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Fratres de familia gli insediamenti dell’osservanza minoritica nella penisola italiana (sec. XiV-XV) a cura di letizia Pellegrini e gian Maria Varanini quaderni di storia religiosa 2011 Una questione di famiglie. Lo sviluppo dell’Osservanza francescana e l’aristocrazia milanese (1476­1516) Edoardo Rossetti Il 12 maggio 1498, il consigliere ducale Ambrogio del Maino, iglio di Andriotto e di Elisabetta Pallavicini, cugino del duca di Milano Ludo­ vico Maria Sforza, malato, detta il proprio testamento nel suo palazzo milanese sito nella contrada del Maino di porta Vercellina. Dispone per la salute della propria anima annuali in ognuno dei monasteri dell’Os­ servanza francescana della Provincia lombarda1. Il del Maino si riprende e muore nel 1516 in esilio a Siena, dopo l’ennesimo naufragio politico, ma con il testamento del 1498 traccia lo stato delle fondazioni bernar­ diniane nell’area dipendente dal monastero di Sant’Angelo: la Provincia Mediolanensis. Una lista acclusa al testamento speciica in quali cenobi debbano celebrarsi le messe: Mediolani, Comi, Legnani, Varisii, Palantia, Birinzona, Varali, Vercelis, Sancte Agate, Iporigia, Sancti Georgii, Lugani, Abiati, Mortarii, Viglevani, Melegnani, Laude, Sonzini, Caravagii, Triviglii, Leuci, Plebis Inzini, in Campo, Modoetie, Montisbiranzie 2. L’elenco trascende i conini del ducato milanese, rispettando con scrupolo i termini della ripartizione provinciale. La vicaria dei francesca­ ni osservanti travalica infatti, con la Custodia vercellese, nei territori del ducato sabaudo, mentre esclude i centri dell’alessandrino, del tortonese, del cremonese, del piacentino e del parmense. Questi ultimi luoghi sono parte integrante del ducato di Milano, ma sono sottoposti ai vicari di Genova e Bologna. Nel testamento di Ambrogio si omette, ad esempio, perché inclusa nella Provincia genovese, la principesca Pavia con il suo importante cenobio di San Giacomo alla Vernavola, fondato nel 1421 con intercessione ducale – in parallelo a Sant’Angelo – e consegnato di­ rettamente a Bernardino da Siena, nonché centro strettamente collegato 101 edoardo rossetti alla storia della famiglia del Maino3. Non si trascurano nemmeno le fon­ dazioni più recenti, non ancora consacrate, come ad esempio le chiese dedicate a Santa Maria degli Angeli di Lugano, Bellinzona ed Erba (Plebis Inzini), Santa Maria in Campo a Cermenate, ma sono dimenticate – dif­ icile capire se si tratti di una svista o di una voluta omissione – Novara e Maleo4, e non si fa alcun cenno al cenobio del Monte Barro, l’unico eremo della Provincia, divenuto convento in tempi successivi e primo tra le case milanesi a passare ai Riformati5. Il documento permette di testare il grado di coscienza – probabilmente stimolato da qualche frate confessore6 – di uno dei primi gentiluomini di Milano in relazione alla distribuzione dei centri dell’Osservanza minoriti­ ca. Ambrogio non concepisce il suo legato come un’elargizione ai conven­ ti di un’area territoriale legata all’inluenza esercitata dalla propria casata, che nel caso del Maino si sarebbe dovuta limitare a lasciti ai soli cenobi dell’alto milanese, del pavese e del novarese (le zone dove i possedimenti e le ‘clientele’ famigliari sono più stabili); nemmeno si cura di delineare la propria devozione secondo i contorni dello stato regionale entro il quale esercita la propria inluenza come consigliere segreto e aine del principe. Il testamento, con la sua fotograia a data 1498, risulta quindi punto di partenza interessante per rilettere sullo stato dell’Osservanza milanese al chiudersi del XV secolo, e ricorda l’importanza – per una rilessione sullo sviluppo dell’esperienza osservante minoritica – di una lettura che tenga conto di quanto avviene in ciascuna Provincia (secondo l’antica spazialità quattrocentesca), a prescindere dalla struttura che assumono le vicarie dopo la metà del XVI secolo, dai conini statuali antichi e ovviamente da quelli regionali moderni. Non si può ad esempio, se si vuole comprende­ re lo sviluppo peculiare di un esperimento artistico dei Minori osservanti, quello dei tramezzi afrescati, studiarne gli sviluppi senza tenere conto dei conini e dalle istanze interne della Provincia milanese così come si struttura tra il 1474 e i primi decenni del Cinquecento7. La data 1498 è inoltre signiicativa per efettuare un confronto sullo stato delle due famiglie francescane nella Provincia. A meno di un mese dalla stesura del testamento di Ambrogio del Maino i ‘conventuali’ si riuniscono nella capitale: per l’occasione è stilato un documento (Tavola capitolare), nel quale sono segnalati i luoghi francescani dipendenti da 102 lo sviluppo dell’osservanza francescana e l’aristocrazia milanese San Francesco Grande8. Il dato più signiicativo emergente è la presenza della Custodia bresciana nel novero di quelle dipendenti dai ‘conven­ tuali’ di Milano (le altre sono le Custodie milanese, comasca, vercellese, monzese) e del convento di Crema enumerato tra quelli della Custodia milanese, a testimoniare che ormai le due Provincie parallele avevano acquisito anche dimensioni territoriali diverse e che i frati di San Fran­ cesco Grande non avevano risentito delle polemiche politiche che aveva­ no coinvolto gli Osservanti insediati nella Terraferma veneta9. In totale, Custodia bresciana inclusa, sono ventinove i luoghi ‘conventuali’, ma in realtà sono solo ventiquattro i conventi nel territorio che corrisponde alla parallela Provincia milanese osservante per come si conigura dopo il 1474. I centri dell’Osservanza fondati in circa settant’anni nella vica­ ria milanese sono invece ventisette: calcolando rispetto al testamento del Maino anche Novara e Maleo, ed escludendo il romitaggio di Santa Maria presso Monte Barro. Nella vicina e nuova Provincia bresciana i cenobi osservanti sono ben diciannove contro i solo quattro ‘conven­ tuali’10. Al chiudersi del XV secolo, la famiglia osservante ha quindi su­ perato quella conventuale nel numero di insediamenti, andando però, nella maggioranza dei casi, a completare la geograia francescana: ovvero colonizzando centri dove i frati di San Francesco Grande non si sono stanziati in precedenza11. 1. Cronologia delle fondazioni Le fondazioni dei centri dell’Osservanza nella Provincia milanese e nel ducato sembra avvenire secondo precisi criteri di difusione sul ter­ ritorio; con un ordine di precedenza – per altro comune ad altre regio­ ni d’Italia – dato ovviamente alle città sedi episcopali. Fanno seguito, in senso decrescente sotto il proilo dell’importanza e della consisten­ za demograica dei centri, gli insediamenti nelle ‘quasi città’, nelle terre grosse e nei borghi. Al primo inserimento nella capitale – Sant’Angelo12, direttamente collegato alla presenza di Bernardino in città – e a Pavia (1421), seguono le fondazioni: piacentina (1421)13, bergamasca e bre­ sciana (entrambe nel 1422)14. Bisogna attendere invece gli anni Trenta 103 Insediamenti dei Francescani Osservanti nella Provincia e nel Ducato di Milano (1498) 104 105 edoardo rossetti per l’insediamento a Lodi (1430)15, Parma (1434), Cremona (1438)16 e, al chiudersi del decennio, Como (ca. 1440)17. Seguono Novara, che arriva in ritardo verso il 144418, e Vercelli – non inclusa nel ducato, ma nella Provincia francescana – intorno al 145319; mentre, entro i conini dello stato sforzesco ma nella Provincia genovese, Alessandria ha il pro­ prio cenobio prima del 145020. Comunque, all’aprirsi del sesto decennio del XV secolo, tutte le principali città sedi vescovili incluse nel duca­ to di Milano sono dotate di un monastero osservante21. In tutti questi centri avviene una duplicazioni delle sedi francescane e in nessun caso gli Osservanti si inseriscono in luoghi abitati in precedenza dai minori ‘conventuali’ 22. Le intitolazioni delle chiese sono le più disparate – San Giacomo alla Vernavola a Pavia, Sant’Apollonio a Brescia, San Giovanni Battista a Lodi, Santa Croce in Boscaglia a Como, dedicazioni mariane a Piacenza e a Vercelli (rispettivamente di Nazareth e di Biliemme) – sin­ tomo dell’insediamento degli Osservanti in ediici religiosi preesistenti, tutti extraurbani ma non molto discosti dall’abitato, tendenzialmente abbandonati o in stato di rovina. In questa fase, fanno eccezione – antici­ pando le intitolazioni che diventeranno canoniche – Milano e Cremona con Santa Maria degli Angeli, Bergamo con Santa Maria delle Grazie e Parma con Santa Maria Annunciata. L’insediamento degli Osservanti prosegue nella Provincia milanese con la fondazione di conventi in borghi di notevoli dimensioni: Treviglio nel 144123, Mortara nel 144724 e Crema nel 145525. È notevole la volon­ tà dei frati milanesi di colonizzare l’area della Custodia bresciana; qui le fondazioni avvengono con cadenza relativamente regolare e costante: Pianengo (forse in dal 1418)26, Aguzzano (1436)27, Pralboino (1444)28, Lovere (1448)29, Asola (1451)30, Chiari (1456)31, Erbusco (1465)32, Ghe­ di (1465)33, Quinzano d’Oglio (1467)34. Invece negli anni Cinquanta la costruzione di nuovi insediamenti all’interno del territorio del ducato è praticamente bloccata, in controtendenza a quanto avviene nel panora­ ma italiano, ma in contemporanea alla forte crisi istituzionale dell’ordi­ ne35. Sempre agli anni Cinquanta risalgono le fondazioni di Santa Maria di Biliemme presso Vercelli (1453) e di San Bernardino ad Ivrea (1456), entrambe in zona savoiarda36. L’unico caso isolato di neofondazione nella provincia ed entro i conini del ducato è quello di Santa Maria delle Gra­ 106 lo sviluppo dell’osservanza francescana e l’aristocrazia milanese zie a Monza, che dovrebbe risalire al 1461 e riceve sovvenzioni da parte del duca nel 146637. Extra provincia ed intra ducato gli unici nuovi con­ venti sono costruiti su iniziativa aristocratica: dei Dal Verme a Voghera e degli Sforza di Santa Fiora a Castell’Arquato38. Il momento più signiicativo delle nuove fondazioni della provincia milanese risulta la ine del settimo e l’inizio dell’ottavo decennio del XV secolo. Si gettano con inusitata rapidità le fondamenta dei conventi di Legnano, Pallanza e Varese, tutti in grossi centri a nord di Milano e tutti nel 146839. Nel caso di Varese si registra una duplicazione di insediamenti francescani: l’attività degli ‘zoccolanti’ della locale Annunciata si sovrap­ pone a quella dei ‘conventuali’ del vecchio cenobio di San Francesco 40. Per iniziativa ducale si fonda nel 1469 l’Annunciata di Abbiategrasso e, contemporaneamente, Tristano Sforza, fratellastro del duca, contribui­ sce all’ediicazione dell’Annunciata di Soncino (1470)41. Tre anni dopo, nel 1472, mentre si apre la crisi con Venezia per la Custodia bresciana e si acuisce la lotta milanese tra Conventuali e Osservanti causata dal­ le Clarisse di Sant’Apollinare42, i Secco collaborano alla fondazione del convento di Caravaggio43, mentre a Lecco si ediica un nuovo centro presso la chiesa di San Giacomo al Castello (poco prima 1474)44. A Vi­ gevano si assiste – non senza contrasti – all’ultima duplicazione di una sede francescana nel milanese45: i progetti per il convento delle Grazie si possono datare al 1470, ma non si costruisce nulla prima del 1473 e i frati prendono possesso di un luogo non ancora terminato nell’estate del 147646, mentre in contemporanea il duca stesso fa preparare i piani per un nuovo cenobio da ediicarsi in Galliate, mai realizzato47. Al 1478 risale la fondazione della Misericordia di Melegnano, forse già progettata dalla defunta duchessa Bianca Maria nel 146848. All’aper­ tura degli anni Ottanta si prepara con una nuova ondata la costruzione dei cenobi di Bellinzona, Erba e Montebrianza, mentre nel 1486 Galeaz­ zo Bevilacqua e Antonia Pallavicini sostengono lo sforzo inanziario per la fondazione delle Grazie a Maleo49. Resta in sospeso il progetto per la costruzione di un convento a Magenta, dove si costruisce solo una chiesa dedicata a San Bernardino con una casa­ospizio dipendente dall’Annun­ ciata di Abbiategrasso50. Sorgono tutti nella diocesi comasca gli insedia­ menti dell’ultimo decennio del XV secolo: Cermenate (1493) e Lugano 107 edoardo rossetti (presenza dal 1490, ma ediicazione del convento dal 1499); a Cerme­ nate, in Santa Maria in Campo, si registra per altro, in mezzo a tutte le fondazioni completamente ex novo degli ultimi due decenni, un estremo caso di riciclo di un vecchio ediicio ecclesiastico51. L’ultima creazione consistente è quella del luogo di Trecate Novarese nel 1520, ma ormai la parabola dello sviluppo dell’Osservanza è veramente terminata52. L’evoluzione dei cantieri fondati tra il 1468 e il 1472 sembra inso­ litamente rapida53, ma è diicile comprendere se la frenetica esecuzione di questi cenobi sia da attribuirsi a una sorta di ansia ediicativa degli Sforza; esplicitata dal duca Galeazzo Maria nelle direttive impartite per l’Annunciata di Abbiategrasso54. La progettazione è ormai standardizzata e sono deiniti i nomi delle intitolazioni: san Bernardino o santa Maria, nelle varianti Annunciata, degli Angeli, delle Grazie, della Misericordia. Risulta invece più lenta la gestazione dei conventi iniziati negli anni Ot­ tanta55. Tra la fondazione e la consacrazione della chiesa passano almeno quindici o vent’anni e si ha l’impressione che i religiosi si insedino in eterni cantieri; dove i modelli – nati nella fase di frenetiche fondazioni della provincia milanese (1469­1476)56 – si replicano in tempi molto lunghi: emblematico il caso vigevanese che vede i frati installarsi in un ediicio «rimasto imperfetto [...] molto sconzo ad habitare» la cui chiesa sarà dotata di una parete afrescata «a quadretti» (il tramezzo) solo nel 1500 a ventidue anni dalla consacrazione57. 2. Un clan potente: Carcano, del Maino e Visconti di Somma 2.1. Una sepoltura a quattro in Sant’Angelo È ancora Ambrogio del Maino a sorprendere, nel 1507, con la stesura di un secondo testamento: le disposizioni per la sepoltura sono mutate e, come convenuto con frate Francesco da San Colombano58, gli eredi sono tenuti pro quarta parte ad construi fatiendum capellam unam in ecclesia Sancte Marie de Angellis syta extra et prope civitatem Mediolani, una cum magniico equite domino Baptista Vicecomite ac magniico iuris utriusque doctore domino Hyeronimo de Car- 108 lo sviluppo dell’osservanza francescana e l’aristocrazia milanese chano, consanguineo meo, et cum herede quondam magniici domini Gasparis Vicecomitis ilii quondam domini Azonis, prout conventum fuit per prefatum dominum Baptistam ac prefatum dominum Gasparem et me testatorem cum venerabile domino fratre Francisco de Sancto Columbano59. Dietro a questa singolare volontà di Ambrogio potrebbe esserci un ex voto dei quattro correlato alla loro rocambolesca fuga dal campo della disfatta sforzesca di Novara nell’aprile 150060. Non è possibile per ora sapere con assoluta certezza se questa cappella sia stata costruita ex novo o se per la sepoltura congiunta del Maino, Visconti e Carcano sia stata riu­ tilizzata e restaurata (con soluzione assai probabile) un’altra delle dodici cappelle di Sant’Angelo, verosimilmente quella di fondazione del Maino dedicata allo Spirito Santo61. Resta comunque degno di nota, oltre alla peculiarità di una sepoltura a quattro, che se il testamento di Ambrogio del 1498 traccia lo stato territoriale dell’Osservanza, quello del 1507 disegna il tronco dell’albero famigliare di un gruppo, tutto composto da ghibellini e ilosforzeschi, sostenitori ad oltranza dei frati impiantati da Bernardino da Siena in Lombardia. Si tratta infatti dello zoccolo duro dell’aristocrazia milanese, che emerge al di sopra del notabilato cittadino. È opportuno quindi applica­ re anche allo studio dell’Osservanza minoritica nei rapporti con la socie­ tà milanese la distinzione – acquisizione relativamente recente della sto­ riograia62 – tra la grande aristocrazia meneghina e lombarda e la nobiltà cittadina milanese (i cives) che iltra poi nel patriziato urbano cinquecen­ tesco63: gli uni (i Pallavicini e i vertici delle consorterie Barbavara, Carca­ no, del Maino, Gallarati, Pusterla, Secco, Sforza, Visconti)64 inanziatori della costruzione di interi conventi, fondatori di cappellanie perpetue nei cenobi delle Clarisse, sepolti in monumenti marmorei nelle cappelle principali di Sant’Angelo; gli altri (Alciati, Archinto, Arese, Arrigoni, Be­ sozzi, Balsamo, Cagnola, Crivelli vari, da Cemo, da Gerenzano, Dugna­ ni, Garbagnati, Lampugnani vari, Landriani vari, Moroni, Pecchi, Porro, Vimercati, Vismara, Tanzi, Tonsi o Tosi, Trivulzio vari ecc.) deputati del Monte di Pietà, del Luogo Pio della Carità, fabbricieri di Sant’Angelo e con sepolture nei vasti chiostri. Non mancano comunque per questo secondo gruppo attestazioni di cappelle proprie in Sant’Angelo, ediicate 109 edoardo rossetti quando in caso d’estinzione della linea maschile diretta si sente l’esigen­ za di costruire un luogo che tramandi la propria memoria personale e famigliare (Dionisio Alciati e Giovanni Filippo Garbagnati)65, oppure quando la disponibilità inanziaria è notevole e una cappella in Sant’An­ gelo diventa un elemento fondamentale del tentativo di escalation sociale (Arrigoni, Cagnola, da Gerenzano, Pecchi, Porro)66. Il gruppo magnatizio milanese vicino all’Osservanza è strettamente avvinto da una serie di antichi legami parentali che nel XV secolo si ri­ annodano intorno ai matrimoni delle iglie del conte Carmagnola per la prima metà del secolo, e a quelli delle iglie di Pietro Pusterla – quattro e tutte dotate per la bella somma di 4.000 iorini ciascuna – per la se­ conda metà. Sono un ramo dei Bossi di Azzate (precocemente estinto), i Castiglioni di Casciago, i Crivelli di Dorno e Lomello, i del Maino, i Gallarati, i Pusterla di Frugarolo, i Visconti (specie quelli di Somma, poi di San Vito), che si imparentano continuamente tra di loro, sposa­ no i Crotti di Casalino, i Pallavicini di Busseto, i caravaggini Secco, gli Stampa di Soncino e i Rusca conti di Locarno67. Essi escludono quasi completamente dalle loro parentele, o riducono in posizione margina­ le i Birago, i Borromeo, gli altri Castiglioni (di Venegono), i Casati, i Cusani, i Landriani di Spino, i conti Mandelli, i Marliani, i calabresi Simonetta, i Trivulzio (salvo per il matrimonio tra Maddalena di Gian Fermo Trivulzio con Antonio Visconti di Guido)68; per non parlare dei Brivio, dei Landriani discendenti da Accorsio, dei napoletani Sanseve­ rino conti di Caiazzo, dei cremonesi Stanga, cioè il clan dei favoriti del Moro, con l’eccezione di Bergonzio Botta che sposa Daria Pusterla69. Degno di nota che tutto questo secondo gruppo, fatti salvi generici legati, sembra autoescludersi o essere escluso anche dal inanziamento ai centri dei Minori osservanti. Anche in questo caso sono i vertici delle rispettive consorterie a sembrare estromesse dalla gestione dei cantieri francescani, ma non mancano ovviamente Castiglioni, Casati, Cusani e Trivulzio tra i frati o tra i sepolti in Sant’Angelo70. Valga per tutti il comportamento di Gian Giacomo Trivulzio che nei suoi principeschi testamenti ignora completamente i frati minori e che fa con la propria suntuosa sepoltura nella parrocchiale di San Nazaro in Brolio una scel­ ta contemporanea71, ma diametralmente opposta a quella di Gerolamo 110 lo sviluppo dell’osservanza francescana e l’aristocrazia milanese Carcano, Ambrogio del Maino e del «capo di la parte gebelina [...] suo nemico» Battista Visconti72. 