Fratres de familia
gli insediamenti dell’osservanza minoritica
nella penisola italiana (sec. XiV-XV)
a cura di letizia Pellegrini e gian Maria Varanini
quaderni di storia religiosa
2011
Una questione di famiglie.
Lo sviluppo dell’Osservanza francescana
e l’aristocrazia milanese (14761516)
Edoardo Rossetti
Il 12 maggio 1498, il consigliere ducale Ambrogio del Maino, iglio
di Andriotto e di Elisabetta Pallavicini, cugino del duca di Milano Ludo
vico Maria Sforza, malato, detta il proprio testamento nel suo palazzo
milanese sito nella contrada del Maino di porta Vercellina. Dispone per
la salute della propria anima annuali in ognuno dei monasteri dell’Os
servanza francescana della Provincia lombarda1. Il del Maino si riprende
e muore nel 1516 in esilio a Siena, dopo l’ennesimo naufragio politico,
ma con il testamento del 1498 traccia lo stato delle fondazioni bernar
diniane nell’area dipendente dal monastero di Sant’Angelo: la Provincia
Mediolanensis. Una lista acclusa al testamento speciica in quali cenobi
debbano celebrarsi le messe: Mediolani, Comi, Legnani, Varisii, Palantia,
Birinzona, Varali, Vercelis, Sancte Agate, Iporigia, Sancti Georgii, Lugani,
Abiati, Mortarii, Viglevani, Melegnani, Laude, Sonzini, Caravagii, Triviglii, Leuci, Plebis Inzini, in Campo, Modoetie, Montisbiranzie 2.
L’elenco trascende i conini del ducato milanese, rispettando con
scrupolo i termini della ripartizione provinciale. La vicaria dei francesca
ni osservanti travalica infatti, con la Custodia vercellese, nei territori del
ducato sabaudo, mentre esclude i centri dell’alessandrino, del tortonese,
del cremonese, del piacentino e del parmense. Questi ultimi luoghi sono
parte integrante del ducato di Milano, ma sono sottoposti ai vicari di
Genova e Bologna. Nel testamento di Ambrogio si omette, ad esempio,
perché inclusa nella Provincia genovese, la principesca Pavia con il suo
importante cenobio di San Giacomo alla Vernavola, fondato nel 1421
con intercessione ducale – in parallelo a Sant’Angelo – e consegnato di
rettamente a Bernardino da Siena, nonché centro strettamente collegato
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edoardo rossetti
alla storia della famiglia del Maino3. Non si trascurano nemmeno le fon
dazioni più recenti, non ancora consacrate, come ad esempio le chiese
dedicate a Santa Maria degli Angeli di Lugano, Bellinzona ed Erba (Plebis
Inzini), Santa Maria in Campo a Cermenate, ma sono dimenticate – dif
icile capire se si tratti di una svista o di una voluta omissione – Novara
e Maleo4, e non si fa alcun cenno al cenobio del Monte Barro, l’unico
eremo della Provincia, divenuto convento in tempi successivi e primo tra
le case milanesi a passare ai Riformati5.
Il documento permette di testare il grado di coscienza – probabilmente
stimolato da qualche frate confessore6 – di uno dei primi gentiluomini di
Milano in relazione alla distribuzione dei centri dell’Osservanza minoriti
ca. Ambrogio non concepisce il suo legato come un’elargizione ai conven
ti di un’area territoriale legata all’inluenza esercitata dalla propria casata,
che nel caso del Maino si sarebbe dovuta limitare a lasciti ai soli cenobi
dell’alto milanese, del pavese e del novarese (le zone dove i possedimenti
e le ‘clientele’ famigliari sono più stabili); nemmeno si cura di delineare la
propria devozione secondo i contorni dello stato regionale entro il quale
esercita la propria inluenza come consigliere segreto e aine del principe.
Il testamento, con la sua fotograia a data 1498, risulta quindi punto di
partenza interessante per rilettere sullo stato dell’Osservanza milanese al
chiudersi del XV secolo, e ricorda l’importanza – per una rilessione sullo
sviluppo dell’esperienza osservante minoritica – di una lettura che tenga
conto di quanto avviene in ciascuna Provincia (secondo l’antica spazialità
quattrocentesca), a prescindere dalla struttura che assumono le vicarie
dopo la metà del XVI secolo, dai conini statuali antichi e ovviamente da
quelli regionali moderni. Non si può ad esempio, se si vuole comprende
re lo sviluppo peculiare di un esperimento artistico dei Minori osservanti,
quello dei tramezzi afrescati, studiarne gli sviluppi senza tenere conto
dei conini e dalle istanze interne della Provincia milanese così come si
struttura tra il 1474 e i primi decenni del Cinquecento7.
La data 1498 è inoltre signiicativa per efettuare un confronto sullo
stato delle due famiglie francescane nella Provincia. A meno di un mese
dalla stesura del testamento di Ambrogio del Maino i ‘conventuali’ si
riuniscono nella capitale: per l’occasione è stilato un documento (Tavola
capitolare), nel quale sono segnalati i luoghi francescani dipendenti da
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lo sviluppo dell’osservanza francescana e l’aristocrazia milanese
San Francesco Grande8. Il dato più signiicativo emergente è la presenza
della Custodia bresciana nel novero di quelle dipendenti dai ‘conven
tuali’ di Milano (le altre sono le Custodie milanese, comasca, vercellese,
monzese) e del convento di Crema enumerato tra quelli della Custodia
milanese, a testimoniare che ormai le due Provincie parallele avevano
acquisito anche dimensioni territoriali diverse e che i frati di San Fran
cesco Grande non avevano risentito delle polemiche politiche che aveva
no coinvolto gli Osservanti insediati nella Terraferma veneta9. In totale,
Custodia bresciana inclusa, sono ventinove i luoghi ‘conventuali’, ma in
realtà sono solo ventiquattro i conventi nel territorio che corrisponde
alla parallela Provincia milanese osservante per come si conigura dopo
il 1474. I centri dell’Osservanza fondati in circa settant’anni nella vica
ria milanese sono invece ventisette: calcolando rispetto al testamento
del Maino anche Novara e Maleo, ed escludendo il romitaggio di Santa
Maria presso Monte Barro. Nella vicina e nuova Provincia bresciana i
cenobi osservanti sono ben diciannove contro i solo quattro ‘conven
tuali’10. Al chiudersi del XV secolo, la famiglia osservante ha quindi su
perato quella conventuale nel numero di insediamenti, andando però,
nella maggioranza dei casi, a completare la geograia francescana: ovvero
colonizzando centri dove i frati di San Francesco Grande non si sono
stanziati in precedenza11.
1. Cronologia delle fondazioni
Le fondazioni dei centri dell’Osservanza nella Provincia milanese e
nel ducato sembra avvenire secondo precisi criteri di difusione sul ter
ritorio; con un ordine di precedenza – per altro comune ad altre regio
ni d’Italia – dato ovviamente alle città sedi episcopali. Fanno seguito,
in senso decrescente sotto il proilo dell’importanza e della consisten
za demograica dei centri, gli insediamenti nelle ‘quasi città’, nelle terre
grosse e nei borghi. Al primo inserimento nella capitale – Sant’Angelo12,
direttamente collegato alla presenza di Bernardino in città – e a Pavia
(1421), seguono le fondazioni: piacentina (1421)13, bergamasca e bre
sciana (entrambe nel 1422)14. Bisogna attendere invece gli anni Trenta
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Insediamenti dei Francescani Osservanti
nella Provincia e nel Ducato di Milano (1498)
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edoardo rossetti
per l’insediamento a Lodi (1430)15, Parma (1434), Cremona (1438)16
e, al chiudersi del decennio, Como (ca. 1440)17. Seguono Novara, che
arriva in ritardo verso il 144418, e Vercelli – non inclusa nel ducato, ma
nella Provincia francescana – intorno al 145319; mentre, entro i conini
dello stato sforzesco ma nella Provincia genovese, Alessandria ha il pro
prio cenobio prima del 145020. Comunque, all’aprirsi del sesto decennio
del XV secolo, tutte le principali città sedi vescovili incluse nel duca
to di Milano sono dotate di un monastero osservante21. In tutti questi
centri avviene una duplicazioni delle sedi francescane e in nessun caso
gli Osservanti si inseriscono in luoghi abitati in precedenza dai minori
‘conventuali’ 22. Le intitolazioni delle chiese sono le più disparate – San
Giacomo alla Vernavola a Pavia, Sant’Apollonio a Brescia, San Giovanni
Battista a Lodi, Santa Croce in Boscaglia a Como, dedicazioni mariane a
Piacenza e a Vercelli (rispettivamente di Nazareth e di Biliemme) – sin
tomo dell’insediamento degli Osservanti in ediici religiosi preesistenti,
tutti extraurbani ma non molto discosti dall’abitato, tendenzialmente
abbandonati o in stato di rovina. In questa fase, fanno eccezione – antici
pando le intitolazioni che diventeranno canoniche – Milano e Cremona
con Santa Maria degli Angeli, Bergamo con Santa Maria delle Grazie e
Parma con Santa Maria Annunciata.
L’insediamento degli Osservanti prosegue nella Provincia milanese
con la fondazione di conventi in borghi di notevoli dimensioni: Treviglio
nel 144123, Mortara nel 144724 e Crema nel 145525. È notevole la volon
tà dei frati milanesi di colonizzare l’area della Custodia bresciana; qui
le fondazioni avvengono con cadenza relativamente regolare e costante:
Pianengo (forse in dal 1418)26, Aguzzano (1436)27, Pralboino (1444)28,
Lovere (1448)29, Asola (1451)30, Chiari (1456)31, Erbusco (1465)32, Ghe
di (1465)33, Quinzano d’Oglio (1467)34. Invece negli anni Cinquanta la
costruzione di nuovi insediamenti all’interno del territorio del ducato è
praticamente bloccata, in controtendenza a quanto avviene nel panora
ma italiano, ma in contemporanea alla forte crisi istituzionale dell’ordi
ne35. Sempre agli anni Cinquanta risalgono le fondazioni di Santa Maria
di Biliemme presso Vercelli (1453) e di San Bernardino ad Ivrea (1456),
entrambe in zona savoiarda36. L’unico caso isolato di neofondazione nella
provincia ed entro i conini del ducato è quello di Santa Maria delle Gra
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lo sviluppo dell’osservanza francescana e l’aristocrazia milanese
zie a Monza, che dovrebbe risalire al 1461 e riceve sovvenzioni da parte
del duca nel 146637. Extra provincia ed intra ducato gli unici nuovi con
venti sono costruiti su iniziativa aristocratica: dei Dal Verme a Voghera e
degli Sforza di Santa Fiora a Castell’Arquato38.
Il momento più signiicativo delle nuove fondazioni della provincia
milanese risulta la ine del settimo e l’inizio dell’ottavo decennio del XV
secolo. Si gettano con inusitata rapidità le fondamenta dei conventi di
Legnano, Pallanza e Varese, tutti in grossi centri a nord di Milano e tutti
nel 146839. Nel caso di Varese si registra una duplicazione di insediamenti
francescani: l’attività degli ‘zoccolanti’ della locale Annunciata si sovrap
pone a quella dei ‘conventuali’ del vecchio cenobio di San Francesco 40.
Per iniziativa ducale si fonda nel 1469 l’Annunciata di Abbiategrasso e,
contemporaneamente, Tristano Sforza, fratellastro del duca, contribui
sce all’ediicazione dell’Annunciata di Soncino (1470)41. Tre anni dopo,
nel 1472, mentre si apre la crisi con Venezia per la Custodia bresciana
e si acuisce la lotta milanese tra Conventuali e Osservanti causata dal
le Clarisse di Sant’Apollinare42, i Secco collaborano alla fondazione del
convento di Caravaggio43, mentre a Lecco si ediica un nuovo centro
presso la chiesa di San Giacomo al Castello (poco prima 1474)44. A Vi
gevano si assiste – non senza contrasti – all’ultima duplicazione di una
sede francescana nel milanese45: i progetti per il convento delle Grazie si
possono datare al 1470, ma non si costruisce nulla prima del 1473 e i
frati prendono possesso di un luogo non ancora terminato nell’estate del
147646, mentre in contemporanea il duca stesso fa preparare i piani per
un nuovo cenobio da ediicarsi in Galliate, mai realizzato47.
Al 1478 risale la fondazione della Misericordia di Melegnano, forse
già progettata dalla defunta duchessa Bianca Maria nel 146848. All’aper
tura degli anni Ottanta si prepara con una nuova ondata la costruzione
dei cenobi di Bellinzona, Erba e Montebrianza, mentre nel 1486 Galeaz
zo Bevilacqua e Antonia Pallavicini sostengono lo sforzo inanziario per
la fondazione delle Grazie a Maleo49. Resta in sospeso il progetto per la
costruzione di un convento a Magenta, dove si costruisce solo una chiesa
dedicata a San Bernardino con una casaospizio dipendente dall’Annun
ciata di Abbiategrasso50. Sorgono tutti nella diocesi comasca gli insedia
menti dell’ultimo decennio del XV secolo: Cermenate (1493) e Lugano
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edoardo rossetti
(presenza dal 1490, ma ediicazione del convento dal 1499); a Cerme
nate, in Santa Maria in Campo, si registra per altro, in mezzo a tutte le
fondazioni completamente ex novo degli ultimi due decenni, un estremo
caso di riciclo di un vecchio ediicio ecclesiastico51. L’ultima creazione
consistente è quella del luogo di Trecate Novarese nel 1520, ma ormai la
parabola dello sviluppo dell’Osservanza è veramente terminata52.
L’evoluzione dei cantieri fondati tra il 1468 e il 1472 sembra inso
litamente rapida53, ma è diicile comprendere se la frenetica esecuzione
di questi cenobi sia da attribuirsi a una sorta di ansia ediicativa degli
Sforza; esplicitata dal duca Galeazzo Maria nelle direttive impartite per
l’Annunciata di Abbiategrasso54. La progettazione è ormai standardizzata
e sono deiniti i nomi delle intitolazioni: san Bernardino o santa Maria,
nelle varianti Annunciata, degli Angeli, delle Grazie, della Misericordia.
Risulta invece più lenta la gestazione dei conventi iniziati negli anni Ot
tanta55. Tra la fondazione e la consacrazione della chiesa passano almeno
quindici o vent’anni e si ha l’impressione che i religiosi si insedino in
eterni cantieri; dove i modelli – nati nella fase di frenetiche fondazioni
della provincia milanese (14691476)56 – si replicano in tempi molto
lunghi: emblematico il caso vigevanese che vede i frati installarsi in un
ediicio «rimasto imperfetto [...] molto sconzo ad habitare» la cui chiesa
sarà dotata di una parete afrescata «a quadretti» (il tramezzo) solo nel
1500 a ventidue anni dalla consacrazione57.
2. Un clan potente: Carcano, del Maino e Visconti di Somma
2.1. Una sepoltura a quattro in Sant’Angelo
È ancora Ambrogio del Maino a sorprendere, nel 1507, con la stesura
di un secondo testamento: le disposizioni per la sepoltura sono mutate
e, come convenuto con frate Francesco da San Colombano58, gli eredi
sono tenuti
pro quarta parte ad construi fatiendum capellam unam in ecclesia Sancte Marie de
Angellis syta extra et prope civitatem Mediolani, una cum magniico equite domino
Baptista Vicecomite ac magniico iuris utriusque doctore domino Hyeronimo de Car-
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lo sviluppo dell’osservanza francescana e l’aristocrazia milanese
chano, consanguineo meo, et cum herede quondam magniici domini Gasparis Vicecomitis ilii quondam domini Azonis, prout conventum fuit per prefatum dominum
Baptistam ac prefatum dominum Gasparem et me testatorem cum venerabile domino
fratre Francisco de Sancto Columbano59.
Dietro a questa singolare volontà di Ambrogio potrebbe esserci un
ex voto dei quattro correlato alla loro rocambolesca fuga dal campo della
disfatta sforzesca di Novara nell’aprile 150060. Non è possibile per ora
sapere con assoluta certezza se questa cappella sia stata costruita ex novo o
se per la sepoltura congiunta del Maino, Visconti e Carcano sia stata riu
tilizzata e restaurata (con soluzione assai probabile) un’altra delle dodici
cappelle di Sant’Angelo, verosimilmente quella di fondazione del Maino
dedicata allo Spirito Santo61. Resta comunque degno di nota, oltre alla
peculiarità di una sepoltura a quattro, che se il testamento di Ambrogio
del 1498 traccia lo stato territoriale dell’Osservanza, quello del 1507
disegna il tronco dell’albero famigliare di un gruppo, tutto composto da
ghibellini e ilosforzeschi, sostenitori ad oltranza dei frati impiantati da
Bernardino da Siena in Lombardia.
Si tratta infatti dello zoccolo duro dell’aristocrazia milanese, che
emerge al di sopra del notabilato cittadino. È opportuno quindi applica
re anche allo studio dell’Osservanza minoritica nei rapporti con la socie
tà milanese la distinzione – acquisizione relativamente recente della sto
riograia62 – tra la grande aristocrazia meneghina e lombarda e la nobiltà
cittadina milanese (i cives) che iltra poi nel patriziato urbano cinquecen
tesco63: gli uni (i Pallavicini e i vertici delle consorterie Barbavara, Carca
no, del Maino, Gallarati, Pusterla, Secco, Sforza, Visconti)64 inanziatori
della costruzione di interi conventi, fondatori di cappellanie perpetue
nei cenobi delle Clarisse, sepolti in monumenti marmorei nelle cappelle
principali di Sant’Angelo; gli altri (Alciati, Archinto, Arese, Arrigoni, Be
sozzi, Balsamo, Cagnola, Crivelli vari, da Cemo, da Gerenzano, Dugna
ni, Garbagnati, Lampugnani vari, Landriani vari, Moroni, Pecchi, Porro,
Vimercati, Vismara, Tanzi, Tonsi o Tosi, Trivulzio vari ecc.) deputati del
Monte di Pietà, del Luogo Pio della Carità, fabbricieri di Sant’Angelo
e con sepolture nei vasti chiostri. Non mancano comunque per questo
secondo gruppo attestazioni di cappelle proprie in Sant’Angelo, ediicate
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edoardo rossetti
quando in caso d’estinzione della linea maschile diretta si sente l’esigen
za di costruire un luogo che tramandi la propria memoria personale e
famigliare (Dionisio Alciati e Giovanni Filippo Garbagnati)65, oppure
quando la disponibilità inanziaria è notevole e una cappella in Sant’An
gelo diventa un elemento fondamentale del tentativo di escalation sociale
(Arrigoni, Cagnola, da Gerenzano, Pecchi, Porro)66.
Il gruppo magnatizio milanese vicino all’Osservanza è strettamente
avvinto da una serie di antichi legami parentali che nel XV secolo si ri
annodano intorno ai matrimoni delle iglie del conte Carmagnola per la
prima metà del secolo, e a quelli delle iglie di Pietro Pusterla – quattro
e tutte dotate per la bella somma di 4.000 iorini ciascuna – per la se
conda metà. Sono un ramo dei Bossi di Azzate (precocemente estinto),
i Castiglioni di Casciago, i Crivelli di Dorno e Lomello, i del Maino,
i Gallarati, i Pusterla di Frugarolo, i Visconti (specie quelli di Somma,
poi di San Vito), che si imparentano continuamente tra di loro, sposa
no i Crotti di Casalino, i Pallavicini di Busseto, i caravaggini Secco, gli
Stampa di Soncino e i Rusca conti di Locarno67. Essi escludono quasi
completamente dalle loro parentele, o riducono in posizione margina
le i Birago, i Borromeo, gli altri Castiglioni (di Venegono), i Casati, i
Cusani, i Landriani di Spino, i conti Mandelli, i Marliani, i calabresi
Simonetta, i Trivulzio (salvo per il matrimonio tra Maddalena di Gian
Fermo Trivulzio con Antonio Visconti di Guido)68; per non parlare dei
Brivio, dei Landriani discendenti da Accorsio, dei napoletani Sanseve
rino conti di Caiazzo, dei cremonesi Stanga, cioè il clan dei favoriti del
Moro, con l’eccezione di Bergonzio Botta che sposa Daria Pusterla69.
Degno di nota che tutto questo secondo gruppo, fatti salvi generici
legati, sembra autoescludersi o essere escluso anche dal inanziamento
ai centri dei Minori osservanti. Anche in questo caso sono i vertici delle
rispettive consorterie a sembrare estromesse dalla gestione dei cantieri
francescani, ma non mancano ovviamente Castiglioni, Casati, Cusani
e Trivulzio tra i frati o tra i sepolti in Sant’Angelo70. Valga per tutti il
comportamento di Gian Giacomo Trivulzio che nei suoi principeschi
testamenti ignora completamente i frati minori e che fa con la propria
suntuosa sepoltura nella parrocchiale di San Nazaro in Brolio una scel
ta contemporanea71, ma diametralmente opposta a quella di Gerolamo
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lo sviluppo dell’osservanza francescana e l’aristocrazia milanese
Carcano, Ambrogio del Maino e del «capo di la parte gebelina [...] suo
nemico» Battista Visconti72.
2.2. I Visconti di Somma
Se ci si addentra ulteriormente nei rapporti di questa parte dell’aristo
crazia lombarda con gli Osservanti, Francesco Visconti (padre del Batti
sta sepolto con Ambrogio del Maino) lascia le avite prestigiose sepolture
in Sant’Eustorgio e dispone con il proprio testamento del 1476 per la co
struzione di una cappella in Sant’Angelo73; inoltre istituisce una cappella
nia in Santa Chiara e fa legati a Sant’Orsola74. Le tracce del sodalizio con
i Francescani osservanti si possono far risalire almeno ad un ventennio
prima, quando tra il 1457 e il 1459 con il fratello Guido, Francesco fa
ricostruire la chiesa pievana di Somma Lombardo di patronato famiglia
re e sceglie come modello per la nuova costruzione Sant’Angelo75. Non
si tratta verosimilmente solo di una scelta di stile, ma di una signiicativa
attestazione di appartenenza, confermata dal contemporaneo moltipli
carsi dei monogrammi bernardiniani accanto alla vipera viscontea nei
porticati del castello di Somma.
È comunque attraverso i molti testamenti (almeno sette tra il 1477
e il 1514)76 di Battista Visconti, iglio di Francesco, che emerge sfaccia
tamente tutta la sintonia con i Minori osservanti: la sepoltura è sempre
indicata in Sant’Angelo; con le varianti per la titolatura della cappella di
famiglia (dedicata ora al Corpo di Cristo, ora alla Natività della Vergi
ne) derivanti da un possibile stato dei lavori nell’ediicazione del sacello
rispetto all’ambiente originariamente assegnato ai Visconti dai frati. Nei
testamenti si istituisce anche una cappellania per le terziarie di Sant’Eli
sabetta, ormai Clarisse del Gesù77. Nel 1486 è predisposta una partico
lare suddivisione dei patronati tra gli eredi corrispondente alla porzione
di beni a loro assegnati: al primogenito spetta il castello e territorio di
Somma Lombardo e il patronato della chiesa pievana di Sant’Agnese a
Somma, al secondogenito si lasciano le proprietà di Mezzana e la tutela
dell’altra chiesa pievana di Santo Stefano a Mezzana e al terzogenito il
palazzo di Milano e in blocco il diritto di eleggere i cappellani incarica
ti di celebrare messa nei monasteri cittadini di Santa Chiara, del Gesù
111
edoardo rossetti
e Sant’Apollinare (tutti ovviamente di Clarisse dipendenti da Sant’An
gelo). Non solo emerge una peculiare programmazione nella gestione
dell’eredità del Visconti, che sembra a queste date privilegiare le terre
avite dove la parentela esercita una signoria di fatto rispetto alla residenza
milanese, ma si comprendono chiaramente i forti legami stretti in città
con i Francescani osservanti: la famiglia esercita patronato su tre dei cin
que monasteri urbani di Clarisse legate all’Osservanza. Nei testamenti
del 1504 e 1510 – si è in pieno periodo francese – i riferimenti si fanno
più criptici: la sepoltura è indicata comunque in Sant’Angelo, in cappella
mea, ma si obbligano gli eredi a soddisfare ancora i legati di Francesco
Visconti per la cappella da costruirsi in Sant’Angelo; soprattutto, degno
di nota, scompaiono i legati ‘religiosi’ e Battista indica che dovrà essere
eseguito quanto da lui disposto in uno scritto steso manu propria, sigil
lato e consegnato nelle mani di Angelo Tonsi, guardiano di Sant’Angelo.
In ultimo, nel 1514 – il testamento è steso nel momento di apice politico
di Battista – si legano 100 ducati a Sant’Angelo, ancora pro capella quondam magniici patris mei (forse non ancora completata o dotata).
