CASTELSECCO E SANTA MARIA DELLE GRAZIE (AREZZO):
DUE SANTUARI E UNA DOMANDA
Comunicazione del Socio prof. Armando Cherici del 21 marzo 2014
Questa comunicazione riguarda due complessi monumentali, Castelsecco e
Santa Maria delle Grazie ad Arezzo, per i quali l’analisi storico-artistica è stata sufficientemente approfondita negli ultimi anni, con trattazioni scientifiche cui rimando1 e che mi esimono da un’ulteriore analisi approfondita. Mi permetto qui di far
notare al lettore alcuni punti salienti.
Tra III e II sec. a.C., alle soglie della romanizzazione, Arezzo si dota d’un imponente santuario che possiamo definire d’altura, oggi noto con il duplice toponimo
moderno che indica l’intero colle, di cui occupa l’intero pianoro sommitale: San
Cornelio o Castelsecco.
Il primo toponimo deriva dalla dedicazione di una delle chiesette che, già dall’alto medioevo, si distribuivano sulla cima del rilievo, anche in funzione della cura
d’anime d’un piccolo insediamento che riutilizzava i materiali edilizi del santuario e
ne sfruttava in funzione difensiva parte dell’imponente cinta; da qui il secondo
nome, ben attestato nei documenti medievali: Castrosicco, castello quindi, forse di
mura a secco o, più probabilmente, su un poggio privo di sorgenti o ruscelli significativi.
Le mura del recinto santuariale risultavano nel sec. XIX semisommerse dal dilavamento sommitale. A partire da esse, nell’ultimo decennio del secolo avvia
un’estesa indagine un erudito locale, Vincenzo Funghini, che vi vede una acropoli2.
1
Per Castelsecco: A. Cherici, Una nota sul santuario etrusco di Castelsecco (Arezzo), in C.
Marangio, G. Laudizi (a cura di), Palaia Philia. Studi di topografia antica in onore di Giovanni Uggeri,
Galatina 2009, p. 357 ss.; A. Cherici, Genesi e sviluppo di Arezzo etrusca e romana, in G. Camporeale,
G. Firpo (a cura di), Roma 2009, Arezzo nell’antichità, pp. 151 ss.: 159 s.; per Santa Maria delle Grazie:
A. Tafi, Santa Maria delle Grazie ad Arezzo, capolavoro di fede e di arte, Arezzo 1973.
2
V. Funghini, L’antica acropoli di Arezzo e sua origine, Firenze 1896 (ristampa anastatica, Siena
1994).
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Negli anni Sessanta del secolo scorso la Soprintendenza Archeologica realizza, con
scarsissima accuratezza scientifica e prevalente impiego di ruspe, una serie di sondaggi a pettine sulla parte sommitale, rintraccia la cavea di un piccolo teatro, libera
parte del prospetto del muro di cinta e terrazzamento. La pur inadeguata edizione di
tali scavi3, unita alle evidenze delle ricognizioni di superficie effettuate dallo scrivente porta a ipotizzare un repentino abbandono negli ultimi decenni del sec. I a.C.,
per la completa assenza di frammenti di terra sigillata aretina.
Il colle su cui – in età tardoarcaica – sorge Arezzo è immediatamente percepibile
e fa quasi da traguardo per chi, percorrendo le quattro valli che circondano e convergono sulla conca aretina, entri nella vasta piana che ne costituisce il naturale raccordo, decretando la fortuna antica – e moderna - del centro urbano: nodo irrinunciabile
di traffici che qui incrociano il principale percorso longitudinale interno alla
Penisola (asse Tevere/Paglia/Chiana/Arno) con uno dei rari collegamenti trasversali
tirreno-adriatici, favorito da facili valichi appenninici.
Se il colle della città è il punto di riferimento orografico principale, non meno
evidente è quello occupato dal santuario etrusco: ben visibile a ogni viandante e
riconoscibile da lontano per la vetta regolarizzata e monumentalizzata con sbancamenti e terrapieni di notevole imponenza.
Seguendo un unico progetto – vista la vita relativamente breve del santuario –
l’ampia cima del colle viene in parte livellata in un’ampia spianata ellittica di m 300
x 120 circa, al cui centro viene risparmiato nella roccia un podio naturale, orientato
a 206 gradi, su cui è impostato un tempietto dello stesso orientamento. Un analogo
sacello, parallelo al primo, sorge probabilmente subito a ovest, su un secondo rilievo
minore pure risparmiato nel livellamento artificiale del pianoro.
La spianata risultante attorno ai due piccoli templi sembra esser stata lasciata
libera da edifici, ma viene circondata da un muro di cinta e terrazzamento che, almeno in direzione della conca di Arezzo – cioè nel punto di maggior visibilità – è irrobustito e ingentilito insieme da contrafforti coronati da archi. In asse con il tempio
maggiore sorge un teatro, dalla cavea in parte scavata, in parte su terrapieno.
La tipologia del complesso monumentale è ben nota: si tratta di un impianto santuariale ben attestato in area centroitalica in età medio- e tardorepubblicana:
Pietrabbondante, Palestrina ne sono gli esempi più noti, Iuvanum quello in pianta
più vicino.
Dal pianoro sommitale del santuario, messo in risalto dall’alto muro di terrazzamento, si ha una vista diretta sulla città antica, mentre l’esser visibile dallo sbocco
delle quattro vallate assicura il richiamo di chi si trovasse a transitare nel naturale
crocevia aretino.
3
G. Maeztke, Il santuario etrusco italico di Castelsecco (Arezzo), «Rendiconti della Pontificia
Accademia di Archeologia» 55-56 (1982-1984), pp. 35 ss.