2.2. I Visconti di Somma Se ci si addentra ulteriormente nei rapporti di questa parte dell’aristo­ crazia lombarda con gli Osservanti, Francesco Visconti (padre del Batti­ sta sepolto con Ambrogio del Maino) lascia le avite prestigiose sepolture in Sant’Eustorgio e dispone con il proprio testamento del 1476 per la co­ struzione di una cappella in Sant’Angelo73; inoltre istituisce una cappella­ nia in Santa Chiara e fa legati a Sant’Orsola74. Le tracce del sodalizio con i Francescani osservanti si possono far risalire almeno ad un ventennio prima, quando tra il 1457 e il 1459 con il fratello Guido, Francesco fa ricostruire la chiesa pievana di Somma Lombardo di patronato famiglia­ re e sceglie come modello per la nuova costruzione Sant’Angelo75. Non si tratta verosimilmente solo di una scelta di stile, ma di una signiicativa attestazione di appartenenza, confermata dal contemporaneo moltipli­ carsi dei monogrammi bernardiniani accanto alla vipera viscontea nei porticati del castello di Somma. È comunque attraverso i molti testamenti (almeno sette tra il 1477 e il 1514)76 di Battista Visconti, iglio di Francesco, che emerge sfaccia­ tamente tutta la sintonia con i Minori osservanti: la sepoltura è sempre indicata in Sant’Angelo; con le varianti per la titolatura della cappella di famiglia (dedicata ora al Corpo di Cristo, ora alla Natività della Vergi­ ne) derivanti da un possibile stato dei lavori nell’ediicazione del sacello rispetto all’ambiente originariamente assegnato ai Visconti dai frati. Nei testamenti si istituisce anche una cappellania per le terziarie di Sant’Eli­ sabetta, ormai Clarisse del Gesù77. Nel 1486 è predisposta una partico­ lare suddivisione dei patronati tra gli eredi corrispondente alla porzione di beni a loro assegnati: al primogenito spetta il castello e territorio di Somma Lombardo e il patronato della chiesa pievana di Sant’Agnese a Somma, al secondogenito si lasciano le proprietà di Mezzana e la tutela dell’altra chiesa pievana di Santo Stefano a Mezzana e al terzogenito il palazzo di Milano e in blocco il diritto di eleggere i cappellani incarica­ ti di celebrare messa nei monasteri cittadini di Santa Chiara, del Gesù 111 edoardo rossetti e Sant’Apollinare (tutti ovviamente di Clarisse dipendenti da Sant’An­ gelo). Non solo emerge una peculiare programmazione nella gestione dell’eredità del Visconti, che sembra a queste date privilegiare le terre avite dove la parentela esercita una signoria di fatto rispetto alla residenza milanese, ma si comprendono chiaramente i forti legami stretti in città con i Francescani osservanti: la famiglia esercita patronato su tre dei cin­ que monasteri urbani di Clarisse legate all’Osservanza. Nei testamenti del 1504 e 1510 – si è in pieno periodo francese – i riferimenti si fanno più criptici: la sepoltura è indicata comunque in Sant’Angelo, in cappella mea, ma si obbligano gli eredi a soddisfare ancora i legati di Francesco Visconti per la cappella da costruirsi in Sant’Angelo; soprattutto, degno di nota, scompaiono i legati ‘religiosi’ e Battista indica che dovrà essere eseguito quanto da lui disposto in uno scritto steso manu propria, sigil­ lato e consegnato nelle mani di Angelo Tonsi, guardiano di Sant’Angelo. In ultimo, nel 1514 – il testamento è steso nel momento di apice politico di Battista – si legano 100 ducati a Sant’Angelo, ancora pro capella quondam magniici patris mei (forse non ancora completata o dotata). Progressivamente il rapporto con i Minori di Sant’Angelo sembra de­ linearsi come obbligato per tutti i parenti e amici di Battista. Il cognato Giuliano Pusterla sceglie Sant’Angelo come ultima dimora, forse proprio in una delle cappelle viscontee78. Dei cinque primi cugini di Battista, i igli dello zio Guido Visconti, due scelgono di essere sepolti in Sant’An­ gelo e uno a Santa Croce in Boscaglia79. Galeazzo Visconti conte di Busto dispone tardivamente per la propria sepoltura80, ma dal 1521 ordina una marmorea tomba nella cappella di Sant’Angelo che deve chiamarsi capella illustris domini Galeaz Vicecomitis et sit intitulata capella domini Sancti Francisci 81. La sepoltura diventa sempre più sontuosa nelle disposizioni successive: nel 1530 si ordina addirittura un regale gisant rappresentante l’eige del testatore. Nel rogare l’atto il notaio stesso fa confusione sul luogo dove si deve istallare l’arca, alternando in note ittissime a margine disposizioni riguardanti Santa Maria del Giardino – dove i frati di San­ t’Angelo si sono installati dopo il sacco del 1527 – e progetti per una rico­ struzione di Sant’Angelo82. Princivalle, cugino di Battista e fratello di Ga­ leazzo, dispone anch’egli sepoltura in Sant’Angelo e ha una iglia (Angela Bernardina) monacata al Gesù83, mentre sua moglie testando nel 1523 fa 112 lo sviluppo dell’osservanza francescana e l’aristocrazia milanese lasciti consistenti allo stesso monastero84. Il più piccolo dei igli di Guido, Battista Visconti detto il Comparino, decide invece di farsi inumare nella chiesa comasca di Santa Croce in Boscaglia e inoltre ordina la costruzione di un convento di Francescani osservanti da dedicarsi a San Bernardino e destina 2.000 ducati per la fondazione di un monastero di Clarisse; en­ trambi nella sua terra di Cislago85. Inoltre il Comparino sembra essere un patito di tramezzi afrescati e un committente attento ai modelli artistici minoritici. Ma sono molti altri i Visconti dell’entourage di Battista iglio di Francesco a optare per una sepoltura in Sant’Angelo86. Il propagarsi di indicazioni di afetto verso i frati minori milanesi sem­ bra comunque trascinare non solo i parenti o gli agnati, ma muovere tutta la ‘clientela’ che ruota intorno all’aristocratico: un esempio per tutti quel­ lo di Francesco Besozzi, nobile di provincia sistematosi a Milano come notaio, imparentatosi con i Pagani da Rovello – notai di iducia di Battista Visconti e di buona parte dell’élite ghibellina che abita tra porta Comasi­ na e porta Vercellina – diventa un assiduo frequentatore di casa Visconti, ma è sempre presente anche in casa Carcano; Battista lo favorisce nella sua ascesa politica e il Besozzi si fa coinvolgere nel clan di Sant’Angelo dispo­ nendo nel 1513 di essere sepolto iusta ferratam capelle magniici domini Baptiste Vicecomittis 87. Nelle disposizioni degli anni successivi le indica­ zioni testamentarie mutano e il notaio dota la cappella di Santa Caterina al Monastero Maggiore, facendosi seppellire sotto il tramezzo del Luini commissionato da Ermes Visconti, iglio di Battista88, ma non mancano i legati alla Scuola di San Giuseppe dipendente dal Giardino dei Minori osservanti o al monastero del Gesù89. Una situazione simile sembra crearsi con i bustocchi Tonsi o Tosi, legatissimi a Battista e Galeazzo Visconti, con un membro della consorteria (Angelo Tonsi) guardiano di Sant’An­ gelo nei primi anni del XVI secolo e, caso raro, con mantenimento del patronato di una cappellania anche in Sant’Angelo Nuovo90. 2.3. I Carcano Anche in e da casa Carcano, complice lo zio frate Michele91, si pro­ paga il contagio verso i Minori osservanti. Donato, iglio di Antonio e fratello di Gerolamo, dispone sepoltura in Sant’Angelo, nella cappella 113 edoardo rossetti di famiglia e nel sepolcro di suo padre Antonio, lega anche donativi per le Grazie di Monza (il suo confessore è il padre guardiano del cenobio brianzolo, Arcangelo Pasquali), ma ovviamente tutta la sua preoccupa­ zione è volta a risparmiare denari per le doti delle molte iglie92. Am­ brogio suo fratello lascia 150 ducati alla fondazione tutta famigliare di Santa Maria in Campo di Cermenate e 100 a Sant’Angelo, nonché un sussidio alle sue sorelle Gerolama Seraina e Angela Caterina monache in Santa Chiara93. Beatrice Visconti Carcano, iglia di Pier Francesco di Saliceto, segue il marito nella cappella di Sant’Angelo e dispone legati per i conventi di Milano e Cermenate94. Lo stesso Gerolamo, che è spo­ so di una Secco di Caravaggio diretta discendente dei fondatori del con­ vento di San Bernardino, in un momento di crisi politica (1525) sceglie di farsi seppellire nella periferica Santa Maria in Campo 95, salvo poi ripristinare la cappella del nonno del Maino in Sant’Angelo, indican­ dola con precisione come sotto il tramezzo: è quella già ricordata dello Spirito Santo in cui sono forse inumati anche i suoi amici96. Quando, dopo il 1551, si progetta il nuovo convento milanese dei Francesca­ ni osservanti, i igli di Donato e Beatrice, Giacomo Antonio e Cesare Carcano, sono tra i primi a inanziare l’opera assicurandosi il patronato della cappella a sinistra dell’altare maggiore97. La direttrice Sant’Angelo sembra orientare anche i matrimoni delle iglie di Donato. Orsina si accasa con Niccolò Beccaria; il padre dello sposo, Castellino di Anto­ nio, quando lascia il suo palazzo valtellinese di Sondrio abita nella casa milanese dei Carcano e qui fa rogare il suo testamento disponendo se­ poltura in Sant’Angelo e destinando alla chiesa 100 ducati, mentre 200 sono lasciati alla comasca Santa Croce in Boscaglia98. Il matrimonio di Giacomo Gallarati con Angela Carcano può avere indirizzato questo ramo del casato (con avita sepoltura in San Francesco Grande) verso la fondazione della cappella di Santa Caterina in Sant’Angelo99. Eleo­ nora diventa moglie di Giovanni Giacomo Porro, iglio del banchiere e tesoriere ducale Giovanni Pietro; Angelo Porro, lo zio dello sposo è guardiano di Sant’Angelo prima e di Santa Maria degli Angeli a Lugano poi. Anche i Porro possiedono una cappella in Sant’Angelo dedicata a San Girolamo e fondata dalla matrona di casa, Caterina Resta100. E si fa presto ad intuire come nella maglie di questa rete parentale cadano 114 lo sviluppo dell’osservanza francescana e l’aristocrazia milanese le commissioni di Bernardino Luini a Lugano e di Gaudenzio Ferrari a Milano, che siano esse indirizzate alla famiglia o all’ordine. 2.4. I del Maino Come già considerato, la devozione di Ambrogio del Maino per l’Os­ servanza francescana è notevole, ma il suo non è un caso isolato nella famiglia101. Sua cugina Rossana del Maino Castiglioni, inluente nobil­ donna milanese dalla vita domestica turbolenta ed erede di metà delle abbondanti sostanze del padre Lancellotto102, dopo avere destinato nel suo primo testamento del 1480 ben 800 iorini al monastero milanese di Sant’Angelo prepara altri interessanti legati degni di attenzione. Al ceno­ bio di Santa Maria delle Grazie a Monza assegna 200 iorini, altri 200 so­ no lasciati rispettivamente a Santa Chiara, Sant’Orsola e Santa Maria del Gesù e solo 100 a San Bernardino e a Sant’Apollinare: in pratica la nobil­ donna ricorda tutti i monasteri cittadini di Clarisse dipendenti dagli Os­ servanti di Milano. Dispone inoltre che in caso di estinzione della linea di discendenza legittima dei propri igli la sua eredità debba essere suddivisa in quattro parti uguali. I beneiciari sono: i igli della sorella Elisabetta del Maino e di Antonio Carcano (ovvero i nipotini del beato Michele Carcano: i già citati Donato, Gerolamo e Ambrogio), i igli legittimi di suo zio Andriotto del Maino, tutti i membri della consorteria del Mai­ no – non si manca di accludere un’interessante elenco degli agnati che sembra accuratamente calcolato per ordine di gerarchie e di importanza e non di prossimità di grado – e inine alcuni dei principali cantieri aperti sullo scorcio degli anni Settanta del Quattrocento dai Minori osservanti (loco Melegnani, loco Sonzini, loco Caravagii et loco Trevillii )103. La scelta di privilegiare questi luoghi sembra atipica all’interno delle strategie famigliari della gentildonna, che a logica avrebbe dovuto sov­ venzionare qualche nuova fondazione a nord di Milano o nel pavese: come per il resto della consorteria il grosso dei possedimenti della del Maino si trovano infatti nella fascia nord­occidentale del ducato, mentre tutti questi cenobi oggetto del consistente legato sono eretti nell’area orientale, prossima al conine veneto. I conventi scelti sembrano circon­ dare la controversa enclave cremasca della Serenissima e la data del testa­ 115 edoardo rossetti mento (1480) è prossima alla traumatica creazione della provincia bre­ sciana (1474), ai progetti del duca Galeazzo Maria per la fortiicazione dei conini orientali e alle continue crisi con Venezia che sfociano nella guerra di Ferrara (1482­1484)104. Rossana sembra determinata a favorire lo sviluppo della provincia milanese con un preciso intento, quello di ovviare, attraverso una rapida conclusione dei lavori in corso in quei cantieri, alla problematica situazione creatasi dopo il 1472; quando – co­ me si precisava da parte sforzesca all’oratore inviato alla corte pontiicia – erano stati cacciati dai monasteri del bresciano «quanti frati observanti gli erano et maxime milanesi et de le altre cità del dominio nostro»105. Condizione di disagio che perdurava ancora nel 1486 se frate Francesco Trivulzio si lamentava con il duca scrivendo havendo li poveri frati minori de la observantia de la provintia de Milano molti­ tudine de frati e pochi lochi, come sa la vostra excellentia per rispecto che sono privati de tredici lochi, posti sotto il dominio de li venetiani, elli hè bisogno che almancho sotto l’ombra e dominio de vostra celestitudine cerchino di fare qualche loco et albergo, dove li povereti schazati se possano alogiare106. La peculiare situazione dei frati milanesi sembra quindi il motore che, in controtendenza rispetto ad altre province osservanti, mantiene vivo l’incremento delle fondazioni durante tutti gli anni Settanta ino alla me­ tà degli anni Ottanta del XV secolo107. Di questi problemi della provincia osservante milanese Rossana del Maino, nobildonna immersa nella vita di corte, appare dunque perfettamente, e straordinariamente, consapevole. Ambrogio e Rossana non sono soli nel sostenere l’Osservanza. Nei suoi testamenti del 1480 e del 1494108, la gentildonna dispone di essere sepolta nella cappella dello Spirito Santo in Sant’Angelo, fatta ediicare dal proprio padre Lancillotto del Maino e dove sono sepolti sia Lancil­ lotto che suo fratello Andriotto; i due potenti consiglieri ducali fratelli di Agnese del Maino109. Quest’ultima amante del duca Filippo Maria Vi­ sconti e madre della duchessa Bianca Maria sposa di Francesco Sforza110. Nel 1492 frate Bernardino Caimi, in una lettera indirizzata al Moro, non esita a deinire la cappella «locho molto onorevole»; il sepolcro accoglie temporaneamente nello stesso anno anche le spoglie di Filippo Maria 116 lo sviluppo dell’osservanza francescana e l’aristocrazia milanese Sforza, cugino di Rossana e Ambrogio, iglio colto e placido di Bianca Maria Visconti e del duca Francesco111. La posizione privilegiata della cappella di Andreotto e Lancillotto all’interno della chiesa di Sant’An­ gelo, sita cioè sotto il tramezzo a destra112, attesta che i due dovevano essere stati tra i più afezionati inanziatori dell’Osservanza113. E il legame famigliare con l’Osservanza può essere nato proprio con Agnese del Mai­ no, favorita ducale. Le guide milanesi attribuiscono a lei la ricostruzione della chiesa di Sant’Orsola; uno dei primi centri di Clarisse dipendenti da Sant’Angelo fondato in città: qui la donna dispone di essere sepolta114. Lo stesso duca Galeazzo Maria ricorda la devozione della nonna verso i Minori osservanti scrivendo a frate Marco da Bologna: tu sai quanto lo illustrissimo signore de felice memoria nostro padre et signore, et la illustrissima Madona quondam nostra mater, et Madona [Agnese del Maino] siano stati afetionati et devoti all’ordine osservante de’ frati minori, et fra gli altri ad questo monastero de Santo Angelo115. Ed è stato recentemente ipotizzato che la stessa fondazione dell’An­ nunciata di Abbiategrasso sia stata in qualche modo legata alla memoria di Agnese da parte del nipote116. 2.5. Il clan, i Minori osservanti e i duchi Sforza Bianca Maria Visconti eredita dalla madre Agnese il sodalizio con l’Osservanza francescana. Francesco Visconti di Somma, Antonio Car­ cano, le cugine Elisabetta e Rossana del Maino, gli zii Andreotto e Lan­ cillotto, la ‘nuora’ Beatrice d’Este moglie di Tristano Sforza, Lantelmina Secco sposa del idato consigliere Gaspare Vimercati, Elisabetta Visconti sposa di Cicco Simonetta, Luchina Bussoni Dal Verme, sono tutti pro­ tettori dei frati di Sant’Angelo e nel contempo referenti privilegiati di Bianca Maria; non semplici cortigiani, ma «aini diletti» e parenti dotati di proprie ‘clientele’ tutte ghibelline ed utili alla duchessa117. Innumere­ voli sono le dimostrazioni di attenzioni della Visconti verso Santa Chia­ ra, Sant’Orsola o Sant’Elisabetta (alias Santa Maria del Gesù), ma è note­ vole soprattutto il suo rapporto con i frati di Sant’Angelo, suoi confessori 117 edoardo rossetti e, in un’occasione cruciale, consiglieri politici. Nel giugno del 1467 – un momento di grave crisi per il ducato: lo scontro tra la duchessa madre e Galeazzo Maria Sforza sta raggiungendo l’apice118 – un consiglio di frati si riunisce su richiesta di Bianca Maria per stilare una serie di pareri utili per la pratica di governo della duchessa119. Contemporaneamente l’ira del giovane duca si abbatte sugli amici della madre, e quindi anche sui sostenitori dei frati; sembrano coinvolti perino i potenti zii del Mai­ no120. Il conte Pietro Dal Verme è arrestato prima nel gennaio 1467 e poi di nuovo nel febbraio 1468; e il matrimonio del conte con Cecilia del Maino iglia di Andriotto è tra le questioni che sembrano irritare parti­ colarmente il duca121. Battista Visconti iglio di Francesco, cresciuto alla scuola di Cola Montano con quelli che diventano da lì a qualche anno gli assassini del duca, fugge a maggio del 1467 nei territori della Serenissima dal Colleoni; nel dicembre suo padre Francesco è radiato dal Consiglio segreto122. Antonio Carcano, sposo di Elisabetta del Maino e fratello di frate Michele, non è riconfermato tra gli aulici di corte, e anche quando (sei anni dopo) è tutto il Consiglio segreto a riproporlo al duca come au­ lico, Galeazzo Maria non approva123. C’è da chiedersi se anche lo scontro tra Galeazzo Maria e frate Michele Carcano non debba essere inserito in questo contesto e arricchito di sfaccettature più personali e famigliari. Francesco Castiglioni, sposo di Rossana del Maino e cugino di Battista Visconti, è coniscato e spogliato di tutti i suoi beni: non gli verranno più restituiti e per tutto il resto della sua lunga vita è mantenuto dalla mo­ glie prima e dai igli poi124. In una situazione simile si trovano anche gli altri cugini Sanseverino125. Si tratta da un lato dei più grossi creditori del duca, dall’altro di una parte rilevante dell’aristocrazia lombarda che Ga­ leazzo Maria intende ridimensionare126. Con tutto il clan di aristocratici afezionati all’Osservanza praticamente perseguitato dal duca, verrebbe quasi da pensare che la grande attenzione rivolta dallo Sforza alle fonda­ zioni dell’ordine dopo il 1468, quella fretta di fare e costruire, oltre che motivata da questioni di devozione personale127, possa essere mossa dalla necessità di rilevare, o rivendicare, il ruolo di una parte dell’aristocrazia milanese come referente privilegiato dei Minori osservanti. Dopo la morte del duca, Carcano, del Maino e Visconti riprendono il loro ruolo nel sovvenzionare i frati ed emerge tutto il legame peculiare 118 lo sviluppo dell’osservanza francescana e l’aristocrazia milanese che queste famiglie intrattengono con il complesso ambiente che ruota intorno a Sant’Angelo. Per fare un esempio, quando nel 1501, Battista Visconti in disgrazia deve recuperare un’esorbitante somma di denaro per pagare la pesante taglia imposta dai francesi a lui e al iglio, non esita a ricorrere alla Carità (il luogo pio milanese che è di fatto il braccio economico dei frati di Sant’Angelo)128 per ottenere un prestito mediante la vendita simulata della sua villa di Gaggiano129. E nel 1514, quando è ormai settantenne e conscio dell’irrimediabile instabilità politica della situazione milanese, è ancora alla Carità che si rivolge per tutelare il pro­ prio patrimonio, sostituendola nell’eredità ai propri igli in caso questi fossero dichiarati ribelli, con l’obbligo (tipico del fedecommesso iscale) di restituire loro quei beni una volta che avessero ricevuto la grazia130. Sarebbe interessante anche indagare ulteriormente sulle riunioni che av­ vengono in Santa Maria del Giardino a Milano, il luogo delle prediche dei Minori osservanti in centro città: qui nel 1512, a ridosso del rientro di Massimiliano Sforza, si riunisce quel che resta del vecchio Consiglio dei Novecento; una forma rappresentativa che sembra in linea con la tra­ dizione di questa parte dell’aristocrazia. Mentre in Santa Maria della Ro­ sa, l’analogo luogo in cui predicano i Domenicani osservanti, si riunisce in dal 1499 la parte guelfa, o comunque una parte della società milanese che non sembra gravitare attorno a questi grandi gentiluomini di Lom­ bardia131. Sorprende inoltre che nel momento di maggior gloria politica dei tre amici di Sant’Angelo (Gerolamo Carcano, Ambrogio del Maino e Battista Visconti) – quando, durante l’eimera restaurazione sforzesca (1512­15), tra svizzeri e imperiali i tre riescono a ritagliarsi un proprio spazio di potere come senatori e conservatori dello stato132 – atti uiciali come l’alleanza militare con il marchese del Monferrato siano siglati non al castello di Porta Giovia o alla Corte dell’Arengo (le sedi della corte), ma in monasterio Sancti Angeli extra et prope inclytam urbem Mediolani in quadam camera constructa ut dicitur impensa magniici domini Hieronymi de Carchano ducalis senatoris, alla presenza, ovviamente dei cugini Batti­ sta e Galeazzo Visconti133. Quello dei rapporti preferenziali stretti tra i frati Minori osservanti e l’aristocrazia è un dato ormai noto, banale e quasi scontato134. Un’eredità del sodalizio intrattenuto in generale tra francescani e ceti magnatizi, co­ 119 edoardo rossetti me insegna il De Conformitate di Bartolomeo da Pisa; chiuso ben prima dell’exploit dell’esperienza osservante135. È un’eredità che l’élite milanese assorbe dal legame già consolidato con i francescani ‘conventuali’ di San Francesco Grande136. Ma quanto sviluppano i Minori osservanti della provincia milanese sembra un rapporto preferenziale con una parte sol­ tanto del ceto magnatizio, quello che si potrebbe deinire ghibellino; con le debite precauzioni per il termine e per la luidità della società milanese tra XV e XVI secolo137. Nonostante il successo riscosso in tutti gli strati sociali, nonostante il rapporto instaurato praticamente con tutti gli abi­ tanti del sestiere di Porta Nuova (quartiere in cui sorgono la Cassina di Santa Maria del Giardino, la casa dei terziari e la sede della Carità)138, i frati di Sant’Angelo, che si erano originariamente presentanti a Milano, come altrove, in veste di paciicatori delle parti, sembrerebbero avere alla ine scelto una parte. Scelta che potrebbe avere addirittura inluito sul sacco dell’inverno 1526­1527, quando i lanzichenecchi (prima di partire alla volta di Roma) profanarono i beau sepulchres elevez di quel­ l’aristocrazia milanese ghibellina e ilosforzesca che si era schierata contro l’imperatore a favore dell’ultimo duca Sforza139. 3. Pure et sine curiositate: la committenza seriale dei Minori osservanti e il cantiere di Sant’Angelo Quando nel luglio 1481, presente il pittore Vincenzo Foppa, il solito Lorenzo Vimercati consegna a frate Bernardino Caimi le lettere di frate Angelo da Chivasso per dirimere l’annosa lite tra i terziari e il Luogo pio della Carità140, lo stesso Chivasso (vicario dell’Osservanza cismontana) ha già da alcuni anni ottenuto da papa Sisto IV una deroga alle strette regole di povertà francescana per la decorazione dei conventi; permesso volto a compiacere le richieste di persone notabiles 141. Se il modulo archi­ tettonico delle chiese della Provincia resta invariato e segue il progetto base ormai standardizzato – le chiese sono tutte costituite da una grande aula coperta da capriate lignee e da una chiesa interna in quadro con volta a crociera e coro annesso: i due ambienti sono separati e infram­ mezzati da un andito di passaggio centrale e da due cappelle sovrastate da 120 lo sviluppo dell’osservanza francescana e l’aristocrazia milanese un coro superiore chiuso da un muro verso l’aula dei fedeli –, si apre per la decorazione dei centri dell’Osservanza minoritica una stagione nuova. Permane comunque il desiderio dei frati di esercitare una completa su­ pervisione della committenza. Infatti la situazione non sembra cambiata molto rispetto a quando, nel 1469, contraddicendo le stesse ordinazioni del duca, i frati si riiuta­ no di costruire «in volta» l’aula esterna dell’Annunciata di Abbiategrasso disponendo che sia «fatta ad archoni [grandi archi in muratura che so­ stengono il soitto ligneo], a ciò gli possa predicare», ordinando vetrate «senza igure né altro ornamento» e tagliando corto con Galeazzo assicu­ rano che gli ediici saranno belli, ma comunque «convenienti al stato no­ stro»142. Qualche tempo dopo, i frati dirottano i danari della commissio­ ne di Agostino Beccaria, lasciati per la fattura di un lussuoso monumento marmoreo da erigersi in San Giacomo a Pavia, usandoli per la dipintura (utile alla predicazione) del primo tramezzo attestato: quello afrescato a quattro mani tra l’estate del 1475 e l’autunno del 1476 da Zanetto Bugatto, Bonifacio Bembo, Vincenzo Foppa e Costantino da Vaprio143. Resta l’esigenza di non trascendere indulgendo al lusso eccessivo o nella stravaganza («curiositate»)144. Ad esempio nel 1482 il vicario della Marca, ma le stesse indicazioni valgono anche per Milano, dispone: et pertanto non debiate commectere el desegno et ediicio a tali che sono tracti alle magniicentie et slargamenti [...]; la sancta gloria [...] la quale non sta nella curiosità et pompa de grandi et belli ediicii contra la simplicità de la regola145. 