Progressivamente il rapporto con i Minori di Sant’Angelo sembra de
linearsi come obbligato per tutti i parenti e amici di Battista. Il cognato
Giuliano Pusterla sceglie Sant’Angelo come ultima dimora, forse proprio
in una delle cappelle viscontee78. Dei cinque primi cugini di Battista, i
igli dello zio Guido Visconti, due scelgono di essere sepolti in Sant’An
gelo e uno a Santa Croce in Boscaglia79. Galeazzo Visconti conte di Busto
dispone tardivamente per la propria sepoltura80, ma dal 1521 ordina una
marmorea tomba nella cappella di Sant’Angelo che deve chiamarsi capella
illustris domini Galeaz Vicecomitis et sit intitulata capella domini Sancti
Francisci 81. La sepoltura diventa sempre più sontuosa nelle disposizioni
successive: nel 1530 si ordina addirittura un regale gisant rappresentante
l’eige del testatore. Nel rogare l’atto il notaio stesso fa confusione sul
luogo dove si deve istallare l’arca, alternando in note ittissime a margine
disposizioni riguardanti Santa Maria del Giardino – dove i frati di San
t’Angelo si sono installati dopo il sacco del 1527 – e progetti per una rico
struzione di Sant’Angelo82. Princivalle, cugino di Battista e fratello di Ga
leazzo, dispone anch’egli sepoltura in Sant’Angelo e ha una iglia (Angela
Bernardina) monacata al Gesù83, mentre sua moglie testando nel 1523 fa
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lo sviluppo dell’osservanza francescana e l’aristocrazia milanese
lasciti consistenti allo stesso monastero84. Il più piccolo dei igli di Guido,
Battista Visconti detto il Comparino, decide invece di farsi inumare nella
chiesa comasca di Santa Croce in Boscaglia e inoltre ordina la costruzione
di un convento di Francescani osservanti da dedicarsi a San Bernardino
e destina 2.000 ducati per la fondazione di un monastero di Clarisse; en
trambi nella sua terra di Cislago85. Inoltre il Comparino sembra essere un
patito di tramezzi afrescati e un committente attento ai modelli artistici
minoritici. Ma sono molti altri i Visconti dell’entourage di Battista iglio
di Francesco a optare per una sepoltura in Sant’Angelo86.
Il propagarsi di indicazioni di afetto verso i frati minori milanesi sem
bra comunque trascinare non solo i parenti o gli agnati, ma muovere tutta
la ‘clientela’ che ruota intorno all’aristocratico: un esempio per tutti quel
lo di Francesco Besozzi, nobile di provincia sistematosi a Milano come
notaio, imparentatosi con i Pagani da Rovello – notai di iducia di Battista
Visconti e di buona parte dell’élite ghibellina che abita tra porta Comasi
na e porta Vercellina – diventa un assiduo frequentatore di casa Visconti,
ma è sempre presente anche in casa Carcano; Battista lo favorisce nella sua
ascesa politica e il Besozzi si fa coinvolgere nel clan di Sant’Angelo dispo
nendo nel 1513 di essere sepolto iusta ferratam capelle magniici domini
Baptiste Vicecomittis 87. Nelle disposizioni degli anni successivi le indica
zioni testamentarie mutano e il notaio dota la cappella di Santa Caterina
al Monastero Maggiore, facendosi seppellire sotto il tramezzo del Luini
commissionato da Ermes Visconti, iglio di Battista88, ma non mancano
i legati alla Scuola di San Giuseppe dipendente dal Giardino dei Minori
osservanti o al monastero del Gesù89. Una situazione simile sembra crearsi
con i bustocchi Tonsi o Tosi, legatissimi a Battista e Galeazzo Visconti,
con un membro della consorteria (Angelo Tonsi) guardiano di Sant’An
gelo nei primi anni del XVI secolo e, caso raro, con mantenimento del
patronato di una cappellania anche in Sant’Angelo Nuovo90.
2.3. I Carcano
Anche in e da casa Carcano, complice lo zio frate Michele91, si pro
paga il contagio verso i Minori osservanti. Donato, iglio di Antonio e
fratello di Gerolamo, dispone sepoltura in Sant’Angelo, nella cappella
113
edoardo rossetti
di famiglia e nel sepolcro di suo padre Antonio, lega anche donativi per
le Grazie di Monza (il suo confessore è il padre guardiano del cenobio
brianzolo, Arcangelo Pasquali), ma ovviamente tutta la sua preoccupa
zione è volta a risparmiare denari per le doti delle molte iglie92. Am
brogio suo fratello lascia 150 ducati alla fondazione tutta famigliare di
Santa Maria in Campo di Cermenate e 100 a Sant’Angelo, nonché un
sussidio alle sue sorelle Gerolama Seraina e Angela Caterina monache
in Santa Chiara93. Beatrice Visconti Carcano, iglia di Pier Francesco di
Saliceto, segue il marito nella cappella di Sant’Angelo e dispone legati
per i conventi di Milano e Cermenate94. Lo stesso Gerolamo, che è spo
so di una Secco di Caravaggio diretta discendente dei fondatori del con
vento di San Bernardino, in un momento di crisi politica (1525) sceglie
di farsi seppellire nella periferica Santa Maria in Campo 95, salvo poi
ripristinare la cappella del nonno del Maino in Sant’Angelo, indican
dola con precisione come sotto il tramezzo: è quella già ricordata dello
Spirito Santo in cui sono forse inumati anche i suoi amici96. Quando,
dopo il 1551, si progetta il nuovo convento milanese dei Francesca
ni osservanti, i igli di Donato e Beatrice, Giacomo Antonio e Cesare
Carcano, sono tra i primi a inanziare l’opera assicurandosi il patronato
della cappella a sinistra dell’altare maggiore97. La direttrice Sant’Angelo
sembra orientare anche i matrimoni delle iglie di Donato. Orsina si
accasa con Niccolò Beccaria; il padre dello sposo, Castellino di Anto
nio, quando lascia il suo palazzo valtellinese di Sondrio abita nella casa
milanese dei Carcano e qui fa rogare il suo testamento disponendo se
poltura in Sant’Angelo e destinando alla chiesa 100 ducati, mentre 200
sono lasciati alla comasca Santa Croce in Boscaglia98. Il matrimonio di
Giacomo Gallarati con Angela Carcano può avere indirizzato questo
ramo del casato (con avita sepoltura in San Francesco Grande) verso
la fondazione della cappella di Santa Caterina in Sant’Angelo99. Eleo
nora diventa moglie di Giovanni Giacomo Porro, iglio del banchiere
e tesoriere ducale Giovanni Pietro; Angelo Porro, lo zio dello sposo è
guardiano di Sant’Angelo prima e di Santa Maria degli Angeli a Lugano
poi. Anche i Porro possiedono una cappella in Sant’Angelo dedicata a
San Girolamo e fondata dalla matrona di casa, Caterina Resta100. E si
fa presto ad intuire come nella maglie di questa rete parentale cadano
114
lo sviluppo dell’osservanza francescana e l’aristocrazia milanese
le commissioni di Bernardino Luini a Lugano e di Gaudenzio Ferrari a
Milano, che siano esse indirizzate alla famiglia o all’ordine.
2.4. I del Maino
Come già considerato, la devozione di Ambrogio del Maino per l’Os
servanza francescana è notevole, ma il suo non è un caso isolato nella
famiglia101. Sua cugina Rossana del Maino Castiglioni, inluente nobil
donna milanese dalla vita domestica turbolenta ed erede di metà delle
abbondanti sostanze del padre Lancellotto102, dopo avere destinato nel
suo primo testamento del 1480 ben 800 iorini al monastero milanese di
Sant’Angelo prepara altri interessanti legati degni di attenzione. Al ceno
bio di Santa Maria delle Grazie a Monza assegna 200 iorini, altri 200 so
no lasciati rispettivamente a Santa Chiara, Sant’Orsola e Santa Maria del
Gesù e solo 100 a San Bernardino e a Sant’Apollinare: in pratica la nobil
donna ricorda tutti i monasteri cittadini di Clarisse dipendenti dagli Os
servanti di Milano. Dispone inoltre che in caso di estinzione della linea di
discendenza legittima dei propri igli la sua eredità debba essere suddivisa
in quattro parti uguali. I beneiciari sono: i igli della sorella Elisabetta
del Maino e di Antonio Carcano (ovvero i nipotini del beato Michele
Carcano: i già citati Donato, Gerolamo e Ambrogio), i igli legittimi di
suo zio Andriotto del Maino, tutti i membri della consorteria del Mai
no – non si manca di accludere un’interessante elenco degli agnati che
sembra accuratamente calcolato per ordine di gerarchie e di importanza e
non di prossimità di grado – e inine alcuni dei principali cantieri aperti
sullo scorcio degli anni Settanta del Quattrocento dai Minori osservanti
(loco Melegnani, loco Sonzini, loco Caravagii et loco Trevillii )103.
La scelta di privilegiare questi luoghi sembra atipica all’interno delle
strategie famigliari della gentildonna, che a logica avrebbe dovuto sov
venzionare qualche nuova fondazione a nord di Milano o nel pavese:
come per il resto della consorteria il grosso dei possedimenti della del
Maino si trovano infatti nella fascia nordoccidentale del ducato, mentre
tutti questi cenobi oggetto del consistente legato sono eretti nell’area
orientale, prossima al conine veneto. I conventi scelti sembrano circon
dare la controversa enclave cremasca della Serenissima e la data del testa
115
edoardo rossetti
mento (1480) è prossima alla traumatica creazione della provincia bre
sciana (1474), ai progetti del duca Galeazzo Maria per la fortiicazione
dei conini orientali e alle continue crisi con Venezia che sfociano nella
guerra di Ferrara (14821484)104. Rossana sembra determinata a favorire
lo sviluppo della provincia milanese con un preciso intento, quello di
ovviare, attraverso una rapida conclusione dei lavori in corso in quei
cantieri, alla problematica situazione creatasi dopo il 1472; quando – co
me si precisava da parte sforzesca all’oratore inviato alla corte pontiicia
– erano stati cacciati dai monasteri del bresciano «quanti frati observanti
gli erano et maxime milanesi et de le altre cità del dominio nostro»105.
Condizione di disagio che perdurava ancora nel 1486 se frate Francesco
Trivulzio si lamentava con il duca scrivendo
havendo li poveri frati minori de la observantia de la provintia de Milano molti
tudine de frati e pochi lochi, come sa la vostra excellentia per rispecto che sono
privati de tredici lochi, posti sotto il dominio de li venetiani, elli hè bisogno che
almancho sotto l’ombra e dominio de vostra celestitudine cerchino di fare qualche
loco et albergo, dove li povereti schazati se possano alogiare106.
La peculiare situazione dei frati milanesi sembra quindi il motore che,
in controtendenza rispetto ad altre province osservanti, mantiene vivo
l’incremento delle fondazioni durante tutti gli anni Settanta ino alla me
tà degli anni Ottanta del XV secolo107. Di questi problemi della provincia
osservante milanese Rossana del Maino, nobildonna immersa nella vita di
corte, appare dunque perfettamente, e straordinariamente, consapevole.
Ambrogio e Rossana non sono soli nel sostenere l’Osservanza. Nei
suoi testamenti del 1480 e del 1494108, la gentildonna dispone di essere
sepolta nella cappella dello Spirito Santo in Sant’Angelo, fatta ediicare
dal proprio padre Lancillotto del Maino e dove sono sepolti sia Lancil
lotto che suo fratello Andriotto; i due potenti consiglieri ducali fratelli
di Agnese del Maino109. Quest’ultima amante del duca Filippo Maria Vi
sconti e madre della duchessa Bianca Maria sposa di Francesco Sforza110.
Nel 1492 frate Bernardino Caimi, in una lettera indirizzata al Moro, non
esita a deinire la cappella «locho molto onorevole»; il sepolcro accoglie
temporaneamente nello stesso anno anche le spoglie di Filippo Maria
116
lo sviluppo dell’osservanza francescana e l’aristocrazia milanese
Sforza, cugino di Rossana e Ambrogio, iglio colto e placido di Bianca
Maria Visconti e del duca Francesco111. La posizione privilegiata della
cappella di Andreotto e Lancillotto all’interno della chiesa di Sant’An
gelo, sita cioè sotto il tramezzo a destra112, attesta che i due dovevano
essere stati tra i più afezionati inanziatori dell’Osservanza113. E il legame
famigliare con l’Osservanza può essere nato proprio con Agnese del Mai
no, favorita ducale. Le guide milanesi attribuiscono a lei la ricostruzione
della chiesa di Sant’Orsola; uno dei primi centri di Clarisse dipendenti
da Sant’Angelo fondato in città: qui la donna dispone di essere sepolta114.
Lo stesso duca Galeazzo Maria ricorda la devozione della nonna verso i
Minori osservanti scrivendo a frate Marco da Bologna:
tu sai quanto lo illustrissimo signore de felice memoria nostro padre et signore,
et la illustrissima Madona quondam nostra mater, et Madona [Agnese del Maino]
siano stati afetionati et devoti all’ordine osservante de’ frati minori, et fra gli altri
ad questo monastero de Santo Angelo115.
Ed è stato recentemente ipotizzato che la stessa fondazione dell’An
nunciata di Abbiategrasso sia stata in qualche modo legata alla memoria
di Agnese da parte del nipote116.
2.5. Il clan, i Minori osservanti e i duchi Sforza
Bianca Maria Visconti eredita dalla madre Agnese il sodalizio con
l’Osservanza francescana. Francesco Visconti di Somma, Antonio Car
cano, le cugine Elisabetta e Rossana del Maino, gli zii Andreotto e Lan
cillotto, la ‘nuora’ Beatrice d’Este moglie di Tristano Sforza, Lantelmina
Secco sposa del idato consigliere Gaspare Vimercati, Elisabetta Visconti
sposa di Cicco Simonetta, Luchina Bussoni Dal Verme, sono tutti pro
tettori dei frati di Sant’Angelo e nel contempo referenti privilegiati di
Bianca Maria; non semplici cortigiani, ma «aini diletti» e parenti dotati
di proprie ‘clientele’ tutte ghibelline ed utili alla duchessa117. Innumere
voli sono le dimostrazioni di attenzioni della Visconti verso Santa Chia
ra, Sant’Orsola o Sant’Elisabetta (alias Santa Maria del Gesù), ma è note
vole soprattutto il suo rapporto con i frati di Sant’Angelo, suoi confessori
117
edoardo rossetti
e, in un’occasione cruciale, consiglieri politici. Nel giugno del 1467 – un
momento di grave crisi per il ducato: lo scontro tra la duchessa madre e
Galeazzo Maria Sforza sta raggiungendo l’apice118 – un consiglio di frati
si riunisce su richiesta di Bianca Maria per stilare una serie di pareri utili
per la pratica di governo della duchessa119. Contemporaneamente l’ira
del giovane duca si abbatte sugli amici della madre, e quindi anche sui
sostenitori dei frati; sembrano coinvolti perino i potenti zii del Mai
no120. Il conte Pietro Dal Verme è arrestato prima nel gennaio 1467 e poi
di nuovo nel febbraio 1468; e il matrimonio del conte con Cecilia del
Maino iglia di Andriotto è tra le questioni che sembrano irritare parti
colarmente il duca121. Battista Visconti iglio di Francesco, cresciuto alla
scuola di Cola Montano con quelli che diventano da lì a qualche anno gli
assassini del duca, fugge a maggio del 1467 nei territori della Serenissima
dal Colleoni; nel dicembre suo padre Francesco è radiato dal Consiglio
segreto122. Antonio Carcano, sposo di Elisabetta del Maino e fratello di
frate Michele, non è riconfermato tra gli aulici di corte, e anche quando
(sei anni dopo) è tutto il Consiglio segreto a riproporlo al duca come au
lico, Galeazzo Maria non approva123. C’è da chiedersi se anche lo scontro
tra Galeazzo Maria e frate Michele Carcano non debba essere inserito in
questo contesto e arricchito di sfaccettature più personali e famigliari.
Francesco Castiglioni, sposo di Rossana del Maino e cugino di Battista
Visconti, è coniscato e spogliato di tutti i suoi beni: non gli verranno più
restituiti e per tutto il resto della sua lunga vita è mantenuto dalla mo
glie prima e dai igli poi124. In una situazione simile si trovano anche gli
altri cugini Sanseverino125. Si tratta da un lato dei più grossi creditori del
duca, dall’altro di una parte rilevante dell’aristocrazia lombarda che Ga
leazzo Maria intende ridimensionare126. Con tutto il clan di aristocratici
afezionati all’Osservanza praticamente perseguitato dal duca, verrebbe
quasi da pensare che la grande attenzione rivolta dallo Sforza alle fonda
zioni dell’ordine dopo il 1468, quella fretta di fare e costruire, oltre che
motivata da questioni di devozione personale127, possa essere mossa dalla
necessità di rilevare, o rivendicare, il ruolo di una parte dell’aristocrazia
milanese come referente privilegiato dei Minori osservanti.
Dopo la morte del duca, Carcano, del Maino e Visconti riprendono
il loro ruolo nel sovvenzionare i frati ed emerge tutto il legame peculiare
118
lo sviluppo dell’osservanza francescana e l’aristocrazia milanese
che queste famiglie intrattengono con il complesso ambiente che ruota
intorno a Sant’Angelo. Per fare un esempio, quando nel 1501, Battista
Visconti in disgrazia deve recuperare un’esorbitante somma di denaro
per pagare la pesante taglia imposta dai francesi a lui e al iglio, non
esita a ricorrere alla Carità (il luogo pio milanese che è di fatto il braccio
economico dei frati di Sant’Angelo)128 per ottenere un prestito mediante
la vendita simulata della sua villa di Gaggiano129. E nel 1514, quando è
ormai settantenne e conscio dell’irrimediabile instabilità politica della
situazione milanese, è ancora alla Carità che si rivolge per tutelare il pro
prio patrimonio, sostituendola nell’eredità ai propri igli in caso questi
fossero dichiarati ribelli, con l’obbligo (tipico del fedecommesso iscale)
di restituire loro quei beni una volta che avessero ricevuto la grazia130.
Sarebbe interessante anche indagare ulteriormente sulle riunioni che av
vengono in Santa Maria del Giardino a Milano, il luogo delle prediche
dei Minori osservanti in centro città: qui nel 1512, a ridosso del rientro
di Massimiliano Sforza, si riunisce quel che resta del vecchio Consiglio
dei Novecento; una forma rappresentativa che sembra in linea con la tra
dizione di questa parte dell’aristocrazia. Mentre in Santa Maria della Ro
sa, l’analogo luogo in cui predicano i Domenicani osservanti, si riunisce
in dal 1499 la parte guelfa, o comunque una parte della società milanese
che non sembra gravitare attorno a questi grandi gentiluomini di Lom
bardia131. Sorprende inoltre che nel momento di maggior gloria politica
dei tre amici di Sant’Angelo (Gerolamo Carcano, Ambrogio del Maino
e Battista Visconti) – quando, durante l’eimera restaurazione sforzesca
(151215), tra svizzeri e imperiali i tre riescono a ritagliarsi un proprio
spazio di potere come senatori e conservatori dello stato132 – atti uiciali
come l’alleanza militare con il marchese del Monferrato siano siglati non
al castello di Porta Giovia o alla Corte dell’Arengo (le sedi della corte),
ma in monasterio Sancti Angeli extra et prope inclytam urbem Mediolani in
quadam camera constructa ut dicitur impensa magniici domini Hieronymi
de Carchano ducalis senatoris, alla presenza, ovviamente dei cugini Batti
sta e Galeazzo Visconti133.
Quello dei rapporti preferenziali stretti tra i frati Minori osservanti e
l’aristocrazia è un dato ormai noto, banale e quasi scontato134. Un’eredità
del sodalizio intrattenuto in generale tra francescani e ceti magnatizi, co
119
edoardo rossetti
me insegna il De Conformitate di Bartolomeo da Pisa; chiuso ben prima
dell’exploit dell’esperienza osservante135. È un’eredità che l’élite milanese
assorbe dal legame già consolidato con i francescani ‘conventuali’ di San
Francesco Grande136. Ma quanto sviluppano i Minori osservanti della
provincia milanese sembra un rapporto preferenziale con una parte sol
tanto del ceto magnatizio, quello che si potrebbe deinire ghibellino; con
le debite precauzioni per il termine e per la luidità della società milanese
tra XV e XVI secolo137. Nonostante il successo riscosso in tutti gli strati
sociali, nonostante il rapporto instaurato praticamente con tutti gli abi
tanti del sestiere di Porta Nuova (quartiere in cui sorgono la Cassina di
Santa Maria del Giardino, la casa dei terziari e la sede della Carità)138, i
frati di Sant’Angelo, che si erano originariamente presentanti a Milano,
come altrove, in veste di paciicatori delle parti, sembrerebbero avere
alla ine scelto una parte. Scelta che potrebbe avere addirittura inluito
sul sacco dell’inverno 15261527, quando i lanzichenecchi (prima di
partire alla volta di Roma) profanarono i beau sepulchres elevez di quel
l’aristocrazia milanese ghibellina e ilosforzesca che si era schierata contro
l’imperatore a favore dell’ultimo duca Sforza139.
3. Pure et sine curiositate: la committenza seriale
dei Minori osservanti e il cantiere di Sant’Angelo
Quando nel luglio 1481, presente il pittore Vincenzo Foppa, il solito
Lorenzo Vimercati consegna a frate Bernardino Caimi le lettere di frate
Angelo da Chivasso per dirimere l’annosa lite tra i terziari e il Luogo pio
della Carità140, lo stesso Chivasso (vicario dell’Osservanza cismontana)
ha già da alcuni anni ottenuto da papa Sisto IV una deroga alle strette
regole di povertà francescana per la decorazione dei conventi; permesso
volto a compiacere le richieste di persone notabiles 141. Se il modulo archi
tettonico delle chiese della Provincia resta invariato e segue il progetto
base ormai standardizzato – le chiese sono tutte costituite da una grande
aula coperta da capriate lignee e da una chiesa interna in quadro con
volta a crociera e coro annesso: i due ambienti sono separati e infram
mezzati da un andito di passaggio centrale e da due cappelle sovrastate da
120
lo sviluppo dell’osservanza francescana e l’aristocrazia milanese
un coro superiore chiuso da un muro verso l’aula dei fedeli –, si apre per
la decorazione dei centri dell’Osservanza minoritica una stagione nuova.
Permane comunque il desiderio dei frati di esercitare una completa su
pervisione della committenza.
Infatti la situazione non sembra cambiata molto rispetto a quando,
nel 1469, contraddicendo le stesse ordinazioni del duca, i frati si riiuta
no di costruire «in volta» l’aula esterna dell’Annunciata di Abbiategrasso
disponendo che sia «fatta ad archoni [grandi archi in muratura che so
stengono il soitto ligneo], a ciò gli possa predicare», ordinando vetrate
«senza igure né altro ornamento» e tagliando corto con Galeazzo assicu
rano che gli ediici saranno belli, ma comunque «convenienti al stato no
stro»142. Qualche tempo dopo, i frati dirottano i danari della commissio
ne di Agostino Beccaria, lasciati per la fattura di un lussuoso monumento
marmoreo da erigersi in San Giacomo a Pavia, usandoli per la dipintura
(utile alla predicazione) del primo tramezzo attestato: quello afrescato
a quattro mani tra l’estate del 1475 e l’autunno del 1476 da Zanetto
Bugatto, Bonifacio Bembo, Vincenzo Foppa e Costantino da Vaprio143.
Resta l’esigenza di non trascendere indulgendo al lusso eccessivo o nella
stravaganza («curiositate»)144. Ad esempio nel 1482 il vicario della Marca,
ma le stesse indicazioni valgono anche per Milano, dispone:
et pertanto non debiate commectere el desegno et ediicio a tali che sono tracti
alle magniicentie et slargamenti [...]; la sancta gloria [...] la quale non sta nella
curiosità et pompa de grandi et belli ediicii contra la simplicità de la regola145.
3.1. I tramezzi afrescati
Il problema relativo alla necessità di una norma nella decorazione
rimanda a quello che resta il capitolo più interessante della committenza
osservante, sottoposto probabilmente al più ferreo controllo dei vicari
provinciali: la realizzazione dei tramezzi afrescati rappresentanti le Storie
di Cristo146. Ovvero delle pitture narranti in capitoli la vita e passione
di Cristo, che ricoprono nella Provincia milanese (e in parte in quelle
bresciane e genovesi) la parete divisoria tra aula dei fedeli e chiesa in
terna; dipinti strettamente funzionali ad essere usati come corredo illu
121
edoardo rossetti
strativo alle celebri prediche dei francescani, specie a quelle quaresimali.
Rispetto al contributo di Alessandro Nova (1983) su questo argomento,
e trascurando gli esperimenti amadeiti (che vanno letti separatamente e
nel loro insieme, almeno per il XV secolo), il panorama degli studi si è
recentemente arricchito di nuovi elementi documentari e monumentali.
Se quello pavese resta il primo esperimento attestato, devono risalire al
1475 circa anche i tramezzi di Novara e Vercelli; l’uno recentemente
riscoperto e da attribuire a Cristoforo Moretti e l’altro anonimo e scom
parso, ma già preso a modello nel 1479 per alcune commissioni locali147.
Le scene rappresentate in «quadretti» variano dalle ventinove di Monza
(148386)148 alle cinque di Caravaggio (1532) e Martinengo (sec. XVII);
casi estremi, questi ultimi della vicenda. Quasi sempre la crociissione
occupa uno spazio maggiore, quello di quatto riquadri piccoli, salvo che
a Lugano (1529): qui, com’è noto, Luini rompendo con la tradizione in
nova scomponendo il sistema di partiture delle scene facendole conluire
in un unico spazio dipinto.
