lui creda non esservi
nient’altro sotto che favolette e bazzècole. Il che ò voluto dire perché si sappia qual fatica sia stata la mia, qual
difficoltà a trar fuori dalle artificiose reti degli enigmi, dai nascondigli delle favole gli occulti sensi della
segreta filosofia: soprattutto non avendo in aiuto, in cosa di tanto rilievo, così recòndita e inesplorata,
nessuna opera e attività di altri interpreti.’ (trad. Cicognani).
401
Chi non saprà intellettualizzare compiutamente le proprietà sensibili seguendo la strada dell’analogia
segreta, non capirà niente di buono dagli Inni di Orfeo (trad. Biondi).
138
POETA-TEOLOGO STORICO
Aristotele e con la natura di Dio.402 Orfeo è anche menzionato tra le proposizioni relative
alla dottrina di Platone, dove si parla dell’Amore, e nelle proposizioni cabalistiche.403
Da parte dei neoplatonici fiorentini Orfeo è dunque considerato un mitografo
(scrittore di ‘favole’) invece che un personaggio mitologico. L’idea di Orfeo come
personaggio storico che scrisse dei testi autorevoli sugli dei antichi e che nascose negli inni
delle verità religiose tornerà anche nei trattati mitografici cinquecenteschi di Cartari e
Giraldi (§ 5.1.2). In questi trattati Orfeo non figurerà più come personaggio mitologico,
ma solo come fonte di informazione sugli dei.
Tuttavia, l’esistenza di due Orfei diversi o piuttosto di due lati diversi dello stesso
personaggio, il poeta-teologo e il poeta-amante, dette anche origine a controversie. Come
mai un uomo tanto venerabile come Orfeo poteva essere messo in rapporto con i racconti
strani e indecorosi che erano stati scritti sul poeta-amante? Ermolao Barbaro (1453/41493), uno studioso che durante i suoi viaggi aveva conosciuto Ficino, Poliziano e Pico, si
chiese come quell’uomo che aveva introdotto la ‘paedicaria turpitudine’ potesse essere
chiamato teologo (§ 6.6).
Nelle opere filosofiche di Ficino e di altri neoplatonici come Landino e Pico della
Mirandola Orfeo figura dunque come un poeta-teologo, che fa parte di una serie di prisci
theologi. Gli inni orfici e le altre opere orfiche vengono letti e citati come fonti di
informazione sugli dei e sull’essenza del mondo. Per mezzo della figura di Orfeo e delle sue
idee Ficino riesce a riunire la filosofia platonica e altri sistemi di pensiero con la religione
cristiana. Orfeo è considerato un personaggio storico. Non si parla quasi, se non in modo
allegorico, della figura mitologica che con la sua musica incantava gli animali ed era
sposato con Euridice.404 Per propagare la filosofia platonica Ficino ebbe soltanto bisogno
dell’immagine positiva del poeta-teologo, trascurando le connotazioni negative
dell’amante.
3.2 POETA ISPIRATO E ALTER EGO DI FICINO405
L’idea della prisca theologia, di cui abbiamo parlato nel paragrafo precedente, è secondo
D.P. Walker una delle tre teorie che si trovavano spesso insieme nel neoplatonismo
402
Orfeo è menzionato esplicitamente in: Conclusiones, X, 1; 3-5; 7-9; 13; 15; 18; 31.
Conclusiones, V, 5; 25; XI, 10; 17.
404
Vedremo, però, qualche eccezione nel capitolo 5.
405
Questo paragrafo si basa anche in parte su: A. Voss, ‘The Natural Magic of Marsilio Ficino’, Historical
Dance 3, 1 (1992), pp. 25-30; idem, ‘Orpheus redivivus: The Musical Magic of Marsilio Ficino’,
www.rvrcd.co.uk/ catalogue/ficino/fessay2.htm.
403
139
CAPITOLO 3
rinascimentale. Le altre due erano la teoria dei quattro furori di Platone e la dottrina degli
effetti teurgici della musica.406
Secondo Ficino il vero poeta era ispirato da quattro furori: quello poetico (furor
poeticus), quello bacchico (furor mysterialis), quello profetico (furor vaticinium) e infine
quello amoroso/erotico (amatorius affectus). Il poeta ispirato trasmette i furori alla
persona che ascolta la sua musica.407 Ficino considerava Orfeo un uomo dotato di tutti
questi furori, perché il cantante univa in sé le qualità di poeta, sacerdote, profeta e amante:
Omnibus his furoribus occupatum fuisse Orpheum libri eius testimonio esse possunt.
(Ficino, In Convivium Platonis de Amore oratio septima, in Opera Omnia, p. 1362)408
Oltre a Orfeo solo Davide era ispirato dai quattro furori. Per via della sua ispirazione
quadruplice Orfeo si trovava più vicino alla rivelazione divina, ragione per cui era
considerato priscus theologus.409
Il poeta-teologo si distingue secondo Ficino dagli altri uomini perché la sua mente
può liberarsi in certe condizioni dalle preoccupazioni quotidiane ed aprirsi all’influenza
divina (influxus mentium superiorum). Questa situazione si chiama vacatio mentis o
alienatio.410 La vacatio mentis poteva essere ottenuta nel sogno, nella malinconia e nella
castità della mente dedicata a Dio. Siccome Orfeo viveva in una condizione di malinconia
dopo la seconda morte di Euridice, la sua mente era aperta all’influsso divino.411
La terza teoria che si trova spesso nel neoplatonismo rinascimentale, accanto alla
prisca theologia e alla teoria dei quattro furori di Platone, è quella degli effetti della musica.
Quando Ficino parla degli effetti della musica, tratta spesso del rapporto tra la musica e lo
spirito (spiritus) umano: la musica permette all’uomo di purgare lo spirito dagli effetti
cattivi della malinconia, di aprirsi alle buone influenze astrali e di vivere una vita piena di
contemplazione religiosa e filosofica. La parola spiritus può avere molti significati per
Ficino: può indicare per esempio il legame tra il corpo dell’uomo e la sua mente, oppure lo
spiritus mundi, cioè la sostanza eterica del cielo (quintessenza). Anche la musica è una
specie di spiritus che, quando entra nel corpo attraverso gli orecchi, si mescola con lo
spirito dell’uomo e lo trasforma in un certo modo. Questa è la spiegazione fisica e
psicologica degli effetti teurgici della musica.
406
Walker, ‘Le chant orphique’, cit., p. 17.
Walker, ‘Le chant orphique’, cit., p. 22.
408
‘I suoi libri possono testimoniare che Orfeo fu occupato da tutti questi furori.’ (testo citato da
Walker,‘Orpheus the Theologian’, cit., p. 100).
409
Warden, ‘Orpheus and Ficino, cit., p. 98; Buck, op.cit., p. 19.
410
Warden, ‘Orpheus and Ficino, cit., p. 98.
411
Warden, ‘Orpheus and Ficino, cit., p. 99.
407
140
POETA-TEOLOGO STORICO
Oltre alla musica ci sono alcune altre fonti di cui lo spirito umano deve nutrirsi con
lo spiritus mundi, come la luce, gli odori aromatici e il vino, ma la fonte più importante
sono le sfere celesti. Secondo i neoplatonici i pianeti emettono, infatti, delle onde di
spiritus, che formano una specie di musica che si chiama l’armonia delle sfere.412 L’uomo
deve scegliere la musica che appartiene al pianeta da cui vuole essere influenzato e
combinarla con la luce, l’odore e il vino appropriati. Siccome il sole era ritenuto il pianeta
con l’influenza migliore, i neoplatonici si indirizzavano soprattutto al sole.
Orfeo aveva scritto degli inni con cui venerava gli dei antichi. Come è già stato
accennato nel §1.1, c’erano 87 inni per il culto orfico, che invocavano gli dei orfici: in
primo luogo Dioniso, e poi Crono, Rea, Eros (Amore), il Sole, la Luna, la Morte, la Natura,
eccetera. Molti degli dei orfici al tempo di Ficino (e anche prima) erano considerati pianeti.
Cantando gli inni orfici si potevano, secondo Ficino, invocare i pianeti e si poteva essere
influenzati dall’armonia delle sfere. Gli inni di Orfeo potevano dunque essere usati per
ottenere certi effetti benefici.
Anche Pico dedicò la decima sezione delle sue Conclusiones all’interpretazione degli
inni di Orfeo dal punto di vista della magia. Questa sezione è composta da trentuno
proposizioni che riguardano vari aspetti degli inni orfici. Secondo Pico gli inni hanno un
potere magico, che viene fuori soprattutto in combinazione con la musica e lo stato
d’anima adatti:
Nichil efficientius hymni Orphei in naturali Magia, si debita musica, animi intentio, et
ceterae circumstantiae, quae norunt sapientes, fuerint adhibitae.
(Pico della Mirandola, Conclusiones, X, 2)413
Per Pico, e anche per Ficino, gli inni e gli altri testi orfici non erano dunque dei testi
qualsiasi che si recitavano solo per la loro bellezza. Cantando gli inni si praticava l’antico
rito orfico e così si sperava di aprire lo spirito al furore bacchico e a quello apollineo. Dalle
testimonianze di Ficino stesso e dei suoi contemporanei sappiamo che quella degli effetti
magici o teurgici della musica non rimase soltanto una idea o una teoria per Ficino. Lui
mise anche in pratica queste idee suonando la lira e cantando degli inni orfici.414 Questa
abitudine ficiniana è descritta dal suo biografo Giovanni Corsi nella Vita Marsilii Ficini
412
Walker, ‘Le chant orphique’, cit., p. 19.
‘Per le operazioni di magia naturale niente è più efficace degli Inni di Orfeo: purché si applichi la musica
dovuta, la dovuta intenzione dell’animo, e tutte le altre circostanze che i sapienti conoscono.’ (trad. A.
Biondi)
414
Buck, op.cit., p. 23. Anche Pico soleva suonare la lira e recitare delle preghiere latine composte da lui
stesso (Walker, ‘Orpheus the Theologian’, cit., p. 102. n. 3), ma non si trattava di inni orfici.
413
141
CAPITOLO 3
(1506).415 Anche Ficino stesso dice in una lettera a Cosimo de’ Medici di aver cantato un
inno orfico per Cosmo:
Marsilius Ficinus Cosmo Medici patri patrie se commendat.
Superioribus diebus hymnum divi Orphei quem ad Cosmum id est mundum ille cecinit
ipse quoque sumpta lyra relaxande mentis gratia musicis modulis referebam. Ejus hymni
sensus, ut e greco in latinum ad verbum exprimam, hic erat: O celum omnia generans
Cosmi pars semper indomita, antiqui et venerandi generis, principium omnium
omniumque finis. O Cosme pater qui sperico motu terre circumlustras orbem, domus
beatorum rotunditatis vertigine gradiens. Cosme celestis simul atque terrestris, tutor et
custos omnium, cuncta complectens, invictam nature necessitatem in pectore continens,
ceruleis oculis, indomite, variformis, varians universa, omnipotens pater temporis, beate
prestantissime demon. Exaudi nostras Cosme preces vitamque quietam pio juveni tribue.
Hec Orpheus. (Ficino, Lettera a Cosimo de’ Medici, ed. Klutstein, pp. 35-36)416
Nella lettera Cosimo è identificato indirettamente con il dio Cosmo, cioè con il mondo che
regge e protegge tutto. Ficino chiede al Cosmo di esaudire le sue preghiere e di dargli una
vita quieta. Dal seguito della lettera risulta che l’inno aveva avuto effetto: Cosimo de’
Medici gli aveva donato la villa a Careggi.
L’abitudine ficiniana di cantare degli inni orfici piaceva chiaramente al principe. In
un’altra lettera di Cosimo de’ Medici a Ficino il principe lo invita a fargli una visita senza
dimenticare la sua lira: ‘Vale et veni non absque Orphica lyra.’417 Forse il rapporto tra il
principe Cosimo e il dio Cosmo negli inni orfici ebbe come conseguenza la stima di
Cosimo per la figura di Orfeo. Vedremo nei capitoli 5 e 6 che Orfeo sarebbe rimasto
popolare alla corte dei Medici (soprattutto con Cosimo I). La lira orfica di Ficino, di cui
415
Corsi, Vita Marsilii Ficini, 6. Warden cita anche altre fonti per mostrare che Ficino suonava letteralmente
la lira orfica: Johannes Pannonius, in: Ficino, Opera (Basel, 1576), p. 871; Cosimo de’ Medici, ibidem, p. 608;
Filippo Callimaco, in: Supplementum Ficinianum, II, 225. Ficino stesso fa anche menzione del ritorno del
canto accompagnato dalla lira orfica tra le discipline liberali in un altro luogo, dove si riferisce probabilmente
a sé stesso (Ficino, Opera, ‘Lettera a Paulo Middelburg’, p. 944).
416
‘Marsilio Ficino si raccomanda a Cosimo (Cosmo) de’ Medici, padre della patria. Nei giorni passati anch’io
stesso ho riferito in ritmi musicali l’inno del divino Orfeo, che egli cantò a Cosmo cioè al mondo, dopo aver
preso la lira per rilassare l’anima. Il senso di quell’inno, per esprimerlo alla lettera dal greco in latino, era
questo: ‘O cielo che procrea tutto, parte del Cosmo sempre indomata, di una stipre antica e venerabile,
principio di tutto e fine di tutto. O padre Cosmo, che circondi la terra con un movimento sferico, sede dei
beati che procede per la vertigine della rotondità. Cosmo insieme celeste e terestre, protettore e custode di
tutto, che comprende tutto, che contiene nel petto la necessità invincibile della natura, con gli occhi cerulei,
indomito, variforme, che varia le cose universali, padre onnipotente del tempo, beato demone
eccellentissimo. Ascolta le nostre preghiere, Cosmo, e concedi una vita quieta ad un giovane pio. Così (disse)
Orfeo.’
417
‘Vale e non venire senza la lira Orfica.’ (Cosimo de’ Medici, in: Ficino, Opera, p. 608).
142
POETA-TEOLOGO STORICO
parla Cosimo, era infatti una lira dipinta con l’immagine di Orfeo, come sostiene Naldo
Naldi (1439-1520) nelle sue Elegie:
Ad Marsilium Ficinum de Orpheo in eius cithara picto
Orpheus hic ego sum, movi qui carmine silvas,
Qui rabidis feci mollia corda feris.
Hebri quamvis unda fluat velocior Euro,
Victa tamen cantu substitit illa meo.
(Naldi, Elegiarum libri tres, II, 37)418
La poesia è un’ekfrasis dell’immagine dipinta sulla lira. È l’immagine di Orfeo che parla al
lettore. Orfeo si presenta in quest’elegia come l’uomo che mosse le selve e che intenerì i
cuori delle bestie. Quasi con le stesse parole con cui Naldi in un’altra elegia, che cito dopo,
descrive le capacità ereditate da Ficino, Orfeo afferma che, benché l’acqua dell’Ebro scorra
più veloce dell’Euro, il fiume si ferma nondimeno perché è vinto dal canto di Orfeo.
Per i suoi tentativi di imitare il canto di Orfeo e di raggiungere gli effetti magici
degli inni orfici, Ficino fu paragonato e perfino identificato dai suoi contemporanei con
Orfeo stesso. Come abbiamo visto nel secondo capitolo, nel Trecento e nel primo
Quattrocento molti poeti e musicisti venivano paragonati alla figura di Orfeo. La qualità
poetico-musicale di Orfeo era una fonte d’ispirazione per molti. Non si mirava solo a
imitare o emulare il cantante famoso, ma qualche volta ci si identificava talmente con
Orfeo da essere considerato un secondo o novello Orfeo. Nella seconda metà del
Quattrocento l’esempio per eccellenza dell’alter Orpheus è Marsilio Ficino. Le analogie tra
la figura di Orfeo e Ficino erano varie, e non riguardavano soltanto le sue attività come
poeta o cantante, come nel caso di altri musicisti paragonati a Orfeo. Nel caso di Ficino le
analogie tra lui e Orfeo sono molto più grandi rispetto ai casi dei poeti e cantanti ricordati
nel capitolo precedente, e non riguardano soltanto le sue eccellenti qualità di poetamusicista, ma sono dovute anche all’ imitazione del contenuto dei canti di Orfeo. Ficino
insomma unisce in sé la qualità poetico-musicale di Orfeo e quella del poeta-teologo.419
Nell’Altercazione (De summo bono, 1473-4) Lorenzo de’ Medici scambia il suono
della lira di Ficino per quello di Orfeo. Il canto che si sente è talmente dolce da far credere
418
‘Io qui sono Orfeo, che mossi le selve con il canto, che resi i cuori delle fiere furiose dolci. Benché l’onda
dell’Ebro scorra più veloce dell’Euro, essa si ferma pure, vinta dal mio canto.’
419
Walker afferma perfino che Ficino stesso era in possesso dei quattro furori, che lui attribuiva a Orfeo: il
furore poetico-musicale (come poeta e cantante degli Orphica); il furore bacchico (Ficino praticava un rito
religioso con gli inni orfici, le luci, gli odori e il vino); il furore apollineo che produceva la profezia e la
rivelazione di verità religiose (Ficino credeva che gli inni orfici contenessero delle verità religiose e qualche
volta delle profezie); il furore amoroso, che poteva essere l’amore mistico dell’uomo per Dio oppure certe
forme di amore sessuale (Ficino credeva soltanto all’amore mistico) (Walker, ‘Le chant orphique’, cit., p. 23).
143
CAPITOLO 3
agli uditori che Orfeo o Anfione siano tornati al mondo oppure che la lira di Orfeo sia
ricaduta in terra:
Erano gli orecchi alle parole intesi,
quando una nuova voce a sé gli trasse,
da più dolce armonia legati et presi.
Pensai che Orpheo al mondo ritornasse
o quel che chiuse Thebe col suon degno,
sì dolce lyra mi parea suonasse.
“Forse caduta è dal superno regno
la lira ch’era traùlle stelle fisse?
- diss’io -, il ciel sarà sanza il suo segno,
o forse, come quello antico disse,
l’alma d’alcun di questi trasmutata
nel suonatore per suo destino si misse!”.
Et mentre che tra fronde et fronde guata
et segue l’occhio ove l’orechio tira,
per veder tal dolcezza onde è causata,
ecco in un puncto sente, intende et mira
l’occhio, la mente nobile e l’orecchio
chi suona, sua doctrina et la sua lyra:
Marsilio, habitatore del Montevecchio,
nel quale il cielo ogni sua gratia infuse,
perch’e’ fussi a’ mortal’ sempre uno specchio;
amator sempre delle sancte Muse,
né manco della vera sapientia,
tal che l’una già mai dall’altra excluse.
(Lorenzo de’ Medici, De summo bono, 2, vv. 1-24)
Anche Ugolino Verino (1438-1516), amico dei Medici e maestro di retorica e poesia del
futuro papa Leone X (Giovanni de’ Medici), vede l’analogia tra Ficino e Orfeo:
Verum, ubi pulsa fames, vates consurgit Etruscus
Marsilius pulsatque lyram. Tum voce canora
Concordat versus, qualis Rhodopeius Orpheus
Euridice amissa lachrymans apud impia frustra
Tartara deflevit cytharam mirantibus umbris:
Quis maris et terrae, caeli quis terminus extet,
Quae rerum causae, quis spiritus, unde creati
Quorsum homines celeresque animi, qui corpore functi
Quo volitent, caelumne petant Stygiamque paludem,
Lydius haec docto cantabat pectine vates.
144
POETA-TEOLOGO STORICO
(Verino, Carlias, Liber XV, v. 284)420
Nelle sue Elegie Naldo Naldi descrive perfino come lo spirito di Orfeo si reincarna nel
corpo di Marsilio Ficino. Prima lo stesso spirito di Orfeo si era già reincarnato in Omero
(che ottenne il dono del canto), in Pitagora (che ottenne il dono dell’educazione morale) e
in Ennio (che ottenne la sua pietà). Infine lo spirito di Orfeo si reincarna dunque in Ficino:
Ad Marsilium Ficinum
Panthoidem priscum post fata novissima silvas
Orphea mulcentem sustinuisse ferunt;
Post hunc ingressus divini corpus Homeri
Cantavit numeros ore sonante novos;
Pythagorae post haec manes intrasse benignos
Dicitur et mores edocuisse probos,
Inde, ubi digressus varios erravit in annos,
Ennius accepit in sua membra pius,
Qui, simul ac vates mortalia vincla reliquit
Et moriens campos ivit ad Elysios,
Illic usque manens alios non induit artus
Neve sacrum passus deseruisse nemus,
Marsilius donec divina e sorte daretur,
Indueret cuius membra pudica libens;
Hinc rigidas cythara quercus et carmine mulcet
Atque feris iterum mollia corda facit.
(Naldi, Elegiarum libri tres, II, 22)421
Marsilio adotta il talento di Orfeo di incantare gli alberi con la cetra e con il canto, e di
intenerire i cuori delle bestie. Naldi, nel descrivere la lira orfica, aveva descritto Orfeo
stesso con quasi le stesse parole. 422
420
‘Ma, quando è stata placata la fame, si alza il vate etrusco Marsilio e tocca la lira. Poi intona con voce
canora i versi, come Orfeo rodopeo dopo aver perso Euridice con lacrime pianse invano nel Tartaro crudele
la cetra mentre le ombre si meravigliavano: quale termine esiste del mare e della terra, quale termine del
cielo, quali sono le cause delle cose, quale è lo spirito, da dove creati, con quale scopo gli uomini e le anime
veloci, che sono morte, dove volano, se vanno al cielo e alla palude stigia, queste cose il vate lidio le cantò con
canto dotto.’
421
‘Dicono che il Pantoide (Euforbo) sostenne Orfeo che incanta le selve dopo la sua morte recente; essendo
entrato dopo di lui nel corpo del divino Omero cantò dei tempi nuovi con bocca suonante; si dice che dopo
entrò nello spirito benigno di Pitagora e insegnò i buoni costumi, poi, quando essendo uscito aveva errato per
vari anni, il pio Ennio l’accettò nelle membra, che, appena il vate aveva lasciato le catene mortali ed era
andato morendo ai Campi Elisei, rimanendo lì non indossò altre giunture né sopportò lasciare la selva sacra,
finché non fosse dato Marsilio dalla sorte divina, le cui membra avrebbe indossato volentieri; perciò
addolcisce le querce rigide con la cetra e il canto e rende dolci di nuovo i cuori delle fiere.’
145
CAPITOLO 3
Oltre a tutti questi riferimenti letterari all’identificazione di Ficino con la figura di
Orfeo, sarebbe interessante ritrovare questa presenza anche nelle arti visive. Secondo John
Warden e André Chastel il busto di Ficino (1521) fatto da Andrea Ferrucci nel Duomo di
Firenze rappresenterebbe l’autore neoplatonico come novello Orfeo (ill. 3.1).423
3.1 Andrea Ferrucci, Marsilio Ficino (come Orfeo?), 1521 / 3.2 Bertoldo di Giovanni, Orfeo, 1485-90
Ficino tiene nelle mani un grande libro (forse di Platone) e guarda in su. Chastel sostiene
che Ficino apre la bocca come per cantare e che tiene il libro come una lira, anche se non
c’è nessun segnale evidente della loro rassomiglianza, come una lira orfica oppure la
presenza di animali incantati. Tuttavia, anche secondo Elisabeth Schröter si potrebbe
interpretare lo sguardo di Ficino al cielo come uno sguardo orfico.424 Lo stesso sguardo
orfico sarebbe visibile nella statuetta di Orfeo (1485-90) di Bertoldo di Giovanni, un artista
che faceva parte della cerchia di Lorenzo de’ Medici (ill. 3.2).425 Appunto questo sguardo
sarebbe decisivo per l’interpretazione della statuetta come Orfeo invece che come
Apollo.426 Questa maniera di rappresentare Orfeo era già comune nell’antichità, e poteva
essere nota a Bertoldo.427
422
Anche Poliziano paragona Ficino a Orfeo in una lettera a Bartolomeo Fonzio (Poliziano, Inno /epistola
metrica a Bartolomeo Fonzio).
423
Warden, op.cit., p. 86; Chastel, op.cit., p. 48.
424
Schröter, op.cit., p. 125.
425
Schröter, op.cit., p. 126. Bertoldo di Giovanni, Orfeo, statuetta di bronzo, 1485-90. Firenze, Museo
Nazionale del Bargello, inv. 349B.
426
Altri elementi della figura che fanno pensare a Orfeo sono la corona di foglie indistinte, la pelle di capro e
gli stivali, che si trovano anche in immagini padovane di Orfeo, come quella di Marco Zoppo (attrib.), Orfeo,
146
POETA-TEOLOGO STORICO
Ficino non era l’unica persona ad essere paragonata a Orfeo a Firenze. Nelle Elegie
Naldo Naldi commemora la morte del figlio di Cristoforo Landino. Nella poesia Naldi si
riferisce alcune volte a Orfeo: se il cantante mitico era perfino in grado di riprendere sua
moglie dalla morte con l’aiuto della sua lira, perché Landino non poteva tenere in vita suo
figlio?428 Benché in questa poesia Landino sia messo in rapporto con Orfeo, non si può
parlare di una vera identificazione di Landino con Orfeo. Si tratta soltanto del paragone tra
due persone che perdettero una persona amata. Landino non riesce ad emulare gli effetti
del canto di Orfeo. Soltanto Marsilio Ficino stesso era veramente considerato un novello
Orfeo. Tuttavia, questa poesia di Naldi mostra l’onnipresenza della figura di Orfeo nella
cerchia di Ficino a Firenze.
Gli studiosi della presunta Accademia si davano qualche volta dei soprannomi
mitologici, il che mostra che i personaggi mitologici ottennero un ruolo di primo piano
nei circoli fiorentini. I personaggi mitologici non restarono soltanto dei nomi e delle
immagini stereotipate ma, a quanto pare, tra gli studiosi fiorentini ripresero vita.
Nell’apologia alla fine dei Libri de vita Ficino parla in questa maniera dei suoi amici
fiorentini:
Proinde ut pluribus causam nostram patronis agamus, addito Petre mi Nere Amphionem
illum nostrum Landinum Christophorum oratorem pariter & poetam. Ille noster Amphion
suauitate mira celeriter lapidea hostium nostrorum corda demolliet. Tu uero guiciardine
carissime compater, ito nunc, ito alacer, politianum Herculem accersito. Hercules
quondam ubi periculosius certandum foret, uocitabat Iolaum: Tu nunc similiter Herculem.
Nosti profecto quot barbara monstra latium iam deuastantia politianus Hercules inuaserit,
lacerauerit, interemerit : quae acriter expugnet passi. Quae tuto oppugnet. Hic ergo uel
centum hydrae capita nostris liberis minitantia statim confundet claua, flammique
comburet. Eia mi dulcissime Soderine, surge age picum salutato phoebeum. Hunc ego
saepe phoebeum appello meum. Ille me Dionysium uicissim atque liberum. Fratres ergo
sumus. Nuntia phoebeo meo, uenenosum contra nos pythonem, ex palude iamiam
emergentem. Tendat arcem, obsecra precor. Confestim spicula iaculetur. Intendet ille
protinus, scio quid loquar, uenenumque totum semel una nece necabit.
(Ficino, Libri de vita III, Apologia, pp. 185-186, ed. Plessner)429
miniatura, in: Virgilio Ecloghe, Padova, ca. 1465-70. Parigi, Biblioteca Nazionale, Ms. Lat. 11300, fol. 4v
(Schröter, op.cit., pp. 126-127).
427
Schröter, op.cit., p. 127. Esempi antichi di Orfeo che guarda in su mentre suona la lira si trovano in:
Schoeller, op.cit.
428
Naldi, Elegiarum libri tres, II, 13.
429
“In order to get as many patrons for our cause as we can, Peter Neri, I want you to recruit that Amphion of
ours, Cristoforo Landino, our orator and poet. Our Amphion will quickly demolish the stone walls of our
enemies with the wonderful smoothness of his music. You, dear Guicciardini, my other chief, go now, go
quickly, and rouse our Hercules, Poliziano. Whenever Hercules was in a particularly dangerous fight, he
would call for his Iolaus, so you now likewise go get our Hercules, that this Hercules Poliziano might attack
147
CAPITOLO 3
In questo passo Landino è paragonato ad Anfione, Poliziano a Ercole e Pico della
Mirandola a Febo-Apollo. Apparentemente Ficino è anche chiamato Dioniso o Bacco da
Pico. Una reazione a questa apologia si trova in una lettera di Angelo Poliziano, l’autore
della Fabula di Orfeo. Nella sua funzione di filosofo neoplatonico Ficino è paragonato al
personaggio mitologico di Orfeo che con la sua cetra non riuscì a riprendersi Euridice dagli
Inferi:
Marsilio Ficino Florentino cuius longe felicior quam Thracensis Orphei cithara veram ni
fallor Eurydicen hoc est amplicissimi iudicii Platonicam sapientiam revocavit ab inferis.
(Poliziano, Opera, p. 310)430
Mentre Orfeo cercò invano di riprendersi dagli inferi sua moglie, Ficino fece tornare al
mondo la vera Euridice: l’amplicissimum iudicium, cioè la sapienza platonica.
L’interpretazione di Euridice come l’ampio giudizio fa pensare al profondo giudizio
(profunda diiudicatio) di cui parlava Fulgenzio, che fu ripreso nel Trecento per esempio da
Giovanni del Virgilio e da Boccaccio nelle Genealogie. Ficino è il novello Orfeo che rinnovò
la sapienza di Platone. Il passo allude probabilmente alla lettera di Ficino a Braccio
Martelli, in cui lui stesso paragona l’ampiezza del giudizio che piaceva a Platone alla figura
di Euridice.431 Vittore Branca accenna all’ironia delle parole di Poliziano.432 La lettera di
Poliziano è una reazione al passo sopraccitato di Ficino, in cui il filosofo esalta Poliziano
come un novello Ercole. Poliziano immagina se stesso sonnecchiando alle parole di Ficino
e crea così un ‘ossimoro parodico’ tra l’allievo sonnecchiante e il trionfo orfico del docente,
che trasforma Ficino quasi in una figura grottesca.433 Anche Luigi Pulci, che apparteneva
alla corte medicea di Firenze, ridicolizza Ficino in due sonetti: rifiuta la teoria ficiniana
these barbarian monsters now devastating Latium and chew them up, murder them, maul them viciously,
and safely defend us. He will then grab his club and bludgeon this hundred-headed Hydra that is now
threatening our books, and he will burn it up in flames. Hey, my sweet Soderini, come on, rise up, go get
Pico, our Phoebus. I often call him my Phoebus, and he calls me in turn his Dionysus, his Bacchus. We are
therefore brothers! Tell my Phoebus that the poisonous Pytho is after us, emerging once again from his
swamp. Please, beg him to bend his bow! Have him fire his arrows right now! Once he starts shooting, he will
kill the whole poisonous pack with one shot, and I know what I am talking about.”
430
‘Marsilio Ficino il fiorentino la cui cetra, che era molto più felice che quella del tracio Orfeo, se non mi
sbaglio, fece tornare dagli Inferi la vera Euridice, cioè la sapienza platonica dell’ampio giudizio.’
431
‘sed iam vivus Plato, mi Bracci, noster tantum Eurydicen pulchram, quantum Orpheus adamavit,
Eurydicen inquam, iudicij scilicet amplitudinem’ (Ficino, Opera (1962), I, p. 918).
432
Vittore Branca, ‘Tra Ficino ‘Orfeo ispirato’ e Poliziano ‘Ercole ironico’’, in: Marsilio Ficino e il ritorno di
Platone. Studi e documenti, a.c.d. G.C. Garfagnini, Firenze, Leo S. Olschki, 1986, p. 471.
433
Branca, ‘‘Tra Ficino ‘Orfeo ispirato’ e Poliziano ‘Ercole ironico’’, cit., p. 471.
148
POETA-TEOLOGO STORICO
dell’anima, la dottrina dell’amore e l’esoterismo platonico.434 Secondo Chastel si può datare
il conflitto tra Pulci e Ficino al 1474. Pulci indica Ficino come ‘vil traditor vecchio’ e cattivo
plagiario di Platone.435 Non tutti gli umanisti intorno a Ficino avevano dunque la stessa
ammirazione per il platonismo e per il ruolo di Orfeo come poeta-teologo. Nel caso di
Poliziano il suo interesse per il platonismo e per le teorie di Ficino diminuì, secondo
Branca, nel corso degli anni. Nel capitolo successivo vedremo che Poliziano ha una
concezione diversa della figura di Orfeo: non lo considera un poeta-teologo reale, che
scrisse delle opere filosofico-religiose, ma lo presenta come una figura mitologica.
Interpretato in modo allegorico il mito di Orfeo offre una lezione morale. Tuttavia,
l’interesse di Ficino per Orfeo contribuì forse indirettamente alla scelta di questa figura
come protagonista della prima rappresentazione teatrale secolare in volgare.
3.3 LA FORTUNA DEL POETA-TEOLOGO
Marsilio Ficino ebbe anche molti seguaci, che avevano studiato la filosofia insieme a lui o
che avevano conosciuto la filosofia platonica per altre vie. Mario Equicola (1470-1525)
studiò a Firenze sotto la guida di Ficino stesso e basò il suo trattato principale, il Libro de
natura de Amore (ca. 1506-09, prima edizione 1525), sull’opera quasi omonima di Ficino.
In sei libri Equicola discute ogni aspetto dell’amore: la tradizione della lirica amorosa dai
greci agli umanisti quattrocenteschi, l’origine dell’amore, l’amore di Dio e l’amore umano, i
modi di acquistare l’amore e il fine dell’amore. Per via del suo carattere enciclopedico il
libro fu anche tradotto e diffuso in Francia e in Spagna. Quando Equicola si richiama a
Orfeo, cita soprattutto dagli inni orfici.436 Orfeo avrebbe anche dato dei consigli pratici
straordinari per conquistare il cuore dell’amante. Secondo Equicola non bisogna prestar
fede a superstizioni del genere:
non prestemo fede alcuna ad Plinio dove legemo che chi portarà li intestini della hiena
ligati nel braccio sinistro et resguardarà domna, che quella subito il sequirà (hyena è
animale in Aphrica, il quale dicono uno anno essere maschio et uno femina, benché
Aristotele il neghe). Orpheo et Archelao scrissero havere gran forza in amore un pilo dela
434
Sonetto CXLV; Giostra, 84, 88; Morgante, XXV, 156-57 e XXXVII, 41. Pulci paragona Poliziano anche al
poeta greco Alceo, e ai famosi poeti mitici Anfione, Museo e Orfeo (Morgante, cantare XXVIII, 142-149).
Benché Poliziano sia paragonato in questo passo a Orfeo, lui non è considerato un novello Orfeo come
Ficino.
435
Chastel, Marsile Ficin et l’Art, cit., pp. 12 e 19 n. 33.
436
Equicola, Libro de natura de amore, libro I, 1 ‘Laude de amore’, fol. 8v; 9r; 12v; libro IV, 2 ‘Dela forza et
potentia de amore’, fol. 164v; libro IV, 4 ‘Causa de insomnii de amanti’; libro IV, 5 ‘De Venere’, fol. 188r;
189v; libro IV, 6 ‘De cupidine’, fol. 201v.
149
CAPITOLO 3
coda del lupo, le saete tracte del corpo humano senza che habiano toccata terra, posti socto
‘l corpo del homo quando dorme. (Equicola, Libro de natura de amore, libro V, 3)
In altri passi Equicola descrive Orfeo, però, come un filosofo venerabile su cui Platone
basava i suoi scritti filosofici.437
Anche il cardinale Egidio da Viterbo (1469-1532) venne a contatto con Ficino e con
la cerchia intorno a Pontano (l’Accademia Pontaniana) durante i suoi numerosi viaggi.
Egidio scrisse i due trattati Schechina e Libellus de litteris hebraicis (1518) basandosi sulla
cabala. Nel Libellus Egidio cercò di riconciliare varie correnti di pensiero come fecero i
neoplatonici fiorentini. Le idee di Orfeo furono in tal modo messe in rapporto con quelle
di Platone e di altri pensatori.438 Questi tipi di connessione tra sistemi di pensiero diversi si
manifestarono anche nelle opere di Pico della Mirandola.
La fortuna di Orfeo poeta-teologo continuò in testi filosofici e trattati poetici
durante tutto il Cinquecento. Nelle opere del filosofo Giordano Bruno (1548-1600) si
trovano molti elementi neoplatonici ed ermetici. Per Bruno Orfeo è uno dei prisci theologi,
che ha scritto degli inni sulla natura degli dei. Qualche volta il filosofo sostanzia le sue idee
con riferimenti agli scritti di Orfeo:439
Amor ut in amante est, passive dicitur et est vinculum, alio modo dicitur active, id est quod
amare facit; et est quaedam divina vis in rebus, et hic est ille qui vincit. Et Orpheo atque
Mercurio est Daemon magnus, antiquus ante mundum, quo chaos ornamentum appetebat
eratque in sino illius. (Bruno, De vinculis in genere, Premessa, p. 649)440
Giordano Bruno fu condannato per le sue idee eretiche e chiuso nel carcere a Roma.441
Sotto l’influenza del clima religioso più ortodosso l’amalgama di idee cristiane e di altre
idee tra cui quelle di Orfeo, fu considerato eretico. In genere i riferimenti agli scritti orfici
437
Equicola, Libro de natura de amore, libro III, 2 ‘Amore angelico’, fol. 121r; libro V, 4 ‘Modi et gesti
del’amante’, fol. 244r.
438
Egidio da Viterbo, Libellus de litteris hebraicis, pp. 23, 40, 42, 50 (ed. Secret).
439
Altri riferimenti a Orfeo poeta-teologo (in una serie di pensatori antichi, o come fonte d’informazione)
nelle opere di Bruno, si trovano in: De innumerabilis, de immenso et infigurabili, Capo IX, p. 50; De la causa,
principio e uno, Dialogo secondo, p. 233; De magia mathematica, De triplici fide, p. 497; De rerum principiis,
elementis et causis, Premessa, p. 511; De vinculis in genere, Art. XII, p. 692; La Cena de le Ceneri, Dialogo
primo, p. 41; La monade, il numero e la figura, Capitolo X, p. 400; Theses de magia, XVII, p. 467.
440
‘L’amore come è nell’amante, è chiamato qualcosa di passivo ed è un vincolo, in altro modo è chiamato
qualcosa di attivo, cioè quello che fa amare; e c’è una certa forza divina nelle cose, e questo è quello che
vincola. E agli occhi di Orfeo e di Mercurio è un Demone grande, più antico del mondo, che il caos voleva
come ornamento e che era amato da lui.’
441
Anche il filosofo calabrese Tommaso Campanella (1568-1639) fu condannato e chiuso nel carcere a Roma
nello stesso periodo. Lui si riferisce a Orfeo in: Del Senso delle Cose e della Magia, p. 72 (effetto della sua
musica: contemplazione); p. 296 (sacerdote: medico del corpo e dell’anima).
150
POETA-TEOLOGO STORICO
non si trovavano in testi in cui si presentava una nuova concezione del mondo, e non erano
dunque condannati tanto fortemente.442
Gli autori e studiosi non si riferirono solo agli inni di Orfeo stesso, ma cercarono
anche di creare inni nuovi seguendo il modello di Orfeo. Michele Marullo (1453-1500), un
immigrato greco di Costantinopoli che venne in Italia in giovane età, scrisse degli inni
seguendo il modello degli inni orfici. Marullo si trovava nel circolo di Giovanni Pontano a
Napoli, ma anche in altre città italiane come Firenze. Negli Hymni naturales (stampati a
Firenze nel 1497) Marullo venera gli dei antichi. Oltre al fatto che la forma e il contenuto
della sua raccolta segue gli inni orfici, ci sono anche dei riferimenti diretti alla figura
mitologica stessa. Nell’inno a Marte Marullo afferma che, quando Marte avesse favorito i
Greci nella lotta contro i Turchi, né Orfeo né Pindaro avrebbero uguagliato il suo canto:
Tunc me nec Orpheus carminibus pater
Aequet canentem nec pecorum deo
Laudatus aestiva sub umbra,
Multiloquae fidicen Camaenae,
Quanquam sonoris hic fidibus rudes
Duxisset ornos et vaga flumina
Frenasset, hunc dignatus ipse
Ultro epulis decimaque Phoebus:
(Marullo, Hymni naturales, II, VI (Marti), v. 33)443
Non solo Ficino, ma anche Marullo imita dunque i poemi di Orfeo e cerca di emulare il
cantante antico. Gli effetti del canto di Orfeo a cui si fa riferimento derivano dalle
Argonautiche di Apollonio Rodio. Marullo afferma perfino di essere il primo a parlare dei
riti della sua patria come esule greco (Quique tot saeclis tripodas silentes / Primus Orpheo
pede rite movi).444 Marullo non è il primo a far rivivere gli inni orfici, ma è il primo greco a
farlo.
I riferimenti a Orfeo poeta-teologo si limitano soprattutto alle opere filosofiche e ai
trattati sull’amore da lui scritti. Orfeo come scrittore degli inni orfici e come uno dei prisci
442
Riferimenti del genere agli scritti (gli inni) di Orfeo li troviamo anche nei dialoghi di carattere platonico di
Torquato Tasso, come La Molza overo de l’Amore (1585/86), in cui l’autore discute un argomento molto caro
a Ficino (cf. El libro de l’Amore).
443
‘Allora né il padre Orfeo coi carmi mi uguaglierebbe nel canto né, dal dio delle bestie lodato sotto l’estiva
ombra, il suonatore di cetra (Pindaro) della multiloqua Camena (Polinnia), sebbene l’uno con la sonora cetra
i rudi orni avesse trascinato e i vaghi fiumi frenato, l’altro lo stesso Febo lo avesse stimato degno
spontaneamente delle sue vivande e di offerta’ (trad. D. Coppini, Firenze, Le Lettere, 1995).
444
Marullo, Hymni naturales, II, VIII (Mercurio), v. 6. Inoltre, Marullo dedica uno dei suoi Epigrammata alla
morte di Orfeo (Marullo, Epigrammata, II, XLVI, De morte Orphei).
151
CAPITOLO 3
theologi divenne un personaggio stereotipato che venne tramandato da un autore filosofico
all’altro. Inoltre, lo scrittore degli inni venne anche menzionato nei trattati mitografici,
come vedremo nel § 5.1, e, grazie alle sue descrizioni degli dei antichi negli Inni, il poeta
diventò fonte d’ispirazione anche per tali trattati.
Nelle arti visive le rappresentazioni di Orfeo poeta-teologo sono molto rare. La
mancanza di riferimenti al poeta-teologo nell’arte dipende probabilmente dal fatto che il
motivo si prestava soprattutto ai trattati filosofici e mitografici, e che non c’era una
tradizione artistica intorno al poeta-teologo. Tuttavia, si può trovare qualche indizio della
presenza di Orfeo poeta-teologo in opere d’arte che contengono delle implicazioni
filosofiche. Un anonimo artista fiorentino (prima identificato come Maso Finiguerra)
disegnò Orfeo negli anni 1460-70 come poeta-teologo in una serie di personaggi antichi
della cosiddetta terza epoca, tra cui spiccano Zoroastro, le Sibille, Ermete Trismegisto,
Lino e Museo (ill. 3.3).445
445
Anonimo (attribuito anche a Maso Finiguerra), Orfeo, illustrazione in: Cronaca Fiorentina Illustrata
(Florentine Picture Chronicle), ca. 1460-70. Londra, British Museum, Department of Prints and Drawings, fol.
XXVIII-XXIX. Altre raffigurazioni di Orfeo tra famosi personaggi antichi si trovano in: Anonimo, Cronaca
Universale: da Cadmo a Teseo, f. 1, 1440-50. Amsterdam, Rijksmuseum (già nella raccolta Cockerell a
Londra, Kew); Leonardo da Besozzo, Cronaca Universale: da Cadmo a Teseo, 1435-42. Milano, Collezione
Crespi. In questi disegni Orfeo suona per gli animali, e si trova accanto a Ercole e Teseo. Non si vede ancora
l’influenza dei prisci theologi ficiniani.
152
POETA-TEOLOGO STORICO
3.3 Anonimo, Orfeo, Cronaca Fiorentina Illustrata, 1460-70
L’immagine di Orfeo si trova nella Cronaca Fiorentina Illustrata, un libro figurativo, il cui
scopo è quello di raffigurare tutti i personaggi, gli episodi e le città importanti della
storia.446 Il libro sembra un tentativo di riconciliare i personaggi del Vecchio Testamento
con i personaggi storici e mitologici pagani. Anche se Orfeo vi è rappresentato in modo
relativamente tradizionale, suonando per gli animali, Joscelyn Godwin ha visto qui
l’influenza della cerchia neoplatonica di Ficino.447 La presenza di Zoroastro e Ermete, che
sono menzionati da Ficino come prisci theologi, rafforza l’interpretazione di Orfeo come
poeta-teologo.
Esistono anche altre raffigurazioni di filosofi, prisci theologi o pensatori antichi, tra
cui ci si aspetterebbe la figura di Orfeo. Nell’affresco di Raffaello nella Stanza della
Segnatura al Vaticano, che è spesso indicato come La scuola di Atene, è raffigurata una
combinazione di pensatori antichi, biblici e contemporanei.448 L’affresco costituisce forse
un tentativo di riconciliare la sapienza antica con il pensiero cristiano. La presenza di
Orfeo tra pensatori come Platone, Pitagora, Zoroastro, le cui posizioni nell’affresco sono
ormai accettate, è molto probabile, anche se si riesce difficilmente a identificarlo con
certezza senza i suoi attributi comuni, come la lira o gli animali. Naturalmente questi
attributi non sono necessari per il poeta-teologo.
3.4 CONCLUSIONE
And what has Ficino done for Orpheus? If the Middle Ages subjected him to sparagmos,
Ficino has found his heart and brought him back to life – the musician, magician, and
hierophant that he was in the beginning.449
Con queste parole John Warden conclude il suo capitolo su Ficino e Orfeo. Orfeo poetateologo viene reintrodotto nella letteratura da parte di Ficino dopo essere stato oppresso
nel Medioevo a favore del poeta amante. La reintroduzione di questo lato di Orfeo fu
favorita dal fatto che Ficino si era riproposto di tradurre e commentare tutte le opere di
Platone e della maggior parte dei neoplatonici antichi. La possibilità di leggere questi testi
greci, che prima non erano disponibili e leggibili per gli italiani, fu fondamentale per la
446
J. Godwin, The Pagan Dream of the Renaissance, Grand Rapids, Phanes Press, 2002, p. 52.
Godwin, op.cit., p. 57.
448
Ringrazio Bram Kempers di questa segnalazione. Sull’interpretazione di questo affresco si veda: B.
Kempers, ‘Words, Images and All the Pope’s Men. Raphael’s Stanza della Segnatura and the Synthesis of
Divine Wisdom’, in: History of Concepts: Comparative Perspectives, a.c.d. I. Hampsher-Monk, K. Tilmans e F.
Van Vree, Amsterdam, Amsterdam University Press, 1998, pp. 131-165.
449
Warden, op.cit., p. 103.
447
153
CAPITOLO 3
trasformazione dell’immagine di Orfeo. Nel tentativo di riconciliare la filosofia di Platone
con la fede cristiana, per Ficino la figura di Orfeo era indispensabile. Come avevano già
capito gli antichi apologeti cristiani, l’Orfeo priscus theologus era l’anello che rendeva
possibile il legame tra l’antica religione di Mosé con Platone. Studiando i testi di Platone,
Ficino venne dunque in contatto con un Orfeo completamente diverso dalla figura
mitologica che era nota fino a quel momento: mentre prima si conosceva soprattutto
l’Orfeo amante di Euridice dai testi latini (e dalle rielaborazioni) di Virgilio e Ovidio, ora il
poeta-teologo fiorisce nella cerchia di Ficino. Tutte le opere ficiniane contengono dei
riferimenti a Orfeo poeta-teologo e ai suoi scritti orfici. L’Orfeo di Ficino è un personaggio
storico e non più mitologico. Orfeo trascende così il suo stato precedente di figura
mitologica e acquista un nuovo prestigio culturale dovuto alla sua importanza filosofica.
Questo cambiamento è dunque causato dalla disponibilità di fonti diverse. Ficino
esalta la figura del poeta-teologo, perché questa gli serve per propagare la filosofia di
Platone. Per motivi di propaganda l’autore focalizza su questo lato positivo di Orfeo, e
accenna solo di rado alle vicissitudini del poeta amante. L’effetto di un altro tipo di
propaganda, quello politico, sull’adattamento del mito di Orfeo sarà discusso nei §§ 4.4.1 e
6.7.
Anche altre persone dalla cerchia di Ficino, come Landino e Pico della Mirandola,
consideravano Orfeo un poeta-teologo. Secondo Pico, Orfeo avrebbe nascosto il mistero
dei riti orfici sotto la forma di favole (gli Inni). In questo modo da figura mitologica Orfeo
diventa mitografo, un’idea che tornerà nei trattati mitologici di Cartari e Giraldi.
Oltre all’importanza del pensiero orfico per la filosofia di Ficino c’entra anche il suo
ruolo come poeta ispirato, che con la sua musica riesce a venire a contatto con l’armonia
delle sfere e a ottenere così degli effetti benefici. Cercando di raggiungere gli stessi effetti
Ficino imitava la musica di Orfeo: cantava degli inni orfici, mentre suonava una lira orfica.
Anche dai suoi contemporanei fiorentini Ficino venne considerato il novello Orfeo, anche
se non sempre sembrarono prenderlo sul serio.
La fortuna della filosofia orfica adoperata da Ficino continuò anche fuori Firenze e
nei secoli successivi. Soprattutto gli inni orfici furono spesso consultati come fonti
d’informazione per trattati filosofici e trattati sulla natura dell’amore. Riferimenti del
genere sono spesso brevi e stereotipati. Il motivo non era molto adatto alle arti visive, e per
questo esistono poche raffigurazioni di Orfeo poeta-teologo o le raffigurazioni sono
difficilmente identificabili. Studiando la fortuna di Orfeo nella seconda metà del
Quattrocento e nel Cinquecento (capitoli 5 e 6) bisognerà sempre tenere in mente la
presenza del poeta-teologo nei testi di carattere filosofico.
154
CAPITOLO 4. FIGURA TEATRALE E AMANTE POPOLARE
La Fabula di Orfeo di Poliziano e le sue imitazioni (ca. 1475-1525)
4.0 POLIZIANO E LA CORTE MANTOVANA
Nel capitolo precedente è stato discusso il ruolo di Marsilio Ficino nella fortuna di Orfeo.
Tra gli umanisti intorno a Ficino e Lorenzo de’ Medici c’erano molti contatti: essi si
scambiavano lettere e poesie in cui torna spesso la figura di Orfeo. Anche Angelo Poliziano
(1454-1494) fu uno degli umanisti principali presenti alla corte medicea. Soprattutto sotto
il principato di Lorenzo il Magnifico Poliziano fu stimato per la sua conoscenza del latino e
del greco. Fu perfino impiegato come educatore dei figli di Lorenzo. Una delle sue opere
principali è la Fabula di Orfeo, una rappresentazione teatrale che tratta interamente del
mito di Orfeo. La Fabula sarà l’argomento principale di questo capitolo.
Spesso si sostiene che la Fabula fu rappresentata per la prima volta a Mantova, per
il fatto che l’opera fu commissionata dal cardinale mantovano.450 Per la maggior parte della
sua vita Poliziano lavorò a Firenze alla corte di Lorenzo de’ Medici. Durante un breve
periodo, però, si ritirò da questa corte, forse a causa di problemi con la moglie di Lorenzo,
Clarice, a proposito dell’educazione del figlio Piero.451 Durante questo periodo (1479-80)
Poliziano soggiornò in Emilia, a Venezia, a Padova, a Verona e infine a Mantova alla corte
del cardinal Gonzaga. Secondo alcuni studiosi la Fabula deve dunque risalire a questo
periodo.452
I Gonzaga regnavano a Mantova dal 1328 e avevano come i Medici grandi interessi
umanistici e culturali. Oltre a commissionare la Fabula di Orfeo, essi attirarono alla corte
come pittore anche Andrea Mantegna, che dipinse il mito di Orfeo nel Palazzo Ducale. Il
mito doveva forse simboleggiare il potere dei Gonzaga, come discuteremo in seguito.
Orfeo diventò così una figura mitologica centrale per i Gonzaga: nel Cinquecento Orfeo
sarebbe stato dipinto di nuovo in alcuni palazzi gonzagheschi e nel 1607 su commissione
di Vincenzo Gonzaga sarebbe stato rappresentato l’Orfeo di Claudio Monteverdi nel
Palazzo Ducale (cap. 6).
450
Antonia Tissoni Benvenuti afferma, però, che la commissione da parte del cardinale non giustifica l’idea
che la favola fu rappresentata per la prima volta a Mantova. Mantova è indicata come il luogo nella lettera
dell’editore, ma questa si basa probabilmente sulla lettera a Canale (cf. § 4.1.1). Gonzaga soggiornava anche
spesso a Bologna e a Roma (A. Tissoni Benvenuti, L’Orfeo del Poliziano con il testo critico dell’originale e delle
successive forme teatrali, Roma-Padova, Antenore, 2000 (1986), pp. 58-59).
451
F. Tateo, Lorenzo de’ Medici e Angelo Poliziano, Bari, Laterza, 1981, § 66: Il soggiorno a Mantova: la
“Favola di Orfeo”, p. 134.
452
Tateo, op.cit., p. 134 et al.
155
CAPITOLO 4
Moltissimi aspetti della Fabula di Orfeo sono già stati discussi nella letteratura
secondaria. In questo capitolo si presterà soprattutto attenzione agli elementi del mito di
Orfeo che Poliziano riprese dagli scrittori antichi, ma che non erano presenti nella
letteratura italiana del Trecento e del Quattrocento fino a quel momento, oltre agli
elementi nuovi che Poliziano aggiunse al mito. Discuterò in particolare la figura di Orfeo
stesso: come Poliziano rappresenta Orfeo, qual è la funzione, il significato di Orfeo nella
Fabula?
Dopo una breve esposizione del contenuto della Fabula di Orfeo e del contesto in
cui la Fabula fu scritta, parlerò degli elementi nuovi nella descrizione polizianesca del mito
di Orfeo e della rappresentazione del personaggio di Orfeo. Discuterò le varie opinioni
riguardanti il significato della Fabula e della figura di Orfeo nell’opera di Poliziano. Nel
secondo paragrafo discuterò le imitazioni teatrali della Fabula, in particolare l’Orphei
Tragoedia (ca. 1485) e La favola di Orfeo e Aristeo (fine sec. XV o inizio sec. XVI). Dopo
una breve introduzione alle due opere descriverò anche qui in che modo il mito e il
personaggio di Orfeo si trasformarono rispetto alla Fabula di Poliziano. Successivamente
tratterò un altro genere letterario che si basa strettamente sulla Fabula: il genere dei
cantari (§ 4.3). Metterò così in rilievo l’influenza della Fabula di Orfeo sul teatro e su altri
generi letterari del Quattro e Cinquecento. L’influenza dell’opera di Poliziano non si limitò,
però, alla letteratura, ma si estese anche alle arti figurative. Soprattutto nei palazzi dei
Gonzaga a Mantova, ma anche in altre occasioni e in altre città, Orfeo appare sempre di
più in cicli pittorici.
4.1 LA FABULA DI ORFEO
4.1.1 Introduzione alla Fabula
Negli anni settanta del Quattrocento Angelo Poliziano scrisse l’opera più lunga sul mito di
Orfeo della letteratura italiana fino a quel momento: la Fabula di Orfeo.453 Si tratta di una
rappresentazione teatrale o di una ‘festa’, come dice l’autore stesso, che ebbe una grande
influenza sulla fortuna del mito di Orfeo nella letteratura italiana successiva. La Fabula di
Orfeo è considerata la prima rappresentazione teatrale di un argomento profano in volgare.
Prima si conoscevano solo due tipi di rappresentazione teatrale: le rappresentazioni in
volgare su argomenti sacri (le ‘sacre rappresentazioni’) e le rappresentazioni in latino per
un pubblico più colto. Poliziano scrisse invece un’opera in italiano scegliendo un
argomento che appartiene alla mitologia classica.
Secondo alcuni studiosi la Fabula di Poliziano deriva da e si basa sul genere della
sacra rappresentazione. La sacra rappresentazione era un tipo di poesia che si sviluppò
453
Torneremo più tardi sulla questione della datazione della Fabula.
156
FIGURA TEATRALE E AMANTE POPOLARE
dalla liturgia cristiana nei primi secoli della letteratura italiana.454 Era una forma di teatro
religioso con intenzioni pedagogiche, con cui i ragazzi fiorentini venivano istruiti nella
dottrina cristiana a partire dalla metà del Quattrocento.455 Per molto tempo lo schema
drammatico della sacra rappresentazione fu l’unico modello teatrale, fino a quando alla
fine del Quattrocento si cominciò a imitare la commedia classica.456 Prima queste
rappresentazioni trattavano sempre delle vite di Cristo e di Maria, ma dopo qualche tempo
ebbero come soggetti anche persone famose vissute al tempo di Cristo (come gli apostoli),
santi, martiri, eccetera. Secondo Umberto Leoni, per il popolo era difficile distinguere tra
tutti questi personaggi e così dopo qualche tempo furono anche trattate delle figure
leggendarie e mitologiche. Le sacre rappresentazioni cominciavano sempre con
un’annunciazione, per introdurre l’argomento, per fare appello alla benevolenza del
pubblico e per chiedere silenzio. Le annunciazioni erano sempre fatte da un Angelo. Alla
fine della sacra rappresentazione c’era spesso una ‘licenza’ (commiato), per annunciare la
fine della festa e ringraziare il pubblico. Non tutte le rappresentazioni finivano con una
licenza, ma qualche volta essa era sostituita con un canto ecclesiastico, una lauda di
devozione, una canzone popolare oppure canti, suoni e balli d’allegria.457 Si tratta insomma
di alcuni versi che si confacevano all’argomento della rappresentazione oppure al tempo.
Fra l’annunciazione e la licenza le sacre rappresentazioni presentavano la vita di un
personaggio (santo) in ordine cronologico. Il metro usato era l’ottava rima.
Ci sono molte analogie, ma anche delle differenze tra la Fabula di Orfeo e le sacre
rappresentazioni.458 Alcune rassomiglianze riguardano la scenografia: la presentazione
dell’argomento da parte di un annunziatore, la semplicità dell’intreccio e la libertà del
mutamento di scena.459 I dialoghi e i monologhi seguono invece, secondo Tateo, l’esempio
dell’ecloga pastorale. Nel trattare la maniera in cui il mito di Orfeo è rappresentato nella
Fabula (§ 4.1.2), torniamo su alcune analogie e differenze con il genere della sacra
rappresentazione. Il tentativo di stabilire il genere della Fabula può aiutare a spiegare la
maniera in cui è presentato il mito e il perché di certi adattamenti del mito. Nel capitolo
introduttivo abbiamo visto che le esigenze del genere sono tra i fattori decisivi che
determinano la trasformazione di figure mitologiche.460
454
U. Leoni, L'Orfeo del Poliziano e la sacra rappresentazione, Roma, 1900, p. 5; M. Martelli, Angelo
Poliziano. Storia e metastoria, Lecce, Conte, 1995 (II, I. La Fabula d’Orfeo), pp. 93-94. Tissoni Benvenuti
descrive l’opera come una fabula satirica (Tissoni Benvenuti, L’Orfeo, cit., pp. 93-103).
455
P. Ventrone, ‘“Philosophia. Involucra fabularum”: La Fabula di Orpheo di Angelo Poliziano’,
Comunicazioni sociali XIX (1997), p. 142.
456
Ventrone, op.cit., p. 143.
457
Leoni, op.cit., p. 13; Ventrone, op.cit., pp. 144-145.
458
Leoni, op.cit., passim; Ventrone, op.cit., pp. 142-148.
459
Tateo, op.cit., p. 137.
460
Stanford, op.cit., p. 5.
157
CAPITOLO 4
Perché Poliziano scelse la figura mitologica di Orfeo come protagonista della sua
Fabula? Un fattore decisivo fu, a mio parere, l’appartenenza di Poliziano alla corte di
Lorenzo de’ Medici e i suoi contatti con Marsilio Ficino. Come abbiamo visto nel capitolo
precedente, Orfeo era una figura centrale nella cerchia di Ficino. Naturalmente la
concezione ficiniana di Orfeo era molto diversa rispetto a quella di Piliziano. Per Ficino
Orfeo era un poeta-teologo, il fondatore dell’orfismo. Poliziano condusse invece Orfeo in
una direzione completamente diversa, pur trattandosi in fondo sempre della stessa figura.
L’onnipresenza di Orfeo nella cerchia di Ficino, a cui apparteneva Poliziano, deve dunque
aver suscitato l’interesse di quest’ ultimo per questa figura, anche se Poliziano preferì
concentrarsi sull’altra faccia della stessa figura, quella del poeta-amante.
Naturalmente la scelta del personaggio può essere stata influenzata anche da altri
fattori, come per esempio dallo sviluppo di Orfeo come figura teatrale negli spettacoli
conviviali o nei trionfi. Questi spettacoli, alcuni dei quali ebbero probabilmente luogo
prima della rappresentazione della Fabula di Orfeo, saranno discussi nel § 6.4.461 E’noto che
lo stesso Baccio Ugolini, che interpretò il ruolo di Orfeo nella Fabula, aveva impersonato
Orfeo durante il banchetto per Eleonora d’Aragona nel 1473.462 Tuttavia, Orfeo non era
l’unica figura che si vedeva nei trionfi: anche Ercole, Bacco e Venere erano molto popolari.
Orfeo era probabilmente prediletto per il suo ruolo di cantante eccellente: era un
personaggio molto adatto ad una rappresentazione musicale (come infatti fu la Fabula di
Orfeo). Un altro fattore possibile può essere stato il contatto tra Poliziano e Andrea
Mantegna, su cui tornerò nel § 4.4.1.
Importante per determinare il contesto della nascita della Fabula e della sua
ricezione al tempo di Poliziano è una lettera famosa che l’autore scrisse a Carlo Canale nel
1483.463 Poliziano dice di aver scritto la Fabula in fretta (‘in tempo di dua giorni’) e durante
‘continui tumulti’. Poliziano afferma che lui stesso avrebbe preferito ‘lacerare’ la sua
rappresentazione come fecero gli Spartani con i loro figli deboli e come fecero le baccanti
nel caso di Orfeo, ma i suoi amici invece insistettero per tenerla in vita.464 L’affermazione di
Poliziano sul tempo breve in cui avrebbe scritto la Fabula è un topos letterario che
Poliziano aveva trovato in Stazio, uno dei suoi scrittori preferiti.465 Anche se potrebbe
461
A causa della datazione insicura della Fabula non si può stabilire con certezza se i trionfi avevano luogo
prima dell’opera polizianesca. Siccome la tradizione dei trionfi continua anche molto dopo la Fabula, ho
deciso di discutere queste occasioni nel capitolo successivo.
462
Tissoni Benvenuti, L’Orfeo, cit., pp. 65-66.
463
Carlo Canale apparteneva ai familiari del cardinal Gonzaga e partecipava probabilmente all’allestimento
della Fabula di Orfeo (A. Poliziano, Stanze; Fabula di Orfeo, a.c.d. S. Carrai, Milano, Mursia, 1988, p. 139, n.
1). Secondo Tissoni Benvenuti Canale era il primo dell’elenco dei camerarii di Gonzaga (L’Orfeo, cit., p. 1).
464
Poliziano si riferisce probabilmente alla vita teatrale della Fabula (Tissoni Benvenuti, L’Orfeo, cit., p. 3).
465
‘Nullum enim ex illis biduo longius tractum, quaedam et in singulis diebus effusa… Respondebis illi tu,
Stella carissime, qui epithalamion tuum, quod mihi iniuxeras, scis biduo scriptum.’ (Stazio, Silvae, I, ep. ded.)
(Tissoni Benvenuti, L’Orfeo, cit., pp. 5-6).
158
FIGURA TEATRALE E AMANTE POPOLARE
essere vero che Poliziano ha scritto la sua favola in due giorni, la (finta) insoddisfazione
dell’autore per l’opera deve mostrare la sua modestia o suscitare i complimenti del
lettore.466 Anche il fatto che la Fabula era scritta in volgare non poteva essere una ragione
valida per lacerarla. Infatti, anche Petrarca aveva chiamato le sue poesie volgari delle
‘nugae’, ma non aveva mai smesso di perfezionarle. Alla fine della lettera Poliziano
sottolinea ancora una volta ‘la necessità della mia obedienza e l’angustia del tempo’, che
provano il suo ‘subitus calor’.467
Dalla lettera a Canale risulta anche che il committente era il cardinale Francesco
Gonzaga (1444-83). Tuttavia, l’occasione precisa della prima rappresentazione e dunque la
sua datazione è insicura. Per lo scopo di questo libro la datazione della Fabula di Orfeo non
è forse molto importante, ma lo è l’occasione per cui venne scritta, che può aiutare a
spiegare il significato del mito e la funzione di Orfeo che Poliziano aveva in mente.
Nell’introduzione ho aggiunto questo fattore all’elenco di fattori che determinano
l’adattamento di una figura mitologica. Al fattore del contesto storico, politico e culturale
manca la precisione del momento, che è decisivo per rappresentazioni teatrali.
Bettinelli fu il primo a suggerire una data per la prima rappresentazione. Siccome il
cardinale morì nel 1483, la Fabula dovette essere stata scritta prima di quest’anno per
un’occasione in cui sia Poliziano che il cardinale si trovavano a Mantova: ‘Certo è dalle
storie che il cardinal Francesco fece solenne ingresso nel 1472 in Mantova, come dicemmo,
onde sembra comprovato abbastanza esser quell’anno probabilmente venuto l’Orfeo alla
luce.’468 Secondo Isidoro del Lungo la Fabula fu scritta nel 1471 per la visita di Galeazzo
Sforza da Milano con sua moglie Bona di Savoia alla corte di Lodovico Gonzaga.469 Anche il
cardinale Francesco Gonzaga doveva essere presente per onorare il duca. Forse durante il
suo viaggio a Mantova il cardinale si era trattenuto a Firenze e gli era stato presentato
Poliziano da Lorenzo de’ Medici.470 Il cardinale avrebbe ordinato a Poliziano di scrivere in
grande fretta una rappresentazione teatrale, per poterla presentare a Mantova poco dopo.
Mandò il famoso attore Baccio Ugolini, che era al suo servizio. Secondo questa ipotesi la
Fabula di Orfeo fu rappresentata tra il 18 e il 20/22 luglio del 1471. Questa data è
466
Tissoni Benvenuti, L’Orfeo, cit., pp. 5-6. Altri studiosi che discutono il significato della lettera sono: I.
Maïer, Ange Politien. La formation d’un poète humaniste (1469-1480), Genève, Librairie Droz, 1966, pp. 390392 e T. Leuker, Angelo Poliziano. Dichter, Redner, Stratege. Eine Analyse der Fabula di Orpheo und
ausgewählter lateinischer Werke des Florentiner Humanisten, Stuttgart-Leipzig, Teubner, 1997, pp. 67ff.
467
Tissoni Benvenuti, L’Orfeo, cit., pp. 8-10. La studiosa mostra che l’intera lettera si basa sull’opera di Stazio
(pp. 4-6).
468
S. Bettinelli, Delle lettere e delle arti mantovane, Mantova, 1774, p. 36 (menzionato da Tissoni Benvenuti,
L’Orfeo, cit., p. 58).
469
I. Del Lungo, ‘L’Orfeo del Poliziano alla Corte di Mantova’, Nuova Antologia XXVIII, Serie II (1881), pp.
538-42.
470
Leoni, op.cit., p. 4.
159
CAPITOLO 4
compatibile con l’ipotesi che abbia potuto influenzare gli affreschi di Andrea Mantegna
nella Camera degli Sposi, di cui parlerò nel § 4.4.1.
Picotti propone, invece, come occasione della Fabula il doppio sposalizio di Clara
Gonzaga con Gilbert de Montpensier e di Francesco Gonzaga con Isabella d'Este.471 Così
l’opera sarebbe stata rappresentata per la prima volta nel giugno 1480.
Nino Pirrotta e Mirella Vitalini optano per lo stesso anno, ma indicano
un’occasione diversa, cioè il carnevale del 15 febbraio 1480.472 Secondo Travi Poliziano vide
a Mantova la Camera degli Sposi ormai finita, che lo ispirò a scrivere la sua favola (si noti il
contrasto con Leoni). Stefano Carrai è convinto dall’idea del carnevale, ma accetta la
datazione di Tissoni Benvenuti: la Fabula di Orfeo sarebbe stata scritta a metà degli anni
settanta (prima del 1478).473 Ormai si accetta in genere questa datazione.
4.1.2 La nuova rappresentazione del mito
La Fabula di Orfeo comincia con l’annuncio della ‘festa’ da parte di Mercurio. L’opera è
indicata dall’autore come una festa, una parola che è anche adoperata per le sacre
rappresentazioni.474 Sia per le sacre rappresentazioni che per la Fabula di Orfeo
circolavano indicazioni diverse. L’annunciatore delle sacre rappresentazioni era sempre un
angelo. Nel mondo pagano Mercurio era il messaggero degli dei e perciò lui prende nella
Fabula il posto dell’angelo. Già all’inizio risaltano dunque le rassomiglianze dell’opera di
Poliziano con il genere della sacra rappresentazione. Manca poi una divisione in atti.
Anche questa mancanza è una caratteristica delle sacre rappresentazioni, che mostravano
la vita di un personaggio dall’inizio alla fine, senza interruzioni. A questo punto la Fabula
differisce alquanto dai suoi predecessori: Poliziano mette in rilievo solo gli aspetti più
importanti della vita di Orfeo (anche se giunge fino alla sua morte). La decisione di non
471
G.B. Picotti, Ricerche umanistiche, Firenze, 1955, pp. 87-120 (e prima nel 1914, nei Rendiconti
dell’Accademia dei Lincei) (menzionato da Tissoni Benvenuti, L’Orfeo, cit., p. 58).
472
N. Pirrotta, Li due Orfei, cit., pp. 8-13; M. Vitalini, ‘A proposito della datazione dell’ “Orfeo” del Poliziano,
Giornale storico della letteratura italiana, CXLVI (1969), pp. 249-50. Questa ipotesi è anche accettata da: E.
Travi, ‘L’esperienza mantovana del Poliziano: l’”Orfeo”’, in: Studi in onore di Alberto Chiari, II, Brescia,
Paideia, 1972, p. 1299; Tateo (1981), op.cit., p. 169; C.M. Pyle, ‘Il tema di Orfeo, la musica e la favole
mitologiche del tardo Quattrocento’, in: Ecumenismo della cultura, II: La parola e la musica nel divenire
dell’umanesimo, a.c.d. G. Secchi Tarugi, Firenze Leo S. Olschki,1981.
473
S. Carrai, ‘Implicazioni cortigiane nell’Orfeo di Poliziano’, Rivista di letteratura italiana VIII, 1 (1990), p. 9,
poi in: Idem, I precetti di Parnaso. Metrica e generi poetici nel Rinascimento italiano, Roma, Bulzoni, 1999,
pp. 85-98; Tissoni Benvenuti, op.cit., pp. 58-70. Questa data è anche riprodotta da: M. Martelli, ‘Il mito di
Orfeo nell’età laurenziana’, in: Orfeo e l’orfismo. Atti del Seminario Nazionale, a.c.d. A. Masaracchia, Roma,
Gruppo Editioriale Internazionale, 1993. L’unico ad opporsi contro questa data è Tobias Leuker (1997), che
accetta senza nessuna obiezione il 1480 (Leuker, op.cit., p. 88). La Fabula di Orfeo dovrebbe essere stata
rappresentata prima della sua imitazione da parte di Benivieni (1479) e prima della congiura dei Pazzi. I
legami con le Stanze per la giostra influenzano forse la datazione (Tissoni Benvenuti, L’Orfeo, cit., pp. 68-70).
474
Leoni, op.cit., p. 16.
160
FIGURA TEATRALE E AMANTE POPOLARE
rappresentare ogni momento della vita di Orfeo con la stessa enfasi dipende dal suo
maggiore talento artistico.475
La Fabula di Orfeo fu stampata per la prima volta a Bologna nel 1494, dopo la
morte di Poliziano. Questa edizione è senza immagini, ma un’edizione di qualche anno più
tardi contiene delle xilografie, le cui immagini non corrispondono, però, esattamente con il
mito rappresentato da Poliziano nella Fabula.476 Nella prima scena si vede Orfeo che suona
per un gruppo di animali e alberi.477 Orfeo è seduto sul tronco di un albero davanti ad
alcuni alberi più snelli. (ill. 4.1)
4.1 Anonimo, Orfeo e gli animali, in Poliziano, Festa di Orpheo, ca. 1500
Tuttavia, la Fabula di Orfeo non comincia affatto con questa scena e solo nel seguito della
Fabula Orfeo fa menzione del potere della sua lira (vv. dopo il v. 140/v. 149). L’immagine è
tuttavia efficace come presentazione generica del protagonista, che veniva spesso
raffigurato con animali che ascoltano la sua musica.478 Si noti anche che Orfeo suona qui
una specie di lira da braccio invece della lira antica di cui parla Poliziano. Questa immagine
rinascimentale di una lira antica è un tipico caso di assimilazione storica, che causa solo un
cambiamento esteriore del personaggio.
La rappresentazione del mito di Orfeo che segue è diversa da quello che abbiamo
visto nei secoli precedenti. Nel Trecento e nella prima parte del Quattrocento i riferimenti
a Orfeo erano piuttosto brevi e menzionavano sempre le stesse caratteristiche di Orfeo, per
esempio il potere del suo canto o la sua discesa agli Inferi. Gli scrittori avevano una
conoscenza limitata del mito e di conseguenza ripetevano spesso la stessa immagine di
Orfeo. Eccezioni a questa regola erano le volgarizzazioni delle Metamorfosi, in cui erano
trasmessi molti aspetti del mito. Boccaccio parlava poi a lungo di Orfeo nelle sue
475
Leoni, op.cit., p. 15.
A. Poliziano, Stanze delle giostra; Festa di Orpheo, Firenze, Tubini-Veneziano-Ghirlandi,ca. 1500. Le
xilografie sono state riprodotte in: A. Poliziano, Poesie italiane, a.c.d. S. Orlando, Milano, Rizzoli,1976.
477
Poliziano, Stanze delle giostra; Festa di Orpheo, cit. (Poliziano, Poesie italiane, cit., p. 110).
478
Cf. De deorum imaginibus libellus (§ 1.5.3) e i disegni nell’Ovidio Maggiore di Simintendi (§ 2.1.1).
476
161
CAPITOLO 4
Genealogie deorum gentilium. Tuttavia, queste opere non contenevano nessuna nuova
versione letteraria del mito di Orfeo, ma piuttosto un resoconto enciclopedico che si
basava su fonti antiche diverse.
Nella seconda metà del Quattrocento Marsilio Ficino è il primo a far rivivere
veramente la figura di Orfeo attribuendogli un ruolo fondamentale nella serie di prisci
theologi. Ficino torna alle fonti antiche (perlopiù greche) e ne distilla una versione
personale di Orfeo che figura in molte delle sue opere. L’Orfeo ficiniano è il poeta-teologo
che conosce i misteri dell’orfismo. Poliziano non riproduce la figura di Orfeo come poetateologo di Ficino, ma vede Orfeo come una figura mitologica, come nella letteratura
italiana prima di Ficino. Poliziano torna davvero alle fonti latine, in particolare a Virgilio e
a Ovidio, per ravvivare il suo Orfeo. La Fabula di Orfeo differisce dagli altri riferimenti al
mito di Orfeo nella letteratura italiana non solo per la sua lunghezza, ma anche per il fatto
che il ritorno alle fonti antiche fa emergere degli elementi che durante il Medioevo, il
Trecento e il primo Quattrocento erano stati quasi dimenticati. Inoltre, Poliziano aggiunge
degli elementi inediti alla sua versione del mito.
Le fonti principali consultate da Poliziano sul mito di Orfeo sono le Georgiche di
Virgilio e le Metamorfosi di Ovidio.479 Poliziano inserisce nella sua favola molti elementi
dai due scrittori, li combina e aggiunge poi degli elementi nuovi. Un elemento virgiliano
per eccellenza è la presenza del pastore Aristeo che si innamora di Euridice.480 Il racconto
di Aristeo occupa la prima metà della favola. Questa combinazione di Virgilio e Ovidio può
essere stata influenzata dalla presenza di Aristeo nell’Ovidio Metamorphoseos vulgare di
Bonsignori o dalle Genealogie di Boccaccio. Come risulta già (e soprattutto) dalla prima
scena, Poliziano colloca il mito di Orfeo in un contesto pastorale, contrariamente alla
descrizione del mito nelle Georgiche.481 Aristeo è circondato da un gruppo di pastori che
hanno tutti dei nomi tipicamente pastorali, come Mopso e Tirsi. Anche il paese idillico
contribuisce all’idea di un mondo bucolico. I pastori parlano della perdita di un vitellino e
quando Aristeo confessa loro il suo amore per la ninfa Euridice, essi cercano di dissuaderlo
dalla sua intenzione di inseguirla. Nel racconto di Virgilio invece, Aristeo era un apicoltore
che era stato punito con la morte delle sue api per aver causato la morte di Euridice e in
seguito quella di Orfeo. Poliziano ha dunque trasformato la figura di Aristeo in una nuova
figura pastorale, che diventa il protagonista della prima parte della Fabula di Orfeo. Il
pastorale era diventato un genere letterario popolare alla fine del Quattrocento. Altri
esempi famosi di questo gusto pastorale sono Il pastor fido di Guarini e l’Arcadia di
479
Altre fonti importanti sono: le Sylve di Stazio, la terza (e quarta) egloga di Calpurnio, le Baccanti e il
Ciclope di Euripide (Ventrone, op.cit., p. 140). Per una discussione dettagliata delle fonti citate da Poliziano
cf.: A. Poliziano, Poesie volgari, a.c.d. F. Bausi, Roma, Vecchiarelli, 1997; Tissoni Benvenuti, L’Orfeo, cit.
480
Forse Poliziano ebbe l’idea di inserire Aristeo dalla rielaborazione delle Metamorfosi da parte di Giovanni
dei Bonsignori, che prima di lui aveva inserito il pastore nel racconto ovidiano.
481
Cfr. Tissoni Benvenuti, L’Orfeo, cit., p. 139n; Ventrone, op.cit., p. 156.
162
FIGURA TEATRALE E AMANTE POPOLARE
Sannazzaro. Il pastorale non si limitava alla letteratura, ma si estendeva anche all’arte. Così
il mito di Orfeo in un contesto pastorale diventò anche un tema prediletto nella pittura (cf.
cap. 6).
La seconda xilografia dell’edizione stampata mostra un gruppo di pastori con
pecore (ill. 4.2).482 I pastori figurano nel racconto di Poliziano, ma essi parlano soltanto di
un vitellino e non si fa menzione di pecore. A quell’epoca gli editori solevano scegliere per
un testo delle immagini già disponibili. Le xilografie (o almeno alcune) nel testo di
Poliziano non sono state disegnate dunque per questo testo particolare, ma sono state
raccolte da altri testi che rassomigliavano alquanto alla Fabula di Orfeo. Max Sander ha
dimostrato che l’immagine dei pastori apparteneva originariamente a un’edizione delle
Epistole & Evangeli.483
4.2 Anonimo, Pastori / 4.3 Anonimo, Aristeo ed Euridice, in Poliziano, Festa di Orpheo, ca. 1500
Anche la terza xilografia contiene degli elementi estranei al racconto di Poliziano (ill.
4.3).484 Euridice fugge al pastore Aristeo in un paesaggio collinoso. Il testo di Poliziano non
spiega, però, l’asta nella mano della ragazza. Sander suggerisce la fonte dell’immagine:
un’edizione del Ninfale fiesolano di Boccaccio.485 Nella versione originale la ninfa Mensola
fugge dal pastore Africo e lo assale con un’asta. Anche nel caso di Poliziano una ninfa
(Euridice) fugge da un pastore (Aristeo), ma manca l’asta. L’inseguimento e la fuga erano
due dei motivi preferiti nell’arte di fine Quattrocento (cf. § 6.4).486
482
Poliziano, Stanze delle giostra; Festa di Orpheo, cit. (Poliziano, Poesie italiane, cit., p. 111).
M. Sander, Le livre à figures italien depuis 1467 jusqu'à 1530, vol. II, Milano, Ulrico Hoepli, 1969, no. 5815
(pp. 993-994). Si veda anche V.M. Prince d’Essling, Les livres à figures vénitiens de la fin du XVe siècle et du
Commencement du XVIe, vol. I-III, Firenze-Paris, Leo S. Olschki, 1907-1909..
484
Poliziano, Stanze delle giostra; Festa di Orpheo, cit. (Poliziano, Poesie italiane, cit., p. 115).
485
Sander, op.cit., p. 994. La xilografia proviene da una vecchia edizione ignota/persa che deve essere stata
stampata tra il 1490 e il 1500. Si trova anche in un edizione del 1568, stampata da Valente Panizzi a Firenze
(Sander, no. 1091).
486
Anche il testo stesso si basa sull’inseguimento nel Ninfale fiesolano e sul mito ovidiano di Apollo e Dafne
(Tissoni Benvenuti, L’Orfeo, cit., pp. 26-27).
483
163
CAPITOLO 4
Dopo la scena pastorale che finisce con l’inseguimento di Euridice da parte di
Aristeo, Orfeo compare per la prima volta, mentre canta una canzone in latino. Orfeo
viene dunque subito presentato come il famoso cantante antico: mentre l’intera Fabula è
scritta in volgare, lui canta in latino. Come mostra Leoni, anche l’aggiunta di versi in altre
lingue era tipica della sacra rappresentazione, specialmente per mettere in ridicolo
personaggi di paesi stranieri.487 Così all’inizio della Fabula di Orfeo si trova tra i pastori un
pastore schiavone, che parla un italiano strano. Le parole di Orfeo in latino equivalgono
alle citazioni dalla Bibbia nelle sacre rappresentazioni, che dovevano aumentare la
solennità e la drammaticità dell’opera e darci un tono sacro.488 Anche sotto questo rispetto
la Fabula rassomiglia dunque alle rappresentazioni precedenti e presenta Orfeo come un
personaggio rispettabile.
Secondo Tissoni Benvenuti questa canzone probabilmente non era presente nella
versione originale della Fabula di Orfeo, ma sarebbe stata aggiunta da Poliziano per la
prima rappresentazione in presenza del cardinale Francesco Gonzaga, a cui la canzone è
dedicata.489 Durante la rappresentazione il protagonista, la cui parte era recitata dal famoso
Baccio Ugolino, avrebbe soltanto cantato le prime due strofe dell’ode saffica:490
‘O meos longum modulata lusus
quos amor primam docuit iuventam,
flecte nunc mecum numeros novumque
dic, lyra, carmen:
non quod hirsutos agat huc leones;
sed quod et frontem domini serenet,
et levet curas, penitusque doctas
mulceat aures.’
(Poliziano, Fabula di Orfeo (FT1), versi inseriti dopo v. 140)491
487
Leoni, op.cit., pp. 16-17.
Ibidem, p. 18.
489
Secondo Tissoni Benvenuti si possono distinguere due versioni della Fabula di Orfeo. La prima versione
nacque nella cultura fiorentina intorno a Lorenzo de’ Medici ed è considerata la versione originale di
Poliziano. La seconda era probabilmente una rielaborazione destinata a una rappresentazione alle corti
settentrionali, che fu adattata per tale scopo da un cortigiano (dalla vicinanza del cardinal Gonzaga?). La
seconda versione (indicata da Tissoni come FT1) differisce dalla prima per il linguaggio settentrionale e per
la presenza di tre macrovarianti (l’ode saffica a Francesco Gonzaga, l’ottava di Minosse e i distici di Orfeo
prima di voltarsi). L’Orphei tragoedia era poi una rielaborazione più tarda, che nacque forse vicino a Ferrara
(Tissoni Benvenuti, L’Orfeo, cit., p. 55; cfr. anche Ventrone, op.cit., pp. 138-139).
490
Anche Ficino aveva dei contatti con Ugolino, con cui scambiava delle lettere.
491
Il testo è citato da: Tissoni Benvenuti, L'Orfeo del Poliziano, cit. ‘O lira, che a lungo modulasti i miei giochi
poetici, quelli che l’amore insegnò alla prima giovinezza, muto or con me il verso e intona un nuovo carme:
488
164
FIGURA TEATRALE E AMANTE POPOLARE
Orfeo si presenta nella canzone come il cantante che sapeva addomesticare con la sua
musica i leoni irsuti. Adesso Orfeo vuole, però, intonare una canzone nuova (‘novum
carmen’) per alleviare le preoccupazioni di Gonzaga e per calmarlo. Il canto di Orfeo
assume dunque una funzione alquanto diversa.
La canzone di Orfeo è interrotta dall’annunzio della morte di Euridice, dopo di che
Orfeo comincia subito a piangere la sorte dellasua sposa e decide di scendere nel Tartaro.
Segue una lunga scena che si svolge nell’Ade. In genere anche le sacre rappresentazioni si
svolgevano in due mondi: in cielo e in terra, oppure in terra e nell’inferno e qualche volta
nei tre regni.492 Poliziano ha soltanto sostituito il Lucifero cristiano con gli dei pagani
Plutone, Proserpina, Minosse, le Furie eccetera. Mentre sta cantando, Orfeo entra nell’Ade
e si rivolge a Cerbero e alle Furie perché lo facciano passare. Il lamento di Orfeo era solo
menzionato brevemente da Virgilio e da Ovidio, ma Poliziano lo elabora in una canzone di
quattro strofe. La funzione del canto di Orfeo è di nuovo cambiata:
Dunque piangiamo, o sconsolata lira,
ché più non si convien l’usato canto.
Piangiam, mentre che ‘l ciel ne’ poli agira,
e Filomela ceda al nostro pianto.
(Poliziano, Fabula di Orfeo, vv. 149-152)
La lira di Orfeo non deve suonare ‘l’usato canto’, ma deve piangere e commuovere altre
persone con il suo pianto. Orfeo vuole cambiare la sorte con i suoi ‘lacrimosi versi’ e
commuovere perfino Morte in persona, perché il suo canto ha già causato altri miracoli:
ché già cantando abbiam mosso una pietra,
la cervia e ‘l tigre insieme avemo accolti
e tirate le selve, e’ fiumi svolti.
(Poliziano, Fabula di Orfeo, vv. 162-164)
Il canto di Orfeo ha già mosso le pietre, le selve e i fiumi. Il potere riconciliatore del suo
canto risulta dal fatto che Orfeo ha radunato la cerva e la tigre. Orfeo si descrive poi come
un ‘misero amatore’ ed esprime il suo dolore.
non per chiamar qui gl’irsuti leoni, ma perché rassereni il volto del mio signore e allevi le sue preoccupazioni
e delizi le sue dotte orecchie.’ (trad. Carrai).
492
Leoni, op.cit., pp. 18-19.
165
CAPITOLO 4
Nella quarta xilografia si vede Orfeo con la lira da braccio di fronte alla porta degli
Inferi (ill. 4.4).493 Il cantante ha addormentato Cerbero (che nell’immagine ha soltanto una
testa) e tre guardie, dei quali la Fabula di Orfeo non dice niente.
4.4 Anonimo, Orfeo nell’Ade, in Poliziano, Festa di Orpheo, ca. 1500
Si noti che Orfeo ha in ogni scena un aspetto completamente diverso: in questa xilografia il
cantante è rappresentato con una specie di turbante, come un mago orientale. Nella prima
xilografia lui portava invece un cappello completamente diverso. Nella quinta sarà
rappresentato come un cavaliere, e nell’ultima di nuovo in modo differente.
Plutone rimane esterrefatto dallo strano canto e descrive la reazione degli altri
abitanti infernali (Issione, Sisifo, le Belide, Tantalo, Cerbero e le Furie) con parole che
rassomigliano molto alle descrizioni di Virgilio e di Ovidio. Orfeo comincia poi una lunga
supplica a Plutone, che segue quasi letteralmente la supplica di Orfeo nelle Metamorfosi.
Orfeo si dimostra molto eloquente: indica ‘pietoso Amor’ come la causa della sua visita e
ricorda l’antico amore di Plutone e Proserpina. Orfeo dice che ognuno deve morire una
volta. Anche Euridice dovrà morire una volta, ma nel frattempo Orfeo richiede indietro la
sua sposa. Se non gli sarà concesso questo favore, anche lui morirà volentieri.
Proserpina sente compassione per l’amante sconsolato e chiede al marito di
sospendere la ‘dura legge’. Plutone decide di rendergli Euridice, a condizione che Orfeo
non la veda ‘finché tra’ vivi pervenuta sia (v. 240)’.494 Dalle didascalie veniamo però a sapere
che Orfeo si volge, mentre sta cantando una canzone di vittoria (nella versione teatrale per
il cardinale Gonzaga):
Ite triumphales circum mea tempora lauri!
Vicimus: Euridice reddita, vita mihi est.
493
Poliziano, Stanze delle giostra; Festa di Orpheo, cit. (Poliziano, Poesie italiane, cit., p. 119).
Anche Virgilio fa menzione di Proserpina, ma le assegna un ruolo alquanto diverso: ‘hanc dederat
Proserpina legem’. Mentre nelle Georgiche Proserpina aveva formulato la legge di non voltarsi, nella Fabula
di Orfeo Proserpina persuade il marito ad ascoltare la preghiera di Orfeo.
494
166
FIGURA TEATRALE E AMANTE POPOLARE
Haec est praecipuo victoria digna triumpho:
huc ades, o cura parte triumphe mea.
(Poliziano, Fabula di Orfeo (FT1), versi inseriti dopo v. 244)495
Orfeo sottolinea nella sua canzone la vittoria della musica-poesia sulla morte e chiede di
essere laureato per il suo trionfo. Orfeo si presenta dunque come il poeta e cantante
laureato, che con la musica ha sconfitto la Morte. Di nuovo la canzone di Orfeo è recitata
in latino. Il suo trionfo dura, però, poco.
Quando Orfeo si volge indietro, Euridice gli indirizza un ultimo lamento che
rassomiglia al lamento nelle Georgiche.496 Mentre l’errore di Orfeo era indicato da Virgilio
come ‘dementia’, nel testo di Poliziano Euridice parla del ‘troppo amore’ che ha ‘disfatti
ambedua’. Sotto questo aspetto l’Euridice di Poliziano rassomiglia anche a quella ovidiana
di cui l’autore diceva ‘quid enim nisi se queretur amatam?’497 Poliziano non accusa Orfeo
dunque di ‘dementia’ o di un altro errore, ma soltanto di aver mostrato il suo grande amore
per Euridice, anche nelle parole di Orfeo stesso che seguono al lamento di Euridice: ‘O
troppo sventurato el nostro amore!’.
Orfeo vuole tornare agli Inferi, ma gli è vietato l’ingresso da una Furia.498 Questa
scena sembra essere raffigurata nella quinta immagine: Orfeo va a cavallo in armatura, ed è
aggredito da una donna nuda con serpenti (ill. 4.5).499
4.5 Anonimo, Orfeo e una Furia, in Poliziano, Festa di Orpheo, ca. 1500
Orfeo sembra cadere dal cavallo, che si impenna. Secondo Pedretti quest’immagine
rappresenta il disarcionamento di Orfeo da parte di una Baccante.500 In un’interpretazione
495
‘Cingete le mie tempie, o lauri trionfali! Ho vinto: restituitami Euridice, torno a vivere. Questa è una
vittoria degna del più grande trionfo: vieni, o trionfo prodotto dalla mia pena.’ (trad. Carrai) Il passo è una
citazione di vari versi ovidiani (Tissoni Benvenuti, L’Orfeo, cit., p. 52).
496
Cfr. Ventrone, op.cit., p. 150.
497
‘Di cosa avrebbe potuto lagnarsi altro che d’essere amata?’ (trad. Paduano).
498
Sia nelle Georgiche che nelle Metamorfosi gli era vietato l’ingresso dal ‘portitor’, dunque da Caronte.
499
Poliziano, Stanze delle giostra; Festa di Orpheo, cit. (Poliziano, Poesie italiane, cit., p. 124).
167
CAPITOLO 4
del genere non c’è posto, però, per i serpenti. Inoltre, nelle xilografie il mito di Orfeo non
sembra finire con la morte di Orfeo, come vedremo dopo.
Il cantante comincia un lungo pianto in cui annuncia la sua conversione
all’omosessualità. Nel Trecento e nel Quattrocento non si parlava mai dell’omosessualità di
Orfeo, come abbiamo constatato nei capitoli precedenti. Era un tema caduto in disuso
dopo l’antichità. Poliziano è il primo a far rivivere l’omosessualità di Orfeo nella letteratura
italiana. Il lamento di Orfeo nella Fabula consiste da quattro stanze. Nella prima stanza
Orfeo esprime il suo dolore e dice di non voler mai più amare una donna. La seconda
stanza si basa quasi letteralmente su Ovidio: il cantante dichiara che si vuole dedicare in
seguito all’omosessualità oppure alla pederastia:501
Da qui innanzi vo’ côr e fior novelli,
la primavera del sesso migliore,
quando sono tutti leggiadretti e snelli:
quest’è piú dolce e piú soave amore.
Non sie chi mai di donna mi favelli,
po’ che mort’è colei ch’ebbe ‘l mio core;
chi vuol commerzio aver co’ mie sermoni
di femminile amor non mi ragioni.
(Poliziano, Fabula di Orfeo, vv. 269-276)
Poliziano presenta Orfeo non solo come omosessuale, ma anche come misogino, come
vediamo nella terza stanza. Gli stessi versi si trovano nelle Stanze per la giostra:502
Quant’è misero l’uom che cangia voglia
per donna o mai per lei s’allegra o dole,
o qual per lei di libertà si spoglia
o crede a suo sembianti, a suo parole!
Ché sempre è piú leggier ch’al vento foglia
e mille volte el dí vuole e disvole;
segue chi fugge, a chi la vuol s’asconde,
e vanne e vien come alla riva l’onde.
(Poliziano, Fabula di Orfeo, vv. 277-284)
500
C. Pedretti, ‘”Non mi fuggir, donzella...”. Leonardo regista teatrale del Poliziano’, Arte Lombarda n.s. 128
(2000), p. 14.
501
Da alcune osservazioni in margine al suo testo di Ovidio si sa che Poliziano conosceva anche Fanocle
(Tissoni Benvenuti, L’Orfeo, cit., p. 107).
502
Tissoni Benvenuti, L’Orfeo, cit., pp. 68-70.
168
FIGURA TEATRALE E AMANTE POPOLARE
L’opinione negativa di Orfeo sulle donne viene confermata nella quarta stanza, in cui il
cantante insiste che il pubblico maschile deve fuggire dalle donne: ‘conforto e maritati a far
divorzio, / e ciascun fugga el feminil consorzio.’ (vv. 291-92). L’omosessualità sembra
piacere tanto a Orfeo, che consiglia perfino ai mariti di divorziare. Orfeo rafforza il suo
discorso con l’esempio di altri amori omosessuali famosi dalla mitologia: Giove e
Ganimede, Febo (Apollo) e Iacinto e infine Ercole ed Ila. Tornando alle fonti classiche
Poliziano risuscita dunque un Orfeo completamente diverso da quello che abbiamo visto
nella letteratura italiana finora, reintroducendo l’Orfeo misogino e omosessuale delle
Metamorfosi.503
Come nel racconto di Ovidio, anche nella Fabula di Orfeo le Baccanti si arrabbiano
perché Orfeo disprezza l’amore delle donne (v. 293) e decidono di ammazzarlo. Così la
Fabula finisce con l’uccisione di Orfeo da parte delle Baccanti. Tuttavia, Poliziano non
rappresenta l’uccisione stessa sulla scena. Secondo Paola Ventrone, la Fabula è un testo in
cui l’azione è più spesso narrata che rappresentata. In questo senso l’opera ricorda
piuttosto le convenzioni drammatiche del teatro antico (in cui gli episodi violenti erano
solo narrati) che quelle della sacra rappresentazione, in cui tutto (le torture dei santi
comprese) era mostrato al pubblico.504 Poliziano conosceva questa pratica probabilmente
dalle Baccanti di Euripide, su cui basò la descrizione dell’uccisione di Orfeo. Nella Fabula
una delle Baccanti torna con la testa di Orfeo e racconta quello che è successo:
O[h] o[h], o[h] o[h], mort’è lo scelerato!
Euoè ! Bacco, Bacco, i’ ti ringrazio!
Per tutto ‘l bosco l’abbiamo stracciato,
tal ch’ogni sterpo è del suo sangue sazio.
L’abbiamo a membro a membro lacerato
in molti pezzi con crudele strazio.
Or vadi e biasimi la teda legittima!
Euoè ! Bacco, accetta questa vittima!
(Poliziano, Fabula di Orfeo, vv. 301-308)]
La morte di Orfeo non fu rappresentata quasi mai né nella letteratura né nell’arte del
Trecento e del Quattrocento. Solo Boccaccio trattò la morte del cantante nelle Genealogie
e nelle Esposizioni. Poliziano è il primo a dedicare tanta attenzione alla morte di Orfeo in
un testo letterario. Di nuovo Poliziano si basò probabilmente sulle sacre rappresentazioni,
503
L’unico disegno che conosco in cui si allude all’omosessualità di Orfeo è quello della morte di Orfeo da
parte del tedesco Albrecht Dürer. Il disegno è stato influenzato da un disegno di Mantegna o da una copia, i
quali discuterò nel § 5.2.4. Mentre queste immagini non contenevano nessun riferimento all’omosessualità, il
disegno di Dürer, che fu fatto dopo la rappresentazione e la stampa della favola, ci riferisce con le parole
‘Orpheus. Der erst puseran’.