3.1. I tramezzi afrescati Il problema relativo alla necessità di una norma nella decorazione rimanda a quello che resta il capitolo più interessante della committenza osservante, sottoposto probabilmente al più ferreo controllo dei vicari provinciali: la realizzazione dei tramezzi afrescati rappresentanti le Storie di Cristo146. Ovvero delle pitture narranti in capitoli la vita e passione di Cristo, che ricoprono nella Provincia milanese (e in parte in quelle bresciane e genovesi) la parete divisoria tra aula dei fedeli e chiesa in­ terna; dipinti strettamente funzionali ad essere usati come corredo illu­ 121 edoardo rossetti strativo alle celebri prediche dei francescani, specie a quelle quaresimali. Rispetto al contributo di Alessandro Nova (1983) su questo argomento, e trascurando gli esperimenti amadeiti (che vanno letti separatamente e nel loro insieme, almeno per il XV secolo), il panorama degli studi si è recentemente arricchito di nuovi elementi documentari e monumentali. Se quello pavese resta il primo esperimento attestato, devono risalire al 1475 circa anche i tramezzi di Novara e Vercelli; l’uno recentemente riscoperto e da attribuire a Cristoforo Moretti e l’altro anonimo e scom­ parso, ma già preso a modello nel 1479 per alcune commissioni locali147. Le scene rappresentate in «quadretti» variano dalle ventinove di Monza (1483­86)148 alle cinque di Caravaggio (1532) e Martinengo (sec. XVII); casi estremi, questi ultimi della vicenda. Quasi sempre la crociissione occupa uno spazio maggiore, quello di quatto riquadri piccoli, salvo che a Lugano (1529): qui, com’è noto, Luini rompendo con la tradizione in­ nova scomponendo il sistema di partiture delle scene facendole conluire in un unico spazio dipinto. I nomi degli artisti autori delle opere sopravvissute sono Giovanni Martino Spanzotti, Gaudenzio Ferrari e Bernardino Luini; tutti pittori che nei rispettivi ambiti cronologici e territoriali costituivano l’eccellenza tra le scelte possibili. A questi nomi si aggiunge quello, sempre illustre, di Vincenzo Foppa: scelto, assieme ad un compagnia di pittori, per Pavia e molto probabilmente autore del tramezzo di Milano149. Questi dati sembrano far pensare che per le vistose pareti dipinte i francescani aves­ sero derogato molto ai propri canoni di semplicità. Bisogna però tenere conto – restando nei pochi casi in cui è noto il nome di un autore – che ad Erba (1524) sono scelti i fratelli Silla di Angera, pittori per ora quasi sconosciuti, cresciuti nella bottega del valente Pietro da Velate, ma pro­ babilmente non degni di entrare nel gotha dell’arte lombarda150, e per Bergamo lavora Jacopino dei Scipioni d’Averara151: quest’ultimo pittore coinvolto spesso nelle commissioni dell’ordine, capace di imitare a trat­ ti Foppa, ma comunque provinciale. D’altra parte l’abbattimento della maggior parte dei tramezzi – che non avviene come a Milano per motivi bellici, ma per scelta innovativa cosciente – potrebbe indurre a credere che molte pareti afrescate non fossero realizzate da eccelsi maestri, e fossero quindi sacriicabili senza rimpianti152. 122 lo sviluppo dell’osservanza francescana e l’aristocrazia milanese La situazione si complica con l’inizio del XVI secolo, quando ve­ rosimilmente si moltiplicano i modelli di riferimento per i tramezzi; a testimoniarlo sono le committenze di un aristocratico, Battista Visconti detto il Comparino. Come già accennato, il gentiluomo ordina con il proprio testamento del 1512 la costruzione di un convento francescano osservante nella sua terra di Cislago153. Per i particolari decorativi prescri­ ve che la parete afrescata sia realizzata secondo il modello di San Bernar­ dino a Pallanza: peccato che il primo cenobio non venga mai costruito e il secondo sia scomparso. L’indicazione è però signiicativa perché rivela, da un lato, l’esistenza di nuovi modelli, e, dall’altro, che l’illustre proto­ tipo di Sant’Angelo (anche se piace ancora molto al francese Pasquier le Moyne nel 1515) a queste date è ritenuto forse un po’ fuori moda. Solo un anno dopo Gaudenzio a Varallo innovava ulteriormente il carnet di scelte iconograiche, come dimostrano anche i rilessi gaudenziani del tramezzo di Bellinzona154. Dodici anni dopo, nel 1524, anno di peste, lo stesso Comparino Visconti aida ai fratelli Silla di Angera il compito di realizzare per Santa Maria degli Angeli a Erba, altro centro dell’Os­ servanza francescana, una copia esatta del tramezzo di Santa Maria della Pace a Milano155. Come è noto ad Erba viene in realtà realizzata una copia quasi esatta del tramezzo di Luini a Lugano, ma sembra intuirsi che dopo il 1517 della Ite vos – quando gli amadeiti sono reinseriti nel­ l’Osservanza, anche se mantengono la loro autonomia di fatto ino al 1568 – le barriere iconograiche che hanno diviso i dissidenti discepoli di frate Amadeo dagli ortodossi Minori osservanti siano crollate. 3.2. Il chiostro con le storie di San Francesco e frate Vittore “pictore” La stessa tensione verso la creazione di norme che permettano di pre­ servare i canoni di semplicità pervade, non solo l’esperienza dei tramezzi, ma anche altre commissioni della provincia milanese. Quando, dal 1485, gli Osservanti si trovano a disporre dei molti danari lasciati a scopo deco­ rativo dalla contessa Lantelmina Secco Vimercati156, sono frate Bernar­ dino Caimi e frate Ludovico Borsano ad occuparsi di consegnare a frate Enrico da Ceresana 200 lire delle 800 previste nel legato «per lo bisogno del lavorare che se fa a la capella de la prefata quondam magniica» a San 123 edoardo rossetti Bernardino di Caravaggio157; dimostrando una gestione completamente fratesca delle commissioni. I dipinti realizzati nella cappella, la prima a sinistra dedicata alla Vergine, corrispondono appieno ai modelli icono­ graici delle Storie di Cristo o della Vergine che i francescani rendono standard durante il decennio precedente; l’aderenza delle pitture realizzate a questi prototipi degli anni Settanta ha creato non pochi problemi per la datazione del ciclo di Caravaggio che si dovrebbe comunque attribuire tutto alla metà degli anni Ottanta158. Forse, sempre a seguito del lasci­ to della contessa, è ricostruita e afrescata da Ambrogio Bevilacqua la facciata del Luogo pio della Carità (erede universale della nobildonna), forse con qualche licenza in più ai gusti dei deputati159; d’altra parte gli esecutori testamentari della gentildonna sono Gian Rodolfo Vismara, Lorenzo Vimercati e prete Antonio della Rovere: tutti esponenti di spic­ co dell’ente e anche fabbricieri di Sant’Angelo160. La situazione potenzialmente più interessante dal punto di vista arti­ stico si crea comunque con il lascito di 400 lire destinato a Sant’Angelo da Lantelmina Secco. Sempre in accordo con le indicazioni di frate Ber­ nardino Caimi, ma questa volta anche in esecuzione di esplicite volontà della Secco e di suo nipote Gian Rodolfo Vismara, parte della somma è usata tra il 1486 e il 1488 per fare dipingere uno dei chiostri del mo­ nastero cum istoria sancti Francisci cum conformitatibus domini nostri Iesu Christi, pure et sine curiositate 161. Sembra di trovarsi di fronte ad una trasposizione pittorica del De conformitate vitae beati Francisci ad vitam Domini Iesu di Bartolomeo da Pisa162. Il testo è un classico della memoria minoritica ormai pienamente fatta propria dagli Osservanti; ampiamen­ te circolante in forma manoscritta fuori e dentro i conventi163, è stampato per la prima volta proprio a Milano nel 1510 (non senza polemiche)164, a cura di quel frate Francesco da San Colombano referente di Ambrogio del Maino, Gerolamo Carcano e Battista Visconti per la sistemazione della loro prestigiosa sepoltura165. Tenuto conto anche dei tempi lunghi dell’esecuzione del ciclo (tre anni), non si fatica ad immaginare una rea­ lizzazione di tutti i quaranta fructus di san Francesco aiancati agli altri quaranta fructus di Cristo, per un totale di 80 capitoli, distesi campata per campata, intorno all’enorme chiostro; dipinti pure et sine curiositate, cioè aderenti al testo e senza inutili licenze decorative. Ad essere rilevante 124 lo sviluppo dell’osservanza francescana e l’aristocrazia milanese è comunque la scelta del pittore, un certo frate Vittore, confratello di Sant’Angelo166. È interessante registrare che il frate pittore non doveva essere un artista operante solo nel chiuso dei conventi francescani, con­ siderata la sua attestazione come stimatore di almeno due opere di una certa rilevanza. Nel 1487 Vittore è chiamato ad esprimere un giudizio preliminare ai lavori approntati da Matteo de Fedeli alla Camera d’Oro del palazzo milanese di Gian Giacomo Trivulzio, mentre cinque anni do­ po i canonici di Sant’Ambrogio richiedono la sua perizia per valutare una Madonna realizzata da Giovanni Antonio da Cantù: l’anno è quel 1492 che vede presente in canonica anche Bramante167. È diicile valutare se a rendere ricercati in ambiti eccellenti i giudizi artistici del frate fosse la sua bravura come pittore o la iducia che gli Osservanti riscuotevano in città. Resta pur sempre una coincidenza degna di nota che il religioso venga chiamato ad operare in due cantieri in cui lavora l’urbinate Bramante, e sarebbe interessante sapere quale fosse il cognome originario o la regione di provenienza del frate pittore. Anche se per il momento l’acquisizione del nome di questo nuovo maestro senza opere non aiuta a dipanare problematiche artistiche – dopotutto il chiostro come il resto di San­ t’Angelo Vecchio è scomparso –, l’attestazione di un frate pittore risulta interessante per rimarcare il controllo iconograico operato dai religiosi: a questo punto non solo esercitato verso l’esterno, imponendo agli artisti dei modelli, ma proveniente direttamente dall’interno, con un’auspicabi­ le creazione dei modelli normativi ad opera degli stessi frati pittori168. Almeno per la miniatura, sono note le opere del francescano osser­ vante Antonio da Monza. Attivo non solo a Milano, ma anche a Roma, è un artista che riesce a far iltrare nei suoi preziosi corali perino i temi eleganti e profani delle grottesche della neroniana Domus aurea, ma che per le scene sacre non può fare a meno di aderire ai modelli dell’Osser­ vanza minoritica. Così, non sorprende la completa identità dell’Ultima cena con interferenze foppesche, che frate Antonio minia in una lettera N staccata e ora conservata alla British Library di Londra, con la medesima scena afrescata nel 1512 sul tramezzo di Santa Maria delle Grazie a Bel­ linzona169; e questo è solo un esempio. Frate Antonio e frate Vittore non dovevano essere gli unici artisti in qualche modo interni all’ordine, se per­ ino un «buonissimo pittore» come Bernardino Butinone diviene, forse (a 125 edoardo rossetti detta di una fonte di molto posteriore), frate francescano osservante o più verosimilmente terziario, in tempo per realizzare quattro corali all’An­ nunciata della nativa Treviglio «similmente da lui scritti e di bellissime igure o pitture adornati» e per lasciare traccia della sua attività anche nei cenobi di Milano, Como e Ivrea170. Anche nel campo dell’edilizia si hanno attestazioni di frati «architectori»171. Quando i religiosi di Sant’An­ gelo relazionano in merito al progetto dell’Annunciata di Abbiategrasso, richiedono di sapere quale sia il terreno assegnato «in modo che nantii se partiamo possiamo fare il desegno»172; frase che sembra presupporre la realizzazione di un progetto architettonico interno. Nel 1491, alla conse­ gna della chiesa di Monte Barro, agisce invece come procuratore del Cai­ mi «frate Isidoro de Mediolano inziniero»173; magari uno dei progettisti dei conventi fondati tra anni Ottanta e Novanta del XV secolo174. Non è possibile sapere se frate Vittore sia stato un valente pittore. Nel suo resoconto del viaggio milanese risalente al 1515, Pasquier le Moyne deinisce bien riches painctures gli afreschi che vede dedans le cloistre prochain de la dicte église rappresentanti la vie de Sainct François 175, ma oltre a questo non si rilevano, per il momento, altri giudizi sui dipinti. Questa presenza di frati pittori può far pensare ad alcuni afreschi di qualità non elevata un tempo presenti in Santa Chiara a Milano, databili, forse a metà degli anni Settanta del Quattrocento, ma nei quali si rileva un embrionale stato di standardizzazione iconograica, che sembra prepa­ rare la strada all’esperienza dei tramezzi; verrebbe da chiedersi se opere di questo livello qualitativo non eccelso, ma signiicative per stabilire la cronologia nella formulazione dei modelli, non possano essere attribui­ bili alla vocazione artistica dei frati176. In questo novero (ma servirebbe qualche altra attestazione documentaria) potrebbero inire anche opere come le Storie della Vergine di San Bernardino a Caravaggio, commissio­ nate sempre al seguito del lascito di Lantelmina Secco. Un’ultima nota relativa al chiostro di Sant’Angelo con le Storie di san Francesco riguarda la possibilità che si trattasse di pitture monocrome, e che anche in relazione ai dipinti dei chiostri, si debba prendere in consi­ derazione la possibilità di una committenza seriale dei Minori osservanti. Il Burocco registra infatti per Legnano l’esistenza dei resti di un chiostro, in parte abbattuto e trasformato nel Seicento in giardino, che «era tutto 126 lo sviluppo dell’osservanza francescana e l’aristocrazia milanese dipinto con la vita del padre San Francesco a chiaro scuro, ed ancora se ne veggono alcune»; proseguendo nella descrizione il frate aferma «an­ che a miei tempi v’erano li vestiggi con alcune imagini antiche colorite a chiaro oscuro esprimenti la vita e morte del padre San Francesco»177. Esisteva dunque anche un chiostro modello istoriato con le scene della vita del santo fondatore? Come poté inluire il modello di Sant’Angelo per la fattura di altri cicli pittorici di Storie di san Francesco nei vari ceno­ bi della provincia milanese?178 D’altra parte, l’uso del monocromo, oltre a permettere un contenimento dei costi (e la spesa dei materiali per il ciclo milanese è veramente irrisoria)179, conciliava l’esigenza decorativa degli aristocratici inanziatori a quelle di povertà dei frati180. Non solo a Legnano, e forse a Milano, è attestato nei monasteri l’uso di colori terrosi e poveri per le pitture. I casi di interventi a grisaille all’interno dei cenobi francescani osservanti sono ancora da studiare nel loro insieme, ma la volontarietà della scelta è ad esempio esplicitata nel testamento di frate Giovanni Casati, che lascia 100 lire (versate nel 1509) per dipingere in colore viridi le Storie della Vergine nella cappella maggiore della Miseri­ cordia di Monte Brianza. Legato puntualmente eseguito in monocromo con esiti prospettici afascinanti e butinoneschi, per quel poco che si può leggere dai lacerti di afreschi181. Sempre a monocromo, ma sui toni dell’ocra, è invece realizzata – comunque seguendo il medesimo sogget­ to iconograico delle Storie della Vergine – la decorazione della cappella maggiore di Santa Maria degli Angeli a Lugano; da datarsi attorno al 1523182. Ad Abbiategrasso, dove invece le Storie della Vergine della cap­ pella maggiore sono policrome, non mancano nella chiesa lacerti di santi inseriti in toni e dipinti in grigio sfumato di verde, mentre per la facciata dello stesso ediicio sono attestati dipinti in umbra alba 183. 3.3. Appunti per la ricostruzione di Sant’Angelo Vecchio Le Storie della Vergine nelle cappelle maggiori dei vari conventi ri­ portano alla questione, recentemente sollevata, dell’esistenza di un ciclo normativo anche per questo soggetto; derivato, forse, sempre dalla chiesa milanese di Sant’Angelo184. Qui la decorazione della cappella maggiore poteva essere stata inanziata da Chiara Simonetta Sforza, madre di Ip­ 127 edoardo rossetti polita Sforza Bentivoglio. Nel sacello erano presenti anche le sepolture di Giovanni Bentivoglio, destituito signore di Bologna (suocero di Ip­ polita), e di Cristoforo Lattuada, vescovo di Glandèves 185. Nelle varie cappelle maggiori dei centri dell’Osservanza, quindi probabilmente an­ che in Sant’Angelo, le Storie della Vergine dovevano essere completate da un polittico rappresentante l’Assunzione nel comparto centrale e santi dell’ordine negli scomparti laterali. Tracce di queste ancone, quasi tutte smembrate tra Sei e Settecento in contemporanea all’abbattimento dei tramezzi, sono attestate a Legnano186, Lugano187, Maleo188, Melegnano189, Missaglia190, Treviglio191, ma non si dimentichi, per un riferimento al­ l’usanza in area bresciana, lo splendido polittico del Moretto per Gardo­ ne Val Trompia. C’è da chiedersi come e quanto queste Assunte abbiano vincolato la produzione successiva del soggetto e se, forse, l’Assunta di Luini al Monastero Maggiore, un po’ rétro e commissionata in un ambi­ to tutto vincolato a Sant’Angelo, non possa essere una sintesi appena un po’ aggiornata della Vergine circondata da angeli cara agli Osservanti192. Più libertà era verosimilmente lasciata agli aristocratici inanziatori per la sistemazione delle cappelle di patronato famigliare, ma anche qui i modelli potevano imporsi notevolmente. Per restare nell’ambito del per­ duto Sant’Angelo, l’impressione generale è che le cappelle non presen­ tassero alcuna decorazione prima degli anni Novanta del XV secolo. Nel 1494 la cappella dello Spirito Santo, costruita da Lancillotto del Maino almeno un ventennio prima, non era ancora stata decorata: era la iglia Rossana a incaricare gli eredi di farla dipingere193. La cappella, quella di destra sotto il tramezzo, era forse abbellita entro la ine del primo decen­ nio del Cinquecento con la Pentecoste di Bramantino, mentre all’incirca negli stessi anni nella cappella Visconti del Corpo di Cristo era forse sistemata la Deposizione dello stesso autore; due opere che assorbivano in parte il bagaglio degli stilemi francescani e potevano costituire un nuovo punto di partenza per le commissioni dell’ordine; come testimoniato dal tramezzo di Gaudenzio Ferrari a Varallo194. Quella di San Bernardo fatta costruire da Cicco Simonetta (sicuramente prima del 1479) non era an­ cora afrescata nel 1501, quando Elisabetta Visconti – altra nobildonna legata al luogo pio della Carità – disponeva che fosse eseguito un ciclo secundum historiam seu legendam visitationis quam fecit beata Maria ma- 128 lo sviluppo dell’osservanza francescana e l’aristocrazia milanese ter Dei ad beatam Elisabet matrem sancti Iohannis Baptiste 195. La cappella di Sant’Antonio da Padova, durante gli anni Novanta accoglieva il mo­ numento marmoreo della beata Beatrice Casati Rusca ed un’ancona rap­ presentante «la beatissima vergine col bambino Giesù nelle braccia e alla sinistra San Bernardino, colla sua solita tavoletta in mano, e la sudetta beata Beatrice Ruscona, co’ raggi alla testa vestita da terziaria, ed un duca genulesso»196. Il sacello di patronato Barbavara dedicato a san Francesco e san Sebastiano (in linea con l’usanza quattrocentesca di accomunare il santo di Assisi ai protettori dalla peste) era decorato solo dopo il 1505 con un’ancona rappresentante san Sebastiano, con un afresco in sumitate dicte capelle rappresentante san Francesco e, sulle pareti laterali, con scene raiguranti i miracoli fatti dai due santi197. La prima cappella a sinistra entrando in chiesa era invece quella eretta da Beatrice d’Este Sforza, da non confondere con l’omonima moglie del Moro198. Dedicata alla Vergine, era dotata di un’ancona realizzata dopo la morte della nobildonna (1497) dai fratelli de Donati su commissione di Niccolò da Correggio detto Postumo, iglio di primo letto di Beatrice. Non si riesce invece a capire quali lavori siano stati realizzati con la gran quantità di danaro donata ai frati dalla stessa gentildonna mediante un chirografo; oferta che si sommava al lascito testamentario di oltre 4.000 lire disposto a favore dei fabbricieri di Sant’Angelo con il testamento del nel 1497199. Ancora nel 1510 gli eredi di Beatrice ricevevano una confessio dai frati per il versamento di 5.380 lire e promettono di consegnare in più rate altre 4.320 lire200. Nel contesto della decorazione avviata tra l’ultimo decennio del XV secolo e il primo decennio del XVI in Sant’Angelo sembra essere rimasta senza indicazioni sul committente praticamente l’unica ancona certa­ mente proveniente dalla vecchia chiesa: la Crociissione attribuita a pittori di casa Scotto. Non fosse che un documento rinvenuto anni fa da Gra­ zioso Sironi e rimasto inedito, sembra gettare nuova luce sulla commis­ sione e creare una sorta di interessante punto fermo. Nel novembre del 1499, quando a Milano si sono istallati da un paio di mesi i francesi, i detentori di crediti gravanti sull’eredità di Filippo Maria Sforza si radu­ nano nella Corte dell’Arengo (dove allora risiede Gian Giacomo Trivul­ zio) per nominare un procuratore che agisca in loro favore presso il nuo­ 129 edoardo rossetti vo governo (erede dei debiti degli Sforza). Tra i postulanti compaiono i pittori Rafaele, Francesco e Gabriele da Vaprio, ma soprattutto Giovan­ ni Stefano e Giovanni Bernardino Scotti201. Non sono speciicati né la causale, né l’ammontare del debito, ma si rammenti che lo Sforza aveva commissionato con il suo testamento del 1492 l’erezione di una cappella in Sant’Angelo nominando come proprio erede ed esecutore il fratello Ludovico il Moro202. Se questa fosse l’origine del debito si dovrebbe­ ro assestare datazione, commissione e paternità della tavola203. Potrebbe allora conluire in parte nel catalogo dei due fratelli il problematico in­ sieme di opere che ruota vacillando intorno al nome di Felice Scotto (il pittore delle perdute Storie di san Bernardino in Santa Croce in Boscaglia a Como), cugino di Stefano e Bernardino204. Si confermerebbe inoltre il legame privilegiato dei pittori Scotto con l’Osservanza francescana (e si tenga conto che la bottega milanese degli Scotto stava accanto alla sede della Carità, nella parrocchia di Santa Margherita di Porta Nuova, il luogo cioè dove operavano prevalentemente i fabbricieri di Sant’Angelo); sodalizio con i minori facilmente ereditato da quelli che, stando a Lo­ mazzo, furono i due discepoli più famosi di Stefano Scotto: Bernardino Luini e Gaudenzio Ferrari. Poco o nulla si sa per ora delle altre cappelle della chiesa. Secondo l’ingegnere francese Pasquier le Moyne dovevano essere dieci disposte sui due lati dell’aula; a queste si dovevano sommare le due sotto il tramezzo per un totale di dodici (ma un numero imprecisato di sacelli poteva tro­ varsi anche nei chiostri)205. Degni di nota i riferimenti all’isolata cappella di San Giuseppe, forse la belle lanterne (ediicio a pianta centrale) ricor­ data da Pasquier al centro del grande cortile quarré dell’infermeria (circa metri 57x47). Il complesso dell’infermeria era stato costruito tra il 1485 e il 1492 accanto a Sant’Angelo su terreni donati da Giovanni Filippo Garbagnati (sepolto con il iglio Edoardo nel sacello di San Giuseppe) e da Gian Rodolfo Vismara, ed era dotato di un secondo refettorio au­ tonomo decorato con un’Ultima cena afrescata. A quest’ultimo dipinto l’ingegnere francese riserva lo stesso entusiastico giudizio che attribuisce a quello di medesimo soggetto – il cenacolo vinciano – della domenicana Santa Maria delle Grazie (la cene de nostre seigneur au bout paincte en plat bien singulierement)206. 