I nomi degli artisti autori delle opere sopravvissute sono Giovanni
Martino Spanzotti, Gaudenzio Ferrari e Bernardino Luini; tutti pittori
che nei rispettivi ambiti cronologici e territoriali costituivano l’eccellenza
tra le scelte possibili. A questi nomi si aggiunge quello, sempre illustre,
di Vincenzo Foppa: scelto, assieme ad un compagnia di pittori, per Pavia
e molto probabilmente autore del tramezzo di Milano149. Questi dati
sembrano far pensare che per le vistose pareti dipinte i francescani aves
sero derogato molto ai propri canoni di semplicità. Bisogna però tenere
conto – restando nei pochi casi in cui è noto il nome di un autore – che
ad Erba (1524) sono scelti i fratelli Silla di Angera, pittori per ora quasi
sconosciuti, cresciuti nella bottega del valente Pietro da Velate, ma pro
babilmente non degni di entrare nel gotha dell’arte lombarda150, e per
Bergamo lavora Jacopino dei Scipioni d’Averara151: quest’ultimo pittore
coinvolto spesso nelle commissioni dell’ordine, capace di imitare a trat
ti Foppa, ma comunque provinciale. D’altra parte l’abbattimento della
maggior parte dei tramezzi – che non avviene come a Milano per motivi
bellici, ma per scelta innovativa cosciente – potrebbe indurre a credere
che molte pareti afrescate non fossero realizzate da eccelsi maestri, e
fossero quindi sacriicabili senza rimpianti152.
122
lo sviluppo dell’osservanza francescana e l’aristocrazia milanese
La situazione si complica con l’inizio del XVI secolo, quando ve
rosimilmente si moltiplicano i modelli di riferimento per i tramezzi; a
testimoniarlo sono le committenze di un aristocratico, Battista Visconti
detto il Comparino. Come già accennato, il gentiluomo ordina con il
proprio testamento del 1512 la costruzione di un convento francescano
osservante nella sua terra di Cislago153. Per i particolari decorativi prescri
ve che la parete afrescata sia realizzata secondo il modello di San Bernar
dino a Pallanza: peccato che il primo cenobio non venga mai costruito e
il secondo sia scomparso. L’indicazione è però signiicativa perché rivela,
da un lato, l’esistenza di nuovi modelli, e, dall’altro, che l’illustre proto
tipo di Sant’Angelo (anche se piace ancora molto al francese Pasquier le
Moyne nel 1515) a queste date è ritenuto forse un po’ fuori moda. Solo
un anno dopo Gaudenzio a Varallo innovava ulteriormente il carnet di
scelte iconograiche, come dimostrano anche i rilessi gaudenziani del
tramezzo di Bellinzona154. Dodici anni dopo, nel 1524, anno di peste,
lo stesso Comparino Visconti aida ai fratelli Silla di Angera il compito
di realizzare per Santa Maria degli Angeli a Erba, altro centro dell’Os
servanza francescana, una copia esatta del tramezzo di Santa Maria della
Pace a Milano155. Come è noto ad Erba viene in realtà realizzata una
copia quasi esatta del tramezzo di Luini a Lugano, ma sembra intuirsi
che dopo il 1517 della Ite vos – quando gli amadeiti sono reinseriti nel
l’Osservanza, anche se mantengono la loro autonomia di fatto ino al
1568 – le barriere iconograiche che hanno diviso i dissidenti discepoli di
frate Amadeo dagli ortodossi Minori osservanti siano crollate.
3.2. Il chiostro con le storie di San Francesco e frate Vittore “pictore”
La stessa tensione verso la creazione di norme che permettano di pre
servare i canoni di semplicità pervade, non solo l’esperienza dei tramezzi,
ma anche altre commissioni della provincia milanese. Quando, dal 1485,
gli Osservanti si trovano a disporre dei molti danari lasciati a scopo deco
rativo dalla contessa Lantelmina Secco Vimercati156, sono frate Bernar
dino Caimi e frate Ludovico Borsano ad occuparsi di consegnare a frate
Enrico da Ceresana 200 lire delle 800 previste nel legato «per lo bisogno
del lavorare che se fa a la capella de la prefata quondam magniica» a San
123
edoardo rossetti
Bernardino di Caravaggio157; dimostrando una gestione completamente
fratesca delle commissioni. I dipinti realizzati nella cappella, la prima a
sinistra dedicata alla Vergine, corrispondono appieno ai modelli icono
graici delle Storie di Cristo o della Vergine che i francescani rendono standard durante il decennio precedente; l’aderenza delle pitture realizzate a
questi prototipi degli anni Settanta ha creato non pochi problemi per la
datazione del ciclo di Caravaggio che si dovrebbe comunque attribuire
tutto alla metà degli anni Ottanta158. Forse, sempre a seguito del lasci
to della contessa, è ricostruita e afrescata da Ambrogio Bevilacqua la
facciata del Luogo pio della Carità (erede universale della nobildonna),
forse con qualche licenza in più ai gusti dei deputati159; d’altra parte gli
esecutori testamentari della gentildonna sono Gian Rodolfo Vismara,
Lorenzo Vimercati e prete Antonio della Rovere: tutti esponenti di spic
co dell’ente e anche fabbricieri di Sant’Angelo160.
La situazione potenzialmente più interessante dal punto di vista arti
stico si crea comunque con il lascito di 400 lire destinato a Sant’Angelo
da Lantelmina Secco. Sempre in accordo con le indicazioni di frate Ber
nardino Caimi, ma questa volta anche in esecuzione di esplicite volontà
della Secco e di suo nipote Gian Rodolfo Vismara, parte della somma
è usata tra il 1486 e il 1488 per fare dipingere uno dei chiostri del mo
nastero cum istoria sancti Francisci cum conformitatibus domini nostri Iesu Christi, pure et sine curiositate 161. Sembra di trovarsi di fronte ad una
trasposizione pittorica del De conformitate vitae beati Francisci ad vitam
Domini Iesu di Bartolomeo da Pisa162. Il testo è un classico della memoria
minoritica ormai pienamente fatta propria dagli Osservanti; ampiamen
te circolante in forma manoscritta fuori e dentro i conventi163, è stampato
per la prima volta proprio a Milano nel 1510 (non senza polemiche)164,
a cura di quel frate Francesco da San Colombano referente di Ambrogio
del Maino, Gerolamo Carcano e Battista Visconti per la sistemazione
della loro prestigiosa sepoltura165. Tenuto conto anche dei tempi lunghi
dell’esecuzione del ciclo (tre anni), non si fatica ad immaginare una rea
lizzazione di tutti i quaranta fructus di san Francesco aiancati agli altri
quaranta fructus di Cristo, per un totale di 80 capitoli, distesi campata
per campata, intorno all’enorme chiostro; dipinti pure et sine curiositate,
cioè aderenti al testo e senza inutili licenze decorative. Ad essere rilevante
124
lo sviluppo dell’osservanza francescana e l’aristocrazia milanese
è comunque la scelta del pittore, un certo frate Vittore, confratello di
Sant’Angelo166. È interessante registrare che il frate pittore non doveva
essere un artista operante solo nel chiuso dei conventi francescani, con
siderata la sua attestazione come stimatore di almeno due opere di una
certa rilevanza. Nel 1487 Vittore è chiamato ad esprimere un giudizio
preliminare ai lavori approntati da Matteo de Fedeli alla Camera d’Oro
del palazzo milanese di Gian Giacomo Trivulzio, mentre cinque anni do
po i canonici di Sant’Ambrogio richiedono la sua perizia per valutare una
Madonna realizzata da Giovanni Antonio da Cantù: l’anno è quel 1492
che vede presente in canonica anche Bramante167. È diicile valutare se a
rendere ricercati in ambiti eccellenti i giudizi artistici del frate fosse la sua
bravura come pittore o la iducia che gli Osservanti riscuotevano in città.
Resta pur sempre una coincidenza degna di nota che il religioso venga
chiamato ad operare in due cantieri in cui lavora l’urbinate Bramante, e
sarebbe interessante sapere quale fosse il cognome originario o la regione
di provenienza del frate pittore. Anche se per il momento l’acquisizione
del nome di questo nuovo maestro senza opere non aiuta a dipanare
problematiche artistiche – dopotutto il chiostro come il resto di San
t’Angelo Vecchio è scomparso –, l’attestazione di un frate pittore risulta
interessante per rimarcare il controllo iconograico operato dai religiosi:
a questo punto non solo esercitato verso l’esterno, imponendo agli artisti
dei modelli, ma proveniente direttamente dall’interno, con un’auspicabi
le creazione dei modelli normativi ad opera degli stessi frati pittori168.
Almeno per la miniatura, sono note le opere del francescano osser
vante Antonio da Monza. Attivo non solo a Milano, ma anche a Roma,
è un artista che riesce a far iltrare nei suoi preziosi corali perino i temi
eleganti e profani delle grottesche della neroniana Domus aurea, ma che
per le scene sacre non può fare a meno di aderire ai modelli dell’Osser
vanza minoritica. Così, non sorprende la completa identità dell’Ultima
cena con interferenze foppesche, che frate Antonio minia in una lettera N
staccata e ora conservata alla British Library di Londra, con la medesima
scena afrescata nel 1512 sul tramezzo di Santa Maria delle Grazie a Bel
linzona169; e questo è solo un esempio. Frate Antonio e frate Vittore non
dovevano essere gli unici artisti in qualche modo interni all’ordine, se per
ino un «buonissimo pittore» come Bernardino Butinone diviene, forse (a
125
edoardo rossetti
detta di una fonte di molto posteriore), frate francescano osservante o più
verosimilmente terziario, in tempo per realizzare quattro corali all’An
nunciata della nativa Treviglio «similmente da lui scritti e di bellissime
igure o pitture adornati» e per lasciare traccia della sua attività anche
nei cenobi di Milano, Como e Ivrea170. Anche nel campo dell’edilizia si
hanno attestazioni di frati «architectori»171. Quando i religiosi di Sant’An
gelo relazionano in merito al progetto dell’Annunciata di Abbiategrasso,
richiedono di sapere quale sia il terreno assegnato «in modo che nantii
se partiamo possiamo fare il desegno»172; frase che sembra presupporre la
realizzazione di un progetto architettonico interno. Nel 1491, alla conse
gna della chiesa di Monte Barro, agisce invece come procuratore del Cai
mi «frate Isidoro de Mediolano inziniero»173; magari uno dei progettisti
dei conventi fondati tra anni Ottanta e Novanta del XV secolo174.
Non è possibile sapere se frate Vittore sia stato un valente pittore. Nel
suo resoconto del viaggio milanese risalente al 1515, Pasquier le Moyne
deinisce bien riches painctures gli afreschi che vede dedans le cloistre prochain de la dicte église rappresentanti la vie de Sainct François 175, ma oltre
a questo non si rilevano, per il momento, altri giudizi sui dipinti. Questa
presenza di frati pittori può far pensare ad alcuni afreschi di qualità
non elevata un tempo presenti in Santa Chiara a Milano, databili, forse
a metà degli anni Settanta del Quattrocento, ma nei quali si rileva un
embrionale stato di standardizzazione iconograica, che sembra prepa
rare la strada all’esperienza dei tramezzi; verrebbe da chiedersi se opere
di questo livello qualitativo non eccelso, ma signiicative per stabilire la
cronologia nella formulazione dei modelli, non possano essere attribui
bili alla vocazione artistica dei frati176. In questo novero (ma servirebbe
qualche altra attestazione documentaria) potrebbero inire anche opere
come le Storie della Vergine di San Bernardino a Caravaggio, commissio
nate sempre al seguito del lascito di Lantelmina Secco.
Un’ultima nota relativa al chiostro di Sant’Angelo con le Storie di san
Francesco riguarda la possibilità che si trattasse di pitture monocrome, e
che anche in relazione ai dipinti dei chiostri, si debba prendere in consi
derazione la possibilità di una committenza seriale dei Minori osservanti.
Il Burocco registra infatti per Legnano l’esistenza dei resti di un chiostro,
in parte abbattuto e trasformato nel Seicento in giardino, che «era tutto
126
lo sviluppo dell’osservanza francescana e l’aristocrazia milanese
dipinto con la vita del padre San Francesco a chiaro scuro, ed ancora se
ne veggono alcune»; proseguendo nella descrizione il frate aferma «an
che a miei tempi v’erano li vestiggi con alcune imagini antiche colorite
a chiaro oscuro esprimenti la vita e morte del padre San Francesco»177.
Esisteva dunque anche un chiostro modello istoriato con le scene della
vita del santo fondatore? Come poté inluire il modello di Sant’Angelo
per la fattura di altri cicli pittorici di Storie di san Francesco nei vari ceno
bi della provincia milanese?178 D’altra parte, l’uso del monocromo, oltre
a permettere un contenimento dei costi (e la spesa dei materiali per il
ciclo milanese è veramente irrisoria)179, conciliava l’esigenza decorativa
degli aristocratici inanziatori a quelle di povertà dei frati180. Non solo a
Legnano, e forse a Milano, è attestato nei monasteri l’uso di colori terrosi
e poveri per le pitture. I casi di interventi a grisaille all’interno dei cenobi
francescani osservanti sono ancora da studiare nel loro insieme, ma la
volontarietà della scelta è ad esempio esplicitata nel testamento di frate
Giovanni Casati, che lascia 100 lire (versate nel 1509) per dipingere in
colore viridi le Storie della Vergine nella cappella maggiore della Miseri
cordia di Monte Brianza. Legato puntualmente eseguito in monocromo
con esiti prospettici afascinanti e butinoneschi, per quel poco che si
può leggere dai lacerti di afreschi181. Sempre a monocromo, ma sui toni
dell’ocra, è invece realizzata – comunque seguendo il medesimo sogget
to iconograico delle Storie della Vergine – la decorazione della cappella
maggiore di Santa Maria degli Angeli a Lugano; da datarsi attorno al
1523182. Ad Abbiategrasso, dove invece le Storie della Vergine della cap
pella maggiore sono policrome, non mancano nella chiesa lacerti di santi
inseriti in toni e dipinti in grigio sfumato di verde, mentre per la facciata
dello stesso ediicio sono attestati dipinti in umbra alba 183.
3.3. Appunti per la ricostruzione di Sant’Angelo Vecchio
Le Storie della Vergine nelle cappelle maggiori dei vari conventi ri
portano alla questione, recentemente sollevata, dell’esistenza di un ciclo
normativo anche per questo soggetto; derivato, forse, sempre dalla chiesa
milanese di Sant’Angelo184. Qui la decorazione della cappella maggiore
poteva essere stata inanziata da Chiara Simonetta Sforza, madre di Ip
127
edoardo rossetti
polita Sforza Bentivoglio. Nel sacello erano presenti anche le sepolture
di Giovanni Bentivoglio, destituito signore di Bologna (suocero di Ip
polita), e di Cristoforo Lattuada, vescovo di Glandèves 185. Nelle varie
cappelle maggiori dei centri dell’Osservanza, quindi probabilmente an
che in Sant’Angelo, le Storie della Vergine dovevano essere completate da
un polittico rappresentante l’Assunzione nel comparto centrale e santi
dell’ordine negli scomparti laterali. Tracce di queste ancone, quasi tutte
smembrate tra Sei e Settecento in contemporanea all’abbattimento dei
tramezzi, sono attestate a Legnano186, Lugano187, Maleo188, Melegnano189,
Missaglia190, Treviglio191, ma non si dimentichi, per un riferimento al
l’usanza in area bresciana, lo splendido polittico del Moretto per Gardo
ne Val Trompia. C’è da chiedersi come e quanto queste Assunte abbiano
vincolato la produzione successiva del soggetto e se, forse, l’Assunta di
Luini al Monastero Maggiore, un po’ rétro e commissionata in un ambi
to tutto vincolato a Sant’Angelo, non possa essere una sintesi appena un
po’ aggiornata della Vergine circondata da angeli cara agli Osservanti192.
Più libertà era verosimilmente lasciata agli aristocratici inanziatori
per la sistemazione delle cappelle di patronato famigliare, ma anche qui i
modelli potevano imporsi notevolmente. Per restare nell’ambito del per
duto Sant’Angelo, l’impressione generale è che le cappelle non presen
tassero alcuna decorazione prima degli anni Novanta del XV secolo. Nel
1494 la cappella dello Spirito Santo, costruita da Lancillotto del Maino
almeno un ventennio prima, non era ancora stata decorata: era la iglia
Rossana a incaricare gli eredi di farla dipingere193. La cappella, quella di
destra sotto il tramezzo, era forse abbellita entro la ine del primo decen
nio del Cinquecento con la Pentecoste di Bramantino, mentre all’incirca
negli stessi anni nella cappella Visconti del Corpo di Cristo era forse
sistemata la Deposizione dello stesso autore; due opere che assorbivano in
parte il bagaglio degli stilemi francescani e potevano costituire un nuovo
punto di partenza per le commissioni dell’ordine; come testimoniato dal
tramezzo di Gaudenzio Ferrari a Varallo194. Quella di San Bernardo fatta
costruire da Cicco Simonetta (sicuramente prima del 1479) non era an
cora afrescata nel 1501, quando Elisabetta Visconti – altra nobildonna
legata al luogo pio della Carità – disponeva che fosse eseguito un ciclo
secundum historiam seu legendam visitationis quam fecit beata Maria ma-
128
lo sviluppo dell’osservanza francescana e l’aristocrazia milanese
ter Dei ad beatam Elisabet matrem sancti Iohannis Baptiste 195. La cappella
di Sant’Antonio da Padova, durante gli anni Novanta accoglieva il mo
numento marmoreo della beata Beatrice Casati Rusca ed un’ancona rap
presentante «la beatissima vergine col bambino Giesù nelle braccia e alla
sinistra San Bernardino, colla sua solita tavoletta in mano, e la sudetta
beata Beatrice Ruscona, co’ raggi alla testa vestita da terziaria, ed un duca
genulesso»196. Il sacello di patronato Barbavara dedicato a san Francesco
e san Sebastiano (in linea con l’usanza quattrocentesca di accomunare il
santo di Assisi ai protettori dalla peste) era decorato solo dopo il 1505
con un’ancona rappresentante san Sebastiano, con un afresco in sumitate dicte capelle rappresentante san Francesco e, sulle pareti laterali, con
scene raiguranti i miracoli fatti dai due santi197.
La prima cappella a sinistra entrando in chiesa era invece quella eretta
da Beatrice d’Este Sforza, da non confondere con l’omonima moglie del
Moro198. Dedicata alla Vergine, era dotata di un’ancona realizzata dopo
la morte della nobildonna (1497) dai fratelli de Donati su commissione
di Niccolò da Correggio detto Postumo, iglio di primo letto di Beatrice.
Non si riesce invece a capire quali lavori siano stati realizzati con la gran
quantità di danaro donata ai frati dalla stessa gentildonna mediante un
chirografo; oferta che si sommava al lascito testamentario di oltre 4.000
lire disposto a favore dei fabbricieri di Sant’Angelo con il testamento del
nel 1497199. Ancora nel 1510 gli eredi di Beatrice ricevevano una confessio dai frati per il versamento di 5.380 lire e promettono di consegnare
in più rate altre 4.320 lire200.
Nel contesto della decorazione avviata tra l’ultimo decennio del XV
secolo e il primo decennio del XVI in Sant’Angelo sembra essere rimasta
senza indicazioni sul committente praticamente l’unica ancona certa
mente proveniente dalla vecchia chiesa: la Crociissione attribuita a pittori
di casa Scotto. Non fosse che un documento rinvenuto anni fa da Gra
zioso Sironi e rimasto inedito, sembra gettare nuova luce sulla commis
sione e creare una sorta di interessante punto fermo. Nel novembre del
1499, quando a Milano si sono istallati da un paio di mesi i francesi, i
detentori di crediti gravanti sull’eredità di Filippo Maria Sforza si radu
nano nella Corte dell’Arengo (dove allora risiede Gian Giacomo Trivul
zio) per nominare un procuratore che agisca in loro favore presso il nuo
129
edoardo rossetti
vo governo (erede dei debiti degli Sforza). Tra i postulanti compaiono i
pittori Rafaele, Francesco e Gabriele da Vaprio, ma soprattutto Giovan
ni Stefano e Giovanni Bernardino Scotti201. Non sono speciicati né la
causale, né l’ammontare del debito, ma si rammenti che lo Sforza aveva
commissionato con il suo testamento del 1492 l’erezione di una cappella
in Sant’Angelo nominando come proprio erede ed esecutore il fratello
Ludovico il Moro202. Se questa fosse l’origine del debito si dovrebbe
ro assestare datazione, commissione e paternità della tavola203. Potrebbe
allora conluire in parte nel catalogo dei due fratelli il problematico in
sieme di opere che ruota vacillando intorno al nome di Felice Scotto (il
pittore delle perdute Storie di san Bernardino in Santa Croce in Boscaglia
a Como), cugino di Stefano e Bernardino204. Si confermerebbe inoltre il
legame privilegiato dei pittori Scotto con l’Osservanza francescana (e si
tenga conto che la bottega milanese degli Scotto stava accanto alla sede
della Carità, nella parrocchia di Santa Margherita di Porta Nuova, il
luogo cioè dove operavano prevalentemente i fabbricieri di Sant’Angelo);
sodalizio con i minori facilmente ereditato da quelli che, stando a Lo
mazzo, furono i due discepoli più famosi di Stefano Scotto: Bernardino
Luini e Gaudenzio Ferrari.
Poco o nulla si sa per ora delle altre cappelle della chiesa. Secondo
l’ingegnere francese Pasquier le Moyne dovevano essere dieci disposte sui
due lati dell’aula; a queste si dovevano sommare le due sotto il tramezzo
per un totale di dodici (ma un numero imprecisato di sacelli poteva tro
varsi anche nei chiostri)205. Degni di nota i riferimenti all’isolata cappella
di San Giuseppe, forse la belle lanterne (ediicio a pianta centrale) ricor
data da Pasquier al centro del grande cortile quarré dell’infermeria (circa
metri 57x47). Il complesso dell’infermeria era stato costruito tra il 1485
e il 1492 accanto a Sant’Angelo su terreni donati da Giovanni Filippo
Garbagnati (sepolto con il iglio Edoardo nel sacello di San Giuseppe)
e da Gian Rodolfo Vismara, ed era dotato di un secondo refettorio au
tonomo decorato con un’Ultima cena afrescata. A quest’ultimo dipinto
l’ingegnere francese riserva lo stesso entusiastico giudizio che attribuisce
a quello di medesimo soggetto – il cenacolo vinciano – della domenicana
Santa Maria delle Grazie (la cene de nostre seigneur au bout paincte en plat
bien singulierement)206.
130
lo sviluppo dell’osservanza francescana e l’aristocrazia milanese
Nel 1515, a testimoniare il livello delle licenze decorative che i Mino
ri osservanti si stanno ormai concedendo, è commissionato un enorme
e suntuoso altare marmoreo per Santa Maria del Giardino a Milano. Poi
noto come Madonna del Sasso, l’altare era oiciato per i deputati della
Carità. I rilievi dell’imponente macchina sono stati trasferiti a Vigevano
e costituiscono l’unica pallida immagine dei monumenti marmorei che
contemporaneamente l’aristocrazia lombarda dovette erigere in Sant’An
gelo207. Di questi sepolcri, che pure dovevano esistere, restano perino dal
punto di vista documentario solo poche tracce, se si esclude la testimo
nianza dei beau sepulchers elevez visti da Pasquier208: le attestate commis
sioni dei monumenti di Carlo Sforza (progettato)209, Erasmo e Gaspare
Trivulzio (progettato)210, Giovanni Battista Barbavara (realizzato)211, Ip
polita Sforza Bentivoglio (progettato)212 e di Galeazzo Visconti conte di
Busto (progettato)213, e la provata esistenza del monumento sepolcrale di
Ermes Visconti di Battista214. Unici reperti materiali superstiti provenien
ti da Sant’Angelo Vecchio: il sarcofago di Benedetto Briosco per Beatrice
Casati Rusca, commissionato dalla iglia Antonia Rusca Visconti215, e il
marmoreo Cristo morto sorretto da angeli di fattura bambaiesca216.
Quando Pasquier le Moyne visita Milano al seguito di Francesco I di
Francia, proprio al chiudersi dell’eimera restaurazione sforzesca che ave
va visto il clan degli aristocratici amici dei Francescani osservanti all’apice
del proprio successo politico, Sant’Angelo era diventato, oltre che un luo
go di formazione e di propagazione dei modelli per le committenze seriali
nell’intera provincia, anche un complesso enorme che occupava una su
pericie di circa 60 pertiche (circa 40.000 mq)217 con tre chiese – la mag
giore Santa Maria degli Angeli, la vecchia Sant’Angiolino e una chiesetta
dedicata all’Immacolata Concezione218 –, cinque chiostri, dei quali due
dipinti, l’uno con le storie di San Francesco e l’altro con quelle di San Ber
nardino, la grande infermeria, i vasti giardini e il bosco di castagni plantés
a ligne droicte (come il francese Pasquier non può fare a meno di annota
re)219. Il tutto cinto da un bastione e contornato da un fossato220. Inoltre
per collegare il convento alla città era stata aperta una nuova arteria nella
campagna: si tratta dell’attuale corso di Porta Nuova che, tagliato dopo la
costruzione di Sant’Angelo Nuovo dall’asse di via Moscova, ha segnato il
tracciato del futuro sviluppo urbano di questa porzione di Milano221.