504
Ventrone, op.cit., p. 155.
169
CAPITOLO 4
che finivano spesso con il martirio e la morte crudele del santo martire.505 Dopo Poliziano
la morte orrenda di Orfeo sarà rappresentata spesso anche nelle arti figurative (soprattutto
maioliche e placchette di bronzo), ma la ricorrenza di questo motivo fu probabilmente
influenzata dalla disponibilità di molte edizioni delle Metamorfosi (cap. 5).506
Dopo la morte di Orfeo il coro delle Baccanti canta una canzone molto gioiosa in
onore di Bacco. La canzone per Bacco sembra una conclusione molto strana del mito ed è
un’aggiunta da parte di Poliziano stesso. Gli studiosi della Fabula non sono d’accordo sulla
funzione della canzone bacchica alla fine. Leoni sostiene che la canzone bacchica prenda il
posto della licenza, che costituiva la fine normale della sacra rappresentazione.507 Essa
poteva, però, essere sostituita con una canzone, come abbiamo detto nel § 4.1.1. In questo
caso l’opera viene conclusa con una specie di canto carnascialesco, che doveva rallegrare il
pubblico dopo la fine triste. Anzi, secondo Leoni sarebbe stato strano se la favola non fosse
finita con un canto carnescialesco, perché Poliziano faceva parte della corte medicea ed era
dunque molto predisposto ad usare canzoni del genere.508 Quest’opinione si concilia bene
con il significato attribuito alla favola da Martelli e Carrai (cf. § 4.1.3).
Benché la Fabula di Orfeo finisca definitivamente con la morte di Orfeo, nell’ultima
xilografia dell’edizione di fine ‘400 si vede la riunione di Orfeo ed Euridice accanto ad una
specie di altare (ill. 4.6).509 A sinistra e a destra delle coppia un pubblico di uomini e donne
sta guardando.
4.6 Anonimo, La riunione di Orfeo ed Euridice, in Poliziano, Festa di Orpheo, ca. 1500
Soprattutto da quest’ultima scena risulta che l’artista delle xilografie non ha letto il testo di
Poliziano. Forse venne ispirato da una versione delle Metamorfosi di Ovidio, in cui il mito
di Orfeo ha un esito positivo: dopo la morte Orfeo ed Euridice si ritrovano nei Campi Elisi.
505
Leoni, op.cit., p. 19.
Cfr. § 4.4.1 per l’influenza di Mantegna sulla popolarità di questo motivo.
507
Leoni, op.cit., p. 14.
508
Ibidem.
509
Poliziano, Stanze delle giostra; Festa di Orpheo, cit. (Poliziano, Poesie italiane, cit., p. 127).
506
170
FIGURA TEATRALE E AMANTE POPOLARE
Il primo merito di Poliziano riguardo alla fortuna di Orfeo nella letteratura italiana
è dunque la sua descrizione elaborata del mito. Poi il mito è stato trasformato da testo
narrativo in una rappresentazione teatrale (drammatizzazione).510 L’intero mito è
presentato in discorso diretto e i personaggi recitano le loro parti in scena. Questo
sviluppo era probabilmente già stato preparato dalle apparizioni di Orfeo nei trionfi.
Poliziano ravviva l’Orfeo delle Georgiche e delle Metamorfosi: sottolinea il potere del canto
di Orfeo e il suo amore per Euridice. Il canto di Orfeo non deve soltanto addomesticare gli
animali, ma anche sollevare le preoccupazioni, far piangere la gente e perfino Plutone.
Orfeo riesce a trionfare sulla morte con il suo canto. Poliziano descrive poi con insistenza il
grande amore di Orfeo per Euridice e la sua discesa nell’Ade per riportarla tra i vivi. Nel
capitolo 2 abbiamo visto che l’immagine di Orfeo come cantante famoso e come amante di
Euridice era molto frequente nella letteratura italiana del Trecento e del primo
Quattrocento: anche quest’immagine proveniva originariamente dalle descrizioni di
Virgilio e di Ovidio, ma era diventata piuttosto statica. Poliziano è il primo a tornare
elaboratamente alle fonti antiche per descrivere il mito e il primo a darne
un’interpretazione personale: aggiunge per esempio l’annuncio di Mercurio, la scena
pastorale e la canzone delle Baccanti. Ma tornando al mito antico Poliziano risuscita anche
certi elementi del mito che erano stati rimossi: l’omosessualità e l’uccisione di Orfeo da
parte delle Baccanti. Così Poliziano crea un’immagine della figura di Orfeo non soltanto
più completa, ma anche un po’ diversa, un’immagine che sarà del resto molto influente
nella fortuna successiva della figura di Orfeo.
4.1.3 Speculazioni sul significato
Numerose sono le ipotesi sul significato più profondo della Fabula di Orfeo e sulla
funzione della figura di Orfeo. Emilio Bigi ha dimostrato che per molto tempo c’erano in
fondo due direzioni nell’interpretazione della Fabula.511 La prima corrente, il cui
rappresentante più noto è Francesco De Sanctis, considerava Orfeo il trionfo dell’arte e
della cultura. Dopo un lungo periodo di dimenticanza Orfeo rinasce nelle feste della nuova
civiltà, con cui inaugura il dominio dell’umanità o dell’umanesimo.512 La Fabula di Orfeo
rappresenterebbe solo un mondo immaginario, adatto a rallegrare le feste di corte, senza
diffondere allo stesso tempo un messaggio ideologico o etico. La rappresentazione sarebbe
soltanto una rappresentazione visuale dei testi di Virgilio e di Ovidio e di elementi
dell’ecloga pastorale.
La seconda corrente d’interpretazione invece attribuiva alla Fabula di Orfeo un
contenuto etico ed idealistico. Qui c’erano varie possibilità. Eugenio Garin considera Orfeo
510
Cf. Genette, op.cit. nell’introduzione.
E. Bigi, ‘Umanità e letterarietà nell’ “Orfeo” del Poliziano’, Giornale storico della letteratura italiana CLIX,
506 (1982), p. 183.
512
Bigi, op.cit., p. 183.
511
171
CAPITOLO 4
il simbolo umanistico della parola edificante, che forma delle società.513 A mio avviso, non
è sottolineato abbastanza il potere della musica per poter spiegare la Fabula come
un’allegoria della forza civilizzatrice della musica o dell’eloquenza. Il canto di Orfeo per gli
animali non è elaborato. Maria Luisa Doglio chiama la rappresentazione di Poliziano
invece una parabola del poeta o dell’umanista che ha perso la sua autonomia.514 Secondo
questa teoria Orfeo rappresenterebbe l’umanista poeta contemporaneo Plutone, il principe
assoluto e i pastori Mopso, Aristeo e Tirsi tre tipi diversi di intellettuali. Bigi rifiuta questa
ipotesi dicendo che Poliziano aveva un buon rapporto con il suo protettore Lorenzo de’
Medici, anche se c’era stato un allontanamento temporaneo.515 Dionisotti considerava la
Fabula una difesa dell’omosessualità.516 Benché questo tema torni nella letteratura per la
prima volta dopo l’antichità e costituisca la causa della morte di Orfeo, esso non prende un
posto centrale nell’opera di Poliziano. Inoltre, Orfeo viene ucciso per la sua omosessualità.
Secondo altri studiosi la Fabula di Orfeo conteneva le idee neoplatoniche di
Marsilio Ficino. Per André Chastel Orfeo era l’esempio dell’unione completa con la natura
e dell’abbandono totale a Dio.517 Ida Maïer dice però che non c’è nessuna prova che
Poliziano volesse trasmettere la stessa lezione di Ficino.518 Poliziano non rappresenta Orfeo
esplicitamente come teologo o come civilizzatore e quindi la favola non ha un significato
chiaramente filosofico. Anche August Buck sottolinea la differenza nel trattamento della
figura mitologica da parte di Ficino e di Poliziano:
Mit der Vergegenwärtigung im Denken und Leben Ficinos erhält Orpheus einen Grad von
historischer Realität, der den mythischen Gestalten sonst fremd ist. Durch Polizianos
“Favola di Orfeo” wird der thrakische Sänger wiederum der Wirklichkeit entrückt in die
ästhetische Illusion des Hirtenspiels, in dem sich Antikes und Christliches seltsam
mischen.519
A mio parere, Buck individua la differenza tra le concezioni di Ficino e di Poliziano per
quanto riguarda Orfeo. Per Ficino Orfeo rappresenta un uomo reale, che dette inizio a una
corrente filosofico-religiosa fondamentale. Benché Poliziano conosca questa visione, lui ci
presenta la figura mitologica. Anche se possiamo forse vedere tra le righe della Fabula il
513
E. Garin, ‘L’ambiente del Poliziano’, in: La cultura filosofica del Rinascimento italiano, Firenze, 1961, pp.
339-40 356 (citato da Bigi, op.cit., p. 186).
514
M.L. Doglio, ‘Mito, metamorfosi, emblema dalla “Favola di Orfeo” del Poliziano alla “Festa de lauro”’,
Lettere italiane 29 (1977), p. 150 (citato da Bigi, op.cit., p. 186).
515
Bigi, op.cit., p. 188.
516
Dionisotti, ‘Leonardo uomo di lettere’, Italia medievale e umanistica, V (1962), p. 198 (citato da Bigi,
op.cit., p. 186).
517
Chastel, Art et humanisme, cit., p. 271.
518
Maïer, op.cit., pp. 394-395.
519
Buck, op.cit., p. 23.
172
FIGURA TEATRALE E AMANTE POPOLARE
poeta-teologo evemeristico, Poliziano sceglie in tutte le sue opere di rappresentare Orfeo
come musicista e amante mitologico.
Secondo Vittore Branca le Stanze per la giostra di Poliziano andavano interpretate
in modo neoplatonico. In quest’opera fu descritta l’‘ascesa dalla forza fisica e dalla via dei
sensi alla vita contemplativa e all’amore spirituale’.520 Negli appunti di Poliziano di quel
periodo si trova la citazione seguente da Agostino, da cui risulta la sua concezione di favole
come racconti che nascondono un’intenzione più profonda:
Fabula est exemplaris seu demonstrativa sub figmento locutio, cuius amoto cortice, patet
intentio fabulantis. (Agostino, Contra mendacium, XIII, 28, cc. 2v-4r)521
Tuttavia, negli anni 1479-80 si compié secondo Branca un rovesciamento nelle concezioni
polizianesche del valore del mito e del mito di Orfeo in particolare.522 Orfeo perse qualsiasi
significato neoplatonico. La Fabula di Orfeo tratterebbe dell’illusione della poesia e della
fragilità della poesia in confronto alla realità.523 Il simbolismo ficiniano non si trova
nemmeno nella Manto o nei Nutricia. Il capovolgimento nella visione polizianesca sull’arte
e sulla poesia e il suo abbandono del neoplatonismo si collegano, secondo Branca, alla
scoperta (da parte di Ermolao Barbaro a Venezia) tra il 1479 e il 1480 di Aristotele e della
sua Poetica, secondo la quale l’arte doveva essere un’imitazione della natura. Per questo
l’arte occuperà anche un ruolo primario nella Manto e nei Nutricia (discuterò il ruolo di
Orfeo in queste due opere nel cap. 6). In questi anni Poliziano abbandona dunque Platone
in favore di Aristotele. Nelle sue opere degli anni ’80 e ’90 non c’è nessuna traccia di Ficino
né del suo pensiero.524 Tuttavia, se la Fabula di Orfeo venne scritta all’inizio degli anni
Settanta (prima della riscoperta di Aristotele), si deve forse respingere questa teoria.
Mario Martelli accetta invece la datazione prima del 1478 di Tissoni Benvenuti e
cerca un’interpretazione che si adatti all’ambiente della cerchia di Ficino e Lorenzo de’
Medici.525 In una lettera di Ficino a Nicolò degli Albizi il filosofo colloca l’amore di Orfeo
ed Euridice in un contesto cristiano.526 Come si soleva fare già nel Trecento, anche Ficino
associa l’allegoria dello sguardo indietro al passo dell’aratore nel Vangelo di Luca (9, 62) e
520
V. Branca, ‘Tra Ficino ‘Orfeo ispirato’ e Poliziano ‘Ercole ironico’’, cit., p. 462. Secondo Giulio Ferroni le
Stanze sono state interpretate come il cammino dell’anima verso la vita contemplativa, attraverso
l’esperienza amorosa, ma ottengono probabilmente molti significati diversi e non sempre coerenti (Profilo
storico della letteratura italiana, Milano, Einaudi Scuola, 1992, p. 227).
521
‘Una favola (un mito) è un’espressione esemplare oppure dimostrativa sotto una fizione; quando è stata
tolta la sua scorza, appare l’intenzione del favolatore.’
522
Branca, ‘Tra Ficino ‘Orfeo ispirato’ e Poliziano ‘Ercole ironico’’, cit., p. 464.
523
Branca, ‘Tra Ficino ‘Orfeo ispirato’ e Poliziano ‘Ercole ironico’’, cit., p. 465.
524
Branca, ‘Tra Ficino ‘Orfeo ispirato’ e Poliziano ‘Ercole ironico’’, cit., p. 468.
525
Martelli, Angelo Poliziano, cit., p. 80.
526
Ficino, Lettere, 21 (Exhortatio ad scientiam).
173
CAPITOLO 4
al racconto della moglie di Lot che si trasformò in una statua di sale. Ficino si riferisce qui a
un Orfeo completamente diverso dal priscus theologus, che normalmente incontriamo
nelle opere ficiniane.527 Secondo Newby, l’Orfeo amante sembra imbarazzare Ficino, per
cui il suo furore amoroso significa sempre l’amore per Dio. Probabilmente per questo
motivo Ficino adopera il racconto amoroso di Orfeo ed Euridice come antimodello. Orfeo
sta per l’uomo in cerca di Dio il quale voltandosi indietro commette un errore e deviando
così dalla strada giusta.528 Anche Lorenzo de’ Medici associa lo sguardo indietro all’atto
della moglie di Lot. Lorenzo interpreta il mito due volte (nel Commento e in un sonetto a
Ginevra de’ Benci) nella maniera di Boezio e di Notker Labeone:529
ALLA GINEVRA DE’ BENCI
Fuggendo Lot con la sua famiglia
la città che arse per divin giudizio,
guardando indrieto il giusto e gran supplizio,
la donna immobil forma di sal piglia.
Tu hai fuggito, e è gran maraviglia,
la città che arde sempre in ogni vizio;
sappi, anima gentil, che 'l tuo offizio
è non voltare a lei già mai le ciglia.
Per ritrovarti il buon pastore eterno
lassa il gregge, o smarrita pecorella:
truovati, e lieto in braccio ti riporta.
Perse Euridice Orfeo già in sulla porta,
libera quasi, per voltarsi a quella:
pero non ti voltar più allo inferno.
(Lorenzo de’ Medici, Altre rime, 2)
527
Newby, op.cit., p. 143. Newby non ha ragione, però, quando dice che questo sia l’unico passo nell’opera
ficiniana dove l’autore parla di Euridice (si veda § 5.6).
528
Nel Commentum in Philebum Ficino offre una spiegazione alquanto diversa. Non dice che la terra
rappresenta il piacere e che l’uomo deve dunque cercare di lasciare i piaceri terreni e di raggiungere il cielo,
dove si trova il sommo bene. Invece, Ficino afferma che il piacere ha abbandonato la terra. L’uomo che cerca
di ottenere il piacere deve dunque anche lui lasciare la terra e giungere al cielo, dove adesso risiede il piacere.
Tuttavia, se lui guarda indietro, come fece Orfeo, perderà la ricompensa del piacere: ‘Terra a voluptate
deserta est, hinc ergo illuc abeundum; ita tamen ut abeundo te retro ne vertas, ne Orphei more perdas
praemium.’ (Ficino, Commentum in Philebum, Appendice II, p. 477).
529
Lorenzo de’ Medici, Comento de’ miei sonetti, Argomento 14-15. Secondo Tissoni Benvenuti (L’Orfeo, cit.,
p. 158) si può assumere la conoscenza di Boezio per il fatto che nel testo di Poliziano Plutone riferisce
esplicitamente il divieto di voltare indietro, il che non succede in Virgilio, Ovidio e Seneca, ma sì in Boezio.
Anche altri riferimenti intertestuali fanno presumere una tale conoscenza (per es. Lacrimosi versi > flebilibus
modis).
174
FIGURA TEATRALE E AMANTE POPOLARE
Lorenzo scrisse questo sonetto per la monacazione di Ginevra de’ Benci, probabilmente
negli anni Ottanta.530 Ginevra deve dare l’addio alla vita terrena, per prepararsi alla vita nel
convento con Dio. Il contesto cristiano in cui è collocato il mito non potrebbe essere più
chiaro.
La cerchia di Ficino, che voleva riconciliare il cristianesimo con il platonismo, era
molto propensa a leggere la letteratura classica in chiave cristiana. Per questa lettura erano
usati gli stessi criteri che avevano usato i Padri e i Dottori per la Scrittura.531 Negli anni
Settanta continuavano i dibattiti sulla legittimità della lettura allegorica di testi profani
(allegorie in verbis vs. allegorie in factis). Anche le Stanze di Poliziano sono in genere
interpretate in modo allegorico. Secondo Martelli, nella Fabula Orfeo non riesce a
superare il secondo livello della vita, cioè quello della vita attiva (o politica). Guardando
indietro ritorna alle cure minori, e si abbandona perfino al peccato contro natura. Così alla
fine Orfeo perde il suo corpo. Questa interpretazione si contrappone completamente a
quella umanistica e fa sì che il civilizzatore dell’umanità disintegri la civilizzazione.532 Nella
sua Fabula Poliziano combina tre Orfei in un unico personaggio:
Il Poliziano, con la sua, tutta spiritualmente così esile, fabula, ricollegava in uno i tre Orfei:
quello che, civilizzatore dell’originaria ferinità, simboleggiava la vita politica; quello che, nel
suo fallito tentativo di recuperare dal regno dei morti Euridice, simboleggiava l’incapacità
di funzionalizzare la vita politica a quella contemplativa; quello, infine, che, instauratore
degli amori pederastici e fatto a brani dalle Baccanti, simboleggiava la corruzione e la pena
che inevitabilmente conseguono a quel fallimento. La colpa di Orfeo, insomma, era stata
quella di aver ritenuto la vita attiva autosufficiente: non un limite di Orfeo individuo, ma
ineliminabile inadeguatezza della civiltà pagana, che, priva della rivelazione, non aveva
potuto sollevare i suoi occhi al di sopra della terra e del corpo.533
Si potrebbe obiettare che Poliziano, contrariamente a quello che fa Lorenzo, preferisce non
presentare il mito di Orfeo come allegoria cristiano-morale. Forse Poliziano vuole
omettere questa interpretazione del primo medioevo e tornare alle fonti antiche senza
connotazioni cristiane. Tuttavia è certo che conoscesse questa spiegazione del mito e che
530
F. Bausi, ‘Nota sul sonetto laurenziano Fuggendo Lot con la sua famiglia’, Interpres XI (1991), pp. 350-356.
Un riferimento simile allo sguardo indietro di Orfeo nella cerchia di Lorenzo si trova in: Ugolino Verino,
Della vera felicità cristiana, Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze, ms. Magliab. XXXV 232, fol. 6v
(menzionato da Bausi).
531
Martelli, Angelo Poliziano, cit., p. 92. Secondo Martelli questo tipo di lettura era importante a Firenze nel
‘400, un secolo che si era aperto con la polemica tra Coluccio Salutati (1a redazione De laboribus Herculis) e
Giovanni Dominici (Lucula Noctis), e che sarebbe finito con gli interventi di Ugolino Verino e Savonarola
(cfr. C. Mésoniat, Poetica Theologia. La “Lucula noctis” di Giovanni Dominici e le dispute letterarie tra ‘300 e
‘400, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 1984).
532
Martelli, Angelo Poliziano, cit., p. 99.
533
Martelli, Angelo Poliziano, cit., p. 101.
175
CAPITOLO 4
che essa giochi un ruolo secondario. Almeno una parte del pubblico interpretava il mito in
questa maniera. Si trovano delle analogie nelle traduzioni cinquecentesche delle
Metamorfosi, in cui qualche volta non sono inserite le allegorie dei miti, ma dalla cui
introduzione risulta che i miti andavano interpretati in maniera cristiana (cfr. § 5.2.2).534
Di recente sono state proposte anche altre interpretazioni possibili del testo: Bodo
Guthmüller vede nel testo un dramma nuziale, in cui l’amore illegittimo (di Aristeo) trova
una fine infelice, mentre l’amore coniugale viene premiato.535 Quando Orfeo diventa
omosessuale e prende esplicitamente posizione contro l’amore coniugale, le Baccanti lo
uccidono. Guthmüller paragona l’opera di Poliziano ad un trionfo in occasione di una festa
di nozze (1489) in cui Orfeo compare in compagnia di Imeneo. Questo trionfo sarà
discusso nel § 5.5, insieme ad altre feste nuziali in cui appariva Orfeo. Nello stesso periodo
il mito di Orfeo fu anche dipinto su cassoni o spalliere, che erano regalati agli sposi per
essere collocati nella stanza da letto o in altre stanze (§ 4.4.2 e § 5.5). Evidentemente l’esito
infelice del mito non impediva la sua presenza su un cassone nuziale, anche se è assente la
rappresentazione dell’uccisione di Orfeo.536 Però, anche altri miti e racconti della storia
romana con esiti infelici erano presenti su cassoni del genere e su dipinti che venivano
regalati per le nozze.537
Stefano Carrai propone di leggere la Fabula di Orfeo nel contesto del carnevale.538
In questo caso i ‘continui tumulti’ a cui si riferisce Poliziano nella lettera a Canale
potrebbero alludere ai giorni prima del martedì grasso. Il martedì grasso era il giorno del
baccanale per eccellenza. Per questo anche Lorenzo de’ Medici scrive il suo Trionfo di
Bacco e Arianna per il carnevale del 1490. Il coro finale delle Baccanti era dunque adatto
all’occasione e al carattere della festa. Poi c’era una tradizione antica in Toscana di
uccidere una bambola che impersonificava il carnevale. La bambola era lacerata e bruciata
dai partecipanti alla festa, che erano spesso travestiti da donne.539 Secondo Carrai,
534
L’interpretazione di Orfeo come l’uomo che si lascia sedurre dai desideri terreni si troverebbe, secondo
Elisabeth Schröter, anche negli affreschi di Andrea Mantegna a Mantova (cfr. § 4.4.1; Schröter, op.cit., p.
133).
535
B. Guthmüller, ‘Mythos und dramatisches Festspiel an den oberitalienischen Höfen des Quattrocento’, in:
idem, Studien zur antiken Mythologie in der italienischen Renaissance, Weinheim, Acta Humaniora VCH,
1986, pp. 71-73.
536
Non è sicuro se la mancanza dell’uccisione sui pannelli di Jacopo del Sellaio sia dovuta alla perdita di un
pannello, o se ci fossero soltanto tre pannelli che funzionavano come spalliere (§ 4.4.2). Sicuramente questo
motivo manca su altri pannelli di un anonimo toscano, in cui il mito sembra avere un esito felice (§ 5.5).
537
Si pensi a: Giovanni Toscano, Storia di Zinevra, Edinburgh, National Gallery of Scotland, no. 53; S.
Botticelli, Nastagio degli Onesti, Madrid, Prado; altri esempi sono i racconti di Dido, Camilla, Lucrezia,
Virginia, ecc. (Cf. C. Baskins, “Cassone” Painting, Humanism, and Gender in Early Modern Italy, Cambridge,
Cambridge University Press, 1998).
538
Carrai, ‘Implicazioni cortigiane’, cit., p. 12.
539
Carrai, ‘Implicazioni cortigiane’, cit., p. 11; idem, ‘Poliziano e il mito di Orfeo’, in: Le metamorfosi di Orfeo.
Convegno internazionale Verona, 28-30 maggio 1998, a.c.d. A.M. Babbi, Verona, Fiorini, 1999, p. 163; idem,
176
FIGURA TEATRALE E AMANTE POPOLARE
Poliziano conosceva l’interpretazione di Salutati, che vedeva Orfeo come l’uomo epicureo
che si abbandonava ai piaceri dei sensi (voluptas). Orfeo poteva dunque simboleggiare
l’uomo che non è in grado di dire addio, vale, alla carne.540 Infatti, il contesto del carnevale
offre una spiegazione plausibile per la morte di Orfeo e il canto finale delle Baccanti.
Anche l’analogia con il canto carnevalesco mi sembra convincente.
Carrai interpreta inoltre la Fabula come un racconto chiave, in cui certi personaggi
rappresentano degli uomini alla corte fiorentina.541 Nelle ecloghe quattrocentesche era
usanza di adoperare nomi da Teocrito e Virgilio per lusingare contemporanei famosi. I
cortigiani medicei si servivano spesso di questo genere per scopi encomiastici. Aristeo
potrebbe in tal modo simboleggiare Giuliano de’ Medici, che era innamorato di Simonetta
Cattaneo, la moglie di Marco Vespucci.542 Simonetta morì nell’aprile del 1476, una morte
che ebbe un forte impatto sulla corte medicea, e che influenzò probabilmente la scelta del
mito tragico di Orfeo ed Euridice.543 Forse Poliziano ha nascosto se stesso nella figura del
pastore Tirsi, che non vuole disubbidire al padrone Aristeo (cioè a Giuliano de’ Medici).
Benché l’opera sia dedicata al cardinale Gonzaga, è difficilmente pensabile che Poliziano si
rivolgesse ad un altro che al proprio signore.544 Le presunte allusioni alla corte medicea
suggeriscono che la Fabula fosse destinata parzialmente a un pubblico fiorentino. Forse
doveva essere rappresentata nello stesso periodo sia alla corte dei Gonzaga a Mantova, che
al carnevale fiorentino. Questo assunto è confermato dalla tradizione manoscritta, che
mostra che per la rappresentazione in presenza del cardinale mantovano furono aggiunte
alcune frasi per lodare il cardinale che sono assenti nei codici fiorentini.545
Questa lettura in chiave non basta, però, a spiegare il significato della Fabula nel
suo insieme. Se volessimo elaborare il paragone tra i personaggi del mito e le persone
contemporanee, Orfeo simboleggerebbe Marco Vespucci. La sua morte sarebbe salutata
con gioia dalle Baccanti, e forse dai Medici (da Giuliano in particolare)? A mio parere, non
‘Poliziano, Orfeo e il teatro profano’, in: La maschera e il volto. Il teatro in Italia, a.c.d. F. Bruni, Venezia,
Marsilio, 2002, p. 25.
540
Notevolmente anche l’Orfeo (1607) di Striggio e Monteverdi fu rappresentato a Mantova nel contesto del
Carnevale. Forse per l’opera di Monteverdi fu scelto appunto l’argomento della Fabula di Orfeo, perché
anche l’occasione era simile.
541
Carrai, ‘Implicazioni cortigiane’, cit., pp. 12-21; idem, ‘Poliziano e il mito di Orfeo’, cit., pp. 154-167; idem,
‘Poliziano, Orfeo e il teatro profano’, p. 27.
542
Questo legame fu suggerito per la prima volta da Martelli, ‘Il mito d’Orfeo’, cit., p. 34. Il termine ‘ninfa’ con
cui è indicata Euridice Poliziano l’adopera anche per Simonetta (Tissoni Benvenuti, L’Orfeo, cit., pp. 36-37).
543
Carrai, ‘Poliziano e il mito di Orfeo’, cit., p. 166; M. Martelli, ‘Il mito di Orfeo nell’età laurenziana’, in:
Orfeo e l’orfsimo, a.c.d. A. Masaracchia, Roma, Gruppo Editoriale Internazionale, 1993. Cf. R. Farina,
Simonetta: una donna alla corte dei Medici, Torino, Bollati Boringhieri, 2001.
544
Carrai, ‘Implicazioni cortigiane’, cit., p. 19.
545
Carrai, ‘Implicazioni cortigiane’, cit., p. 22-23. La tradizione manoscritta e l’esistenza di una versione
originale e la cosiddetta versione ‘FT1’ per la corte manovana sono state discusse da: Tissoni Benvenuti,
op.cit., pp. 41-57.
177
CAPITOLO 4
dobbiamo leggere l’intera favola come un racconto a chiave: mi sembra un onore troppo
grande per Vespucci e si addice poco ad una rappresentazione commissionata dai
Gonzaga.546
Diversamente, si potrebbe vedere Orfeo come una rappresentazione di Marsilio
Ficino, che con la sua cetra fece tornare dagli inferi la vera Euridice, cioè la sapienza
platonica, come scrive Poliziano in un’altra opera (cfr. § 3.1). L’uccisione crudele di Orfeo e
la gioia delle Baccanti non mi sembrano, però, corrispondere a questa interpretazione e
alla relazione tra Poliziano e Ficino (anche se, secondo Branca, questa relazione si
deteriorò a partire degli anni ’80).
Naturalmente sono possibili più interpretazioni della Fabula di Orfeo, certamente
se partiamo dalla supposizione di Tissoni Benvenuti che esistessero più versioni dell’opera
(a Firenze e a Mantova). Inoltre, anche una sola versione può aver avuto più significati. In
primo luogo l’opera poteva essere interpretata in vari modi dal pubblico, e in secondo
luogo Poliziano può aver mescolato sfumature o significati diversi. L’interpretazione
cristiana di Martelli è molto simile all’interpretazione carnevalesca da parte di Carrai.
Queste interpretazioni si lasciano infatti integrare. Le idee di Martelli possono anche
coincidere con il contesto delle nozze, come è stato suggerito appunto da Guthmüller.
L’idea che non conti soltanto l’amore terreno, ma soprattutto l’amore per Dio non è forse
molto positiva per una festa nuziale. Poi, la fine crudele di Orfeo non sembra adatta ad una
festa del genere.547
Io sono dunque incline ad attribuire alla Fabula di Orfeo, con Martelli e Carrai, un
significato più profondo (una raccommandazione all’uomo cristiano di non voltarsi ai
piaceri mondani) e di collocare l’opera nel contesto del carnevale. L’intenzione
polizianesca di inserire una verità filosofico-religiosa nel mito è resa plausibile da alcune
sue osservazioni in margine ad altri testi, una delle quali è già stata menzionata qui sopra
(‘Fabula est exemplaris seu demonstrativa sub figmento locutio’). In un altro luogo
Poliziano esprime la sua opinione su favole o miti ancora più esplicitamente:
Le favole omeriche non sono destinate al divertimento, ma sono ombre e veli di profonde
dottrine. La sapienza è infatti contemplazione della verità e il sapiente è tale quale Omero.
Ma poiché il volgo è attratto soprattutto dalle favole, il poeta le inventa e le intreccia ai suoi
versi, perché allettando con l’esca e incantando con ciò che appare, come dicono, prenda
dentro le reti coloro che si ritraggono davanti a una filosofia più profonda.
546
Nemmeno Carrai suggerisce di interpretare la Fabula intera come racconto a chiave. La sua
interpretazione tratta soltanto dei passi menzionati.
547
Come si è detto, il mito di Orfeo si trova anche su cassoni nuziali, ma ci si potrebbe chiedere quanto peso
abbia il fatto che manca appunto la morte di Orfeo sui cassoni (cfr. § 4.4.2). Nel caso di Sellaio è forse perso
questo pannello.
178
FIGURA TEATRALE E AMANTE POPOLARE
Non deve meravigliare il fatto che [Omero] abbia espresso il suo pensiero per enigmi e
discorsi favolosi: ne è ragione la natura della poesia e l’abitudine degli antichi, in modo che
gli uomini colti cerchino e trovino più facilmente la verità attraverso il diletto dell’animo; e
il volgo non disprezzi ciò che non può comprendere. Ciò che è detto figuratamente è infatti
piacevole, mentre ciò che è detto in modo esplicito perde valore. Philosophia. Involucra
fabularum (Poliziano, in: Pseudo-Plutarco, Vita Homeri, in margine ad II, 92. Firenze,
Biblioteca Nazionale, cod. II.I.99)548
Leggendo queste parole sembra inevitabile supporre che Poliziano avesse nascosto nella
Fabula di Orfeo qualche verità filosofica, che non era intelligibile a tutti (e che dunque è
anche difficilmente visibile a noi).
4.2 DUE IMITAZIONI TEATRALI: L’ORPHEI TRAGOEDIA E LA FAVOLA DI ORFEO E ARISTEO
La Fabula di Orfeo ebbe immediatamente un grande successo: fu rappresentato più volte
in diverse corti italiane. Subito dopo la prima rappresentazione l’opera fu messa in scena in
altre occasioni e in altre città italiane. Spesso il testo venne riprodotto senza grandi
cambiamenti rispetto al testo originale. Ci furono delle variazioni dialettali, delle
improvvisazioni nel canto di Orfeo e dei cambiamenti nella sceneggiatura.
Secondo Tissoni Benvenuti alla versione originale di Poliziano seguirono due
rappresentazioni, che lei indica come FT1 e FT2.549 La Fabula fu probabilmente
rappresentata nel palazzo di Marmirolo (Mantova) nel 1490.550 È noto che un messo dei
Gonzaga dovette cercare a Firenze un attore per recitare la parte di Orfeo. Fu trovato
Atalante Migliorotti. Siccome non ci sono ulteriori documentazioni su questa
rappresentazione, non è chiaro se abbia veramente avuto luogo.
Leonardo da Vinci fece dei disegni scenografici per una rappresentazione della
Fabula di Orfeo. Si tratta probabilmente di un compito commissionato da Charles
d’Amboise, il governatore francese di Milano, nel 1506. Benché esistano gli abozzi di
Leonardo per un allestimento, mancano, però, documenti storici che attestano la
realizzazione dello spettacolo. Un abbozzo nel codice Arundel mostra una montagna, che
si poteva aprire per mostrare gli Inferi (ill. 4.7).551
548
Citato da Ventrone, op.cit., p. 179 (cfr. L. Cesarini Martelli, ‘“De poesi et poetis”: uno schedario
sconosciuto di Angelo Poliziano, in: Tradizione classica e letteratura umanistica. Per Alessandro Perosa,
a.c.d. R. Cardini e.a., vol. II, Roma, Bulzoni, 1985, pp. 482-483; 465).
549
Tissoni Benvenuti, L’Orfeo, cit., p. 55. Cfr. § 4.1.2, n. 41.
550
Pedretti, op.cit., p. 11.
551
Leonardo da Vinci, Studi per l’allestimento della Fabula di Orfeo, ca. 1506-08. Londra, British Library,
Codice Arundel 263, ff. 231v (a sinistra) e 224r (a destra). Secondo Ventrone questi schizzi erano forse
179
CAPITOLO 4
4.7 Leonardo da Vinci, Studi per l’allestimento della Fabula di Orfeo, ca. 1506-08
Si tratterebbe del “primo esempio di palcoscenico girevole nella storia della
scenotecnica”.552 Così era possibile mostrare sia il mondo pastorale che il mondo infernale
sullo stesso palcoscenico senza dover cambiare le scene. Questo disegno è stato
identificato da Richter con la descrizione di Leonardo stesso del “Paradiso di Plutone”:553
Quando s’apre il Paradiso di Plutone allor sien diavoli che sonino dodici olle a uso di boce
[cioè voci] infernali; quivi sia la Morte, le Furie, Cerbero, molti putti nudi che pianghino;
quivi fochi fatti di vari colori [...] movino ballando [...].
(Leonardo da Vinci, in Pedretti, op.cit., p. 8))
Un altro disegno di Leonardo mostra forse l’inseguimento di Euridice da parte di Aristeo
(ill. 4.8).554 Nel disegno si vede un uomo che insegue una donna su un terreno un po’
destinati all’allestimento dell’Orphei tragoedia (op.cit., p. 139); cf. anche Tissoni Benvenuti, L’Orfeo, cit., p.
126.
552
M. Angiolillo, Leonardo. Feste e teatri, presentazione di C. Pedretti, Napoli, 1979, p. 72 (citato da Pedretti,
op.cit., p. 9).
553
J.P. Richter, The Literary Works of Leonardo da Vinci, London, 1883 (2a ed. Oxford 1939), § 678 (citato da
Pedretti, op.cit., p. 8.
554
Leonardo da Vinci, Aristeo insegue Euridice?, ca. 1506-08. Windsor, Royal Library, 12708.
180
FIGURA TEATRALE E AMANTE POPOLARE
curvo. Secondo Pedretti l’immagine fa pensare alla xilografia nell’edizione della Fabula, in
cui Aristeo (Africo) insegue Euridice (Mensola).555
4.8 Leonardo da Vinci, Aristeo ed Euridice?, ca. 1506-08
Forse Leonardo conosceva dunque l’edizione illustrata della Fabula. Esistono anche altri
schizzi di Leonardo che potrebbero riferirsi agli atteggiamenti dei pastori o alla scena in
cui Orfeo s’inginocchia di fronte a Plutone.556 Pedretti fa anche menzione di un frammento
con danzatrici, che potrebbero rappresentare le baccanti cantanti alla fine dell’opera di
Poliziano.557 Questo rapporto sarebbe suggerito dalla presenza di un cavallo rampante,
simile a quello nell’edizione stampata di Poliziano. A me sembra, però, inverosimile che un
artista come Leonardo si sia basato per il suo allestimento sulle xilografie di artisti
anonimi, che spesso non corrispondevano al testo di Poliziano (come nel caso del cavallo e
della cosiddetta baccante, che a mio parere dovrebbe piuttosto raffigurare la furia che
ferma Orfeo, cosa anche confermata dalla posizione dell’immagine nel testo).
Oltre a queste rappresentazioni della Fabula di Orfeo c’erano anche dei casi in cui il
testo di Poliziano fornì la base per un’imitazione più libera del testo originale.558 In questo
paragrafo discuteremo due esempi di rappresentazioni teatrali sul mito di Orfeo che
imitano la Fabula di Orfeo, ma ne differiscono anche talmente da poter essere considerate
delle opere autonome. Si tratta dell’Orphei tragoedia e della Favola di Orfeo e Aristeo.
Prima faremo una breve introduzione ad ambedue le opere (§ 4.2.1). Poi discuteremo più
555
Pedretti, op.cit., p. 13.
Pedretti, op.cit., p. 12.
557
Leonardo da Vinci, Danzatrici o baccanti?, ca. 1515-16. Venezia, Galleria dell’Accademia, nn. 258 e 233
(Pedretti, op.cit., p. 14).
558
Tissoni Benvenuti mostra che il successo della Fabula di Orfeo continuò anche in altre rappresentazioni
teatrali su argomenti mitologico-pastorali diversi, che hanno una struttura simile e contengono dei rimandi
testuali alla Fabula (L’Orfeo, cit., p. 117).
556
181
CAPITOLO 4
nei dettagli i cambiamenti rispetto alla Fabula di Orfeo per quanto riguarda la
rappresentazione del mito e della figura di Orfeo (§ 4.2.2).
4.2.1 Le due tragedie
Nonostante numerose speculazioni, l’identità dell’autore dell’Orphei Tragoedia rimane
sempre ignota.559 Secondo Tissoni Benvenuti, che pubblicò la prima edizione critica della
versione originale della Fabula, della sua rielaborazione teatrale con alcune aggiunte (che
lei indica come FT1) e dell’Orphei Tragoedia, l’autore deve essere stato qualcuno delle
corti dell’Italia del nord negli ultimi decenni del Quattrocento.560 Anche l’autore della
Favola di Orfeo e Aristeo è ignoto. L’opera fu scritta alla fine del Quattrocento o all’inizio
del Cinquecento, forse da un autore toscano o umbro. Il testo fu pubblicato nel 1906 da
Guido Mazzoni, che aggiunse anche un’ampia introduzione.561
Contrariamente alla Fabula di Poliziano, l’Orphei Tragoedia è divisa in cinque atti
secondo le regole del dramma antico. Già il titolo dell’opera indica la sua trasformazione in
una tragedia classica. Anche lo stile è più elevato rispetto all’opera di Poliziano. Ventrone
parla di una normalizzazione a seconda del canone dello Pseudo-Aristotele, che si vede
nella divisione dell’opera in atti e scene; la soppressione del linguaggio popolaresco; l’uso
del registro tragico; l’aumento del numero dei personaggi; il coro delle Driadi e le
didascalie in latino.562 Per questo sono stati sostituiti alcuni passi comici, come quello del
pastore schiavone. Ci sono poi molti cambiamenti rispetto alla Fabula che si possono
attribuire secondo Tissoni Benvenuti al pubblico cambiato: mentre Poliziano aveva scritto
la sua favola per il cardinale Francesco Gonzaga, la tragedia era probabilmente destinata a
una rappresentazione alla corte.563 Discuteremo questi cambiamenti dettagliatamente nel §
4.2.2. Rispetto al testo di Poliziano l’autore anonimo non ha aggiunto molti versi; eppure
quasi ogni verso differisce dal testo originale, anche se si tratta soprattutto di piccole
differenze linguistiche. L’aggiunta più notevole è nel secondo atto con il coro delle Driadi e
le preparazioni per il funerale di Euridice.
559
L’opera fu scoperta e pubblicata nel 1776 dal padre Ireneo Affò, che considerava l’Orphei Tragoedia la
redazione finale della Fabula; un mero adattamento alle esigenze dello schema della tragedia da parte
dell’autore stesso (Maïer, op.cit., pp. 392-393). Anche altri studiosi pensano che Poliziano stesso fosse l’autore
di questa rielaborazione della Fabula (Ziegler, op.cit., p. 239). Secondo altri invece (tra cui Novaro) l’opera fu
scritta da Antonio Tebaldeo, che nella sua poesia si riferisce tante volte a Orfeo, come vedremo nel quinto
capitolo (Maïer, op.cit., p. 393). Ormai l’attribuzione a Tebaldeo è stata, però, definitivamente esclusa (M.P.
Mussini Sacchi, ‘La “Orphei Tragoedia” e il suo autore, in: In ricordo di Cesare Angelini. Studi di filologia e di
letteratura, Milano, Il Saggiatore, 1979, pp. 132-145).
560
Tissoni Benvenuti, L’Orfeo, cit., p. 124.
561
G. Mazzoni, La favola di Orfeo e Aristeo. Festa drammatica del secolo XV, Alfani e Venturi, Firenze, 1906.
Il testo era presente in solo un codice: Firenze, Biblioteca Riccardiana, no. 1616.
562
Ventrone, op.cit., p. 139.
563
Tissoni Benvenuti, L’Orfeo, cit., pp. 121-122.
182
FIGURA TEATRALE E AMANTE POPOLARE
Anche l’anonima Fabula di Orfeo e Aristeo è una rielaborazione della favola di
Poliziano che è divisa in cinque atti. Rispetto all’opera di Poliziano e all’Orphei tragoedia la
Fabula di Orfeo e Aristeo è molto più lunga (1456 versi), soprattutto per l’aggiunta di un
episodio su Aristeo. Il secondo e il terzo atto si basano, però, strettamente sulla favola di
Poliziano e mostrano secondo Pyle quasi nessuna conoscenza dell’Orphei Tragoedia.564
Tutti gli atti finiscono con un coro che ha la forma di un canto carnascialesco.
Contrariamente alle prime rappresentazioni del mito di Orfeo la Fabula di Orfeo e Aristeo
è stata scritta per la maggior parte in terza rima.
Sia nella Fabula di Orfeo che nell’Orphei Tragoedia la musica aveva un ruolo
importante. L’importanza della musica nella Tragoedia risulta secondo Pyle dalle
didascalie all’inizio di quattro delle cinque atti e dal testo stesso. Rispetto alla Fabula di
Orfeo gli strumenti sono alquanto cambiati: Mopso suona per esempio la fistola invece
della zampogna.565 Nelle didascalie si trova poi due volte la frase ‘modulatur Orpheus’, il
che può significare che Orfeo canta o parla. Per via di queste due didascalie si considerano
queste favole mitologiche precursori del melodramma, di cui parlerò nel capitolo 6.566
Nella Tragoedia c’era probabilmente più spazio per il canto, il che si può anche vedere nel
fatto che i metri sono diversi.567
Nella Favola di Orfeo e Aristeo diminuiscono invece le parti cantate rispetto alla
Fabula di Orfeo: ci sono solo cinque o sei parti cantate, cioè i cori alla fine di quattro dei
cinque atti (l’ultimo atto è incompiuto).568 Tutti questi cori sono delle canzoni da ballo, che
erano probabilmente cantate e ballate da ninfe o da Baccanti. L’unica parte cantata negli
atti stessi è la canzone di Aristeo. Poi c’era forse un coro di ninfe all’inizio del quarto atto,
che era cantato nello stile recitativo. Del resto, si trovano molti riferimenti alla musica
anche nelle parti non cantate: la storia dell’invenzione della lira da parte di Mercurio, il
potere della musica di Orfeo che lo difende contro le Baccanti.569
4.2.2 Trasformazioni tragiche del mito
Subito all’inizio dell’Orphei tragoedia si nota uno dei cambiamenti principali dell’opera
rispetto alla Fabula di Orfeo: la divisione in cinque atti come una vera tragedia. La tragedia
comincia con l’introduzione di Mercurio che è intitolata ‘Argumentum’, esattamente come
si trovava spesso all’inizio di una tragedia o di una commedia antica. In quest’introduzione
dell’argomento l’autore anonimo ha sostituito gli ultimi due versi dell’introduzione di
Poliziano per mostrare esplicitamente la sua intenzione di presentare una tragedia:
564
Pyle, ‘Il tema di Orfeo’, cit., p. 136.
Pyle, ‘Il tema di Orfeo’, cit., p. 135.
566
Pyle, ‘Il tema di Orfeo’, cit., p. 138.
567
Tissoni Benvenuti, L’Orfeo, cit., p. 121.
568
Pirrotta, op.cit. (citato da Pyle, ‘Il tema di Orfeo’, cit., p. 136).
569
Pyle, ‘Il tema di Orfeo’, cit., pp. 137.
565
183
CAPITOLO 4
Hor stii ciascuno a tutti gli acti intento,
che cinque sono, e questo è lo argumento.
(Orphei Tragoedia, Argumentum, vv. 15-16)
Tissoni Benvenuti suppone che la sostituzione delle parole del pastore schiavone con
questi versi più neutrali indica anche uno spostamento ad un livello linguistico più alto.570
Poi seguono davvero cinque atti che hanno tutti dei titoli latini, ‘pastoricus’,
‘nymphas habet’, ‘heroicus’, ‘necromanticus’ e ‘bachanalis’, che indicano il contenuto degli
atti. Nei sottotitoli latini sono descritti in modo ancora più preciso gli eventi che si
svolgono nell’atto. L’uso del latino è anche notevole nei nomi dei personaggi; i pastori sono
indicati con i loro nomi latini, per esempio Mopsus, Aristeus e Thyrsis. L’uso più frequente
del latino mi sembra una conseguenza del carattere più classico dell’Orphei tragoedia
rispetto alla favola di Poliziano. L’autore volle far rassomigliare la sua tragedia ad una
tragedia antica.
Anche la Favola di Orfeo e Aristeo è divisa in cinque atti, ma in modo
completamente diverso. L’annuncio di Mercurio è stato sostituito dal primo atto in cui
Mercurio racconta dell’amore paterno. Poi Apollo chiede in dono a Mercurio la cetra per
suo figlio Orfeo. Il pastore Silio descrive in seguito come Orfeo incanta la natura con la lira
ed insegna alle donne di compiere sacrifici a Bacco. Orfeo persuade Diana con la sua
musica a dargli Euridice come moglie e l’atto si conclude con un canto nuziale per Orfeo
ed Euridice.571
Dopo l’Argumentum nell’Orphei Tragoedia e dopo il primo atto nella Favola di
Orfeo e Aristeo, ambedue le imitazioni della Fabula adottano la scena pastorale.
Nell’Orphei tragoedia questa scena costituisce il primo atto, mentre nella Favola di Orfeo e
Aristeo siamo già arrivati al secondo atto. La Favola di Orfeo e Aristeo imita l’intera scena
pastorale con grande libertà: segue il testo di Poliziano per quanto riguarda il contenuto,
ma se ne allontana a livello testuale, il che è causato probabilmente dal fatto che
l’imitazione anonima è stata scritta in terzine e non in ottave. L’Orphei tragoedia segue
invece quasi letteralmente il testo di Poliziano, almeno all’inizio della scena. L’autore
anonimo fa cominciare il secondo atto a partire della canzone di Aristeo. In quest’atto il
seguito della conversazione dei pastori e l’inseguimento di Euridice da parte di Aristeo
sono stati sostituiti con un coro di Driadi che racconta la morte di Euridice. Il coro delle
Driadi fu probabilmente suggerito all’autore dal passo nelle Georgiche, in cui le Driadi si
lamentano dopo la morte di Euridice.572 L’inseguimento e la morte della ninfa non sono
570
Tissoni Benvenuti, L’Orfeo, cit., p. 124.
Per questi elementi l’autore si è forse fatto ispirare dalle Genealogie di Boccaccio o l’Astronomia di Igino.
572
‘at chorus aequalis Dryadum clamore supremos / implevit montis;’ (Virgilio, Georgiche, 4, 460-61). Il
rapporto è stato suggerito da Tissoni Benvenuti, L’Orfeo, cit., p. 122.
571
184
FIGURA TEATRALE E AMANTE POPOLARE
dunque rappresentati in scena, come era almeno parzialmente il caso della Fabula di
Orfeo.573 Anche l’autore della Favola di Orfeo e Aristeo introduce una ninfa per descrivere
l’inseguimento e la morte di Euridice. Le due imitazioni della Fabula osservano dunque le
regole della tragedia antica di non rappresentare sul palcoscenico degli eventi orrendi, ma
di farli descrivere da un nunzio.574
Nel punto in cui Poliziano riproduce la canzone latina di Orfeo si vede una
divergenza tra le due imitazioni teatrali. Mentre la Favola di Orfeo e Aristeo omette la
canzone completamente, l’Orphei tragoedia sostituisce la canzone con un’altra canzone in
latino e fa cominciare qui il terzo atto ‘eroico’:
Musa, triumphales titulos et gesta canamus
Herculis et forti monstra subacta manu,
ut timidae matri pressos ostenderit angues
intrepidusque fero riserit ore puer.
(Orphei tragoedia, atto III, vv. 1-4)575
L’ode al cardinale Francesco Gonzaga è stata sostituita con una rielaborazione di quattro
versi del De Raptu Proserpinae di Claudiano (365-dopo 404).576 Tissoni Benvenuti nota che
il passo di Claudiano è stato usato anche in versi da Boiardo per Ercole d’Este. Anche
l’Orphei tragoedia fu dunque rappresentata in onore di Ercole d’Este. L’Orphei tragoedia è
destinata a un pubblico abituato a leggere o sentire il latino, mentre la Favola di Orfeo e
Aristeo omette invece ogni frase latina.577
Dopo l’annuncio della morte di Euridice ambedue le imitazioni teatrali ripetono il
lamento di Orfeo e la sua intenzione di scendere nell’Ade. Nell’Orphei tragoedia un satiro
sottolinea prima il dolore di Orfeo:
MNASYLLUS SATYRUS
Vedi come dolente
se parte quel tapino
e non risponde per dolor parola.
573
Sicuramente l’inseguimento era rappresentato in scena. Poi si legge nelle didascalie: ‘Seguitando Aristeo
Euridice, ella si fugge drento alla selva, dove punta dal serpente grida, e simile Aristeo.’ Il momento stesso
della morte non era dunque forse visibile al pubblico, ma c’era almeno la suggestione di essere presenti alla
morte della ninfa.
574
Orazio, Arte Poetica, vv. 179-88.
575
‘Musa, cantiamo i titoli trionfali e le azioni di Ercole e i mostri che sono vinti dalla sua mano forte, come
quando giovane mostrò i serpenti oppressi alla madre spaventata e rise senza paura con bocca feroce.’
576
Claudiano, De raptu Proserpinae, Pref. ante lib., II, vv. 29-32 (Tissoni Benvenuti, L’Orfeo, cit., p. 125; 197,
n. 1-4).
577
Può anche darsi che l’autore della Favola di Orfeo e Aristeo abbia usato una versione della Fabula di Orfeo,
in cui non erano presenti i passi latini, come nella versione originale secondo Tissoni Benvenuti.
185
CAPITOLO 4
In qualche ripa sola,
e lontan da la gente,
se dolerà del suo crudo destino.
Seguir lo voglio per vider la prova
se al suo lamento el monte se commova.
(Orphei Tragoedia, atto III, vv. 13-20)
Le parole del satiro, che ricordano la descrizione del pianto di Orfeo nelle Georgiche,
mostrano Orfeo come un uomo molto dolente, ma contengono secondo Tissoni Benvenuti
anche un’indicazione scenica: ‘il monte che si commuove, cioè si muove (si apre?) per
permettere a Orfeo l’ingresso agli Inferi.’ La studiosa allude all’allestimento della Fabula di
Orfeo da parte di Leonardo da Vinci, a cui abbiamo accennato nel § 4.1.1. Anche la
rappresentazione dell’Orphei tragoedia contenne probabilmente un’invenzione scenica del
genere.578
Nella Favola di Orfeo e Aristeo è stata omessa l’ultima stanza del lamento di Orfeo
(in cui il cantante si indirizzava alle Furie), insieme alla reazione di Plutone e Minosse.
Forse la Furia è stata sostituita con Caronte, perché la sua presenza è più autentica: Virgilio
e Ovidio parlavano del ‘portitor’. L’Orphei tragoedia cita invece tutte le stanze del lamento,
ma fa cominciare dopo la seconda stanza il quarto atto (‘necromanticus’), in cui Orfeo
scende nell’Ade. Dopo la reazione di Plutone sono state inserite alcune parole di
Proserpina, che mancano nella Fabula di Poliziano. La battuta sostituisce un’ottava di
Minosse che si trovava qui nella rielaborazione della Fabula di Orfeo (FT1):
PROSERPINA
Caro consorte, poi che per tuo amore
lasciai il ciel superno
e fatta fui regina de lo Inferno,
mai non hebbe vigore
piacer di tanto effetto
che mi potesse intenerire el core.
Hor disiando quella voce aspetto,
né mi par che altra cosa
mi porgesse piú mai tanto diletto.
Dunque alquanto ti posa:
se da te debbo haver gratia una volta,
posati alquanto, e il dolce canto ascolta.
(Orphei Tragoedia, atto IV, vv. 29-40)
578
Tissoni Benvenuti, L’Orfeo, cit., p. 198.
186
FIGURA TEATRALE E AMANTE POPOLARE
Secondo Tissoni Benvenuti le parole di Proserpina sottolineano ‘il nuovo significato di
storia d’amore assunto dal mito nel rifacimento.’579 Proserpina dice di aver seguito Plutone
per amore, anche se secondo il mito lui l’aveva rapita ragazza. Tissoni Benvenuti indica
anche altri spostamenti sottili che cambiano il mito in una ‘malinconica storia d’amore’.580
Questa tendenza si farà ancora più evidente nei cantari su Orfeo ed Euridice.
Sia l’Orphei tragoedia che la Favola di Orfeo e Aristeo seguono poi più o meno
letteralmente il testo di Poliziano. Naturalmente la Favola di Orfeo e Aristeo omette la
canzone latina di Orfeo. Il cambiamento maggiore rispetto alla Fabula di Orfeo si trova
nella canzone di Orfeo, quando gli è vietato di entrare per la seconda volta nell’Ade. Nella
Favola di Orfeo e Aristeo la canzone è stata imitata liberamente, cosicché Orfeo parla
ancora della sua avversione per le donne, omettendo invece i suoi amori omosessuali:
Di donne omgni altro amor dischaccio via:
puoi che i’ ò persa la mi’ Euridice,
non fia mai ch’altro amor nel pecto stia.
(La favola di Orfeo e Aristeo, atto III, vv. 130-132)
Anche l’autore dell’Orphei tragoedia omette l’omosessualità di Orfeo: imita quasi
letteralmente la prima e la terza strofa del lamento di Orfeo nella Fabula, ma trasforma la
seconda strofa, che trattava della pederastia, in qualcosa di ‘innocente’:
Coglierò da qua ‘nanti e fior novelli,
la primavera dil tempo migliore;
quando son gli anni ligiadretti e belli,
piú non mi stringa feminile amore.
Non sia più chi di donna mi favelli,
poi che morta è colei che hebbe il mio core;
chi vòl comertio haver cum mei sermoni,
di femminile amor non me ragioni.
(Orphei Tragoedia, atto V, vv. 9-16)
Colpisce subito la sostituzione della parola ‘sesso’ con ‘tempo’. Con questo e qualche altro
cambiamento l’autore anonimo sfuma ogni riferimento all’omosessualità di Orfeo. Come
osserva Tissoni Benvenuti spiritosamente ‘Orfeo sembra giudiziosamente disposto a
dedicarsi al giardinaggio’.581 Orfeo decide di godersi gli anni migliori della sua vita, invece
579
Tissoni Benvenuti, L’Orfeo, cit., p. 201.
Tissoni Benvenuti, L’Orfeo, cit., p. 122. Altri spostamenti nella direzione della storia d’amore tragica sono
per esempio: le parole della Driade alla fine del secondo atto; le parole di Orfeo dopo la seconda perdita di
Orfeo (p. 122, n. 12).
581
Tissoni Benvenuti, L’Orfeo, cit., p. 205.
580
187
CAPITOLO 4
di sprecarli con una donna. Naturalmente è stata tolta anche l’ultima stanza che trattava di
altri amori omosessuali mitologici. L’Orfeo dei due rifacimenti teatrali della Fabula di
Orfeo rimane dunque un misogino, ma perde la sua connotazione omosessuale. Questa
omissione fu forse influenzata dalla morale diversa rispetto a quella della corte dei
Gonzaga o dalle idee personali dell’autore.
Dopo la canzone misogina di Orfeo nella Favola di Orfeo e Aristeo è stato inserito
un lungo passo in cui due uomini, Argastro e Clitero, discutono l’effetto del canto di Orfeo
sugli uomini e sulla natura.582 Il passo sottolinea il potere di Orfeo come cantante. In
aggiunte del genere e nell’aggiunta alla fine dell’intera storia di Aristeo si manifesta la
voglia dell’autore anonimo di descrivere ogni particolare del mito di Orfeo e di mostrare la
sua conoscenza delle fonti.
Alla fine del racconto c’è di nuovo una divergenza notevole tra le due imitazioni:
mentre l’Orphei tragoedia descrive quasi letteralmente l’uccisione di Orfeo da parte delle
Baccanti come nella Fabula di Orfeo, la Favola di Orfeo e Aristeo racconta indirettamente
l’uccisione tramite la figura di Mirtillo. Colpisce come l’autore dell’Orphei tragoedia
evidentemente non avvertisse la descrizione della morte di Orfeo come in contraddizione
con le regole della tragedia antica.
Mentre l’Orphei tragoedia finisce con la canzone delle Baccanti in onore di Bacco,
come nel testo di Poliziano, nell’altra rappresentazione teatrale seguono ancora due atti
che parlano del ‘malanno’ che ferisce Aristeo per aver causato la morte di Euridice, la
punizione del serpente che cerca di mordere la testa di Orfeo, la trasformazione delle
Baccanti in alberi e infine la penitenza e la purificazione di Aristeo stesso. Mazzoni
sottolinea che, mentre la Fabula di Poliziano si limita a citare dalle Georgiche IV, 457-527 e
dalle Metamorfosi X, 1-82 e XI, 1-43, l’anonima Favola si basa sulle Georgiche IV, 317-553
e sulle Metamorfosi X, 1-82 e XI, 1-84.583 L’anonimo autore conosce dunque bene i testi di
Virgilio e di Ovidio e li adopera per elaborare la sua descrizione del mito di Orfeo. Così
emergono nella letteratura italiana alcuni nuovi elementi del mito, che fino a quel
momento non erano (quasi mai?) stati presenti: il dono della lira da parte di Mercurio;
Orfeo che insegna alle donne di sacrificare a Bacco; le nozze di Orfeo e Euridice (primo
atto); la presenza di Caronte; la lira e la testa di Orfeo buttate nel fiume (terzo atto); la
fortuna di Aristeo e delle sue api (quarto atto); la punizione delle Baccanti che si
trasformano in alberi; Apollo e Bacco che cercano la testa di Orfeo e la salvano dal
serpente; continua la fortuna di Aristeo; Apollo porta la testa di Orfeo al cielo e la lira
diventa una costellazione (quinto atto). Alcuni di questi elementi li rivedremo nel
Cinquecento, anche se la loro apparizione pùo essere stata influenzata pure dalla loro
582
583
Favola di Orfeo e Aristeo, atto III, vv. 148-95.
Mazzoni, op.cit., pp. V-VII.
188
FIGURA TEATRALE E AMANTE POPOLARE
menzione in altri testi come rielaborazioni delle Metamorfosi o come le Genealogie di
Boccaccio.
La trasformazione principale delle due opere rispetto alla Fabula di Orfeo è di
carattere formale: esse devono rassomigliare di più a tragedie antiche. Queste differenze
non cambiano profondamente l’immagine di Orfeo. Tematicamente ci sono anche alcuni
spostamenti più interessanti. Nell’Orphei tragoedia Orfeo è forse rappresentato molto di
più come un amante tragico, anche se le indicazioni sono molto sottili. Questa tendenza si
vedrà chiaramente nei cantari. Nella Favola di Orfeo e Aristeo la voglia di completezza
sembra oscurare un’interpretazione particolare del mito. Il potere della musica riceve
molta attenzione, ma anche l’intera storia di Aristeo. Come nel caso della Fabula di Orfeo è
difficile stabilire la funzione precisa delle opere, perché è ignota l’occasione precisa per cui
furono composte.
4.3 ORFEO ED EURIDICE NEI CANTARI CINQUECENTESCHI
4.3.1 Il genere popolare dei cantari
Il mito di Orfeo ed Euridice è anche l’argomento principale di alcuni cantari.584
Originariamente il cantare era una forma di poesia musicale provenzale. A un certo
momento la parola ‘cantare’ non era più usato in Italia per indicare componimenti lirici,
ma piuttosto per indicare dei componimenti narrativi. La forma metrica di questi
componimenti era generalmente l’ottava; essi erano recitati da un cantastorie, che cantava
nelle piazze e nei mercati della città e cercava poi di vendere i suoi racconti. Questi
racconti erano stampati su alcune pagine che non erano legate e che erano dunque molto
delicate, ragione per cui i testi dei cantari oggi sono piuttosto rari.
I cantari trattano di argomenti molto svariati. Ugolini distingue sei categorie
diverse: cantari cavallereschi, leggendari, religiosi, classici, novellistico-lubrici e storicocontemporanei.585 L’interessse per gli argomenti classici comincia nel Quattrocento. In
questo periodo e nel Cinquecento troviamo nei cantari anche delle elaborazioni del mito di
Orfeo ed Euridice, anche se il mito triste di Piramo e Tisbe era l’argomento prediletto.586
Con la trasformazione dei miti antichi in cantari, gli eroi greci si trasformarono in dame e
584
Per il paragrafo sui cantari mi baso su questi due testi importanti: F.A. Ugolini, I cantari d'argomento
classico con un’appendice di testi inediti, Genève-Firenze, Leo S. Olschki, 1933, pp. 1-27 (‘Introduzione.
Cantari e cantastorie nel Medio Evo e nel Rinascimento’); B. Guthmüller, ‘Cantari cinquecenteschi di
argomento mitologico’, in: idem, Mito, poesia, arte. Saggi sulla tradizione ovidiana nel Rinascimento, Roma,
Bulzoni, 1997, pp. 187-212.
585
Ugolini, op.cit., p. 21.
586
Guthmüller, ‘Cantari cinquecenteschi’, cit., p. 188.
189
CAPITOLO 4
cavallieri.587 Trasformazioni del genere erano comuni nei romanzi medievali, in cui il mito
di Orfeo era anche descritto come una storia d’amore cortese (cf. § 1.5.5).588
Ugolini sostiene che le Metamorfosi di Ovidio fossero la fonte principale
d’ispirazione per i cantastorie. Quest’assunto non spiega, però, le differenze notevoli tra i
cantari e il testo di Ovidio: mentre alcuni argomenti o particolari che nel testo di Ovidio
sono descritti a lungo non ricevono quasi nessuna attenzione nei cantari, altri argomenti
quasi assenti da Ovidio vengono ampiamente elaborati. Le aggiunte sono secondo
Guthmüller destinate piuttosto a chiarire e a completare il testo che non ad abbellire il
testo in maniera letteraria.589 Secondo Ugolini i cantastorie avevano la conoscenza
umanistica necessaria per rielaborare i miti e per aggiungere dei particolari usando altre
fonti mitologiche. Guthmüller contraddice quest’opinione, perché i cantastorie sarebbero
secondo lui di ‘condizioni sociali modeste’ e non avrebbero goduto nessuna educazione
umanistica. Il loro solo scopo era di adattare i miti a un pubblico più ampio adoperando
una forma semplice. Secondo Guthmüller i miti erano trasmessi ai cantastorie attraverso i
volgarizzamenti delle Metamorfosi. Nel caso di alcuni cantari su per esempio Perseo e
Giasone l’Ovidio Metamorphoseos in verso vulgar di Nicolò degli Agostini (1a edizione
stampata 1522) è stata la fonte principale.590 Il testo di Agostini era molto adatto ai cantari,
perché era scritto in ottava rima e perché i miti erano già stati tradotti al mondo
cavalleresco. Gli unici cambiamenti necessari erano l’eliminazione della divisione in
capitoli e le allegorie, e l’aggiunta di un inizio e un lieto fine.591
Nel caso dei cantari su Orfeo ed Euridice, invece, sono stati i cantari ad aver
influenzato l’opera di Agostini. Come vedremo nel § 5.2.1 Agostini si basò sia sulla Fabula
di Orfeo che su alcuni cantari per scrivere la sua versione del mito di Orfeo.
4.3.2 Orfeo amante nei cantari
Le numerose versioni dei cantari su Orfeo ed Euridice sono quasi identiche. Si possono
vedere delle differenze nei dettagli e nella lunghezza del cantare. Esistono tre gruppi di
cantari: di 80 ottave, 88 ottave e di 96 ottave.592 Per la discussione dei cantari in questo
587
Ibid., p. 190.
Gli esempi più famosi di romanzi tardomedievali che collocano il mito di Orfeo nella tradizione dell’amore
cortese sono: l’anonimo Sir Orfeo (ca. 1325) e Orpheus and Eurydice di Robert Henryson (ca. 1430-1500).
589
Ibid., p. 193.
590
Ibid., p. 193.
591
Ibid., p. 194.
592
Ugolini, op.cit., p. 139; F.W. Sternfeld, ‘Orpheus, Ovid and Opera’, Journal of the Royal Musical
Association 113 (1988), pp. 172-202.
588
190
FIGURA TEATRALE E AMANTE POPOLARE
paragrafo prendiamo come testo di base la Historia et favola d’Orpheo, un cantare di 96
ottave.593
L’autore della Historia et favola d’Orpheo segue in gran parte letteralmente il
testo di Poliziano. Tutti i passi che da Poliziano sono stati scritti in ottava rima, sono stati
trasferiti direttamente al cantare. Nei passi con un metro diverso qualche volta il
linguaggio è cambiato un po’ per adattarsi alla forma dell’ottava. Le modificazioni metriche
sono trasformazioni puramente formali che non cambiano la funzione del mito di Orfeo.
Subito all’inizio del testo diventa chiaro che non si tratta più di una
rappresentazione teatrale, ma di un testo narrativo. Le prime parole ‘Silenzio. Udite’, con
cui Poliziano fa cominciare la Fabula di Orfeo, sono state sostituite con parole più neutrali:
‘O buona gente’. Anche le ultime parole dell’introduzione con cui il pastore schiavone
augura alla brigata buona fortuna, sono state sostituite con un invito al lettore a volgere la
pagina: ‘Dunque, lettor, che hai gentil memoria, / volgi la carta, e comincia la storia!’ (vv.
15-16) Da queste parole risulta che il cantare non era più destinato a essere recitato di
fronte a un pubblico, ma che era diventato un testo narrativo per essere letto a casa.594
Come la prima edizione stampata della Fabula di Orfeo del 1494, anche il primo
cantare noto su Orfeo ed Euridice del 1495-1500 circa, La historia de Orpheo, è ornato con
una xilografia sul frontespizio.595 Orfeo sta in piedi e suona una viola da braccio, mentre a
sinistra stanno ascoltando un cane e una lepre e a destra un cervo e un’altra lepre.
Nell’albero dietro Orfeo si trovano due uccelli. Sullo sfondo a sinistra è visibile una città.
(ill. 4.9)
593
Per questo paragrafo abbiamo usato l’edizione del 1567, che è stato pubblicato da: E. Lommatzsch,
Beiträge zur älteren italienischen Volksdichtung: Untersuchungen und Texte, III, Berlin, Akademie-Verlag,
1950.
594
Si potrebbe sostenere che i due versi fossero inseriti nella versione stampata, che poteva essere comprata
dal pubblico alla fine della recitazione. Anche in questo caso si tratta di un testo narrativo, e non più di una
rappresentazione teatrale.
595
Anonima xilografia in: Anonimo, La historia de Orpheo, Roma, Gior. Berichem e Martin de Amsterdam,
ca. 1500. Roma, Biblioteca Casanatense, Vol. Inc. 1612 (prima: Inc. 1653).
191
CAPITOLO 4
4.9 Anonimo, Orfeo e gli animali, in La historia de Orpheo, 1495-1500
4.10 Anonimo, Orfeo-cantastorie, in: La historia et favola d’Orpheo, 1567
Anche altre versioni del cantare sono state stampate con una xilografia iniziale. L’edizione
del cantare del 1567 comincia con una xilografia di Orfeo che suona la sua viola da braccio
(ill. 4.10).596 Il suo pubblico consiste non solo di due cani, ma anche di uomini e donne. Il
cantante stesso sta suonando su una specie di palcoscenico e in fondo si vede un castello,
come se ci trovassimo in una città medievale o rinascimentale. L’intera composizione fa
pensare alla situazione dei cantastorie, che suonavano nelle piazze delle città. Stiamo
dunque guardando all’immagine di Orfeo o all’immagine del cantastorie? Probabilmente la
xilografia propone l’identificazione del cantastorie con la figura di Orfeo. Questo spiega
anche le numerose versioni che esistono dei cantari su Orfeo e Euridice. Il mito di Orfeo
era estremamente adatto per essere raccontato o cantato dai cantastorie, poiché anche essi
volevano incantare il pubblico con le loro parole. Anche se nel tempo in cui fu stampato
questo cantare non era più l’abitudine di recitare i testi nelle piazze, sembra visibile nella
xilografia una reminiscenza al passato glorioso del cantastorie.
Il Tractato de orpheo ‘fiolo del sole e de euridice sua sposa come morite / la dita
nimpha e poi parla de orpheo che ando al inferno per reauerla e / per la humilita che uso
plutone uerso orpheo pel suo bel sonare’ del 1520 ca. comincia con una xilografia che
consiste da tre scene diverse (ill. 4.11).597 A sinistra Orfeo suona la lira da braccio, mentre
596
Anonima xilografia in: Anonimo, La historia et favola d’Orpheo, 1567 (riprodotto da: Lommatzsch,
op.cit.).
597
Anonimo, Tractato de Orpheo ...s.l.s.t.s.a. [ca. 1520]. Bayerische Staatsbibliothek, P.o.it. 326, 2, menzionato
da: M. Simhart, ‘Stampe popolari italiane del sec. XVI nella Biblioteca Bavarese di Stato’, La Biliofilia 4
192
FIGURA TEATRALE E AMANTE POPOLARE
ascoltano alcuni alberi e animali. Sopra a destra Euridice si diverte danzando con le sue
amiche. Sotto Orfeo è disceso nell’Ade e suona per un mostro infernale, che probabilmente
rappresenta Plutone. Dall’altro lato di Plutone si vede Euridice.
4.11 Anonimo, Orfeo e gli animali e Orfeo nell’Ade, in Tractato de orpheo, ca. 1520
La scena pastorale che nella Fabula di Orfeo segue immediatamente all’introduzione è
stata omessa nel cantare. Invece di questa scena si trova un’invocazione a Cristo e a Apollo.
Da questa aggiunta il cantare ottenne un carattere più cristiano, che era più riconoscibile al
grande pubblico. L’amore del genere pastorale non si estendeva probabilmente alla gente
comune. Secondo Guthmüller la gente si interessava piuttosto agli amori e alle armi.
L’autore del cantare descrive poi la discendenza di Orfeo da Apollo e Calliope e il fatto che
Mercurio insegna a Orfeo a suonare la viola. Con il suo canto Orfeo sa ammaliare non solo
la natura, ma anche Euridice. Questi elementi sono forse aggiunti per procurare delle
informazioni essenziali sul personaggio di Orfeo, che non erano note a tutti (come lo erano
nella cerchia di Ficino e Poliziano).598 L’autore anonimo riproduce la canzone di Aristeo,
ma omette poi il seguito della scena pastorale. Tali cambiamenti si possono dunque
spiegare dal fatto che la favola elitaria fu adattata ad un pubblico comune.
La fuga di Euridice e la sua morte da un morso di serpente sono state adattate
liberamente, come è anche il caso per la canzone di Orfeo in latino. Non sono dunque
riprodotte letteralmente le parole latine. Come la Favola di Orfeo e Aristeo, che abbiamo
discusso nel paragrafo precedente, neanche il cantare era destinato a un pubblico che
conosceva il latino.
(aprile) (1933), pp. 135-136 (xilografia su p. 139). Secondo Simhart ‘Alla nostra versione corrisponde la
riproduzione del testo in: W. Müller-O.L.B. Wolff. Egeria (Leipz. 1829) pag. 181 sgg.’.
598
Queste informazioni erano disponibili all’autore nella Favola di Orfeo e Aristeo e nelle Genealogie di
Boccaccio, per esempio.
193
CAPITOLO 4
Nel seguito il cantare segue quasi sempre letteralmente la Fabula di Orfeo.
Tuttavia, sono state inserite delle ottave nuove tra quelle di Poliziano. Lo scopo della
maggior parte delle ottave nuove è di descrivere i diversi personaggi che appaiono in scena.
Anche questi cambiamenti sono causati dalla trasposizione da un dramma teatrale ad una
narrazione. Mentre in una rappresentazione teatrale si vedono apparire in scena dei nuovi
personaggi, spesso immediatamente riconoscibili dal loro viso e dai loro vestiti, in un testo
narrativo si deve introdurre un nuovo personaggio e descrivere il suo aspetto. Così sono
introdotti per esempio Caronte (che è aggiunto come personaggio), Cerbero, le Furie,
Minosse e Plutone, e sono descritti i loro incontri con Orfeo. Queste aggiunte non
cambiano l’essenza del mito.
Qualche volta le ottave inserite dall’autore anonimo non sono intese a descrivere i
personaggi, ma sembrano aggiunte per suscitare pathos. Tra la notizia della morte di
Euridice e il lamento di Orfeo, che nella Fabula di Orfeo si susseguono, si trovano otto
ottave che descrivono la reazione di Orfeo. L’autore sottolinea così il dolore di Orfeo
quando vede che la sua sposa è morta e dimostra il grande amore di Orfeo per lei:
Ah, quando intese la trista novella,
e vidde morta la sua cara sposa,
parvegli al cor sentir cento coltella,
doglia non hebbe mai tanto noiosa.
Fortemente di cor piangea quella,
ogni dura mente haria fatta pietosa;
con lachrime infinite assai si duole,
e piangendo dicea queste parole:
(La historia et favola d’Orpheo, XXVIII)
Ad Orfeo sembra di sentire nel cuore cento coltellate quando vede Euridice morta e piange
fortemente. Avrebbe mosso a pietà ‘ogni mente dura’ con il suo pianto, come lo sapeva fare
anche con il suo canto. Orfeo prende Euridice tra le braccia e parla alla sposa morta.
Quando vede il morso del serpente il suo dolore si aggrava ancora:
Orpheo in braccio tien morta costei,
piangendo, con parlar molto pietoso;
dicendo: “teco morir io vorrei,
chè senza te starò sempre noioso.”
E, risguardando, vidde giù da’ piei
el morso del serpente venenoso;
aggiunsegli dolor sopra dolore,
e doglia sopra doglia, e pena al core.
(La historia et favola d’Orpheo, XXXI)
194
FIGURA TEATRALE E AMANTE POPOLARE
Nella Historia et favola d’Orpheo l’amore di Orfeo per Euridice e il dolore per la morte di
lei sono dunque descritti con molta enfasi, cosicché il lettore non può che sentire una
grande compassione. Questa attenzione per la storia d’amore e per il dolore dell’amante è
tipica del genere dei cantari e fu forse rafforzata dalla presenza di Orfeo in altre poesie
medievali, in cui Orfeo è un amante cortese medievale (cf. § 1.5.5).
Altre aggiunte al testo di Poliziano sono di nuovo dovute al fatto che nel caso del
rifacimento si tratta di un testo narrativo: la liberazione di Euridice e lo sguardo indietro di
Orfeo sono per esempio descritti dal narratore, perché non erano visibili in scena. Queste
aggiunte non cambiano, però, l’essenza del racconto. La canzone trionfale di Orfeo in
latino è stata sostituita con il ringraziamento di Plutone, come nella Favola di Orfeo e
Aristeo, e Caronte sostituisce la Furia che vieta Orfeo di rientrare nell’Ade.599 Nel lamento
di Orfeo per la seconda morte di Euridice ci sono alcuni particolari notevoli: dopo la
seconda morte di Euridice Orfeo vuole essere chiamato ‘Orphano’, perché ormai è privo
della persona più amata (LXXVII).600 Poi Orfeo maledice la Medusa che generò il serpente
che uccise Euridice (LXXVIII). Tutti gli animali vengono ad ascoltare il canto di Orfeo:
Facea Orpheo il più dirotto pianto
che mai facesse al mondo creatura;
di lachrime è bagnato tutto quanto,
della sua vita più costei non cura.
Per tutto quel paese d’ogni canto
uccelli e fiere uscir’ della verzura,
e tutti quanti andorno ad ascoltare
d’Orfeo il pianto acerbo e ‘l lachrimare.
(La historia et favola d’Orpheo, LXXIX)
L’effetto del canto di Orfeo sugli animali dopo la seconda perdita di Euridice è tipico della
descrizione ovidiana del mito di Orfeo.
Nella descrizione dell’omosessualità di Orfeo i cantari divergono molto. Mentre la
Historia et favola d’Orpheo imita letteralmente l’intera canzone misogina di Orfeo, la
Historia di Orpheo descrive l’omosessualità esplicitamente, ma più succintamente:
costui fu ‘l primo nel regno di Tratia
che ‘l peccato trovò di sodomia
599
Anche all’inizio del cantare c’erano già delle analogie con La favola di Orfeo e Aristeo, come il dono della
lira da parte di Mercurio.
600
Il legame tra Orfeo e orfano si trova anche nella Fiorita di Armannino Giudice. Nell’inferno di Giudice
Orfeo si trova tra i difensori degli orfani: ‘Ancora qua sieno quelloro che fono defenditury de li orfany; infra
questoro parea Orfeo, fo chiamato per seo nomo ben parea custumato et sagio.’
195
CAPITOLO 4
(Historia di Orpheo, vv. 85-86)
Anche in questo cantare l’omosessualità viene considerata un peccato che è la causa
dell’uccisione di Orfeo. Il racconto nella Historia et favola d’Orpheo (e negli altri cantari)
continua più o meno come nella Fabula di Orfeo, ma con molte aggiunte dalle
Metamorfosi. Sia la descrizione dell’uccisione di Orfeo che gli eventi che seguono sono
stati presi da una versione di Ovidio: la natura che rimpiange la morte di Orfeo, il corpo di
Orfeo che viene buttato nel fiume, la testa che viene quasi mangiata da un serpente e infine
la riunione di Orfeo e Euridice dopo la morte.601 L’autore conclude il suo racconto poi con
la morale:
Non volse ricevessi già più scherno,
chè assai era punito del suo errore.
L’anima sua n’è gita a l’inferno,
e ritrovò la donna, e ‘l primo amore.
Sì che sia questo a voi esemplo eterno:
la donna è sol del’ homo il frutto e ‘l fiore;
però lor sol seguire habbi in memoria!Per tre quattrini si dà l’antica storia.
(La historia et favola d’Orpheo, XCVI)
La Historia et favola d’Orpheo è dunque in parte un’imitazione letterale della Fabula di
Orfeo di Poliziano, che è completata da elementi delle Metamorfosi. Infatti, molti dettagli
testuali si basano sul testo di Giovanni dei Bonsignori, ma anche su altri testi.602 Anche se il
testo di Poliziano, che era destinato ad un pubblico elitario, è per la maggior parte
conservato nei cantari popolari, la funzione di Orfeo e la morale sono state adattate al
nuovo pubblico. Orfeo non rappresenta più il simbolo dell’uomo in cerca di Dio, che non
deve ritornare alle cose terrene, ma è soprattutto un amante. La condanna
dell’omosessualità costituisce la morale del cantare: l’uomo deve amare la donna. La
rappresentazione teatrale umanistica di Poliziano è dunque trasformata in una storia
d’amore, che ha molte caratteristiche del romanzo medievale. Nel capitolo 5 vedremo che
la Fabula e i cantari formeranno anche la base della traduzione delle Metamorfosi da parte
di Nicolò degli Agostini, il quale vi aggiungerà di nuovo le allegorie trecentesche di
Giovanni dei Bonsignori.
601
Si veda il riassunto delle caratteristiche della descrizione ovidiana del mito di Orfeo nel § 1.3.2.
In una nota Guthmüller accenna alla dipendenza del cantare Historia de Orpheo dalla traduzione delle
Metamorfosi di Giovanni dei Bonsignori (Guthmüller, op.cit., p. 193).
602
196
FIGURA TEATRALE E AMANTE POPOLARE
4.4 IL MITO NEI CICLI PITTORICI
Dopo la prima rappresentazione della Fabula di Orfeo si assiste ad un aumento notevole
delle rappresentazioni di Orfeo nelle arti visive, e soprattutto di cicli pittorici. Andrea
Mantegna è il primo a raffigurare il mito in tre scene nel Palazzo Ducale di Mantova.603 La
raffigurazione di una serie di episodi o scene è una maniera per poter seguire la linea del
racconto. Gli artisti che raffigurano alcuni momenti del mito di Orfeo non cercano dunque
di rappresentare solo il personaggio di Orfeo, ma anche l’intreccio del mito. In questo
modo i cicli si lasciano paragonare a una rappresentazione teatrale come la Fabula di
Orfeo. Sequenze del genere si trovano soprattutto in alcuni cicli di affreschi a Mantova e a
Roma, ma anche in cassoni o spalliere, placchette di bronzo e maiolica.
4.4.1 Orfeo alla corte dei Gonzaga
Nello stesso periodo in cui Poliziano scrisse la sua Fabula, Andrea Mantegna (1431-1506)
dipinse nel Palazzo Ducale a Mantova la cosiddetta Camera degli Sposi, ovvero la Camera
Picta. Mantegna era il pittore di corte della famiglia Gonzaga. Il marchese Ludovico gli
commissionò di ornare una parete della camera con i ritratti di se stesso, di sua moglie
Barbara di Brandeburgo e di altri membri della sua famiglia.604 Sull’altra parete dipinta è
rappresentato forse l’arrivo a Mantova del secondo figlio Francesco, che era cardinale. Si
tratta dello stesso cardinale che commissionò la Fabula di Orfeo. È anche possibile che la
scena non rappresenti un motivo determinato, ma che essa offra un’immagine generica
della vita alla corte mantovana. Sul soffitto della stanza si vedono varie figure e vari
ornamenti. Intorno al cerchio dell’oculo con donne e putti che guardano giù è dipinta una
serie di imperatori romani. Tra gli imperatori e le pareti ci sono dodici pennacchi
triangolari, che trattano dei miti di Ercole, Orfeo e Arione. Mantegna ha cercato di
raffigurare i personaggi mitologici in stile antico: su modello di monete e gemme antiche le
figure seguono i principi dell’arte del rilievo e della scultura romana.605 Anche la tecnica
della grisaglia sullo sfondo del mosaico dorato artificiale e il fatto che Orfeo suona una lira
(invece di uno strumento contemporaneo) danno all’immagine un tocco antico.
603
Prima di Mantegna il mito di Orfeo fu soltanto raffigurato in più scene in manoscritti delle Metamorfosi:
Anonimo, La morte di Euridice & Orfeo e gli animali, in: Arrigo Simintendi, Ovidio Maggiore, ca. 1370-80.
Firenze, Biblioteca Nazionale, MS Panciatichi 63, fol. 84v; fol. 86r.
604
Il programma fu probabilmente sviluppato da Vittorino da Feltre, che si trovava alla corte mantovana
(Semmelrath, op.cit., p. 67).
605
Semmelrath, op.cit., p. 72.
197
CAPITOLO 4
Nella camera si vedono tre immagini di Orfeo. Nella prima scena Orfeo suona la
lira di fronte a due donne, a un albero e a un leone (ill. 4.12). Una della donne tiene in
mano un arco. Gli studiosi non sono d’accordo sul significato delle donne.606
4.12 Andrea Mantegna, Orfeo suona la lira, 1464-74
Nella seconda immagine Orfeo si trova con la sua lira di fronte a Cerbero, che sorveglia
l’entrata degli Inferi (ill. 4.13). Dall’apertura nella roccia esce una donna che sembra
gridare. La donna è stata identificata a volte con una Furia o con Euridice.607 Nell’ultima
scena Orfeo è bastonato a morte da tre ragazze (ill. 4.14).
606
Secondo Hannelore Semmelrath esse rappresentano gli esseri più bellicosi che Orfeo addomestica con la
musica (Semmelrath, op.cit., p. 70). Elizabeth Welles suggerisce invece che l’arco è un segnale del simbolismo
del cacciatore e della preda, che stanno ascoltando la musica insieme in pace (E. Welles, ‘Orpheus and Arion
as symbols of music in Mantegna ‘s Camera degli Sposi’, Studies in Iconography 13 (1989-90), pp. 113-144).
Elisabeth Schröter afferma che le donne possono rappresentare soltanto le Driadi, che nelle Georgiche di
Virgilio lamentano la morte di Euridice. Gli archi sarebbero degli attributi delle Driadi, che sono menzionati
qualche volta nella letteratura antica. L’immagine rappresenterebbe dunque la situazione dopo la morte di
Euridice (Schröter, op.cit., p. 130).
607
Semmelrath, op.cit., p. 70 (Furia); Rietveld (2004), op.cit., p. 18 (Euridice); Schröter (op.cit., p. 131) accenna
al fatto che la donna e Orfeo si guardano e che essa deve essere dunque Euridice.
198
FIGURA TEATRALE E AMANTE POPOLARE
4.13 Andrea Mantegna, Orfeo nell’Ade, 1464-74 / 4.14 Andrea Mantegna, La morte di Orfeo, 1464-74
La decorazione della camera fu realizzata tra il 1464 e il 1474 circa. Siccome non è stata
stabilita definitivamente la data della prima rappresentazione della Fabula, si riesce
difficilmente a determinare se sia la Fabula o la Camera ad essere stata concepita prima e
se ci sia un rapporto causale tra le opere. Gli studiosi hanno sempre avuto delle opinioni
diverse su questo problema. Ernesto Travi sostiene che Poliziano aveva visto a Mantova la
Camera degli Sposi già completata e aveva scritto poi la sua Fabula.608 Anna Cerbo è dello
stesso parere.609 Secondo Del Lungo invece, la Fabula fu recitata per la visita del cardinale
Gonzaga alla corte di Mantova, della quale visita Mantegna dipinse poi un’impressione
sulle pareti della Camera.610 Giuseppe Scavizzi suggerisce che Poliziano e Mantegna
potrebbero aver discusso l’argomento durante una visita di Poliziano a Mantova nel 147172.611 Secondo altri non c’è nessun rapporto di dipendenza tra le due opere.612
In effetti, risulta difficile dimostrare delle analogie, oppure delle influenze tra la
Fabula di Poliziano e le tre immagini di Mantegna. Anche nell’opera di Poliziano Orfeo
suona la lira (infatti, una lyra antica, dopo v. 140), ma non sono presenti donne o alberi.
Cerbero, che ha un ruolo prominente nella seconda immagine, è soltanto menzionato di
sfuggita da Poliziano quando Orfeo scende nell’Ade (vv. 169-180). In questi versi si parla,
però, anche delle Furie, che potrebbero influenzare l’interpretazione della donna
nell’immagine mantegnesca. La morte di Orfeo è trattata elaboratamente sia nella Fabula
che sull’affresco. Le analogie tra le due opere non sono dunque molto convincenti.
608
E. Travi, ‘L’esperienza mantovana del Poliziano: l’Orfeo’, in: Studi in onore di Alberto Chiari, II, Paideia,
Brescia,1972, pp. 1297-1313.
609
A.M. Cerbo, Metamorfosi del mito classico da Boccaccio a Marino, ETS, Pisa, 2001, p. 95.
610
Del Lungo, op.cit., p. 553.
611
Scavizzi, op.cit., pp. 111-162.
612
Tra altri: Roesler-Friedenthal, ‘Ein Porträt Andrea Mantegnas als alter Orpheus im Kontext seiner
Selbstdarstellungen’, Römisches Jahrbuch der Bibliotheca Hertziana 31 (1996), p. 174.
199
CAPITOLO 4
Anche quando vogliamo stabilire delle analogie tra Poliziano e Mantegna rispetto
alla funzione di Orfeo, incontriamo dei problemi. Come abbiamo discusso nel § 4.1.3
l’interpretazione della Fabula di Orfeo è stata molto discussa. Tuttavia, Mario Martelli ha
suggerito una spiegazione allegorica convincente, secondo la quale Orfeo simboleggia
l’uomo che non riesce a superare la vita attiva per arrivare alla vita contemplativa, ma che
ricade invece alla terra per abbandonarsi ai piaceri terreni.
Anche il programma artistico della Camera degli Sposi è interpretato in vari modi.
Secondo Ilse Blum le scene mitologiche simboleggiano il matrimonio cristiano.613 Scavizzi
critica questa ipotesi, e suggerisce di interpretare Orfeo e Arione come musicisti ed Ercole
e Periandro come campioni di virtù, che dovrebbero simboleggiare insieme i caratteri
dell’artista e del committente.614 In questo modo il soffitto sarebbe un panegirico in onore
di Ludovico Gonzaga, in cui Arione e Orfeo rappresenterebbero i due lati della vita
dell’artista (cioè di Mantegna stesso): il lato tragico e infelice dell’attività poetica in
generale (Orfeo) e la mancanza di successo che dopo qualche tempo procede al
riconoscimento (Arione e Periandro).615 Quest’interpretazione assegna a mio avviso a
Mantegna un ruolo eccessivamente grande.
Come diceva Martelli nella sua discussione della Fabula di Orfeo, Orfeo era spesso
visto non come simbolo della vita contemplativa, ma appunto come l’uomo che non riesce
a raggiungere questo livello. Rodolfo Signorini mostra che anche gli affreschi di Mantegna
si possono interpretare in questo modo.616 Ercole simboleggerebbe la Virtù e Orfeo, sul lato
opposto della camera, simboleggerebbe il contrario, cioè l’‘homo voluptati sensuum
deditus’. Signorini cita qui l’opinione negativa di Coluccio Salutati nel De laboribus
Herculis (cfr. § 2.8). Schröter propone di leggere gli affreschi piuttosto nel contesto di
Boezio, come raccomandazione di non lasciarsi deviare dalla strada che conduce al sommo
bene.617 Il contrasto tra Ercole e Orfeo, che appare negli affreschi, si trova, però, soltanto
nel libro di Salutati. Manca tuttavia in questa fonte la figura di Arione, che ha un ruolo
prominente negli affreschi.
Welles dice che Ercole, Arione e Orfeo rappresentano gli inventori delle arti della
guerra e della civilizzazione, che attraverso l’impero romano hanno trasferito le loro doti ai
Gonzaga.618 Ercole simboleggia la vita attiva, mentre Orfeo e Arione, come inventori di
613
I. Blum, Andrea Mantegna und die Antike, Strasbourg, 1936, p. 57.
Scavizzi, op.cit., p. 118; cf. § 2.3, n. 66.
615
Ibidem. L’identificazione di Mantegna con Orfeo è suggerita anche da Roesler-Friedenthal, op.cit. La sua
ipotesi si basa però, a mio parere, su troppe speculazioni non verificabili (come pensa anche Schröter, op.cit.,
p. 131).
616
R. Signorini, Opus hoc tenue. La Camera dipinta di Andrea Mantegna. Lettura storica iconografica
iconologica, Parma, 1985, pp. 214-217; 222. Cfr. Schröter, op.cit., p. 132; S. Roettgen, Wandmalerei der
Frührenaissance in Italien, vol. II (Die Blütezeit 1470-1510), München, 1997, p. 20.
617
Schröter, op.cit., p. 132.
618
Welles, op.cit., pp. 114-115.
614
200
FIGURA TEATRALE E AMANTE POPOLARE
musica e poesia, simboleggiano la vita artistica e contemplativa. Il soffitto rispecchia in
questa maniera l’ideale del buon principe, il cui regno è caratterizzato sia dal guerreggiare
che dalla venerazione delle arti. Questa interpretazione di Orfeo come simbolo della vita
contemplativa è eccezionale e non conforme alle opinioni comuni in quel periodo
(traduzioni delle Metamorfosi, corte laurenziana). Naturalmente Orfeo che cantava per gli
animali era spesso adoperato come simbolo dell’eloquenza civilizzatrice. Sugli affreschi di
Mantegna, però, gli animali sono pochi e Orfeo vi trova una fine infelice, il che non si lascia
conciliare bene con la sua funzione positiva. In combinazione con i ritratti dei Cesari
l’interpretazione di Welles sembra, però, probabile. Inoltre, non è stato raffigurato da
Poliziano lo sguardo indietro di Orfeo, che è tanto fondamentale per l’interpretazione della
sua ricaduta nei vizi terreni. L’interpretazione di Welles dimostra delle analogie con la
rappresentazione propagandistica di Orfeo da parte dei Medici un secolo dopo (cf. § 5.8).
Qualsiasi significato si debba attribuire agli affreschi, rimane il fatto che Orfeo
ottiene una posizione prominente in due opere importanti dello stesso periodo. A prima
vista gli affreschi mantegneschi di Orfeo non sembrano molto notevoli, ma bisogna tenere
presente che in quel tempo era una cosa eccezionale eseguire in grande una figura
mitologica in una stanza, invece che su un pannello o disegno.619 Probabilmente Poliziano e
Mantegna sapevano di lavorare ambedue sul mito di Orfeo e si influenzarono a vicenda.
Poliziano passò per Mantova durante i suoi viaggi e può dunque aver visto gli affreschi di
Mantegna. Mantegna, da parte sua, può aver conosciuto la Fabula di Orfeo durante la
rappresentazione dell’opera (probabilmente a Mantova) o attraverso un manoscritto. È
impossibile affermare chi di loro fosse stato il primo a pensare a Orfeo.620
Mantegna e le placchette di bronzo
Lo stesso problema si pone per le placchette di bronzo o le medaglie che nel passato sono
state attribuite a Bertoldo e oggi all’anonimo Maestro di Orfeo.621 Era l’usanza a Firenze e a
Padova di raffigurare dei temi mitologici in statuette, placchette e medaglie di bronzo, che
imitavano gli originali antichi.622 Le medaglie mostrano le stesse tre scene che furono
rappresentate da Mantegna: Orfeo che canta per gli animali e per alcune donne, Orfeo che
scende agli Inferi e la morte di Orfeo (ill. 4.15-17).623 Non è chiaro, però, quali di queste
619
Welles, op.cit., p. 114.
Probabilmente Poliziano conosceva la figura di Orfeo, però, soprattutto dai suoi contatti con Ficino.
621
Maestro di Orfeo (anche attribuito a Bertoldo), Orfeo e gli animali, Orfeo ed Euridice di fronte a Plutone &
La morte di Orfeo, placchette di bronzo, fine del sec. XV. Washington D.C., National Gallery of Art, Samuel
H. Kress Collection, no. 1957.14.234, 1957.14.233 & 1957.14.235.
622
Scavizzi, op.cit., p. 114.
623
San Juan accenna alla presenza delle donne negli affreschi di Mantegna e nelle placchette. La donna seduta
di fronte rappresenterebbe la melancolia. Questa figura sarebbe anche presente nell’affresco di Mantegna.
L’idea che il canto di Orfeo curasse la melancolia era nota da trattati musicologici, scritti neoplatonici e dalle
opere di Boccaccio. Le quattro donne si ripetono nei quattro elementi della natura: gli animali, gli alberi, i
620
201
CAPITOLO 4
opere fossero state eseguite prima, se quelle di Mantegna o quelle del Maestro di Orfeo, né
è possibile dire se gli artisti si conoscessero.
4.15-17 Maestro di Orfeo, Orfeo e gli animali, Orfeo nell’Ade, La morte di Orfeo, fine del sec. XV
Rosa Maria San Juan fa una distinzione tra i cicli di affreschi, i pannelli e le maioliche da
una parte, in cui gli artisti cercarono di trasferire la narrazione all’immagine, e dall’altra le
incisioni, i nielli e le placchette di bronzo, che non adoperano i miti per il loro significato
narrativo, ma per imitare le forme classiche.624 San Juan mostra che le placchette avevano
dimensioni e funzioni diverse: alcune funzionavano come il rovescio di medaglie, altre
avevano una funzione puramente ornamentale. Qualche volta le placchette furono
prodotte in serie (come le tre scene del mito di Orfeo), ma spesso si possedeva soltanto una
sola placchetta.625
Anche l’artista veronese noto come Moderno (probabilmente da identificare con
Galeazzo Mondella, 1467-1528) fece delle serie di placchette di bronzo che rappresentano
delle scene del mito di Orfeo. Ci sono delle placchette con Orfeo che suona per gli animali,
altre in cui Orfeo scende nell’Ade e perde Euridice e infine quelle che mostrano la morte di
Orfeo.626 Tematicamente le placchette sono molto simili a quelle del Maestro di Orfeo.
sassi e il fiume, che rimandano ai quattro temperamenti nell’allegoria dell’eloquenza di Boccaccio (San Juan,
The Legend of Orpheus, cit., p. 179).