130 lo sviluppo dell’osservanza francescana e l’aristocrazia milanese Nel 1515, a testimoniare il livello delle licenze decorative che i Mino­ ri osservanti si stanno ormai concedendo, è commissionato un enorme e suntuoso altare marmoreo per Santa Maria del Giardino a Milano. Poi noto come Madonna del Sasso, l’altare era oiciato per i deputati della Carità. I rilievi dell’imponente macchina sono stati trasferiti a Vigevano e costituiscono l’unica pallida immagine dei monumenti marmorei che contemporaneamente l’aristocrazia lombarda dovette erigere in Sant’An­ gelo207. Di questi sepolcri, che pure dovevano esistere, restano perino dal punto di vista documentario solo poche tracce, se si esclude la testimo­ nianza dei beau sepulchers elevez visti da Pasquier208: le attestate commis­ sioni dei monumenti di Carlo Sforza (progettato)209, Erasmo e Gaspare Trivulzio (progettato)210, Giovanni Battista Barbavara (realizzato)211, Ip­ polita Sforza Bentivoglio (progettato)212 e di Galeazzo Visconti conte di Busto (progettato)213, e la provata esistenza del monumento sepolcrale di Ermes Visconti di Battista214. Unici reperti materiali superstiti provenien­ ti da Sant’Angelo Vecchio: il sarcofago di Benedetto Briosco per Beatrice Casati Rusca, commissionato dalla iglia Antonia Rusca Visconti215, e il marmoreo Cristo morto sorretto da angeli di fattura bambaiesca216. Quando Pasquier le Moyne visita Milano al seguito di Francesco I di Francia, proprio al chiudersi dell’eimera restaurazione sforzesca che ave­ va visto il clan degli aristocratici amici dei Francescani osservanti all’apice del proprio successo politico, Sant’Angelo era diventato, oltre che un luo­ go di formazione e di propagazione dei modelli per le committenze seriali nell’intera provincia, anche un complesso enorme che occupava una su­ pericie di circa 60 pertiche (circa 40.000 mq)217 con tre chiese – la mag­ giore Santa Maria degli Angeli, la vecchia Sant’Angiolino e una chiesetta dedicata all’Immacolata Concezione218 –, cinque chiostri, dei quali due dipinti, l’uno con le storie di San Francesco e l’altro con quelle di San Ber­ nardino, la grande infermeria, i vasti giardini e il bosco di castagni plantés a ligne droicte (come il francese Pasquier non può fare a meno di annota­ re)219. Il tutto cinto da un bastione e contornato da un fossato220. Inoltre per collegare il convento alla città era stata aperta una nuova arteria nella campagna: si tratta dell’attuale corso di Porta Nuova che, tagliato dopo la costruzione di Sant’Angelo Nuovo dall’asse di via Moscova, ha segnato il tracciato del futuro sviluppo urbano di questa porzione di Milano221. 131 edoardo rossetti La perdita materiale di Sant’Angelo Vecchio, incendiato nel 1516, saccheggiato nell’inverno tra il 1526 e 1527, e completamente demolito a metà del XVI secolo, non permette comunque di chiarire compiuta­ mente una serie di questioni: che cosa signiicava per l’aristocrazia mi­ lanese scegliere Sant’Angelo e in generale i Francescani osservanti? Una rinuncia completa alla pompa? L’aderenza ad un particolare genere di spiritualità rigorosa accompagnata da una committenza seriale e rigi­ damente controllata? L’avvicinamento ad un ordine religioso che con la sua presenza reale ed attiva nella società contribuiva alla coesione tra l’aristocrazia e le proprie ‘clientele’? Certo è che entro il 1521 una i­ nanziatrice e committente di rilievo come Ippolita Sforza Bentivoglio poteva richiedere e ottenere che nella cappella maggiore di Sant’Angelo i monogrammi bernardiniani consueti fossero alternati alle insignia tam prefatti consortis mei quam mei 222. La presenza degli stemmi Sforza e Ben­ tivoglio nella cappella maggiore della chiesa, accompagnati dalle insegne Visconti, del Maino, Pusterla, Barbavara, Carcano nelle varie cappelle e sui monumenti marmorei, dovevano costituire un implicito e forte mes­ saggio ai visitatori di Sant’Angelo. E allora, specie a primo Cinquecento, ino a che punto i frati riuscirono a controllare le scelte dei committenti e ino a che punto i committenti riuscirono a inluenzare le indicazione dei frati? E in questo contesto, gli artisti impiegati dai ricchi inanziatori riuscirono ad avere voce in capitolo o furono semplicemente condizio­ nati dai modelli imposti? Se forse a Sant’Angelo non si riuscì a mantenere del tutto la sempli­ ce umiltà richiesta (si rammenti comunque che la relativamente piccola chiesa di mattoni dipinti dei Minori osservanti non raggiunse mai nem­ meno lontanamente la vistosa imponenza di una Certosa di Pavia), l’ansia di normalizzazione espressa dall’imposizione di realizzare i dipinti pure et sine curiositate secondo un modello prestabilito riuscì comunque – qui e negli altri centri dei minori osservanti della provincia – ad imbrigliare, in modo magistrale e in anticipo sui tempi, il libero rapporto tra devozione e immagine della società rinascimentale. Fa rilettere, ad esempio, il fatto che, ancora prima del dilagare delle norme controriformiste, nella peri­ ferica campagna vercellese non si possano più realizzare rappresentazioni della Passione che non siano in qualche modo esemplate sul modello 132 lo sviluppo dell’osservanza francescana e l’aristocrazia milanese locale del tramezzo di Santa Maria di Biliemme223. E probabilmente non è un caso il fatto che, distrutta deinitivamente Sant’Angelo Vecchio nel 1551, la nuova fabbrica (sovvenzionata da un altro tipo di élite milanese) con la luminosa aula voltata a botte, diventi immediatamente un model­ lo per le chiese controriformate lombarde e abbia qualcosa da insegnare anche alla romana chiesa del Gesù224. 133 edoardo rossetti Si ringraziano, per la segnalazione di documenti e le rilessioni condivise sull’Osservanza francescana: Laura Andreozzi, Marco Bascapè, Maria Teresa Binaghi Olivari, Stefania Bu­ ganza, Carlo Cairati, Elisabetta Canobbio, Giorgio Chittolini, Federico Del Tredici, Davi­ de Dozio, Corinna Tania Gallori, Cristina Quattrini, Rossana Sacchi. Riconoscenza parti­ colare va a Letizia Arcangeli per aver letto e discusso una versione provvisoria del testo. Nell’indicare i rami delle famiglie aristocratiche si adottano le denominazioni usate da Pompeo Litta (Famiglie celebri d’Italia, Torino 1819) e da Felice Calvi (et al., Famiglie notabili milanesi. Cenni storici e genealogici, 4 voll., Milano 1875­1885), ponendole in corsivo, a prescindere dalla cronologia. Abbreviazioni usate ASMi = «Archivio di Stato di Milano Burocco, Chronologia = G. B. Burocco, Chronologia Seraphica. Principio e felici progressi de’ frati minori osservanti della Provincia Milanese, 1716 (2 tomi), Biblioteca Francescana di Sant’Angelo, ms. T­XIII­014/015 (copia anastatica). Mosconi, Bs = A. Mosconi, Conventi francescani nel territorio bresciano. Storia, religione, arte, Brescia 1980. Mosconi, Lombardia = A. Mosconi, Lombardia francescana, Milano 1990. Mosconi, Lorenzi, Bg = A. Mosconi, S. Lorenzi, I conventi francescani del territorio bergamasco. Storia, religione, arte, Milano 1983, pp. 23­28. Mosconi, Lorenzi, Co = A. Mosconi, S. Lorenzi, I conventi francescani del territorio comasco. Storia, religione, arte, in «Periodico della Società Storica Comense», 50 (1983), pp. 167­209. Silvola, Riforma, I = Della minoritica riforma di Milano. Cronica prima composta dal P. F. Francesco da Treviglio e trascritta dal P. F. Benvenuto da Milano entrambi alunni della medesima, sec. XVIII, Biblioteca Braidense, ms. AF. XII.9. Silvola, Riforma, IX = Della minoritica riforma. Cronica nona raccolta e scritta dal P. F. Benvenuto da Milano alunno della medesima, sec. XVIII, Biblioteca Braidense, ms. AF. XII.13. «AL» = «Arte lombarda» «ASL» = «Archivio storico lombardo» ASOM = Archivio Storico dell’Ospedale Maggiore di Milano ALPE = Archivio Luoghi Pii Elemosinieri di Milano «AFH» = «Archivium franciscanum historicum» 134 lo sviluppo dell’osservanza francescana e l’aristocrazia milanese 1. La situazione degli studi sulla Provincia dei Minori osservanti di Milano non è poi molto dissimile da quella evidenziata da Giovanni Grado Merlo (Le primitive sedi subalpine dell’Osservanza, in Tra eremo e città. Studi su Francesco d’Assisi e sul francescanesimo medievale, Assisi 2007, pp. 465­490, particolarmente alle pp. 465­466) per la «patria Pedemonta­ na»; anzi, forse, più disastrosa: le cronache settecentesche agiograico­celebrative (Burocco e Silvola) non sono a stampa e sono anzi suddivise tra le biblioteche Ambrosiana, Braidense e Francescana di Sant’Angelo (A. Mosconi, I cronisti delle province osservante e riformata di Milano: P. Bernardino Burocco da Monza († 1746) e P. Benvenuto Silvola da Milano (†1778), in «AFH» 71, 1978, pp. 130­149; A. Mosconi, Ritrovati alcuni scritti del P. G.B. Burocco, cronista della Provincia Osservante di Milano, in «AFH», 76, 1983, p. 354); numerosi sono gli interventi di Paolo Maria Sevesi e Anacleto Mosconi (ambo O.F.M.) sui singoli ceno­ bi o sui conventi francescani nelle attuali provincie amministrative della Lombardia, ma mancano sia uno sguardo complessivo sulla provincia nella sua struttura quattrocentesca sia raccolte documentarie e studi completi sui singoli conventi; rari i contributi monogra­ ici di storia locale (Il convento di Santa Maria della Misericordia in Missaglia, a cura di S. Pirovano, Missaglia [Lecco] 2003; da integrare con alcune preziose notizie documentarie in V. Longoni, Umanesimo e Rinascimento in Brianza. Studi sul patrimonio culturale, Milano 1998, pp. 142­151). Nel panorama scarno degli studi fanno eccezione Varallo e Ivrea (per i quali non è possibile riassumere qui la bibliograia, legata soprattutto alla presenza dei bei tramezzi afrescati), nonché l’Annunciata di Abbiategrasso (Rinascimento ritrovato. La chiesa e il convento di Santa Maria Annunziata ad Abbiategrasso, a cura di P.L. De Vecchi e G. Bora, Milano 2007), che vanta ora anche un volume monograico con una ricca raccolta di documenti (Il convento dell’Annunziata di Abbiategrasso, a cura di M. Comincini, Abbiate­ grasso [Milano] 2006). Si attende a breve, da parte svizzera, la pubblicazione di un volume monograico su Santa Maria delle Grazie di Bellinzona, a cura di Giuseppe Chiesi. Una ricerca che apporti novità documentarie non può partire dall’analisi di quanto resta del­ l’archivio di Sant’Angelo, inutilizzabile non solo per i problemi tipici della conservazione documentaria dell’ordine, ma soprattutto per la quasi completa assenza di materiale signi­ icativo riferibile a prima dell’incendio del 1527 (come risulta dall’inventario settecentesco dell’archivio, ASMi, Registri del Fondo di Religione, 34). Varrebbe la pena di condurre una ricerca sistematica consultando i mastri del Consorzio dei Terziari francescani e del Luogo pio della Carità (ALPE) e ripercorrendo le buste del Notarile milanese (fondo sterminato e non certo agevole, ma ricco) almeno per i notai Francesco Barzi, Confalonieri (Antonio e Agostino), Sudati (Franceschino, Lancellotto, Leonardo e Salomone) e Antonio Zunico, tutti relazionati ai terziari e alla Carità, che sono stati consultati solo a campione per que­ sto studio; oppure attraverso i notai Francesco Besozzi, Bartolomeo e Francesco Pagani, ai quali si aidano gli aristocratici inanziatori dei conventi. Questo contributo usa come fonte principale i testamenti di alcuni aristocratici milanesi su un arco cronologico che ruota all’incirca tra il 1476 e il 1516 (ovvero dal punto di vista del ducato di Milano, tra l’assassinio del duca Galeazzo Maria e l’inizio della seconda dominazione francese); in anni in cui l’Osservanza minoritica ha ormai trovato una propria stabilità e si avvia al deinitivo riconoscimento istituzionale. Questi testamenti sembrano comunque testimoniare una se­ rie di rapporti consolidati – in dai tempi dei primi insediamenti osservanti nel ducato – e 135 edoardo rossetti strettissimi tra i frati e una parte peculiare dell’aristocrazia milanese e lombarda. I vantaggi e svantaggi dell’uso dei testamenti come fonte sono noti: in generale si veda Nolens intestatus decedere. Il testamento come fonte della storia religiosa e sociale, Atti dell’incontro di studio (Perugia, 3 maggio 1983), Perugia 1985; per il loro uso nello studio dell’osservanza fran­ cescana si veda ad esempio G. De Sandre Gasparini, La parola e le opere. La predicazione di San Giovanni da Capestrano a Verona, in Predicazione francescana e società veneta nel Quattrocento. Committenza, ascolto, ricezione, Atti del II convegno internazionale di studi france­ scani (Padova, 26­28 marzo 1987), Padova 1995, pp. 101­130; per i comportamenti delle élites sociali (nell’età moderna, ma con ampi afondi sul Quattrocento), M. A. Visceglia, Il bisogno di eternità. I comportamenti aristocratici a Napoli in Età Moderna, Napoli 1988, pp. 11­15; e per una disamina a campione prettamente milanese L. Condini, Un sondaggio fra i testamenti milanesi del secondo Quattrocento, in «ASL», 117 (1991), pp. 367­389. 2. Il testamento recita letteralmente: «item lego et iudico omnibus monasteriis et lo­ cis ordinis fratrum Minorum noncupatorum de observantia existentibus sub cura domi­ ni vicarii Provintie Mediolani ducatos quatuor»; per Sant’Angelo sono lasciati 200 ducati (ASMi, Notarile, b. 2975, notaio Francesco Pagani, 12 maggio 1498). Non è possibile prendere in esame capitolo per capitolo tutti i legati ‘devozionali’ dei vari testamenti che so­ no considerati in questo contributo. Il dato signiicativo è la quasi esclusiva presenza di la­ sciti ai cenobi dei Minori osservanti; là dove sono favorite altre istituzioni religiose, si tratta sempre di centri dell’osservanza (i Domenicani di Santa Maria delle Grazie, più raramente gli Agostiniani dell’Incoronata), ma i lasciti sono sensibilmente inferiori a quelli destinati ai Francescani osservanti. Quasi completamente assenti i legati all’Ospedale Maggiore o alla Fabbrica del Duomo di Milano; sovente si legano somme di danaro anche considerevoli alla chiesa parrocchiale dove ha sede il palazzo milanese del testatore (San Tommaso in Terramara per Carcano e Visconti, e San Vincenzo al Monastero Nuovo per i del Maino) e alla chiesa parrocchiale o pievana del centro del contado dove la famiglia esercita il proprio controllo signorile: Bregnano, Fino Mornasco, Limbiate, Lomazzo per i Carcano; Borgo­ franco (ora Suardi in Lomellina) o Limbiate per i del Maino; Cislago, Mezzana e Somma Lombardo per i Visconti. Sono vistosissime le assenze di legati verso San Francesco Grande e Sant’Eustorgio, dove pure si trovavano le sepolture della generazione precedente. Una devozione speciale sembra legare i del Maino al santuario di Santa Maria dei Miracoli di Alessandria. In più di un testamento si precisa inoltre che in caso di monacazione le iglie debbano entrare in «religione de observantia»; per l’osservanza al femminile G. Chittolini, Le Clarisse e le altre. Note sulle Osservanze femminili nei borghi e nelle campagne milanesi (inizi sec. XV - inizi sec. XVI), in questo volume. 3. Si tenga conto almeno della posizione di Giasone del Maino nello studio pavese; il giu­ rista venne sepolto (1519) in San Giacomo alla Vernavola (F. Santi, Giasone del Maino giurista umanista, in «Bollettino della Società pavese di storia patria», 103, 2003, pp. 11­69; F. Santi, Maino [del] Giasone, in Dizionario biograico degli italiani, 67, Roma 2006, pp. 605­607). 4. Al momento del testamento di Ambrogio del Maino Novara si è appena ribellata agli Sforza, mentre la gestione del convento di Maleo è passata per via ereditaria sotto la tutela dei Trivulzio. 136 lo sviluppo dell’osservanza francescana e l’aristocrazia milanese 5. L’ospizio e chiesa di Santa Maria di Monte Barro, ricavati presso la chiesa castellana di San Vittore e consegnati nel 1491 a frate Bernardino Caimi, non sono probabilmente considerati un vero e proprio convento ino all’insediamento dei riformati (Silvola, Riforma, IX, pp. 5­45; Mosconi, Lorenzi, Co, pp. 195­198; Longoni, Umanesimo e Rinascimento in Brianza, pp. 74­78). 6. Nel testamento di Ambrogio è menzionato frate Bernardino Casati, confessore del­ l’aristocratico, incaricato di scegliere con Elisabetta Bossi (consorte di Ambrogio) e Giasone del Maino delle ragazze della consorteria del Maino da dotare. 7. Il quadro tracciato dal Nova relativo alla difusione del cosiddetto ‘modulo bernardi­ niano’ per l’architettura dei conventi – soluzione ediicativa che sta alla base della realizza­ zione dei tramezzi – disegna i conini di quella che era la vecchia provincia milanese prima del distacco della Custodia bresciana (A. Nova, Tramezzi in Lombardia tra XV e XVI secolo: scene della Passione e devozione francescana, in Il Francescanesimo in Lombardia. Storia e arte, Cinisello Balsamo (Milano) 1983, pp. 197­214, a p. 199). 8. P.M. Sevesi, Tavola capitolare della Provincia dei Minori conventuali di Milano, redatta nel 1498, in «AFH», 24 (1931), pp. 185­194. 9. P.M. Sevesi, La Congregazione dei Capriolanti e le origini della provincia dei frati minori della Regolare Osservanza di Brescia, in «AFH», 8 (1914), pp. 119­134; G. Chittolini, Stati regionali e istituzioni ecclesiastiche nell’Italia centro-settentrionale del Quattrocento, in La chiesa e il potere politico dal Medioevo all’età contemporanea, a cura di G. Chittolini e G. Miccoli, Torino 1986 (Storia d’Italia Einaudi, Annali, 9), pp. 149­193, alle pp. 174­ 176; S. Fasoli, Da Galeazzo a Ludovico. Lineamenti della politica sforzesca verso l’osservanza minoritica negli anni di Sisto IV (1471-1484), in «Nuova rivista storica», 82 (1998), pp. 127­152, alle pp. 139­142 (ora il testo è parzialmente ripubblicato e ampliato in S. Fasoli, Perseveranti nella regolare osservanza, Milano 2011); G. Andenna, Aspetti politici della presenza degli Osservanti in Lombardia in età sforzesca, in Ordini religiosi e società politica in Italia e Germania nei secoli XIV e XV, a cura di G. Chittolini e K. Elm, Bologna 2001, pp. 331­371, alle pp. 340­343; P.M. Sevesi, Il Monastero delle Clarisse in S. Apollinare di Milano (Documenti sec. XIII-XVIII), in «AFH», 19 (1926), pp. 76­99. 10. Secondo il frate Francesco Trivulzio sono tredici i conventi sottratti all’inluenza dei frati osservanti milanesi e assegnati alla nuova vicaria bresciana (P.M. Sevesi, Il b. Francesco Trivulzio da Milano dell’Ordine dei Frati Minori, in «Studi francescani», 8, 1936, pp. 18­ 75, doc. 7, p. 51). Al capitolo generale dell’Aquila del 1496 i centri osservanti del milanese risultano appunto ventisette e diciannove quelli della Provincia bresciana (Mosconi, Lombardia, p. 91). Per l’esclusione di Santa Maria del Monte Barro dal novero dei conventi si veda supra, nota 5. 11. Le fondazioni osservanti arricchiscono quindi – specie nella diocesi di Milano dove i centri sono dodici sui ventiquattro totali – un sistema di insediamenti già capillare; forse il più itto in Italia (M. Pellegrini, Frati minori e ‘Lombardia’ nel secolo XIII, in Il Francescanesimo in Lombardia, pp. 53­59, a p. 58). 137 edoardo rossetti 12. La chiesa milanese di Santa Maria degli Angeli o Sant’Angelo Vecchio costruita in riva alla Martesana in un’area esterna ai sestieri di porta Comasina e Nuova, incendiata nel 1516 e nel 1527, è completamente demolita nel 1551. In generale sull’ediicio quattrocen­ tesco si vedano A. Mosconi, F. Olgiati, Chiesa di S. Angelo dei Frati Minori. Guida storicoartistica, Milano 1972; Z. Grosselli, Documenti quattrocenteschi per la chiesa e il convento di S. Angelo di Milano, in «AL», 64 (1983), pp. 104­108; L. Patetta, L’architettura del Quattrocento a Milano, Milano 1987, pp. 62­66; Mosconi, Lombardia, pp. 95­97; L. Andreozzi, D. Mirabile, Nuovi spunti di indagine su Sant’Angelo Vecchio a Milano, in «Solchi», 7 (2003), pp. 82­85. Un’ampia sezione dedicata a Sant’Angelo Nuovo, ma con riferimenti al Vecchio, compare ovviamente in Burocco, Chronologia, f. 4­62. 13. R. Cobianchi, he Franciscan Observant Foundations in the Province of Bologna (c. 1430-c. 1492). Identity and Urban Setting, in «Franciscana», 9 (2007), pp. 185­204, a p. 189. 14. Mosconi, Lorenzi, Bg, pp. 23­28; Mosconi, Bs, pp. 32­34; Mosconi, Lombardia, pp. 98­99; V. Frati, Gli osservanti a Brescia e la fondazione del convento di S. Giuseppe, in Il francescanesimo in Lombardia, pp. 437­447. 15. Monasteri Lodigiani. Monasteri francescani di Lodi e territorio. Minori osservanti, in «Archivio storico per la città e i comuni del circondario e della diocesi di Lodi», 44 (1925), fasc. 1, pp. 16­34; ibidem, fasc. 2, pp. 44­50; E. Granata, Insediamenti e conventi francescani a Lodi, in Il francescanesimo in Lombardia, pp. 331­343, a p. 338. 16. Per Parma e Cremona, si veda Cobianchi, he Franciscan Observant Foundations, pp. 189­190. 