131
edoardo rossetti
La perdita materiale di Sant’Angelo Vecchio, incendiato nel 1516,
saccheggiato nell’inverno tra il 1526 e 1527, e completamente demolito
a metà del XVI secolo, non permette comunque di chiarire compiuta
mente una serie di questioni: che cosa signiicava per l’aristocrazia mi
lanese scegliere Sant’Angelo e in generale i Francescani osservanti? Una
rinuncia completa alla pompa? L’aderenza ad un particolare genere di
spiritualità rigorosa accompagnata da una committenza seriale e rigi
damente controllata? L’avvicinamento ad un ordine religioso che con
la sua presenza reale ed attiva nella società contribuiva alla coesione tra
l’aristocrazia e le proprie ‘clientele’? Certo è che entro il 1521 una i
nanziatrice e committente di rilievo come Ippolita Sforza Bentivoglio
poteva richiedere e ottenere che nella cappella maggiore di Sant’Angelo
i monogrammi bernardiniani consueti fossero alternati alle insignia tam
prefatti consortis mei quam mei 222. La presenza degli stemmi Sforza e Ben
tivoglio nella cappella maggiore della chiesa, accompagnati dalle insegne
Visconti, del Maino, Pusterla, Barbavara, Carcano nelle varie cappelle e
sui monumenti marmorei, dovevano costituire un implicito e forte mes
saggio ai visitatori di Sant’Angelo. E allora, specie a primo Cinquecento,
ino a che punto i frati riuscirono a controllare le scelte dei committenti
e ino a che punto i committenti riuscirono a inluenzare le indicazione
dei frati? E in questo contesto, gli artisti impiegati dai ricchi inanziatori
riuscirono ad avere voce in capitolo o furono semplicemente condizio
nati dai modelli imposti?
Se forse a Sant’Angelo non si riuscì a mantenere del tutto la sempli
ce umiltà richiesta (si rammenti comunque che la relativamente piccola
chiesa di mattoni dipinti dei Minori osservanti non raggiunse mai nem
meno lontanamente la vistosa imponenza di una Certosa di Pavia), l’ansia
di normalizzazione espressa dall’imposizione di realizzare i dipinti pure et
sine curiositate secondo un modello prestabilito riuscì comunque – qui e
negli altri centri dei minori osservanti della provincia – ad imbrigliare, in
modo magistrale e in anticipo sui tempi, il libero rapporto tra devozione
e immagine della società rinascimentale. Fa rilettere, ad esempio, il fatto
che, ancora prima del dilagare delle norme controriformiste, nella peri
ferica campagna vercellese non si possano più realizzare rappresentazioni
della Passione che non siano in qualche modo esemplate sul modello
132
lo sviluppo dell’osservanza francescana e l’aristocrazia milanese
locale del tramezzo di Santa Maria di Biliemme223. E probabilmente non
è un caso il fatto che, distrutta deinitivamente Sant’Angelo Vecchio nel
1551, la nuova fabbrica (sovvenzionata da un altro tipo di élite milanese)
con la luminosa aula voltata a botte, diventi immediatamente un model
lo per le chiese controriformate lombarde e abbia qualcosa da insegnare
anche alla romana chiesa del Gesù224.
133
edoardo rossetti
Si ringraziano, per la segnalazione di documenti e le rilessioni condivise sull’Osservanza
francescana: Laura Andreozzi, Marco Bascapè, Maria Teresa Binaghi Olivari, Stefania Bu
ganza, Carlo Cairati, Elisabetta Canobbio, Giorgio Chittolini, Federico Del Tredici, Davi
de Dozio, Corinna Tania Gallori, Cristina Quattrini, Rossana Sacchi. Riconoscenza parti
colare va a Letizia Arcangeli per aver letto e discusso una versione provvisoria del testo.
Nell’indicare i rami delle famiglie aristocratiche si adottano le denominazioni usate da
Pompeo Litta (Famiglie celebri d’Italia, Torino 1819) e da Felice Calvi (et al., Famiglie notabili milanesi. Cenni storici e genealogici, 4 voll., Milano 18751885), ponendole in corsivo,
a prescindere dalla cronologia.
Abbreviazioni usate
ASMi = «Archivio di Stato di Milano
Burocco, Chronologia = G. B. Burocco, Chronologia Seraphica. Principio e felici progressi de’
frati minori osservanti della Provincia Milanese, 1716 (2 tomi), Biblioteca Francescana
di Sant’Angelo, ms. TXIII014/015 (copia anastatica).
Mosconi, Bs = A. Mosconi, Conventi francescani nel territorio bresciano. Storia, religione,
arte, Brescia 1980.
Mosconi, Lombardia = A. Mosconi, Lombardia francescana, Milano 1990.
Mosconi, Lorenzi, Bg = A. Mosconi, S. Lorenzi, I conventi francescani del territorio bergamasco. Storia, religione, arte, Milano 1983, pp. 2328.
Mosconi, Lorenzi, Co = A. Mosconi, S. Lorenzi, I conventi francescani del territorio comasco.
Storia, religione, arte, in «Periodico della Società Storica Comense», 50 (1983), pp.
167209.
Silvola, Riforma, I = Della minoritica riforma di Milano. Cronica prima composta dal P. F.
Francesco da Treviglio e trascritta dal P. F. Benvenuto da Milano entrambi alunni della
medesima, sec. XVIII, Biblioteca Braidense, ms. AF. XII.9.
Silvola, Riforma, IX = Della minoritica riforma. Cronica nona raccolta e scritta dal P. F. Benvenuto da Milano alunno della medesima, sec. XVIII, Biblioteca Braidense, ms. AF. XII.13.
«AL» = «Arte lombarda»
«ASL» = «Archivio storico lombardo»
ASOM = Archivio Storico dell’Ospedale Maggiore di Milano
ALPE = Archivio Luoghi Pii Elemosinieri di Milano
«AFH» = «Archivium franciscanum historicum»
134
lo sviluppo dell’osservanza francescana e l’aristocrazia milanese
1. La situazione degli studi sulla Provincia dei Minori osservanti di Milano non è poi
molto dissimile da quella evidenziata da Giovanni Grado Merlo (Le primitive sedi subalpine
dell’Osservanza, in Tra eremo e città. Studi su Francesco d’Assisi e sul francescanesimo medievale, Assisi 2007, pp. 465490, particolarmente alle pp. 465466) per la «patria Pedemonta
na»; anzi, forse, più disastrosa: le cronache settecentesche agiograicocelebrative (Burocco
e Silvola) non sono a stampa e sono anzi suddivise tra le biblioteche Ambrosiana, Braidense
e Francescana di Sant’Angelo (A. Mosconi, I cronisti delle province osservante e riformata di
Milano: P. Bernardino Burocco da Monza († 1746) e P. Benvenuto Silvola da Milano (†1778),
in «AFH» 71, 1978, pp. 130149; A. Mosconi, Ritrovati alcuni scritti del P. G.B. Burocco,
cronista della Provincia Osservante di Milano, in «AFH», 76, 1983, p. 354); numerosi sono
gli interventi di Paolo Maria Sevesi e Anacleto Mosconi (ambo O.F.M.) sui singoli ceno
bi o sui conventi francescani nelle attuali provincie amministrative della Lombardia, ma
mancano sia uno sguardo complessivo sulla provincia nella sua struttura quattrocentesca
sia raccolte documentarie e studi completi sui singoli conventi; rari i contributi monogra
ici di storia locale (Il convento di Santa Maria della Misericordia in Missaglia, a cura di S.
Pirovano, Missaglia [Lecco] 2003; da integrare con alcune preziose notizie documentarie in
V. Longoni, Umanesimo e Rinascimento in Brianza. Studi sul patrimonio culturale, Milano
1998, pp. 142151). Nel panorama scarno degli studi fanno eccezione Varallo e Ivrea (per
i quali non è possibile riassumere qui la bibliograia, legata soprattutto alla presenza dei bei
tramezzi afrescati), nonché l’Annunciata di Abbiategrasso (Rinascimento ritrovato. La chiesa
e il convento di Santa Maria Annunziata ad Abbiategrasso, a cura di P.L. De Vecchi e G.
Bora, Milano 2007), che vanta ora anche un volume monograico con una ricca raccolta di
documenti (Il convento dell’Annunziata di Abbiategrasso, a cura di M. Comincini, Abbiate
grasso [Milano] 2006). Si attende a breve, da parte svizzera, la pubblicazione di un volume
monograico su Santa Maria delle Grazie di Bellinzona, a cura di Giuseppe Chiesi. Una
ricerca che apporti novità documentarie non può partire dall’analisi di quanto resta del
l’archivio di Sant’Angelo, inutilizzabile non solo per i problemi tipici della conservazione
documentaria dell’ordine, ma soprattutto per la quasi completa assenza di materiale signi
icativo riferibile a prima dell’incendio del 1527 (come risulta dall’inventario settecentesco
dell’archivio, ASMi, Registri del Fondo di Religione, 34). Varrebbe la pena di condurre una
ricerca sistematica consultando i mastri del Consorzio dei Terziari francescani e del Luogo
pio della Carità (ALPE) e ripercorrendo le buste del Notarile milanese (fondo sterminato
e non certo agevole, ma ricco) almeno per i notai Francesco Barzi, Confalonieri (Antonio
e Agostino), Sudati (Franceschino, Lancellotto, Leonardo e Salomone) e Antonio Zunico,
tutti relazionati ai terziari e alla Carità, che sono stati consultati solo a campione per que
sto studio; oppure attraverso i notai Francesco Besozzi, Bartolomeo e Francesco Pagani,
ai quali si aidano gli aristocratici inanziatori dei conventi. Questo contributo usa come
fonte principale i testamenti di alcuni aristocratici milanesi su un arco cronologico che
ruota all’incirca tra il 1476 e il 1516 (ovvero dal punto di vista del ducato di Milano, tra
l’assassinio del duca Galeazzo Maria e l’inizio della seconda dominazione francese); in anni
in cui l’Osservanza minoritica ha ormai trovato una propria stabilità e si avvia al deinitivo
riconoscimento istituzionale. Questi testamenti sembrano comunque testimoniare una se
rie di rapporti consolidati – in dai tempi dei primi insediamenti osservanti nel ducato – e
135
edoardo rossetti
strettissimi tra i frati e una parte peculiare dell’aristocrazia milanese e lombarda. I vantaggi e
svantaggi dell’uso dei testamenti come fonte sono noti: in generale si veda Nolens intestatus
decedere. Il testamento come fonte della storia religiosa e sociale, Atti dell’incontro di studio
(Perugia, 3 maggio 1983), Perugia 1985; per il loro uso nello studio dell’osservanza fran
cescana si veda ad esempio G. De Sandre Gasparini, La parola e le opere. La predicazione di
San Giovanni da Capestrano a Verona, in Predicazione francescana e società veneta nel Quattrocento. Committenza, ascolto, ricezione, Atti del II convegno internazionale di studi france
scani (Padova, 2628 marzo 1987), Padova 1995, pp. 101130; per i comportamenti delle
élites sociali (nell’età moderna, ma con ampi afondi sul Quattrocento), M. A. Visceglia, Il
bisogno di eternità. I comportamenti aristocratici a Napoli in Età Moderna, Napoli 1988, pp.
1115; e per una disamina a campione prettamente milanese L. Condini, Un sondaggio fra i
testamenti milanesi del secondo Quattrocento, in «ASL», 117 (1991), pp. 367389.
2. Il testamento recita letteralmente: «item lego et iudico omnibus monasteriis et lo
cis ordinis fratrum Minorum noncupatorum de observantia existentibus sub cura domi
ni vicarii Provintie Mediolani ducatos quatuor»; per Sant’Angelo sono lasciati 200 ducati
(ASMi, Notarile, b. 2975, notaio Francesco Pagani, 12 maggio 1498). Non è possibile
prendere in esame capitolo per capitolo tutti i legati ‘devozionali’ dei vari testamenti che so
no considerati in questo contributo. Il dato signiicativo è la quasi esclusiva presenza di la
sciti ai cenobi dei Minori osservanti; là dove sono favorite altre istituzioni religiose, si tratta
sempre di centri dell’osservanza (i Domenicani di Santa Maria delle Grazie, più raramente
gli Agostiniani dell’Incoronata), ma i lasciti sono sensibilmente inferiori a quelli destinati ai
Francescani osservanti. Quasi completamente assenti i legati all’Ospedale Maggiore o alla
Fabbrica del Duomo di Milano; sovente si legano somme di danaro anche considerevoli
alla chiesa parrocchiale dove ha sede il palazzo milanese del testatore (San Tommaso in
Terramara per Carcano e Visconti, e San Vincenzo al Monastero Nuovo per i del Maino) e
alla chiesa parrocchiale o pievana del centro del contado dove la famiglia esercita il proprio
controllo signorile: Bregnano, Fino Mornasco, Limbiate, Lomazzo per i Carcano; Borgo
franco (ora Suardi in Lomellina) o Limbiate per i del Maino; Cislago, Mezzana e Somma
Lombardo per i Visconti. Sono vistosissime le assenze di legati verso San Francesco Grande
e Sant’Eustorgio, dove pure si trovavano le sepolture della generazione precedente. Una
devozione speciale sembra legare i del Maino al santuario di Santa Maria dei Miracoli di
Alessandria. In più di un testamento si precisa inoltre che in caso di monacazione le iglie
debbano entrare in «religione de observantia»; per l’osservanza al femminile G. Chittolini,
Le Clarisse e le altre. Note sulle Osservanze femminili nei borghi e nelle campagne milanesi
(inizi sec. XV - inizi sec. XVI), in questo volume.
3. Si tenga conto almeno della posizione di Giasone del Maino nello studio pavese; il giu
rista venne sepolto (1519) in San Giacomo alla Vernavola (F. Santi, Giasone del Maino giurista
umanista, in «Bollettino della Società pavese di storia patria», 103, 2003, pp. 1169; F. Santi,
Maino [del] Giasone, in Dizionario biograico degli italiani, 67, Roma 2006, pp. 605607).
4. Al momento del testamento di Ambrogio del Maino Novara si è appena ribellata
agli Sforza, mentre la gestione del convento di Maleo è passata per via ereditaria sotto la
tutela dei Trivulzio.
136
lo sviluppo dell’osservanza francescana e l’aristocrazia milanese
5. L’ospizio e chiesa di Santa Maria di Monte Barro, ricavati presso la chiesa castellana
di San Vittore e consegnati nel 1491 a frate Bernardino Caimi, non sono probabilmente
considerati un vero e proprio convento ino all’insediamento dei riformati (Silvola, Riforma, IX, pp. 545; Mosconi, Lorenzi, Co, pp. 195198; Longoni, Umanesimo e Rinascimento
in Brianza, pp. 7478).
6. Nel testamento di Ambrogio è menzionato frate Bernardino Casati, confessore del
l’aristocratico, incaricato di scegliere con Elisabetta Bossi (consorte di Ambrogio) e Giasone
del Maino delle ragazze della consorteria del Maino da dotare.
7. Il quadro tracciato dal Nova relativo alla difusione del cosiddetto ‘modulo bernardi
niano’ per l’architettura dei conventi – soluzione ediicativa che sta alla base della realizza
zione dei tramezzi – disegna i conini di quella che era la vecchia provincia milanese prima
del distacco della Custodia bresciana (A. Nova, Tramezzi in Lombardia tra XV e XVI secolo:
scene della Passione e devozione francescana, in Il Francescanesimo in Lombardia. Storia e arte,
Cinisello Balsamo (Milano) 1983, pp. 197214, a p. 199).
8. P.M. Sevesi, Tavola capitolare della Provincia dei Minori conventuali di Milano, redatta nel 1498, in «AFH», 24 (1931), pp. 185194.
9. P.M. Sevesi, La Congregazione dei Capriolanti e le origini della provincia dei frati minori della Regolare Osservanza di Brescia, in «AFH», 8 (1914), pp. 119134; G. Chittolini,
Stati regionali e istituzioni ecclesiastiche nell’Italia centro-settentrionale del Quattrocento, in
La chiesa e il potere politico dal Medioevo all’età contemporanea, a cura di G. Chittolini e
G. Miccoli, Torino 1986 (Storia d’Italia Einaudi, Annali, 9), pp. 149193, alle pp. 174
176; S. Fasoli, Da Galeazzo a Ludovico. Lineamenti della politica sforzesca verso l’osservanza
minoritica negli anni di Sisto IV (1471-1484), in «Nuova rivista storica», 82 (1998), pp.
127152, alle pp. 139142 (ora il testo è parzialmente ripubblicato e ampliato in S. Fasoli,
Perseveranti nella regolare osservanza, Milano 2011); G. Andenna, Aspetti politici della presenza degli Osservanti in Lombardia in età sforzesca, in Ordini religiosi e società politica in
Italia e Germania nei secoli XIV e XV, a cura di G. Chittolini e K. Elm, Bologna 2001, pp.
331371, alle pp. 340343; P.M. Sevesi, Il Monastero delle Clarisse in S. Apollinare di Milano
(Documenti sec. XIII-XVIII), in «AFH», 19 (1926), pp. 7699.
10. Secondo il frate Francesco Trivulzio sono tredici i conventi sottratti all’inluenza dei
frati osservanti milanesi e assegnati alla nuova vicaria bresciana (P.M. Sevesi, Il b. Francesco
Trivulzio da Milano dell’Ordine dei Frati Minori, in «Studi francescani», 8, 1936, pp. 18
75, doc. 7, p. 51). Al capitolo generale dell’Aquila del 1496 i centri osservanti del milanese
risultano appunto ventisette e diciannove quelli della Provincia bresciana (Mosconi, Lombardia, p. 91). Per l’esclusione di Santa Maria del Monte Barro dal novero dei conventi si
veda supra, nota 5.
11. Le fondazioni osservanti arricchiscono quindi – specie nella diocesi di Milano dove
i centri sono dodici sui ventiquattro totali – un sistema di insediamenti già capillare; forse
il più itto in Italia (M. Pellegrini, Frati minori e ‘Lombardia’ nel secolo XIII, in Il Francescanesimo in Lombardia, pp. 5359, a p. 58).
137
edoardo rossetti
12. La chiesa milanese di Santa Maria degli Angeli o Sant’Angelo Vecchio costruita in
riva alla Martesana in un’area esterna ai sestieri di porta Comasina e Nuova, incendiata nel
1516 e nel 1527, è completamente demolita nel 1551. In generale sull’ediicio quattrocen
tesco si vedano A. Mosconi, F. Olgiati, Chiesa di S. Angelo dei Frati Minori. Guida storicoartistica, Milano 1972; Z. Grosselli, Documenti quattrocenteschi per la chiesa e il convento di
S. Angelo di Milano, in «AL», 64 (1983), pp. 104108; L. Patetta, L’architettura del Quattrocento a Milano, Milano 1987, pp. 6266; Mosconi, Lombardia, pp. 9597; L. Andreozzi,
D. Mirabile, Nuovi spunti di indagine su Sant’Angelo Vecchio a Milano, in «Solchi», 7 (2003),
pp. 8285. Un’ampia sezione dedicata a Sant’Angelo Nuovo, ma con riferimenti al Vecchio,
compare ovviamente in Burocco, Chronologia, f. 462.
13. R. Cobianchi, he Franciscan Observant Foundations in the Province of Bologna (c.
1430-c. 1492). Identity and Urban Setting, in «Franciscana», 9 (2007), pp. 185204, a p. 189.
14. Mosconi, Lorenzi, Bg, pp. 2328; Mosconi, Bs, pp. 3234; Mosconi, Lombardia,
pp. 9899; V. Frati, Gli osservanti a Brescia e la fondazione del convento di S. Giuseppe, in Il
francescanesimo in Lombardia, pp. 437447.
15. Monasteri Lodigiani. Monasteri francescani di Lodi e territorio. Minori osservanti, in
«Archivio storico per la città e i comuni del circondario e della diocesi di Lodi», 44 (1925),
fasc. 1, pp. 1634; ibidem, fasc. 2, pp. 4450; E. Granata, Insediamenti e conventi francescani
a Lodi, in Il francescanesimo in Lombardia, pp. 331343, a p. 338.
16. Per Parma e Cremona, si veda Cobianchi, he Franciscan Observant Foundations,
pp. 189190.
17. A. Rovi, Chiese e conventi francescani a Como: S. Francesco, S. Croce e S. Donato, in Il
francescanesimo in Lombardia, pp. 297317; Mosconi, Lorenzi, Co, pp. 185190; Mosconi,
Lombardia, pp. 101102; e il contributo di Elisabetta Canobbio in questo volume.
18. Sulle vicende storicoartistiche del cenobio novarese si attende la pubblicazione
della tesi di Beatrice Bentivoglio Ravasio (Gli afreschi della cappella di San Gerolamo nella
chiesa di San Nazzaro alla Costa in Novara, tesi di dottorato, Università degli Studi di Tori
no, relatori M. Boskovits, G. Romano, 2001, particolarmente pp. 136).
19. L. Carrer, S. Maria di Biliemme a Vercelli: vicende costruttive e strutture architettoniche superstiti del complesso conventuale, in «Bollettino storico vercellese», 38 (2009), n. 73,
pp. 550.
20. A. Casini, La provincia di Genova dei frati Minori dalle origini ai giorni nostri, Chia
vari (Genova) 1985, pp. 231232.
21. Caso a parte quello di Tortona, sempre intra ducato, ma extra Provincia; qui il
vescovo locale assegna verso il 1428 una chiesa isolata a circa 10 km dalla città (Casini, La
provincia di Genova dei frati Minori, p. 225).
22. Solo a Lodi nel 1534, ma il caso è troppo tardo e atipico, Clemente VII e il duca
Francesco II Sforza faranno sloggiare i conventuali dall’antica sede di San Francesco per al
138
lo sviluppo dell’osservanza francescana e l’aristocrazia milanese
loggiarvi gli Osservanti privati del loro cenobio fuori porta a causa delle devastazioni legate
alle guerre d’Italia (si cfr. supra nota 15).
23. Mosconi, Lorenzi, Bg, pp. 2933; Mosconi, Lombardia, pp. 102103.
24. Mosconi, Lombardia, p. 103.
25. Mosconi, Lombardia, p. 106.
26. Mosconi, Lombardia, p. 95.
27. Mosconi, Bs, pp. 3435; Mosconi, Lombardia, p. 100.
28. Mosconi, Bs, pp. 3840; Mosconi, Lombardia, p. 106.
29. M. Facchinelli, M. Fasser, G.P. Treccani, I conventi francescani in valle Camonica (tipologie architettoniche), in Il francescanesimo in Lombardia, pp. 371402, a p. 386; Mosconi,
Bs, pp. 4142; Mosconi, Lorenzi, Bg, pp. 3738; Mosconi, Lombardia, p. 103.
30. Mosconi, Lombardia, p. 105.
31. Mosconi, Bs, pp. pp. 4447; Mosconi, Lombardia, pp. 107108.
32. Mosconi, Bs, pp. 4243; Mosconi, Lombardia, pp. 109110.
33. Mosconi, Bs, pp. 4950; Mosconi, Lombardia, p. 110.
34. Mosconi, Bs, pp. 5052; Mosconi, Lombardia, p. 113.
35. Le. Pellegrini, Lo sviluppo dell’Osservanza minoritica (1368-1517), in I Francescani
nelle Marche (secc. XIII-XVI), a cura di Lu. Pellegrini e R. Paciocco, Cinisello Balsamo
(Milano) 2000, pp. 5465, a p. 63.
36. Lo scarso interesse dei frati milanesi per le fondazioni in area sabauda è notato
anche in Merlo, Le primitive sedi subalpine, p. 469.
37. Il cenobio è l’unico ad essere dotato di un’articolata relazione propria: G.B. Buroc
co, Descrittione del convento di Santa Maria delle Grazie dei minori osservanti fabricato fuori
delle mura di Monza, Biblioteca Ambrosiana (Milano), ms. I 129 sup.; C. Aguilhon, Chiesa
di Santa Maria delle Grazie dei Minori Osservanti in Monza e suoi monumenti, Biblioteca
Ambrosiana (Milano), Fondo Achille Varisco, ms. N. I. 9 (79) inf. (post 1870ante 1878);
A. Mosconi, I francescani e la Madonna delle Grazie a Monza, Brescia 1972; R. Cara, Ricerche sull’arte del Rinascimento a Monza, tesi di laurea, Università degli studi di Milano, facol
tà di Lettere e ilosoia, relatore G. Agosti, a.a. 20042005, pp. 5461. Ora per il complesso
monzese si veda anche G.M. Campini, Chiese di Monza, del suo territorio e della sua Corte
(1773), a cura di R. Cara, Milano 2011, pp. 5964, 242254.