624
San Juan, The Legend of Orpheus, cit., p. 2.
625
San Juan, The Legend of Orpheus, cit., pp. 168-169.
626
Moderno, Orfeo incanta gli animali campestri, fine del sec. XV-inizio del sec. XVI. Washington D.C.,
National Gallery of Art, Samuel H. Kress Collection, no. 1957.14.333; Moderno (attrib.), Orfeo suona per gli
animali, fine del sec. XV-inizio del sec. XVI. Washington D.C., National Gallery of Art, Widener Collection,
no. 1942.9.248; Moderno, Orfeo redime Euridice, fine del sec. XV-inizio del sec. XVI. Washington D.C.,
National Gallery of Art, Samuel H. Kress Collection, no. 1957.14.331; Moderno (attrib.), Orfeo discende
nell’Ade, fine del sec. XV-inizio del sec. XVI. Washington D.C., National Gallery of Art, Samuel H. Kress
Collection, no. 1957.14.330; Moderno (attrib.), Orfeo perde Euridice, fine del sec. XV-inizio del sec. XVI.
Washington D.C., National Gallery of Art, Samuel H. Kress Collection, no. 1957.14.332; Moderno (attrib.),
La morte di Orfeo, fine del sec. XV-inizio del sec. XVI. Washington D.C., National Gallery of Art, Samuel H.
Kress Collection, no. 1957.14.334. Esiste ancora un’altra placchetta con il motivo di Orfeo e gli animali:
202
FIGURA TEATRALE E AMANTE POPOLARE
Secondo San Juan, le placchette di Moderno differiscono, però, da quelle del Maestro di
Orfeo nella loro funzione: a partire dell’inizio del Cinquecento furono adoperati come
ornamenti domestici.627 L’interesse per le placchette si spostò dunque dal contenuto alla
presentazione formale: le placchette furono eseguite in dimensioni maggiori e con
attenzione maggiore alla scultura. San Juan mostra che tra le varie placchette attribuite a
Moderno tre sono forse dalla mano di Moderno stesso: quelle che seguono gli affreschi di
Mantegna e in cui Orfeo è la figura centrale (ill. 4.18-20).
4.18-20 Moderno, Orfeo e gli animali, Orfeo nell’Ade, La morte di Orfeo, fine del sec. XV-inizio del sec. XVI
Le altre placchette rappresentano due momenti diversi degli stessi episodi e furono
probabilmente eseguite da un altro artista. Le aggiunte al ciclo originale non si limitarono a
placchette di Orfeo, ma furono anche inserite almeno due placchette con il mito di
Arione.628
I palazzi dei Gonzaga
La figura di Orfeo era molto gradita ai Gonzaga. Scene del mito di Orfeo furono anche
dipinte in alcuni luoghi del Palazzo Te. Il Palazzo Te fu costruito e decorato da Giulio
Romano (1499-1546), che ricevette la commissione da Federico II Gonzaga, figlio di
Francesco II e Isabella d’Este. Il Palazzo Te non era la residenza del principe mantovano,
ma il luogo dove egli trascorreva il suo tempo libero. Orfeo si trova nella Sala delle
Metamorfosi, dove sono rappresentati alcuni miti ovidiani (cfr. § 5.2.3).629
Pseudo-Melioli, Orfeo e gli animali, fine del sec. XV-inizio del sec. XVI. Washington D.C., National Gallery
of Art, Samuel H. Kress Collection, no. 1957.14.206.
627
San Juan, The Legend of Orpheus, cit., p. 181.
628
San Juan, The Legend of Orpheus, cit., pp. 185-186.
629
Giulio Romano, Orfeo nell’Ade, affresco, 1527-29. Mantova, Palazzo Te, Sala delle Metamorfosi, parete
meridionale.
203
CAPITOLO 4
Anche nella Loggia delle Muse del Palazzo Te sono dipinte due scene del mito di
Orfeo.630 A sinistra della porta Euridice è inseguita da Aristeo e viene morsa da una vipera.
A destra Orfeo suona per gli animali (ill. 4.21). Oggi gli affreschi si trovano in una
condizione critica.
4.21 Jacopo Strada, Disegno dell’Atrio delle Muse, 1567-68
Le due scene si basano non tanto sulla Fabula di Orfeo, quanto sulle Georgiche di Virgilio,
dove Aristeo ha un ruolo primario. L’omaggio a Virgilio risulta anche dalla
rappresentazione di un’Allegoria delle arti mantovane, in cui la testa laureata di Virgilio
esce da una vasca, cioè dalla fonte d’ispirazione poetica.631
Il mito di Orfeo fu di nuovo rappresentato nel Palazzo Ducale a Mantova intorno al
1600.632 Al personaggio mitologico venne dedicata un’intera stanza. Il Camerino di Orfeo si
trova nell’appartamento d’estate tra la stanza degli Amori di Giove e quella del Pesce.633 Il
soffitto e le pareti sono stati decorati a stucco con episodi del mito di Orfeo. La sequenza
comincia sul soffitto con l’inseguimento di Euridice da parte di Aristeo (ill. 4.22).
630
Anonimo, La morte di Euridice & Orfeo e gli animali. Mantova, Palazzo Te, Loggia delle Muse, parete
centrale.
631
Palazzo Te. Mantova, Mantova, Phart, 2004, p. 19.
632
Anonimo, Storie di Orfeo, affreschi, ca. 1600. Mantova, Palazzo Ducale, Camerino d’Orfeo.
633
Il camerino è discusso elaboratamente da: M.G. Fiorini Galassi, ‘Il camerino detto di Orfeo nel Palazzo
Ducale di Mantova. Mito dell’ “eterno ritorno” o metafora ideologica del Rinascimento’, Civiltà Mantovana
N.S. 11 (1986), pp. 35-52.
204
FIGURA TEATRALE E AMANTE POPOLARE
4.22 Anonimo, Aristeo ed Euridice, Camerino di Orfeo, ca. 1600
Nella prima scena sulle pareti Orfeo suona la lira da braccio, mentre sta seduto sotto un
albero. Ai suoi piedi si trovano due dei marini con anfore. I personaggi nella seconda scena
sono interpretati da Maria Grazia Fiorini Galassi come cinque Eliadi (ninfe dei boschi), che
si lamentano insieme a Orfeo (con la barba) della morte di Euridice.634 A destra Cigno è
stato trasformato in uccello (il simbolo della morte). Nella terza immagine Orfeo si
inginocchia davanti a Plutone e Proserpina, mentre suona la lira. A sinistra Fiorini Galassi
distingue delle Erinni con serpenti, mentre a destra si trovano Cerbero e un Amorino
funebre che esce da una caverna. Nell’ultimo episodio Orfeo è ucciso dalle Baccanti.
Fiorini Galassi cerca di interpretare le scene del Camerino di Orfeo in maniera
diversa dall’interpretazione comune tornando alle fonti antiche del quinto secolo a.C.
Secondo tale interpretazione Orfeo sarebbe stato un agricoltore che lavorava per procurare
il cibo agli uomini; sarebbe diventato poi un savio e un sacerdote che per il bene dell’uomo
cercava di conformare le cose terrestri alla natura del cielo.635 Orfeo e Aristeo
rappresenterebbero le due facce dell’uomo rinascimentale: la technè e l’epistemè
servirebbero a promuovere la cultura. Anche Giove, nella camera accanto, non dovrebbe
essere intepretato come il dio mitologico, ma invece come ‘il comune principio vitale del
mondo’ (un’interpretazione tratta da Arato da Sicione). Tuttavia, Fiorini Galassi non offre
delle prove convincenti delle sue ipotesi ricercate e non tiene conto dell’immensa
634
Fiorini Galassi, op.cit., p. 38. In Ovidio si legge: ‘C’era un colle, e sul colle una radura pianeggiante che
germogli d’erba coprivano di verde. Non c’era ombra in quel luogo, ma quando il divino poeta vi venne a
sedere e trasse dalla lira un accordo, l’ombra lì si diffuse: apparve l’albero della Caonia, e con quello il bosco
delle Eliadi, […].’
635
Fiorini Galassi, op.cit., pp. 42-43.
205
CAPITOLO 4
popolarità di Virgilio e soprattutto di Ovidio in questo periodo. Inoltre, Aristeo non si
concilia bene con le interpretazioni di Fiorini Galassi, che si basano su antiche versioni
greche.
La scelta del mito di Orfeo fu forse suggerita all’artista dal Trattato dell’arte della
pittura, scultura et architettura (1584) di Giovanni Paolo Lomazzo, che per la decorazione
di edifici destinati al divertimento propone delle scene allegre delle Metamorfosi, come il
mito di Orfeo:636
si ricercano altresì historie di gioia e d’allegrezza, che del tutto non habbiano ombra di
malencolia, come sarebbe Mercurio, che con dolce sono addormenta Argo, le Eliadi che si
cangiano in arbori, Perseo che libera Andromeda dal mostro Marino, Marsia che concorre
nel sonar con Apolline, la caccia di Meleagro, il corso d’Hippomene et d’Atalanta,
l’eccellenza d’Orfeo nel sonare et tante altre favole raccontate da’ poeti. (Lomazzo, Trattato
dell’arte della pittura, ‘Quali pitture vadano dipinte intorno a’ fonti, cap. XXV, p. 345)
Anche a Sabbioneta nel Palazzo del Giardino di Vespasiano Gonzaga, che nacque da un
ramo cadetto della famiglia, fu allestito un Corridoio di Orfeo.637 Nel corridoio sono
affrescati quattro episodi del mito: Orfeo incanta gli animali, Orfeo discende nell’Ade,
Orfeo e Plutone e la morte di Orfeo da parte delle Baccanti. La villa fu costruita tra il 1577
e il 1588 come un luogo dove Vespasiano poteva passare il tempo libero.
La raffigurazione di Orfeo nei palazzi dei Gonzaga non è eccezionale: il cantante è
anche presente in alcune stanze della Villa Farnesina a Roma e nel Castel Sant’Angelo,
come vedremo nel § 5.2.3. Colpisce tuttavia il grande numero delle sue rappresentazioni a
Mantova. Anche Elisabeth Schröter accenna alla predilezione dei Gonzaga per il mito di
Orfeo, che non si vede soltanto negli affreschi, ma anche nella Fabula di Orfeo e nel 1607
nell’Orfeo di Monteverdi.638 A quanto pare, i Gonzaga avevano un legame speciale con
Orfeo. Se negli affreschi di Mantegna il mito di Orfeo simboleggiò probabilmente la faccia
culturale del potere dei Gonzaga, negli affreschi e stucchi successivi il mito assunse tuttavia
forse soltanto una funzione decorativa. Per stabilire il significato preciso di Orfeo in queste
immagini ci vorrebbero ricerche ulteriori.
636
G.P. Lomazzo, Trattato dell’arte della pittura, scultura et architettura, VI, xxvi (II, pp. 191-97) (citato da:
J. de Jong, De oudheid in fresco. De interpretatie van klassieke onderwerpen in de Italiaanse
wandschilderkunst, inzonderheid te Rome, circa 1370-1555, Rijksuniversiteit Leiden, 1987, p. 30).
637
Anonimo, Orfeo incanta gli animali, Orfeo discende nell’Ade, Orfeo e Plutone & La morte di Orfeo.
Sabbioneta, Palazzo del Giardino, Corridoio di Orfeo.
638
Schröter, op.cit., p. 129.
206
FIGURA TEATRALE E AMANTE POPOLARE
4.4.2 L’apparizione di Aristeo vs. Orfeo conciliatore
Subito dopo la prima rappresentazione della Fabula di Orfeo, che ebbe come protagonisti
sia Orfeo che il pastore Aristeo, quest’ultimo personaggio fu introdotto anche nella pittura
su tavola. L’artista fiorentino Jacopo del Sellaio fece tra il 1480 e il 1490 una serie di tre
cassoni oppure spalliere, che rappresentano scene del mito di Orfeo. Oltre a un pannello in
cui si vede l’inseguimento di Euridice da parte di Aristeo (ill. 4.23), ci sono due pannelli in
cui Orfeo suona per gli animali e in cui Orfeo scende agli Inferi per liberare Euridice.639
4.23 Jacopo del Sellaio, Aristeo ed Euridice, 1480-90
L’apparizione di Aristeo dipende con grande probabilità direttamente dalla
rappresentazione della Fabula.640 Benché la figura di Aristeo fosse anche presente in
manoscritti delle Georgiche e delle rielaborazioni ovidiane di Giovanni del Virgilio e di
Giovanni dei Bonsignori, la sua introduzione in questi anni sembra attribuibile al grande
successo dell’opera di Poliziano. L’innamoramento e l’inseguimento di Aristeo occupano la
metà del testo. Aristeo canta il suo amore per Euridice e le chiede di non fuggire il suo
amante:
639
J. Del Sellaio, Aristeo ed Euridice, cassone/spalliera, ca. 1480-90. Rotterdam, Museum Boijmans Van
Beuningen, no. 2563; idem, Orfeo e gli animali, cassone/spalliera, ca. 1480-90. Cracovia, Pánstwowe Zbiory
Sztuki na Wawelu (Castello di Wawel, Appartamenti Reali), no. 7934; idem, Orfeo nell’Ade, cassone/spalliera,
ca. 1480-90. Kiev, Museo dell’Arte Occidentale e Orientale, no. K 115. Del Sellaio fece anche una seconda
versione del pannello di Orfeo e gli animali (e forse degli altri pannelli), il che risulta dall’esistenza di un
frammento degli stessi animali combattenti (J. del Sellaio, Orfeo e gli animali, frammento. Ubicazione
sconosciuta (E. Callmann, ‘Jacopo del Sellaio, the Orpheus Myth, and Painting for the Private Citizen’, Folia
Historiae Artium, S.N. 4 (1998), p. 156).
640
L’influenza della Fabula di Poliziano è anche suggerita da: U. Reinhardt, ‘“Orpheus und Eurydike” - Bilder
zum Text’, Der altsprachliche Unterricht 40 (1997), pp. 80-96.. Secondo Callmann, invece, non si possono
vedere dei rapporti diretti tra la rappresentazione teatrale e le immagini di Del Sellaio, fuorché forse il vestito
bianco di Euridice e il fatto che Orfeo suona una lira (da braccio) invece di un liuto (op.cit., p. 157). Cf. anche
P. Schubring, Cassoni: Truhen und Truhenbilder der italienische Frührenaissance, Leipzig, 1915/1923.
207
CAPITOLO 4
ARISTEO
Non mi fuggir, donzella,
ch’i’ ti son tanto amico
e che più t’amo che la vita e ‘l core.
Ascolta, o nympha bella,
ascolta quel ch’i’ dico;
non fuggir, nympha, chi ti porta amore.
Non son qui lupo o orso,
ma son tuo amatore:
dunque rafrena il tuo volante corso.
Poi che el pregar non vale
e tu via ti dilegui,
e’ convien ch’io ti segui.
Porgimi, Amor, porgimi hor le tue ale!
(Poliziano, Fabula di Orfeo, vv. 128-140)
Queste parole sono quasi visibili sul pannello di Del Sellaio. In fondo a sinistra Orfeo riceve
forse la triste notizia della morte di Euridice.641 Nella Fabula questa notizia gli è riferita da
un pastore:
PASTORE
Crudel novella ti rapporto, Orpheo:
che tuo nympha bellissima è defunta.
Ella fuggiva l’amante Aristeo,
ma quando fu sovra la riva giunta,
da un serpente venenoso e reo
ch’era fra l’herb’ e’ fior, nel piè fu punta:
e fu tanto possente e crudo el morso
ch’ad un tratto finì la vita e ‘l corso.
(Poliziano, Fabula di Orfeo, vv. 141-148)
Il pastore descrive appunto quello che Del Sellaio dipinge. Orfeo comincia poi a piangere e
a suonare la lira (che sul pannello è diventata una viola/lira da braccio). Orfeo decide di
scendere nell’Ade per convincere Morte a ridargli Euridice, dicendo che la sua musica
aveva prima mosso anche le pietre, le selve e i fiumi, e tirato insieme ‘la cervia e ‘l tigre’ (v.
163). La nozione del potere conciliatore della musica di Orfeo è anche fondamentale nel
secondo pannello di Del Sellaio (ill. 4.24).642 Sullo sfondo e sui lati destri e sinistri si
641
Ellen Callmann interpreta questa scena, però, in modo diverso: Aristeo affronta tre uomini, uno dei quali
potrebbe essere Proteo (Callmann, op.cit., p. 156).
642
Non si può stabilire con certezza l’ordine dei pannelli. Se assumiamo che Del Sellaio si basò sul testo di
Poliziano l’indicazione del pannello con Orfeo e gli animali come il secondo pannello sembra giustificabile.
208
FIGURA TEATRALE E AMANTE POPOLARE
vedono degli animali combattenti e in particolare degli animali feroci che assalgono altri
animali o centauri. Intorno a Orfeo invece, vari animali, sia domestici che feroci, stanno
ascoltando la musica in pace. A destra in fondo si vede un tempietto, in cui un uomo
(Orfeo o Aristeo) fa forse un sacrificio agli dei.643
4.24 Jacopo del Sellaio, Orfeo e gli animali, 1480-90
Il terzo pannello mostra una scena infernale: Orfeo suona la lira da braccio di fronte a
Plutone, che è seduto su un trono nella roccia, mentre accanto a lui Euridice emerge dalla
stessa roccia (ill. 4.25). Nella parte destra del pannello Orfeo (che evidentemente ha
guardato indietro) cerca invano di tenere Euridice con sé, ma lei è tirata indietro da un
centauro infernale. Manca sul dipinto la figura di Proserpina che nella Fabula polizianesca
convince suo marito a lasciare Euridice. È stato aggiunto invece il centauro che tira
indietro la ninfa. Nel testo di Poliziano Euridice dice: ‘Ben tendo a te le braccia, ma non
vale, / ché indrieto son tirata. Orpheo mie, vale!’ (v. 249). Probabilmente è stato scelto un
centauro, perché i centauri erano noti come rapitori di spose.644
4.25 Jacopo del Sellaio, Orfeo nell’Ade, 1480-90
643
Callmann, op.cit., p. 156.
‘vino pleni Centauri conati sunt rapere uxores Lapithis’ (Igino, Fabulae, XXXIII; citato da Semmelrath,
op.cit., p. 77).
644
209
CAPITOLO 4
Ci si aspetterebbe forse un quarto pannello con la morte di Orfeo. Nella Fabula di Orfeo e
in altre versioni letterarie del mito (come quelle di Virgilio e Ovidio), ma anche in altri cicli
pittorici o cicli di placchette Orfeo viene ucciso alla fine dalle Baccanti. I quattro pannelli
potrebbero aver formato due cassoni, che funzionavano come regali di nozze.645 Tuttavia,
la presenza di un quarto pannello non può essere attestata con sicurezza. Infatti, i pannelli
potrebbero anche essere delle spalliere che furono attaccate alle pareti della camera degli
sposi. Secondo Ellen Callmann la morte di Orfeo non faceva parte della serie di spalliere,
perché il motivo non era adatto a una festa di nozze.646
Secondo De Vries-Robbé i pannelli appartennero invece, a un paio di cassoni che
furono dipinti per le nozze di Francesco Gonzaga e Isabella d’Este nel 1480.647 Questa
ipotesi sarebbe confermata dalla presenza di un cane in primo piano nel pannello con
Aristeo ed Euridice, che potrebbe alludere all’emblema dei Gonzaga, ma anche alla fedeltà
in generale. Naturalmente i Gonzaga furono anche i committenti della Fabula di Orfeo. A
mio parere il cane potrebbe essere un semplice attributo del pastore Aristeo, che deve
guardare il gregge. Tuttavia, non è da escludere la commissione da parte dei Gonzaga.
Rimane ancora ignota anche l’occasione in cui venne composta la Fabula di Orfeo, ma è
stato suggerito da Picotti appunto il doppio sposalizio di Clara Gonzaga con Gilbert de
Montpensier e di Francesco Gonzaga con Isabella d’Este.648 Anche se generalmente si
accetta adesso una data più remota per la composizione della Fabula, è attraente l’idea che
le due opere fossero fatte per la stessa occasione. Non sembra però probabile che
Poliziano abbia dovuto scrivere la sua opera in qualche giorno (se crediamo alla sua
affermazione), mentre Del Sellaio abbia avuto il tempo di dipingere due cassoni interi e che
poi le due opere siano state offerte durante le nozze..649
Giuseppe Scavizzi afferma che l’interpretazione del mito da parte di Sellaio è
originale e straordinaria: Orfeo è un vecchio filosofo orientale, che crea ordine nel mondo
caotico. Le analogie con l’Adorazione dei Magi di Leonardo da Vinci suggerirebbero che
Sellaio considerava Orfeo l’equivalente dell’ordine portato dalla religione cristiana.650
Scavizzi vede un contrasto tra la figura popolare di Prometeo, che aveva civilizzato gli
645
E.C. Kleeman & S.G. Willner, Italiaanse schilderijen / Italian paintings 1300-1500, Rotterdam, Eigen
collectie Boymans-van Beuningen, [1993].
646
Callmann, op.cit., pp. 156-157. Callmann si rifersice anche a un’altra serie di cassoni o spalliere, in cui
manca la morte di Orfeo. Questa serie sarà discussa nel § 5.5.
647
Citato da: Kleeman & Willner, op.cit.
648
Picotti, op.cit., pp. 87-120 (menzionato da Tissoni Benvenuti, op.cit., p. 58).
649
Non è probabile un ordine inverso, in cui Poliziano si sarebbe basato sui cassoni di Del Sellaio.
650
Scavizzi, op.cit., p. 123-124.
210
FIGURA TEATRALE E AMANTE POPOLARE
uomini, e Orfeo che si occupa piuttosto della natura.651 A mio avviso, il pannello di Sellaio
deve, però, anche essere interpretato come un’allegoria della civilizzazione e della
conciliazione degli uomini, un’interpretazione comune di Orfeo e degli animali nei testi
(cfr. § 2.4 e 5.4). I tre pannelli insieme potrebbere avere lo stesso significato della Fabula di
Poliziano, soprattutto per la predominanza del motivo dello sguardo indietro. Anche se la
morte di Orfeo è omessa, il mito finisce ancora male con la seconda perdita di Euridice.
Nei capitolo 6 e 7 vedremo che questo particolare venne spesso tralasciato nel contesto di
un matrimonio.
4.5 CONCLUSIONE
Per la prima volta nella letteratura italiana un’intera rappresentazione teatrale è dedicata a
Orfeo. Poliziano si basa su fonti antiche e aggiunge elementi che erano presenti
nell’antichità, ma che poi per la maggior parte erano scomparsi: la figura di Aristeo,
l’omosessualità e la morte di Orfeo. Poliziano aggiunge ancora altri particolari
completamente nuovi: la presenza di altri pastori amici di Aristeo e la canzone finale delle
Baccanti.
Poliziano presenta molti aspetti della figura mitologica polivalente: Orfeo come
poeta e musicista, come amante, come misogino e omosessuale, che alla fine muore dalle
mani delle Baccanti. Sul significato più profondo della Fabula e sulla funzione di Orfeo le
opinioni divergono. Mentre una parte degli studiosi attribuisce all’opera soltanto un valore
letterario-spettacolare, altri vi trovano alcuni significati diversi: l’opera simboleggerebbe il
trionfo dell’umanesimo, dell’omosessualità, del neoplatonismo, o della fede coniugale;
sarebbe stato scritto in occasione del carnevale e come racconto a chiave. A mio parere,
l’interpretazione allegorica suggerita da Martelli, in cui Orfeo rappresenta l’uomo in cerca
del sommo bene (Dio) che si volta ai piaceri terreni, è la più probabile nel contesto
laurenziano da cui Poliziano proveniva. Tuttavia la forza di Poliziano risiede appunto
nell’aver fatto convergere molti aspetti di Orfeo e di aver mostrato la sua versatilità. Orfeo
non è più un poeta o un amante stereotipato, ma un personaggio che si sviluppa e che
mostra le sue facce diverse. Il contrasto tra l’Orfeo polizianesco e quello ficiniano è
rimarchevole. Anche se Poliziano conosceva naturalmente il poeta-teologo su cui Ficino
basava la sua filosofia e con cui si identificava, l’autore montepulciano offre un’immagine
completamente diversa di Orfeo. Non vede Orfeo come un uomo reale, ma come un
personaggio della mitologia antica.
651
Secondo Scavizzi Sellaio aveva già raffigurato altri cicli letterari (Cupido e Psiche) su cassoni basandosi
sulle Genealogie (Scavizzi, op.cit., p. 123). Forse dobbiamo dunque anche cetare il significato dei cassoni con
Orfeo nelle Genealogie.
211
CAPITOLO 4
Nei drammi teatrali che si basano sulla Fabula di Orfeo il mito subisce delle
trasformazioni formali che sono legate al cambiamento del genere letterario. Mentre la
Fabula era una forma ibrida tra sacra rappresentazione ed egloga pastorale, l’Orphei
tragoedia e la Favola di Orfeo e Aristeo si adattavano al genere della tragedia classica, che
era soggetta a regole precise. All’inizio del Cinquecento gli scrittori si occupavano con
grande interesse delle distinzioni tra i diversi generi letterari e formularono delle regole per
poter scrivere precisamente nel genere scelto. Così, nelle due tragedie il mito di Orfeo è
diviso in cinque atti, per riempire i quali sono stati aggiunti, soprattutto nella Favola di
Orfeo e Aristeo, molti elementi da Virgilio e da Ovidio. Messaggeri descrivono la morte di
Euridice, che era troppo orrenda per essere presentata sul palcoscenico, e nella Favola
anche la morte di Orfeo è narrata dal messaggero Mirtillo. Inoltre, ogni atto della Favola
finisce con un coro.
Da questi cambiamenti e da queste aggiunte al mito non risultava però in
un’immagine completamente diversa di Orfeo. Secondo Tissoni Benvenuti nell’Orphei
tragoedia l’accento cade di più sulla storia d’amore, ma in fondo le tragedie presentano lo
stesso Orfeo. L’unica differenza notevole risiede nella mancanza dell’omosessualità: Orfeo
rimane sempre misogino, ma non è più omosessuale. Anche nella Favola manca
l’omosessualità di Orfeo. Poi, l’autore fa più attenzione agli effetti della musica di Orfeo
(discussione di Argastro e di Clitero). La mancanza dell’omosessualità dipende forse dal
fatto che il pubblico nuovo dell’Orphei tragoedia e della Favola aveva delle idee diverse su
questo argomento. Il cambiamento del pubblico si nota anche nell’uso diverso del latino:
l’Orphei tragoedia fu probabilmente rappresentata per un pubblico colto, che capiva i titoli
latini, i nomi dei personaggi e i canti di Orfeo. Inoltre, la sostituzione dell’ode al cardinal
Gonzaga con alcuni versi claudiani su Ercole indica probabilmente che l’opera fu
rappresentata per Ercole d’Este. Nella Favola di Orfeo e Aristeo manca il latino. Forse
l’opera era destinata ad un pubblico meno colto, che nondimeno aveva un grande interesse
per il mito antico, come mostrano le aggiunte sostanziali da Virgilio e Ovidio.
Anche i cantari che trattano di Orfeo ed Euridice si basano sulla Fabula di Orfeo. Le
divergenze rispetto all’opera di Poliziano sono causate soprattutto da variazioni nel metro
e dalla trasformazione della rappresentazione teatrale in un racconto narrativo. Per
l’ultima ragione i nuovi personaggi devono sempre essere introdotti e descritti al lettore.
L’omosessualtità di Orfeo è qualche volta menzionata esplicitamente e qualche volta
omessa a seconda delle concezioni morali dell’editore o dell’elaboratore del testo. Notevoli
sono le aggiunte al testo che focalizzano con insistenza sull’amore e sul dolore di Orfeo.
Questa attenzione per Orfeo amante doloroso è probabilmente influenzata dal genere dei
cantari, che trattano spesso di amori infelici. I cantari erano destinati a un pubblico
popolare, a cui questi tipi di argomenti erano evidentemente molto graditi. Con
l’introduzione di Orfeo nei cantari, il mito classico che prima era stato adattato da
Poliziano per un pubblico colto (che forse riconosceva i riferimenti ai testi classici e capiva
212
FIGURA TEATRALE E AMANTE POPOLARE
i canti latini del protagonista) fu reso accessibile anche alla gente comune. In fondo nella
descrizione del mito non si manifestarono che minime differenze tra la rappresentazione
elitaria e le storie popolari, ma la funzione di Orfeo cambiò. Sparì l’interpretazione
filosofico-religiosa dell’uomo in cerca di dio, per essere sostituita con una morale
sull’amore: il mito mostra che l’uomo deve solo amare la donna. Quest’interpretazione rese
il mito anche più adatto ad occasioni nuziali, come vedremo nei capitoli 6 e 7.
Contemporaneamente alla stesura della Fabula di Poliziano il mito di Orfeo appare
negli affreschi di Mantegna nel palazzo ducale mantovano, dove simboleggia
probabilmente l’aspetto culturale del buon governo. Le analogie iconografiche tra la
Fabula e alcuni pannelli di Del Sellaio sembrano attestare un rapporto causale tra la
rappresentazione e i pannelli. L’opera di Del Sellaio colloca il mito di Orfeo forse nel
contesto di una festa di nozze (dei Gonzaga?). Il mito di Orfeo continua a tornare
nell’ambito gonzagesco nel Cinquecento e troverà il suo culmine nella rappresentazione
dell’Orfeo di Monteverdi nel 1607.
Gli esempi citati mostrano bene che l’occasione, il destinatario o il pubblico di
un’opera e nel caso di affreschi il contesto iconografico sono decisivi per determinare la
funzione di Orfeo. Nella Fabula di Poliziano predomina l’interpretazione negativa di Orfeo
come l’uomo che si voltò ai piaceri terreni. Nel capitolo 6 vedremo, però, che Orfeo sarà
anche interpretato in modo molto positivo nell’ opera dello stesso autore (Orfeo
Argonauta-poeta eccellente). Questo doppio atteggiamento verso Orfeo l’abbiamo anche
incontrato nelle opere di Dante, Petrarca e Boccaccio (cap. 2). Nell’Orphei tragoedia (forse)
e nei cantari cambia la funzione di Orfeo: diventa l’amante tragico, che alla fine fu, però,
condannato per aver trascurato le donne dopo la seconda morte di Euridice. Nelle arti
visive l’opinione di Orfeo è probabilmente più positiva e la figura funziona come mezzo di
propaganda del potere dei Gonzaga. Le varie vesti in cui Orfeo si presenta nei palazzi dei
Gonzaga devono, però, ancora essere studiate insieme.
213
CAPITOLO 5. MITOGRAFO O FIGURA MITOLOGICA?
Le opere mitografiche cinquecentesche (ca. 1475-1600)
5.0 LA DIVULGAZIONE DEL MITO ATTRAVERSO LA STAMPA
Marsilio Ficino e Angelo Poliziano erano due studiosi fiorentini alla corte medicea con due
visioni completamente diverse su Orfeo. Per Ficino Orfeo era un poeta teologo che faceva
parte di un gruppo di prisci theologi, che trasmettevano delle sapienze antiche. Ficino
citava continuamente le opere del poeta antico, come gli inni orfici e le Argonautiche
orfiche. Poliziano focalizzava invece sul racconto amoroso di Orfeo ed Euridice con il suo
esito infelice. Con la Fabula di Orfeo l’autore ravvivò i testi di Virgilio e di Ovidio e
introdusse molti elementi nuovi nell’immagine stereotipata che aveva prevalso nella
letteratura italiana fino a quel momento.
Nel terzo capitolo ho discusso la presenza di Orfeo poeta teologo nelle opere di
Ficino e di un gruppo di studiosi neoplatonici intorno a lui. Nello stesso capitolo ho anche
anticipato la fortuna di questo nuovo Orfeo nel Cinquecento. Dappertutto emergono delle
citazioni orfiche, non solo naturalmente in opere filosofiche (Bruno), ma anche in trattati
di poetica in cui si vuole dimostrare l’antichità e il valore della poesia. Studiando gli altri
riferimenti a Orfeo negli ultimi decenni del Quattrocento e nel Cinquecento, bisogna
sempre tenere presente questa corrente di idee orfiche. Vedremo nel presente capitolo che
l’influenza dell’orfismo ficiniano si manifesta anche in alcuni dei principali trattati
mitologici.
Nel quarto capitolo ho discusso le tragedie e i cantari che imitavano la Fabula di
Poliziano. L’influenza della Fabula si estende, però, anche alle traduzioni cinquecentesche
delle Metamorfosi (specie a quella di Agostini). Inoltre, l’influenza dell’opera di Poliziano si
vede anche in altre opere letterarie e nelle arti figurative. Queste opere saranno, però,
trattate nel capitolo 6, in cui continuerà la discussione sulla presenza di Orfeo nel
Cinquecento.
I trattati mitografici e le traduzioni delle Metamorfosi offrono delle visioni
interessanti sulla mitologia. Secondo Jean Seznec durante il Medioevo la chiesa aveva
sempre scoraggiato il ricordo degli dei antichi.652 Fin dall’inizio del Rinascimento questa
censura rifiorì per mano di chierici come Enea Silvio Piccolomini e Girolamo Savonarola,
ma senza successo. Nel Cinquecento la mitologia si affermò definitivamente nell’arte e
nella letteratura. Neanche la Controriforma e il Concilio di Trento suscitarono
un’opposizione maggiore alla mitologia. Infatti, per la scelta di argomenti pittorici gli
artisti dipendevano da uomini letterati, come i chierici. Questi chierici erano stati istruiti
652
Seznec, op.cit., p. 263.
215
CAPITOLO 5
nella letteratura antica e stimolavano dunque piuttosto la scelta di argomenti mitologici,
anche se la loro predilezione per la mitologia causava un conflitto interiore.653 Questo
atteggiamento clericale spiega l’indulgenza della censura.
Tuttavia, la rappresentazione di figure mitologiche da parte degli artisti fu
considerata abusiva e pericolosa dal cardinale bolognese Gabriele Paleotto e da altri
chierici.654 Gli artisti si difendevano, però, dicendo che la preservazione degli dei antichi
non contevena nessun pericolo, perché ormai la superstizione era completamente sparita.
Inoltre gli artisti non erano liberi di scegliere i loro soggetti dato che questi venivano
stabiliti dai loro committenti. Inoltre, soltanto per mezzo della mitologia si poteva
dimostrare l’erudizione necessaria in grandi cicli pittorici. L’ultimo argomento per
convincere i censori fu la possibilità di interpretare i miti in maniera simbolica: gli dei
potevano ispirare l’amore del bene e l’odio del male.655 Soprattutto nella seconda metà del
Cinquecento, dopo il Concilio di Trento (1545-1563), si vede un aumento delle
interpretazioni allegoriche (cf. § 5.2.2). Le traduzioni mostrano bene l’atmosfera tesa
intorno al personaggio di Orfeo, che era percepibile sotto due aspetti:
- gli autori cercarono di riconciliare il personaggio antico con i valori cristiani
contemporanei. Per ottenere questo scopo si fa uso dell’allegoria.656
- gli autori cercarono di riconciliare l’immagine positiva e l’immagine negativa di
Orfeo: ogni autore offre la propria interpretazione della figura.
Queste tensioni si vedono in tutta la fortuna di Orfeo, ma si rafforzano ancora nel
Cinquecento.
Per via dell’invenzione della stampa alla fine del Quattrocento, i trattati mitologici e
le traduzioni delle Metamorfosi furono all’improviso disponibili tra un grande pubblico.
Questa maggiore familiarità con i miti antichi, e in particolare con quello di Orfeo, si
manifesta nel molteplicarsi dei riferimenti letterari a Orfeo e soprattutto nell’apparizione
diffusa di Orfeo nelle arti visive. Soprattutto le nuove rappresentazioni di Orfeo nell’arte
mostrano spesso l’influenza delle edizioni delle Metamorfosi e in particolare delle xilografie
in queste edizioni.
653
Seznec, op.cit., pp. 265-266.
G. Paleotto, Discorso intorno alle immagini sacre e profane ... diviso in cinque libri ..., dove si scuoprono
vari abusi loro, ‘Delle pitture di Giove, di Apolline, Mercurio, Giunone, Cerere, et altri falsi Dei’, Bologna,
1584; A. Possevino, Tractatus de poesi et pictura ethnica humana edt fabulosa, collecta cum vera, honesta et
sacra, Roma, 1593; P. da Cortona e Ottonelli (Odomenigico Lelonotti e Britio Prenetteri), Trattato della
pittura e scultura, uso, et abuso loro ... in cui si resolvono molti casi di coscienza intorno al fare e tenere
l’immagini sacre e profane, Firenze, 1652.
655
Seznec, op.cit., p. 269.
656
Secondo Luba Freedman c’era sempre una tensione in opere d’arte tra l’ammirazione dell’immagine antica
che esse suscitavano negli uomini rinascimentali e l’avversione per gli dei pagani (Freedman, op.cit.).
654
216
MITOGRAFO O FIGURA MITOLOGICA?
5.1 LA TRADIZIONE MITOGRAFICA: DA FIGURA MITOLOGICA A MITOGRAFO
Fin dalla loro stesura intorno al 1350 le Genealogie deorum gentilium di Boccaccio furono
il principale manuale mitografico in Italia. L’opera di Boccaccio fu stampata per la prima
volta a Venezia nel 1472 e seguirono sei edizioni fino al 1500. Le Genealogie rimasero il
manuale mitologico più consultato fino alla metà del Cinquecento, quando apparvero tre
manuali nuovi di Giraldi, Conti e Cartari. Nel § 5.2.2 vedremo che le spiegazioni
allegoriche di Boccaccio saranno ancora inserite in un’edizione di Anguillara del 1563.
I manuali erano spesso consultati da artisti, che dovevano raffigurare scene bibliche
e mitologiche. In De’ veri precetti della pittura (1587) Giovanni Battista Armenini enumera
gli autori, che tutti gli artisti devono leggere: per la mitologia si tratta di Boccaccio, di
Ovidio e di ‘Alberico, cioè del Cartaro’.657 Anche Giovanni Paolo Lomazzo si riferisce nel
suo Trattato dell’arte della pittura (1584) a Cartari. Infatti, lo scopo principale delle opere
d’arte non era il piacere estetico, ma l’idea dietro l’immagine. C’era un interesse particolare
per i segni esteriori (attributi, vestiti), che erano visti come simboli di quest’idea.
Secondo Jean Seznec tra i tre mitografi nuovi ci sono più similitudini che
differenze.658 Giraldi influenzò gli altri due autori nella stesura dei loro trattati mitologici.
Le tre opere elaborano lo stesso argomento, ma si sviluppano in direzioni diverse: Giraldi
enumera soprattutto i nomi, gli epiteti e le etimologie, trascurando il contenuto dei miti.
Conti invece interpreta i miti in modo più profondo, mentre Cartari è in primo luogo un
iconografo che descrive le apparizioni degli dei. A parte queste differenze i tre mitografi si
trovano, secondo Seznec, più o meno allo stesso livello. Nel trattare il mito di Orfeo ho
tuttavia scoperto grandi differenze tra Conti e gli altri due autori. Conti dedica un capitolo
separato al cantante mitologico, mentre nei libri di Giraldi e di Cartari Orfeo non viene
menzionato separatamente. La differenza risiede in parte nel fatto che Conti scrive sulla
mitologia in generale, mentre Giraldi e Cartari si limitano a descrivere gli dei antichi.
Siccome Orfeo non è un dio antico (ma solo un semidio), non è descritto tra gli altri dei.
Tuttavia, vedremo nel § 5.1.2 che Orfeo assume un ruolo diverso, ma anch’esso
importante.
657
658
Seznec, op.cit., pp. 257-258.
Seznec, op.cit., p. 233.
217
CAPITOLO 5
5.1.1 Le Mythologiae di Natale Conti
Le Mythologiae, sive explicationum fabularum libri decem di Natale Conti (1520-?) furono
stampate per la prima volta da Aldo Manuzio a Venezia nel 1551.659 Nei primi cinque
capitoli del primo libro Conti spiega il suo scopo: studiare quello che si trova sotto i miti.
Secondo Conti, i greci avevano imparato una filosofia venerabile in Egitto e l’avevano
nascosta alla folla in favole, che nel corso del tempo furono stravolte da parte dei poeti in
teologie assurde. L’interprete doveva poi fare una distinzione tra i miti assurdi e quelli che
conducevano a una vita virtuosa.660 Gli dei sono divisi in nove gruppi, che si ricollegano a
temi cristiani. Nel libro VII, capitolo 14 delle Mythologiae Conti descrive la figura
mitologica di Orfeo. Conti comincia la sua descrizione di Orfeo con una discussione
sull’identità dei genitori dell’eroe. Per dimostrare il potere del canto di Orfeo Conti cita dal
primo libro delle Odi di Orazio e dal primo libro delle Argonautiche di Apollonio. Poi
l’autore si riferisce al Suida per l’affermazione che molti erano gli Orfei:
Et quamuis multi fuerunt Orphei, vt testatur Suidas, omnia tamen ceterorum facinora ad
vetustissimum Thracem Oeagri filium referuntur, qui, vt ait Zez.hist.399.chil.12. fuit
Herculis coetaneus; ac floruit annis centum ante bellum Troianum.
(Conti, Mythologiae, liber VII, cap. XIV, p. 227 (ed. 1568))661
Anche Boccaccio aveva già affermato in un capitolo sulla poesia nelle Genealogie (libro
XIV, cap. VIII) che c’erano più Orfei e Musei, come abbiamo visto nel § 2.5. Secondo
Boccaccio l’Orfeo più antico era greco, mentre quello più recente, che inventò i riti di
Bacco e delle Menadi, fu tracio. Per via dei suoi meriti quest’ultimo Orfeo fu identificato
dai posteri con il primo. Secondo Conti invece, tutte le azioni degli altri Orfei sono
attribuite a quello più antico, l’Orfeo tracio, figlio di Eagro, che visse contemporaneamente
a Ercole. Orfeo fu il primo dei Greci a scrivere sull’astrologia (Luciano); introdusse i riti di
Bacco nella Grecia ed instaurò i cosiddetti riti orfici in Beozia (Lattanzio); rivelò per primo
le origini degli dei e la teologia, e i modi di placare gli dei irati; inventò molti rimedi contro
malattie (Argonautiche orfiche).662
Segue un elenco di tutti gli argomenti di cui Orfeo ha scritto: della natura (la
generazione degli elementi, la forza dell’amore), della mitologia (la gigantomachia, il ratto
659
Moltissime furono le edizioni dell’opera: Venezia (1551, 1568, 1581); Francoforte (1581, 1584, 1585, 1596);
Parigi (1583, 1588, 1605); Ginevra (1596); Lione (1602); Hanau (1605); Padova (1616). Poi c’erano altre
edizioni in lingua francese (Seznec, op.cit., p. 279).
660
Allen, Mysteriously Meant, cit., p. 226.
661
‘E benché molti fossero gli Orfei, come attesta il Suida, tutti gli atti degli altri rimandano a quello
vecchissimo Tracio, figlio di Eagro, che, come dice Zez.hist.399.chil.12, fu coetaneo di Ercole; e lui fiorì cento
anni prima della guerra troiana.’
662
Conti non fa, però, mai menzione di Boccaccio e neanche di Giraldi (Allen, Mysteriously Meant, cit., p.
225).
218
MITOGRAFO O FIGURA MITOLOGICA?
di Proserpina, Cerere, Ercole, gli Dei), dei riti e della magia (i riti dei Coribanti, i lapilli, le
risposte degli oracoli, i sacrifizi, l’arte dell’auspicio, l’interpretazione di sogni e prodigi,
l’espiazione degli inferi, ecc.) e dell’astrologia. L’elenco deriva dalle Argonautiche di Orfeo
stesso.
Hic idem scripsit de elementorum inter se generatione mutua, de vi amoris in rebus
naturalibus, de Gigantibus com Ioue pugnantibus, de raptu & luctu Proserpinae, de Cereris
erroribus, de laboribus Herculis, de Idaeorum, & Corybantum sacrorum ritibus, de lapillis,
de occultis oraculorum responsis, de Veneris & Mineruae sacrificiis, de luctu Aegyptiorum
Osiridis causa, & de illorum lustrationibus; de vaticiniis, de obseruationibus auspiciorum,
de situ fibrarum, de somniorum interpretatione, de signis ac prodigiis, deque illorum
expiationibus, de expiatione inferorum, de ratione & motu astrorum, quo pacto Dii irati
placari possint, de quibus omnibus se scripsisse restatur in initio suorum Argonauticorum.
(Conti, Mythologiae, liber VII, cap. XIV, p. 227 (ed. 1568))663
L’invenzione dell’arte dell’auspicio (con animali diversi dagli uccelli) è anche menzionata
da Boccaccio (libro V, cap. XIII, 15). Conti cita anche Pausania, secondo il quale Orfeo e
Anfione furono visti come maghi egizi. Conti sembra mettere l’accento soprattutto su
Orfeo poeta-teologo, che negli Inni e nelle Argonautiche rese conto della sua conoscenza
degli dei e di vari costumi e riti religiosi. Orfeo è considerato un grande savio.
Questa visione positiva non si lascia collegare facilmente al racconto amoroso di
Orfeo ed Euridice. Conti mostra di non credere a questo racconto. Mentre le azioni del
poeta-teologo erano descritte piuttosto come fatti o eventualmente come opinioni di certi
autori, nella descrizione della storia d’amore Conti adopera più volte l’espressione ‘fama
est’. Vedremo in seguito che per Conti tutte le favole mitologiche su Orfeo sono delle
finzioni. Le fonti citate per il racconto su Orfeo ed Euridice sono le Metamorfosi e le
Georgiche, ma è anche menzionata la descrizione degli inferi da parte di Orfeo stesso nelle
sue Argonautiche.
Per descrivere la morte di Orfeo e le sue cause Conti non si accontenta di
riprodurre semplicemente gli eventi menzionati nell’undicesimo libro di Ovidio, ma offre
663
‘Lui stesso scrisse della generazione reciproca degli elementi, della forza dell’amore nelle cose naturali, dei
Giganti combattenti con Giove, del ratto e del lutto di Proserpina, delle peregrinazioni di Cerere, delle fatiche
di Ercole, dei riti dei Greci e dei Coribanti sacri, dei lapilli, delle risposte occulte degli oracoli, dei sacrifizi di
Venere e di Minerva, del lutto degli Egizi per via di Osiride e delle loro lustrazioni; dei vaticini, delle
osservazioni degli auspici, della posizione delle viscere, dell’interpretazione dei sogni, dei segni e dei prodigi e
delle loro espiazioni, dell’espiazione degli dei infernali, della ragione e del movimento delle stelle, con quale
patto gli dei arrabbiati possono essere calmati, di tutto il quale lui dichiara di aver scritto all’inizio delle sue
Argonautiche.’
219
CAPITOLO 5
otto versioni diverse della fine del personaggio mitologico.664 Dopo aver descritto tutte
queste opinioni antiche sulla figura mitologica di Orfeo, Conti dice di considerarle finzioni:
Haec ea sunt, quae de Orpheo memoriae sunt prodita ab antiquis: nunc cur ficta sint
explicemus. (Conti, Mythologiae, liber VII, cap. XIV, p. 228 (ed. 1568))665
Conti offre consecutivamente una spiegazione evemeristica, una spiegazione cosiddetta
fisica e una allegorica della figura di Orfeo:
Orpheus Apollinis & Calliopes filius fuisse dicitur vel Polymniae, quoniam vir fuit artis
dicendi & metro praecipue praestantissimus: atque omnes viri boni Deorum filii dicti
fuerunt; quod animae insignium virorum ex aliqua spherarum & e sole praecipue in haec
corpora descendisse putarentur. Hic idem cum in rudes adhuc mortales incidisset, qui sine
ullo morum delectu, & sine legibus viuerent; ferarumque ritu per agros nullis conditis tectis
vagarentur, tantum dicendo, & orationis suauitate valuit, vt ad mansuetius vitae genus
homines traduxerit, illos in vnum locum conuocarit, ciuitates condere docuerit, legibusque
ciuitatum obtemperare, matrimoniorum foedera seruare; quod fuit antiquorum poetarum
munus creditum, & est re ipsa, sicut ait Horat.in arte poet.
(Conti, Mythologiae, liber VII, cap. XIV, p. 228 (ed. 1568))666
Orfeo fu un uomo storico, che con la sua eloquenza civilizzò gli uomini incolti. Questa
spiegazione concorda bene con l’immagine positiva di Orfeo teologo.
664
Secondi alcuni autori Orfeo sarebbe stato ucciso, perché aveva dimenticato di cantare le laudi di Bacco
nell’inferno; il dio ordinò dunque alle sue Baccanti di lacerare Orfeo. Secondo altri, invece, dopo la morte di
Euridice Orfeo persuase gli altri uomini della malignità delle donne, per cui esse lo uccisero. La terza ragione
della morte di Orfeo era la ‘turpissima causa’ raccontata da Ovidio. Pausania disse, invece, che le donne
erano arrabbiate, perché Orfeo attirò con il canto molti uomini e li condusse con sé. Però, Apollodoro scrisse
che Calliope doveva risolvere il conflitto di Venere e Proserpina, che si erano innamorati ambedue di Adone.
Quando Calliope decise che le dee dovevano condividere Adone, Venere mandò delle donne ad uccidere il
figlio della Musa, Orfeo. Poi Conti cita l’opinione dell’autore non molto noto Agatarchide, secondo il quale
Orfeo si suicidò dopo essersi deluso, quando l’Euridice che apparve a lui durante un’evocazione degli spiriti
non era reale. Secondo altri, invece, Orfeo fu colpito dal fulmine, perché aveva divulgato i segreti dei riti
iniziatici tra gli uomini. Nell’ottava versione Orfeo si suicidò da tristezza dopo la morte di Euridice.
665
‘Queste sono le cose che sono state trasmesse su Orfeo alla memoria da parte degli antichi: adesso
spiegheremo perché esse sono finte.’
666
‘Si dice che Orfeo fu figlio di Apollo e di Calliope ossia di Polinnia, perché fu un uomo che era soprattutto
eccellentissimo nell’eloquenza e nel metro: e tutti gli uomini buoni furono detti figli degli dei; perciò si pensa
che le anime degli uomini insigni discendano da una delle sfere e dal sole soprattutto in questi corpi. Quando
lui stesso incontrò degli uomini ancora incolti, che vivevano senza nessun costume e senza nesuna legge, e
che alla maniera di bestie girovagavano senza case, lui fu tanto potente nel suo parlare e nella soavità della
sua orazione, che spinse gli uomini a un modo di vivere più addomesticato, li convocò in un luogo, insegnò a
formare delle civiltà, ad ubbidire alle leggi delle civiltà, a rispettare i legami coniugali; questo fu considerato il
dono dei poeti antichi, e la cosa è come dice Orazio nell’Arte poetica.’
220
MITOGRAFO O FIGURA MITOLOGICA?
Abbiamo già visto che Conti descrive la figura di Orfeo non solo in base agli autori
classici, ma anche in base alle parole di Orfeo stesso. Conti usa spesso le Argonautiche di
Orfeo come fonte per informazioni autobiografiche. Inoltre, anche nelle descrizioni di altre
figure mitologiche egli si riferisce ad altre opere di Orfeo, e soprattutto agli inni. Citiamo
per fare un esempio un frammento dalla descrizione delle Muse:
Musae, quae poetarum praesides, omniumque cantilenarum autores fuisse putabantur,
Iouis & Mnemosynes filiae dictae sunt, veluti testatur Orpheus in hymno in Musas hoc
pacto;
Μνημοσυνής κὰι ζηνὸς ἐριγδύποιο θὺγατρες
Μῦσαι πιερίδες μεγαλώνυμοι, ἀγλάοφανοι.
Mnemosynesque Iouisque satas de semine canto
Pieridas Musas, praeclarae numina famae.
(Conti, Mythologiae, liber VII, cap. XV ‘De Musis’, p. 228)667
Nelle Mythologiae Orfeo non è dunque considerato un personaggio mitologico
d’invenzione, ma un poeta antico, che scrisse degli inni autorevoli sugli dei antichi.
Tuttavia, Orfeo è ancora presentato in un lemma esteso come altri personaggi mitologici.
Da una parte Orfeo appartiene dunque ancora alla mitologia, mentre dall’altra parte è visto
come un mitografo storico, cosa che noteremo anche nei trattati di Giraldi e Cartari.
Questa spaccatura mostra le riserve degli scrittori italiani su come trattare la figura di
Orfeo. Si tratta di un teologo venerabile o invece di un amante discutibile? Questo
conflitto, che abbiamo già incontrato nelle opere di autori trecentechi come Petrarca e
Boccaccio e quattrocenteschi come Poliziano, continuerà sia nei trattati mitografici che in
altri testi del Cinquecento.
5.1.2 Orfeo mitografo nei trattati mitologici ed iconografici
Qualche anno prima di Conti fu pubblicato il libro De deis gentium (1548) di Lilio Gregorio
Giraldi.668 Nel primo sintagma del De deis gentium Giraldi dice che i pagani erano inclini a
venerare le creazioni di Dio come il sole e la luna, a presumere che tutti gli dei erano stati
degli uomini (Evemero), e a negare l’esistenza degli dei (Diagora). Poi Giraldi divide gli dei
principali in tredici gruppi, basandosi sui loro poteri e sulle loro funzioni. Anche se Giraldi
si vanta del suo approccio scientifico e dell’uso di fonti antiche, egli riproduce anche certe
etimologie e allegorie più recenti.669
667
‘Le Muse, di cui si pensa che presiedessero ai poeti e che fossero gli autori di tutte le cantilene, sono
chiamate figlie di Giove e di Mnemosine, come attesta Orfeo nell’inno alle Muse in questo modo: “io canto le
Muse pieridi, numi di fama eccellente, che sono state seminate dal seme di Mnemosine e di Giove.”’.
668
L.G. Giraldi, De deis gentium varia et multiplex historia in qua simul de eorum imaginibus et
cognominibus agitur, etc., Basilea, Oporinus, 1548.
669
Allen, Mysteriously Meant, cit., p. 224.
221
CAPITOLO 5
Nel 1556 Vincenzo Cartari scrisse Le imagini degli dei degli antichi.670 Il trattato di
Cartari non è un semplice manuale mitologico, ma piuttosto un manuale iconografico.
Nella prefazione alla prima edizione si dice che prima di Cartari molti avevano scritto sugli
dei antichi, ma che nessuno aveva descritto le loro statue e le loro rappresentazioni
nell’arte. Questo libro non è solo destinato al lettore comune, ma soprattutto a scultori,
pittori e poeti. Cartari si basa su Alciati, Giraldi, Alessandro di Napoli (Dies geniales, 1522),
sui mitografi antichi, sugli esegeti cristiani e medievali e su Boccaccio. Anche Cartari
intreccia le interpretazioni etimologiche, evemeristiche e allegoriche.671
In ambedue questi libri Orfeo non è più menzionato come figura mitologica,
probabilmente perché i libri trattano degli dei antichi e Orfeo non è un dio. Non si trova in
questi libri un lemma su Orfeo, ma Orfeo è menzionato e citato spesso come fonte sul
carattere degli dei antichi. Orfeo è visto agli occhi di questi due autori come il poetateologo antico che venne introdotto in Italia molto elaboratamente da Marsilio Ficino (cap.
3). Già Ficino citò dalle opere letterarie di Orfeo, e soprattutto dagli Inni, per descrivere
Amore e gli altri dei. Anche Giraldi e Cartari citano dei frammenti dalle opere orfiche, ma
non nel contesto di un’opera filosofica e neoplatonica, bensí in un manuale mitologico.
Orfeo si è trasformato da una semplice figura mitologica in un mitografo lui stesso.672 Nella
Historia di Giraldi si trovano moltissimi riferimenti alle opere di Orfeo.673 Scelgo un
esempio in modo casuale:
Quidam et Ventos ipsos deos fecerunt, ut in primis ostendit Orpheus, qui hymnos eis
adolet cum libano, id est thure, Boreae scilicet et Zephyro ac Noto.
670
V. Cartari, Le imagini colla sposizione degli dei degli antichi, Venezia, Marcolini, 1556. Le Imagini furono
stampate in dodici edizioni italiane: Venezia (1556, 1566, 1571, 1580); Lione (1581); Padova (1603, 1608,
1615); Venezia (1624); Padova (1626); Venezia (1647, 1674). Poi c’erano altre edizioni in lingue diverse
(Seznec, op.cit., p. 279).
671
Allen, Mysteriously Meant, cit., p. 232.
672
Gli scritti di Orfeo poeta-teologo furono anche adoperati come fonte d’ispirazione per le mascherate a
Firenze, come risulta dal Discorso sopra la Mascherata della Genealogia degl’Iddei dei gentili (1565) di Baccio
Baldini. La mascherata fu probabilmente organizzata per il matrimonio di Francesco I de’ Medici. Per la
rappresentazione del Mese ci si è servito della descrizione del Mese negli Inni di Orfeo. Altre mascherate in
cui ci si è servito degli Inni orfici sono: Carro primo di Demogorgone, p. 7; Decimo Carro di Minerva, p. 70.
673
Un elenco dei moltissimi riferimenti a Orfeo in Giraldi: Syntagma 1, pp. 7 (2x), 9, 12, 19, 21, 24, 34, 37, 40,
43, 46 (2x); Syntagma 2, pp. 1 (2x), 2 (3x), 3, 4 (3x), 6 (4x), 7, 12 (2x), 14, 16, 23, 29, 32; Syntagma 3, p. 12;
Syntagma 4, pp. 2 (3x), 4 (2x), 5, 7, 9 (3x), 13, 15, 16; Syntagma 5, pp. 7, 8 (marini dei), 9, 10, 11, 12, 13
(2x), 15, 16, 19, 20, 22 (3x), 24 (2x), 25; Syntagma 6, pp. 3, 4, 12, 15, 16, 19; Syntagma 7, pp. 1, 3, 4, 6, 7, 8, 11,
12, 14, 16, 18, 22, 24, 25, 26, 29, 32, 33, 34, 35, 37, 38; Syntagma 8, pp. 2, 4, 6, 7, 9, 10, 11, 13, 14, 15, 16, 17, 18,
19, 20, 21, 22; Syntagma 9, pp. 3, 5, 7, 8, 9, 10, 13, 14, 15; Syntagma 10, pp. 5, 6, 8, 13, 15, 16; Syntagma 12, pp.
2, 3, 4, 5, 7, 9, 17, 18, 22; Syntagma 13, pp. 6, 17, 19, 21, 22, 24, 26, 27, 28; Syntagma 14, pp. 1, 5, 7, 9;
Syntagma 15, pp. 2, 7, 12, 13, 17; Syntagma 16, pp. 1, 8; Syntagma ultimum, pp. 9, 12, 66 (ed. Basilea, 1548:
www.oeaw.ac.at/kal/mythos/).
222
MITOGRAFO O FIGURA MITOLOGICA?
(Giraldi, Historia de deis gentium, syntagma 5, p. 24)674
Anche Cartari cita qualche volta dagli inni orfici, per descrivere l’aspetto degli dei. Ecco un
esempio dove si parla della figura di Giove. Cartari spiega l’essenza di Giove citando le
parole di Orfeo poeta teologo:
Diceva Orfeo Theologo dei Greci che Giove è primo et ultimo di tutte le cose, fu innanzi a
tutti i tempi che unqua sono stati, e sarà dopo tutti quelli che verranno ; tiene la più alta
parte del mondo, e tocca la più bassa anchora, et è tutto in tutti i luoghi. [...] Questa
imagine di Giove fatta da Orfeo in forma dello universo mi tira a porre quella di Pan per la
similitudine che hanno tra loro [...] (Cartari, Le imagini, p. XXVIIIv.)
Siccome Giraldi e di Cartari non descrissero il personaggio di Orfeo stesso, i loro trattati
non influenzarono direttamente la sua immagine nella letteratura e nell’arte
cinquecentesche. Indirettamente influenzarono forse la sua fortuna, nel senso che Orfeo
non fu più visto come un personaggio mitologico e dunque fu forse rappresentato meno
frequentemente nelle arti figurative. Gli artisti che cercavano un argomento da dipingere e
che dai trattati di Armenini e Lomazzo erano rimandati al trattato di Cartari, non
trovarono dunque nessuna descrizione di Orfeo.675 Tuttavia, Lomazzo accenna anche due
volte a Orfeo come tema pittorico. Una volta si riferisce a Orfeo per la decorazione di una
sala, come ho citato nel § 4.4.1.676 Si tratterebbe di una ‘historia di gioia, e d’allegrezza’. In
questo caso Lomazzo parla soltanto dell’‘eccellenza d’Orfeo nel sonare’ e trascura le
connotazioni negative del mito. Un simile riferimento a Orfeo come esempio
dell’eccellenza musicale si trova in una raccolta di stampe, che rappresentano le lettere
dell’alfabeto con un’immagine di una figura mitologica per ogni lettera.677 La lettera O sta
per Orfeo.
Inoltre, Lomazzo vede Orfeo come un argomento adatto per la decorazione di
strumenti musicali.
Ne gl’altri instromenti musicali che non si usano ne i templi, senza cotanto riseruo si
possono fare più licentiosamente tutte le sorti di pitture, come d’Anfione, d’Arione, di Zeto,
di Saffo, d’Orfeo, di Mercurio, d’Apolline, & delle muse [...]
(Lomazzo, Trattato dell’arte della pittura, lib. VI, cap. 25, pp. 347-348)
674
‘Alcuni fecero anche i venti stessi degli dei, come mostra tra i primi Orfeo, che sacrifica degli inni a loro
con ‘libano’, cioè con incenso, al Borea, al Zefiro e al Noto naturalmente.’
675
Lomazzo, Trattato dell’arte della pittura, lib. VI, cap. 40, p. 380; lib. VII, cap. 2, p. 528 (Dio); cap. 7, p. 546
(Giove); cap. 9, p. 555 (Sole); cap. 10, p. 569 (Amore); cap. 29, p. 659 (estate) (ed. ATIR). Altri riferimenti a
Orfeo teologo nell’opera di Lomazzo si trovano in: Della forma delle Muse, pp. 9; 28; 31; 39.
676
Lomazzo, Trattato dell’arte della pittura, lib. VI, cap. 25, p. 345.
677
Anonimo, Lettera O con Orfeo. Firenze, Biblioteca Nazionale Centrale.
223
CAPITOLO 5
Forse anche questa idea è stata ispirata da Ficino. Dall’Elegia di Naldo Naldi sappiamo che
la sua lira fu dipinta con un’immagine di Orfeo (cf. § 3.2). Probabilmente era abitudine
diffusa quella di dipingere gli strumenti con cantanti mitologici come Orfeo.
La trasformazione principale che avviene nella figura di Orfeo nei trattati mitologici
cinquecenteschi consiste dunque in una minore attenzione per il poeta-amante mitologico
a favore del poeta-teologo storico, che diventa un vero mitografo antico.
5.2 I VOLGARIZZAMENTI DELLE METAMORFOSI
Nel secondo capitolo abbiamo già accennato al ruolo centrale delle Metamorfosi ovidiane
per la fortuna della mitologia. Le Metamorfosi erano considerate un compendio di miti ed
erano spesso divulgate in forma di un testo in prosa. La gente non si interessava tanto al
valore letterario dell’opera, quanto al contenuto dei miti. Spesso le Metamorfosi erano
inserite in opere enciclopediche, come nel caso di Pierre Bersuire (fine sec. XIII-1362) che
abbiamo discusso nel primo capitolo. Per scrittori e pittori la rassegna mitologica di Ovidio
formava una fonte d’ispirazione. Se essi dovevano descrivere o rappresentare qualche
argomento mitologico, si basavano spesso sull’informazione fornita da Ovidio.
Nel 1471 le Metamorfosi furono stampate per la prima volta a Bologna. Nel 1500
erano state già stampate 34 edizioni, tredici delle quali contenevano il commento al testo
di Raffaele Regio (prima edizione a Venezia nel 1492). Regio riproduce il testo di Ovidio e
aggiunge in margine i suoi commenti in latino. L’autore comincia con il riassumere
l’argomento del capitolo, un riassunto che deriva in parte da Lattanzio e in parte da lui
stesso. Poi seguono chiarimenti sul significato di varie parole latine e sulla grammatica.
Quello di Regio era il commento standard del Cinquecento.678 Questa edizione latina con
l’ampio commento fu, però, usata piuttosto dagli umanisti, che volevano studiare in
maniera dettagliata il testo ovidiano. Altri che volevano informarsi sulla mitologia
consultavano piuttosto un volgarizzamento in italiano, che si poteva leggere facilmente e
che talvolta era illustrato. Anche i pittori consultarono i volgarizzamenti illustrati per avere
dei modelli mitologici.
678
B. Guthmüller, ‘Concezioni del mito antico intorno al 1500’, in: idem, Mito, poesia, arte. Saggi sulla
tradizione ovidiana nel Rinascimento, Roma, Bulzoni, 1997, p. 38. Cf. anche B. Guthmüller, ‘Lateinische und
Volkssprachliche Kommentare zu Ovids “Metamorphosen”’, in: Der Kommentar in der Renaissance, a.c.d. A.
Buck & O. Herding, Boppard am Rhein, 1975, pp. 119-139.
224
MITOGRAFO O FIGURA MITOLOGICA?
5.2.1 Allegorie medievali ed influenze umanistiche
Nei primi decenni del Cinquecento il volgarizzamento più letto era l’edizione di
Bonsignori, stampata nel 1497, ma scritta già un secolo prima (1375-77). Nel secondo
capitolo ho discusso questa ‘traduzione’, che era piuttosto una parafrasi allegorica del testo
latino e che si basava in gran parte sulle Allegorie di Giovanni del Virgilio. Bonsignori non
aveva l’intenzione di rendere i miti ovidiani accessibili al lettore, ma aggiungeva delle
spiegazioni allegoriche per conciliarli con la fede cristiana.
Così, nel caso di Orfeo, il contenuto del mito corrisponde in buona parte con il
mito descritto da Ovidio. Un’aggiunta notevole è l’apparizione di Aristeo, che diventa la
causa della morte di Euridice. Colpisce anche la presenza di Cerbero alla porta dell’Ade.
Anche dopo, quando Orfeo cerca invano di entrare per la seconda volta nell’Ade, l’ingresso
gli è vietato da Cerbero, invece che da Caronte.679
Il cambiamento maggiore rispetto al testo di Ovidio erano le spiegazioni allegoriche
alla fine di ogni capitolo. La spiegazione allegorica è divisa nella spiegazione della ‘verità
della istoria’ e della ‘moralità’. Bonsignori offre sia il significato evemeristico del mito, che
il significato allegorico-morale. Orfeo simboleggia l’uomo savio che ha un ‘profundo e
ragionevole giudizio’ (lui è sposato con Euridice). Nell’allegoria che segue all’undicesimo
libro Orfeo è rappresentato come un filosofo che studia le stelle. Nella spiegazione morale
Orfeo è visto come la buona fama che viene assalita dall’uomo invidioso (il serpente). L’
interpretazione bonsignoriana di Orfeo è molto positiva e non sarà condivisa da tutti i
traduttori successivi.
Il veneziano Nicolò degli Agostini pubblicò nel 1522 Tutti gli Libri de Ouidio
Metamorphoseos tradutti dal litteral in uerso uulgar con le sue Allegorie in prosa. Questa
nuova traduzione che seguì al successo dell’edizione di Bonsignori diventò la traduzione
standard delle Metamorfosi nel secondo quarto del Cinquecento.680 Dal titolo sembra una
traduzione letterale dal latino, ma l’autore si basa per la maggior parte su Bonsignori. La
traduzione di Agostini è la prima traduzione integrale delle Metamorfosi in versi italiani (se
prescindiamo dalla traduzione in versi di Spirito, che è stata conservata solo parzialmente).
Dal titolo risulta subito che l’autore attribuiva ai miti ovidiani un significato
allegorico. Nella prima edizione di Agostini non è, però, spiegato esplicitamente lo scopo
del libro in un proemio. Nella seconda edizione il primo capitolo fu trasformato in una
specie di proemio per sottolineare il carattere edificante dell’opera.681 Benché Ovidio fosse
679
Come si è detto prima queste aggiunte si basarono sui commenti e sulle traduzioni precedenti delle
Metamorfosi (l’Ovide moralisé, Arnolfo d’Orléans, ecc.).
680
Guthmüller, Ovidio Metamorphoseos, cit., p. 191. Prima edizione: Niccolò Zoppino, Venezia (1522);
seconda edizione: Niccolò Zoppino, Venezia (1533); terza edizione: Niccolò Zoppino, Venezia (1537); quarta
edizione: Bernardino (di) Bindoni, Venezia (1538); quinta edizione: Federico Torresano, Venezia (1547); sesta
e ultima edizione: Bernardino (di) Bindoni, Venezia (1548).
681
Guthmüller, Ovidio Metamorphoseos, cit., p. 206. Agostini, Di Ovidio le Metamorphosi (1533), cap. I.
225
CAPITOLO 5
un pagano, si afferma in questo proemio che egli fu ispirato direttamente da Dio. Questa
ispirazione divina di Ovidio spiega i rapporti testuali tra le Metamorfosi e il Vecchio
Testamento. Tutte le metamorfosi descritte da Ovidio sono dunque causate dagli uomini
per aver spregiato Dio o per aver commesso dei peccati.
Agostini alterna le sue traduzioni in versi con digressioni allegoriche, che sono
prese direttamente da Bonsignori. Anche il contenuto dei versi stessi riprende in grandi
linee il testo di Bonsignori. Il grande cambiamento di Agostini rispetto al testo di
Bonsignori è la forma poetica dell’ottava rima. L’ottava rima era spesso adoperata da
Agostini nei suoi romanzi cavallereschi. Dopo Agostini tutti i traduttori delle Metamorfosi
adopereranno l’ottava rima (Dolce, Anguillara, Marretti), invece della terza rima, il metro
usato da Spirito. Agostini avvicina la sua versione delle Metamorfosi ad un romanzo
cavalleresco, oppure ad un cantare. Guthmüller mostra però che le Metamorfosi di
Agostini non si avvicinavano ai cantari solo per quanto riguarda lo stile, ma anche per
quanto riguarda il contenuto.682 Il traduttore elabora soprattutto i passi in cui si tratta di
‘arme ed amori’, come nei romanzi cavallereschi. I miti narrati più ampiamente sono quelli
che erano già trattati nei cantari, come il mito di Orfeo ed Euridice. Anche i cantari erano
scritti in ottava rima e formavano dunque un buon modello per Agostini. Guthmüller ha
dimostrato che l’Ovidio Metamorphoseos di Agostini si basa da una parte sull’Ovidio
Metamorphoseos vulgare di Bonsignori e d’altra parte sul cantare Historia de Orpheo.683
Inoltre, ci sono delle aggiunte dalla stessa Fabula di Orfeo di Poliziano. Un paragone più
dettagliato dei testi, che mostra le varie influenze sul testo di Agostini, si trova
nell’appendice a questo capitolo.
Colpisce poi la presenza di Aristeo, assente dalle Metamorfosi di Ovidio, ma
presente sia nel volgarizzamento di Bonsignori che nei cantari. La maniera in cui Aristeo
parla a Euridice nella versione di Agostini non rimanda, però, al discorso di Aristeo nei
cantari, ma alla sua canzone nella Fabula di Orfeo di Poliziano:684
Sequendola Aristeo diceua ascoltami
Euridice gentil non mi fuggire
il vago aspetto, e il dolce volto voltami
ch io non ti seguo per farti morire
tu la mia cara libertade hai toltami
e non ti curi del mio gran martire
del mio dolor, di miei sospiri ardenti
che fanno per pieta firmar iuenti
682
Guthmüller, Ovidio Metamorphoseos, cit., pp. 212sgg.
Guthmüller, Ovidio Metamorphoseos, cit., pp. 231-234. Guthmüller suppone che Agostini abbia
consultato la Historia de Orpheo (88 ottave), che fu stampata nel 1495. Lui cita, però, dall’edizione della
Historia et Favola d’Orpheo del 1567 (riprodotta in Lommatzsch, op.cit.).
684
Cfr. Guthmüller, Ovidio Metamorphoseos, cit., p. 233.
683
226
MITOGRAFO O FIGURA MITOLOGICA?
(Agostini, Tutti gli Libri de Ouidio Metamorphoseos (1522), libro X, vv. 41-48)
Sorprende anche la presenza di Caronte che era sparito nella versione di Bonsignori (e
sostituito con Cerbero). Caronte non era presente nella Fabula di Poliziano, ma fu
aggiunto nei cantari. Le parole con cui il cantastorie descrive Caronte sono molto simili
alle parole usate da Agostini.685 Anche se Agostini aggiunge dei dettagli dal cantare e da
Poliziano, egli scarta le aggiunte sostanziali, che deviano troppo dalle Metamorfosi.
Secondo Guthmüller le aggiunte coloriscono un po’ il racconto e sembrano scelte piuttosto
a caso.686 Nella descrizione del lamento di Orfeo Agostini trova per esempio un
compromesso tra seguire il testo di Bonsignori e dunque scartare completamente il
lamento di Orfeo da una parte e deviare troppo dal racconto originale dall’altra.
La combinazione dell’opera umanistica di Poliziano con il cantare popolare e con le
allegorie medievali di Bonsignori è sorprendente. Poliziano aveva scritto la Fabula per
l’élite culturale di Mantova e Firenze ed era tornato alle fonti antiche. Come ho mostrato
nel capitolo 4, dobbiamo probabilmente interpretare la sua rappresentazione come la
ricerca del sommo bene da parte dell’uomo e la sua ricaduta nel vizio. Nei cantari questo
messaggio simbolico era già stato cambiato nel consiglio all’uomo di amare soltanto le
donne. Nella traduzione di Agostini l’interpretazione profonda di Poliziano e la moralità
del cantare sono cancellati o assorbiti a favore dell’approccio medievale del mito. Agostini
trascura dunque quasi le interpretazioni negative del mito e crea un insieme più positivo.
5.2.2 Traduzioni letterali
Oltre alla rielaborazione allegorica di Bonsignori e alla sua fortuna nell’Ovidio
Metamorphoseos di Agostini, ci furono anche altri che vollero tradurre le Metamorfosi
direttamente dal latino, invece di basarsi sulla rielaborazione bonsignoriana. Queste
traduzioni non furono sempre molto fedeli al latino: la traduzione di Anguillara, per
esempio, è relativamente libera. Anche se non vi furono inserite delle allegorie esplicite
(come nel caso di Bonsignori e di Agostini), i miti andavano interpretati nondimeno in
modo allegorico. Quasi tutte le dediche esprimono l’intenzione di presentare una verità
cristiana sotto la superficie dei miti.
Nella seconda metà del Quattrocento Lorenzo Spirito Gualtieri da Perugia (ca.
1422/25-1496) fece una traduzione delle Metamorfosi in terza rima.687 Guthmüller sostiene
che Spirito tradusse probabilmente soltanto gli ultimi cinque libri delle Metamorfosi,
685
Anonimo, La historia et favola d’Orpheo, XXXVIII-XLII. Cfr. Guthmüller (1981), op.cit., p. 233.
Guthmüller, Ovidio Metamorphoseos, cit., p. 234.
687
Benché la traduzione di Spirito sia del Quattrocento, ho ritenuto necessario discuterla solo in questo
capitolo tra le edizioni stampate delle Metamorfosi, per motivi di struttura.
686
227
CAPITOLO 5
perché la prima edizione del 1519 e l’autografo contengono solo i libri XI-XV.688 A me
sembra tuttavia inverosimile che un’autore cominci a tradurre la fine del libro proprio nel
mezzo del mito di Orfeo, che copre due libri. Probabilmente la prima parte del
manoscritto è andata perduta, per cui non poté essere nemmeno stampata. Il libro di
Spirito comincia con la descrizione della morte di Orfeo. Come Lattanzio e Del Virgilio,
Spirito pone l´accento sulle varie metamorfosi che si susseguono nel testo ovidiano. Così il
primo capitolo, in cui si trova l’uccisione di Orfeo da parte delle donne, è intitolato ‘Como
il serpente fu conuerso in saxo’.
Spirito segue fedelmente le parole di Ovidio, ma ha bisogno di molti piú versi per
descrivere la morte di Orfeo. La sua maniera di descrivere il mito è più elaborata e spesso il
traduttore aggiunge delle spiegazioni o dei versi interi. Le sue aggiunte al testo non
cambiano in essenza il mito ovidiano. Anche se Spirito non offre al lettore delle spiegazioni
allegoriche esplicite per chiarire l’intenzione del testo, c’è sempre un significato morale
nascosto. Dalla dedica a Madonna Giulia Bagliona da parte del suo cartolaio Gerolamo
risulta che essa ha ordinato l’edizione del testo di Spirito, perché a lei piaceva la morale
trasmessa con le favole mitologiche.689 Il significato allegorico-morale nascosto nel mito di
Orfeo era forse noto dall’edizione del commento di Bonsignori o dalle Genealogie di
Boccaccio.
Anche le Trasformationi (1553) di Ludovico Dolce erano una traduzione fedele dal
latino senza aggiunte allegoriche. Tuttavia, nella dedica Dolce spiega la maniera in cui si
devono leggere i miti ossia le ‘favole’.690 Sotto la superficie (scorza) delle finzioni piacevoli
si trova il ‘sugo’ della filosofia. Tutti i miti contengono una lezione morale per gli uomini.
Gli uomini che si trasformano in animali simboleggiano gli uomini che si lasciano deviare
dalla strada della ragione per seguire i loro sensi. Gli uomini che diventano degli dei
rappresentano invece gli uomini buoni, che seguono la strada della virtù.
La traduzione del mito di Orfeo da parte di Dolce non dipende da quella precedente
di Agostini né da quella molto usata di Bonsignori, ma sembra basarsi su una versione più
originale delle Metamorfosi. Le analogie tra il testo di Dolce e il testo di Ovidio stesso
risaltano subito dalla prima ottava. Benché Dolce abbia bisogno di più parole per
descrivere le stesse cose, le differenze tra i due testi sono piccolissime. Spariscono Aristeo e
Cerbero, che non erano presenti nelle Metamorfosi di Ovidio, il che mostra l’indipendenza
del testo di Dolce dalla traduzione di Bonsignori e i suoi successori.
Dolce è molto negativo su Orfeo: l’autore aggiunge l’idea che Orfeo trascurò il
divieto di Plutone di guardare indietro (canto XX, p. 210). Così Orfeo fu più colpevole della
688
Guthmüller, Ovidio Metamorphoseos, cit., p. 146. L’autografo anonimo si trova a Napoli, Bibl. Naz., cod.
XIII F 35. L’unica edizione stampata si trova a Firenze, Bibl. Naz., 22.B.8.71. Per la discussione del testo faccio
uso di questa edizione stampata.
689
Spirito, Metamorfosi, Dedica.
690
Dolce, Le Trasformationi, Dedica.
228
MITOGRAFO O FIGURA MITOLOGICA?
seconda morte di Euridice. La colpa di Orfeo viene sottolineata dall’ omissione dei versi in
cui Ovidio diceva che Euridice non poteva lamentarsi di un marito che l’aveva amata
troppo. Inoltre, Dolce riprende da Ovidio l’invenzione dell’omosessualità da parte di Orfeo,
non descrivendola con parole neutrali o perfino positive, come Ovidio, ma condannando
invece esplicitamente questa pratica:
E sí la doglia li sottragge e fura
Il costume, c’hauea casto e gentile,
Ch’indusse in Thracia (e n’hebbe aspra uentura)
L’iniqua usanza, scelerata, e uile,
D’amar contra le leggi di Natura
I giouenetti ad uso feminile,
Cogliendo il primo fior, tenero, e lieue
Di quella uaga Primauera breua.
(Dolce, Le Trasformationi, Canto XX, p. 210)
La prima parte dell’undicesimo capitolo di Ovidio, in cui viene descritta a lungo l’uccisione
di Orfeo è stata cancellata da Dolce e sostituita con una riflessione sulla natura della
donna. Secondo Dolce le donne diventano crudeli quando sono disprezzate dall’uomo.
L’uomo che biasima e odia la donna, dalla quale deriva ogni cosa bella, merita la pena più
grave. Le tre ottave (di cui ne citerò una) formano un’ode alla donna. Chi non ama la
donna deve essere insensibile. Un tale uomo merita una fine ancora più crudele della fine
di Orfeo.
Ma dirò sol, che chi con ogni ingegno,
Con ogni industria sua non s’affatica
Di farsi de l’amore amando degno
Di bella Donna e di uirtute amica,
E ueramente pietra, o piombo, o legno,
O l’alma ha di natura empia nemica;
E merta fin uia piu crudele e reo,
Che non auenne al niquitoso Orfeo. (ed. 1561: nequitoso)
(Dolce, Le Trasformationi, Canto XXII, p. 227)
Il giudizio di Dolce su Orfeo è dunque molto negativo. La crudeltà delle Baccanti e i
dettagli dell’uccisione sono stati completamente cancellati e sostituiti con l’affermazione
che Orfeo è stato ucciso giustamente, perché non stimava sufficientemente le donne.
Giovanni Andrea dell’Anguillara è molto più positivo. La sua traduzione, che da un
punto di vista letterario è molto migliore di quella di Dolce, fu stampata nel 1561 ed ebbe
229
CAPITOLO 5
un grande successo negli ultimi decenni del Cinquecento.691 Anguillara non spiega lo scopo
della sua traduzione in un proemio e in prima istanza il libro fu anche stampato senza
chiarimenti allegorici. La traduzione di Anguillara segue in grandi linee il testo di Ovidio,
ma è anche abbastanza libera e contiene alcune aggiunte (cf. Appendice). In questa
traduzione Orfeo non è presentato semplicemente come una persona smemorata (come
nel caso di Dolce), ma come un uomo molto premuroso nei confronti della moglie. Orfeo
la guarda, perché aveva difficoltà a camminare per via della ferita al piede (Anguillara ha
dunque spostato il dettaglio ovidiano).
Anguillara segue fedelmente le parole di Ovidio fino al momento in cui giunge alla
descrizione dell’omosessualità. Il disprezzo delle donne è elaborato da Anguillara in una
lunga digressione, di cui cito un’ottava:
E così à la moglier la fè mantenne,
Che d’altra donna mai poi non fè stima.
E dal bel pueril quel raggio ottenne,
Che potea alzarlo à l’alta cagion prima.
Onde fece dapoi batter le penne
À la sonora sua felice rima
In lode di quel bel, che stà raccolto
Ne l’huom mentre ha anchor molle, e dubbio il uolto.
(Anguillara, Le metamorfosi d’Ovidio, libro X, p. 163r.)
Orfeo si ribella contro le donne per mantenere la sua promessa alla moglie. Dolce spiega
che l’amore per una bella donna è un modo di innalzare l’anima alla bellezza eterna e di
godere ‘la prima cagion’ (Dio) con l’anima. Orfeo non intende, però, innalzarsi alla somma
bellezza per mezzo delle donne, ma per mezzo dell’amore per i giovani. Infatti, nella ‘verde
etate’ dei giovani risplende, secondo Dolce, il raggio della bellezza che può elevare l’anima
alla prima bellezza. Così Orfeo poteva sia ottenere la sua promessa, che alzarsi alla ‘cagion
prima’.
Le differenze tra le traduzioni di Dolce e Anguillara dimostrano che i traduttori non
sapevano come giudicare Orfeo. Da una parte Orfeo era il musicista mitologico famoso,
che aveva sofferto per un amore tragico. Dall’altra parte aveva guardato indietro ad
Euridice, il che poteva essere interpretato allegoricamente come un ritorno ai piaceri
terreni, e aveva introdotto l’omosessualità in Tracia. Per questa ragione le interpretazioni
di Orfeo nelle traduzioni delle Metamorfosi oscillano tra lode e condanna.
691
B. Guthmüller, ‘Immagine e testo nelle Trasformationi di Lodovico Dolce’, in: Mito, poesia, arte. Saggi
sulla tradizione ovidiana nel Rinascimento, Roma, Bulzoni, 1997.
230
MITOGRAFO O FIGURA MITOLOGICA?
5.2.3 Controriforma e allegoria
Dopo il Concilio di Trento (1545-1563) furono aggiunte delle allegorie alle traduzioni di
Dolce e di Anguillara per facilitare la riconciliazione dei miti con il cristianesimo e per
diminuire la distanza, che era diventata sempre più grande. In linea di principio la Chiesa,
dopo il Concilio Tridentino aveva condannato e proibito le versioni moralizzanti delle
Metamorfosi. Sull’indice dei libri proibiti si scrive: ‘In Ovidii metamorphoseos libros
commentaria sive enarrationes allegoricae vel tropologicae.’692 Questo divieto riguardava
probabilmente soprattutto le spiegazioni di racconti pagani per mezzo di allegorie
cristiane. I censori non permettevano che precetti religiosi venissero travestiti da racconti
erotici. La necessità di riconciliare i racconti pagani con lo spirito cristiano, il divario tra i
quali era stato dimostrato dalla Controriforma, era, però, diventata sempre più urgente.
Per questa ragione i miti non erano spiegati in modi esplicitamente cristiani, ma morali.693
Nell’edizione di Dolce del 1561 si trova soltanto una sola allegoria su Orfeo, alla fine
del ventesimo canto:694
Per Orfeo, che racquista Euridice, la perde per uoltarsi a dietro, si dinota lo stato
dell’anima, laquale è perduta dall’huomo, qual volta egli lasciando la ragione, si uolge a
dietro: cioè a seguir le cose biasimeuoli e terrene.
(Dolce, Le Trasformationi (1561), Canto XX, p. 218, Allegoria)
Questa interpretazione allegorica della figura di Orfeo non è presa direttamente da
Bonsignori, ma ribadisce l’atteggiamento negativo di Dolce nei confronti di Orfeo.
Anche nelle edizioni di Anguillara a partire del 1563, l’anno in cui si conclude il
Concilio Tridentino, furono aggiunte delle annotazioni per spiegare il significato morale
dei miti. In questo caso le allegorie non sono inventate dall’autore stesso, ma da Gioseppe
Horologgi. Secondo la spiegazione allegorica di Horologgi Orfeo rappresenta l’eloquenza e
la sapienza. La sua lira simboleggia ‘l’arte del favellare propriamente’ che muove gli affetti.
Orfeo è anche chiamato ‘uomo giudizioso’:
La fauola di Orfeo ci mostra, quanta forza, e vigore habbia l’eloquenza, come quella, che è
figliuola d’Apollo, che non è altro, che la Sapienza. La lira datagli da Mercurio, è l’arte del
fauellare propriamente, laquale a simiglianza della lira va mouendo gli affetti co’l suono,
hora acuto, hora graue, della voce, & della pronuncia, di maniera, che le selue, e i boschi si
692
H. Reusch, Die indices librorum prohibitorum des sechzehnten Jahrhunderts, Tübingen, 1886, p. 275
(citato da: Seznec, op.cit., p. 275). Le opere di Ovidio senza moralizzazioni non si trovavano sull’indice.
693
Ringrazio Elizabeth McGrath per il suggerimento che il divieto della chiesa si estendeva soltanto alle
moralizzazioni cristiane, invece che a ogni tipo di moralizzazione (suggerimento fatto durante la conferenza
The Legacy of Antiquity, St. Andrews, 30 marzo-1 aprile 2006). Cf. anche Bull, op.cit., p. 18.
694
Dolce non descrive il mito di Orfeo nei libri X e XI, ma nei capitoli XX e XXI, perché ha diviso le sue
Metamorfosi in più capitoli minori.
231
CAPITOLO 5
muouono per il piacere, che pigliano d’vdire la ben’ordinata, e pura fauella dell’huomo
giudicioso. (Horologgi, in: Anguillara, Le metamorfosi d’Ovidio (ed. 1563))
La natura che ascolta il canto di Orfeo rappresenta vari tipi di uomini che si lasciano
influenzare dall’eloquenza e dalla sapienza dell’uomo giudizioso. Questa interpretazione
allegorica del mito non si basa sulle allegorie di Bonsignori, ma quasi letteralmente sulla
spiegazione allegorica di Boccaccio nelle Genealogie (V, 12, 5-9). Anche nelle annotazioni
all’undicesimo libro di Anguillara Horologgi segue fedelmente l’opinione di Boccaccio.
Riprende la spiegazione notevole della morte di Orfeo come punizione per aver rivelato
agli uomini la menstruazione. Le aggiunte allegoriche del 1563 si basano dunque su un
testo che risale circa al 1350 e che a sua volta rassomiglia moltissimo alla versione di
Guglielmo di Conches del secolo XII. I lettori seicenteschi della traduzione di Anguillara
sono dunque incoraggiati a interpretare il mito ovidiano nella maniera del dodicesimo
secolo. Anche le postille di Francesco Turchi, che sono inserite a partire dell’edizione del
1572, si basano su una versione del dodicesimo secolo: le Allegorie super Ovidii
Metamorphosin (ca. 1125) di Arnolfo d’Orléans. Di nuovo dunque una traduzione
cinquecentesca è collocata nel contesto di un’interpretazione medievale.
Le traduzioni delle Metamorfosi non dimostrano dunque né un’immagine costante
né uno sviluppo in una direzione determinata. C’è sempre un conflitto tra l’amore per
l’antichità e l’avversione per il paganesimo. Da una parte gli autori vogliono nelle loro
traduzioni avvicinarsi il più possibile alle fonti antiche, ma dall’altra parte essi interpretano
i testi antichi in modo allegorico.695 Inoltre, c’è sempre un conflitto tra l’immagine positiva
di Orfeo e quella negativa, che dipende dalle preferenze dell’autore e dalla scelta del
commento allegorico (che si basa sempre su commenti precedenti al mito di Orfeo).
5.2.4 Dal testo all’immagine: le xilografie
Studiando le xilografie nelle edizioni stampate delle Metamorfosi non si trovano forti
legami tra il testo e le immagini. Il mito di Orfeo nell’edizione di Bonsignori del 1497 fu
illustrato con tre xilografie.696 Nella prima immagine si vedono tre momenti diversi del
mito: le nozze di Orfeo ed Euridice, la morte di Euridice e Orfeo che suona per Caronte.
(ill. 5.1)
695
Un’altra traduzione letterale è Le metamorphosi d’Ovidio in ottava rima col testo latino appresso,
nuovamente tradotte da M. Fabio Marretti gentilhuomo senese, senza punto allontanarsi dal detto poeta
(1570), che Marretti fece in reazione alle traduzioni precedenti (soprattutto Anguillara), che secondo lui
erano troppo libere. (cfr. Guthmüller, Ovidio Metamorphoseos, cit., p. 260). Inoltre c’era una rielaborazione
delle Metamorfosi in una serie di illustrazioni da parte di Bernardo Salomone (con epigrammi di Gabriello
Symeoni).
696
Bonsignori, Ovidio metamorphoseos vulgare, Venezia, Giovanni (Zoane) Rosso, 1497, pp. LXXXIIIv;
LXXXVr; LXXXXIv. In tutto il libro conteneva 53 xilografie.
232
MITOGRAFO O FIGURA MITOLOGICA?
5.1 Anonimo, Le nozze di Orfeo ed Euridice, in Bonsignori, Ovidio Metamorphoseos vulgare, 1497
Si notano subito due divergenze rispetto alla versione bonsignoriana: la presenza delle
amiche di Euridice al posto di Aristeo, e la presenza di Caronte invece di Cerbero. Questi
personaggi si trovavano nel testo di Ovidio. L’artista si è probabilmente basato in parte
sulle illustrazioni di un manoscritto come quello dell’Ovidius moralizatus, in cui si vedono
quasi le stesse scene.697 Non posso dunque trovarmi d’accordo con Gerlinde HuberRebenich sulla sua ipotesi che le xilografie si basassero sul testo di Bonsignori.698
La seconda xilografia rappresenta Orfeo che suona per gli animali e gli alberi. (ill.
5.2) Bonsignori non fa menzione degli animali e anche Ovidio stesso descrive la riunione
degli animali in due soli versi (libro X, vv. 143-144). La raffigurazione di Orfeo e degli
animali era, però, diventata un motivo comune nell’arte italiana, sia nei manoscritti
(Simintendi, Ovidio maggiore), che nelle opere d’arte a sé stanti (Della Robbia, Mantegna).
697
Anonimo, Le nozze di Orfeo ed Euridice, la morte di Euridice, Orfeo nell’Ade, in: Ovidius moralizatus,
manoscritto fiammingo, sec. XV. Paris, Bibliothèque Nationale, Richelieu MS. Français 137, fol. 132v.
Notevolmente in questa illustrazione Euridice è inseguita da Aristeo, contrariamente alla xilografia. Manca
anche Caronte. L’artista delle xilografie si basò forse anche su un testo latino.
698
G. Huber-Rebenich, ‘Die Holzschnitte zum Ovidio Metamorphoseos vulgare in ihrem Textbezug’, in: Die
Rezeption der Metamorphosen des Ovid in der Neuzeit: der antike Mythos in Text und Bild, a.c.d. H. Walter
& H.-J. Horn, Berlin, Gebr. Mann Verlag, 1995, pp. 48-57.
233
CAPITOLO 5
5.2 Anonimo, Orfeo e gli animali, in Bonsignori, Ovidio Metamorphoseos vulgare, 1497
La preponderanza di questa motivo fu probabilmente rafforzata dal trattato mitologico ed
iconografico De deorum imaginibus libellus (sec. XIV), in cui si consigliava agli artisti di
rappresentare Orfeo con una cetra, mentre suonava per gli animali, gli uccelli, i monti e gli
alberi (cfr. § 1.5.3).
5.3 Anonimo, La morte di Orfeo, in Bonsignori, Ovidio Metamorphoseos vulgare, 1497
All’inizio dell’undicesimo libro si trova una xilografia in cui Orfeo viene ucciso dalle
donne, che lo assalgono con bastoni. (ill. 5.3) Benché la descrizione della morte di Orfeo
occupi gran parte della descrizione del mito da parte di Bonsignori (e di Ovidio stesso),
l’artista si basò probabilmente su una rappresentazione della stessa scena da parte di
234
MITOGRAFO O FIGURA MITOLOGICA?
Mantegna o dei suoi successori.699 Mantegna, che aveva dipinto la morte di Orfeo nella
Camera degli Sposi, ne aveva fatto probabilmente anche un disegno o un’incisione. Il
motivo della morte di Orfeo l’aveva potuto studiare sui vasi greci. Mantegna fu il primo a
far rivivere questo motivo nell’arte italiana. Il suo disegno, che sfortunatamente è andato
perduto, influenzò molti altri artisti. Si conoscono un disegno anonimo nel cosiddetto libro
di abbozzi di Mantegna (fine sec. XV) e un’incisione di un anonimo ferrarese del 1470-80,
che si rifà direttamente all’opera perduta di Mantegna (ill. 5.4-5.5).700 Il disegno di
Mantegna oppure le xilografie stesse influenzarono anche un disegno di Giulio Romano,
che rappresenta la morte di Orfeo.701
5.4 Libro di abozzi di Mantegna? / 5.5 Anonimo ferrarese, La morte di Orfeo, 1470-80
699
Cfr. Ziegler, op.cit., p. #. La morte di Orfeo è anche rappresentata nel manoscritto fiammingo: Anonimo,
La morte di Orfeo, la testa di Orfeo nell’Ebro, in: Ovidius moralizatus, manoscritto fiammingo, sec. XV. Paris,
Bibliothèque Nationale, Richelieu MS. Français 137, fol. 147. Tuttavia, in questa illustrazione Orfeo è ucciso
con pietre. Nei disegni di Mantegna e altri Orfeo è ucciso con bastoni, come nella xilografia.
700
Anonimo, La morte di Orfeo, disegno nel cosiddetto libro di abbozzi di Mantegna. London, British
Museum; Anonimo ferrarese/italiano del Nord, La morte di Orfeo, incisione, 1470-80. Hamburg, Kunsthalle,
Graphische Sammlung. Lo stesso motivo fu ripreso in un disegno famoso di Albrecht Dürer: La morte di
Orfeo, Hamburg, Kunsthalle. Inoltre, il figlio di Mantegna dipinse il mito di Orfeo basandosi sugli abbozzi di
suo padre: Francesco Mantegna, Orfeo, affreschi, 1494. Marmirolo, Palazzo di Marmirolo (cfr. La lettera del
10 maggio 1494, in: P. Kristeller, A. Mantegna, ed. inglese, 1901, p. 488, n. 57 (citato da Tietze-Conrat, op.cit.,
p. 42)).
701
Romano, La morte di Orfeo, disegno. Paris, Musée du Louvre, Cabinet des Dessins, 3494.
235
CAPITOLO 5
Gli editori quattro e cinquecenteschi si servivano spesso di xilografie disponibili da
edizioni precedenti (anche di altri testi, cf. § 4.1.2). Il riciclaggio delle xilografie si vede
anche nella fortuna delle xilografie della stessa edizione del 1497: esse sono riprodotte nelle
stampe successive.702 Che le illustrazioni dell’edizione del 1497 formassero una fonte
d’ispirazione anche per altre edizioni delle Metamorfosi risulta chiaramente dall’edizione
latina con il commento di Raffaele Regio. Le prime edizioni del commento di Regio non
contenevano illustrazioni. A partire dal 1505 furono, però, inserite copie o imitazioni delle
xilografie dall’edizione del 1497 di Bonsignori.703 Nel 1513 il testo fu ornato con nuove
xilografie, che in essenza rappresentano nuove varianti delle stesse scene.704 Tutti i testi, sia
quelli latini che i volgarizzamenti popolari, ricorrono alle stesse immagini, che derivavano
da fonti classiche e medievali. Nello stesso modo le nuove interpretazioni e traduzioni del
testo stesso continuano a dipendere dai commenti allegorici medievali.