17. A. Rovi, Chiese e conventi francescani a Como: S. Francesco, S. Croce e S. Donato, in Il francescanesimo in Lombardia, pp. 297­317; Mosconi, Lorenzi, Co, pp. 185­190; Mosconi, Lombardia, pp. 101­102; e il contributo di Elisabetta Canobbio in questo volume. 18. Sulle vicende storico­artistiche del cenobio novarese si attende la pubblicazione della tesi di Beatrice Bentivoglio Ravasio (Gli afreschi della cappella di San Gerolamo nella chiesa di San Nazzaro alla Costa in Novara, tesi di dottorato, Università degli Studi di Tori­ no, relatori M. Boskovits, G. Romano, 2001, particolarmente pp. 1­36). 19. L. Carrer, S. Maria di Biliemme a Vercelli: vicende costruttive e strutture architettoniche superstiti del complesso conventuale, in «Bollettino storico vercellese», 38 (2009), n. 73, pp. 5­50. 20. A. Casini, La provincia di Genova dei frati Minori dalle origini ai giorni nostri, Chia­ vari (Genova) 1985, pp. 231­232. 21. Caso a parte quello di Tortona, sempre intra ducato, ma extra Provincia; qui il vescovo locale assegna verso il 1428 una chiesa isolata a circa 10 km dalla città (Casini, La provincia di Genova dei frati Minori, p. 225). 22. Solo a Lodi nel 1534, ma il caso è troppo tardo e atipico, Clemente VII e il duca Francesco II Sforza faranno sloggiare i conventuali dall’antica sede di San Francesco per al­ 138 lo sviluppo dell’osservanza francescana e l’aristocrazia milanese loggiarvi gli Osservanti privati del loro cenobio fuori porta a causa delle devastazioni legate alle guerre d’Italia (si cfr. supra nota 15). 23. Mosconi, Lorenzi, Bg, pp. 29­33; Mosconi, Lombardia, pp. 102­103. 24. Mosconi, Lombardia, p. 103. 25. Mosconi, Lombardia, p. 106. 26. Mosconi, Lombardia, p. 95. 27. Mosconi, Bs, pp. 34­35; Mosconi, Lombardia, p. 100. 28. Mosconi, Bs, pp. 38­40; Mosconi, Lombardia, p. 106. 29. M. Facchinelli, M. Fasser, G.P. Treccani, I conventi francescani in valle Camonica (tipologie architettoniche), in Il francescanesimo in Lombardia, pp. 371­402, a p. 386; Mosconi, Bs, pp. 41­42; Mosconi, Lorenzi, Bg, pp. 37­38; Mosconi, Lombardia, p. 103. 30. Mosconi, Lombardia, p. 105. 31. Mosconi, Bs, pp. pp. 44­47; Mosconi, Lombardia, pp. 107­108. 32. Mosconi, Bs, pp. 42­43; Mosconi, Lombardia, pp. 109­110. 33. Mosconi, Bs, pp. 49­50; Mosconi, Lombardia, p. 110. 34. Mosconi, Bs, pp. 50­52; Mosconi, Lombardia, p. 113. 35. Le. Pellegrini, Lo sviluppo dell’Osservanza minoritica (1368-1517), in I Francescani nelle Marche (secc. XIII-XVI), a cura di Lu. Pellegrini e R. Paciocco, Cinisello Balsamo (Milano) 2000, pp. 54­65, a p. 63. 36. Lo scarso interesse dei frati milanesi per le fondazioni in area sabauda è notato anche in Merlo, Le primitive sedi subalpine, p. 469. 37. Il cenobio è l’unico ad essere dotato di un’articolata relazione propria: G.B. Buroc­ co, Descrittione del convento di Santa Maria delle Grazie dei minori osservanti fabricato fuori delle mura di Monza, Biblioteca Ambrosiana (Milano), ms. I 129 sup.; C. Aguilhon, Chiesa di Santa Maria delle Grazie dei Minori Osservanti in Monza e suoi monumenti, Biblioteca Ambrosiana (Milano), Fondo Achille Varisco, ms. N. I. 9 (79) inf. (post 1870­ante 1878); A. Mosconi, I francescani e la Madonna delle Grazie a Monza, Brescia 1972; R. Cara, Ricerche sull’arte del Rinascimento a Monza, tesi di laurea, Università degli studi di Milano, facol­ tà di Lettere e ilosoia, relatore G. Agosti, a.a. 2004­2005, pp. 54­61. Ora per il complesso monzese si veda anche G.M. Campini, Chiese di Monza, del suo territorio e della sua Corte (1773), a cura di R. Cara, Milano 2011, pp. 59­64, 242­254. 38. In relazione all’intervento della contessa Luchina Bussoni Dal Verme, che acquista nel 1455 per i frati di Voghera (già installatisi forse attorno al 1440 nella dismessa chiesa di San Michele) il terreno sul quale vengono costruiti il convento e la chiesa di Santa 139 edoardo rossetti Maria delle Grazie, M. Manni, I conventi francescani di S. Maria delle Grazie e della Pietà in Voghera, Casteggio (Pavia) 1922, pp. 179­187; Idem, Memorie storico-biograiche della Provincia di San Diego in Piemonte, Varallo 1945, pp. 179­187; “Beatissime pater”. I “registra supplicationum” di Pio II (1458-1464), a cura di E. Canobbio e B. Del Bo, Milano 2007, doc. 147, p. 59, doc. 244, p. 95. Riguardo al ruolo giocato dagli Sforza di Santa Fiora a Castell’Arquato, trasformando in convento osservante un ex cenobio benedettino, Memorie istoriche delle chiese e dei conventi dei Frati Minori dell’osservante e riformata provincia di Bologna raccolte ed in tre tomi divise da Flaminio di Parma, Parma 1760, III, pp. 49­67. Si rammenti anche il ruolo della stessa famiglia nella fondazione del luogo di Santa Fiora (A.M. Amonaci, Conventi toscani dell’Osservanza Francescana, Milano 1997, p. 229). 39. Insieme a questi conventi è fondato anche il convento di Santa Maria degli An­ geli a Gardone Val Trompia (progettato però diversi anni prima: Mosconi, Bs, pp. 36­38; Mosconi, Lombardia, pp. 114­115), poi passato alla Provincia bresciana; si cfr. Burocco, Chronologia, f. 152­153 (Legnano); Silvola, Riforma, I, p. 87 (Varese); Silvola, Riforma, IX, pp. 297­298 (Pallanza); P.M. Sevesi, Il convento di S. Angelo di Legnano (S. Maria degli Angeli), in «AFH», 21 (1928), pp. 104­126, alle pp. 105­106 e doc. VI. 40. W. Bogni, L’insediamento francescano a Varese (secoli XIII-XIV), in Il francescanesimo in Lombardia, pp. 89­92. 41. Sull’Annunciata di Soncino, Burocco, Chronologia, f. 170­171, ma anche A. Mo­ sconi, I conventi francescani nel territorio cremonese. Storia, religione e arte, Brescia 1981, p. 38; e R. Sacchi, Il disegno incompiuto. La politica artistica di Francesco II Sforza e di Massimiliano Stampa, Milano 2005, vol. I, pp. 124­133. Per Tristano Sforza, iglio illegittimo del duca Francesco, e la moglie Beatrice d’Este, iglia illegittima del marchese Niccolò, già vedova di Niccolò da Correggio e madre del poeta Niccolò da Correggio detto Pustumo, A. Giulini, Di alcuni igli meno noti di Francesco I Sforza duca di Milano, in «ASL», 43 (1916), pp. 29­52, particolarmente pp. 43­46 e note; Andreozzi, Mirabile, Nuovi spunti di indagine, pp. 82­85. I legati testamentari di Tristano verso i Francescani osservanti di Sant’Angelo e dell’Annunciata di Soncino sono consistenti (a Sant’Angelo sono destinati 300 ducati annui per dodici anni e al convento di Soncino 1.200 lire imperiali); comunque, come speciicato nei documenti di ricevuta rilasciati dai frati agli eredi, il denaro è indirizzato non solo alla costruzione e decorazione dei conventi, ma soprattutto al mantenimento dei molti religiosi in essi residenti (ASMi, Notarile, b. 1870, notaio Antonio Zunico, 9 marzo 1489; ibidem, b. 2737, notaio Giovanni Bernardo Bienati, 30 luglio 1487; ibidem, b. 2738, 11 aprile 1489). A Beatrice, vera sostenitrice a oltranza degli Osservanti, si fa più volte cenno nel prosieguo di questa ricerca. 42. Cfr. supra nota 9. 43. Per San Bernardino si veda l’interessante dattiloscritto conservato presso la Biblio­ teca Civica di Caravaggio (ospitata nel dormitorio dell’antico convento) di I. Pi Brillas, San Bernardino di Caravaggio. Storia e arte in un convento francescano, 1987. 44. Mosconi, Lorenzi, Co, pp. 191­194. 140 lo sviluppo dell’osservanza francescana e l’aristocrazia milanese 45. Gli Osservanti non aiancano invece i Conventuali, ad esempio, nell’insedia­ mento nell’importante borgo di Cantù, sede dal XIII secolo di un convento dedicato a san Francesco e beneiciario nel 1482 di un legato di Filippo Maria Visconti di Fon­ taneto (R. Mambretti, Gli insediamenti francescani nel territorio della custodia di Monza (secoli XIII-XIV), in Il francescanesimo in Lombardia, pp. 81­88, alle pp. 87­88; Mosconi, Lorenzi, Co, pp. 180­181). In questo caso, la nobiltà locale brianzola (Carcano, Casati, Carpani, Parravicini) – estranea ai meccanismi borghigiani di Cantù – sovvenziona invece gli insediamenti nuovi di Erba, Montebrianza (Contra) e Cermenate. La stessa mancata di duplicazione, sempre per considerare i borghi di una cerca consistenza, si registra a Saronno – dove resta esclusiva la presenza dei Conventuali – e a Gallarate, dove comun­ que per disposizione testamentaria del solito Gian Rodolfo Vismara (1492) si fonda solo un ospizio dipendente da Legnano (Burocco, Chronologia, f. 158). Per la demograia di questi centri e per il rapporto tra i borghi e il notabilato locale si veda F. Del Tredici, Comunità, nobili e gentiluomini nel contado di Milano del Quattrocento, tesi di dottorato di ricerca, XXI ciclo, Università degli Studi di Milano, a.a. 2006­2008, tutor G. Chittolini (ora in corso di stampa). 46. G. Andenna, Gli ordini mendicanti, la comunità e la corte sforzesca, in Metamorfosi di un borgo. Vigevano in età visconteo-sforzesca, Atti del convegno (Vigevano, 30 settembre­ 1 ottobre 1988), a cura di G. Chittolini, Milano 1992, pp. 145­191, particolarmente pp. 175­179 (per la reazione dei ‘conventuali’ pp. 179­180); M. Rizzini, Architettura francescana a Vigevano tra i secoli XIV e XV, in Metamorfosi di un borgo, pp. 325­353, alle pp. 347­353; M. Comincini, La storia, in Il convento dell’Annunziata di Abbiategrasso, pp. 9­ 104, alle pp. 35­36; C. Silva, La chiesa e il convento di Santa Maria delle Grazie dei Minori Osservanti, in «Viglevanum», 19 (2008), pp. 94­104; C. Quattrini, in Splendori di corte. Gli Sforza, il Rinascimento, la città, Catalogo della mostra (Vigevano, 3 ottobre 2009­31 gennaio 2010), Milano 2009, p. 126. 47. G. Andenna, “L’opportunità persa” ovvero La residenza ducale di Galliate nel secondo Quattrocento, in Vigevano e i territori circostanti alla ine del Medioevo, a cura di G. Chitto­ lini, Milano 1997, pp. 341­365, alle pp. 352­353. 48. P.M. Sevesi, Santa Maria della Misericordia in Melegnano, Melegnano (Milano) 1932. 49. Anche se per la fondazione di Erba, Montebrianza, Bellinzona e Maleo (ma nel documento è menzionata anche Vercelli) si è fatto tendenzialmente riferimento al breve di Innocenzo VIII indirizzato al vicario Francesco Trivulzio nel 1486, risulta che i progetti di tutti questi monasteri fossero già avviati da tempo. Nel 1483 sono lasciati da Melchiorre Lampugnani (frate Seraino in Sant’Angelo) 100 iorini pro faciendum et ad faciendum il monastero di Erba (S. Gatti, Il testamento di fra Seraino Lampugnani: un lascito per la costruzione di S. Maria degli Angeli presso Erba, in «Archivi di Lecco e della provincia. Rivista di storia e cultura del territorio», 31, 2008, n. 3, pp. 81­89), mentre l’anno seguente (1484) Gabriele Boisio (frate Gabriele in Sant’Angelo) lascia 10 iorini per due anni a ciascuno dei cenobi di Erba e della Misericordia di Contra noviter inceptis (ASMi, Notarile, b. 1229, notaio Lancellotto Sudati, 10 aprile 1484). Per Bellinzona i progetti risalgono al 1480 (G. 141 edoardo rossetti Chiesi, “Fiat conventus”. S. Maria delle Grazie e i Francescani a Bellinzona nel tardo Quattrocento, in c.d.s.). Su Maleo, Burocco, Chronologia, f. 190; M. Marubbi, Per la ricostruzione del polittico di Maleo di Marco d’Oggiono, in «AL», 73­75 (1983), pp. 98­107. 50. L’iniziativa è della popolosissima consorteria dei Crivelli, ma anche della famiglia Boisio (chissà se parenti di frate Gabriele di Sant’Angelo citato nella precedente nota), e può circoscriversi agli anni 1486 e 1495 (Comincini, La storia, pp. 36­40). 51. P. Valugani, A. Mosconi, Cermenate e i francescani. Note storiche, Cermenate (Co­ mo) 1967; e soprattutto il contributo di Elisabetta Canobbio in questo volume. 52. Il convento è dedicato a san Francesco e fondato su iniziativa di un Vimercati (Burocco, Chronologia, f. 216­223). La dedicazione diferisce da quella dei centri quattro­ centeschi e segna l’ormai deinitiva e completa acquisizione da parte degli Osservanti della tradizione francescana. 53. Ad accomunare la situazione dei conventi fondati alla ine degli anni Sessanta è pro­ prio (oltre alla forma della struttura architettonica) la tempistica rapida della realizzazione, che avviene per tutti all’incirca in quattro o cinque anni: l’Annunciata di Abbiategrasso è fondata nel 1469 e terminata nel 1472 (Comincini, La storia, pp. 14­22); per la chiesa con la medesima dedicazione eretta a Varese la prima pietra è posta il giorno 15 agosto 1468 e l’ediicio è consacrato il giorno 8 luglio 1472 (Silvola, Riforma, IX, pp. 87­93); a Pallanza l’appezzamento di terra è donato il 10 aprile 1468 e la chiesa è consacrata il 31 maggio 1472 (ibidem, pp. 297­303); a Legnano la donazione dei terreni su cui sorge il cenobio risale al 12 novembre 1468 e la struttura è consegnata il 1 maggio 1471 a frate Cristoforo Piccinelli (Burocco, Chronologia, f. 152­153; Sevesi, Il convento di S. Angelo di Legnano, pp. 105­106). Più lenti i tempi di costruzione per Vigevano (cfr. supra nota 46) e Soncino; l’ediicazione di quest’ultimo centro dura almeno un decennio stando a Burocco (Chronologia, f. 171). 54. Il duca impone: «et sopra tutto che ’l sia facto in brevissimo tempo» (Comincini, La storia, p. 17). 55. Per rilettere sui tempi lunghi di realizzazione: San Bernardino a Caravaggio fonda­ ta nel 1472 è consacrata il 5 aprile 1489 (Silvola, Riforma, IX, p. 119) e il tramezzo a cinque scomparti è datato 1531; la Misericordia di Contra è fondata nei primi anni Ottanta, con­ sacrata il 14 gennaio 1498 (Burocco, Chronologia, f. 180) e la cappella maggiore è afrescata dopo il 1509 (infra nota 181); le Grazie di Bellinzona principiate nel 1480 sono consacrate il 5 settembre 1505 (Burocco, Chronologia, f. 188) e il tramezzo risulta in lavorazione nel dicembre del 1512 (infra nota 154); Santa Maria degli Angeli di Lugano è fondata uicial­ mente nel 1499 e consacrata il 26 luglio 1515 (Silvola, Riforma, IX, p. 242), la cappella maggiore è afrescata verso il 1523 e Luini realizza il tramezzo nel 1529 (infra nota 182). Si protrae per molti anni anche il completamento dei cantieri iniziati prima del lustro 1468­ 1472; un caso per tutti quello dell’Annunciata di Treviglio costruita su terreni donati il 12 marzo 1441 e consacrata dopo ventiquattro anni il 15 settembre 1465 (Silvola, Riforma, I, p. 113). Per la realizzazione tardiva delle decorazioni pittoriche si tenga comunque conto che anche all’Annunciata di Abbiategrasso, costruita in tempi rapidi, la cappella maggiore si 142 lo sviluppo dell’osservanza francescana e l’aristocrazia milanese afresca solo nel 1518 (come risulta dalla data presente sui dipinti) e si potrebbe pensare che i ricchi apparati realizzati nel Cinquecento siano il risultato dell’abbandono di una comple­ ta austerità e di un diverso approccio dei frati verso la decorazione delle loro chiese. 56. Le scansioni della tempistica insediativa della Provincia milanese sono quindi assai diverse rispetto a quelle registrate in Toscana, dove gli anni dal 1450 al 1480 segnano una battuta di arresto nell’espansione dell’ordine (Amonaci, Conventi toscani dell’Osservanza Francescana, pp. 33, 56­59), o nella Provincia bolognese: qui gli anni 1461­1500 sono caratterizzati da un rallentamento nella fondazione di nuovi insediamenti (Cobianchi, he franciscan observant foundations, pp. 191­192). 57. Andenna, Gli ordini mendicanti, p. 178, nota 120. Si cfr. anche Burocco, Chronologia, f. 93. 58. A. Calufetti, I vicari provinciali dei Frati Minori della Regolare Osservanza di Milano dal 1428 al 1517, in «AFH», 72 (1979), pp. 3­36, alle pp. 30­31. 59. ASMi, Notarile, b. 2924, notaio Bartolomeo Pagani, 28 novembre 1511. 60. Riguardo alle situazioni creatasi durante la fuga verso Trento dei quattro si veda S. Meschini, La Francia nel ducato di Milano. La politica di Luigi XII (1499-1512), Milano 2006, I, pp. 148­149, 157, 160­161. È opportuno rammentare che a quanto pare sul campo di Novara nell’aprile del 1500 doveva essere consistente la presenza di Francescani (ma non è speciicato se Osservanti o Conventuali) tra le ile degli sforzeschi, «parce que plusieurs cordeliers estoyent en son armée [del Moro] servans de chappelains et confesseu­ rs», tanto che il duca decise in un primo tempo di fuggire travestito con il saio francescano (Le panegyric du chevalier sans reproche ou Memoires de La Tremoille, par Jean Bouchet, Paris 1826, p. 438). Da sottolineare che il giovane Gerolamo Carcano, il maturo Ambrogio del Maino e l’anziano Battista abitavano in tre palazzi siti a pochi metri l’uno dall’altro: quelli Carcano e Visconti nel territorio della parrocchia di San Tommaso in Terramara di porta Comasina e quello del Maino sotto la giurisdizione parrocchiale di San Vincenzino al Mo­ nastero Nuovo e con l’afaccio principale sulla contrada del Maino (via Camperio), l’asse dei cortei ducali (E. Rossetti, La città cancellata. Gli interventi del principe, gli spazi urbani e le residenze aristocratiche nella Milano di Ludovico il Moro, in c.d.s.). Alle ainità parentali e a quelle politiche si univa a stringere il vincolo anche il rapporto di vicinia e vicinato, ricon­ fermato anche dall’uso dei medesimi notai Besozzi e Pagani, abitanti nello stesso quartiere. 61. A favore dell’ipotesi del riuso in questo senso della cappella dello Spirito Santo concorrono vari dati. I igli di Rossana del Maino (cugina di Ambrogio della quale si fa più volte menzione di seguito), Guarnerio e Giovanni Castiglioni rinunciano al patronato della cappella di Sant’Angelo: da loro dipende il mantenimento della cappella di San Giovanni Battista in San Francesco Grande dove sono sepolti il bisnonno Carmagnola e il nonno Guarnerio seniore (Patetta, L’architettura del Quattrocento, p. 78); testando in giovane età Guarnerio iuniore dispone di farsi costruire in dal 1496 una cappella nell’amadeita Santa Maria della Pace (ASMi, Notarile, b. 1940, notaio Antonio Bombelli, 3 luglio 1496); Gio­ vanni si fa inumare invece in Santa Maria delle Grazie in primo claustro versus capellam San- 143 edoardo rossetti cte Coronae (A. Aldeni, Il ‘Libellus Sepulchrorum’ e il piano progettuale di Santa Maria delle Grazie, in «AL», 67, 1983, pp. 70­92, a p. 91). Inoltre nell’ultimo testamento di Rossana del 1495 sono ignorate tutte le disposizioni precedenti sulla decorazione della cappella (che compaiono invece in quello del 1494), forse sintomo di un deinitivo controllo da parte del cugino Ambrogio del Maino sul sacello dello Spirito Santo (ASMi, Notarile, b. 1940, no­ taio Antonio Bombelli, 5 settembre 1495). Nel 1539 Gerolamo Carcano (che è comunque nipote ex sorore di Rossana), ultimo sopravvissuto dei quattro amici, si assume l’onere del restauro proprio della cappella dello Spirito Santo, quella di destra sotto il tramezzo dove ancora dispone di farsi seppellire nel 1541 (ASMi, Notarile, b. 10761, notaio Giacomo An­ tonio Carcano, 9 gennaio 1541), assegnando i lavori al pittore Francesco Pessina; a stimare i dipinti è quel Gaudenzio Ferrari che dopo aver realizzato il tramezzo di Varallo, con la sua presenza in Sant’Angelo (per la cappella Gallarati realizza il Martirio di santa Caterina d’Alessandria ora a Brera) e in Santa Chiara (dove dipinge il trittico per l’altare maggiore con la Madonna in trono col Bambino, santa Chiara e sant’Antonio; e anche qui la commissione potrebbe essere Carcano per la presenza delle sue sorelle di Gerolamo nel cenobio, P.M. Sevesi, Le clarisse di Milano e il monastero di S. Chiara, Milano 1930, pp. 136­138), sembra essere diventato il pittore di iducia dei Francescani osservanti milanesi (G. Colombo, Vita ed opere di Gaudenzio Ferrari pittore, con documenti inediti, Roma 1881, pp. 193­194, doc. XXI a pp. 340­341; M. Ferro, Un’ancona milanese di Gaudenzio, in «Paragone», 36, 1985, fasc. 419­423, pp. 157­163; R. Sacchi, Gaudenzio Ferrari a Milano: i committenti, la bottega, le opere, in «Storia dell’arte», 67, 1989, pp. 201­218). Battista Visconti nei suoi testamenti del 1504, 1510 e 1514 dispone laconicamente di essere sepolto in Sant’Angelo in cappella mea e fornisce speciiche solo per il completamento della cappella paterna nella stessa chiesa (si cfr. infra nota 76), mentre non si è ritrovato il testamento di Gaspare di Azzone Visconti, già morto nel 1507. Per l’ipotesi che dalla cappella dello Spirito Santo di Sant’Angelo pro­ venga la Pentecoste di Bramantino conservata ora nella chiesa di Santo Stefano a Mezzana di Somma Lombardo (fatta costruire da Battista Visconti), si veda E. Rossetti, “Chi bramasse di veder il volto suo ritratto dal vivo”. Ermes Visconti, Matteo Bandello e Bernardino Luini: appunti sulla committenza artistica al Monastero Maggiore, in «ASL», in c.d.s. 62. Non ancora presente ad esempio in Andenna, Aspetti politici, pp. 346­347. 63. Sul ceto magnatizio, G. Chittolini, Infeudazioni e politica feudale nel ducato visconteo-sforzesco, in La formazione dello stato regionale e le istituzioni del contado. Secoli XIV e XV, Torino 1979, pp. 36­100; L. Arcangeli, Gentiluomini di Lombardia. Ricerche sull’aristocrazia padane del Rinascimento, Milano 2003 (specie l’Introduzione); L. Arcangeli, Alle origini del consiglio dei sessanta decurioni: ceti e rappresentanza a Milano tra Massimiliano Sforza e Francesco I di Valois (maggio 1515-luglio 1516), in Con la ragione e col cuore. Studi dedicati a Carlo Capra, a cura di S. Levati e M. Meriggi, Milano 2008, pp. 33­75, specialmente pp. 60­65; M. Gentile, Aristocrazia signorile e costituzione del ducato visconteo-sforzesco. Appunti e problemi di ricerca, in Noblesse et États princiers en Italie et en France au XV e siècle, Actes du colloque de Rome (26­27 novembre 2003), a cura di P. Savy e M. Gentile, Rome 2009, pp. 125­155; L. Arcangeli, Ragioni di stato e ragioni di famiglia: strategie successorie dell’aristocrazia milanese tra Quattro e Cinquecento, in c.d.s. Per la nobiltà milanese si vedano M.N. 144 lo sviluppo dell’osservanza francescana e l’aristocrazia milanese Covini, Essere nobili a Milano nel Quattrocento. Giovanni Tommaso Piatti tra servizio pubblico, interessi fondiari, impegno culturale e civile, in «ASL», 128 (2002), pp. 63­155; M.N. Covini, La memoria selettiva nel libro di ricordi di Bartolomeo Morone. Un’introduzione al testo, in Il libro di ricordi di Bartolomeo Morone, giureconsulto milanese (1412-1455), a cura di M.N. Covini, Milano 2010, pp. 7­15 e pp. 48­52; per lo stesso ceto inserito in un conte­ sto religioso diverso, quello di Santa Corona in parte antitetico all’ambiente dei Francescani osservanti, si vedano a titolo di esempio anche le biograia incluse nelle note di M. Gazzini, Scuola, libri e cultura nelle confraternite milanesi fra tardo medioevo e prima età moderna, in «La biblioilía», 103 (2001), n. 3, pp. 215­261. Questa diferenza di ceto si scorge, non solo nello stretto ambito dei rapporti con i francescani. Se si scorrono le liste dei deputati ai vari luoghi pii cittadini (G. Albini, Città e ospedali nella Lombardia medievale, Bologna 1993, pp. 233­256), è immediato notare l’assenza dei primi nomi dell’aristocrazia milanese, che lega sostanziose somme a questi enti, ma non si occupa della loro gestione, aidata per lo più alla ‘clientela’ (termine che comunque va declinato nella peculiare accezione milanese: nella capitale del ducato non si accettano rapporti impostati in modo eccessivamente ver­ ticale) del ceto magnatizio. Per Battista Visconti di Somma è ad esempio inutile occuparsi dell’amministrazione della Carità quando può contare su Lorenzo Vimercati, suo amico, vicino e ‘cliente’, nonché esecutore testamentario, che è stato uno dei fondatori del luogo pio (cfr. infra nota 140). E, quando, nel 1519 Princivalle Visconti, primo cugino di Batti­ sta, igura nel novero dei deputati della Carità (ASMi, Notarile, b. 3912, notaio Francesco Barzi, doc. 6534, 3 marzo 1519), la situazione politica milanese è già mutata e una parte dell’aristocrazia è costretta ad adattarsi a quelle che stanno diventando le logiche del patri­ ziato o, in alternativa, ad abbandonare deinitivamente lo spazio urbano. 