38. In relazione all’intervento della contessa Luchina Bussoni Dal Verme, che acquista
nel 1455 per i frati di Voghera (già installatisi forse attorno al 1440 nella dismessa chiesa
di San Michele) il terreno sul quale vengono costruiti il convento e la chiesa di Santa
139
edoardo rossetti
Maria delle Grazie, M. Manni, I conventi francescani di S. Maria delle Grazie e della Pietà
in Voghera, Casteggio (Pavia) 1922, pp. 179187; Idem, Memorie storico-biograiche della
Provincia di San Diego in Piemonte, Varallo 1945, pp. 179187; “Beatissime pater”. I “registra
supplicationum” di Pio II (1458-1464), a cura di E. Canobbio e B. Del Bo, Milano 2007,
doc. 147, p. 59, doc. 244, p. 95. Riguardo al ruolo giocato dagli Sforza di Santa Fiora a
Castell’Arquato, trasformando in convento osservante un ex cenobio benedettino, Memorie
istoriche delle chiese e dei conventi dei Frati Minori dell’osservante e riformata provincia di
Bologna raccolte ed in tre tomi divise da Flaminio di Parma, Parma 1760, III, pp. 4967.
Si rammenti anche il ruolo della stessa famiglia nella fondazione del luogo di Santa Fiora
(A.M. Amonaci, Conventi toscani dell’Osservanza Francescana, Milano 1997, p. 229).
39. Insieme a questi conventi è fondato anche il convento di Santa Maria degli An
geli a Gardone Val Trompia (progettato però diversi anni prima: Mosconi, Bs, pp. 3638;
Mosconi, Lombardia, pp. 114115), poi passato alla Provincia bresciana; si cfr. Burocco,
Chronologia, f. 152153 (Legnano); Silvola, Riforma, I, p. 87 (Varese); Silvola, Riforma,
IX, pp. 297298 (Pallanza); P.M. Sevesi, Il convento di S. Angelo di Legnano (S. Maria degli
Angeli), in «AFH», 21 (1928), pp. 104126, alle pp. 105106 e doc. VI.
40. W. Bogni, L’insediamento francescano a Varese (secoli XIII-XIV), in Il francescanesimo
in Lombardia, pp. 8992.
41. Sull’Annunciata di Soncino, Burocco, Chronologia, f. 170171, ma anche A. Mo
sconi, I conventi francescani nel territorio cremonese. Storia, religione e arte, Brescia 1981, p.
38; e R. Sacchi, Il disegno incompiuto. La politica artistica di Francesco II Sforza e di Massimiliano Stampa, Milano 2005, vol. I, pp. 124133. Per Tristano Sforza, iglio illegittimo
del duca Francesco, e la moglie Beatrice d’Este, iglia illegittima del marchese Niccolò, già
vedova di Niccolò da Correggio e madre del poeta Niccolò da Correggio detto Pustumo, A.
Giulini, Di alcuni igli meno noti di Francesco I Sforza duca di Milano, in «ASL», 43 (1916),
pp. 2952, particolarmente pp. 4346 e note; Andreozzi, Mirabile, Nuovi spunti di indagine, pp. 8285. I legati testamentari di Tristano verso i Francescani osservanti di Sant’Angelo
e dell’Annunciata di Soncino sono consistenti (a Sant’Angelo sono destinati 300 ducati
annui per dodici anni e al convento di Soncino 1.200 lire imperiali); comunque, come
speciicato nei documenti di ricevuta rilasciati dai frati agli eredi, il denaro è indirizzato non
solo alla costruzione e decorazione dei conventi, ma soprattutto al mantenimento dei molti
religiosi in essi residenti (ASMi, Notarile, b. 1870, notaio Antonio Zunico, 9 marzo 1489;
ibidem, b. 2737, notaio Giovanni Bernardo Bienati, 30 luglio 1487; ibidem, b. 2738, 11
aprile 1489). A Beatrice, vera sostenitrice a oltranza degli Osservanti, si fa più volte cenno
nel prosieguo di questa ricerca.
42. Cfr. supra nota 9.
43. Per San Bernardino si veda l’interessante dattiloscritto conservato presso la Biblio
teca Civica di Caravaggio (ospitata nel dormitorio dell’antico convento) di I. Pi Brillas, San
Bernardino di Caravaggio. Storia e arte in un convento francescano, 1987.
44. Mosconi, Lorenzi, Co, pp. 191194.
140
lo sviluppo dell’osservanza francescana e l’aristocrazia milanese
45. Gli Osservanti non aiancano invece i Conventuali, ad esempio, nell’insedia
mento nell’importante borgo di Cantù, sede dal XIII secolo di un convento dedicato
a san Francesco e beneiciario nel 1482 di un legato di Filippo Maria Visconti di Fon
taneto (R. Mambretti, Gli insediamenti francescani nel territorio della custodia di Monza
(secoli XIII-XIV), in Il francescanesimo in Lombardia, pp. 8188, alle pp. 8788; Mosconi,
Lorenzi, Co, pp. 180181). In questo caso, la nobiltà locale brianzola (Carcano, Casati,
Carpani, Parravicini) – estranea ai meccanismi borghigiani di Cantù – sovvenziona invece
gli insediamenti nuovi di Erba, Montebrianza (Contra) e Cermenate. La stessa mancata
di duplicazione, sempre per considerare i borghi di una cerca consistenza, si registra a
Saronno – dove resta esclusiva la presenza dei Conventuali – e a Gallarate, dove comun
que per disposizione testamentaria del solito Gian Rodolfo Vismara (1492) si fonda solo
un ospizio dipendente da Legnano (Burocco, Chronologia, f. 158). Per la demograia di
questi centri e per il rapporto tra i borghi e il notabilato locale si veda F. Del Tredici, Comunità, nobili e gentiluomini nel contado di Milano del Quattrocento, tesi di dottorato di
ricerca, XXI ciclo, Università degli Studi di Milano, a.a. 20062008, tutor G. Chittolini
(ora in corso di stampa).
46. G. Andenna, Gli ordini mendicanti, la comunità e la corte sforzesca, in Metamorfosi
di un borgo. Vigevano in età visconteo-sforzesca, Atti del convegno (Vigevano, 30 settembre
1 ottobre 1988), a cura di G. Chittolini, Milano 1992, pp. 145191, particolarmente pp.
175179 (per la reazione dei ‘conventuali’ pp. 179180); M. Rizzini, Architettura francescana a Vigevano tra i secoli XIV e XV, in Metamorfosi di un borgo, pp. 325353, alle pp.
347353; M. Comincini, La storia, in Il convento dell’Annunziata di Abbiategrasso, pp. 9
104, alle pp. 3536; C. Silva, La chiesa e il convento di Santa Maria delle Grazie dei Minori
Osservanti, in «Viglevanum», 19 (2008), pp. 94104; C. Quattrini, in Splendori di corte.
Gli Sforza, il Rinascimento, la città, Catalogo della mostra (Vigevano, 3 ottobre 200931
gennaio 2010), Milano 2009, p. 126.
47. G. Andenna, “L’opportunità persa” ovvero La residenza ducale di Galliate nel secondo
Quattrocento, in Vigevano e i territori circostanti alla ine del Medioevo, a cura di G. Chitto
lini, Milano 1997, pp. 341365, alle pp. 352353.
48. P.M. Sevesi, Santa Maria della Misericordia in Melegnano, Melegnano (Milano) 1932.
49. Anche se per la fondazione di Erba, Montebrianza, Bellinzona e Maleo (ma nel
documento è menzionata anche Vercelli) si è fatto tendenzialmente riferimento al breve di
Innocenzo VIII indirizzato al vicario Francesco Trivulzio nel 1486, risulta che i progetti di
tutti questi monasteri fossero già avviati da tempo. Nel 1483 sono lasciati da Melchiorre
Lampugnani (frate Seraino in Sant’Angelo) 100 iorini pro faciendum et ad faciendum il
monastero di Erba (S. Gatti, Il testamento di fra Seraino Lampugnani: un lascito per la costruzione di S. Maria degli Angeli presso Erba, in «Archivi di Lecco e della provincia. Rivista
di storia e cultura del territorio», 31, 2008, n. 3, pp. 8189), mentre l’anno seguente (1484)
Gabriele Boisio (frate Gabriele in Sant’Angelo) lascia 10 iorini per due anni a ciascuno dei
cenobi di Erba e della Misericordia di Contra noviter inceptis (ASMi, Notarile, b. 1229,
notaio Lancellotto Sudati, 10 aprile 1484). Per Bellinzona i progetti risalgono al 1480 (G.
141
edoardo rossetti
Chiesi, “Fiat conventus”. S. Maria delle Grazie e i Francescani a Bellinzona nel tardo Quattrocento, in c.d.s.). Su Maleo, Burocco, Chronologia, f. 190; M. Marubbi, Per la ricostruzione
del polittico di Maleo di Marco d’Oggiono, in «AL», 7375 (1983), pp. 98107.
50. L’iniziativa è della popolosissima consorteria dei Crivelli, ma anche della famiglia
Boisio (chissà se parenti di frate Gabriele di Sant’Angelo citato nella precedente nota), e
può circoscriversi agli anni 1486 e 1495 (Comincini, La storia, pp. 3640).
51. P. Valugani, A. Mosconi, Cermenate e i francescani. Note storiche, Cermenate (Co
mo) 1967; e soprattutto il contributo di Elisabetta Canobbio in questo volume.
52. Il convento è dedicato a san Francesco e fondato su iniziativa di un Vimercati
(Burocco, Chronologia, f. 216223). La dedicazione diferisce da quella dei centri quattro
centeschi e segna l’ormai deinitiva e completa acquisizione da parte degli Osservanti della
tradizione francescana.
53. Ad accomunare la situazione dei conventi fondati alla ine degli anni Sessanta è pro
prio (oltre alla forma della struttura architettonica) la tempistica rapida della realizzazione,
che avviene per tutti all’incirca in quattro o cinque anni: l’Annunciata di Abbiategrasso è
fondata nel 1469 e terminata nel 1472 (Comincini, La storia, pp. 1422); per la chiesa con
la medesima dedicazione eretta a Varese la prima pietra è posta il giorno 15 agosto 1468 e
l’ediicio è consacrato il giorno 8 luglio 1472 (Silvola, Riforma, IX, pp. 8793); a Pallanza
l’appezzamento di terra è donato il 10 aprile 1468 e la chiesa è consacrata il 31 maggio 1472
(ibidem, pp. 297303); a Legnano la donazione dei terreni su cui sorge il cenobio risale al
12 novembre 1468 e la struttura è consegnata il 1 maggio 1471 a frate Cristoforo Piccinelli
(Burocco, Chronologia, f. 152153; Sevesi, Il convento di S. Angelo di Legnano, pp. 105106).
Più lenti i tempi di costruzione per Vigevano (cfr. supra nota 46) e Soncino; l’ediicazione di
quest’ultimo centro dura almeno un decennio stando a Burocco (Chronologia, f. 171).
54. Il duca impone: «et sopra tutto che ’l sia facto in brevissimo tempo» (Comincini,
La storia, p. 17).
55. Per rilettere sui tempi lunghi di realizzazione: San Bernardino a Caravaggio fonda
ta nel 1472 è consacrata il 5 aprile 1489 (Silvola, Riforma, IX, p. 119) e il tramezzo a cinque
scomparti è datato 1531; la Misericordia di Contra è fondata nei primi anni Ottanta, con
sacrata il 14 gennaio 1498 (Burocco, Chronologia, f. 180) e la cappella maggiore è afrescata
dopo il 1509 (infra nota 181); le Grazie di Bellinzona principiate nel 1480 sono consacrate
il 5 settembre 1505 (Burocco, Chronologia, f. 188) e il tramezzo risulta in lavorazione nel
dicembre del 1512 (infra nota 154); Santa Maria degli Angeli di Lugano è fondata uicial
mente nel 1499 e consacrata il 26 luglio 1515 (Silvola, Riforma, IX, p. 242), la cappella
maggiore è afrescata verso il 1523 e Luini realizza il tramezzo nel 1529 (infra nota 182). Si
protrae per molti anni anche il completamento dei cantieri iniziati prima del lustro 1468
1472; un caso per tutti quello dell’Annunciata di Treviglio costruita su terreni donati il 12
marzo 1441 e consacrata dopo ventiquattro anni il 15 settembre 1465 (Silvola, Riforma, I,
p. 113). Per la realizzazione tardiva delle decorazioni pittoriche si tenga comunque conto
che anche all’Annunciata di Abbiategrasso, costruita in tempi rapidi, la cappella maggiore si
142
lo sviluppo dell’osservanza francescana e l’aristocrazia milanese
afresca solo nel 1518 (come risulta dalla data presente sui dipinti) e si potrebbe pensare che
i ricchi apparati realizzati nel Cinquecento siano il risultato dell’abbandono di una comple
ta austerità e di un diverso approccio dei frati verso la decorazione delle loro chiese.
56. Le scansioni della tempistica insediativa della Provincia milanese sono quindi assai
diverse rispetto a quelle registrate in Toscana, dove gli anni dal 1450 al 1480 segnano una
battuta di arresto nell’espansione dell’ordine (Amonaci, Conventi toscani dell’Osservanza
Francescana, pp. 33, 5659), o nella Provincia bolognese: qui gli anni 14611500 sono
caratterizzati da un rallentamento nella fondazione di nuovi insediamenti (Cobianchi, he
franciscan observant foundations, pp. 191192).
57. Andenna, Gli ordini mendicanti, p. 178, nota 120. Si cfr. anche Burocco, Chronologia, f. 93.
58. A. Calufetti, I vicari provinciali dei Frati Minori della Regolare Osservanza di Milano
dal 1428 al 1517, in «AFH», 72 (1979), pp. 336, alle pp. 3031.
59. ASMi, Notarile, b. 2924, notaio Bartolomeo Pagani, 28 novembre 1511.
60. Riguardo alle situazioni creatasi durante la fuga verso Trento dei quattro si veda S.
Meschini, La Francia nel ducato di Milano. La politica di Luigi XII (1499-1512), Milano
2006, I, pp. 148149, 157, 160161. È opportuno rammentare che a quanto pare sul
campo di Novara nell’aprile del 1500 doveva essere consistente la presenza di Francescani
(ma non è speciicato se Osservanti o Conventuali) tra le ile degli sforzeschi, «parce que
plusieurs cordeliers estoyent en son armée [del Moro] servans de chappelains et confesseu
rs», tanto che il duca decise in un primo tempo di fuggire travestito con il saio francescano
(Le panegyric du chevalier sans reproche ou Memoires de La Tremoille, par Jean Bouchet, Paris
1826, p. 438). Da sottolineare che il giovane Gerolamo Carcano, il maturo Ambrogio del
Maino e l’anziano Battista abitavano in tre palazzi siti a pochi metri l’uno dall’altro: quelli
Carcano e Visconti nel territorio della parrocchia di San Tommaso in Terramara di porta
Comasina e quello del Maino sotto la giurisdizione parrocchiale di San Vincenzino al Mo
nastero Nuovo e con l’afaccio principale sulla contrada del Maino (via Camperio), l’asse
dei cortei ducali (E. Rossetti, La città cancellata. Gli interventi del principe, gli spazi urbani e
le residenze aristocratiche nella Milano di Ludovico il Moro, in c.d.s.). Alle ainità parentali e
a quelle politiche si univa a stringere il vincolo anche il rapporto di vicinia e vicinato, ricon
fermato anche dall’uso dei medesimi notai Besozzi e Pagani, abitanti nello stesso quartiere.
61. A favore dell’ipotesi del riuso in questo senso della cappella dello Spirito Santo
concorrono vari dati. I igli di Rossana del Maino (cugina di Ambrogio della quale si fa più
volte menzione di seguito), Guarnerio e Giovanni Castiglioni rinunciano al patronato della
cappella di Sant’Angelo: da loro dipende il mantenimento della cappella di San Giovanni
Battista in San Francesco Grande dove sono sepolti il bisnonno Carmagnola e il nonno
Guarnerio seniore (Patetta, L’architettura del Quattrocento, p. 78); testando in giovane età
Guarnerio iuniore dispone di farsi costruire in dal 1496 una cappella nell’amadeita Santa
Maria della Pace (ASMi, Notarile, b. 1940, notaio Antonio Bombelli, 3 luglio 1496); Gio
vanni si fa inumare invece in Santa Maria delle Grazie in primo claustro versus capellam San-
143
edoardo rossetti
cte Coronae (A. Aldeni, Il ‘Libellus Sepulchrorum’ e il piano progettuale di Santa Maria delle
Grazie, in «AL», 67, 1983, pp. 7092, a p. 91). Inoltre nell’ultimo testamento di Rossana
del 1495 sono ignorate tutte le disposizioni precedenti sulla decorazione della cappella (che
compaiono invece in quello del 1494), forse sintomo di un deinitivo controllo da parte del
cugino Ambrogio del Maino sul sacello dello Spirito Santo (ASMi, Notarile, b. 1940, no
taio Antonio Bombelli, 5 settembre 1495). Nel 1539 Gerolamo Carcano (che è comunque
nipote ex sorore di Rossana), ultimo sopravvissuto dei quattro amici, si assume l’onere del
restauro proprio della cappella dello Spirito Santo, quella di destra sotto il tramezzo dove
ancora dispone di farsi seppellire nel 1541 (ASMi, Notarile, b. 10761, notaio Giacomo An
tonio Carcano, 9 gennaio 1541), assegnando i lavori al pittore Francesco Pessina; a stimare
i dipinti è quel Gaudenzio Ferrari che dopo aver realizzato il tramezzo di Varallo, con la
sua presenza in Sant’Angelo (per la cappella Gallarati realizza il Martirio di santa Caterina
d’Alessandria ora a Brera) e in Santa Chiara (dove dipinge il trittico per l’altare maggiore con
la Madonna in trono col Bambino, santa Chiara e sant’Antonio; e anche qui la commissione
potrebbe essere Carcano per la presenza delle sue sorelle di Gerolamo nel cenobio, P.M.
Sevesi, Le clarisse di Milano e il monastero di S. Chiara, Milano 1930, pp. 136138), sembra
essere diventato il pittore di iducia dei Francescani osservanti milanesi (G. Colombo, Vita
ed opere di Gaudenzio Ferrari pittore, con documenti inediti, Roma 1881, pp. 193194, doc.
XXI a pp. 340341; M. Ferro, Un’ancona milanese di Gaudenzio, in «Paragone», 36, 1985,
fasc. 419423, pp. 157163; R. Sacchi, Gaudenzio Ferrari a Milano: i committenti, la bottega,
le opere, in «Storia dell’arte», 67, 1989, pp. 201218). Battista Visconti nei suoi testamenti
del 1504, 1510 e 1514 dispone laconicamente di essere sepolto in Sant’Angelo in cappella
mea e fornisce speciiche solo per il completamento della cappella paterna nella stessa chiesa
(si cfr. infra nota 76), mentre non si è ritrovato il testamento di Gaspare di Azzone Visconti,
già morto nel 1507. Per l’ipotesi che dalla cappella dello Spirito Santo di Sant’Angelo pro
venga la Pentecoste di Bramantino conservata ora nella chiesa di Santo Stefano a Mezzana di
Somma Lombardo (fatta costruire da Battista Visconti), si veda E. Rossetti, “Chi bramasse
di veder il volto suo ritratto dal vivo”. Ermes Visconti, Matteo Bandello e Bernardino Luini:
appunti sulla committenza artistica al Monastero Maggiore, in «ASL», in c.d.s.
62. Non ancora presente ad esempio in Andenna, Aspetti politici, pp. 346347.
63. Sul ceto magnatizio, G. Chittolini, Infeudazioni e politica feudale nel ducato visconteo-sforzesco, in La formazione dello stato regionale e le istituzioni del contado. Secoli XIV e XV,
Torino 1979, pp. 36100; L. Arcangeli, Gentiluomini di Lombardia. Ricerche sull’aristocrazia padane del Rinascimento, Milano 2003 (specie l’Introduzione); L. Arcangeli, Alle origini
del consiglio dei sessanta decurioni: ceti e rappresentanza a Milano tra Massimiliano Sforza e
Francesco I di Valois (maggio 1515-luglio 1516), in Con la ragione e col cuore. Studi dedicati
a Carlo Capra, a cura di S. Levati e M. Meriggi, Milano 2008, pp. 3375, specialmente pp.
6065; M. Gentile, Aristocrazia signorile e costituzione del ducato visconteo-sforzesco. Appunti
e problemi di ricerca, in Noblesse et États princiers en Italie et en France au XV e siècle, Actes du
colloque de Rome (2627 novembre 2003), a cura di P. Savy e M. Gentile, Rome 2009, pp.
125155; L. Arcangeli, Ragioni di stato e ragioni di famiglia: strategie successorie dell’aristocrazia milanese tra Quattro e Cinquecento, in c.d.s. Per la nobiltà milanese si vedano M.N.
144
lo sviluppo dell’osservanza francescana e l’aristocrazia milanese
Covini, Essere nobili a Milano nel Quattrocento. Giovanni Tommaso Piatti tra servizio pubblico, interessi fondiari, impegno culturale e civile, in «ASL», 128 (2002), pp. 63155; M.N.
Covini, La memoria selettiva nel libro di ricordi di Bartolomeo Morone. Un’introduzione al
testo, in Il libro di ricordi di Bartolomeo Morone, giureconsulto milanese (1412-1455), a cura
di M.N. Covini, Milano 2010, pp. 715 e pp. 4852; per lo stesso ceto inserito in un conte
sto religioso diverso, quello di Santa Corona in parte antitetico all’ambiente dei Francescani
osservanti, si vedano a titolo di esempio anche le biograia incluse nelle note di M. Gazzini,
Scuola, libri e cultura nelle confraternite milanesi fra tardo medioevo e prima età moderna, in
«La biblioilía», 103 (2001), n. 3, pp. 215261. Questa diferenza di ceto si scorge, non solo
nello stretto ambito dei rapporti con i francescani. Se si scorrono le liste dei deputati ai vari
luoghi pii cittadini (G. Albini, Città e ospedali nella Lombardia medievale, Bologna 1993,
pp. 233256), è immediato notare l’assenza dei primi nomi dell’aristocrazia milanese, che
lega sostanziose somme a questi enti, ma non si occupa della loro gestione, aidata per lo
più alla ‘clientela’ (termine che comunque va declinato nella peculiare accezione milanese:
nella capitale del ducato non si accettano rapporti impostati in modo eccessivamente ver
ticale) del ceto magnatizio. Per Battista Visconti di Somma è ad esempio inutile occuparsi
dell’amministrazione della Carità quando può contare su Lorenzo Vimercati, suo amico,
vicino e ‘cliente’, nonché esecutore testamentario, che è stato uno dei fondatori del luogo
pio (cfr. infra nota 140). E, quando, nel 1519 Princivalle Visconti, primo cugino di Batti
sta, igura nel novero dei deputati della Carità (ASMi, Notarile, b. 3912, notaio Francesco
Barzi, doc. 6534, 3 marzo 1519), la situazione politica milanese è già mutata e una parte
dell’aristocrazia è costretta ad adattarsi a quelle che stanno diventando le logiche del patri
ziato o, in alternativa, ad abbandonare deinitivamente lo spazio urbano.
64. I Pallavicini fondano i due cenobi di minori osservanti di Busseto e Cortemaggiore
– sono gli unici conventi fondati dopo gli anni Sessanta del XV secolo nella parte della
Provincia bolognese sottoposta al ducato sforzesco – e mantengono stretti rapporti con
Sant’Angelo. In generale sulla famiglia si veda ora L. Arcangeli, Un lignaggio padano tra
autonomia signorile e corte principesca: i Pallavicini, in Noblesse et états princiers, pp. 29100.
Per Santa Maria degli Angeli di Busseto costruita su indicazioni testamentarie di Rolando,
Memorie istoriche, vol. I, pp. 125149; E. Seletti, La città di Busseto capitale un tempo dello
stato pallavicino, Milano 1883, I, pp. 215229; mentre per Santa Maria Annunciata di Cor
temaggiore Memorie istoriche, pp. 233286; e per gli afreschi M. Tanzi, Margini zenaliani.
Gli afreschi di Cortemaggiore e il trittico di Assiano, in «Solchi», 8 (2005), pp. 11104. Si
vedano per Cortemaggiore anche i due testamenti di Giovanni Ludovico, rogati a Milano,
con le indicazioni per la nuova fondazione dopo la lite con il fratello Pallavicino (ASMi,
Notarile, b. 2145, notaio Giorgio Rusca, 16 gennaio 1478, 13 luglio 1479). Informazioni
su entrambi i conventi e la committenza Pallavicini in M.C. Cavazzoni, I fratelli di Carlo:
tracce per la committenza Pallavicino nell’Oltrepò cremonese, in L’oro e la porpora. Le arti a
Lodi nel tempo del vescovo Pallavicino (1456-1497), Catalogo della mostra (Lodi, 9 aprile
5 luglio 1998), a cura di M. Marubbi, Cinisello Balsamo (Milano) 1998, pp. 115122; e
in R. Cobianchi, ‘Lo temperato uso delle cose’. La committenza dell’Osservanza francescana
nell’Italia del Rinascimento, in c.d.s. I testamenti dei igli di Pallavicino Pallavicini sono
145
edoardo rossetti
rogati, se a Busseto, in Santa Maria degli Angeli e contengono abbondanti lasciti alla chiesa
(Memorie istoriche, I, pp. 137138, per Niccolò e Cristoforo; ASOM, Archivio Litta, b. 9,
doc. 65, 15 giugno 1515, per Antonio Maria). Con un codicillo del 1516 Antonio Maria
dispone addirittura per la ricostruzione del Sant’Angelo milanese (ibidem, doc. 67, 16 ot
tobre 1516; ASMi, Notarile, b. 4973, notaio Filippo Liscati, 15 maggio 1527), mentre Cri
stoforo ricorda solo cenobi osservanti nelle indicazioni fornite al frate confessore (Memorie
istoriche, I, pp. 140141). Tra il 1453 e il 1455, quando Francesco Visconti è commissario a
Cremona, le donne di casa Pallavicini collaborano con Bianca Maria Visconti alla fondazio
ne del locale cenobio delle Clarisse dedicato al Corpus Domini (ibidem, pp. 335338). Per
le iglie di Rolando il Magniico: Giovanna Pallavicini, moglie di Filippo Maria Visconti
di Fontaneto, è sepolta davanti all’altare maggiore di Santa Maria degli Angeli a Legnano,
come ricordato nei testamenti del iglio Giovanni Maria (Sevesi, Il convento di S. Angelo di
Legnano, p. 109; ASOM, Archivio Litta, b. 9, doc. 51, 14 maggio 1502; ibidem, doc. 54, 2
febbraio 1507; ibidem, doc. 55, 16 agosto 1508; ASMi, Notarile, b. 4102, notaio Giovanni
Antonio Robbiati, 2 marzo 1521). Elisabetta è moglie di Andriotto del Maino e presumi
bilmente è sepolta con il marito in Sant’Angelo a Milano; Antonia (naturale) fonda con il
marito Galeazzo Bevilacqua il convento di Maleo.