Secondo Anton Boschloo la fortuna delle xilografie del 1497 mostra bene che non
esisteva una spaccatura tra la cultura popolare e quella elitaria tra la fine del Quattrocento
e l’inizio del Cinquecento, come si è più volte affermato.705 All’inizio c’erano delle edizioni
latine per quelli che leggevano il latino senza illustrazioni, e delle edizioni in volgare con
xilografie. Tuttavia, a partire del 1505 anche le edizioni latine vennero ornate con le
xilografie che originariamente erano destinate a un pubblico più ampio. Le stesse immagini
potevano essere adoperate sia per edizioni lussuose che per edizioni economiche ed erano
dunque disponibili per un pubblico molto vario.706
702
L’opera di Bonsignori fu ristampata sei volte (fino al 1522/23). La seconda e la terza edizione riproducono
esattamente le stesse xilografie della prima edizione. La sesta edizione che fu stampata a Milano nel 1520 da
Rocho e Fratello da Valle contiene delle copie poco diverse delle illustrazioni del 1497. Nella prima xilografia
che rappresenta le nozze di Orfeo ed Euridice è sparito il serpente che morde Euridice. Notevolmente non è
stata copiata l’immagine di Orfeo che suona per gli animali. Un elenco dell’uso delle xilografie del 1497 si
trova in: M.D. Henkel, ‘Illustrierte Ausgaben von Ovids Metamorphosen im XV., XVI. und XVII.
Jahrhundert’, Vorträge der Bibliothek Warburg, 1926-27 (Leipzig-Berlin, 1930), pp. 58-144.
703
Le xilografie nell’edizione di 1509 non sono delle copie precise della prima edizione, ma sono delle
imitazioni libere. In primo luogo risalta il fatto che le imitazioni sono l’immagine speculare delle xilografie
originali. Tra gli animali che ascoltano il canto di Orfeo risalta la presenza di un liocorno. La combinazione di
un liocorno e un leone mostra la forza civilizzatrice del canto di Orfeo (C.M. Kauffmann, ‘Orpheus: the Lion
and the Unicorn’, Apollo: a journal of the arts 98 (1973), pp. 192-196).
704
Manca per esempio il motivo di Orfeo che suona per Caronte, per cui le nozze di Orfeo ed Euridice si
celebrano di più in primo piano. Anche il numero e la posizione degli animali nella seconda xilografia sono
diversi. Poi Orfeo è assalito da solo tre donne. È visibile il suo strumento come nei disegni dell’anonimo
ferrarese, di Dürer e di Giulio Romano. Le stesse xilografie si trovano anche nell’edizione di Regio del 1518.
705
A. Boschloo, ‘Images of the Gods in the Vernacular’, Word & Image Conference Proceedings 4,1 (1988), pp.
415-416.
706
Boschloo, op.cit., p. 416.
236
MITOGRAFO O FIGURA MITOLOGICA?
La fortuna delle xilografie del 1497 continua nelle edizioni di Ludovico Dolce e,
nonostante grandi differenze nello stile, sono tematicamente molto simili.707 Le
illustrazioni della prima edizione delle Trasformationi (1553) furono probabilmente
disegnate da Giovanni Antonio Rusconi (ca. 1520-1587). Mentre il testo non dipende
dall’edizione precedente di Bonsignori, le immagini sono strettamente legate all’edizione di
Bonsignori. Secondo Bodo Guthmüller l’artista fece un’imitazione delle xilografie di
Bonsignori, perché non c’era molto tempo e il testo di Dolce non era ancora pronto.708 Di
nuovo il mito di Orfeo è illustrato con tre immagini.709
5.6 Anonimo, Orfeo e gli animali, in: Dolce, Le Trasformationi, 1553
Nella prima immagine Orfeo suona per gli animali e per gli alberi (ill. 5.6), nella seconda
xilografia sono rappresentati i tre momenti dell’inizio del mito: il matrimonio di Orfeo ed
Euridice, la morte di Euridice e l’incontro tra Orfeo e Caronte; la descrizione della morte di
707
Nell’unica edizione (1519) di Lorenzo Spirito il mito di Orfeo è illustrato con due xilografie. Nella prima
tre donne con bastoni cercano di uccidere Orfeo, mentre lui si difende con la sua viola (ill.). La seconda
immagine mostra cinque Baccanti/alberi in diversi gradi di trasformazione (ill.). L’argomento della xilografia
è completamente nuovo nella tradizione di illustrazioni delle Metamorfosi. L’attenzione specifica di Spirito
per le varie metamorfosi che si susseguono sottolinea l’idea che questa xilografia sia stata fatta appunto per
questa edizione dopo la lettura del testo. Anton Boschloo accenna al fatto che era difficile raffigurare una
metamorfosi in una sola immagine e che per questa ragione le metamorfosi stesse quasi non furono
rappresentate nell’edizione del 1497 (Boschloo, op.cit., p. 414; cf. Huber-Rebenich, ‘Die Holzschnitte’, cit., p.
#). La prima xilografia seguiva piuttosto la tradizione figurativa. Le xilografie nell’edizione di Spirito non
sembrano aver avuto una grande influenza su altre edizioni delle Metamorfosi o sulle arti figurative.
708
Guthmüller, ‘Immagine e testo’, cit.
709
Nell’edizione del 1554 anche le illustrazioni furono riorganizzate rispetto alla prima edizione: furono
cancellate e aggiunte delle immagini e qualche volta fu cambiata la loro posizione. Poi le xilografie furono
fornite di una cornice decorativa. Nelle edizioni seguenti si trovano pochi cambiamenti (Guthmüller,
‘Immagine e testo’, cit.) Io ho consultato le edizioni del 1555 e del 1561, che differiscono tra di loro soltanto
nella cornice.
237
CAPITOLO 5
Orfeo è accompagnata da una xilografia che rappresenta cinque donne che stanno
ammazzando Orfeo.710
Le xilografie della prima edizione di Anguillara (1561) non mostrano le stesse
analogie con le xilografie precedenti. Tuttavia, non cambiano nemmeno l’immagine di
Orfeo. Il decimo libro comincia con una xilografia in cui Orfeo suona la viola da braccio.711
Il cantante è seduto su una roccia sotto gli alberi ed è vestito come un soldato romano con
gambiere e una corona d’alloro. Da sinistra appare una lepre, mentre a destra si vedono
due donne vestite con lunghe gonne. L’undicesimo libro è illustrato con una xilografia in
cui Orfeo suona la viola da braccio sotto gli alberi, mentre da sinistra si avvicinano delle
donne con bastoni e aste (ill. 5.7).712 Le donne stanno per assalire il cantante, che per il
momento sta ancora suonando in pace.
5.7 Anonimo, La morte di Orfeo, in: Anguillara, Le metamorfosi d’Ovidio, 1561
710
Notevolmente è stato cambiato l’ordine delle immagini: il canto ventesimo apre subito con la xilografia di
Orfeo e gli animali, mentre originariamente questa xilografia era la seconda. Ci sono alcuni piccoli
cambiamenti rispetto alle xilografie precedenti. Per la prima volta Orfeo non è più seduto sotto un albero, ma
sta in piedi. Nella seconda xilografia la cornucopia delle prime illustrazioni è stata sostituita con fiaccole, che
mostrano forse l’influenza del testo latino (non sono presenti in Dolce). Nella terza le donne non assalgono
Orfeo con bastoni, ma con le pale che esse hanno trovato sui campi abandonati; hanno lasciato da parte i
rami, che prima avevano svelti dagli alberi. In fondo a destra un capro fugge dalla scena. Questi dettagli mi
sembrano indicare che l’artista non si sia basato soltanto liberamente sulle immagini nell’edizione di
Bonsignori (oppure su una versione posteriore con le stesse immagini), ma che lui abbia consultato anche
una versione del testo. Chiaramente l’artista non ha usato il testo di Dolce, perché Dolce omette ogni
particolare che riguarda l’uccisione di Orfeo. Probabilmente l’artista si è fatto ispirare da un’edizione latina
con il commento di Regio (con copie delle xilografie del 1497).
711
Anonimo, in: Anguillara, Le metamorfosi d’Ovidio, 1561, p. 161r.
712
Anonimo, in: Anguillara, Le metamorfosi d’Ovidio, 1561, p. 177r.
238
MITOGRAFO O FIGURA MITOLOGICA?
Quest’immagine ricorda la rappresentazione della morte di Orfeo nelle xilografie
dell’artista francese Bernardo Salomone.713 Anche se, in apparenza, non sembrano esservi
molte analogie con la tradizione italiana, Orfeo rimane il cantante che è ucciso dalle
donne. Forse solo il potere della musica sugli uomini e sulla natura perde la sua posizione
centrale, perché è sparito Caronte e non si vedono tanti animali.
In linea di massima si deve constatare che nessun cambiamento nel testo –
risultante da un approccio prevalentemente positivo o negativo a Orfeo, o dall’aggiunta di
commenti allegorici - sembra intaccare le xilografie. La maggior parte delle edizioni
contiene tre elementi del mito che insieme raffigurano il mito in modo neutrale. Le
xilografie non cambiano profondamente l’immagine di Orfeo. Esse non mostrano segni di
interpretazioni allegoriche e non rivelano opinioni chiaramente positive o negative degli
artisti.
Una eccezione è costituita da una nuova scena introdotta nella prima edizione di
Nicolò degli Agostini (1522). Benché Guthmüller sostenga che anche queste xilografie
tematicamente sono molto simili a quelle nell’edizione delle Metamorfosi del 1497,
guardando le xilografie che accompagnano la descrizione del mito di Orfeo si scoprono
delle differenze notevoli. Nella prima immagine (che si trova subito all’inizio del decimo
libro), Orfeo sta in piedi suonando una specie di viola da braccio (ill. 5.8). Il cantante si
trova nell’Inferno: a sinistra di lui si vedono tre uccelli rapaci e a destra sono rappresentati
Plutone e Proserpina, seduti su un trono di pietra. Di fronte alla coppia si trova Euridice,
mentre dietro di loro stanno due Furie con serpenti sulla testa.
713
La vita et Metamorfoseo d’Ovidio figurato et abbreviato in forma d’epigrammi è una versione italiana di
un’opera originariamente francese, l’Ovide figurée di Bernardo Salomone (Lione, 1557). L’edizione italiana fu
stampata a partire del 1559 con epigrammi di Gabriello Symeoni. Si tratta di una serie di 178 xilografie, che
sono fornite di un titolo e di una spiegazione della scena in otto versi. Il mito di Orfeo è spiegato in quattro
xilografie, che si intitolano: ‘Orfeo racquista & riperde la moglie Euridice’, ‘Eccellenza d’Orfeo nel sonare &
lamentarsi’, ‘Orfeo vcciso dalle Baccanti’ e ‘La lyra & la lingua d’Orfeo si lamentano, & il serpente è mutato in
sasso’. Non importa in questa edizione il testo di Ovidio; c’entrano soltanto le rappresentazioni dei miti nelle
xilografie. Siccome le immagini sono francesi e non influenzarono tanto la tradizione iconografica italiana di
Orfeo fino al 1600, non le discuto a lungo. Le immagini di Salomone furono, però, copiate fuori dell’Italia da
Virgil Solis, edizione di Johannes Posthius di Germersheim, Frankfurt, 1563 (per il ‘gmeinen Mann im
Teutschen Land’, Boschloo, op.cit., p. 417); edizione di Johannes Spreng, Augsburg, 1563 (latino e tedesco);
edizione delle opere di Nikolaus Reusner, xilografie di Solis, 1580 (latino).
239
CAPITOLO 5
5.8 Anonimo, Orfeo nell’Ade, in Agostini, Ovidio Metamorphoseos, 1522
Questa xilografia non rassomiglia affatto alle xilografie nelle edizioni precedenti delle
Metamorfosi. La scena è descritta in modo paragonabile da Agostini e c’erano degli esempi
visivi nelle placchette di bronzo (cf. § 4.4.1).714 La xilografia sembra aver inspirato Giulio
Romano (1499-1546) nei suoi disegni per il Palazzo Te a Mantova.715 Orfeo si trova nella
Sala delle Metamorfosi (1527-29), dove sono rappresentati alcuni miti ovidiani.716
Nell’affresco Orfeo canta per Plutone e Proserpina, i quali sono accompagnati da Cerbero e
da due altre figure infernali (ill. 5.9). A destra Euridice è presentata da un altro
personaggio infernale.
714
‘Pluton haueua a lato proserpina / sendo egli in tribunal sua fida moglie / che di lopacco infarno era reina /
senza esser morta con le mortal spoglie / alqual Orpheo con la virtu diuina / ne la cethra per dir tutte sue
doglie / signiori comincio del basso fondo / sopra del qual firmato e tutto il mõdo’ (Agostini, Tutti gli Libri de
Ouidio Metamorphoseos (1522), libro X, vv. 97-104).
715
L’influenza di questa edizione sui disegni di Giulio Romano per la Sala dei Giganti nel Palazzo Te è
attestato da: B. Guthmüller, ‘Zu Ikonographie und Sinndeutung der Sala dei Giganti des Giulio Romano’,
Studien zur antiken Mythologie in der italienischen Renaissance, Weinheim, 1986, pp. 117-141.
716
Giulio Romano, Orfeo nell’Ade, affresco, 1527-29. Mantova, Palazzo Te, Sala delle Metamorfosi, parete
meridionale.
240
MITOGRAFO O FIGURA MITOLOGICA?
5.9 Giulio Romano, Orfeo nell’ Ade, 1527-29
La seconda xilografia che accompagna il capitolo sul ‘Canto di Orpheo’ contiene di nuovo
un musicista intorno al quale si sono radunati degli animali e degli alberi. Ci si
aspetterebbe una terza xilografia con la morte di Orfeo. La mancanza di questa scena e il
fatto che Orfeo è rappresentato mentre suona per Plutone e per gli animali indicano forse
un atteggiamento più positivo verso Orfeo e il potere della musica.
Un’interpretazione negativa di Orfeo si trova nell’edizione di Anguillara del 1584.
L’artista Giacomo Franco non ha copiato illustrazioni precedenti del decimo libro, ma ha
fatto delle incisioni su rame in cui segue la linea narrativa del testo ovidiano. Nella prima
immagine Orfeo sta suonando la lira da braccio, mentre dietro di lui Euridice è rapita da
due mostri infernali (ill. 5.10-5.11).717 Sullo sfondo si vedono altri racconti del decimo
libro delle Metamorfosi.
717
Giacomo Franco, Scene dalle Metamorfosi, libro X, incisione di ramo, 149 x 93 mm, in: Anguillara, Le
metamorfosi d’Ovidio, 1584.
241
CAPITOLO 5
5.10-11 Giacomo Franco, Scene dalle Metamorfosi, libro X e XI, in: Anguillara, Le metamorfosi d’Ovidio, 1584
Anche nell’illustrazione dell’undicesimo libro si vede in primo piano il racconto di Orfeo,
che è assalito dalle donne, mentre sullo sfondo si vedono gli altri racconti dell’undicesimo
libro.718 In questo caso la composizione della morte di Orfeo fa pensare alquanto a quella
nella prima edizione del 1561. Le Baccanti si avvicinano da sinistra con bastoni al cantante,
che sta suonando su una pietra.719 Mentre queste illustrazioni mostrano già delle grandi
innovazioni sul piano della tecnica (incisioni su rame) e della composizione (tutti i miti del
libro in un’unica immagine), esse cambiano anche l’immagine di Orfeo. Gli elementi
positivi del mito (le nozze e il potere del canto per gli animali, che fu perfino sottolineato
nell’allegoria di Horologgi) sono stati sostituiti con l’errore principale di Orfeo: il suo
sguardo indietro. Inavvertitamente o deliberatamente Franco raffigurò solo due aspetti
negativi del personaggio, mentre nel testo di Anguillara e nei commenti l’immagine di
Orfeo era più positiva.
Le traduzioni italiane delle Metamorfosi non presentano dunque né un’immagine
costante né uno sviluppo uniforme nell’interpretazione di Orfeo. Per la maggior parte il
718
Giacomo Franco, Scene dalle Metamorfosi, libro XI, incisione di ramo, 149 x 94 mm, in: Anguillara, Le
metamorfosi d’Ovidio, 1584.
719
Queste xilografie sono state copiate con alcuni cambiamenti minori da: Anonimo, xilografia, 94x64 mm,
in: Anguillara, Le Metamorfosi, Venezia, 1592, pp. 353 & 390; Gaspare Grispoldi, incisione su rame, 62x58
mm / 63 x 58 mm, in: Anguillara, Le Metamorfosi, Venezia, 1601 (+ ristampe: Venezia, 1607; Venezia, 1677).
Cfr. G. Huber-Rebenich e.a., Ikonographisches Repertorium zu den Metamorphosen des Ovid. Die
Textbegleitende Druckgraphik, Band II: Sammeldarstellungen, Berlin, Gebr. Mann, 2004, pp. 130-131; 142143.
242
MITOGRAFO O FIGURA MITOLOGICA?
testo e le illustrazioni si sviluppano separatamente, ma ambedue tornano sempre ad
esempi precedenti. Nei testi l’interpretazione di Orfeo oscilla tra positiva e negativa. Le
xilografie sono più neutrali e non cambiano quasi niente fino all’edizione di Anguillara del
1584, che mostra una composizione nuova e un’interpretazione più negativa di Orfeo.
5.2.5 La fortuna delle xilografie nell’arte
Qual era l’influenza delle traduzioni delle Metamorfosi (e dei trattati mitologici) su altre
opere d’arte? Vista la separazione tra testo e immagini, si deve fare una distinzione tra
l’influenza delle xilografie e l’influenza del testo stesso.
Per quanto riguarda il testo, Bonsignori continuò la presenza di Aristeo nel
racconto ovidiano. Il ruolo di Aristeo nelle arti figurative aumenta fortemente alla fine del
Quattrocento e nel Cinquecento, ma, come ho discusso nel § 4.4, questo aumento è
probabilmente dovuto alla rappresentazione e alla pubblicazione della Fabula di Orfeo.
Un’altra aggiunta al mito di Orfeo fu il personaggio di Cerbero. Quest’aggiunta (che
peraltro fu anche adottata da Poliziano) ebbe un certo effetto sull’arte. Cerbero ottenne un
ruolo prominente nelle statue di Bandinelli e di Camilliani (ill. 5.12), in un dipinto di
Bronzino (cf. § 5.9) e in un disegno di Agostino Veneziano del 1528 (ill. 5.13).720
5.12 Camilliani, Orfeo e Cerbero, / 5.13 Agostino Veneziano, Orfeo e Cerbero, 1528
720
Agostino Veneziano, Orfeo e Cerbero (Orfeo nell’Ade), incisione, 1528. Washington D.C., National Gallery
of Art, Rosenwald Collection, 1954.12.37 (Bartsch 14, 259).
243
CAPITOLO 5
L’apparizione di Cerbero potrebbe indicare che gli artisti possedevano un’edizione di
Bonsignori o di Agostini. Questa supposizione è confermata dal fatto che Cerbero è
raffigurato soltanto all’inizio del Cinquecento, prima dell’apparizione di nuove traduzioni
che omettono il cane.
Le xilografie che accompagnavano il testo costituivano la fonte principale per la
produzione di maiolica. Secondo Rosa Maria San Juan la maiolica fu la forma più diffusa
del mito di Orfeo nelle arti rinascimentali.721 Le immagini servivano a trasmettere un
racconto esistente ad un pubblico ampio. Siccome esse avevano soprattutto una funzione
decorativa, potevano esere copiate direttamente dalle xilografie.722 Queste xilografie (e
incisioni) furono raccolte e mostrate nelle botteghe dei pittori di maioliche.723 Benché la
funzione dei piatti di maiolica sembri molto pratica, le decorazioni elaborate dopo il 1500
suggeriscono secondo San Juan piuttosto una funzione ornamentale.
Esiste una serie di cinque tondi di maiolica (ca. 1515-17) con episodi del mito di
Orfeo, che sono attribuiti a Nicola da Urbino.724 Questi tondi mostrano delle analogie
convincenti con le xilografie dell’edizione delle Metamorfosi del 1497: sono raffigurati per
esempio Orfeo e gli animali, Orfeo e Caronte e la morte di Orfeo (ill. 5.14-16). Siccome
non c’è nessun testo accompagnatore, le immagini devono essere più esplicite; qualche
volta furono aggiunti i nomi dei personaggi o delle iscrizioni sul retro.725
5. 14 Orfeo e gli animali / 5.15 Orfeo e Caronte / 5.16 La morte di Orfeo
721
San Juan, The Legend of Orpheus, cit., p. 131; cf. C. Ravanelli Guidotti, ‘Le Metamorfosi ‘vulgari’ d’Ovidio
sulla maiolica italiana’, in: Die Rezeption der Metamorphosen des Ovid in der Neuzeit: der antike Mythos in
Text und Bild, a.c.d. H. Walter & H.-J. Horn, Berlin, Gebr. Mann Verlag, 1995, pp. 85-97.
722
Le immagini furono anche basate su incisioni, per esempio: Anonimo (Deruta), Orfeo riprende Euridice
dall’Ade, piatto di maiolica, inizio sec. XVI. Paris, Musée de Cluny, inv. 2424. Quest’immagine è una copia di
un’incisione di Marcantonio Raimondi, cf. § 6.5.
723
Secondo Carmen Ravanelli Guidotti i libri illustrati furono donati e ritirati dai committenti (op.cit., p. 90).
724
Nicola da Urbino, Aristeo ed Euridice; Orfeo e Caronte; Orfeo ed Euridice nell’Ade; Orfeo e gli animali; La
morte di Orfeo, maiolica, ca. 1515-17. Venezia, Museo Correr.
725
Sul retro del recipiente di Xanto (cf. n. 75) si trova l’iscrizione seguente: ‘Alla Canothea Cimba arriva
Orpheo / Nel X.L. d Ovidio Meth.’ Sul retro del piatto al Musée de Cluny si spiega che il viaggio di Orfeo
rappresenta la sconfitta del male (San Juan, The Legend of Orpheus, cit., pp. 137; 140.
244
MITOGRAFO O FIGURA MITOLOGICA?
Anche un altro servizio di maiolica fatto da Francesco Xanto Avelli da Rovigo contiene due
oggetti dipinti con scene del mito di Orfeo: Orfeo nell’Ade (con Caronte e Cerbero) e la
trasformazione delle Baccanti in alberi.726 Il servizio era in possesso di Piero Maria Pucci,
che dal 1520 lavorava alla corte di papa Leo X (cf. i suoi rapporti con Orfeo, § 6.7). San
Juan si basa su questi recipienti di maiolica per dimostrare che le xilografie non furono
sempre semplicemente copiate. L’immagine di Orfeo nell’Ade è una combinazione
straordinaria di elementi provenienti da almeno tre edizioni diverse.727 La trasformazione
delle Baccanti in alberi potrebbe basarsi, a mio parere, su una xilografia dell’edizione di
Lorenzo Spirito (1519).728
San Juan argomenta in modo convincente che i cambiamenti nelle maioliche
rispetto alle xilografie corrispondono alle convenzioni dei romanzi, cioè alla funzione di
Orfeo nei cantari: si raffigurano l’inseguimento di Euridice da Aristeo, la reazione di Orfeo
alla notizia della morte di Euridice e la discesa agli inferi.729 Come nei cantari Orfeo
rappresenta il poeta-amante, il che è sottolineato dall’apparizione di Amore in alcune
immagini (ill. 5.17).730
5.17 Anonimo, Orfeo e gli animali con Amore, inizio sec. XVI
726
Francesco Xanto Avelli da Rovigo, Orfeo nell’Ade, recipiente di maiolica, 1532. London, Wallace
Collection; idem, Le Baccanti trasformate in alberi, recipiente di maiolica, 1532.
727
San Juan, The Legend of Orpheus, cit., pp. 134-135. Per una discussione delle fonti diverse dell’immagine
rimando a questo libro.
728
Secondo San Juan il motivo è nuovo e si basa sul testo delle Metamorfosi (p. 134).
729
San Juan, The Legend of Orpheus, cit., p. 139.
730
Anonimo (Deruta), Orfeo e gli animali con Amore, piatto di maiolica, inizio sec. XVI. Paris, Louvre, OA
1629; Anonimo (Deruta), Orfeo e gli animali con Euridice e Amore, piatto di maiolica, inizio sec. XVI. Lyon,
Musée des Arts Décoratifs (San Juan, The Legend of Orpheus, cit., pp. 140-141); Anonimo, Orfeo e gli animali
con Amore, piatto di maiolica, ca. 1525. Collezione privata (Rackham, p. 93, no. 332 a).
245
CAPITOLO 5
Per mezzo delle edizioni delle Metamorfosi con xilografie il mito di Orfeo fu dunque
trasferito alla maiolica. Attraverso le immagini su piatti e vasi e altri oggetti d’uso corrente
(o ornamentali) Orfeo raggiunse un pubblico sempre maggiore. L’immagine di Orfeo è
stereotipata e popolarizzata. Come nei cantari, che erano destinati a un pubblico comune e
diversamente dalla Fabula di Poliziano, Orfeo fu visto soprattutto come un amante. Alcuni
piatti rappresentano la morte di Orfeo, ma in altri il mito sembra avere un esito felice in
cui trionfa l’amore, cf. § 6.4 e cap. 7.
Nella produzione di maiolica per un pubblico ampio si vedono dunque delle
analogie notevoli con le xilografie delle edizioni delle Metamorfosi. L’influenza delle
xilografie si estende anche ad altre opere d’arte, ma in queste opere gli artisti si basano in
maniera più libera sul testo e sulle immagini esistenti.731 L’influenza diretta delle xilografie
è dunque spesso meno percepibile. Ho già accennato al rapporto tra l’affresco di Giulio
Romano nel Palazzo Te e l’edizione di Agostini. Nel quarto capitolo ho trattato
brevemente del Camerino di Orfeo nello stesso Palazzo e del Corridoio di Orfeo nello
stesso Palazzo e il Corridoio di Orfeo nel Palazzo di Sabbioneta in relazione ai Gonzaga. In
questi stucchi e affreschi sono anche visibili delle scene ovidiane.
Una combinazione di motivi che si basano sulle Metamorfosi si trova anche nella
Villa Farnesina, che fu costruita tra il 1509 e il 1511 dall’architetto e artista Baldassare
Peruzzi. Originariamente la villa fu eretta per il banchiere papale Agostino Chigi, ma nel
1580 fu comprata dalla famiglia Farnese. La Sala del Fregio fu decorata da Peruzzi stesso
con un fregio mitologico che rappresenta in un movimento continuo i miti di Ercole, gli
amori di Giove (Europa, Danae e Semele), Diana e Atteone, Mida, Nettuno e Anfitrite e
creature marine, Arianna e Bacco, Marsia, Meleagro e infine tre scene dal mito di Orfeo.
5.18 Baldassare Peruzzi, Orfeo e gli animali, Orfeo ed Euridice, La morte di Orfeo, ca. 1509-10
731
Cf. Bull, op.cit., p. 80.
246
MITOGRAFO O FIGURA MITOLOGICA?
A sinistra Orfeo suona per gli animali, nel mezzo Orfeo vede come un mostro infernale
trattiene Euridice e a destra Orfeo è ammazzato da alcune donne (ill. 5.18).732 Per quanto
riguarda la composizione, le rappresentazioni di Orfeo e gli animali e della morte di Orfeo
rassomigliano molto a quelle delle xilografie nelle edizioni delle Metamorfosi.
Christoph Frommel propone di interpretare le quattro pareti del fregio come una
rappresentazione dei quattro elementi oppure delle quattro parti del mondo: la terra (gli
atti sovrumani di Ercole), l’Olimpo (i rapporti tra uomini e dei, come Giove, DianaAtteone, Apollo-Mida), il mare (gli dei marini) e gli inferi (la morte: Marsia, Meleagro,
Orfeo).733 Fritz Saxl vede nelle figure mitologiche una successione di temi di amore e
morte.734 David Coffin suggerisce un contrasto tra ragione e passione. Vista la posizione
centrale dello sguardo indietro di Orfeo e della seconda perdita di Euridice, che non era
presente nelle xilografie, sembra più probabile un’interpretazione negativa di Orfeo.
Questi sono gli esempi principali dell’influenza diretta delle Metamorfosi e
soprattutto delle xilografie sulle arti figurative. Tuttavia, anche altri testi, come la Fabula
di Orfeo o i trattati mitologici, possono essere state tra le fonti d’ispirazione. Nondimeno,
l’aumento considerevole di immagini mitologiche alla fine del Quattrocento e nel
Cinquecento deriva almeno in parte dall’abbondanza di edizioni stampate delle
Metamorfosi. Anche la tradizione pittorica, nella quale Orfeo era spesso raffigurato come
cantante eccellente tra gli animali, giocava un ruolo. Vedremo nei paragrafi successivi che
anche nella letteratura si riproducono spesso gli stessi motivi stereopati, che erano già
comuni nel Trecento. Risulta difficile dare un’interpretazione allegorica univoca di quelle
opere d’arte che si basano sulle traduzioni delle Metamorfosi, perché circolano varie
interpretazioni diverse sia positive che negative.
5.3 CONCLUSIONE
Nel Cinquecento il mito di Orfeo si divulgò tra un pubblico più ampio. Questa diffusione
avvenne soprattutto per via dell’invenzione della stampa. Alcune opere trecentesche (le
Genealogie di Boccaccio e l’Ovidio metamorphoseos vulgare di Bonsignori) furono
stampate alla fine del Quattrocento e contribuirono alla maggiore conoscenza dei miti
antichi, tra cui quello di Orfeo.
732
B. Peruzzi, Orfeo e gli animali, Orfeo nell’Ade & La morte di Orfeo, affreschi, ca. 1509-10. Roma, Villa
Farnesina, Sala del Fregio. Peruzzi dipinse il motivo di Orfeo e gli animali un’altra volta nella loggia del
giardino del Castel Belcaro vicino a Siena (Frommel, 107b).
733
C.L. Frommel, Baldassare Peruzzi als Maler und Zeichner, Wien-München, Anton Schroll & Co, 1967-68,
18a.
734
F. Saxl, ‘The Villa Farnesina’, in: Lectures, vol. I, London, 1957, p. 193.
247
CAPITOLO 5
Solo a metà del Cinquecento le Genealogie furono sostituite con un nuovo trattato
mitografico di Conti. Orfeo è descritto tra gli altri personaggi mitologici, ma è considerato
soprattutto un poeta-teologo. Nei trattati di Cartari e Giraldi Orfeo non è più considerato
una figura mitologica, ma un mitografo, i cui Inni formavano una fonte d’informazione
sugli dei antichi. In queste opere si vede l’influenza di Ficino.
Le interpretazioni allegoriche di Bonsignori furono riprese da Agostini nella sua
nuova traduzione delle Metamorfosi. Quest’opera si basa, però, anche parzialmente sulla
Fabula di Orfeo e sui cantari su Orfeo. Così la rappresentazione umanistica ed elitaria fu
trasformata, attraverso i cantari, in un testo che era disponibile al pubblico comune e che
doveva essere interpretato secondo la maniera allegorica medievale. Così Orfeo perse le
sue connotazioni negative (l’uomo che torna ai piaceri terreni) e divenne di nuovo l’uomo
sapiente ed eloquente del commento bonsignoriano. Anche altre traduzioni ovidiane più
letterali e senza aggiunte allegoriche andavano, però, lette per il loro messaggio cristiano
nascosto. Soprattutto dopo la Controriforma furono aggiunte delle spiegazioni allegoriche
nelle edizioni successive. L’immagine di Orfeo in queste traduzioni oscilla tra positiva
(l’allegoria dell’eloquenza) e negativa (la condanna dell’omosessualità).
Le xilografie che erano presenti nella prima edizione di Bonsignori (1497) furono
copiate e imitate liberamente in diverse edizioni posteriori sia latine che volgari.
Chiaramente le xilografie non si basavano sul testo in cui si trovavano (a parte qualche
aggiustamento). Esse influenzarono, però, alcuni artisti che adoperarono queste edizioni
come compendi mitologici. Questa influenza si vede soprattutto nella maiolica, che era
destinata ad un pubblico meno colto. Queste rappresentazioni di Orfeo nella maiolica
costituivano in parte una semplice illustrazione del mito, che doveva essere facilmente
riconoscibile. Le innovazioni rispetto alle xilografie mostrano come Orfeo fosse visto come
un poeta-amante.
Anche in altre opere d’arte come affreschi, che furono ordinati da committenti
colti, si riconoscono qualche volta delle tracce della rappresentazione di Orfeo nel testo e
nelle xilografie delle Metamorfosi. La funzione di Orfeo nelle elaborate e ricercate
combinazioni iconografiche si lascia spesso difficilmente ricostruire. L’enfasi su
determinati elementi (il canto per gli animali, la discesa nell’Ade e lo sguardo indietro, la
morte di Orfeo, l’inseguimento di Euridice) è tuttavia spesso indice di una tendenza
positiva o negativa nell’interpretazione.
248
CAPITOLO 6. TOPOI, REAZIONI ED INNOVAZIONI
Orfeo alla fine del Quattrocento e nel Cinquecento (ca. 1475-1600)
6.0 INTRODUZIONE
L’invenzione della stampa favorì una grande diffusione della traduzione bonsignoriana
delle Metamorfosi, che portò a sempre nuove traduzioni nel Cinquecento. Anche le
Genealogie di Boccaccio furono stampate alla fine del Quattrocento e stimolarono la
pubblicazione di altri trattati mitologici. Questi libri enciclopedici aumentarono la
conoscenza dei miti, tra cui quello di Orfeo. Nel capitolo precedente abbiamo visto che in
questi libri il mito di Orfeo era interpretato spesso in modo evemeristico o allegoricomorale, esattamente come nel Trecento. L’importanza dei trattati mitologici e delle
traduzioni delle Metamorfosi per la fortuna dei miti è stata discussa da Jean Seznec e Bodo
Guthmüller. In questo capitolo voglio mostrare che i trattati e le traduzioni non erano le
uniche opere in cui fu menzionato il mito di Orfeo e che la maniera in cui Orfeo fu
descritto in questi libri non è sempre rappresentativa del modo in cui altri autori ed artisti
trattano il personaggio di Orfeo. Abbiamo pure constatato nel capitolo precedente che le
traduzioni delle Metamorfosi, e in particolare le xilografie, ebbero una sicura influenza
sull’immagine di Orfeo nelle arti visive; soprattutto gli oggetti d’arte, che furono prodotti
in gran quantità, come la maiolica e le placchette di bronzo, si basarono sulle xilografie.
Tuttavia, l’immagine di Orfeo nella letteratura e nell’arte cinquecentesca non può essere
equiparata senza mezzi termini all’immagine che si manifesta nelle opere di carattere
enciclopedico. Sotto questo rispetto gli studi importanti di Seznec e Guthmüller vanno
dunque completati.
Oltre all’immagine elaborata di Orfeo nelle opere enciclopediche continuano a
manifestarsi i riferimenti stereotipati al poeta-musicista eccellente che funge da modello
per altri poeti. Questo aspetto di Orfeo torna soprattutto nella poesia lirica petrarchista di
fine Quattrocento e del Cinquecento.735 In reazione alla lirica petrarchista ci sono dei poeti
anticlassicisti che nelle loro poesie burlesche rovesciano la posizione di Orfeo, cosicché il
poeta antico rappresenta addirittura la poesia cattiva. Dunque l’immagine positiva
tradizionale del poeta eccellente si trasforma. Tuttavia, Orfeo mantiene la sua posizione
come poeta eloquente che ha civilizzato gli uomini. Questo motivo continua a manifestarsi
sia nella letteratura che nell’arte, dove si vede un aumento enorme del motivo di Orfeo e
degli animali.
735
Infatti, anche Petrarca si era riferito alcune volte all’amore di Orfeo ed Euridice nel suo Canzoniere (cf. §
2.4).
249
CAPITOLO 6
Altri spostamenti nella rappresentazione di Orfeo si verificano nella descrizione e
nelle raffigurazioni di Orfeo amante. Nella poesia petrarchista Orfeo ed Euridice sono
ancora visti come amanti leggendari a cui altri amanti amano paragonarsi. Alla fine del
Quattrocento Orfeo figurerà anche come musicista e amante in alcuni trionfi che fanno
parte di feste nuziali. Così questo aspetto di Orfeo è introdotto in un nuovo genere
artistico teatrale. Quanto all’amore nelle arti figurative, Euridice occuperà sempre di più il
posto di Orfeo. L’importanza di Euridice è legata alla mutata posizione della donna.
L’attenzione al ruolo della donna è infatti un aspetto notevole della cultura cinquecentesca.
Le donne cominciano a partecipare alle attività culturali del loro tempo e a scrivere delle
poesie in cui appare anche Orfeo. In reazione alla maggiore presenza femminile nella
letteratura nasce anche una letteratura misogina, e anche qui si parla di Orfeo.
L’enfasi sull’esito infelice del mito di Orfeo sembra diminuire nel Cinquecento. La
sua ricerca allegorica del sommo bene, ossia di Dio, aveva ancora un ruolo fondamentale
nella cerchia di Ficino e di Lorenzo. Probabilmente la Fabula di Poliziano, che ho discusso
nel quarto capitolo, deve essere interpretata in questo modo. Nelle arti visive il mito è
qualche volta adattato, per produrre un lieto fine. Nella letteratura del Cinquecento i
riferimenti espliciti allo sguardo indietro sono pochi.
Gli aspetti positivi di Orfeo sono rafforzati dalla seconda generazione dei Medici.
Come i Gonzaga a Mantova (§ 4.4.1), anche i Medici vedono nella figura di Orfeo
un’occasione per rappresentare il loro potere. Per motivi propagandistici essi combinano
vari aspetti positivi del personaggio. Un altro approccio molto positivo si trova nei
riferimenti a Orfeo poeta-teologo o filosofo antico. Siccome Orfeo poeta-teologo è in
effetti una faccia completamente diversa (o perfino un altro personaggio storico) in
confronto ad Orfeo amante (il personaggio mitologico), e siccome i riferimenti a questo
Orfeo nel Cinquecento mostrano molte analogie con i riferimenti a Orfeo nella cerchia di
Ficino, ho già discusso questo aspetto nel terzo capitolo. Leggendo il capitolo 6 si deve
però sempre tenere in mente che anche questo lato di Orfeo è frequentemente presente
nel Cinquecento, specie negli scritti filosofici.
Come nei secoli precedenti le opinioni su Orfeo divergono dunque molto. La fine
del Quattrocento e il Cinquecento offrono un panorama variegato di significati inerenti
alla figura di Orfeo. Oltre alle sue rappresentazioni stereotipate si trovano anche delle
interpretazioni nuove e sorprendenti. Nuovi elementi sono introdotti non solo dalla
disponibilità delle traduzioni delle Metamorfosi o dei trattati mitologici, ma anche dalla
popolarità della Fabula di Orfeo. Alcuni elementi del mito che prima non erano toccati
(quasi) mai, godono una conoscenza e popolarità maggiori rispetto al Trecento e al primo
Quattrocento. Si tratta della misoginia, dell’omosessualità e della morte di Orfeo. Anche la
partecipazione di Orfeo al viaggio degli Argonauti, di cui parla Poliziano nella Manto e
Boccaccio nelle Genealogie, emerge ora nell’arte e nella letteratura. Alcuni luoghi comuni
250
TOPOI, REAZIONI ED INNOVAZIONI
trecenteschi su Orfeo rimangono dunque in auge fino al Seicento, mentre emergono anche
reazioni e cambiamenti di questi topoi, oltre a elementi nuovi.
6.1 POETA ECCELLENTE VS. POETA ODIATO
Nella poesia lirica del Trecento e del primo Quattrocento Orfeo figurava spesso come
musicista fuori da comune. Poeti e musicisti si paragonavano alla figura mitologica
esemplare e cercavano di emularne il canto. Questo topos letterario non perse mai terreno,
e anche nella poesia della seconda metà del Quattrocento e del Cinquecento si possono
distinguere alcune situazioni base che tornano in molti poeti:
Poeti complimentano altri poeti dicendo che rassomigliano al poeta per eccellenza,
Orfeo. Un bell’esempio si trova nella corrispondenza poetica tra Filenio Gallo (....1504) e Pietro Mochio. Pietro afferma di essere pietrificato dopo aver udito il canto
di Filenio. Orfeo deve avergli insegnato l’arte della cetra. Filenio gli risponde per le
rime dicendo che nemmeno la cetra di Orfeo sarebbe in grado di descrivere la sua
grazia.736 Anche le poetesse petrarchiste, come Veronica Gambara, si paragonano a
Orfeo.737 Orfeo costituisce dunque anche un modello per le donne. Non si ricorre a
un modello femminile, come la poetessa Saffo, probabilmente perché Orfeo è
diventato un topos letterario.738
Alcuni poeti superano perfino il sommo poeta Orfeo. Giambattista Cantalicio (ca.
1445-1515) dice per esempio che, quando il re sarà tornato in patria, il suo canto
vincerà quello di Orfeo, di Arione e di Anfione.739
La donna non ascolta il canto del poeta e non corrisponde il suo amore; neanche la
cetra di Orfeo avrebbe la forza di rompere il suo cuore di sasso. Il protopetrarchista
736
Gallo, Rime, parte 2 (A Safira-Egloga e Rime), 21 & 22. Altri riferimenti a poeti/musicisti come Orfei si
trovano in: Lettera di Ottavio Landi a Doni, 21, p. XXIIv. (Antonfrancesco Doni); Borra, Amorose rime, XIII,
v. 8 (Michelangelo). Tasso, Rime, 1524 (Cristobal de Mesa); Tasso, Aminta, Atto 1, scena 2; Tebaldeo, Rime,
196; Agostini, Poesia per l’Altissimo Poeta; Anonimo, Pasquinate, 153; 177 (Paolo Emilio Cesi); Aretino,
Lettere, IV, lett. 32, p. 48 (Aurialo); Ternali, II, 262 (Aurialo); Cortigiana, 3, 7 (Francesco Salamone); Ariosto,
Orlando furioso, XLII, 83 (Ercole Strozza); Bandello, Novelle, XVII (Agostino da la Viola); Folengo, Baldus,
libro XIII, 358 (Giuberto); Sisgoreo, Carmina, 2, 33, 18.
737
Gambara, Rime, LXVII.
738
Gambara si riferisce anche a Orfeo come poeta che addomestica tigri, orsi e serpenti con il suo canto in:
Rime, XXXI.
739
Cantalicio, Bucolica, Aegloga VI, v. 125. Altri esempio di questo motivo si trovano in: Tebaldeo, Rime, 286
(una bella donna); Spagnuolo, Egloghe, IX, vv. 212-219 (il tesoriere papale Falcone de’ Simbaldi); Palladio
Sorano, Epigrammi, liber II, 15 (l’umanista Pietro Cristoforo Gigante); II, 92 (l’umanista Francesco
Maturanzio); Elegie, 1 (Ad candidam Calliopeam elegia), v. 35 (il poeta stesso); Castiglione, Egloga ‘Tirsi’, 11,
v. 8 (il poeta stesso); Correggio, Psiche, 22 (il narratore).
251
CAPITOLO 6
Antonio Tebaldi (il Tebaldeo, 1463-1537) si lamenta che la donna amata non
ascolterà mai il suo canto. Neanche il plettro di Arione, la cetra di Amfione e quella
di Orfeo avrebbero la forza di convincere la donna ad ascoltare. Infatti, la donna è
più dura di un sasso.740 L’idea dell’amore non corrisposto e quella della donna
irraggiungibile che non si lascia neanche sedurre dal canto di Orfeo si adatta bene
alla tematica amorosa della poesia petrarchista. Nella Zanitonella di Teofilo
Folengo (1491-1544), un poeta maccheronico che deride la poesia amorosa di
Petrarca, Tonellus si compiange perché Zanina non vuole ascoltare la sua musica.741
Tonellus è in grado di far ballare i tavoli, ma non è in grado di rompere il cuore di
sasso di Zanina. La stessa idea è elaborata, a mio parere, nella Lyra di Giovanni
Pontano.742
Bisogna avere il talento di Orfeo per poter descrivere la bellezza di una donna o per
lodare qualcuno. In una poesia del 1469, Comedio Venuti, che faceva parte della
cerchia di Lorenzo de’ Medici, loda la bellezza e la virtù di Clarice, la moglie di
Lorenzo. Ci dovrebbe essere un altro Orfeo al mondo per lodare un simile tesoro.743
Il talento musicale di Orfeo ci vuole anche per cantare le lodi di un signore stimato,
come ne La civil conversazione di Stefano Guazzo (1530-1593) o nelle poesie di
Gaspara Stampa.744
Queste quattro situazioni sono molto comuni nella lirica petrarchesca, nella poesia
pastorale e in altre opere letterarie. Naturalmente ci sono anche altri riferimenti a Orfeo
che sono meno facilmente classificabili.745
740
Tebaldeo, Rime, 46. Lo stesso motivo della donna che non vuole ascoltare il canto torna in un’altra poesia
del Tebaldeo (Rime, 44 (dubbia)). Poi il motivo si trova anche in: Serafino Aquilano, Rime, sonetto 103;
Palladio Sorano, Epigrammi, libro I, 42 (Calliope).
741
Folengo, Zanitonella, X (Matinada), vv. 377-404.
742
Pontano, Carmina, Lyra, I ‘De Orpheo navigante et post ad inferos pro uxore descendente’. In questa
lunga poesia Pontano descrive prima come Orfeo spronò gli Argonauti a compiere grandi imprese. Nella
seconda parte della poesia Pontano descrive il successo del canto di Orfeo negli inferi. Il significato delle
ultime due strofe è ambigua. Secondo Gustavo Costa i versi alludono all’uccisione di Orfeo da parte delle
Menadi o al fallimento del tentativo di riprendersi Euridice. Euridice è ritenuta colpevole del fallimento (G.
Costa, ‘Giovanni Pontano and the Orpheus Myth: Poetry and Magic in the Age of Humanism’, Rivista di
studi italiani 4, 1 (1986), pp. 1-17). Secondo me Pontano enumera forse i successi del canto di Orfeo per
contraporli al fallimento del canto per intenerire una donna.
743
Venuti, Sonetti, CLIV. Lo stesso motivo si trova anche in: Morlini, Novelle, XXIV (monaca); Almerici da
Pesaro, Rime, CXL (la defunta moglie); Tartaglia (Mantelli), Versi d’amore, XIII, v. 51 (una donna è troppo
bella per essere celebrata da Orfeo o da Petrarca).
744
Guazzo, La civil conversazione, 4 1.235; Stampa, Rime, II, CCLIX. Altri esempi si trovano in: Aretino,
Strambotti, son. 65; Tasso, Rime, 1372 (A don Vespasiano Gonzaga).
745
Anche nelle arti figurative Orfeo è raffigurato qualche volta come il prototipo del musicista. La figura
mitologica tiene in mano uno strumento senza che il contesto del mito sia aggiunto all’immagine. In questi
casi l’identificazione della figura con Orfeo è spesso alquanto problematica. Senza altri attributi tale figura
potrebbe anche rappresentare il dio della musica, Apollo (L. Cambiaso, Orfeo?, disegno. Firenze, Galleria
252
TOPOI, REAZIONI ED INNOVAZIONI
Mentre la fama di Orfeo poeta o musicista ideale è grandissima, alcuni poeti
recalcitranti si oppongono a questa immagine positiva. Per questi poeti Orfeo non è il
prototipo del poeta in generale, ma piuttosto del poeta classico o classicista in particolare.
Nel suo articolo sulle burlesche mitologiche italiane del Cinquecento Thomas Stauder
discute alcune opere dei poeti anticlassicisti Girolamo Amelonghi e Antonfrancesco
Grazzini (Il Lasca).746 La Gigantea (1547) di Amelonghi fu dedicata a Alfonso de’ Pazzi di
Firenze. All’inizio del libro sono ridicolizzate le tre corone del Trecento, Dante, Petrarca e
Boccaccio. Così Amelonghi e altri poeti anticlassicisti si ribellavano contro i precetti di
Pietro Bembo, che nelle Prose della volgar lingua (1525) aveva definito la poesia di Petrarca
come il culmine di poesia e la prosa di Boccaccio come l’esempio migliore di prosa.
Nell’invocazione alle Muse all’inizio de La Gigantea Amelonghi dice grandi cose
della poesia liberamente ispirata. In questo passo troviamo anche un riferimento a Orfeo. Il
poeta spera che non vengano le Muse né Orfeo con la sua ribeca per riempire il suo
ingegno con versi. Il poeta vuole invece cantare liberamente (‘a caso’), ispirandosi soltanto
alla Pazzia:
Non venga Euterpe, Calliope o Clio
Nel gran cavallo o ‘l fonte d’Helicona
A infonder versi al mio ‘ngegno restio
Che vuol Poetar a caso, e alla carlona,
Non veng’ Orfeo con la ribecha ch’io
Non voglio, o posso cantar cosa buona
Venga l’alma Pazzia dolce e gradita
Ch’io la vò sempre mai per calamita.
[...]
Spirami almen’ tanto favor’ ch’io possa
Diventar pazzo un tratto, in carne e in ossa.
(Amelonghi, La Gigantea, pp. 9-10)
L’invocazione della Pazzia non ha, secondo Stauder, una ragione teorico-letteraria, ma è
soltanto un’allusione ad Alfonso de’ Pazzi e il suo Trionfo della Pazzia, una sfilata
mascherata a cui Amelonghi stesso aveva partecipato durante il carnevale del 1546.747 La
degli Uffizi; Paris Bordone, Orfeo, tela, 371 x 28 in., ‘Notable works now on the market’, Burlington Magazine
95, 609 (1953); Anonimo, Orfeo, dettaglio di un ‘organo di acqua’. Tivoli, Villa d’Este). Naturalmente Orfeo
non funziona qui come materiale di confronto tra due poeti o come requisito necessario per descrivere una
donna, i quali sono dei motivi tipici della sua presenza nella lirica.
746
T. Stauder, ‘Italienische Mythenburleske des 16. Jahrhunderts: Girolamo Amelonghis Gigantea und ihre
Fortsetzungen’, in: B. Guthmüller & W. Kühlmann, Renaissancekultur und antike Mythologie, Max
Niemeyer Verlag, Tübingen, 1999, pp. 73-92.
747
Stauder, op.cit., pp. 73-92.
253
CAPITOLO 6
Gigantea è una protesta contro l’adorazione degli antichi da parte dei contemporanei di
Amelonghi; perciò la lotta finisce con la vittoria dei giganti. In questo contesto Orfeo è
dunque il simbolo della poesia classicista, che ha una connotazione negativa.
Anche il Lasca era un poeta anticlassicista, che nelle sue opere si ribellava contro i
poeti petrarchisti e umanisti. Nel 1547 fu cacciato dall’Accademia Fiorentina. Nella Guerra
de’ Mostri dello stesso anno lui descrive una gigantomachia, in cui i mostri alludono agli
Aramei, i seguaci di Pierfrancesco Giambullari, che lo forzarono a lasciare l’Accademia.
Uno dei mostri porta molte insegne antiche, tra cui la lira di Orfeo.748 Orfeo rappresenta
dunque di nuovo il simbolo dei poeti anticheggianti detestati dal Lasca.
I poeti anticlassicisti più famosi del Cinquecento erano Francesco Berni e Pietro
Aretino.749 Berni si era trasferito dalla Toscana a Roma e lavorava presso vari cardinali ed
ecclesiastici. Nelle sue poesie si rispecchia la tradizione burlesca fiorentina di Burchiello e
Pulci. Nel Dialogo contra i poeti (1526) Berni emette un giudizio molto negativo su Orfeo.
Gli interlocutori nella discussione sono Giovan Battista Sanga, Marco da Modena e Berni
stesso:
MARCO. Oh! Orfeo, che fu poeta teologo, non se dice che con la dolcezza de’ suoi versi
cavò la moglie de l'inferno, mosse le fiere e li monti e li fiumi e li sassi, che costoro vogliono
che per allegoria significhi che la poesia ha tanta forza che muove a maraviglia li uomini
grossi, e li fa disciplinabili e cólti?
BERNI. Madesí; di qui nasce che alli balordi e castroni solamente piaceno li poeti; li omini
da bene, che hanno ingegno, non possono patir di vederli.
SANGA. Per mia fe’, se non fusse per non parer poeta, idest pazzo come loro, e’ mi fanno
venir talor tanta stizza, ch’io sto per farli vedere se li sassi si possono tirare con altro che
con le viole e con li liuti, e forsi che si tirería altro che sassi. Ha trovato costui che Orfeo
tirava li sassi, e che era teologo. Credi che la teologia stessi fresca nelle mani sue, che ti
doveresti vergognare! Fece ben fine quella bestia da presumere che fusse teologo, se vero è,
secondo la fede nostra, che chi ben vive ben more.
MARCO. E che fin fece?
SANGA. Va, cercalo: cosí lo facesse tutto il resto di loro.
MARCO. Che cosa fu?
SANGA. Fu sbranato e squartato dalle donne: e quanta ragion n’ebbero, ché il traditore
trovò quella bella invenzione che voi sapete.
(Berni, Dialogo contra i poeti, pp. 283-284 (ed. Chiorboli))
748
Grazzini, Guerra de’ Mostri, p. 135.
Anche Aretino evoca la figura di Orfeo in una lettera a Messer Sperone in un contesto non molto serio,
ma piuttosto burlesco. L’autore descrive un uomo tanto pesante da non poter essere spostato neanche dalla
musica di Orfeo (Aretino, Lettere, Libro I, 139 (A Messer Sperone). Altri esempi di un Orfeo burlesco nelle
opere di Aretino: Lettere, Libro I, 274 (A Monsignor Biagio Iuleo); Libro III, 370 (Al Modanese).
749
254
TOPOI, REAZIONI ED INNOVAZIONI
Orfeo era in grado di istruire con la sua poesia gli uomini rozzi e stupidi, che infatti sono
gli unici che vogliono ancora vederlo. Orfeo è criticato aspramente per aver presunto di
essere un poeta e un teologo, ed allo stesso tempo aver inventato la pederastia. Il
frammento contiene una doppia accusa nei confronti di Orfeo: quella di aver inventato
l’omosessualità e quella di essersi presentato come teologo e poeta (pazzo). Dal punto di
vista dei poeti anticlassicisti e burleschi Orfeo simboleggia dunque la cattiva poesia.
All’adorazione di Orfeo nella poesia petrarchista subentra un approccio negativo ed
aggressivo. Nel Cinquecento nascono dunque anche delle tensioni per quanto riguarda
l’Orfeo poeta, che prima era sempre considerato unanimemente in modo positivo.
6.2 ARGONAUTA
Al motivo comune del poeta eccellente si aggiunge un’altra variante. Un dettaglio di un
pannello quattrocentesco, che fu probabilmente usato come spalliera o come decorazione
da parete, mostra due uomini su una roccia che parlano con un centauro anziano. Alla loro
destra un uomo suona il liuto (ill. 6.1).
6.1 Maestro degli Argonauti, Storia degli Argonauti, ca. 1465-70 (dettaglio)
Si tratta di Orfeo in compagnia di Giasone, il capo della spedizione degli Argonauti, Ercole
e il centauro Chirone. Gli uomini si consultano tra di loro sulla vetta del Pelio prima di
partire. In fondo a destra si vedono già le preparazioni sull’Argo. La scena fa parte di un
pannello attribuito al cosiddetto Maestro degli Argonauti (ca. 1465-70), probabilmente
fiorentino.750 Il racconto è rappresentato come una narrazione continuata, in cui si vedono
750
Maestro degli Argonauti, Storia degli Argonauti, cassone, ca. 1465-70. New York, Metropolitan Museum
of Art, collezione Pierpont Morgan, no. 09.136.1 (www.metmuseum.org/toah/hd/dome/hod_09.136.2.htm).
255
CAPITOLO 6
vari episodi del racconto simultaneamente. A sinistra della scena già descritta il re Pelia
incarica Giasone di procurarsi il vello d’oro. Poi Giasone monta a cavallo.
Tali rappresentazioni del viaggio degli Argonauti diventono popolari in Italia a
partire dalla seconda metà del Quattrocento. Qualche volta è presente anche Orfeo, come
sul pannello del Maestro degli Argonauti.751 Si ricordi che anche la prima rappresentazione
di Orfeo nell’arte era accanto all’Argo.752 In un altro pannello quattrocentesco attribuito
all’artista fiorentino Biagio di Antonio (fl. 1446-1516) si vedono altri episodi del racconto
degli Argonauti:
6.2 Biagio di Antonio, Storia degli Argonauti, ca. 1470
l’incontro del re Eete e delle sue figlie Medea e Calciope con Giasone e i suoi compagni (tra
i quali Orfeo); Giasone che ara la foresta di Ares, dove si sorveglia il vello d’oro; Orfeo che
addormenta il drago con il suo canto così che Giasone può rubare il vello; e il re che invia i
suoi figli a inseguire Medea e Giasone (ill. 6.2).753
Anche nella letteratura Orfeo è rappresentato più spesso come Argonauta.
Nonostante brevi riferimenti alla sua partecipazione al viaggio nella letteratura precedente,
Orfeo non assume un vero ruolo come Argonauta prima della fine del Quattrocento.754
Nella prefazione alla Manto, Poliziano dà una lunga descrizione dell’inizio del viaggio. La
Manto era una delle Sylvae, che fu recitata nello Studio fiorentino il novembre 1482.755
L’apparizione di Orfeo tra gli Argonauti fu forse suggerita a Poliziano dall’Argonautica
751
Altre immagini di Orfeo tra gli Argonauti sono: Anonimo veronese, Il viaggio degli Argonauti, cassone, ca.
1480. Verona, Museo Civico; Anonimo fiorentino, L’incontro tra Giasone e Medea con Orfeo e gli altri eroi,
cassone, ca. 1486. Paris, Musée des Arts Décoratifs.
752
Anonimo, Orfeo e gli Argonauti, metopa del tesoro dei Sicioni, sec. VI a.C. Delfi, Mus. 1323.1323a.1210.
753
Biagio di Antonio, Storia degli Argonauti, cassone, ca. 1470. New York, Metropolitan Museum of Art,
Collezione Pierpont Morgan, no. 09.136.2 (www.metmuseum.org/toah/hd/dome/hod_09.136.1.htm).
754
Boccaccio, Genealogie XIII, XXVI ‘De Iasone’; XIV, VIII, 8-11; Esposizioni, IV, esp.lit. 317-26; Chiose dette
del falso-Boccaccio (Inferno); Vegio, Vellus Aureum, liber I, v. 43.
755
F. Bausi, ‘Orfeo e Achille. La prefazione alla Manto di Angelo Poliziano’, Schede umanistiche n.s. I (1992),
pp. 31-59.
256
TOPOI, REAZIONI ED INNOVAZIONI
orfica, che era molto popolare nel circolo neoplatonico intorno a Ficino (§ 3.1.2). Bausi
divide la scena in due parti: nella prima parte (il ‘convito’) gli Argonauti si radunano prima
della loro partenza nell’antro del centauro Chirone, dove fanno un banchetto. Dopo il
banchetto Orfeo addomestica la natura con il suo canto:756
Finis erat dapibus: citharam pius excitat Orpheus,
et movet ad doctas verba canora manus.
Conticuere viri, tenuere silentia venti,
vosque retro cursum mox tenuistis, aquae;
iam volucres fessis pendere sub aethera pinnis,
iamque truces videas ora tenere feras;
decurrunt scopulis auritae ad carmina quercus,
nudaque Peliacus culmina motat apex.
Et iam materno permulserat omnia cantu,
cum tacuit, querulam deposuitque fidem.
(Poliziano, Manto, Praefatio, 13-22)757
Nella seconda parte Achille prende la lira di Orfeo e canta un’ode in onore di Orfeo. Gli
Argonauti presenti deridono il canto di Achille, ma Orfeo stesso ne prova diletto. Orfeo è
rappresentato come il musicista famoso che sa suscitare ammirazione sia negli uomini che
nella natura: gli uomini e i venti tacciono, i fiumi tornano indietro, gli uccelli sono sospesi,
le fiere trattengono le fauci, le querce corrono al canto e perfino il monte Pelio (dove abita
Chirone) muove le sue cime. La partecipazione al viaggio bellicoso degli Argonauti sembra
forse in prima istanza un’attività che non conviene a una figura come Orfeo, ma Poliziano
mostra che il ruolo principale di Orfeo durante questo viaggio è quella di musicista: con il
suo canto Orfeo deve divertire gli altri Argonauti, che sono degli eroi valorosi. Che questa
sia la funzione principale di Orfeo Argonauta risulta anche dal fatto che la Manto fa parte
delle Silvae, in cui Poliziano esalta la funzione civilizzatrice della poesia.758
Nel 1500 furono stampate le Argonautiche orfiche, che erano già note nella cerchia
di Ficino. Per il grande pubblico costituivano una nuova ed elaborata fonte di conoscenza
756
Bausi, op.cit., pp. 31-59.
‘Posta fine al convito, ridesta il pio Orfeo la sua cetra: / le dotte mani seguono le parole del canto. /
Tacquero gli uomini, i venti non ruppero il silenzio, / e voi, acque, all’indietro tosto volgeste il corso. / Già
vedevi gli uccelli con le ali stanche fermarsi nell’aria, / e le fiere crudeli trattenere le fauci; / dalle pendici
corrono a quel suono le querce orecchiute, / e la vetta del Pelio, nuda, scuote le cime. / E già aveva addolcito
tutte le cose col canto materno, / quando tacque, e depose la melodiosa lira.’ (trad. Bausi).
758
Cf. C. Munro Pyle, ‘Le thème d’Orphée dans les oeuvres latines d’Ange Politien’, Bulletin de l’Association
Guillaume Budé 39 (1980), pp. 408-419; G. Boccuto, ‘Riscrittura del mito nella letteratura umanistica: i
Nutricia di Poliziano’, in: Presenze classiche nelle letterature occidentali. Il mito dall'età antica all'età
moderna e contemporanea, a.c.d. M. Rossi Cittadini, Perugia, IRRSAE/GESP, 1995, pp. 493-497.
757
257
CAPITOLO 6
sul viaggio degli Argonauti.759 Anche il poeta italiano Luigi Tansillo (1510-1568) si lasciò
forse ispirare dall’edizione delle Argonautiche. Nel suo Canzoniere descrive un altro
momento della spedizione, la partenza dell’Argo:760
Quando dal lido uscìo la nave d’Argo,
quante lacrime fur su l’acque sparse,
nel modo, ch’oggi io, misero, le spargo!
Che fea, se v’era alcun che d’amor arse,
quando da la sua donna, e sovra un legno,
e per tant’acque vide allontanarse?
Ma il buon Orfeo, che col medesmo legno
arava il mar, così li consolava,
al suon cantando del suo curvo legno.
E l’aure e i pesci, mentre ch’ei cantava,
correan dietro alla poppa per udire,
e l’onda sotto i remi si corcava.
(Tansillo, Canzoniere, I, capitolo 3, vv. 37-72)
Il canto di Orfeo consola gli Argonauti che devono partire dalle loro donne amate, ma il
poeta Tansillo non sarà consolato da nessuno quando la sua donna sarà partita. Di nuovo
la funzione principale di Orfeo come Argonauta è quella di cantante, sia per divertire gli
altri eroi, che per consolarli nel momento della partenza.761 Anche sui pannelli lo
incontriamo come cantante, mentre sta divertendo gli altri Argonauti o sta
addormentando il drago che sorveglia il vello d’oro. Benché Orfeo faccia dunque parte del
gruppo di eroi che devono adempiere un incarico difficile e pericoloso, in realtà lui serve
soprattutto come intrattenitore delle truppe. Non cambia dunque veramente la sua
funzione di musicista eccellente.
759
Ziegler, op.cit., p. 50.
Altri riferimenti a Orfeo Argonauta si trovano in: Tasso, Rime, 1372; 1408; Discorsi del poema eroico, libro
2, 14 ; Barbaro, Orationes contra poetas, I, 16-19; Genesio (Elfiteo), Elegiae, 1, 17; 2, 23.
761
Anche nella Lyra (1503) di Giovanni Pontano Orfeo partecipa al viaggio degli Argonauti (Lyra, I, ‘De
Orpheo navigante et post ad inferos pro uxore descendente’, vv. 1-48). Anche in questo passo Orfeo funziona
chiaramente come cantante che deve spronare gli Argonauti ad azioni eroiche. Mentre gli Argonauti sono
descritti come eroi che sono simili agli dei, Orfeo non fa parte del loro gruppo, ma è caratterizzato come vate
o sacerdote.
760
258
TOPOI, REAZIONI ED INNOVAZIONI
6.3 CIVILIZZATORE
Già Poggio Bracciolini disse in una famosa lettera del 1416 a Guarino Veronese che gli
uomini si distinguevano dalle bestie per l’intelletto e per la loro eloquenza. L’importanza
dell’eloquenza per gli umanisti quattro- e cinquecenteschi fu enorme. L’idea che Orfeo con
la sua eloquenza avesse civilizzato gli uomini e dunque ingrandito il divario tra l’uomo e la
bestia era molto gradita. Nel Trecento Boccaccio aveva legato la fama di Orfeo come uomo
eloquente alla sua capacità di spiegare allegoricamente l’addomesticamento degli animali
(come Orazio e Dante avevano fatto prima di lui in modo diverso).
L’allegoria piace anche a Cristoforo Landino, per il quale Orfeo rappresentava in
prima istanza il poeta-teologo. Nella Prolusione petrarchesca troviamo uno dei tanti
riferimenti a questa allegoria:
La eloquenzia poté da principio gl’uomini, e’ quali a guisa di fiere sanza costumi, sanza leggi
e’ boschi e le spilonche abitavono, in uno ceto e congregazione ragunare, e, ragunati, alle
leggi e al giusto vivere sottomettergli. Né altro vollono dire e’ poeti che Orfeo potessi con
sua citara le fiere far mansuete, muovere e’ sassi e le selve e fermare e’ fiumi, se non che
poté con suo dolce parlare gl’uomini, e’ quali erono alla virtù insensati e quasi di sasso e alla
voluttà del corpo furiosi e pieni d’empito, ridurre a civil vita. Né crediate che Anfione
potessi per forza di suo canto acozare pietra a pietra e così edificare le mura di Tebe, ma
con questa già tante volte nominata eloquenzia poté quel medesimo che Orfeo.
(Landino, Prolusione petrarchesca, p. 39)
Landino rappresenta un Orfeo che addomestica le fiere, muove i sassi e ferma i fiumi in
un’allegoria dell’eloquenza che raccoglie gli uomini e li sottopone alla legge. Orfeo è in
grado di civilizzare gli uomini rozzi con il suo ‘dolce parlare’. In un frammento
dell’Orazione dedicatoria (1481) Landino spiega il potere di Orfeo in parole molto simili.762
Landino non sembra interessarsi dunque soltanto di Orfeo come poeta-teologo, ma anche
come poeta-musicista e come civilizzatore dell’umanità. Si noti, però, che Landino non si
riferisce mai all’amore di Orfeo per Euridice. Landino non considera Orfeo il personaggio
mitologico che conosciamo dalle Georgiche di Virgilio e dalle Metamorfosi di Ovidio. Orfeo
è piuttosto un uomo storico: il poeta e teologo che instaurò l’orfismo e che in qualità di
poeta era considerato un Dio dai posteri (§ 3.1.2). I racconti sul potere ammaliante della
sua cetra non vanno presi alla lettera, ma devono essere letti come allegorie, che mostrano
la funzione civilizzatrice dell’eloquenza. La forza civilizzatrice della poesia e dell’eloquenza
762
Landino, Orazione di messer Cristoforo Landino fiorentino avuta alla illustrissima signoria fiorentina
quando presentò el comento suo di Dante, p. 169. Altri riferimenti all’allegoria di Orfeo e gli animali
nell’opera di Landino si trovano in: Epistola Landini quam Etrusco sermone discipulis suis dedit; Proemio al
commento dantesco, p. 145; Introduzione all’Eneide, p. 228. Vedremo nel paragrafo successivo che,
contrariamente a Landino, Ficino si riferisce qualche volta a Orfeo amante.
259
CAPITOLO 6
costituisce anche l’argomento centrale dei Nutricia di Angelo Poliziano, nella quale opera
il potere del canto di Orfeo è descritto in vari luoghi.763 Giuseppina Boccuto mostra in
modo convincente che gli intenti dei Nutricia (un panegirico della poesia) inducono
Poliziano a presentare un’immagine positiva di Orfeo e dunque a manipolare il mito in
modo sottile: i personaggi domati dal canto di Orfeo sono resi più crudeli per sottolineare
l’eccellenza del canto di Orfeo; lo sguardo indietro non riceve quasi nessuna attenzione; la
morte è l’unica occasione in cui non serve la poesia ed è omessa l’omosessualità di Orfeo.
Così Poliziano crea un Orfeo diverso da quello nella Fabula, che rappresenta soltanto la
forza civilizzatrice della poesia.764
Anche nel Cinquecento Orfeo poeta civilizzatore si trova spesso nei trattati poetici,
per sottolineare la funzione civilizzatrice della poesia.765 Questo aspetto è dunque legato
soprattutto ad un genere letterario specifico. In Della poetica (1536) Bernardino Daniello
dice che la poesia è l’arte più antica e più nobile. Il poeta è in grado di esprimere e narrare
non solo tutte le azioni e le idee umane, ma anche quelle di Dio e della natura. Così anche
il mito di Orfeo che addomesticava le tigri e i leoni deve essere interpretato come
un’allegoria della civilizzazione degli uomini tramite l’eloquenza.766 La stessa opinione si
trova fino alla fine del secolo, per esempio nei Discorsi del poema eroico (1594) di Torquato
Tasso, dove Tasso sottolinea l’importanza dell’eloquenza dicendo che gli uomini si
distinguono dalle bestie per l’uso della parola. Il passo mostra chiaramente la funzione di
Orfeo nel pensiero umanistico.767
Il potere ammaliante della musica di Orfeo non è visto sempre come una cosa
positiva. Ne La civil conversazione Stefano Guazzo (1530-1593) accusa Orfeo di aver
congregato gli uomini, per cui la vita innocente di una volta è stata contaminata dai vizi.
Adesso la gente colta si deve ritirare nei luoghi rimoti per fuggire la ‘vil plebe’:
763
Poliziano, Sylvae, Nutricia, vv. 124-131; 283-317.
Boccuto, ‘Il mito di Orfeo nei Nutricia’, cit., p. 223-229; 240. Nel secondo frammento Poliziano elenca
molti elementi del mito di Orfeo tra cui alcuni particolari notevoli: Neanto che cercò di suonare la lira di
Orfeo dopo la morte del poeta fu sbranato da cani (Luciano, Adv.indoct. 12); la statua di Orfeo a Libetra stillò
sudore (Plut. Alex. 14, 8). Una descrizione elaborata delle fonti di quest’opera si trova in: A. Poliziano, Silvae,
a.c.d. F. Bausi, Firenze, Olschki, 1996. Anche questi particolari furono aggiunti per sottolineare la forza della
poesia.
765
Non troviamo Orfeo civilizzatore solo nei trattati poetici del Cinquecento, ma anche in alcune altre opere
letterarie. Nelle Satire (1517-25) di Ariosto il mito di Orfeo che intenerisce le tigri e i leoni con il canto, è
chiamato una finzione degli scrittori. In realtà si tratta di un’allegoria degli uomini che abandonarono le
selve, si unirono e si sottoposero alla legge. (Ariosto, Satire, VI (A messer Pietro Bembo)).
766
Daniello, Della poetica, libro primo, [11], p. 234.
767
Tasso, Discorsi del poema eroico, libro 5, 1. Altri riferimenti all’allegoria della civilizzazione in trattati di
poetica si trovano in: Bartolo, Ragionamenti accademici di Cosimo Bartolo gentil'huomo et Accademico
Fiorentino, sopra alcuni luoghi difficili di Dante, libro 3. p. 35r; Conti, De arte poetica, oratio XXIV, pp. 145v146 (p. 132); Pontano, De Sermone, II, V, 7. L’allegoria si trova anche in: Dolce, Dialogo dei colori, p. 115
(BiVio).
764
260
TOPOI, REAZIONI ED INNOVAZIONI
Ora se vogliamo considerare, oltre al servigio di Dio, quanto all’instituzione e alla felicità
nostra conferisca la vita solitaria, non potremo se non maledire chi che egli si fosse, o
Saturno o Mercurio o Orfeo o Anfione, che raunò insieme le genti disperse per le selve e
per li monti. Dove servendosi della natura per legge, e non credendo alla fallace altrui
persuasione ma alla propria conscienza, e vivendo una semplice, fedele e innocente vita,
ancor non avevano aguzzata la lingua nella fama del prossimo, né rivolto l’ingegno alle
persecuzioni, né contaminati i costumi nella peste de’ vizii, che cominciò a scoprirsi nelle
città e nelle congregazioni degli uomini. E però voi vedete che naturalmente tutte le
persone di valore e d'intendimento, per fuggir la vil plebe, a cui dilette il conversare e ‘l far
numero, si ritirano con sommo piacere in luoghi rimoti alle belle e lodevoli speculazioni.
(Guazzo, La civil conversazione, 1 C16d)
Un’altra reazione negativa alla reputazione di Orfeo l’abbiamo già vista nel Dialogo contra i
poeti di Francesco Berni (§ 6.1). Tuttavia, il poeta serve più spesso come dimostrazione del
fatto che l’eloquenza civilizza gli uomini.768
Anche su dipinti e disegni quattro- e cinquecenteschi Orfeo è spesso raffigurato con
una schiera di animali che ascoltano la sua musica. Senza commenti espliciti è difficile
stabilire se dobbiamo leggere i dipinti di Orfeo e gli animali in chiave allegorica. L’allegoria
dell’eloquenza che distingue gli uomini dagli animali non sembra particolarmente adatta al
genere della pittura, come lo è invece ai trattati poetici. Si potrebbe assumere che il tema di
Orfeo e gli animali era soltanto un pretesto per riunire molti animali diversi in un quadro.
Nell’antichità romana Orfeo e gli animali erano spesso raffigurati nei mosaici (§ 1.3.3). In
questi mosaici gli animali a poco a poco ottenevano un posto sempre più importante
facendo quasi scomparire Orfeo. Lo stesso fenomeno si vede in un’incisione (1558) di un
anonimo veneziano, dove Orfeo sparisce quasi tra una moltitudine di animali diversi. (ill.
6.3).769
768
Una spiegazione allegorica straordinaria del potere del canto di Orfeo si trova nella lettera (dopo 1553) del
veneziano Giorgio Gradenigo a Giulia da Ponte.
769
Anonimo veneziano, Orfeo e gli animali, incisione, 1558. Firenze, Galleria degli Uffizi, vol. 10169
(riprodotto da Scavizzi, op.cit.).
261
CAPITOLO 6
6.3 Anonimo veneziano, Orfeo e gli animali, 1558 / 6.4 Bassano, Orfeo e gli animali
Anche i quadri dei fratelli Bassano che rappresentano Orfeo e gli animali danno
l’impressione che i pittori abbiano solo approfittato della figura di Orfeo per poter
dipingere insieme molte specie animali (ill. 6.4).770 Come abbiamo visto nel § 5.1.2
Lomazzo definisce il motivo semplicemente come un’ ‘historia di gioia’. Tuttavia, il mero
desiderio di dipingere degli animali non spiega forse sufficientemente la grande popolarità
di questo motivo nelle arti figurative. Forse gli umanisti commissionavano tali dipinti per
rappresentare l’importanza dell’eloquenza per la civilizzazione dell’uomo e per sottolineare
la loro conoscenza dell’antichità. Anche Schröter dice che non sorprende l’aumento delle
rappresentazioni di Orfeo nel Cinquecento in Italia (e al nord delle Alpi), perché la sua
eloquenza, la poesia e la musica corrispondevano con gli ideali degli ‘studia humanitatis’.771
Nell’emblematica si vedevano spesso delle immagini di Orfeo con gli animali con una
descrizione della forza dell’eloquenza, della poesia e della musica.772 Da questi emblemi
risulta che anche le immagini di Orfeo con gli animali potevano essere interpretate
allegoricamente come la civilizzazione dell’umanità da parte dell’eloquenza. L’Iconologia di
Cesare Ripa (ed. 1603), un manuale per artisti, conferma questi risultati. Ripa spiega una
medaglia antica con l’immagine di Orfeo e gli animali come un’allegoria dell’eloquenza:
Eloquenza nella Medaglia di Marc’Antonio.
Era da gli Antichi Orfeo rappresentato per l’Eloquenza et lo dipinsero in habito filosofico,
ornato dalla tiara Persiana, sonando la lira, et avanti d’esso vi erano Lupi, Leoni, Orsi,
770
Francesco Bassano (-1592), Orfeo, pittura a olio. Roma, Galleria Doria Pamphili, no. 5367; F. Bassano,
Orfeo e gli animali, disegno. Firenze, Galleria degli Uffizi; F. Bassano, Orfeo e gli animali, pittura a olio, ca.
1590. Vicenza, Pinacoteca; Bassano, Orfeo e gli animali, pittura a olio (99x140 cm); Bassano, Orfeo e gli
animali, pittura a olio (40x108 cm); Studio di F. Bassano il giovane, Orfeo e gli animali, pittura a olio
(120x155 cm). Altri esempi di rappresentazioni di Orfeo e gli animali sono: Anonimo (Prospero Fontana?),
Orfeo e gli animali, 1544-45. Roma, Castel S. Angelo, Sala dei Festoni.
771
Schröter, op.cit., p. 134.
772
A. Henkel & A. Schöne, Emblemata: Handbuch zur Sinnbildkunst des XVI. und XVII. Jahrhunderts,
Metzler, Stuttgart, 1978. Non ho trovato esempi italiani.
262
TOPOI, REAZIONI ED INNOVAZIONI
Serpenti et diversi altri animali che gli leccavano i piedi, et non solo v’erano anco diversi
uccelli che volavano, ma ancora monti et alberi che se gli inchinavano et parimente sassi
dalla musica commossi et tirati.
Per dichiaratione di questa bella figura ci serviremo di quello che ha interpretato
l’Anguillara a questo proposito nelle Metamorfosi d’Ovidio al lib. 10. dicendo che Orfeo ci
mostra quanta forza et vigore habbia l’eloquenza […]
(Ripa, Iconologia overo Descrittione di diverse Imagini cavate dall'antichità et di propria
inventione, Eloquenza E., p. 128)
La scelta di parole di Ripa ricorda la descrizione di Orfeo nel Libellus de imaginibus
deorum (‘in habitu philosofico’, cf. § 1.5.3). Secondo Ripa la sua interpretazione allegorica è
riprodotta dalla traduzione delle Metamorfosi di Anguillara. L’interpretazione successiva
delle selve come uomini ostinati e fissi e dei fiumi come uomini lascivi, eccetera, mostra
che l’autore ha usato un’edizione con il commento di Horologgi che si basa direttamente
sulle Genealogie di Boccaccio. Il testo mostra che le traduzioni delle Metamorfosi
formavano una fonte di conoscenza per trattati iconologici e di conseguenza
probabilmente per artisti.
6.4 ORFEO ED EURIDICE AMANTI FEDELI
Marsilio Ficino descrisse Orfeo in prima istanza come il poeta-teologo che ottenne da
Mosè la conoscenza dell’unico vero Dio. Qualche volta Ficino fece anche menzione di
Orfeo come musicista e amante. Ne El Libro dell’Amore si trova per esempio un
riferimento all’amore di Orfeo ed Euridice. Ficino cita dal Simposio di Platone tre tipi di
amore: quello della donna per l’uomo, quello dell’uomo per la donna e infine l’amore tra
due uomini. Orfeo è citato come l’esempio dell’amore dell’uomo per una donna.773 La
presenza dell’amore di Orfeo ed Euridice nel trattato di Ficino è un caso unico. In genere il
motivo si trova nella poesia lirica, come nel Trecento. In particolare Petrarca paragonava
nel Canzoniere il suo amore per Laura a quello di Orfeo per Euridice. Poi nell’Amorosa
visione di Boccaccio Orfeo veniva collocato nel trionfo dell’Amore. Nella poesia
petrarchista del Cinquecento è ripreso il personaggio di Orfeo amante.
Spesso il paragone all’amore di Orfeo ed Euridice è usato per sottolineare quanto è
grande l’amore. Antonio Tebaldeo (1463-1537) paragona nelle sue Rime la poetessa
Vittoria Colonna a Orfeo amante.774 Il poeta le consiglia di smettere di piangere la
773
Ficino, El libro dell’amore, I, IV, 31-34.
Tebaldeo, Rime, 695 (estrav.). Un altro poeta petrarchista, Luigi Tansillo (1510-1568), elabora lo stesso
motivo nel suo Canzoniere. Secondo il poeta Orfeo non amò Euridice come lui stesso ama la sua donna
(Tansillo, Canzoniere, V, son. 121). Altri esempi dell’uso di questo motivo sono: Bernardo Pulci, Canzoniere,
774
263
CAPITOLO 6
morte del marito, perché Morte non glielo restituirà. Infatti, siccome l’amore di
Vittoria non è minore di quello di Orfeo, neanche lei potrà fare a meno di guardare
indietro e di perdere di nuovo l’amante. Notevole in questa poesia è che una donna
interpreta il ruolo di Orfeo.
Qualche volta il paragone a Euridice serve a celebrare la bellezza di una donna. Nel
Morgante di Luigi Pulci Rinaldo dice per esempio che Orfeo non si sarebbe sforzato
tanto per Euridice, se avesse conosciuto Antea.775
Non sempre l’amore di Orfeo è visto come il modello migliore da seguire. In una poesia
alla poetessa petrarchista Laura Battiferri, Benvenuto Cellini (1500-1571) paragona la sorte
di un’altra Laura (quella di Petrarca) alla sorte di Euridice. Mentre Orfeo perdette Euridice
nell’inferno, Petrarca elevò Laura al paradiso dove la raggiunse:
Con quel soave canto e dolce legno
ne corse ardito Orfeo per la consorte:
Cerber chetossi, e le tartaree porte
S’aperser, ché Pluton ne lo fe’ degno.
Poi gli rendette il prezïoso pegno;
ma d’accordo non fu seco la Morte.
Voi, gentil Laura, quanto miglior sorte
aveste al scendere al superno regno!
Lassù v’alzò il Petrarca, e dietro poi
ne venne a rivedervi in paradiso;
sète scesi in un corpo ora ambidoi.
Felice Orfeo, s’avea tale avviso:
cangiar la spoglia arìa fatto qual voi,
ch’amor, vita e virtù non v’è diviso.
(Cellini, Rime, LXI)
Questa poesia mostra bene la continuità del paragone dell’amore di Orfeo ed Euridice e
quello di Petrarca e Laura nella poesia cinquecentesca, ma mostra anche che l’amore di
Orfeo ed Euridice non era sempre considerato un esempio positivo. Il frammento di Cellini
mostra che l’amore di Orfeo non è adatto come exemplum per gli amanti, se non si omette
l’esito infelice. Infatti, è meglio seguire l’esempio di Petrarca.
Trionfi nuziali
Il grande amore di Orfeo non fu soltanto un motivo popolare nella poesia amorosa, ma
anche alle feste di nozze. Nella seconda metà del Quattrocento le entrate di un principe nel
LXXXI; Almerici da Pesaro, Rime, CLXXXII.Lo stesso motivo si trovava anche nella poesia di fine
Quattrocento (Correggio, Fabula di Cefalo, atto IV, 9, 20; Gallo, Rime, parte 1b (A Lilia-Canzoniere), 65).
775
Luigi Pulci, Morgante, cantare XVI, 33. Altri esempi si trovano in: Bernardo Pulci, Canzoniere, CV; XXXV.
264
TOPOI, REAZIONI ED INNOVAZIONI
suo dominio, le visite di uno stimato ospite straniero, la nascita o il battesimo di un nuovo
erede, l’inaugurazione di un nuovo principe o le nozze del principe furono spesso occasioni
per entrate trionfali e spettacoli.776 Dopo le guerre italiane i nuovi signori (come i Medici a
Firenze) il cui potere non era garantito dalla tradizione, non cercavano di ottenere il
consenso del popolo, ma di mantenere il loro potere attraverso gli spettacoli. Tra il 1450 e
il 1550 i trionfi adottarono uno stile e delle immagini antichi, come ogni manifestazione
rinascimentale. Incontreremo nuovamente nel § 6.7 l’uso di figure mitologiche per motivi
di propaganda.
Orfeo figurò ad almeno tre feste di nozze di fine Quattrocento: le nozze di Eleonora
d’Aragona con Ercole I d’Este (1473), le nozze di Cammilla d’Aragona con Costanzo Sforza
(1475) e le nozze di Isabella d’Aragona con Gian Galeazzo Sforza (1489). Spesso Orfeo si
presentò durante il banchetto, ma qualche volta figurò in una favola mitologica che si
svolse dopo la cena. Nel 1473 Eleonora d’Aragona, figlia del re di Napoli, si sposò con
Ercole I d’Este. Il viaggio di Eleonora da Napoli a Ferrara fu accompagnato da una serie di
festeggiamenti nelle città più importanti lungo la strada. Quando si arrivò a Roma il 5
giugno, c’erano di nuovo delle feste, organizzate dal cardinale di S. Sisto, Pietro Riario.
Riario aveva messo in scena un banchetto spettacolare: ‘le vivande sono confezionate come
storie, e vengono con suoni, canti, interventi di buffoni; fra le portate si hanno azioni
rappresentative a meraviglia e a ingegni, che culminano nella danza mitologica finale.’777
Dopo la prima portata di vivande Orfeo arrivò sulla scena: quattro servitori
portarono un monte, sul quale Orfeo stava cantando dei versi latini.778 Intorno al monte si
trovavano vari tipi di animali, che Eleonora enumera con grande precisione in una lettera.
Alessandro Perosa ha dimostrato che i versi cantati da Orfeo fanno parte di una serie di
epigrammi composti per la festa da parte di Domizio Calderini.779
Item incontinente venero quactro con un monte in collo et adpresso al monte tre paghì
integri, una pagonessa con pulcini, duy fasani, una gena, duy drongne, duy caprioli tucti
integri, et uno urso vivo. Tucti quisti animali se misero adtorno allo monte, sopra uno
cantava li infrascripti versi:
776
J. Godwin, The Pagan Dream of the Renaissance, Phanes Press, Grand Rapids. 2002, p. 181.
Clelia Falletti, ‘Le feste per Eleonora d’Aragona da Napoli a Ferrara (1473)’, in: Spettacoli conviviali
dall'antichità classica alle corti italiane del '400. Atti del VII Convegno di Studio, Viterbo, 27-30 Maggio 1982,
Centro di Studi sul Teatro Medioevale e Rinascimentale, Viterbo, 1983, p. 277.
778
L’idea di Orfeo seduto su un monte mentre canta dei versi latini si trovava anche nella rappresentazione
teatrale di Poliziano, che probabilmente aveva luogo dopo questa festa.
779
A. Perosa, ‘Epigrammi conviviali di Domizio Calderini’, in: A. Perosa & P. Viti, Studi di filologia
umanistica, III. Umanesimo italiano, Edizioni di storia e letteratura, Roma, 2000, pp. 143-156.
777
265
CAPITOLO 6
(Eleonora d’Aragona, ‘De triumpho inclite Ducixe Ferrarie facto sibi Rome’)780
Dum caelum et summi modulatur fata Tonantis
Orpheus, inventae clarus ab arte lyrae,
subsistunt amnes, miratur silva, volucres
conveniunt, dapibus praeda parata Iovis.
Herculis at quanto melior fortuna: negata est
Eurydice, Alcidae nunc Leonora datur.
(Calderini, Epigrammi conviviali, I ‘Orpheus’)781
Orfeo è presente alle nozze per due ragioni: in primo luogo introduce gli animali che si
mangiano durante il banchetto; in secondo luogo si fa un confronto fra l’amore negato a
Orfeo e l’amore dato a Ercole in questo momento. L’opposizione ormai classica tra Ercole
e Orfeo, che abbiamo incontrato nel De laboribus Herculis di Salutati e nella Camera degli
Sposi di Mantegna, si manifesta qui in modo diverso. La sventura matrimoniale di Orfeo è
opposta alla fortuna di Ercole (d’Este).
Lo stesso trionfo è stato descritto dallo storico Bernardino Corio.782 Secondo la
descrizione di Corio tutti gli animali sono ancora ‘vestiti’, cioè cotti nella pelle, affinché
sembrino vivi. L’unico animale veramente vivo è l’orso, che Eleonora descrive
esplicitamente come tale. Forse si è voluto creare un contrasto tra gli animali ‘innocenti’,
come il cervo e i caprioli, e le fiere, come l’orso, che normalmente non vivono insieme in
pace. Così Orfeo ha una funzione riconciliatrice tra gli animali. Questa funzione si accorda
bene con il carattere di una festa nuziale, dove si festeggia l’unione di due spiriti in
un’alleanza eterna.
Anche le nozze di Costanzo Sforza e Cammilla d’Aragona nel 1475 furono
festeggiate con grande pompa. Costanzo Sforza era il principe di Pesaro e Cammilla era la
nipote del re di Napoli. Le feste nuziali sono state descritte da un servitore di Costanzo.783
Orfeo appare tra le vivande di Apollo. Prima l’autore descrive l’aspetto di Orfeo, che
concorda con l’immagine di Orfeo sul disegno accluso (ill. 6.5). Poi riproduce le parole
cantate da Orfeo, in cui Orfeo si presenta come poeta di Apollo e dice di portare con sé un
grifone, un lauro, cibi e altri regali per gli sposi. Alla fine l’autore enumera le vivande che
accompagnano l’apparizione di Orfeo.
780
La lettera di Eleonora è stata pubblicata interamente in: Corvisieri, ‘Il trionfo romano di Eleonora
d’Aragona’, Archivio della reale società romana di storia patria 10 (1887), pp. 645-654. Eleonora cita anche le
parole dell’epigramma, ma l’edizione di Perosa è più precisa.
781
‘Mentre Orfeo, preclaro per l’arte della lira che ha inventato, canta del cielo e delle vicissitudini del sommo
Tonante, i fiumi si fermono, la selva mira, gli uccelli si uniscono, e la preda è preparata per la cena di Giove.
Ma quanto migliore è la fortuna di Ercole: è negata Euridice, ma ora ad Alcide è data Leonora.’
782
B. Corio, La Istoria di Milano, Vinegia, 1554, pp. 417sgg.
783
Lionardo da Colle, Le nozze di Pesaro, BAV Cod.Urb.Lat. 899.
266
TOPOI, REAZIONI ED INNOVAZIONI
6.5 Anonimo, Orfeo, Le nozze di Pesaro, 1475
Come alle nozze di Eleonora d’Aragona Orfeo appare senza Euridice. Mentre alle nozze
precedenti Orfeo aveva una funzione duplice, come cantante che raduna gli animali e
come amante infelice di Euridice, qui lui sembra essere stato investito soltanto del ruolo di
antico poeta e rappresentante di Apollo. Orfeo è un uomo anziano (canuto) con un abito
all’antica. Il cantante suona una lira d’oro in forma di testuggine. Il suo cappello è
incoronato d’alloro. L’intera sua comparsa indica il suo stato di famoso e rispettabile poeta
greco. Orfeo porta con sé un grifone d’oro che tiene in mano un lauro, da cui emerge il
sole: tutti simboli di Apollo, il dio della poesia, dell’ispirazione e della profezia, per
sottolineare l’origine divina della poesia di Orfeo.784
Durante le nozze di Isabella d’Aragona e Gian Galeazzo Sforza, il duca di Milano,
nel 1489 Orfeo si presenta di nuovo come amante. Le nozze erano celebrate con una
sfilata mitologica e perfino con una specie di ‘dramma’ mitologico. Orfeo narra come stava
vagando negli Appennini e piangendo la sorte di Euridice, quando udì parlare della
magnificenza delle nozze, che erano celebrate nella valle. Mentre scendeva per assistere
alle nozze, gli uccelli volarono all’armonia della sua lira. Orfeo offre agli sposi gli uccelli che
ha catturato ed introduce dunque una nuova vivanda.785 Dopo la cena si presenta una
‘favola’ che si accorda bene con quello che gli sposi e i loro ospiti videro finora. Per primo
entra Orfeo, in un abito grecizzante e coronato con l’alloro, e invoca Imeneo. Il dio delle
784
Schröter, op.cit., p. 123.
Il testo è stato pubblicato in: Residua e bibliotheca Patricii nobilissimi Lucii Hadriani Cottae studio et
opera Joannis Puricelli, Mediolani, 1644, pp. 63-85 (pp. 75-77: il banchetto di Tortona). Qui citiamo da:
Casini Ropa [1983], pp. 301-303. La versione più nota dello spettacolo si trova nella traduzione libera in
italiano riportata da Stefano Arteaga, La rivoluzione del teatro musicale italiano dalla sua origine fino al
presente, Bologna, 1783-85, vol. III, pp. 133-37. La descrizione da parte di Arteaga dello stesso evento è molto
più lunga e completamente diversa dal testo latino, ma è probabilmente un’invenzione dell’autore stesso per
dare all’evento un carattere più drammatico (Casini Ropa, op.cit., pp. 301-303).
785
267
CAPITOLO 6
nozze appare subito accompagnato da una schiera di ragazzi che rassomigliano a Cupido e
che cantano dei canti matrimoniali (‘hymenaea’). Poi si presentano le tre Grazie seguite
dalla Fede coniugale:
Sublatis mensis, accomodatissima praesenti rei fabula inducta est. Ingressus primo
Orpheus, Graecanico habito ornatus, atque laureatus, Hymenaeum ad cytharam citavit. Is,
incedens turba puerorum Cupidinis specie ornatorum comitatus, introivit : qui alternis
epigrammatis Hymenaea cantitabant. Tum tres Charites, uno concinctae cingulo,
triangularem in formam versae, in mutuum adspectum se statuerunt: aptosque versiculos
earum postrema recitavit. Has Fides conjugalis subsequuta est, candida veste obtecta,
dextra candidissimum lepusculum, sinistra torquem jaspidum gestans, ac ardenti corde
officia sua indicans: quae postquam sese sponsae dedidit. (Tristanus Calchus, Nuptiae
Mediolanensium Ducum sive Joannis Galeacii cum Isabella Aragona Ferdinandi
Neapolitanurum Regis nepte, )786
Quando la Fede si è offerta alla sposa, Mercurio discende dal cielo e introduce la Fama, che
si trova tra Virgilio e Livio. La Fama si presenta come la nunzia del bene e del male. Poi
entra Semiramide con una schiera di donne impudiche, come Elena, Medea e Cleopatra.
La Fede coniugale impedisce loro, però, di contaminare la mente della sposa con le loro
storie infami. Segue un gruppo di donne oneste, come Lucrezia e Penelope, che offrono
alla sposa delle palme del pudore. Secondo Guthmüller Orfeo simboleggia in questo
contesto l’amore e la fede coniugali, perché Imeneo e la Fede coniugale si trovano vicino al
cantante. Anche la Fabula di Orfeo di Poliziano va vista secondo lui come un’esaltazione
dell’amore coniugale, come abbiamo menzionato nel capitolo precedente.787
L’amante non funziona dunque soltanto come topos o stereotipo nella poesia
petrarchista, ma rivive anche alle nozze dell’élite. Nelle feste nuziali Orfeo si allontana dalla
786
Citato da: Casini Ropa, op.cit., pp. 301-303. ‘Quando erano state tolte le tavole, fu rappresentata una favola
molto adatta alla cosa presente. Essendo per primo entrato Orfeo, ornato con un abito greco, e laureato, egli
recitò un imeneo alla cetra. Quello entrò, procedendo accompagnato da una folla di ragazzi ornati al modo di
Cupido. Questi cantavano degli imenei alternati con epigrammi. Poi le tre Grazie, legate con una cintura,
volte in una forma triangolare, si collocarono in mutua vista: e l’ultima di queste recitò dei versetti idonei. A
queste succedette la Fede coniugale, vestita in una candida veste, tenendo nella destra un leprotto
bianchissimo e nella sinistra un girocollo diasprino, annunciando i suoi doveri con cuore ardente: dopo aver
offerto se stessa alla sposa.’
787
Guthmüller, ‘Mythos und dramatisches Festspiel an den oberitalienischen Höfen des Quattrocento’, in:
Idem, Studien zur antiken Mythologie in der italienischen Renaissance, Acta Humaniora, VCH, Weinheim,
1986, p. 72. Dalla sua descrizione viene fuori che Guthmüller ha usato la traduzione di Arteaga invece del
testo originale di Calco. L’amore di Orfeo per Euridice è poi descritto nelle orazioni nuziali di Antonio
Costanzi (1435-1490). Nella prima orazione l’autore discute l’eccellenza del matrimonio. Dopo l’origine del
matrimonio sono trattati i vantaggi: tra gli esempi storici e mitologici si trova anche Orfeo che piange
Euridice (J.-L. Charlet, ‘La mythologie dans un poème et un discours de mariage d'Antonio Costanzi’, in: L.
Rotondi Secchi Tarugi, Il mito nel Rinascimento, Nuovi Orizzonti, Milano, 1993, pp. 27-40).
268
TOPOI, REAZIONI ED INNOVAZIONI
sfera della letteratura e delle immagini per diventare una figura quasi reale, che si muove
tra il pubblico. Queste comparse teatrali di Orfeo durante le nozze si svolgono quasi
contemporaneamente alla sua presenza nella rappresentazione teatrale di Poliziano. Alcuni
trionfi avevano probabilmente luogo prima della Fabula di Orfeo e influenzarono la scelta
di Orfeo come figura teatrale.