64. I Pallavicini fondano i due cenobi di minori osservanti di Busseto e Cortemaggiore – sono gli unici conventi fondati dopo gli anni Sessanta del XV secolo nella parte della Provincia bolognese sottoposta al ducato sforzesco – e mantengono stretti rapporti con Sant’Angelo. In generale sulla famiglia si veda ora L. Arcangeli, Un lignaggio padano tra autonomia signorile e corte principesca: i Pallavicini, in Noblesse et états princiers, pp. 29­100. Per Santa Maria degli Angeli di Busseto costruita su indicazioni testamentarie di Rolando, Memorie istoriche, vol. I, pp. 125­149; E. Seletti, La città di Busseto capitale un tempo dello stato pallavicino, Milano 1883, I, pp. 215­229; mentre per Santa Maria Annunciata di Cor­ temaggiore Memorie istoriche, pp. 233­286; e per gli afreschi M. Tanzi, Margini zenaliani. Gli afreschi di Cortemaggiore e il trittico di Assiano, in «Solchi», 8 (2005), pp. 11­104. Si vedano per Cortemaggiore anche i due testamenti di Giovanni Ludovico, rogati a Milano, con le indicazioni per la nuova fondazione dopo la lite con il fratello Pallavicino (ASMi, Notarile, b. 2145, notaio Giorgio Rusca, 16 gennaio 1478, 13 luglio 1479). Informazioni su entrambi i conventi e la committenza Pallavicini in M.C. Cavazzoni, I fratelli di Carlo: tracce per la committenza Pallavicino nell’Oltrepò cremonese, in L’oro e la porpora. Le arti a Lodi nel tempo del vescovo Pallavicino (1456-1497), Catalogo della mostra (Lodi, 9 aprile­ 5 luglio 1998), a cura di M. Marubbi, Cinisello Balsamo (Milano) 1998, pp. 115­122; e in R. Cobianchi, ‘Lo temperato uso delle cose’. La committenza dell’Osservanza francescana nell’Italia del Rinascimento, in c.d.s. I testamenti dei igli di Pallavicino Pallavicini sono 145 edoardo rossetti rogati, se a Busseto, in Santa Maria degli Angeli e contengono abbondanti lasciti alla chiesa (Memorie istoriche, I, pp. 137­138, per Niccolò e Cristoforo; ASOM, Archivio Litta, b. 9, doc. 65, 15 giugno 1515, per Antonio Maria). Con un codicillo del 1516 Antonio Maria dispone addirittura per la ricostruzione del Sant’Angelo milanese (ibidem, doc. 67, 16 ot­ tobre 1516; ASMi, Notarile, b. 4973, notaio Filippo Liscati, 15 maggio 1527), mentre Cri­ stoforo ricorda solo cenobi osservanti nelle indicazioni fornite al frate confessore (Memorie istoriche, I, pp. 140­141). Tra il 1453 e il 1455, quando Francesco Visconti è commissario a Cremona, le donne di casa Pallavicini collaborano con Bianca Maria Visconti alla fondazio­ ne del locale cenobio delle Clarisse dedicato al Corpus Domini (ibidem, pp. 335­338). Per le iglie di Rolando il Magniico: Giovanna Pallavicini, moglie di Filippo Maria Visconti di Fontaneto, è sepolta davanti all’altare maggiore di Santa Maria degli Angeli a Legnano, come ricordato nei testamenti del iglio Giovanni Maria (Sevesi, Il convento di S. Angelo di Legnano, p. 109; ASOM, Archivio Litta, b. 9, doc. 51, 14 maggio 1502; ibidem, doc. 54, 2 febbraio 1507; ibidem, doc. 55, 16 agosto 1508; ASMi, Notarile, b. 4102, notaio Giovanni Antonio Robbiati, 2 marzo 1521). Elisabetta è moglie di Andriotto del Maino e presumi­ bilmente è sepolta con il marito in Sant’Angelo a Milano; Antonia (naturale) fonda con il marito Galeazzo Bevilacqua il convento di Maleo. 65. Cfr. infra note 204 e 205. 66. Emblematico il caso dei da Gerenzano: per il ricamatore Niccolò (deputato della Carità), la costruzione della cappella della Maddalena in Sant’Angelo insieme con l’ediica­ zione di una nuova casa in Milano sono i segni più evidenti della tentata ascesa sociale (M. P. Zanoboni, I da Gerenzano “ricamatori ducali” alla corte sforzesca, in Rinascimento sforzesco. Innovazioni tecniche, arte e società nella Milano del secondo Quattrocento, Milano 2005, pp. 23­86). Per le altre cappelle si veda di seguito. 67. Per queste parentele si faccia in generale riferimento alle tavole di Litta, Famiglie celebri; Calvi, Famiglie notabili milanesi. Le quattro iglie di Francesco Bussone, conte di Carmagnola, e di Antonia Visconti di Ierago si sposano: Margherita con Bernabò San­ severino (iglio di Aloisio, controverso fondatore di Santa Croce in Boscaglia a Como), Elisabetta con Francesco Visconti di Somma (sono i genitori di Battista), Luchina con il conte Luigi Dal Verme, Antonia con Guarnerio Castiglioni (sono i suoceri di Rossana del Maino). Per questi matrimoni, voluti da Filippo Maria Visconti con l’esplicito intento di creare un blocco di «ainitate» tra alcuni dei primi uomini del suo governo, G. Cornaggia Medici, Per la condotta di Luigi dal Verme ai servigi del duca Filippo Maria, in «ASL», 60 (1933), pp. 193­200, a p. 199; G. Chittolini, Infeudazioni e politica feudale nel ducato visconteo-sforzesco, in G. Chittolini, La formazione dello stato regionale e le istituzioni del contado, Torino 1979, pp. 36­100, a p. 73; N. Covini, L’esercito del duca. Organizzazione militare e istituzioni al tempo degli Sforza (1450-1480), Roma 1998, pp. 94­95; Arcangeli, Gentiluomini di Lombardia, p. XIX; F. Leverotti, Famiglia e istituzioni nel Medioevo italiano. Dal tardo antico al Rinascimento, Roma 2005, pp. 160­161; Gentile, Aristocrazia signorile, pp. 146­149. Le quattro iglie di Pietro Pusterla e di Lucia Crotti si sposano: Margherita con il conte Ugolotto Crivelli, Elisabetta con il conte Giovanni Rusca, Paola con Battista di 146 lo sviluppo dell’osservanza francescana e l’aristocrazia milanese Guarnerio Castiglioni, Giovanna con Battista di Francesco Visconti (si veda il testamento di Pietro, ASMi, Notarile, b. 1021, notaio Pietro Brenna, doc. 7844 ½, 29 febbraio 1484). Mentre i igli maschi della coppia si uniscono Baldassarre con Orsina Stampa e Giuliano con Antonia di Francesco Visconti, sorella di Battista. È degno di nota che nella genera­ zione successiva l’unica iglia di Giuliano e della Visconti sposi Cristoforo Pallavicini di Busseto, mentre dei igli di Baldassarre: Pietro sposa Chiara di Galeazzo Visconti conte di Busto, Giovanni Battista sposa Chiara di Antonio Maria Pallavicini di Busseto (inanziatore della ricostruzione di Sant’Angelo) e Anna sposa Tommaso di Ambrogio del Maino (con dote anticipata dal cugino Ermes Visconti iglio di Battista). 68. Tutto il gruppo sembra riavvicinarsi un poco alla consorteria Trivulzio solo verso il 1512 quando Battista Visconti e Gian Francesco Marliani si accordano per conciliarsi, come sostiene l’Arluno, con la nobiltà adversa sibique magna ex parte repugnans; i segni tangibili sono il matrimonio di Camillo Trivulzio con una iglia di Ambrogio del Maino e quello di una iglia naturale di Teodoro Trivulzio con Antonio Maria Crivelli (L. Arcangeli, Gian Giacomo Trivulzio marchese di Vigevano e il governo francese nello Stato di Milano (1499-1518), in Arcangeli, Gentiluomini di Lombardia, pp. 3­67, p. 57, nota 170). Per le generazioni precedenti si attesta un unico matrimonio con i Visconti di Somma (Antonio di Erasmo con Orsina di Francesco) ma tra due igli naturali (ibidem, p. 28, nota 33). Costanti sono invece i legami tra i Trivulzio e i Visconti discendenti di Bernabò, ‘di Brignano’ e ‘di Saliceto’ (ibidem, p. 30, nota 88). Per i Visconti ‘di Fontaneto’ (gli unici tra i Visconti a sposare pre­ cocemente i Borromeo) si segnala l’unione (1491) tra Barbara Trivulzio di Gian Giacomo e Giovanni Galeazzo di Filippo Maria Visconti, ma l’abile regia del matrimonio è dovuta ve­ rosimilmente alla potente vedova Maria Ghilini che prosegue il suo progetto di distacco del iglio dalla parentela del marito (I. Teruggi, “In castro Fontaneti”. Il mecenatismo dei Visconti tra XV e XVI secolo, in Fontaneto: una storia millenaria. Monastero, concilio metropolitico, residenza viscontea, a cura di G. Andenna e I. Teruggi, pp. 169­227, alle pp. 192­195). 69. Per i legami di questo gruppo con i domenicani di Santa Maria delle Grazie, S. Faso­ li, I domenicani e francesi: S. Eustorgio e S. Maria delle Grazie, in Milano e Luigi XII. Ricerche sul primo dominio francese in Lombardia, a cura di L. Arcangeli, Milano 2002, pp. 411­429. 70. In merito alle sepolture del resto dell’aristocrazia milanese E. Rossetti, “Arca marmorea elevata a terra per brachia octo”. Le sepolture dell’aristocrazia milanese tra Quattro e Cinquecento, di prossima pubblicazione nella miscellanea nata in margine al seminario Famiglie e spazi sacri nella Lombardia del Rinascimento, Milano, Università degli Studi, 21­22 settembre 2011. 71. Arcangeli, Gian Giacomo Trivulzio, pp. 31­32, nota 98, per i testamenti dell’agna­ zione. L’unico dei Trivulzio a richiedere sepoltura in Sant’Angelo (1511), o meglio in San­ t’Angiolino, è Erasmo di Giacomo, un cugino del Magno che si comporta in generale in modo eccentrico rispetto alla consorteria (Grosselli, Documenti quattrocenteschi, doc. 14, pp. 107­108). I rapporti che i Trivulzio instaurano con i conventi osservanti di Maleo e Vigevano sono obbligati dal ruolo rivestito nei due centri dai feudatari, ma non stanno all’origine delle due fondazioni. 147 edoardo rossetti 72. I diarii di Marino Sanuto, a cura di R. Fulin, F. Stefani, N. Barozzi, G. Berchet, M. Allegri, 58 voll., Venezia 1879­1902, III, col. 1295. 73. Per la biograia di questi Visconti, Rossetti, “Chi bramasse di veder il volto suo ritratto dal vivo”, in c.d.s. 74. Nello scarno testamento sono gli unici legati ad enti religiosi (ASMi, Notarile, b. 927, notaio Lazzaro Cairati, 7 ottobre 1476). 75. A. Buratti Mazzotta, S. Agnese e S. Fede, disegni e documenti per le loro vicende architettoniche, in La basilica di S. Agnese. L’antica prepositurale di Somma e la sua pieve: storia, arte e architettura, Varese 2006, pp. 79­115, alle pp. 82­87. 76. Il primo testamento non è pervenuto, ma è segnalato nella rubrica del notaio Lan­ cellotto Sudati (ASMi, Rubriche notai, 4180, 1477); per gli altri: ASMi, Notarile, b. 1229, notaio Lancellotto Sudati, 8 giugno 1484; ibidem, b. 2975, notaio Francesco Pagani, 23 novembre 1497; ibidem, b. 2977, 9 marzo 1504; ibidem, b. 2979, 14 febbraio 1510; Ar­ chivio Visconti di San Vito, Cassetta 114, 10 marzo 1514. 77. L’istituzione della cappellania al Gesù è sicuramente eseguita e ancora pagata sul dazio di Sesto, come annotato in alcuni appunti conservati tra le poche superstiti carte del monastero (ASMi, Fondo di Religione, b. 1798, ca. 1750). 78. Per la sepoltura di Giuliano Pusterla di Pietro in Sant’Angelo, la sua lapide con epi­ taio di Lancino Curzio in V. Forcella, Iscrizioni delle chiese e degli altri ediici di Milano dal secolo VIII ai giorni nostri, voll. I­XII, Milano 1889­1893, V, p. 11, n. 10). Il padre Pietro si fece tumulare in un sepolcro marmoreo nella parrocchiale di San Sebastiano a Milano (cfr. il testamento supra a nota 67). Non si è rinvenuto il luogo di sepoltura di Baldassarre, fratello di Giuliano (morto a Genova il 9 maggio 1499: C. Santoro, Gli uici del dominio sforzesco [1450-1500], Milano 1948, p. 458), né il suo testamento registrato al 2 dicembre 1493, nella rubrica del notaio Pinamonte da Lodi (ASMi, Rubriche notai, 2744). Giovanni Batti­ sta Pusterla di Baldassarre scelse Santa Maria del Monte sopra Varese per la costruzione del proprio sepolcro (ASMi, Notarile, b. 7782, notaio Pietro Antonio da Lodi, 5 aprile 1536). 79. Guido muore nel 1483 e risulta sepolto nella chiesa di San Francesco, forse a Geno­ va (L. Melzi, Somma Lombardo. Storia descrizione e illustrazione, Milano 1880, p. 174); dei suoi igli Antonio (l’unico sposato Trivulzio) sceglie l’appartato monastero di Sant’Ambro­ gino alla Costa (ASMi, Notarile, b. 7304, notaio Giovanni Repossi, 14 febbraio 1522), ma i suoi eredi continuano a detenere il patronato delle sepolture absidali di Sant’Eustorgio che passano ai Visconti di Modrone. Nulla si conosce riguardo alla sepoltura di Tebaldo (uomo d’armi sposato ad una Sanseverino), forse deceduto a Napoli. 80. Non vi sono indicazioni in merito nei primi testamenti, ma risulta un lascito di ben 1.000 ducati alla fabbrica di Santa Chiara (ASMi, Notarile, b. 2541, notaio Boniforte Gira, 4 settembre 1503; ibidem, b. 2561, 28 novembre 1520). 81. Nel codicillo è comunque previsto anche un lascito di 2000 lire alla chiesa domenica­ na osservante delle Grazie (ASMi, Notarile, b. 2561, notaio Boniforte Gira, 8 luglio 1521). 148 lo sviluppo dell’osservanza francescana e l’aristocrazia milanese 82. ASMi, Notarile, b. 5288, notaio Niccolò Gira, 23 settembre 1530. 83. ASMi, Notarile, b. 3953, notaio Francesco Besozzi, 15 settembre 1519. 84. ASMi, Notarile, b. 3956, notaio Francesco Besozzi, 8 dicembre 1523. 85. ASMi, Notarile, b. 2387, notaio Filippo Cogliati, 13 gennaio 1512. 86. Per quanto riguarda il rapporto tra gli altri Visconti e i Minori osservanti, si prenda in considerazione a titolo di esempio quanto segue. Francesco Bernardino Visconti (il cui stesso nome risulta una sorta di programma devozionale), primo gentiluomo di Milano e insieme a Battista Visconti capo della parte ghibellina, dispone per la propria sepoltura nell’amedeita Santa Maria della Pace, nella cappella di San Pietro Martire, ma commissiona afreschi rap­ presentanti san Bernardino, san Francesco, santa Chiara per la cappella di Santa Chiara nella chiesa parrocchiale di San Giovanni in Conca sita a Milano accanto al suo palazzo (ASMi, Notarile, b. 2923, notaio Bartolomeo Pagani, 19 novembre 1504; ibidem, Feudi camerali, b. 115). Antonio Pietro Visconti, iglio di Gentile e di Valentina Visconti, discendente da Ber­ nabò per parte materna, lascia parte del valore della propria casa di porta Romana ai Minori osservanti per opere caritative, per le fabbriche di Sant’Angelo (4.000 lire) e del convento del Monte Sion di Gerusalemme, ma nei primi testamenti la somma è di ben 5.000 iorini (ASMi, Notarile, b. 2663, notaio Giovanni Ambrogio della Croce, 22 febbraio 1475; ibidem, b. 976, notaio Giacomo Bonderi, 9 ottobre 1475; ibidem, 30 ottobre 1475; ASMi, Fondo di Religione, b. 964, 20 settembre 1488; ibidem, b. 2921, 13 agosto 1498; Andreozzi, Mirabile, Nuovi spunti di indagine, p. 84). Non sono stati per il momento ritrovati i testamenti dei Visconti di Ierago – al cui ramo appartiene Gaspare sepolto con Ambrogio, Gerolamo e Bat­ tista – ma Elisabetta Visconti, zia di Gaspare e vedova di Cicco Simonetta dispone di essere sepolta in Sant’Angelo in tutti i suoi testamenti e lascia con l’ultimo (1502) grosse somme al­ la Carità (ibidem, b. 937, notaio Lazzaro Cairati, 4 ottobre 1496; ibidem, b. 937, 23 febbraio 1497; ibidem, b. 3057, notaio Pietro Lepori, 29 giugno 1501; A. Noto, Gli amici dei poveri di Milano: 1305-1964, Milano 1966, p. 217). Diverso l’atteggiamento di altre famiglie, pure ai vertice dell’agnazione viscontea. I Visconti di Albizzate, Cassano Magnago, Fagnano, Fontaneto restano fedeli alle sepolture di Sant’Eustorgio o innovano (alcuni igli di Gaspare Ambrogio) facendosi inumare in Santa Marta; Ludovico Visconti Borromeo sceglie invece Santa Maria della Pace per fondare una nuova cappellania (Rossetti, “Arca marmorea elevata a terra”, in c.d.s.). Il giurista Carlo Visconti, iglio di Roberto, sposo di Veronica Casati, spesso procuratore e arbitro di Battista Visconti, di Galeazzo Visconti conte di Busto e di Ludovico Visconti Borromeo (nominati come propri esecutori con i cognati Niccolò e Bernardino Casati), elegge la propria sepoltura in Sant’Angelo per sé e per i propri discendenti (ASMi, Notarile, b. 4426, notaio Martino Pagani, 17 ottobre 1509). Riguardo ai Visconti più salva­ tici: Melchiorre Visconti fa un consistente lascito a Santa Maria delle Grazie di Varallo (D. Mirabile, Un nuovo documento per Santa Maria delle Grazie a Varallo Sesia: un nuovo appiglio per Gaudenzio giovane?, in «Sacri monti», 1, 2007, pp. 365­379); e Giovanni Pietro Visconti di Besnate, iglio di Giacomo, richiede di essere sepolto all’Annunciata di Varese o a Sant’An­ gelo a Milano, oppure nella chiesa dei Minori osservanti più vicina al luogo della sua morte (ASMi, Notarile, b. 1393, notaio Galvagno Piantanida, 19 gennaio 1497). 149 edoardo rossetti 87. Meschini, La Francia nel ducato di Milano, II, pp. 1072­1073, nota 43. ASMi, Notarile, b. 7230, notaio Giovanni Maria Besozzi, 21 novembre 1513. Quasi contempo­ raneamente anche uno dei notai collaboratori del Besozzi, Giorgio da Tradate, testa dispo­ nendo sepoltura in Sant’Angelo (ASMi, Notarile, b. 7876, notaio Bernardino Besozzi, 18 luglio 1512). 88. Rossetti, “Chi bramasse di veder il volto suo ritratto dal vivo”, in c.d.s. 89. ASMi, Notarile, b. 4103, notaio Giovanni Antonio Robbiati, 21 aprile 1522; ibidem, b. 4104, 3 marzo 1524. 90. ASMi, Fondo di Religione, b. 964. 91. Calvi, Famiglie notabili milanesi, Carcano, tav. IV. 92. ASMi, Notarile, b. 2975, notaio Francesco Pagani, 10 settembre 1498. 93. ASMi, Notarile, b. 2977, notaio Francesco Pagani, 30 settembre 1503; ibidem, 11 ottobre 1503. Per le due monache, poi beate dell’ordine, Sevesi, Le clarisse di Milano, pp. 136­138. 94. ASMi, Notarile, b. 2983, notaio Francesco Pagani, 12 febbraio 1522. 95. ASMi, Notarile, b. 3771, notaio Giovanni Pietro Carcano, 10 settembre 1525. 96. ASMi, Notarile, b. 10761, notaio Giacomo Antonio Carcano, 9 gennaio 1541. 97. ASMi, Notarile, b. 7752, notaio Beltramino Giussani, 11 gennaio 1540; ibidem, b. 5857, notaio Pietro Maggi, 7 agosto 1543; ASMi, Fondo di Religione, b. 956, 7 gennaio 1565; Burocco, Chronologia, f. 14; si veda anche M. Mascetti, La dominazione spagnola tra i secoli XVI e XVII, in Lomazzo. Storia di un borgo tra due città, Lomazzo (Como) 2004, I, pp. 143­406, alle pp. 250­251, 290­293. I Visconti abbandonano invece – causa problemi politici, ma soprattutto di famiglia – il patronato delle cappelle di Sant’Angelo e alla ine del XVI secolo Battista Visconti iglio di Ermes si fa inumare in San Marco nel sepolcro della iglia (ASMi, Clerici di Cavenago, b. 9, fasc. 1, 7 marzo 1597). 98. Sono le uniche disposizioni a favore di enti religiosi del testamento e codicillo, ASMi, Notarile, b. 2975, notaio Francesco Pagani, 26­27 febbraio 1498. Per la dote di Or­ sina, ibidem, b. 2977, 22 novembre 1503. Più variegati i lasciti di Niccolò, ma sempre con 200 lire assegnate a Santa Croce in Boscaglia di Como (ibidem, 9 settembre 1504). 99. Sacchi, Gaudenzio Ferrari, pp. 206­208. 100. ASOM, Archivio Litta, b. 9, doc. 59, 24 luglio 1511 (testamento di Caterina Re­ sta); ASMi, Notarile, b. 2983, notaio Francesco Pagani, 16 luglio 1526 (6.000 scudi di dote per Eleonora sposata da un anno); M.T. Binaghi Olivari, Bernardino Luini, Milano 2007, pp. 27­29; F. Frangi, Bernardino Luini: un ritratto per casa Porro, in Il più dolce lavorare che sia. Mélanges en l’honneur de Mauro Natale, a cura di F. Elsig, N. Etienne, G. Extermann, Milano 2009, pp. 275­281; per un’identiicazione diversa del ritratto Porro C. Quattrini, 150 lo sviluppo dell’osservanza francescana e l’aristocrazia milanese Bernardino Luini, in c.d.s.; ma si vedano anche le interessantissime note su casa Porro, i loro rapporti con i francescani e la loro devozione per l’Imago pietatis in C.T. Gallori, L’altare Porro del Duomo di Milano, in «Nuovi annali. Rassegna di studi e contributi per il Duomo di Milano», I (2009, ma 2010), pp. 143­155. 101. Una nota sulla famiglia del Maino e la sua inluenza in N. Covini, Tra patronage e ruolo politico: Bianca Maria Visconti (1450-1568), in Donne di potere nel Rinascimento, Atti del convegno (Milano, 20 novembre­2 dicembre 2006), a cura di L. Arcangeli e S. Peyronel, Roma 2008, pp. 246­280, alle pp. 258­259, nota 35. In generale molte informa­ zioni su vari membri del casato si recuperano da F. Gabotto, Giason del Maino e gli scandali universitari nel Quattrocento, Torino 1888. 102. Notizie su Rossana e il marito Francesco Castiglioni, di Guarnerio, si ricavano da E. Motta, Ippolita Sforza alla Madonna del Monte sopra Varese, in «Periodico della Società storica comense», 5 (1885), pp. 337­346. 103. ASMi, Notarile, b. 1227, notaio Lancellotto Sudati, 10 ottobre 1480. 104. Intorno ai rapporti tra Galeazzo Maria Sforza e la Serenissima, Covini, L’esercito del duca, pp. 205, 285­287, 333. 105. Andenna, Aspetti politici, p. 341. 106. Sevesi, Il beato Francesco Trivulzio, p. 51, doc. 7. 107. Si cfr. supra note 9, 56. 108. ASMi, Notarile, b. 1738, notaio Mafeo Suganappi, 13 giugno 1494. 109. Note biograiche sui due del Maino in F. Vaglienti, “Fidelissimi servitori de Consilio suo Secreto”. Struttura e organizzazione del Consiglio segreto nei primi anni del ducato di Galeazzo Maria Sforza (1466-1469), in «Nuova rivista storica», 76 (1992), pp. 645­708, p. 657, nota 70 (per Lancillotto), p. 661, nota 75 (per Andriotto). La sepoltura di entrambi in Sant’Angelo è attestata nei testamenti dei rispettivi igli (Ambrogio e Rossana). 110. F. Cengarle, Maino, Agnese del, in Dizionario biograico degli italiani, 67, Roma 2006, pp. 604­605; N. Covini, Tra patronage e ruolo politico, pp. 251­252. 111. E. Motta, Il beato Bernardino Caimi fondatore del Sacro Monte di Varallo, Milano 1981, p. 376. 