65. Cfr. infra note 204 e 205.
66. Emblematico il caso dei da Gerenzano: per il ricamatore Niccolò (deputato della
Carità), la costruzione della cappella della Maddalena in Sant’Angelo insieme con l’ediica
zione di una nuova casa in Milano sono i segni più evidenti della tentata ascesa sociale (M.
P. Zanoboni, I da Gerenzano “ricamatori ducali” alla corte sforzesca, in Rinascimento sforzesco.
Innovazioni tecniche, arte e società nella Milano del secondo Quattrocento, Milano 2005, pp.
2386). Per le altre cappelle si veda di seguito.
67. Per queste parentele si faccia in generale riferimento alle tavole di Litta, Famiglie
celebri; Calvi, Famiglie notabili milanesi. Le quattro iglie di Francesco Bussone, conte di
Carmagnola, e di Antonia Visconti di Ierago si sposano: Margherita con Bernabò San
severino (iglio di Aloisio, controverso fondatore di Santa Croce in Boscaglia a Como),
Elisabetta con Francesco Visconti di Somma (sono i genitori di Battista), Luchina con il
conte Luigi Dal Verme, Antonia con Guarnerio Castiglioni (sono i suoceri di Rossana del
Maino). Per questi matrimoni, voluti da Filippo Maria Visconti con l’esplicito intento di
creare un blocco di «ainitate» tra alcuni dei primi uomini del suo governo, G. Cornaggia
Medici, Per la condotta di Luigi dal Verme ai servigi del duca Filippo Maria, in «ASL», 60
(1933), pp. 193200, a p. 199; G. Chittolini, Infeudazioni e politica feudale nel ducato
visconteo-sforzesco, in G. Chittolini, La formazione dello stato regionale e le istituzioni del
contado, Torino 1979, pp. 36100, a p. 73; N. Covini, L’esercito del duca. Organizzazione
militare e istituzioni al tempo degli Sforza (1450-1480), Roma 1998, pp. 9495; Arcangeli,
Gentiluomini di Lombardia, p. XIX; F. Leverotti, Famiglia e istituzioni nel Medioevo italiano.
Dal tardo antico al Rinascimento, Roma 2005, pp. 160161; Gentile, Aristocrazia signorile,
pp. 146149. Le quattro iglie di Pietro Pusterla e di Lucia Crotti si sposano: Margherita
con il conte Ugolotto Crivelli, Elisabetta con il conte Giovanni Rusca, Paola con Battista di
146
lo sviluppo dell’osservanza francescana e l’aristocrazia milanese
Guarnerio Castiglioni, Giovanna con Battista di Francesco Visconti (si veda il testamento
di Pietro, ASMi, Notarile, b. 1021, notaio Pietro Brenna, doc. 7844 ½, 29 febbraio 1484).
Mentre i igli maschi della coppia si uniscono Baldassarre con Orsina Stampa e Giuliano
con Antonia di Francesco Visconti, sorella di Battista. È degno di nota che nella genera
zione successiva l’unica iglia di Giuliano e della Visconti sposi Cristoforo Pallavicini di
Busseto, mentre dei igli di Baldassarre: Pietro sposa Chiara di Galeazzo Visconti conte di
Busto, Giovanni Battista sposa Chiara di Antonio Maria Pallavicini di Busseto (inanziatore
della ricostruzione di Sant’Angelo) e Anna sposa Tommaso di Ambrogio del Maino (con
dote anticipata dal cugino Ermes Visconti iglio di Battista).
68. Tutto il gruppo sembra riavvicinarsi un poco alla consorteria Trivulzio solo verso il
1512 quando Battista Visconti e Gian Francesco Marliani si accordano per conciliarsi, come
sostiene l’Arluno, con la nobiltà adversa sibique magna ex parte repugnans; i segni tangibili
sono il matrimonio di Camillo Trivulzio con una iglia di Ambrogio del Maino e quello di
una iglia naturale di Teodoro Trivulzio con Antonio Maria Crivelli (L. Arcangeli, Gian Giacomo Trivulzio marchese di Vigevano e il governo francese nello Stato di Milano (1499-1518),
in Arcangeli, Gentiluomini di Lombardia, pp. 367, p. 57, nota 170). Per le generazioni
precedenti si attesta un unico matrimonio con i Visconti di Somma (Antonio di Erasmo
con Orsina di Francesco) ma tra due igli naturali (ibidem, p. 28, nota 33). Costanti sono
invece i legami tra i Trivulzio e i Visconti discendenti di Bernabò, ‘di Brignano’ e ‘di Saliceto’
(ibidem, p. 30, nota 88). Per i Visconti ‘di Fontaneto’ (gli unici tra i Visconti a sposare pre
cocemente i Borromeo) si segnala l’unione (1491) tra Barbara Trivulzio di Gian Giacomo e
Giovanni Galeazzo di Filippo Maria Visconti, ma l’abile regia del matrimonio è dovuta ve
rosimilmente alla potente vedova Maria Ghilini che prosegue il suo progetto di distacco del
iglio dalla parentela del marito (I. Teruggi, “In castro Fontaneti”. Il mecenatismo dei Visconti
tra XV e XVI secolo, in Fontaneto: una storia millenaria. Monastero, concilio metropolitico,
residenza viscontea, a cura di G. Andenna e I. Teruggi, pp. 169227, alle pp. 192195).
69. Per i legami di questo gruppo con i domenicani di Santa Maria delle Grazie, S. Faso
li, I domenicani e francesi: S. Eustorgio e S. Maria delle Grazie, in Milano e Luigi XII. Ricerche
sul primo dominio francese in Lombardia, a cura di L. Arcangeli, Milano 2002, pp. 411429.
70. In merito alle sepolture del resto dell’aristocrazia milanese E. Rossetti, “Arca marmorea elevata a terra per brachia octo”. Le sepolture dell’aristocrazia milanese tra Quattro e
Cinquecento, di prossima pubblicazione nella miscellanea nata in margine al seminario Famiglie e spazi sacri nella Lombardia del Rinascimento, Milano, Università degli Studi, 2122
settembre 2011.
71. Arcangeli, Gian Giacomo Trivulzio, pp. 3132, nota 98, per i testamenti dell’agna
zione. L’unico dei Trivulzio a richiedere sepoltura in Sant’Angelo (1511), o meglio in San
t’Angiolino, è Erasmo di Giacomo, un cugino del Magno che si comporta in generale in
modo eccentrico rispetto alla consorteria (Grosselli, Documenti quattrocenteschi, doc. 14,
pp. 107108). I rapporti che i Trivulzio instaurano con i conventi osservanti di Maleo e
Vigevano sono obbligati dal ruolo rivestito nei due centri dai feudatari, ma non stanno
all’origine delle due fondazioni.
147
edoardo rossetti
72. I diarii di Marino Sanuto, a cura di R. Fulin, F. Stefani, N. Barozzi, G. Berchet, M.
Allegri, 58 voll., Venezia 18791902, III, col. 1295.
73. Per la biograia di questi Visconti, Rossetti, “Chi bramasse di veder il volto suo ritratto dal vivo”, in c.d.s.
74. Nello scarno testamento sono gli unici legati ad enti religiosi (ASMi, Notarile, b.
927, notaio Lazzaro Cairati, 7 ottobre 1476).
75. A. Buratti Mazzotta, S. Agnese e S. Fede, disegni e documenti per le loro vicende architettoniche, in La basilica di S. Agnese. L’antica prepositurale di Somma e la sua pieve: storia,
arte e architettura, Varese 2006, pp. 79115, alle pp. 8287.
76. Il primo testamento non è pervenuto, ma è segnalato nella rubrica del notaio Lan
cellotto Sudati (ASMi, Rubriche notai, 4180, 1477); per gli altri: ASMi, Notarile, b. 1229,
notaio Lancellotto Sudati, 8 giugno 1484; ibidem, b. 2975, notaio Francesco Pagani, 23
novembre 1497; ibidem, b. 2977, 9 marzo 1504; ibidem, b. 2979, 14 febbraio 1510; Ar
chivio Visconti di San Vito, Cassetta 114, 10 marzo 1514.
77. L’istituzione della cappellania al Gesù è sicuramente eseguita e ancora pagata sul
dazio di Sesto, come annotato in alcuni appunti conservati tra le poche superstiti carte del
monastero (ASMi, Fondo di Religione, b. 1798, ca. 1750).
78. Per la sepoltura di Giuliano Pusterla di Pietro in Sant’Angelo, la sua lapide con epi
taio di Lancino Curzio in V. Forcella, Iscrizioni delle chiese e degli altri ediici di Milano dal
secolo VIII ai giorni nostri, voll. IXII, Milano 18891893, V, p. 11, n. 10). Il padre Pietro si
fece tumulare in un sepolcro marmoreo nella parrocchiale di San Sebastiano a Milano (cfr. il
testamento supra a nota 67). Non si è rinvenuto il luogo di sepoltura di Baldassarre, fratello
di Giuliano (morto a Genova il 9 maggio 1499: C. Santoro, Gli uici del dominio sforzesco
[1450-1500], Milano 1948, p. 458), né il suo testamento registrato al 2 dicembre 1493,
nella rubrica del notaio Pinamonte da Lodi (ASMi, Rubriche notai, 2744). Giovanni Batti
sta Pusterla di Baldassarre scelse Santa Maria del Monte sopra Varese per la costruzione del
proprio sepolcro (ASMi, Notarile, b. 7782, notaio Pietro Antonio da Lodi, 5 aprile 1536).
79. Guido muore nel 1483 e risulta sepolto nella chiesa di San Francesco, forse a Geno
va (L. Melzi, Somma Lombardo. Storia descrizione e illustrazione, Milano 1880, p. 174); dei
suoi igli Antonio (l’unico sposato Trivulzio) sceglie l’appartato monastero di Sant’Ambro
gino alla Costa (ASMi, Notarile, b. 7304, notaio Giovanni Repossi, 14 febbraio 1522), ma
i suoi eredi continuano a detenere il patronato delle sepolture absidali di Sant’Eustorgio che
passano ai Visconti di Modrone. Nulla si conosce riguardo alla sepoltura di Tebaldo (uomo
d’armi sposato ad una Sanseverino), forse deceduto a Napoli.
80. Non vi sono indicazioni in merito nei primi testamenti, ma risulta un lascito di ben
1.000 ducati alla fabbrica di Santa Chiara (ASMi, Notarile, b. 2541, notaio Boniforte Gira,
4 settembre 1503; ibidem, b. 2561, 28 novembre 1520).
81. Nel codicillo è comunque previsto anche un lascito di 2000 lire alla chiesa domenica
na osservante delle Grazie (ASMi, Notarile, b. 2561, notaio Boniforte Gira, 8 luglio 1521).
148
lo sviluppo dell’osservanza francescana e l’aristocrazia milanese
82. ASMi, Notarile, b. 5288, notaio Niccolò Gira, 23 settembre 1530.
83. ASMi, Notarile, b. 3953, notaio Francesco Besozzi, 15 settembre 1519.
84. ASMi, Notarile, b. 3956, notaio Francesco Besozzi, 8 dicembre 1523.
85. ASMi, Notarile, b. 2387, notaio Filippo Cogliati, 13 gennaio 1512.
86. Per quanto riguarda il rapporto tra gli altri Visconti e i Minori osservanti, si prenda in
considerazione a titolo di esempio quanto segue. Francesco Bernardino Visconti (il cui stesso
nome risulta una sorta di programma devozionale), primo gentiluomo di Milano e insieme
a Battista Visconti capo della parte ghibellina, dispone per la propria sepoltura nell’amedeita
Santa Maria della Pace, nella cappella di San Pietro Martire, ma commissiona afreschi rap
presentanti san Bernardino, san Francesco, santa Chiara per la cappella di Santa Chiara nella
chiesa parrocchiale di San Giovanni in Conca sita a Milano accanto al suo palazzo (ASMi,
Notarile, b. 2923, notaio Bartolomeo Pagani, 19 novembre 1504; ibidem, Feudi camerali, b.
115). Antonio Pietro Visconti, iglio di Gentile e di Valentina Visconti, discendente da Ber
nabò per parte materna, lascia parte del valore della propria casa di porta Romana ai Minori
osservanti per opere caritative, per le fabbriche di Sant’Angelo (4.000 lire) e del convento
del Monte Sion di Gerusalemme, ma nei primi testamenti la somma è di ben 5.000 iorini
(ASMi, Notarile, b. 2663, notaio Giovanni Ambrogio della Croce, 22 febbraio 1475; ibidem,
b. 976, notaio Giacomo Bonderi, 9 ottobre 1475; ibidem, 30 ottobre 1475; ASMi, Fondo di
Religione, b. 964, 20 settembre 1488; ibidem, b. 2921, 13 agosto 1498; Andreozzi, Mirabile,
Nuovi spunti di indagine, p. 84). Non sono stati per il momento ritrovati i testamenti dei
Visconti di Ierago – al cui ramo appartiene Gaspare sepolto con Ambrogio, Gerolamo e Bat
tista – ma Elisabetta Visconti, zia di Gaspare e vedova di Cicco Simonetta dispone di essere
sepolta in Sant’Angelo in tutti i suoi testamenti e lascia con l’ultimo (1502) grosse somme al
la Carità (ibidem, b. 937, notaio Lazzaro Cairati, 4 ottobre 1496; ibidem, b. 937, 23 febbraio
1497; ibidem, b. 3057, notaio Pietro Lepori, 29 giugno 1501; A. Noto, Gli amici dei poveri
di Milano: 1305-1964, Milano 1966, p. 217). Diverso l’atteggiamento di altre famiglie,
pure ai vertice dell’agnazione viscontea. I Visconti di Albizzate, Cassano Magnago, Fagnano,
Fontaneto restano fedeli alle sepolture di Sant’Eustorgio o innovano (alcuni igli di Gaspare
Ambrogio) facendosi inumare in Santa Marta; Ludovico Visconti Borromeo sceglie invece
Santa Maria della Pace per fondare una nuova cappellania (Rossetti, “Arca marmorea elevata a
terra”, in c.d.s.). Il giurista Carlo Visconti, iglio di Roberto, sposo di Veronica Casati, spesso
procuratore e arbitro di Battista Visconti, di Galeazzo Visconti conte di Busto e di Ludovico
Visconti Borromeo (nominati come propri esecutori con i cognati Niccolò e Bernardino
Casati), elegge la propria sepoltura in Sant’Angelo per sé e per i propri discendenti (ASMi,
Notarile, b. 4426, notaio Martino Pagani, 17 ottobre 1509). Riguardo ai Visconti più salva
tici: Melchiorre Visconti fa un consistente lascito a Santa Maria delle Grazie di Varallo (D.
Mirabile, Un nuovo documento per Santa Maria delle Grazie a Varallo Sesia: un nuovo appiglio
per Gaudenzio giovane?, in «Sacri monti», 1, 2007, pp. 365379); e Giovanni Pietro Visconti
di Besnate, iglio di Giacomo, richiede di essere sepolto all’Annunciata di Varese o a Sant’An
gelo a Milano, oppure nella chiesa dei Minori osservanti più vicina al luogo della sua morte
(ASMi, Notarile, b. 1393, notaio Galvagno Piantanida, 19 gennaio 1497).
149
edoardo rossetti
87. Meschini, La Francia nel ducato di Milano, II, pp. 10721073, nota 43. ASMi,
Notarile, b. 7230, notaio Giovanni Maria Besozzi, 21 novembre 1513. Quasi contempo
raneamente anche uno dei notai collaboratori del Besozzi, Giorgio da Tradate, testa dispo
nendo sepoltura in Sant’Angelo (ASMi, Notarile, b. 7876, notaio Bernardino Besozzi, 18
luglio 1512).
88. Rossetti, “Chi bramasse di veder il volto suo ritratto dal vivo”, in c.d.s.
89. ASMi, Notarile, b. 4103, notaio Giovanni Antonio Robbiati, 21 aprile 1522; ibidem, b. 4104, 3 marzo 1524.
90. ASMi, Fondo di Religione, b. 964.
91. Calvi, Famiglie notabili milanesi, Carcano, tav. IV.
92. ASMi, Notarile, b. 2975, notaio Francesco Pagani, 10 settembre 1498.
93. ASMi, Notarile, b. 2977, notaio Francesco Pagani, 30 settembre 1503; ibidem,
11 ottobre 1503. Per le due monache, poi beate dell’ordine, Sevesi, Le clarisse di Milano,
pp. 136138.
94. ASMi, Notarile, b. 2983, notaio Francesco Pagani, 12 febbraio 1522.
95. ASMi, Notarile, b. 3771, notaio Giovanni Pietro Carcano, 10 settembre 1525.
96. ASMi, Notarile, b. 10761, notaio Giacomo Antonio Carcano, 9 gennaio 1541.
97. ASMi, Notarile, b. 7752, notaio Beltramino Giussani, 11 gennaio 1540; ibidem,
b. 5857, notaio Pietro Maggi, 7 agosto 1543; ASMi, Fondo di Religione, b. 956, 7 gennaio
1565; Burocco, Chronologia, f. 14; si veda anche M. Mascetti, La dominazione spagnola tra
i secoli XVI e XVII, in Lomazzo. Storia di un borgo tra due città, Lomazzo (Como) 2004, I,
pp. 143406, alle pp. 250251, 290293. I Visconti abbandonano invece – causa problemi
politici, ma soprattutto di famiglia – il patronato delle cappelle di Sant’Angelo e alla ine
del XVI secolo Battista Visconti iglio di Ermes si fa inumare in San Marco nel sepolcro
della iglia (ASMi, Clerici di Cavenago, b. 9, fasc. 1, 7 marzo 1597).
98. Sono le uniche disposizioni a favore di enti religiosi del testamento e codicillo,
ASMi, Notarile, b. 2975, notaio Francesco Pagani, 2627 febbraio 1498. Per la dote di Or
sina, ibidem, b. 2977, 22 novembre 1503. Più variegati i lasciti di Niccolò, ma sempre con
200 lire assegnate a Santa Croce in Boscaglia di Como (ibidem, 9 settembre 1504).
99. Sacchi, Gaudenzio Ferrari, pp. 206208.
100. ASOM, Archivio Litta, b. 9, doc. 59, 24 luglio 1511 (testamento di Caterina Re
sta); ASMi, Notarile, b. 2983, notaio Francesco Pagani, 16 luglio 1526 (6.000 scudi di dote
per Eleonora sposata da un anno); M.T. Binaghi Olivari, Bernardino Luini, Milano 2007,
pp. 2729; F. Frangi, Bernardino Luini: un ritratto per casa Porro, in Il più dolce lavorare che
sia. Mélanges en l’honneur de Mauro Natale, a cura di F. Elsig, N. Etienne, G. Extermann,
Milano 2009, pp. 275281; per un’identiicazione diversa del ritratto Porro C. Quattrini,
150
lo sviluppo dell’osservanza francescana e l’aristocrazia milanese
Bernardino Luini, in c.d.s.; ma si vedano anche le interessantissime note su casa Porro, i loro
rapporti con i francescani e la loro devozione per l’Imago pietatis in C.T. Gallori, L’altare
Porro del Duomo di Milano, in «Nuovi annali. Rassegna di studi e contributi per il Duomo
di Milano», I (2009, ma 2010), pp. 143155.
101. Una nota sulla famiglia del Maino e la sua inluenza in N. Covini, Tra patronage
e ruolo politico: Bianca Maria Visconti (1450-1568), in Donne di potere nel Rinascimento,
Atti del convegno (Milano, 20 novembre2 dicembre 2006), a cura di L. Arcangeli e S.
Peyronel, Roma 2008, pp. 246280, alle pp. 258259, nota 35. In generale molte informa
zioni su vari membri del casato si recuperano da F. Gabotto, Giason del Maino e gli scandali
universitari nel Quattrocento, Torino 1888.
102. Notizie su Rossana e il marito Francesco Castiglioni, di Guarnerio, si ricavano da
E. Motta, Ippolita Sforza alla Madonna del Monte sopra Varese, in «Periodico della Società
storica comense», 5 (1885), pp. 337346.
103. ASMi, Notarile, b. 1227, notaio Lancellotto Sudati, 10 ottobre 1480.
104. Intorno ai rapporti tra Galeazzo Maria Sforza e la Serenissima, Covini, L’esercito
del duca, pp. 205, 285287, 333.
105. Andenna, Aspetti politici, p. 341.
106. Sevesi, Il beato Francesco Trivulzio, p. 51, doc. 7.
107. Si cfr. supra note 9, 56.
108. ASMi, Notarile, b. 1738, notaio Mafeo Suganappi, 13 giugno 1494.
109. Note biograiche sui due del Maino in F. Vaglienti, “Fidelissimi servitori de Consilio suo Secreto”. Struttura e organizzazione del Consiglio segreto nei primi anni del ducato di
Galeazzo Maria Sforza (1466-1469), in «Nuova rivista storica», 76 (1992), pp. 645708, p.
657, nota 70 (per Lancillotto), p. 661, nota 75 (per Andriotto). La sepoltura di entrambi in
Sant’Angelo è attestata nei testamenti dei rispettivi igli (Ambrogio e Rossana).
110. F. Cengarle, Maino, Agnese del, in Dizionario biograico degli italiani, 67, Roma
2006, pp. 604605; N. Covini, Tra patronage e ruolo politico, pp. 251252.
111. E. Motta, Il beato Bernardino Caimi fondatore del Sacro Monte di Varallo, Milano
1981, p. 376.
112. Per la localizzazione si cfr. l’ultimo testamento di Gerolamo Carcano: vedi supra
nota 96.
113. Una rilessione relativa alle cappelle sotto il tramezzo, riservate ai principali inan
ziatori dei cenobi in F. Cavalieri, Note per la decorazione delle chiese Francescane Osservanti
della Provincia milanese, in Rinascimento ritrovato, pp. 131141, a p. 133.
114. Carlo Torre (Il ritratto di Milano diviso in tre libri nel quale vengono descritte tutte le
antichità e modernità che vedevansi e vedensi nella città di Milano, Milano 1714, p. 209) de
151
edoardo rossetti
inisce signiicativamente Agnese come «una grande signora di casa Visconte» attribuendole
una sorta di ruolo di duchessa vedova, che efettivamente la donna ebbe nella società milane
se. Serviliano Latuada (Descrizione di Milano ornata con molti disegni in rame delle fabbriche
più cospicue che si trovano in questa metropoli, Milano 1738, vol. IV, p. 199) aianca invece
alla memoria delle donazioni di Agnese quella della iglia Bianca Maria Visconti Sforza.
115. P.M. Sevesi, Corrispondenza milanese del b. Marco da Bologna, in «AFH», 48
(1955), pp. 303404, p. 315.
116. F.M. Vaglienti, Abbiategrasso, culla di stirpe ducale, in Rinascimento ritrovato, pp.
233253, a p. 248.
117. Covini, Tra patronage e ruolo politico, pp. 257267.
118. In relazione alla crisi tra il duca e la duchessa madre si veda Covini, L’esercito del
duca, pp. 209218.
119. Regestum Observantie Cismontanae (1464-1488), Roma 1988 («Analecta Fran
ciscana», 12), doc. 20, p. 119; commentato in G.G. Merlo, Ordini mendicanti e potere:
l’Osservanza minoritica cismontana, in Merlo, Tra eremo e città, pp. 357388, alle pp. 379
380. È stato ipotizzato, ma la tesi pare un po’ eccessiva, che il documento testimoni un
sostegno dei frati ad un possibile golpe di Bianca Maria (Vaglienti, Abbiategrasso, culla di
stirpe ducale, p. 248).
120. Nel 1467 anche Lancellotto del Maino è sospeso dal consiglio segreto e reintegra
to solo nel settembre 1469: F. Leverotti, “Governare a modo e stillo de’ Signori...”. Osservazioni in margine all’amministrazione della giustizia al tempo di Galeazzo Maria Sforza duca di
Milano (1466-67), Firenze 1994, p. 88, nota 271. Andriotto è invece coinvolto nell’arresto
del genero Pietro Dal Verme (si veda nota seguente).