La castità di Euridice
Nelle arti figurative le rappresentazioni dell’amore di Aristeo per Euridice cominciano man
mano a sostituire quelle dell’amore di Orfeo ed Euridice. La fuga di Euridice dal pastore
che la insegue è un tema particolarmente popolare su cassoni oppure spalliere.788 Nel
capitolo 4 abbiamo discusso i cassoni di Jacopo del Sellaio, dei quali uno rappresenta
l’inseguimento di Aristeo. Nonostante la prima apparizione di Aristeo sul pannello che ora
si trova a Rotterdam, Orfeo è ancora presente in primo piano negli altri due pannelli. Tali
cassoni o spalliere erano offerte alla sposa durante le feste di nozze e servivano come
decorazione della stanza da letto. Non sorprende dunque l’assenza della scena della morte
di Orfeo : il suo rifiuto delle donne e la lacerazione da parte delle Menadi sarebbero fuori
luogo in una situazione del genere.789
Un altro esempio del ruolo preminente di Euridice offre una spalliera toscana,
qualche volta attribuita a Baldassare Carrari (ill. 6.6).790 Euridice sta in primo piano,
mentre a destra e a sinistra le sue amiche si divertono. Aristeo la segue e Orfeo rimane
quasi invisibile sullo sfondo, dove suona uno strumento.
6.6 Anonimo toscano, Aristeo insegue Euridice, ca. 1500
788
Contrariamente a storici d’arte precedenti Ellen Callmann indica i pannelli come spalliere (destinate ad
essere collocate sulle pareti di una stanza) invece di cassoni (‘Jacopo del Sellaio, the Orpheus Myth, and
Painting for the Private Citizen’, Folia Historiae Artium S.N. 4 (1998), p. 157).
789
Callmann, op.cit., p. 156.
790
Anonimo toscano, Euridice e le sue amiche, spalliera, 1500-1515. Ginevra, collezione privata (prima : Paris,
Spiridon Collection).
269
CAPITOLO 6
Questa posizione preminente di Euridice si vede anche nelle altre spalliere della stessa
serie, che rappresentano l’inseguimento di Euridice da parte di Aristeo, la morte di
Euridice e la partenza di Orfeo ed Euridice dall’Ade.791
Rose Marie San Juan discute la funzione di tali spalliere.792 Le spalliere erano
destinate alle stanze di persone private, e non ai discorsi umanistici di un pubblico
esclusivamente maschile. Gli studi iconografici mostrano che intorno alla metà del
Cinquecento i romanzi di Boccaccio su cassoni furono sostituiti con i racconti
moralizzanti della mitologia greco-romana. I cassoni rappresentavano due temi principali:
per gli uomini si dipingevano le avventure degli eroi antichi, che dovevano fungere
da esempi (per il ruolo di Orfeo in questi cassoni cfr. § 6.2)
per le donne si dipingevano i sacrifici delle eroine antiche, a modo di avvertimenti
Il motivo ricorrente nei cassoni femminili è quello dell’eroina che in una situazione tragica
mostra la sua fedeltà alla pudicizia e al matrimonio.793 Secondo San Juan la morte di
Euridice è estesa su cinque scene separate, che formano un racconto completo e
indipendente. Ogni scena è un’esibizione del corpo femminile.794 Come nei pannelli
precedenti di Del Sellaio, anche nei pannelli senesi manca la scena della morte di Orfeo.
Infatti, il mito sembra avere un lieto fine: Orfeo ed Euridice tornano insieme dall’Ade. Lo
stesso cambiamento dell’azione o piuttosto l’omissione della fine infelice si vedeva spesso
nella poesia lirica. Sono dunque inserite le attività pastorali delle ragazze, ma sono omesse
la discesa di Orfeo nell’Ade e la sua morte.795 L’attenzione per la donna e per le attività e il
comportamento femminili si spiega dal fatto che i cassoni erano regalati alla sposa il giorno
delle nozze.796 Ellen Callmann sostiene invece, che i pannelli si basassero su una
rappresentazione teatrale, in cui Euridice era la protagonista.797 Non ho, però, trovato una
tale rappresentazione. Come sottolinea San Juan, anche i cantari che si basavano sulla
Fabula di Orfeo focalizzavano sul vincolo coniugale, e questo formava anche la loro lezione
791
Anonimo toscano/senese, Aristeo insegue Euridice, spalliera, ca. 1500. Parigi, Musée des Arts Décoratifs,
no. 343; La morte di Euridice, spalliera, ca. 1500. Dublin, National Gallery of Ireland, acc. no. NGI 4090
(prima: Dublin, Murnaghan Collection); Orfeo ed Euridice partono dall’Ade, ubicazione sconosciuta (prima:
Berlin, Bottenwieser).
792
R.M. San Juan, ‘Mythology, Women and Renaissance Private Life: The Myth of Eurydice in Italian
Furniture Painting’, Art History 15 (1992), pp. 127-145.
793
San Juan, ‘Mythology, Women and Renaissance Private Life’, cit., pp. 127-128.
794
San Juan, ‘Mythology, Women and Renaissance Private Life’, cit., p. 130.
795
Che l’artista non abbia mai dipinto queste scene risulta dal fatto che il paesaggio continua nei pannelli
successivi (San Juan, ‘Mythology, Women and Renaissance Private Life’, cit., p. 132).
796
Anche se i pannelli con Euridice erano forse delle spalliere, la posizione centrale della ninfa è
probabilmente influenzata dai costumi nuziali.
797
Callmann, op.cit., p. 157.
270
TOPOI, REAZIONI ED INNOVAZIONI
morale.798 L’apprezzamento di Euridice in tali cantari potrebbe aver influenzato la sua
posizione nei pannelli dipinti. Le analogie visive tra la rappresentazione di Euridice e quella
della Vergine da una parte e quella di Dafne inseguita da Apollo dall’altra hanno come
conseguenza, secondo San Juan, un’immagine ambigua. Euridice poteva essere vista come
una donna casta, oppure arrogante, che aveva respinto un amante degno.799 Attraverso la
giustapposizione della virtù femminile e della potenza di subire delle sofferenze le spose
dovrebbero vedere il matrimonio non come un dovere morale, ma come un’occasione di
fare una scelta eroica.800 Il mito di Orfeo ed Euridice è dunque considerato un esempio
morale per i nuovi sposi, e in particolare per le donne. Per ottenere quest’interpretazione
sono omessi scrupulosamente gli elementi del mito che potevano influenzare questo
messaggio in modo negativo: la seconda perdita di Euridice, l’omosessualità e la morte di
Orfeo. Il mito di Orfeo ed Euridice si trova anche su alcuni altri pannelli, in cui è trascurato
l’esito infelice del mito.801
Anche in un grande dipinto di Niccolò dell’Abate sono raffigurati l’inseguimento e
la morte di Euridice (ca. 1560).802 Orfeo si trova nuovamente solo sullo sfondo e suona per
qualche animale (ill. 6.7).
798
San Juan, ‘Mythology, Women and Renaissance Private Life’, cit., p. 135.
San Juan, ‘Mythology, Women and Renaissance Private Life’, cit., p. 138.
800
San Juan, ‘Mythology, Women and Renaissance Private Life’, cit., p. 139.
801
Anonimo, pannello con grisaille. Venezia, Fondazione Cini; Maestro di Stratonice (Michele Ciampanti),
Storia di Orfeo ed Euridice, due pannelli, ca. 1475-90?. Ubicazione sconosciuta (cf. B. Berenson, Italian
Pictures of the Renaissance. A list of the principal artists and their works with an index of places, London,
Phaidon, 1968).
802
N. dell’Abate, Aristeo ed Euridice, pittura, ca. 1560-70. London, National Gallery. Altri esempi della
preminenza di Euridice sono: G.M. Mosca, Euridice, rilievo di marmora, 1515-22. New York, prima nella
Collezione Pierpont Morgan; G. Romano, La morte di Euridice, affresco. Mantova, Palazzo del Te, Atrio delle
Muse; (Cerchia di) G. Romano, La storia di Euridice, disegno per un arazzo, ca. 1510. Prima nella Collezione
Dubini a Milano. Cf. G. Frizzoni, ‘La morte di Euridice illustrata da Lorenzo Lionbruno’, Rassegna d’Arte XV
[1915], pp. 189-90).
799
271
CAPITOLO 6
6.7 Nicolò dell’Abate, Aristeo ed Euridice, ca. 1560-70
Questo dipinto non era inteso come parte dell’arredamento, ma come un’opera d’arte che
doveva dimostrare l’erudizione dei committenti cortegiani.803 Inoltre, il contesto
mitologico costituiva una giustificazione per dipingere il corpo femminile in un paesaggio
pastorale. Mentre San Juan nega l’esistenza di una precisa fonte letteraria e accenna alla
presenza di molti aspetti della tradizione classica: la mitologia, il nudo, il paesaggio,
eccetera, Cecil Gould suggerisce che il dipinto dipende dalle Georgiche di Virgilio.804
Soprattutto l’uomo e la donna che parlano in secondo piano hanno suscitato qualche
dissenso. Si potrebbe trattare di Aristeo e sua madre Cirene, che gli dice di consultare
Proteo, il dio fluviale che si vede a destra. Secondo le Georgiche Proteo aveva raccontato le
avventure di Orfeo ed Euridice ad Aristeo, che cercava una soluzione per la morte delle sue
api. Secondo Erika Langmuir invece, il dipinto dipende dalla Favola di Orfeo e Aristeo (cfr.
803
San Juan, ‘Mythology, Women and Renaissance Private Life’, cit., p. 140. Il quadro fu probabilmente
commissionato da parte delle corte di Fontainebleau, insieme a un quadro che rappresentava il ratto di
Proserpina (196 x 215 cm, ca. 1560. Paris, Musée du Louvre).
804
C. Gould, National Gallery Catalogues. The Sixteenth-Century Italian Schools, London, 1962, pp. 121-123;
San Juan, ‘Mythology, Women and Renaissance Private Life’, cit., p. 141.
272
TOPOI, REAZIONI ED INNOVAZIONI
§ 4.2).805 In questo testo la storia della morte di Euridice fu raccontata da una ninfa al
pastore Mopso. I personaggi parlanti sarebbero dunque Mopso e la ninfa, la quale si trova
anche in primo piano e guarda allo spettatore. Questa interpretazione non spiega, però, la
presenza del dio fluviale, come in quella di Gould.806
L’amore di Orfeo ed Euridice continua dunque a manifestarsi nella poesia lirica e si
trasferisce anche al nuovo genere artistico del trionfo. Nelle arti figurative questo amore è,
però, spesso sostituito con quello di Aristeo per Euridice. Questa sostituzione si deve
probabilmente alla popolarità del motivo dell’inseguimento e all’idoneità di Euridice come
modello femminile della castità e dell’ubbidienza ai doveri matrimoniali nei cassoni. Orfeo
stesso figurava come Argonauta nei cassoni con temi maschili, come abbiamo visto nel §
6.2.
6.5 FALLITO O TRIONFANTE?
La morte di Euridice si trova anche in altri dipinti, insieme allo sguardo indietro di Orfeo.
Secondo Scavizzi Tiziano è il primo a focalizzare sulla figura di Euridice nel 1508-10,807 ma
le spalliere toscane risalgono forse a un periodo anteriore. Mentre la morte di Euridice è
dipinta in primo piano, in secondo piano si vede il ritorno dall’Ade (ill. 6.8).
6.8 Tiziano Vecellio, Euridice, ca. 1508-10
805
E. Langmuir, ‘Nicolò dell’Abate’s ‘Aristeus and Eurydice’’, The Burlington Magazine 112 (1970), pp. 107108.
806
Langmuir considera quest’interpretazione inverosimile, perché l’incontro tra Aristeo e Cirene non si
svolge nelle sue stanze e non sono presenti le sue ninfe (op.cit., p. 107, n. 2).
807
Tiziano, Euridice, pittura a olio, ca. 1508-10. Bergamo, Galleria dell’Accademia Carrara, no. 205. Scavizzi,
op.cit., p. 144.
273
CAPITOLO 6
Nell’interpretazione di Tiziano Orfeo non trionfa dunque sull’Ade, ma guarda indietro.
Nella scelta di questo momento Tiziano potrebbe essersi basato su un dipinto di un altro
pittore veneziano, Giorgione, che aveva rappresentato in secondo piano lo stesso sguardo
di Orfeo.808 In primo piano, però, Orfeo guarda malinconicamente allo spettatore e sembra
ricordarsi il suo fallimento.
Negli affreschi di Luca Signorelli nel Duomo di Orvieto (1499-1502) il mito non
aveva neanche un lieto fine.809 Nel primo affresco Orfeo suona per Plutone e Proserpina
per convincerli di restituirgli Euridice. Nel secondo Orfeo ha guardato indietro ed Euridice
è trascinata via dai demoni (ill. 6.9).
6.9 Luca Signorelli, I demoni afferrano Euridice, 1499-1502
Elisabeth Schröter e Rose Marie San Juan mostrano che i due medaglioni affrescati di
Orfeo si trovano sotto un affresco che rappresenta i dannati nell’inferno e che si può
dunque presupporre un rapporto tra il tema del grande affresco e quello degli affreschi più
808
Il quadro originale di Giorgione è andato perduto. Esistono, però, due copie: Vosterman, Orfeo, incisione;
David Tenier, Orfeo, dipinto, prima nella Suida Collection e a New York, Finch College Museum of Art
(Scavizzi, op.cit., p. 136; 156, n. 49).
809
L. Signorelli, Orfeo suona per Plutone e Proserpina, affresco, 1499-1502. Orvieto, Duomo, Cappella di San
Brizio; Idem, I demoni afferrano Euridice, affresco, 1499-1502. Ibidem.
274
TOPOI, REAZIONI ED INNOVAZIONI
piccoli.810 Orfeo si trova sul lato delle anime dannate, perché ha guardato indietro a
Euridice, cioè alle cose terrene, invece di orientarsi verso Dio e verso la vita nell’aldilà.
Visto in questo modo il mito di Orfeo è molto idoneo per la decorazione di una chiesa.
Schröter accenna ai predecessori letterari di Signorelli: l’interpretazione platonica di
Boezio e quella epicurea di Coluccio Salutati, che presenta Orfeo come l’uomo voluttuoso
opposto a quello virtuoso (Ercole). Sia nella letteratura che nelle arti figurative lo sguardo
di Orfeo è dunque interpretato come la ricaduta nel vizio.
Nella letteratura del Trecento e del primo Quattrocento c’erano molti riferimenti
allo sguardo indietro e al suo significato cristiano. Il motivo era ancora frequentemente
adoperato nelle opere degli umanisti intorna a Ficino: Lorenzo de’ Medici, Angelo
Poliziano e Cristoforo Landino. Nel Cinquecento il ruolo di questo motivo nella letteratura
è ridotto, almeno per quanto riguarda i riferimenti espliciti al fallimento di Orfeo.811 Forse
il fatto che questo motivo fu interpretato tradizionalmente in modo cristiano come il
fallimento dell’uomo in cerca del sommo bene risultò nella diminuzione della presenza del
motivo nella letteratura cinquecentesca.
Nell’arte figurativa il motivo rimane, però, presente durante l’intero secolo, in
incisioni, su piatti di maiolica e nella decorazione di stanze rappresentative.812 Due esempi
prominenti del motivo in affreschi sono la decorazione della Stanza del Fregio da parte di
Peruzzi (cf. § 5.2.5) e la decorazione della Galleria di Annibale Carracci nel Palazzo Farnese
a Roma (ca. 1600) (ill. 6.10).813
810
Schröter, op.cit., pp. 128-129; San Juan, The Legend of Orpheus, cit., pp. 125-130; San Juan, ‘The Illustrious
Poets in Signorelli's Frescoes for the Cappella Nuova of Orvieto Cathedral’, Journal of the Warburg and
Courtauld Institutes 52 (1989), pp. 71-84.
811
Philiep Bossier ha gentilmente richiamato la mia attenzione sulla presenza del motivo dello sguardo
indietro nella commedia cinquecentesca. Purtroppo non sono stata in grado di elaborare questo aspetto nei
limiti di questa ricerca.
812
Un esempio del motivo dello sguardo indietro in un’incisione è: Agostino Carracci, Orfeo ed Euridice, ca.
1590-1595. New York, Metropolitan Museum of Art, 17.37.170. Nella maiolica il motivo si vede in: Timoteo
Viti?, Orfeo nell’Ade, inizio sec. XVI. Venezia, Museo Correr; Anonimo (Faenza), Orfeo nell’Ade, ca. 1535.
813
Annibale Carracci, Orfeo ed Euridice, affresco, ca. 1600. Roma, Palazzo Farnese.
275
CAPITOLO 6
6.10 Annibale Carracci, Orfeo ed Euridice, ca. 1600
Giuseppe Scavizzi accenna alle rassomiglianze tra questo affresco e quello di Apollo e
Dafne.814 Il programma iconografico della sala si basa probabilmente su Ovidio e contiene
alcune storie d’amore. Secondo D. Posner i miti rappresentano ‘the theme of violence,
frustrations, and even the catastrophes brought about by the capricious nature of Love.’815
La scelta del momento in cui Orfeo si volge indietro si basa forse sulla rappresentazione di
questo momento nell’edizione ovidiana dell’Anguillara del 1584. Nella Galleria le
vicissitudini dell’amore sono probabilmente più importanti dell’interpretazione filosoficocristiana del mito di Orfeo.
In alcune incisioni di Marcantonio Raimondi del Cinquecento gli amanti sembrano
tornare felici dall’Ade (ill. 6.11).816 Questa sostituzione dell’esito infelice con il trionfo di
Orfeo sull’Ade l’abbiamo anche visto in un pannello toscano, e tornerà nel primo
melodramma di Rinuccini e Peri (capitolo 7). Nelle incisioni di Raimondi Orfeo è
incoronato come un poeta.817
814
Scavizzi, op.cit., p. 146.
D. Posner, Annibale Carracci, I, New York, 1971, p. 93 (citato da Scavizzi, op.cit., p. 157, n. 61).
816
Marcantonio Raimondi, Orfeo ed Euridice, incisione, 12, 9 x 9,8 cm, ca. 1505-6. The Elisha Whittelsey
Collection, 56.581.12 (Bartsch 14, 282); idem, Orfeo ed Euridice, incisione, ca. 1507-8. Firenze, Biblioteca
Nazionale (Bartsch 14, 295). In un’altra incisione di Raimondi si vede soltanto Euridice che esce dalle fiamme
dell’Ade o forse torna nelle fiamme (Marcantonio Raimondi, Euridice, incisione, sec. XVI. (Bartsch 14, 295;
14, 262). Anche su un piatto di maiolica il mito sembra avere un esito felice: Anonimo (Deruta), Orfeo ed
Euridice, sec. XVI. Paris, Musée de Cluny, inv. 2424.
817
Scavizzi, op.cit., p. 136.
815
276
TOPOI, REAZIONI ED INNOVAZIONI
6.11 Marcantonio Raimondi, Orfeo ed Euridice, ca. 1505-1506
La scena simboleggia il trionfo dell’amore o della poesia. Secondo San Juan le incisioni di
coppie famose erano molto popolari all’inizio del Cinquecento. Raimondi aggiunse Orfeo
ed Euridice a queste coppie.818 Di nuovo non si focalizza dunque tanto sul significato
allegorico del mito, quanto sul racconto amoroso.
Mentre dunque nella letteratura il motivo dello sguardo indietro con una
connotazione religioso-filosofica sembra sparire, il motivo rimane in auge nell’arte
figurativa. L’interpretazione religiosa sembra, però, soltanto adatta agli affreschi di
Signorelli dipinti circa nel 1500, mentre nelle altre opere d’arte si deve cercare il significato
piuttosto nel contesto delle vicissitudini d’amore. In alcuni casi l’esito infelice del racconto
è omesso, come abbiamo anche visto nella letteratura. Questa omissione si verifica quando
Orfeo ed Euridice sono rappresentati come esempi di antichi amanti famosi, e quando la
scena indica piuttosto il trionfo di Orfeo amante.
6.6 MISOGINO E OMOSESSUALE
L’interesse per Orfeo nel Trecento e nel primo Quattrocento si limitò, come abbiamo visto
nel capitolo secondo, piuttosto alla figura del musicista e dell’amante. Tali riferimenti a
Orfeo erano diventati per la maggior parte stereotipati: gli autori ripetevano sempre la
818
San Juan, The Legend of Orpheus, cit., pp. 159-167.
277
CAPITOLO 6
stessa immagine. Non si faceva riferimento quasi mai alla uccisione di Orfeo da parte delle
Baccanti. L’unica eccezione era la descrizione di Orfeo nelle Genealogie di Boccaccio, che
forniva, però, un’interpretazione peculiare. Alla fine del Quattrocento la morte di Orfeo
torna nella letteratura e nell’arte italiana. È difficile stabilire chi fu il primo a rendere
nuovamente attuale questo aspetto del mito di Orfeo. Secondo Roesler-Friedenthal, fu
Mantegna che introdusse il tema della morte di Orfeo nell’arte post-antica.819 Nella
letteratura la misoginia e l’omosessualità di Orfeo furono invece elaborate da Poliziano.
Dopo che questo motivo venne trattato nella Fabula lo si trova anche più spesso in altri
autori.
Ermolao Barbaro (1453/54-94), che era in polemica con Poliziano, lega la morte di
Orfeo alla sua omosessualità, che descrive come ‘turpidine’ e ‘nefandissimo scelere’.820 Per
via del comportamento degenerato di Orfeo le ‘Musarum ancillae’ lo dilaniano con i denti.
Barbaro non capisce perché un cristiano debba leggere i libri di Orfeo, che menava una vita
tanto indecente. L’autore si chiede come si possa chiamare teologo un uomo del genere, e
come si possa pensare che quest’uomo sia il figlio di genitori divini. Barbaro confronta
dunque i due lati di Orfeo, che furono noti ai neoplatonici: quello di teologo e quello di
poeta-amante (di Euridice e del sesso maschile). Colpisce nella sua descrizione
l’indignazione che questi due lati si possano unire in un’unica persona. L’omosessualità gli
sembra incompatibile con il ruolo di Orfeo come teologo. Barbaro contesta perfino
l’immagine di Orfeo teologo (cf. § 3.1). La stessa indignazione sull’indicazione di Orfeo
come teologo l’abbiamo vista nel Dialogo contra i poeti di Berni. Nelle loro opere si
esplicita dunque il conflitto tra l’immagine positiva e quella negativa di Orfeo.
L’omosessualità di Orfeo è spesso condannata fortemente dagli autori
cinquecenteschi. Nel trattato Della eccellenza e dignità delle donne (1525) Galeazzo Flavio
Capra difende la donna. L’amore omosessuale di Orfeo è condannato nel paragrafo ‘De la
cagione che ha mosso molti a dir male de le donne’.821 Secondo Capra sono gli uomini che
seguono il vizio di Orfeo a maledire le donne.
Altri per morte o per altro caso avendo la cosa amata perduta, pensarono, forse biasimando
quel che avere non potevano, al dolore soccorrere. In questi fu già Orfeo che, morta l’amata
sua Euridice, in istrema desperazione messo (come disse quel Fiorentino) mai amar più
donna non volse. La qual cosa non era forse molto vituperosa ad uomo già attempato e
d'anni pieno, se non avesse ad più abominavole vizio fatto la via. Le quali vestigia seguendo
alcuni infin al dì d’oggi, con poco riguardo dicono le femine da manco esser che la più vile
carogna del mondo. (Capra, Della eccellenza e dignità delle donne, p. 64)
819
Roesler-Friedenthal, op.cit., pp. 149-185.
Barbaro, Orationes contra poetas, I, 22-23. Cfr. Berni, Dialogo contra i poeti, pp. 283-284 (citato nel § 6.1).
821
Un’altra opinione negativa sull’omosessualità di Orfeo è espressa in: Francesco Coppetta Beccuti, Rime,
IV, CXCII, 59.
820
278
TOPOI, REAZIONI ED INNOVAZIONI
Il frammento contiene un riferimento a Poliziano (‘quel Fiorentino’), cosa che dimostra
che questo testo era stato consultato come fonte del racconto sull’omosessualità di Orfeo o
forse anche un cantare, in cui la condanna dell’omosessualità faceva parte della morale
conclusiva.
L’umanista napoletano Pomponio Gaurico (1481-1530) assegna un posto centrale
ad un Orfeo omosessuale nelle sue Egloghe (1526). In un dialogo Orfeo e il poeta tracio
Tamira, che aveva sfidato le Muse, si disputano in versi. Orfeo comincia e Tamira risponde
sempre con parole molto simili. Orfeo celebra il suo amore felice per Aminta, mentre
Tamira piange il duro amore per Fillide. Cito solo un breve frammento dell’egloga :
ORPHEUS
Gratus amor meus est, meus ò me nutrit Amyntas.
Quid mirum? Iliaco poterit certare ministro.
Qui si si nostros unquam mutarit amores,
Non equidem sæuæ dubitabo occumbere morti,
THAMYRAS
Durus amor meus est, mea me mea Phyllis adurit.
Quid mirum? Idæas poterit superare puellas.
Que que si diros ponet mitissima fastus,
Inter mortales deus immortalis habebor.
(Gaurico, Eclogae, ἐρωτικη διαλληλως, p. 84)822
Gaurico parla dunque positivamente dell’omosessualità di Orfeo. Mentre Tamira si può
soltanto compiangere del suo amore per una ragazza, Orfeo esalta il suo amore per un
altro uomo. Nel monologo che segue al dialogo con Tamira Orfeo si compiange che Licone
non corrisponda il suo amore. Il topos della donna dal cuore di sasso è qui trasferito ad un
uomo:
Fingite olorinos mea carmina, fingite cantus.
O cur sæue puer, cur ò fugis Orphea uatem?
Cur heu cur nostros spernis male gratus amores?
Non sunt mortales quei me genuere parentes.
Calliope mater, pater est mihi magnus Apollo.
(Gaurico, Eclogae, ἐρωτικη ἁπλως, pp. 88-89)823
822
‘Orfeo: Grato è il mio amore, il mio Aminta mi nutrisce. Che c’è di meraviglioso? Lui potrebbe gareggiare
con il ministro troiano (Ganimede). Se mai lui cambierà i nostri amori, io non dubiterò di soccombere a una
morte feroce. Tamira: Duro è il mio amore, la mia Fillide mi incendia. Che c’è di meraviglioso? Lei potrebbe
superare le ragazze dell’Ida. Se lei mitissima smetterà il suo disprezzo crudele, io sarò ritenuto un dio
immortale tra i mortali.’
279
CAPITOLO 6
I canti di Orfeo che potevano commuovere i leoni e far scendere gli ornelli dai monti, non
sono in grado di sedurre il ragazzo. Gaurico sembra basarsi sulla Fabula di Orfeo di
Poliziano: Tamira avverte Licone che la sua bellezza svanirà come quella di una rosa (così
Aristeo nella canzone per Euridice); ricorda gli amori di Apollo per Giacinto e di Ercole per
Ila (come Orfeo nella canzone misogina). Infine Orfeo muore per troppo amore ed è
bruciato al rogo, perché le donne Ciconie non lo lacerino. Orfeo è dunque protetto dall’ira
delle donne.
Orfeo misogino e omosessuale si prestava anche bene alla letteratura misogina.
L’Angoscia di Michelangelo Biondo (sec. XVI) è un testo in cui Orfeo stesso non è
rappresentato esplicitamente come misogino, ma che lo colloca bensì in un contesto
misogino. Biondo paragona la donna al veleno ed elenca una serie di donne cattive: Medea,
Scilla, Biblide, Mirra, Semiramide, le figlie di Belo, le Baccanti che amazzarono Orfeo,
eccetera:
Del veneno altro non vi dico, perché, vedendo la donna, voi vedete manifesto veneno. E, se
ciò ancora non vi basta a dare ad intendere che cosa è donna, per sodisfarvi dico che gli è
quella che, per un vile ornamento, dá in man di nemici la sua patria: gli è la Medea, che con
le man proprie amaza i suoi figliuoli; gli è Scilla, che segue il nemico di sua patria, avendo
svelto il capillo al suo padre; gli è la Bibli, che ama vilmente il fratello; gli è la Mirra, che si
suppose al suo padre (oh, cosa orrenda!); gli è la vecchia Semirami, che arde de l'amor
dannoso del suo figlio; gli è una de le figlie di Belo, che la notte occide il suo marito; gli è
una di quelle che fanno tagliare in pezzi Orfeo poeta; gli è la lussuriosa Pasife, la crudel
Fedra, Rebecca ingannatrice; gli è Ippodamia, che inganna il padre; gli è finalmente donna
Marzia meretrice, che fu cagion di morte d'imperatore Antonio Commodo.
(Biondo, Angoscia doglia e pena. Le tre furie del mondo, Angoscia, p. 83)
Nel De causa, principio e uno di Giordano Bruno (1584) Poliinnio elenca molte
caratteristiche negative delle donne. Gervasio avverte Poliinnio e gli altri umanisti che in
tal modo si sarebbero tirati addosso la furia delle donne, come fece già Orfeo.824 Baldassare
Castiglione allude a Orfeo misogino che maledice le donne ne Il libro del Cortegiano
(1528). Alcune donne corrono per scherzo dal signor Gasparo per picchiarlo, e Castiglione
le paragona alle Baccanti che avevano picchiato Orfeo.825 Questi testi non trattano
esplicitamente dell’omosessualità come causa della morte di Orfeo, ma mettono in guardia
il lettore dal pericolo di una donna arabbiata. Il comportamento di Orfeo è dunque
823
‘Trasforma le mie canzoni nei canti di un cigno. Perché, ragazzo feroce, o perché fuggi dal vate Orfeo?
Deh, perché ingrato disprezzi i nostri amori? Non sono mortali i genitori che mi generarono. Calliope è mia
madre, mio padre è il grande Apollo.’
824
Bruno, De la causa, principio e uno, dialogo quarto, p. 293.
825
Castiglione, Il libro del Cortegiano, libro II, XCVI.
280
TOPOI, REAZIONI ED INNOVAZIONI
condannato da alcuni scrittori, ma difeso da altri, a seconda della morale e del proprio
giudizio.
Dopo la morte: la lira di Orfeo
Quando Orfeo viene ucciso dalle Baccanti, la testa e la sua lira sono gettate nell’acqua
dell’Ebro. Così scrive Ovidio nelle Metamorfosi.826 Tuttavia, già prima della grande
divulgazione di questo testo nel Cinquecento attraverso traduzioni italiane l’umanista
Giovanni Pontano (1429-1503), che lavorò per molto tempo a Napoli e che alla fine della
sua vita fu capo dell’Accademia napoletana (o pontaniana), dedicò una poesia a questo
motivo.827 La poesia fa parte dei libri De Tumulis (pubblicati postumi tra il 1505 e il 1512),
che sono degli epigrammi per le tombe di personaggi diversi. Nella poesia la lira di Orfeo
invoca l’aiuto di una ninfa per salvarla dalla furia delle Baccanti. Per scampare alla
distruzione da parte delle donne, la lira è trasformata in cigno:
Illa querebatur, Thressae properare cohortes;
nec mora, quae fuerat iam lyra, factus olor.
[...]
[...] Vix haec: de flumine cycnus
evolat et niveus per vada cantat olor.
Forma petit coelum, coelo micat aurea; plectrum
Mansit humi, mater quod studiosa legit,
condit et in templo, [...]
(Pontano, De Tumulis, liber II, LIII ‘Lyra Orphei auxilium implorat a nympha’, vv. 15-16;
23-27)828
Mentre Orfeo muore e va agli inferi, la lira è dunque elevata al cielo in una specie di
apoteosi. L’idea che lo strumento fu collocato nel cielo come una costellazione dopo la
morte di Orfeo fu descritta nell’antichità da Igino nell’Astronomia (cf. § 1.3.3).
Nella Sala di Galatea della Villa Farnesina a Roma Baldassare Peruzzi raffigurò
Orfeo come simbolo della costellazione della Lira (1510-11). La posizione dei pianeti e
delle costellazioni dipinti sul soffitto rappresenta il giorno della nascita del banchiere
Agostino Chigi (il 29 novembre 1466), per cui la villa fu costruita. Nell’affresco Orfeo
suona la lira da braccio (ill. 6.12).
826
Anche Virgilio fa menzione nelle Georgiche della testa che galleggia nel fiume, ma non della lira.
Pontano lavorò per molto tempo alla corte degli Aragonesi, dai quali Orfeo fu spesso rappresentato in
trionfi (cf. § 6.4).
828
‘Essa (la lira) si lamentava, i coorti traci si affrettarono; senza rinvio, quella che una volta era stata una lira,
fu fatto cigno. [...] Appena che lei (Calliope) aveva detto questo: dal fiume vola un cigno, e il cigno niveo
canta per le acque. La forma va al cielo, risplende nel cielo come l’oro; il plettro rimase sulla terra, che la
madre premurosa raccoglie, e colloca nel tempio [...].
827
281
CAPITOLO 6
6.12 Baldassare Peruzzi, Lira (Orfeo), 1510-11
L’iconografia è simile a quella di Orfeo che canta per gli animali, anche se mancano questi
animali e sono presenti delle nuvole. In questo affresco non conta tuttavia l’eccellenza di
Orfeo nel canto, e il poeta serve piuttosto a simboleggiare la costellazione della Lira, anche
se secondo il mito Orfeo quando la Lira ottenne questa funzione era già morto.
6.7 ORFEO COME SIMBOLO DEL POTERE RINNOVATO DEI MEDICI
Alla corte di Lorenzo il Magnifico Orfeo era molto popolare, come abbiamo visto nel terzo
capitolo. Marsilio Ficino Orfeo lo considerava un personaggio essenziale che gli
permetteva di conciliare la filosofia neoplatonica con il cristianesimo. Il filosofo cominciò
perfino a identificarsi con Orfeo, suonando la lira da braccio e cantando degli inni orfici.
Un altro umanista e letterato della corte di Lorenzo, Angelo Poliziano, scrisse un’opera
intera sul mito di Orfeo. Nel quarto capitolo abbiamo discusso questa Fabula di Orfeo e le
sue numerose imitazioni.
Dopo la morte di Lorenzo nel 1492 suo figlio Piero salì brevemente al potere, ma già
nel 1494 il re francese Carlo VIII invase l’Italia. Quando Carlo nel novembre dello stesso
anno occupò Firenze, Piero era già fuggito dalla città. I fiorentini, che non avevano mai
amato il figlio di Lorenzo, ripristinarono la repubblica fiorentina, incitati dal frate
domenicano Girolamo Savonarola. Tuttavia, dopo quattro anni anche lui cadde in
disgrazia e fu bruciato dal popolo in Piazza della Signoria.
Nel 1512 papa Giulio II mise un esercito a disposizione di Giovanni e Giuliano de’
Medici, i fratelli minori di Piero. Con l’esercito papale Giovanni e Giuliano invasero
Firenze e ripresero il potere. L’anno dopo Giovanni diventò il nuovo papa, Leone X, e allo
282
TOPOI, REAZIONI ED INNOVAZIONI
stesso tempo lui fece arcivescovo e più tardi cardinale suo cugino Giulio. Giovanni de’
Medici stesso era anche musicista e compositore. Al momento della sua elezione molti
musicisti e cantanti si recarono a Roma per cercare lavoro alla corte papale. Leone era
molto generoso per i suoi musicisti e nel 1520 aveva più di quindici musicisti personali.829
Papa Leone X commissionò a Baccio Bandinelli una statua per il cortile del Palazzo
Medici a Firenze (ill. 6.13).830 La statua di Orfeo (1516-17) era la prima statua pubblica di
una figura pagana nella Firenze rinascimentale.831 Orfeo vi suona la lira per domare
Cerbero, che si trova ai piedi di Orfeo. La grande lira (forse di bronzo) che Orfeo teneva
nella mano sinistra è andata perduta, ma è ancora visibile in un disegno cinquecentesco
(ill. 6.14).832
6.13 Baccio Bandinelli, Orfeo e Cerbero, 1516-17 / 6.14 Anonimo, Disegno della statua di Bandinelli,
829
Peter Burke, De Italiaanse renaissance (The Italian Renaissance), Agon, 1988, p. 101. Il liutista Gian Maria
Giudeo fu perfino nominato conte.
830
Baccio Bandinelli, Orfeo e Cerbero, statua di marmo, 1516-17. Firenze, Palazzo Medici-Riccardi, cortile;
Karla Langedijk, ‘Baccio Bandinelli's Orpheus: a political message’, Mitteilungen des Kunsthistorischen
Instituts in Florenz, 1976, pp. 33-52. Originariamente nell’altro cortile del palazzo, essa fu spostata nel
Seicento da Carlo de’ Medici al Casino di San Marco. Poi la statua fu collocata nel secondo cortile del Palazzo
Vecchio, mentre il piedistallo finì nel Bargello, fino al momento che la statua e il piedistallo furono di nuovo
congiunti nel cortile del Palazzo Medici-Riccardi (nel 1916) (G. Poggi, ‘Della statua di Orfeo di Baccio
Bandinelli già nel primo cortile del palazzo Mediceo’, Rivista d’arte, 9, 1-2 (1916), pp. 59-61).
831
Langedijk, op.cit., p. 51.
832
Anonimo (Cherubino Alberti?), Disegno della statua di Orfeo di Bandinelli. Firenze, Galleria degli Uffizi,
Gabinetto dei Disegni e delle Stampe, no. 93695 C 21.
283
CAPITOLO 6
L’Orfeo di Bandinelli fu ammirato da Giorgio Vasari (-1574) che ne scrive nella Vita di
Baccio Bandinelli:833
Tornato Baccio a Roma, impetrò dal Papa per fauore del Cardinal’ Giulio de’ Medici solito
a fauorire le virtu, & i virtuosi, che gli fusse dato a fare per le cortile del palazzo de’ Medici
in Firenze alcuna statua. Onde venuto in Firenze fece vn’Orfeo di marmo, ilquale col suono,
& canto placa Cerbero, & muoue l’inferno a pietà. [...] Finita la statua, fu fatta porre dal
Cardinale Giulio nel sopraddetto cortile, mentre che egli gouernaua Firenze, sopra vna basa
intagliata, fatta da Benedetto da Rouezzano scultore. Ma perche Baccio non si curò mai
dell’arte dell'architettura, non considerando lui l’ingegno di Donatello, il quale al Dauitte,
che v’era prima, haueua fatto vna semplice colonna, su laquale posaua l’imbasamento
disotto sesso, & aperto, a fine che chi passaua di fuora vedesse dalla porta da via l’altra
porta di dentro dell’altro cortile al dirimpetto; però non hauendo Baccio questo
accorgimento, fece porre la sua statua sopra vna basa grossa, & tutta massiccia, di maniera
che ella ingombra la vista di chi passa, & cuopre il vano della porta di dentro, si che
passando è non si vede se’l palazzo va piu in dietro, o se finisce nel primo cortile.
(Vasari, Le Vite, vol. 3, cap. 137, p. 428)
Secondo Vasari il compito di Bandinelli era di fare una statua che potesse subentrare al
Davide di Donatello, che prima si trovava nel cortile. Bandinelli scelse però di raffigurare
Orfeo invece di Davide, noti ambedue per il potere ammaliatore della loro musica.834
Secondo Karla Langedijk Davide aveva connotazioni negative per aver ucciso Golia con la
violenza. La statua di Davide avrebbe potuto simboleggiare i Medici che avevano
soggiogato il popolo fiorentino in maniera violenta. Orfeo invece, aveva domato Cerbero
con il suo canto, dunque in maniera pacifica. Così la statua di Orfeo alludeva alla
soggiogazione pacifica di Firenze da parte dei Medici. Naturalmente c’era anche la
connotazione dei poteri conciliatori del canto, cosa che poteva essere interpretata come la
civilizzazione oppure la riconciliazione degli uomini selvatici.
L’idea di una signoria pacifica si riflette anche nel piedistallo. Vasari parla a lungo
del piedistallo di marmo, fatto da Benedetto da Rovezzano, che a suo parere è troppo
massiccio per essere collocato nel cortile del Palazzo dei Medici.835 Tuttavia, secondo
Langedijk il piedistallo e la statua costituivano nel loro insieme un messaggio simbolico del
833
Anche Vasari stesso fece alcuni disegni di Orfeo, che ora si trovano a Firenze nella Galleria degli Uffizi e
nella Biblioteca Nazionale, cf. l’elenco dei riferimenti a Orfeo nelle arti.
834
Secondo Langedijk la figura di Davide fu sostituita con la figura di Orfeo, perché Orfeo non aveva
connotazioni negative come Davide. Davide aveva infatti ucciso Golia e non poteva dunque essere visto
esclusivamente come pacificatore (pp. 44-46). Inoltre, i Medici cinquecenteschi non facevano ricorso a figure
del Vecchio Testamento, perché se ne aveva appropriato la repubblica. Perciò cominciarono ad usare delle
figure mitologiche invece di quelle bibliche (Bull, op.cit., p. 73).
835
Benedetto da Rovezzano, piedistallo di marmo, 1519?. Firenze, Palazzo Medici-Riccardi, cortile.
284
TOPOI, REAZIONI ED INNOVAZIONI
potere dei Medici. Il piedistallo è pieno di simboli medicei, come le palle medicee dello
stemma della famiglia. Sul davanti e sul retro è raffigurata due volte l’impresa di papa
Leone X. L’impresa consiste da un giogo circondato da alcune fascette in cui normalmente
è scritta la parola ‘suave’. Questa parola deriva dall’espressione biblica ‘iugum meum
suave’.836 Secondo Paolo Giovio l’impresa sottolineava il carattere divino del potere di
Leone X, che doveva essere accettato da ogni cristiano.837 Leone intendeva esprimere la sua
intenzione di conquistarsi la simpatia del popolo fiorentino in modo pacifico. Come Orfeo
aveva domato Cerbero con la musica, così anche Leone regnava lo stato di Firenze.
Inoltre, la figura di Orfeo ricordava la prima fioritura dei Medici sotto il regno di
Lorenzo il Magnifico. Come abbiamo visto nel terzo e nel quarto capitolo Orfeo fu una
figura chiave nella filosofia di Marsilio Ficino, che voleva essere un novello Orfeo. Angelo
Poliziano aveva scritto un’intera favola sul mito di Orfeo e così Orfeo diventò una figura
mitologica molto nota nella cerchia di Lorenzo. Nella sua giovinezza Leone X era stata
educato da Ficino e Poliziano, come gli altri figli di Lorenzo. Potremmo dunque supporre
che anche la statua di Bandinelli fosse un riferimento al primo regno dei Medici e
simboleggiasse dunque il rinnovamento del potere mediceo sotto Lorenzo. Ora Leone X
assunse il ruolo di Orfeo, che gli piaceva anche per le sue connotazioni musicali e
sacerdotali.838
Leone X e le pasquinate romane
Non solo a Firenze, ma anche a Roma papa Leone X sottolineò pubblicamente le analogie
tra se stesso e la figura di Orfeo. Finora questi legami tra Leone e Orfeo a Roma non sono
stati elaborati o messi in rapporto con la commissione della statua di Bandinelli a Firenze.
Nel 1515 la famosa statuetta del Pasquino fu travestito da Orfeo ‘per simboleggiare la
liberalità di Leone X verso poeti, letterati e artisti’.839 Pasquino era una statua antica che
orginariamente faceva parte di un gruppo scultoreo, che rappresentava Menelao che
solleva il corpo di Patroclo. Una copia romana di una statua di bronzo del periodo greco fu
trovata nel 1501 e collocata all’angolo di Palazzo Orsini (l’odierno Palazzo Braschi).
Secondo la tradizione la statua di Pasquino portava il nome di un sarto o di un barbiere che
parlava sempre male del papa e dei cardinali. A partire degli anni ’30 del Cinquecento la
statua di Pasquino diventò un luogo di affissione di testi anonimi, le cosiddette pasquinate,
836
Matteo, 11, 30 (Langedijk, op.cit., p. 36).
Il motto ‘suave’ non era menzionato esplicitamente sul piedistallo. Così c’era probabilmente spazio per
interpretazioni diverse: senza il motto l’impresa poteva anche alludere al potere di Cosimo I, cioè alla libertà
di Firenze. Il paragone tra Leone X e Cosimo I era opportuno al primo (Langedijk, op.cit., pp. 36-37).
838
Langedijk, op.cit., p. 43.
839
Valerio Marucci, Antonio Marzo & Angelo Romano, Pasquinate romane del Cinquecento, Roma, Salerno,
1983, pp. 72-73, n. 1.
837
285
CAPITOLO 6
che biasimavano il papa e altri uomini potenti. Nei primi decenni del Cinquecento
Pasquino non aveva, però, ancora esattamente questa funzione.840
Pasquino fu messo in quel luogo dal cardinale Oliviero Carafa, un grande amante
dell’antichità. Carafa diventò prima ‘protettore’ della statua e poi organizzatore della festa
annuale intorno a Pasquino del 25 aprile. In questa occasione si scelse sempre un tema
poetico diverso e la statua fu travestita da figura mitologica. Gli studenti romani
affiggevano i loro esercizi nell’arte poetica alla statua. Questi testi sono in genere degli
scherzi intorno al tema dell’anno. A partire dal 1509 le poesie furono copiate e pubblicate.
Nel tempo di Leone X la festa di Pasquino era dunque ancora una festa studentesca, che fu
perfino finanziata dal papa stesso. Nel 1515 Pasquino fu vestito da Orfeo. La scena
rassomigliava probabilmente alla xilografia sul frontespizio della raccolta di pasquinate del
1515 in cui Orfeo suona per gli animali (ill. 6.15).841
6.15 Frontespizio dei carmina appesi a Pasquino, 1515
Orfeo suona la lira da braccio, mentre intorno a lui si sono radunati alcuni animali. Nella
maniera in cui Orfeo volge la faccia a destra si vede una rassomiglianza tra la statua e la
xilografia. Il leone che si accosta a Orfeo fa pensare al secondo corpo di fronte a Pasquino.
Sotto i piedi di Orfeo si vede l’impresa di un cardinale.
Durante il papato di Leone X e di Clemente VII le pasquinate lodavano spesso il
comportamento dei papi. Questi panegirici furono stimolati dalla curia per mezzo dei
840
Gli sviluppi dei costumi intorno a Pasquino e della pasquinata sono descritti da: O. Niccoli, Rinascimento
anticlericale. Infamia, propaganda e satira in Italia tra Quattro e Cinquecento, Gius. Laterza & Figli, 2005; D.
Gnoli, ‘Storia di Pasquino (dalle origini al Sacco del Borbone)’, Nuova Antologia XXV (1890), pp. 51-75; 275296.
841
Anonimo, Orfeo e gli animali, xilografia, ca. 1515. Frontespizio dei Carmina appesi a Pasquino nel 1515
(da: Pasquinate romane del Cinquecento).
286
TOPOI, REAZIONI ED INNOVAZIONI
cosiddetti ‘protettori’ della festa di Pasquino. Questa usanza nacque durante il papato di
Giulio II, ma fu soprattutto popolare sotto quello di Leone X e Clemente VII, i due papi
medicei. Pasquino fu trasformato ogni anno in un’altra figura mitologica per sostenere il
papa e la sua politica.842
Nella prima poesia della serie di pasquinate dell’anno di Orfeo l’eroe si presenta al
pubblico, dicendo di essere venuto dall’inferno a Roma nel momento in cui Antonio Maria
Ciocchi del Monte, il cardinale del titolo di San Vitale, assunse il patrocinio della festa di
Pasquino (nel 1515):843
ORPHEUS LOQUITUR
Orfeo son, con mia squillante lira.
Venuto son dal limbo de l’Inferno,
como ciascun palese ogi mi mira.
Fermato sonmi sopra el gran governo
del placido Vital Monte sincero,
perché sua possa regnarà in eterno.
Giusto mi parve ormai che ‘l Monte altiero
ornato fussi de’ mei soni e canti,
poi che de verdi rami è folto e intero.
(Pasquinate romane, 89, vv. 1-9)844
Orfeo vuole onorare il cardinale con i suoi canti, perché lui ‘de verdi rami è folto’ (v. 9),
cioè incoronato di lauro.845 Il cantante continua dicendo che ognuno deve smettere di
piangere e di lottare, e festeggiare in pace, ora che regna il cardinale Del Monte. Secondo
Orfeo la gente deve ornarsi ‘con verde serto’ (v. 18), cioè con corone d’alloro, perché il
nuovo cardinale è una fonte di giustizia. Alla fine della poesia Orfeo accenna sia al
cardinale che al papa Leone X come custodi del mondo, che sottometteranno i
maomettani. Ora che Leone X è diventato papa, il mondo sarà felice e ritornerà l’Aurea
Aetas (in aureo stato, v. 36). Roma può essere contenta che il Parnaso, l’Elicona e il
Citerone, sono adornati da Leone di diamanti, in altre parole che le arti sono altamente
842
Oltre alla pasquinate che favorirono la politica papale, c’erano sempre pasquinate negative, che
rovesciarono l’interpretazione ufficiale della statua : Pasquinate del Cinque e Seicento, a.c.d. Valerio Marucci,
Salerno Editrice, Roma, p. 41, XXIV (in latino). In una pasquinata Orfeo mette in ridicolo il pubblico, che si è
radunato intorno alla sua statua. Il cantante paragona la gente agli animali che prima venivano ad ascoltare la
sua musica e l’accusa di pazzia (Pasquinate romane, 94). Orfeo stesso è anche biasimato dal pubblico per non
essere stato in grado di allettare tutti gli uomini importanti a venire a Roma Pasquinate romane, 97). In un
altro sonetto indirizzato ad Orfeo è piuttosto chiesto l’aiuto del cantante per placare il cuore duro
dell’amante (Pasquinate romane, 98).
843
Pasquinate romane, cit., p. 73, n. 4-5.
844
I testi sono citati da Pasquinate romane, cit. (palese=palesemente; possa=potenza, forza)
845
Un altro panegirico del cardinale si trova in: Pasquinate romane, 96.
287
CAPITOLO 6
rispettate sotto il regno di Leone.846 Il regno di Leone X è dunque considerato un periodo
di pace, durante il quale possono prosperare le arti. Anche in altre pasquinate Orfeo allude
al ruolo particolare di Leone come protettore degli artisti e dei poeti.847 I ‘passati danni’
menzionati in questa poesia sono spiegati meglio in un’altra poesia: si tratta delle guerre
che erano molto frequenti nel periodo prima del dominio di Leone X. L’autore fa un
confronto fra il periodo passato di guerra (Marte) e il periodo attuale di pace (Apollo):
Fu ab eterno in nel divin concetto,
ove sempre riluce in vera essenza
tutto il nostro operar bono o demenza,
produre un che purgasse ogni difetto.
Marte, col fiero e foribondo aspetto,
visse tra noi e fé mortal sentenza
di quei che eron ribelli alla potenza,
e fu del ver la esperienza effetto.
Possa da noi mortal licenza prese
e venne Apol per dar silenzio al grege:
costui di Iano il tempio in terra stese.
Orfeo, con el Leon che ‘l tutto rege,
col suo dolce sonar possa discese
per rinovar tra noi la santa lege.
(Pasquinate romane, 91, vv. 1-14)848
Nella prima strofa l’autore dice che fin dall’inizio Dio aveva l’intenzione di inviare al
mondo qualcuno che avrebbe purgato oppure salvato l’umanità. Naturalmente si tratta di
papa Leone. Dopo l’uccisione di Marte dal popolo, Apollo calmò la gente e distrusse il
tempio di Giano, cioè cacciò la discordia. Il papa è dunque identificato con il dio Apollo,
che venne in terra con il figlio Orfeo per dare pace al popolo romano. Orfeo deve
rinnovare la santa legge e dunque far vivere il popolo in armonia e in pace.
Da tutte queste pasquinate emerge l’immagine di Orfeo che, come musicista per
eccellenza, sostiene il papato di Leone X. Orfeo è venuto ad appoggiare un papa che ha
ravvivato l’arte e la letteratura. Sia a Firenze che a Roma il papa mediceo Leone X favorì le
analogie con Orfeo, per mezzo della statua di Bandinelli e delle pasquinate. Orfeo
simboleggiò il carattere pacifico del regno di Leone e la fioritura rinnovata del potere dei
846
Pasquinate romane, 89, vv. 28-43
Pasquinate romane, 90, vv. 5-8; 95.
848
demenza=operazioni cattive; alla potenza:a Roma; possa=poscia, poi.
847
288
TOPOI, REAZIONI ED INNOVAZIONI
Medici. Leone si presenta anche come un gran mecenate delle arti e cerca così di creare
un’immagine positiva del suo potere.
Cosimo I nei panni di Orfeo
Leone X morì nel 1521. Nel 1527 i Medici furono di nuovo espulsi brevemente da Firenze.
Tuttavia, il papa Clemente VII (Giulio de’ Medici) fece assediare Firenze, per cui i Medici
andarono di nuovo al potere. Così Alessandro de’ Medici, il pronipote di Lorenzo il
Magnifico, diventò il duca di Firenze. Quando Alessandro dopo un breve regno fu ucciso, il
diciottenne Cosimo diventò il primo granduca di Firenze. Cosimo I regnò dal 1537 al 1574.
Come Leone X, Cosimo stimolò le arti e la cultura con il fine di rafforzare il proprio potere
politico. Anche lui era affascinato dalla figura di Orfeo, che in passato era stato usato come
simbolo del potere dei Medici. Risale ai primi anni del suo regno un dipinto fatto da
Angelo Bronzino, il ritrattista ufficiale di Cosimo, in cui il duca è identificato con Orfeo
(ill. 6.16).849 Normalmente i ritratti di Cosimo furono distribuiti tra clienti e conoscenti del
duca, ma il ritratto di Cosimo come novello Orfeo fu forse destinato ad uso privato, come
sostiene Robert Simon.850
6.16 Angelo Bronzino, Cosimo I de’ Medici come Orfeo, 1537-40
Nel dipinto si vede un uomo nudo, che mostra la schiena al pubblico. Dalla presenza di un
cane tricefalo e della lira da braccio nelle mani dell’uomo seduto risulta che si tratta di
Orfeo, che ha appena addomesticato Cerbero. La testa di Orfeo è stata sostituita, però, con
849
Angelo Bronzino, Cosimo I de’ Medici come Orfeo, pittura a olio, 1537-40. Philadelphia Museum of Art,
Johnson Collection.
850
L’articolo più ampio su questo dipinto è: Robert B. Simon, ‘Bronzino’s Cosimo I de’ Medici as Orpheus’,
Bulletin (Philadelphia Museum of Art), 81, nr. 348 (1985), pp. 16-27.
289
CAPITOLO 6
quella di Cosimo I. Il corpo di Orfeo fa pensare al torso dell’Ercole Belvedere. Secondo
Simon la somiglianza non è una coincidenza, poiché dal 1537 Ercole venne usato come il
simbolo ufficiale del potere di Cosimo.851 La pittura rappresenterebbe dunque la
metamorfosi di Cosimo-Ercole in Cosimo-Orfeo. Forse il motivo dell’ammaestramento di
Cerbero è stato scelto come riferimento all’ultima fatica di Ercole. Tuttavia, Simon osserva
che in questo caso non viene ripreso il significato della statua di Bandinelli. Il dipinto non
sarebbe destinato ad essere collocato in un luogo pubblico, come la statua, ma
probabilmente in un luogo privato. Notevole è il carattere erotico della composizione: la
nudità di Orfeo e soprattutto la maniera in cui tiene l’arco con la mano destra sembrano
esprimere un messaggio nascosto.852 Secondo Simon il ritratto di Cosimo come Orfeo era
forse un regalo del duca alla sua promessa sposa, Eleonora di Toledo. Il dipinto dovrebbe
mostrare che Cosimo aveva la robustezza fisica di Ercole, ma che lui avrebbe adoperato
solo il canto per guadagnarsi l’amore della sposa. In questo caso il ritratto potrebbe essere
stato fabbricato in occasione delle loro nozze nel 1539.
Tuttavia, non è escluso che il dipinto di Bronzino possa aver avuto una funzione
simile a quella della statua di Bandinelli. Infatti, questo dipinto non era l’unica
rappresentazione nuda di Cosimo I. Un altro esempio si trova nella Sala di Bona del
Palazzo Pitti a Firenze.853 Forse neanche il ritratto di Cosimo I come Orfeo era un quadro
privato, ma si trovava in un luogo aperto al pubblico e conteneva un messaggio politico.
Così in un unico dipinto erano uniti i due lati del principe ideale: da una parte il duca forte
ed eroico (Ercole), e dall’altra colui che civilizza il popolo e favorisce la cultura e le arti
(Orfeo). Anche Scherliess attribuisce al dipinto un significato politico, che deriva
dall’interpretazione allegorica della musica come armonia.854 Nell’articolo sul ritratto di
Cosimo-Orfeo Simon aveva già accennato al fatto che le rappresentazioni di Orfeo e
Cerbero sono relativamente rare.855 Tra i pochi esempi della combinazione di Orfeo e
Cerbero nell’arte prima di Bronzino Simon menziona la figura di Orfeo nella Camera degli
Sposi a Mantova. Come abbiamo visto nel quarto capitolo, in questa stanza del Palazzo
Ducale Andrea Mantegna aveva dipinto sul soffitto una serie di figure mitologiche: Orfeo,
Arione e Ercole. Qui Orfeo (che cerca di acquietare Cerbero) appare appunto in
combinazione con Ercole. Anche nella Camera degli Sposi Mantegna volle raffigurare
851
Simon, op.cit., p. 22.
Simon, op.cit., p. 23.
853
Poccetti, La glorificazione di Cosimo I, 1608. Firenze, Palazzo Pitti, Sala di Bona.
854
Volker Scherliess, ‘Aspetti del mito di Orfeo’, in: Dipingere la musica. Strumenti in posa nell'arte del
Cinque e Seicento, a.c.d. Sylvia Ferino-Pagden, Milano, Skira, 2000, pp. 43-47. Secondo Scherliess il motivo di
Orfeo come simbolo del buon governo aveva una tradizione iconografica nell’emblematica del Cinque- fino
al Settecento (cf. anche Zincgref).
855
Simon, op.cit., p. 21.
852
290
TOPOI, REAZIONI ED INNOVAZIONI
probabilmente i due aspetti del buon governo (di Ludovico Gonzaga): le guerre dovevano
essere alternate con la coltivazione della poesia e della musica856
Anche nel ritratto di Cosimo I da parte di Bronzino vediamo dunque una
combinazione di Orfeo ed Ercole che potremmo interpretare allo stesso modo. Barbara
Russano Hanning ha attestato che anche un’altra combinazione, quella di Apollo ed Ercole,
era molto frequente nel simbolismo mediceo.857 Orfeo, che secondo alcune fonti era figlio
di Apollo, aveva le stesse caratteristiche del dio della musica e delle arti. Anche nel caso di
Leone X, Apollo era già stato adoperato per simboleggiare il papa: nel 1513, il primo anno
del papato di Leone, Pasquino fu trasformato in Apollo. I Medici alternavano dunque
Apollo e Orfeo come simboli per accentuare la componente culturale del loro regno.
Un giardino propagandistico
Un altro esempio del legame tra Cosimo I e Orfeo si trova forse nella Villa di Castello a
Firenze. Già nel 1477 la villa fu venduta a Lorenzo e Giovanni di Pierfrancesco de’ Medici.
A partire dal 1537 Cosimo I cominciò a frequentare la villa. Nel 1538 il duca commissionò
all’ingegnere idraulico Piero da San Casciano e allo scultore ed architetto Niccolò Tribolo
un giardino, che dovrebbe rappresentare il suo potere personale e dinastico.858 Nel muro
intorno al giardino geometrico si trova una grotta artificiale, che fu cominciata da Tribolo
nel 1538 e perfezionata circa quarant’anni dopo da Giorgio Vasari, che a partire dal 1555
era il direttore dei lavori alla Villa del Castello.859 In questa cosiddetta Grotta degli Animali
si vede una moltitudine di animali di marmo policromo (ill. 6.17).
856
Elizabeth W. Welles, ‘Orpheus and Arion as symbols of music in Mantegna’s Camera degli Sposi’, Studies
in Iconography, 13 (1989-90), pp. 113-144.
857
Barbara Russano Hanning, ‘Glorious Apollo: Poetic and Political Themes in the First Opera’, Renaissance
Quarterly, XXXII, 4 (1979), pp. 485-513.
858
Isabella Lapi Ballerini, The Medici Villas. Complete Guide, Firenze, Giunti, 2003, p. 32.
859
Tribolo / Vasari / Antonio Lorenzi, Grotta degli Animali, 1538-. Firenze, Villa di Castello, giardino.
291
CAPITOLO 6
6.17 Tribolo / Vasari / Lorenzi, Grotta degli animali, Villa di Castello, 1538-
Gli animali, che sono attribuiti ad Antonio Lorenzi, si trovano lungo i muri di destra e
sinistra della prima camera della grotta, e in fondo alla seconda camera. Probabilmente nel
1558 e nel 1567 Bartolomeo Ammannati e Giambologna fecero degli uccelli di bronzo, che
dovevano pendere dal soffitto o essere collocati sulla roccia sporgente. Oggi questi uccelli
si trovano nel Museo Nazionale del Bargello a Firenze.
Secondo alcune fonti al centro della grotta si trovava originariamente una statua di
una figura umana. Per molto tempo non era sicuro se la figura raffigurasse Orfeo o
Nettuno. Cristina Acidini-Luchinat aggiunge come altre interpretazioni possibili Adamo,
che aveva denominato gli animali (Gen. 1:20-25), ed Esopo, circondato dai protagonisti
delle sue Favole.860 In vista delle altre apparizioni di Orfeo come rappresentante dei Medici
è molto probabile che vi fosse una statua di Orfeo. Anche Lapi Ballerini abbraccia l’ipotesi
della presenza di una statua di Orfeo con una lira, per cui l’insieme potrebbe essere
interpretato come un’allegoria della pacificazione taumaturgica dell’universo da parte di
Cosimo I.861 Soprattutto il liocorno, il simbolo della purezza, potrebbe alludere alla
purificazione dello stato da parte di Cosimo.
860
C. Acidini-Luchinat, Le Ville e i Giardini di Castello e Petraia a Firenze, Ospedaletto (PI), Pacini, 1992, pp.
111-114. La studiosa esclude la figura di Noè, perché non è visibile la sua arca.
861
Lapi Ballerini, op.cit., p. 34. Bouk Wierda mi ha suggerito che la presenza di una statua di Adamo è
inverosimile. In questo periodo Cosimo I commissionò soprattutto delle statue mitologiche invece di
bibliche. Quando nel 1540 si sistemò nel Palazzo della Signoria a Firenze, egli sostituì perfino l’iscrizione
cristiana sopra la porta (‘Jesus Christus Rex Fiorentini Populi S.P. Decreto electus’) con un’iscrizione in cui
attribuì il ruolo di principe a se stesso (‘Rex regum et Dominus dominantium’). Cf. H.Th. van Veen, Cosimo I
292
TOPOI, REAZIONI ED INNOVAZIONI
Anche in altre parti del giardino sembra essere presente il simbolismo del potere
rinnovato dei Medici. La nuova primavera portata dalla casa dei Medici era per esempio
espressa dalle statue delle quattro stagioni e delle virtù lungo i muri del giardino.862 Inoltre,
nel giardino geometrico si trovava una fontana con una statua, fatta da Bartolomeo
Ammannati, che rappresentava la lotta di Ercole e il gigante Anteo.863 Forse anche in
questo giardino i due lati del buon governo erano dunque simboleggiati dalle figure di
Ercole e di Orfeo: quello del signore forte e potente, e quello del signore civilizzatore e
promotore delle arti. Nel capitolo 7 vedremo che i Medici e i Gonzaga continueranno a
sottolineare il loro legame con la figura di Orfeo nei primi melodrammi.
6.8 CONCLUSIONE
L’immagine di Orfeo nel Quattro e Cinquecento non è costituita soltanto dalla sua
descrizione in trattati mitologici ed iconografici e in traduzioni delle Metamorfosi. In altri
testi letterari e opere d’arte continuano spesso le immagini stereotipate di Orfeo come
poeta eccellente e amante esemplare (poesia lirica petrarchista), come civilizzatore (trattati
di poetica), come l’uomo in cerca del sommo bene (nella cerchia di Lorenzo) e come poetateologo (trattati filosofici, discussi nel capitolo 3). Queste rappresentazioni di Orfeo sono
dunque legate ad alcuni generi letterari specifici. Autori e artisti si basano spesso sui loro
predecessori nello stesso genere artistico. Questi riferimenti a Orfeo rispecchiano
probabilmente in modo migliore l’immagine comune di Orfeo, cioè l’Orfeo che era noto al
grande pubblico.
Tuttavia, nacquero anche delle reazioni all’immagine comune di Orfeo. Gli
anticlassicisti videro Orfeo come il simbolo della poesia classicista, che condannavano.
Altri lo rappresentarono in un contesto misogino, forse sotto l’influsso dell’opera di
Poliziano o di un’atmosfera culturale in cui le donne ottenevano un ruolo sempre
maggiore. La posizione più marcata delle donne si mostra anche nel ruolo più prominente
di Euridice nell’arte figurativa. Su cassoni, spalliere e dipinti Euridice si mette in primo
piano. Altri aspetti nuovi che emersero sotto l’influsso di nuove fonti disponibili erano
l’omosessualità di Orfeo, la sua morte e la sua partecipazione al viaggio degli Argonauti.
Questi elementi potevano essere trovati nella Fabula di Poliziano (e Orfeo Argonauta nella
Manto), ma anche nelle edizioni stampate delle Metamorfosi e delle Genealogie.
de’ Medici and his Self-Representation in Florentine Art and Culture, Cambridge, Cambridge University
Press, 2006.
862
Lapi Ballerini, op.cit., p. 34.
863
Originariamente la statua non si trovava al centro del giardino, dove si trova oggi, ma altrove nel giardino.
Essa fu spostata al centro nel Settecento.
293
CAPITOLO 6
L’immagine di Orfeo che viene fuori da tutti questi testi e queste opere d’arte è di
nuovo un’immagine ambigua. Ancora di più che nel Trecento e nel Quattrocento autori e
artisti prendono posizione a favore o contro la figura di Orfeo. Naturalmente i Medici, che
adoperano Orfeo come mezzo di propaganda per la restaurazione del loro potere a
Firenze, sono molto positivi. Tuttavia, anche aspetti che prima erano considerati
univocamente positivi (come il potere musicale e la forza civilizzatrice dell’eloquenza),
sono sempre più spesso ridicolizzati. Vengono introdotti anche nuovi elementi che
possono rafforzare l’immagine negativa di Orfeo (come la sua morte, la misoginia e
l’omosessualità), ma neanche questi vengono sempre disapprovati. Insomma, non è più
possibile definire alcuni aspetti sempre positivi, e altri negativi. L’apprezzamento cambia a
seconda del punto di vista dell’autore o dell’artista e dipende da molti fattori, tra cui il
contesto del riferimento (lo scopo del testo, o il programma iconografico della sala in cui si
trova), l’ambiente culturale, la morale dell’autore o dell’artista e le sue preferenze personali.
In questo periodo si manifesta ancora più chiaramente che nel Trecento la
versatilità del personaggio di Orfeo. Per via della disponibilità maggiore di fonti per via
dell’invenzione della stampa, ma anche per le possibilità di leggere i testi antichi nella
versione ‘originale’, e per la continua apparizione di nuove fonti (tra cui i testi greci),
l’immagine complessiva di Orfeo diventa sempre più completa, anche se l’accento viene
posto ancora quasi sempre su un solo aspetto del mito che è adatto al contesto dell’opera.
Nasce dunque una variazione maggiore nell’immagine di Orfeo, ma spesso questa
variazione non è dovuta all’invenzione di nuovi aspetti o al cambiamento di elementi
esistenti del mito, ma all’interesse per altri elementi che erano già presenti nel mito,
oppure alla reinterpretazione o rivalutazione di elementi comuni.
Nella seconda metà del Quattrocento e nel Cinquecento si assiste anche anche
spesso all’omissione di un certo aspetto del mito perché un autore non lo conosce e imita
soltanto un’immagine stereotipata di Orfeo. In altri casi l’autore ha una conoscenza
maggiore del mito, ma non la rivela, manipolando così consapevolmente l’immagine di
Orfeo per farla corrispondere ai suoi scopi. Questo tipo di manipolazione consiste in
alcuni casi nell’omissione di certi elementi negativi in una situazione in cui si vuole
presentare un’immagine positiva di Orfeo. Si omette, per esempio, l’esito infelice nella
poesia d’amore, in cui Orfeo ed Euridice rappresentano gli amanti perfetti, o nella
propaganda dei Medici. Nel capitolo seguente vedremo che il desiderio di depurare il mito
da ogni connotazione negativa, può portare persino alla sostituzione del finale tragico con
uno più positivo.
294
CAPITOLO 7. IL TRIONFO DI ORFEO
Orfeo nei primi melodrammi (1600-1607)
7.0 LA NASCITA DEL MELODRAMMA864
La fortuna di Orfeo in Italia dal 1300 al 1600 trova il suo culmine nei primi melodrammi.
Nel melodramma si crea un nuovo genere artistico, in cui convergono molte discipline e
molti elementi del mito di Orfeo. Il melodramma non costituisce soltanto una
combinazione di poesia e musica, ma anche di teatro e di arte figurativa (si pensi alla
scenografia e ai costumi, che purtroppo non sono stati trasmessi). Orfeo rinasce veramente
in questo nuovo genere musicale, teatrale e letterario che è perfettamente idoneo al
personaggio. La nuova rappresentazione di Orfeo non è soltanto determinata dal nuovo
genere artistico, ma anche da altri fattori come l’occasione specifica e l’uso
propagandistico.
Nel Cinquecento la figura di Orfeo fu adoperata in varie forme da membri della
famiglia dei Medici. Sia Giovanni de’ Medici (Leo X) che Cosimo I avevano stimolato la
presenza di Orfeo nella scultura, nella pittura e nella poesia. Orfeo simboleggia la maniera
pacifica in cui i Medici regnavano Firenze, il ritorno della prosperità sotto Lorenzo il
Magnifico e la promozione della cultura da parte dei Medici. Dopo la morte di Cosimo I
nel 1574, suo figlio Francesco I andò al potere come secondo granduca di Toscana. Alle sue
nozze nel 1565 Orfeo era apparso in una processione della genealogia degli dei (cfr. §
5.1.2). Nel 1587 Francesco e la sua seconda moglie Bianca Cappello furono uccisi dal
fratello Ferdinando, che in questo modo prese il potere. Sotto il regno del terzo granduca
di Toscana la fortuna di Orfeo raggiunse il suo culmine. Orfeo divenne il protagonista delle
prime opere liriche, che combinarono in proporzioni ideali la poesia e la musica. Anche
nella Fabula di Orfeo di Poliziano, Orfeo era stato ravvivato da un attore che cantava la sua
parte, ma i primi melodrammi sono dei veri tentativi di tornare alla musica antica e di far
cantare un vero Orfeo antico. Questa ricerca della musica antica (greca) cominciò a
Firenze alla fine del Cinquecento.
Nel 1558 Gioseffo Zarlino aveva scritto le Istituzioni armoniche, che negli anni
successivi vennero considerate la Bibbia dei musicisti.865 Vincenzo Galilei (il padre del
864
Questo paragrafo si basa su : A. Hubens, La légende d’Orphée et le drame musical, Bruxelles, 1910 ; H.
Mayer Brown, ‘Music-how opera began: an introduction to Jacopo Peri’s Euridice (1600)’, in: The Late Italian
Renaissance 1525-1630, a.c.d. E. Cochrane, Macmillan, New York, 1970, pp. 401-443; L Rebatet, Une histoire
de la musique, Paris, Robert Laffout, 1990; N. Pirrotta, Music and Theatre from Poliziano to Monteverdi
(trad. de Li due Orfei), Cambridge University Press, Cambridge, 1982; T.J. McGee, ‘Orfeo and Euridice, the
First Two Operas’, in: Orpheus. The Metamorphoses of a Myth, cit., pp. 163-181.
865
Hubens, op.cit.
295
CAPITOLO 7
famoso Galileo Galilei) scatenò una rivolta contro le idee di Zarlino. Galilei si trovava nella
cerchia di Giovanni de’ Bardi a Firenze, spesso indicata come la Camerata fiorentina. Tra i
membri della Camerata si trovavano anche Giulio Caccini, Jacopo Peri, Ottavio Rinuccini e
Girolamo Mei. Questa Camerata non era un’accademia ufficiale, ma un gruppo informale
di musicisti che, di comune accordo, si riunivano sotto il patrocinio di Giovanni de’ Bardi
tra il 1577 e il 1582.866 Gli umanisti intorno a Bardi si occupavano soprattutto di letteratura
e di filosofia, ma anche di musica. Condannavano la polifonia e volevano tornare alla
musica dell’antichità. Nel 1581 Galilei scrisse il Dialogo della musica antica et (della
musica) moderna, che propose un rinnovamento della musica sulla base dell’antica musica
greca. Galilei non aveva mai sentito la musica greca, perché in quel tempo le partiture
antiche erano rare e in più, non potevano essere decifrate. L’autore si basava invece sulle
tragedie di Eschilo, di Sofocle e di Euripide e sui musicografi antichi.867
Galilei riteneva che la musica greca fosse monodica. La polifonia sarebbe stata
inventata dopo dagli strumentisti per fare le loro parti più interessanti. Questa musica
polifonica non era, però, destinata ad essere combinata con parole.868 Le parole dovevano
dominare la musica, e non il contrario, come nella musica moderna. Galilei respingeva la
posizione media di Zarlino secondo cui i compositori cinquecenteschi dovevano
aggiungere più forza espressiva alle loro opere, anche se erano molto superiori ai
predecessori. Secondo Zarlino lo scopo della musica era di perfezionare l’intelletto, di
aprire l’uomo alla virtù e di passare il tempo in modo nobile. Galilei sottolinea invece che
la musica era destinata ad esprimere le passioni. Tuttavia, nella musica polifonica il potere
espressivo degli elementi musicali veniva minimizzato con la sovrapposizione degli
elementi.869
Secondo alcuni teorici cinquecenteschi la musica greca poteva creare degli effetti
psicologici e meravigliosi nell’ascoltatore. Essi descrivevano i miracoli causati da Orfeo,
Anfione, Arione, Timoteo e altri musicisti greci.870 C’erano molte discussioni sui problemi
teorici della musica greca. L’approccio più proficuo era la ricerca dei modi migliori in cui si
poteva unire la musica al testo per cui era stata composta. I teorici musicali erano consci
dell’importanza del testo nella riproduzione di emozioni nella musica.871
866
Brown, op.cit., p. 412; Rebatet, op.cit., p. 152; Pirrotta, Music and Theatre from Poliziano to Monteverdi,
cit.
867
Hubens, op.cit.; Brown, op.cit., p. 405ff.
868
Brown, op.cit., p. 407. Prima di Galilei Nicola Vicentino e il filologo Girolamo Mei avevano già scritto sullo
stesso argomento. (N. Vicentino, L’antica musica ridotta alla moderna prattica, 1555 (facsimile a.c.d. E.E.
Lowinsky, Bärenreiter, Cassel-Basilea, 1959); C. Palisca, Girolamo Mei: Letters to Vincenzo Galilei and
Giovanni Bardi, American Institute of Musicology, 1960).
869
Brown, op.cit., p. 406.
870
Brown, op.cit., p. 403.
871
Brown, op.cit., p. 404.
296
IL TRIONFO DI ORFEO
Quando nel 1587 Francesco I de’ Medici e sua moglie furono uccisi dal fratello,
Bardi (che era protetto da loro) cadde in disgrazia e così si sciolse la sua camerata. Intorno
al 1590 nacque una nuova camerata intorno al fiorentino Jacopo Corsi, un seguace del
nuovo granduca Ferdinando I. Il musicista principale della camerata era il romano Emilio
de’ Cavalieri (1550-1602), a cui fu commissionato di organizzare dei balletti e delle
pastorali alla corte di Ferdinando. Anche Jacopo Peri faceva parte della nuova camerata.
Peri era un cantante e l’allievo di Caccini.
I membri della Camerata appartenevano quasi tutti alla corte medicea. Per
conoscere il loro contributo alla musica, occorre dunque guardare la musica alla corte. A
Firenze c’era una tradizione di ‘intermedi’ (intermezzi musicali). Gli intermedi erano
rappresentati durante le commedie: sei intermedi per ogni commedia. Normalmente essi
erano eseguiti da un grande gruppo di cantanti e strumenti, con grandi effetti teatrali e
macchine sceniche. Non c’erano delle parti parlate, ma c’erano invece delle pantomime.872
Gli intermedi rappresentati durante le nozze del granduca Ferdinando I e Cristina di
Lorrena nel 1589 costituiscono il primo tentativo di risolvere in pratica i problemi
menzionati nei trattati. In questi intermedi per la commedia La pellegrina i musicisti
italiani e in particolare quelli fiorentini stavano sperimentando il rapporto tra parola e
musica in nuove composizioni monodiche e nello stile rappresentativo.873 La pellegrina era
una produzione di Giovanni de’ Bardi. L’opera fu composta da Emilio de’ Cavalieri, con
musica di Jacopo Peri, Giulio Caccini e altri. Tutti gli intermedi erano connessi da un tema
centrale. Il tema scelto per gli intermedi del 1589 era la forza della musica antica.
Nel 1590 Emilio de’ Cavalieri musicò per la prima volta un’intera rappresentazione
teatrale.874 Si trattava di una pastorale, che fu allestita a Firenze. Secondo Barbara Hanning,
Cavalieri non adoperava uno stile recitativo, ma collegava ariette in una maniera
artificiale.875 C’erano altri esempi di rappresentazioni teatrali messe in musica, ma di tutte
queste rappresentazioni la musica è andata perduta. La Dafne sul libretto di Ottavio
Rinuccini è dunque considerata la prima opera lirica. La musica fu cominciata da Jacopo
Corsi e finita da Jacopo Peri. La prima rappresentazione privata fu nell’inverno del 1594-95
e la prima rappresentazione pubblica nell’inverno del 1597-98. Gran parte della musica è
andata perduta, ma esistono ancora dei frammenti e l’intero libretto. Secondo Howard
Mayer Brown il libretto della Dafne, come anche quello dell’Euridice, rassomiglia di più
alla commedia, cioè a una pastorale drammatica con intermedi, che al teatro greco.876
872
Brown, op.cit., p. 414.
Il Dizionario dell’Opera, a.c.d. P. Gelli, Baldini & Castoldi, Milano, 1996 (www.delteatro.it).
874
Brown, op.cit., p. 415.
875
B. Russano Hanning, Of Poetry and Music's Power. Humanism and the Creation of Opera, Ann Arbor,
Michigan, UMI Research Press, 1980, pp. 45-46.
876
Brown, op.cit., p. 417.
873
297
CAPITOLO 7
Dopo il successo della Dafne nel 1600 fu commissionata a Peri l’Euridice. Nello
stesso anno Cavalieri presentò a Roma il suo melodramma religioso, intitolato la
Rappresentazione dell’Anima e del Corpo. L’importanza storica dell’Euridice risiede nel
fatto che è il primo melodramma di cui ci è rimasta la musica, anche se oggi il grande
pubblico considera spesso l’Orfeo di Monteverdi il primo melodramma. È stata soprattutto
quest’opera, che fu rappresentata per la prima volta alla corte dei Gonzaga a Mantova, ad
influenzare una tradizione di melodrammi che continua fino ad oggi.
7.1 L’EURIDICE DI PERI E CACCINI E L’ORFEO DI MONTEVERDI
L’Euridice di Jacopo Peri (1561-1633) su libretto di Ottavio Rinuccini fu scritta in
occasione delle nozze di Enrico IV di Navarra, re di Francia, e di Maria de’ Medici. Maria
era la nipote di Ferdinando I, in quel momento granduca di Toscana, e figlia del granduca
precedente Francesco I. L’opera fu rappresentata per la prima volta il 6 ottobre 1600 nella
stanza di Antonio de’ Medici (il fratello di Maria) nel Palazzo Pitti a Firenze per un
pubblico prescelto. La rappresentazione dell’Euridice faceva parte di una serie di feste che
durava sei serate e che culminò nella rappresentazione del Rapimento di Cefalo di Caccini
su un libretto di Gabriello Chiabrera. Il Rapimento di Cefalo fu presentata tre giorni dopo
l’Euridice nella sala grande delle commedie nel Palazzo degli Uffizi, dopo di che, secondo
Gelli, non ci si ricordò più dell’Euridice.877 La sua fama arrivò solo dopo l’edizione in
stampa: una prima edizione fiorentina nel 1601 e un’edizione veneziana nel 1608 (ill. 7.1).
Esiste una descrizione della prima rappresentazione da parte di Michelangelo Buonarroti il
Giovane.878 Il protagonista della rappresentazione era il Peri stesso; Francesco Rasi
interpretava il ruolo di Aminta. Jacopo Corsi suonava il clavicembalo. Probabilmente
Emilio de’ Cavalieri svolgeva la funzione di direttore musicale.879
Giulio Caccini (ca. 1550-1618) non voleva che i suoi cantanti cantassero le musiche
di Peri e perciò sostituì alcune parti musicali del melodramma con le proprie parti. Si tratta
della parte di Euridice, di alcune arie delle ninfe e dei pastori, e dei cori alla fine della
prima, seconda e quarta scena.880 Poi Caccini compose in fretta un’intera partitura in base
al testo di Rinuccini, che fece pubblicare prima di quella di Peri (ill. 7.2).881 Gelli accenna al
877
Gelli, op.cit.
C. Palisca, ‘The First Performance of “Euridice”’, in: Twenty-fifth Anniversary Festschrift (1937-1962) [of]
Queens College of the City University of New York, a.c.d. A. Mell, [New York], 1964, p. 9.
879
Palisca, op.cit., p. 10.
880
Gelli, op.cit. Secondo Palisca ca. 658 versi sono di Peri e 132 versi sono di Caccini (op.cit., p. 18).
881
L’Euridice composta in musica in stile rappresentativo da Giulio Caccini detto Romano, Giorgio Marscotti,
Firenze, 1600 (secondo Gelli in realtà l’opera fu stampata in gennaio 1601). Peri fece stampare la sua Euridice
il 6 febbraio 1601.
878
298
IL TRIONFO DI ORFEO
fatto che nella sua edizione stampata Caccini non fa menzione né di Rinuccini, né di Peri,
ma che presenta l’Euridice come un’idea completamente sua. In realtà la prima
rappresentazione dell’Euridice di Caccini ebbe luogo molto dopo quella di Peri, il 5
dicembre 1602 nel Palazzo Pitti a Firenze.
L’Euridice di Peri è scritta per la maggior parte nello ‘stile recitativo’, uno stile
declamatorio inventato da Peri per imitare il parlato con musica.882 Peri parte dalle parole e
adatta la musica alle parole. Inoltre, cerca di esprimere emozioni nella musica. Per studiare
la fortuna di Orfeo mi occuperò soprattutto del libretto di Rinuccini. La musica di Caccini
e le differenze musicali tra Peri e Caccini sono in questa ricerca d’importanza minore.883
Naturalmente la scelta di un argomento musicale era molto idonea alla
rappresentazione di un’opera in musica. Rossana Dalmonte sostiene che il ‘recitar
cantando’ acquistò un certo realismo, dato che i protagonisti dell’opera erano pastori, ninfe
e personaggi mitologici, che erano ‘dediti al canto’.884 Orfeo fu così il protagonista ideale in
quanto era un famoso cantante greco e l’antica musica greca era appunto quella che i
musicisti fiorentini volevano far rivivere.
Inoltre, con la Fabula di Orfeo Angelo Poliziano aveva dato l’esempio di una
riuscita rappresentazione teatrale in un ambiente cortigiano. Anche la Fabula di Poliziano
era stata rappresentata con musica, seppure probabilmente non tutte le parti fossero
cantate. L’opera ebbe una grande fortuna in varie riprese (come le tragedie Orphei
tragoedia e La favola di Orfeo e Aristeo) e nei cantari. Inoltre, Orfeo era diventato una
figura gradita alle nozze dei principi. Nel capitolo 5 abbiamo discusso la presenza di Orfeo
alle feste di nozze degli Aragona (§ 5.5). In queste occasioni Orfeo cantava sempre una
canzone per onorare gli sposi o per introdurre le vivande. Orfeo cantante era anche stato
presente in qualche intermezzo musicale, come durante la commedia Armenia di Giovan
Battista Visconti del 1599.885
In più, esistevano dei rapporti tra Orfeo e la famiglia dei Medici.886 Soprattutto
Cosimo I aveva coltivato la somiglianza tra se stesso e Orfeo (§ 6.7). Anche papa Leone X
882
Brown, op.cit., p. 420.
La differenza musicale tra Peri e Caccini risiede, secondo Mioli, nel fatto che Peri è un sostenitore della
monodia pura e assoluta; è un compositore classicheggiante, che adopera degli intervalli dei modi greci; si
serve di un basso continuo statico. Caccini adopera invece una monodia semplice e più naturale; è un
compositore armonico che si serve di un basso continuo chiaro e modulante. (P. Mioli, Introduzione a:
Giulio Caccini, L’Euridice composta in musica in stile rappresentativo, S.P.E.S., Firenze, 2000 (riproduzione
dell’edizione del 1600)).
884
R. Dalmonte, Il Mito di Orfeo in Musica: dispense a.a. 1993-94, storia della musica, Università degli Studi,
Trento, [1994], p. 6.
885
L’argomento del primo intermedio dell’ecloga Armenia, che fu rappresentata per l’ingresso a Milano
dell’infante Isabella, la sposa dell’arciduca Alberto d’Austria, era proprio il mito di Orfeo ed Euridice (A.
Bonaventura, ‘Il mito d’Orfeo nella musica’, Nuova antologia di lettere, arti e scienze 149? (1910), p. 403).
886
Cfr. anche Hanning, Of Poetry and Music’s Power, cit., p. 47.
883
299
CAPITOLO 7
(Giovanni de’ Medici) aveva usato Orfeo per propagandare i vantaggi del regno dei Medici.
La scelta del titolo Euridice anziché quello più naturale di Orfeo, non è senza ragione:
siccome si sposa una donna della famiglia de’ Medici, il titolo focalizza sulla protagonista
femminile del mito.887 Insomma, la scelta del mito di Orfeo ed Euridice per la prima opera
lirica fu quasi inevitabile. Nel § 6.3 entrerò nel merito delle implicazioni politiche di questa
scelta. La scelta di Orfeo come protagonista dell’Euridice è dunque determinata da più
fattori: la musica, l’occasione della festa di corte e delle nozze reali e lo scopo di
propaganda.
Il mito di Orfeo ed Euridice fu ripreso da Claudio Monteverdi (1567-1643) nel suo
Orfeo, che vide la luce il 24 febbraio 1607 a Mantova, nel tempo del Carnevale. Il
committente dell’opera era Vincenzo Gonzaga, il duca di Mantova. Secondo Gelli
l’iniziativa fu presa da Francesco Gonzaga.888 Prima di scrivere l’Orfeo Monteverdi aveva
scritto alcuni libri di madrigali, che erano apprezzati molto dal pubblico mantovano. Dal
1601 diventò maestro della cappella del duca. Vincenzo Gonzaga era stato presente alle
feste nuziali del 1600 e aveva dunque visto la prima rappresentazione dell’Euridice. Inoltre,
Vincenzo era imparentato con i Medici. Con la commissione dell’Orfeo Francesco cercava
probabilmente di emulare il successo musicale dei Medici. Secondo Rebatet anche
Monteverdi aveva assistito alla prima rappresentazione dell’Euridice, ma senza molto
entusiasmo: a suo parere la nuova musica era noiosa ed uniforme.889
La composizione dell’opera fu commissionata all’Accademia degli Invaghiti, un
gruppo di gentiluomini dilettanti, che era stata fondata a Mantova cinquant’anni prima.890
L’Accademia sconsigliava l’uso di cantanti femminili. Monteverdi doveva dunque cercare
dei giovani o dei castrati per i ruoli femminili.891 I cantanti nella prima rappresentazione
erano: Giovan Gualberto Magli (Musica, Proserpina, la messaggera oppure la Speranza);
Francesco Rasi (probabilmente nella parte di Orfeo); un giovane prete, forse Girolamo
Bacchini (Euridice). La rappresentazione ebbe luogo nel Palazzo Ducale di Mantova, in una
sala non molto grande nell’appartamento di Margherita Gonzaga (probabilmente la Sala
degli Specchi o la Galleria dei Fiumi). Mentre questa prima rappresentazione era destinata
ad un pubblico prescelto, la seconda, che si svolse già il primo marzo 1607, era secondo
Francesco Gonzaga per ‘tutte le dame di questa città’.892
887
Inoltre, lo sposo di Maria de’ Medici, Enrico IV, non era presente alle nozze. Si trattava di un matrimonio
per procura. Gli sposi si incontravano dopo a Marsiglia.
888
Gelli, op.cit.
889
Rebatet, op.cit., p. 157.
890
I. Fenlon, ‘The Mantuan ‘Orfeo’, in: Claudio Monteverdi: Orfeo, a.c.d. J. Whenham, Cambridge,
Cambridge University Press, 1986, p. 2.
891
P. Besutti, Gonzaga: La Celeste Galeria. Le raccolte, a.c.d. R. Morselli, Skira, Milano, 2002, no. 184.
892
Besutti, op.cit. Besutti cita da una lettera di Francesco Gonzaga al fratello Ferdinando.
300
IL TRIONFO DI ORFEO
Per la prima rappresentazione fu stampato solo il libretto di Alessandro Striggio.893
La partitura di Monteverdi non fu stampata prima del 1609, con alcuni cambiamenti per
quanto riguarda il contenuto, come vedremo dopo.894 Striggio era un Invaghito e il
segretario del duca. Il libretto dell’Orfeo venne distribuito tra il pubblico, come dimostra
una lettera di Francesco Gonzaga al fratello Ferdinando. Così il testo poteva essere capito
da tutti i presenti, anche se le parole erano cantate.
La differenza tra Peri e Monteverdi risiede secondo Bonaventura nel fatto che
Monteverdi creò ‘un mirabile equilibrio tra le forme recitative e le liriche’.895 Le passioni
dei personaggi sono espresse nelle arie. Bonaventura dice che l’umanità e la drammaticità
sono le qualità caratteristiche dell’Orfeo. Una grande differenza si vede anche nella scelta
degli strumenti: per l’Euridice Peri prescrive, secondo la prefazione alla partitura, un
clavicembalo, una tiorba, un lirone e un liuto grande. Gli strumenti usati per l’Orfeo sono
invece: due clavicembali, due viole contrabbasse, dieci viole da braccio, un’arpa doppia,
due violini piccoli alla francese e due ordinari da braccio, tre chitarroni, ceteronei, due
organi di legno, tre viole da gamba basse, cinque tromboni, alcuni regali, due cornetti, due
flauti piccoli, e quattro trombe.896 Questa differenza indica l’importanza maggiore della
musica nell’opera di Monteverdi. Per Peri il compito principale della musica era
l’accompagnamento delle parole. Dalmonte accenna all’attenzione maggiore al canto nel
testo dell’Orfeo, contrariamente a quello che succede nell’Euridice.897
Monteverdi commenta in una lettera la scelta del mito di Orfeo come argomento
della sua opera: non voleva scrivere su argomenti fantastici che non erano adatti ad
esprimere le passioni. Sceglieva dunque degli argomenti che potevano commuovere il
pubblico: ‘Arianna, per essere donna et li mosse parimente Orfeo per esser homo et non
vento.’898 Naturalmente Monteverdi e Striggio seguivano anche l’esempio di Peri e Caccini
e di Rinuccini. Nel paragrafo successivo discuterò le rassomiglianze (e le differenze) tra i
libretti di Rinuccini e Striggio.899 Come i Medici, anche i Gonzaga sottolineavano spesso i
legami tra la loro famiglia e Orfeo. Ricordiamo che la Fabula di Orfeo di Poliziano era stata
commissionata dal cardinale Francesco Gonzaga e rappresentata a Mantova. Mantegna
aveva dipinto tre scene del mito sul soffitto della Camera degli Sposi nel Palazzo Ducale.
L’idea di emulare i Medici con un melodramma sul mito di Orfeo deve aver attirato i
893
A. Striggio, La favola d’Orfeo, Francesco Osanna, Mantova, 1607.
C. Monteverdi / A. Striggio, L’Orfeo, Ricciardo Amadino, Venezia, 1609; ristampata nel 1615.
895
Bonaventura, op.cit., pp. 401-415.
896
Gelli, op.cit.
897
Dalmonte, op.cit., p. 6.
898
Bonaventura, op.cit., p. 407.
899
Dalmonte (e.a.) dice che l’Orfeo è stato influenzato anche dal Pastor fido di Guarini e dall’Aminta di Tasso
(op.cit., p. 6). Striggio ha dunque elaborato il genere pastorale.
894
301
CAPITOLO 7
Gonzaga, alla cui corte era nata la Fabula di Orfeo, che aveva dato origine alla tradizione di
rappresentazioni (musicali) sul mito di Orfeo.
7.2 ORFEO NEI DUE LIBRETTI
I personaggi e il prologo
Scrivendo il libretto per l’Euridice Rinuccini si è fatto ispirare naturalmente dalla Fabula di
Orfeo di Poliziano e dalla sua fortuna variegata nel Cinquecento. Tuttavia l’Euridice non è
un’imitazione fedele della Fabula e mostra molte differenze rispetto a quest’ultima. Già la
scelta del titolo potrebbe far pensare a una focalizzazione diversa dell’opera in cui il ruolo
di Euridice assuma una maggiore importanza rispetto a quello di Orfeo. Questa
supposizione viene tuttavia subito smentita: Orfeo rimane infatti il protagonista principale
anche dell’Euridice. La dedica di Rinuccini all’inizio dell’opera offre una spiegazione della
scelta del titolo: ‘Alla christianissima Maria de’ Medici regina di Francia, e di Nauarra’.
Solo per onorare Maria de’ Medici che si sposa in quel giorno Rinuccini evidenzia la
protagonista femminile del dramma.900
La lista degli interlocutori presenta subito alcuni personaggi nuovi rispetto alla
Fabula di Orfeo. È stata aggiunta la figura della Tragedia per recitare il prologo. Béatrice
Didier spiega che per Peri la tragedia antica era un tipo di opera lirica.901 L’apparizione
della Tragedia non deve dunque sorprendere. Anche l’aggiunta di un coro (che manca
nella Fabula di Poliziano) serve, secondo Didier, per imitare la tragedia greca.902 L’Euridice
contiene alcuni cori: di ninfe, di pastori e di ombre e divinità infernali. Secondo Bellina
l’Euridice e l’Orfeo realizzano ambedue la trasformazione dalla tragedia in musica: i
melodrammi mantengono i cinque atti, il ruolo del coro e l’unità di tempo di un giorno,
come viene ricordato nel penultimo coro e l’unità d’azione; eliminano invece la regola
dell’unità di luogo (perché Orfeo scende nell’Ade).903
Altri personaggi nuovi sono Dafne, protagonista anche della prima opera di Peri, la
quale annunzia la morte di Euridice. È stata inserita Venere, la cui presenza concorda bene
con il carattere prevalentemente amoroso dell’opera. Tra i personaggi infernali vi sono
Radamanto e Caronte. Quest’ultimo era anche presente nei cantari e in alcune traduzioni
900
Cf. anche Anna Laura Bellina, secondo cui l’opera porta il nome di Euridice, perché è destinata a Maria de’
Medici invece che a suo marito (‘I passaggi di Orfeo: recitar cantando nell’opera italiana fra Peri e Gluck’, in:
La maschera e il volto. Il teatro in Italia, a.c.d. F. Bruni, Marsilio, Venezia, 2002, p. 143.).
901
B. Didier, ‘Orphée: mythe originiaire de l’opéra’, in A.M. Babbi, Le metamorfosi di Orfeo, Fiorini, Verona,
p. 187.
902
Didier, op.cit., p. 186.
903
A.L. Bellina, ‘I passaggi di Orfeo: recitar cantando nell'opera italiana fra Peri e Gluck’, in: La maschera e il
volto. Il teatro in Italia, a.c.d. F. Bruni, Venezia, Marsilio, 2002, p. 149.
302
IL TRIONFO DI ORFEO
delle Metamorfosi. La presenza di un gruppo di pastori (Arcetro, Tirsi e Aminta) dà
all’opera un carattere bucolico, come alla Fabula di Orfeo. Un altro elemento comune alla
Fabula è la mancanza della divisione in atti.904 C’è invece un prologo e ci sono alcune scene
alternate con canzoni del coro. L’omissione principale è quella di Aristeo, che nella Fabula
provocò la morte di Euridice. Sparisce anche il coro delle Baccanti, perché Rinuccini crea
una conclusione diversa.
Come detto il prologo è recitato dalla Tragedia. Questa scelta sottolinea il desiderio
della Camerata fiorentina di far rivivere la tragedia antica. Contrariamente agli spettacoli
infelici che essa presentava normalmente al pubblico, questa festa di nozze doveva essere
celebrata con un canto felice:
LA TRAGEDIA
Io che d’alti sospir vaga, e di pianti
Spars’or di doglia, or di minaccie il volto
Fei negl’ampi Teatri al popol folto
Scolorir di pietà volti, e sembianti.
Non sangue sparso d’innocenti vene
Non ciglia spente di Tiranno insano,
Spettaccolo infelice al guardo humano
Canto su meste, e lagrimose scene.
Lungi via lungi pur da regij tetti
Simolacri funesti, ombre d’affanni,
Ecco i mesti coturni, e i foschi panni
Cangio, e desto ne i cor più dolci affetti.