112. Per la localizzazione si cfr. l’ultimo testamento di Gerolamo Carcano: vedi supra nota 96. 113. Una rilessione relativa alle cappelle sotto il tramezzo, riservate ai principali inan­ ziatori dei cenobi in F. Cavalieri, Note per la decorazione delle chiese Francescane Osservanti della Provincia milanese, in Rinascimento ritrovato, pp. 131­141, a p. 133. 114. Carlo Torre (Il ritratto di Milano diviso in tre libri nel quale vengono descritte tutte le antichità e modernità che vedevansi e vedensi nella città di Milano, Milano 1714, p. 209) de­ 151 edoardo rossetti inisce signiicativamente Agnese come «una grande signora di casa Visconte» attribuendole una sorta di ruolo di duchessa vedova, che efettivamente la donna ebbe nella società milane­ se. Serviliano Latuada (Descrizione di Milano ornata con molti disegni in rame delle fabbriche più cospicue che si trovano in questa metropoli, Milano 1738, vol. IV, p. 199) aianca invece alla memoria delle donazioni di Agnese quella della iglia Bianca Maria Visconti Sforza. 115. P.M. Sevesi, Corrispondenza milanese del b. Marco da Bologna, in «AFH», 48 (1955), pp. 303­404, p. 315. 116. F.M. Vaglienti, Abbiategrasso, culla di stirpe ducale, in Rinascimento ritrovato, pp. 233­253, a p. 248. 117. Covini, Tra patronage e ruolo politico, pp. 257­267. 118. In relazione alla crisi tra il duca e la duchessa madre si veda Covini, L’esercito del duca, pp. 209­218. 119. Regestum Observantie Cismontanae (1464-1488), Roma 1988 («Analecta Fran­ ciscana», 12), doc. 20, p. 119; commentato in G.G. Merlo, Ordini mendicanti e potere: l’Osservanza minoritica cismontana, in Merlo, Tra eremo e città, pp. 357­388, alle pp. 379­ 380. È stato ipotizzato, ma la tesi pare un po’ eccessiva, che il documento testimoni un sostegno dei frati ad un possibile golpe di Bianca Maria (Vaglienti, Abbiategrasso, culla di stirpe ducale, p. 248). 120. Nel 1467 anche Lancellotto del Maino è sospeso dal consiglio segreto e reintegra­ to solo nel settembre 1469: F. Leverotti, “Governare a modo e stillo de’ Signori...”. Osservazioni in margine all’amministrazione della giustizia al tempo di Galeazzo Maria Sforza duca di Milano (1466-67), Firenze 1994, p. 88, nota 271. Andriotto è invece coinvolto nell’arresto del genero Pietro Dal Verme (si veda nota seguente). 121. F.M. Vaglienti, La detenzione del conte Pietro dal Verme e la conisca del suo feudo ad opera di Galeazzo Maria Sforza duca di Milano, in «Nuova rivista storica», 74 (1990), pp. 401­416. 122. Leverotti, “Governare a modo e stillo de’ Signori”, pp. 24­25; R. Fubini, Osservazioni e documenti sulla crisi del ducato di Milano nel 1477 e sulla riforma del consiglio segreto ducale, in Fubini, Italia quattrocentesca. Politica e diplomazia nell’età di Lorenzo il Magniico, Milano 1994, pp. 107­135, a p. 125. 123. F. Leverotti, Diplomazia e governo dello stato. I “famigli cavalcanti” di Francesco Sforza (1450-1466), Firenze 1992, p. 132. 124. Leverotti, “Governare a modo e stillo de’ Signori”, p. 51, nota 139. 125. Leverotti, “Governare a modo e stillo de’ Signori”, p. 37. I nipoti di Aloisio Sanseverino, fondatore di Santa Croce in Boscaglia a Como, Aloisio di Bernabò e Amerigo di Ugo fanno lasciti a Sant’Orsola – dove è monaca Gerolama Sanseverino – e dispongono per la costruzione della cappella della Maddalena in Sant’Angelo (ASMi, Notarile, b. 3723, notaio Giovanni Pie­ tro Appiani, 14 giugno 1500; ibidem, b. 3036, notaio Innocenzo Carati, 28 settembre 1505). 152 lo sviluppo dell’osservanza francescana e l’aristocrazia milanese 126. Per questa tesi, Fubini, Osservazioni e documenti sulla crisi del ducato di Milano, pp. 107­135; ma si veda anche la versione integrale (con documenti) del contributo in Essays presented to Myron P. Gilmore, a cura di S. Bertelli e G. Ramakus, Firenze 1978, I, pp. 47­103. 127. Comincini, La storia, pp. 10­14, 17­18. 128. A. Noto, Origine del luogo pio della Carità nella crisi sociale della Milano quattrocentesca, Milano 1962. Sul lavoro di Antonio Noto relativo alla Carità bisognerebbe ritor­ nare; per scoprire, ad esempio, che i deputati della Carità sono sempre anche fabbricieri di Sant’Angelo e dei monasteri di Clarisse, nonché ‘clienti’ ed esecutori testamentari degli aristocratici amici dei francescani. 129. Meschini, La Francia nel ducato di Milano, I, pp. 148­149, 157, 160­161; per le pene pecuniarie, ASMi, Notarile, b. 2922, notaio Bartolomeo Pagani, 3 agosto 1501, 27 marzo 1501; per la vendita, ASMi, Notarile, b. 3895, notaio Francesco Barzi, doc. 3636, 1º aprile 1501 (il tasso di interesse è del 5%). Si tenga conto che in questo momento Battista non può contare sui propri parenti, amici e vicini, che sono quasi tutti fuoriusciti o nella sua stessa situazione. 130. Cfr. supra nota 76; e Arcangeli, Ragioni di stato e ragioni di famiglia, in c.d.s. 131. L. Arcangeli, Milano durante le guerre d’Italia (1499-1529): esperimenti di rappresentanza e identità cittadina, in «Società e storia», 27 (2004), fasc. 106, pp. 225­266, a p. 252, nota 103. 132. Arcangeli, Alle origini del Consiglio dei sessanta decurioni, alle pp. 40­46. 133. ASMi, Sforzesco, b. 475, 17 aprile 1514. È però necessario ricordare che anche in periodo francese Sant’Angelo sembra conservare una funzione rilevante e strategica: nella primavera del 1511 qui è deposto il corpo di Charles d’Amboise, gran maestro di Francia e governatore di Milano, in attesa delle solenne esequie, e sempre qui sono deposte le sue viscere (ma si tenga conto che ad organizzare i funerali sono Antonio Maria Pallavicini e Galeazzo Visconti, legatissimi ai frati, e non si solo rilevati testamenti di illustri francesi che dispongano sepoltura nella chiesa); nel dicembre del 1511 è sempre Sant’Angelo il luogo in cui avvengono i negoziati tra i capitani svizzeri che hanno invaso il milanese e Gaston de Foix, il nuovo governatore del ducato (Meschini, La Francia nel ducato di Milano, II, pp. 804, 922). 134. In merito alla promozione delle varie osservanze da parte dei principi e dell’aristo­ crazia si veda K. Elm, Riforme e osservanze nel XIV e XV secolo. Una sinossi, in Ordini religiosi e società politica in Italia e Germania, pp. 489­504. 135. G.G. Merlo, Francescanesimo e signorie nell’Italia centro-settentrionale, in Merlo, Tra eremo e città, pp. 337­356, a p. 337. 136. Per la localizzazione in San Francesco delle sepolture delle prime famiglie di Mi­ lano, G. Caroldo, Relazione del ducato di Milano del secretario Gianiacopo Caroldo. 1520, in Relazioni degli ambasciatori veneti al Senato, a cura di A. Segarizzi, 11 voll., Bari 1912­16, 153 edoardo rossetti II, pp. 3­29, a p. 8; Patetta, L’architettura del Quattrocento a Milano, pp. 75­82). I Visconti sono prevalentemente sepolti in Sant’Eustorgio, ma restano interessanti i loro rapporti con San Francesco Grande (Merlo, Francescanesimo e signorie, pp. 345­346; A. Cadili, Giovanni Visconti arcivescovo di Milano (1342-1354), Milano 2007, pp. 81­83). 137. Sul senso del termine per la situazione lombarda, L. Arcangeli, Appunti su gueli e ghibellini in Lombardia nelle guerre d’Italia (1494-1530), in Gueli e ghibellini nell’Italia del Rinascimento, a cura di M. Gentile, Roma 2005, pp. 391­472; F. Somaini, Il binomio imperfetto: alcune osservazioni su gueli e ghibellini a Milano in età visconteo-sforzesca, ibidem, pp. 131­215. Si pensi anche, all’esterno della situazione più propriamente milanese, il dif­ ferente rapporto che sviluppano i ghibellini Pallavicini (cfr. supra nota 64), rispetto ai gueli Rossi nei confronti dell’Osservanza minoritica; i secondi sembrano particolarmente impe­ gnati verso i benedettini e, se a Roma scelgono come luogo di sepoltura per Bernardo Santa Maria Aracoeli, a San Secondo chiamano i dissidenti amadeiti (G.L. Battioni, Aspetti della politica ecclesiastica di Pier Maria Rossi, in Le signorie dei Rossi di Parma tra XIV e XVI, a cura di L. Arcangeli e M. Gentile, Firenze 2007, pp. 101­107; G.Z. Zanichelli, La committenza dei Rossi: immagini di potere fra sacro e profano, in Le signorie dei Rossi, pp. 187­212). 138. Da sottolineare che quasi tutti i titolari di cappelle in Sant’Angelo di estrazione non aristocratica (Alciati, Arrigoni, Cagnola, da Cemo) abitano in porta Nuova e sono di fatto vicini di casa o frontisti di Lantelmina Secco Vimercati o di Beatrice Este Sforza; così come dallo stesso quartiere provengono la maggioranza dei deputati della Carità, che non sembrano, almeno per il XV secolo, equamente suddivisi secondo i sestieri cittadini come nel caso degli altri luoghi pii milanesi. 139. L. Beltrami, Notizie sconosciute sulle città di Pavia e Milano al principio del secolo XVI, in «ASL», 17 (1890), pp. 409­424, a p. 422. 140. Il documento è trascritto in L. Andreozzi, Vincenzo Foppa in Sant’Angelo Vecchio a Milano, in «Prospettiva», 2007, n. 125, pp. 35­37. Per il contesto della presenza del Chivas­ so a Milano, Fasoli, Da Galezzo a Ludovico, pp. 144­151. Sul Carletti, Frate Angelo Carletti osservante nel V centenario della Morte (1495-1995), Atti del convegno (Cuneo­Chivasso, dicembre 1996), a cura di O. Capitani, R. Comba, M.C. De Matteis, G.G. Merlo, Cuneo 1998 («Bollettino della società per gli studi storici, archeologici ed artistici della provincia di Cuneo», 118, 1998). Varrebbe la pena di approfondire il ruolo nelle commissioni dell’or­ dine di Lorenzo Vimercati, iglio di Mafeo, deputato della Carità, fabbriciere di Sant’An­ gelo e dei vari monasteri di Clarisse milanesi, esecutore dei testamenti di Battista Visconti e Lantelmina Secco (per i suoi testamenti ASMi, Notarile, b. 1230, notaio Lancellotto Sudati, 16 settembre 1484; ibidem, b. 1882, notaio Antonio Zunico, 2 ottobre 1494). 141. Regestum Óbservantiae, pp. 277­278 (doc. s.d., ma sicuramente post 1472 e ante 1484); Merlo, Ordini mendicanti e potere, pp. 372­373. 142. Comincini, La storia, pp. 16­17, 24; e nello stesso volume il Regesto, p. 234 («Re­ sposizione fatta per il vicario di frati minori da observantia de la provincia de Milano con li soi compagni frati», ASMi, Sforzesco, b. 891, 8 maggio 1469). 154 lo sviluppo dell’osservanza francescana e l’aristocrazia milanese 143. I documenti in Regesto, a cura di S. Leydi, in Vincenzo Foppa, Catalogo della mostra (Brescia, 3 marzo­30 giugno 2002), a cura di G. Agosti, M. Natale e G. Romano, Milano 2003, pp. 300­323, docc. 38­40, 42­43; per la questione, che andrebbe comunque ripresa rilettendo sulle altre commissioni di Zaccarina e del nipote Bernardino Lonati (cardinale), si veda ancora Nova, Tramezzi in Lombardia, pp. 200­201. 144. Dimostrando una preoccupazione comune alle osservanze, il termine curioxitas (absque aliqua pompa et curioxitate) è incluso nelle prescrizioni di Giovanni Gherardo Pu­ sterla per l’uso di quanto da lui lasciato alla domenica Santa Maria delle Grazie di Milano (Noto, Origine del Luogo pio della carità, p. 34, nota 64 bis). 145. Regestum observantiae, doc. 63, pp. 358­361; Merlo, Ordini mendicanti e potere, pp. 373­375. 146. Per la decorazione delle chiese dei Minori osservanti, specie per la questione tra­ mezzo: Nova, Tramezzi in Lombardia, pp. 197­214; S. Buganza, Qualche considerazione sui primordi di Bramante in Lombardia, in «Nuovi studi», 11 (2004­2005), pp. 69­103, a p. 97, nota 92; Cavalieri, Note per la decorazione delle chiese Francescane Osservanti, pp. 131­141; G. Agosti, J. Stoppa, M. Tanzi, Il Rinascimento lombardo (visto da Rancate), in Il Rinascimento nelle terre ticinesi. Da Bramantino a Bernardino Luini, Catalogo della mostra (Mendrisio, 10 ottobre 2010­9 gennaio 2011), a cura di G. Agosti, J. Stoppa e M. Tanzi, Milano 2010, pp. 21­69, a pp. 29­30. 147. Per il tramezzo di San Nazzaro della Costa – ritrovato durante i recenti restauri (2003­2004) – si veda A.L. Casero, Un tramezzo afrescato in San Nazzaro della Costa a Novara, in Studi in onore di Francesca Flores d’Arcais, a cura di M.G. Albertini Ottolenghi e M. Rossi, Milano 2010, pp. 91­99; contemporaneamente giunge alle stesse conclusioni sull’autore Luciano Bellosi (Agosti, Stoppa, Tanzi, Il Rinascimento lombardo (visto da Rancate), p. 30). Riguardo al tramezzo di Vercelli E. Mongiano, La conservazione delle scritture notarili in Piemonte tra Medioevo e Età Moderna. Committenza privata e documentazione notarile per Daniele De Bosis, in Ricerche sulla pittura del Quattrocento in Piemonte, a cura di G. Romano, Torino 1985, pp. 139­160, a p. 153; P. Astrua, Due note documentarie su Daniele De Bosis ed alcuni aspetti del tardo Quattrocento nel Vercellese, ibidem, pp. 161­174, alle pp. 163­165; E. Villata, Un vuoto al centro. La pittura a Vercelli alla ine del Quattrocento e Giovanni Martino Spanzotti, in Arti igurative a Biella e a Vercelli: il Quattrocento, a cura di V. Natale, Biella 2005, pp. 102­103. 148. R. Cara, E. Rossetti, Troso de Medici prospettico lombardo tra Monza e Milano, in «Prospettiva», 2007, nn. 126/127, pp. 115­127, a p. 124, nota 28. 149. Il punto della situazione per l’attribuzione al Foppa del modello normativo in Buganza, Qualche considerazione sui primordi di Bramante, p. 97, nota 92. La commissione dell’opera milanese è stata messa in relazione con l’epigrafe di Tristano Sforza e Beatrice d’Este apposta nel 1481 a soluzione di un voto (Andreozzi, Mirabile, Nuovi spunti di indagine, p. 83). Altri dati sembrano fare gioco a questa ipotesi: Niccolò da Correggio, iglio di primo letto di Beatrice, è nominato consigliere ducale proprio nel 1481 a testimoniare 155 edoardo rossetti forse la continua inluenza della vedova Sforza a corte (Santoro, Gli uici del dominio sforzesco, p. 19); entro il 1487 il danaro versato ai frati di Sant’Angelo da Beatrice d’Este per conto dell’eredità del marito Tristano Sforza ammonta a 5.880 lire imperiali. In una lista redatta dal guardiano Arcangelo da Piacenza risultano interessanti scansioni di versamenti ai frati proprio per gli anni 1481 e 1482 (ASMi, Notarile, b. 2737, notaio Giovanni Ber­ nardo Bienati, 30 luglio 1487). In proposito di veda anche Andreozzi, Vincenzo Foppa in Sant’Angelo, pp. 35­37. 150. Per l’apprendistato di Gherardo Silla, R. Battaglia, Ambrogio Bergognone e la decorazione ad afresco della Certosa, in Ambrogio da Fossano detto il Bergognone. Un pittore per la Certosa, Catalogo della mostra (Pavia, 4 aprile­30 giugno 1998), a cura di G.C. Sciolla, Milano 1998, pp. 255­268, a nota 64. Per la personalità di Pietro da Velate si rimanda ad un prossimo studio di Stefania Buganza. 151. Immagini di un ritorno. Gli antichi afreschi francescani di Santa Maria della Grazie a Bergamo, a cura di F. Noris, Bergamo 2004; F. Noris, Giacomo detto Jacopino de’ Scipioni d’Averara, in Dizionario dei pittori bergamaschi, Bergamo 2006, pp. 487­489. 152. I tramezzi distrutti entro il 1707 circa sono quelli di Cermenate (Burocco, Chronologia, f. 210­211), Contra di Missaglia (ibidem, f. 180), Legnano (ibidem, f. 153), Maleo (ibidem, f. 196), Melegnano (ibidem, f. 174­175), Soncino (ibidem, f. 171­172). Sembra­ no invece restare in piedi, forse ino alla distruzione dei conventi, i tramezzi di Vigevano (ibidem, f. 93) e Pallanza (Silvola, Riforma, p. 300); quello di Abbiategrasso sopravvive un poco dopo il 1708 (Burocco, Chronologia, f. 166), mentre per Monza la data di distruzione è issata al 1719 (si cfr. supra nota 37). 153. Cfr. supra, nota 85. 154. Nova, Tramezzi in Lombardia, p. 209; Agosti, Stoppa, Tanzi, Il Rinascimento lombardo, p. 30. 155. J. Shell, Pittori in bottega. Milano nel Rinascimento, Torino 1995, pp. 122, 164­ 165, doc. 98, pp. 256­257; F. Moro, in Pittura in Brianza e in Valassina dall’Alto Medioevo al Neoclassicismo, a cura di M. Gregori, Milano 1993, p. 266; Mosconi, Lorenzi, Co, pp. 204­207; C. Prevosti, Le più antiche vicende della chiesa amadeita di Santa Maria della Pace a Milano (1466-1497), tesi di laurea, Università degli studi di Milano, facoltà di Lettere e ilosoia, relatore G. Agosti, a.a. 2004­2005, pp. 119­138. 156. Il testamento: ASMi, Notarile, b. 1845, notaio Antonio Zunico, 13 settembre 1479; la dichiarazione di adempimento dei legati ibidem, b. 1860, 23 aprile 1486 (i docu­ menti sono segnalati con segnatura errata in Patetta, L’architettura del Quattrocento, p. 391, nota 21); M. Pedralli, Novo, grande, coverto e ferrato. Gli inventari di biblioteca e la cultura a Milano nel Quattrocento, Milano 2002, p. 340. 157. ALPE, Mastri, Carità, 16, 1485, f. 164v. L’anno successivo è saldata l’intera som­ ma, ma parte del denaro (circa 80 lire) destinato a Caravaggio è assegnato, sempre per volontà di Bernardino Caimi, a dei cartari (ibidem, 17, 1486, f. 168v). 156 lo sviluppo dell’osservanza francescana e l’aristocrazia milanese 158. F. Mazzini, in I pittori bergamaschi dal XIII al XIX secolo. Il Quattrocento, I, Ber­ gamo 1986, scheda 6, pp. 552­554; M. Tanzi, Pittura a Caravaggio, in Pittura tra Adda e Serio, a cura di M. Gregori, Milano 1987, pp. 179­186, particolarmente p. 180 e la scheda a p. 229, con un’attribuzione a Fermo da Caravaggio contestata da Roberta Battaglia, nella scheda sul Maestro della Pentecoste Cernuschi in Piemontesi e lombardi tra Quattrocento e Cinquecento, Catalogo della mostra (Antichi maestri pittori, Torino, 21 aprile­27 maggio 1989), a cura di G. Romano, Torino, 1989, pp. 23­29, e da Boskovits, nella scheda su Giovanni Ambrogio Bevilacqua in he Martello Collection. Further painting, drawing and miniatures. 13th-18th century, a cura di M. Boskovits, Firenze 1992, pp. 28­35; L. Baini, Una nuova personalità del Quattrocento lombardo. Il frescante di San Bernardino a Caravaggio, in «Arte cristiana», 86 (1998), pp. 17­32, a p. 18; E. Mantia, in Pittura a Caravaggio. Avvenimenti igurativi in una terra di conine, a cura di S. Muzzin e A. Civai, Bergamo 2007, pp. 24­27; E. Rossetti, Il volto di Lucia. Un ritratto ritrovato, in «Storia in Martesana», 4 (2010), pp. 2­22, particolarmente pp. 10­12. 159. Per «le depinture sopra la porta nova de la casa de la Caritate» Ambrogio Bevilac­ qua è pagato 26 lire e 4 soldi, mentre per il rifacimento dell’intero ediicio sono spese 2.260 lire nello stesso 1486 (ALPE, Mastri, Carità, 17, 1486, f. 114r, 116r, 195v). Le guide mi­ lanesi ricordano dipinte intelaiature architettoniche e igure allegoriche (Torre, Il ritratto di Milano, p. 279; Latuada, Descrizione di Milano, vol. V, p. 184). Su Ambrogio Bevilacqua, N. Righi, Giovanni Ambrogio Bevilacqua: proposte per la cronologia e per il catalogo, in «Arte cristiana», 83 (1995), pp. 179­196. 160. Il Vismara, nipote acquisito di Lantelmina, più volte deinito «heroe» laico del­ l’ordine dal Burocco, è indubbiamente uno dei personaggi più interessanti della vicenda osservante milanese; per una sua biograia si veda Noto, Origini del luogo pio della Carità, p. 18, nota 25, pp. 52­59; E. Saita, Fra Milano e Legnano: il testamento di Gian Rodolfo Vismara (1492), in L’Alto Milanese nell’età del ducato, Atti del convegno (Cairate, 14­15 maggio 1994), a cura di C. Tallone, Varese 1995, pp. 27­67. 161. La relazione dei deputati della Carità relativa all’esecuzione dei legati della contes­ sa in ASMi, Notarile, b. 1860, notaio Antonio Zunico, 23 aprile 1486. 162. Bartholamaeus de Pisa, De conformitate vitae beati Francisci ad vitam Domini Iesu, in «Analecta franciscana», 4­5 (1906­1912). 163. Pellegrini, Lo sviluppo dell’osservanza minoritica, p. 60; G.G. Merlo, Nel nome di San Francesco. Storia dei frati Minori e del francescanesimo sino agli inizi del XVI secolo, Pa­ dova 2003, pp. 297­298; R. Lambertini, Le. Pellegrini, “Per arbores et specula”. Un percorso possibile tra immagini e testi da Bonaventura a Iacopo Oddi, in “Una strana gioia di vivere”. A Grado Giovanni Merlo, a cura di M. Benedetti e M.L. Betri, Milano 2010, pp. 349­363. 164. Riguardo alla reazione locale all’edizione del De conformitate bisognerebbe smon­ tare pezzo per pezzo una delle più irriverenti fra le Novelle del domenicano osservante Mat­ teo Bandello: la decima Novella della prima parte. In essa il colto religioso riesce a schernire in un solo colpo, con abilità e sferzante ironia, il parente frate Cristoforo Bandello dedica­ 157 edoardo rossetti tario già defunto, frate Francesco da San Colombano (per un probabile refuso diventa Fi­ lippo) che sadicamente il domenicano usa come narratore, e frate Bernardino da Feltre. Lo scherno è rivolto a «la conformità de la tua vita a Cristo» e all’efetto avuto da queste «fole» sull’eresia luterana. Non a caso la Novella è tra le prime ad essere censurate (U. Rozzo, Bandello, Lutero e la censura, in Gli uomini, le città e i tempi di Matteo Bandello, secondo Con­ vegno internazionale di studi [Torino­Tortona­Alessandria­Castelnuovo, 8­11 novembre 1984], a cura di U. Rozzo, Tortona 1985, pp. 275­300; A. Canova, Paolo Taegio da poeta a dottor di leggi e altri personaggi bandelliani, in «Italia medioevale e umanistica», 37, 1994, pp. 99­135). Sull’uso del De conformitate nella vicina Provincia bresciana, nonché sulle polemiche luterane, si veda V. Guazzoni, L’iconograia di S. Francesco come “alter Christus” in area bresciana, in Il francescanesimo in Lombardia, pp. 217­231. Il testo doveva circolare co­ munque anche nelle case milanesi degli amici e sodali del Bandello: è probabilmente il libro uno nominato Conformitate ordinis minorum elencato tra i volumi della biblioteca di Paolo Visconti, iglio del colto poeta e protettore di Bramante Gaspare Ambrogio. Si ricordi che il giovane Visconti, pur essendo legato al peculiare ambiente del circolo milanese di Santa Marta, aveva una sorella monaca tra le Clarisse in San Bernardino al Cantalupo di Milano (ASMi, Notarile, b. 8294, notaio Francesco Sacchetti, 13 settembre 1519). 165. Si cfr. supra nota 58. 166. Il danaro per la realizzazione dell’opera è consegnato a Gian Rodolfo Vismara o allo sconosciuto pittore Domenico da Vigevano, giovane aiutante di frate Vittore; i pa­ gamenti si susseguono dal 1486 al settembre del 1489. In totale, intonacatura compresa, sono pagati circa 140 lire: evidentemente il frate non riceve compenso (ALPE, Mastri, Carità, 17, 1486, f. 196v; ibidem, 18, 1487, f. 199v; ibidem, 19, 1488, f. 183v; ibidem, 20, 1489, f. 182v). Un frate «Victorino» da Milano si trasferisce a Carpi nel 1479, ma è per ora impossibile identiicarlo con il frate pittore (Regestum Observantiae, p. 282, doc. 8). Sembra interessante annotare che un Domenico pittore in Vigevano, è chiamato nel 1515 da Gian Giacomo Trivulzio insieme a Bernardino Ferrari per ridipingere le proprie armi e quelle del re di Francia nel locale castello (Sacchi, Il disegno incompiuto, vol. I, p. 162, nota 158). Che si tratti del garzone di frate Vittore ormai cresciuto? Bisognerebbe indagare sulla igura di questo oscuro pittore Domenico; chissà che non lo si possa ritrovare coinvolto in una commissione francescana come la pala della Madonna con il Bambino, i santi Chiara d’Assisi e Bernardino da Siena, il beato Cristoforo Macassolio e un angelo musico, datata 1502 (ovviamente il Trivulzio a questa data è già marchese di Vigevano) già in Santa Maria delle Grazie di Vigevano? Per la pala C. Quattrini, in Splendori di corte, p. 126. 