121. F.M. Vaglienti, La detenzione del conte Pietro dal Verme e la conisca del suo feudo
ad opera di Galeazzo Maria Sforza duca di Milano, in «Nuova rivista storica», 74 (1990),
pp. 401416.
122. Leverotti, “Governare a modo e stillo de’ Signori”, pp. 2425; R. Fubini, Osservazioni e documenti sulla crisi del ducato di Milano nel 1477 e sulla riforma del consiglio segreto
ducale, in Fubini, Italia quattrocentesca. Politica e diplomazia nell’età di Lorenzo il Magniico,
Milano 1994, pp. 107135, a p. 125.
123. F. Leverotti, Diplomazia e governo dello stato. I “famigli cavalcanti” di Francesco
Sforza (1450-1466), Firenze 1992, p. 132.
124. Leverotti, “Governare a modo e stillo de’ Signori”, p. 51, nota 139.
125. Leverotti, “Governare a modo e stillo de’ Signori”, p. 37. I nipoti di Aloisio Sanseverino,
fondatore di Santa Croce in Boscaglia a Como, Aloisio di Bernabò e Amerigo di Ugo fanno
lasciti a Sant’Orsola – dove è monaca Gerolama Sanseverino – e dispongono per la costruzione
della cappella della Maddalena in Sant’Angelo (ASMi, Notarile, b. 3723, notaio Giovanni Pie
tro Appiani, 14 giugno 1500; ibidem, b. 3036, notaio Innocenzo Carati, 28 settembre 1505).
152
lo sviluppo dell’osservanza francescana e l’aristocrazia milanese
126. Per questa tesi, Fubini, Osservazioni e documenti sulla crisi del ducato di Milano, pp.
107135; ma si veda anche la versione integrale (con documenti) del contributo in Essays presented to Myron P. Gilmore, a cura di S. Bertelli e G. Ramakus, Firenze 1978, I, pp. 47103.
127. Comincini, La storia, pp. 1014, 1718.
128. A. Noto, Origine del luogo pio della Carità nella crisi sociale della Milano quattrocentesca, Milano 1962. Sul lavoro di Antonio Noto relativo alla Carità bisognerebbe ritor
nare; per scoprire, ad esempio, che i deputati della Carità sono sempre anche fabbricieri
di Sant’Angelo e dei monasteri di Clarisse, nonché ‘clienti’ ed esecutori testamentari degli
aristocratici amici dei francescani.
129. Meschini, La Francia nel ducato di Milano, I, pp. 148149, 157, 160161; per le
pene pecuniarie, ASMi, Notarile, b. 2922, notaio Bartolomeo Pagani, 3 agosto 1501, 27
marzo 1501; per la vendita, ASMi, Notarile, b. 3895, notaio Francesco Barzi, doc. 3636, 1º
aprile 1501 (il tasso di interesse è del 5%). Si tenga conto che in questo momento Battista
non può contare sui propri parenti, amici e vicini, che sono quasi tutti fuoriusciti o nella
sua stessa situazione.
130. Cfr. supra nota 76; e Arcangeli, Ragioni di stato e ragioni di famiglia, in c.d.s.
131. L. Arcangeli, Milano durante le guerre d’Italia (1499-1529): esperimenti di rappresentanza e identità cittadina, in «Società e storia», 27 (2004), fasc. 106, pp. 225266, a p.
252, nota 103.
132. Arcangeli, Alle origini del Consiglio dei sessanta decurioni, alle pp. 4046.
133. ASMi, Sforzesco, b. 475, 17 aprile 1514. È però necessario ricordare che anche in
periodo francese Sant’Angelo sembra conservare una funzione rilevante e strategica: nella
primavera del 1511 qui è deposto il corpo di Charles d’Amboise, gran maestro di Francia
e governatore di Milano, in attesa delle solenne esequie, e sempre qui sono deposte le sue
viscere (ma si tenga conto che ad organizzare i funerali sono Antonio Maria Pallavicini e
Galeazzo Visconti, legatissimi ai frati, e non si solo rilevati testamenti di illustri francesi che
dispongano sepoltura nella chiesa); nel dicembre del 1511 è sempre Sant’Angelo il luogo
in cui avvengono i negoziati tra i capitani svizzeri che hanno invaso il milanese e Gaston
de Foix, il nuovo governatore del ducato (Meschini, La Francia nel ducato di Milano, II,
pp. 804, 922).
134. In merito alla promozione delle varie osservanze da parte dei principi e dell’aristo
crazia si veda K. Elm, Riforme e osservanze nel XIV e XV secolo. Una sinossi, in Ordini religiosi
e società politica in Italia e Germania, pp. 489504.
135. G.G. Merlo, Francescanesimo e signorie nell’Italia centro-settentrionale, in Merlo,
Tra eremo e città, pp. 337356, a p. 337.
136. Per la localizzazione in San Francesco delle sepolture delle prime famiglie di Mi
lano, G. Caroldo, Relazione del ducato di Milano del secretario Gianiacopo Caroldo. 1520, in
Relazioni degli ambasciatori veneti al Senato, a cura di A. Segarizzi, 11 voll., Bari 191216,
153
edoardo rossetti
II, pp. 329, a p. 8; Patetta, L’architettura del Quattrocento a Milano, pp. 7582). I Visconti
sono prevalentemente sepolti in Sant’Eustorgio, ma restano interessanti i loro rapporti con
San Francesco Grande (Merlo, Francescanesimo e signorie, pp. 345346; A. Cadili, Giovanni
Visconti arcivescovo di Milano (1342-1354), Milano 2007, pp. 8183).
137. Sul senso del termine per la situazione lombarda, L. Arcangeli, Appunti su gueli
e ghibellini in Lombardia nelle guerre d’Italia (1494-1530), in Gueli e ghibellini nell’Italia
del Rinascimento, a cura di M. Gentile, Roma 2005, pp. 391472; F. Somaini, Il binomio
imperfetto: alcune osservazioni su gueli e ghibellini a Milano in età visconteo-sforzesca, ibidem,
pp. 131215. Si pensi anche, all’esterno della situazione più propriamente milanese, il dif
ferente rapporto che sviluppano i ghibellini Pallavicini (cfr. supra nota 64), rispetto ai gueli
Rossi nei confronti dell’Osservanza minoritica; i secondi sembrano particolarmente impe
gnati verso i benedettini e, se a Roma scelgono come luogo di sepoltura per Bernardo Santa
Maria Aracoeli, a San Secondo chiamano i dissidenti amadeiti (G.L. Battioni, Aspetti della
politica ecclesiastica di Pier Maria Rossi, in Le signorie dei Rossi di Parma tra XIV e XVI, a cura
di L. Arcangeli e M. Gentile, Firenze 2007, pp. 101107; G.Z. Zanichelli, La committenza
dei Rossi: immagini di potere fra sacro e profano, in Le signorie dei Rossi, pp. 187212).
138. Da sottolineare che quasi tutti i titolari di cappelle in Sant’Angelo di estrazione
non aristocratica (Alciati, Arrigoni, Cagnola, da Cemo) abitano in porta Nuova e sono di
fatto vicini di casa o frontisti di Lantelmina Secco Vimercati o di Beatrice Este Sforza; così
come dallo stesso quartiere provengono la maggioranza dei deputati della Carità, che non
sembrano, almeno per il XV secolo, equamente suddivisi secondo i sestieri cittadini come
nel caso degli altri luoghi pii milanesi.
139. L. Beltrami, Notizie sconosciute sulle città di Pavia e Milano al principio del secolo
XVI, in «ASL», 17 (1890), pp. 409424, a p. 422.
140. Il documento è trascritto in L. Andreozzi, Vincenzo Foppa in Sant’Angelo Vecchio a
Milano, in «Prospettiva», 2007, n. 125, pp. 3537. Per il contesto della presenza del Chivas
so a Milano, Fasoli, Da Galezzo a Ludovico, pp. 144151. Sul Carletti, Frate Angelo Carletti
osservante nel V centenario della Morte (1495-1995), Atti del convegno (CuneoChivasso,
dicembre 1996), a cura di O. Capitani, R. Comba, M.C. De Matteis, G.G. Merlo, Cuneo
1998 («Bollettino della società per gli studi storici, archeologici ed artistici della provincia
di Cuneo», 118, 1998). Varrebbe la pena di approfondire il ruolo nelle commissioni dell’or
dine di Lorenzo Vimercati, iglio di Mafeo, deputato della Carità, fabbriciere di Sant’An
gelo e dei vari monasteri di Clarisse milanesi, esecutore dei testamenti di Battista Visconti
e Lantelmina Secco (per i suoi testamenti ASMi, Notarile, b. 1230, notaio Lancellotto
Sudati, 16 settembre 1484; ibidem, b. 1882, notaio Antonio Zunico, 2 ottobre 1494).
141. Regestum Óbservantiae, pp. 277278 (doc. s.d., ma sicuramente post 1472 e ante
1484); Merlo, Ordini mendicanti e potere, pp. 372373.
142. Comincini, La storia, pp. 1617, 24; e nello stesso volume il Regesto, p. 234 («Re
sposizione fatta per il vicario di frati minori da observantia de la provincia de Milano con li
soi compagni frati», ASMi, Sforzesco, b. 891, 8 maggio 1469).
154
lo sviluppo dell’osservanza francescana e l’aristocrazia milanese
143. I documenti in Regesto, a cura di S. Leydi, in Vincenzo Foppa, Catalogo della
mostra (Brescia, 3 marzo30 giugno 2002), a cura di G. Agosti, M. Natale e G. Romano,
Milano 2003, pp. 300323, docc. 3840, 4243; per la questione, che andrebbe comunque
ripresa rilettendo sulle altre commissioni di Zaccarina e del nipote Bernardino Lonati
(cardinale), si veda ancora Nova, Tramezzi in Lombardia, pp. 200201.
144. Dimostrando una preoccupazione comune alle osservanze, il termine curioxitas
(absque aliqua pompa et curioxitate) è incluso nelle prescrizioni di Giovanni Gherardo Pu
sterla per l’uso di quanto da lui lasciato alla domenica Santa Maria delle Grazie di Milano
(Noto, Origine del Luogo pio della carità, p. 34, nota 64 bis).
145. Regestum observantiae, doc. 63, pp. 358361; Merlo, Ordini mendicanti e potere,
pp. 373375.
146. Per la decorazione delle chiese dei Minori osservanti, specie per la questione tra
mezzo: Nova, Tramezzi in Lombardia, pp. 197214; S. Buganza, Qualche considerazione
sui primordi di Bramante in Lombardia, in «Nuovi studi», 11 (20042005), pp. 69103,
a p. 97, nota 92; Cavalieri, Note per la decorazione delle chiese Francescane Osservanti, pp.
131141; G. Agosti, J. Stoppa, M. Tanzi, Il Rinascimento lombardo (visto da Rancate), in Il
Rinascimento nelle terre ticinesi. Da Bramantino a Bernardino Luini, Catalogo della mostra
(Mendrisio, 10 ottobre 20109 gennaio 2011), a cura di G. Agosti, J. Stoppa e M. Tanzi,
Milano 2010, pp. 2169, a pp. 2930.
147. Per il tramezzo di San Nazzaro della Costa – ritrovato durante i recenti restauri
(20032004) – si veda A.L. Casero, Un tramezzo afrescato in San Nazzaro della Costa a
Novara, in Studi in onore di Francesca Flores d’Arcais, a cura di M.G. Albertini Ottolenghi
e M. Rossi, Milano 2010, pp. 9199; contemporaneamente giunge alle stesse conclusioni
sull’autore Luciano Bellosi (Agosti, Stoppa, Tanzi, Il Rinascimento lombardo (visto da Rancate), p. 30). Riguardo al tramezzo di Vercelli E. Mongiano, La conservazione delle scritture
notarili in Piemonte tra Medioevo e Età Moderna. Committenza privata e documentazione
notarile per Daniele De Bosis, in Ricerche sulla pittura del Quattrocento in Piemonte, a cura
di G. Romano, Torino 1985, pp. 139160, a p. 153; P. Astrua, Due note documentarie su
Daniele De Bosis ed alcuni aspetti del tardo Quattrocento nel Vercellese, ibidem, pp. 161174,
alle pp. 163165; E. Villata, Un vuoto al centro. La pittura a Vercelli alla ine del Quattrocento
e Giovanni Martino Spanzotti, in Arti igurative a Biella e a Vercelli: il Quattrocento, a cura di
V. Natale, Biella 2005, pp. 102103.
148. R. Cara, E. Rossetti, Troso de Medici prospettico lombardo tra Monza e Milano, in
«Prospettiva», 2007, nn. 126/127, pp. 115127, a p. 124, nota 28.
149. Il punto della situazione per l’attribuzione al Foppa del modello normativo in
Buganza, Qualche considerazione sui primordi di Bramante, p. 97, nota 92. La commissione
dell’opera milanese è stata messa in relazione con l’epigrafe di Tristano Sforza e Beatrice
d’Este apposta nel 1481 a soluzione di un voto (Andreozzi, Mirabile, Nuovi spunti di indagine, p. 83). Altri dati sembrano fare gioco a questa ipotesi: Niccolò da Correggio, iglio
di primo letto di Beatrice, è nominato consigliere ducale proprio nel 1481 a testimoniare
155
edoardo rossetti
forse la continua inluenza della vedova Sforza a corte (Santoro, Gli uici del dominio sforzesco, p. 19); entro il 1487 il danaro versato ai frati di Sant’Angelo da Beatrice d’Este per
conto dell’eredità del marito Tristano Sforza ammonta a 5.880 lire imperiali. In una lista
redatta dal guardiano Arcangelo da Piacenza risultano interessanti scansioni di versamenti
ai frati proprio per gli anni 1481 e 1482 (ASMi, Notarile, b. 2737, notaio Giovanni Ber
nardo Bienati, 30 luglio 1487). In proposito di veda anche Andreozzi, Vincenzo Foppa in
Sant’Angelo, pp. 3537.
150. Per l’apprendistato di Gherardo Silla, R. Battaglia, Ambrogio Bergognone e la decorazione ad afresco della Certosa, in Ambrogio da Fossano detto il Bergognone. Un pittore per
la Certosa, Catalogo della mostra (Pavia, 4 aprile30 giugno 1998), a cura di G.C. Sciolla,
Milano 1998, pp. 255268, a nota 64. Per la personalità di Pietro da Velate si rimanda ad
un prossimo studio di Stefania Buganza.
151. Immagini di un ritorno. Gli antichi afreschi francescani di Santa Maria della Grazie
a Bergamo, a cura di F. Noris, Bergamo 2004; F. Noris, Giacomo detto Jacopino de’ Scipioni
d’Averara, in Dizionario dei pittori bergamaschi, Bergamo 2006, pp. 487489.
152. I tramezzi distrutti entro il 1707 circa sono quelli di Cermenate (Burocco, Chronologia, f. 210211), Contra di Missaglia (ibidem, f. 180), Legnano (ibidem, f. 153), Maleo
(ibidem, f. 196), Melegnano (ibidem, f. 174175), Soncino (ibidem, f. 171172). Sembra
no invece restare in piedi, forse ino alla distruzione dei conventi, i tramezzi di Vigevano
(ibidem, f. 93) e Pallanza (Silvola, Riforma, p. 300); quello di Abbiategrasso sopravvive un
poco dopo il 1708 (Burocco, Chronologia, f. 166), mentre per Monza la data di distruzione
è issata al 1719 (si cfr. supra nota 37).
153. Cfr. supra, nota 85.
154. Nova, Tramezzi in Lombardia, p. 209; Agosti, Stoppa, Tanzi, Il Rinascimento lombardo, p. 30.
155. J. Shell, Pittori in bottega. Milano nel Rinascimento, Torino 1995, pp. 122, 164
165, doc. 98, pp. 256257; F. Moro, in Pittura in Brianza e in Valassina dall’Alto Medioevo
al Neoclassicismo, a cura di M. Gregori, Milano 1993, p. 266; Mosconi, Lorenzi, Co, pp.
204207; C. Prevosti, Le più antiche vicende della chiesa amadeita di Santa Maria della Pace
a Milano (1466-1497), tesi di laurea, Università degli studi di Milano, facoltà di Lettere e
ilosoia, relatore G. Agosti, a.a. 20042005, pp. 119138.
156. Il testamento: ASMi, Notarile, b. 1845, notaio Antonio Zunico, 13 settembre
1479; la dichiarazione di adempimento dei legati ibidem, b. 1860, 23 aprile 1486 (i docu
menti sono segnalati con segnatura errata in Patetta, L’architettura del Quattrocento, p. 391,
nota 21); M. Pedralli, Novo, grande, coverto e ferrato. Gli inventari di biblioteca e la cultura a
Milano nel Quattrocento, Milano 2002, p. 340.
157. ALPE, Mastri, Carità, 16, 1485, f. 164v. L’anno successivo è saldata l’intera som
ma, ma parte del denaro (circa 80 lire) destinato a Caravaggio è assegnato, sempre per
volontà di Bernardino Caimi, a dei cartari (ibidem, 17, 1486, f. 168v).
156
lo sviluppo dell’osservanza francescana e l’aristocrazia milanese
158. F. Mazzini, in I pittori bergamaschi dal XIII al XIX secolo. Il Quattrocento, I, Ber
gamo 1986, scheda 6, pp. 552554; M. Tanzi, Pittura a Caravaggio, in Pittura tra Adda e
Serio, a cura di M. Gregori, Milano 1987, pp. 179186, particolarmente p. 180 e la scheda
a p. 229, con un’attribuzione a Fermo da Caravaggio contestata da Roberta Battaglia, nella
scheda sul Maestro della Pentecoste Cernuschi in Piemontesi e lombardi tra Quattrocento e
Cinquecento, Catalogo della mostra (Antichi maestri pittori, Torino, 21 aprile27 maggio
1989), a cura di G. Romano, Torino, 1989, pp. 2329, e da Boskovits, nella scheda su
Giovanni Ambrogio Bevilacqua in he Martello Collection. Further painting, drawing and
miniatures. 13th-18th century, a cura di M. Boskovits, Firenze 1992, pp. 2835; L. Baini, Una
nuova personalità del Quattrocento lombardo. Il frescante di San Bernardino a Caravaggio, in
«Arte cristiana», 86 (1998), pp. 1732, a p. 18; E. Mantia, in Pittura a Caravaggio. Avvenimenti igurativi in una terra di conine, a cura di S. Muzzin e A. Civai, Bergamo 2007, pp.
2427; E. Rossetti, Il volto di Lucia. Un ritratto ritrovato, in «Storia in Martesana», 4 (2010),
pp. 222, particolarmente pp. 1012.
159. Per «le depinture sopra la porta nova de la casa de la Caritate» Ambrogio Bevilac
qua è pagato 26 lire e 4 soldi, mentre per il rifacimento dell’intero ediicio sono spese 2.260
lire nello stesso 1486 (ALPE, Mastri, Carità, 17, 1486, f. 114r, 116r, 195v). Le guide mi
lanesi ricordano dipinte intelaiature architettoniche e igure allegoriche (Torre, Il ritratto di
Milano, p. 279; Latuada, Descrizione di Milano, vol. V, p. 184). Su Ambrogio Bevilacqua,
N. Righi, Giovanni Ambrogio Bevilacqua: proposte per la cronologia e per il catalogo, in «Arte
cristiana», 83 (1995), pp. 179196.
160. Il Vismara, nipote acquisito di Lantelmina, più volte deinito «heroe» laico del
l’ordine dal Burocco, è indubbiamente uno dei personaggi più interessanti della vicenda
osservante milanese; per una sua biograia si veda Noto, Origini del luogo pio della Carità,
p. 18, nota 25, pp. 5259; E. Saita, Fra Milano e Legnano: il testamento di Gian Rodolfo
Vismara (1492), in L’Alto Milanese nell’età del ducato, Atti del convegno (Cairate, 1415
maggio 1994), a cura di C. Tallone, Varese 1995, pp. 2767.
161. La relazione dei deputati della Carità relativa all’esecuzione dei legati della contes
sa in ASMi, Notarile, b. 1860, notaio Antonio Zunico, 23 aprile 1486.
162. Bartholamaeus de Pisa, De conformitate vitae beati Francisci ad vitam Domini Iesu,
in «Analecta franciscana», 45 (19061912).
163. Pellegrini, Lo sviluppo dell’osservanza minoritica, p. 60; G.G. Merlo, Nel nome di
San Francesco. Storia dei frati Minori e del francescanesimo sino agli inizi del XVI secolo, Pa
dova 2003, pp. 297298; R. Lambertini, Le. Pellegrini, “Per arbores et specula”. Un percorso
possibile tra immagini e testi da Bonaventura a Iacopo Oddi, in “Una strana gioia di vivere”. A
Grado Giovanni Merlo, a cura di M. Benedetti e M.L. Betri, Milano 2010, pp. 349363.
164. Riguardo alla reazione locale all’edizione del De conformitate bisognerebbe smon
tare pezzo per pezzo una delle più irriverenti fra le Novelle del domenicano osservante Mat
teo Bandello: la decima Novella della prima parte. In essa il colto religioso riesce a schernire
in un solo colpo, con abilità e sferzante ironia, il parente frate Cristoforo Bandello dedica
157
edoardo rossetti
tario già defunto, frate Francesco da San Colombano (per un probabile refuso diventa Fi
lippo) che sadicamente il domenicano usa come narratore, e frate Bernardino da Feltre. Lo
scherno è rivolto a «la conformità de la tua vita a Cristo» e all’efetto avuto da queste «fole»
sull’eresia luterana. Non a caso la Novella è tra le prime ad essere censurate (U. Rozzo, Bandello, Lutero e la censura, in Gli uomini, le città e i tempi di Matteo Bandello, secondo Con
vegno internazionale di studi [TorinoTortonaAlessandriaCastelnuovo, 811 novembre
1984], a cura di U. Rozzo, Tortona 1985, pp. 275300; A. Canova, Paolo Taegio da poeta a
dottor di leggi e altri personaggi bandelliani, in «Italia medioevale e umanistica», 37, 1994,
pp. 99135). Sull’uso del De conformitate nella vicina Provincia bresciana, nonché sulle
polemiche luterane, si veda V. Guazzoni, L’iconograia di S. Francesco come “alter Christus” in
area bresciana, in Il francescanesimo in Lombardia, pp. 217231. Il testo doveva circolare co
munque anche nelle case milanesi degli amici e sodali del Bandello: è probabilmente il libro
uno nominato Conformitate ordinis minorum elencato tra i volumi della biblioteca di Paolo
Visconti, iglio del colto poeta e protettore di Bramante Gaspare Ambrogio. Si ricordi che
il giovane Visconti, pur essendo legato al peculiare ambiente del circolo milanese di Santa
Marta, aveva una sorella monaca tra le Clarisse in San Bernardino al Cantalupo di Milano
(ASMi, Notarile, b. 8294, notaio Francesco Sacchetti, 13 settembre 1519).
165. Si cfr. supra nota 58.
166. Il danaro per la realizzazione dell’opera è consegnato a Gian Rodolfo Vismara
o allo sconosciuto pittore Domenico da Vigevano, giovane aiutante di frate Vittore; i pa
gamenti si susseguono dal 1486 al settembre del 1489. In totale, intonacatura compresa,
sono pagati circa 140 lire: evidentemente il frate non riceve compenso (ALPE, Mastri,
Carità, 17, 1486, f. 196v; ibidem, 18, 1487, f. 199v; ibidem, 19, 1488, f. 183v; ibidem,
20, 1489, f. 182v). Un frate «Victorino» da Milano si trasferisce a Carpi nel 1479, ma è
per ora impossibile identiicarlo con il frate pittore (Regestum Observantiae, p. 282, doc. 8).
Sembra interessante annotare che un Domenico pittore in Vigevano, è chiamato nel 1515
da Gian Giacomo Trivulzio insieme a Bernardino Ferrari per ridipingere le proprie armi e
quelle del re di Francia nel locale castello (Sacchi, Il disegno incompiuto, vol. I, p. 162, nota
158). Che si tratti del garzone di frate Vittore ormai cresciuto? Bisognerebbe indagare sulla
igura di questo oscuro pittore Domenico; chissà che non lo si possa ritrovare coinvolto in
una commissione francescana come la pala della Madonna con il Bambino, i santi Chiara
d’Assisi e Bernardino da Siena, il beato Cristoforo Macassolio e un angelo musico, datata 1502
(ovviamente il Trivulzio a questa data è già marchese di Vigevano) già in Santa Maria delle
Grazie di Vigevano? Per la pala C. Quattrini, in Splendori di corte, p. 126.
167. Quando i procuratori di Gian Giacomo Trivulzio (tra i quali compare un Ambro
gio della Rovere che potrebbe essere un parente di quel prete Antonio della Rovere deputato
della Carità e fabbriciere di Sant’Angelo, ma che è soprattutto idato amico del Gaspare
Ambrogio Visconti tanto legato a Bramante) esonerano il de Fedeli dai lavori al palazzo una
prima stima è richiesta a dominus frater Victor ordinis observantie Sancti Angeli per poi essere
deinitivamente assegnata ad un Agostino pittore e all’artista Giovanni Pietro da Corte (R.