(Rinuccini, Euridice, p. 1r)
Per le nozze reali la Tragedia presenterà un’opera più allegra. Il prologo della Tragedia
anticipa dunque già l’esito felice di questa versione del mito di Orfeo. Si noti l’insistenza sul
fatto che si tratta di un matrimonio regale e che Maria de’ Medici diventerà una regina.905
I personaggi dell’Orfeo non sono elencati all’inizio, ma sfogliando il testo si trovano
alcuni personaggi nuovi rispetto all’Euridice. La Tragedia è stata sostituita con la Musica, il
che non cambia tanto l’intenzione dell’opera. La personificazione della Speranza prende il
posto di Venere. L’amore perde dunque il suo ruolo fondamentale. Sparisce Radamanto,
ma tornano le Baccanti dalla Fabula di Orfeo. Contrariamente all’Euridice e alla Fabula,
904
Ci sono stati vari tentativi di dividere l’opera in scene o atti. Alcuni studiosi distinguono sei scene, ma la
maggior parte divide l’Euridice in cinque scene, che rassomigliano ai cinque atti della tragedia.
905
B. Bujić, “Figura poetica molto vaga’: Structure and Meaning in Rinuccini’s ‘Euridice”, Early Music History
10 (1991), p. 53.
303
CAPITOLO 7
l’Orfeo di Striggio è diviso in cinque atti come una tragedia. Sotto questo rispetto l’opera
rassomiglia alle rielaborazioni della Fabula sotto forma di tragedia, l’Orphei tragoedia e la
Favola di Orfeo e Aristeo. Sia nell’Euridice che nell’Orfeo è sparita, però, la figura di
Aristeo.
Come ho detto, nel libretto di Striggio il prologo è recitato dalla Musica. La Musica
non promette di rappresentare solo cose allegre, ma ci prepara ad un’alternanza di canti
‘lieti’ e canti ‘mesti’:
Quinci à dirui d’Orfeo desio mi sprona,
D’Orfeo che trasse al suo cantar le fere,
E seruo fè l’Inferno à sue preghiere,
Gloria immortal di Pindo e d’Elicona.
Hor mentre i canti alterno hor lieti, hor mesti,
Non si moua augellin frà queste piante,
Nè s’oda in queste riue onda sonante,
Et ogni auretta in suo camin s’arresti.
(Striggio, Orfeo, prologo, vv. 13-20)906
Cantando il mito di Orfeo la Musica spera di raggiungere gli stessi effetti che sono
attribuiti al canto di Orfeo: fermare gli uccelli volanti, le onde e i venti. Con questo
desiderio si conclude il prologo dell’Orfeo.
La celebrazione del giorno lieto
Dopo il prologo l’Euridice continua con una scena in cui ninfe e pastori si rallegrano per il
giorno felice in cui Orfeo ed Euridice si sposano. È una novità assoluta il fatto che anche
Euridice prima di morire parli. Anche se l’Euridice di Rinuccini rimane alquanto taciturna
(recita 27 dei 800 versi), nelle versioni di Virgilio, Ovidio e Poliziano la sposa non diceva
quasi niente.907 Il fatto che la donna dica soltanto qualche parola conveniva alle esigenze
del decorum del tempo e dimostrava la sua modestia in confronto all’eloquenza di suo
marito.908 La musica sottolinea il carattere gioioso della giornata: sono ripetute le parole
906
Le parole ‘hor lieti, hor mesti’ alludono forse alle parole di Orfeo alla fine dell’Euridice. Il cantante dice di
aver vinto Plutone con ‘modi hor soaui hor mesti’ (Rinuccini, Euridice, p. 14v.).
907
K. Harness, ‘Le tre Euridici: Characterization and Allegory in the Euridici of Peri and Caccini’, Journal of
Seventeenth-Century Music 9, 1 (2003), passim (http://sscm-jscm.press.uiuc.edu/jscm/v9/no1/Harness.html)
908
Harness, op.cit., §2. Secondo Harness ci sono delle sfumature diverse nelle caratterizzazioni musicali di
Euridice da parte di Peri e di Caccini. La studiosa distingue tre Euridici: 1. quella della partitura di Peri, che
crea un’Euridice musicalmente libera che rispecchia lo stile musicale del marito; 2. quella della
rappresentazione di 6 ottobre su musiche di Peri e Caccini, che musicalmente si confonde con gli altri
304
IL TRIONFO DI ORFEO
‘Non vede vn simil par d’amanti ‘l Sole’, che si basano su Petrarca.909 Citando dei versi di
poeti famosi Rinuccini adotta una tecnica molto convenzionale nel Rinascimento e già
adoperata da Poliziano. Mentre Poliziano citava soprattutto da Virgilio e Ovidio, nel testo
di Rinuccini (e più tardi in quello di Striggio) i poeti principali sono Dante e Petrarca.910 Le
ninfe e i pastori cantano insieme una canzone allegra per invitare tutti alla festa.
Dopo la canzone Orfeo appare sulla scena. L’eroe canta e parla con i pastori Arcetro
e Tirsi: ora che ha conosciuto l’amore il suo dolore avrà termine. Un cambiamento rispetto
alla Fabula di Poliziano è che Orfeo ed Euridice non sono ancora sposati. L’opera si svolge
il giorno delle nozze, in analogia con le nozze di Maria de’ Medici ed Enrico IV.
Anche nell’Orfeo il primo atto comincia con un incontro di pastori e ninfe che si
rallegrano per il fatto che Orfeo è finalmente riuscito a conquistare il cuore di Euridice, per
cui ha sofferto tanto. Il coro invoca la presenza di Imeneo, il dio delle nozze. Poi è cantata
un’allegra canzone da ballo. Un pastore chiede a Orfeo di cantare una canzone dettata
dall’Amore per far rivivere la natura, che aveva fatto piangere prima. Orfeo esprime quindi
la sua felicità tramite una canzone indirizzata al Sole. Euridice risponde di non saper
esprimere la sua gioia, perché il suo cuore si trova con Orfeo in compagnia di Amore. Le
ninfe e i pastori ripetono poi la loro canzone da ballo e l’invocazione a Imeneo. Un pastore
sprona gli altri ad andare al tempio a ringraziare il dio. L’atto finisce di nuovo con una
canzone del coro: come la natura si rasserena dopo una tempesta e come dopo l’inverno
viene la primavera, così Orfeo è finalmente felice dopo aver sofferto tanto.
In ambedue le opere è mantenuto il carattere pastorale del mito che fu introdotto
da Poliziano. Ambedue i libretti richiamano l’attenzione sulla forza dell’amore, anche se
solo quello di Rinuccini è completamente incentrato su questo tema.
‘Ahi caso acerbo’
All’improvviso nell’Euridice si presenta Dafne, la nunzia, chiaramente spaventata. La ninfa
racconta che Euridice è stata morsa da un serpente mentre stava cogliendo violette e rose
con le sue amiche. Manca qui l’inseguimento da parte di Aristeo come causa della morte.
Rinuccini si basa invece su una versione ovidiana, in cui Euridice muore in presenza delle
sue amiche. Prima di morire la ragazza chiama ancora il nome di Orfeo. Brown fa notare
che l’intero racconto di Dafne è pieno di dissonanze musicali, che accompagnano certe
parole cruciali, come ‘miserabil caso’ e ‘sospir mortale’.911 Le dissonanze sottolineano così
personaggi secondari e che si oppone agli estremi emozionali e armonici del marito; 3. quella della partitura
di Caccini, in cui tutti i personaggi cantano nello stesso stile musicale. (§§ 1.4 e 6.8).
909
Petrarca, RVF, CCXLV, v. 9.
910
Hanning, Of Poetry and Music’s Power, cit., pp. 51-52.
911
Brown, op.cit., pp. 437-438.
305
CAPITOLO 7
l’amarezza della notizia. Il dolore è anche musicalmente espresso da cambiamenti
armonici, come nell’ ‘Ohimè’ che Dafne pronuncia quando appare sulla scena.912
La prima reazione viene da Arcetro, che esprime il suo dolore. Subito dopo parla
Orfeo: non piange, ma si decide subito a cercarla, perché Euridice lo ha chiamato:
ORFEO
Non piango, e non sospiro
O mia cara Euridice
Che sospirar, che lagrimar non posso.
Cadauero infelice,
O mio core, o mia speme, o pace, o vita,
Ohime chi mi t’ha tolto
Chi mi t’ha tolto, ohime doue se gita?
Tosto vedrai, ch’invano
Non chiamasti morendo il tuo consorte,
Non son, non son lontano
Io vengo, o cara vita, o cara morte
(Rinuccini, Euridice, p. 5v)
Brown descrive come in questa reazione di Orfeo la musica si trasformi a seconda degli
stati d’animo di Orfeo: prima il cantante è sconvolto (musica statica); poi si duole (melodia
più alta, spazio musicale maggiore, dissonanza); e infine si propone di scendere nell’inferno
(cambiamento armonico, più veloce e metrico).913 Arcetro vuole seguire Orfeo, perché
Orfeo non si suicidi sopraffatto dal dolore. Il coro canta una canzone dolorosa, in cui si
ripetono le parole: ‘Sospirate aure celesti, Lagrimate o Selve, o Campi’.
Arcetro racconta che quando Orfeo raggiunse il luogo dove morì Euridice, cadde
per terra e cominciò a piangere. All’improviso apparve una donna celeste su un carro tirato
da due colombe e un cigno. La donna scese dal carro e porse la mano a Orfeo. Siccome gli
dei sono scesi tra i mortali, bisogna andare agli altari per inneggiare a loro. Dopo la
canzone del coro cambia la scena.
Nell’Orfeo la notizia dolorosa è raccontata nel secondo atto. In questo atto Orfeo è
tornato alle selve, dove si trova in compagnia di alcuni pastori anonimi. I pastori esaltano
la natura amena del luogo. Orfeo ricorda ai boschi che una volta i sassi rispondevano ai
suoi lamenti.914 All’improvviso entra una messaggera dicendo ‘Ahi caso acerbo, ahi fato
empio e crudele, Ahi stelle ingiuriose, ahi Cielo auaro.’ Queste parole saranno ripetute più
912
Brown, op.cit., pp. 438-439.
Brown, op.cit., pp. 440-443.
914
Si noti che nel libretto di Striggio Orfeo ha incantato la natura con il suo canto doloroso prima di aver
incontrato Euridice. Nelle descrizioni precedenti del mito di Orfeo (per esempio di Ovidio) Orfeo suscitava
questa reazione della natura dopo la seconda perdita di Euridice.
913
306
IL TRIONFO DI ORFEO
volte dai pastori dopo il racconto della messaggera. La messagera è identificata da uno dei
pastori come Silvia, una compagna di Euridice. La ragazza annuncia a Orfeo la morte di
Euridice:
MESSAGGIERA
A te ne vengo Orfeo
Messaggiera infelice
Di caso più infelice e più funesto.
La tua bella Euridice. ORF. Ohime che odo?
La tua diletta sposa è morta. ORF. Ohime.
(Striggio, Orfeo, p. 13)
Alle parole dolorose della messaggera Orfeo reagisce soltanto con il sospiro ‘Ohime’. Poi si
spiegano le circostanze delle morte di Euridice. Come nell’Euridice la notizia della
messaggera è accompagnata da un cambiamento melodico. La parola ‘morta’ è sottolineata
da un intervallo dissonante.915
I pastori sono i primi ad esprimere il loro dolore. Poi infine Orfeo piange la morte
della sua sposa; si ripropone di scendere agli inferi per riprendersi Euridice o per morire
con lei:
ORFEO
Tu se’ morta mia vita, ed io respiro?
Tu se’, tu se’ pur ita
Per mai più non tornare, ed io rimango ?
Nò, che se i versi alcuna cosa ponno
N’andrò sicuro à’ più profondi abissi,
E intenerito il cor del Rè de l’ombre
Meco trarròtti à riueder le stelle:
O se ciò negherammi empio destino
Rimarrò teco in compagnia di morte,
A dio terra, à dio Cielo, e Sole à dio.
(Striggio, Orfeo, p. 15)
La messaggera fugge dalla scena per ritirarsi in un luogo solitario. L’atto si conclude con un
coro doloroso, che ripete le parole enunciate prima dalla messaggera: ‘Ahi caso acerbo, ahi
fato empio e crudele, Ahi stelle ingiuriose, ahi Cielo avaro.’
915
A. Schuermans, ‘Orpheus in de muziek’, in: Orpheus. Ontstaan, groei en nawerking van een antieke mythe
in de literatuur, beeldende kunsten, muziek en film, a.c.d. A. Provoost, Acco, Leuven, 1974, p. 133-147.
307
CAPITOLO 7
La discesa nell’Inferno
Nella scena seguente dell’Euridice Venere (la donna celeste) porta Orfeo da Euridice con le
parole ‘Scorto da immortal guida / Arma di speme, e di fortezza l’alma / Ch’haurai di
morte ancor trionfo, e palma.’ La presenza della dea sottolinea la posizione centrale
dell’amore in questa versione del mito. La dea racconta a Orfeo che stanno discendendo
all’inferno, dove non è mai stato nessun uomo mortale. Lo sprona a far piegare l’inferno al
suo canto. Gli eventi che seguono rassomigliano alla scena infernale nella Fabula di Orfeo.
Plutone si stupisce del canto di Orfeo e gli chiede la sua identità. Segue una lunga orazione
di Orfeo, che mette in evidenza la forza dell’amore e che è interrotta due volte da Plutone.
L’orazione differisce, però, sotto alcuni aspetti dall’orazione in Ovidio e Poliziano. Prima
Proserpina, e poi Radamanto e Caronte cercano di convincere Plutone ad ascoltare le
parole di Orfeo. Infine Plutone cede alle preghiere di Orfeo e alle reazioni degli altri dei
infernali. Il dio concede a Orfeo di portare con sé Euridice, senza che gli sia imposta
nessuna condizione:
PLUTONE
Trionfi oggi pietà ne campi Inferni,
E sia la gloria, e’l vanto
Delle lagrime tue del tuo bel canto,
O delle Regia mia ministri eterni
Scorgete voi per entro all’aere scuro
L’amator fido alla sua donna avante,
Scendi gentil amante
Scendi lieto, e sicuro
Entro le nostre soglie,
E la diletta Moglie
Teco rimeno al Ciel sereno, e puro
(Rinuccini, Euridice, p. 11r-11v)
In queste parole risiede il cambiamento maggiore rispetto alle versioni precedenti del mito.
È tralasciata la condizione di non guardare indietro, per cui Orfeo trionfa sull’Ade con la
sua musica, che suscita pietà. Questo cambiamento era reso necessario date le circostanze
in cui era nata l’opera. Mentre l’Orfeo di Poliziano fallì, perché si era voltato indietro,
l’Orfeo di Rinuccini sembra trionfante per la prima volta. Sia Venere che Plutone
riconoscono il trionfo dell’amore. Nel § 6.3 vedremo che il vero trionfo Orfeo l’otterrà solo
nell’opera di Monteverdi.
Nell’Orfeo la discesa nell’inferno copre gli atti III e IV. Nel terzo atto la scena
cambia: il mondo bucolico del primo e del secondo atto si trasforma nel mondo infernale.
Mentre nell’Euridice Orfeo era guidato nell’inferno da Venere, qui è accompagnato dalla
Speranza. La Speranza non può, però, entrare nel regno di Plutone, perché la legge scritta
308
IL TRIONFO DI ORFEO
nel sasso lo vieta: ‘Lasciate ogni speranza ò voi ch’entrate.’ Con questa citazione Rinuccini
lega il suo inferno a quello di Dante.916 Didier spiega la presenza della Speranza come uno
dei tre concetti fondamentali della chiesa: Fede, Speranza e Carità.917 Così l’Orfeo
riceverebbe un significato cristiano. Nel § 6.3 torneremo su questo significato cristiano
dell’Orfeo.
Caronte ferma Orfeo, perché teme che lui voglia trarre Cerbero dall’inferno o rapire
la moglie di Plutone. Orfeo indirizza dunque il suo lungo lamento a Caronte, perché questi
lo faccia passare all’altra riva.918 Tuttavia, non succede quello che Orfeo s’aspettava:
Caronte non si lascia convincere, ma si addormenta ascoltando il canto di Orfeo. La scena
strizza l’occhio al libretto di Rinuccini: il canto di Orfeo non provoca pietà, ma sonno.
ORFEO
[...]
Ei dorme, e la mia cetra
Se pietà non impetra
Ne l’indurato core, almeno il sonno
Fuggir al mio cantar gli occhi non ponno.
Sù dunque, à che più tardo?
Tempo è ben d’approdar sù l’altra sponda
S’alcun non è ch’il neghi
Vaglia l’ardir se foran vani i preghi.
È vago fior del Tempo
L’occasion, ch’esser dee colta à tempo.
(Striggio, Orfeo, pp. 21-22)
Orfeo entra nella barca e così giunge all’altra riva. L’aria dimostra il potere magico della
musica: fa addormentare Caronte. È l’aria più elaborata dell’intera opera: per ogni strofa
Monteverdi ha scritto una versione semplice e una versione elaborata. La strumentazione
cambia in ogni strofa.919 Anche se le parole di Orfeo non sembrano procurare a prima vista
il risultato desiderato (Caronte si addormenta), musicalmente quest’aria costituisce il
culmine dell’opera. Non si tratta dunque di un fallimento, ma di una manifestazione del
potere musicale. L’aria dimostra la centralità della musica in quest’opera. Il terzo atto
916
I due atti infernali sono pieni di riferimenti all’Inferno dantesco (Gelli, op.cit.).
Didier, op.cit., pp. 181-193.
918
Secondo Hanning Orfeo indirizza la sua preghiera a Caronte, perché in questo modo il successo del suo
canto si separa dal fallimento nell’inferno stesso, quando il cantante guarda indietro.
919
Dalmonte, op.cit., pp. 19-20; Schuermans, op.cit. Anche se le parole di Orfeo non sembrano procurare a
prima vista il risultato atteso (Caronte non si lascia convincere, ma si addormenta), musicalmente quest’aria
costituisce il culmine dell’opera. Non si tratta dunque di un fallimento.
917
309
CAPITOLO 7
finisce con un coro di spiriti infernali, secondo il quale tutte le imprese dell’uomo hanno
successo. La discesa di Orfeo è paragonata all’impresa di Dedalo.
La scena infernale continua nel quarto atto. Proserpina ha sentito il canto di Orfeo
e implora la pietà di Plutone. Il dio non è in grado di negare un favore alle preghiere e alla
bellezza della sua sposa. Tuttavia proibisce esplicitamente a Orfeo di volgersi verso
Euridice. Tutti gli abitanti degli Inferi sono contenti della decisione di Plutone. Orfeo si
muove intanto verso l’uscita, seguito da Euridice. Canta un elogio della sua cetra, a cui
promette un posto nel cielo tra le stelle, che danzeranno alla sua musica. Orfeo comincia,
però, a dubitare se Euridice lo segua ancora. Quando sente uno strepito, pensa che le furie
stiano per assalirlo e rapirgli la moglie. Per questo guarda indietro:
ORFEO
O dolcissimi lumi io pur vi veggio,
Io pur: ma qual eclissi ohime v’oscura?
UNO SPIRITO
Rott’hai la legge, e se’ di grazia indegno.
EURIDICE
Ahi vista troppo dolce e troppo amara:
Così per troppo amor dunque mi perdi?
Et io misera perdo
Il poter più godere
E di luce e di vita, e perdo insieme
Tè d’ogni ben più caro, ò mio consorte.
(Striggio, Orfeo, p. 28)
Uno spirito sottolinea l’errore di Orfeo: lui è indegno della grazia di Plutone. Euridice,
però, non se la prende con lui. Orfeo l’ha persa per troppo amore. Quando cerca di
seguirla, gli è bloccata la strada e Orfeo è ricondotto alla luce. Un coro di spiriti conclude
l’atto con l’avviso che Orfeo non era degno di gloria, perché dopo aver vinto l’inferno era
stato vinto dai propri sentimenti:
CHORO DI SPIRITI
[...]
Orfeo vinse l’Inferno, e vinto poi
Fù da gli affetti suoi.
Degno d’eterna gloria
Fia sol colui c’haurà di sè vittoria.
(Striggio, Orfeo, p. 29)
310
IL TRIONFO DI ORFEO
In questa scena la differenza tra le due opere liriche è probabilmente maggiore. Mentre
nell’Euridice Orfeo torna trionfante dall’Ade insieme alla sposa, nell’Orfeo deve tornare da
solo tra le accuse degli spiriti infernali. Le stesse parole con cui Orfeo era lodato da Plutone
nella prima opera (trionfo, gloria e vittoria), sono proprio le vittorie che gli sono negate
nell’Orfeo di Striggio. Tuttavia, il trionfo di Orfeo nell’Euridice risulterà illusorio, in
confronto al vero trionfo che Orfeo otterrà nella seconda versione dell’Orfeo.
Il ritorno al mondo: esito felice o infelice?
Torniamo al testo di Rinuccini. Ormai la notte è quasi caduta e Orfeo non è ancora tornato
dall’inferno. Arcetro si preoccupa per la sua salute. Aminta appare, però, per dare delle
buone notizie: Euridice vive. Poco dopo Orfeo ed Euridice raggiungono i pastori e il coro
delle ninfe e spiegano cosa è successo nell’inferno. Aminta loda il potere di Amore: ‘O
magnanimo core, Ma che non puote Amore?’ Di nuovo è messo in evidenza il ruolo
dell’amore, come in altri luoghi dell’opera: la prima canzone di Orfeo, la presenza di
Venere, l’orazione di Orfeo nell’Ade e le parole di Plutone (‘L’amator fido’; ‘gentil amante’).
Orfeo riconosce che la dea dell’amore lo ha guidato all’inferno, e dice di aver vinto Plutone
con il suo canto:
CHORO
Come quel crudo Rege
Nudo d’ogni pietà placar potesti?
ORFEO
Modi hor soaui hor mesti,
Feruidi preghi, e flebili sospiri
Temprai sì dolce, ch’io
Nell’implacabil cor destai pietate,
Così l’alma beltate
Fú mercè, fú trofeo del canto mio
(Rinuccini, Euridice, p. 14v)
Anche il canto è stato dunque decisivo per il successo di Orfeo, ma non è negata
l’importanza dell’amore. Euridice è descritta come un trofeo: Orfeo ha trionfato
sull’inferno e ha vinto Euridice. Il coro conclude l’opera con una canzone sul ‘Biondo arcier
che d’alto monte’.
Rinuccini omette dunque la misoginia e l’omosessualità di Orfeo, perché Euridice
torna al mondo senza che Plutone abbia posto una condizione. Spariscono le Baccanti che
nella versione di Poliziano e nelle traduzioni delle Metamorfosi lacerano il cantante. Nella
premessa Rinuccini si scusa per la deviazione dalla tradizione. L’occasione dell’opera, cioè
311
CAPITOLO 7
le nozze di Maria de’ Medici ed Enrico IV, è allegra. Per questa ragione bisogna evitare la
tristezza:
Potrà parere ad alcuno, che troppo ardire sia stato il mio in alterare il fine della fauola
d’Orfeo, ma cosi mi è parso conueneuole in tempo di tanta allegrezza, hauendo per mia
giustificatione esempio di Poeti Greci, in altre fauole, & il nostro Dante ardì di affermare
essersi sommerso Vlisse nella sua nauigatione, tutto che Omero, e gl’altri Poeti hauessero
cantato il contrario. Cosi parimente ho seguito l’autorità di Sofocle nel l’Aiace in far
riuolger la Scena non potendosi rappresentar altrimenti le preghiere, & i lamenti d’Orfeo.
(Rinuccini, Euridice, dedica, p. 3)
A giustificare il suo cambiamento della fine del mito Rinuccini menziona i poeti greci e
Dante (il racconto di Ulisse nella Commedia). Le parole di Rinuccini mostrano che l’autore
è conscio di un andamento del mito ormai più o meno stabilito e fisso, che può essere
cambiato solo per motivi convincenti. Le nozze reali costringono l’autore a cambiare la
fine del mito.
Nella prima versione del libretto Striggio conclude l’Orfeo, invece, in modo molto
simile alla fine della Fabula di Orfeo di Poliziano. Il quinto atto ci riporta nel mondo. Orfeo
si trova sui campi di Tracia dove canta il suo dolore. Le montagne echeggiano le sue parole
(cioè si dolgono con lui). Piangendo Orfeo respinge le altre donne, che a suo parere sono
tutte perfide e prive di senno.
ORFEO
[...]
Hor l’altre Donne son superbe e perfide
Ver chi le adora, dispietate instabili,
Priue di senno e d’ogni pensier nobile,
Ond’à ragione opra di lor non lodansi:
Quinci non fia giamai che per vil femina
Amor con aureo strale il cor trafiggami.
(Striggio, Orfeo, pp. 31-32)
Orfeo non è più pederasta come nelle versioni di Ovidio e di Poliziano, ma dopo la morte
di Euridice è decisamente misogino e non si cura più di altre donne. A un tratto compare
un gruppo di Baccanti, che canta le lodi di Bacco e cerca Orfeo, ‘disprezzator de’ nostri
pregi alteri’. La presenza delle Baccanti alla fine dell’opera, le loro canzoni per Bacco, e
l’indicazione di Orfeo come ‘disprezzator’ rimandano alla fine della Fabula di Orfeo di
Poliziano. Le donne ripetono sempre lo stesso ritornello ‘Euohe padre Lieo Bassareo, ecc.’,
alternato con parole che lodano Bacco e il vino. L’uccisione di Orfeo non è descritta
esplicitamente dalle Baccanti e aveva forse luogo dopo la fine dell’opera.
312
IL TRIONFO DI ORFEO
L’Orfeo di Monteverdi fu rappresentato per la prima volta durante il Carnevale del
1607. Secondo Stefano Carrai anche la Fabula di Orfeo di Poliziano fu scritta in occasione
del Carnevale (§ 4.1.3).920 Ambedue le opere finiscono in maniera simile: con una canzone
gioiosa delle Baccanti che hanno appena ucciso Orfeo. Secondo Carrai l’uccisione di Orfeo
da parte delle Baccanti rassomigliava all’antica tradizione toscana di lacerare e bruciare
una bambola in occasione del Carnevale. Orfeo rappresenterebbe l’uomo che non può dare
l’addio (‘vale’) alla carne. Questa tradizione interpretativa del mito di Orfeo si rifà al De
laboribus Herculis di Salutati, in cui Orfeo simboleggia l’uomo epicureo che indulge alla
libidine e trascura Bacco (§ 2.8).921
Tuttavia, esistono due conclusioni dell’Orfeo. La prima è quella nel libretto di
Striggio del 1607, in cui Orfeo è sbranato dalle Menadi. Un’altra conclusione si trova nella
partitura stampata del 1609 (l’unica per cui è stata trasmessa la musica).922 Questa seconda
versione è stata concepita quasi certamente da Striggio e Monteverdi o dal solo
Monteverdi.923 Probabilmente non gli piaceva la conclusione mesta. In una lettera di
Monteverdi a Striggio di venti anni dopo, egli dice di non voler strumentare il Narciso
(1608) di Rinuccini per la mancanza di variazione e del lieto fine: ‘non altro di variazione, e
più con fine tragico e mesto [...].’ Frederick Sternfeld divide il finale della nuova versione
lieta di Monteverdi in tre sezioni:924
- il lamento di Orfeo (identico alla fine di Striggio)
- Apollo discende dal cielo e ordina a Orfeo di seguirlo al cielo, dove vedrà
l’immagine di Euridice nel sole e nelle stelle
- il finale corale, che contiene una conclusione moralistica: chi ha sofferto l’inferno
sulla terra, sarà ricompensato con la grazia divina
L’esito infelice è stato sostituito con un lieto fine: Apollo porta Orfeo in cielo. Questo
motivo si basa probabilmente su Igino, secondo cui la lira (come simbolo di Orfeo) è
portata al cielo.925 Anche la maniera in cui Orfeo nelle Metamorfosi racconta come Giove
porta Ganimede al cielo, potrebbe aver ispirato Monteverdi. La fine è anche molto simile a
920
Carrai, ‘Implicazioni cortigiane’, cit., p. 12.
Carrai unisce il finale bacchico all’interpretazione di Salutati (‘Implicazioni cortigiane’, cit.).
922
Alcuni studiosi considerano la versione con il lieto fine quella originale di Striggio. La sala nel Palazzo
Ducale di Mantova sarebbe stata, però, troppo piccola per la costruzione di un deus ex machina. Sarebbe
perciò aggiunto il baccanale per la prima rappresentazione. Tuttavia, la maggior parte è del parere che
Striggio aveva scritto originariamente un fine mesto, che Monteverdi avrebbe adattato prima del 1609 (F.W.
Sternfeld, ‘The Orpheus myth and the libretto of ‘Orfeo’’ in: Claudio Monteverdi: Orfeo, a.c.d. J. Whenham,
Cambridge, Cambridge University Press, 1986, p. 31).
923
Besutti, op.cit.; Sternfeld, ‘The Orpheus Myth’ cit., p. 31.
924
Sternfeld, ‘Orpheus, Ovid and Opera’, cit., pp. 172-202.
925
Igino, De astronomia libri quattuor, II, VII ‘Lyra’ (Sternfeld, ‘Orpheus, Ovid and Opera’, cit., pp. 172-202;
Fenlon, op.cit., p. 4).
921
313
CAPITOLO 7
quella dell’Eumelio, un dramma pastorale di Agostino Agazzari del 1606.926 In questo
dramma Apollo ed Eumelio prendono il posto di Orfeo ed Euridice. Alla fine Apollo salva
Eumelio, come salva anche Orfeo nell’opera di Monteverdi.
Esistono varie opinioni sul perché di questa sostituzione della scena delle Baccanti
con l’apparizione di Apollo e sulla trasformazione del significato. La differenza tra il primo
finale e il secondo potrebbe essere influenzata dal fatto che la prima rappresentazione
aveva luogo in una sala non molto grande, dove non c’era posto per macchine sceniche
complesse (necessarie per far scendere Apollo dal cielo).927 Gelli suggerisce, però, anche
un’altra spiegazione basata su una differenza nel pubblico che assistette alla
rappresentazione:928
Essa potrebbe però riflettere anche una duplice soluzione prospettata per due diverse
udienze: quella dionisiaca, più sofisticata dal punto di vista culturale, pensata per la ‘prima’
davanti ai soli accademici; quella apollinea, più spettacolare e moraleggiante in senso
cristiano (e musicalmente non immune da sospetti di facilismo), pensata a tambur battente
come rimpiazzo per la replica una settimana dopo davanti a un pubblico meno selezionato.
In effetti, il finale apollineo costituisce una fine più spettacolare (con un deus ex machina)
e più moraleggiante, ma non meno sofisticata; anzi, a mio parere assume un significato più
profondo, come discutero nel § 6.3.
7.3 ORFEO FINALMENTE TRIONFANTE
Molte differenze tra l’Euridice di Peri/Rinuccini e l’Orfeo di Striggio/Monteverdi si
possono ricondurre alle occasioni diverse per cui furono composte. Nel capitolo 4 sulla
Fabula di Orfeo l’occasione precisa di una rappresentazione teatrale o musicale si è già
rivelata cruciale per l’interpretazione. Nel caso di rappresentazioni teatrali mitologiche
l’occasione è spesso un fattore decisivo per spostamenti nell’interpretazione del mito o
perfino per l’adattamento dell’azione. Il fatto che l’Euridice fu scritta per le nozze di Maria
de’ Medici fece sì che, nel titolo, l’accento si spostasse sulla protagonista femminile. Per la
stessa ragione il concetto dell’Amore ha una posizione centrale nell’opera. Orfeo ed
Euridice sono in primo luogo due amanti perfetti. Il racconto si svolge addirittura nel
giorno delle nozze. L’intero libretto è pieno di riferimenti all’amore: il coro di ninfe e
pastori ripete le parole petrarchesche ‘Non vede un simil par d’amanti ‘l Sole’, Orfeo canta
l’amore che finì il suo dolore, la dea dell’amore guida Orfeo alla ricerca di Euridice,
926
Sternfeld, ‘Orpheus, Ovid and Opera’, cit., pp. 172-202.
Gelli, op.cit.; Dalmonte, op.cit., p. 5.
928
Gelli, op.cit.
927
314
IL TRIONFO DI ORFEO
nell’orazione per Plutone Orfeo sottolinea il suo amore e appunto per questa ragione
Plutone gli concede di tornare al mondo insieme a Euridice. Il cambiamento maggiore
rispetto al mito risiede nell’esito felice: Plutone non impone una condizione e la coppia di
amanti viene riunita. Dopo il loro ritorno i pastori lodano di nuovo il potere dell’amore.
Tuttavia, non conta soltanto questo racconto amoroso, ma contano anche le
implicazioni politiche dell’Euridice.929 Al tempo delle nozze il padre di Maria, Francesco I,
era già morto da qualche anno. Suo fratello Ferdinando I aveva ottenuto la dignità di
granduca nel 1587. A partire dai primi anni del suo regno Ferdinando aveva cercato di
stabilire la posizione di Firenze nella politica europea tra le posizioni di forza di Francia e
di Spagna. A questo scopo lui stesso si era sposato nel 1589 con Cristina di Lorrena. Il
matrimonio di Maria de’ Medici e il re francese Enrico IV fu il coronamento di tredici anni
di sforzi politici.
Il potere della musica di Orfeo sulla natura aveva un significato speciale per
Ferdinando: anche il granduca soleva sottolineare il suo controllo sulla natura. Ferdinando
I prosciugò varie paludi, rafforzò il porto di Livorno, piantò dei gelsi tra Pisa e Firenze per
la seticoltura e restaurò l’acquedotto di Pisa.930 Secondo Harness, Orfeo non simboleggiava
lo sposo Enrico IV, ma Ferdinando, lo zio della sposa, che aveva un potere analogo sulla
natura.931 Mentre Orfeo rappresentava Ferdinando, Euridice simboleggiava non tanto
Maria de’ Medici, quanto la città di Firenze. L’esito felice dell’opera mostra dunque che
Ferdinando era riuscito a salvare la situazione politica di Firenze. Per questo Firenze gli era
molto grata.
Il trionfo di Orfeo sull’Ade potrebbe benissimo rappresentare il trionfo dei Medici
nella situazione politica complicata dell’Europa cinque e seicentesca. I Medici sono riusciti
a ottenere una posizione stabile in Europa e una posizione più alta delle altre famiglie
principali in Italia. Dopo l’onore del granducato, Maria de’ Medici diventa regina di
Francia. L’importanza di questa posizione regale per i Medici veniva già sottolineata nel
prologo della Tragedia (§ 6.2.1). Secondo Harness non conta il racconto amoroso, ma solo
il significato politico. Anche Bojan Bujić sottolinea che il matrimonio non fu d’amore, ma
fece seguito a una serie di trattative tra Ferdinando e la Francia e costituiva dunque un
trionfo soltanto per lui.932 A mio parere non si possono, però, trascurare tutti i riferimenti
929
Harness, op.cit.
Harness, op.cit.
931
Ferdinando possedeva anche un dipinto di Orfeo nel suo padiglione di caccia Artimino. Tra le altre opere
d’arte in questa villa c’erano delle lunette che sottolineavano la rappresentazione di Ferdinando I come uomo
attivo (S. Butters, ‘Land, Women and War: Identities Portrayed at Ferdinando de’ Medici’s Artimino’,
relazione alla conferenza L’arme e gli amori: Ariosto, Tasso, and Guarini in Late Renaissance Florence, June
27-29, 2001, Firenze, Villa I Tatti; citato da Harness, op.cit., n. 54).
932
Bujić, op.cit., p. 52.
930
315
CAPITOLO 7
all’amore nell’opera. L’opera contiene due livelli interpretativi: 1. il racconto amoroso in
onore di Maria; 2. le allusioni alla politica di Ferdinando.
La musica come tema è anche presente nell’Euridice, ma ha un ruolo secondario.933
Naturalmente la fama di Orfeo come musicista ha determinato in parte la scelta di questa
figura come protagonista dell’opera in musica, come ho già detto nel § 6.1. Tuttavia, se si
paragona l’Euridice all’Orfeo, si vede che il ruolo della musica è maggiore nell’ultima opera.
Il prologo è recitato dalla Musica; è con la musica che Orfeo riesce ad addormentare
Caronte e a convincere Plutone; quando Plutone gli restituisce Euridice, Orfeo canta un
elogio della propria cetra. La differenza tra l’Euridice e l’Orfeo si vede anche nella musica
stessa. Secondo Bellina il passo principale delle due opere è il momento in cui Orfeo cerca
di convincere gli dei infernali a restituirgli la sposa. Nell’Euridice a questo punto si trova un
recitativo, mentre nell’Orfeo il protagonista canta un’aria commovente.934 Mentre nella
prima opera Orfeo convince Plutone con un’orazione, in quella di Monteverdi Orfeo canta
un’aria vera e propria. Annemie Schuermans afferma che agli occhi di Monteverdi Orfeo
era la personificazione della Musica. Nella seconda versione Apollo inviterebbe dunque la
musica ad elevarsi sopra le passioni umane; la musica è universale e diventa divina.935 A
mio parere Orfeo non personifica, però, veramente la Musica, perché essa è già presente
come personaggio all’inizio dell’opera.
L’importanza dell’amore diminuisce nell’Orfeo: Venere è stata sostituita con la
Speranza e l’amore non trionfa più sulla morte. Questa differenza si può spiegare con il
fatto che l’Orfeo non fu commissionato per un matrimonio, ma per il Carnevale. Per questa
ragione Striggio torna alla fine bacchica della Fabula di Orfeo. L’amore che nell’Euridice
procurò la gloria e il trionfo di Orfeo, si trasforma qui in qualcosa di negativo. Orfeo perde
Euridice ‘per amor troppo’ e viene accusato dagli spiriti infernali di esser vinto dai suoi
affetti: ‘Degno d’eterna gloria fia sol colui c’havrà di sé vittoria’. Orfeo deve distanziarsi dai
propri sentimenti e piaceri, come conviene alla festa del Carnevale (cf. l’interpretazione
della Fabula di Orfeo nel § 4.1.3).
Mentre nella prima versione di Striggio Orfeo non era in grado di vincere i suoi
sentimenti provocando la sua lacerazione da parte delle Baccanti, questo fallimento è
venuto meno nella seconda versione, che fu rappresentata poco dopo per un’occasione
diversa. La fine bacchica fu sostituita con l’arrivo di Apollo, che innalza Orfeo al cielo. Solo
in questa seconda versione dell’opera da parte di Striggio e Monteverdi Orfeo trionfa
veramente, vale a dire su se stesso. Orfeo ha guardato indietro e ha perso Euridice per la
secondo volta. Perciò si abbandona al pianto. In quel momento suo padre Apollo discende
dal cielo per salvarlo e per offrirgli nonostante tutto una fine gloriosa. Apollo parla a Orfeo
933
Secondo Gelli ‘nel personaggio di Euridice che rinascerà in virtù del canto di Orfeo si può leggere una
figura della nuova arte che col ‘recitar cantando’ fa rinascere i fasti della tragedia classica.’ (op.cit.).
934
Bellina, op.cit., p. 162.
935
Schuermans, op.cit., p. 147.
316
IL TRIONFO DI ORFEO
in modo ammonitore: non ci si deve abbandonare alle proprie passioni (‘Non è, non è
consiglio / Di generoso petto / Servir al proprio affetto’). Orfeo si è rallegrato troppo e ha
pianto troppo per una donna terrena:
APOLLO
Troppo, troppo gioisti
Di tua lieta ventura,
Hor troppo piagni
Tua sorte acerba e dura.
Ancor non sai
Come nulla qua giù diletta e dura?
(Striggio/Monteverdi, Orfeo)
Orfeo non ha ancora imparato che le cose terrene non rendono felici e che la vita dura
soltanto poco tempo. Questo rimprovero da parte di Apollo l’abbiamo incontrato spesso
nella fortuna del mito di Orfeo: Orfeo non dovrebbe dedicarsi ai piaceri terreni ed effimeri,
ma deve seguire la strada verso l’alto, che mena a Dio o al sommo bene. Mentre Boezio,
Petrarca, Salutati, Lorenzo de’ Medici, Poliziano e altri mantenevano la fine tragica del
mito e lasciavano Orfeo guardare indietro per essere infine ucciso dalle Baccanti,
Monteverdi dà al racconto una piega diversa. Orfeo mantiene la sua dignità e diventa un
esempio positivo per l’umanità.
Se Orfeo verrà al cielo con Apollo, il dio gli offirà l’immortalità. All’inizio Orfeo
protesta ancora un po’, dicendo che in questa maniera non rivedrà più Euridice. Alla fine si
lascia, però, convincere dalle ultime parole di Apollo: ‘Nel Sole e nelle stelle / Vagheggerai
le sue sembianze belle.’ Nel cielo Orfeo non troverà dunque la ‘vera’ Euridice, ma la sua
immagine o la sua idea: si tratta di una concezione (neo)platonica dell’essere.936 Orfeo
pensa di non essere degno di suo padre se non segue il suo consiglio e si arrende. Insieme
vanno al cielo cantando:
APOLLO E ORFEO
Saliam cantand’al Cielo
Dove ha virtù verace
Degno premio di se, diletto e pace.
(Striggio/Monteverdi, Orfeo)
Qui Orfeo trionfa dunque veramente: non gli è ritornata Euridice, ma capisce finalmente
che la donna è soltanto una tentazione terrena. Nel cielo la virtù sarà ricompensata con
‘diletto e pace’.
936
Sternfeld, ‘The Orpheus Myth’, cit., p. 33.
317
CAPITOLO 7
In questo modo Orfeo trionfa anche sugli Orfei precedenti, sia su quello di
Poliziano che su quelli di Rinuccini, Peri e Caccini (e dunque dei Medici): quest’ultimo
aveva trionfato sì sull’inferno, ma non riuscì a trionfare su se stesso, perché si abbandonò a
una cosa terrena. L’Orfeo nella seconda versione di Monteverdi trionfa veramente su se
stesso e lega dunque perfettamente il quinto atto al quarto, in cui le ultime parole del coro
suonavano:
CORO
Orfeo vinse l’Inferno e vinto poi
Fù da gli affetti suoi,
Degno d’eterna gloria
Fia sol colui c’haura di sè vittoria.
(Striggio/Monteverdi, Orfeo)
In un primo momento Orfeo si lascia vincere dalle sue passioni e dai suoi sentimenti, ma
giusto in tempo si ravvede e vince se stesso. Così infine Orfeo giungerà al cielo, cosa che
non gli era stata concessa fino a questo momento.937 La morale è ancora sottolineata nella
strofa finale, con cui l’intera opera è collocata esplicitamente in un contesto cristiano. Per
la prima volta il messaggio è, però, positivo:
CORO
Così và chi non s’arretra
Al chiamar di Nume eterno
Così gratia in ciel impetra
Che qua giù provò l’inferno
E chi semina fra doglie
D’ogni gratia il frutto coglie.
(Striggio/Monteverdi, Orfeo)
Colui che segue la strada di Dio senza indugiare sarà ricompensato: chi ha sofferto sulla
terra (‘provò l’inferno’), otterrà grazia nel cielo. Orfeo non è più l’esempio negativo che
andava illustrato con i racconti biblici della moglie di Lot e del cane che torna al proprio
vomito, ma un esempio positivo, che realizza il proverbio biblico di ‘chi semina,
937
Alla fine delle Metamorfosi Orfeo fu accolto nei Campi Elisi, che si potrebbero vedere come un pendant
pagano del cielo. Tuttavia, in quella versione Orfeo fu riunito con Euridice e non vinse dunque le sue passioni
(anche se nelle Metamorfosi il mito di Orfeo probabilmente non aveva questo significato allegorico). L’idea
dell’intervento di Apollo e dell’accoglimento di Orfeo nel cielo si potrebbero, però, basare su Ovidio, XI.
318
IL TRIONFO DI ORFEO
raccoglierà’. L’intenzione delle parole del coro risulta forse più chiaramente dal passo nella
Lettera ai Galati:938
Non vi fate illusioni; non ci si può prendere gioco di Dio. Ciascuno raccoglierà quello che
avrà seminato. Chi semina nella sua carne, dalla carne raccoglierà corruzione; chi semina
nello Spirito, dallo Spirito raccoglierà vita eterna. (Galati 6:7-8)
Siccome Orfeo ha smesso di abbandonarsi ai piaceri della carne e ha scelto una vita
spirituale, gli spetta la vita eterna. L’Orfeo di Monteverdi non è soltanto superiore ai suoi
predecessori per quanto riguarda la musica, ma anche per quanto riguarda il carattere del
protagonista: il suo Orfeo è moralmente superiore a quello di Rinuccini e Peri. Monteverdi
non procurò soltanto l’immortalità all’Orfeo attraverso la sua musica sublime, ma anche al
personaggio di Orfeo, che per la prima volta trionfa su se stesso.
7.4 CONCLUSIONE
Nel nuovo genere del melodramma Orfeo è veramente valorizzato e animato. Ficino aveva
già eseguito i canti di Orfeo poeta-teologo e come alter ego di Orfeo aveva fatto rivivere il
personaggio. Dopo, l’altro Orfeo poeta-amante era anche apparso alle nozze dei principi.
Poliziano lo fece per la prima volta protagonista di un’intera rappresentazione teatrale, in
cui Orfeo compare sulla scena cantando. Questo sviluppo nella realizzazione del cantante e
amante mitologico raggiunge il culmine nei melodrammi, che sono cantati dall’inizio alla
fine in una maniera musicale che secondo i giudizi del tempo rassomigliava l’antica
maniera greca.
Nel melodramma molte linee convergono. Il genere melodrammatico sfrutta al
massimo la versatilità del mito e del personaggio di Orfeo. In questo nuovo genere si
incontrano varie discipline: la musica, la poesia, il teatro e l’arte (nelle scene e nei costumi).
I melodrammi non hanno predecessori precisi e si basano dunque su fonti diverse:
rappresentazioni come la Fabula di Orfeo, le Metamorfosi, altre opere letterarie (Dante,
Petrarca), i trionfi. In questo modo si incontrano anche vari aspetti della figura di Orfeo: la
musica, l’amore, la politica, l’uomo in cerca di Dio. Questo incontro di diversi aspetti di
Orfeo non si compie solo perché i melodrammi sono una combinazione di generi artistici e
si basano su fonti diverse, ma anche perché l’occasione richiede un’immagine molteplice di
Orfeo.
I melodrammi non costituiscono solo un punto di convergenza di vari generi
artistici e di vari motivi del mito di Orfeo, ma anche di varie funzioni del personaggio o
938
Cfr. altri passi simili: ‘Tenete a mente che chi semina scarsamente, scarsamente raccoglierà e chi semina
con larghezza, con larghezza raccoglierà.’ (2 Corinzi 9:6).
319
CAPITOLO 7
interpretazioni del mito. I libretti di Rinuccini e Striggio sono stati concepiti nello stesso
periodo, ma in un contesto culturale diverso. Rinuccini scrisse il suo libretto per la corte
dei Medici, mentre Striggio lavorava per i Gonzaga a Mantova. Tuttavia, non conta
soltanto il contesto culturale in generale, ma d’importanza maggiore è l’occasione specifica
che ha portato alla nascita dell’opera. Questo è un fattore che conta nelle rappresentazioni
teatrali e musicali.
Siccome l’occasione del melodramma di Rinuccini e Peri-Caccini è duplice, anche il
mito può essere interpretato in due (o più) maniere. I Medici commissionarono l’opera per
le nozze di Maria de’ Medici ed Enrico IV di Francia. Orfeo ed Euridice rappresentavano
dunque un’ideale coppia d’amanti. Il contesto delle nozze impedì che il mito potesse avere
un esito infelice. Per questa ragione l’azione fu cambiata e Orfeo ed Euridice poterono
uscire indenni dall’Ade. La conclusione infelice non fu dunque semplicemente omessa, o
ignota all’autore, come abbiamo constatato nella poesia lirica, dove il motivo era adoperato
come topos. Nel melodramma la conclusione del mito è deliberatamente cambiata. In
effetti, neanche questo adattamento comporta una vera innovazione del mito, ma piuttosto
una scelta dalle tante possibilità che il mito di Orfeo offre: è probabile che neanche nelle
primissime versioni il mito finisse male, ma che Orfeo tornasse felice dall’Ade insieme ad
Euridice. A quanto pare Rinuccini non era però conscio del fatto che con questo
cambiamento rimase fedele a una delle prime versioni del mito.
L’opera fu dunque composta per un matrimonio, ma anche questo matrimonio
aveva delle intenzioni duplici. Non si trattava di un qualsiasi matrimonio d’amore, ma di
un matrimonio con un intento politico. Queste doppie intenzioni del matrimonio si
riflettono anche nel significato del mito di Orfeo: il cantante trionfa sull’Ade e rappresenta
così il trionfo dell’amore; ma egli simboleggia anche il potere di Ferdinando I sulla città di
Firenze.
Sotto questo aspetto l’opera rappresenta anche un climax nell’uso del mito di Orfeo
come mezzo di propaganda del potere dei Medici. Lorenzo de’ Medici si era già riferito più
volte al mito nelle sue opere letterarie e conosceva le implicazioni di Orfeo dai suoi
contatti con Ficino. Quando i Medici, dopo un breve periodo di esilio, tornarono a Firenze,
la figura di Orfeo fu impiegato per simboleggiare il loro potere pacifico sulla città e per
realizzare le loro aspirazioni culturali (Leo X, Cosimo I). Anche nel trionfo per le nozze di
Francesco I era presente Orfeo. Questa tradizione culmina nel matrimonio di Maria de’
Medici, che fu completamente orchestrato dallo zio Ferdinando I.
Anche i Gonzaga a Mantova adoperarono il mito di Orfeo per scopi politici e
culturali. Negli affreschi di Mantegna Orfeo rappresentava probabilmente l’aspetto
culturale del regno di Ludovico Gonzaga. Nello stesso periodo Francesco commissionò a
Poliziano la Fabula di Orfeo, che non era tanto destinata esplicitamente alla propaganda
politica, ma che per la sua fortuna contribuì allo splendore della corte. Il mito di Orfeo fu
raffigurato in seguito in diversi luoghi dei palazzi gonzagheschi. Infine il successo della
320
IL TRIONFO DI ORFEO
Fabula di Orfeo fu ripetuto nell’Orfeo di Striggio e Monteverdi. Con questo melodramma i
Gonzaga vollero emulare i Medici. La fine bacchica costituì un riferimento esplicito alla
Fabula di Poliziano, che era molto idoneo all’occasione della prima rappresentazione: il
Carnevale. Nella seconda versione questa fine fu sostituita, forse perché non era molto
gioiosa, ma forse anche perché la fine bacchica non comportò un vero trionfo per Orfeo.
Indirettamente l’Orfeo dei Gonzaga non trionfò dunque neanche sull’Orfeo mediceo. Nella
seconda partitura di Monteverdi Orfeo non trionfa sull’inferno, ma su se stesso. Secondo
l’interpretazione cristiano-morale egli rappresenta un Orfeo migliore che scambia la terra
per il cielo.
Così l’Orfeo di Monteverdi non trionfa solo musicalmente sull’Euridice di Peri, ma
anche moralmente. Orfeo trionfa anche sugli altri personaggi mitologici, che avevano un
ruolo principale nel periodo precedente. I primi melodrammi non trattano di Ercole; anche
se originariamente Apollo era uno dei protagonisti del primo melodramma (la Dafne di
Peri), Orfeo trionfa con tre melodrammi, di cui ci è rimasta la partitura. Inoltre, l’Orfeo di
Monteverdi, lasciando finalmente l’amore terreno, trionfa su tutte le prime apparizioni di
Orfeo nella letteratura e nell’arte, conferendo Così finalmente anche al poeta amante un
significato positivo. Ma il trionfo principale di Orfeo è quello su se stesso, perché ‘degno
d’eterna gloria fia sol colui c’havra di sè vittoria.’
321
SINTESI CONCLUSIVA
Alla fine dell’introduzione ho affermato che Orfeo è una figura versatile. Da tutte le storie
che si raccontano su Orfeo può emergere sia un’immagine molto positiva che un’immagine
negativa. Il tentativo di riconciliare queste due immagini contrastanti costituisce un filo
conduttore nella fortuna di Orfeo in Italia dal Trecento fino all’inizio del Settecento. Quale
impressione della figura mitologica un autore o un artista ha, dipende da vari fattori che
spesso agiscono insieme. Una conoscenza limitata delle fonti antiche conduce spesso alla
ripetizione della stessa immagine stereotipata che si trova in testi e opere d’arte precedenti
dello stesso genere. La disponibilità di nuove fonti può portare a una trasformazione
dell’immagine di Orfeo. Qualche volta autori o artisti hanno a loro disposizione un grande
ventaglio di elementi del mito. La scelta tra questi elementi è una scelta consapevole, che
dipende da fattori quali lo scopo dell’opera, il contesto (del testo o dell’opera d’arte), il
contesto storico-culturale, l’occasione precisa, la morale dell’autore o dell’artista, e le sue
preferenze personali. Cercando di risolvere il contrasto tra gli aspetti positivi e negativi del
mito di Orfeo si trascurano per esempio semplicemente quelli negativi e qualche volta si
adatta perfino l’esito del mito.
Nel Medioevo e nel Rinascimento non si notano, però, ad eccezione del
cambiamento dell’esito infelice, variazioni rilevanti del mito come un cambiamento totale
dei personaggi, dell’azione e della situazione spaziotemporale del racconto (trasposizione
diegetica). La maggior parte degli spostamenti nell’immagine di Orfeo avviene all’interno
delle possibilità che il complesso del mito esistente offre. Molte rappresentazioni di Orfeo
sono già inerenti alla figura, e un autore non ha che da scegliere tra le possibilità
manipolando così la sua versione del mito.
L’Antichità
Secondo alcuni studiosi il mito di Orfeo nacque dalle pratiche sciamanistiche in Grecia. Da
queste pratiche si sviluppò la concezione di Orfeo come un sacerdote in grado di varcare la
frontiera tra la vita e la morte. Questo ruolo di Orfeo si manifestò soprattutto nella
corrente religiosa dell’orfismo, nella quale Orfeo venne considerato una persona storica.
Orfeo venne inoltre associato ad altri racconti in cui si rivelava di più come un personaggio
mitologico, anche se la distinzione tra storia e mitologia non fu fatta in quel tempo: era un
Argonauta, un cantante famoso, disceso nell’Ade per riprendersi la sposa e ucciso. Nelle
prime versioni il mito conosceva probabilmente un lieto fine in cui Orfeo riusciva a far
rivivere Euridice.
A partire dalle famose versioni di Virgilio e di Ovidio furono aggiunti il divieto di
guardare indietro e la seconda perdita di Euridice. Così il racconto amoroso ottenne un
esito infelice: nella versione di Ovidio Orfeo diventò il primo omosessuale e in ambedue i
323
SINTESI CONCLUSIVA
testi alla fine fu ucciso dalle Baccanti. Ovidio mitigò alquanto questa fine riunendo la
coppia dopo la morte negli Inferi. Virgilio e Ovidio adoperarono dunque molti elementi
del mito: il potere della musica, l’amore per Euridice, lo sguardo indietro, la seconda
perdita di Euridice, (l’omosessualità) e la morte di Orfeo. Nell’Eneide Virgilio fece anche
menzione di Orfeo nella sua qualità di sacerdote.
Nel riferimento a Orfeo da parte di Orazio sono assenti connotazioni negative.
Infatti, Orazio non descrive la storia d’amore, ma mette in risalto i poteri ammalianti del
canto di Orfeo. Mettendo in rilievo questa parte del mito, un approccio positivo diventa
più facile. Orazio è il primo autore a offrire un’interpretazione allegorica di Orfeo. Si dice
che il cantante addomesticava le bestie, perché era in grado di dissuadere gli uomini dal
loro comportamento bestiale. Questa visione positiva diventò molto influente nel
Rinascimento. Quali elementi del mito si scelgono determina dunque l’immagine del
personaggio mitologico che si crea.
Con la nascita del cristianesimo nacquero nuovi modi di vedere la figura di Orfeo.
Gli apologeti cristiani erano molto positivi su Orfeo, che offriva loro la possibilità di creare
un legame tra la nuova religione e la tradizione antica. Per motivi di propaganda essi
sottolinearono il rapporto tra Cristo e un Orfeo monoteista. Anche nelle catacombe
cristiane Orfeo venne raffigurato come Cristo. Generalmente, però, i miti pagani mal si
lasciavano conciliare con il cristianesimo, e con la nuova visione monoteista. Per questo
motivo si cercò in vari modi di interpretare i diversi dei e semidei antichi. Seznec distingue
almeno tre interpretazioni:
- l’interpretazione evemeristica
- l’interpretazione fisica
- l’interpretazione allegorico-morale
Nel sesto secolo Fulgenzio inserisce il mito in un’allegoria musicale, mentre Boezio dà al
mito un’interpretazione allegorico-morale. Ambedue gli scrittori sono negativi nei
confronti di Orfeo. Soprattutto l’interpretazione boeziana di Orfeo come l’uomo in cerca
del sommo bene che guarda indietro ai piaceri terreni rimase molto influente nel
Medioevo e nel Rinascimento.
Gli autori medievali interpretano il mito di Orfeo alternatamente in modo positivo
e negativo. Orfeo è considerato una prefigurazione di Cristo, ma anche un uomo che
rimane troppo attaccato alle cose terrene. Queste interpretazioni si basano soprattutto sul
motivo della discesa nell’Ade. Orfeo è anche visto come il civilizzatore dell’umanità o la
voce musicale, a seconda del genere di testo in cui si trova. Nella poesia medievale, che si
interessava al racconto amoroso, il mito finisce spesso con il trionfo di Orfeo nell’Ade.
Il Trecento
Nella letteratura italiana trecentesca sono ancora presenti le diverse interpretazioni
tardoantiche e medievali. Soprattutto nei trattati mitografici e nelle rielaborazioni delle
324
SINTESI CONCLUSIVA
Metamorfosi, che possono anche essere lette come fonti di informazione mitologica, il
mito di Orfeo è interpretato secondo la tradizione evemeristica, fisica e allegorica.
Nelle Genealogie Boccaccio offre un’immagine quasi completa di Orfeo, il che è
inerente al carattere enciclopedico dell’opera. Anche se quest’immagine sembra
equilibrata, Boccaccio omette o trasforma ancuni elementi negativi (l’omosessualità e lo
sguardo indietro) e si sofferma solo su aspetti positivi (la forza dell’eloquenza), perché nella
sua difesa della poesia ha bisogno dell’esempio positivo del poeta-teologo.
Nelle rielaborazioni delle Metamorfosi da parte di Giovanni del Virgilio e di
Giovanni dei Bonsignori Aristeo e Cerbero appaiono come figure nuove rispetto al testo
ovidiano (sotto l’influenza di commenti precedenti alle Metamorfosi e forse di un errore
linguistico). Il mito di Orfeo è spiegato in maniera evemeristica ed allegorico-morale, e così
a Orfeo è data un’interpretazione più positiva. Oltre a queste moralizzazioni c’era anche
una traduzione letterale, che, però, non fu trasmessa alla stampa.
La maggior parte dei riferimenti a Orfeo negli altri testi letterari sono brevi e
stereotipati: gli autori ripetono dei topoi esistenti, che derivano probabilmente dai manuali
retorici. Alcuni topoi sono molto positivi, come nella poesia lirica, in cui Orfeo era spesso
il modello del poeta eccellente. L’addomesticare gli animali è visto come un’allegoria della
civilizzazione degli uomini. Boccaccio sottolinea in questa allegoria l’importanza
dell’eloquenza per l’umanità, e il suo esempio viene seguito da altri umanisti. L’amore di
Orfeo ed Euridice è un esempio per altri amanti. Anche questo topos si trova spesso nella
poesia lirica (Petrarca) e nei racconti amorosi (Boccaccio).
Dall’altra parte ci sono alcuni topoi negativi, come lo sguardo indietro rivolto a
Euridice, che funzionava come allegoria dell’uomo che ricade nei desideri terreni. Questo
approccio negativo si vede soprattutto nei testi filosofici e contemplativi. I topoi positivi e
negativi mostrano un legame con alcuni generi letterari specifici. È molto forte l’effetto
della tradizione: gli autori si basano quasi sempre sui loro predecessori. Le due facce di
Orfeo non si conciliano facilmente.
Benché Dante si riferisca soltanto due volte esplicitamente a Orfeo, una volta come
uomo sapiente esemplare e una volta come esempio di un’allegoria poetica, in cui egli
rappresenta il civilizzatore dell’umanità, la sua opera contiene spesso delle allusioni
indirette al mito di Orfeo e in particolare al motivo dello sguardo indietro (cf. Rigo, Picone,
Bonfils Templer). Nel Purgatorio si vieta agli spiriti di guardare indietro. Orfeo costituisce
dunque un esempio negativo.
Petrarca paragona spesso nel Canzoniere il proprio amore a quello di Orfeo ed
Euridice. Nelle sue opere filosofiche egli è, però, molto negativo nei confronti di Orfeo:
Orfeo si voltò per vedere Euridice, simboleggiando l’uomo in cerca di Dio che non è in
grado di abbandonare i piaceri terreni. Questa tensione tra l’ammirazione di Orfeo come
poeta e amante eccellente da una parte, e il suo fallimento come uomo sulla strada verso
Dio dall’altra, si ricollega bene al noto tema del conflitto interiore di Petrarca. Neanche
325
SINTESI CONCLUSIVA
nelle opere di Boccaccio l’amore di Orfeo è visto come una cosa esclusivamente positiva.
Benché i personaggi nelle sue opere si paragonino a Orfeo ed Euridice e benché l’amore sia
considerato la forza principale della musica di Orfeo, l’amore non è lo scopo supremo.
Sebbene Orfeo si trovi nell’Amorosa visione nel trionfo dell’Amore, alla fine l’amore non
trionferà. Nelle opere boccacciane si può fare una distinzione tra il poeta-teologo e il
poeta-amante (cf. Hollander). La differenza risiede nel fatto che il primo viene spesso
considerato una persona storica, che costituisce un anello di una lunga catena di pensatori
antichi, mentre il secondo è un personaggio mitologico. Questa differenza non si trova
soltanto in Boccaccio, ma in tutta la fortuna di Orfeo: già nell’antichità greca, nel Trecento,
ma soprattutto a partire da Ficino. Infatti, lontano da essere un personaggio univoco, il
poeta-amante riunisce in sé varie caratteristiche. Nel poeta-amante si può vedere un poeta
positivo, che è l’esempio per eccellenza agli occhi di poeti e cantanti e che è considerato il
civilizzatore dell’umanità. In esso è presente allo stesso tempo l’amante, che è visto dagli
amanti (poeti amanti) come un esempio, ma che conosce anche e soprattutto delle
connotazioni negative (il voltarsi, l’omosessualità e la morte). Boccaccio distingue perfino
due Orfei separati, pur non esplicitando mai la distinzione tra un personaggio storico e un
personaggio mitologico.
Salutati elabora invece un’interpretazione negativa di Orfeo, contrapponendo
Ercole come eroe stoico a un Orfeo epicureo troppo legato ai piaceri terreni.
L’interpretazione si basa soprattutto sul motivo della discesa nell’Ade.
Era necessario dunque non soltanto riconciliare Orfeo con il cristianesimo, ma
anche l’immagine negativa di Orfeo con la sua immagine positiva. In pratica gli autori sono
sia molto positivi che negativi nei confronti di Orfeo ed elaborano un solo lato del
personaggio. Tuttavia, sullo sfondo interviene sempre anche l’altra dimensione.
Il Quattrocento
I noti luoghi comuni trecenteschi di Orfeo poeta eccellente, civilizzatore e amante
persistono nel Quattrocento, ma grazie allo studio di nuovi testi antichi l’immagine del
poeta di arricchisce di nuovi elementi. Ficino comincia a studiare la filosofia di Platone
cercando di riconciliarla con il cristianesimo e Orfeo diventa ad un tratto una figura
centrale nella sua cerchia, non più nel ruolo comune che si conosceva dal Medioevo alla
prima metà del Quattrocento dalle fonti latine. Ficino pone l’accento su Orfeo poetateologo e lo vede come un personaggio storico, non come una figura mitologica. La sua
visione di Orfeo è esclusivamente positiva e Ficino stesso giunge ad identificarsi perfino
con Orfeo, e come un poeta ispirato cerca di raggiungere l’armonia delle sfere cantando
degli inni orfici. Questa visione positiva di Orfeo come poeta-teologo e autore di inni orfici
che contengono un messaggio sugli dei sarà trasmessa fino al Seicento da parte dei filosofi
neoplatonici, e pervaderà anche i trattati mitologici e altre opere letterarie. La reazione
326
SINTESI CONCLUSIVA
personale molto positiva di Ficino alla figura di Orfeo è anche determinata da fattori di
propaganda: solo venerando gli antichi poeti-teologi egli poteva raggiungere un pubblico
per la filosofia neoplatonica.
Oltre a questa evoluzione di Orfeo come filosofo e teologo in seguito alla scoperta
di nuovi testi, la fortuna di Orfeo crebbe nel Quattrocento anche in nuove discipline:
figurò come personaggio attore in alcuni trionfi, fu il primo personaggio mitologico ad
animarsi in una rappresentazione teatrale in volgare e fu raffigurato più spesso e con
dimensioni maggiori nell’arte visiva. La rappresentazione di personaggi mitologici e antichi
nell’arte è una conseguenza dell’interesse maggiore nei confronti dell’antichità.
Nella Fabula di Orfeo di Poliziano convergono la letteratura, il teatro, la
scenografia e la musica. Orfeo non è più un topos, ma Poliziano fa convergere vari elementi
del mito rifacendosi a Virgilio e a Ovidio (e ad altre fonti antiche). Orfeo è un cantante, un
amante, guarda indietro, diventa il primo omosessuale ed è infine ucciso dalle Baccanti.
Poliziano reintroduce così alcuni elementi del mito antico che erano stati menzionati quasi
mai nella letteratura italiana fino a quel momento. Il personaggio mitologico di Poliziano si
contrappone all’Orfeo ‘reale’ di Ficino.
Sia Poliziano che l’artista Mantegna tornano per la prima volta veramente
all’apparenza classica di figure mitologiche nei testi e nell’arte visiva. Gli umanisti e gli
artisti rinascimentali avevano, però, dei sentimenti conflittuali nei confronti degli dei e dei
semidei antichi (cf. Freedman). Se da una parte essi ne ammiravano l’immagine classica,
dall’altra parte gli dei pagani suscitavano il loro dissenso come autori e come artisti. Per
questo motivo rimasero in vigore le spiegazioni allegoriche dei personaggi mitologici.
Si è discusso molto sul significato della Fabula di Orfeo, ma nel contesto culturale
della cerchia di Ficino e di Lorenzo de’ Medici a Firenze l’opera deve essere interpretata
probabilmente come un’allegoria dell’uomo in cerca del sommo bene o di Dio che non
riesce ad abbandonare la terra (cf. Martelli, Ventrone), un’interpretazione peraltro molto
comune nella fortuna di Orfeo. Nella sua rappresentazione Poliziano presenta Orfeo
dunque come un esempio negativo per l’uomo cristiano (mentre nelle Sylvae egli
rappresenta un’immagine esclusivamente positiva di Orfeo, come conviene alle intenzioni
dell’opera). Anche gli affreschi di Mantegna vengono a volte interpretati in modo analogo
alla Fabula di Orfeo (cf. Signorini), ma vista la mancanza della scena in cui Orfeo guarda
indietro e visto il contesto della decorazione della camera (gli imperatori romani, la
combinazione con Arione) è più probabile che Orfeo debba essere interpretato insieme a
Ercole come i due lati del buon governo: la cultura e la forza (cf. Welles). I Gonzaga
mostrarono un interesse particolare per la figura di Orfeo: Orfeo venne adoperato in
rappresentazioni teatrali e nella decorazione di palazzi per movimentare la corte e forse
anche per motivi di propaganda.
327
SINTESI CONCLUSIVA
Negli affreschi di Signorelli, invece, il mito di Orfeo deve probabilmente essere
spiegato negativamente, in rapporto alla decorazione della cappella, come il fallimento
dell’uomo sulla strada del bene e la sua condanna consecutiva (cf. Schröter, San Juan).
Le rielaborazioni teatrali dell’Orphei tragoedia e della Favola di Orfeo e Aristeo
quasi non cambiano niente al mito per quanto riguarda il contenuto rispetto alla Fabula di
Orfeo. L’introduzione dei cinque atti e i cambiamenti metrici sono solo trasformazioni
formali, che non cambiano niente all’immagine di Orfeo. Tuttavia, è omessa
l’omosessualità di Orfeo (cambiamento della morale, oppure del pubblico).
L’omosessualtià era uno degli elementi nuovi più notevoli che Poliziano aveva aggiunto al
mito nel contesto italiano. Nei cantari, che si basano pure strettamente sulla Fabula di
Orfeo, l’accento cade sul racconto amoroso di Orfeo ed Euridice e l’omosessualità è
biasimata. La morale della storia è che l’uomo deve indirizzare il suo amore alla donna.
Questi cantari non erano destinati all’élite culturale come la rappresentazione di Poliziano,
bensì alla gente comune. Questa differenza spiega forse l’attenzione per la storia d’amore e
la sostituzione del messaggio filosofico-religioso con una morale più semplice e terrena.
Oltre a queste trasformazioni del carattere di Orfeo e dell’essenza del mito, ci sono anche
delle trasposizioni formali, come la narrativizzazione del testo e l’aggiunta delle descrizioni
dei personaggi. La popolarità di questi cantari dimostra la diffusione del mito di Orfeo tra
un pubblico più ampio e comune. Questa notorietà si manifesta anche nella produzione di
maiolica, di placchette di bronzo e di incisioni in base alle edizioni stampate delle
Metamorfosi (cf. San Juan).
La fortuna del mito come storia d’amore è testimoniata anche dai cassoni e nelle
spalliere che venivano regalati agli sposi. Tuttavia, nei cassoni di Del Sellaio non è da
escludere un’interpretazione analoga a quella della Fabula di Orfeo.
Il Cinquecento
L’invenzione della stampa alla fine del Quattrocento ebbe come conseguenza una
maggiore conoscenza dei miti tra la gente comune per via della distribuzione di trattati
mitologici, di traduzioni delle Metamorfosi, dei cantari soprannominati e di altri testi.
Come già prima nelle Genealogie di Boccaccio, anche nei trattati mitologici
cinquecenteschi il mito di Orfeo è interpretato allegoricamente. Conti continua l’idea che
l’addomesticare gli animali simboleggi la civilizzazione dell’umanità da parte di Orfeo.
Orfeo viene descritto insieme agli altri personaggi mitologici, ma è considerato soprattutto
un poeta-teologo che negli inni scrisse delle verità importanti sugli dei antichi. Anche nel
trattato mitologico di Giraldi e nel trattato iconografico di Cartari gli scritti di Orfeo
poeta-teologo vengono citati per discutere sugli altri dei. Orfeo è dunque trasformato da
figura mitologica in mitografo, una visione che deriva dalle idee ficiniane su Orfeo.
328
SINTESI CONCLUSIVA
Anche nelle traduzioni delle Metamorfosi prevale l’interpretazione allegorica.
Fino ai primi decenni del Cinquecento l’interpretazione principale era quella trecentesca di
Giovanni del Virgilio, che fu adottata da Giovanni dei Bonsignori e rielaborata più tardi da
Nicolò degli Agostini. In questi adattamenti il mito di Orfeo è spiegato in maniera
evemeristica e allegorica. Orfeo è sempre connotato positivamente. Nella traduzione di
Agostini, che è una combinazione della traduzione di Bonsignori, della Fabula di Orfeo e
dei cantari, le connotazioni negative dell’opera di Poliziano e dei cantari sono sostituite
con l’interpretazione allegorica medievale. Così la nuova rappresentazione umanistica e la
tradizione medievale e popolare confluiscono.
Oltre a queste traduzioni allegoriche nasce la tendenza verso una traduzione più
letterale. Anche in questi testi, però, che originariamente non contenevano delle allegorie
esplicite, le allegorie erano implicite o vennero aggiunte più tardi. L’aggiunta di allegorie si
può spiegare con la maggiore moralizzazione della letteratura nella seconda metà del
Cinquecento in seguito alla Controriforma (cf. Guthmüller, Allen). Nella traduzione di
Spirito non si spiega il significato più profondo dei miti. Anche in quella di Dolce questo
significato è solo inserito in un’edizione posteriore. Nella traduzione stessa Dolce è già
molto negativo su Orfeo: condanna fortemente soprattutto la sua omosessualità. Non sono
descritti i particolari dell’uccisione di Orfeo da parte delle Baccanti, ma questi sono
sostituiti con una condanna della negligenza delle donne da parte di Orfeo. Anche quando
nel 1561 viene inserita una spiegazione allegorica, essa è negativa. Orfeo simboleggia
l’anima che ha abbandonato la ragione ed è tornata alle cose terrene biasimevoli. Anche la
traduzione di Anguillara fu prima pubblicata senza una spiegazione allegorica, ma poco
dopo furono aggiunti i commenti di Horologgi e Turchi. Anguillara rappresenta Orfeo in
modo molto più positivo che Dolce: la sua omosessualità è una maniera di rispettare la sua
promessa a Euridice e di raggiungere Dio nello stesso tempo. L’allegoria di Horologgi si
basa sulla descrizione allegorica di Boccaccio, in cui Orfeo rappresenta l’eloquenza che
civilizza gli uomini.
Sotto l’influenza della stampa e della distribuzione del mito tra un pubblico più
ampio Orfeo si manifestò anche di frequente nell’arte visiva. La figura non fu soltanto
raffigurata in opere d’arte che erano destinate all’élite, ma anche su oggetti che erano
disponibili e prodotti largamente a favore della gente più comune, come maiolica,
placchette di bronzo e incisioni (cf. San Juan). L’immagine di Orfeo in questi generi d’arte è
stereotipata e si basa strettamente sulle xilografie nelle edizioni delle Metamorfosi. Quando
nella maiolica sono aggiunti degli elementi nuovi, si sottolinea il ruolo di Orfeo come
amante, esattamente come nel genere popolare dei cantari (cf. San Juan). Anche in altre
opere d’arte più esclusive è riconoscibile l’influenza del testo e delle xilografie delle edizioni
delle Metamorfosi, ma anche di altre fonti. L’interpretazione di queste opere è spesso
complicata.
329
SINTESI CONCLUSIVA
Molte caratterizzazioni stereotipate positive e negative si trovano anche in brevi
riferimenti nella letteratura e nell’arte. Il vecchio topos di Orfeo poeta-amante eccellente
rimane popolare, specie nella poesia petrarchista, ma anche nei trionfi. L’allegoria di Orfeo
e gli animali come simbolo della forza civilizzatrice dell’eloquenza è sempre preferita nei
trattati poetici umanistici. Tale motivo è preferito inoltre anche nell’arte visiva. In trattati
filosofici Orfeo è visto come il poeta-teologo venerabile. L’interpretazione negativa dello
sguardo indietro sembra perdere terreno.
Tuttavia, in questo periodo spuntano anche delle reazioni ed innovazioni rispetto
ai noti luoghi comuni: i poeti anticlassicisti vedono Orfeo come il simbolo dei poeti
petrarchisti ai quali si ribellano. Si considerano con diffidenza anche gli elementi del mito
che furono reintrodotti da Poliziano e dalle traduzioni delle Metamorfosi: la misoginia,
l’omosessualità e la morte di Orfeo. L’omosessualità di Orfeo è qualche volta contrapposta
al suo ruolo come teologo e condannata, anche se questo motivo non è sempre
disapprovato. Altri spostamenti dell’immagine di Orfeo si vedono nella pittura: Euridice
riceve sempre più attenzione, mentre Orfeo è respinto verso lo sfondo dei dipinti. La sua
partecipazione al viaggio degli Argonauti è, però, introdotta sia nella pittura che nella
poesia come una dimostrazione del potere del suo canto. In definitiva, non è più possibile
scorgere un confine evidente tra aspetti positivi e negativi. Il giudizio dipende spesso dallo
scopo del riferimento: la seconda generazione dei Medici adopera ad esempio la figura di
Orfeo per scopi propagandistici (cf. Langedijk) e si interessa dunque soprattutto ai suoi
aspetti positivi. I Medici sottolineano il suo ruolo come musicista e civilizzatore.
Nasce insomma una variazione maggiore nell’immagine di Orfeo, che è soprattutto
dovuta all’interesse per altri elementi già presenti nel mito, oppure alla reinterpretazione di
elementi noti o alla loro collocazione in contesti diversi. Il mito di Orfeo è giudicato e
manipolato a seconda delle intenzioni dell’autore o dell’artista.
Il melodramma
Alla fine del Cinquecento nasce dalle discussioni sulla musica e dal desiderio di tornare alla
musica antica il genere del melodramma. In questo genere convergono varie discipline: la
letteratura, il teatro, la musica e l’arte della scenografia e dei costumi. Orfeo era un
protagonista molto adatto ai melodrammi, in quanto aveva stabilito una tradizione nella
maggior parte delle discipline e perché era il cantante per eccellenza. Inoltre, il rapporto
tra Orfeo e i Medici, che furono i committenti dell’Euridice, favorì la scelta di Orfeo.
Siccome il mito di Orfeo era molto idoneo al melodramma, ma non tanto ad una
festa nuziale bisognava cercare delle soluzioni per le connotazioni negative del mito. Non
potendo omettere l’esito infelice del mito nell’elaborazione di un’opera, Rinuccini preferì
trasformare la fine in una fine positiva compiendo una trasposizione pragmatica.
Nell’Euridice Orfeo trionfa sull’inferno e riesce a riprendersi la sposa senza problemi.
330
SINTESI CONCLUSIVA
Nel libretto di Striggio invece, il mito di Orfeo ottenne di nuovo un’interpretazione
negativa che andava bene con il contesto del carnevale a cui l’opera era destinata: Orfeo
guardò indietro ai piaceri terreni e fu punito per questo. Come nella Fabula di Poliziano la
fine bacchica facilitò il legame con il carattere del Carnevale. Evidentemente Monteverdi
giudicò questa fine troppo negativa. Nel suo spartito fornì il mito di una svolta positiva e
nuova rispetto alla fine di Peri e Rinuccini. Monteverdi capì che la fine dell’Euridice non
conteneva una fine veramente positiva. Infatti, se si interpreta la fine di Peri secondo la
tradizione allegorica comune, Orfeo cede ai suoi desideri terreni e non raggiunge mai il
sommo bene. Monteverdi al contrario, non fa che Orfeo trionfi soltanto sull’Ade, ma anche
su se stesso: alla fine Orfeo si libera dai legami terreni e raggiunge la divinità. Monteverdi
riesce dunque a concludere il mito in un tono positivo e a riconciliare la faccia positiva di
Orfeo poeta e cantante eccellente con quella di Orfeo amante. Orfeo diventa così l’esempio
positivo dell’uomo in cerca di Dio, che riesce a trovarlo. Orfeo trionfa dunque veramente,
non sull’inferno, ma su se stesso. Così l’Orfeo di Monteverdi (e dei Gonzaga) trionfa non
solo sull’Orfeo di Peri (e dei Medici), ma anche su tutte le rappresentazioni precedenti di
Orfeo.
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Propria collezione: 2.3; 5.12; 6.13.
362
APPENDICE I.
Elenco dei riferimenti a Orfeo nella letteratura940
Achillini, Giovanni Filoteo (1466-1533)
- Triumpho de crudelitate (ca. 1495),
Agazzari, Agostino
- Eumelio. Dramma pastorale (1606)
Agli, Antonio degli (1400ca.-1477)
- Rime, II, v. 230 / v. 294
Agostini, Nicolò degli
-
Ovidio Metamorphoseos in verso vulgar (1522), libro X / libro XI
- Poesia per l'Altissimo Poeta (ca. 1520)
Alamanni, Luigi (1495-1556)
- Della Coltivazione (1546), VI, Giorni, 225
Alberti, Leon Battista (1404-1472)
- Intercenales, liber II, Prohemium ad Leonardum Arretinum / liber IV, Cynicus
- Protesta
Aldegati, Marcantonio (sec. XV)
- Elegiae, 45, 35
Alighieri, Dante (1265-1321)
- Convivio (1304-7), trattato II, 1, 4
- La Divina Commedia (1321), Inferno, IV, v. 140 / Purgatorio, IX, 131-32 (indiretto)
- Vita Nuova, XV, 5 / XIX, 1 / XXVII, 4; XXXII, 6; XXXIV, 3 & 10; XLI, 7 (tutti indiretti)
Alighieri, Pietro (1, 2, 3)
- Inferno (1344-55), 3, 1-12 / 4, 140
- Inferno (1359-64), Introduzione, nota
- Inferno (1340-42), 4, 140 / 32, 10-12
Almerici da Pesaro, Raniero (1430ca.-1499/1501)
- Rime, XI, v. 13 / CLXXII
Altilio, Gabriele (1436-1501)
- Carmina, 34, 22
Amalteo, Cornelio Paolo (ca. 1460-1517)
- Carmina, 15, 24
Amelonghi, Girolamo
- La Gigantea (1547 (1a ed. 1566)), CLXXXII, v. 4
Ammirato, Scipione
- Il Dedalione o ver del poeta (1560), pp. 9-10
Ammonio, Andrea (1478-1517)
- Carmina, 8, 36
940
Ho messo in grassetto tutte le opere in cui Orfeo ha un ruolo considerevole.
363
APPENDICE I
Ancona, Ciriaco di
- Diario (1445), II, 82 / II, 83
Andrelino, Fausto (ca. 1462-1517)
- Bucolica, 8, 50
- Amori, 4, 1, 35
Anechini, Gerardo (sec. XIV)
- De miraculis occursis Mutine, 1, 4, 127
Anguillara, Giovan Andrea dell’,
-
Le metamorfosi di Ovidio (1561), libro X / libro XI
Anonimo,
- Le Miracole de Roma (1255), 55, rubr. 1
Anonimo,
- Il Mare Amoroso (1270-80), 152
Anonimo
- Commento all'Arte d'Amare di Ovidio (Volgarizzamento B) (sec. XIV), cap. 496
Anonimo
- Volgarizzamento del libro di Seneca sopra le sette arti liberali (sec. XIV), parte non
numerata 1
Anonimo
- Arte d'Amare di Ovidio volgarizzata (Volgarizzamento A) (sec. XIV), libro III
Anonimo
- Commento all'Arte d'Amare di Ovidio (Volgarizzamento A) (sec. XIV), cap. 429
Anonimo
- Arte d'Amare di Ovidio volgarizzata (Volgarizzamento B) (1313).
Anonimo,
- Chiose Selmiane alla Commedia di Dante (1321-37), cap. 6
Anonimo,
- Ottimo Commento della Commedia (1334), I (Inferno), cap. 4 (3x) / II (Purgatorio), cap. 20
/ 22
Anonimo
- Arte d'Amare di Ovidio volgarizzata (Volgarizzamento D) (1350)
Anonimo
- Chiose dette del falso-Boccaccio (Inferno) (1375), cap. 18
Anonimo
- Intermedie in onore di Eleonora d'Aragona, Roma (1473)
Anonimo (1474-1532)
- Rime per Laura Brenzoni Schioppo
Anonimo
- Orfeo alle nozze di Costanzo Sforza e Cammilla d'Aragona (1475)
Anonimo,
-
Orphei Tragoedia (1485 ca.)
364
INDICE ALFABETICO DI ORFEO NELLA LETTERATURA
Anonimo,
- Dramma in occasione delle nozze di Galeazzo Sforza e Isabella d'Aragona (1489)
Anonimo,
-
Historia de Orpheo (ca. 1495-1500)
Anonimo,
-
Tractato de Orpheo (ca. 1520)
Anonimo,
-
Historia et favola d'Orpheo (1567)
Anonimo
- De re poetica libellus incerti auctoris (1588), caput I, De poetices utilitate ac dignitate, p.
447
Anonimi,
-
Pasquinate romane (1509-1566), 31 / 89 (Orpheus loquitur) / 90 / 91 / 92 / 94 (Orfeo)
/ 95 (De Orfeo) / 96 (Orfeo) / 97 (Ad Orfeo) / 98 (Ad Orfeo) / 153 / 177, v. 7 / 198, v. 4
-
Pasquinate del Cinque e Seicento, XXIV
Anonimo.
-
Orfeo, Firenze (1599)
Anonimo,
-
La favola di Orfeo e Aristeo (sec. XVI inizio)
Aquilano, Serafino (1466-1500)
- "Rime", sonetto 103, v. 1
Aretino, Pietro (1492-1556)
- Vita di Caterina Vergine, libro I, 14
- Lettere, libro I, 139 (A Messer Sperone) / 274 (A Monsignor Biagio Iuleo) / libro III, 370 (Al
Modanese) / libro IV, 327 (Al buon Conte di Carpegna) / libro VI, 32, p. 48 / VI, 288, p. 346
- Strambotti, 3, v. 1-4 / 65, v. 1 / Strambotti alla villanesca, 125, v. 8
- Ternali in gloria de la reina di Francia, II, 262
- La Cortigiana (1525), atto III, scena 7, p. 171
- Marfisa (1526-1532/1537), canto II, 63, 6
Ariosto, Ludovico
- Orlando Furioso (1505 ca.-1516), canto XLII, 83
- Il Negromante (1509-1520), Prologo, 3
- Satire (1517-25), VI (A messer Pietro Bembo), 86
Balbi, Girolamo (ca. 1450-dopo 1530)
- Carmina, 4, 191 / 149, 57 / 201, 3 / 210, 19
Baldini, Baccio
- Discorso sopra la Mascherata della Geneologia degl'Iddei de' Gentili (1565), Carro primo di
Demogorgone, p. 7 / Quarto carro del sole, p. 33 / p. 35 / Decimo carro di Minerva, p. 70
Baldinucci (1625-1697)
- Notizie dei professori
365
APPENDICE I
Bandello, Matteo Maria (1554/1573)
- Novelle, XVII
Baratella, Antonio (1385-1448)
- Polydoreis, 1, 517 / 2, 211 / 2, 434 / 3, 197
- Ecatometrologia, 6, 15
Barbaro, Ermolao (1453-93)
- Orationes contra poetas, I, 5 / 16-19? / 22-23
- De coelibatu, tertius liber, cap. 6 ‘De iis quae adhibenda sunt ad pudicitiam in coelibatu
conservandam remedia’, p. 19
Bargigi, Guiniforto delli
- Inferno (1440), 4, 139-140
Barignani, Fabio (1550-1574)
- Gigantomachia, libro IV, v. 270
Bartoli, Cosimo (1503-1572)
- Ragionamenti accademici di Cosimo Bartolo gentil'huomo et Accademico Fiorentino,
sopra alcuni luoghi difficili di Dante (1567), libro III, p. 35r / p. 48r / libro IV, p. 65r
Basile, Giambattista
- Le muse napolitane. Egloche di Gian Alesio Abbatutis, ‘Calliope overo La Museca, Egroca
nona’, v. 123
- Lettere, V
Beccari, Antonio (1315-1370/75)
- Rime, 35, 71
Belcari, Feo (1410-1484)
- Rime, p. 219 / p. 221 / p. 222 / p. 226 / p. 237
Bellori, Giovan Pietro (1613-1696)
- Vite
Bembo, Pietro
- Carmina, XIV (Ad Lygdamum), 22 / XV (De amica a viro servata diligentissime), 85 / XXVI
(Politiani tumulus)
- Gli asolani (1505/1530), [Q] libro primo, xi / [1] secondo libro, xxvi / [16] libro primo, xii
- Carmina 25
Benvenuto da Imola
- Commento a Dante (1375-80), 4, 139-140
Berni, Francesco
- Capitoli e sonetti burleschi, XVII, 56 / LI, 15
- Dialogo contra i poeti (1526), pp. 283-284
- Rime (1537), XXXV, v. 56 / XLVI, v. 15
Betussi, Giuseppe (ca. 1512-dopo 1573)
- Il Raverta (1544), dialogo 421
Biondo, Flavio
- De Roma instaurata et de Italia illustrata
- De Roma Triumphante (1559), I, 9
366
INDICE ALFABETICO DI ORFEO NELLA LETTERATURA
Biondo, Michelangelo (1497-1565)
- Della nobilissima pittura, prefatione, p. 1r
- Angoscia doglia e pena. Le tre furie del mondo, Angoscia, p. 83 / Pena, p. 209
Boccaccio, Giovanni (1313-75)
-
Carmina, III, 118
-
Genealogie deorum gentilium, libro I, VII (De Phytone) / libro V, VII (De Lyno) / XII (De
Orpheo) / libro XIII, XXVI (De Iasone) / libro XIV, VIII, 6 (Qua in parte orbis prius
effulserit poesis) / VIII, 8-11
- De Casibus, I, xii (Conventus dolentium), 5
- Rime, parte prima, VIII, 1
- Chiose al Teseida, VIII, 103, 5 / XII, 72, 2
- Filocolo (1336-38), libro IV, 45, 7 / 46, 11 / 121, 5 / libro V, 8, 29
- Teseida (1339-41), libro VIII, 103, 5 / XII, 72, 2
- Comedìa delle ninfe fiorentine / Ameto (1341-42), capitolo II, 1 / 4 / cap. V, 18 / cap. IX, 10
/ cap. XXVI, 38
- Amorosa Visione (1342), canto II, 8 / canto IV, 70 / canto XXIII, 7 / 11 / 23
- Elegia di Madonna Fiammetta (1343-44), cap. I, 3, 3 / cap. V, 29, 6
- Bucolicum Carmen (1350-70), XVI
- Epistole (1363), XIII (A Francesco Nelli), 168
- Esposizioni sopra la Comedia (1373-74), canto I, esp.litt. 75 / canto IV, esp.litt. 317-326 /
canto XV, esp.litt. 92
Bocchi, Francesco
- Le bellezze della città di Fiorenza (1591), p. 9 / p. 103
Boiardo, Matteo Maria (1441-1494)
- Pastorale (1464), ecloga I, 66 / ecloga X, 1 / 154
- Pastoralia, 1, 57 / 6, 6 / 7, 46 / 10 ‘Orpheus’ / G 1, 48 / G 10 ‘Orpheus’
Bologna, Armannino Giudice da,
- Fiorita (1325), p. 517 / p. 30 (parte non numerata 1 (6x))
Bon, Giacomo (1469-1538)
- De raptu Cerberi, 1, 93 / 1, 109 / 2, 97 / 2, 100 / 2, 106 / 2, 107
Bona, Giacomo
- De vita et gestis Christi
Bonciani, Antonio (1417-?)
- Rime, I, v. 80
Boni, Rocco (†1574)
- Austriados libri quatuor, 3, 42
Bonsi, Lelio
- Poesia sopra il Perseo di Cellini
Bonsignori, Giovanni dei,
-
Ovidio Metamorphoseos Vulgare (1375-77), libro VII, cap. XXIII, 1 e allegoria F, libro X,
cap. I-VIII e allegorie / libro XI, cap. I-V e allegorie / libro XIV, cap. XXII, 3 / libro XV,
conc. 14
367
APPENDICE I
Borghini, Raffaello,
- Il Riposo di Raffaello Borghini in cui della Pittura, e della Scultura si favella, de' piu illustri
Pittori, e Scultori, e delle piu famose opere loro si fa mentione; e le cose principali
appartenenti a dette arti s'insegnono (1584)., lib. I, p. 5 / lib. IV, p. 477
Borra, Luigi
- Amorose rime (1542)., XIII, v. 8
Bracciolini, Poggio
- Oratio in Laudem Legum
Brandolini, Aurelio Lippo (1454-1497)
- Eiusdem de laudibus Petriboni
Bruni, Leonardo (ca. 1370-1444)
- Vita di Dante, p. 549
- Prooemium in quasdam Orationes Homeri (1420), pp. 132-33?
- Le vite di Dante e di Petrarca. (1436)
- Epistola, VI, 1
Bruno, Giordano
- De vinculis in genere, premessa, p. 649 / art. XII, p. 692
- De innumerabilis, de immenso et infigurabili, Capo IX, p. 50
- Theses de magia, XVII, p. 467
- De rerum principiis, elementis et causis, premessa, p. 511
- De magia mathematica, De triplici fide, p. 497
- La monade, il numero e la figura, cap. X
- La Cena de le Ceneri (1584), dialogo V, p. 171 / dialogo I, p. 41
- De la causa, principio e uno (1584), dialogo I, p. 215 / dialogo II, p. 233 / dialogo IV, p. 293
- De gli eroici furori (1585), Argomento sopra gli eroici furori, p. 934 / parte I, dial. 1, p. 959
Burchiello (Giovanni, Domenico di) (1404-1449)
- Rime, 39, v. 15 / 43, v. 3 / 86, v. 3 / 172, v. 8 / 235, v. 36 / 270, v. 14
Burzio, Nicola
- Florum Libellus (1487)., I, ii, p. 62
Busini, Betto (1425ca.-?)
- Rime, I, v. 2
Buti, Francesco da
- Inferno (1385-1395), 4, 67-151 / 4, 130-144
Caccini, Giulio (ca. 1550-1618)
-
L'Euridice composta in musica in stile rappresentativo (1601)
Calchus, Tristanus
- Nuptiae Mediolanensium, Orfeo
Calderini, Domizio
-
In convivio Cardinalis divi Xisti discumbente Leonora regina desponsata duci Herculi
Estensi (1473), I ‘Orpheus’
Calogrosso, Gianotto
- Nicolosa bella, prosa 1, 88 / XXX, v. 36 / LXII, v. 24 / LXXXVII, v. 75
368
INDICE ALFABETICO DI ORFEO NELLA LETTERATURA
Campanella, Tommaso
- Del Senso delle Cose e della Magia (1604), cap. XII, p. 72 / cap. XVI, p. 296
Cancianini, Gian Domenico (1547-1630)
- Odes 2, 11, 9 / 2, 11, 13 / 2, 11, 16 / 3, 7, 11
Canobio, Giovanni di (Tartaglia / G. dei Mantelli) (sec. XV)
- Versi d'amore, XIII, v. 51 / XLI, v. 14 / XC, v. 13
Cantalicio, Giambattista (1445ca.-1515)
- Bucolica, aegloga VI ‘De fide Cantalica servata Aragonensibus Allegoricos’, v. 125
- Spectacula Lucretiana, VIII ‘Adventus Ferrariensium pro diva Lucretia’, v. 40
Capra, Galeazzo Flavio
- Della eccellenza e dignità delle donne (1525), p. 64
Capriano, Giovan Pietro
- Della vera poetica (1555), cap. V, p. 312
Capua, Angelo di,
- Istoria di Eneas (1337), p. 102 / p. 117 (ed. ...)
Carbone, Ludovico (sec. XV)
- Dialogus de foelicitate Ferrariae
- Carmina, 8, 5
Caro, Annibale
- Traduzione dell'Eneide (1563-1566), VI, 179 / VI, 963
Carrara, Giovanni Michele Alberto (1438-1490)
- Bucolicum carmen, egl. 6, 94
Cartari, Vincenzo
- Le imagini con la spositione dei dei degli antichi, Diana, p. XXVv. / Giove, p. XXVIIIv. /
Giunone, p. XXXVIIIr. / La gran madre, p. XXXXIIIr. / Baccho, p. LXXXVv.
Castelvetro, Ludovico,
- Poetica d'Aristotele vulgarizzata e sposta (1570), terza parte principale, 8 (1451b, 33-1452a,
1)
- Inferno (1570), 3, 9-10 / 27, 64-65
Castiglione, Baldassare
- Egloga 'Tirsi' (1478-1529), 4 / 11, 8
- Lettere del 1508 (1508), 131 (Ad Henricum VII), 272
- Il libro del Cortegiano (1513-18/1528), p. 170 (libro II, 96 / libro III, 14)
- Carmina 9, 8
Cautio, Camillo,
- Il decimo libro de le Trasformationi d'Ovidio (1548)
Cellini, Benvenuto (1500-1575)
- Rime, LXI (A Laura Battiferri), v. 2 / v. 12
Chiabrera, Gabriello (1552-1638)
- Maniere, scherzi e canzonette morali (??), XXXII (II), v. 16
Cimbriaco, Quinto Emiliano (ca. 1449-1499)
- Encom. 3, 126
369
APPENDICE I
- Rhapsodiae, praef. 2, 17
- Vers. 24, 4
Colle, Lionardo da
- Le nozze di Pesaro
Colonna, Francesco
- Hypnerotomachia Poliphili (1467/1499), p. 279 / p. 427 / cap. 11, 4 / cap. 13, 2 / cap. 16, 4
Conti, Anna Maria de’ (1550 ca.)
- De arte poetica (oratio XXIV), 145v-146, p. 132 / 147, p. 135
Conti, Giusto de’ (-1449)
- Canzoniere, 26, v. 4 / 148, v. 100 / 203, v. 14
Conti, Natale
-
Mythologiae, sive explicationum fabularum libri decem (1551), liber VII, cap. 14 (De
Orpheo)
Coppetta Beccuti, Francesco
- Rime (1509-1553 (1a ed. 1580)), IV, CXCII, 59
Corio, B.
- La istoria di Milano (1554), pp. 417 sgg.
Cornazano, Antonio (1430-1484)
- Canzoniere, 102, 12
Correggio, Niccolò da (1450-1508)
- Psiche, 22 / 43 / 44
- Rime, 53, v. 5 / 239, v. 13 / 252, v. 14 / 279, v. 2 / 363, v. 123 / 367, v. 57 / append. 2.189
- Fabula di Cefalo (1487), atto IV, 9, 20
Correr, Gregorio
- Carmina, 2, 163
- Progne, 91 / 113 / 320
Costanzi, Antonio (1435-90)
- Orazioni nuziali
Costo, Tomaso
- Il Fuggilozio (1583), giornata V, 9 (Esempio di Tito Manlio), 6
Crinitus, Petrus (1474-1507)
- Poemata, liber II, XXVII, Monodia de saltatione Bacchica, vv. 40-47
Dal Carretto, Galeotto
- Noze de Psiche e Cupidine (sec. XV), p. 725
D'Alessandria, Benzo
-
Chronicon (1320ca.), liber XXIV (De moribus et philosophorum), cap. I, prologus, p.