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L’insieme costituisce un perfetto esempio del santuario antico: ben percepibile il
temenos, cioè il confine fisico e mentale insieme che, come dice la parola, ritaglia
uno spazio interno sacro da uno spazio esterno profano, i sacelli interni, il teatro per
le rappresentazioni inerenti il culto, l’ampio spazio libero, a cielo aperto, al servizio
dei fedeli che come in tutti i santuari, è immaginabile vi si concentrassero in particolari momenti.
Facciamo un salto di 1500 anni, spostandoci di poco verso la città, sulle pendici
del colle di Pitigliano. Nel 1425 san Bernardino da Siena predica una prima volta in
Arezzo. Vi trova particolarmente radicato un culto salutare incentrato su una sorgente le cui acque, che sgorgano alla base del colle suddetto, alimentano una vasca per
immersioni, protetta da una struttura che le rappresentazioni coeve a san Bernardino
ci mostrano con un nobile prospetto di conci disposti ad arco (Fig. 3). Probabilmente
da qui il nome attestatoci nei documenti: Fons tecta. San Bernardino si scaglia con
tutta la sua veemenza oratoria contro tale culto, da lui giudicato pagano, e tenta di
far demolire la struttura. Ma ottiene un risultato imprevisto: forse la natura benefica
– reale o presunta – delle sue acque, forse gli interessi economici che intorno a tale
culto si muovevano – compresa una ricca fiera annuale – fanno sì che gli aretini si
ribellino al santo, cacciandolo dalla città. Un secondo tentativo, nel 1428, avrà maggior fortuna forse anche perché il culto – e la fiera – non vengono eradicati, semplicemente cristianizzati sotto la tutela di S. Maria «delle Grazie». Non sappiamo nulla,
purtroppo, di ciò che c’era intorno alla Fons tecta, ma ora l’area viene immediatamente monumentalizzata in pochi decenni nelle forme del santuario attuale: un muro
di cinta ritaglia un’area rettangolare lasciata libera per accogliere fedeli e pellegrini,
che trovano ospitalità nel portico che la circonda realizzando la prima piazza porticata della Rinascenza, sul prospetto di fondo sorgono due edifici sacri paralleli: il
piccolo oratorio di S. Maria delle Grazie, in asse con il piazzale antistante, e di fianco la cappella di san Bernardino. Di fronte alla chiesa principale sorge un leggiadro
portico su scalinata che funziona da palcoscenico per le celebrazioni religiose, visto
che la chiesa stessa non è palesemente in grado di ospitare un pubblico appena
numeroso: la loggia, di Benedetto da Maiano, è un luogo teatrale per funzioni religiose e per sacre rappresentazioni. A ben vedere è ancora l’identico schema del santuario che abbiamo visto 1500 anni prima sul colle poco lontano di Castelsecco.
Fin qui, per l’uomo moderno come per lo studioso, nulla di nuovo: nell’uno e
nell’altro l’immagine del santuario cristiano è quella offertaci appunto da S. Maria
delle Grazie, l’immagine del santuario precristiano è quella che gli scavi archeologici hanno messo in luce a Castelsecco come a Tivoli, Pietrabbondante, Palestrina.
Ma vorrei porre una domanda. Come può essersi riproposto, a poche centinaia di
metri ma con un gap cronologico di un millennio e mezzo, un modello santuariale
identico? Santa Maria delle Grazie è il primo santuario che ordinatamente dispone
quello che abbiamo visto ordinatamente disposto nel santuario etrusco: tempio, loggia-palcoscenico, platea, portico (non rintracciato a Castelsecco, ma presente in tutti
gli altri santuari analoghi: Figg. 1, 2): qual è stato il modello? Come si è trasmesso
il modello del santuario classico, medio e tardorepubblicano ai progettisti del san-
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tuario tardomedievale? Gli scavi archeologici che ci hanno fatto conoscere il modello santuariale antico sono del secolo scorso, e Vitruvio – ben conosciuto nella
Rinascenza – quel tipo di santuario non lo descrive.
Potremmo ipotizzare che la Fons tecta avesse un impianto sub divo che dall’età
pagana – cui senz’altro risaliva il culto – aveva conservato il modello santuariale
fino alla sua monumentalizzazione quattrocentesca. È solo un’ipotesi, non suffragata da documenti4. Lascio dunque al lettore e allo studioso il quesito, ripetendomi: noi
uomini contemporanei abbiamo ben presente, grazie agli scavi, il modello santuariale classico; abbiamo ben presente, grazie a complessi monumentali viventi di cui S.
Maria delle Grazie è il primo esempio organico, la redazione tardomedievale di
quello stesso modello. Quale è stato il canale di trasmissione del modello? Un millennio e mezzo non si supera con la memoria di una pianta, ci vuole una consuetudine. Aldilà dell’ipotesi sopra formulata non ho risposte; per trovar risposte, spesso,
occorre però porsi e porre domande: e l’Accademia, che riunisce in un dialogo e in
un confronto conoscenze e competenze diverse, è il luogo migliore per farlo.
4
Salvo il rinvenimento, proprio nell’area attigua alla fonte, di un cratere a colonnette attico di fine
VI sec. (Fig. 4): Cherici, Genesi cit., p. 156, tav. XIII:b-c.
Fig. 1. Arezzo, S. Maria delle Grazie, pianta.
Notare il portico, la platea, il tempio centrale e la loggia-palcoscenico in asse
Fig. 2. Tivoli, tempio di Ercole vincitore (ric.
Giuliani). Notare il portico, la platea, il tempio
centrale e il teatro in asse
Fig. 3. Arezzo, S. Francesco, cappella Carbonati.
Affresco di Lorentino d’Andrea con la distruzione
della Fons tecta
Fig. 4. Arezzo, S. Maria delle Grazie.
Cratere attico a colonnette