Schoield, G. Sironi, Bramante and the problem of Santa Maria presso San Satiro, in «Annali
di archittettura», 12, 2000, pp. 1757, doc. 15, alle pp. 4849). Riguardo al palazzo Trivul
158
lo sviluppo dell’osservanza francescana e l’aristocrazia milanese
zio, alla Camera dell’Oro e alla presenza di Bramante nel cantiere C. Robertson, Bramante
and Gian Giacomo Trivulzio, in Bramante Milanese e l’architettura del Rinascimento lombardo,
a cura di C.L. Frommel, L. Giordano e R. Schoield, Venezia 2002, pp. 6781; G. Stoli, Le
case Trivulzio in Rugabella a Milano, dal XV al XVII secolo, in Aspetti dell’abitare in Italia tra
XV e XVI secolo. Distribuzione, funzioni, impianti, a cura di A. Scotti Tosini, Milano 2000,
pp. 174185. Per la stima di domino fra Victore de Sancto Angelo a Sant’Ambrogio, avvenuta
alla presenza, tra gli altri, di Fermo da Caravaggio si vedano C. Baroni, Documenti per la
storia dell’architettura a Milano nel Rinascimento e nel Barocco, I, Firenze 1940, p. 43, nota
3; G. Romano, Rinascimento in Lombardia. Foppa, Zenale, Leonardo, Bramantino, Milano
2011, p. 124; sul cantiere della Canonica bramantesca, R. Schoield, G. Sironi, Bramante e
la Canonica di Sant’Ambrogio a Milano, in «Annali di architettura», 9 (1997), pp. 155185.
168. Nel Rinascimento sono noti soprattutto i casi di frati pittori appartenenti all’ordi
ne domenicano e carmelitano (ovviamente le igure meglio conosciute sono quelle di Beato
Angelico, Filippo Lippi e Fra Carnevale), ma i casi di artisti francescani si moltiplicano dal
XVI secolo in poi. Si vedano per l’argomento gli atti del convegno La vocazione artistica dei
religiosi, in «Arte cristiana», 82 (1994). In relazione al ruolo dei frati artisti in Milano meri
terebbero ulteriore attenzione i gesuati di san Gerolamo, tutti senesi e iorentini, idati col
laboratori del Perugino, non sempre amici dei Francescani osservanti, ma abili nell’esercizio
delle «arti mechaniche» e con un gran numero di frati ingegneri, pittori e maestri vetrai
tra le ile della congregazione (M. Cai, I frati Ingesuati ed i loro dipinti su vetro, in «Arte e
storia», 5, 1891, pp. 3738; I. Gagliardi, I Pauperes Yesuati tra esperienze religiose e conlitti
istituzionali, Roma 2004, pp. 8488; I. Gagliardi, “Li Trofei della Croce”. L’esperienza gesuata
e la società lucchese tra Medioevo ed Età Moderna, Roma 2005, pp. 222224).
169. R. Casciaro, Note su Antonio da Monza miniatore, in «Prospettiva», 19941995,
nn. 75/76, pp. 109112; C. Quattrini, Fra’ Antonio da Monza e il suo inlusso in alcuni corali
francescani lombardi. I parte: la questione dei corali per il convento di Santa Maria degli Angeli
a Milano, in «Arte cristiana», 88 (2000), n. 796, pp. 1928; C. Quattrini, Fra’ Antonio da
Monza e il suo inlusso in alcuni corali francescani lombardi. II parte: Un seguito periferico di
fra’ Antonio da Monza, in «Arte cristiana», 88 (2000), n. 798, pp. 201209.
170. Frate Francesco Scagliapessi da Treviglio data l’ingresso del pittore «in religione»
a poco dopo le prediche di Bernardino da Feltre (deceduto nel 1494) e alla fondazione del
Monte Barro (consegnato nel 1491, ma convento dal 1499; si cfr. Silvola, Riforma, I, p.
36). Resta comunque signiicativa l’assenza di un’indicazione relativa all’ingresso del pittore
nell’ordine nei documenti cinquecenteschi a lui riferibili: F. Rossi, J. Shell, Bernardino Butinone, in I pittori bergamaschi dal XIII al XIX secolo. Il Quattrocento, II, Bergamo 1994, pp.
161267. Alcune note sull’opera di Butinone come miniatore (ma si tratta di una carriera
ancora da sistemare) in P. Galli, A proposito di Bernardino Butinone miniatore, in «AL», 137
(2003), pp. 1823.
171. Cobianchi, ‘Lo temperato uso delle cose’, in c.d.s.
172. Cfr. supra nota 142.
173. Longoni, Umanesimo e Rinascimento in Brianza, pp. 7678, nota 107.
159
edoardo rossetti
174. È comunque da segnalare una presenza continuativa dell’ingegnere Lazzaro Pa
lazzi – artista non geniale, ma abile nel conciliare tradizione lombarda e novità architet
toniche – con l’ambiente di Sant’Angelo, nonché il suo legame con i Visconti di Somma.
Battista Visconti gli commissiona la canonica di Sant’Agnese, da costruirsi accanto alla
chiesa pievana eretta su modello di Sant’Angelo e l’ingegnere è presente al testamento del
nobile mentre questi sta facendo costruire la cappella del Corpo di Cristo (1484). Nel 1499
Palazzi recupera pezzi di marmo per la fabbrica di Sant’Angelo e nel 1500 è testimone al
testamento di un frate rogato in Sant’Angelo; resta da capire quali lavori fossero in corso a
queste date: forse il completamento dell’infermeria che secondo la descrizione di Pasquier
doveva ricordare il vicino Lazzaretto? (Giovanni Antonio Amadeo. I documenti, a cura di
R.V. Schoield, J. Shell e G. Sironi, Como 1989, docc. 585, 586, p. 283; ASMi, Notarile, b.
3594, notaio Giovanni Andrea Besozzi, 24 dicembre 1500; F. Daccaro, I ‘magistri inzigneri’
attivi a Milano al tempo di Bramante, in Bramante e la sua cerchia in Milano e in Lombardia, 1480-1500, Catalogo della mostra [Milano, 31 marzo20 maggio 2001], a cura di L.
Patetta, Milano 2001, pp. 8393, a p. 85; F. Repishti, Palazzi, Lazzaro, in Ingegneri ducali
e camerali nel ducato e nello stato di Milano [1450-1706]. Dizionario biobibliograico, a cura
di P. Bossi, S. Langè, F. Repishti, Firenze 2007, p. 100).
175. Beltrami, Notizie sconosciute, pp. 422423. Si attende una nuova edizione del
testo da parte di Simone Amerigo (dalla sua tesi di laurea: Le couronnement du roy François,
premier de ce nom di Pasquier Le Moyne, Università degli studi di Milano, facoltà di Lettere
e ilosoia, relatore rel. G. Agosti, a.a. 20052006).
176. Presso alcuni afreschi, ma in luogo imprecisato dalle fonti, ricorreva un tempo
la data 1476 (P. Compostela, Il Monte di Pietà in Milano nel DCC anno della morte di San
Francesco d’Assisi, Milano 1926, pp. 7192; Sevesi, Le clarisse di Milano, pp. 106144, 170
174; Patetta, L’architettura del Quattrocento, p. 387; A. Galli, in Pittura a Milano. Rinascimento e Manierismo, a cura di M. Gregori, Milano 1998, pp. 194195).
177. Burocco, Chronologia, f. 157. Si tenga anche conto dei particolari legami tra Santa
Maria degli Angeli di Legnano e Gian Rodolfo Vismara che segue in prima persona gli in
terventi decorativi del chiostro milanese; è lui infatti a ricevere la rata più elevata stanziata
per le pitture (cfr. supra nota 166).
178. Da rammentare che un ciclo con la vita di san Francesco fu mantenuto anche nel
chiostro di Sant’Angelo Nuovo (M.C. Chiusa, Sant’Angelo in Milano. I cicli pittorici dei
Procaccini, Milano 1990, pp. 122123).
179. Cfr. supra nota 166.
180. Sul monocromo come esigenza devozionale si vedano le recenti considerazioni di
M. Cataldi Gallo, I teli quaresimali con le Storie della Passione di Genova, in Tela picta. Alle
origini della pittura su tela, Atti del convegno (Milano, Università Cattolica del Sacro Cuo
re, maggio 2006), a cura di M.G. Albertini Ottolenghi, in «AL», 153 (2008), pp. 7587;
L. Weigert, “Velum Templi”: painted cloths of the Passion and the making of Lenten ritual in
Reims, in «Studies in Iconography», 24 (2003), pp. 199229, particolarmente p. 211.
160
lo sviluppo dell’osservanza francescana e l’aristocrazia milanese
181. Longoni, Umanesimo e Rinascimento in Brianza, pp. 146148 e nota 330; S. Gatti,
Gli afreschi della chiesa della Misericordia, in Il convento di Santa Maria della Misericordia,
pp. 143167, alle pp. 149155.
182. Per gli afreschi, Lara Calderari (Contributi alla pittura del primo Cinquecento nel
Canton Ticino: il Maestro del coro degli Angeli e il Maestro della cappella Camuzio, in «Arte
cristiana», 85 (1998), pp. 421433) ha proposto il nome di Giovanni Antonio da Lecco
detto Codolo, mentre si è fatto recentemente il nome di Giovanni Lomazzo cugino di Luini
(Agosti, Stoppa, Tanzi, Il Rinascimento lombardo [visto da Rancate], p. 52), ma sulle decora
zioni di Santa Maria degli Angeli si vedano ora gli importanti sviluppi in L. Calderari, C.
Quattrini, Novità per Bernardino Luini e l’opera sua a Lugano, in c.d.s.
183. F. Cavalieri, L’arte, in Il convento dell’Annunciata di Abbiategrasso, a cura di M. Co
mincini, Abbiategrasso (Milano) 2006, pp. 129130. Da segnalare che facciate dipinte con
santi dell’ordine sono attestate anche a Vigevano (Burocco, Chronologia, f. 96) e a Legnano
(ibidem, f. 156). Quella delle fronti afrescate potrebbe essere un’altra caratteristica standar
dizzata – per altro comune a molti ediici di Lombardia – per le chiese dell’ordine?
184. Cavalieri, L’arte, in Il convento dell’Annunciata, pp. 119120, 122; Agosti, Stoppa,
Tanzi, Il Rinascimento lombardo (visto da Rancate), pp. 2930.
185. Per la cappella maggiore di Sant’Angelo si vedano Rossetti, “Chi bramasse di veder il
volto suo ritratto dal vivo”, in c.d.s.; Sacchi, Il disegno incompiuto, I, pp. 332333, nota 62.
186. «Immagine de santi dell’ordine seraico depinte su tavole di legno, quali prima
formavano l’ancona, e servivano quasi di corteggio alla bellissima tavola dove adoravasi la
Beatissima Vergine Assonta dagli angioli in cielo» (Burocco, Chronologia, f. 155).
187. Data dal Silvola a Tiziano, ma in realtà di Callisto Piazza su commissione Rusca (Sil
vola, Riforma, IX, pp. 243, 295; M. Tanzi, in Rinascimento nelle terre ticinesi, pp. 232235).
188. È quella di Marco d’Oggiono con le eigi di Bona Bevilacqua e Giulia Trivulzio
(M.T. Fiorio, in Pinacoteca di Brera. Scuole lombarda e piemontese (1300-1535), Milano
1988, pp. 344353).
189. «Il choro nel quale anticamente v’era l’ancona della Beata Vergine Maria accer
chiata da altre tavole e igure» (Burocco, Chronologia, f. 175).
190. «Una bellissima ancona rebescata di legno indorata nel di cui mezzo adorasi l’ef
ige della gran regina de’ cieli corteggiata dagli angioli e circondata da varie igure de santi
dell’ordine seraico» (Burocco, Chronologia, f. 182).
191. Dell’ancona restavano «otto quadri de’ santi, dipinti all’antica sul legno, però
stimati» (Silvola, Riforma, IX, p. 113).
192. I committenti del tramezzo di San Maurizio a Milano sono Ermes Visconti e Bianca
Maria Gaspardone, verosimilmente in accordo con l’amica Ippolita Sforza Bentivoglio: tutti
dispongono sepoltura in Sant’Angelo. Si tenga conto inoltre che è di Bianca Maria la grande
161
edoardo rossetti
possessione di Conzano a Casale Monferrato presso la quale sorge il locale cenobio di San
Maurizio dei Minori osservanti; qui un’Assunta di Giovanni Martino Spanzotti costituisce
un modello signiicativo per le omonime rappresentazioni di aria pedemontana (P. Venturoli,
Martino Spanzotti e alcune Assunzioni della Vergine in Piemonte e in Lombardia, in Ricerche sulla
pittura del Quattrocento in Piemonte. Strumenti per la didattica e la ricerca, a cura di G. Roma
no, Torino 1985, pp. 91101; Rossetti, “Chi bramasse di veder il volto suo ritratto dal vivo”, in
c.d.s.). Attesterebbe la fortuna iconograica dell’Assunta del Monastero Maggiore un frammen
to di afresco conservato a Brera (M.T. Binaghi Olivari, in Pinacoteca di Brera, pp. 322323).
193. ASMi, Notarile, b. 1738, notaio Mafeo Suganappi, 13 giugno 1494.
194. Per la posizione della cappella dello Spirito Santo e per altri dati su di essa supra no
ta 61; per Bramantino Rossetti, “Chi bramasse di veder il volto suo ritratto dal vivo”, in c.d.s.
195. ASMi, Notarile, b. 3057, notaio Pietro Lepori, 29 giugno 1501.
196. Burocco, Chronologia, vol. I, f. 410; vol. II, f. 54. Nella cappella dispongono la
propria sepoltura anche Giovanna Landriani, vedova di Sasso Marliani, e probabilmente i
Visconti Aicardi suoi nipoti (ASMi, Notarile, b. 1229, notaio Lancellotto Sudati, 12 aprile
1484; ibidem, b. 2626, notaio Giovanni Francesco Cagnola, 26 luglio 1501 per i due testa
menti della donna; mentre per quello di Matteo Aicardi ibidem, 2 settembre 1497).
197. Per il testamento di Scipione Barbavara, ASMi, Notarile, b. 2023, notaio Gabriele
Sovico, 15 aprile 1505; per una sua biograia S. Meschini, Luigi XII duca di Milano. Gli uomini e le itituzioni del primo dominio francese (1499-1512), Milano 2004, pp. 396397. Mor
to Scipione, il iglio Giovanni Battista commissiona nel 1506 a Guido Zavattari la dipintura
di una «culla regale» e di una «lectera», ma non si sono ritrovate altre notizie sull’esecuzione
degli afreschi (E. Motta, L’Università dei pittori Milanesi nel 1481, con altri documenti d’arte
del Quattrocento, in «ASL», 22, 1895, pp. 408433, alle pp. 425426). Verosimilmente furo
no realizzati se nel 1516 il Barbavara si faceva ritrarre dal Lombardino per un monumento
marmoreo da sistemare in Sant’Angelo (Sacchi, Il disegno incompiuto, II, p. 438), e ancora
vivente nel 1552 disponeva per la ricostruzione della cappella in Sant’Angelo Nuovo (ASMi,
Fondo di Religione, b. 955, 25 gennaio 1552; Forcella, Iscrizioni, V, p. 13, n. 16).
198. Per la nobildonna si veda supra nota 41.
199. Carlo Cairati renderà noto un documento di pagamento per l’ancona dei de Do
nati nella sua tesi di specializzazione. La nobildonna si presenta almeno in un’occasione co
me protettrice di artisti, nel 1495 raccomanda presso il cognato Ludovico il Moro il «vicino
et amico» Paolo Retondi da Saronno (già collaboratore dell’Amadeo) per sostituire Antonio
Mantegazza come scultore alla Certosa di Pavia (Giovanni Antonio Amadeo. I documenti,
p. 239, doc. 416). Con il suo ultimo testamento Beatrice dispone che le ossa di Tristano
Sforza siano traslate in capella quam construi feci in ecclesia Sante Marie de Angelis e si fa
menzione di una promissa et obligatio del 1495 per il versamento di 4.000 lire a Francesco
Tanzi e Gabriele Crivelli, entrambi fabbricieri di Sant’Angelo (ASMi, Notarile, b. 1888,
notaio Antonio Zunico, 17 novembre 1497).
162
lo sviluppo dell’osservanza francescana e l’aristocrazia milanese
200. ASMi, Notarile, b. 7884, notaio Rizzardo Garimberti, 26 giugno 1510. Le somme
sono enormi per l’ambito dei Minori osservanti, se si tiene conto che il preventivo del 1476
per la costruzione dell’intero convento di Galliate – arredamento compreso – è di 3.897
ducati, cioè 15.588 lire (Andenna, “L’opportunità persa”, p. 352). Non è improbabile siano
servite sia al cantiere di Sant’Angelo (all’infermeria?) che a quello di Soncino, ma ovvia
mente si tenga presente che queste donazioni erano inalizzate non solo alla costruzione dei
conventi, ma anche al mantenimento dei molti frati residenti nei cenobi.
201. I creditori si presentano in blocco presso la Corte dell’Arengo incaricando Aimo
da Seregno, Cristoforo Zerbi, Filippo da Seregno, Francesco Mainoni, Battista de Maldotis e Paolo da Seregno per agire a loro favore presso il governo francese. A comparire per
conto del fratello Giovanni Bernardino è Iohannes Stefanus de Scotis ilius quondam domini
Gotardi, porte Nove, parochie Sancte Margherite Mediolani (ASMi, Notarile, b. 5578, notaio
Battista Capitani, 5 novembre 1499).
202. Andreozzi, Mirabile, Nuovi spunti di indagine, p. 84.
203. Sulla biograia degli Scotto, E. Villata, S. Baiocco, Gaudenzio Ferrari, Gerolamo
Giovenone. Un avvio e un percorso, Torino 2004, pp. 1931. Sempre sugli Scotto, ma con
conclusioni diferenti, D. Fignon, Sulle tracce di Stefano Scotto: un contributo alla storia della
pittura lombarda tra ’400 e ’500 (parte I), (parte II), rispettivamente in «Arte cristiana», 95
(2007), pp. 251262, e 95 (2007), pp. 333342. Riguardo a Gottardo (padre dei due) si ve
da S. Buganza, Intorno a Baldassarre d’Este e al suo soggiorno lombardo, in «Solchi», 9 (2006),
pp. 369, particolarmente pp. 2425 e le ricche note alle pp. 111115. Per la Crociissione,
con la corretta attribuzione a Giovanni Stefano e a Giovanni Bernardino, M.T. Binaghi
Olivari, in Pinacoteca di Brera, pp. 366370.
204. Agosti, Stoppa, Tanzi, Il Rinascimento lombardo, pp. 3031.
205. Per il numero delle cappelle Beltrami, Notizie sconosciute, p. 422. Il sacello di San
Bernardino è ediicato nel 1451 su inanziamento dei terziari (Noto, Origini del luogo pio
della Carità, p. 20). La cappella di San Bonaventura poi di San Gerolamo, è costruita da
Dioniso Alciati accanto a quella eretta da Giacomo Filippo Pecchi, detto Fra Ghiringhello
(ASMi, Notarile, b. 1873, notaio Antonio Zunico, 28 agosto 1490; F. Pavan, Ippolita Bossi
Rozzoni († 1563), in La generosità e la memoria. I luoghi pii elemosinieri di Milano e i loro
benefattori attraverso i secoli, Milano 1995, pp. 119127, p. 122 e nota 22). Nella cappella
di San Giovanni Battista si fanno seppellire i inanzieri Aloisio Cagnola e Simone Arrigo
ni (ASMi, Notarile, b. 3715, notaio Giovanni Pietro Appiani, f. 653r656v, 13 gennaio
1491; ibidem, b. 1873, notaio Antonio Zunico, 10 maggio 1490). Niccolò da Gerenzano
fa costruire la cappella della Maddalena, ma identica titolazione dovrebbe avere anche la
cappella dei Sanseverino (Zanoboni, I da Gerenzano, pp. 7680; ASMi, Notarile, b. 3036,
notaio Innocenzo Carati, 28 settembre 1505). I Porro disponevano di sepoltura nella cap
pella di San Gerolamo (Gallori, L’Altare Porro del Duomo di Milano, pp. 146, 153 e note
12, 35). Per la cappella Gallarati, forse già Carcano, si veda supra nota 99; non si conosce
invece la dedicazione della cappella di Fra Ghiringhello, o del sacello di sepoltura del mae
163
edoardo rossetti
stro delle entrate Bartolomeo dei Conti di Cemo e di suo genero Antonio Maria Pallavicini
da Scipione (ASMi, Notarile, b. 1859, notaio Antonio Zunico, 13 agosto 1485; ibidem, b.
1888, 20 ottobre 1497; Forcella, Iscrizioni, V, p. 14, n. 17).
206. ASMi, Notarile, b. 1859, notaio Antonio Zunico, 1º ottobre 1485; ibidem, b.
1878, 18 dicembre 1492; Saita, Fra Milano e Legnano, pp. 4648; Beltrami, Notizie sconosciute, p. 422.
207. L. Andreozzi, I rilievi del Duomo di Vigevano provenienti da Santa Maria del Giardino a Milano, in «Viglevanum», 16 (2006), pp. 5871.
208. Beltrami, Notizie sconosciute, p. 422.
209. Amadeo. I documenti, doc. 87, pp. 132133; la localizzazione di questo monumen
to in Sant’Angelo non è certa, ma si potrebbe dedurre dalle disposizioni testamentarie della
moglie e della iglia dello Sforza.
210. Grosselli, Documenti quattrocenteschi, doc. 14, p. 108.
211. Cfr. supra nota 197.
212. Sacchi, Il disegno incompiuto, vol. I, pp. 330331.
213. Cfr. supra note 81, 82.
214. L. Vaccarone, Bianca Maria di Challant e il suo corredo, in «Miscellanea di storia
italiana», 4 (1897), pp. 307331, a p. 327; Rossetti, “Chi bramasse di veder il volto suo ritratto dal vivo”, in c.d.s.
215. Andreozzi, Mirabile, Nuovi spunti di indagine, p. 83.
216. Il manufatto è stato relazionato, in via ipotetica, alle commissioni dei Visconti di
Somma: M.C. Passoni, Presenze rinascimentali in S. Agnese, sculture e dipinti, in La Basilica
di S. Agnese, pp. 117135, nota 54.
217. I conti sulla supericie sono presto fatti: i frati devono disporre almeno di una
ventina di pertiche se nel 1452 ne cedono 16 (Grosselli, Documenti quattrocenteschi, doc.
4), mentre tra il 1485 e il 1492 sono donate dal Garbagnati e dal Vismara 37 pertiche (cfr.
supra nota 206).
218. Una supplica del 1458 menziona entrambe le chiese di Santa Maria degli Angeli e
Sant’Angiolino (“Beatissime pater”, doc. 130, pp. 5253). Attesta la presenza di Sant’Angio
lino come ediicio separato ancora un documento del 1475 con il quale si locano ai terziari
degli spazi accanto alle scale della foresteria e prope hostium per quid itur ad ecclesiam Sancti
Angelini (ASMi, Notarile, b. 2866, notaio Luchino Appiani, 5 febbraio 1475). Nella chie
setta («giesola») dispone inoltre la propria sepoltura Erasmo Trivulzio (cfr. supra nota 210).
La chiesa della Concezione è menzionata invece nel testamento del notaio Niccolò Biglia
(ASMi, Notarile, b. 5247, notaio Sigismondo Ceresa, 16 giugno 1529).
219. Beltrami, Notizie sconosciute, p. 422.
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lo sviluppo dell’osservanza francescana e l’aristocrazia milanese
220. Non esagera quindi il Burocco (Chronologia, f. 6) quando descrive Sant’Angelo
Vecchio come «fabrica tropo soda e castello ben forte» se nel 1452 sono attestati i lavori
di costruzione di un terrapieno e di un fossato (Grosselli, Documenti quattrocenteschi,
pp. 104105).
221. La strada è aperta tra il 1486 e il 1510 su disposizione del Vismara, ASMi, Notarile, b. 1878, notaio Antonio Zunico, 18 dicembre 1492 (suppliche inserite del 13 maggio
1486); ibidem, b. 1748, notaio Mafeo Suganappi, 27 luglio 1510; Burocco, Chronologia,
f. 49; Saita, Fra Milano e Legnano, pp. 4648.
222. Sacchi, Il disegno incompiuto, I, p. 330.
223. V. Natale, La Passione a Vercelli e dintorni: dal disordine per le Comunità alla norma
dell’Osservanza, in Verso il Sacro Monte. Immagini della Passione nel Quattrocento, Catalogo
della mostra (Vercelli, 4 febbraio30 aprile 2006), a cura di V. Natale, Biella 2006, pp. 8
15. Un commento sulla predicazione francescana osservante come difusione di «modelli
eticoreligiosi costrittivi e rigidi» in G.G. Merlo, Tentazioni e costrizioni eremitiche, in Mer
lo, Tra eremo e città, pp. 233268, a p. 246.
224. L’intervento più recente su Sant’Angelo Nuovo in N. Soldini, “Nec spe nec metu”.
La Gonzaga: architettura e corte nella Milano di Carlo V, Firenze 2007, pp. 312314.
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