158 / cap. III, De Mercurio, p. 163 / cap. XXIII De Orpheo musico et Museo eius
discipulo / cap. XXXVI, De Thalete Milesio, p. 231 / cap. L, De Milone Crotoniense, p. 249
Daniello, Bernardo
- Della poetica (1536), libro I, [11], p. 234 / [21], p. 240
- Inferno, 4, 139-140
370
INDICE ALFABETICO DI ORFEO NELLA LETTERATURA
D’Aragona, Eleonora
- De triumpho inclite Ducixe Ferrarie facto sibi Rome (1473)
D'Aragona, Tullia
- Rime (sec. XVI), Celani, Enrico.?, 22 (Dello stesso)
D'Arco
- Num. 18, 69 / 389, 7
D'Arezzo, Ristoro
- Composizioni del mondo (1282)
Dati, Leonardo
- Ecloga, egloga quae inscribitur Mirilta, 39
Davanzati, Mariotto (1410-?)
- Rime, VII (Ad Antonio di Meglio) / XXV, v. 14
De Bonis, Giovanni
- Parnasus, 49
De Jennaro, Pietro Jacopo (1436-1508)
- Il Canzoniere, libro II, XV, v. 9 / LIV, v. 7
Della Casa, Giovanni (1503-1556)
- Carmina 26, 22
Del Riccio, Agostino
- Del giardino di un Re, Il secondo quadro, p. 97
Dolce, Ludovico
-
Le Trasformationi (1553), Canto XX / Canto XXI
- Libri tre...delle diverse sorti delle Gemme (1565), libro II, p. 20r
- Dialogo di M. Lodovico Dolce ... dei colori (1565),
Donato,
- Lettera all'Ammannati (1449)
Donato, Baldisserra (1530-1603)
- Ahi miserelle ahi sventurate noi
Doni, Antonfrancesco (1513-1574)
- I Marmi, 4, Il Pellegrino, il Viandante e il Romeo, 38
- Le novelle, La Zucca, post scritta, 22, 9
- Inferni (1553). Libro secondo de' Mondi
Edo, Pietro
- Il rimedio amoroso, canto IV, 142
Equicola, Mario (1470-1525)
- Libro de natura de amore, libro I, 1 ‘Laude de amore’, fol. 8v; 9r; 12v / I, 3 / I, 5 (2x) / libro
III, 2 ‘Amore angelico’, fol. 121r / libro IV, 2 ‘Dela forza et potentia de amore’, fol. 164v /
IV, 4 ‘Causa de insomnii de amanti’ / IV, 5 ‘De Venere’, fol. 188r; 189v / IV, 6 / libro V, 3
(2x) / V, 4 ‘Modi et gesti del’amante’, fol. 244r / libro VI, 2 (2x)
Erizzo, Stefano (1525-1585)
- Lettera sulla poesia, pp. 27-28
371
APPENDICE I
Este, Gerolamo da
- Carmina, 22,1
Fausto, Vittore
- De comoedia libellus (1511), p. 10
Ferreri, Zaccaria (1479-1524)
- Lugdunense somnium, 78
Ficino, Marsilio (1433-99)
El libro dell'amore, orazione VII, cap. 14.4 / Oratione I, II, 15-17 ; III, 1-4 ; 24-25; Oratione
II, I, 5; II, 15; VIII, 3-5 ; Oratione III, II, 14 ; III, 17-18 ; Oratione V, II, 29-30 ; XI, 17-18;
- De Amore, caput III, De origine..., p. 139 / Amor est ..., p. 165 / caput XVII, Que comp..., p.
235 / caput XIV, Quibus ..., p. 260 / caput IV, De utilitate..., p. 143 / Ivi, p. 144 / caput II,
Qua regula..., p. 138 / caput III, De origine ..., p. 138 / Ivi, p. 140 / caput I, Deus est..., p. 145
/ Quo pacto, p. 147 / caput VIII, Exhortat..., p. 155 / ivi, p. 156 / caput II, Amor est, p. 162 /
ivi, p. 164 / caput II, Quomodo..., p. 181 / caput I, Narratur, p. 167
- De Vita, cap. VI, De virtute..., p. 270 / cap. XXI, De virtute..., p. 354 / cap. XXII,
Quomodo..., p. 368 / cap. XXVI, Quomodo..., p. 386
- De divino furore
- Theologia Platonica, Liber I, VI, p. 224 / Liber II, IV, p. 84 / VI, p. 87 / IX, pp. 101-102 / pp.
102-103 / X, p. 104 / XI, p. 105 / XIII, p. 121/ XIII, p. 125 / Liber IV, I, p. 155 / II, p. 169 /
Liber VI, I, p. 224 / Liber XI, I, p. 102 / IV, p. 119 / V, p. 133 / Liber XII, I, p. 157 / Liber
XIII, II, pp. 218-19 / II, pp. 221-22 / Liber XVII, I, p. ? / IV, p. 166 / p. 172 / Liber XVIII, I, p.
178 / X, p. 232 / p. 233 / p. 235
- Lettere, I, 51 (Iohanni Cavalcanti), p. 101 / Lettera a Niccolò degli Albizzi / Lettera ad
Antonio Canigiani / I, 6 / 26 / 92 / Lettera a Paulo Middelburg, p. 944 / Lettera a Cosimo
de’ Medici, pp. 35-36 (ed. Klutstein)
- De Christiana Religione, cap. XXII, in Opera Omnia, p. 25.
- Tres contemplationis platonicae gradus, X
- Opuscula Theologica, XI
- Prefazio alla traduzione latina del Poimandres (Opera omnia 1463)
- Commentum in Philebum, Liber I, Cap. V, p. 111 / Cap. XI, p. 135 / Cap. XVIII, p. 181 /
Cap. Cap. XXVI, p. 247 / XXVII, pp. 253-255 / p. 257 / Cap. XXVIII, p. 267 / Cap. XXX, p.
293 / Cap. XXXI, p. 305 / Liber II, Cap. I, p. 403 / Cap. II, p. 405 / Cap. IV, p. 417 / App. II,
p. 477 / App. V. p. 498 / p. 509 / p. 518
Filelfo, Francesco
- Comento al Petrarca (1476)
Firenzuola, Agnolo (1493-1543)
- I Ragionamenti, Giornata prima, p. 82
- Celso, dialogo delle bellezze delle donne, discorso primo, p. 543
- Rime, LXXXVII, 28 / XCIV, 80
Flaminio, Marcantonio (1498-1550)
- Lettera a Basilio Zanco
- Carmina 1, 40, 8 / 1, 42, 12 / 2, 9, 15 / 6, 28, 10 / 6, 49, 8
-
372
INDICE ALFABETICO DI ORFEO NELLA LETTERATURA
Folengo, Teofilo (1491-1544)
- Zanitonella, X (Matinada), v. 382 / v. 385 / (Tusc.) 326 / 469 / 483 / (Cipad.) 343
- Baldus (1517)., libro XIII, 358
- Agiom. 5,168
Fortini, Pietro (ca. 1500-1562)
- Le giornate delle novelle dei novizi (1530-1540), Al lettore, 8
Fracastoro, Gerolamo (1483-1533)
- Carmina 1, 98 / 1, 110
Fregoso, Antonio Fileremo
- Cerva, 4, 258
- Silve, 3, 39 / 7, canto 3, 214 / 3, 649
Frezzi, Federico (1346-1416)
- Il Quadriregio, libro III, cap. II, 121 / libro IV, cap. IX, 76
Fuscano, Giovanni Berardino
- Della oratoria e poetica facoltà (1531), pp. 192-93
Gafurius, Franchinus
- Practica musicae (1496), dedica a Ludovico Maria Sforza di Milano, p. 4 / cap. I, p. 11 / cap.
II, p. 15
Galassio Vicentino
- Carmina minora, 2, 121 / 3, 1
Gallo, Filenio (-1504)
- Rime, parte 1b (A Lilia-Canzoniere), 65, v. 1 / 101, v. 13 / 126, v. 14 / parte 2 (A SafiraEgloga e Rime), 21 (Petro Mochio senese a Filenio), v. 5 / 22 (Filenio risponde), v. 5 / 26, v.
14 / 112, v. 11
Gambara, Veronica (1485-1550)
- Rime, 67, v. 11
Garzoni, Tomaso
- La piazza universale (1589, postumo), Disc. 2.7 / 3.1 / 3.4 / 3.90 / 15.6 / 23.1 / 25.1 (2x) /
25.2 / Annotaz. Disc. 25 / 26.4 / 26.5 / 26.10 / 27.11 / 29.19 / 40.19 / 41.18 / 42.2 / 42.9 (2x)
/ 45.3 / 74.3 / 88.5 / 101.3 / 108.6 / 154.2 / 154.4 / 154.5 / 154.6 / 154.7 / 154.10 / 154.16 /
154.26
Gaurico, Pomponio
- Eclogae (1504), ἐρωτικη διαλληλως / ἐρωτικη ἁπλως
Gelli, Giovan Battista
- Inferno (1541-1563), 20, 31-39
Genesio, Fabrizio (Elfiteo)
- Elegiarum libellus, 1,17 / 2,23 / 15, 25-26
Giraldi (Cinzio), Giovan Battista
- Orbecche, La tragedia a chi legge, 3299
- Egle, atto IV, 1545
Gonzaga, Curzio (1536-1599)
- Rime, parte 5, 6a (Felice Gualtieri), 11
373
APPENDICE I
Gradenigo, Giorgio
- Lettera a Giulia da Ponte (1553 dopo)
Grazzini, Antonfrancesco (Il Lasca)
- La guerra de' mostri (1547 (1e druk 1584)), p. 135
Guarini, Giovan Battista (1538-1612)
- Rime, sonetto LXII (Consola bella Donna lasciata da un Amante Poeta), v.
- Lettera a Giovanni Francesco Genesso (1478)
- Il pastor fido, atto 3, scena 224
Guazzo, Stefano (1530-1593)
- La civil conversazione, 1 C16d / 2 C47 / 4 1.235
Guglielmo, Maramauro
- Expositione sopra l'Inferno di Dante Alighieri (1369-73), cap. IV (2x)
Guido, Antonio di (-1486)
- Rime, XIII, iii
Gyraldo, Lilio Gregorio
- De deis gentium (1548), Syntagma I, p. 7 (2x)/ p. 9 / p. 12 / p. 19 / p. 21 / p. 24 /p. 34 / p. 37
/ p. 40 / p. 43 / p. 46 (2x) / Syntagma II, p. 1 (2x) / p. 2 (3x) / p. 3 / p. 4 (3x) / p. 6 (4x) / p. 7 /
p. 12 (2x) p. 14 / p. 16 / p. 23 / p. 29 / p. 32 / Syntagma III, p. 12 / Syntagma IV, p. 2 (3x) /
p. 4 (2x) / p. 5 / p. 7 / p. 9 (3x) / p. 13 / p. 15 p. 16 / Syntagma V, p. 7 / p. 8 (marini dei) / p. 9
/ p. 10 / p. 11 / p. 12 / p. 13 (2x) / p. 15 / p. 16 / p. 19 / p. 20 / p. 22 (3x) / p. 24 (2x) / p. 25 /
Syntagma VI, p. 3 / p. 4 / p. 12 / p. 15 / p. 16 / p. 19 / Syntagma VII, p. 1 / p. 3 / p. 4 / p. 6 /
p. 7 / p. 8 / p. 11 / p. 12 / p. 14 / p. 16 / p. 18 / p. 22 / p. 24 / p. 25 / p. 26 / p. 29 / p. 32 / p. 33
/ p. 34 / p. 35 / p. 37 / p. 38 / Syntagma VIII, p. 2 / p. 4 / p. 6 / p. 7 / p. 9 / p. 10 / p. 11 / p. 13
/ p. 14 / pp. 15-22 / Syntagma IX, p. 3 / p. 5 / p. 7-10 / p. 13-15, Syntagma X, p. 5-6 / p. 8 /
p. 13 / p. 15-16 / Syntagma XII, p. 2-5 / p. 7 / p. 9 / p. 17-18 / p. 22, Syntagma XIII, p. 6 / p.
17 / p. 19 / p. 21-22 / p. 24 / p. 26-28 / Syntagma XIV, p. 1 / p. 5 / p. 7 / p. 9 / Syntagma XV,
p. 2 / p. 7 / p. 12-13 / p. 17 / Syntagma XVI, p. 1 / p. 8 / Syntagma ultimum, p. 9 / p. 12 / p.
66
- Due dialoghi sui poeti dei nostri tempi, dialogo II, 200
Lana, Jacopo della,
- Chiose alla "Divina Commedia" di Dante Alighieri (1324-28), Inferno, cap. 4, 150 (130-144)
Lancia
- Eneide volgarizzata (1316), liber VI (2x)
Landi, Ottavio
- Lettera a Antonfrancesco Doni
Landini, Francesco
-
Madrigali, 9 (Sì dolce non sonò con lira Orfeo), v. 1
Landino, Cristoforo (1424-1498)
-
Praefatio in Tusculanis, p. 13 (ed. Scritti critici e teorici, Lentzen 1970)
Praefatio in Virgilio, p. 22 / p. 26 (ed. Scritti critici e teorici, Lentzen 1970)
Prolusione petrarchesca, p. 39 (ed. Scritti critici e teorici, Lentzen 1970)
Prolusione dantesca, pp. 48-51(ed. Scritti critici e teorici, Lentzen 1970)
374
INDICE ALFABETICO DI ORFEO NELLA LETTERATURA
Proemi alle Camaldulenses, p. 66 (ed. Scritti critici e teorici, Lentzen 1970)
Proemio al Commento dantesco, p. 137 / p. 141 / p. 145 / p. 147 (ed. Scritti critici e teorici,
Lentzen 1970)
- Orazione dedicatoria, p. 169 (ed. Scritti critici e teorici, Lentzen 1970)
- Introduzione all'Eneide, p. 228 / p. 230 (ed. Scritti critici e teorici, Lentzen 1970)
- De vera nobilitate, p. 59 (ed. Lentzen)
- Disputationes Camaldulenses, p. 114 / p. 213 / p. 223 / p. 241 / p. 250 / p. 255 / p. 258 (ed.
Lohe 1980)
- De Anima libri III, p. 14 / p. 17 (ed. Paoli 1915)
- Xandrae libri tres, I p. 24, 34 / p. 29, 29 / III, p. 4, 133 (ed. Carmina omnia, Perosa 1917)
- Carmina varia, p. 3, 2 (ed. Perosa 1939)
- Lettera di esercizio, II
- Epistola a Francesco di Bartolomeo Baldovini
Lando, Ortensio (ca. 1512-ca. 1553)
- La sferza de' scrittori antichi e moderni (1550), 2 / 3 (2x)
Lapaccini, Filippo
- L'Armeggeria che fece Bartolomeo Benci, cap. V, v. 37
Lazzarelli, Lodovico
- Fasti christianae religionis (1475ca.-1480), introduzione, v. 173 / liber V, v. 24 / liber VII, v.
469
Lomazzo, Giovanpaolo
- Trattato dell'arte della pittura, liber VI, cap. 25, p. 345 / ibidem, p. 347-48 / cap. 40, p. 380 /
liber VII, cap. 2, p. 528 / cap. 7, p. 546 / cap. 9, p. 555 / cap. 10, p. 569 / cap. 29, p. 657
- Della forma delle Muse, cavata da gli antichi autori Greci et Latini (1591), p. 6 / p. 9 / p. 2021 / p. 27 / p. 28 / p. 31 / p. 35 / p. 38 / p. 39
Lovati, Lovato (ca. 1240-1309)
- Epistolae, 3, 6 / 4, 217
Luigini da Udine, Federico (ca. 1530-)
- Il libro della bella donna (1554), libro III, pp. 279-80
Luisini, R.
- Carmina, 228, 1 / 228, 4 / 228, 6
Malatesti, Malatesta
- Rime, XII, v. 7
Malecarni, Francesco
- Rime, VI, v. 97
Mantovano, Battista
- Adulescentia, 3 ‘De insani amoris exitu infelici’, 182 / 4 ‘De natura mulierum’, 159 / 178 /
180 / 9 ‘De moribus curiae Romanae’, 215-216
- Contra poetas impudice loquentes, 15
- Epigrammi, 12, 48 / 12, 79
- Parthenice prima sive Mariana, I, 2, 443 / I, 2, 532 / I, 2, 838 / II, 3, 714
- Sylvae, 2, 4, 10 / 3, 5, 26
-
375
APPENDICE I
Marretti, Fabio
- Le metamorphosi d'Ovidio in ottava rima col testo latino appresso. (1570), libro X / libro
XI
Marullo, Michele (1450 ca.-1500)
- Epigrammaton, II, XLVI
- Hymnorum, I, II (Palladi), v. 39 / II, VI (Marti), v. 33 / II, VIII (Mercurio), v. 6
Marzio, Galeotto
- Carmina, 1, 3
Medici, Lorenzo de’ (1449-1492)
- Comento de' miei sonetti, argomento 14 / 15 (argomento 3 (2x))
- "Canzoniere" (1464-1483), altre rime 2 (Alla Ginevra de’ Benci), v. 12
- Poemetti in terzine (1473-74), De summo bono, 2
Meglio, Antonio di (1384-1448)
- Canzoni amorose, VI, iii / V, v /
Meglio, Giovan Matteo di
- Rime, XXIX, v. 7
Mei, Girolamo
- Lettera a Vincenzo Galilei (1572), p. 72 [112,113] /
Mellini, Domenico
- Le dieci Mascherate delle Bufole mandate in Firenze il giorno di Carnovale (1566),
mascherata X, p. 47
Mezzo, Tommaso
- Epirota (1483), [11], p. 38
Modio, Giovan Battista
- Il Convito overo Del peso della moglie, dove ragionando si conchiude che non può la
donna disonesta far vergogna a l'uomo (1554), p. 326 / p. 330 / p. 331
Moggi, Moggio (1330ca.-?)
- Carmi, III (Donato de Alvariis Veronensi), v. 11 / IV (Ad Alterium de Verona), v. 9-10 / VI
(Simoni de Cumana Parmensi), v. 45-48 / XIV (Johanni de Corigio), v. 20-23
Monteverdi, Claudio e Alessandro Striggio
-
L'Orfeo (1607)
Monticchiello, Domenico da
- Rime (1358), 3
Morlini, Girolamo
- Novelle (1520 (1a ed.)), novella XXIV
Naldis, Naldus de (1439-1520)
-
Elegiarum libri tres, liber II, 2 (Ad Aeneam Pium pontificem maximum), v. 25 / v. 43 / 13
(Eulogium in Albertum Christofori Landini filium), v. 15 / 22 (Ad Marsilium Ficinum), v. 2
/ 37 (Ad Marsilium Ficinum de Orpheo in eius cihara picto) / 40 (Ad Iohannem
-
Calabriae regis filium), v. 25
Carmina varia, 8 (Elegia in Claricem Ursinam vita functam), 99 / 103 / 110 / 157
376
INDICE ALFABETICO DI ORFEO NELLA LETTERATURA
Nardi, Jacopo
- I due felici rivali (1513)
Di Natale, Francesco (1469-1542)
- Carmina, 27, 40
Navagero, Andrea
- Lusus, in Carmina quinque illustrium poetarum (1548), 25, 51 / 25, 57 / 25, 63
Odo, Pietro
- Carmina, 18, 315 / 11, 21 / 18, 422
Palingenio Stellato, Marzello (1534-1538)
- Zodiacus vitae, liber III, Gemini, v. 339
Palladio Sorano, Domizio (ca. 1460-ca. 1533)
- Epigrammi, liber I, 42 (Ad amicam saevam Calliopeam) / liber II, 15 (Ad Christ. Pierium) /
92 (Ad Franciscum Maturantium), v. 2
- Elegie, 1 (Ad candidam Calliopeam elegia), v. 35
Panhormita, Antonio
- Hermaphroditus (1425-1426), liber I, XXVII, vv. 11-12
Paolini, Alessandro (sec. XVI)
- Carmina, 35, 33
Parrasio, Paolo (1473-1545)
- Epic. 23 / 131
Partenio, Bernardino
- Dell'imitazione poetica (1560)., libro I, p. 522 / p. 523
Pastrengo, Guglielmo da (fine '200-1362)
- De viris illustribus, p. 151 / p. 167
- De originibus, p. 268
Patrizi da Cherso, Francesco (1529-1597)
- L'amorosa filosofia, I, Erato, in margine
- Della retorica. Dieci dialoghi di Messer Francesco Patritio (1562)., Il primo Tolomei, p. 20r
/ Il Sansovino, p. 32r
- Della poetica (1586)., Libro I ‘Origini e progressi della poesia’ p. 17 (Oleno) / p. 19 (Lino) 2x
/ p. 21 (Grisotemia) / p. 22 (Filammone) 2x / p. 23 (Tamira) / pp. 23-28 (Orfeo) / p. 28
(Melampo) 2x / p. 29 (Mida) / p. 29 (Marsia) 2x / p. 31 (Museo d'Antifemo) 3x / p. 32 / p.
32 (Eumolpo) / p. 33 (Pisandro) / p. 33 (Panfo) 4x / p. 34 (Eritrea) / p. 35 (Palefato) / p. 36
(Orfeo Ciconeo) / p. 36 (Onomacrito) / p. 36 (Timete) / p. 37 (Palamede) / p. 39 (Siagro) 4x
/ p. 43 (Esiodo) / p. 49 (Dinarco) / p. 53 (Fanocle) / p. 54 (Terpandro) / p. 55 / p. 56 / p. 57
(Taleta) / p. 60 (Archiloco) / p. 74 (Orfeo) / p. 85 (Ceneto) / p. 168 (Ovidio) / p. 174
(Lucano) / Libro II ‘Partimento dell'antiche poesie’ p. 191 (Teogonia) 2x / p. 192
(Cosmogonia) 4x / p. 193 (Pasisoni) / p. 194 (Inno) 3x / p. 209 (Spezie IV) / p. 210 (Spezie
V: teletè) 2x / p. 210 (Misteri) 2x / p. 211 (Orgii) 2x / p. 211 (Catarmi) 2x / p. 213 (Mondo)
2x / p. 214 (Elementi) / p. 214 (Terra) / p. 215 (Pietre) / p. 215 (Erbe) / p. 220 (Favola) 2x /
p. 223 (Insegnante V) / p. 229 (Amorosi VIII) / p. 233 (Pantomimo) / Libro III ‘Partimento
per versi dell'antiche poesie’ p. 239 / p. 240 / Libro IV ‘De gli usi dell'antiche poesie’ p. 255
377
APPENDICE I
(Sacrifici II) 2x / p. 256 / p. 257 (Pompe) / p. 262 (Rappresentanti IV) / p. 263 / p. 268
(Eroiche VII) / p. 276 (Incanto XXI) / Libro V ‘De gli agoni dell'antiche poesie’ p. 287
(Origine) 2x / p. 288 / p. 289 / p. 290 2x / Libro VI ‘Del cantare l'antiche poesie’ p. 35
(Canto) 2x / Libro VII ‘Dell'armonia / compagna dell'antiche poesie’ p. 347 (Generi) / p.
354 (Istrumenti) / p. 361 (Poesie et armonie) 2x / p. 365 (Doria) 2x / Libro VIII ‘Della
ritmica / compagna...’ p. 393 (Orchesi bacchica) / Libro X ‘De' rappresentatori ...’ p. 429
(Poeta) 5x / p. 430 6x / p. 432 (Sacerdoti) 2x / p. 433 2x / p. 438 (Lirodi) / p. 439
Pecora, Jacopo del (Jacopo da Montepulciano) (sec. XIV)
- Fimerodia, II, III, 125
Peri, Jacopo (1561-1633)
-
L'Euridice (1600/1601)
Petrarca, Francesco (1304-74)
- Trionfi, IV, 13 / 93
- Africa, VI, vv. 54-56
- Seniles, IX, 1 / X, 4 / XI, 5 / XV, 3
- Secretum, III, 9, 13
- De vita solitaria, libro II
- Rerum vulgarium fragmenta, XXIII, vv. 55-58 / XXVIII, v. 68 / CLXXXVII, v. 9 / CCLXX /
CCLXXIII / CCLXXXIII / CCCIV / CCCXXIII / CCCXXXII, v. 51
- Invective contra medicum, libro I / libro III
- Familiares, liber I, 9, 7 / liber VIII, 10, 25 / liber XII, 9, 5 / liber XXIV, 11, 13 / 12, 21 /
ibidem, 43 /
- Bucolicum Carmen (1346-50)., liber I, 120-23 / liber X
- Rime disperse e attribuite (1374), 39, 13 / 42, 6
- Carmina, 36, 35
Piagentina, Alberto della
- Boezio, Della filosofico consolazione (1322-32), libro III, 12, 2 (2x)
Piccolomini, Enea Silvio (1405-1464)
- De liberorum educatione, p. 209-209
- Carmina, Cinthia & Egloga, X, Fabella, vv. 37-46 / 24, Egloga, vv. 185-86
- Epygrammata, II (26) Ad Quadratum, vv. 7-8
- Varia, 116 (Ad Cesarem), vv. 107-113
- Pii Secundi Commentarii
- Historia de duobus amantibus (1444), 6, p. 24
Pico della Mirandola, Giovanni (1463-1494)
- Commento sopra una canzone de amore di Girolamo Benivieni
- De hominis dignitate, p. 90-92 (ed. Cicognani)
- Conclusiones nongentae, V, 5 / 25 / X, 1-5 / 7-9 / 13 / 15 / 18 / 31 / XI, 10 / 17
- Ad Flor. 51
Pisa, Guido da
- Inferno (1327-1328), 4, 140
378
INDICE ALFABETICO DI ORFEO NELLA LETTERATURA
Poliziano, Angelo (1454-1494)
-
Manto (Silvae), praefatio, 13 / 27 / 72
Nutricia (Silvae), 128 / 285 / 296 / 304 / 317 / 363 / 503
Epistola metrica (a Bartolomeo Fonzio).
Rime (1470-90)., 53 (Francesco Medici), 4
-
Fabula di Orfeo. (ca. 1476-80)
-
Epigrammi latini, XXIII ‘De Antonio tusco extemporali poeta’
Odae 3,1
Pontano, Giovanni (1429-1503)
-
Carmina, liber II, De Tumulis, LIII (Lyra Orphei auxilium implorat a nympha) / IV, p.
-
3019
I dialoghi, Ioannis Ioviani Pontani Dialogus qui Antonius inscribitur, p. 76
-
Urania (1476), libro III (De lyra et Orpheo), I, De Orpheo navigante et post ad infernos
pro uxore descendente (Urania, 1,985 / 1, 986 / 5, 641 / 3,1349-1350 / 3,1281 / 3,1378-
1379)
- De Magnanimitate (1499), liber I, XLVIII, 62
- De sermone libri sex (1502-03), libro II, V (Plura esse mendacium genera), 7
- Egloghe 1, 6, 67-68 / 2, 214 / 2, 222 / 2, 228 / 2, 234
- De amore coniugali, 1, 8, 43
- De laudibus divinis, 14, 2
Prato, Domenico da (ca. 1370-ca. 1432)
- Rime, XLIII, strofa vi, v. 71 / XLIV, strofa iv, v. 43
Pucci, Antonio (ca. 1310-1388)
- Libro di varie storie (1362), 29, 4 (2x)
Pulci, Bernardo (1438-1488)
- Canzoniere, CV / XCIII, v. 12 / LXXXI, v. 12 / XXXV
Pulci, Luigi (1432-1484)
- Morgante, cantare II, 38 / cantare XVI, 33 / cantare XXVIII, 146
Rapicio, Andrea (1533-1573)
- Poemi 11, 15
- Istria 242 / 245
- Carmina 1, 36 / 2, 17-18 / 2, 41
Regio, Raffaele
-
P. Ovidii Metamorphosis (1492)
Ripa, Cesare
- Iconologia overo Descrittione dell'Imagini universali (1593), p. 167 (Mese)
- Iconologia overo Descrittione di diverse Imagini cavate dall'antichità et di propria
inventione (1603), Eloquenza, p. 128 / Mese in generale, p. 326 / Muse, p. 346 / Ninfe in
comune, p. 352
Robortello, Francesco
- Explicationes de satyra, de epigrammate, de comoedia, de elegia, De satyra, Explicatio
eorum omnium quae ad satyram pertinent (1548), p. 497
379
APPENDICE I
Rolandello, Francesco
- Carmina, 1, 3, 80
Roselli, R. (1399-1451)
- Rime, LXV, v. 6 / LIX (Alla Morte), strofa V
Rossi, Nicolò
- Discorsi intorno alla tragedia (1590), Cap. I, Della origine et accrescimento della tragedia et
in qual maniera di versi si dee scrivere, p. 64
Ruzante (Angelo Beolco)
- La Pastoral (1521)
Sacchetti, Franco (ca. 1332-1400)
- Il libro delle rime, XLIV, 26 / CLXIX
- Battaglia delle belle donne di Firenze con le vecchie (1353), I, ott. 69
Salernitano, Masuccio (1410-1475)
- Novellino, novella IV, esordio
Salutati, Coluccio (1331-1406)
-
De fato et fortuna, II, 5, p. 41 (ed. Bianca)
De seculo et religione, capitulum VI, p. 110 (ed. Ullman)
-
De laboribus Herculis, p. 9 / p. 170 / p. 372 / p. 395 / Lib. IV, p. 473 / p. 486 / pp. 487508 / p. 510 / pp. 519-24 / et al. (ed. Ullman)
- Epistolario, II, p. 461 / III, p. 378 / IV, p. 181 / p. 239 (ed. Fonti per la Storia d’Italia)
Salviati, Lionardo
- Della poetica lezion prima (1564), p. 590
Sannazaro, Jacopo
- Arcadia (1504 (1a ed. autorizzata)), Ecloga IV, 46 / Ecloga XI, 64 & 74 / XI, p. 138 / Prosa
XII, 7
Sasso, Panfilo
- Epigrammata (1499), 1, 35, 3
Sbruglio, Riccardo (ca. 1480-dopo 1525)
- Carmina, 6, 3
Scambrilla, Francesco
- Rime, XIX, v. 12
Scarlatti, Filippo (1467-1481)
- Rime volgari, XVII, v. 10 & 17 / XXXVI, v. 1 / CV, v. 7
Sera, Beatrice del
- Amor di virtù. Commedia in cinque atti (1548), atto IV, v. 98
Serdini, Simone (Il Saviozzo) (ca. 1360 –ca. 1420)
- Rime, 5, v. 23 / 14, v. 9 / 24, v. 21 / 35, v. 4 / 70, v. 2 / 72, v. 9 / 77, v. 60 / 87, v. 12 / 90, v. 7
Serravalle, Johannis de
- Inferno (1416-17), 4, 139-140
Settimello, Arrigo da
- Arrighetto ovvero Trattato contro all'avversità della fortuna (sec. XIV), libro IV (Elegia de
diverstitate fortunae), p. 254
380
INDICE ALFABETICO DI ORFEO NELLA LETTERATURA
Siena, Gerolamo da
- Le favole di Ovidi
Sigonio, Vicenzo
- La difesa per le donne, cap. 15, p. 130
Simintendi, Arrigo
-
Metamorfosi d'Ovidio volgarizzate (1333), libro II / libro X (10x) / libro XI (8x)
Sisgoreo, Giorgio
- Carmina, 1, 1, 23 / 2, 7, 5 / 2, 21, 8 / 2, 33, 18 / 3 ,2, 7
Spagnuolo, Baptista
- Egloghe, IV, 177-184 / Egloga IX, 212-219
Spirito Gualtieri, Lorenzo
-
Ovidio Metamorphoseos vulgare in terza rima (1519), libro XI
Sporeni, Giuseppe (ca. 1490-dopo 1562)
- Carmina, 1, 17, 241 / 2, 27, 186 / 2, 28, 84-85 / 2, 29, 196 / 4, 76, 5 / 4, 76, 13
Stampa, Gaspara (1523-1554)
- Rime, XXXI, v. 14 / II, CCLIX, v. 11
Straparola, Giovan Francesco (1480-1557)
- Le piacevoli notti, dedica
Strozzi, Tito Vespasiano
- Eroticon, 3, 4, 36 / 3, 12, 16 / 3, 12, 21 / 6, 10, 95 / 6, 10, 100
Summo, Faustino
- Discorso primo: Qual sia il fine della poesia in generale (1590 ca.), p. 157
Symeoni, Gabriello
-
La vita et Metamorfoseo d'Ovidio figurato & abbreuiato in forma d'Epigrammi, p. 134
Orfeo racquista & riperde la moglie Euridice 122 / p. 135 Eccellenza d'Orfeo nel
sonare & lamentarsi. 123 / p. 148 Orfeo vcciso dalle Baccanti. 136 / p. 149 La lyra & la
lingua d'Orfeo si lamentano, & il serpente è mutato in sasso. 137 / p. 201 / p. 229 / p.
232-33
Tansillo, Luigi (1510-1568)
- Canzoniere, I, capitolo 3, v. 43 & 68 / V, son.121, v. 3 / VII, son.339 (Per la morte di Delia),
v. 14
Tasso, Torquato
- Rinaldo (1562), canto VII, 85 / canto VIII, 3
- Rime (1567), 756, v. 38 / 1022, 19 / 1305, v. 7 / 1372, v. 14 / 1408, v. 5 / 1486, v. 100 / 1524,
v. 2
- Aminta (1573), atto I, scena 2
- Il Malpiglio II o del fuggir la moltitudine (1583-85), II, 100
- La Molza overo de l'Amore (1585/1586), 4
- Rogo amoroso (1588), v. 456 / v. 628
- Il Ficino overo de l'Arte (1592)
- Discorsi del poema eroico (1594), libro II, 4 (2x) / 14 / libro IV, 2 / libro V, 1 / libro VI, 39
- Intrichi d'amore (1598), atto III, scena 4, 4
381
APPENDICE I
Tebaldeo, Antonio (1463-1537)
- Rime, 46, v. 11 / 186 / 196, v. 9 / 202, v. 9 / 286 / 695 (estrav. A Vittoria Colonna), v. 8 / 44
(dubbia), v. 13
Tomitano, Bernardino
- Ragionamenti (1439)
Torelli, Pomponio
- Trattato della poesia lirica. Del perduto Academico Innominato (1594), lezion VII, p. 314
Toscanella, Orazio
- Precetti della poetica (1562), p. 565
Uberti, Fazio degli (1305/9-dopo 1369)
- Il Dittamondo (ca. 1347-1367), Libro 4, cap. 6, 47
Ugurgieri, Ciampolo di Meo degli
- L'Eneide di Virgilio volgarizzata nel buon secolo della lingua (1340), libro VI
Urbano VIII
- Poësis probis et piis documentis primaevo decori restituenda (ca. 1580)
- Ode a Clemente VIII
Valeriano, Pierio
- Amorum libri V (1549)
Valgulio, Carlo
- Prefazio alla Musica a Tito Pirrino di Plutarco
Valla, Lorenzo
- De vero falsoque bono, Liber I, cap. XXIII, 4
Valvasone, Erasmo da (-1593)
- Le rime, 10 / 16
Vannozzo, F. d. (1300-1400)
- Rime, 106, 13 (=131, 13 LIZ), v. 13? / 165, v. 9 / 2, 37
Varchi, Benedetto (1503-1565)
- Rime, 2, 19b (Lelio Bonsi), 14
Vasari, Giorgio
- Le Vite, vol. III, cap. 137, p. 428 / etc.?
Vecchi, Orazio (1540-1604/1550-1605)
- Fa una canzone senza note nere
Vegio, Matteo
- Vellus Aureum (1431), Liber I, v. 43
Vellutello, Alessandro
- Inferno (1544), 4, 139-140
Venuti, Comedio (1424-)
- Sonetti, CLIV
Verdelot, Philippe
- Madrigali a cinque (1535), libro I, Qual sarà mai sì miserabil canto (da: Poliziano)
382
INDICE ALFABETICO DI ORFEO NELLA LETTERATURA
Vergerio, Pier Paolo
- Epistolario (1395), LX. Giovanni da Ravenna a P.P. Vergerio, p. 138 / LXII. P.P. Vergerio a
Giovanni da Ravenna, p. 143
Verino, Ugolino (1438-1516)
- Carlias, liber III, vv. 53ff. / liber XV, v. 284-285 / app. 5, 365
- Epigrammata, 2, 12, 1
Veronese, Guarino
- Nuovi carmi, V, v. 25
- Epistolario, IV (1426)
- Carmina 12, 25 / 37, 1 / 47, 7-8
Vida, Marco Girolamo (1483-1566)
- L'arte poetica
Virgilio, Giovanni del
-
Allegorie librorum Ovidii Metamorphoseos prosaice ac metrice compilate (13221323), libro X / libro XI
- Egloga ad Mussatum, 131
Virgilio, Polidoro
- De inventoribus rerum (1499), Liber I, cap. V (De religionis origine...), 6 / cap. VI (Quis
primus literas invenerit...), 5 / cap. XIV (Quis primus musicam repererit...), 1 / cap. XV
(Qui primum instrumenta diversi generis invenerint...), 1-2 / cap. XVI (De originine
philosophiae...), 1 / Cap. XXI (De herbariae et medicamentariae atque melleae medicinae
inventoribus...), 8 / Cap. XXIV (De duobus divinandi generibus...), 6
Viterbo, Egidio da (1469?-1532)
- Libellus de litteris hebraicis, p. 23 / p. 40 / p. 42 / p. 50
- Scechina, (1469-1518). I, p. 75 (fol. 160v?) / p. 138 (fol. 179) / p. 176 (fol. 195) / p. 214
(fol.212) / II, p. 99 (fol. 257v) / p. 152 (fol. 279v)
- De ortu Domini
- Lettere familiari (1504), I, 119 (Egidius Antonio Zocholo S.D.)
Zarlino, Giuseppe
-
Orfeo ('Tragedia') (ca. 1580)
Zovenzoni, Raffaele
- Carmina varia, 6, 152 / 13, 15
- Istrias 1, 11, 10 / 1, 49, 7 / 1, 89, 4 / 2, 2, 4
Zuppardo, Matteo
- Alfonseis, 3, 227
383
384
APPENDICE II.
Elenco di presenze di Orfeo nelle arti visive941
MANOSCRITTI ILLUSTRATI
Anonimo fiorentino,
- La morte di Euridice, disegno nell’Ovidio Maggiore di Arrigo Simintendi, ca. 1370-80.
Firenze, Biblioteca Nazionale, MS Panciatichi 63, fol. 84v
- Orfeo e gli animali, disegno nell’Ovidio Maggiore di Arrigo Simintendi, ca. 1370-80.
Firenze, Biblioteca Nazionale, MS Panciatichi 63, fol. 86r
Anonimo (Italia del nord),
- Orfeo ucciso dalle mani delle Menadi, disegno nell’Ovidius Moralizatus, fine sec. XIV.
Bergamo, Biblioteca Civica Cassaf. 3.4, fol. 76v
- La morte di Euridice; Orfeo nell’Ade; Orfeo guarda indietro, disegno nell’Ovidius
Moralizatus, fine sec. XIV. Bergamo, Biblioteca Civica Cassaf. 3.4, fol. 108v
- Orfeo al monte di Rodope, disegno nell’Ovidius Moralizatus, fine sec. XIV. Bergamo,
Biblioteca Civica Cassaf. 3.4, fol. 109v
Anonimo Veronese (?),
- Orfeo, illustrazione in: Alberico, De deorum imaginibus libellus, ca. 1420. Città del
Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, MS. Reg.lat. 1290, fol. 5r
Anonimo italiano (veneziano?),
- La morte di Euridice, disegno in: Ovidio, Metamorfosi, sec. XIV o XV. Venezia, Biblioteca
Marciana, MS Lat. 2.449a (=1634), fol. 90v
- Orfeo è lacerato dalle Menadi, disegno in: Ovidio, Metamorfosi, sec. XIV o XV. Venezia,
Biblioteca Marciana, MS Lat. 2.449a (=1634), fol. 100r (iniziale)
Anonimo italiano,
- Euridice, disegno in: Ovidio, Metamorfosi, sec. XIV o XV. Firenze, Biblioteca Medicea
Laurenziana, Pl. XXXVI, 8, fol. 120v
- Orfeo suona il violino, disegno in: Ovidio, Metamorfosi, sec. XIV o XV. Firenze, Biblioteca
Medicea Laurenziana, Pl. XXXVI, 8, fol. 132v
Anonimo italiano,
- Orfeo, disegno in: Nozze di Pesaro, 1475-80. Roma, Biblioteca Apostolica Vaticana, MS
Urb. Lat. 899
Anonimo italiano (veneziano?),
- Orfeo e Mercurio, disegno, fine sec. XV. Oxford, Bodleian Library, MS Can. Class. Lat. 85,
fol. 2v
941
Questo elenco si basa in parte sugli elenchi di Scavizzi, op.cit, San Juan, op.cit. e Semmelrath, op.cit.
385
APPENDICE II
Leonardo da Besozzo,
- Orfeo e gli animali, illustrazione in: Cronica Universale, 1435-42. Prima nella Collezione
Norbio / Milano, Collezione Crespi
Anonimo fiorentino,
- Orfeo, illustrazione nella cronaca Cockerell, 1440-50. Collezione Cockerell
Finiguerra, Maso (attribuito a),
- Orfeo e gli animali, illustrazione in: Cronica fiorentina illustrata (Florentine Picture
Chronicle), 1460-70. London, British Museum, Department of Prints and Drawings, fol.
XXVIII-XXIX
AFFRESCHI
Mantegna, Andrea (1430/31-1506),
- Orfeo e gli animali, affresco/grisaille, ca. 1464/70-74. Mantova, Palazzo Ducale, Camera
degli Sposi (Camera Picta), soffitto
- Orfeo nell’Ade, affresco/grisaille, ca. 1464/70-74. Mantova, Palazzo Ducale, Camera degli
Sposi (Camera Picta), soffitto
- La morte di Orfeo, affresco/grisaille, ca. 1464/70-74. Mantova, Palazzo Ducale, Camera
degli Sposi (Camera Picta), soffitto
- La morte di Orfeo, disegno o incisione (perso)
Mantegna, Francesco
- Storie di Orfeo, affreschi, 1494. Marmirolo, Palazzo di Marmirolo (perso)
Signorelli, Luca (1441-1523),
- Orfeo suona per Plutone e Proserpina / Orfeo nell’Ade, affresco/grisaille, 1499-1502/3.
Orvieto, Duomo (Santa Maria Assunta), Cappella di S. Brizio
- I demoni afferrano Euridice / Orfeo si volge verso Euridice, affresco/grisaille, 1499-1502/3.
Orvieto, Duomo (Santa Maria Assunta), Cappella di S. Brizio
Peruzzi, Baldassare Tommaso,
- Orfeo e gli animali; Orfeo ed Euridice; Morte di Orfeo, affresco, ca. 1509-10. Roma, Villa
Farnesina, Sala del Fregio
- Orfeo (Lira), affresco, 1510-11. Roma, Villa Farnesina, Sala della Galatea, soffitto
Anonimo veneziano,
- Scene della vita di Orfeo (Orfeo e gli animali; Orfeo nell’Ade; Orfeo e Plutone; morte di
Orfeo), ciclo di affreschi, sec. XVI. Sabbioneta, Palazzo del Giardino, Corridoio di Orfeo
Carracci, Annibale,
- Orfeo ed Euridice, affresco, ca. 1600. Roma, Palazzo Farnese, Galleria dei Carracci
Anonimo,
- Storie di Orfeo, affreschi e stucchi, ca. 1600. Mantova, Palazzo Ducale, Corte nuova,
Studio/Camerino d’Orfeo
Primaticcio, Francesco (1504-1570),
- Orfeo, affresco, ca. 1570. Fontainebleau, Galerie d’Ulysse (perso)
386
ELENCO DI PRESENZE DI ORFEO NELLE ARTI VISIVE
Romano, Giulio
- Orfeo nell’Ade, affresco/affreschi, 1527-29. Mantova, Palazzo del Te, Sala delle
Metamorfosi
Anonimo (Giulio Romano?)
- La morte di Euridice & Orfeo e gli animali. Mantova, Palazzo Te, Loggia delle Muse, parete
centrale
Bottega di Luzio Romano
- Orfeo cantante tra gli animali feroci, affresco, 1544-45. Roma, Castel Sant’Angelo, Sala dei
Festoni
- Euridice negli Inferi, affresco, 1544, 45. Roma, Castel Sant’Angelo, Sala dei Festoni
Perino del Vaga / Domenico Zaga / Pellegrino Tibaldi / Giacomo da Faenza
- Orfeo e gli animali, affresco, 1547-48. Roma, Castel Sant’Angelo, Sala di Apollo
SCULTURA
Robbia, Luca della,
- Musica (Orfeo), rilievo di marmora, 1437-39. Firenze, Museo dell’Opera del Duomo, Sala
delle Formelle del Campanile (prima: Campanile del Duomo)
Bertoldo di Giovanni,
- Orfeo (o Apollo?), statuetta di bronzo, 1470/85-90. Firenze, Museo Nazionale del Bargello,
no. Bronzi 349
Bandinelli, Baccio (1493-1560)
- Orfeo, statua di marmora, 1516-17. Firenze, Palazzo Medici-Riccardi, cortile
- Orfeo, statua perduta
Mosca, Giovanni Maria (?),
- Euridice, rilievo di marmora, 1515-22. New York, prima nella Pierpont Morgan Collection
Rovezzano, Benedetto da
- piedistallo per la statua di Orfeo di Bandinelli, 1519?. Firenze, Palazzo Medici-Riccardi,
cortile
Camilliani, Francesco,
- Orfeo e Cerbero, dettaglio di fontana, 1554-55. Palermo, Piazza Pretoria, Fontana Pretoria
Stati, C.,
- Orfeo suonando di fronte a Plutone, scultura per il Palazzo Corsi a Firenze, ca. 1600. New
York, Metropolitan Museum
Riccio, Andrea (ca. 1470-1532)
- Orfeo, scultura di bronzo. Parigi, Musée National du Louvre
Francavilla, Pietro (1546/53-1615)
- Orfeo. Paris, Louvre
387
APPENDICE II
DISEGNI
Marco Zoppo,
- La morte di Orfeo, disegno (in albo con 50 disegni), ca. 1470. London, British Museum,
Department of Prints and Drawings, no. 1920-2-14-1, 21r
- Orfeo e gli animali, disegno, ca. 1460. Paris, Bibliothèque Nationale, Latin 11309, fol. 4v
Anonimo fiorentino,
- Orfeo, disegno, 1475-1500. London, British Museum, Department of Prints and Drawings,
no. 1946-7-13-209
Pollaiolo, A. del (cerchia di),
- Orfeo, disegno, 1480-1500. Torino, Biblioteca Reale
Francesco del Cossa (?) (ca. 1435-1477),
- Orfeo e gli animali, disegno, 22 x 15 cm, ca. 1470. Firenze, Galleria degli Uffizi, Gabinetto
dei Disegni e delle Stampe, no. 1394 E
Cima da Conegliano (ca. 1459-1517/8)
- Orfeo, disegno con penna e acquerello, 25 x 20 cm, ca. 1510. Firenze, Galleria degli Uffizi,
no. 1680
Cambiaso, L. (-1585),
- Orfeo, disegno. Firenze, Galleria degli Uffizi, Gabinetto dei Disegni e delle Stampe,
Salv(i)ati, Francesco (-1563),
- Orfeo, disegno. Firenze, Galleria degli Uffizi, Gabinetto dei Disegni e delle Stampe, no.
1092
Stradano, G. (-1605) (anche attribuito a S. Scorza),
- Orfeo e gli animali, disegno. Firenze, Galleria degli Uffizi, Gabinetto dei Disegni e delle
Stampe,
Vasari, Giorgio (-1574)
- Orfeo, disegno a matita nera e leggero acquerello. Firenze, Galleria degli Uffizi, Gabinetto
dei Disegni e delle Stampe, no. 2722, F
- Orfeo, disegno a matita nera e acquerello. Firenze, Biblioteca Nazionale, 31 (C.B.3.53) NZ
Anonimo romano,
- Orfeo e gli animali, disegno, sec. XVI. Paris, Musée National du Louvre
Anonimo romano,
- Orfeo ed Euridice, disegno, sec. XVI. Paris, Musée National du Louvre, Département des
Arts Graphiques, 3673
Boscoli, A. (-1606),
- Morte di Orfeo, disegno. Napoli, Museo di S. Martino
Cerchia di Giulio Romano,
- La storia di Euridice, disegno per arazzo, ca. 1510. Prima a Milano, Collezione Dubini
Campagnola, Domenico (seguace) (1517-62),
- Le ninfe piangono della morte di Orfeo, disegno. Stuttgart, Staatsgalerie, Graphische
Sammlung, C 90/3781
388
ELENCO DI PRESENZE DI ORFEO NELLE ARTI VISIVE
Alberti, Cherubino (attribuito a),
- Orfeo, disegno dell’Orfeo di Bandinelli con penna e bistro, 43 x 29 cm. Firenze, Galleria
degli Uffizi, Gabinetto dei Disegni e delle Stampe, no. 939695, carta 21r
Parmigianino (1503-1540),
- Morte di Orfeo, disegno. Melbourne, National Gallery of Victoria
Leonardo da Vinci,
- Aristeo insegue Euridice, disegno, 1506-08. Windsor. Royal Library
- Studi per l’allestimento della Fabula di Orfeo, ca. 1506-08. Londra, British Library, Codice
Arundel 263, ff. 231v (a sinistra) e 224r (a destra)
Ripanda, Jacopo (Jacopo di Bologna)
- La morte di Orfeo, disegno, 1516. Lille, Musée Wicar
- Orfeo e gli animali, disegno. Lille, Musée Wicar
Romano, Giulio
- La morte di Orfeo, disegno. Paris, Musée du Louvre, Cabinet des Dessins, no. 3294
- Orfeo e gli animali, disegno. Wien, Akademie der bildenden Künste, no. 3671
- Orfeo nell’Ade, disegno. Paris, Musée du Louvre, Département des Arts Graphiques, RF
508
- Orfeo cerca di liberare Euridice dall’Ade, disegno. London, Sotheby’s, nr. 5
- Orfeo ed Euridice, disegno. Prima: Bremen, Kunsthalle, no. 37/695 (perso)
Bassano, Francesco (1540-1592)
- Orfeo e gli animali, acquerello e biacca, 60 x 46 cm. Firenze, Galleria degli Uffizi, Gabinetto
dei Disegni e delle Stampe, no. 12815F
Strada, Jacopo
- Atrio delle Muse (Palazzo Te) con Orfeo ed Euridice, disegno, 1567-1568.
INCISIONI E NIELLI
Anonimo (nord dell’Italia),
- La morte di Orfeo, incisione, 1470-80. Hamburg, Kunsthalle, Graphische Sammlung
Pellegrino (o Peregrino) da Cesena (fl. ca. 1490-1520)
- Orfeo e gli animali, niello, inizio sec. XVI. London, British Museum
- Orfeo e gli animali, niello, inizio sec. XVI. London, British Museum
- Orfeo e gli animali, niello, fine sec. XV. New York, Metropolitan Museum of Art, Harris
Brisbane Dick Fund, 28.97.99
Francia, Francesco
- Orfeo e gli animali, niello, ca. 1490
Nicoletto da Modena (fl. 1500-1512)
- Orfeo e gli animali, incisione, inizio sec. XVI. (Bartsch 25 (I), 53)
- Orfeo e gli animali, incisione, inizio sec. XVI. (Bartsch 25 (C), 2508.028)
- Orfeo e gli animali, incisione ornamentale, prima di 1512 (Bartsch 25 (I), 54)
- Pannello ornamentale con Orfeo e il giudizio di Paride, incisione, ca. 1507, Washington
D.C., National Gallery of Art, Rosenwald Collection, 1943.3.7415
389
APPENDICE II
Pannello ornamentale con Orfeo e il giudizio di Paride, incisione, ca. 1507, Washington
D.C., National Gallery of Art, Rosenwald Collection, 1945.1.4
Montagna, Benedetto (due incisioni o tre?)
- Orfeo e gli animali, incisione, ca. 1505-10. (Bartsch 25, 25)
- Orfeo e gli animali, incisione, ca. 1510-20. (Hind, Bd 1, fig. 22)
Marcantonio Raimondi (ca. 1480-1527/34)
- Orfeo e gli animali, incisione, ca. 1506-09. (Bartsch 14, 314)
- Orfeo ed Euridice, incisione, ca. 1505-06. New York, Metropolitan Museum of Art, Elisha
Whittelsey Collection, 56.581.12 (Bartsch 14, 282)
- Orfeo ed Euridice, incisione, ca. 1507-08. Washington D.C., National Gallery of Art,
1941.1.65 (Bartsch 14, 295)
- Euridice, incisione, sec. XVI. (Bartsch 14, 295)
- Euridice, incisione, sec. XVI. (Bartsch 14, 262)
Agostino Veneziano (Agostino dei Musi) (ca. 1490-1536),
- Orfeo nell’Ade, incisione, 1528. Washington D.C., National Gallery of Art, Rosenwald
Collection, 1954.12.37 (Bartsch 14, 259)
Marco da Ravenna (-1527),
- Euridice parte dall’Ade, incisione (Bartsch 14, 262)
Anonimo,
- Euridice parte dall’Ade, incisione (Bartsch 14, 262)
Anonimo Veneziano,
- Orfeo e gli animali, incisione, 1558. Firenze, Galleria degli Uffizi, vol. 10169
Carracci, Agostino (1557-1602)
- Orfeo ed Euridice, incisione, ca. 1590-95. New York, Metropolitan Museum of Art,
17.37.170
-
CASSONI
Biagio di Antonio (fl. 1472),
- Storia degli Argonauti, cassone, ca. 1470. New York, Metropolitan Museum of Art,
Collezione Pierpont Morgan, 09.136.1 (Schubring 297)
Maestro degli Argonauti
- Storia degli Argonauti, cassone, ca. 1465. New York, Metropolitan Museum of Art,
Collezione Pierpont Morgan, 09.136.2 (Schubring 296)
Maestro di Stratonice (Michele Ciampanti),
- Storia di Orfeo ed Euridice, cassone?, ca. 1510. Ubicazione sconosciuta (Berenson II, ill.
836)
Anonimo veronese,
- Il viaggio degli Argonauti, cassone, ca. 1480. Verona, Museo Civico, no. 1135 (Schubring
669)
390
ELENCO DI PRESENZE DI ORFEO NELLE ARTI VISIVE
Anonimo fiorentino (Biagio di Antonio?),
- L’incontro tra Giasone e Medea con Orfeo e gli altri eroi, cassone, ca. 1486. Paris, Musée
des Arts Décoratifs (Schubring 349)
Sellaio, Jacopo del (attribuito a)
- Orfeo, Euridice e Aristeo, olio su tavola, 1,74m x 0,57m, ca. 1480-90. Rotterdam, Museum
Boymans-van Beuningen, no. 2563 (Schubring 357)
- Orfeo e gli animali, olio su tavola, 1,74m x 0,57m, ca. 1480-90. Krakóv, Pánstwowe Zbiory
Sztuki na Wawelu, no. 7934 (Schubring 359)
- Orfeo e Plutone/Orfeo nell’Ade, olio su tavola, 1,79m x 0,57m, ca. 1480-90. Kiev, Museo di
Arte Occidentale e Orientale, no. Ж K 115 (Schubring 358)
Anonimo Senese (?)
- Scene dalla ‘Festa d’Orfeo’ di Poliziano, ca. 1500. Venezia, Fondazione Cini
Fungai, Bernardino / Carrari Baldassare / Anonimo Toscano (attribuito a)
- Euridice e le ninfe, cassone?, 1500-1510. Paris, Collection Spiridon (prima) (Schubring 547)
- Euridice e Aristeo, cassone?, 1500-1510. Paris, Musée des Arts Décoratifs, no. 343
(Schubring 548)
- La lamentazione di Euridice, cassone?, 1500-1510. Dublin, Murnaghan Collection
(Schubring 948)
- Orfeo porta Euridice dall’Ade, cassone?, 1500-1510. Berlin, collezione privata
Anonimo toscano,
- Orfeo, cassone, sec. XVI. Aix-en-Provence, Musée Granet
PLACCHETTE DI BRONZO
Maestro della leggenda di Orfeo (prima attribuito a Bertoldo)
- Orfeo ed Euridice di fronte a Plutone, placchetta di bronzo, fine sec. XV. Washington D.C.,
National Gallery of Art, Samuel H. Kress Collection, 1957.14.233
- Orfeo e gli animali, placchetta di bronzo, fine sec. XV. Washington D.C., National Gallery
of Art, Samuel H. Kress Collection, 1957.14.234
- La morte di Orfeo, placchetta di bronzo, fine sec. XV. Washington D.C., National Gallery
of Art, Samuel H. Kress Collection, 1957.14.235
- Orfeo suona la lira, placchetta di bronzo, fine sec. XV. Wien, Kunsthistorisches Museum,
Sammlung für Plastik und Kunstgewerbe, KK 7736
Anonimo (nord dell’Italia)
- Orfeo e gli animali, placchetta, ca. 1500. Ravenna, Museo Nazionale, 10717
Moderno
- (attrib.) Orfeo scende nell’Ade, placchetta di bronzo, fine sec. XV-inizio sec. XVI.
Washington D.C., National Gallery of Art, Samuel H. Kress Collection, 1957.14.330
- Orfeo riporta Euridice, placchetta di bronzo, fine sec. XV-inizio sec. XVI. Washington
D.C., National Gallery of Art, Samuel H. Kress Collection, 1957.14.331
- (attrib.) Orfeo perde Euridice, placchetta di bronzo, fine sec. XV-inizio sec. XVI.
Washington D.C., National Gallery of Art, Samuel H. Kress Collection, 1957.14.332
391
APPENDICE II
Orfeo incanti gli animali campestri, placchetta di bronzo, fine sec. XV-inizio sec. XVI.
Washington D.C., National Gallery of Art, Samuel H. Kress Collection, 1957.14.333
- (attrib.) Orfeo e gli animali, placchetta di bronzo, fine sec. XV-inizio sec. XVI. Washington
D.C., National Gallery of Art, Widener Collection, 1942.9.248
- (attrib.) La morte di Orfeo, placchetta di bronzo, fine sec. XV-inizio sec. XVI. Washington
D.C., National Gallery of Art, Samuel H. Kress Collection, 1957.14.334
- La morte di Orfeo, placchetta di bronzo, inizio sec. XVI. Firenze, Bargello
Pseudo-Melioli,
- Orfeo e gli animali, placchetta di bronzo, fine sec. XV-inizio sec. XVI. Washington D.C.,
National Gallery of Art, Samuel H. Kress Collection, 1957.14.206
Anonimo milanese
- Orfeo incanta gli animali con l’arpa, placchetta, 1480-90. London, Victoria and Albert
Museum, A462.1910
- Orfeo incanta gli animali con la lira da braccio, placchetta, 1480-90. London, Victoria and
Albert Museum, A462.1910
Anonimo italiano del nord,
- Orfeo e gli animali, placchetta d’oro, 1490-1500. London, Victoria and Albert Museum,
76.1904
Anonimo
- La morte di Orfeo, placchetta di piombo, 2a metà sec. XVI.
-
MAIOLICA
Nicola da Urbino / Timoteo della Vite / Francia (attribuito a)
- Euridice e Aristeo, piatto, 1515-17. Venezia, Museo Correr
- Orfeo e Caronte, piatto, 1515-17. Venezia, Museo Correr
- Orfeo ed Euridice nell’Ade, piatto, 1515-17. Venezia, Museo Correr
- Orfeo e gli animali, piatto, 1515-17. Venezia, Museo Correr
- La morte di Orfeo, piatto, 1515-17. Venezia, Museo Correr
Xanto Avelli da Rovigo, Francesco
- Orfeo nell’Ade, terrina, 1532. London, Wallace Collection
Anonimo (Urbino)
- Orfeo sente della morte di Euridice, piatto, 1545. London, British Museum, MLA 1878, 1230, 441
Anonimo (Urbino)
- Orfeo e gli animali con Cupido, piatto, ca. 1525-30. London, collezione privata
Anonimo italiano
- Orfeo suona la lira, brocca, 1540. London, Victoria and Albert Museum
Anonimo (Urbino / Studio di Fontana),
- Orfeo e gli animali, piatto, ca. 1565. London, Victoria and Albert Museum
392
ELENCO DI PRESENZE DI ORFEO NELLE ARTI VISIVE
Anonimo (Deruta)
- Orfeo e gli animali con Amore, piatto, inizio sec. XVI. Paris, Musée du Louvre, no. OA
1629
Anonimo (Deruta)
- Orfeo e gli animali con Euridice e Amore, piatto, inizio sec. XVI. Lyon, Musée des Arts
Décoratifs
Anonimo (Deruta)
- Orfeo porta Euridice dall’Ade con animali, piatto, inizio sec. XVI. Paris, Musée de Cluny,
no. 2424
Anonimo (Deruta)
- Orfeo porta Euridice dall’Ade, piatto, inizio sec. XVI. Paris, Musée du Louvre, no. OA 1726
Anonimo (Faenza)
- Orfeo si volge ed Euridice è tirata nell’Ade, piatto, ca. 1535.
XILOGRAFIE
Edizioni della Fabula di Orfeo di Poliziano
Anonimo
- Orfeo e gli animali, xilografia in: Poliziano, Cose vulgare, Bologna, 1494.
- Aristeo insegue Euridice, xilografia in: Poliziano, Cose vulgare, Bologna, 1494.
- Aristeo e gli altri pastori, xilografia in: Poliziano, Cose vulgare, Bologna, 1494.
- Orfeo entra l’Ade, xilografia in: Poliziano, Cose vulgare, Bologna, 1494.
- Orfeo disarcionato da una baccante(?) infuriata, xilografia in: Poliziano, Cose vulgare,
Bologna, 1494.
- Riunione di Orfeo ed Euridice, xilografia in: Poliziano, Cose vulgare, Bologna, 1494. (Sander
5815)
Anonimo
- Il matrimonio di Orfeo ed Euridice, illustrazione per la Historia di Orpheo et Euridice,
Firenze, ca. 1500-1510
- Aristeo ed Euridice, illustrazione per la Historia di Orpheo et Euridice, Firenze, ca. 15001510
- Orfeo e gli animali, illustrazione per la Historia di Orpheo et Euridice, Firenze, ca. 15001510
- Morte di Orfeo, illustrazione per la Historia di Orpheo et Euridice, Firenze, ca. 1500-1510.
(Sander 5219)
Cantari
Anonimo,
- Orfeo sta per suonare la lira da braccio, xilografia in: La Istoria & favola di Orfeo, Siena, ca.
1510-20 (Sander 5220)
393
APPENDICE II
Anonimo,
- Un uomo (Orfeo?) suona per cani e uomini, xilografia, 72 x 118 mm, in: La Historia et
favola d’Orfeo, per Jacopo Privio da Villa Basilica, [Firenze] (Sander 5221)
Anonimo,
- Orfeo suona per gli animali, xilografia, 104 x 76 mm, in: La historia de Orpheo, [Roma]
(Sander 5222)
Anonimo,
- Orfeo e Cerbero, xilografia, 83 x 112 mm, in: Historia de Orpheo, Venezia, Fr. Bindoni &
M. Pasini, 1550 (Sander 5223) (imitazione/copia di Justiniano, Sventurato Pellegrino, 1506)
Anonimo,
- Orfeo suona il violino per quattro donne e un cane, xilografia in: La historia et favola di
Orpheo, Firenze, presso al Vescovado, 1558 (Sander 5224)
Anonimo,
- Orfeo suona il violino per uomini e cani, xilografia in: La historia et favola d’Orpheo, presso
al Vescovado, 1567 [e 1569] (Sander 5225)
- Altre edizioni della stessa opera: Firenze, Lorenzo Arnesi, 1581; Firenze, 1583; Firenze, Alla
Scale di badia, 1610 (altra xilografia, 72 x 118 mm); Firenze, Ad istanza di Iacopo Perini,
s.a.; e.a. (Sander 5225)
Anonimo,
- Orfeo suona per gli animali, xilografia, 110 x 122 mm, in: Tractato de Orpheo fiol del sole et
de Euridice sua sposa, Firenze, ca. 1500 (Sander 5226)
Anonimo,
- Orfeo suona per gli animali e gli abitanti dell’Ade, xilografia, 125 x 113 mm, in: Tractato de
Orpheo fiolo del sole e de Euridice sua sposa, Firenze (?), ca. 1520 (Sander 5227)
Altri testi
Anonimo,
- Orfeo e Cerbero alla porta dell’Ade, xilografia, 107 x 114 mm, in: Leonardo Justiniano,
Canzonette e Strambotti d’Amore, Venezia, Melchior Sessa, 1506 (Sander 3701)
Anonimo,
- Orfeo porta Euridice dall’Ade (copia di Marcantonio Raimondi), xilografia, 91 x 71 mm, in:
Baldassare Olympo da Sassoferrato, Ardelia, Venezia, Nicolo Zoppino e Vicenzo de Polo,
1522 (Sander 5132)
Anonimo,
- Orfeo suona per gli abitanti dell’Ade, illustrazione per: Pamphilo Sasso, Strambotti,
Venezia, 1522 (Sander 6752)
Anonimo,
- Orfeo e gli animali, illustrazione per: Luigi Pulci, Strambotti e Fioretti Nobilissimi d’amore,
Venezia, ca. 1510 (Sander 6055)
394
ELENCO DI PRESENZE DI ORFEO NELLE ARTI VISIVE
Edizioni delle Metamorfosi di Ovidio
Giovanni dei Bonsignori
Anonimo Veneziano
- Matrimonio di Orfeo ed Euridice, xilografia in Giovanni dei Bonsignori, Ovidio
Metamorphoseos vulgare, Venezia, Giovanni Rosso, 1497
- Orfeo e gli animali, xilografia in Giovanni dei Bonsignori, Ovidio Metamorphoseos vulgare,
Venezia, Giovanni Rosso, 1497
- La morte di Orfeo, xilografia in Giovanni dei Bonsignori, Ovidio Metamorphoseos vulgare,
Venezia, Giovanni Rosso, 1497 (Sander 5330)
(idem nelle edizioni del 1501; 1508; 1517 (immagine speculare; secondo Sander copie
dell’edizione latina del 1517)
Anonimo,
- Matrimonio di Orfeo ed Euridice, xilografia in Giovanni dei Bonsignori, Ovidio
Metamorphoseos vulgare, Milano, Al. Minutianus, 1519
- Orfeo e gli animali, xilografia in Giovanni dei Bonsignori, Ovidio Metamorphoseos vulgare,
Milano, Al. Minutianus, 1519
- La morte di Orfeo, xilografia in Giovanni dei Bonsignori, Ovidio Metamorphoseos vulgare,
Milano, Al. Minutianus, 1519
(copie indirette dell’edizione del 1497)
Anonimo,
- Matrimonio di Orfeo ed Euridice, xilografia in Giovanni dei Bonsignori, Ovidio
Metamorphoseos vulgare, Milano, Rocho & Fratello da Valle, 1520
- Orfeo e gli animali, xilografia in Giovanni dei Bonsignori, Ovidio Metamorphoseos vulgare,
Milano, Rocho & Fratello da Valle, 1520
- La morte di Orfeo, xilografia in Giovanni dei Bonsignori, Ovidio Metamorphoseos vulgare,
Milano, Rocho & Fratello da Valle, 1520
(copie indirette dell’edizione del 1497)
Edizione latina di Raffaele Regio
Anonimo Veneziano
- Matrimonio di Orfeo ed Euridice, xilografia per le Metamorfosi di Ovidio, stampate da
Rusconi, 1509 (1510, 1517). / 1521
- Orfeo suonando di fronte agli animali, xilografia per le Metamorfosi di Ovidio, stampate da
Rusconi, 1509 (1510, 1517). / 1521
- Morte di Orfeo, xilografia per le Metamorfosi di Ovidio, stampate da Rusconi, 1509 (1510,
1517). / 1521
Lorenzo Spirito
Anonimo,
- La morte di Orfeo, xilografia in: Lorenzo Spirito Gualtieri, Ovidio Metamorphoseos vulgare
in terza rima, Perugia, Hieronimo di Franc. Cartolaro & Bianchino del Leone, 1519
395
APPENDICE II
-
Le baccanti si trasformano in alberi, xilografia in: Lorenzo Spirito Gualtieri, Ovidio
Metamorphoseos vulgare in terza rima, Perugia, Hieronimo di Franc. Cartolaro &
Bianchino del Leone, 1519
Nicolò degli Agostini
Anonimo,
- Orfeo nell’Ade, xilografia in: Nicolò degli Agostini, Ovidio Metamorphoseos in verso vulgar,
Venezia, N. Zoppino, 1522
- Canto di Orpheo, xilografia in: Nicolò degli Agostini, Ovidio Metamorphoseos in verso
vulgar, Venezia, N. Zoppino, 1522
(idem nella seconda edizione del 1533; nella terza edizione del 1537; nella quinta edizione
del 1547)
Anonimo,
- Orfeo nell’Ade, xilografia in: Nicolò degli Agostini, Ovidio Metamorphoseos in verso vulgar,
Venezia, Bernard. Bindoni, 1538
- Canto di Orpheo, xilografia in: Nicolò degli Agostini, Ovidio Metamorphoseos in verso
vulgar, Venezia, Bernard. Bindoni, 1538
(idem nella sesta e ultima edizione del 1548)
Ludovico Dolce
Anonimo,
- Matrimonio di Orfeo ed Euridice, xilografia in: Lodovico Dolce, Trasformationi, Venezia,
Gabriel Giolito, 1553
- Orfeo e gli animali, xilografia in: Lodovico Dolce, Trasformationi, Venezia, Gabriel Giolito,
1553
- Morte di Orfeo, xilografia in: Lodovico Dolce, Trasformationi, Venezia, Gabriel Giolito,
1553
(idem nelle edizioni del 15532; 1555; 1557; 1558?; 1561; qualche volta con una cornice
diversa)
Giovan Andrea dell’Anguillara
Anonimo,
- Orfeo suona la lira da braccio mentre due donne si avvicinano, xilografia in: Giovan Andrea
dell’Anguillara, Le Metamorfosi ridotte in ottava rima, Venezia, Giovanni Griffio, 1561
- La morte di Orfeo, xilografia in: Giovan Andrea dell’Anguillara, Le Metamorfosi ridotte in
ottava rima, Venezia, Giovanni Griffio, 1561
Franco, Giacomo
- Scene dalle Metamorfosi libro X con Orfeo, incisione su rame in: Giovan Andrea
dell’Anguillara, Le Metamorfosi ridotte in ottava rima, Venezia, B. Giunti, 1584
- Scene dalle Metamorfosi libro XI con Orfeo, incisione su rame in: Giovan Andrea
dell’Anguillara, Le Metamorfosi ridotte in ottava rima, Venezia, B. Giunti, 1584
(copie si trovano nelle edizioni del 1592, 1601, 1607 e 1677)
396
ELENCO DI PRESENZE DI ORFEO NELLE ARTI VISIVE
DIPINTI
Perugino, P. (scuola di),
- Orfeo ed Euridice, dipinto, ca. 1500.
Costa, Lorenzo (-1535)
- Cosmos e gli altri dei con Orfeo, quadro a tempera, 1506-12. Paris, Musée du Louvre, no.
1262 o 1256
- La corte delle Muse di Isabella d’Este con Orfeo (?), pittura, ca. 1505. Paris, Musée du
Louvre, no. 1261
- Trionfo della morte con Orfeo (?), affresco. Bologna, S. Petronio, Cappella di Bentivoglio
Bellini, Giovanni (cerchia di)
- Orfeo e Circe, pittura a olio e tempera, ca. 1500-10 of 1510/15. Washington D.C., National
Gallery of Art, Widener Collection, 1942.9.2 (no. 592)
Tiziano Vecellio
- (Orfeo e) Euridice, pittura a olio, ca. 1508-10. Bergamo, Galleria dell’Accademia Carrara,
no. 205
- La lacerazione di Marsia con Orfeo e altre figure mitologiche, pittura a olio, ca. 1570-75.
Kremsier, Erzbischöflicher Palais
Anonimo Veneziano (Vittore Carpaccio o Girolamo Mocetto) / Michele da Verona
- Orfeo, pittura a olio, ca. 1500. Krakóv, Wawel (già: Wien, Collezione Lanckoronski)
Piero di Cosimo
- Orfeo e gli animali, pittura a olio su legno, 1510-15. Collezione Sternberk, no. ST 206
Giorgione (-1510)
- Orfeo, copia da David Teniers, prima a New York, Suida Collection (perso)
- Orfeo nell’Ade (perso)
- Lukas Vorsterman: imitazione di Giorgione, Orfeo, incisione, originale ca. 1509/10
Bronzino, Angelo (1503-1572)
- Cosimo I de’ Medici come Orfeo, pittura a olio, 1537-40. Philadelphia Museum of Art,
Johnson Collection
Tintoretto, Jacopo
- Orfeo e Plutone, pittura a olio, 1540-41. Modena, Galleria Estense
Giovanni, Giorgio di,
- Orfeo e gli animali, pittura, ca. 1530-35. Praga?
Bonifacio Veronese (1487-ca. 1553),
- Il trionfo dell’Amore (con Orfeo), dipinto?. Wien, Museo Imperiale?
Schiavone, Andrea,
- Orfeo nell’Ade, pittura a olio. Split, Kunstgalerie/Galleria Unijetnina
Bassano, Francesco (-1592)
- Orfeo, pittura a olio. Roma, Galleria Doria Pamphilj, no. 5367 o 125
- Orfeo e gli animali, pittura a olio, ca. 1590. Vicenza, Pinacoteca
- (?) Orfeo e gli animali, pittura a olio 99x140 cm.
- (?) Orfeo e gli animali, pittura a olio 40x108 cm.
397
APPENDICE II
- (Atelier di Francesco jr.) Orfeo e gli animali, pittura a olio 120x155 cm.
Nicolò dell’Abate,
- Aristeo ed Euridice, pittura, ca. 1560-70. London, National Gallery
Anonimo veneziano,
- Orfeo e gli animali, pittura a olio, ca. 1575. Madrid, Prado
Carracci, Ludovico
- Orfeo ed Euridice, pittura. New York, Sotheby’s, nr. 117 (30-01-1998)
Scuola veneziana
- Orfeo, pittura, sec. XVI, London, Wellington Museum
Luini, B. (?) (-1532),
- Orfeo ed Euridice, due episodi, pittura. Prima nella Collezione Somzée
Romano, Giulio
- (?)La morte di Euridice, pittura a olio, 1536-38. Sestri Levante, Collezione Ferdinando Rizzi
ALTRO
Anonimo (nord dell’Italia)
- Orfeo e gli animali, scatola d’argento, ca. 1500
Francesco di Giorgio (Martini)
- Adamo (ossia Orfeo?) e gli animali, intarsio di marmora, ca. 1488 o 1491-1500. Siena,
Chiesa di San Domenico, Cappella di Catarina
Cellini, Benvenuto (1515-71) (?)
- Orfeo, piatto argenteo dei Medici. Firenze, Palazzo Pitti, Museo degli Argenti
Anonimo
- Orfeo (dettaglio di organo idraulico). Tivoli, Villa d’Este, organo idraulico
Nigrone, Giovanni Antonio
- Fontana murale con musicista (Orfeo?), disegno nel libro Scritti e disegni?, ca. 1590. Napoli,
Biblioteca Nazionale MS. XII. G. 59-60
- Fontana murale con Orfeo e gli animali, disegno nel libro Scritti e disegni?, ca. 1590. Napoli,
Biblioteca Nazionale MS. XII. G. 59-60
Seguace dei fratelli Dossi
- Orfeo e gli animali, ca. 1520. Luzern, Fischer Collection
Anonimo (Italia settentrionale)
- Campanello da tavola con Orfeo, bronzo, inizio sec. XVI. Washington D.C., National
Gallery of Art, Samuel H. Kress Collection, 1957.14.117
Anonimo (Italia settentrionale)
- Campanello con Orfeo, bronzo a patina scura cesellato, sec. XVI. Venezia, Museo Correr,
sala 20, inv. Cl. XI n. 1311
398
APPENDICE III.
Paragone della Fabula di Orfeo e delle sue imitazioni (ad cap. 4)
Poliziano, Fabula di
Anonimo, Orphei
Anonimo, La favola di Anonimo, La historia
Orfeo (ca. 1471-80 /
Tragoedia (ca. 1485?)
Orfeo e Aristeo (fine
et favola d’Orpheo
1a edizione a stampa
sec. XV / inizio sec.
(1567)
1494)
XVI)
(rappresentazione
teatrale senza
divisione in atti; 342
versi)
(rappresentazione
teatrale in 5 atti;
(rappresentazione
teatrale in 5 atti; 1456
versi)
(cantare in ottava rima;
narrativo; 768 versi, 96
ottave)
Riassunto della storia
da parte di Mercurio
Argumentum:
Riassunto della storia
da parte di Mercurio
(imitazione quasi
letterale)
Atto I: racconto di
Mercurio sull’amore
paterno. Apollo chiede
in dono a Mercurio la
cetra per suo figlio
Orfeo; il pastore Silio
racconta che Orfeo
incanta la natura con la
lira ed insegna alle
donne di sacrificare a
Bacco; Orfeo persuade
Diana con la sua musica
a dargli Euridice come
moglie; canto nuziale
per Orfeo ed Euridice
(aggiunta)
I-II: Riassunto della
storia da parte del
narratore
(imitazione letterale)
Atto II: Scena pastorale
(Mopso, Aristeo,
Thirso)
Mopso si compiange di
aver mangiato troppo
alle nozze; discorso su
vitello perduto;
(adattamento/imitazion
e letterale)
III-XVII: Invocazione di
Cristo e Apollo.
Descrizione della
discendenza di Orfeo
da Apollo e Calliope;
Orfeo impara a suonare
la viola da Mercurio;
l’effetto della musica
sulla natura; Orfeo
conquista Euridice con
il suo canto; il pastore
Aristeo s’innamora di
Scena pastorale
(Mopso, Aristeo,
Tirsi)
discorso su vitello
perduto, ninfa, amore
di Aristeo per Euridice
Actus primus,
pastoricus: Scena
pastorale
(Mopsus, Aristeus,
Thyrsis)
discorso su vitello
perduto, ninfa, amore
di Aristeo per Euridice
(imitazione quasi
letterale)
399
80 ottave: omissione
88 ottave: omissione
APPENDICE III
Euridice
(aggiunta/sostituzione)
Canzone di Aristeo
sull’amore per
Euridice indirizzata
alle selve
Actus secundus,
Canzone di Aristeo
nymphas habet:
sull’amore per Euridice
Canzone di Aristeo
(imitazione libera)
sull’amore per Euridice
indirizzata alle selve
(imitazione quasi
letterale)
XVIII-XXI: Canzone di
Aristeo sull’amore per
Euridice
(imitazione quasi
letterale)
Seguito del discorso sul (omissione)
vitello, sulla nimfa,
Aristeo ha l’intenzione
d’inseguirla; gli altri
pastori cercano di
dissuadergli del suo
piano
(imitazione
letterale/libera)
(omissione)
Seguito del discorso
sul vitello, sulla nimfa,
Aristeo ha l’intenzione
d’inseguirla; gli altri
pastori cercano di
dissuadergli del suo
piano
Inseguimento di
Euridice da parte di
Aristeo
Una driade racconta
alle altre driadi della
morte di Euridice da un
morso di serpente; il
coro delle driadi canta
una canzone funebre;
una driade annunzia
che Orfeo sta
avvicinandosi e ordina
alle altre driadi di
coprire Euridice con
fiori
(aggiunta/sostituzione)
Una Ninfa racconta ai
pastori
dell’inseguimento di
Euridice da parte di
Aristeo, della sua morte
da un morso di
serpente e del dolore di
Aristeo; le nimfe
seppelliscono Euridice
(adattamento/aggiunta)
XXII-XXV: Descrizione
della fuga di Euridice e
della sua morte da un
morso di serpente
(adattamento)
(FT1: Canzone di
Orfeo in latino)
Actus tertius, heroicus:
Canzone di Orfeo in
latino (solo 4 versi)
(adattamento)
(omissione)
XXVI: Descrizione di
Orfeo che canta in
latino sulla vetta di un
monte e che sente della
morte di Euridice
(adattamento)
Notizia della morte di
Euridice:
Atto III: Notizia della
Notizia della morte di
Euridice (da parte della morte di Euridice
driade)
(imitazione libera)
(imitazione quasi
letterale)
400
XXVII: Notizia della
morte di Euridice
(imitazione letterale)
PARAGONE DELLA FABULA E DELLE SUE IMITAZIONI
XXVIII-XXXV:
Divagazione su Orfeo
che viene confrontato
con la morte di
Euridice
(aggiunta)
Il satiro Mnasyllus
racconta come Orfeo si
ritira per piangere
Euridice
(aggiunta)
Lamento di Orfeo:
Lamento di Orfeo
(imitazione quasi
letterale)
Lamento di Orfeo:
(imitazione libera)
XXXVI-XXXVII:
Lamento di Orfeo:
(imitazione letterale)
Il satiro dice che Orfeo
tornerà mai dagli Inferi
(aggiunta)
XXXVIII-XLIV:
Descrizione della
discesa; l’aspetto di
Caronte; supplica a
Caronte; incontro con
Cerbero e inizio della
supplica a Cerbero
(aggiunta)
Seguito del lamento di Actus quartus,
Lamento di Orfeo
Orfeo indirizzato a
necromanticus: Seguito indirizzato a Cerbero
Cerbero
del lamento di Orfeo
indirizzato a Cerbero
(imitazione quasi
letterale)
XLV: Seguito del
lamento di Orfeo
indirizzato a Cerbero
(imitazione letterale)
XLVI: Descrizione
dell’incontro con le
Furie
(aggiunta)
(omissione)
Seguito del lamento di Seguito del lamento di
Orfeo indirizzato alle Orfeo indirizzato alle
Furie
Furie
(imitazione quasi
letterale)
XLVII: Seguito del
lamento di Orfeo
indirizzato alle Furie
(imitazione letterale)
XLVIII-L: Descrizione
del passare di Cerbero;
incontro con Minosse e
Plutone
(aggiunta)
Reazione di Plutone
(FT1: + reazione di
Minosse)
Reazione di Plutone
(imitazione quasi
letterale)
(omissione)
Proserpina chiede a suo
marito di ascoltare il
401
LI-LII: Reazione di
Plutone e Minosse
(imitazione letterale)
LIII-LVI: Descrizione
della persuasione di
APPENDICE III
canto
(aggiunta)
Supplica di Orfeo a
Plutone
Supplica di Orfeo a
Plutone
(imitazione quasi
letterale)
Minosse e del
raggiungimento del
trono di Plutone e
Proserpina
(aggiunta)
Supplica di Orfeo a
Caronte e Plutone
(imitazione
libera/adattamento)
LVII-LXI: Supplica di
Orfeo a Plutone
(imitazione letterale)
LXII-LXVI: Descrizione
della reazione dei
peccatori agli Inferi e
della supplica a
Proserpina
(aggiunta)
Reazione di
Proserpina
Reazione di Proserpina
(imitazione quasi
letterale/libera)
(omissione)
LXVII: Reazione di
Proserpina
(imitazione letterale)
80 ottave: omissione
88 ottave: omissione
LXVIII-LXX: Seguito
della reazione di
Proserpina e risposta di
Plutone; descrizione
della liberazione di
Euridice
(aggiunta)
LXXI: Reazione di
Plutone
(imitazione letterale)
Reazione di Plutone
Reazione di Plutone
(imitazione quasi
letterale/libera)
Reazione di Plutone
(imitazione libera)
(FT1: Canzone
trionfale di Orfeo in
latino)
Canzone trionfale di
Orfeo in latino
(imitazione letterale,
fuorché l’ultimo verso)
Orfeo ringrazia Plutone LXXII-LXXIV: Seguito
(sostituzione)
della reazione di
Plutone; Orfeo
ringrazia Plutone e gli
altri; descrizione della
gioia di Orfeo e del suo
sguardo indietro;
perduta di Euridice
(aggiunta/sostituzione)
Lamento di Euridice
sulla sua seconda
Lamento di Euridice
Lamento di Euridice
(omissione)
sulla sua seconda morte sulla sua seconda morte
402
PARAGONE DELLA FABULA E DELLE SUE IMITAZIONI
morte
(imitazione quasi
letterale)
(imitazione libera)
Reazione di Orfeo
Lamento di Orfeo
sulla seconda morte di basata su Boezio
Euridice e intenzione (sostituzione)
di scendere di nuovo
agli Inferi
Lamento di Orfeo a
Euridice sulla morte di
lei
(imitazione libera/
adattamento)
Una Furia vieta Orfeo
di entrare
Tisifone (una Furia)
vieta Orfeo di entrare
(imitazione libera)
Supplica a Caronte e
reazione di Caronte
(sostituzione)
LXXV-LXXIX:
Tentativo di scendere
di nuovo, ma vietato da
Caronte e Cerbero;
descrizione del lutto e
(del) lamento di Orfeo;
tutti gli animali si
radunano ad ascoltare
(aggiunta/sostituzione/
adattamento)
Canzone di Orfeo
sulla perdita di
Euridice, sull’amore
per ragazzi,
esortazione a
un’avversione dalle
donne, esempi
mitologici:
Canzone di Orfeo sulla
perdita di Euridice,
sull’amore per cogliere i
fiori, esortazione a
un’avversione dalle
donne
(imitazione letterale/
adattamento /
omissione)
Canzone di Orfeo sul
dolore, esortazione a
un’avversione dalle
donne:
(imitazione
libera/omissione)
LXXX-LXXXIII:
Canzone di Orfeo sulla
perdita di Euridice,
sull’amore per ragazzi,
esortazione a
un’avversione dalle
donne, esempi
mitologici:
(imitazione letterale)
80 ottave: omissione
88 ottave: omissione
Historia di Orpheo:
‘peccato di sodomia’
Argastro e Clitero
discutono l’effetto del
canto sugli uomini e
sulla natura
(aggiunta)
LXXXIV-LXXXVII:
Spiegazione
dell’omosessualità di
Orfeo e intenzione delle
donne a uccidere Orfeo
(aggiunta)
80 ottave: fuor di
misura (invece di
‘contra natura’);
omissione di LXXXV-
403
APPENDICE III
LXXXVII
Le Baccanti
descrivono l’assalto e
la morte di Orfeo
Le Baccanti descrivono
l’assalto e la morte di
Orfeo
(imitazione libera/quasi
letterale)
Mirtillo descrive la
morte di Orfeo da parte
delle Baccanti e incita
loro a fuggire
(adattamento/aggiunta)
LXXXVIII: Le Baccanti
descrivono l’assalto di
Orfeo (imitazione
letterale)
LXXXIX-XCII: Le
pietre non feriscono
Orfeo, ma cadono per
terra, quasi assopite dal
suo canto. Le donne
vincono il canto con le
loro chiamate. I
contadini fuggono.
(aggiunta)
80 ottave: omissione
88 ottave: omissione di
LXXXVIII
XCIII-XCIV: La natura
intera piange della
morte di Orfeo e gli
animali difendono il
suo corpo (aggiunta)
80 ottave: omissione;
descrizione diversa
dell’uccisione di Orfeo
invece di XCIV
Le Baccanti cantano le Le Baccanti cantano le
lodi di Bacco
lodi di Bacco
(imitazione quasi
letterale, fuorché la
prima strofa)
Mirtillo dice che la lira
e la testa di Orfeo sono
stati buttati nel fiume.
(aggiunta)
XCV: Il corpo è stato
buttato nel fiume; si
muove verso Lesbos. La
testa è quasi mangiata
da un serpente.
(aggiunta)
Le Baccanti cantano le
lodi di Bacco
(imitazione libera)
XCVI: Fine: il rivedersi
agli Inferi e la morale
del racconto
(aggiunta/sostituzione)
Atto IV: la fortuna di
Aristeo e delle sue api
404
PARAGONE DELLA FABULA E DELLE SUE IMITAZIONI
(aggiunta)
Atto V: Bacco punisce
le Baccanti
trasformandole in
alberi; Apollo e Bacco
cercano la testa di
Orfeo e la salvano dal
serpente; seguito della
fortuna di Aristeo; la
lira di Orfeo diventa
una costellazione
(aggiunta)
405
APPENDICE IV.
Paragone delle traduzioni delle Metamorfosi (ad cap. 5)
Ludovico Dolce
(1553)
Giovan Andrea
dell’Anguillara
(1561)
Libro XX
L’arrivo di
Imeneo e i
presagi infelici
del matrimonio
di Orfeo ed
Euridice
Euridice muore
da un morso di
serpente in
compagnia delle
amiche
Libro X
Venere e
Imeneo vanno
ad ascoltare il
canto di Orfeo;
Orfeo nacque
da Apollo e
Calliope;
ottenne la lira
da suo padre e
imparò a
suonare;
incantò la
natura; l’arrivo
di Imeneo e i
presagi infelici
del matrimonio
di Orfeo ed
Euridice
Euridice muore
da un morso di
serpente in
compagnia delle
amiche
---
Orfeo discende
nell’Ade
Orfeo discende
nell’Ade
---
Orazione di
Orfeo per far
ritornare
Euridice
Orazione di
Orfeo per far
ritornare
Euridice
---
Il canto muove
gli spiriti
infernali
Il canto muove
gli spiriti
infernali
Lorenzo
Spirito
(1519)
Ovidio
Giovanni dei
Bonsignori
(137577/1497)
Niccolò degli
Agostini
(1522)
Liber X
L’arrivo di
Imeneo e i
presagi infelici
del matrimonio
di Orfeo ed
Euridice
Libro decimo
Capitulo I:
L’arrivo di
Imeneo e i
presagi infelici
del matrimonio
di Orfeo ed
Euridice
Libro X
L’arrivo di
Imeneo e i
presagi infelici
del matrimonio
di Orfeo ed
Euridice
Euridice muore
da un morso di
serpente in
compagnia
delle amiche
Capitulo II:
Aristeo
insegue
Euridice ed
essa muore da
un morso di
serpente
Capitulo III:
Orfeo discende
nell’Ade (passa
Cerbero)
Capitulo IV:
Orazione di
Orfeo per far
ritornare
Euridice (non
‘come fece
Enea’)
Il canto muove
gli spiriti
infernali
Aristeo
insegue
Euridice ed
essa muore da
un morso di
serpente
---
Orfeo discende
nell’Ade
(passa
Cerbero)
Orazione di
Orfeo per far
ritornare
Euridice (non
‘come fece
Enea’)
Orfeo discende
nell’Ade
Orazione di
Orfeo per far
ritornare
Euridice
Il canto muove
gli spiriti
infernali
Il canto muove
gli spiriti
infernali
---
407
APPENDICE IV
Orfeo può
riportarsi
Euridice
Per troppo
amore Orfeo
guarda indietro
e perde
Euridice;
Euridice non si
lamenta del
marito
Orfeo si
stupisce della
seconda morte
di Euridice,
come l’uomo
che vide
Cerbero e
come Oleno e
Letea si
impietrirono
Caronte
proibisce Orfeo
di entrare di
nuovo nell’Ade
Orfeo piange
Orfeo rinuncia
alle donne e si
abandona
all’amore
omosessuale
Capitulo V:
Orfeo può
riportarsi
Euridice
Temendo che
la moglie sia
stanca Orfeo
guarda indietro
e perde
Euridice;
Euridice non
si cura del
marito
Allegoria A
(Orfeo)
Capitulo VI:
Orfeo si
stupisce della
seconda morte
di Euridice,
come l’uomo
che vide
Cerbero e
come Oleno e
Oleta si
impietrirono
Allegoria B
(Ercole e
Cerbero)
Allegoria C
(Oleno ed
Oleta)
Capitulo VII:
Cerbero
proibisce Orfeo
di entrare di
nuovo nell’Ade
Orfeo piange
(nell’isola di
Rodope)
Orfeo rinuncia
alle donne e si
abandona
all’amore
omosessuale
Orfeo può
riportarsi
Euridice
---
Orfeo può
riportarsi
Euridice
Orfeo può
riportarsi
Euridice
Per vedere
Euridice Orfeo
guarda indietro
e la perde;
siccome
Euridice è
morta non si
cura del
marito
Allegoria di
Orpheo et
Euridice
Orfeo si
stupisce della
seconda morte
di Euridice
come Oleno e
Letea si
impietrirono
---
Temendo che la
moglie cada
Orfeo guarda
indietro e perde
Euridice
Ricordandosi
della ferita di
Euridice al
piede Orfeo
guarda indietro
e la perde
---
---
---
---
Orfeo si stupisce
della seconda
morte di
Euridice, come
l’uomo che vide
Cerbero e si
impietrì da
paura
Orfeo si stupisce
della seconda
morte di
Euridice, come
l’uomo che vide
Cerbero e come
Oleno e Letea si
impietrirono
---
---
---
---
Allegoria di
Oleno mutato
in sasso
---
---
---
Cerbero
proibisce Orfeo
di entrare di
nuovo nell’Ade
---
Caronte
proibisce Orfeo
di entrare di
nuovo nell’Ade
Caronte
proibisce Orfeo
di entrare di
nuovo nell’Ade
Orfeo piange
(sul monte
Rodope)
Orfeo rinuncia
alle donne e si
abandona
all’amore
omosessuale
---
Orfeo piange
Orfeo piange
---
Orfeo rinuncia
alle donne e si
abandona
all’amore
omosessuale
Orfeo rinuncia
alle donne e si
abandona
all’amore
omosessuale per
alzare l’anima
alla ‘superna
408
PARAGONE DELLE TRADUZIONI DELLE METAMORFOSI
Il canto di
Orfeo
commuove gli
alberi e alcuni
animali
Liber XI
Il canto di Orfeo
commuove gli
alberi
---
--(1561 e dopo:
Allegoria)
--(1563 e dopo:
Annotationi di
Giuseppe
Horologgi)
Libro XI
Libro XI
Libro XXI
Libro XI
Riassunto: fino
a questo
momento
Ovidio fece
cantare Orfeo
Le Baccanti
aggredono
Orfeo
---
---
---
Cap. 1: Como
il serpente fu
converso in
saxo: Le
Baccanti
aggredono
Orfeo
Aggredono
Orfeo come
uccelli
notturni, cani
o altri animali
strani
Le Baccanti
prendono gli
strumenti
lasciati dai
contadini
impauriti e
uccidono
Orfeo
La natura
rimpiange la
morte di
Orfeo
Niente è più
crudele della
donna
disprezzata (tre
ottave)
Le Baccanti
aggredono
Orfeo
---
---
Aggredono
Orfeo come gli
animali diurni
aggredono gli
animali
notturni
Le Baccanti
prendono gli
strumenti
lasciati dai
contadini
impauriti e
uccidono Orfeo
La natura
rimpiange la
morte di Orfeo
La natura
rimpiange la
morte di Orfeo
La testa e la lira
galleggiano
sull’acqua
La testa e la lira
galleggiano
sull’acqua
Il canto di
Orfeo
commuove gli
alberi e alcuni
animali
Allegoria de
Athis
Libro
undecimo
Capitulo I:
riassunto dei
canti di Orfeo
Capitulo II: Le
Baccanti
aggredono
Orfeo
Paragone con
uccelli
aggrediti o
animali
nell’arena
Capitulo III:
Gli uccelli si
radunano
intorno a
Orfeo e lo
difendono
Le Baccanti
prendono gli
strumenti
lasciati dai
contadini
impauriti e
uccidono Orfeo
Le Baccanti
prendono gli
strumenti
lasciati dai
contadini
impauriti e
uccidono Orfeo
---
Capitulo VIII:
Il canto di
Orfeo
commuove gli
alberi
Allegoria D
(Orfeo e Atin)
Le Baccanti
aggredono
Orfeo
La natura
rimpiange la
morte di Orfeo
La natura
rimpiange la
morte di Orfeo
e smembra il
cantante
La testa e la lira
galleggiano
sull’acqua
La testa e la lira
galleggiano
sull’acqua
sede’
Il canto di Orfeo
commuove gli
alberi
---
Le Baccanti
prendono gli
strumenti
lasciati dai
contadini
impauriti e
uccidono Orfeo
Gli uccelli e gli
animali se ne
vanno e la
natura
rimpiange la
morte di Orfeo
Gli animali
ecc. mettono il
corpo di Orfeo
La testa e la
lira
galleggiano
409
APPENDICE IV
dell’Ebro e
cantano;
arrivano a
Lesbo
dell’Ebro e
cantano;
arrivano a
Lesbo
e la lira
nell’acqua
dell’Ebro
Apollo salva la
testa da un
serpente ed
impietrisce
l’animale
Capitulo IV:
Apollo salva la
testa da un
serpente ed
impietrisce
l’animale
L’anima di
Orfeo discende
nell’Ade; Orfeo
ed Euridice
sono riuniti nei
Campi Elisi
L’anima di
Orfeo discende
nell’Ade; Orfeo
ed Euridice
sono riuniti nei
Campi Elisi
Del serpente
mutato in
sasso: Apollo
salva la testa da
un serpente ed
impietrisce
l’animale
L’anima di
Orfeo discende
nell’Ade; Orfeo
ed Euridice
sono riuniti nei
Campi Elisi
Bacco
trasforma le
Baccanti in
alberi
Allegoria A
(serpente e
morte di
Orfeo)
Capitulo V:
Bacco
trasforma le
Baccanti in
alberi
Allegoria di
Orpheo
Allegoria B
(donne)
Allegoria delle
Bacche in
arbori
Delle Bacche
mutate in
alberi:
Bacco
trasforma le
Baccanti in
alberi
sull’acqua
dell’Ebro e
cantano;
arrivano a
Lesbo
Apollo salva la
testa da un
serpente ed
impietrisce
l’animale
dell’Ebro e
cantano;
arrivano a Lesbo
dell’Ebro e
cantano;
arrivano a Lesbo
Apollo salva la
testa da un
serpente ed
impietrisce
l’animale
Apollo salva la
testa da un
serpente ed
impietrisce
l’animale
L’anima di
Orfeo
discende
nell’Ade;
Orfeo ed
Euridice sono
riuniti nei
Campi Elisi
---
L’anima di
Orfeo discende
nell’Ade; Orfeo
ed Euridice sono
riuniti nei
Campi Elisi
L’anima di
Orfeo discende
nell’Ade; Orfeo
ed Euridice sono
riuniti nei
Campi Elisi
---
---
Bacco trasforma
le Baccanti in
alberi
Bacco trasforma
le Baccanti in
alberi
---
--(1563 e dopo:
Annotationi di
Giuseppe
Horologgi)
Cap. II: Como
le donne che
se trovorno
alla morte de
orpheo forono
mutate
inarbore:
Bacco
trasforma le
Baccanti in
alberi
---
410
APPENDICE V.