167. Quando i procuratori di Gian Giacomo Trivulzio (tra i quali compare un Ambro­ gio della Rovere che potrebbe essere un parente di quel prete Antonio della Rovere deputato della Carità e fabbriciere di Sant’Angelo, ma che è soprattutto idato amico del Gaspare Ambrogio Visconti tanto legato a Bramante) esonerano il de Fedeli dai lavori al palazzo una prima stima è richiesta a dominus frater Victor ordinis observantie Sancti Angeli per poi essere deinitivamente assegnata ad un Agostino pittore e all’artista Giovanni Pietro da Corte (R. Schoield, G. Sironi, Bramante and the problem of Santa Maria presso San Satiro, in «Annali di archittettura», 12, 2000, pp. 17­57, doc. 15, alle pp. 48­49). Riguardo al palazzo Trivul­ 158 lo sviluppo dell’osservanza francescana e l’aristocrazia milanese zio, alla Camera dell’Oro e alla presenza di Bramante nel cantiere C. Robertson, Bramante and Gian Giacomo Trivulzio, in Bramante Milanese e l’architettura del Rinascimento lombardo, a cura di C.L. Frommel, L. Giordano e R. Schoield, Venezia 2002, pp. 67­81; G. Stoli, Le case Trivulzio in Rugabella a Milano, dal XV al XVII secolo, in Aspetti dell’abitare in Italia tra XV e XVI secolo. Distribuzione, funzioni, impianti, a cura di A. Scotti Tosini, Milano 2000, pp. 174­185. Per la stima di domino fra Victore de Sancto Angelo a Sant’Ambrogio, avvenuta alla presenza, tra gli altri, di Fermo da Caravaggio si vedano C. Baroni, Documenti per la storia dell’architettura a Milano nel Rinascimento e nel Barocco, I, Firenze 1940, p. 43, nota 3; G. Romano, Rinascimento in Lombardia. Foppa, Zenale, Leonardo, Bramantino, Milano 2011, p. 124; sul cantiere della Canonica bramantesca, R. Schoield, G. Sironi, Bramante e la Canonica di Sant’Ambrogio a Milano, in «Annali di architettura», 9 (1997), pp. 155­185. 168. Nel Rinascimento sono noti soprattutto i casi di frati pittori appartenenti all’ordi­ ne domenicano e carmelitano (ovviamente le igure meglio conosciute sono quelle di Beato Angelico, Filippo Lippi e Fra Carnevale), ma i casi di artisti francescani si moltiplicano dal XVI secolo in poi. Si vedano per l’argomento gli atti del convegno La vocazione artistica dei religiosi, in «Arte cristiana», 82 (1994). In relazione al ruolo dei frati artisti in Milano meri­ terebbero ulteriore attenzione i gesuati di san Gerolamo, tutti senesi e iorentini, idati col­ laboratori del Perugino, non sempre amici dei Francescani osservanti, ma abili nell’esercizio delle «arti mechaniche» e con un gran numero di frati ingegneri, pittori e maestri vetrai tra le ile della congregazione (M. Cai, I frati Ingesuati ed i loro dipinti su vetro, in «Arte e storia», 5, 1891, pp. 37­38; I. Gagliardi, I Pauperes Yesuati tra esperienze religiose e conlitti istituzionali, Roma 2004, pp. 84­88; I. Gagliardi, “Li Trofei della Croce”. L’esperienza gesuata e la società lucchese tra Medioevo ed Età Moderna, Roma 2005, pp. 222­224). 169. R. Casciaro, Note su Antonio da Monza miniatore, in «Prospettiva», 1994­1995, nn. 75/76, pp. 109­112; C. Quattrini, Fra’ Antonio da Monza e il suo inlusso in alcuni corali francescani lombardi. I parte: la questione dei corali per il convento di Santa Maria degli Angeli a Milano, in «Arte cristiana», 88 (2000), n. 796, pp. 19­28; C. Quattrini, Fra’ Antonio da Monza e il suo inlusso in alcuni corali francescani lombardi. II parte: Un seguito periferico di fra’ Antonio da Monza, in «Arte cristiana», 88 (2000), n. 798, pp. 201­209. 170. Frate Francesco Scagliapessi da Treviglio data l’ingresso del pittore «in religione» a poco dopo le prediche di Bernardino da Feltre (deceduto nel 1494) e alla fondazione del Monte Barro (consegnato nel 1491, ma convento dal 1499; si cfr. Silvola, Riforma, I, p. 36). Resta comunque signiicativa l’assenza di un’indicazione relativa all’ingresso del pittore nell’ordine nei documenti cinquecenteschi a lui riferibili: F. Rossi, J. Shell, Bernardino Butinone, in I pittori bergamaschi dal XIII al XIX secolo. Il Quattrocento, II, Bergamo 1994, pp. 161­267. Alcune note sull’opera di Butinone come miniatore (ma si tratta di una carriera ancora da sistemare) in P. Galli, A proposito di Bernardino Butinone miniatore, in «AL», 137 (2003), pp. 18­23. 171. Cobianchi, ‘Lo temperato uso delle cose’, in c.d.s. 172. Cfr. supra nota 142. 173. Longoni, Umanesimo e Rinascimento in Brianza, pp. 76­78, nota 107. 159 edoardo rossetti 174. È comunque da segnalare una presenza continuativa dell’ingegnere Lazzaro Pa­ lazzi – artista non geniale, ma abile nel conciliare tradizione lombarda e novità architet­ toniche – con l’ambiente di Sant’Angelo, nonché il suo legame con i Visconti di Somma. Battista Visconti gli commissiona la canonica di Sant’Agnese, da costruirsi accanto alla chiesa pievana eretta su modello di Sant’Angelo e l’ingegnere è presente al testamento del nobile mentre questi sta facendo costruire la cappella del Corpo di Cristo (1484). Nel 1499 Palazzi recupera pezzi di marmo per la fabbrica di Sant’Angelo e nel 1500 è testimone al testamento di un frate rogato in Sant’Angelo; resta da capire quali lavori fossero in corso a queste date: forse il completamento dell’infermeria che secondo la descrizione di Pasquier doveva ricordare il vicino Lazzaretto? (Giovanni Antonio Amadeo. I documenti, a cura di R.V. Schoield, J. Shell e G. Sironi, Como 1989, docc. 585, 586, p. 283; ASMi, Notarile, b. 3594, notaio Giovanni Andrea Besozzi, 24 dicembre 1500; F. Daccaro, I ‘magistri inzigneri’ attivi a Milano al tempo di Bramante, in Bramante e la sua cerchia in Milano e in Lombardia, 1480-1500, Catalogo della mostra [Milano, 31 marzo­20 maggio 2001], a cura di L. Patetta, Milano 2001, pp. 83­93, a p. 85; F. Repishti, Palazzi, Lazzaro, in Ingegneri ducali e camerali nel ducato e nello stato di Milano [1450-1706]. Dizionario biobibliograico, a cura di P. Bossi, S. Langè, F. Repishti, Firenze 2007, p. 100). 175. Beltrami, Notizie sconosciute, pp. 422­423. Si attende una nuova edizione del testo da parte di Simone Amerigo (dalla sua tesi di laurea: Le couronnement du roy François, premier de ce nom di Pasquier Le Moyne, Università degli studi di Milano, facoltà di Lettere e ilosoia, relatore rel. G. Agosti, a.a. 2005­2006). 176. Presso alcuni afreschi, ma in luogo imprecisato dalle fonti, ricorreva un tempo la data 1476 (P. Compostela, Il Monte di Pietà in Milano nel DCC anno della morte di San Francesco d’Assisi, Milano 1926, pp. 71­92; Sevesi, Le clarisse di Milano, pp. 106­144, 170­ 174; Patetta, L’architettura del Quattrocento, p. 387; A. Galli, in Pittura a Milano. Rinascimento e Manierismo, a cura di M. Gregori, Milano 1998, pp. 194­195). 177. Burocco, Chronologia, f. 157. Si tenga anche conto dei particolari legami tra Santa Maria degli Angeli di Legnano e Gian Rodolfo Vismara che segue in prima persona gli in­ terventi decorativi del chiostro milanese; è lui infatti a ricevere la rata più elevata stanziata per le pitture (cfr. supra nota 166). 178. Da rammentare che un ciclo con la vita di san Francesco fu mantenuto anche nel chiostro di Sant’Angelo Nuovo (M.C. Chiusa, Sant’Angelo in Milano. I cicli pittorici dei Procaccini, Milano 1990, pp. 122­123). 179. Cfr. supra nota 166. 180. Sul monocromo come esigenza devozionale si vedano le recenti considerazioni di M. Cataldi Gallo, I teli quaresimali con le Storie della Passione di Genova, in Tela picta. Alle origini della pittura su tela, Atti del convegno (Milano, Università Cattolica del Sacro Cuo­ re, maggio 2006), a cura di M.G. Albertini Ottolenghi, in «AL», 153 (2008), pp. 75­87; L. Weigert, “Velum Templi”: painted cloths of the Passion and the making of Lenten ritual in Reims, in «Studies in Iconography», 24 (2003), pp. 199­229, particolarmente p. 211. 160 lo sviluppo dell’osservanza francescana e l’aristocrazia milanese 181. Longoni, Umanesimo e Rinascimento in Brianza, pp. 146­148 e nota 330; S. Gatti, Gli afreschi della chiesa della Misericordia, in Il convento di Santa Maria della Misericordia, pp. 143­167, alle pp. 149­155. 182. Per gli afreschi, Lara Calderari (Contributi alla pittura del primo Cinquecento nel Canton Ticino: il Maestro del coro degli Angeli e il Maestro della cappella Camuzio, in «Arte cristiana», 85 (1998), pp. 421­433) ha proposto il nome di Giovanni Antonio da Lecco detto Codolo, mentre si è fatto recentemente il nome di Giovanni Lomazzo cugino di Luini (Agosti, Stoppa, Tanzi, Il Rinascimento lombardo [visto da Rancate], p. 52), ma sulle decora­ zioni di Santa Maria degli Angeli si vedano ora gli importanti sviluppi in L. Calderari, C. Quattrini, Novità per Bernardino Luini e l’opera sua a Lugano, in c.d.s. 183. F. Cavalieri, L’arte, in Il convento dell’Annunciata di Abbiategrasso, a cura di M. Co­ mincini, Abbiategrasso (Milano) 2006, pp. 129­130. Da segnalare che facciate dipinte con santi dell’ordine sono attestate anche a Vigevano (Burocco, Chronologia, f. 96) e a Legnano (ibidem, f. 156). Quella delle fronti afrescate potrebbe essere un’altra caratteristica standar­ dizzata – per altro comune a molti ediici di Lombardia – per le chiese dell’ordine? 184. Cavalieri, L’arte, in Il convento dell’Annunciata, pp. 119­120, 122; Agosti, Stoppa, Tanzi, Il Rinascimento lombardo (visto da Rancate), pp. 29­30. 185. Per la cappella maggiore di Sant’Angelo si vedano Rossetti, “Chi bramasse di veder il volto suo ritratto dal vivo”, in c.d.s.; Sacchi, Il disegno incompiuto, I, pp. 332­333, nota 62. 186. «Immagine de santi dell’ordine seraico depinte su tavole di legno, quali prima formavano l’ancona, e servivano quasi di corteggio alla bellissima tavola dove adoravasi la Beatissima Vergine Assonta dagli angioli in cielo» (Burocco, Chronologia, f. 155). 187. Data dal Silvola a Tiziano, ma in realtà di Callisto Piazza su commissione Rusca (Sil­ vola, Riforma, IX, pp. 243, 295; M. Tanzi, in Rinascimento nelle terre ticinesi, pp. 232­235). 188. È quella di Marco d’Oggiono con le eigi di Bona Bevilacqua e Giulia Trivulzio (M.T. Fiorio, in Pinacoteca di Brera. Scuole lombarda e piemontese (1300-1535), Milano 1988, pp. 344­353). 189. «Il choro nel quale anticamente v’era l’ancona della Beata Vergine Maria accer­ chiata da altre tavole e igure» (Burocco, Chronologia, f. 175). 190. «Una bellissima ancona rebescata di legno indorata nel di cui mezzo adorasi l’ef­ ige della gran regina de’ cieli corteggiata dagli angioli e circondata da varie igure de santi dell’ordine seraico» (Burocco, Chronologia, f. 182). 191. Dell’ancona restavano «otto quadri de’ santi, dipinti all’antica sul legno, però stimati» (Silvola, Riforma, IX, p. 113). 192. I committenti del tramezzo di San Maurizio a Milano sono Ermes Visconti e Bianca Maria Gaspardone, verosimilmente in accordo con l’amica Ippolita Sforza Bentivoglio: tutti dispongono sepoltura in Sant’Angelo. Si tenga conto inoltre che è di Bianca Maria la grande 161 edoardo rossetti possessione di Conzano a Casale Monferrato presso la quale sorge il locale cenobio di San Maurizio dei Minori osservanti; qui un’Assunta di Giovanni Martino Spanzotti costituisce un modello signiicativo per le omonime rappresentazioni di aria pedemontana (P. Venturoli, Martino Spanzotti e alcune Assunzioni della Vergine in Piemonte e in Lombardia, in Ricerche sulla pittura del Quattrocento in Piemonte. Strumenti per la didattica e la ricerca, a cura di G. Roma­ no, Torino 1985, pp. 91­101; Rossetti, “Chi bramasse di veder il volto suo ritratto dal vivo”, in c.d.s.). Attesterebbe la fortuna iconograica dell’Assunta del Monastero Maggiore un frammen­ to di afresco conservato a Brera (M.T. Binaghi Olivari, in Pinacoteca di Brera, pp. 322­323). 193. ASMi, Notarile, b. 1738, notaio Mafeo Suganappi, 13 giugno 1494. 194. Per la posizione della cappella dello Spirito Santo e per altri dati su di essa supra no­ ta 61; per Bramantino Rossetti, “Chi bramasse di veder il volto suo ritratto dal vivo”, in c.d.s. 195. ASMi, Notarile, b. 3057, notaio Pietro Lepori, 29 giugno 1501. 196. Burocco, Chronologia, vol. I, f. 410; vol. II, f. 54. Nella cappella dispongono la propria sepoltura anche Giovanna Landriani, vedova di Sasso Marliani, e probabilmente i Visconti Aicardi suoi nipoti (ASMi, Notarile, b. 1229, notaio Lancellotto Sudati, 12 aprile 1484; ibidem, b. 2626, notaio Giovanni Francesco Cagnola, 26 luglio 1501 per i due testa­ menti della donna; mentre per quello di Matteo Aicardi ibidem, 2 settembre 1497). 197. Per il testamento di Scipione Barbavara, ASMi, Notarile, b. 2023, notaio Gabriele Sovico, 15 aprile 1505; per una sua biograia S. Meschini, Luigi XII duca di Milano. Gli uomini e le itituzioni del primo dominio francese (1499-1512), Milano 2004, pp. 396­397. Mor­ to Scipione, il iglio Giovanni Battista commissiona nel 1506 a Guido Zavattari la dipintura di una «culla regale» e di una «lectera», ma non si sono ritrovate altre notizie sull’esecuzione degli afreschi (E. Motta, L’Università dei pittori Milanesi nel 1481, con altri documenti d’arte del Quattrocento, in «ASL», 22, 1895, pp. 408­433, alle pp. 425­426). Verosimilmente furo­ no realizzati se nel 1516 il Barbavara si faceva ritrarre dal Lombardino per un monumento marmoreo da sistemare in Sant’Angelo (Sacchi, Il disegno incompiuto, II, p. 438), e ancora vivente nel 1552 disponeva per la ricostruzione della cappella in Sant’Angelo Nuovo (ASMi, Fondo di Religione, b. 955, 25 gennaio 1552; Forcella, Iscrizioni, V, p. 13, n. 16). 198. Per la nobildonna si veda supra nota 41. 199. Carlo Cairati renderà noto un documento di pagamento per l’ancona dei de Do­ nati nella sua tesi di specializzazione. La nobildonna si presenta almeno in un’occasione co­ me protettrice di artisti, nel 1495 raccomanda presso il cognato Ludovico il Moro il «vicino et amico» Paolo Retondi da Saronno (già collaboratore dell’Amadeo) per sostituire Antonio Mantegazza come scultore alla Certosa di Pavia (Giovanni Antonio Amadeo. I documenti, p. 239, doc. 416). Con il suo ultimo testamento Beatrice dispone che le ossa di Tristano Sforza siano traslate in capella quam construi feci in ecclesia Sante Marie de Angelis e si fa menzione di una promissa et obligatio del 1495 per il versamento di 4.000 lire a Francesco Tanzi e Gabriele Crivelli, entrambi fabbricieri di Sant’Angelo (ASMi, Notarile, b. 1888, notaio Antonio Zunico, 17 novembre 1497). 162 lo sviluppo dell’osservanza francescana e l’aristocrazia milanese 200. ASMi, Notarile, b. 7884, notaio Rizzardo Garimberti, 26 giugno 1510. Le somme sono enormi per l’ambito dei Minori osservanti, se si tiene conto che il preventivo del 1476 per la costruzione dell’intero convento di Galliate – arredamento compreso – è di 3.897 ducati, cioè 15.588 lire (Andenna, “L’opportunità persa”, p. 352). Non è improbabile siano servite sia al cantiere di Sant’Angelo (all’infermeria?) che a quello di Soncino, ma ovvia­ mente si tenga presente che queste donazioni erano inalizzate non solo alla costruzione dei conventi, ma anche al mantenimento dei molti frati residenti nei cenobi. 201. I creditori si presentano in blocco presso la Corte dell’Arengo incaricando Aimo da Seregno, Cristoforo Zerbi, Filippo da Seregno, Francesco Mainoni, Battista de Maldotis e Paolo da Seregno per agire a loro favore presso il governo francese. A comparire per conto del fratello Giovanni Bernardino è Iohannes Stefanus de Scotis ilius quondam domini Gotardi, porte Nove, parochie Sancte Margherite Mediolani (ASMi, Notarile, b. 5578, notaio Battista Capitani, 5 novembre 1499). 202. Andreozzi, Mirabile, Nuovi spunti di indagine, p. 84. 203. Sulla biograia degli Scotto, E. Villata, S. Baiocco, Gaudenzio Ferrari, Gerolamo Giovenone. Un avvio e un percorso, Torino 2004, pp. 19­31. Sempre sugli Scotto, ma con conclusioni diferenti, D. Fignon, Sulle tracce di Stefano Scotto: un contributo alla storia della pittura lombarda tra ’400 e ’500 (parte I), (parte II), rispettivamente in «Arte cristiana», 95 (2007), pp. 251­262, e 95 (2007), pp. 333­342. Riguardo a Gottardo (padre dei due) si ve­ da S. Buganza, Intorno a Baldassarre d’Este e al suo soggiorno lombardo, in «Solchi», 9 (2006), pp. 3­69, particolarmente pp. 24­25 e le ricche note alle pp. 111­115. Per la Crociissione, con la corretta attribuzione a Giovanni Stefano e a Giovanni Bernardino, M.T. Binaghi Olivari, in Pinacoteca di Brera, pp. 366­370. 204. Agosti, Stoppa, Tanzi, Il Rinascimento lombardo, pp. 30­31. 205. Per il numero delle cappelle Beltrami, Notizie sconosciute, p. 422. Il sacello di San Bernardino è ediicato nel 1451 su inanziamento dei terziari (Noto, Origini del luogo pio della Carità, p. 20). La cappella di San Bonaventura poi di San Gerolamo, è costruita da Dioniso Alciati accanto a quella eretta da Giacomo Filippo Pecchi, detto Fra Ghiringhello (ASMi, Notarile, b. 1873, notaio Antonio Zunico, 28 agosto 1490; F. Pavan, Ippolita Bossi Rozzoni († 1563), in La generosità e la memoria. I luoghi pii elemosinieri di Milano e i loro benefattori attraverso i secoli, Milano 1995, pp. 119­127, p. 122 e nota 22). Nella cappella di San Giovanni Battista si fanno seppellire i inanzieri Aloisio Cagnola e Simone Arrigo­ ni (ASMi, Notarile, b. 3715, notaio Giovanni Pietro Appiani, f. 653r­656v, 13 gennaio 1491; ibidem, b. 1873, notaio Antonio Zunico, 10 maggio 1490). Niccolò da Gerenzano fa costruire la cappella della Maddalena, ma identica titolazione dovrebbe avere anche la cappella dei Sanseverino (Zanoboni, I da Gerenzano, pp. 76­80; ASMi, Notarile, b. 3036, notaio Innocenzo Carati, 28 settembre 1505). I Porro disponevano di sepoltura nella cap­ pella di San Gerolamo (Gallori, L’Altare Porro del Duomo di Milano, pp. 146, 153 e note 12, 35). Per la cappella Gallarati, forse già Carcano, si veda supra nota 99; non si conosce invece la dedicazione della cappella di Fra Ghiringhello, o del sacello di sepoltura del mae­ 163 edoardo rossetti stro delle entrate Bartolomeo dei Conti di Cemo e di suo genero Antonio Maria Pallavicini da Scipione (ASMi, Notarile, b. 1859, notaio Antonio Zunico, 13 agosto 1485; ibidem, b. 1888, 20 ottobre 1497; Forcella, Iscrizioni, V, p. 14, n. 17). 206. ASMi, Notarile, b. 1859, notaio Antonio Zunico, 1º ottobre 1485; ibidem, b. 1878, 18 dicembre 1492; Saita, Fra Milano e Legnano, pp. 46­48; Beltrami, Notizie sconosciute, p. 422. 207. L. Andreozzi, I rilievi del Duomo di Vigevano provenienti da Santa Maria del Giardino a Milano, in «Viglevanum», 16 (2006), pp. 58­71. 208. Beltrami, Notizie sconosciute, p. 422. 209. Amadeo. I documenti, doc. 87, pp. 132­133; la localizzazione di questo monumen­ to in Sant’Angelo non è certa, ma si potrebbe dedurre dalle disposizioni testamentarie della moglie e della iglia dello Sforza. 210. Grosselli, Documenti quattrocenteschi, doc. 14, p. 108. 211. Cfr. supra nota 197. 212. Sacchi, Il disegno incompiuto, vol. I, pp. 330­331. 213. Cfr. supra note 81, 82. 214. L. Vaccarone, Bianca Maria di Challant e il suo corredo, in «Miscellanea di storia italiana», 4 (1897), pp. 307­331, a p. 327; Rossetti, “Chi bramasse di veder il volto suo ritratto dal vivo”, in c.d.s. 215. Andreozzi, Mirabile, Nuovi spunti di indagine, p. 83. 216. Il manufatto è stato relazionato, in via ipotetica, alle commissioni dei Visconti di Somma: M.C. Passoni, Presenze rinascimentali in S. Agnese, sculture e dipinti, in La Basilica di S. Agnese, pp. 117­135, nota 54. 217. I conti sulla supericie sono presto fatti: i frati devono disporre almeno di una ventina di pertiche se nel 1452 ne cedono 16 (Grosselli, Documenti quattrocenteschi, doc. 4), mentre tra il 1485 e il 1492 sono donate dal Garbagnati e dal Vismara 37 pertiche (cfr. supra nota 206). 218. Una supplica del 1458 menziona entrambe le chiese di Santa Maria degli Angeli e Sant’Angiolino (“Beatissime pater”, doc. 130, pp. 52­53). Attesta la presenza di Sant’Angio­ lino come ediicio separato ancora un documento del 1475 con il quale si locano ai terziari degli spazi accanto alle scale della foresteria e prope hostium per quid itur ad ecclesiam Sancti Angelini (ASMi, Notarile, b. 2866, notaio Luchino Appiani, 5 febbraio 1475). Nella chie­ setta («giesola») dispone inoltre la propria sepoltura Erasmo Trivulzio (cfr. supra nota 210). La chiesa della Concezione è menzionata invece nel testamento del notaio Niccolò Biglia (ASMi, Notarile, b. 5247, notaio Sigismondo Ceresa, 16 giugno 1529). 219. Beltrami, Notizie sconosciute, p. 422. 164 lo sviluppo dell’osservanza francescana e l’aristocrazia milanese 220. Non esagera quindi il Burocco (Chronologia, f. 6) quando descrive Sant’Angelo Vecchio come «fabrica tropo soda e castello ben forte» se nel 1452 sono attestati i lavori di costruzione di un terrapieno e di un fossato (Grosselli, Documenti quattrocenteschi, pp. 104­105). 221. La strada è aperta tra il 1486 e il 1510 su disposizione del Vismara, ASMi, Notarile, b. 1878, notaio Antonio Zunico, 18 dicembre 1492 (suppliche inserite del 13 maggio 1486); ibidem, b. 1748, notaio Mafeo Suganappi, 27 luglio 1510; Burocco, Chronologia, f. 49; Saita, Fra Milano e Legnano, pp. 46­48. 222. Sacchi, Il disegno incompiuto, I, p. 330. 223. V. Natale, La Passione a Vercelli e dintorni: dal disordine per le Comunità alla norma dell’Osservanza, in Verso il Sacro Monte. Immagini della Passione nel Quattrocento, Catalogo della mostra (Vercelli, 4 febbraio­30 aprile 2006), a cura di V. Natale, Biella 2006, pp. 8­ 15. Un commento sulla predicazione francescana osservante come difusione di «modelli etico­religiosi costrittivi e rigidi» in G.G. Merlo, Tentazioni e costrizioni eremitiche, in Mer­ lo, Tra eremo e città, pp. 233­268, a p. 246. 224. L’intervento più recente su Sant’Angelo Nuovo in N. Soldini, “Nec spe nec metu”. La Gonzaga: architettura e corte nella Milano di Carlo V, Firenze 2007, pp. 312­314. 165