Paragone dei libretti di Rinuccini e Striggio
Poliziano, Fabula di
Rinuccini, Euridice
Orfeo (ca. 1471-80 / 1a
(1600)
Striggio, Orfeo (1607)
Cambiamenti notevoli
nella seconda versione
edizione a stampa
del 1609 (partitura di
1494)
Monteverdi)
(rappresentazione
teatrale senza divisione
in atti; 342 versi)
(opera lirica senza
divisione in atti)
(opera lirica in 5 atti)
Riassunto della storia da Prologo da parte della
parte di Mercurio
Tragedia
Prologo da parte della
Musica
Scena pastorale
(Mopso, Aristeo, Tirsi)
discorso su vitello
perduto, ninfa, amore di
Aristeo per Euridice
Scena pastorale
(Arcetro, Tirsi, Aminta,
ninfe ed Euridice)
Tutti si rallegrano del
fatto che Orfeo ed
Euridice si sposano
Atto I: scena pastorale
(pastori e ninfe senza
nome)
Tutti si rallegrano del
fatto che Orfeo ha vinto
il cuore di Euridice;
invocazione di Imeneo
Canzone di Aristeo
sull’amore per Euridice
indirizzata alle selve
Coro per invitare tutti
alla festa di nozze
Canzone da ballo
Seguito del discorso sul
vitello, sulla ninfa,
Aristeo ha l’intenzione
d’inseguirla; gli altri
pastori cercano di
dissuadergli del suo
piano
Seguito della scena
pastorale: Orfeo parla
con Arcetro e Tirsi
dell’amore
Seguito della scena
pastorale: un pastore
chiede a Orfeo di
cantare una canzone
allegra
Inseguimento di
Euridice da parte di
Aristeo
---
---
Canzone di Orfeo in
latino
---
Canzone gioiosa di
Orfeo indirizzata al
411
APPENDICE V
Sole
Euridice non può
esprimere la sua gioia;
canzoni da ballo;
invocazione a Imeneo;
canzone del coro sulla
natura
Atto II: Orfeo tornato
alle selve con i pastori;
esaltano la natura
amena del luogo
Notizia della morte di
Euridice:
Lamento di Orfeo:
Notizia della morte di
Euridice da parte di
Dafne
Notizia della morte di
Euridice da parte della
Messaggiera
Reazione di Arcetro
Reazioni dei pastori
Reazione di Orfeo:
scendere agli inferi
Reazione di Orfeo:
scendere agli inferi
Arcetro vuole seguire
Orfeo, perché non si
suicida; reazioni di
pastori e ninfe
La messaggera fugge
dalla scena
Canto doloroso del
coro
Canto doloroso del
coro
Discussione tra Arcetro
e il coro: il pastore dice
di aver visto l’arrivo di
una dea per aiutare
Orfeo
Canzone del coro sulle
cose che cambiano;
esortazione dei pastori
ad andare agli altari
412
PARAGONE DI RINUCCINI E STRIGGIO
Venere mena Orfeo
all’inferno
Atto III: la Speranza
mena Orfeo all’inferno
Caronte ferma Orfeo
Seguito del lamento di
Orfeo indirizzato a
Cerbero
Canto di Orfeo
Canto di Orfeo
indirizzato a Caronte
(sentito anche dagli dei
infernali), durante il
quale il traghettatore si
addormenta
Coro di spiriti infernali
Seguito del lamento di
Orfeo indirizzato alle
Furie
---
Reazione di Plutone
Breve reazione di
Plutone: chiede al
cantante di presentarsi
Supplica di Orfeo a
Plutone
Lunga orazione di
Orfeo, interrotta due
volte da Plutone
Reazione di Proserpina
Reazione di Proserpina
Atto IV: Proserpina
implora la pietà di
Plutone
Radamanto e Caronte
cercano di convincere
Plutone
Reazione di Plutone
Canzone trionfale di
Orfeo in latino
Reazione di Plutone
Reazione di Plutone
Coro di ombre e di dei
infernali
Coro di spiriti infernali
e discussione tra
Plutone e Proserpina
---
Canzone di Orfeo in
onore della sua cetra
413
APPENDICE V
Lamento di Euridice
sulla sua seconda morte
---
Lamento di Orfeo sulla
seconda morte di
Euridice e intenzione di
scendere di nuovo agli
Inferi
---
Rimprovero di uno
spirito a Orfeo e
lamento di Euridice
sulla sua seconda morte
Una Furia vieta Orfeo di --entrare
Orfeo cerca di entrare
di nuovo, ma è
trattenuto
Coro di spiriti
Canzone di Orfeo sulla
perdita di Euridice,
sull’amore per ragazzi,
esortazione a
un’avversione dalle
donne, esempi
mitologici:
---
Atto V: Canzone di
Orfeo sulla perdita di
Euridice, in cui esprime
un’avversione dalle
donne
Atto V: Canzone di
Orfeo sulla perdita di
Euridice, in cui esprime
un’avversione dalle
donne (mancano gli
ultimi quattro versi in
cui Orfeo annuncia
l’arrivo delle Baccanti)
Le Baccanti descrivono
l’assalto e la morte di
Orfeo
Ritorno alla scena
Le Baccanti assalgono
Orfeo, cantando le lodi
pastorale: Arcetro e il
di Bacco
coro si preoccupano
per la salute di Orfeo;
Aminta appare per
raccontare che Euridice
vive; Orfeo ed Euridice
spiegano cosa è
successo nell’inferno; è
lodato il potere
dell’Amore
Apollo discende in una
nuvola per portare
Orfeo con sé al cielo,
dove vedrà le
sembianze di Euridice
nel sole e nelle stelle
Le Baccanti cantano le
lodi di Bacco
Coro finale
Coro finale
Le Baccanti ripetono il
loro canto in onore di
Bacco
414
SUMMARY (RIASSUNTO IN INGLESE)
The myth of Orpheus, the ancient hero who could enchant nature with his music and tried
to bring back his beloved Eurydice from Hades, consists of many different elements. There
is no single original Orpheus myth, but the story gradually developed in Antiquity, over
time absorbing new elements and new turns. These elements often occur separately in
texts and the visual arts, but are sometimes combined in a story as well. Thus Orpheus has
become a complex figure with many aspects. This versatility is an important feature of his
character, that causes his reception not to be uniform, but to take many different forms.
Orpheus appears in many different types of texts, but also in the visual arts, and especially
in plays and operas.
Writers, visual artists and musicians often have views on the figure of Orpheus that
differ strongly and often conflict with one another. These different and conflicting views
are inherent to the diversity of the figure of Orpheus. People who use Orpheus in their
works, often choose between the many stories about him. On the one hand this choice is
often determined by the knowledge available: many a time a stereotipical view is copied
from predecessors in the same genre. On the other hand, some artists are familiar with
more aspects of Orpheus, but appear to deliberately select only those aspects that are
appropriate for their argumentation. Orpheus is often seen and presented either as a
positive character or as a negative character. Amongst his positive aspects are mainly
reckoned his musical and poetical qualities and his ability to tame the beasts (i.e. to civilize
human kind) with his song (eloquence). Besides, his participation in the voyage of the
Argonauts and his status as a poet-theologian or philosopher are judged in a positive
manner. Amongst his negative aspects are reckoned his love of wordly goods (Eurydice)
and his looking back at these things, his homosexuality and his horrible death. The attempt
to unite these conflicting images of Orpheus runs through his reception in Italy between
1300 and 1600 like a continuous thread. For example, authors tend to ignore his negative
aspects or express their astonishment about the irreconcilability of the different
characterizations of Orpheus; in some extreme cases they adjust the outcome of the myth.
Except for the change of outcome, there are no major adjustments to the myth, like
a complete change of characters, of the action or of the setting of the story in time and
space. Most changes to the image of Orpheus stem from the possibilities which the myth
as a whole offers. Many representations of Orpheus are inherent to the character itself. An
author or an artist chooses from the existing possibilities and thus manipulates his own
version of the myth.
415
RIASSUNTO IN INGLESE
The origins of Orpheus (Chapter 1)
According to some scholars the myth of Orpheus originated form Shamanist practices in
northern Greece. From these practices the idea of Orpheus as a priest developed, who
could cross the border between life and death. This role of Orpheus especially manifested
itself in the religious movement of ORPHISM. In this movement Orpheus was seen as a
historical figure. Besides, he was linked to other stories, in which he appears more as a
mythological figure (even if this distinction wasn’t made at that time): he was an Argonaut,
a famous singer, he descended into Hades to bring back his wife and was killed. In the
earliest versions the myth probably had a happy ending: Orpheus managed to bring back
Eurydice.
From the famous versions of VIRGIL (Georgics) and OVID (Metamorphoses) on, the
prohibition of turning around and the second loss of Eurydice were added. The love story
thus got an unhappy ending: in Ovid’s version Orpheus became the first homosexual and
in both versions he was torn to pieces by Menads in the end. Ovid somewhat mitigated this
ending by reuniting the couple after death in Hades. Virgil and Ovid combined many
elements of the myth in a long story: the power of music, Orpheus’ love for Eurydice, his
looking back and the second loss of Eurydice, (homosexuality), Orpheus’ death. In the
Aeneid Virgil mentions Orpheus’ role as a priest as well.
When HORACE refers to Orpheus negative connotations are completely absent.
This is because Horace doesn’t tell the love story, but concentrates on the enchanting
qualities of Orpheus’ song. By focusing only on this part of the myth a positive approach is
easier. Horace is the first to offer an allegorical interpretation of Orpheus. People say that
Orpheus tamed the wild beasts, because he could keep man from beastly behaviour. This
positive approach of Orpheus as a bringer of civilization to human kind was going to be
very influential in the Renaissance. The choice of elements from the myth determines the
image of the mythological figure.
With the rise of Christianity new approaches to Orpheus arose. The Christian
apologists were very positive about Orpheus, because he enabled them to make a
connection between the new religion and ancient tradition. For propagandistic reasons
they emphasized the connection between Christ and Orpheus as a monotheist. In the
Christian catacombs Orpheus was depicted as Christ. In general however, pagan myths
were difficult to reconcile with Christianity. According to Christian faith there was only
one God, while pagans knew many. For this reason different ways were sought to deal with
the many ancient gods en demigods:
- the euhemeristical or historical interpretation (gods are really humans, who were
considered to be gods after their death)
- the physical interpretation (gods were seen as planets and forces of nature)
- the allegorical-moral interpretation (gods are interpreted in an alllegorical manner)
416
SUMMARY
In the sixth century FULGENTIUS includes the myth in an allegory on music, while
BOETHIUS provides the myth with a moral interpretation. Both writers are negative about
Orpheus. Especially Boethius’ interpretation of Orpheus as a man in search of a higher
good, who turns back to wordly pleasures, remained very influential in the Middle Ages
and the Renaissance.
Medieval authors interpret the Orpheus myth alternately in a positive or a negative
way: Orpheus is considered to be Christ, but also a man who has turned back to earthly
things. These interpretations mainly use the motif of Orpheus’ descent in Hades. Orpheus
is also seen as the civilizer of mankind or as the musical voice, depending on the type of
text in which he is used. Medieval poetry mainly focuses on the love story; here, the myth
often ends with the triumph of Orpheus over Hades.
The myth as topos (Chapter 2)
In fourteenth century Italian literature late-antique and medieval interpretations remain in
vogue. Especially in mythological treatises and translations of the Metamorphoses, that
could also be used as a source of mythological information, the Orpheus myth is
interpreted according to the historical, physical and allegorical tradition.
In his Genealogie deorum gentilium GIOVANNI BOCCACCIO (1313-1375) presents an
almost complete portrait of Orpheus. This is inherent to the encyclopedic character of the
work. Even if his view seems balanced, Boccaccio leaves out some negative elements or
changes them (the homosexuality and the looking back) and elaborates on Orpheus’
positive aspects (the power of eloquence), because in his defense of poetry in the same
work he needs Orpheus as a positive example of the poet-theologian.
In the adaptations of the Metamorphoses of GIOVANNI DEL VIRGILIO (1322-23) and
GIOVANNI DEI BONSIGNORI (1375-77), Aristaeus and Cerberus appear as new characters
with regard to the text written by Ovid (these changes were a result of the influence of
earlier commentaries on Ovid and possibly also of linguistic problems). The Orpheus myth
is explained in a historical and moral-allegorical way, thus obtaining a positive turn.
Besides these moralizations there were also more literal translations of Ovid, but these
weren’t transmitted in the printed editions that were published later.
Remarkably, references to Orpheus in other literary texts are mostly short and
stereotypical: authors repeat existing topoi (commonplaces), that probably come from
retorical manuals. Some topoi are very positive: in lyrical poetry Orpheus is often the poet
par excellence. The taming of the animals is seen as an allegory of the civilization of human
kind. From Boccaccio on the emphasis in this allegory is on eloquence and humanists start
using it. The love of Orpheus and Eurydice offers an example for other lovers. This topos
too frequently appears in lyrical poetry (Petrarch) and in romantic stories (Boccaccio).
However, there are also some negative topoi, e.g. looking back at Eurydice as an
allegory of man falling back towards earthly pleasures. This negative approach is mainly
417
RIASSUNTO IN INGLESE
visible in philosophical and reflective texts. The positive and negative topoi are connected
to specific literary genres. The effect of tradition is very strong in this case: authors nearly
always follow their predecessors. The two faces of Orpheus are hard to reconcile.
Although DANTE ALIGHIERI (1265-1321) refers to Orpheus only twice explicitly as
the example of a wise man and as the example of a poetical allegory (in which Orpheus
taming the animals represents the beginning of civilization) his works also contain indirect
references to the Orpheus myth and in particular to the motif of looking back. In
Purgatory souls are forbidden to look back and Orpheus presents a negative example.
In his Canzoniere FRANCESCO PETRARCA (1304-1374) compares his own love for
Laura to that of Orpheus and Eurydice. In his philosophical works however, he is very
negative about Orpheus: Orpheus looked back at Eurydice and symbolizes the man who on
his way to God cannot leave behind the earth and falls back. This tension between the
admiration of Orpheus the poet and lover par excellence on the one hand, and his failure
as a man on his way to God on the other connects very well to Petrarch’s own conflict
between his love for earthly things and his love of God.
Although characters in Boccaccio’s works compare themselves to Orpheus and
Eurydice and consider love to be the biggest force behind Orpheus’ music, love isn’t the
highest goal: Orpheus figures in the Amorosa Visione in the triumph of Love, but in the
end love will not triumph. In Boccaccio’s works a difference can be made between the
poet-theologian and the poet-lover: the difference resides in the fact that the first is seen as
a real person that is part of a large chain of thinkers, and the second as a mythological
figure. This distinction is not only found in Boccaccio, but in the whole critical fortune of
Orpheus (already in Greek antiquity, in the fourteenth century, but especially from Ficino
on). In fact, even the poet-lover isn’t a coherent character, but consists of more aspects.
The poet-lover can actually be divided into a positive poet - that offers an example to poets
and singers and is seen as the bringer of civilization to human kind - and a lover that is
considered to be an example for lovers (poets in love), but has negative connotations as
well (the looking back towards Eurydice, his homosexuality and his death). Boccaccio even
distinguishes two different persons that go by the name of Orpheus (but he doesn’t
explicitate the difference between a historical and a mythological figure).
COLUCCIO SALUTATI (1331-1406) elaborates on the negative interpretation of
Orpheus: he confronts Hercules as a stoic hero (in search of virtue) and Orpheus as an
epicurean (in search of pleasure). This interpretation is mainly based on the motif of the
descent in Hades, that shows that Orpheus is too much attached to earthly pleasures.
Thus Orpheus does not only need to be reconciled with Christianity, but his
negative image has to be reconciled with his positive image as well. In practice, authors
have a positive or a negative attitude towards Orpheus and elaborate only one side of the
character. In the background however, there is always the other dimension. In the visual
arts and music Orpheus hardly ever appears.
418
SUMMARY
Marsilio Ficino and the historical poet-theologian (Chapter 3)
The popular fourteenth-century topoi of Orpheus as a poet par excellence, bringer of
civilization and lover keep being used in the fifteenth century, but as a result of the study of
new texts new elements are added to Orpheus’ image. MARSILIO FICINO (1433-1499) starts
to study Plato’s philosophy and the neoplatonists and tries to reconcile their views with
Christianity. As a result, Orpheus suddenly becomes a central figure in Ficino’s circle, but
not in the role people knew in the Middle Ages and until the first half of the fifteenth
century from Latin sources. Ficino places more emphasis on Orpheus as a poet-theologian.
He considers Orpheus to be a historical person, and not a mythological character. His view
of Orpheus is purely positive and he even identifies with Orpheus: like an inspired poet
Ficino tries to get in touch with the harmony of the spheres by singing orphic hymns.
Ficino’s strongly positive and personal reaction to the figure of Orpheus is also determined
by propagandistic factors: only by venerating the classical poet-theologians he could
interest his public in neoplatonic philosophy.
This positive view of Orpheus as a poet-theologian and author of orphic hymns
with a message about the gods will be transmitted into the sixteenth century (and further)
by neoplatonic philosophers, but will also enter into mythological treatises and literary
works.
The Fabula di Orfeo and its successors (Chapter 4)
Besides this view of Orpheus as a philosopher-theologian due to the discovery of Greek
texts, Orpheus was also introduced in new disciplines in the fifteenth century: he made his
appearance as a character in triumphs (trionfi), he was the first mythological figure to
come to life in a play in the vernacular, and was represented more and on a larger scale in
the visual arts. The representation of mythological figures in works of art was the result of
a general growth of interest in antiquity.
In the Fabula di Orfeo by ANGELO POLIZIANO (1454-1494) literature, costumes,
theatre and music come together. Orpheus is no longer a topos, but Poliziano combines
different narrative elements by turning back to Virgil and Ovid (and other classical
sources). Orpheus is a singer, a lover, he looks back, turns to homosexuality and is finally
killed by Bacchants. Thus Poliziano adds a number of elements from the classical myth
that were hardly ever mentioned in Italian literature up to that moment. The mythological
character of Orpheus is set against Ficino’s historical Orpheus.
Both in the works of Poliziano and in those of the artist ANDREA MANTEGNA (14311506) we for the first time witness a return to the classical look and image of mythological
figures in texts and in the visual arts. The humanists however, had a double relationship
towards the classical gods and demigods. On the one hand they admired the classical
image of the gods, but on the other hand the pagan gods provoked the repugnance of
419
RIASSUNTO IN INGLESE
writers and artists. For this reason the allegorical explanation of mythological characters
still predominated.
Much has been said about the meaning of the Fabula di Orfeo, but in the context of
the circle around Ficino and Lorenzo de’ Medici in Florence the play is likely to be
interpreted as an allegory of man who is looking for the highest good or God, but cannot
leave earth behind. In his play Poliziano presents Orpheus as a negative example to
Christian man (while in his Sylvae he presented a purely positive image of Orpheus the
poet, as befitted the intentions of the work). Mantegna’s frescoes are sometimes
interpreted in a similar way, but considering the fact that the scene in which Orpheus
looks back is missing and considering the other frescoes in the room (the Roman
emperors, the combination with Arion), it is more likely that Orpheus must be seen
together with Hercules as the two sides of a good ruler: culture and strength. The Gonzaga
family of Mantua demonstrates a remarkable interest in the figure of Orpheus: he is used
in plays and in the decoration of their homes and maybe also for propagandistic reasons.
In the frescoes (1499-1502) by LUCA SIGNORELLI in Orvieto, the myth of Orpheus,
considering its connection with the other decorations of the chapel, probably has to be
interpreted negatively as the failure of man on his way to a higher good and the
condemnation that follows.
Two THEATRE ADAPTATIONS, the Orphei tragoedia (ca. 1485) and the Favola di
Orfeo e Aristeo (end 15th / beginning 16th century) hardly change the content of the myth
(with respect to the Fabula di Orfeo). Some new elements from classical sources are added
to fill the five acts, that don’t bring about a whole new Orpheus. The division in five acts
and the metrical changes are formal transformations, that don’t change the image of
Orpheus either. However, Orpheus’ homosexuality is left out (change of moral or public).
This was one of the most striking new elements that Poliziano had added to the myth as
known in Italy. In the CANTARI (songs/heroic poems), that are based on the Fabula di Orfeo
as well, the emphasis is on the love story of Orpheus and Eurydice and his homosexuality is
condemned. The moral of the story is that a man should focus his love on women. These
cantari are not intended for a cultural élite like Poliziano’s play, but for the ordinary
people. This might explain the emphasis on the love story and the exchange of the deeper
philosophical layer for a more wordly moral. Formal changes also occur, e.g. the
transformation of a theatre text into a narrative text and the addition of descriptions of the
characters. The popularity of the cantari shows the diffusion of the Orpheus myth
amongst a broader and more ordinary audience. This diffusion of the myth also results
from the production of majolica, bronze placquettes and etches based on the printed
editions of the Metamorphoses.
420
SUMMARY
Mythographer or mythological figure? (Chapter 5)
The invention of printing at the end of the fifteenth century caused the myth to be known
among a broader audience due to the diffusion of mythological treatises, translations of the
Metamorphoses, cantari and other texts.
Like before in Boccaccio’s Genealogie even in 16th-century mythological treatises the
Orpheus myth is still interpreted allegorically. In his Mythologiae (1551) NATALE CONTI
continues the idea that the taming of the animals is a symbol of the civilization of human
kind by Orpheus. Orpheus is described amongst the other mythological characters, but is
regarded mainly as a poet-theologian, who in his hymns mentioned important things
about the ancient gods. Similarly, Orpheus’ writings as a poet-theologian are quoted to
dicuss other gods in the mythological treatise of LILIO GREGORIO GIRALDI (1548) and the
arthistorical-mythological treatise of VINCENZO CARTARI (1556). Consequently Orpheus
has changed from a mythological figure to a mythographer. This view is brought about by
Ficino’s ideas.
The allegorical interpretation predominates as well in translations of the
Metamorphoses. Even until the first decades of the 16th century the main interpretation of
the Metamorphoses was the one written by Giovanni del Virgilio, which was adapted by
Giovanni dei Bonsignori and later on by NICOLÒ DEGLI AGOSTINI (1522). The Orpheus
myth is interpreted in a historical (euhemeristical) and allegorical way, in which Orpheus
always has positive connotations. In Agostini’s translation - a combination of Bonsignori’s
translation, the Fabula di Orfeo and the cantari - the negative connotations of Poliziano’s
play and the cantari are replaced by the medieval allegorical interpretation. Thus
Poliziano’s humanistic representation of Orpheus and the medieval popular tradition
coincide.
Besides these allegorical translations a new tendency towards more literal
translations presents itself. In these translations too, which are more closely related to
Ovid’s original text and which (originally) did not contain allegorical explanations in the
text, such explanations are added later on or have to be imagined by the reader. These later
additions can be explained by the increase of moralization of literature due to the Counter
Reform in the second half of the sixteenth century. In the translation by LORENZO SPIRITO
(1519) the deeper meaning of the myths is not explained and in the case of LUDOVICO
DOLCE (1553) this only happens in a later edition. In his text Dolce is already very negative
about Orpheus: especially his homosexuality is condemned strongly. Details about the
murder of Orpheus by the Bacchants are left out and replaced by a condemnation of
Orpheus’ neglect of women. When in 1561 an allegorical explanation is added, this too is
negative: Orpheus symbolizes the soul that has abandoned reason and has turned back
towards despicable earthly things. The translation of GIOVAN ANDREA DELL’ANGUILLARA
(1561) was also originally published without an allegorical explanation, but soon
afterwards with a commentary by Horologgi and Turchi. Anguillara represents Orpheus in
421
RIASSUNTO IN INGLESE
a much more positive manner than Dolce: his homosexuality is a way to both keep his
promise to Eurydice and reach God. In Horologgi’s allegory Boccaccio’s allegorical
description is copied, in which Orpheus represents eloquence that civilizes men.
Under the influence of printing and the dispersion of myth among a broader
audience the Orpheus theme manifested itself more in the visual arts as well. The figure
was not only depicted on artworks intended for the élite, but also on objects that were
produced in larger quantities and were available to more people, like majolica, bronze
reliefs or medals and etches. The image of Orpheus in these artistic genres is stereotypical
and depends largely on the woodcuts in editions of the Metamorphoses (which mainly
developed separately from the text). When new elements are added on majolica plates,
these elements emphasize Orpheus’ position as a lover, just like in the popular genre of the
cantari. The influence of the text and woodcuts of the Ovid editions, but also of other
sources, is also evident in other, more exclusive artworks. The interpretation of this kind of
artworks is often complicated.
Topoi, additions and reactions (Chapter 6)
Many stereotypical positive and negative approaches to Orpheus can also be found in
(short) references in literature and art. The old topos of Orpheus as an outstanding
example of a poet and lover keeps circulating, especially in petrarchist poetry. The allegory
of Orpheus and the animals as the civilizing power of eloquence remains popular with
humanist writers of poetical treatises and it becomes a popular theme in the visual arts. In
philosophical treatises Orpheus is considered a venerable poet-theologian. The negative
interpretation of his looking back seems to lose ground.
However, reactions to the known topoi arrive: the anticlassicist poets view Orpheus
as a symbol of the petrarchist poets, to whom they oppose themselves. Writers also look
negatively at the new elements of the myth that had become current again by way of
Poliziano and the translations of Ovid: the hatred of women, homosexuality and the death
of Orpheus. Orpheus’ homosexuality is sometimes set against his role as a theologian and
condemned, but not always. Other shifts in the image of Orpheus are visible in artworks:
Eurydice receives more and more attention, while Orpheus is pushed back towards the
background of paintings. His participation in the voyage of the Argonauts is introduced
both in art and in literature as a demonstration of the power of his song. It is no longer
possible to define a group of aspects that are always positive, and another group of aspects
that are always negative. The judgement often depends on the intent of the reference to
Orpheus: the second generation of the Medici rulers uses the figure of Orpheus for
propagandistic reasons and is consequently interested mostly in his positive aspects; they
therefore refer to his powers as a musician and bringer of civilization.
Thus a bigger variation in the image of Orpheus comes about, caused by a focus on
other elements that were already part of the myth, the reinterpretation of known elements
422
SUMMARY
or their placing in a new context. The myth of Orpheus is judged and manipulated
according to the intentions of the writer or artist.
The triumph of Orpheus in the first operas (Chapter 7)
At the end of the 16th century opera arises out of the discussions about music and the wish
to return to ancient music. In opera different disciplines come together: literature, theatre,
music and the art of sets and costumes. Orpheus was very suited to play the leading part in
operas, because he had already established a tradition in most disciplines and because he
was a pre-eminent singer. Moreover, the connection between Orpheus and the Medici
family, who commissioned one of the first operas, the Euridice, favoured the choice of
Orpheus.
This earliest opera of which the score survives - on a libretto by Ottavio Rinuccini
and music by Jacopo Peri (and Giulio Caccini) - was staged in 1600 in Florence to celebrate
the marriage of Maria de’ Medici and Henry IV of France. Since the Orpheus myth was
very appropriate to the opera, but not as much to a wedding, Rinuccini chose to alter the
ending into a happy one. In the Euridice Orpheus triumphs over hell and manages to bring
back his wife without any problems.
In 1607 the Orfeo, an opera with lyrics by Alessandro Striggio and music by Claudio
Monteverdi, was staged for the first time in Mantua. As opposed to the Euridice, in
Striggio’s libretto the Orpheus myth receives a negative interpretation again, which was
very appropriate to the context of the Carnival for which the opera was intended: Orpheus
looked back to earthly pleasures and for this he was punished. Just like in Poliziano’s
Fabula the bacchic ending fitted well with the character of the Carnival. Apparently this
ending was too negative for Monteverdi, so in his score he gives the story a positive turn.
He acknowledges that Peri’s ending does not really convey a positive ending to the myth.
For if we are to interpret Peri’s opera in the current allegorical manner, Orpheus yields to
his wordly pleasures and never reaches the higher good. Monteverdi however, doesn’t
allow Orpheus to triumph over hell, but over himself: (finally) he abandones all earthly
things and reaches the sublime. Monteverdi thus finally succeeds in ending the myth in a
positive way and reconcile the positive side of Orpheus the perfect poet and singer with
Orpheus the lover. In this way Orpheus becomes a positive example of mankind looking
for the divine and finally succeeding in finding it.
Thus Orpheus really triumphs, not over hell, but over himself. In this way
Monteverdi’s Orpheus (and the Gonzaga Orpheus) not only triumphs over Peri’s Orpheus
(and over the Medici Orpheus), but also over all prior representations of Orpheus. The
main triumph of Orpheus however, is the one over himself, for: ‘degno d’eterna gloria fia
sol colui c’havra di sè vittoria’ (only he who triumphs over himself, deserves eternal glory).
423
SAMENVATTING (RIASSUNTO IN OLANDESE)
De mythe van Orpheus, de Griekse held die met zijn muziek de natuur kon betoveren en
zijn geliefde Eurydice probeerde terug te halen uit de Onderwereld, is opgebouwd uit
verschillende elementen. Er is geen oorspronkelijke Orpheusmythe, maar het verhaal heeft
zich in de Oudheid geleidelijk ontwikkeld, waarbij steeds nieuwe elementen en wendingen
werden toegevoegd. Deze elementen komen vaak onafhankelijk van elkaar voor in teksten
en kunstwerken, maar worden soms ook gecombineerd tot een verhaal. Orpheus is zo een
complexe figuur geworden met veel facetten. Deze veelzijdigheid is een belangrijk kenmerk
van zijn personage, die maakt dat zijn receptie niet uniform is, maar veel verschillende
vormen aanneemt. Orpheus komt voor in veel verschillende genres teksten, maar ook in de
beeldende kunst en blijkt bij uitstek geschikt voor toneel en opera.
Schrijvers, beeldend kunstenaars, opdrachtgevers en musici hebben vaak visies op
de figuur van Orpheus die sterk verschillen en met elkaar in conflict zijn. Deze verschillen
en conflicterende visies zijn inherent aan de diversiteit van de figuur van Orpheus. Wie
Orpheus gebruikt in zijn werk, maakt meestal een keuze uit de verhalen die over hem
bekend zijn. Enerzijds is deze keuze vaak bepaald door de beschikbare kennis die iemand
heeft: vaak wordt uit voorgangers in hetzelfde genre een stereotiepe benadering
overgenomen. Anderzijds zijn anderen wel bekend met meerdere aspecten van Orpheus,
maar lijken zij een bewuste keuze te maken voor de aspecten die in de lijn van hun betoog
passen. Orpheus wordt vaak óf als een positieve figuur óf als een negatieve figuur
beschouwd en gepresenteerd. Tot zijn positieve aspecten behoren vooral zijn muzikale en
poëtische kwaliteiten en zijn vermogen om de dieren te temmen (d.w.z. de mensheid te
beschaven) met zijn zang (welsprekendheid). Daarnaast worden zijn deelname aan de
Argonautentocht en zijn status als dichter-theoloog of filosoof positief beoordeeld. Tot zijn
negatieve aspecten behoren zijn liefde voor het aardse (Eurydice) en het omkijken
hiernaar, zijn homoseksualiteit en zijn gruwelijke dood. De poging om deze twee
tegengestelde imago’s van Orpheus te verenigen loopt als een rode draad door de receptie
van Orpheus in Italië tussen 1300 en 1600. Men negeert bijvoorbeeld de negatieve
aspecten, of men spreekt expliciet zijn verwondering uit over de onverzoenbaarheid van de
verschillende typeringen van Orpheus, of men past in het uiterste geval de afloop van de
mythe aan.
In de Middeleeuwen en de Renaissance is echter, op de verandering aan de afloop
na, geen sprake van grote veranderingen aan de mythe, zoals een complete verandering
van de personages, van de handeling of van de situering van het verhaal in tijd en ruimte.
Het grootste deel van de wijzigingen in het beeld van Orpheus in deze periode vindt zijn
oorsprong in de mogelijkheden die de mythe als geheel biedt. Veel representaties van
Orpheus zijn inherent aan de figuur zelf. Een auteur of kunstenaar maakt een keuze uit de
bestaande mogelijkheden en manipuleert zo zijn versie van de mythe.
425
RIASSUNTO IN OLANDESE
De oorsprong van Orpheus (Hoofdstuk 1)
Volgens sommige geleerden ontstond de mythe van Orpheus vanuit sjamanistische
praktijken in het noorden van Griekenland. Hieruit ontwikkelde zich het idee van Orpheus
als een priester, die de grens van leven en dood kon overschrijden. Deze rol van Orpheus
kwam vooral tot uitdrukking in de religieuze stroming van het ORFISME. Orpheus werd
hierin gezien als een historische persoon. Daarnaast werd hij geassocieerd met andere
verhalen, waarin hij meer naar voren komt als mythologisch personage (ook al werd dit
onderscheid in die tijd niet gemaakt): hij was een Argonaut, een beroemde zanger, daalde
af in de onderwereld om zijn vrouw terug te halen en werd gedood. In de vroegste versies
kende de mythe waarschijnlijk een gelukkig einde: Orpheus slaagde erin Eurydice terug te
halen.
Vanaf de bekende versies van VERGILIUS (Georgica) en OVIDIUS (Metamorfosen)
werden het verbod om om te kijken en het tweede verlies van Eurydice toegevoegd. Het
liefdesverhaal kreeg hierdoor een ongelukkig einde: in de versie van Ovidius werd Orpheus
de eerste homoseksueel en in beide versies werd Orpheus uiteindelijk door Bacchanten
verscheurd. Ovidius verzachtte dit einde nog enigszins door het paar na de dood te
herenigen in de Onderwereld. Vergilius en Ovidius combineerden zeer veel elementen uit
de mythe tot een lang verhaal: de kracht van de muziek, de liefde voor Eurydice, het
omkijken en het tweede verlies van Eurydice, (de homoseksualiteit), de dood van Orpheus.
In de Aeneis maakt Vergilius melding van een andere kant van Orpheus, namelijk als
priester.
In de verwijzing naar Orpheus door HORATIUS zijn negatieve connotaties geheel
afwezig. Horatius beschrijft dan ook niet het liefdesverhaal, maar concentreert zich op de
betoverende kwaliteiten van Orpheus’ zang. Door zich slechts op dit deel van de mythe te
concentreren, is een positieve benadering gemakkelijker. Horatius geeft als eerste een
allegorische interpretatie van Orpheus. Men zegt dat Orpheus de wilde dieren getemd
heeft, omdat hij in staat was de mensen af te houden van beestachtig gedrag. Deze
positieve benadering van Orpheus als beschaver van de mensheid zou zeer invloedrijk
worden in de Renaissance. Welke elementen van de mythe worden uitgekozen bepaalt dus
het beeld van het mythologische personage dat wordt gecreëerd.
Met de opkomst van het CHRISTENDOM ontstonden nieuwe benaderingen van de
figuur van Orpheus. De christelijke apologeten waren zeer positief over Orpheus, omdat
hij hen in staat stelde een verband te leggen tussen de nieuwe godsdienst en de antieke
traditie. Om propagandistische redenen benadrukten zij de band tussen Christus en
Orpheus als monotheïst. Ook in de christelijke catacomben werd Orpheus als Christus
afgebeeld. Over het algemeen lieten heidense mythen zich echter lastig verzoenen met het
christendom. Volgens het christelijke geloof bestond er slechts één God, terwijl de
426
SAMENVATTING
heidenen er vele kenden. Om deze reden werd er naar verschillende manieren gezocht om
om te gaan met de diverse antieke goden en halfgoden:
- de euhemeristische of historische interpretatie (goden zijn eigenlijk mensen, die
later beschouwd werden als goden)
- de natuurkundige interpretatie (goden worden gezien als planeten en
natuurkrachten)
- de allegorisch-morele interpretatie (goden krijgen een allegorische interpretatie)
In de zesde eeuw voegt Fulgentius de mythe in een allegorie over de muziek, terwijl
Boethius de mythe een moralistische interpretatie geeft. Beide schrijvers zijn negatief over
Orpheus. Vooral Boethius’ interpretatie van Orpheus als mens op zoek naar het hogere die
omkijkt naar de aardse genoegens bleef erg invloedrijk in de Middeleeuwen en de
Renaissance.
De middeleeuwse auteurs interpreteren de mythe van Orpheus afwisselend positief
en negatief: Orpheus wordt beschouwd als Christusfiguur, maar ook als een mens die zich
heeft omgekeerd naar de aardse zaken. Voor deze interpretaties wordt vooral gebruik
gemaakt van het motief van de afdaling van Orpheus in de Onderwereld. Orpheus wordt
ook gezien als de beschaver van de mensheid of als muzikale stem, al naar gelang het soort
tekst waarin hij zich bevindt. In middeleeuwse poëzie, waarin men zich vooral voor het
liefdesverhaal interesseert, eindigt de mythe vaak met de triomf van Orpheus in de Hades.
De mythe als topos (Hoofdstuk 2)
In de Italiaanse literatuur van de 14e eeuw blijven bovengenoemde laatantieke en
middeleeuwse interpretatiemanieren voortduren. Vooral in mythologische traktaten en
Metamorfosen-vertalingen, die ook gebruikt konden worden als bron van mythologische
informatie, wordt de Orpheusmythe volgens de euhemeristische, natuurkundige en
allegorische traditie geïnterpreteerd.
In zijn Genealogie deorum gentilium schetst GIOVANNI BOCCACCIO (1313-75) een
bijna compleet beeld van Orpheus. Dit is inherent aan het encyclopedische karakter van
het werk. Ook al lijkt zijn visie evenwichtig, toch laat Boccaccio enkele negatieve
elementen weg of verandert ze (de homoseksualiteit en het omkijken) en weidt hij uit over
de positieve aspecten van Orpheus (de kracht van de welsprekendheid), omdat hij in zijn
verdediging van de poëzie in het zelfde werk Orpheus nodig heeft als positief voorbeeld
van een dichter-theoloog.
In de bewerkingen van de Metamorfosen door GIOVANNI DEL VIRGILIO (1322-23) en
GIOVANNI DEI BONSIGNORI (1375-77) verschijnen Aristaeus en Cerberus als nieuwe figuren
ten opzichte van de oorspronkelijke tekst van Ovidius (onder invloed van eerdere
commentaren op Ovidius en misschien vertaalproblemen). De mythe van Orpheus wordt
euhemeristisch en allegorisch-moreel uitgelegd, waardoor deze een positieve wending
427
RIASSUNTO IN OLANDESE
krijgt. Naast deze moraliseringen bestonden er ook letterlijke vertalingen van Ovidius,
maar deze werden niet overgenomen in de latere gedrukte edities.
Opvallend is dat de verwijzingen naar Orpheus in overige literaire teksten veelal
kort en stereotiep zijn: auteurs herhalen bestaande topoi (gemeenplaatsen), die
waarschijnlijk afkomstig zijn uit retoricahandboeken. Sommige topoi zijn zeer positief: in
lyrische poëzie is Orpheus vaak het voorbeeld van de dichter bij uitstek. Het temmen van
de dieren wordt gezien als een allegorie voor het beschaven van mensen. Vanaf Boccaccio
ligt de nadruk in deze allegorie op de welsprekendheid en wordt hij gebruikt door
humanisten. De liefde van Orpheus en Eurydice geldt als voorbeeld voor andere minnaars.
Ook dit topos komt veel voor in lyrische poëzie (Petrarca) en in romantische verhalen
(Boccaccio).
Anderzijds zijn er een aantal negatieve topoi, zoals het omkijken naar Eurydice als
allegorie van de mens die terugvalt naar aardse zaken. Deze negatieve benadering is vooral
zichtbaar in filosofische en reflecterende teksten. Deze positieve en negatieve
gemeenplaatsen zijn verbonden met specifieke literaire genres. Het effect van de traditie is
hierin zeer sterk: auteurs baseren zich bijna altijd op hun voorgangers. De twee gezichten
van Orpheus zijn moeilijk te verzoenen.
Hoewel DANTE ALIGHIERI (1265-1321) slechts twee keer expliciet naar Orpheus
verwijst als voorbeeld van een wijze man en als voorbeeld van een poëtische allegorie,
waarin Orpheus die de dieren temt staat voor het brengen van beschaving, bevatten
meerdere van zijn werken indirecte verwijzingen naar de Orpheusmythe en in het
bijzondere naar het motief van het omkijken. In het Purgatorio is het zielen verboden om
te kijken. Orpheus vormt hier dus een negatief voorbeeld.
FRANCESCO PETRARCA (1304-74) vergelijkt in zijn Canzoniere zijn eigen liefde vaak
met die van Orpheus en Eurydice. In zijn filosofische werken is hij echter zeer negatief
over Orpheus: Orpheus keek om naar Eurydice en staat symbool voor de mens die op zijn
weg naar God niet in staat is om het aardse los te laten, maar terugvalt. Deze spanning
tussen de bewondering voor Orpheus als dichter en minnaar bij uitstek enerzijds, en zijn
falen als mens op weg naar God anderzijds sluit goed aan bij Petrarca’s eigen innerlijke
conflict tussen zijn liefde voor God en zijn liefde voor het aardse leven. Ook bij BOCCACCIO
is de liefde van Orpheus niet zo positief. Hoewel personages in Boccaccio’s werken zich
met Orpheus en Eurydice vergelijken en de liefde wordt beschouwd als de grote kracht
achter Orpheus’ muziek, is de liefde niet hoogste doel: Orpheus komt in de Amorosa
visione voor in de triomf van de Liefde, maar uiteindelijk zal de liefde niet triomferen. In de
werken van Boccaccio is een onderscheid te maken tussen de dichter-theoloog en de
dichter-minnaar: het verschil is dat de eerste wordt beschouwd als een echte persoon, die
een schakel vormt in een lange keten van denkers, en de tweede als mythologisch
personage. Dit onderscheid vindt men niet alleen bij Boccaccio, maar in zijn hele
receptiegeschiedenis (al in de Griekse oudheid, in het Trecento, maar vooral vanaf Ficino).
428
SAMENVATTING
In feite is ook de dichter-minnaar geen coherent personage, maar opgebouwd uit meerdere
facetten. De dichter-minnaar kan eigenlijk onderverdeeld worden in een positieve dichter,
die het grote voorbeeld van dichters en zangers is en die gezien wordt als beschaver van de
mensheid. Daarnaast is er de minnaar, die door geliefden (verliefde dichters) als voorbeeld
gezien wordt, maar ook vooral negatieve connotaties kent (het omkijken naar Eurydice,
zijn homoseksualiteit en zijn dood). Boccaccio onderscheidt zelfs twee verschillende
personen die Orpheus heten (maar hij expliciteert het onderscheid tussen een historisch
en een mythologisch personage niet).
COLUCCIO SALUTATI (1331-1406) werkt de negatieve interpretatie van Orpheus erg
uit: in zijn De laboribus Herculis stelt hij Hercules als stoïsche held (op zoek naar deugd)
tegenover Orpheus als epicurist (op zoek naar genoegen). Deze interpretatie is vooral
gebaseerd op het motief van de afdaling in de Hades. Orpheus is te veel gebonden aan zijn
aardse genoegens.
Orpheus moet dus sinds de vroege Middeleeuwen niet alleen verzoend worden met
het christendom, maar men moet ook het negatieve imago van Orpheus met zijn positieve
imago verzoenen. In de praktijk staan auteurs vaak óf positief óf negatief tegenover
Orpheus en werken slechts één kant van het personage uit. Op de achtergrond blijft echter
ook altijd de andere dimensie meespelen. In de beeldende kunst en muziek komt Orpheus
nog nauwelijks voor.
Marsilio Ficino en de historische dichter-theoloog Orpheus (Hoofdstuk 3)
De bekende 14e-eeuwse topoi van Orpheus als dichter bij uitstek, als beschaver en minnaar
blijven in de 15e eeuw gewoon bestaan, maar daarnaast worden er nieuwe elementen aan
het beeld van Orpheus toegevoegd door de bestudering van Griekse teksten. Doordat
MARSILIO FICINO (1433-99) de filosofie van Plato en de neoplatonisten gaat bestuderen en
probeert te verzoenen met het christendom, wordt Orpheus plotseling een centrale figuur
in zijn kring, en dan niet in de rol die men in de Middeleeuwen en tot aan de eerste helft
van de 15e eeuw kende vanuit Latijnse bronnen. Ficino legt veel meer de nadruk op
Orpheus als dichter-theoloog. Hij ziet Orpheus als een historische persoon, en niet als een
mythologisch personage. Zijn visie op Orpheus is puur positief. Ficino gaat zich zelfs
identificeren met Orpheus: als een geïnspireerde dichter probeert hij door orfische
hymnen te zingen in contact te komen met de harmonie der sferen. De zeer positieve
persoonlijke reactie van Ficino op de figuur van Orpheus wordt ook bepaald door
propagandistische factoren: alleen door de antieke dichter-theologen te vereren kon hij
zijn publiek interesseren voor de neoplatoonse filosofie.
Deze positieve kijk op Orpheus als dichter-theoloog en schrijver van orfische
hymnen met een boodschap over de goden zal tot in de 16e eeuw (en verder) worden
doorgegeven door neoplatoonse filosofen, maar ook doordringen in mythologische
traktaten en literaire werken.
429
RIASSUNTO IN OLANDESE
De Fabula di Orfeo van Poliziano en navolgingen (Hoofdstuk 4)
Naast deze ontwikkeling van Orpheus als filosoof-theoloog door de bestudering van
Griekse teksten, ontwikkelde Orpheus zich in de 15e eeuw ook in nieuwe disciplines: hij
trad op als personage in optochten (trionfi), hij kwam als eerste mythologische figuur tot
leven in een toneelstuk in de volkstaal en werd meer en groter uitgebeeld in de beeldende
kunst. Het uitbeelden van mythologische figuren in kunstwerken was een gevolg van de
algemeen toegenomen interesse in de oudheid.
In de Fabula di Orfeo van ANGELO POLIZIANO (1454-94) komen literatuur,
kostuums, theater en muziek samen. Orpheus is hier geen topos meer, maar Poliziano laat
verschillende verhaalelementen samenkomen door zijn terugkeer naar Vergilius en
Ovidius (en andere antieke bronnen). Orpheus is een zanger, minnaar, hij kijkt om, wordt
homoseksueel, en wordt uiteindelijk gedood door Bacchanten. Poliziano voegt zo een
aantal elementen toe uit de klassieke mythe, die in de Italiaanse literatuur tot dan toe
nauwelijks vermeld werden. Het mythologische personage van Poliziano staat tegenover de
historische persoon Orpheus van Ficino.
Zowel bij Poliziano als bij de kunstenaar ANDREA MANTEGNA (1431-1506) is er voor
het eerst echt sprake van een terugkeer naar het klassieke uiterlijk en imago van
mythologische figuren in teksten en beeldende kunst. De humanisten hadden echter een
dubbele houding ten opzichte van de klassieke goden en halfgoden. Enerzijds
bewonderden ze het klassieke uiterlijk/beeld van de goden, maar anderzijds wekten de
heidense goden de afkeer van schrijvers en kunstenaars op. Daarom bleef de allegorische
uitleg van mythologische personages overheersen.
Over de betekenis van de Fabula di Orfeo is veel gediscussieerd, maar in de context
van de kring rondom Ficino en Lorenzo de’ Medici in Florence lijkt het stuk toch te
moeten worden geïnterpreteerd als een allegorie van de mens die op zoek is naar het
hoogste goed of God, maar die het aardse niet los kan laten. Poliziano presenteert Orpheus
in zijn toneelstuk dus als negatief voorbeeld voor de christelijke mens (terwijl hij in de
Sylvae een puur positief beeld van de dichter Orpheus schetst, zoals past bij de intenties
van het werk). Ook de fresco’s van Mantegna worden wel op vergelijkbare wijze met de
Fabula di Orfeo geïnterpreteerd, maar gezien het feit dat de scène van het omkijken
ontbreekt en gezien de context van de rest van de kamer (de Romeinse keizers, de
combinatie met Arion) is het waarschijnlijker dat hij samen met Hercules opgevat moet
worden als de twee kanten van de goede heerser: cultuur en kracht. De Gonzaga’s in
Mantua vertonen een buitengewone interesse voor de figuur van Orpheus: hij wordt
gebruikt in toneelvoorstellingen en in de decoratie van hun woningen om het hof op te
luisteren en wellicht om propagandistische redenen.
Op de fresco’s (1499-1502) van LUCA SIGNORELLI in Orvieto moet de mythe van
Orpheus waarschijnlijk, in relatie tot de overige decoratie van de kapel, wel negatief
430
SAMENVATTING
geïnterpreteerd worden als het falen van de mens op zijn weg naar het hogere en de
verdoemenis die daaruit voortkomt.
Twee TONEELBEWERKINGEN, de Orphei tragoedia (ca. 1485) en de Favola di Orfeo e
Aristeo (eind 15e-begin 16e eeuw), veranderen de mythe nauwelijks inhoudelijk (ten
opzichte van de Fabula di Orfeo). Er worden enkele elementen uit antieke bronnen
toegevoegd om de vijf akten op te vullen, die echter geen geheel nieuwe Orpheus met zich
meebrengen. De introductie van de vijf akten en de metrische veranderingen zijn formele
transformaties, die het beeld van Orpheus evenmin veranderen. De homoseksualiteit van
Orpheus wordt echter weggelaten (verandering van moraal of publiek). Dit was een van de
opvallendste nieuwe elementen die Poliziano had toegevoegd aan de mythe zoals bekend
in Italië. In de CANTARI (liederen / heldendichten), die zich ook baseren op de Fabula di
Orfeo, ligt de nadruk op het liefdesverhaal van Orpheus en Eurydice en wordt de
homoseksualiteit afgekeurd. De moraal van het verhaal is dat een man zijn liefde moet
richten op vrouwen. Deze cantari zijn niet bedoeld voor een culturele elite zoals het stuk
van Poliziano, maar voor het gewone volk. Dit verklaart misschien de nadruk op het
liefdesverhaal en het verruilen van de diepere filosofische lading voor de aardsere moraal.
Daarnaast treden er ook formele veranderingen op, zoals de verandering van een
toneeltekst in een verhalende tekst en de toevoeging van beschrijvingen van de personages.
De populariteit van deze cantari toont de verbreiding van kennis van de Orpheusmythe
onder een breder en algemener publiek. Deze verspreiding van de mythe blijkt ook uit de
productie van majolica, bronzen reliëfs en etsen op basis van de gedrukte uitgaven van de
Metamorfosen.
Mythograaf of mythologische figuur? (Hoofdstuk 5)
De uitvinding van de boekdrukkunst aan het einde van de 15e eeuw zorgde voor een
grotere bekendheid van de mythe onder het brede publiek door de verspreiding
mythologische traktaten, Metamorfosen-vertalingen, cantari en andere teksten.
Zoals eerder in de Genealogie van Boccaccio wordt ook in 16e-eeuwse
mythologische traktaten de mythe van Orpheus nog steeds allegorisch geïnterpreteerd.
NATALE CONTI continueert in zijn Mythologiae (1551) het idee dat het temmen van de
dieren symbool staat voor het beschaven van de mensheid door Orpheus. Orpheus wordt
beschreven tussen de andere mythologische personages, maar wordt vooral als een
dichter-theoloog beschouwd, die in zijn hymnen belangrijke dingen over de antieke goden
vermeldde. Ook in het mythologische traktaat van LILIO GREGORIO GIRALDI (1548) en het
kunsthistorisch-mythologische traktaat van VINCENZO CARTARI (1556) worden de
geschriften van Orpheus als dichter-theoloog aangehaald om andere goden te bespreken.
Orpheus is hier dus van mythologische figuur mythograaf geworden. Deze visie komt voort
uit de ideeën van Ficino over Orpheus.
431
RIASSUNTO IN OLANDESE
Ook in de Metamorfosen-vertalingen overheerst de allegorische interpretatie. Tot in
de eerste decennia van de 16e eeuw was de voornaamste interpretatie van de Metamorfosen
die van Giovanni del Virgilio, die overgenomen werd door Giovanni dei Bonsignori en
later door NICOLÒ DEGLI AGOSTINI (1522). De mythe van Orpheus wordt geïnterpreteerd
op euhemeristische en allegorische wijze. Orpheus heeft altijd positieve connotaties. In de
vertaling van Agostini, die een combinatie is van de vertaling van Bonsignori, de Fabula di
Orfeo en de cantari, worden de negatieve connotaties uit het werk van Poliziano en de
cantari vervangen door de middeleeuwse allegorische interpretatie. Zo vloeien Poliziano’s
humanistische uitbeelding van Orpheus en de middeleeuwse volkse traditie samen.
Naast deze allegorische vertalingen ontstaat er een tendens in de richting van
letterlijkere vertalingen. Ook bij deze vertalingen, die nauwer aansluiten bij de
oorspronkelijke tekst van Ovidius en die (oorspronkelijk) geen allegorische uitleg in de
tekst bevatten, is een dergelijke uitleg ofwel later toegevoegd, of moet deze erbij gedacht
worden. Deze latere toevoegingen kunnen verklaard worden door de toegenomen
moralisering van de literatuur naar aanleiding van de Contrareformatie in de tweede helft
van de 16e eeuw. In de vertaling van LORENZO SPIRITO (1519) wordt de diepere betekenis
van de mythen niet uitgelegd. Bij LUDOVICO DOLCE (1553) gebeurt dit ook pas in een latere
editie. Dolce is in de tekst zelf al wel zeer negatief over Orpheus: vooral zijn
homoseksualiteit wordt scherp veroordeeld. Details van de moord op Orpheus door de
Bacchanten worden niet gegeven, maar vervangen door een veroordeling van Orpheus’
verwaarlozing van vrouwen. Wanneer er een allegorische verklaring wordt toegevoegd in
1561, is deze ook negatief: Orpheus symboliseert de geest die de ratio heeft verlaten en is
teruggekeerd naar verwerpelijke aardse zaken. Ook de vertaling van GIOVAN ANDREA
DELL’ANGUILLARA (1561) werd eerst zonder allegorische uitleg gepubliceerd, maar al gauw
met commentaar van Horologgi en Turchi. Anguillara schildert Orpheus veel positiever af
dan Dolce: zijn homoseksualiteit is een manier om zich zowel aan zijn gelofte aan Eurydice
te houden als god te bereiken. In de allegorie van Horologgi wordt Boccaccio’s allegorische
beschrijving aangehaald, waarin Orpheus staat voor de welsprekendheid die de mensen
beschaaft.
Onder invloed van de boekdrukkunst en de verspreiding van de mythe onder een
breder publiek manifesteerde het Orpheusthema zich ook meer in beeldende kunst. De
figuur werd niet alleen afgebeeld in kunstwerken die bestemd waren voor de elite, maar
ook op voorwerpen die in grotere oplagen geproduceerd werden en beschikbaar waren
voor een groter publiek, zoals majolica, bronzen reliëfs of medailles en etsen. Het beeld van
Orpheus in deze kunstgenres is stereotiep en sterk afhankelijk van de houtsneden in de
Metamorfosen-edities (die zich grotendeels los van de tekst ontwikkelen). Wanneer er
nieuwe elementen worden toegevoegd op de majolicaborden, dan wordt hiermee de rol
van Orpheus als minnaar benadrukt, net zoals in het populaire genre van de cantari. Ook
in andere, exclusievere kunstwerken is de invloed van de tekst en de houtsneden van de
432
SAMENVATTING
edities van de Metamorfosen herkenbaar, maar ook van andere bronnen. De interpretatie
van dergelijke kunstwerken is vaak gecompliceerd.
Topoi, toevoegingen en reacties (Hoofdstuk 6)
Verschillende stereotiepe positieve en negatieve benaderingen van Orpheus zijn ook terug
te vinden in (korte) verwijzingen in de literatuur en kunst. Het oude topos van Orpheus als
dichter en minnaar bij uitstek blijft in omloop, vooral in de petrarkistische poëzie. De
allegorie van Orpheus en de dieren als symbool van de beschavende kracht van de
welsprekendheid blijft erg geliefd bij de humanistische auteurs van poëtische traktaten.
Daarnaast wordt het een geliefd thema in de beeldende kunst. In filosofische traktaten
wordt Orpheus beschouwd als de eerbiedwaardige dichter-theoloog. De negatieve
interpretatie van het omkijken lijkt terrein te verliezen.
Er ontstaan echter ook reacties op de bekende topoi: de anticlassicistische dichters
zien in Orpheus het symbool van de petrarkistische dichters, tegen wie zij zich afzetten.
Men kijkt ook negatief aan tegen de nieuwe elementen van de mythe die door Poliziano en
de Metamorfosen-vertalingen (opnieuw) in omloop gekomen waren: de misogynie (d.w.z.
Orpheus’ vrouwenhaat na de dood van Eurydice), homoseksualiteit en dood van Orpheus.
De homoseksualiteit van Orpheus wordt soms afgezet tegen zijn rol als theoloog en
veroordeeld, maar niet altijd. Andere verschuivingen van het bekende beeld van Orpheus
zijn zichtbaar in de beeldende kunst: Eurydice krijgt steeds meer aandacht, terwijl Orpheus
naar de achtergrond van schilderijen wordt teruggedrongen. Zijn deelname aan de tocht
van de Argonauten wordt echter zowel in de kunst als in de literatuur geïntroduceerd als
een demonstratie van de macht van zijn zang. Het is niet meer mogelijk om enkele
aspecten te definiëren die altijd positief zijn, en andere die altijd negatief zijn. Het oordeel
hangt vaak af van het doel van de verwijzing naar Orpheus: de tweede generatie van de
MEDICI’S gebruikt de figuur van Orpheus voor propagandistische doeleinden en is dus
vooral geïnteresseerd in zijn positieve aspecten. Zij verwijzen dan ook naar zijn krachten
als musicus en beschaver.
Er ontstaat dus een grotere variatie in het beeld van Orpheus, die vooral toe te
schrijven is aan de aandacht voor andere elementen die al wel deel uitmaakten van de
mythe of aan de herinterpretatie van bekende elementen of de plaatsing in een nieuwe
context. De mythe van Orpheus wordt beoordeeld en gemanipuleerd al naar gelang de
bedoelingen van de schrijver of de kunstenaar.
De triomf van Orpheus in de eerste opera’s (Hoofdstuk 7)
Aan het einde van de 16e eeuw ontstaat vanuit de discussies over muziek en vanuit de wens
om terug te keren naar de antieke muziek de opera. In de opera komen verschillende
disciplines samen: de literatuur, het theater, de muziek en de (toegepaste) kunst in de vorm
van decors en kostuums. Orpheus was zeer geschikt als hoofdrolspeler in de opera’s,
433
RIASSUNTO IN OLANDESE
omdat hij in de meeste disciplines al een traditie gevestigd had en omdat hij de zanger bij
uitstek was. Bovendien begunstigde de band tussen Orpheus en de Medici’s, die de
opdrachtgevers van een van de vroegste opera’s, de Euridice, waren, de keuze voor
Orpheus.
Deze vroegste opera waarvan de partituur bewaard is gebleven op een libretto van
Ottavio Rinuccini en muziek van JACOPO PERI (en Giulio Caccini) werd in 1600 te Florence
opgevoerd voor het huwelijk van Maria de’ Medici met Hendrik IV van Frankrijk.
Aangezien de Orpheusmythe zeer geschikt was voor de opera, maar niet zozeer voor een
huwelijksfeest, koos Rinuccini ervoor om het einde te veranderen in een positief einde. In
de Euridice triomfeert Orpheus over de hel en slaagt hij er zonder problemen in zijn vrouw
mee terug te nemen.
In 1607 werd voor het eerst de Orfeo, een opera op een libretto van Alessandro
Striggio en muziek van CLAUDIO MONTEVERDI, uitgevoerd in Mantua. In tegenstelling tot
de eerdere opera krijgt de mythe van Orpheus in het libretto van Striggio opnieuw een
negatieve interpretatie, die goed paste bij de context van het carnaval waarvoor de opera
bedoeld was: Orpheus keek om naar de aardse genoegens en werd hiervoor gestraft. Net
als in de Fabula van Poliziano vergemakkelijkte het bacchantenslot de overgang naar het
bacchische karakter van het carnaval. Monteverdi vindt dit einde van Striggio blijkbaar te
negatief. In zijn partituur geeft hij een positieve wending aan het verhaal. Hij ziet in dat het
einde van Peri niet echt een positieve wending van het verhaal betekent. Als men de opera
van Peri namelijk op de veel voorkomende allegorische manier interpreteert, geeft
Orpheus toe aan zijn aardse genoegens en bereikt hij nooit het hogere. Monteverdi laat
Orpheus daarentegen niet over de hel triomferen, maar over zichzelf: hij neemt
(uiteindelijk) afstand van het aardse en bereikt het goddelijke. Monteverdi slaagt er dus
eindelijk in om de mythe positief af te sluiten en de positieve kant van Orpheus als perfecte
dichter en zanger te verenigen met Orpheus de minnaar. Orpheus wordt zo een positief
voorbeeld van de mens die op zoek is naar het goddelijke en erin slaagt dit te vinden.
Orpheus triomfeert dus werkelijk, niet over de hel, maar over zichzelf. Zo
triomfeert de Orpheus van Monteverdi (en van de Gonzaga’s) niet alleen over de Orpheus
van Peri (en van de Medici), maar ook over alle eerdere representaties van Orpheus. De
belangrijkste triomf van Orpheus is echter die over zichzelf, want: ‘degno d’eterna gloria fia
sol colui c’havra di sè vittoria’ (alleen wie zichzelf overwint, heeft eeuwige roem verdiend).
434
DANKWOORD (RINGRAZIAMENTO)
Op deze plaats wil ik een aantal personen en instanties bedanken, die mij geholpen hebben
bij de totstandkoming van dit proefschrift.
Hoewel ik in de eerste plaats naar de Universiteit van Amsterdam kwam om
Klassieke Talen te studeren, en er wat Italiaans bij wilde leren in mijn vrije ruimte, raakte
ik al snel zo geboeid door de taal en literatuur dat Italiaans mijn tweede studie werd.
Vooral de literatuurcolleges over Dante, Petrarca, Boccaccio en de Italiaanse Renaissance
waren zo inspirerend, dat ik nooit een moment heb overwogen om met de studie op te
houden. Mijn dank gaat in de eerste plaats uit naar mijn copromotor en hoofdbegeleider,
Ronald de Rooij, die veel van deze colleges verzorgde en zeer enthousiast was om mijn
proefschrift te begeleiden en dat ook steeds is gebleven.
Daarnaast wil ik ook mijn hartelijke dank betuigen aan Roberto Crespo, die
onmiddellijk bereid was om als mijn promotor op te treden, aangezien er aan de
Universiteit van Amsterdam geen hoogleraar Italiaans was en is.
Dat mijn proefschrift geen puur Italiaanse aangelegenheid zou worden maar een
sterke klassieke component zou hebben, was van het begin af duidelijk. Ik heb het dan ook
op prijs gesteld dat ik, hoewel ik tot een andere vakgroep was toegetreden, nog steeds de
maandelijkse Latinistenbijeenkomsten onder leiding van Daan den Hengst mocht
bijwonen, waar het ondanks de gemoedelijk klinkende naam ‘hobbyclub’ altijd serieus en
hard werken was.
Naast de Italiaanse en klassieke letterkunde werd de beeldende kunst ook steeds
belangrijker in mijn onderzoek. Gelukkig kon ik met vragen van kunsthistorische aard vaak
terecht bij Marieke van den Doel, Jan de Jong, Bram Kempers, Bouk Wierda en
Annemarieke Willemsen. Ik heb ook veel profijt gehad van de bijeenkomsten van het
interdisciplinaire Italiaanse Renaissance seminar onder leiding van Harald Hendrix en
Henk van Veen.
Tijdens mijn aanstelling als promovenda heb ik meerdere malen gebruik kunnen
maken van bibliotheken in het buitenland, die vaak enige gebruiksaanwijzing nodig
hadden, maar een zeer waardevolle en inspirerende werkomgeving vormden. In Florence
waren dat de Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze, Villa I Tatti, de Biblioteca
Riccardiana, het Istituto Nazionale di Studi sul Rinascimento en het Kunsthistorisches
Institut. In Rome waren dat vooral de Biblioteca Hertziana, de Biblioteca Apostolica
Vaticana en de Biblioteca Casanatense. Op mijn onderzoeksreizen naar Italië mocht ik
steeds verblijven op het Koninklijk Nederlands Instituut in Rome en het Nederlands
Interuniversitair Kunsthistorisch Instituut in Florence, waar ik ook dankbaar gebruik heb
gemaakt van de bibliotheek. Ik wil alle medewerkers van deze instituten en de
onderzoekers met wie ik daar heb verbleven bedanken voor alle hulp en inspiratie. Ook de
bibliotheek van het Warburg Institute in Londen, waar ik een cursus mocht volgen met
435
DANKWOORD
een beurs van het Centro Internazionale di Studi Bruniani in Napels, vormde een
belangrijke bron van informatie.
Het werken aan mijn proefschrift was niet alleen maar een geweldige
aaneenschakeling van bezoeken aan inspirerende oude bibliotheken en gezellige instituten
in het buitenland. Veel tijd moest er toch gewoon in afzondering worden gelezen en
geschreven op mijn werkkamer in Amsterdam of later thuis in Groningen. Gelukkig
hielden Esther Peeren, Anette Hoffmann, Silke Horstkotte en later Yolande Jansen mij in
Amsterdam vaak gezelschap. Zonder hun gezelligheid en steun zou ik de eindstreep nooit
hebben gehaald. Datzelfde geldt ook voor de wekelijkse lunchafspraken met Hinke Bakker,
Susanna de Beer, Marieke van den Doel en Juliette Groenland. Soms gingen de gesprekken
over het werk, vaak ook niet, maar altijd was de dinsdagse lunch een hoogtepuntje in de
week.
Andere hoogtepunten tijdens mijn promotietraject waren de letterkundecolleges
die ik mocht verzorgen voor de studenten Italiaans. Deze colleges en de studiereizen naar
Florence die ik mocht begeleiden gaven me steeds weer energie om verder te schrijven aan
mijn proefschrift. Ik wil alle studenten bedanken voor hun enthousiasme.
Bijzonder inspirerend en gezellig was ook het congres van de Associazione
Internazionale dei Professori Italiani (A.I.P.I.) in Krakau, waar ik met mijn collega’s van de
UvA en Italianisten uit heel Europa in een ondergrondse zoutmijn heb gedineerd. Ook het
promovendicongres over de receptie van de oudheid in een winderig en regenachtig St.
Andrews was erg geslaagd.
Ten slotte wil ik enkele mensen bedanken die bereid waren gedeeltes van mijn
proefschrift te lezen en van commentaar te voorzien: Stefano Carrai, Daan den Hengst en
Bram Kempers. Elisabetta Materassi wil ik bedanken voor haar nauwgezette correctie van
het Italiaans. Daarnaast zijn Brigitte Ehrreich, Jeanne Crijns en Margriet van Oerle altijd
zeer behulpzaam geweest bij de praktische kanten van mijn onderzoek. Dit geldt ook voor
het Instituut voor Cultuur en Geschiedenis (ICG), dat mij steeds in de gelegenheid stelde
om alle noodzakelijke bijeenkomsten en plaatsen te bezoeken. Het Huizinga Instituut
bedank ik voor het organiseren van de vele cursussen, de Barchemdagen en de geboden
mogelijkheid om zelf een atelier over de Italiaanse Renaissance vanuit interdisciplinair
perspectief te organiseren samen met Susanna de Beer, Marieke van den Doel en Inge
Werner. In de laatste maanden voor mijn promotie heb ik mogen werken op het
Promovendi & Postdoc Centrum van de Rijksuniversiteit Groningen. Ik bedank alle dames
van het PPC voor hun steun bij de laatste loodjes.
Buiten het werk wil ik in de eerste plaats mijn ouders bedanken voor alle interesse en
morele en financiële ondersteuning, eerst bij mijn studies en later bij mijn proefschrift. Als
ik in Italië verbleef, kwamen ze soms op bezoek om te kijken waar ik mee bezig was en
436
RINGRAZIAMENTO
mocht ik ze rondleiden door Rome en Florence, of gingen we met de auto op ‘bedevaart’
naar Arquà Petrarca.
Verder bedank ik in het bijzonder mijn zus Josephine, met wie ik een groot deel van
mijn promotieperiode heb samengewoond en bij wie ik later op elk moment mocht blijven
logeren. Ook heeft ze mijn samenvatting gecorrigeerd. Daarnaast wil ik alle overige
familieleden en vrienden, en de familie de Haas bedanken voor hun steun en
belangstelling.
Helemaal aan het eind van dit dankwoord wil ik Tymon de Haas bedanken, die ik
halverwege het schrijven van mijn proefschrift in Rome leerde kennen (waar een
proefschrift al niet goed voor is). Alle hulp die je mij hebt gegeven bij de afronding van
mijn proefschrift kun je de komende jaren terug verwachten. Heel toepasselijk om je met
de Orpheusmythe bezig te houden als je zelf gaat trouwen; gelukkig zijn slangen in
Nederland heel zeldzaam…
437
INDICE ALFABETICO
193, 220, 231, 236, 247, 252, 266, 267, 271, 276,
279, 280, 288, 291, 313, 314, 316, 317, 318, 321
Apollonio Rodio, 35, 43, 76, 151, 218
Arato da Sicione, 205
Ares, 256
Aretino, Pietro, 251, 252, 254
Argastro, 188, 212
Argonauta, 16, 27, 31, 35, 37, 41, 43, 54, 75, 76,
82, 87, 98, 128, 213, 219, 250, 252, 255, 256,
257, 258, 273, 293, 323, 330
Arianna, 176, 246, 301
Arione, 14, 47, 100, 122, 197, 200, 203, 223, 251,
252, 290, 296, 327
Aristeo, 11, 43, 44, 45, 46, 48, 51, 60, 61, 63, 64,
65, 67, 70, 75, 76, 83, 94, 96, 98, 101, 108, 119,
126, 156, 162, 163, 164, 172, 176, 177, 179, 180,
181, 182, 183, 184, 185, 186, 187, 188, 189, 193,
195, 204, 205, 207, 208, 209, 210, 211, 212, 225,
226, 228, 233, 243, 244, 245, 269, 270, 271, 272,
273, 280, 299, 303, 304, 305, 325, 328
Aristotele, 63, 123, 138, 149, 173, 182
Armenini, Giovanni Battista, 217, 223
Arnolfo d’Orléans, 66, 67, 92, 93, 95, 96, 225, 232
Atalanta, 50, 206
Atena, 36
Atteone, 246, 247
Aureliano di Réome, 72
A
Abramo, 134
Adamo, 134, 292
Ade, 31, 32, 38, 39, 40, 41, 42, 44, 46, 47, 48, 50,
51, 53, 57, 58, 59, 66, 67, 74, 75, 76, 81, 87, 88,
95, 96, 98, 104, 108, 111, 112, 117, 120, 124,
125, 126, 127, 165, 166, 171, 185, 186, 187, 193,
195, 199, 202, 203, 206, 207, 208, 209, 225, 233,
240, 241, 243, 244, 245, 247, 248, 270, 273, 274,
275, 276, 302, 308, 310, 311, 315, 320, 323, 324,
326, 331
Adone, 31, 50, 101, 220
Africo, 163, 181
Agazzari, Agostino, 314
Aglaofemo, 134
Agostini, Nicolò degli, 98, 190, 196, 215, 225, 226,
227, 228, 239, 240, 244, 246, 248, 251, 329
Agostino, 57, 123, 173
Agostino Veneziano, 243
Alberico, 70, 217
Alcesti, 38, 39, 41, 75
Alciati, 222
Alessandro di Napoli, 222
Alighieri, Dante, 12, 20, 27, 48, 52, 79, 80, 89, 104,
105, 106, 111, 116, 117, 118, 119, 122, 123, 129,
213, 253, 259, 260, 305, 309, 312, 319, 325
Alighieri, Pietro, 116, 117
Amelonghi, Girolamo, 253
Aminta, 251, 279, 298, 301, 303, 311
Ammannati, Bartolomeo, 292, 293
Amore, 25, 36, 38, 103, 109, 110, 111, 112, 113,
122, 136, 137, 138, 140, 141, 149, 150, 166, 208,
222, 223, 245, 263, 305, 311, 312, 314, 326
Anfiarao, 124
Anfione, 14, 52, 99, 100, 101, 103, 122, 135, 143,
148, 219, 223, 251, 259, 261, 296
Anguillara, Giovan Andrea, 217, 226, 227, 229,
230, 231, 232, 238, 241, 242, 243, 263, 276, 329
Antea, 264
Anteo, 293
Apollo, 11, 31, 32, 38, 40, 41, 47, 50, 51, 76, 83, 85,
95, 96, 103, 110, 146, 148, 163, 169, 184, 188,
B
Baccanti, 31, 39, 50, 61, 67, 87, 90, 95, 127, 162,
167, 169, 170, 171, 175, 176, 177, 178, 183, 188,
205, 206, 210, 211, 220, 229, 237, 239, 242, 245,
278, 280, 281, 303, 311, 312, 313, 314, 316, 317,
324, 327, 329 (cfr. anche Menadi)
Bacchini, Girolamo, 300
Bacco, 46, 50, 85, 86, 87, 121, 126, 148, 158, 169,
170, 176, 184, 188, 218, 220, 246, 312, 313
Bandinelli, Baccio, 243, 283, 284, 285, 288, 290
Barbaro, Ermolao, 139, 173, 258, 278
Bardi, Giovanni de’, 296, 297
Bassano, Francesco, 262
Battiferri, Laura, 264
Beatrice, 118, 119, 120
439
INDICE ALFABETICO
Canale, Carlo, 155, 158, 159, 176
Cancellieri, Gioachino, 104
Cappello, Bianca, 295
Capra, Galeazzo Flavio, 278
Carafa, Oliviero, 286
Carlo VIII, 282
Caronte, 38, 95, 167, 186, 188, 194, 195, 225, 227,
232, 233, 236, 237, 239, 244, 245, 302, 308, 309,
316
Carracci, Annibale, 275, 276
Carrari, Baldassare, 269
Cartari, Vincenzo, 70, 139, 154, 217, 221, 222,
223, 248, 328
Casella, 11, 116, 117, 118
Cassero, Iacopo del, 118
Castiglione, Baldassare, 251, 280
Castore, 87
Catone, 117
Cavalieri, Emilio de’, 297, 298
Cellini, Benvenuto, 264
Centauri, 209, 255, 257
Cerbero, 44, 48, 58, 61, 66, 95, 98, 99, 165, 166,
180, 194, 198, 199, 205, 225, 227, 228, 233, 240,
243, 244, 245, 264, 283, 284, 285, 289, 290, 309,
325
Cerere, 216, 219
Chiabrera, Gabriello, 298
Chigi, Agostino, 246, 281
Chirone, 255, 257
Cicerone, M. Tullio, 123
Ciocchi del Monte, Antonio Maria, 287
Ciparisso, 50
Cirene, 44, 272, 273
Claudiano, 185
Clemente Alessandrino, 55, 56
Clemente VII, 286, 287, 289
Cleopatra, 268
Clio, 253
Clitero, 188, 212
Colonna, Giovanni, 102
Colonna, Vittoria, 263
Conti, Natale, 100, 217, 218, 219, 220, 221, 247,
260, 328
Corio, Bernardino, 266
Corsi, Giovanni, 141
Corsi, Jacopo, 297, 298
Cosmo, 141, 142
Belacqua, 118
Belidi, 48, 166
Belo, 90, 280
Benedetto da Rovezzano, 284
Berchorius, Bercorio, v. Bersuire
Berni, Francesco, 254, 261, 278
Bersuire, Pierre, 22, 67, 68, 69, 70, 82, 224
Bertoldo di Giovanni, 146, 201
Biagio di Antonio, 256
Biblide, 280
Boccaccio, Giovanni, 11, 12, 28, 55, 70, 79, 80, 82,
83, 84, 85, 86, 87, 88, 89, 98, 99, 100, 101, 102,
103, 106, 107, 108, 110, 111, 112, 113, 120, 121,
122, 123, 124, 125, 127, 128, 129, 131, 148, 161,
162, 163, 169, 184, 189, 193, 199, 201, 213, 217,
218, 219, 221, 222, 228, 232, 247, 249, 250, 253,
256, 259, 263, 270, 278, 325, 326, 328, 329
Boezio, 24, 57, 58, 59, 60, 61, 62, 63, 65, 66, 67, 69,
73, 76, 85, 106, 115, 116, 118, 119, 126, 174,
200, 275, 317, 324
Boiardo, Matteo Maria, 185
Bonsignori, Giovanni dei, 80, 89, 92, 93, 94, 95,
96, 97, 98, 128, 162, 196, 207, 225, 226, 227,
228, 231, 232, 233, 234, 236, 237, 238, 243, 244,
247, 248, 325, 329
Borghese, Scipione, 26
Bracciolini, Poggio, 259
Bruni, Leonardo, 131, 132
Bruno, Giordano, 150, 215, 280
Buonarroti, Michelangelo, 298
Buonconte da Montefeltro, 118
Burchiello, 254
C
Caccini, Giulio, 11, 22, 133, 296, 297, 298, 299,
301, 304, 318, 320
Calai, 50, 87
Calciope, 256
Calderini, Domizio, 265, 266
Caleon, 113
Callimaco, 37, 141
Calliope, 31, 47, 74, 83, 126, 193, 220, 251, 252,
253, 279, 280, 281
Camilliani, Francesco, 243
Cammilla d´Aragona, 265, 266
Campi Elisi, 46, 145, 170, 318
440
INDICE ALFABETICO
Costantino (imperatore), 56, 57
Cristina di Lorrena, 69, 297, 315
Cristo, 14, 55, 56, 57, 66, 67, 68, 69, 74, 76, 79, 81,
157, 193, 324
Crono, 35, 141
Cupido, 111, 210, 268
Ercole, 12, 39, 43, 46, 52, 53, 58, 87, 113, 124, 125,
127, 129, 148, 152, 158, 169, 173, 185, 197, 200,
212, 218, 219, 246, 247, 251, 255, 265, 266, 275,
280, 290, 291, 293, 321, 326, 327
Erinni, 205
Ermes, 38, 40, 41, 75
Ermete Trismegisto, 134, 135, 152, 153
Erodoto, 36, 37, 100
Eros, 35, 36, 141
Eschilo, 38, 40, 296
Esiodo, 36, 122, 136
Eumenidi, 44, 48, 90
Euridice, 11, 15, 20, 26, 27, 28, 29, 31, 33, 34, 38,
39, 40, 41, 42, 44, 45, 46, 47, 48, 49, 50, 51, 57,
58, 59, 60, 61, 63, 64, 65, 66, 67, 68, 69, 70, 71,
72, 73, 74, 75, 76, 83, 84, 85, 87, 90, 91, 92, 94,
95, 96, 98, 99, 108, 109, 110, 111, 112, 113, 114,
116, 117, 118, 119, 120, 121, 124, 126, 128, 129,
139, 140, 144, 148, 154, 162, 163, 164, 165, 166,
167, 170, 171, 173, 174, 175, 177, 178, 180, 181,
182, 184, 185, 187, 188, 189, 190, 191, 192, 193,
194, 195, 196, 197, 198, 201, 202, 204, 205, 207,
208, 209, 210, 211, 212, 213, 215, 219, 220, 225,
226, 229, 230, 231, 232, 233, 236, 237, 239, 240,
241, 244, 245, 246, 247, 248, 249, 250, 252, 259,
263, 264, 266, 267, 268, 269, 270, 271, 272, 273,
274, 275, 276, 277, 278, 280, 293, 294, 295, 297,
298, 299, 300, 301, 302, 303, 304, 305, 306, 307,
308, 310, 311, 312, 313, 314, 315, 316, 317, 318,
320, 321, 323, 325, 328, 329, 330, 331
Euripide, 36, 38, 39, 75, 162, 169, 296
Eusebio, 55, 56, 121
Euterpe, 253
Eva, 67, 76
Evemero, 221
D
D’Este, Ercole, 185, 212
Dafne, 163, 271, 276, 297, 298, 302, 305, 321
Daniello, Bernardino, 260
Davide, 69, 72, 140, 284
Dedalo, 309
Del Sellaio, Jacopo, 20, 176, 178, 207, 208, 209,
210, 213, 269, 270, 328
Della Robbia, Luca, 20, 23, 24, 25, 107, 108, 233
Democrito, 135
Diana, 184, 246, 247
Dio, 31, 55, 57, 62, 63, 64, 66, 68, 72, 81, 93, 115,
120, 123, 133, 135, 136, 137, 138, 140, 143, 149,
172, 174, 175, 178, 196, 211, 221, 223, 226, 230,
250, 259, 260, 261, 263, 275, 288, 317, 318, 319,
325, 327, 329, 331
Dioniso, 31, 34, 35, 36, 38, 40, 76, 141, 148
Dolce, Ludovico, 226, 228, 229, 230, 231, 237, 238,
260, 329
Donatello, 284
Driadi, 44, 48, 182, 184, 198
Druidi, 134
E
Eagro, 31, 41, 126, 218
Ebro, 38, 46, 50, 51, 85, 86, 97, 118, 127, 143, 235,
281
Ecate, 47
Egidio da Viterbo, 149, 150
Elena, 268
Eleonora d´Aragona, 158, 265, 266, 267
Eleonora di Toledo, 290
Eliadi, 205, 206
Enea, 46, 117, 124, 125, 137, 215
Ennio, 145
Enrico IV, 298, 300, 305, 312, 315, 320
Equicola, Mario, 149
Eratostene, 38, 54
F
Ferdinando, 11, 295, 297, 298, 300, 301, 315, 320
Fiammetta, 89, 111, 113
Ficino, Marsilio, 11, 13, 16, 20, 28, 29, 34, 36, 55,
59, 81, 103, 104, 124, 129, 131, 132, 133, 134,
135, 136, 137, 139, 140, 141, 142, 143, 144, 145,
146, 147, 148, 149, 150, 151, 153, 154, 155, 158,
162, 164, 172, 173, 174, 175, 178, 193, 201, 211,
215, 222, 224, 248, 250, 257, 259, 263, 275, 282,
285, 319, 320, 326, 327
441
INDICE ALFABETICO
Fillide, 279
Filostrato, 32, 70
Folengo, Teofilo, 251, 252
Fulgenzio, 57, 60, 61, 63, 70, 76, 85, 87, 125, 126,
128, 148, 324
Horologgi, Gioseppe, 231, 232, 242, 263, 329
I
Ibico, 37
Igino, Caio Giulio, 54, 125, 184, 209, 281, 313
Imeneo, 176, 267, 268, 305
Inferi, 11, 33, 39, 40, 41, 42, 44, 46, 48, 56, 57, 58,
59, 60, 61, 64, 66, 68, 115, 124, 148, 161, 166,
167, 179, 186, 198, 201, 207, 310, 324
Isabella d’Aragona, 265, 267
G
Galilei, Vincenzo, 295, 296
Gallo, Filenio, 44, 104, 251, 264
Gambara, Veronica, 251
Gaurico, Pomponio, 279, 280
Giacinto, 50, 280
Giambullari, Pierfrancesco, 254
Giano, 288
Giasone, 87, 190, 255, 256
Gilbert de Montpensier, 160, 210
Ginevra de’ Benci, 174, 175, 218, 269
Giovanni del Virgilio, 67, 80, 83, 89, 92, 93, 94, 95,
96, 97, 104, 128, 148, 207, 225, 228, 325, 329
Giovanni di Garlandia, 67, 93
Giove, 36, 135, 136, 169, 204, 205, 216, 219, 221,
223, 246, 247, 266, 313
Giovio, Paolo, 285
Giraldi, Lilio Gregorio, 139, 154, 217, 218, 221,
222, 223, 248, 328
Giulio II, 282, 287
Goffredo di Reims, 74
Golia, 284
Gonzaga, Clara, 160, 210
Gonzaga, Federico II, 203
Gonzaga, Francesco, 155, 158, 159, 160, 164, 166,
177, 182, 185, 199, 210, 212, 300, 301
Gonzaga, Ludovico, 159, 200, 291, 320
Gonzaga, Margherita, 300
Gonzaga, Vespasiano, 206, 252
Gonzaga, Vincenzo, 155, 300
Grazie, 133, 137, 268
Grazzini, Antonfrancesco (Il Lasca), 253, 254
Guarino Veronese, 104, 131, 259
Guazzo, Stefano, 252, 260, 261
Guglielmo di Conches, 63, 64, 65, 73, 83, 84, 96,
119, 232
L
Landini, Francesco, 81, 103, 129, 259
Landino, Cristoforo, 132, 134, 135, 137, 139, 146,
147, 148, 154, 259, 275
Laomedonte, 121
Lattanzio Placido, 61, 83, 87, 125, 218, 224, 228
Laura, 108, 109, 110, 111, 113, 263, 264, 302
Leone X, 144, 282, 283, 285, 286, 287, 288, 289,
291, 299
Leonzio, 87, 120, 121
Letea, 61
Licone, 279, 280
Lino, 47, 120, 121, 122, 123, 124, 135, 137, 152
Livio, 123, 268
Lomazzo, Giovanni Paolo, 206, 217, 223, 262
Lot, 116, 117, 174, 175, 318
Luca (Vangelo di), 63, 64, 115, 116, 173
Luciano, 218, 260
Lucrezia, 176, 268
M
Macrobio, 125
Maestro degli Argonauti, 255, 256
Maestro di Orfeo, 201, 202
Magli, Giovan Gualberto, 300
Mantegna, Andrea, 20, 25, 39, 127, 155, 158, 160,
169, 170, 176, 197, 198, 199, 200, 201, 203, 206,
213, 233, 235, 266, 278, 290, 291, 301, 320, 327
Manuzio, Aldo, 218
Marco da Modena, 254
Maria, 81, 157
Marretti, Fabio, 226, 232
Marsia, 103, 206, 246, 247
Marte, 101, 151, 288
Martelli, Braccio, 148
H
Henryson, Robert, 22, 65, 75, 190
Heurodis, 75
442
INDICE ALFABETICO
Marullo, Michele, 150, 151
Marziano Capella, 63, 73, 105
Medea, 256, 268, 280
Medici, Alessandro de’, 289
Medici, Antonio de’, 298
Medici, Clarice de’, 155, 252
Medici, Cosimo (il Vecchio) de’, 131, 132, 141,
142
Medici, Cosimo I de’, 289, 290, 291, 292, 293, 295,
299, 320
Medici, Francesco I de’, 203, 222, 295, 297, 298,
315, 320
Medici, Giovanni de’, 144, 283, 295, 300
Medici, Giovanni di Pierfrancesco de’, 291
Medici, Giuliano de’, 177, 282
Medici, Giulio de’, 284, 289
Medici, Lorenzo de’, 103, 132, 138, 143, 144, 146,
155, 158, 159, 164, 172, 173, 174, 176, 252, 275,
317, 320, 327
Medici, Maria de’, 298, 300, 302, 303, 305, 312,
314, 315, 320
Medici, Piero de’, 282
Medusa, 195
Mei, Girolamo, 296
Meleagro, 206, 246, 247
Menadi, 48, 50, 86, 121, 218, 252, 269, 313 (cfr.
anche Baccanti)
Mensola, 163, 181
Mercurio, 54, 83, 85, 134, 150, 151, 160, 171, 183,
184, 188, 193, 195, 206, 216, 223, 231, 261, 268
Mida, 101, 246, 247
Migliorotti, Atalante, 179
Minosse, 164, 165, 186, 194
Mirra, 50, 280
Mirtillo, 188, 212
Mnasyllus, 185
Mochio, Pietro, 251
Moderno, 202, 203
Mondella, Galeazzo, 202
Monteverdi, Claudio, 11, 22, 27, 29, 133, 155, 177,
206, 213, 295, 296, 298, 300, 301, 308, 309, 312,
313, 316, 317, 318, 319, 321, 331
Mopso, 162, 172, 183, 273
Mosè, 35, 55, 120, 121, 132, 133, 134, 135, 263
Muse, 32, 43, 99, 102, 137, 144, 204, 221, 223, 253,
271, 279
Museo, 35, 46, 55, 120, 121, 122, 123, 124, 133,
135, 152
N
Naldi, Naldo, 47, 142, 143, 145, 146, 147, 224
Narcisso, 15
Neckam, Alexander, 70
Nicola da Urbino, 244
Notker Labeone, 63, 64, 115, 174
O
Oleno, 61
Omero, 37, 145, 178, 179, 312
Orazio, 44, 52, 75, 100, 105, 129, 185, 218, 220,
259, 324
Ovidio, 11, 15, 16, 20, 21, 25, 28, 31, 33, 43, 48, 49,
50, 51, 52, 58, 59, 61, 62, 63, 65, 66, 67, 69, 75,
76, 80, 81, 83, 85, 88, 89, 90, 91, 92, 93, 94, 95,
96, 97, 98, 99, 105, 108, 109, 116, 117, 129, 154,
161, 162, 165, 166, 168, 169, 170, 171, 174, 186,
188, 190, 196, 197, 205, 206, 210, 212, 215, 217,
219, 220, 224, 225, 226, 227, 228, 229, 230, 231,
232, 233, 234, 238, 239, 240, 241, 242, 244, 247,
259, 263, 276, 281, 304, 306, 308, 312, 318, 323,
327
P
Paleotto, Gabriele, 216
Pan, 47, 56, 223
Panfilo, 111
Pasquino, 285, 286, 287, 291
Patroclo, 285
Pazzi, Alfonso de´, 160, 253
Pelia, 256, 257
Penelope, 268
Peri, Jacopo, 11, 22, 29, 42, 113, 133, 276, 295,
296, 297, 298, 299, 301, 302, 304, 314, 318, 319,
320, 321, 331
Periandro, 100, 200
Peritoo, 39, 125
Persefone, 39, 42 (cfr. anche Proserpina)
Peruzzi, Baldassare, 26, 246, 247, 275, 281, 282
Petrarca, Francesco, 12, 20, 55, 68, 69, 70, 79, 104,
106, 108, 109, 110, 111, 112, 113, 114, 116, 119,
120, 122, 123, 124, 129, 131, 159, 213, 221, 249,
252, 253, 263, 264, 305, 317, 319, 325
443
INDICE ALFABETICO
Phanes, 35
Piccolomini, Enea Silvio, 215
Pico della Mirandola, Giovanni, 132, 138, 139,
141, 147, 148, 150, 154
Piero da San Casciano, 291
Pietro di Parigi, 65
Pigmalione, 50
Pindaro, 41, 151
Piramo, 189
Pisan, Cristina di, 20, 69
Pitagora, 134, 135, 145, 153
Platone, 36, 41, 55, 58, 63, 64, 75, 76, 123, 125,
132, 133, 134, 135, 138, 139, 140, 146, 148, 149,
150, 153, 154, 173, 263, 326
Pletone, Gemisto, 132, 135
Plutone, 11, 38, 71, 90, 99, 112, 114, 165, 166, 171,
172, 174, 180, 181, 186, 187, 193, 194, 195, 201,
205, 206, 209, 228, 239, 240, 241, 274, 304, 308,
309, 310, 311, 314, 316
Poliziano, Angelo, 11, 16, 20, 21, 25, 27, 28, 29, 71,
101, 132, 133, 139, 145, 147, 148, 155, 156, 157,
158, 159, 160, 161, 162, 163, 164, 165, 166, 167,
168, 169, 170, 171, 172, 173, 174, 175, 176, 177,
178, 179, 181, 182, 183, 184, 185, 186, 187, 188,
191, 193, 194, 195, 196, 197, 199, 200, 201, 207,
208, 209, 210, 211, 212, 213, 215, 221, 226, 227,
243, 246, 250, 256, 257, 260, 265, 268, 269, 275,
278, 279, 280, 282, 285, 293, 295, 296, 299, 301,
302, 304, 305, 308, 311, 312, 317, 318, 319, 320,
327, 328, 329, 330, 331
Polluce, 47, 87
Pontano, Giovanni, 21, 150, 151, 252, 258, 260,
281
Prometeo, 14, 24, 210
Proserpina, 24, 31, 44, 110, 111, 165, 166, 186,
187, 205, 209, 219, 220, 239, 240, 272, 274, 300,
308, 310 (cfr. anche Persefone)
Proteo, 44, 208, 272
Protogonos, 35
Provenzale, Marcello, 26
Pucci, Piero Maria, 108, 245
Pulci, Luigi, 148, 254, 263, 264
Raffaello Sanzio, 59, 153
Raimondi, Marcantonio, 244, 276, 277
Rasi, Francesco, 298, 300
Rea, 35, 141
Regino di Prüm, 72
Regio, Raffaele, 37, 224, 236, 238
Remigio di Auxerre, 62, 63, 65, 68, 70, 73, 125
Riario, Pietro, 265
Rinaldo, 264
Rinuccini, Ottavio, 276, 296, 297, 298, 299, 301,
302, 303, 304, 305, 306, 308, 309, 311, 312, 313,
314, 318, 319, 320, 330, 331
Ripa, Cesare, 262, 263
Romano, Giulio, 203, 235, 236, 240, 241, 246
Rusconi, Giovanni Antonio, 237
S
Sacchetti, Franco, 102, 103
Saffo, 223, 251
Salomone, Bernardo, 69, 232, 239
Salutati, Coluccio, 53, 55, 70, 80, 81, 85, 98, 106,
115, 119, 124, 125, 126, 127, 129, 131, 175, 177,
200, 266, 275, 313, 317, 326
Sanga, Giovan Battista, 254
Saturno, 261
Savonarola, Girolamo, 175, 215, 282
Scavizzi, Giuseppe, 20, 22, 108, 199, 200, 201, 210,
261, 273, 274, 276
Scilla, 280
Semiramide, 268, 280
Seneca, 52, 53, 58, 123, 174
Senofonte, 37
Serdini, Simone (Il Saviozzo), 101, 102
Servio, 44, 125
Sforza, Costanzo, 265, 266
Sforza, Galeazzo, 159
Sforza, Gian Galeazzo, 265, 267
Sibilla, 46, 152
Signorelli, Luca, 129, 274, 275, 277, 328
Sileno, 47
Silvestre, Bernardo, 64, 65, 84, 105, 124, 126
Simintendi, Arrigo, 89, 90, 91, 92, 98, 161, 197,
233
Simonetta (Cattaneo), 177
Sisifo, 48, 90, 166
Sofocle, 37, 296, 312
R
Rabano Mauro, 68, 83
Radamanto, 302, 303, 308
444
INDICE ALFABETICO
Solone, 135
Spirito, Lorenzo, 61, 136, 225, 226, 227, 228, 237,
245, 319, 329
Stampa, Gaspara, 252
Stige, 49, 67
Strada, Jacopo, 204
Striggio, Alessandro, 11, 177, 301, 304, 305, 306,
307, 309, 310, 311, 312, 313, 314, 316, 317, 318,
320, 321, 331
Symeoni, Gabriello, 69, 232, 239
114, 116, 117, 118, 122, 127, 146, 154, 162, 165,
166, 167, 171, 174, 177, 184, 186, 188, 198, 204,
206, 210, 212, 215, 259, 268, 272, 281, 304, 305,
323, 324, 327
Visconti, Giovan Battista, 299
X
Xanto Avelli da Rovigo, Francesco, 244, 245
Z
Zagreo, 36
Zarlino, Gioseffo, 295, 296
Zeto, 87, 223
Zeus, 13, 36, 55
Zoroastro, 134, 135, 136, 152, 153
T
Talete, 135
Tamira, 279, 280
Tansillo, Luigi, 258, 263
Tantalo, 48, 58, 90, 166
Tartaro, 58, 59, 116, 144, 165
Tasso, Torquato, 48, 80, 150, 251, 252, 258, 260,
301, 315
Tebaldi, Antonio (Tebaldeo), 182, 251, 252, 263
Teocrito, 37, 177
Teodonzio, 86, 87
Teodoreto, 57
Teodoro di Saint-Trond, 74
Teseo, 39, 46, 124, 125, 127, 152
Thyrsi, 184
Tisbe, 189
Titani, 35, 36
Tiziano Vecellio, 20, 273, 274
Tizio, 48, 58, 90
Tribolo, Niccolò, 291, 292
Trivet, Nicholas, 65, 73, 96
Tucidide, 37
Turchi, Francesco, 232, 329
V
Vasari, Giorgio, 108, 284, 291, 292
Venere, 31, 50, 102, 126, 127, 149, 158, 219, 220,
302, 303, 308, 311, 316
Venuti, Comedio, 252
Verino, Ugolino, 144, 175
Vespucci, Marco, 177
Virgil Solis, 69, 239
Virgilio Marone, P., 21, 28, 31, 33, 43, 44, 45, 46,
47, 48, 49, 50, 51, 52, 58, 59, 60, 63, 65, 75, 76,
80, 83, 86, 88, 92, 93, 94, 95, 96, 98, 108, 109,
445